Il futuro demografico dell'Italia - Dipartimento di Economia politica

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02.02.2015 Views

fabbisogno e della sua controparte “positiva”, vale a dire il concetto di potenziale migratorio. Secondo la definizione qui proposta, un paese è caratterizzato dalla presenza di Fabbisogno occupazionale quando registra una prolungata e rilevante differenza negativa tra le entrate generazionali nelle forze di lavoro e la domanda di flusso, definita come il numero degli ingressi per la prima volta nell’occupazione. Parleremo di Potenziale migratorio quando tale differenza, prolungata e rilevante, è positiva. In sostanza, si tratta in entrambi i casi di fenomeni che hanno alla loro base un disequilibrio demografico strutturale che può essere solo mitigato o aggravato da fenomeni di ordine congiunturale quali l’andamento del livello produttivo, il progresso tecnologico, variazioni naturali o indotte dei comportamenti partecipativi. Nel periodo mediolungo il fabbisogno occupazionale può trovare risposta solo in saldi migratori positivi ad esso commisurati ed il potenziale migratorio in saldi migratori negativi. Si deve notare che, per quanto riguarda il fabbisogno occupazionale, tutte le altre soluzioni (assorbimento della disoccupazione, aumento della partecipazione, flussi migratori interni) rappresentano solo soluzioni temporanee dato che il numero di lavoratori che possono rendere disponibile ha un limite superiore ben definito e certamente non sufficiente a dare una risposta organica al problema del fabbisogno. Il capitolo contiene anche un’illustrazione degli effetti sul livello della popolazione totale e della popolazione in età lavorativa della “transizione demografica”. La prima parte del sesto capitolo ripercorre le tappe della cosiddetta transizione demografica del nostro paese e si concentra in particolare sulle tendenze demografiche del dopoguerra. L’analisi evidenzia come l’attuale calo della popolazione residente in età lavorativa affondi le proprie radici nelle trasformazioni prodotte dalla trasformazione demografica in atto, ed in particolare nel fortissimo calo del numero dei nati che si registra nel periodo 1964-1987. Per impostare in maniera corretta una futura politica dei flussi è indispensabile disporre di una conoscenza approfondita del mercato del lavoro italiano e delle sua evoluzione più recente. La seconda parte del capitolo cerca di soddisfare questa necessità affiancando un’analisi di lungo periodo, volta a mettere in luce le tendenze strutturali emerse dal 1996 ad oggi, ad un’analisi del decennio 1996-2006, che presenta una serie di caratteristiche molto diverse da quelle dei periodi precedenti. Lo studio riguarda sial il livello nazionale, sia quello ripartizionale e, quando opportuno, quello regionale. Il settimo capitolo fa il punto sulla presenza straniera in Italia analizzandone l’evoluzione quantitativa in relazione alle principali modalità d’ingresso ed evidenziando il ruolo relativo svolto dalle sanatorie e dagli ingressi avvenuti sulla base dei decreti flussi. Analizza poi le modifiche nella struttura della popolazione straniera relativamente alla distribuzione territoriale, al sesso, all’età, ed ai paesi di provenienza. Il radicamento della popolazione straniera è messo in luce dai dati sui matrimoni, sulla fecondità e sulla scolarità, ma soprattutto da quelli relativi al lavoro. I dati forniti dall’Indagine Continua sulle Forze di Lavoro a partire dal 2005 permettono di mettere in luce che il ruolo che la manodopera straniera svolge nel nostro mercato del lavoro non è certamente più limitato a svolgere i mestieri non coerenti con una offerta nazionale sempre più secolarizzata. Non solo l’evoluzione tecnologica sta progressivamente restringendo l’incidenza di tali occupazioni, ma il fabbisogno espresso del nostro mercato del lavoro riguarda sempre più lavori qualificati e che richiedono competenze anche a livello di scuola media superiore ed universitaria. L’ottavo capitolo presenta degli scenari relativi al mercato del lavoro, al fabbisogno occupazionale, al fabbisogno di manodopera straniera, al saldo migratorio ed infine alla popolazione totale. La prima parte del capitolo confronta le tendenze demografiche del periodo 1991-2006 con quelle del quindicennio successivo per il quale verranno poi proposti gli scenari. Il confronto mette in luce che il calo della popolazione residente in età lavorativa atteso per il quindicennio in corso è decisamente più elevato di quello verificatosi nel decennio precedente non tanto per l’accentuarsi del fenomeno nel centro nord, quanto per il passaggio del mezzogiorno da una situazione di crescita ad una situazione di declino della popolazione tra i 15 ed i 69 anni. L’applicazione del modello al periodo 2001 – 2006 permette di spiegare i flussi migratori di tale periodo in funzione del calo demografico e della domanda aggiuntiva e di calcolare alcuni dei parametri strutturali che verranno utilizzati per la costruzione degli scenari. Dopo aver calcolato tre scenari di massima con una procedura semplificata, lo scenario 2 e 3 -che dovrebbero rappresentare i probabili limite superiore ed inferiore della crescita occupazionale del quindicennio in corso, rispettivamente circa 0,6% e 1,2% all’anno - stimano il fabbisogno occupazionale totale, il fabbisogno di manodopera straniera ed i saldi migratori necessari per fronteggiare il calo 9

demografico atteso e la crescita dell’occupazione. Essi mostrano che i saldi migratori medi annui per il quindicennio in corso dovranno essere compresi tra un minimo di 350mila ed un massimo di 510mila con valori che risultano strettamente crescenti nel corso del periodo. Ciò porterà l’incidenza della componente straniera nella popolazione in età lavorativa a circa il 20%, ma con l’attuale struttura per classe di età dei saldi migratori, il disequilibrio demografico rimarrà estremamente pronunciato. Le ipotesi del modello portano poi a prevedere un aumento del numero dei nati direttamente correlato al saldo migratorio e quindi alla crescita economica. Inoltre, contrariamente a quanto preannunciati da precedenti esercizi, gli scenari mostrano che anche la popolazione totale registrerà incrementi direttamente correlati alla crescita economica come conseguenza di una crescita non solo del numero degli anziani ma anche della popolazione nella fase formativa e nella fase lavorativa della vita. Questi dati evidenziano, infine, che gli incrementi dell’occupazione previsti dagli scenari 2 e 3 saranno sufficienti per non aggravare gli indicatori economici di carico sociale. Il nono capitolo affronta il tema nodale delle politiche. La tesi in esso sostenuta è che l’attuale situazione demografica impone una politica dell’immigrazione che rifletta l’effettivo fabbisogno di manodopera espresso dal mercato ed utilizzi la struttura per sesso, classe di età e titolo di studio dei saldi migratori, la loro distribuzione territoriale, la loro temporalizzazione e la loro provenienza per raggiungere una serie di obiettivi economici, demografici e relativi al mercato del lavoro di enorme importanza per lo sviluppo economico e sociale del paese, primo fra tutti il riequilibrio demografico. Il capitolo suggerisce altresì l’opportunità di dare vita ad una Agenzia Nazionale dell’Immigrazione a cui dovrebbe spettare il compito di analizzare, con un taglio fortemente operativo, tutti gli aspetti del fenomeno migratorio e di fornire supporto conoscitivo e propositivo all’attività legislativa e di governo. Per garantire il successo di questa attività nel lungo periodo, è necessario che l’Agenzia non solo produca scenari di fabbisogno ed i conseguenti scenari demografici, ma li utilizzi anche per monitorare e valutare le misure adottate. Obiettivo del decimo capitolo è quello di esplorare le implicazioni delle tesi sostenute e delle conclusioni raggiunte nei capitoli precedenti quando esse vengano proiettate su di una scala internazionale. Il tema centrale è quello dell’evoluzione e dello sbocco della fase di trasformazione demografica in corso. Dopo aver documentato l’esistenza di una vasta e crescente area caratterizzata da tassi di fecondità sotto il livello di rimpiazzo, la prima parte del capitolo esplora i motivi che stanno alla base dell’ipotesi di equilibrio che domina l’analisi demografica e della sue conseguenze, in particolare l’esistenza di regimi demografici e di fasi di transizione, vale a dire periodi di trasformazione degli indicatori di natalità a mortalità che segnerebbero il passaggio da un regime di equilibrio ad un altro regime di equilibrio. L’analisi delle evidenze empiriche relative alla prima ed alla seconda “transizione” porta alla conclusione che, al didi fluttuazioni anche violente dovute a cause esogene quali pestilenze, carestie e guerre, la popolazione umana, dalla sua comparsa nella fattispecie attuale fin verso il 1850, è stata soggetta ad un unico regime demografico, che possiamo definire naturale, durante il quale, lungi dal trovarsi in una situazione stazionaria, essa ha registrato un enorme successo demografico, un fenomeno che non è stato riconosciuto, o comunque è stato minimizzato, anche per la difficoltà ideologica di confrontarci con le altre specie animali, e perché queste conclusioni venivano raggiunte durante un periodo di crescita demografica senza precedenti. Si argomenterà che la trasformazione demografica in corso presenta caratteristiche ed ha determinanti che la rendono del tutto diversa dai fenomeni demografici precedenti. In questa fase, le innovazioni tecnologiche di natura fisica stanno permettendo ad una porzione ancora minoritaria, ma crescente della popolazione umana di ottenere standard di vita sempre più elevati, una situazione che insieme alle contemporanee modifiche di natura istituzionale e valoriale ha posto le necessarie premesse perché scoperte in campo chimico e biologico, dessero all’uomo un crescente controllo sulla vita e sulla morte e ponessero la parola fine al regime demografico naturale. Questa situazione ha fatto venir meno tutti i vincoli di natura economica che permettevano di ipotizzare una tendenza all’equilibrio della popolazione umana. Il successo nella lotta contro la morte che sta continuamente alzando la speranza di vita, e scelte procreative consapevoli che per la loro natura individuale non tengono in alcun conto le eventuali esigenze sociali ed economiche non possono che determinare le tendenze demografiche che abbiamo posto al centro dell’analisi presentata in questo volume: una progressiva diminuzione della popolazione in età lavorativa e della popolazione totale e ed un progressivo invecchiamento di entrambe le popolazioni. In questa fase non vi sono dunque motivi per ritenere che meccanismi 10

fabbisogno e della sua controparte “positiva”, vale a <strong>di</strong>re il concetto <strong>di</strong> potenziale migratorio.<br />

Secondo la definizione qui proposta, un paese è caratterizzato dalla presenza <strong>di</strong> Fabbisogno<br />

occupazionale quando registra una prolungata e rilevante <strong>di</strong>fferenza negativa tra le entrate<br />

generazionali nelle forze <strong>di</strong> lavoro e la domanda <strong>di</strong> flusso, definita come il numero degli ingressi<br />

per la prima volta nell’occupazione. Parleremo <strong>di</strong> Potenziale migratorio quando tale <strong>di</strong>fferenza,<br />

prolungata e rilevante, è positiva. In sostanza, si tratta in entrambi i casi <strong>di</strong> fenomeni che hanno alla<br />

loro base un <strong>di</strong>sequilibrio <strong>demografico</strong> strutturale che può essere solo mitigato o aggravato da<br />

fenomeni <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne congiunturale quali l’andamento del livello produttivo, il progresso<br />

tecnologico, variazioni naturali o indotte dei comportamenti partecipativi. Nel periodo me<strong>di</strong>olungo<br />

il fabbisogno occupazionale può trovare risposta solo in sal<strong>di</strong> migratori positivi ad esso<br />

commisurati ed il potenziale migratorio in sal<strong>di</strong> migratori negativi. Si deve notare che, per quanto<br />

riguarda il fabbisogno occupazionale, tutte le altre soluzioni (assorbimento della <strong>di</strong>soccupazione,<br />

aumento della partecipazione, flussi migratori interni) rappresentano solo soluzioni temporanee<br />

dato che il numero <strong>di</strong> lavoratori che possono rendere <strong>di</strong>sponibile ha un limite superiore ben definito<br />

e certamente non sufficiente a dare una risposta organica al problema del fabbisogno. <strong>Il</strong> capitolo<br />

contiene anche un’illustrazione degli effetti sul livello della popolazione totale e della popolazione<br />

in età lavorativa della “transizione demografica”.<br />

La prima parte del sesto capitolo ripercorre le tappe della cosiddetta transizione demografica<br />

del nostro paese e si concentra in particolare sulle tendenze demografiche del dopoguerra. L’analisi<br />

evidenzia come l’attuale calo della popolazione residente in età lavorativa affon<strong>di</strong> le proprie ra<strong>di</strong>ci<br />

nelle trasformazioni prodotte dalla trasformazione demografica in atto, ed in particolare nel<br />

fortissimo calo del numero dei nati che si registra nel periodo 1964-1987. Per impostare in maniera<br />

corretta una futura <strong>politica</strong> dei flussi è in<strong>di</strong>spensabile <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> una conoscenza approfon<strong>di</strong>ta del<br />

mercato del lavoro italiano e delle sua evoluzione più recente. La seconda parte del capitolo cerca<br />

<strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfare questa necessità affiancando un’analisi <strong>di</strong> lungo periodo, volta a mettere in luce le<br />

tendenze strutturali emerse dal 1996 ad oggi, ad un’analisi del decennio 1996-2006, che presenta<br />

una serie <strong>di</strong> caratteristiche molto <strong>di</strong>verse da quelle dei perio<strong>di</strong> precedenti. Lo stu<strong>di</strong>o riguarda sial il<br />

livello nazionale, sia quello ripartizionale e, quando opportuno, quello regionale.<br />

<strong>Il</strong> settimo capitolo fa il punto sulla presenza straniera in Italia analizzandone l’evoluzione<br />

quantitativa in relazione alle principali modalità d’ingresso ed evidenziando il ruolo relativo svolto<br />

dalle sanatorie e dagli ingressi avvenuti sulla base dei decreti flussi. Analizza poi le mo<strong>di</strong>fiche<br />

nella struttura della popolazione straniera relativamente alla <strong>di</strong>stribuzione territoriale, al sesso,<br />

all’età, ed ai paesi <strong>di</strong> provenienza. <strong>Il</strong> ra<strong>di</strong>camento della popolazione straniera è messo in luce dai<br />

dati sui matrimoni, sulla fecon<strong>di</strong>tà e sulla scolarità, ma soprattutto da quelli relativi al lavoro. I dati<br />

forniti dall’Indagine Continua sulle Forze <strong>di</strong> Lavoro a partire dal 2005 permettono <strong>di</strong> mettere in<br />

luce che il ruolo che la manodopera straniera svolge nel nostro mercato del lavoro non è<br />

certamente più limitato a svolgere i mestieri non coerenti con una offerta nazionale sempre più<br />

secolarizzata. Non solo l’evoluzione tecnologica sta progressivamente restringendo l’incidenza <strong>di</strong><br />

tali occupazioni, ma il fabbisogno espresso del nostro mercato del lavoro riguarda sempre più<br />

lavori qualificati e che richiedono competenze anche a livello <strong>di</strong> scuola me<strong>di</strong>a superiore ed<br />

universitaria.<br />

L’ottavo capitolo presenta degli scenari relativi al mercato del lavoro, al fabbisogno<br />

occupazionale, al fabbisogno <strong>di</strong> manodopera straniera, al saldo migratorio ed infine alla<br />

popolazione totale. La prima parte del capitolo confronta le tendenze demografiche del periodo<br />

1991-2006 con quelle del quin<strong>di</strong>cennio successivo per il quale verranno poi proposti gli scenari. <strong>Il</strong><br />

confronto mette in luce che il calo della popolazione residente in età lavorativa atteso per il<br />

quin<strong>di</strong>cennio in corso è decisamente più elevato <strong>di</strong> quello verificatosi nel decennio precedente non<br />

tanto per l’accentuarsi del fenomeno nel centro nord, quanto per il passaggio del mezzogiorno da<br />

una situazione <strong>di</strong> crescita ad una situazione <strong>di</strong> declino della popolazione tra i 15 ed i 69 anni.<br />

L’applicazione del modello al periodo 2001 – 2006 permette <strong>di</strong> spiegare i flussi migratori <strong>di</strong> tale<br />

periodo in funzione del calo <strong>demografico</strong> e della domanda aggiuntiva e <strong>di</strong> calcolare alcuni dei<br />

parametri strutturali che verranno utilizzati per la costruzione degli scenari. Dopo aver calcolato tre<br />

scenari <strong>di</strong> massima con una procedura semplificata, lo scenario 2 e 3 -che dovrebbero<br />

rappresentare i probabili limite superiore ed inferiore della crescita occupazionale del quin<strong>di</strong>cennio<br />

in corso, rispettivamente circa 0,6% e 1,2% all’anno - stimano il fabbisogno occupazionale totale,<br />

il fabbisogno <strong>di</strong> manodopera straniera ed i sal<strong>di</strong> migratori necessari per fronteggiare il calo<br />

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