Mario Sansone, uomo e studioso - Biblioteca Provinciale di Foggia ...
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<strong>Mario</strong> <strong>Sansone</strong>, <strong>uomo</strong> e <strong>stu<strong>di</strong>oso</strong><br />
<strong>di</strong><br />
Giuseppe De Matteis<br />
<strong>Mario</strong> <strong>Sansone</strong> era un <strong>uomo</strong> instancabile: pur avendo 96 anni, stava<br />
ancora approntando una raccolta <strong>di</strong> saggi su Petrarca, Leopar<strong>di</strong> ed altri autori<br />
ed aspetti della nostra storia letteraria, che han visto poi la luce quest’anno<br />
presso la casa e<strong>di</strong>trice E.S.I. <strong>di</strong> Napoli con il bel volume Storicità e letteratura.<br />
Critico <strong>di</strong> grande statura umana e culturale, era nato a Lucera il 22 febbraio del<br />
1900 e si è spento a Roma il 2 gennaio 1996. Compì gli stu<strong>di</strong> secondari me<strong>di</strong>,<br />
superiori ed universitari a Napoli, dove si laureò con Francesco Torraca, illustre<br />
<strong>stu<strong>di</strong>oso</strong> <strong>di</strong> letteratura italiana, nel gennaio del 1922. Lucera fu sempre ritenuta<br />
da lui la sua “patria del cuore”: non nascondeva a nessuno le sue origini e il suo<br />
luogo <strong>di</strong> nascita ed era orgoglioso <strong>di</strong> essere daunio e <strong>di</strong> considerare Lucera, per<br />
le sue tra<strong>di</strong>zioni storiche e culturali, una delle città che meglio rappresenta la<br />
civiltà pugliese e meri<strong>di</strong>onale. <strong>Sansone</strong> era il decano dei professori universitari.<br />
Pochi anni fa, infatti, morì Gaetano Trombatore, altro grande italianista, <strong>di</strong> età<br />
avanzata anche lui; ad occupare il posto <strong>di</strong> <strong>Sansone</strong>, subito dopo la sua<br />
scomparsa, è stato un’altra vecchia quercia, un filologo <strong>di</strong> grande statura,<br />
Alberto Chiari.<br />
<strong>Sansone</strong> fu prima docente <strong>di</strong> letteratura italiana all’Università degli Stu<strong>di</strong><br />
<strong>di</strong> Bari, poi preside della Facoltà <strong>di</strong> Lettere e Filosofia nello stesso Ateneo fino<br />
al 1970. Visse abitualmente a Roma e fece parte <strong>di</strong> numerosi premi nazionali <strong>di</strong><br />
poesia e <strong>di</strong> narrativa, sempre come presidente (ricor<strong>di</strong>amo lo “Scanno”,<br />
abruzzese, il “Bozzini”, <strong>di</strong> Lucera; lo “Strizzi”, <strong>di</strong> Alberona e il “Palese”, <strong>di</strong><br />
Bari).<br />
Le aule universitarie baresi, negli anni 1960-70, erano letteralmente<br />
gremite <strong>di</strong> giovani quando egli teneva le sue lezioni: si <strong>di</strong>stingueva per chiarezza<br />
<strong>di</strong> linguaggio e precisione estrema intorno ai particolari delle opere dei vari<br />
poeti e scrittori da lui presi in esame. Tanti sono stati gli interessi del <strong>Sansone</strong><br />
critico: da Dante a Cuoco, da Galilei a Leopar<strong>di</strong>, da Petrarca a Pascoli, da<br />
Alfieri a Pirandello, dall’annosa questione della lingua, della quale si ricordano<br />
una sua bella lettura critica delle Prose della volgar lingua (1525)<br />
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del Bembo e il saggio sulle polemiche antitassesche della Crusca, ai sempre<br />
tormentati ed irrisolti problemi del rapporto tra letteratura italiana e letteratura<br />
<strong>di</strong>alettale, dove troviamo lo stu<strong>di</strong>o sul trattato Del <strong>di</strong>aletto napoletano dell’abate<br />
Galiani, fino alla ricostruzione del panorama storico-politico-culturale a Napoli<br />
del primo Ottocento (uscito come capitolo della Storia <strong>di</strong> Napoli). Delle altre<br />
opere commentate dal <strong>Sansone</strong> si ricordano le Poesie del Giusti (Milano, 1942) e<br />
la Gerusalemme liberata del Tasso (Bari, 1963).<br />
Delle altre sue opere, elenchiamo solo le più note, rinviando poi il lettore<br />
alla Bibliografia dei suoi scritti critici alla fine <strong>di</strong> questo nostro profilo: Vittorio<br />
Alfieri e la “Vita”, “Civiltà moderna”, X, 1938, n. l; Note critiche, Napoli, 1938;<br />
Saggio sulla storiografia manzoniana, Napoli, 1938; Religiosità e poesia in A. Manzoni,<br />
“Nuova Italia”, n. 10, 1938; La poesia giovanile <strong>di</strong> A. Manzoni, Milano-Messina,<br />
1941; L’“Aminta” <strong>di</strong> T. Tasso, Milano-Messina, 1941; Critica e poetica <strong>di</strong> Luigi<br />
Pirandello, “Antico e Nuovo”, n. 1, 1945; Introduzione allo stu<strong>di</strong>o della letteratura<br />
<strong>di</strong>alettale in Italia, Bari-Napoli, 1948; Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> storia letteraria, Bari, 1950; La critica<br />
postcrociana, “Cultura e scuola”, nn. 1, 2, 3, 1961/62; Leopar<strong>di</strong> e la filosofia del<br />
Settecento, nel volume miscellaneo Interpretazioni crociane, Bari, 1965; Prospettive della<br />
recente critica letteraria, “Rivista <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> crociani”, 1965, n. IV, 1966, n. I; La Puglia<br />
letteraria, in Puglia, Milano, 1966; Il canto XXI del “Purgatorio”, Firenze, 1966;<br />
Aspetti dell’interpretazione critica della “Conune<strong>di</strong>a” dal 1920 al 1965, in Dante e la<br />
Magna Curia, Firenze, 1966; Benedetto Croce critico, “Cultura e scuola”, n. 21, 1967;<br />
Di questa letteratura <strong>di</strong>alettale, “Dimensioni “, n. 1967, I; Il canto XXVII del<br />
“Para<strong>di</strong>so”, Firenze, 1968; Il canto XXXIII dell’“Inferno”, Roma, 1968; Letture e<br />
stu<strong>di</strong> danteschi, Bari, 1975. Notissima è la sua Storia della letteratura italiana, Milano-<br />
Messina, 1938, rie<strong>di</strong>ta più volte, sulla quale hanno stu<strong>di</strong>ato generazioni e<br />
generazioni <strong>di</strong> giovani. In epoca relativamente recente essa si era arricchita <strong>di</strong> un<br />
ampio capitolo sul Novecento, frutto <strong>di</strong> un’indagine rigorosa ed attenta sui<br />
problemi del Decandentismo europeo. Anche sul versante metodologico,<br />
comunque, la Storia del <strong>Sansone</strong> presentava aspetti nuovi nelle molte ristampe<br />
successive: l’impostazione rigorosamente estetica presente nella prinia e<strong>di</strong>zione si<br />
attenuava <strong>di</strong> volta in volta, sintonizzandosi sull’in<strong>di</strong>rizzo più vivamente storico<br />
degli ultimi decenni: da qui la sua cura costante “ai valori <strong>di</strong> storia della cultura,<br />
della lingua, delle poetiche, della retorica, verso i quali sembra decisamente<br />
orientato il gusto contemporaneo”, come <strong>Sansone</strong> stesso avverte nella<br />
Prefazione. La sua produzione critica abbraccia, come si può notare, quasi un<br />
sessantennio e più della sua vita, muovendosi su una linea crociana,<br />
costantemente orientata, però, alle sollecitazioni e alle aperture delle istanze<br />
storicistiche<br />
270
della critica letteraria contemporanea: a Benedetto Croce <strong>Sansone</strong> ha de<strong>di</strong>cato<br />
una parte del suo impegno <strong>di</strong> <strong>stu<strong>di</strong>oso</strong>, analizzando e valorizzando, a più<br />
riprese, in stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> vasto respiro, il ruolo e la funzione del critico abruzzese. La<br />
grande liberalità culturale e politica del <strong>Sansone</strong> scaturiva, infatti, proprio dalla<br />
frequentazione con il Croce, così attentamente stu<strong>di</strong>ato e <strong>di</strong>feso da lui contro il<br />
troppo rigido, a volte, schieramento storicistico e gramsciano <strong>di</strong> una cospicua<br />
schiera <strong>di</strong> critici letterari. Egli riusciva ad esser franco e partecipe, sempre, alle<br />
ragioni degli altri, <strong>di</strong>cendo pane al pane e vino al vino. Fu questa sua onestà<br />
intellettuale che gli permise <strong>di</strong> seguire il sorgere, l’affermarsi e lo svilupparsi<br />
della cultura italiana negli anni.<br />
L’opera <strong>di</strong> Dante, come del resto tutti i capolavori della letteratura, si è<br />
rivelata sempre un’inesauribile miniera per l’indagine <strong>di</strong> critici, filologi, eru<strong>di</strong>ti,<br />
filosofi, politici, storici e sociologi. A questo scandaglio non poteva non<br />
avvicinarsi anche un critico della statura <strong>di</strong> <strong>Mario</strong> <strong>Sansone</strong> con il volume Letture<br />
e stu<strong>di</strong> danteschi (Bari, De Donato, 1975). Nella sua lunga e illuininata attività <strong>di</strong><br />
critico letterario egli è ritornato a più riprese sulla figura e l’opera del grande<br />
trecentista. Il volume, offerto come omaggio al “Maestro” da parte dei suoi<br />
allievi, quasi tutti docenti presso l’Ateneo barese, in occasione del suo<br />
settantacinquesimo compleanno, accoglie una cospicua serie <strong>di</strong> lecturae Dantis<br />
che, come viene osservato nel risvolto <strong>di</strong> copertina, ricostruiscono dall’interno e<br />
nell’assidua fedeltà al testo, la complessa <strong>di</strong>namica della poesia della Comme<strong>di</strong>a:<br />
“l’in<strong>di</strong>stricabile unità <strong>di</strong>alettica che fonde in coerente unità semantica un’articolata<br />
varietà <strong>di</strong> strutture compositive e <strong>di</strong> linguaggio”.<br />
Per la vivacità intellettuale, per il sicuro senso <strong>di</strong> penetrazione esegetica e<br />
critica, per la finezza e il calore della <strong>di</strong>scussione, questo libro s’impone<br />
autorevolmente all’attenzione della critica, non rimanendo neppure oggi, a<br />
<strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> un ventennio e più dalla sua pubblicazione, estraneo al moderno<br />
<strong>di</strong>battito sul metodo della lettura del grande trecentista.<br />
La scelta <strong>di</strong> Dante come ripetuto oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o non è stato<br />
sicuramente fortuita per <strong>Sansone</strong>, ma va ricondotta ad un gusto e ad una<br />
significativa formazione personale chiaramente registrabile in queste pagine, in<br />
cui, muovendo da particolari problemi critici su cui l’autore pare voglia fare il<br />
punto, si approda ad una <strong>di</strong>samina “concettuale” degli aspetti umani e civili<br />
della poesia dantesca, non senza una certa traccia della lezione crociana, che<br />
induce il critico a sottolineare precise suggestioni estetiche”. Ma <strong>Sansone</strong> sa, <strong>di</strong><br />
volta in volta, tenere le <strong>di</strong>stanze dalle secche della rigida impostazione critica<br />
crociana e riesce, con felici esiti, a <strong>di</strong>rottare il proprio <strong>di</strong>scorso verso<br />
un’esemplare e corretta impostazione storicistica che, com’egli stesso osserva<br />
(Cfr. Premessa alla lettura del canto XXXIII dell’Inferno, p. 60), “non voglia<br />
271
essere salto assurdo e <strong>di</strong>menticato nel passato, non voglia ridurre il testo ad<br />
occasioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>vagazioni contemporanee”. C’è, insomma, nel <strong>Sansone</strong> un<br />
preciso impegno storicistico, che è alla base del suo metodo interpretativo, un<br />
costante desiderio <strong>di</strong> recuperare l’unità dei canti analizzati, stabilendo più strette<br />
e <strong>di</strong>namiche inter<strong>di</strong>pendenze fra parti poetiche e parti “allotrie”, tra ambienti e<br />
personaggi, tra sfon<strong>di</strong> ed episo<strong>di</strong> (Cfr., ad es., il canto X dell’Inferno, pp. 11-50).<br />
Nicola Valerio, recensendo l’opera (Cfr. “La Gazzetta del<br />
Mezzogiorno”, 29/2/1976), ha giustamente osservato che “La vali<strong>di</strong>tà [ ... ] del<br />
principio della unità della struttura e poesia è qui perseguita alla luce <strong>di</strong> una più<br />
duttile istanza speculativa e - ciò che più conta - al <strong>di</strong> là del tipo <strong>di</strong> lettura cui il<br />
Croce era solito sottoporre il testo dantesco: lettura rapso<strong>di</strong>ca che, a <strong>di</strong>spetto<br />
delle tenaci teorizzazioni, tendeva in genere all’isolamento delle parti più<br />
propriamente liriche”.<br />
Da questa corretta impostazione storicistica che mette al sicuro l’indagine<br />
critica da sperimentazioni arbitrarie e pericolose, il più delle volte deludenti,<br />
sono animati gli stu<strong>di</strong> che chiudono il volume, in particolare quello su Dante nelle<br />
culture regionali d'Italia, un lavoro assai originale e stimolante per nuove proposte<br />
critiche, che, oltre a costituire un vero e proprio “spaccato”, serve a dare anche<br />
un orientamento nuovo agli stu<strong>di</strong> regionali intesi a vagliare quale e <strong>di</strong> che entità<br />
sia stato il contributo <strong>di</strong> Dante alla “identificazione” delle civiltà regionali,<br />
un’operazione <strong>di</strong> tipo “etico”, come si vede, che mette finalmente in moto quel<br />
processo <strong>di</strong> circolazione e <strong>di</strong> amalgama <strong>di</strong> idee che, nell’ambito della civiltà delle<br />
lettere, è sempre presente, anche se agisce sotterraneamente, tra l’autore e<br />
l’epoca alla quale egli appartiene. “Sinora, insomma - osserva concludendo<br />
<strong>Mario</strong> <strong>Sansone</strong> -, in tale settore <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> [quello della cultura regionale appunto,<br />
sempre attentamente stu<strong>di</strong>ato da lui e relazionato con la realtà letteraria della<br />
nostra penisola], Dante è stato sempre, o quasi sempre, oggetto <strong>di</strong> ricerca, e<br />
invece ora si vorrebbe che egli, pur nell’ambito della ricerca stessa, fosse<br />
considerato come soggetto e protagonista: che non si cercasse soltanto come gli<br />
Italiani, a tutti i livelli, critica e popolo, abbiano visto, apprezzato, imitato<br />
Dante, ma in che modo il personaggio Dante, me<strong>di</strong>ante la sua opera, abbia<br />
agito sulla cultura degli Italiani, come e quando egli abbia contribuito a<br />
variamente conformarla, quali le ragioni, viste a parte subjecti, dei <strong>di</strong>agrammi<br />
spesso così <strong>di</strong>versi della sua ventura, quali le ragioni e i risultati della forza<br />
irraggiante della sua personalità nella letteratura, nella cultura in generale, e,<br />
anche, nella formazione civile”. (pp. 264-265).<br />
Al culmine della sua attività <strong>di</strong> <strong>stu<strong>di</strong>oso</strong> e <strong>di</strong> critico della letteratura<br />
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italiana, fra le più notevoli certamente per risultato e metodo <strong>di</strong> lavoro, <strong>Mario</strong><br />
<strong>Sansone</strong>, nel 1986, presso l’E<strong>di</strong>tore Principato <strong>di</strong> Milano - Messina, ripubblicò il<br />
fortunato libro L'opera poetica <strong>di</strong> Alessandro Manzoni, apparso la prima volta<br />
presso lo stesso e<strong>di</strong>tore nel 1941. Il critico avverte opportunamente il lettore,<br />
nella Prefazione, che ha ora “sfrondato, ridotto e tagliato molte delle analisi<br />
critiche, che allora avevano una funzione più illustratíva che <strong>di</strong>mostrativa, ed ho<br />
lasciato, con molta <strong>di</strong>screzione, solo le analisi che risultano parti integranti del<br />
ragionamento critico. Per il resto il libro è rimasto intatto” (p. 5), ossia non è<br />
stato aggiornato, perché si è voluto conservare “il sapore del suo tempo e cioè<br />
la contemporaneità con gli anni nei quali fu pensato e scritto”, conservando<br />
intatto anche il numero e la struttura dei capitoli. Sostanzialmente quest’opera<br />
sansoniana, in un clima dottrinario <strong>di</strong> stampo storicistico, intendeva affermare il<br />
carattere totalmente poetico de I Promessi Sposi, collocandoli al culmine della<br />
storia poetica del Manzoni, in una linea <strong>di</strong> svolgimento ampiamente ragionata,<br />
in cui anche l'Adelchi, che sembrava, per suggestione desanctisiana, l’opera<br />
poeticamente privilegiata, e le trage<strong>di</strong>e in genere, trovavano lor luogo come<br />
“momento <strong>di</strong> uno svolgimento <strong>di</strong> poesia che propendeva tutta verso l’aperta<br />
narrativa e verso la sua piena maturità, anche formale, nel romanzo” (Ibidem, p.<br />
6). Come può notarsi, questa tesi dei <strong>Sansone</strong> approdava a conclusioni<br />
decisamente opposte a quelle del Croce, ché quest’ultimo parlava de I Promessi<br />
Sposi come <strong>di</strong> una grande opera <strong>di</strong> parenetica religiosa.<br />
Altri due gran<strong>di</strong> problemi trattati in questo libro dal <strong>Sansone</strong> (che egli<br />
ripropone, del resto, in maniera identica anche in quest’ultima e<strong>di</strong>zione del<br />
1986) sono: il giansenismo manzoniano, “non affatto determinante per la<br />
valutazione artistica del romanzo”, dato che il Manzoni “si professò sempre<br />
cattolico obbe<strong>di</strong>entissimo all’insegnamento della Chiesa” (Ibid.., p. 7) e l’i<strong>di</strong>llio<br />
ne I Promessi Sposi, per il quale ultimo <strong>Sansone</strong> fu impropriamente considerato<br />
come il più entusiastico sostenitore del carattere i<strong>di</strong>llico del romanzo. Ma si<br />
trattò, avverte il critico, <strong>di</strong> un grosso equivoco, perché “per me la parola<br />
“i<strong>di</strong>llio” significava da un lato il ritmo tonale e totale del libro, nel senso che<br />
esso rappresentava un gran circolo drammatico <strong>di</strong> vita, che poi si ricomponeva<br />
nella serenità <strong>di</strong> creature che riprendevano il corso inesausto del vivere, e<br />
dall’altro, sul fondamento della intuizione cristianamente drammatica del<br />
Manzoni, ma anche dell’equilibrio sovrano con cui egli guardava a tutte le<br />
manifestazioni della vita, la rappresentazione degli umili, dei fanciulli, degli<br />
ignari, dei semplici, <strong>di</strong> quelli che stanno nella vita con piena innocenza e con<br />
cor<strong>di</strong>ale aderenza ad essa, obbedendo alla legge <strong>di</strong> Dio, ma senza scavare nelle<br />
sue profon<strong>di</strong>tà e senza guardare e conoscere gli abissi in mezzo ai quali corre<br />
273
l’esistenza...” (Ibid., p. 8). Ma la venerazione verso il grande scrittore lombardo è<br />
testimoniata ancora da <strong>Mario</strong> <strong>Sansone</strong> alcuni anni più tar<strong>di</strong>, nel 1993, quando<br />
egli, istancabile come sempre, pubblicò, presso Laterza <strong>di</strong> Bari, un denso<br />
volume sulla formazione culturale e letteraria del Manzoni in Francia. Il libro,<br />
intitolato Manzoni francese (1805-1810): dall'Illuminismo al Romanticismo, è una<br />
ricostruzione storica oculata dei <strong>di</strong>fficili anni parigini dello scrittore lombardo,<br />
tutto teso ad assorbire il meglio della cultura illuministica e romantica europea;<br />
l’opera costituisce un esempio <strong>di</strong> sobrietà intellettuale e <strong>di</strong> ricchezza <strong>di</strong> temi, che<br />
sanno articolarsi in una rete <strong>di</strong> solide percezioni, anche quando si <strong>di</strong>spongono<br />
nella <strong>di</strong>mensione della sfumatura e del particolare.<br />
Per illustrare meglio il suo lavoro <strong>di</strong> critico attento e perspicace,<br />
prenderemo in esame questa sua ultima fatica, dove, con un proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong><br />
ricostruzione storica precisa, viene seguito, passo passo, il tormentato itinerario<br />
della “svolta” letteraria, culturale ed esistenziale dell’Autore lombardo; <strong>di</strong> quei<br />
suoi anni vissuti cioè tra Milano e Parigi (1805-1810), a contatto con gli spiriti<br />
più illuminati (letterati e filosofi) del tempo, protesi tutti allo svecchiamento ed<br />
al rinnovamento romantici della stantia cultura neoclassica europea. Il <strong>Sansone</strong>,<br />
sollevandosi sui dati meramente biografici del Manzoni e investigando, invece, i<br />
passaggi piuttosto tortuosi e drammatici del suo svolgimento spirituale, colti<br />
attraverso l’analisi delle opere, è riuscito a dare una ra<strong>di</strong>ografia abbastanza<br />
illuminante e persuasiva <strong>di</strong> alcuni importanti momenti del soggiorno parigino<br />
del Manzoni: i suoi rapporti, dopo la morte dell’Imbonati, con la madre Giulia,<br />
con lo storico Fauriel, le dotte conversazioni con i cosiddetti “ideologi”,<br />
l’impegno poetico, <strong>di</strong> stampo neoclassico ma sostanziato <strong>di</strong> forte tensione<br />
morale, che produce il Carme in morte dell’Imbonati, o la traduzione della<br />
Parthenais del danese Baggesen, o l’incompiuta Vaccina, o l’Urania, levigata e<br />
perfettissima nella forma; infine, il matrimonio con Enrichetta Blondel, molto<br />
più giovane <strong>di</strong> lui, e la conversione religiosa.<br />
Ma i sondaggi operati da <strong>Mario</strong> <strong>Sansone</strong> in quest’ultimo suo libro si<br />
muovono anche in altre <strong>di</strong>rezioni, sempre con meticolosità <strong>di</strong> ricerca e con<br />
rigore critico: la rilettura, ad esempio, della famosa lettera al Fauriel del 9<br />
febbraio 1806; le conversazioni manzoniane con lo storico francese sui<br />
problemi storici, poetici; sui generi letterari; la ricerca affannosa <strong>di</strong> una poesia<br />
che fosse preciso rispecchiamento della realtà, della verità, <strong>di</strong> una verità,<br />
beninteso, <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne psicologico, che traducesse quell’ansia <strong>di</strong> giustizia e <strong>di</strong><br />
assoluto, che sono una costante aspirazione dell’<strong>uomo</strong>; l’importanza della<br />
poesia i<strong>di</strong>llica sostenuta dal Fauriel nelle Réflexions, “premesse - come ha<br />
giustamente osservato Michele Dell’Aquila, recensendo l’opera <strong>di</strong> <strong>Sansone</strong><br />
274
(cfr. ‘La Gazzetta del Mezzogiorno’, 30 marzo 1993) - alla traduzione francese<br />
della Parthenais, idee “belles et neuves” che, pubblicate nel 1810 e rimaste<br />
lungamente sconosciute in Italia, saranno finalmente lette con interesse nel<br />
contesto della polemica classico-romantica, costituendo un valido contributo al<br />
rinnovamento delle poetiche, così come erano state a suo tempo suggestive nel<br />
18 10 per il Manzoni ancora ‘francese’: esempio non insignificante dell’anticipo<br />
<strong>di</strong> Alessandro rispetto alla schiera <strong>di</strong> tutti i romantici nostrani”.<br />
A giungere postumo, nel marzo <strong>di</strong> quest’anno, è stato il volume<br />
miscellaneo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>, Storicità e letteratura. Da Machiavelli a Leopar<strong>di</strong> (Napoli,<br />
E.S.I.), curato dal figlio, prof. Giuseppe, titolare <strong>di</strong> Filologia Romanza nella<br />
Facoltà <strong>di</strong> Lettere della Terza Università <strong>di</strong> Roma. L’opera comprende un<strong>di</strong>ci<br />
saggi critici, già apparsi in note riviste culturali e letterarie nazionali, nei quali<br />
sono affrontati vari argomenti relativi ad autori e problemi fra il Cinquecento e<br />
la prima metà dell’Ottocento. L’indagine spazia in varie <strong>di</strong>rezioni: da alcune<br />
Osservazioni intorno al capitolo XI del "Principe " <strong>di</strong> Machiavelli a Galileo letterato; dalla<br />
Lettura delle "Donne gelose", <strong>di</strong> Carlo Goldoni, alla Conversazione sul soggetto delle<br />
"Lettere accademiche", <strong>di</strong> Antonio Genovesi; da una gustosa Nota sui favolisti del<br />
Settecento, ad alcune illuminanti ipotesi sulla Vita dell’Alfieri, dal Platone in Italia,<br />
<strong>di</strong> Vincenzo Cuoco, alla poesia “ilichiastica”, del Romagnosi; dal Petrarca e il<br />
petrarchismo nella poetica romantica, ad una rilettura del Marchese Gargallo, per<br />
concludere con il corposo, fondamentale saggio, ancora oggi <strong>di</strong> grande<br />
attualità, su Leopar<strong>di</strong> e la filosofia del Settecento, apparso la prima volta negli Atti del<br />
I Convegno Internazionale <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> leopar<strong>di</strong>ani, Recanati, 1962.<br />
Il tratto più significativo <strong>di</strong> questo libro è nella matrice metodologica,<br />
cioè nella prospettiva storicistica, “sempre ripensata - come giustamente avverte<br />
Giuseppe <strong>Sansone</strong> nella Premessa - personalmente e consistentemente rivissuta<br />
con autonomia [ ... ]. Una matrice operosa e proficua, tale che il <strong>di</strong>segno del<br />
<strong>di</strong>venire culturale, osservato in tutte le componenti e assai spesso con forte<br />
richiamo al sostrato filosofico, comportasse <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>care l’atto creativo nel vero<br />
della sua storia, senza travisarne, e anzi confermandone, l’assolutezza” (p. 7).<br />
<strong>Mario</strong> <strong>Sansone</strong> si preoccupava sempre che accanto all’“impero della storia”<br />
vivesse l’“intatto dominio della poesia”, considerato che la produzione poetica<br />
“vive e si svolge”, come affermava il Croce, nella storia, appartiene cioè ad<br />
essa; è, però, fuori della storia “nella sua assolutezza, in quanto poesia”.<br />
Finissime e precise, analizzate con uno sguardo d’insieme assai rapido ma<br />
comprensivo dell’intera materia trattata, risultano, per esempio, le osser-<br />
275
vazioni sui “favolisti” del Settecento: “dalla vivezza toscana - osserva <strong>Mario</strong><br />
<strong>Sansone</strong> - e dall’arguzia leggera del Pignotti alla misuratezza elegante e talora<br />
incisiva del Crudeli e alla grazia gentile del Fiacchi, dalla cor<strong>di</strong>alità affettuosa e<br />
<strong>di</strong>vertente del Passeroni alla leziosaggine arca<strong>di</strong>ca del Roberti, alla mùtria<br />
moralistica del Pèrego, alle pretese epigrammatiche del Bertòla, dalla<br />
compostezza signorile e dalla bonarietà mezzana dei Goffi al motteggio<br />
vernacolo <strong>di</strong> Francesco Gritti” (p. 95).<br />
Solo uno dei nostri favolisti ebbe, però, il dono della poesia e fu - <strong>di</strong>ce<br />
<strong>Sansone</strong> -Giovanni Meli: “non c’è trama tra<strong>di</strong>zionale ed antica che non si<br />
ravvivi nelle sue mani, e non solo perché egli ebbe il gusto della campagna e<br />
rivisse come pochissimi il mondo primitivo ed i<strong>di</strong>llico [ ... ], ma perché sentì gli<br />
animali come creature viventi con un loro modo particolare <strong>di</strong> apprezzare e<br />
patire la vita; con un’in<strong>di</strong>viduata temperanza <strong>di</strong> sopportazione e <strong>di</strong> ironia, <strong>di</strong><br />
bonomia arguta e <strong>di</strong> sapienza mezzana, e con un senso concretissimo<br />
dell’esperienza [ ... ]; le favole [nel Meli] non possono <strong>di</strong>ventar poesia [se non<br />
trasformandosi] in miti <strong>di</strong> un concreto sentire umano: [egli] proietta il modo <strong>di</strong><br />
sentire la vita [ ... ] nel regno dei suoi animali, che <strong>di</strong>segna poi con una vivacità<br />
<strong>di</strong> scorcio e con un’evidenza che è cosa assai rara in tutta la nostra poesia del<br />
Settecento” (p. 98).<br />
La schietta natura del Meli, colta nella freschezza delle sue immagini<br />
tradotte in un <strong>di</strong>aletto che della lingua conserva le forme e la sintassi, viene,<br />
come si può notare, chiaramente evidenziata nell'analisi <strong>di</strong> <strong>Mario</strong> <strong>Sansone</strong>, che si<br />
sofferma sulla limpida descrizione dei paesaggi e della vita animale, colti<br />
nell’imme<strong>di</strong>atezza verbale dei loro suoni e colori.<br />
Il canto dell’autore siciliano si vivifica e <strong>di</strong>venta luminoso quando la<br />
corrispondenza tra materia e parola è perfetta per la spontanea adesione al<br />
sentire del poeta. E’ la parola che trova sempre in lui i suoi giusti toni nella<br />
rappresentazione del paesaggio e delle scene campestri, superando la<br />
convenzionalità fredda ed artificiosa dei paesaggi arca<strong>di</strong>ci: per questo il Meli fu<br />
definito un “arcade puro”, un teocriteo della natura.<br />
Ma <strong>di</strong> questo libro postumo del <strong>Sansone</strong> è necessario accennare anche<br />
allo stu<strong>di</strong>o su Leopar<strong>di</strong> e la.filosofia del Settecento, dove il critico <strong>di</strong>segna un ampio<br />
quadro degli influssi filosofici dell’età dei lumi sulla formazione intellettuale del<br />
grande recanatese. <strong>Sansone</strong> ritiene non sia possibile parlare <strong>di</strong> originalità o meno<br />
della “filosofia” leopar<strong>di</strong>ana; a lui interessa principalmente vedere “quanto [in<br />
Leopar<strong>di</strong>] abbiano agito le premesse del pensiero settecentesco [ ... ], vedere<br />
cioè se il pensiero, la forma mentis [dell’età illuministica] abbiano avuto efficacia, e<br />
sino a qual punto, nel costituirsi dell’ingegno e del “sistema” leopar<strong>di</strong>ani” (p.<br />
208). Certo è che - sostiene <strong>Sansone</strong><br />
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- “non v’è impostazione mentale, non c’è idea, non c’è fondamento dottrinario<br />
in Leopar<strong>di</strong> che non sia <strong>di</strong> impostazione settecentesca” (p. 209). E dal pensiero<br />
settecentesco Leopar<strong>di</strong> assunse prima <strong>di</strong> tutto la concezione della realtà come<br />
materia; una visione gnoseologica, dunque, decisamente empiristica e sensistica,<br />
che si nutre anzitutto del pensiero <strong>di</strong> Locke, poi degli Ideologi, specie Cabanis e<br />
Destutt de Tracy, seguaci del Con<strong>di</strong>llac. Dove, però, il carattere settecentesco<br />
del pensiero leopar<strong>di</strong>ano rifulge maggiormente è “nella sua etica e nel connesso<br />
gusto analitico delle passioni e dei sentimenti. Edonismo, egoismo (o, per<br />
meglio <strong>di</strong>re, morale dell’amor <strong>di</strong> sé o amor proprio), concezione della persona<br />
umana come in<strong>di</strong>viduo e conseguente concezione antisociale, sono i car<strong>di</strong>ni<br />
della morale leopar<strong>di</strong>ana [ ... ] ai quali […] egli si tenne costantemente fedele”<br />
(p. 216). Il critico si sofferma, poi, sulla teoria del piacere, sostenendo che non<br />
c’è pagina leopar<strong>di</strong>ana in cui non si ripeta che “il fine che si propone l’<strong>uomo</strong> è<br />
la felicità” e che questa s’identifica con il piacere.<br />
Da cosa si origina allora la nostra infelicità Sicuramente dalla<br />
contrad<strong>di</strong>zione che è in noi tra l’insopprimibile desiderio <strong>di</strong> felicità e<br />
l’impossibilità <strong>di</strong> poterla conseguire. E questa la “teoria del piacere”, che nel<br />
Leopar<strong>di</strong> va proiettata sempre nella <strong>di</strong>mensione dell’attesa e del ricordo e mai<br />
nel presente; inoltre, il desiderio <strong>di</strong> felicità, con il conseguente pessimismo, la<br />
psicologia, il bisogno delle illusioni prodotte dall’immaginazione, del rifugio nel<br />
passato e nel ricordo, nell’abbandono e nell’oblìo, nella molteplicità e mobilità<br />
delle sensazioni per sottrarsi alla noia, sono tutti motivi che si richiamano alle<br />
dottrine ideologiche e sensistiche del Settecento.<br />
E sensismo anche il non riconoscere il cosiddetto progresso, e il ritenere<br />
che la cultura accresca l’infelicità, <strong>di</strong>leguando le illusioni e attenuando la<br />
coscienza morale. Ma il Leopar<strong>di</strong> può essere visto come un filosofo, si<br />
domanda alfine <strong>Sansone</strong> Ritenerlo tale, sarebbe come soffocare la sua vera<br />
natura, che è <strong>di</strong> grande poeta. Per intendere pienamente il suo messaggio è<br />
necessario tener presente la leopar<strong>di</strong>anamente consumata filosofia del<br />
Settecento”(p. 258): senza questa ere<strong>di</strong>tà, senza questo retroterra culturale - <strong>di</strong>ce<br />
<strong>Sansone</strong> - la poesia leopar<strong>di</strong>ana resterebbe “incornprensibile”. E’ chiaro come il<br />
nostro critico, pur riven<strong>di</strong>cando il necessario supporto della filosofia<br />
settecentesca ad una più esatta comprensione della visione pessimistica della vita<br />
e del mondo in Leopar<strong>di</strong>, volesse sottintendere implicitamente la reazione<br />
dell’anima del poeta alla natura onnipossente e <strong>di</strong>sumana, non soggiacendo ad<br />
essa, ma dominandola con una sua ultrafilosofia, che è l’ispirazione vera dei<br />
suoi Canti.<br />
Il pensiero è sì importante in un poeta, ma ciò che più conta - sembra<br />
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ci suggerisca <strong>Sansone</strong> - è il sentimento che il poeta ha <strong>di</strong> quel pensiero, la vita<br />
intima <strong>di</strong> cui esso palpita, il tono, il colore che acquista per ingenua virtù e con<br />
l’ausillo della tecnica della lingua e dello stile. Interessante è anche l’osservazione<br />
finale del <strong>Sansone</strong>, che vede proiettato il Leopar<strong>di</strong> verso la poesia del<br />
Novecento: “questo [suo] voler sapere, questo chiedere <strong>di</strong> conoscere che cosa è<br />
il mondo e il perché delle cose questo tristissimo senso del tempo, e il senso<br />
dell’infinito ad esso connesso” legano, infatti, il poeta al “secolo nuovo e all’età<br />
contemporanea” (pp. 258-259).<br />
Da questa e da altre indagini del <strong>Sansone</strong> scaturisce, come si può notare,<br />
un modo assai personale <strong>di</strong> fare critica, una sua <strong>di</strong>sposizione cioè molto umana<br />
<strong>di</strong> avvicinarsi alle res, quasi una <strong>di</strong>mensione etica <strong>di</strong> savio accostamento alla vita<br />
e al mondo. E’ una sua qualità inconfon<strong>di</strong>bile, presente in tutto il suo lungo<br />
itinerario critico, che si è sempre imposta all’attenzione e all’ammirazione <strong>di</strong> tutti<br />
sia nella sua <strong>di</strong>samina critica scritta, che nell’ appassionato suo modo <strong>di</strong><br />
conversare con gli amici oppure dalla cattedra universitaria: un modo <strong>di</strong> far<br />
dottrina che si sostanzia <strong>di</strong> cultura e <strong>di</strong> umanità soprattutto, due note <strong>di</strong>stintive<br />
assai rare a trovarsi oggi, anche nello stesso mondo accademico.<br />
<strong>Mario</strong> <strong>Sansone</strong> è stato un vero maestro <strong>di</strong> pensiero e <strong>di</strong> vita. Con la sua<br />
scomparsa, la cultura pugliese e quella nazionale hanno subìto davvero una<br />
grave per<strong>di</strong>ta*.<br />
_______________<br />
* - Un esame critico della sua attività, con essenziali in<strong>di</strong>cazioni bibliografiche è<br />
quello <strong>di</strong> A. LEONE DE CASTRIS, <strong>Mario</strong> <strong>Sansone</strong>, in LETTERATURA ITALIANA. I<br />
Critici, V, Milano, Marzorati, 1969, pp. 3547-3566. Per il periodo successivo, fino agli anni<br />
'80, risultano utili le in<strong>di</strong>cazioni contenute ne “La RICERCA”, n. 2 (Schedario delle attività<br />
e delle pubblicazioni, 1965-'80 - Istituto <strong>di</strong> letteratura e filologia moderna - Facoltà <strong>di</strong><br />
Magistero - Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Bari), Bari, 1980, pp. 28-39 e M. <strong>Sansone</strong>, Repertorio<br />
bibliogra.fico generale, in OMAGGIO a <strong>Mario</strong> <strong>Sansone</strong>, Napoli, A.B.C., 1995, pp. 69-79.<br />
Dopo la morte, a ricordarne la figura e l’opera, su riviste letterarie e quoti<strong>di</strong>ani sono<br />
intervenuti vari stu<strong>di</strong>osi. Ne segnaliamo solo alcuni: F. TATEO, “La Gazzetta del<br />
Mezzogiorno”, 4/1/1996; IDEM, “Archivio storico pugliese”, a. XLIX (1996), pp. 227-<br />
228; N. BLASI, “Il Mattino”, 4/1/1996; G. DE MATTEIS, “Voce <strong>di</strong> Popolo”,<br />
6/1/1996; IDEM, “Il Rosone”, n. 6, novembre-<strong>di</strong>cembre 1996; M. DELL’AQUILA in<br />
RICORDO <strong>di</strong> <strong>Mario</strong> <strong>Sansone</strong>, a cura <strong>di</strong> A. CALABRIA e M. URRASIO, Lucera, 1977<br />
(Quaderni della Famiglia Dauna <strong>di</strong> Roma, 25).<br />
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