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I racconti dei “BATTUTI” n.° 5 di Fabio Metz - Associazione ...

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I <strong>racconti</strong><br />

<strong>dei</strong> “Battuti”<br />

FERRUCCIO<br />

MARONESE<br />

L’ORGANISTA<br />

DEL DUOMO<br />

<strong>di</strong> <strong>Fabio</strong> <strong>Metz</strong><br />

a cura del CENTRONOVE<br />

Circolo Aziendale Ospedaliero<br />

<strong>di</strong> San Vito al Tagliamento<br />

n. 5 - Dicembre 2012


El picolo nio<br />

Pare, xe ora,<br />

tira a bordo le sime:<br />

za s'alza la buora<br />

e vien le luse prime.<br />

Bisogna salpâ:<br />

vol tenpo per la traversada;<br />

arivemo in rada<br />

a la fin de l'istà.<br />

Ninte ne dà sto porto,<br />

marsise el bastimento<br />

se no l'ha vele al vento<br />

e mar sul bocaporto.<br />

Za le stele svanisse<br />

e l'alba se vissina,<br />

soto le refolade fisse<br />

la barca s'incamina.<br />

(B. Marin, 1969)<br />

Ferruccio Maronese, l'organista del duomo <strong>di</strong><br />

San Vito, ha lasciato il suo «piccolo nio», la mattina<br />

del 25 giugno 2001. Anche lui quasi <strong>di</strong> certo<br />

in accordo con il poeta: «Niente ne dà sto porto,<br />

/ Marsise el bastimento / se no l'ha vele al vento<br />

/ e mar sul bocaporto». Da quell'ad<strong>di</strong>o, che ancora<br />

mi (ci) pesa sul cuore, muove questa nota che<br />

biografia assolutamente non vuole e non può<br />

essere. Ma solo ricordo, rimpianto, omaggio


devoto, prima che il tempo, inesorabile e feroce,<br />

tutto abbia a trascolorare ed a confondere.<br />

Il <strong>di</strong>fficile xe scuminsiar. Se te scuminsi benon,<br />

il resto te vien più fasile. Mi <strong>di</strong>ceva il maestro. Ora<br />

che non c'è più, giusto per farmi coraggio per<br />

cominciare, mi sono fatto accompagnare dal<br />

"sussurro" <strong>di</strong> Biagio Marin e cullare, nelle lunghe<br />

ore del dopo cena e fino a notte, dal Requiem <strong>di</strong><br />

W. A. Mozart e però anche dalla melo<strong>di</strong>a gregoriana<br />

della Missa defunctorum, proprio quella che<br />

un giovanissimo Ferruccio quasi tutte le mattine<br />

accompagnava con l'organo nella sua parrocchiale<br />

<strong>di</strong> Pravisdomini. Le righe che seguono sono il<br />

risultato <strong>di</strong> un <strong>di</strong>alogo paragonabile, se la proposta<br />

non apparisse blasfema, a quello che Nicolò<br />

Machiavelli intesseva, alla sera, con i suoi autori<br />

classici a San Casciano (1513). Un <strong>di</strong>alogo protratto<br />

per più anni, poi che incominciato, e poi<br />

garantito alla committenza e poi più volte interrotto.<br />

A motivo del fatto che la scrittura ben spesso<br />

si interrompeva <strong>di</strong> fronte agli occhi ed al sorriso<br />

ironici del maestro. E perciò tutto si faceva<br />

faticoso, lentissimo, alla rincorsa, alle volte affannata,<br />

<strong>di</strong> un personaggio complesso, costruitosi<br />

juxta modum che è come a <strong>di</strong>re fatto a modo suo.<br />

Era fisicamente fragile il maestro. La fragilità,<br />

pare almeno a me, essere la qualità che meglio<br />

viene a definirne l'aspetto esteriore tanto egli era<br />

mingherlino. Eppure su tutta quella ridotta struttura<br />

corporea da subito colpiva il volto incorniciato<br />

da abbondante capigliatura - a seconda del<br />

trascorrere del tempo nera e quin<strong>di</strong> brizzolata ed<br />

alla fine bianca - ed avvivato da due pupille scure,<br />

mobilissime, puntute, in qualche caso <strong>di</strong> una<br />

inquisitorialità attenta e persino spietata, ed in<br />

altro <strong>di</strong> una attenzione al problema in esame concentratissima,<br />

ed in altro ancora <strong>di</strong> un abbandono<br />

gioioso, totale e coinvolgente al <strong>di</strong>scorrere tra<br />

amici, ma pure tra personaggi occasionalmente<br />

incontrati. Al <strong>di</strong> sotto degli occhi si apriva la<br />

bocca. Una sorta <strong>di</strong> taglio che si <strong>di</strong>stendeva <strong>di</strong> tra<br />

le due piccole rilevanze delle guance. Mobilissima


e, <strong>di</strong> volta in volta, chiamata a commentare - sino<br />

ad atteggiarsi in una sorta <strong>di</strong> piccola smorfia o<br />

con lo sporgere del labbro inferiore - quanto egli<br />

andasse <strong>di</strong>scutendo onde la formulazione del suo<br />

pensiero, oltre che con le orecchie, si riusciva a<br />

leggere da subito negli occhi e nella piega delle<br />

labbra.<br />

E debbo confessare come, nel mentre vengo<br />

scrivendo queste righe, mi accada <strong>di</strong> inseguirlo<br />

con lo sguardo intanto che scendeva lungo via<br />

Panteleoni da casa oppure quella strada ripercorreva<br />

per rientrare in famiglia, con quel suo andare<br />

<strong>di</strong>noccolato il cui ritmo era assicurato da un<br />

piede puntato ad oriente e l'altro ad occidente. Le<br />

braccia penzoloni. E poi anche alzate, o l'una o<br />

l'altra o tutte e due, nel gesto del saluto. A doman.<br />

Sì, a domani, maestro.<br />

Con l'aspetto esteriore, mi pare, in maniera<br />

imprescin<strong>di</strong>bile si debba coniugare la pressoché<br />

costante rinuncia, da parte del maestro, al pronome<br />

personale <strong>di</strong> prima persona singolare: «io»<br />

(mi, nel <strong>di</strong>aletto in cui costantemente amava<br />

esprimersi). Sapeva <strong>di</strong> esserci, ma la vita gli aveva<br />

insegnato quanto fosse pericoloso schierarsi in<br />

prima fila. Non per vigliaccheria, ma per l'aver<br />

compreso, credo, ben presto, quanto complesso<br />

fosse il tessuto sociale all'interno del quale gli era<br />

toccato in sorte <strong>di</strong> vivere. E quanto <strong>di</strong>fficile fosse<br />

il convivere. Per cui l'impancarsi a tribuni oppure<br />

a giu<strong>di</strong>ci voleva <strong>di</strong>re prendere atto <strong>di</strong> quante<br />

fossero le teste con cui venire a confronto. Ma,<br />

nel contempo, pure dubitare delle proprie.<br />

Siccome, credo, confermatogli dalla frequentazione<br />

musicale, in veste <strong>di</strong> esecutore, con i gran<strong>di</strong><br />

musicisti, in primis, J. S. Bach, che egli ha sempre<br />

sentiti quali in<strong>di</strong>scussi maestri <strong>di</strong> cui farsi<br />

fedelissimo esecutore. Il rapporto con la partitura<br />

<strong>dei</strong> gran<strong>di</strong>, annullava o comunque <strong>di</strong> molto riduceva,<br />

in qualche misura, il terreno della propria<br />

autonomia che poteva trovare spazio nello sforzo<br />

interpretativo. Ma che era e rimaneva pur sempre<br />

un'operazione strettamente personale e chiusa nel


perimetro del respiro in<strong>di</strong>viduale. Un respiro che<br />

il suo silenziosissimo «io» custo<strong>di</strong>va gelosamente.<br />

Un uomo - ancora una volta - juxta modum,<br />

per <strong>di</strong>re non facile. E perciò, per me, fascinoso. Al<br />

quale non sono mai riuscito a dare, se non per<br />

sbaglio, del «tu»; siccome invece; e da subito, o<br />

quasi, mi era riuscito con la Marilù (mi perdoni,<br />

signora maestra Maria Luisa Dean in Maronese,<br />

se mi permetto <strong>di</strong> chiamarti a questo modo). E<br />

non riesco a spiegare questa mia scelta se non<br />

ripensando al fatto che il maestro mai mi ha sollecitato,<br />

come altri invece tra i molti che ho<br />

incontrato sui miei passi, ad usare nei suoi confronti<br />

questo pronome confidenziale, ma soprattutto<br />

era a me che tornava naturale stabilire questa<br />

sorta <strong>di</strong> rispettosa <strong>di</strong>stanza con un uomo che<br />

aveva la possibilità <strong>di</strong> accedere a quelle stanze<br />

della musica che a me, man mano che il tempo<br />

passava, <strong>di</strong>ventavano sempre più <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficile accesso.<br />

E che pertanto, non potevo che guardare da<br />

lontano.<br />

Veniva da lontano, il maestro e credo abbia<br />

sempre mantenuta questa sua lontananza che va<br />

al <strong>di</strong> là del perimetro delle fosse citta<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> San<br />

Vito al Tagliamento. Si deve necessariamente<br />

muovere dalla piccola Pravisdomini, da poco<br />

uscita dalla Prima Grande Guerra nella quale da<br />

Sante e Pigat Teresa nasceva il 15 aprile 1927, e<br />

quin<strong>di</strong>ci giorni dopo veniva battezzato dal parroco<br />

don Silvio Bomben, Ferruccio. Già altri otto<br />

fratelli e sorelle lo avevano preceduto e lui era il<br />

nono venuto, per ultimo, a godere della luce <strong>di</strong><br />

questo mondo.<br />

Erano tempi e luoghi <strong>di</strong>fficili, annate magre,<br />

avara la terra che il padre coltivava. Stagionalmente<br />

Sante emigrava in Germania per assicurare<br />

il necessario a quelli <strong>di</strong> casa. Onde in quinta<br />

elementare, il giovanissimo Ferruccio, si vantava<br />

coi con<strong>di</strong>scepoli <strong>di</strong> contare fino a cinque in tedesco.<br />

E intanto le sorelle, tra un funerale e l'altro,<br />

si ingegnavano a servire presso famiglie private<br />

onde garantirsi una dote per il giorno del matri-


monio. Anni <strong>di</strong>fficili, si <strong>di</strong>ceva. Durante i quali,<br />

inopinatamente incompresa dal fratello maggiore<br />

- tranne che da papà Sante che ne avrebbe <strong>di</strong>feso<br />

la scelta "musicale" sino alla fine - veniva maturando<br />

in quel ragazzino quella sua strana passione:<br />

travolgente e, proprio perché tale, ai più<br />

incomprensibile, per la musica.<br />

È un adolescente Ferruccio che, dopo la frequenza<br />

alle scuolucce musicali ceciliane istituite<br />

in ambito <strong>di</strong>ocesano, nel 1942 si iscriverà al<br />

Conservatorio Musicale Benedetto Marcello <strong>di</strong><br />

Venezia: un quin<strong>di</strong>cenne, con la sola licenza elementare,<br />

che dal piccolo suo borgo, si affacciava,<br />

con intuibile timidezza, alla città lagunare. Pochi<br />

o con pochissimi spiccioli, quelli guadagnati suonando<br />

le messe da morto la mattina presto nella<br />

parrocchiale <strong>di</strong> Pravisdomini e qualche cos'altro<br />

allungatogli da papà Sante, da un lato; un'Italia<br />

che era appena entrata in guerra dall'altro. In<br />

mezzo un adolescente armato <strong>di</strong> una volontà <strong>di</strong><br />

ferro. Mi raccontava un collega che ha fatto scuola<br />

con me, e che aveva frequentato, in quegli anni<br />

contemporaneamente al maestro, l'Accademia<br />

delle Belle Arti in Venezia (oggi purtroppo passato<br />

lui pure a miglior vita), <strong>di</strong> come il giovane<br />

Ferruccio si adattasse a lavare i piatti per un piatto<br />

<strong>di</strong> minestra nel mentre lui, per ottenere analogo<br />

trattamento, andasse schizzando su certi suoi<br />

fogli paesaggi lagunari e gondoline e ponti e<br />

palazzetti della Dominante.<br />

Si <strong>di</strong>plomerà il maestro con lusinghieri risultati,<br />

dopo aver superato, alle soglie del nono anno<br />

<strong>di</strong> frequenza al conservatorio un'infezione gravissima<br />

e lunghissima motivata dalla febbre maltese,<br />

nella sessione estiva dell'anno scolastico 1953-<br />

1954. Nel corso dello stesso anno approderà in<br />

San Vito al Tagliamento con il titolo <strong>di</strong> maestro<br />

d'organo del duomo citta<strong>di</strong>no. Questo trasferimento,<br />

in termini spaziali piuttosto ridotto, ma<br />

in una prospettiva psicologica, prima che professionale,<br />

<strong>di</strong> una valenza tutta particolare, sarebbe<br />

stato vissuto dal maestro quale un nuovo inizio<br />

della propria vita, la fine <strong>di</strong> una <strong>di</strong>fficile battaglia


per la sopravvivenza. Lo ripeteva, pur <strong>di</strong> raro, con<br />

una <strong>di</strong>sarmante semplicità. Ma ecco: la sopravvivenza<br />

era per lui non un fatto <strong>di</strong> natura fisiologica:<br />

ad accontentarsi <strong>di</strong> poco era avvezzo. Per il<br />

giovane maestro invece sopravvivere era finalmente<br />

poter far musica, a tempo pieno.<br />

Nonostante con<strong>di</strong>zioni logistiche, professionali<br />

ed economiche non ottimali. Quasi <strong>di</strong> fortuna:<br />

un letto in una sorta <strong>di</strong> ridotto ricettacolo ricavato<br />

nel sottotetto dell'oratorio parrocchiale (che la<br />

domenica pomeriggio doveva con<strong>di</strong>videre con<br />

l'arbitro chiamato a regolare la partita della squadra<br />

dell'oratorio, la mitica "Astra"), pressoché<br />

contigua a quella in cui la Tunina, zia del cappellano<br />

dell'epoca, don Angelo Pan<strong>di</strong>n, alllevava<br />

alquante rumorose gallinelle; l'obbligo <strong>di</strong> suonare<br />

in duomo tutte le domeniche e feste ed accompagnare,<br />

per giunta, i vespri delle solennità anche<br />

presso la chiesa del Monastero della Visitazione e<br />

la cappella dell'ospedale; darsi da fare per istruire,<br />

con prove multiple e faticate, la corale della parrocchia.<br />

In cambio poteva contare su lire 20.000<br />

mensili e sulla garanzia <strong>di</strong> un pranzo e <strong>di</strong> una<br />

cena quoti<strong>di</strong>ani presso la locale Casa <strong>di</strong> Riposo.<br />

Durante quei giorni, galeotti furono gli scacchi <strong>di</strong><br />

cui era appassionato Dean, fratello <strong>di</strong> Marilù e<br />

che piacevano pure alla mentalità fortemente<br />

razionale del maestro. Da cosa, si sà, nasce cosa.<br />

Il maestro cominciava a frequentare casa Dean.<br />

In quelle stanze, caratterizzate da una costante e<br />

cor<strong>di</strong>ale accoglienza, incontrava una ventiduenne<br />

Marilù dagli stror<strong>di</strong>nari occhi ver<strong>di</strong>. Nel settembre<br />

del 1956 si sposano con la bene<strong>di</strong>zione <strong>di</strong><br />

monsignor Pietro Corazza e con l'accompagnamento<br />

musicale <strong>di</strong> don Gianni Lavaroni e la presenza<br />

della corale <strong>di</strong>retta da Piero Fogolin.<br />

Dall'incontro prenderà l'avvio quella che il maestro<br />

considererà sempre la sua gloria e la sua corona<br />

costituita dai propri figli e figlie: Piero (1957),<br />

Fabrizia (1958), Flavia (1960), Luciana (1961),<br />

Cristiana (1964).<br />

Nel 1957, con un piazzamento <strong>di</strong> straor<strong>di</strong>naria<br />

eccezionalità (il primo fra i <strong>di</strong>eci <strong>di</strong> una marea


<strong>di</strong> concorrenti) vinceva una cattedra per l'insegnamento<br />

<strong>di</strong> Educazione Musicale nelle scuole<br />

me<strong>di</strong>e <strong>di</strong> grado inferiore. Era la sistemazione definitiva<br />

che metteva fine, per lui, ad una prospettiva<br />

precaria quale poteva essere quella <strong>di</strong> organista<br />

della parrocchiale sanvitese. Fu così che dal 1957<br />

al 1960 veniva incaricato <strong>di</strong> insegnare all'Istituto<br />

Pacifico Valussi <strong>di</strong> U<strong>di</strong>ne, dal 1961 al 1968 presso<br />

la Scuola Me<strong>di</strong>a Statale <strong>di</strong> Codroipo e dal<br />

1969 alla Scuola Me<strong>di</strong>a Statale <strong>di</strong> San Vito al<br />

Tagliamento: cattedra quest'ultima che lascerà<br />

nel 1983 al momento <strong>di</strong> andare in meritata quiescenza.<br />

Era davvero cominciata la vita per un uomo<br />

che si sapeva accontentare e sapeva prendere dalla<br />

vita il meglio che potesse venirne. Con un <strong>di</strong>sarmante<br />

ottimismo. E la vita per il maestro era la<br />

tranquillità economica, con l'appoggio della straor<strong>di</strong>naria<br />

capacità amministrativa <strong>di</strong> Marilù, la<br />

frequentazione del suo organo in duomo, il piacere<br />

dell'insegnamento.<br />

Veniva da lontano, il maestro. Nonostante<br />

una apparente e certamente facilmente percepibile<br />

cor<strong>di</strong>alità e colloquialità e straor<strong>di</strong>naria capacità<br />

<strong>di</strong> mettersi in imme<strong>di</strong>ata comunicazione con<br />

chiunque egli avesse ad incontrare, sono profondamente<br />

convinto che si sia riservato, con tutti, o<br />

comunque con quasi tutti, un territorio suo. Una<br />

sorta <strong>di</strong> hortus conclausus, <strong>di</strong> riserva personale, <strong>di</strong><br />

piccola prateria all'interno della quale egli solo<br />

poteva e sapeva come entrare. Che proteggeva<br />

con lunghi silenzi. Un'area che confinava <strong>di</strong>rettamente<br />

con quella che nell'animo suo occupava la<br />

musica, ma alla quale nemmeno la musica, credo,<br />

potesse avere totale accesso. Un'area che egli tutelava<br />

con estrema gelosia assicurandola da una<br />

corona <strong>di</strong> barzellette e della quale potevano essere<br />

spia una rapida battuta, uno sguardo fuggitivo,<br />

una piega della bocca, un gesto rapido della<br />

mano. Solo chi aveva avuto modo <strong>di</strong> frequentarlo<br />

a lungo poteva non certamente penetrare in<br />

quell'hortus, ma capire qualche cosa <strong>di</strong> quanto vi


si muovesse. Che era cosa sua poi che il maestro<br />

si portava <strong>di</strong>etro - sino alla tomba - un suo<br />

mondo faticato e faticoso <strong>di</strong> cui <strong>di</strong> volta in volta<br />

era gelosamente pu<strong>di</strong>co e fin vergognoso, ma<br />

anche orgoglioso, e però anche forzatamente<br />

<strong>di</strong>mentico sino a trasfigurarne i confini in una<br />

sorta <strong>di</strong> limbo dal quale era una volta per sempre<br />

riuscito ad uscire. Poi però, magari alla fine <strong>di</strong> un<br />

lungo argomentare da parte mia, se ne usciva con<br />

una o due frasi lapidarie che a tutto il questionare<br />

egli offriva quale soluzione. Erano, <strong>di</strong> norma,<br />

frasi che venivano da una saggezza antica, se si<br />

vuole anche sostanziata <strong>di</strong> una costante attenzione<br />

alla legittima <strong>di</strong>fesa personale ere<strong>di</strong>tata da lontane<br />

epoche in cui era pressoché obbligatorio<br />

guardarsi sempre alle spalle, ma anche aliene da<br />

inutili eroismi destinati a lasciare il tempo che<br />

trovavano. Aveva, sulla sua pelle, imparata la virtù<br />

del silenzio quando il combattere si rivelava<br />

imme<strong>di</strong>atamente inutile. Per poi rifugiarsi, con<br />

l'amico Mansueto Frozza nei boschi alla ricerca <strong>di</strong><br />

funghi, accompagnando la passeggiata con un<br />

ottimo coniglio in umido annaffiato da un sorso<br />

<strong>di</strong> vino. Oppure tutto intento a coltivare un suo<br />

piccolo appezzamento messo ad orto da cui,<br />

orgoglioso, ricavava ortaggi da esibire, con la collaborazione<br />

della Rosi, sulla mensa <strong>di</strong> casa. O<br />

ancora, con gesti <strong>di</strong> una solennità quasi liturgia,<br />

tutto impegnato a gestire quella cantina <strong>di</strong> casa <strong>di</strong><br />

cui andava orgoglioso e <strong>dei</strong> cui prodotti gratificava<br />

quanti, me compreso, <strong>di</strong> volta in volta venissero<br />

frequentando la sua casa sempre aperta agli<br />

amici.<br />

Amava per altro stare tra la gente e con la<br />

gente. Ovviamente, juxta modum. Convinto <strong>di</strong><br />

come i santi stessero solamente in para<strong>di</strong>so e come<br />

sulla terra, assieme ad un eventuale qualche santo<br />

- della cui esistenza per altro dubitava - bisognasse<br />

fare i conti sempre con chi santo non solo non<br />

era, ma era pure cattivo. E convinto, egli stesso,<br />

<strong>di</strong> non essere un santo. Dall'approdo in San Vito,<br />

il maestro non si muoverà più, <strong>di</strong>radando <strong>di</strong> anno


in anno le assenze per ferie ai monti od al mare<br />

sino ad annullarle totalmente in concomitanza<br />

all'allentamento progressivo delle proprie prestazioni<br />

musicali quale organista del duomo <strong>di</strong> cui,<br />

per altro, fino all'ultimo volle conservare quello<br />

che era il momento essenziale: la messa grande.<br />

Non sono mai risucito a comprendere questa<br />

sua scelta <strong>di</strong> seppellirsi in San Vito, nonostante le<br />

richieste, per citarne alcune, le reiterate da parte<br />

<strong>di</strong> don Albino Perosa, onde avesse ad accettare<br />

una cattedra d'organo presso il Conservatorio<br />

Musicale <strong>di</strong> U<strong>di</strong>ne. Marilù mi viene suggerendo<br />

che, raggiunta la sede <strong>di</strong> San Vito, il maestro vi si<br />

fosse talmente ben accomodato, da non richiedere<br />

<strong>di</strong>verse sistemazioni. Forse aveva bisogno <strong>di</strong><br />

sentirsi accolto, amato, apprezzato. E molti, in<br />

San Vito, ebbero ad accoglierlo, amarlo, apprezzarlo.<br />

E da parte sua, egli molti accolse, amò,<br />

apprezzò.<br />

Soprattutto non <strong>di</strong>menticava facilmente chi<br />

gli aveva fatto del bene e lo aveva aiutato, anche<br />

alle volte, facendogli pesare questa mano tesagli.<br />

Tra questi, don Tullio Tesolin. Aveva retto questi<br />

la parrocchia natale <strong>di</strong> Pravisdomini, nelle vesti <strong>di</strong><br />

economo spirituale tra la partenza <strong>di</strong> don<br />

Umberto Missana e l'arrivo del nuovo pievano. A<br />

quell'adolescente che, finito <strong>di</strong> suonare l'officio<br />

funebre mattutino si apprestava a percorrere, <strong>di</strong><br />

buon mattino i due chilometri che lo avrebbero<br />

portato alla propria abitazione, ma pronto a<br />

rimettersi in strada per ritornare in chiesa sul suo<br />

organo per stu<strong>di</strong>are, don Tullio Tesolin insisteva<br />

per offrire una tazza <strong>di</strong> pane e latte. Ben accetta.<br />

E ricordo come fosse oggi, una sera <strong>di</strong> almeno<br />

cinquant'anni or sono. Avevo accompagnato il<br />

maestro, <strong>di</strong>etro sua richiesta, con la sua Seicento<br />

fino alla Casa dello Studente <strong>di</strong> Pordenone dove<br />

aveva tenuto una lezione-concerto sulle composizioni<br />

<strong>di</strong> J. S. Bach. Ritornando a casa, verso le<br />

ventitre e trenta, al momento <strong>di</strong> imboccare,<br />

uscendo da Pordenone, la strada verso<br />

Borgomeduna, ebbe ad incrociare casualmente<br />

l'automobile in cui viaggiava don Tullio. Ricordo


ancora la frenata al centro dell'incrocio <strong>di</strong> norma<br />

fortemente trafficato e che a quell'ora, per fortuna,<br />

risultava piuttosto tranquillo. Ho negli occhi<br />

la portiera dell'automobile pericolsamente spalancata<br />

ed il maestro che, d'un balzo, raggiungeva<br />

la vettura <strong>di</strong> don Tullio. Non credo gli abbia<br />

detto nulla, ma si sia limitato a stampargli un<br />

bacio sulla guancia <strong>di</strong> sinistra. Poi siamo ripartiti<br />

verso San Vito. Per più <strong>di</strong> mezz'ora non <strong>di</strong>sse una<br />

parola. Né io <strong>di</strong>ssi nulla. Ero ben cosciente che<br />

non dovevo parlare.<br />

Allo stesso modo trovava stabile ospitalità nel<br />

suo cuore la Rosi (all'anagrafe Rosina Simonato<br />

<strong>di</strong> Braida Bottari) che, dalla <strong>di</strong>partita, oggi con il<br />

maestro riposa, dal 1996, nell'accoglientissima<br />

sepoltura <strong>dei</strong> Dean nel cimitetro urbano <strong>di</strong> San<br />

Vito al Tagliamento. Una figura esile e silenziosa,<br />

che si muoveva felpata, con un sorriso <strong>di</strong> una<br />

straor<strong>di</strong>naria dolcezza, e che il maestro aveva<br />

incontrato fin dal primo giorno che aveva posto<br />

piede in casa Dean. Ne stimava - e me lo <strong>di</strong>sse<br />

l'unica volta che, con il suo modo estremamente<br />

colorito, siamo entrati in argomento - la <strong>di</strong>screzione,<br />

la sobrietà, l'instancabile laboriosità, la<br />

capacità <strong>di</strong> stare al proprio posto, <strong>di</strong> tacere, <strong>di</strong><br />

sparire quando la sua presenza non fosse necessaria.<br />

Non so se mi sbaglio, ma penso che ritrovasse<br />

nella Rosi le doti delle donne (o <strong>di</strong> alcune <strong>di</strong><br />

esse) della casa natale o della piccola<br />

Pravisdomini. Perché, in fondo in fondo, e si<br />

ritorna a questo modo ad una delle componenti<br />

più sostanziose della personalità del maestro, a lui<br />

era rimasto fortissimo in bocca il sapore ed il<br />

gusto per le persone semplici e genuine, dal<br />

<strong>di</strong>scorre e dal comportamento lineare e soprattutto<br />

sincero. Diretto. Fino a dubitare che potessero<br />

davvero esistere per modo che se gli era dato <strong>di</strong><br />

incontrarne qualcuna dubitava che si potesse trattare<br />

<strong>di</strong> pose o <strong>di</strong> convenienze. In confronto con la<br />

Rosi, io gli riuscivo ben spesso un pochino troppo<br />

complicato. Te son ingropà come el spago in<br />

scarsela, commentava, senza sarcasmo, ma con<br />

una <strong>di</strong>sperata luci<strong>di</strong>tà, certo mio argomentare. Ed


era un giu<strong>di</strong>zio che, al <strong>di</strong> là della singola tematica,<br />

oggetto occasionale, del <strong>di</strong>scorrere si estendeva<br />

ad una valutazione globale del mio modo <strong>di</strong><br />

vedere e <strong>di</strong> valutare le cose che non riusciva a con<strong>di</strong>videre<br />

e, alle volte, persino a sopportare.<br />

In parallelo, o<strong>di</strong>ava profondamente la chiacchiera<br />

vana, il pressapochismo verboso, la falsità,<br />

il bigottismo. L'ipocrisia, soprattutto. Ad evitare<br />

la quale, era pronto a presentarsi sempre così<br />

com’era <strong>di</strong> fronte a tutti. A costo <strong>di</strong> non essere<br />

capito o <strong>di</strong> essere preso in giro o <strong>di</strong> non essere<br />

preso in troppa considerazione per il fatto che lui<br />

era «musico». Non abbassava perciò mai quel suo<br />

sguardo acutamente puntuto <strong>di</strong> fronte a nessuno,<br />

guardava <strong>di</strong>ritto negli occhi l’interlocutore, esprimeva<br />

sino in fondo la sua opinione pur con quell’attenzione<br />

che gli veniva dall’esperienza <strong>di</strong><br />

quanto complicato fosse l’animo umano. E se alle<br />

volte la battuta poteva anche essere salace, imme<strong>di</strong>atamente<br />

si riscattava sul piano della genialità<br />

dell’inventiva oppure del gioco pirotecnico dell’intelligenza.<br />

Poi, spesso, ti guardava in silenzio.<br />

Ed era il momento in cui ti trovavi nel maggior<br />

imbarazzo. Poi che non ti venivano più le parole.<br />

Ecco, appunto. L'insegnamento. Il maestro<br />

veniva da una scuola severa che alla teoria e pratica<br />

musicale univa un rigido co<strong>di</strong>ce comportamentale<br />

ed etico. Per conto suo il futuro maestro<br />

coniugava un cursus stu<strong>di</strong>orum rigido una ferrea<br />

volontà <strong>di</strong> raggiungere quel benedetto <strong>di</strong>ploma in<br />

organo e composizione organistica. Di quella stagione<br />

<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, intensissimo, condotto in con<strong>di</strong>zioni<br />

<strong>di</strong>sagiate su quel suo pianoforte verticale<br />

sistemato alla meglio in locali <strong>di</strong> fortuna della<br />

casa paterna e su quel suo organo della parrocchiale<br />

<strong>di</strong> Pravisdomini <strong>di</strong> ridotte capacità sonore,<br />

il risultato è stato una formazone musicale <strong>di</strong> tale<br />

intensità, da riuscire a selezionare - all'interno<br />

delle schematiche proposte <strong>di</strong>dattiche del<br />

Conservatorio - quelle esercitazioni che veramente<br />

potevano servire a chi della musica avesse a<br />

farsi servo.


La musica, appunto. La musica era per lui una<br />

sposa esigente, gelosa, coinvolgente, totale. Non<br />

gli lasciava spazio per altri interessi. Tutta lo<br />

abbracciava, tutta gli si concedeva, ma tutto lo<br />

prendeva e lo pretendeva. Spietata e splen<strong>di</strong>da. E<br />

gli assicurava praterie infinite sulle quali camminare<br />

verso orizzonti sempre antichi e sempre<br />

nuovi e persino impreve<strong>di</strong>bili. Ma voleva l'abbandono<br />

totale. La musica era per lui amante fedelissima<br />

che lo avrebbe accompagnato dal momento<br />

in cui aveva deciso <strong>di</strong> seguirla sino alla morte. Ma<br />

pure amante esigente capace <strong>di</strong> dargli gioie in<strong>di</strong>cibili<br />

e chiedergli sacrifici in<strong>di</strong>cibili. Poi che la<br />

musica egli ben sapeva come stesse al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> lui<br />

e nonostante lui. E però bisognosa <strong>di</strong> lui.<br />

Altrimenti non sarebbe la musica.<br />

Poco o nulla, ritengo, capisse <strong>di</strong> economia<br />

contento <strong>di</strong> quelle poche lire che si ritrovava ad<br />

avere in tasca per le piccole spese della giornata<br />

consumata nell'ambito citta<strong>di</strong>no. O meglio, per<br />

lui i problemi economici ruotavano tutto attorno<br />

al dare ed all'avere del bilancio famigliare. Quel<br />

bilancio che avrebbe gestito, fin dai primi giorni<br />

del matrimonio, con estrema sagacia ed accortezza,<br />

Marilù. I sol<strong>di</strong> per il maestro non sono mai<br />

stati non un problema, ma, ritengo, una fasti<strong>di</strong>osa<br />

necessità. Era uomo <strong>di</strong> estrema generosità.<br />

Forse perché aveva conosciuto il bisogno. Forse<br />

anche umiliante. Dal momento in cui nel 1957<br />

riuscirà ad ottenere una cattedra quale insegnante<br />

<strong>di</strong> musica presso le scuole pubbliche, non vorrà<br />

più percepire una lira da parte della parrocchia<br />

per le sue prestazioni in duomo quale maestro<br />

d'organo. Generoso. Generoso perché pronto a<br />

regalare quello che era il suo tesoro più caro: la<br />

sua musica. Facendola partecipe, rifiutando sdegnosamente<br />

qualunque profferta <strong>di</strong> compenso,<br />

delle liturgie del duomo sanvitese, e delle celebrazioni<br />

matrimoniali e degli ad<strong>di</strong>i funerari. Sempre<br />

pronto a sedere all'organo. Fino a quando, oramai<br />

segnato profondamente dalla malattia, siccome<br />

mi viene raccontando Marilù, al sentire suo-


nare le campane che davano il segno della messa<br />

cantata festiva tutto si agitava per non poter più<br />

sedere al suo organo del duomo. Splen<strong>di</strong>do<br />

signore. Insegnante generoso. Calcolando la <strong>di</strong>fficoltà<br />

<strong>dei</strong> mezzi che all'epoca garantivano <strong>dei</strong> percorsi<br />

territoriali, <strong>di</strong>venta persin oggetto <strong>di</strong> meraviglia<br />

come il maestro, allora e per lunghi decenni,<br />

unico insegnante <strong>di</strong>plomato in organo della<br />

<strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Concor<strong>di</strong>a (oggi Concor<strong>di</strong>a-<br />

Pordenone), riuscisse a raggiungere il seminario e<br />

centri minori per insegnare nelle scuole musicali<br />

ceciliane <strong>di</strong>ocesane.<br />

Ha regalato la sua musica ovviamente ai figli<br />

accompagnandoli alla soglia dello stu<strong>di</strong>o delle arti<br />

musicali. Con quella accortezza, cui appena sopra<br />

si faceva accenno, capace <strong>di</strong> rifiutare l'inutilità<br />

dell'esercitazione marginale per puntare su quella<br />

che avrebbe <strong>di</strong>ventare la sostanziale. Pronto a ritirarsi,<br />

nel momento in cui i suoi allievi <strong>di</strong> famiglia,<br />

avessero incontrato, in corsi <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o regolari, gli<br />

insegnanti <strong>di</strong> cattedra. Quelli che per il maestro<br />

<strong>di</strong>ventavano, da quel momento, i titolari cui affidare<br />

i passi <strong>dei</strong> propri figli. Con una ritrosia eccezionale<br />

che lo faceva intervenire con un consiglio,<br />

un giu<strong>di</strong>zio, un incitamento solo in momenti<br />

eccezionali e comunque "<strong>di</strong> passaggio".<br />

Ha regalato la sua musica ad un gruppo <strong>di</strong><br />

allievi che hanno cominciato a mettere le mani<br />

sulla tastiera con la sua guida, i suoi suggerimenti,<br />

le sue in<strong>di</strong>cazioni. Preziose. Ma soprattutto la<br />

generosa de<strong>di</strong>zione a quell'insegnamento in cui<br />

travasava, con la scienza, tutto il suo cuore ed il<br />

suo entusiasmo mai stanco.<br />

Ha regalato la sua musica ad amici che si sposavano,<br />

che portavano alla sepoltura parenti od<br />

amici. Che celebravano anniversari o genetliaci.<br />

A tutti. Senza mai nulla chiedere. Festoso. L'ha<br />

regalata pure a me, in una nebbiosa serata del 22<br />

<strong>di</strong>cembre 1971, quando, dopo avermi accolto<br />

nella sua seicento, da San Vito mi ha scaricato<br />

presso la chiesa <strong>di</strong> Sant'Antonio <strong>di</strong> Porcia. Una<br />

chiesetta in cui, su una pianolina elettronica, ha<br />

accompagnato le mie promesse matrimoniali.


Con un fagottino <strong>di</strong> confetti, dopo gli auguri <strong>di</strong><br />

rito, se ne è tornato a casa sua.<br />

Ha regalato la sua musica ancora, <strong>di</strong> quando<br />

in quando, a conclusione <strong>di</strong> una visita <strong>di</strong> amici<br />

con cui aveva trascorso un felice momento conviviale.<br />

Mentre Marilù riassettava, con la Rosi, la<br />

cucina, il maestro raggiungeva il duomo e si metteva<br />

all'organo per un'esecuzione <strong>di</strong> circostanza<br />

che avesse a concludere l'incontro conviviale della<br />

mattinata nell'ospitale casa Dean. Io non ero,<br />

ovviamente, della compagnia, ma ricordo l'intimo<br />

<strong>di</strong>spiacere che provavo per questa esclusione<br />

convinto quale ero <strong>di</strong> come in quel momento <strong>di</strong><br />

abbandono il maestro fosse in grado <strong>di</strong> dare il<br />

meglio <strong>di</strong> se stesso. Per converso, rimango ancora<br />

convinto <strong>di</strong> come il maestro, pur sublimando<br />

questi passaggi con il rifugio nell'amplissimo ed<br />

accoglientissimo utero della sua musica, in qualche<br />

misura abbia sofferto, pur pronto a prestare<br />

in duomo il proprio servizio, <strong>di</strong> non vedere valorizzato,<br />

durante la reggenza parrocchiale <strong>di</strong> monsignor<br />

Pietro Corazza, il proprio servizio: Nino,<br />

l'organo, che nol xe una soneta a boca. Te soni sempre<br />

masa forte. L'organo il ga de sonar quando che<br />

il prete prega sotto vose. Se no la xente la parla. Che<br />

sono consigli e considerazioni francamente piuttosto<br />

riduttive.<br />

Poi il maestro regalava la musica a se stesso.<br />

Quella durante la quale poteva suonare da solo,<br />

per se stesso, in colloquio intimo, soprattutto con<br />

il suo J. S. Bach.<br />

E però mi pare come questa generosità del<br />

maestro avesse a confinare con un'altra sua dote<br />

che mi immagino, qui, <strong>di</strong> definire la sua pratica<br />

della povertà. Ma una povertà straor<strong>di</strong>naria che ho<br />

sempre ammirato senza trovare il coraggio <strong>di</strong> <strong>di</strong>rglielo<br />

sicuro com’ero che mi avrebbe mandato in<br />

mona. Eccola: stava questa sua povertà (sempre che<br />

il temine mi è consentito) in quel suo continuo<br />

ripassare i brani, nel suonarli e risuonarli nella convinzione<br />

sincera, profonda, <strong>di</strong> una semplicità quasi<br />

infantile, <strong>di</strong> non averne ancora afferrate tutte le<br />

profon<strong>di</strong>tà, nella necessità <strong>di</strong> limare, <strong>di</strong> ripetere, <strong>di</strong>


ileggere. Nella certezza insomma, <strong>di</strong> non essere<br />

mai all’altezza del suo J. S. Bach.<br />

Avveniva poi però, che una volta alla tastiera,<br />

egli s’allontanasse del tutto da chi lo ascoltava<br />

lasciando proprio in quell’ascoltatore la percezione<br />

che oramai il maestro stesse camminando in<br />

territori lontanissimi ove non era possibile seguirlo<br />

a meno che lui, con una frase, un sospiro, un<br />

grugnito anche non ti mandasse un messaggio<br />

rivelatore <strong>di</strong> quanto stesse passando nel suo cuore.<br />

E <strong>di</strong> riflesso si intestar<strong>di</strong>va, salve rare eccezioni,<br />

lui così ricco <strong>di</strong> musicalità e <strong>di</strong> cultura musicale,<br />

fatta salva qualche rara eccezione <strong>di</strong> non particolare<br />

rilievo, nel non voler comporre. Mi <strong>di</strong>ceva:<br />

O se xe Bach o no se scrive gnente. Sbagliava,<br />

probabilmente. Anche perché qualche cosina in<br />

carta gli riuscirà <strong>di</strong> mettere. Ma, in termini generali,<br />

il maestro era fatto così: juxta modum,<br />

appunto. Di fronte ai gran<strong>di</strong>, taceva e stu<strong>di</strong>ava,<br />

nel mentre invece si lasciava andare nella realizzazione<br />

<strong>di</strong> splen<strong>di</strong><strong>di</strong> accompagnamenti delle melo<strong>di</strong>e<br />

gregoriane, che sapeva trasportare a meraviglia<br />

(mettendo a frutto l'insegnamento del suo<br />

insegnante <strong>di</strong> Conservatorio Sandro Dalla Libera<br />

che voleva fare <strong>dei</strong> suoi allievi degli organisti,<br />

prima <strong>di</strong> tutto, <strong>di</strong> chiesa), o, pur senza particolari<br />

entusiasmi, si acconciava ad accompagnare la<br />

meschina produzione musicale ecclesiastica <strong>di</strong><br />

questa nostra grigia stagione musicale postconciliare.<br />

La chiave <strong>di</strong> lettura <strong>di</strong> queste sue irreversibili<br />

scelte credo sia questa: la necessità <strong>di</strong> ruminare<br />

in silenzio. Perché finito <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are a lungo un<br />

brano scendeva dalla panca dell'organo, si accendeva<br />

una sigaretta <strong>di</strong>etro la sacrestia per quella<br />

che chiamava una pipa<strong>di</strong>na, faceva quattro passi e<br />

quin<strong>di</strong> esclamava: benon. Ades tornemo dentro e<br />

comincemo tutto da capo.<br />

Solo da qualche poco <strong>di</strong> tempo sono riuscito<br />

a capire il maestro quando si poneva all'organo.<br />

Mentre andavo pensando che al suo posto avrei<br />

cercato <strong>di</strong> leggere il maggior numero possibile <strong>di</strong><br />

testi musicali, il maestro continuava a suonare,


salvo qualche raro sconfinamento, il suo Bach<br />

nella classica e<strong>di</strong>zione tedesca Peters, capace <strong>di</strong><br />

andare avanti per due e più ore filate ripetendo,<br />

in termini ossessivi, quelle cinque o sei pagine<br />

della partitura. E mi tornava alla mente, mentre<br />

lo ascoltavo, il professore <strong>di</strong> latino e <strong>di</strong> greco del<br />

liceo che, mentre con una su<strong>di</strong>cia pezzuola andava<br />

pulendo le lenti <strong>di</strong> certi occhiali degni <strong>di</strong><br />

Cavour, solennemente asseriva: Si vis totum<br />

cognoscere, totum lege. In traduzione: se vorrai<br />

conoscere tutto quanto si potrà mai conoscere a<br />

questo mondo, leggi tutto quello che è stato scritto.<br />

Ma era lo stesso che, in altra occasione a noi<br />

scolari accucciati nei banchi suggerendo <strong>di</strong> prendere<br />

appunti, proclamava Opportet non legere<br />

multa, sed multum. E <strong>di</strong> nuovo in traduzione:<br />

non è opportuno leggere molti testi, ma quelli<br />

che si leggono vanno letti in maniera estremamente<br />

approfon<strong>di</strong>ta. E però mi torna alla mente<br />

il frammento <strong>di</strong> Eraclito: «L'intima natura delle<br />

cose ama nascondersi». Di fronte ad un'infinita<br />

offerta musicale (che all'epoca <strong>dei</strong> suoi stu<strong>di</strong> era<br />

senza dubbio <strong>di</strong> gran lunga inferiore a quella che<br />

la letteratura è in grado <strong>di</strong> offrire oggi), il maestro<br />

non si spaventava. Non gli interessava totum legere<br />

e nemmeno totum scire. Gli bastava essere<br />

ammesso al convito <strong>dei</strong> gran<strong>di</strong>. Mi <strong>di</strong>ceva, <strong>di</strong><br />

fatti: Co te pol magnar la torta, parché gastu de<br />

contentarte de le paste Sorrideva, mi guardava<br />

negli occhi, e tirava <strong>di</strong>ritto sempre con quella sua<br />

andatura oscillante. Era in quei momenti che, al<br />

<strong>di</strong> là dell'infinito cicalare <strong>di</strong> testi filosofici e <strong>di</strong><br />

trattati più o meno pretenziosi, ho cominciato a<br />

capire che cosa voglia <strong>di</strong>re essere umili.<br />

Non ho mai conosciuto con precisione - se<br />

poco raccontava <strong>di</strong> sé, <strong>di</strong> questo argomento mai<br />

ebbe a far con me parola - quali le tappe evolutive<br />

del suo credo religioso. Certo le ra<strong>di</strong>ci della sua<br />

religiosità saranno ora da ricercare nell'ambito<br />

famigliare e nel ristrettissimo ambiente in cui si<br />

sono susseguite le giornate e le stagioni della fanciullezza,<br />

dell'adolescenza e della giovinezza del


maestro. Un panorama che qui sarebbe troppo<br />

lungo e complicato anche solo provare a tratteggiare,<br />

ma <strong>di</strong> cui basterà <strong>di</strong>re che era tutto intessuto<br />

<strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate ben precise delle<br />

quali, e delle primarie, una era quella della presenza,<br />

nella vita <strong>di</strong> tutti - si ba<strong>di</strong> bene credenti o<br />

meno credenti - inevitabile e totalizzante del<br />

«Signor». Una presenza che rientrava <strong>di</strong> prepotenza<br />

in quella sorta <strong>di</strong> microcosmo che era il<br />

paese con i suoi rapporti sociali ed economici, i<br />

ritmi delle stagioni e delle feste <strong>di</strong> chiesa e che<br />

trovava plastica rappresentazione nella chiesa, nel<br />

suono delle campane, nelle funzioni liturgiche,<br />

nella figura del «pievan». Un "piccolo mondo<br />

antico" nel quale il fanciullo Ferruccio si è ritrovato<br />

a vivere, con ritmi sempre uguali: dalla casa<br />

alla chiesa tutte le mattine, dapprima come chierichetto<br />

e poi come giovane organista per accompagnare<br />

le messe De requie, pressoché quoti<strong>di</strong>ane,<br />

e poi alla scuola. Quin<strong>di</strong> il rientro attraverso i<br />

campi con il sole e con la pioggia, con il freddo e<br />

con la neve. Senza possibilità, o forse ancora<br />

senza voglia, <strong>di</strong> ribellarsi. Un «Signor» che poi<br />

avrebbe ritrovato nelle pagine del catechismo e<br />

che ritornava in modo imperativo nelle pre<strong>di</strong>che<br />

domenicali che forse, già allora, poco amava. Al<br />

<strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> queste prime immagini e progressivamente<br />

fusa con queste questo «Signor» deve aver<br />

assunto i connotati dell'autorità e della austerità<br />

forse dal maestro recuperati nei contatti giovanili<br />

con le severe figure <strong>dei</strong> preti o degli insegnanti (si<br />

pensi, ad esempio, all’impatto che deve aver<br />

avuto sul timido ragazzino <strong>di</strong> Pravisdomini l’incontro<br />

al Conservatorio Musicale <strong>di</strong> Venezia con<br />

il <strong>di</strong>rettore dell’epoca, il mitico Gian Francesco<br />

Malipiero). Stava questo «Signor» al <strong>di</strong> là dello<br />

spazio e del tempo degli uomini: un Dio con cui<br />

non scherzava e <strong>di</strong> fronte al quale gli era <strong>di</strong> fasti<strong>di</strong>o<br />

l’eccessiva confidenza che con lui riteneva<br />

avessero anche alcuni <strong>dei</strong> preti incontrati sul suo<br />

cammino. Non deve meravigliare quin<strong>di</strong> se progressivamente<br />

il maestro ha sfrondato questo suo<br />

stare <strong>di</strong> fronte al «Signor» <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> manife-


stazioni particolari fino ad arrivare ad una estrema<br />

<strong>di</strong>gnità e ad un’esigenza sempre più rigida <strong>di</strong><br />

interiorità e <strong>di</strong> silenzio. Un «Signor» <strong>di</strong> fronte al<br />

quale stava in pie<strong>di</strong> come il profeta Eliseo: Vivit<br />

Dominus ante quem sto (Re IV, 5, 16): “un<br />

Signore vivo è quello <strong>di</strong> fronte al quale io sto in<br />

pie<strong>di</strong>”. Per ricordare il maestro in ginocchio devo<br />

riandare a tempi molto lontani. Aveva imparato a<br />

presentarsi <strong>di</strong> fronte a Lui con il suo corredo<br />

umano e soprattutto con la sua intelligenza ed il<br />

suo bisogno <strong>di</strong> capire e <strong>di</strong> razionalizzare anche il<br />

rapporto e le manifestazioni del credo religioso.<br />

Era <strong>di</strong> fatti un rimpianto che si portava <strong>di</strong>etro<br />

quello <strong>di</strong> non aver potuto stu<strong>di</strong>are con comodo<br />

ed a tempo debito la filosofia. Ma nonostante<br />

questo, egli è stato un filosofo o meglio ancora un<br />

umanista in quel suo sentirsi completo solamente<br />

quando - <strong>di</strong> fronte ad ogni circostanza e momento<br />

della vita oppure <strong>di</strong> fronte ad ogni incontro (e<br />

quale incontro più importante <strong>di</strong> quello con il<br />

«Signor») - non gli veniva richiesto <strong>di</strong> annullarsi e<br />

<strong>di</strong> rinunciare a pensare. Forse per questo naturale<br />

bisogno <strong>di</strong> indagine e <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne gli piaceva tanto<br />

la musica bachiana dall’architettura così geometricamente<br />

ferrea e dai rapporti così terribilmente<br />

sorvegliati. E così intrisa <strong>di</strong> riguardo per quello<br />

che sta al <strong>di</strong> là del perimetro terreno.<br />

È il momento del commiato che è, ben spesso,<br />

un passaggio non del tutto facile. Almeno per me.<br />

La musica, si è detto poco sopra, era sua. O<br />

meglio: era <strong>di</strong>ventata sua, al solito juxta modum,<br />

frutto <strong>di</strong> una conquista faticata, ma tenace,<br />

testarda, e, soprattutto, senza mai un ripensamento.<br />

Uno sponsale perfetto. Un approdo gratificante.<br />

Do<strong>di</strong>ci anni <strong>di</strong> Conservatorio, ore e ore<br />

passate al pianoforte a ripetere lo stesso esercizio<br />

fino a quando il brano non fosse filato liscio senza<br />

una piega, un attimo <strong>di</strong> esitazione, un'incertezza.<br />

Sicché, alla fine del percorso, lui <strong>di</strong>veniva della<br />

musica. Tutto e sempre, fino a quando, oramai<br />

gravemente ammalato, ma luci<strong>di</strong>ssimo, si riproponeva,<br />

al sentire suonare le campane del duomo


per la messa solenne domenicale, <strong>di</strong> andare all'organo<br />

per un'altra volta ancora, accompagnare le<br />

liturgie per le quali aveva consumato, per anni,<br />

tempo, amore, intelligenza, competenza. Lo sapeva<br />

fin dall'inizio come fosse <strong>di</strong>fficile, per non <strong>di</strong>re<br />

impossibile, denegarsi ad un'amante esigente,<br />

invasiva, avvolgente, ma <strong>di</strong> una dolcezza straor<strong>di</strong>naria<br />

quale la musica incontrata in con<strong>di</strong>zioni<br />

eccezionali ed inseguita con una fedeltà straor<strong>di</strong>naria<br />

per tutta la vita. Marilù asserisce spesso, con<br />

quella sua convinzione che commuove, come il<br />

suo Ferruccio fosse stato un sacerdote della musica.<br />

Ed aveva ed ha ragione. Egli ha amato la<br />

musica, ma la musica ha amato lui in un connubio<br />

che negli anni, mentre si veniva lentamente<br />

<strong>di</strong>ssolvendo l'impegno liturgico, si faceva sempre<br />

più stretto nell'abbraccio dello stu<strong>di</strong>o quoti<strong>di</strong>ano:<br />

una fatica fatta <strong>di</strong> silenzio, <strong>di</strong> un continuo riprovare<br />

battuta per battuta, affrontando i brani,<br />

anche i più <strong>di</strong>fficili con calma: Ciapemola in<br />

dolce, che dopo pian pianin ghe rivemo.<br />

È <strong>di</strong>fficile credere tutti i giorni in Bach in un<br />

piccolo centro come San Vito. Non è tanto questione<br />

<strong>di</strong> voler fare cultura. È piuttosto continuare<br />

a credere in quella che è stata la cultura della<br />

tua vita. Resistere, ogni giorno, alla voglia <strong>di</strong> non<br />

incontrare più il tuo Bach. Da solo. Quando gli<br />

altri sono da un'altra parte, oppure si accalcano<br />

sulla porta della chiesa, per uscire dopo la messa,<br />

mentre il maestro proponeva una delle tante<br />

composizioni dell'immortale organista <strong>di</strong> Lipsia.<br />

Le ultime note si <strong>di</strong>sperdevano in una chiesa oramai<br />

vuota in cui, lesto, si affacendava il sacrestano<br />

desideroso <strong>di</strong> andare a pranzo oppure a cena.<br />

Spero <strong>di</strong> non sbagliarmi. Ma mi vien da pensare<br />

che il maestro abbia cominciato a morire, come<br />

al solito senza darlo troppo a vedere, nel momento<br />

in cui, oramai ammalato, ha dovuto abbandonare<br />

la tastiera e la frequentazione del suo organo.<br />

La morte era passata a fianco del maestro più<br />

volte fin dagli anni della adolescenza e della giovinezza<br />

in Pravisdomini. Lo aveva sfiorato al<br />

momento della febbre maltese. Aveva imparato a


considerarla una delle componenti <strong>di</strong> questo<br />

nostro stare sulla terra. Abituato com'era a prendere<br />

le cose come venivano ed a vivere la giornata<br />

contento <strong>di</strong> quello che il buon Dio regalava dal<br />

mattino alla sera. Diceva a me e ad altri: La morte<br />

primo o dopo la vien per tutti. Se te ghe seri la porta<br />

la vien comunque dentro, ma cattiva. Se la porta te<br />

ghela versi, la vien dentro più bona.<br />

La morte si fece preannunciare con la <strong>di</strong>agnosi<br />

<strong>di</strong> un male incurabile. La aspettò, per un'ultima<br />

volta ancora, juxta modum per più <strong>di</strong> tre anni.<br />

Senza rivoltarsi, ma aprendole un pochino alla<br />

volta la porta perché venisse a trovarlo più bona.<br />

Volle farsi accompagnare ancora una volta da<br />

J.S. Bach. Si mise a stu<strong>di</strong>are quel corale che il<br />

grande musico aveva dettato, fino alla 19 a battuta,<br />

sul letto <strong>di</strong> morte: «Dinanzi al tuo trono io mi<br />

presento o Dio». Un piccolo gioiello musicale,<br />

privo <strong>di</strong> tutti gli straor<strong>di</strong>nari «ornati» <strong>di</strong> altre<br />

similari composizioni. Un <strong>di</strong>scorso nudo, quasi<br />

arcaico, che procede per singole frasi pur splen<strong>di</strong>damente<br />

armonizzate. Una preghiera affidata a<br />

respiri. Quasi una voglia del grande compositore<br />

<strong>di</strong> ritornare alle origini a conclusione del suo<br />

lungo e splen<strong>di</strong>do percorso musicale. Nudus<br />

egressus sum de utero matris meae et nudus revertar<br />

illuc (Giobbe, 1, 21). Come a <strong>di</strong>re, in traduzione:<br />

<strong>di</strong> un latinetto piuttosto facile, «nudo<br />

sono uscito dall'utero <strong>di</strong> mia madre e nudo vi<br />

ritornerò». Quel bisogno <strong>di</strong> "nu<strong>di</strong>tà" estrema che<br />

il maestro, proprio lui che mai aveva bramato <strong>di</strong><br />

possedere, giunto alle porte dell'eternità, chiedeva<br />

<strong>di</strong> tradurre in preghiera al suo Bach. Un ultimo<br />

richiamo, fors'anche, agli inizi della sua<br />

vicenda musicale. Alla "nu<strong>di</strong>tà" del suo oramai<br />

lontano ed in<strong>di</strong>ssolubile incontro amoroso con<br />

la musica in quella chiesa <strong>di</strong> Pravisdomini fredda<br />

e sorda ed in<strong>di</strong>fferente.<br />

Chiudeva gli occhi per sempre attorno alle<br />

11.00 del 25 giugno 2001. Un commiato <strong>di</strong>screto<br />

come si ad<strong>di</strong>ceva ad una persona sempre ed<br />

anche alla fine pu<strong>di</strong>ca e gelosa <strong>dei</strong> propri senti-


menti. La mattina era cominciata con la tra<strong>di</strong>zionale<br />

visita <strong>di</strong> Fabrizia che, prima <strong>di</strong> raggiungere il<br />

Conservatorio Musicale <strong>di</strong> U<strong>di</strong>ne, si era data da<br />

fare per l'assistenza al papà. Se lo era preso in<br />

braccio con quell'energico e straor<strong>di</strong>nario suo<br />

amore - oramai pesava più o meno una trentina<br />

<strong>di</strong> chili - lo aveva accu<strong>di</strong>to, lo aveva poi ri<strong>di</strong>steso<br />

sul letto. La ra<strong>di</strong>o, inconscia del momento, continuava<br />

a trasmettere musica classica. Al capezzale<br />

arriva, convocato da Luciana, monsignore arci<strong>di</strong>acomo<br />

Nicola Biancat.<br />

Un piccolo, impercettibile sospiro e poi la<br />

partenza definitiva. Ai pie<strong>di</strong> del letto gli occhioni<br />

della nipote pre<strong>di</strong>letta, Valentina, figlia della sua<br />

Cristiana, quella Valentina che gli aveva cinguettato<br />

attorno al <strong>di</strong>vano od al letto durante gli ultimi<br />

tempi dell'esistenza. Sopra la testiera il quadro<br />

della Madonna con il Bambino che, in anni oramai<br />

lontani, gli aveva regalato don Tullio. Quella<br />

immagine <strong>di</strong> fronte alla quale il maestro, prima <strong>di</strong><br />

affrontare il riposo notturno (con il quale, mi<br />

confessava Marilù, egli aveva da tempo un rapporto<br />

piuttoso <strong>di</strong>fficile) recitava la sua preghiera:<br />

Signor, ciome come che son. Prima del trapasso,<br />

monsignore, con una felicissima intuizione, aveva<br />

lasciato la casa del maestro ed aveva raggiunto il<br />

duomo dove si era messo all'organo. Sotto le abili<br />

<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> don Nicola, quell'organo che il maestro<br />

aveva tante volte fatto suonare per Id<strong>di</strong>o e per gli<br />

altri questa volta cantava solo per lui.<br />

L'ad<strong>di</strong>o ufficiale, registrerà un lungo corteo <strong>di</strong><br />

popolo, ventinove o trenta sacerdoti, autorità ed<br />

associazioni, una straor<strong>di</strong>naria esecuzione musicale,<br />

un'omelia <strong>di</strong> monsignor Biancat. Il quale,<br />

vincendo la sua tra<strong>di</strong>zionalmente nobile signorilità,<br />

riuscirà ad avviare quella non facile pre<strong>di</strong>ca<br />

raccontando una barzelletta del maestro.<br />

Il picolo nio xe vodo, maestro mio, da quando te<br />

lo ga lasà, e noi ghe stemo tuti atorno, inamorai.<br />

E però, mentre il feretro usciva, fendendo una<br />

ressa che quasi sembrava voler trattenere ancora,


almeno per un poco, quell'amico che se ne era<br />

andato, mi sembra possano essere riproposti i già<br />

citati versi <strong>di</strong> Biagio Marin:<br />

Ninte ne dà sto porto,<br />

marsise el bastimento<br />

se no l'ha vele al vento<br />

e mar sul bocaporto.<br />

Se ne è volato via, ancora una volta "maestro<br />

rivoluzionario" <strong>di</strong> vita, lui che per natura e formazione<br />

era un intelligente e saggio conservatore,<br />

lasciando non tanto un vuoto che oramai è tra<strong>di</strong>zione<br />

asserire essere incolmabile. No davvero.<br />

Lasciandoci piuttosto la feroce constatazione <strong>di</strong><br />

come quel vuoto nessuno <strong>di</strong> noi sarà capace <strong>di</strong><br />

colmare. E dunque davvero più soli.<br />

Si vogliono chiuse queste note chiuse, come<br />

lo sono state aperte, con <strong>dei</strong> versi. Sono <strong>di</strong><br />

Martina, la nipote del maestro, figlia <strong>di</strong> Fabrizia.<br />

Li ha de<strong>di</strong>cati al maestro (e Marilù mi <strong>di</strong>ce che<br />

forse egli non ha potuto ascoltare) nemmeno tre<strong>di</strong>cenne,<br />

il 12 maggio 2001 a poco più <strong>di</strong> un<br />

mese e mezzo avanti la scomparsa del nonno. Il<br />

testo è stato quin<strong>di</strong> messo in musica dal bravo<br />

Daniele Zanettovich.<br />

Così esisti<br />

Una fiamma mi culla la mente<br />

un lampo ricorda il presente<br />

così ricordo la tua amicizia.<br />

Così ricordo la melo<strong>di</strong>a del tuo sperare<br />

e la forza del tuo credere.<br />

Così ricordo il bimbo che ti guarda<br />

da un abbracio <strong>di</strong> mamma.<br />

Così ricordo la tua scienza imparata dalla vita.<br />

Così ricordo la tua cultura imparata dall'esperienza.<br />

Così ricordo la tua ingenuità, saggezza del tuo essere.<br />

Così non ti ricordo.<br />

Perché così esisti.

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