16 marzo 2013 - Edit
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ARA GÜLER L’OCCHIO DI ISTAMBUL la Voce del popolo IMMAGINI IN BIANCO E NERO RITRAGGONO MOMENTI DI VITA DI UNA CITTÀ IN CONTINUO DIVENIRE METTENDO IN LUCE I SENTIMENTI E LE SPERANZE DEI SUOI ABITANTI cultura www.edit.hr/lavoce Anno 9 • n. 72 sabato, 16 marzo 2013 convegni MOSTRE RICERCHE TElevisione libri Letteratura dell’esodo: per non dimenticare Milani, Madieri, Mori La forza della scrittura femminile Ara Güler l’occhio di Istambul Sandro Cergna studioso di dialettologia Quel testimone silenzioso I titoli più venduti di questo mese 2 3 4|5 6|7 8 Immagini poetiche di una città raccontata nei suoi umori e nella sua straziante bellezza Un omaggio a Pietro Mattia Stancovich: canonico di vasti interessi culturali Nel febbraio del 1996 la BBC manda in onda il nuovo filone noir Le testimonianze di Serena Dandini e le storie di David Mitchell
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ARA GÜLER<br />
L’OCCHIO<br />
DI ISTAMBUL<br />
la Voce<br />
del popolo<br />
IMMAGINI IN BIANCO E NERO RITRAGGONO<br />
MOMENTI DI VITA DI UNA CITTÀ<br />
IN CONTINUO DIVENIRE<br />
METTENDO IN LUCE I SENTIMENTI<br />
E LE SPERANZE DEI SUOI ABITANTI<br />
cultura<br />
www.edit.hr/lavoce<br />
Anno 9 • n. 72<br />
sabato, <strong>16</strong> <strong>marzo</strong> <strong>2013</strong><br />
convegni<br />
MOSTRE RICERCHE TElevisione libri<br />
Letteratura dell’esodo:<br />
per non dimenticare<br />
Milani, Madieri, Mori<br />
La forza della scrittura<br />
femminile<br />
Ara Güler<br />
l’occhio di Istambul<br />
Sandro Cergna<br />
studioso di dialettologia<br />
Quel testimone<br />
silenzioso<br />
I titoli più venduti<br />
di questo mese<br />
2 3 4|5 6|7 8<br />
Immagini poetiche di una città<br />
raccontata nei suoi umori<br />
e nella sua straziante bellezza<br />
Un omaggio a Pietro Mattia<br />
Stancovich: canonico di<br />
vasti interessi culturali<br />
Nel febbraio del 1996<br />
la BBC manda in onda<br />
il nuovo filone noir<br />
Le testimonianze<br />
di Serena Dandini e le<br />
storie di David Mitchell
del popolo<br />
sabato, <strong>16</strong> <strong>marzo</strong> <strong>2013</strong><br />
2 cultura<br />
la Voce<br />
CONVEGNO di Ilaria Rocchi<br />
LA FORZA<br />
Difficile immaginarle come delle<br />
Amazzoni, eppure, con la loro<br />
“arma”, la memoria, rievocando e<br />
conservando esperienze e conoscenze passate,<br />
hanno combattuto e continuano a combattere<br />
la guerriglia contro l’oblio, contro quel<br />
dimenticatoio in cui si voleva relegare una<br />
pagina sofferta e complessa del Novecento<br />
istriano-fiumano-dalmata. Loro, invece, con<br />
coraggio e sincerità, ma soprattutto senza<br />
animosità, senza rancori, con l’intima assenza<br />
di retorica e di tesi, hanno pescato nei loro<br />
vissuti e li hanno trasformati in narrazione<br />
individuale e al contempo collettiva di ciò che<br />
è stato il prima, il durante e il dopo dell’esodo<br />
giuliano-dalmata.<br />
Esuli e rimaste, tutte «vestali della memoria»<br />
Elette a “vestali della memoria” le polesi<br />
“rimaste” Ester Sardoz Barlessi e Nelida<br />
Milani, le esuli Anna Maria Mori, pure lei<br />
di Pola, le piranesi Elsa Fonda e Annamaria<br />
Muiesan Gaspàri, la fiumana Marisa Madieri,<br />
Lina Galli di Parenzo, Aurea Timeus di<br />
Portole, ma anche altre autrici non citate,<br />
come le prime, al convegno internazionale su<br />
“L’esodo giuliano-dalmata nella letteratura”,<br />
che ha riunito a Trieste, al Civico Museo<br />
della Civiltà istriana, fiumana e dalmata,<br />
una settantina di studiosi, in massima parte<br />
accademici di prestigiose università italiane<br />
(la Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Ca’<br />
Foscari di Venezia, gli atenei di Bari, della<br />
Calabria, di Chieti, Genova, Macerata, Pavia,<br />
Siena, Salerno e Siracusa, oltre a quello di<br />
Trieste), nonché straniere (come Bucarest,<br />
Oxford, Parigi, Lovanio, Murcia, Salonicco,<br />
Belgrado, ma pure Zara, Pola e Fiume,<br />
le ultime due rappresentate da studiose<br />
connazionali).<br />
La dimensione universale<br />
Organizzato dall’Istituto regionale per<br />
la Cultura Istriano-fiumano-dalmata,<br />
unitamente all’Università di Trieste e<br />
coordinato da Giorgio Baroni e Cristina<br />
Benussi, il simposio ha trattato la produzione<br />
letteraria di autori che hanno parlato<br />
dell’esodo giuliano-dalmata, sia per superare<br />
l’alienazione dello sradicamento sia per<br />
combattere il silenzio su una pagina di storia<br />
rimossa. Una tematica e un genere forse poco<br />
noti, ma che assumono una valenza e una<br />
dimensione universale attraverso le pagine<br />
di scrittori e poeti divenuti espressione della<br />
letteratura italiana tout court.<br />
Sono emerse delle coordinate molto<br />
importanti, le diverse prospettive e i vari<br />
livelli attraverso i quali questa letteratura<br />
si è espressa. Da una parte c’è la letteratura<br />
che parte dal cuore, che è testimonianza,<br />
che è memorialistica semplice; c’è poi<br />
la letteratura elaborata letterariamente,<br />
con tutte le retoriche e i simbolismi della<br />
letteratura. Ma c’è pure la letteratura che in<br />
qualche modo affida il proprio messaggio,<br />
anche subliminale, a una cassa di risonanza,<br />
all’industria culturale; cioè alcuni di<br />
questi autori puntano, o hanno puntato,<br />
direttamente alla diffusione mediatica con<br />
degli stratagemmi anche extra testuali,<br />
che sono molto ben identificabili. E questo<br />
consente di leggere la letteratura dell’esodo<br />
omologamente a tutte le letterature.<br />
L’intento di chiamare esperti da più parti<br />
del mondo ha significato anche voler<br />
inserire questa letteratura identificata come<br />
dell’esodo e dei rimasti dentro una tradizione<br />
letteraria che tratta temi analoghi, anche<br />
se svolti in tempi diversi, per confrontarne<br />
omologie e diversità. E uno dei risultati<br />
dell’incontro triestino è che si è cominciato<br />
a distinguere, dentro una tematica che<br />
sembrava molto omogenea, valori letterari<br />
molto diversi.<br />
Affermazione di un filone nuovo<br />
Ed è altresì affiorata l’esistenza di un filone,<br />
di un genere della letteratura italiana al<br />
femminile, quello della scrittura dell’esodo,<br />
con i suoi contenuti, stili, linguaggio, che<br />
meriterebbe di essere ancora più conosciuto<br />
per la sua qualità. Le donne affrontano in<br />
maniera diversa queste stesse tematiche<br />
di cui hanno consapevolezza e magari le<br />
vedono da una prospettiva diversa (Giusy<br />
Criscione, di Roma, nel suo excursus su<br />
più autrici ha illustrato come il rapporto<br />
con il proprio ambito familiare, il passato,<br />
la lingua, le usanze, le storie di tanti che<br />
non hanno avuto la voce diventino, nelle<br />
autrici dell’esodo, elemento creativo per<br />
la scrittura). Le vicende drammatiche che<br />
hanno vissuto in prima persona permettono<br />
di inserirle a pieno merito in quelli che sono<br />
i filoni della narrativa femminile.<br />
Il periodo storico in cui questi si sono<br />
sviluppati è del resto favorevole a questo tipo<br />
di operazione anche perché queste autrici – il<br />
riferimento in particolare è ad Anna Maria<br />
Mori – hanno fatto anche testi di altro genere<br />
e che rientra no in quelli della letteratura<br />
“rosa”.<br />
Lina Galli, poesie del dolore<br />
Il simposio triestino ha cercato di focalizzare<br />
maggiormente l’attenzione (anche) su questa<br />
produzione, a partire dal percorso letterario<br />
di Lina Galli, parentina esule a Trieste, in una<br />
sorta di omaggio nel ventennale della morte.<br />
La figura e l’opera della Galli sono state<br />
analizzate mediante i suoi versi, immediati<br />
e schietti, in cui si riscontra un approccio<br />
dolente e originale (Paola Baioni, Università<br />
DELLA SCRITTURA FEMMINILE<br />
Cattolica del Sacro Cuore, Milano – “Il Deus<br />
Absconditus nella lirica di Lina Galli”; Anco<br />
Marzio Mutterle, Università Ca’ Foscari,<br />
Venezia – “Storia ed ermetismo in Lina<br />
Galli”; Barbara Stagnitti, Università Cattolica<br />
del Sacro Cuore, Milano – “‘Sono venuta a<br />
cercare/ciò che ho perso’. Memorie istriane<br />
di Lina Galli”, Maria Pagliara, Università<br />
degli Studi di Bari – Memoria e poesia nella<br />
poesia di Lina Galli). L’esodo, la persecuzione<br />
etnica, lo sradicamento, che marchiarono<br />
per sempre la comunità giuliano-dalmata,<br />
costituiscono il perno della poesia della Galli,<br />
la quale proprio alla parola poetica affidò il<br />
compito di presevare il ricordo, affinché<br />
gli eventi che sconvolsero la sua terra<br />
continuassero a vivere nel tempo, a memoria<br />
perenne per l’umanità.<br />
L’agognata Itaca raggiungibile con le parole<br />
Ma non ci sono solo le sue poesie: va<br />
ricordato il libro “Il volto dell’Istria<br />
attraverso i secoli”, che ha avvicinato storia,<br />
arte e cultura della penisola soprattutto ai<br />
giovani (Silva Bon, Istituto regionale per la<br />
Storia del Movimemto di Liberazione nel<br />
Friuli Venezia Giulia, Trieste – “Lina Galli<br />
per la civiltà istriana”), quindi i contribui<br />
pubblicati sul quindicinale “La Voce<br />
Giuliana” (più di ottanta articoli, usciti tra<br />
il 1958 e il 1990, che dimostrano la sua<br />
instancabile attenzione verso l’Istria, come<br />
rilevato da Caterina Conti, dell’Università<br />
degli Studi di Trieste), la stestura del<br />
romanzo “Vita di mio marito” di Livia<br />
Veneziani Svevo (contenente inediti di<br />
Italo Svevo), le testimonianze e gli appunti<br />
raccolti dalla Galli tra il 1943 e i primi<br />
anni Cinquanta (Roberto Spazzali, ISIS<br />
“Leonardo da Vinci”, Trieste), riguardanti<br />
le condizioni in cui si trovarono l’Istria e la<br />
sua popolazione in quella travagliata fase<br />
storica.<br />
E si è poi parlato della sua singolare<br />
religiosità (Pietro Zovatto, Università degli<br />
Studi di Trieste), delle tipologie e delle<br />
funzioni assunte dal “gioco” nei suoi lavori<br />
(Paola Ponti, Università Cattolica), ma<br />
anche della percezione del presente, della<br />
sua rappresentazione e della persistenza<br />
della patria nei suoi lavori (Edda Serra,<br />
Centro Studi Biagio Marin, Grado). Poste<br />
a confronto (Graziella Semacchi Gliubich,<br />
giornalista pubblicista di Trieste) le voci<br />
di Lina Galli, Marisa Madieri e Annamaria<br />
Muiesan Gaspári, tre esuli e tre scrittrici e<br />
amiche personali; tracciati pure parallelismi<br />
con Luigi Miotto: per entrambi la tanto<br />
agognata Itaca diventa meta sempre più<br />
irragiungibile, che può essere riacquisita solo<br />
tramite la scrittura, dice Marianna Deganutti<br />
(Università di Oxford).<br />
Un trio meraviglioso: Madieri, Milani, Mori<br />
La potenza delle parole semplici, della<br />
sincerità e la “microepica”: è quanto<br />
accomuna alcune delle autrici più gettonate<br />
all’interno della letteratura femminile<br />
dell’esodo e, in generale, di tutta la letteratura<br />
dell’esodo. Una delle scrittrici più lette è<br />
indubbiamente Anna Maria Mori, presa in<br />
esame da Anna Bertini e Carla Carotenuto<br />
(Università degli Studi di Macerata), Natalie<br />
Dupré (Università Cattolica di Lovanio),<br />
Monica Giachino (Università Ca’ Foscari,<br />
Venezia), Milena Montanile (Università<br />
degli Studi di Salerno) ed Elena Rondena<br />
(Università Cattolica del Sacro Cuore,<br />
Milano).<br />
Se il suo “Bora” (Frassinelli, 1998), è un<br />
viaggio – compiuto insieme con Nelida Milani<br />
– nella memoria e nel cuore, “Nata in Istria”<br />
(Rizzoli, 2006) è un libro esemplare che fa<br />
conoscere ai più una terra nella molteplicità<br />
degli aspetti e delle identità; mentre il più<br />
recente “L’anima altrove” (Rizzoli, 2012) è<br />
quasi una conlcusione, non più focalizzata<br />
sull’esodo ma sulla condizione esistenziale<br />
dell’esilio, del trauma, delle tenebre<br />
dell’ignoto, il disagio dello straniamento.<br />
Ecco allora che per recuperare ricordi e<br />
identità, si dà voce alle “cose”: un angioletto<br />
in marmo, una pagella ingiallita, due<br />
scendiletto rosa…<br />
Oggetti quotidiani, piccole cose, profumi da<br />
ritrovare per cogliere il filo della memoria,<br />
ritrovare il legame con il luogo di nascita e<br />
la propria identità: elementi presenti nella<br />
fiumana Marisa Madieri, di cui al convegno<br />
si sono occupati Corinna Gerbaz Giuliano<br />
(Università di Fiume), Pedro Luis Ladrón<br />
De Guevara (Università di Murcia), Stefania<br />
Nociti (Università della Calabria), e Barbara<br />
Strumar (Università degli Studi di Trieste)<br />
quest’ultima con una proposta inedita,<br />
attraverso l’approfondimento e il confronto<br />
delle memorie olfattive.<br />
Tasselli della produzione di Nelida Milani –<br />
“Una valigia di cartone” (Sellerio, 1991), il<br />
citato “Bora” con la Mori, “Crinale estremo”<br />
(EDIT, 2007), “Racconti di guerra” (Il<br />
Ramo d’Oro, 2008) è stata al centro delle<br />
relazioni di Michela Rusi (Università Ca’<br />
Foscari, Venezia), Tiziana Piras (Università<br />
degli Studi di Trieste) e Titus Heydenreich<br />
(Università di Erlangen-Nürnberg). Nella<br />
narrativa della Milani – questa una delle<br />
conclusioni –, l’esperienza dell’esodo trova la<br />
sua espressione più origiale e profonda. La<br />
scrittura diventa per l’autrice una battaglia<br />
culturale che aiuta i vinti a diventare vittime<br />
invincibili. Altra conclusione: sono passaggi<br />
che andrebbero tematicamente scelti,<br />
pubblicati in un’antologia e possibilmente<br />
tradotti in croato, sloveno, inglese...
del popolo<br />
sabato, <strong>16</strong> <strong>marzo</strong> <strong>2013</strong><br />
la Voce<br />
cultura 3<br />
ISTANBUL<br />
MOSTRE<br />
di Helena Labus Bačić<br />
L’OBIETTIVO<br />
PUNTATO<br />
SULL’ANIMA<br />
DELLA CITTÀ<br />
In primo piano due silhouette scure di<br />
barcaioli che conversano contro uno<br />
sfondo ricco di sfumature di grigio: il<br />
mare luccicante sovrastato dal ponte di<br />
Galata e la sagoma della Moschea Nuova<br />
con il minareto, in parte nascosti da una<br />
fitta coltre di fumo. È una fotografia di<br />
Ara Güler del 1956, intitolata “I barcaioli<br />
del Corno d’Oro, il vecchio ponte di<br />
Galata e la Moschea Nuova”, che l’autore<br />
stesso indica come la sua preferita tra<br />
le migliaia di scatti realizzati nel corso<br />
della sua ricca carriera. “La moschea<br />
sullo sfondo sta a significare che questa è<br />
terra musulmana e che la vita qui è stata<br />
modellata dalla cultura musulmana. Il<br />
ponte di Galata collega due civiltà. Tutta<br />
la scena è coperta da una nube di fumo.<br />
Vedo i due pescatori in primo piano come<br />
un simbolo della vita”, spiega il famoso<br />
fotografo turco il cui amore viscerale per<br />
la propria città, della quale è cronista<br />
devoto e instancabile, gli ha procurato<br />
l’appellativo di “occhio di Istanbul”.<br />
Era intitolata proprio così la splendida<br />
mostra di fotografie di Ara Güler ospitata<br />
al Piccolo salone di Fiume e organizzata<br />
su iniziativa dell’Associazione<br />
dell’amicizia croato-turca del capoluogo<br />
quarnerino. Il pubblico fiumano ha avuto<br />
modo di ammirare<br />
un segmento<br />
rappresentativo della<br />
creatività del grande<br />
fotografo turco e<br />
captare, attraverso le<br />
immagini in bianco e<br />
nero che ritraggono i<br />
vari aspetti della vita<br />
a Istanbul, l’atmosfera<br />
vivace della città, il<br />
brusìo del traffico, il<br />
vociare dei bambini<br />
durante il gioco e tanti<br />
altri aspetti che rendono così affascinanti<br />
le sue fotografie tecnicamente perfette.<br />
Noto soprattutto per i suoi magnifici cicli<br />
di scatti della città natale, Ara Güler,<br />
classe 1928, è stato proclamato uno dei<br />
sette migliori fotografi del mondo ed<br />
è entrato a pieno titolo nelle antologie<br />
della fotografia mondiale.<br />
Ha iniziato la sua carriera fotografica<br />
come fotoreporter di testate<br />
internazionali quali “Time Life”, “Paris<br />
Match”, “Stern” e diversi giornali e riviste<br />
turche. Lo scrittore turco Orhan Pamuk,<br />
premio Nobel nel 2006, un altro artista<br />
innamorato della propria città, scrive<br />
in un articolo pubblicato sul “Financial<br />
Times” nel 2009 di aver notato il nome<br />
di Ara Güler per la prima volta negli anni<br />
Sessanta, quando alcune sue fotografie<br />
apparvero sulla rivista “Hayat”.<br />
“Ogniqualvolta i giornali degli anni<br />
Settanta avessero bisogno di un<br />
fotografo che realisticamente riflettesse<br />
lo spirito della città che lavora, sapevano<br />
che Güler avrebbe fornito loro le<br />
immagini migliori” - ha detto di lui<br />
Orhan Pamuk.<br />
Sempre restio a farsi chiamare fotografo,<br />
e come tale, artista, Ara Güler ha<br />
dichiarato in più occasioni che il<br />
fotogiornalismo non ha nessuna affinità<br />
con l’arte. “Oggigiorno ci sono persone<br />
che, appena assomigliano a Beethoven,<br />
vengono definite degli artisti. […] La<br />
ARA GÜLER:<br />
«LA FOTOGRAFIA<br />
MOSTRA LA REALTÀ E<br />
PER QUESTO MOTIVO<br />
NON È ARTE»<br />
cosa più facile è essere un’artista, in<br />
quanto questa attività non richiede<br />
un diploma. Diventa, invece, dottore,<br />
filosofo, fisico nucleare... se puoi. Artisti!<br />
Non mi piacciono gli artisti. La fotografia<br />
mostra la realtà e per questo motivo non<br />
è arte”. Certo, un punto di vista che molti<br />
non condividono, soprattutto dopo aver<br />
ammirato le composizioni intense ed<br />
emozionanti dei suoi scatti.<br />
Nelle sue fotografie di Istanbul, Ara<br />
Güler coglie l’anima della città divisa tra<br />
due continenti, che negli anni Cinquanta<br />
e Sessanta (periodo al quale risalgono<br />
le fotografie presentate alla mostra al<br />
Piccolo salone) subiva dei profondi<br />
cambiamenti.<br />
La città di Güler è popolata da gente<br />
povera, pescatori e barcaioli, da bambini<br />
intenti a giocare oppure a sorridere<br />
all’obiettivo, da angoli incantevoli<br />
della vecchia Istanbul che oggigiorno<br />
non c’è più. Nelle sue composizioni<br />
trovano spesso il loro posto le moschee<br />
con i minareti, i quartieri cittadini più<br />
squallidi, incantevoli vedute della città<br />
affacciata sullo stretto del Bosforo<br />
con miriadi di barche di pescatori in<br />
primo piano, il vecchio ponte di Galata,<br />
angoli della cittavecchia... Secondo<br />
Pamuk, la città non<br />
fa semplicemente da<br />
sfondo, né è presente<br />
per evocare strane<br />
immagini, poetiche<br />
o esotiche: Istanbul<br />
resta una parte<br />
inalienabile della<br />
gente che Güler ha<br />
immortalato.<br />
È stato pure un<br />
importante ritrattista<br />
con al suo attivo<br />
un vasto numero<br />
di ritratti di personaggi famosi del XX<br />
secolo. Sono stati immortalati dal suo<br />
obiettivo Pablo Picasso, Marc Chagall,<br />
Indira Ghandi, Bertrand Russell, Winston<br />
Churchill, Salvador Dalì, ma anche il<br />
presidente jugoslavo Josip Broz Tito e<br />
tanti altri. Tra i suoi soggetti c’è stato<br />
anche Orhan Pamuk, il quale ricorda<br />
che “ Güler era conosciuto anche<br />
come fotografo ritrattista di famosi<br />
scrittori e artisti... solo dopo che mi ha<br />
fotografato per la prima volta nel 1994<br />
ho sentito di aver finalmente raggiunto il<br />
riconoscimento come scrittore”.<br />
Infaticabile cronista della sua città - che<br />
all’epoca contava circa un milione di<br />
abitanti, mentre oggigiorno ne conta<br />
quindici - ma anche di altre parti<br />
della Turchia, trasformata da profondi<br />
cambiamenti politici e sociali, Güler ha<br />
realizzato stupendi cicli di fotografie<br />
della regione dell’Anatolia, dei villaggi<br />
sparsi ovunque nel Paese, di magnifiche<br />
località archeologiche, ma sempre<br />
pervasi da una profonda umanità e un<br />
rispetto per le genti che li popolano.<br />
Oggigiorno, a 85 anni, Ara Güler gode<br />
dello status del miglior fotografo turco<br />
di tutti i tempi, insignito nel 1999<br />
del titolo di “fotografo del secolo”<br />
in Turchia. Resterà, però, ricordato<br />
principalmente come autore di<br />
leggendarie immagini della sua città<br />
natale.
del popolo<br />
4 sabato, <strong>16</strong> <strong>marzo</strong> <strong>2013</strong> del popolo<br />
la la Voce<br />
OMAGGIO A PIETRO MATTIA<br />
STANCOVICH (PETAR<br />
MATIJA STANKOVIĆ)<br />
– CANONICO DI VASTI<br />
INTERESSI CULTURALI<br />
OLTRE CHE TEOLOGICI<br />
RICERCHE<br />
di Daria Deghenghi<br />
Ogni anno il Comune di Barbana<br />
rende omaggio al suo Pietro<br />
Mattia Stancovich (Petar Matija<br />
Stanković) – canonico di vasti interessi<br />
culturali oltre che teologici, storico,<br />
bibliofilo, appassionato di lettere e di<br />
archeologia, verseggiatore (medriocre) e<br />
traduttore dai gusti classicheggianti – con<br />
un convegno che riunisce scrittori, studiosi<br />
di lingua e letteratura, poeti e pubblicisti.<br />
Per il suo limitato oggetto di studio e<br />
l’inevitabile condizione “periferica” nel<br />
panorama culturale nazionale sia del<br />
personaggio, sia della località che gli<br />
diede i natali sul finire dell’Ottocento e lo<br />
celebra a distanza di un secolo, oltre che,<br />
ovviamente, per l’approccio accademico<br />
che vi regna, il convegno di Barbana<br />
risulta poco frequentato dal pubblico ed<br />
è generalmente snobbato dalle cronache,<br />
se non per interessi specifici come quello<br />
che affronteremo di seguito. Alla sua<br />
ultima edizione in ordine di tempo appena<br />
conclusa, l’esperto di dialettologia e<br />
poesia istriota, Sandro Cergna, docente<br />
al Dipartimento di studi in lingua italiana<br />
dell’Università degli studi di Pola “Juraj<br />
Dobrila”, ha partecipato al convegno con<br />
un’interessante intervento sulla traduzione<br />
di Stancovich dall’istrioto al croato<br />
ciacavo di un antico sonetto di Dignano<br />
che è di fatto il primo componimento<br />
letterario in dialetto istrioto che si conosca,<br />
conservato nell’archivio della Biblioteca<br />
universitaria di Pola. Ebbene il canonico<br />
Pietro Stancovich, ha, tra i tanti, anche il<br />
merito d’aver tradotto il sonetto In laudo<br />
del Siur Calonigo Trampus che i ho fatto<br />
una Pridiga in sul Piccato in Barbana<br />
(ma ci basterà chiamarlo Sul piccato,<br />
per liberare l’esposizione dagli orpelli<br />
di una titolatura sovrabbondante tipica<br />
del genere e dell’epoca). Ora, quel che<br />
c’interessa in questa sede di Stancovich<br />
in particolare (e di glottologia romanza<br />
in generale) è il fatto egli abbia reso, con<br />
le sue traduzioni in croato-ciacavo, un<br />
“importantissimo servizio alla dialettologia<br />
italiana dell’Istria”. Con Cergna, che ha<br />
studiato e scritto “La produzione poetica<br />
istriota dell’Istria sudoccidentale dal 1835<br />
ad oggi” (tesi di dottorato) e steso una<br />
serie di “Osservazioni su uno scambio di<br />
poemetti tra Pietro Stancovich e Martino<br />
Fioranti” in “Studia polensia” (in corso di<br />
pubblicazione), ne vedremo i motivi.<br />
Il sonetto del “Piccato” è stato composto<br />
dal dignanese Martino Fioranti, di cui<br />
possediamo scarse notizie. Nacque nel<br />
1795 a Dignano, dove pure morì nel<br />
1856 e dove, a varie riprese, tra il 1818<br />
e il 1855, ricoprì la carica di sostituto del<br />
podestà, subentrando occasionalmente<br />
al più noto Giovanni Andrea dalla Zonca.<br />
Il sonetto è per sua natura una lauda<br />
con cui l’autore ringrazia il canonico<br />
Sebastiano Trampus – conterraneo e coevo<br />
di Stancovich, anch’egli sacerdote nella<br />
sua stessa collegiata – per un sermone<br />
pronunciato nella chiesa parrocchiale.<br />
Per farla breve, in quell’occasione, come<br />
risulta dal sonetto, il sacerdote avrebbe<br />
esortato i credenti dal commettere azioni<br />
peccaminose illustrando loro la condanna<br />
alle pene infernali nella quale sarebbero<br />
incorsi lasciando questa vita. L’immagine<br />
inquietante della dannazione eterna<br />
deve aver scosso profondamente il poeta,<br />
al punto che, vissuta la visione atroce<br />
del diavolo, decise immediatamente di<br />
rivolgersi ad un confessore per confidargli<br />
i propri peccati. Dal manoscritto originale<br />
rinvenuto nella Biblioteca universitaria<br />
di Pola, non ci è dato, però, conoscere<br />
l’epoca della composizione a causa del<br />
laceramento del foglio alla base. Tuttavia<br />
Fioranti fece pervenire il sonetto a<br />
Stancovich, che ne redasse una prima<br />
versione della traduzione croato-ciacava,<br />
sulla quale intervenne a varie riprese con<br />
nuove varianti, aggiunte, cancellazioni<br />
e sostituzioni. Ebbene stando a quanto<br />
osserva Sandro Cergna nel suo saggio,<br />
sarà solo la terza e definitiva versione<br />
SANDRO CERGNA<br />
LA PASSIONE E L’IMPEGNO<br />
DIALETTOLOGIA E ALLA PO<br />
VERSI<br />
Trascrizione della lezione più antica<br />
del sonetto «Sul piccato»<br />
In laudo del Siur Calonigo Trampus<br />
che i ho fatto una Pridiga in sul Piccato<br />
in Barbana<br />
Sonnitto<br />
Compàro Pridigadùr mei i vo seintù<br />
In sul piccato ancùi a pridigà,<br />
E tanta gran pagura mi jè chiapà,<br />
Ch’ el cour me salta in pitto che main più.<br />
El Djavo four de Chiesa mi è osservà<br />
Vuoldir in fessa che dixi de lù<br />
della traduzione ciacava contenuta nella<br />
“Parabola del Figlio prodigo”, conservata alla<br />
Biblioteca di Pola, a rivelarsi particolarmente<br />
importante per lo studio della poesia<br />
istriota: in quella, infatti, il canonico di<br />
Barbana aggiunge al componimento il<br />
titolo (croato) e la data della composizione,<br />
annotando sul manoscritto: ‘Jedàn Grisnik<br />
Slissajuchi Prediku od Griha u Barban<br />
na dan 12. od Marza 1828. Se oberne na<br />
dobar put, i govori Gospodinu Predicaçu<br />
Sonnet’. Il referente temporale aggiunto da<br />
Stancovich – scrive Cergna – ci permette così<br />
di retrodatare di almeno sette anni gli inizi<br />
E tanta rabbia i jè visto che l’ hà bù<br />
Che un cuorno della testa i gho cascà.<br />
Mei subaito che arrivi a casa mèja<br />
Catà me vadi un bon Confessadùr<br />
Suoduoghe el sacco, e i piccài ch’ el bùtta vèja<br />
E mai piùn voi piccà, perché in etierno,<br />
Delle robe del moundo per amoùr,<br />
I no voi mei brusàme nell’Infierno.<br />
In santificàto de amoùr<br />
Comparo Mart[*ei]n Fioranto<br />
Dig[*nano]<br />
della produzione poetica istriota, facendola<br />
iniziare non più, com’era considerato finora,<br />
al 1835, anno della stesura della Parabola<br />
del Figlio prodigo in vari dialetti istriani,<br />
tra cui nei dialetti istrioti di Rovigno, Valle<br />
e Dignano – oltre che nel dialetto croatociacavo,<br />
istroveneto e albanese – ma al<br />
1828, appunto.<br />
La traduzione: novità lessicali, fonetiche e grafemiche<br />
Sorvoliamo sui due tentativi di traduzione<br />
preliminari, nei quali il testo non sempre<br />
risulta comprensibile, vuoi perché<br />
vi compaiono voci completamente<br />
depennate, illeggibili o macchiate<br />
d’inchiostro, vuoi perché vi si ritrovano<br />
voci, parzialmente depennate, che solo un<br />
ottimo conoscitore del dialetto ciacavoistriano<br />
locale coevo avrebbe potuto<br />
indicare con certezza, la versione finale<br />
risulta per fortuna perfettamente leggibile<br />
e interpretabile, redatta com’è in bella<br />
copia e con un’elegante grafia. Rispetto a<br />
quelle, infatti, la traduzione definitiva non<br />
solo presenta novità lessicali (il sostantivo<br />
Cume è stato sostituito dal più dotto<br />
Gospodin), formali (strach toliki passa in<br />
stragh toliko e trepet in trepat) ma anche e
del popolo<br />
cultura la Voce<br />
sabato, <strong>16</strong> <strong>marzo</strong> <strong>2013</strong><br />
5<br />
DEDICATI ALLA<br />
ESIA ISTRIOTA<br />
soprattutto fonetiche e grafemiche. E difatti<br />
Cergna osserva che “un elemento innovativo<br />
è l’impiego della “c” con la cedìglia (ç) in<br />
realizzazioni foniche diverse. Infatti, mentre<br />
nel titolo il simbolo “ç” è usato per indicare<br />
l’affricata alveolare sorda [ts] (Predicaçu)<br />
[predi’katsu], in çèkan, veçh, çistit, nèççhiu,<br />
vèçh, neçhiu lo stesso simbolo è usato per<br />
l’affricata postalveolare sorda [t∫], mentre<br />
per lo stesso suono nella parola Slissajuchi,<br />
usa il nesso “ch”. Un oscillare ancora di<br />
Stancovich anche nella resa grafica del<br />
suono [ts] è ravvisabile in Predicaz (1), dove<br />
al posto della cedìglia il canonico adotta<br />
| | Non solo ricercatore, ma anche parlante attivo dell’istrioto vallese: Sandro Cergna<br />
il semplice simbolo “z”, così come fa<br />
nella flessione di Marza (< it. <strong>marzo</strong>)”.<br />
Da notare piuttosto che “evidenti spie<br />
della prevalenza, in Stancovich, del<br />
repertorio linguistico e del sistema<br />
comunicativo italiano sono chiaramente<br />
manifeste sia a livello lessicale, sia a<br />
quello sintattico”. Tra gli esempi più<br />
vistosi, prosegue Cergna, va rilevato l’uso<br />
delle geminate in termini nei quali gli<br />
sembra che il suono consonantico debba<br />
essere rafforzato (Slissajuchi, Sonnet,<br />
jessam, posslussat, dùssu, neççhiu)<br />
oppure nell’uso del nesso “gn” per la<br />
resa della nasale palatale in gniega e<br />
gnièga (mentre in govorenja il traduttore<br />
preferisce la corretta realizzazione croata<br />
del nesso “nj”. “Da quanto esposto, e<br />
considerando la perfetta padronanza<br />
di Stancovich del dialetto istroveneto<br />
– scrive infine Cergna in chiusura di<br />
saggio – si può concludere che Pietro<br />
Stancovich si formò ed operò in un<br />
contesto di intensa diglossia, usando<br />
egli, in situazioni formali e nella<br />
socializzazione secondaria, la lingua<br />
italiana standard (accanto al latino e,<br />
ove richiestio, al francese, al tedesco,<br />
all’inglese) e riservando invece i codici<br />
più bassi, cioè i dialetti, al solo ambito<br />
informale, colloquiale e familiare.<br />
Dall’attenzione, inoltre, dell’autore per<br />
la corretta pronuncia dei diversi termini<br />
croato-ciacavi, possiamo arguire una sua<br />
vicinanza affettiva con quelle parlate,<br />
trovandosi egli, come giustamente<br />
gli ricordava in una lettera l’amico<br />
capodistriano Giuseppe de Lugnani,<br />
“sopra la frontiera italo-slava”. Così<br />
facendo, Stancovich riesce quasi a far<br />
percepire, al lettore odierno, il modo in<br />
cui, all’incirca, un parlante di cultura<br />
italiana pronunciasse e si esprimesse<br />
all’epoca nel dialetto croato-ciacavo<br />
dell’Istria meridionale.”<br />
Un attento colloquio con la poesia<br />
Traduzione a parte, la lauda dedicata<br />
al canonico Tromba, stando a quanto<br />
afferma Cergna ne “La produzione<br />
poetica istriota dell’Istria sudoccidentale<br />
dal 1835 ad oggi”, si iscrive nel “filone<br />
della produzione didattico-religiosa<br />
d’ambientazione popolare, caratterizzato<br />
da un registro stilistico basso, a tratti<br />
quasi spregiudicatamente ingenuo, con<br />
un’elaborazione elementare dei nuclei<br />
tematici trattati, ma al contempo non<br />
priva, per noi oggi, di una nota ironicogiocosa<br />
dei concetti esposti. Quasi in<br />
controcanto con quella, poi, il sonetto<br />
non manca di un’attenta elaborazione<br />
metrico-formale: la cadenza perfetta della<br />
rima, il ritmo austero dell’endecasillabo<br />
cui si accompagna, tra il terzo e il quarto,<br />
e tra il settimo e l’ottavo verso, il lieve<br />
enjambement”, che confermano “una<br />
perizia poetica non superficiale, ma<br />
maturata su una lettura e un “colloquio”<br />
con la poesia coltivati con interesse e<br />
gusto sincero per il verso scritto, per la<br />
sua sentita possibilità di farsi canto della<br />
quotidianità e del suo vissuto, anche di<br />
quello più ambiguo e sfuggente come<br />
l’ultramondano, qui felicemente riportato<br />
attraverso un gustoso alternarsi tra il<br />
serio e il faceto”. Considerato infine<br />
che, “nella rappresentazione metrica, il<br />
componimento rispetta quasi interamente<br />
le tradizionali regole della versificazione<br />
italiana, realizzandosi tra la rima<br />
incorciata delle quartine e quella alternata<br />
delle terzine”, è lecito supporre che<br />
l’autore dovesse “possedere una notevole<br />
padronanza della composizione in versi”<br />
e una “conoscenza non occasionale<br />
della tradizione poetica italiana coeva e<br />
anteriore”.<br />
L’influenza della poesia veronese<br />
A conferma di un tanto, Cergna cita la<br />
probabile influenza della poesia veronese<br />
e precisamente un testo “esemplare<br />
della letteratura didattico-religiosa”: il<br />
poemetto De Babilonia civitate infernali,<br />
in cui l’autore, Giacomino da Verona,<br />
vissuto nel XIII secolo e frate dell’Ordine<br />
dei Minori, descrive per l’appunto le pene<br />
peccatores puniantur incessanter. Benché<br />
se ne possa supporre un’influenza non<br />
irrilevante sui sermoni anche in pieno<br />
Ottocento (influenza favorita peraltro<br />
dai contatti tra le cittadine venete e<br />
le località dell’Istria veneta), specie<br />
nelle piccole comunità parrocchiali di<br />
paese, nell’autore istriano, secondo<br />
Cergna, a prevalere non tanto “l’intento<br />
didattico-persuasivo”, quanto piuttosto<br />
un “più intimo e profondo afflato<br />
lirico scaturente attraverso la volontà<br />
di una propria, personale espiazione<br />
dell’errore” per giungere alla “catarsi e al<br />
ricongiungimento con la comunità”. Dalla<br />
tradizione religiosa e iconologica popolare<br />
derivano invece l’elemento della fiamma<br />
eterna e quello del corno del diavolo,<br />
“rimaneggiato in chiave felicemente<br />
comica e originale nell’episodio del<br />
grottesco incidente” (la caduta del corno<br />
per la grande irritazione e l’ira diabolica),<br />
mentre estraneo alla poesia veronese,<br />
rileva Cergna, è soprattutto l’”andamento<br />
più piano e controllato del discorso<br />
poetico”.<br />
A Gallesano<br />
l’istrioto<br />
si parla ancora<br />
ed è musica<br />
per le orecchie<br />
Troppo tardi, viene da dire. Eppure meglio<br />
che mai, si dovrà pur aggiungere. I<br />
dialetti istrioti non hanno scampo e tuttavia<br />
c’è chi si dedica al loro recupero nei<br />
limiti del possibile. L’impegno corre su due<br />
binari paralleli: quello accademico da un<br />
lato, con lo studio della sintassi, del lessico<br />
e della fraseologia, e quello popolare,<br />
divulgativo, dei vari concorsi letterari<br />
promossi nel tentativo di stimolare una<br />
nuova produzione letteraria istriota di<br />
cui la parlata autoctona è rimasta priva<br />
nei secoli. A Dignano l’istrioto, o meglio<br />
il boumbaro, non si parla più ma c’è chi<br />
ricorda di averlo sempre sentito parlare in<br />
casa, da bambino, e insiste a trasmetterlo<br />
ai discendenti che manifestano una certa<br />
sensibilità per la “diversità linguistica”. A<br />
“favelà” (parlare) non c’è più nessuno,<br />
ma in compenso a scrivere sono in tanti<br />
grazie al concorso letterario omonimo<br />
(“Favelà” per l’appunto), promosso nel<br />
2003 dalla locale Comunità degli Italiani<br />
di Dignano e dall’associazione degli esuli<br />
“Famiglia dignanese” con sede a Torino.<br />
Compito certamente arduo, quello di far<br />
rivivere una lingua morta, ma proprio<br />
per questo (la sfida sembra essere stata<br />
un forte incentivo), il concorso ha mobilitato<br />
una trentina di neofiti del verso,<br />
della prosa e della traduzione a cimentarsi<br />
nella scrittura nell’arcaico idioma<br />
degli antenati, sfornando pagine e pagine<br />
di racconti, poesie, saggi e traduzioni,<br />
anche in assenza di una grammatica, di<br />
un lessico e di una pronuncia unificate.<br />
Non per niente le sue variazioni fonetiche,<br />
la diversità delle grafie e l’eterogeneità<br />
lessicale, dovute principalmente alla sua<br />
condizione di lingua prevalentemente<br />
orale, mettono a disagio anche le giurie<br />
incaricate a valutarne il valore.<br />
A Gallesano l’istrioto si parla ancora ed è<br />
musica per le orecchie di un ascoltatore<br />
estraneo all’ambiente. L’idioma mantiene<br />
un buon grado di conservazione, convive<br />
col veneto e differisce da quest’ultimo<br />
quanto dall’italiano letterario, a tutti i<br />
livelli linguistici e quindi sia nella morfologia<br />
che nella sintassi del periodo e nel<br />
lessico. Seguendo l’esempio della vicina<br />
Dignano, anche la Comunità degli Italiani<br />
“Armando Capolicchio” ha istituito un<br />
concorso letterario analogo, intitolandolo<br />
al poeta locale Michele dalla Vedova.<br />
L’Università degli studi di Pola, infine, ed<br />
in particolare i docenti e i ricercatori del<br />
dipartimento di studi in lingua italiana, dedicano<br />
all’istrioto orale e ai suoi pochi resti<br />
materiali (scritti) l’interesse che gli spetta<br />
dopo decenni d’incuria. Il riscatto della parlato<br />
in ambito universitario sta fruttando<br />
nuove interessanti ricerche tra cui gli studi<br />
di Cergna e quell’Atlante linguistico istrioto<br />
di Barbara Bursic-Giudici e Goran Filipi,<br />
compilato pazientemente in seguito ad<br />
una miriade di interviste con centinaia di<br />
parlanti tra Sissano e Valle, che costituisce<br />
uno strumento di grande utilità per tutte le<br />
ricerche attuali e future. (dd)
del popolo<br />
sabato, <strong>16</strong> <strong>marzo</strong> <strong>2013</strong><br />
6 cultura<br />
la Voce<br />
TELEVISIONE<br />
di Sandro Damiani<br />
All’inizio fu... un testimone<br />
silenzioso. Poi arrivarono le...<br />
scene del crimine.<br />
Siamo a metà degli anni Novanta, il<br />
genere poliziesco, in televisione, sta<br />
arrancando. Che sia in “zona frutta” lo<br />
si avverte (la cosa in sé al pubblico non<br />
dispiace, ma – si chiedono sceneggiatori<br />
e produttori – quanto può durare)<br />
dal frequente intrufolamento nelle<br />
vicende personali dei protagonisti di<br />
tutti i serial: gente “normalissima”, con<br />
i problemi e le disgrazie quotidiane di<br />
tutti noi, un modo astuto – appunto - per<br />
tenere inchiodato lo spettatore: farlo<br />
identificare con i personaggi che segue<br />
(“anche lui... pure io...”).<br />
Ma le major TV sanno benissimo che il<br />
genere sta perdendo terreno. Ci vogliono<br />
idee nuove. Non bastano crimini “nuovi”<br />
(la cronaca nera è un pozzo senza fondo),<br />
ci vogliono un’impostazione generale nel<br />
raccontarne le dinamiche e i modi per<br />
far trionfare la giustizia. Nei Paesi più<br />
evoluti – è questo il mercato cui guardano<br />
gli inserzionisti, gli effettivi produttori<br />
cinetelevisivi – il pubblico ha le tasche<br />
piene sia dell’eroe ammazzatutti, sorta di<br />
semidio contemporaneo; sia del geniale<br />
investigatore solitario alla Sherlock Holmes,<br />
Poirot, Nero Wolf, Maigret, Miss Murple... e<br />
relativi nipotini in salsa americana.<br />
Un aiuto dalla medicina forense<br />
Ma è la britannica BBC che per prima<br />
trova quello che sarà il nuovo filone. E lo<br />
trova dopo essersi rivolta alla Medicina<br />
forense. La quale pochi anni prima aveva<br />
dato un’inattesa mano a inquirenti, polizia<br />
(ovvero, alla sua Scientifica) e magistratura<br />
per incastrare un criminale, per anni<br />
“invisibile”, dunque imprendibile: tale Colin<br />
Pitchfork (autore di due assassinii, incastrato<br />
nel 1988). Il merito è del metodo sviluppato<br />
dal genetista Alec Jeffrys e sperimentato per<br />
la prima volta nel 1984.<br />
Del DNA già si sapeva abbastanza, ma sotto<br />
il profilo giudiziario faceva acqua. Grazie<br />
alla scoperta di Sir Jeffrys anche la Legge si<br />
adegua. Egli riesce a isolare il DNA e venire<br />
a capo di chi ci sta “dietro”: da una goccia di<br />
sangue, da un pezzettino di pelle, da un po’<br />
di saliva, dai fluidi biologici o da altri tessuti.<br />
Ecco, quindi, dicono alla BBC è stata trovata<br />
la “chiave”, il resto viene da sé: in fondo,<br />
qual è il punto centrale di ogni poliziesco<br />
Scovare il colpevole. Bene, andiamo a<br />
cercarlo partendo dal... morto.<br />
È il 21 febbraio del 1996, quando l’ente<br />
televisivo di Stato inglese manda in onda<br />
sulla BBC ‘One Silent witness’ (Il testimone<br />
silenzioso): poca azione, pochi esterni, poca<br />
violenza, di sparatorie non se ne parla o<br />
quasi, rari momenti processuali. Protagonista<br />
è il laboratorio di Medicina forense, diretto<br />
dalla professoressa Sam Ryan, che opera al<br />
di fuori delle Forze dell’ordine, a cui Scotland<br />
Yard si rivolge per i casi più problematici.<br />
Nel ruolo della Ryan c’ è Amanda Burton,<br />
attrice prevalentemente televisiva (oggi<br />
anche produttrice) assai amata dal pubblico<br />
del Regno Unito, al punto che quando<br />
nel 2004, dopo otto stagioni consecutive,<br />
abbandona il campo, si assiste a una delle<br />
rare “rivolte” dei telespettatori della BBC...<br />
La civilissima protesta naturalmente rientra<br />
subito, anche perché dopo tanti anni i<br />
telespettatori si sono affezionati pure ai<br />
colleghi della Ryan. E, comunque, non si<br />
perda di vista che stiamo parlando di una<br />
produzione BBC, il marchio di fabbrica<br />
dell’eccellenza professionale. Il gradimento,<br />
dunque, è altissimo: niente sbavature ed<br />
esagerazioni, una recitazione che “non<br />
sembra recitino”, una fotografia che “non<br />
pare una fiction”, storie inverosimili e niente<br />
sesso... siamo inglesi!<br />
Passano ben quattro anni prima che ‘Silent<br />
witness’ riesca a far proseliti. A raccogliere<br />
il testimone, negli USA, è la CBS, la quale<br />
peraltro non è un colosso per quanto<br />
concerne il genere, a pannaggio invece<br />
dell’NBC, da decenni, con i suoi ‘Tenente<br />
TESTIMONE<br />
SILENZIOSO<br />
Colombo’ (Peter Falk), ‘Ironside’<br />
(Raymon Burr), ‘Police Women’<br />
(Angie Dickinson); ‘Hill Street Blues’<br />
(debutto di Denis Franz), ‘In the Heat<br />
of the Night’, un sequel che nasce<br />
dall’omonimo film con ‘Sidney Poatier’<br />
e ‘Rod Steiger’; ‘Miami Vice’ (Don<br />
Johnson) e dal 1993 con il crime<br />
procedural ‘Law & Order’ che tiene<br />
banco come pochi.<br />
USA: la risposta tarda.. ma è un successo<br />
Viene da chiedersi come mai la “risposta<br />
americana” abbia atteso tanto a venire.<br />
Beh, negli States, lo spettacolo, qualsiasi<br />
sua forma, è business, è industria: il “Signor<br />
Caso” non esiste. Se floppi sono dolori:<br />
saltano poltrone, bruciano carriere, si<br />
pagano penali spropositate. Insomma, sin<br />
dall’esordio, il prodotto deve provocare tra i<br />
telespettatori vere e proprie ola.<br />
Alla CBS studiano tutto nei minimi dettagli,<br />
naturalmente dopo essersi sincerati che il<br />
pubblico gradirà qualcosa alla ‘Silent witness’,<br />
quindi si passa a pensare a dove collocare le<br />
storie, che tipo di storie, chi le “vive”, infine<br />
a chi affidare i sei, sette ruoli fissi presenti<br />
in ogni episodio. Questo è il punto più<br />
delicato: non devono essere attori nuovissimi,<br />
ma nemmeno star consacrate. Il divo, il<br />
trascinatore ci vuole, ma deve scaturire dal di<br />
dentro, puntata dopo puntata.<br />
A questo punto bisogna ricordare che il 6<br />
ottobre 2000 va in onda in prima serata<br />
il primo episodio di CSI: Crime Scene<br />
Investigation (CSI- Scena del crimine).<br />
Luogo dell’azione, Las Vegas. Protagonista,<br />
l’equipe notturna della Scientifica, che, a<br />
differenza dei colleghi londinesi, lavora<br />
fianco a fianco della polizia, della quale<br />
fanno parte alcuni di loro.<br />
La novità è enorme. È uno shock! Oltre<br />
tutto il serial britannico lo conoscono in<br />
pochissimi in tutti gli USA.<br />
Ma come, si chiedono i telespettatori, si<br />
parla di morti assassinati e voi ci fate vedere<br />
gente che passa il tempo a fare (ciò che sono,<br />
peraltro) i chimici, i biologi, gli entomologhi,<br />
i fotoperatori-patologi, mentre il medico<br />
legale seziona corpi e spiattella loro in faccia<br />
reni, cuori, viscere e ogni bendidio del morto<br />
di turno Che sono tutti questi primi piani<br />
su provette, fiale, batuffoli di cotone Non<br />
bastasse, le atmosfere sono rigorosamente<br />
cupe, predomina il blu scuro, ombre e<br />
penombre... sporadicamente, si respira<br />
l’aria del giorno, ma solo come prosieguo<br />
dell’attività notturna.<br />
Ma ciò che più colpisce è la città in cui<br />
ha luogo l’azione: Las Vegas. Un assurdo!<br />
La capitale del gioco d’azzardo ha mezzo<br />
milione di abitanti, quasi tutti vivono<br />
dell’economia del gioco d’azzardo, la polizia<br />
sa tutto di tutti, la popolazione è fluttuante. È<br />
una fisarmonica!<br />
Infatti, di solito sia assassini che assassinati<br />
provengono da fuori, il che complica le cose<br />
e costringe la polizia a indagini frenetiche, se<br />
no l’omicida scappa, e quando lo ripigli Tutto<br />
diventa più complicato, al limite del caotico.<br />
Se non fosse che le redini del gioco, del<br />
nostro gioco televisivo, sono in mano a gente<br />
qualificatissima: patologi, biologi, chimici,<br />
esperti in armi e affini. Prevalentemente<br />
giovani e geniali, freddi, razionali, dalle<br />
impercettibili “cadute” emotive; introversi più<br />
sì che no, ognuno con una storia personale<br />
affatto originale (l’ex giocatore d’azzardo,<br />
l’ex spogliarellista), e tutti mossi da un senso<br />
oserei dire fanatico, ma non della giustizia,<br />
bensì della ricerca e reperimento della prova.<br />
Talvolta, magari sono dispiaciuti, perché<br />
l’assassino è un povero diavolo e l’ammazzato<br />
un delinquente superprotetto...<br />
Naturalmente, c’ è un primus inter pares: è il<br />
capo della Scientifica, il dottor Gil Grissom,
del popolo<br />
la Voce<br />
cultura<br />
sabato, <strong>16</strong> <strong>marzo</strong> <strong>2013</strong><br />
7<br />
CC-BY-SA-3.0/Matt H. Wade<br />
È IL 21 FEBBRAIO DEL 1996, QUANDO L’ENTE TELEVISIVO DI STATO<br />
INGLESE MANDA IN ONDA SULLA BBC «ONE SILENT WITNESS» (IL<br />
TESTIMONE SILENZIOSO): POCA AZIONE, POCHI ESTERNI, POCA<br />
VIOLENZA, DI SPARATORIE NON SE NE PARLA O QUASI, RARI<br />
MOMENTI PROCESSUALI. PROTAGONISTA È IL LABORATORIO DI<br />
MEDICINA FORENSE, DIRETTO DALLA PROFESSORESSA SAM RYAN,<br />
CHE OPERA AL DI FUORI DELLE FORZE DELL’ORDINE, A CUI SCOTLAND<br />
YARD SI RIVOLGE PER I CASI PIÙ PROBLEMATICI<br />
un entomologo, figlio di una sordomuta, un<br />
po’ misogino, curioso col gusto del macabro,<br />
faccia da schiaffi, passo krompalo, fisico poco<br />
atletico; due hobby: le parole crociate e le gare<br />
tra scarrafoni. Lo interpreta William Petterson,<br />
un recente passato cinematografico di tutto<br />
rispetto. Dopo dieci anni di onorato servizio,<br />
lascia Las Vegas e se ne va in Sud America<br />
a studiare vermi e fiori, ma non prima di<br />
avere sposato una collega, la più bruttina. Il<br />
serial prosegue senza di lui. (Nella vita reale,<br />
Petterson nel 2003 ha si è unito in nozze ad<br />
una biologa lucchese...).<br />
Facciamo un passo indietro. Siamo nel 2002.<br />
Tutto va a gonfie vele, ciò nonostante i<br />
produttori lanciano sul mercato uno spin-off,<br />
cioè un derivato. Perché Sono impazziti a farsi<br />
la concorrenza<br />
Semplice. Data la formula del sequel – luogo,<br />
personaggi, casistiche – gli sceneggiatori<br />
sono costretti a tralasciare un enorme<br />
potenziale fatto di storie e personaggi: ad<br />
esempio, lo spazio per avventure che vedano<br />
l’intervento dell’FBI o della CIA è minimo. Del<br />
resto, nella stessa realtà dei fatti il “mondo<br />
dei casinò “ - di suo non propriamente un<br />
ambiente da angioletti e dunque sotto la lente<br />
d’ingrandimento della polizia - è refrattario<br />
al traffico di droga, di organi, alla tratta degli<br />
schiavi e via dicendo.Ecco, dunque, che la CBS<br />
inventa un nuovo contenitore.È il 23 settembre<br />
del 2002. Nasce Crime Scene Investigation:<br />
Miami (CSI: Miami).<br />
Esordio da applausi a scena aperta<br />
Si passa dalle atmosfere sulfuree della Las<br />
Vegas notturna – esterni ed interni - alla<br />
solarità da cartolina illustrata dell’estremo sud<br />
della Florida (ma chi è stato a Miami giura<br />
che è così!): colori caldissimi, clima estivo<br />
dodici mesi su dodici, ville con piscina a go<br />
go, belle figliole e bei giovanotti; vegetazione<br />
lussureggiante, coccodrilli in libera uscita. E<br />
su tutto spiccano due personaggi, dei setteotto<br />
principali: Calleigh Duquesne, splendida<br />
esperta in balistica, bionda dalla voce<br />
miagolesca, sorriso dolcissimo su espressione<br />
glaciale: veste preferibilmente di bianco,<br />
gira con un pistolone “alla Dirty Callaghan”.<br />
L’attrice è Emily Procter – parecchi film alle<br />
spalle, ma, incredibile a dirsi, vi è passata<br />
inossevata. L’altro personaggio – ma tutto<br />
gira intorno a lui, moderno giustiziere – è<br />
il suo capo: Horatio Caine, dettoGi (la<br />
pronuncia inglese della lettera Acca); rosso<br />
di capelli, slanciato, espressione spesso<br />
compassionevole, ma cinico; occhiali da sole<br />
di ordinanza, parla poco e quando lo fa -<br />
sussurra di tre quarti; veste di nero. Ha un<br />
passato dubbio, enigmatico: non si sa bene<br />
cosa abbia combinato quando lavorava a New<br />
York. Scopre di avere un figlio sedicenne,<br />
avuto da una truffatrice gambalunga; ha un<br />
breve matrimonio con una splendida cubana,<br />
sorella malata di un proprio collaboratore<br />
che una banda di latinos uccide. Pure lui è un<br />
esperto di laboratorio (ogni tanto lo troviamo<br />
in camice bianco che analizza vetrini & simili:<br />
da come lo osservano i colleghi, viene il<br />
sospetto che il giorno prima abbia ottenuto<br />
il Nobel per la Medicina). A differenza<br />
del collega Gil Grissom, Caine ha anche e<br />
soprattutto compiti di polizia: non gli dispiace<br />
usare la pistola, spesso ammazza i nemici<br />
della legge – e al pubblico generalmente<br />
non dispiace, vista la feccia che fa fuori. A<br />
parte la differenza ambientale con Las Vegas,<br />
qui il crimine ha anche risvolti politici e<br />
internazionali (traffici e prepotenze dei boss<br />
politici, droga, armi, tratta dei neoschiavi che<br />
giungono su cargo da ovunque). Insomma,<br />
l’FBI e in genere le agenzie federali sono<br />
spesso presenti. Va da sé, non mancano delitti<br />
per mano di serial killer, di mariti cornuti o<br />
mogli gelose, di figli di papà che non hanno<br />
la pazienza di aspettare di ereditare i beni di<br />
famiglia e fanno in modo di accorciare i tempi<br />
d’attesa, di uccisioni di ragazze piovute dal<br />
Nord, spesso sedicenti furbe in cerca di soldi,<br />
gloria, amori ricchi...<br />
Secondo un’inchiesta effettuata nel 2006,<br />
dopo quattro anni di messa in onda, ‘Crime<br />
Scene Investigation: Miami’ risultò essere la<br />
fiction seriale televisiva più vista al mondo.<br />
Nonostante ciò – è notizia di qualche mese<br />
fa – dopo dieci anni la CBS ha deciso di<br />
metterci la parola “fine”. Per sempre Quien<br />
sabe.Torniamo al 2004.<br />
A Las Vegas, la Scientifica è al quarto anno e<br />
miete successi su successi: incastra criminali<br />
e inchioda telespettatori alla grande. A<br />
Miami, lo abbiamo appena detto, non sono<br />
da meno. Ma come si sa... l’appetito vien<br />
mangiando, sicché il 20 settembre entra in<br />
pista C.S.I. New York.<br />
Anche qui, come a Miami, “criminalisti”<br />
e poliziotti sono un tutt’uno. Non c’è<br />
nulla di particolarmente speciale nelle<br />
loro avventure professionali e private. La<br />
novità consiste puramente nel luogo in<br />
cui ci troviamo: la Grande Mela. Dunque,<br />
con una varietà di crimini e criminali<br />
infiniti. Inoltre, ogni singolo episodio è<br />
un’esauriente “passeggiata” per New York,<br />
con panoramiche aeree, forse dall’intento<br />
pubblicitario, ma che di certo ci stanno<br />
a dire come il lavoro della polizia in una<br />
megalopoli di oltre dieci milioni di anime<br />
è mostruosamente difficile. L’equipe<br />
medicoforense-poliziesca è molto simpatica,<br />
molto neviorkese, quasi europea.<br />
Il grande capo è il tenente Mac Taylor,<br />
ex marine, laurea in scienze biologiche,<br />
ha l’hobby del basso che suona in in<br />
club. A rivestirne i panni è Gary Sinise,<br />
già candidato all’Oscar per il ruolo<br />
secondario nel film Forrest Gump, vincitore<br />
di un Golden Globe e di un Emmy. Ciò<br />
nonostante – tale è la bravura – è riuscito<br />
assai presto a far perdere le... tracce dei<br />
precedenti personaggi cinematografici e<br />
televisi, talché per i telespettatori egli è<br />
solo Mac Taylor.<br />
Giunto al nono anno, questo spin-off si è<br />
fermato: e andava bene, ma proprio bene!<br />
Staremo a vedere, se per sempre.<br />
E alcuni seriali europei: il parigino è bello e<br />
credibile. Quello romano, come minimo fa<br />
ridere. E non solo causa pressappochismo<br />
professionale, ma perché sapendo che<br />
un buon 20 p.c. di comandi delle forze<br />
dell’ordine sono senza i soldi per pagare<br />
la benzina delle “pantere”, far credere che<br />
dispongano addirittura di laboratori medicoscientifici<br />
che costano un occhio della testa...<br />
non è facile.
del popolo<br />
sabato, <strong>16</strong> <strong>marzo</strong> <strong>2013</strong><br />
8 cultura<br />
la Voce<br />
recensione<br />
NOVITÀ IN LIBRERIA<br />
Le testimonianze<br />
della Dandini<br />
e le storie intrecciate<br />
di Mitchell<br />
i libri più venduti<br />
ITALIA CROAZIA SLOVENIA<br />
AUTORE<br />
Nicolai Lilin<br />
TITOLO<br />
Educazione siberiana<br />
EDITORE<br />
Einaudi<br />
AUTORE<br />
Howard Phillips Lovercraft<br />
TITOLO<br />
Kroz dveri snova<br />
EDITORE<br />
Zagrebačka naklada<br />
AUTORE<br />
J.R.R. Tolkien<br />
TITOLO<br />
Hobit<br />
EDITORE<br />
Mladinska Knjiga<br />
Si parla di donne nelle librerie<br />
italiane con Ferite a<br />
morte (Rizzoli) di Serena<br />
Dandini, volume nel quale<br />
l’autrice ha voluto dare<br />
voce alle vittime. Sono<br />
mogli, ex mogli, sorelle,<br />
figlie, fidanzate, ex fidanzate<br />
che non sono state ai<br />
patti. Spesso le loro morti<br />
vengono iscritte tra quelle imprevedibili,<br />
frutto di raptus di follia, e invece tutti sanno<br />
che sono l’esito di anni di violenza continua,<br />
seguita magari da momenti di riappacificazione<br />
illusori. È la voce di queste vittime<br />
quella che viene proposta. A queste donne<br />
Serena Dandini ha dato la possibilità di<br />
raccontare in prima persona la storia che<br />
le vede drammaticamente protagoniste.<br />
Ma non hanno un nome, non sono riconoscibili,<br />
sono trasfigurate narrativamente,<br />
sono simboli. La seconda parte del volume è<br />
invece una sintesi della situazione globale e<br />
dell’incidenza di questo reato nei vari paesi.<br />
Dal Pakistan al Messico, dal Giappone alla<br />
Cisgiordania. E non si parla solo di morte di<br />
donne adulte seppure purtroppo incapaci<br />
di difendersi, ma anche di sfruttamento<br />
sessuale in giovane età, mutilazioni genitali,<br />
infanticidio femminile. In chiusura qualche<br />
- piccola - buona notizia, con un elenco di<br />
nazioni che stanno attuando buone leggi<br />
e pratiche contro la discriminazione e la<br />
violenza che ci auguriamo verranno prese<br />
come esempio anche nel nostro Paese.<br />
Con L’impero perduto (Longanesi), scritto<br />
a quattro mani con il veterano di marina<br />
Grant Blackwood, Clive Cussler ci trasporta<br />
in una dimensione avventurosa, facendoci<br />
rivivere le misteriose vicende dei marinai<br />
e dei pirati del passato, divisi fra affari di<br />
stato e tesori di inestimabile valore. Così,<br />
guidati dalla curiosità e dal coraggio dei<br />
due protagonisti i lettori non vedranno l’ora<br />
di terminare il romanzo.<br />
Nelle librerie croate si<br />
presenta David Mitchell<br />
con Atlas oblaka<br />
(Vuković&Runjić), un romanzo<br />
con una struttura<br />
bizzarra nella quale si fa<br />
fatica a districarsi. L’autore<br />
ha incastonato una storia<br />
dentro l’altra, lasciandole<br />
in sospeso e riprendendole<br />
in ordine inverso e seminando qua e<br />
là riferimenti fra una storia e l’altra. Ma<br />
non è così semplice. Intanto le storie sono<br />
diversissime per ambientazione e stile: il<br />
romanzo epistolare, la spy story, l’interrogatorio,<br />
il flusso di coscienza. Poi ogni<br />
storia si dipana in sè stessa in maniera<br />
profondissima, si ha la sensazione di precipitare<br />
in un pozzo che va allargandosi<br />
di significati e rimandi sociologici, politici,<br />
filosofici, antropologici, scientifici. Sono<br />
storie che si svolgono a dimensioni lontanissime<br />
nel tempo e nello spazio, eppure<br />
hanno una visione comune. Più che una<br />
struttura a strati, l’idea forte è quella<br />
degli universi paralleli, o del tempo come<br />
concetto relativo, di fronte, invece alla<br />
simultaneità di tutta la storia, in un unico<br />
puntino. Ottimo esempio di letteratura<br />
combinatoria. Vale la pena ricordare il<br />
gigante di siffatto genere su cui si appoggiano<br />
tutti gli emuli: Italo Calvino!<br />
Viviana Car<br />
del popolo<br />
la Voce<br />
Anno 9 / n. 72sabato, <strong>16</strong> <strong>marzo</strong> <strong>2013</strong><br />
IN PIÙ Supplementi è a cura di Errol Superina<br />
inpiucultura@edit.hr<br />
Edizione<br />
CULTURA<br />
Progetto editoriale<br />
Silvio Forza<br />
NARRATIVA<br />
PUBBLICISTICA<br />
AUTORE<br />
Luis Sépulveda<br />
TITOLO<br />
Storia di un gatto<br />
e del topo che diventò<br />
suo amico<br />
EDITORE<br />
Guanda<br />
AUTORE<br />
Simonetta A. Hornby<br />
TITOLO<br />
Il veleno dell’oleandro<br />
EDITORE<br />
Feltrinelli<br />
AUTORE<br />
A.Gimenez Bartlett<br />
TITOLO<br />
Gli onori di casa<br />
EDITORE<br />
Sellerio<br />
AUTORE<br />
Susanna Tamaro<br />
TITOLO<br />
Ogni angelo è tremendo<br />
EDITORE<br />
kćkć<br />
AUTORE<br />
Lilli Gruber<br />
TITOLO<br />
Eredità<br />
EDITORE<br />
Rizzoli<br />
AUTORE<br />
Paolo Rumiz<br />
TITOLO<br />
Trans Europa Express<br />
EDITORE<br />
Feltrinelli<br />
AUTORE<br />
Concita De Gregorio<br />
TITOLO<br />
Io vi maledico<br />
EDITORE<br />
Einaudi<br />
AUTORE<br />
Gianpaolo Pansa<br />
TITOLO<br />
La Repubblica di Barbapapà<br />
EDITORE<br />
Rizzoli<br />
AUTORE<br />
Robert Harris<br />
TITOLO<br />
Imperium<br />
EDITORE<br />
Vuković & Runjić<br />
AUTORE<br />
Karen Gillence<br />
TITOLO<br />
Nošen valovima<br />
EDITORE<br />
Disput<br />
AUTORE<br />
Daphne Sheldrick<br />
TITOLO<br />
Afrička ljubavna priča<br />
EDITORE<br />
Dvostruka Duga<br />
AUTORE<br />
Orhan Pamuk<br />
TITOLO<br />
Novi Život<br />
EDITORE<br />
Vuković & Runjić<br />
AUTORE<br />
Zoran Ferić<br />
TITOLO<br />
Apsurd je zarazna bolest<br />
EDITORE<br />
Zagrebačka naklada<br />
AUTORE<br />
Boris Dežulović<br />
TITOLO<br />
Rat & mir<br />
EDITORE<br />
VBZ<br />
AUTORE<br />
Nela Sršen<br />
TITOLO<br />
Rak na duši<br />
EDITORE<br />
Lara -Tao<br />
AUTORE<br />
Erich von Daniken<br />
TITOLO<br />
Povijest je u krvi<br />
EDITORE<br />
VBZ<br />
AUTORE<br />
Ken Follet<br />
TITOLO<br />
Propad velikanov<br />
EDITORE<br />
Mladinska Kniga<br />
AUTORE<br />
Harlan Coben<br />
TITOLO<br />
Skrajšana žoga<br />
EDITORE<br />
Mladinska Knjiga<br />
AUTORE<br />
Tea Obreht<br />
TITOLO<br />
Tigrova žena<br />
EDITORE<br />
Mladinska Knjiga<br />
AUTORE<br />
E.L.James<br />
TITOLO<br />
Pedest odtenkov svobode<br />
EDITORE<br />
Žepna Knjiga<br />
AUTORE<br />
Ali Žerdin<br />
TITOLO<br />
Omrežje moči<br />
EDITORE<br />
Mladinska knjiga<br />
AUTORE<br />
Juanan Hinojo<br />
TITOLO<br />
Ukradene sanje<br />
EDITORE<br />
Nobis Gorjup<br />
AUTORE<br />
Paul Parsons<br />
TITOLO<br />
3 minute za Einsteina<br />
EDITORE<br />
Tehniška založba Slovenije<br />
AUTORE<br />
Ivan Sivec<br />
TITOLO<br />
Biseri Bolečine<br />
EDITORE<br />
ICO<br />
Caporedattore responsabile<br />
Errol Superina<br />
Redattore esecutivo<br />
Diana Pirjavec Rameša<br />
Impaginazione<br />
Borna Giljević<br />
Collaboratori<br />
Daria Deghenghi, Ilaria Rocchi, Helena Labus Bačić, Sandro Damiani, Viviana Car<br />
Foto<br />
Goran Žiković<br />
AUTORE<br />
Angelo Scola<br />
TITOLO<br />
Tenere accesa la speranza<br />
EDITORE<br />
Centro Ambrosiano<br />
AUTORE<br />
Sara Perry<br />
TITOLO<br />
Knjiga o kavi<br />
EDITORE<br />
Algoritam<br />
AUTORE<br />
George Beahm<br />
TITOLO<br />
iSteve<br />
EDITORE<br />
Mladinska kniga