Il futuro demografico dell'Italia - Dipartimento di Economia politica

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02.02.2015 Views

Il vero punto debole del Rapporto della Population Division e degli scenari che esso propone sta, a mio avviso, nella scelta degli obiettivi rispetto ai quali gli scenari sono stati costruiti, obiettivi che ritengo privi di significato economico dato che non derivano da un’analisi delle cause dei flussi migratori e delle loro conseguenze demo-economiche. Inoltre le “previsioni” demografiche, che ci sono state fornite fino ad ora contengono un messaggio di ineluttabilità, in quanto le tendenze demografiche sono presentate come esogene al sistema economico e sociale, qualcosa che dovremo subire e rispetto al quale ben poco possiamo fare. Il messaggio centrale di questo lavoro è, invece, che se è certamente vero che il futuro livello della popolazione e la sua struttura sono influenzati dal passato andamento della natalità, vi è però ampio spazio per una serie di interventi che ne ridisegnino il livello e la struttura. Gli interventi da attivare debbono però essere funzionali agli obiettivi che un paese decida di perseguire sia nel breve, ma soprattutto nel lungo periodo. Obiettivo di questo capitolo è, pertanto, quello di indicare alcuni possibili obiettivi e discutere le politiche demografiche ed economiche necessarie per raggiungerli. 2. Obiettivi di medio e di lungo periodo Gli effetti della caduta del tasso di fecondità sotto il livello di rimpiazzo sono stati già ampiamente discussi. In assenza di flussi migratori sia la popolazione in età lavorativa, sia la popolazione totale sono destinate a muoversi lungo una spirale negativa, determinata da un numero di ingressi inferiore al numero delle uscite. Queste tendenze demografiche non possono non generare una drammatica carenza di offerta di lavoro ed un progressivo aumento del peso della popolazione anziana. Ciò si tradurrebbe inevitabilmente in forti tensioni salariali e porterebbe al massiccio trasferimento di attività produttive in altri paesi, in particolare in paesi in via di sviluppo caratterizzati da un eccesso di offerta di lavoro e da un minor costo della manodopera. Sarebbe poi inevitabile procedere ad una drastica riduzione del sistema del welfare, con drammatiche conseguenze non solo sulla qualità della vita degli anziani, ma anche sulla tranquillità delle generazioni più giovani che vedrebbero di fronte a sé un futuro dominato dall’incertezza e dall’insicurezza economica. Le popolazioni che dovessero poi essere a lungo caratterizzate da un tasso di fertilità sotto il livello di rimpiazzo sarebbero destinate all’estinzione. Il primo effetto della caduta della natalità, ormai ampiamente sperimentato dal nostro paese, è la progressiva contrazione della popolazione in età scolare. Se questo fenomeno si traduce necessariamente in una riduzione degli allievi della scuola dell’obbligo, esso può non tradursi immediatamente in una riduzione degli allievi delle scuole medie superiore e degli studenti universitari il cui numero è determinato non solo dalle tendenze demografiche, ma anche dai tassi di passaggio e dai tassi di sopravvivenza scolastica. Tutto ciò non influisce sul numero delle uscite dal sistema formativo, ma solo sulla loro struttura per titolo di studio. La conseguenza successiva è il calo della popolazione in età lavorativa e la comparsa di un fabbisogno occupazionale. Dopo una prima fase caratterizzata da un progressivo assorbimento della disoccupazione, da un probabile aumento della partecipazione, dall’attivazione di flussi migratori interni, il fabbisogno occupazionale diviene necessariamente un fabbisogno strutturale di manodopera straniera che può essere risolto solo da saldi migratori internazionali. In questa situazione, il primo obiettivo di breve medio periodo è pertanto quello di colmare la carenza di offerta di lavoro autoctono con lavoro immigrato. La soluzione più semplice per raggiungere questo obiettivo potrebbe essere quella di una totale apertura delle frontiere 305 . Ho deciso di non fare mia questa proposta per due ragioni. La prima, perché sono convinto che nell’attuale situazione politica, una tesi di questo genere non farebbe altro che produrre un rifiuto pregiudiziale delle proposte che intendo presentare e che spero possano invece trovare uno spazio di discussione e di confronto anche presso l’attuale coalizione di governo. La seconda, più rilevante, è che se si lasciasse al mercato il compito di “regolare” i flussi di ingresso si perderebbe la possibilità di perseguire, tramite una corretta politica dell’immigrazione, anche altri obiettivi. La soluzione è dunque quella di fissare quote d’ingresso che risultino coerenti con il fabbisogno. sia sotto l’aspetto quantitativa, sia e soprattutto sotto l’aspetto qualitativo. In sostanza il problema non 305 Questa tesi è brillantemente sostenuta e argomentata da Nigel Harris in Thinking the unthinkable. The immigration myth exposed, I.B. Tauris, London, 2002. 221

è solo quello di determinare la consistenza dei flussi migratori in entrata, ma anche la loro struttura rispetto ad una serie di variabili quali il sesso, l’età, il titolo di studio e la provenienza. Il soddisfare con corretti flussi migratori la carenza di lavoro autoctono non costituisce però una soluzione al problema strutturale del fabbisogno di manodopera. Esso è, infatti generato, da una carenza relativa di nascite o comunque di uscite dalla fase formativa. Se si vuole che il problema migratorio non sia destinato a divenire una costante della vita italiana, così come di qualunque paese il cui tasso di fecondità è sotto il livello di rimpiazzo, è necessario ricostituire l’equilibrio demografico tra nascite e morti (un obiettivo intermedio, sostanzialmente implicito nel precedente, ma non necessariamente coincidente è l’equilibrio tra le entrate e le uscite relative alla popolazione in età lavorativa). Questo rappresenta a mio modo di vedere il principale obiettivo di lungo periodo che il paese deve perseguire, anche attraverso i flussi migratori. Abbiamo già visto che flussi migratori non regolati portano a mitigare, ma non a risolvere il processo di invecchiamento della popolazione. Inoltre, come è già stato giustamente osservato da Coleman, essi finiscono con il generare un aumento della popolazione anziana. Il secondo obiettivo di lungo periodo è pertanto quello di generare una situazione che consenta di mantenere il rapporto di dipendenza strutturale sostanzialmente costante, malgrado l’inevitabile crescita del numero degli anziani. Malgrado questi obiettivi siano necessariamente fortemente interconnessi, discuteremo prima l’obiettivo di breve-medio periodo e poi quelli di lungo periodo. Evidenzieremo, infine, come anche le scelte di breve-medio dovrebbero essere viste in funzione degli obiettivi di lungo. 3. Quanti e quali immigrati La tesi sostenuta in questo lavoro è che il saldo migratorio che una data area geografica 306 è destinata a sperimentare non può essere deciso in sede politica anche sulla base, come è stato a lungo sostenuto, delle capacità ricettive del territorio e dei timori di reazioni xenofobe, ma è determinato dalle tendenze demografiche in atto e dall’andamento del livello occupazionale. La nostra analisi ha documentato come politiche dell’immigrazione restrittive (nel caso dell’Italia la promulgazione di decreti flussi che stabiliscono quote di gran lunga inferiori alle necessità del mercato) non producono una riduzione dei flussi migratori, ma sono la causa primaria dell’immigrazione irregolare e clandestina. Abbiamo anche visto che, indipendentemente dalle modalità con cui si è realizzata, l’immigrazione che il nostro paese ha ricevuto è stata commisurata al fabbisogno. Ne sono valide e semplici testimonianze il fatto che il tasso di disoccupazione della popolazione straniera sia fortemente diminuito negli ultimi anni e sia al momento attuale di poco superiore al tasso della popolazione italiana ed il fatto che la distribuzione territoriale della popolazione straniera sia coerente con gli andamenti demo-economici delle varie aree. In sostanza vi è stata una maggiore razionalità nel comportamento dei “disperati” in fuga dalla miseria dei loro paesi che nelle decisioni della nostra classe politica. Inoltre, le politiche restrittive hanno comportato una serie di effetti collaterali alcuni estremamente rilevanti sotto l’aspetto economico, altri spaventosi sotto l’aspetto umano e sociale: un elevato costo delle misure di controllo delle frontiere a cui vanno aggiunti i costi dei voli di rimpatrio, la diffusione di messaggi mediatici che hanno creato nell’opinione pubblica meno avveduta l’immagine di un paese circondato da orde ostili e pericolose pronte ad invaderci e a privarci del lavoro, il favoreggiamento delle organizzazioni criminali per le quali è stato creato un nuovo e lucrativo mercato, la distruzione e lo spreco dei risparmi accumulati faticosamente da individui, famiglie e clan e finiti inutilmente nelle mani di cosche mafiose, la morte di migliaia di persone, inclusi tanti bambini, che cercavano di raggiungere il nostro paese con la speranza di un domani migliore. Sono personalmente convinto che la più efficace politica contro l’immigrazione clandestina di carattere economico 307 stia nella individuazione e tempestiva implementazione di un numero di ingressi quantitativamente coerente con il fabbisogno. Il primo effetto di queste misure sarebbe, infatti, quello di annullare la percezione, per altro corretta, di una domanda di lavoro inevasa che 306 Nel caso di un paese l’immigrazione sarà solo internazionale, nel caso di una regione essa potrebbe essere, almeno in parte, interna qualora altre aree del paese siano caratterizzate da un potenziale migratorio. 307 Sono altresì convinto che il denaro speso a perseguire potenziali lavoratori vada indirizzato a fermare la criminalità organizzata, ma che a questo scopo servano cose ben diverso dal pattugliamento del mare o dal controllo dei visti alle frontiere. 222

è solo quello <strong>di</strong> determinare la consistenza dei flussi migratori in entrata, ma anche la loro struttura<br />

rispetto ad una serie <strong>di</strong> variabili quali il sesso, l’età, il titolo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e la provenienza.<br />

<strong>Il</strong> sod<strong>di</strong>sfare con corretti flussi migratori la carenza <strong>di</strong> lavoro autoctono non costituisce però una<br />

soluzione al problema strutturale del fabbisogno <strong>di</strong> manodopera. Esso è, infatti generato, da una<br />

carenza relativa <strong>di</strong> nascite o comunque <strong>di</strong> uscite dalla fase formativa. Se si vuole che il problema<br />

migratorio non sia destinato a <strong>di</strong>venire una costante della vita italiana, così come <strong>di</strong> qualunque<br />

paese il cui tasso <strong>di</strong> fecon<strong>di</strong>tà è sotto il livello <strong>di</strong> rimpiazzo, è necessario ricostituire l’equilibrio<br />

<strong>demografico</strong> tra nascite e morti (un obiettivo interme<strong>di</strong>o, sostanzialmente implicito nel precedente,<br />

ma non necessariamente coincidente è l’equilibrio tra le entrate e le uscite relative alla popolazione<br />

in età lavorativa). Questo rappresenta a mio modo <strong>di</strong> vedere il principale obiettivo <strong>di</strong> lungo periodo<br />

che il paese deve perseguire, anche attraverso i flussi migratori.<br />

Abbiamo già visto che flussi migratori non regolati portano a mitigare, ma non a risolvere il<br />

processo <strong>di</strong> invecchiamento della popolazione. Inoltre, come è già stato giustamente osservato da<br />

Coleman, essi finiscono con il generare un aumento della popolazione anziana. <strong>Il</strong> secondo obiettivo<br />

<strong>di</strong> lungo periodo è pertanto quello <strong>di</strong> generare una situazione che consenta <strong>di</strong> mantenere il rapporto<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza strutturale sostanzialmente costante, malgrado l’inevitabile crescita del numero degli<br />

anziani.<br />

Malgrado questi obiettivi siano necessariamente fortemente interconnessi, <strong>di</strong>scuteremo prima<br />

l’obiettivo <strong>di</strong> breve-me<strong>di</strong>o periodo e poi quelli <strong>di</strong> lungo periodo. Evidenzieremo, infine, come<br />

anche le scelte <strong>di</strong> breve-me<strong>di</strong>o dovrebbero essere viste in funzione degli obiettivi <strong>di</strong> lungo.<br />

3. Quanti e quali immigrati<br />

La tesi sostenuta in questo lavoro è che il saldo migratorio che una data area geografica 306 è<br />

destinata a sperimentare non può essere deciso in sede <strong>politica</strong> anche sulla base, come è stato a<br />

lungo sostenuto, delle capacità ricettive del territorio e dei timori <strong>di</strong> reazioni xenofobe, ma è<br />

determinato dalle tendenze demografiche in atto e dall’andamento del livello occupazionale.<br />

La nostra analisi ha documentato come politiche dell’immigrazione restrittive (nel caso<br />

dell’Italia la promulgazione <strong>di</strong> decreti flussi che stabiliscono quote <strong>di</strong> gran lunga inferiori alle<br />

necessità del mercato) non producono una riduzione dei flussi migratori, ma sono la causa primaria<br />

dell’immigrazione irregolare e clandestina. Abbiamo anche visto che, in<strong>di</strong>pendentemente dalle<br />

modalità con cui si è realizzata, l’immigrazione che il nostro paese ha ricevuto è stata commisurata<br />

al fabbisogno. Ne sono valide e semplici testimonianze il fatto che il tasso <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione della<br />

popolazione straniera sia fortemente <strong>di</strong>minuito negli ultimi anni e sia al momento attuale <strong>di</strong> poco<br />

superiore al tasso della popolazione italiana ed il fatto che la <strong>di</strong>stribuzione territoriale della<br />

popolazione straniera sia coerente con gli andamenti demo-economici delle varie aree. In sostanza<br />

vi è stata una maggiore razionalità nel comportamento dei “<strong>di</strong>sperati” in fuga dalla miseria dei loro<br />

paesi che nelle decisioni della nostra classe <strong>politica</strong>. Inoltre, le politiche restrittive hanno<br />

comportato una serie <strong>di</strong> effetti collaterali alcuni estremamente rilevanti sotto l’aspetto economico,<br />

altri spaventosi sotto l’aspetto umano e sociale: un elevato costo delle misure <strong>di</strong> controllo delle<br />

frontiere a cui vanno aggiunti i costi dei voli <strong>di</strong> rimpatrio, la <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> messaggi me<strong>di</strong>atici che<br />

hanno creato nell’opinione pubblica meno avveduta l’immagine <strong>di</strong> un paese circondato da orde<br />

ostili e pericolose pronte ad invaderci e a privarci del lavoro, il favoreggiamento delle<br />

organizzazioni criminali per le quali è stato creato un nuovo e lucrativo mercato, la <strong>di</strong>struzione e lo<br />

spreco dei risparmi accumulati faticosamente da in<strong>di</strong>vidui, famiglie e clan e finiti inutilmente nelle<br />

mani <strong>di</strong> cosche mafiose, la morte <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> persone, inclusi tanti bambini, che cercavano <strong>di</strong><br />

raggiungere il nostro paese con la speranza <strong>di</strong> un domani migliore.<br />

Sono personalmente convinto che la più efficace <strong>politica</strong> contro l’immigrazione clandestina <strong>di</strong><br />

carattere economico 307 stia nella in<strong>di</strong>viduazione e tempestiva implementazione <strong>di</strong> un numero <strong>di</strong><br />

ingressi quantitativamente coerente con il fabbisogno. <strong>Il</strong> primo effetto <strong>di</strong> queste misure sarebbe,<br />

infatti, quello <strong>di</strong> annullare la percezione, per altro corretta, <strong>di</strong> una domanda <strong>di</strong> lavoro inevasa che<br />

306 Nel caso <strong>di</strong> un paese l’immigrazione sarà solo internazionale, nel caso <strong>di</strong> una regione essa potrebbe essere, almeno in<br />

parte, interna qualora altre aree del paese siano caratterizzate da un potenziale migratorio.<br />

307 Sono altresì convinto che il denaro speso a perseguire potenziali lavoratori vada in<strong>di</strong>rizzato a fermare la criminalità<br />

organizzata, ma che a questo scopo servano cose ben <strong>di</strong>verso dal pattugliamento del mare o dal controllo dei visti alle<br />

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