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Lorenzo Rossetti - Giappone per caso

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<strong>Giappone</strong><br />

<strong>per</strong><br />

<strong>caso</strong><br />

Viaggio oltre gli stereotipi<br />

attraverso il paese del Sol Levante<br />

<strong>Lorenzo</strong> <strong>Rossetti</strong>


<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

«Il <strong>Giappone</strong> rende possibile una sociologia non euclidea,<br />

un’economia non euclidea, una cultura non euclidea»<br />

Fosco Maraini<br />

In co<strong>per</strong>tina: scorcio del tempio del Tō-ji, Kyōto<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Prefazione<br />

Il <strong>Giappone</strong> non ama rivelarsi immediatamente a chi vi si<br />

accosta. Rispetto ad altri luoghi dell’Asia, la sua notevole<br />

complessità culturale, sociale e territoriale si appresta<br />

ad essere colta più agevolmente mediante un processo<br />

intellettuale anziché attraverso uno sguardo emotivo: in tal<br />

senso è un paese la cui bellezza si palesa solo a chi sceglie<br />

deliberatamente di cercarla.<br />

Qualcuno ritiene che i giapponesi siano più simili a dei<br />

marziani che a degli esseri umani. Sushi, samurai, geishe,<br />

traffico caotico, kamikaze, Fuji, tradizione e tecnologia, natura<br />

ed inquinamento, fanatismo e raffinatezza, belligeranza e<br />

sottomissione, etica del lavoro e s<strong>per</strong>sonalizzazione: qual è<br />

il limite tra cultura e folklore È tutto vero oppure stiamo<br />

cadendo nella trappola di vecchi e nuovi stereotipi,<br />

propugnati in nome del mai tramontato esotismo Lo<br />

scopriremo solo viaggiando...<br />

<strong>Giappone</strong> dunque, non del tutto «<strong>per</strong> <strong>caso</strong>», come<br />

parrebbe suggerire il titolo: di casuale v’è stata solo l’occasione<br />

<strong>per</strong> partire, ma l’intenzione di approfondire la conoscenza di<br />

questo paese era già forte da tempo.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

1° aprile<br />

Fuori dall’Europa<br />

A<br />

ll’aeroporto di Milano Malpensa il volo Emirates 94<br />

<strong>per</strong> Dubai è già in ritardo di un’ora. Alcuni compagni<br />

di viaggio arrivano alla spicciolata mentre i rimanenti, in<br />

partenza da Roma, si uniranno a noi allo scalo di Dubai,<br />

dov’è prevista la coincidenza <strong>per</strong> Ōsaka.<br />

Effettuato il check-in, rimane ancora qualche istante<br />

<strong>per</strong> un veloce pranzo in un caffè dell’aerostazione. L’attesa<br />

prima della partenza è incentrata sulla ricognizione degli<br />

aspetti organizzativi: guide, cartine, valuta, prenotazioni<br />

alberghiere, orari dei mezzi pubblici ecc.<br />

Finalmente, verso le 16.30, l’aeromobile lascia il suolo<br />

europeo. Sotto di noi si vedono Grecia, Turchia, Siria, Iraq<br />

ed Arabia Saudita. Il volo dura in totale sei ore. Già in fase<br />

di atterraggio (ore 0.30 circa secondo il fuso orario locale) si<br />

nota l’eccessiva illuminazione di Dubai: negli Emirati Arabi<br />

Uniti non vige il concetto di risparmio energetico, grazie al<br />

potere dei petrodollari.<br />

L’aeroporto, un’estesa o<strong>per</strong>a d’architettura moderna,<br />

nel bene o nel male non può lasciare indifferenti: decine di<br />

negozi, assiepati e lucidati a specchio, traboccano di oggetti<br />

d’oro, d’alta tecnologia, di vini e liquori prestigiosi. Poi<br />

ancora: bistrot, ristoranti e molto altro.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

2 aprile<br />

Voli interminabili<br />

A<br />

lle tre del mattino è annunciato l’imbarco sul volo<br />

Emirates 316 <strong>per</strong> Ōsaka, della durata di undici ore.<br />

Sorvoliamo il Golfo Persico, l’Iran, il Pakistan, l’India, la<br />

Birmania e la Cina. La rotta è piuttosto meridionale rispetto<br />

alla traiettoria geometrica: il vento favorevole della corrente<br />

a getto fa toccare al velivolo punte di oltre 1100 km/h. Dopo<br />

qualche ora i finestrini vengono oscurati e le voci tacciono,<br />

lasciando spazio al rombo continuo delle turbine. La maggior<br />

parte dei passeggeri sonnecchia avvolta nelle co<strong>per</strong>te. Alcuni<br />

guardano dei film in lingue incomprensibili, altri leggono<br />

con la propria luce pagine d’ideogrammi indecifrabili. Altri<br />

ancora, come me, cercano d’ingannare il tempo ed il mal di<br />

testa: mi alzo <strong>per</strong> fare due passi nel corridoio, scansando<br />

teste ciondolanti e piedi puzzolenti di varie nazionalità, <strong>per</strong><br />

arrivare fino in coda all’aereo, dove stazionano gli assistenti<br />

di volo. Questo stanzino è l’unico luogo non immerso nella<br />

penombra; qui riesco a trovare lo spazio <strong>per</strong> qualche esercizio<br />

ginnico e <strong>per</strong> sorseggiare un succo d’arancia, ascoltando i<br />

discorsi del <strong>per</strong>sonale. «I’m a little bit tired» dice un’hostess<br />

rivolgendosi alla sua collega, anch’essa affaticata: le tratte<br />

intercontinentali di questa durata sono fiaccanti anche <strong>per</strong> i<br />

professionisti del settore.<br />

Le tendine vengono a<strong>per</strong>te durante il transito sul mar<br />

cinese orientale quando appare il primo lembo di terra<br />

giapponese: l’isola di Kyūshū con la città di Kagoshima,<br />

seguita poco più tardi dall’isola di Shikoku.<br />

Atterraggio all’aeroporto di Ōsaka Kansai verso le 17.30<br />

locali. Grande stanchezza, mal di stomaco e mal di testa: non<br />

ho dormito, ma debbo cercare di recu<strong>per</strong>are le forze <strong>per</strong> le<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

o<strong>per</strong>azioni di sbarco.<br />

Le procedure <strong>per</strong> ottenere il visto turistico giapponese,<br />

della durata di 90 giorni, sono assai semplici: il passaporto<br />

in corso di validità dev’essere esibito all’ufficiale di frontiera,<br />

che rileva le impronte digitali (indici della mano destra e<br />

sinistra) e scatta una foto del volto. Il visto è applicato sul<br />

documento con lo status di “temporary visitor”. È necessario<br />

dichiarare le ragioni della visita (“turismo” nel nostro <strong>caso</strong>)<br />

e l’itinerario del viaggio (o <strong>per</strong>lomeno il nome del primo<br />

albergo). Nessun problema <strong>per</strong> il ritiro dei bagagli: arrivati<br />

a destinazione in orario ed integri. Un avvertimento: nel<br />

progettare gli spostamenti è necessario evitare di confondere<br />

l’aeroporto internazionale del Kansai con l’«aeroporto di<br />

Ōsaka», ovvero il vecchio scalo situato sul lato opposto della<br />

baia.<br />

L’albergo prenotato <strong>per</strong> stasera, il Corona Hotel, è situato<br />

nei pressi della stazione ferroviaria di Shin-Ōsaka. Per<br />

raggiungerlo scegliamo, dopo una breve consultazione, il<br />

mezzo più diretto, anche se non il più economico: il treno<br />

Japan Railways tokkyū (Limited Express) 40 “Haruka”<br />

delle 19.46. Primo problema giapponese: non è<br />

presente alcun bigliettaio e non vi è nessuno a cui chiedere<br />

informazioni. I passanti intuiscono le nostre difficoltà e si<br />

fermano <strong>per</strong> tentare di aiutarci, senza risultati <strong>per</strong> via della<br />

loro scarsa padronanza dell’inglese. Ma... guardate: là in<br />

fondo c’è un botteghino delle ferrovie... siamo salvi No,<br />

neppure gli impiegati riescono a comprendere le nostre<br />

domande. Dopo una ventina di minuti, realizziamo che il<br />

biglietto è emesso da alcune macchine automatiche disposte<br />

in fila lungo una parete. Il loro utilizzo, se a prima vista può<br />

sembrare sconfortante, è in realtà semplice: l’utente con<br />

scarsa familiarità della scrittura giapponese può cercare la<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

funzione che mostra il processo in lingua inglese (scelta della<br />

tratta ed introduzione della tariffa corrispondente).<br />

I binari del treno non sono liberamente accessibili:<br />

le obliteratrici espletano anche la funzione di tornelli,<br />

impedendo l’accesso agli eventuali viaggiatori abusivi.<br />

Il biglietto, una volta convalidato, va conservato fino<br />

al termine della corsa <strong>per</strong> transitare attraverso i cancelli<br />

d’uscita. In <strong>caso</strong> di smarrimento è richiesta la tariffa piena<br />

dell’intera tratta.<br />

Sul pavimento delle banchine è segnato il punto<br />

corrispondente ad ogni porta del treno in modo che gli<br />

utenti, conoscendo il numero della propria carrozza,<br />

possano incolonnarsi in anticipo. I posti sono prenotabili<br />

gratuitamente presso gli sportelli delle stazioni. Prima di<br />

partire può essere utile controllare sui tabelloni luminosi la<br />

collocazione dei vagoni riservati e di quelli liberi.<br />

A bordo i sedili vengono orientati nel senso di marcia<br />

mediante un meccanismo automatico, che <strong>per</strong>mette una<br />

rotazione di 180° ad ogni capolinea. È presente anche un<br />

pedale che <strong>per</strong>mette di effettuare manualmente questa<br />

o<strong>per</strong>azione.<br />

Il tempo necessario a compiere il tragitto fino a Shin-<br />

Ōsaka è di 50 minuti: il treno scorre dalla <strong>per</strong>iferia verso il<br />

centro, un unico agglomerato di condominî di cemento.<br />

Il <strong>per</strong>corso a piedi dalla stazione all’albergo, complice<br />

il buio, non risulta assai semplice. Dopo qualche giro a<br />

vuoto intorno agli isolati circostanti riusciamo finalmente a<br />

rintracciarne l’entrata.<br />

Ci sistemiamo in tre in una stanza <strong>per</strong> fumatori, anche<br />

se non lo siamo: purtroppo, in mancanza d’alternative,<br />

negli alberghi business (economici) questa scelta è spesso<br />

obbligata. La finestra è affacciata direttamente sui binari<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

dell’alta velocità, i cui treni transitano ogni cinque minuti<br />

provocando uno sferragliamento non trascurabile.<br />

Si avvicina l’ora di cena: in cinque usciamo in cerca di un<br />

ristorante nei pressi dell’albergo. Gli altri si dirigono invece<br />

con la metropolitana verso la zona più centrale di Umeda.<br />

Dopo qualche decina di minuti di <strong>per</strong>egrinazione, dovuti<br />

ad un’incertezza su quale locale affrontare, optiamo <strong>per</strong><br />

un ristorantino economico, dove scegliamo a priori la<br />

portata da un pannello illustrato, pagando in anticipo presso<br />

una macchina automatica: quest’ultima eroga lo scontrino<br />

con l’ordine, che può essere trasmesso direttamente al cuoco.<br />

Nella sala vi è un distributore di tè verde, bevanda disponibile<br />

gratuitamente.<br />

La mia scelta cade su un donburi con riso bianco, contorno<br />

di carne e verdure saltate, alghe e miso (zuppa di fagioli di<br />

soia).<br />

Tornati in albergo, ci apprestiamo al primo sonno in terra<br />

giapponese. La ferrovia sotto le finestre è assai rumorosa, ma<br />

<strong>per</strong> fortuna le corse dei treni ad alta velocità si diradano e<br />

quasi s’interrompono tra le 23 e le 6.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

3 aprile<br />

Ōsaka sotto la pioggia<br />

Q<br />

uesta mattina, <strong>per</strong> l’unica volta nella durata del nostro<br />

soggiorno, la colazione è inclusa nel prezzo della<br />

camera. La scelta è <strong>per</strong>ò scarsa: qualche fetta di pancarré<br />

con della marmellata e del caffè lungo (non è a disposizione<br />

neppure il tè).<br />

Il tempo è assai inclemente: usciamo <strong>per</strong> la visita ad<br />

Ōsaka (ab. 2,7 milioni) accompagnati da uno sgradevole<br />

umido, bagnati dalla pioggia e sferzati dal vento freddo.<br />

Per comodità negli spostamenti, sottoscriviamo un<br />

abbonamento giornaliero (one day pass) all’intera rete della<br />

metropolitana. Utilizziamo la linea Midōsuji in direzione sud<br />

fino ad Hommachi, poi cambiamo <strong>per</strong> la Chūō e scendiamo a<br />

Tanimachi Yonchōme.<br />

La prima meta è l’Ōsaka-jo, castello costruito dal<br />

condottiero Toyotomi Hideyoshi (1536–1598) e terminato<br />

nel 1580. Come la maggior parte dei monumenti di questo<br />

paese, esso è stato ricostruito “dov’era e com’era” (anche se<br />

con rinforzo antisismico in cemento armato) in seguito a<br />

vari episodi distruttivi, principalmente terremoti ed incendi,<br />

senza trascurare i bombardamenti purtroppo subiti durante<br />

la II guerra mondiale.<br />

Un passaggio sull’imponente fossato conduce al portale<br />

situato sui bastioni. Questo tipo di fortificazione, come anche<br />

il concetto di castello, non esisteva in <strong>Giappone</strong> prima del<br />

XVI secolo, essendo stato importato dall’Europa con l’arrivo<br />

dei commercianti portoghesi e riadattato dalle maestranze<br />

locali, che apportarono alcune innovazioni come l’adozione<br />

dell’incastro irregolare (e non più squadrato) della pietre<br />

della bastionatura. Agli angoli si notano degli edifici con<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

funzioni di garitte, le yagura (lett. “depositi <strong>per</strong> frecce”):<br />

è curioso notare come nel nome sia rimasto il riferimento<br />

all’arma bianca, anche se nel <strong>per</strong>iodo Azuchi-Momoyama<br />

(1568–1603) i castelli erano già stati progettati in funzione<br />

delle bocche da fuoco.<br />

Dal parco, che in molti reputano pittoresco durante il<br />

<strong>per</strong>iodo della fioritura, si ha una vasta panoramica della città<br />

e zone circostanti. Questi giorni, teoricamente già compresi<br />

nel <strong>per</strong>iodo dell’hanami (la fioritura dei ciliegi), sono invece<br />

funestati da una <strong>per</strong>sistente ondata di freddo siberiano, che<br />

quasi non lascia intravedere neppure i boccioli.<br />

Ōsaka non offre molti poli d’interesse: l’anima della città<br />

è prevalentemente commerciale e la gente vive di traffici e<br />

finanza più che di storia e cultura.<br />

Riprendiamo la linea Chūō della metropolitana e<br />

cambiamo ad Hommachi <strong>per</strong> la Midōsuji, portandoci verso<br />

la zona di Namba, che comprende Sennichimae e Dōguyasuji,<br />

famose strade commerciali co<strong>per</strong>te. I negozi offrono una<br />

mercanzia assai variegata: cibo, carabattole, abbigliamento,<br />

scarpe, telefoni cellulari ed altro. Ritorno mediante la<br />

medesima linea Midōsuji.<br />

Nel pomeriggio, dopo aver ritirato le valigie lasciate in<br />

custodia all’albergo, riprendiamo la via della stazione di<br />

Shin-Ōsaka.<br />

Siamo a corto di generi alimentari, ma questo non è un<br />

fattore problematico: le grandi stazioni giapponesi sono un<br />

microcosmo autonomo dove si può trovare di tutto, non<br />

solo centri commerciali e su<strong>per</strong>mercati, ma anche alberghi,<br />

ristoranti ecc. Usciamo da un negozio di alimentari con un<br />

sacchetto di frutta, verdura, yogurt e bevande varie. Vi sono<br />

anche alcuni forni in stile europeo, che riscuotono parecchio<br />

successo con i loro pani caldi ripieni di frutta secca, i plum-<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

cakes e le brioches, molto utili <strong>per</strong> le nostre colazioni in<br />

camera.<br />

Avendo un budget limitato e non disponendo ancora<br />

dell’abbonamento ferroviario, ci rechiamo a Kyōto <strong>per</strong><br />

mezzo di un treno locale, la cui tariffa è assai inferiore<br />

a quella di un espresso. Siamo <strong>per</strong>ò costretti ad affrontare<br />

un viaggio di oltre 60 minuti nell’ora di punta, compressi<br />

come sardine, sull’affollata tratta Ōsaka-Kyōto. I posti a<br />

sedere sono scarsi e la maggioranza delle <strong>per</strong>sone rimane in<br />

piedi fino a destinazione, mentre il caldo nei vagoni dovuto<br />

all’elevato numero di passeggeri sale di minuto in minuto.<br />

D’un tratto squilla il telefono: è una chiamata proveniente<br />

dall’Italia. Esito qualche istante al pensiero degli elevati costi<br />

del roaming, quando infine mi decido a rispondere. Ho fatto<br />

bene, è un’importante telefonata di lavoro, anche se <strong>per</strong> soli<br />

cinque minuti di conversazione ho dovuto sborsare circa 10<br />

euro. Per essere utilizzati in <strong>Giappone</strong>, i telefoni cellulari<br />

devono essere conformi allo standard 3G (W-CDMA) con<br />

frequenze di 800 e 2100 MHz, caratteristiche incluse in<br />

qualsiasi moderno smartphone. I telefoni che sicuramente<br />

non funzionano sono quelli rispondenti al solo standard 2G<br />

(GSM), ormai in declino anche in Europa. Ho effettuato il<br />

roaming con NTT DoCoMo, la principale compagnia di<br />

telecomunicazioni giapponese, che ha accordi con il mio<br />

o<strong>per</strong>atore italiano. Un altro o<strong>per</strong>atore che copre largamente<br />

il territorio è Softbank.<br />

A Kyōto (ab. 1,5 milioni) l’intero treno si riversa nella<br />

modernissima stazione, una monumentale o<strong>per</strong>a in vetro<br />

ed acciaio dell’architetto Hara Hiroshi, inaugurata nel 1997.<br />

Questo edificio, che di solito costituisce il primo impatto<br />

della città da parte dei visitatori, ha da sempre suscitato<br />

sentimenti contrastanti: alcuni lo considerano un illustre<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

esempio d’architettura moderna, mentre altri lo ritengono<br />

scarsamente consono alla capitale storico-culturale del<br />

<strong>Giappone</strong>, custode di templi e santuari millenari.<br />

Il nostro albergo, il Kyōto Tower Hotel Annex, è la<br />

dipendenza di uno degli alberghi più centrali della città, a soli<br />

cinque minuti di cammino dalla stazione. Le camere, seppur<br />

piccole, sono confortevoli. Dalla finestra si ha la visuale della<br />

torre di Kyōto, un affusolato edificio bianco ed arancione alto<br />

131 m, illuminato di notte. La strada su cui si affaccia la stanza,<br />

di fronte ad un parcheggio, è tranquilla e poco trafficata. Per<br />

mancanza di posti letto, due <strong>per</strong>sone sono invece alloggiate<br />

nell’edificio principale del Kyōto Tower Hotel, a tre isolati di<br />

distanza.<br />

Finalmente è tempo di una doccia: il bagno non è costruito<br />

in muratura, bensì è una struttura prefabbricata in plastica<br />

(ca. 1,5×1,5 m) collocata in un angolo della camera, dotata<br />

di un minuscolo lavandino, una vasca striminzita ed un<br />

water elettronico (washlet). Quest’ultimo, invenzione della<br />

ditta Toto negli anni ‘80, include il riscaldamento dell’asse,<br />

il bidet automatico ed altre funzioni azionate mediante una<br />

plancia posta a lato. Su comando dell’utente l’acqua esce già<br />

tiepida da alcune cannelle <strong>per</strong> il lavaggio delle parti anteriori<br />

e posteriori. Il getto è regolabile in vari gradi d’intensità. Per<br />

i <strong>per</strong>plessi: fidatevi, funziona ed è anche piacevole!<br />

Se invece avete necessità d’usare un rasoio elettrico ad<br />

alimentazione diretta o un asciugacapelli, considerate che<br />

nei bagni non è sempre disponibile una presa di corrente. La<br />

tensione è ovunque di 100 V, mentre la frequenza è di 50 Hz<br />

nella metà nord-est del paese e di 60 Hz nella metà sud-ovest.<br />

Le prese sono di tipo “A” con due poli a lamine piatte, simili<br />

a quelle americane. L’acqua dei rubinetti è sempre potabile,<br />

ma è possibile che nelle città non abbia un ottimo sapore <strong>per</strong><br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

via dei processi di depurazione.<br />

La dotazione delle camere comprende in genere oltre<br />

a saponi, asciugamani, spazzolino e dentifricio, anche<br />

la yukata, vestaglia di cotone che si usa dopo il bagno<br />

pomeridiano oppure d’estate come indumento informale e<br />

leggero. Onnipresente è inoltre il bollitore dell’acqua con le<br />

bustine del tè di cortesia.<br />

Sono ormai le 20.30, già tardi <strong>per</strong> la cena: il ristorante<br />

dell’albergo sta ormai smettendo di accettare clienti.<br />

Chiediamo se sia ancora possibile accomodarsi. «Va bene»,<br />

rispondono, «<strong>per</strong>ò chiudiamo alle 21». Provo il curry<br />

giapponese (karē raisu), versione nazionale del curry<br />

indiano introdotto dagli inglesi nel XIX secolo, ormai parte<br />

integrante della cucina locale. La portata è divisa a metà,<br />

con del riso bianco da un lato e della salsa al curry con carne<br />

dall’altro. Puntuali, alle 21 i camerieri iniziano a sparecchiare:<br />

non ho ancora finito la pietanza che sono invitato a saldare<br />

il conto ed a lasciare il locale. Fingo di nulla, tergiversando<br />

<strong>per</strong> qualche istante, mentre sorseggio un bicchiere d’acqua.<br />

Poi, con grandi cucchiaiate, riesco a dare velocemente fondo<br />

al piatto.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Ōsaka: la rocca del castello<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

4 aprile<br />

Kyōto, l’antica capitale<br />

L<br />

a giornata è interamente dedicata a Kyōto. Acquistiamo<br />

un abbonamento giornaliero (“one day pass”) <strong>per</strong> i<br />

trasporti pubblici: la città è servita da una fitta rete di autobus,<br />

mentre la metropolitana invece, di sole due linee, è di scarsa<br />

utilità a fini turistici.<br />

La linea 5 è la più diretta <strong>per</strong> il tragitto dalla stazione<br />

fino a ridosso delle colline nord-orientali. La prima meta è<br />

il Ginkaku-ji (Padiglione d’argento), costruito nel 1482<br />

<strong>per</strong> volere dello shōgun Ashikaga Yoshimasa come luogo di<br />

svago e meditazione immerso nella natura. Dal 1485, con il<br />

ritiro dello shōgun a vita contemplativa, venne riadattato a<br />

monastero Zen. Nel nome degli edifici religiosi, i suffissi –ji,<br />

–dera, –in o –an indicano un tempio buddhista, mentre –gū,<br />

–jingū, –jinja o più raramente –taisha rivelano la presenza<br />

di un santuario scintoista. In molti casi il sincretismo non<br />

<strong>per</strong>mette <strong>per</strong>ò di scindere nettamente i culti.<br />

La parte più nota del complesso, costituito da vari edifici<br />

circondati da un lussureggiante giardino, è la sala di Kannon<br />

(Kannonden). Nell’intenzione del costruttore, essa avrebbe<br />

dovuto emulare il più antico Padiglione d’oro (sempre a<br />

Kyōto) con la co<strong>per</strong>tura di uno strato d’argento. Il progetto<br />

non fu <strong>per</strong>ò mai portato a termine e la struttura lignea rimase<br />

esposta.<br />

Dal Ginkaku-ji <strong>per</strong>corriamo un tratto di strada a piedi<br />

verso sud seguendo il sentiero della filosofia (o del<br />

filosofo) che costeggia le colline orientali (Higashiyama). Per<br />

via del freddo intenso e della pioggia di questi giorni, i ciliegi<br />

che lambiscono il viale continuano a non degnarci della loro<br />

fioritura. Forse Amaterasu-ō-mi-kami, suprema dea del sole,<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

si cela dietro ad una cortina di nuvole <strong>per</strong> scarsa simpatia<br />

verso noi gaijin (stranieri)<br />

Dopo un quarto d’ora svoltiamo a sinistra oltre un<br />

ponticello verso l’Hōnen-in, tempio della scuola Jōdo<br />

fondato nel 1681. L’interno non è a<strong>per</strong>to al pubblico, ma la<br />

parte più interessante sono i folti giardini di rododendri, pini,<br />

camelie e grossi sugi (Cryptomeria japonica, gli autoctoni<br />

cipressi giapponesi).<br />

Riprendiamo il <strong>per</strong>corso: la giornata si rasserena<br />

lentamente e ne approfittiamo <strong>per</strong> un breve pranzo al sacco.<br />

All’estremità meridionale del sentiero della filosofia vi è<br />

il Nanzen-ji, annoverato fra i templi più rappresentativi<br />

di Kyōto: nato come residenza im<strong>per</strong>iale, fu trasformato<br />

in tempio Zen nel 1291. Gli edifici attuali risalgono al XVII<br />

secolo.<br />

Il sanmon, monumentale portale ligneo, introduce all’area<br />

interna. Il famoso giardino detto della “tigre saltante” è<br />

purtroppo chiuso <strong>per</strong> lavori. Le parti meno note del complesso<br />

non sono <strong>per</strong>ò meno interessanti: oltrepassato l’acquedotto in<br />

mattoni, svoltiamo a sinistra <strong>per</strong> una stradina che si addentra<br />

in una valletta boscosa. Lasciamo ancora sulla sinistra un<br />

santuario scintoista, inerpicandoci <strong>per</strong> un sentiero fino<br />

all’Oku-no-in, romitaggio che sorge nei pressi di una grotta<br />

e di una cascata, oasi di pace non interessata dal turismo<br />

tradizionale. Concordo appieno con quanto affermato da una<br />

compagna di viaggio: la sco<strong>per</strong>ta di questo luogo deserto a<br />

contatto con la natura non fa certo rimpiangere la folla dei<br />

monumenti più conosciuti. Una grossa pietra, scolpita con<br />

delle formule sacre, reca un cordone che la cinge in senso<br />

longitudinale: così la fede scintoista suole tributare onore<br />

alle più notevoli manifestazioni naturali, come alberi secolari<br />

e massi erratici, che in tal modo assurgono alla dignità di<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

manifestazioni metafisiche, seppur non trascendenti, quali<br />

sono gli spiriti ed i kami.<br />

Tornati in basso, attraverso una porta a<strong>per</strong>ta nel convento<br />

riusciamo ugualmente a sbirciare all’interno dei giardini,<br />

almeno fino a quando non giunge un monaco a ricordarci che<br />

quella zona è chiusa al pubblico.<br />

Ripreso l’autobus, il <strong>per</strong>corso continua verso il Chionin,<br />

monastero casa-madre della scuola Jōdo, costruito nel<br />

1234 da un discepolo del fondatore Hōnen (1133–1212). Gli<br />

edifici attuali risalgono al XVII secolo, quando il complesso<br />

fu interamente ricostruito dallo shōgun Tokugawa Iemitsu<br />

(1604–1651) in seguito ad un incendio.<br />

Oltrepassato il portale, come in tutti i templi ed i santuari,<br />

si trova una fontanella <strong>per</strong> l’abluzione rituale: mediante un<br />

mestolo, preso con la mano destra, si versa un po’ d’acqua<br />

sulla sinistra. Quindi si inverte la mano e se ne versa un po’<br />

sulla destra. Si riprende poi il mestolo con la mano destra e<br />

si versa dell’acqua nella sinistra, con la quale ci si sciacqua la<br />

bocca. Il liquido residuo viene infine scaricato sulla mano che<br />

ha lavato la bocca.<br />

Nella sala principale un monaco è intento alla recitazione<br />

dei sūtra accompagnandosi con il suono di un tamburello. Il<br />

corridoio che conduce ad un padiglione attiguo è dotato del<br />

pavimento dell’usignolo, così detto <strong>per</strong> via dello scricchiolio<br />

che ricorda il canto del volatile: si tratta di un’antica forma di<br />

antifurto che trova anche altri esempi nel paese e nella stessa<br />

Kyōto.<br />

Dal cortile, una scala sul fianco del clivo propinquo<br />

raggiunge la struttura che ospita la campana più grande del<br />

<strong>Giappone</strong> (74 tonnellate), fusa nel 1633. Si dice che siano<br />

necessari più di 15 monaci <strong>per</strong> poterla suonare.<br />

Dal Chion-in si prosegue con il bus (linea 100), sempre<br />

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17<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

costeggiando le colline, verso il Kiyomizu-dera, tempio<br />

fondato nel 798. Dalla fermata su Higashi Ōji raggiungiamo<br />

la <strong>per</strong>pendicolare Matsubara dōri, una strada costellata di<br />

negozi che conduce, dopo una ventina di minuti di cammino,<br />

fino alla scalinata d’ingresso. Gli edifici attuali sono<br />

abbastanza antichi <strong>per</strong> i criteri giapponesi poiché risalgono al<br />

1633. La folla è numerosa: questo è uno dei luoghi più amati<br />

della città. Il sole declina e molti abitanti di Kyōto salgono fin<br />

quassù <strong>per</strong> godersi lo spettacolo del tramonto, alcuni vestiti<br />

in kimono.<br />

Il panorama migliore si ha dalla terrazza lignea dell’edificio<br />

principale, rivolta sulla valle sottostante e sospesa <strong>per</strong> decine<br />

di metri su un sistema di palafitte: nella lingua giapponese vi<br />

è l’espressione idiomatica “saltare dal Kiyomizu”, utilizzata<br />

quando ci si appresta a su<strong>per</strong>are una difficoltà (equivalente ai<br />

nostri “saltare il fosso” o “gettare il cuore oltre l’ostacolo”). In<br />

passato qualche pazzo ha saltato veramente, risolvendo tutti<br />

i suoi problemi in maniera definitiva.<br />

Più in basso è collocata una fontana, già venerata in tempi<br />

antichissimi, forse addirittura antecedenti la fondazione del<br />

tempio stesso (il cui nome evocativo significa non a <strong>caso</strong><br />

“acqua chiara”). Le leggende sono varie, ma fra le più diffuse vi<br />

è quella che vorrebbe i tre zampilli rispettivamente portatori<br />

di buona salute, felice vita sentimentale e successo negli studi<br />

(o intelligenza). Sarebbe <strong>per</strong>ò concesso bere al massimo da<br />

due getti: il su<strong>per</strong>bo che osasse servirsi da tutti e tre sarebbe<br />

punito con il mancato esaudimento dei suoi desideri.<br />

L’imbrunire si avvicina: lasciamo il Kiyomizu scendendo<br />

da Gojozaka ed attendiamo l’autobus (linea 100) <strong>per</strong> Gion, il<br />

quartiere tradizionale di Kyōto, dove si concentrano le poche<br />

strade che ancora ricordano l’atmosfera della città vecchia.<br />

Iniziando da Shinmonzen dōri, la meno interessante <strong>per</strong> via<br />

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18<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

della presenza di edifici moderni, proseguiamo <strong>per</strong> Shirakawa<br />

minami dōri, fiancheggiata da case di legno e ciliegi in fiore<br />

ai margini di un ruscello. L’atmosfera notturna con gli alberi<br />

illuminati dai fari e con la luna sullo sfondo conferisce un<br />

valore aggiunto a questo luogo già di <strong>per</strong> sé suggestivo.<br />

L’ultima strada, Hanami kōji, è conosciuta <strong>per</strong> le vecchie da<br />

case da tè ove risiedono le poche geisha che ancora esercitano<br />

questa professione.<br />

La geisha (lett.: “<strong>per</strong>sona d’arte”), fa del proprio lavoro<br />

la pratica delle arti tradizionali, ovvero la musica, il canto, la<br />

danza, la pittura, la calligrafia ecc. Essa non è, come alcuni<br />

possono credere, una sorta di meretrice <strong>per</strong>ché è lei stessa a<br />

decidere se e quando concedersi, cosa che può avvenire non<br />

prima di lunghissimi <strong>per</strong>iodi di frequentazione, ma che più<br />

spesso non avviene affatto.<br />

Le danze eseguite dalle geisha traggono origine dal<br />

teatro kabuki degli inizi, quando era ancora <strong>per</strong>messa la<br />

recitazione delle donne. Nel corso dei secoli i movimenti<br />

hanno acquisito maggiore lentezza e simbolismo, andando a<br />

configurare un genere autonomo. Il principale strumento di<br />

accompagnamento è lo shamisen, una chitarra a tre corde.<br />

I ranghi delle geisha sono differenziati in base<br />

all’es<strong>per</strong>ienza: l’apprendista è detta maiko, mentre la geisha<br />

effettiva, che porta il nome di geiko nella zona di Kyōto, può<br />

essere solo colei che ha raggiunto la totale padronanza delle<br />

arti.<br />

In tutto ciò che rappresenta, la geisha è un re<strong>per</strong>to storico<br />

e sociologico vivente, quasi immutato nelle sue forme da<br />

quattrocento anni.<br />

All’improvviso scorgiamo un paio di esse mentre, inseguite<br />

dai turisti e dai fotografi, escono furtivamente da una casa da<br />

tè ed affrettano il passo <strong>per</strong> dileguarsi nei vicoli più bui del<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

quartiere.<br />

Un ponte sul Kamo-gawa, fiume che taglia la città in senso<br />

latitudinale, conduce a Pontochō, l’altro quartiere vecchio<br />

di cui rimane solo un vicolo affollato di ristoranti di tutti i<br />

tipi.<br />

Essendo già tardi, alcuni preferiscono cenare in zona,<br />

mentre altri ritornano verso l’albergo. Noi del primo<br />

gruppetto optiamo <strong>per</strong> un ristorantino nel quale scelgo la<br />

nabe (lett. “casseruola”), una ciotola di ghisa rovente ripiena<br />

di carne sukiyaki, verdure (principalmente cipollotto e<br />

cavolo) e tagliolini. Vi è anche un uovo crudo che viene cotto<br />

direttamente in tavola a contatto con il calore della pentola.<br />

Questo piatto, assai consistente, è di norma servito solo nei<br />

mesi invernali.<br />

Da bere, oltre il tè, vi è la birra di produzione nazionale di<br />

marca Asahi o Sapporo, in stile Lager mediamente luppolata<br />

e parecchio costosa. La birra, se ordinata, può essere una<br />

delle voci più onerose di un pranzo in un locale economico.<br />

La giornata termina con il rientro in albergo mediante<br />

autobus (linea 17). Prima di ritirarci, rimasti in due ci<br />

attardiamo ancora mezz’ora <strong>per</strong> salire sulla terrazza<br />

panoramica della stazione. Una serie di scale mobili conduce<br />

fin sul tetto: in piena sera, nella penombra, sono in molti a<br />

sostare tranquillamente seduti sulle panchine a godersi la<br />

serata, chiacchierando e contemplando il panorama di Kyōto<br />

puntinata di luci. Non si avverte alcuna tensione dovuta alla<br />

sicurezza, non ci si sente osservati da nessuno. La polizia, che<br />

non è sostanzialmente d’utilità, non rivela quasi mai la sua<br />

presenza. Mentre scrivo, ormai a casa, ripenso con nostalgia<br />

all’assenza di criminalità spicciola che concerne scippi e<br />

rapine. Con questo non intendo affermare che in <strong>Giappone</strong> la<br />

malavita non esista: la Yakuza (mafia) gestisce nell’ombra<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

grandi affari come appalti, giri di corruzione politica, traffico<br />

di stupefacenti e speculazione edilizia, ma rimane confinata<br />

nella propria sfera che raramente tocca la vita del cittadino<br />

comune.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Kyōto: il Nanzen-ji<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Kyōto: il Kiyomizu-dera<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

5 aprile<br />

Kyōto tra templi e monasteri<br />

A<br />

ll’ufficio abbonamenti della stazione, i Japan Rail<br />

Pass prenotati dall’Italia sono pronti <strong>per</strong> essere<br />

ritirati. Questo abbonamento ferroviario, riservato solo<br />

agli stranieri o ai giapponesi residenti all’estero, è l’unico<br />

realmente conveniente <strong>per</strong> i turisti. Con meno di 300<br />

euro alla settimana si ha diritto all’utilizzo illimitato delle<br />

carrozze di IIª classe (“standard”) sui treni del gruppo Japan<br />

Railways, compresi quelli locali, gli espressi, alcune tratte<br />

d’autobus ed una di traghetto. Fanno eccezione i soli servizi<br />

di shinkansen “Nozomi” e “Mizuho”, mentre tutti gli altri<br />

treni ad alta velocità sono inclusi. Il Japan Rail Pass offre<br />

eventualmente anche la Iª classe (“green car”, i cui vagoni<br />

sono contraddistinti da un quadrifoglio verde), dal costo<br />

settimanale di circa 350/400 euro. Si prenota l’abbonamento<br />

già prima della partenza tramite un’agenzia specializzata<br />

<strong>per</strong>ché in <strong>Giappone</strong> non viene rilasciato. Giunti sul luogo, ci<br />

si presenta presso gli uffici JR delle grandi stazioni, dei porti<br />

o degli aeroporti muniti del tagliando fornito dall’agenzia,<br />

che sarà scambiato con la tessera vera e propria del Japan<br />

Rail Pass.<br />

«I vostri documenti saranno pronti nel pomeriggio», ci<br />

comunicano. Nel frattempo chiediamo di poter prenotare<br />

dieci posti sul treno di domani <strong>per</strong> Nara: «si possono<br />

effettuare solo sette prenotazioni» sentenzia l’impiegata ad<br />

alta voce, accertandosi che tutti i presenti abbiano udito.<br />

Dopo tali categoriche parole afferra sette biglietti, li allinea<br />

in bella vista di fronte a noi ed aggiunge «<strong>per</strong>ché questo è<br />

il regolamento!». Poi, con fare fulmineo, passa sottobanco<br />

altri tre biglietti. Ringraziamo con inchini silenziosi.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Da questo episodio si può trarre spunto <strong>per</strong> accennare<br />

alla complessità dell’etica giapponese, <strong>per</strong>meata di<br />

valori confuciani d’origine cinese, rielaborati attraverso<br />

paradigmi locali nel corso di vari secoli: se da un lato il<br />

testo di un regolamento è insindacabile, dall’altro la sua<br />

applicazione può essere assai meno rigida. L’impiegata delle<br />

ferrovie ha salvato tatemae (apparenza) e honne (sostanza)<br />

consegnando pubblicamente il numero di biglietti consentiti e<br />

contravvenendo con i tre rimanenti <strong>per</strong> soddisfare le richieste<br />

del cliente. Le altre <strong>per</strong>sone in fila, che hanno visto e sentito<br />

tutto, hanno suggellato questo mercato con la loro omertà.<br />

È dunque possibile sfatare il mito del rispetto delle regole,<br />

in realtà assai più labile di quanto si possa immaginare: è<br />

sufficiente che l’illecito non sia commesso in modo plateale.<br />

L’unica cosa da salvaguardare, in ogni <strong>caso</strong>, è la correttezza<br />

di facciata.<br />

La prima meta della giornata, raggiunta mediante la linea<br />

205, è il Kinkaku-ji (Padiglione d’Oro), da sempre citato<br />

fra i principali luoghi d’interesse del <strong>Giappone</strong>, costruito nel<br />

1397 <strong>per</strong> volontà dello shōgun Ashikaga Yoshimitsu. Il nome<br />

è dovuto alla co<strong>per</strong>tura in fogli d’oro della parte su<strong>per</strong>iore<br />

dell’edificio. In modo simile ad altre strutture, anche questa<br />

fu trasformata nel corso del tempo da luogo di svago a luogo<br />

di preghiera.<br />

A quei tempi non era infrequente il ritiro a vita cenobitica<br />

da parte di uno shōgun, <strong>per</strong> lasciare la carica alle generazioni<br />

successive. L’influenza del governante in ritiro continuava<br />

<strong>per</strong>ò ad essere informalmente esercitata dalla cella del<br />

convento (il cosiddetto “governo claustrale”), ponendolo in<br />

una posizione talvolta preminente rispetto a quello legittimo.<br />

Nel 1950 questo luogo fu teatro di un’amara vicenda:<br />

un monaco, in seguito dichiarato incapace di intendere<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

e di volere, diede il padiglione alle fiamme nel corso di un<br />

accesso di follia. Cinque anni più tardi fu completata la<br />

ricostruzione fedele all’originale. L’episodio ha costituito lo<br />

spunto letterario da parte dello scrittore Mishima Yukio<br />

<strong>per</strong> la stesura del romanzo intitolato Kinkaku-ji.<br />

Sul finire degli anni ‘80, constatato il deterioramento della<br />

doratura, si decise di intervenire applicandone uno strato<br />

più spesso: in quell’occasione l’o<strong>per</strong>azione fu estesa anche al<br />

piano intermedio dell’edificio.<br />

Il <strong>per</strong>corso della visita è circolare ed include, oltre al<br />

padiglione, anche i vasti giardini che lo circondano. I<br />

giardinieri sono all’o<strong>per</strong>a <strong>per</strong> rinnovare il tappeto di muschio<br />

che ricopre il terreno. Questo sistema è utilizzato in luogo<br />

dell’erba <strong>per</strong>ché il giardino giapponese è <strong>per</strong>lopiù di figura:<br />

lo si può ammirare ma non lo si può calpestare. All’interno,<br />

i visitatori devono passare sopra degli appositi <strong>per</strong>corsi di<br />

ghiaia e terra battuta.<br />

Presso un banchetto verso l’uscita assaggio i mochi,<br />

dolcetti di riso glutinoso che sono venduti infilzati ad uno<br />

spiedino.<br />

Riprendiamo l’itinerario costeggiando le colline<br />

occidentali. Non lontano dal Padiglione d’oro, proseguendo<br />

con la linea 59, vi è il Ryōan-ji, tempio Zen di scuola Rinzai<br />

la cui principale attrattiva consiste nel celeberrimo giardino<br />

secco di quindici rocce, un cortile di ghiaia modellata a<br />

righe, composto da vari massi che possono essere visti<br />

nell’insieme solo da un certo punto d’osservazione. Non è<br />

possibile camminarvi attraverso <strong>per</strong>ché si tratta a tutti gli<br />

effetti di un’o<strong>per</strong>a d’arte che verrebbe altrimenti deteriorata.<br />

L’autore, vissuto intorno alla metà del XV secolo, è rimasto<br />

sconosciuto lasciando un alone di mistero sul significato<br />

dell’o<strong>per</strong>a. Alcuni vogliono scorgervi la rappresentazione del<br />

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26<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

mare; <strong>per</strong>sonalmente prediligo <strong>per</strong>ò l’ipotesi del giardino<br />

come metafora e strumento della ricerca dello Zen, intuizione<br />

spontanea dell’osservatore che, esaurita la ricerca razionale,<br />

scaturirà dalla pura contemplazione attraverso la mente<br />

sgombra e recettiva, finalmente libera dai processi cognitivi.<br />

All’interno del tempio, dov’è obbligatorio camminare<br />

scalzi, una calligrafa è intenta a tracciare ideogrammi su<br />

alcune tavolette di legno: chissà quali sacre scritture<br />

Oltre al giardino secco, non meno interessante, seppur<br />

meno noto, è l’esteso giardino umido, assai fitto ed<br />

inframmezzato di piante, arbusti, rocce e laghetti. Fra la<br />

vegetazione sono collocate delle caratteristiche fontanelle,<br />

il cui getto d’acqua esce da un tubo di canna di bambù,<br />

gettandosi in un bacile cilindrico di pietra.<br />

Pranzo consumato al volo su una scalinata, quasi senza<br />

tregua: il tempo passa ed è necessario proseguire con il<br />

59 verso la prossima meta. Giunti al capolinea (fermata di<br />

Yamagoe Nakacho) si effettua il cambio con la linea 11.<br />

Sui rilievi si stanno addensando nubi nere che<br />

preannunciano un acquazzone. Fuori città, ad Arashiyama<br />

(forse non a <strong>caso</strong> “monti della tempesta”), il temporale si<br />

scatena costringendoci a trovare rifugio in un locale <strong>per</strong><br />

riscaldarci sorbendo un tè. Fuori, insieme alla pioggia<br />

battente, spira un vento freddo e violento. La furia degli<br />

elementi si placa in tre quarti d’ora, ma le nubi rimangono<br />

fitte e cariche (è evidente che la dea del sole non ci ama…)<br />

Riusciamo ad infonderci coraggio e ad uscire, vestiti di<br />

tutto ciò che possediamo, <strong>per</strong> visitare il Tenryū-ji, tempio<br />

casa-madre della corrente Tenryū del buddhismo Rinzai Zen,<br />

fondato nel 1339 dallo shōgun Ashikaga Takauji.<br />

L’interno si rivela come un vasto e valido esempio<br />

dell’architettura Zen d’epoca Muromachi, che ha come base<br />

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27<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

l’idea della linearità e della sobrietà. La struttura portante<br />

degli edifici è interamente in legno, con le pareti rimovibili<br />

foderate di carta di riso. Con l’arrivo della bella stagione<br />

vengono eliminate le barriere fra interno ed esterno: in<br />

tal modo sia il tempio che la residenza privata si aprono al<br />

giardino tramite il porticato, ed il giardino diventa a sua volta<br />

parte della dimora.<br />

Nei padiglioni la pulizia regna sovrana e, come sempre<br />

accade, siamo invitati a lasciare le scarpe all’entrata <strong>per</strong><br />

camminare scalzi sul tatami.<br />

Rimesse le calzature ci <strong>per</strong>diamo nel vasto e labirintico<br />

giardino (XIV secolo) che include, oltre a numerose specie<br />

endemiche ed esotiche, anche un boschetto di bambù giganti.<br />

Al termine del pomeriggio il gruppo si divide: alcuni<br />

si dirigono in albergo mentre in quattro rientriamo in<br />

città (linea 28) effettuando una tappa intermedia al Nishi<br />

Hongan-ji, tempio casa-madre della corrente Hongan della<br />

scuola buddhista Jōdo, costruito <strong>per</strong> volere di Toyotomi<br />

Hideyoshi nel 1591. Ormai si sta facendo tardi e purtroppo<br />

molti monumenti pubblici quali templi e musei non<br />

presentano degli orari assai estesi: in inverno la chiusura<br />

avviene raramente dopo le 17.30. Arriviamo sul luogo alle<br />

17.13 e subito una guardia si avvicina <strong>per</strong> ricordarci l’orario<br />

di chiusura. «Va bene, grazie», gli rispondo, «allora<br />

abbiamo circa 20 minuti <strong>per</strong> la visita…». E lui: «di minuti<br />

ne avete 17, non 20!». Sbalorditi e vagamente <strong>per</strong>plessi da<br />

tale puntigliosità, ci affrettiamo con lo sguardo costante<br />

all’orologio.<br />

Chi ama le o<strong>per</strong>e grandiose non sarà di certo deluso:<br />

dal cortile ai padiglioni, tutto lascia intuire quale centro di<br />

potere fosse questo luogo in passato, quando costituiva il<br />

braccio religioso dei governanti del <strong>Giappone</strong> nell’epoca<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Azuchi-Momoyama. Qui ebbe origine la potenza del<br />

buddhismo di stato e di governo che fu <strong>per</strong> secoli favorito<br />

dalla casata shōgunale e dai signori feudali a detrimento<br />

dello shintoismo, culto legato tradizionalmente alla famiglia<br />

im<strong>per</strong>iale. Per questa ragione nel 1868, con il rovesciamento<br />

dello shōgunato Tokugawa e la restaurazione dell’im<strong>per</strong>atore<br />

Meiji, il credo buddhista venne scoraggiato a favore di<br />

un rinascente scintoismo, culto autoctono maggiormente<br />

funzionale alla nuova retorica nazionalista.<br />

Anche nel passato più remoto non mancarono i momenti<br />

di difficoltà. Appena nel 1602, 11 anni dopo la sua fondazione,<br />

l’Hongan-ji si scisse in due rami distinti <strong>per</strong> ragioni politiche:<br />

il Nishi (Occidentale) e l’Higashi (Orientale), il primo fedele<br />

alla famiglia Toyotomi ed il secondo a quella Tokugawa. La<br />

disputa a livello politico si risolse con il consolidamento del<br />

potere e la pacificazione del paese da parte di Tokugawa<br />

Ieyasu, ma le due correnti rimasero separate con i rispettivi<br />

monasteri a pochi isolati di distanza.<br />

Le sale sono amplissime e decorate di fini intagli lignei. Dal<br />

soffitto pendono sontuosi lampadari intarsiati che illuminano<br />

ricchi altari carichi d’oro e di broccati. Nonostante questi<br />

particolari, nel complesso l’ambiente rimane assai sobrio<br />

in confronto ad altri esempi di opulenza asiatica, come ad<br />

esempio sono certi monasteri tibetani.<br />

Nel porticato, due giovani monaci sono intenti a suonare<br />

un cilindro di legno con dei martelli: un suono sordo, acuto<br />

e ritmato.<br />

Allo scadere dei 17 minuti la guardia invita tutti gli astanti,<br />

in modo <strong>per</strong>entorio, ad uscire dal cancello. Dopo averci<br />

chiesto la provenienza (pura formalità), ci accompagna<br />

fino in strada <strong>per</strong> essere sicuro che a nessuno venga la<br />

tentazione di attardarsi qualche secondo in più oltre l’orario<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

consentito. Io, fermo sulla soglia <strong>per</strong> scattare una fotografia,<br />

sono costretto ad arretrare verso il marciapiede e non riesco<br />

neppure a terminare <strong>per</strong>ché «l’area è in chiusura». A volte<br />

si dice che i giapponesi non siano in grado di declinare una<br />

richiesta anche se non sono in grado d’esaudirla: questo è<br />

generalmente vero solo nell’ambito dei rapporti sociali<br />

governati dalle regole confuciane, come quelli familiari,<br />

lavorativi, scolastici, politici o comunque di quelli che<br />

presuppongono l’esistenza d’una gerarchia consolidata.<br />

Poiché la posizione del turista nella “società confuciana” è<br />

assai incerta, esso verrà trattato ora con grande sussiego, ora<br />

con malcelata freddezza. Nella maggior parte dei casi <strong>per</strong>ò,<br />

il viaggiatore straniero sarà ignorato dai giapponesi. A noi<br />

è comunque accaduto di ricevere dei secchi «iie!» («no!»)<br />

a fronte di cortesi e ragionevoli richieste, come quella di<br />

rimanere ancora un paio di minuti al tempio <strong>per</strong> terminare le<br />

fotografie. L’affermare d’essere arrivati fin qui dall’Italia <strong>per</strong><br />

ammirare questi monumenti non suscita alcuna differenza di<br />

trattamento da parte del guardiano.<br />

Così bruscamente congedati, grazie alla clemenza del<br />

tempo riusciamo a tornare a piedi verso l’albergo: in tal modo<br />

abbiamo la possibilità di cercare un locale <strong>per</strong> la cena.<br />

Nel frattempo, dobbiamo fermarci <strong>per</strong> degli acquisti. Non<br />

esistono molti negozi di generi specifici, ma sono assai diffusi<br />

i minimarket (localmente detti konbini, una storpiatura<br />

e contrattura di convenience store) che vendono un po’ di<br />

tutto: dai biscotti ai giornali, dai detersivi alla verdura fino<br />

ai sacchetti di polpo e seppia essiccati da gustare come<br />

snack. I generi ittici di tutti i tipi costituiscono una parte<br />

preponderante nel settore degli alimentari. C’è anche un<br />

banco dove i bentō vengono preparati al momento: garanzia<br />

di freschezza, direte voi E invece niente affatto! S’intravede<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

la cucina retrostante, un unico lerciume nel quale spiccano<br />

friggitrici incrostate di grasso vecchio di giorni lasciato<br />

seccare, pentole sporche alla mercé delle mosche, avanzi di<br />

cibo da buttare, il tutto condito da un olezzo generalizzato<br />

assai poco invitante. Che fine ha fatto la pulizia maniacale che<br />

dovrebbe contraddistinguere questo paese Semplicemente<br />

si tratta di un’altra verità parziale: mentre alcuni luoghi sono<br />

quasi asettici, altri lo sono assai meno.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Kyōto: il Kinkaku-ji (Padiglione d’oro)<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Kyōto: il Nishi Hongan-ji<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

6 aprile<br />

Nara e le origini della civiltà giapponese<br />

S<br />

ituata 40 km a sud di Kyōto, Nara (ab. 320.000) fu la<br />

capitale del <strong>Giappone</strong> nel corso dell’VIII secolo d.C. e<br />

conserva tuttora vari monumenti risalenti a quell’epoca.<br />

Dalla stazione di Kyōto è conveniente utilizzare la linea<br />

locale <strong>per</strong> Nara. Su questa tratta vi sono due tipi di servizi:<br />

quello rapido che impiega 45 minuti e quello ordinario che<br />

ne impiega 65, fermandosi in tutte le stazioni. La tariffa è la<br />

medesima <strong>per</strong>ché è basata sui chilometri di <strong>per</strong>correnza.<br />

Durante il tragitto scorrono campagne, colline e paesi.<br />

Questa regione è stata <strong>per</strong> novecento anni il cuore politico<br />

ed amministrativo del <strong>Giappone</strong>, inizialmente senza una<br />

capitale fissa (<strong>per</strong>iodo Yamato, 300–710), poi con Nara come<br />

primo centro direzionale (conosciuta all’epoca come Heijō,<br />

710–794) ed infine con Kyōto (allora chiamata Heian, 794–<br />

1185). Dal 1185 in poi il centro del potere, passando da Heian<br />

a Kamakura, si trasferì <strong>per</strong> un secolo e mezzo nell’area del<br />

Kantō, 450 km più ad oriente: questo avvenimento scalfì<br />

definitivamente il predominio del Kansai, che anche con il<br />

successivo ritorno della capitale a Kyōto (1333) non riuscì più<br />

a recu<strong>per</strong>are i fasti <strong>per</strong>duti.<br />

Dalla stazione ferroviaria, una strada rettilinea (Sanjo dōri)<br />

conduce all’area del Parco (Kōen), dove i templi principali<br />

sono situati a breve distanza l’uno dall’altro.<br />

Il primo complesso sul nostro cammino è quello del<br />

Kōfuku-ji, fondato nel 669. Per raggiungerlo è necessario<br />

inerpicarsi su una scalinata, che a lato presenta un piccolo<br />

santuario dedicato a Jizō, con le sue molteplici statue<br />

rico<strong>per</strong>te di stoffe scarlatte. Al piazzale la vista si apre sull’aula<br />

ottagonale del Nanendō e sulle due pagode: quella più antica<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

a tre piani (1143) e quella più recente a cinque piani (1426),<br />

che con i suoi quasi 60 m è la seconda più alta del <strong>Giappone</strong><br />

dopo quella del Tō-ji di Kyōto.<br />

Il tempo va peggiorando: si solleva un vento gelido<br />

ed inizia a piovigginare. Per fortuna a soli cinque minuti<br />

sorge il Tōdai-ji, l’altro polo d’interesse della città. Questo<br />

recinto di templi è celebre <strong>per</strong> il Daibutsu-den (sala del<br />

Grande Buddha), l’edificio ligneo più vasto del mondo. Dal<br />

prato prospiciente la sala si accede al porticato, da dove si<br />

può ammirare l’ardito incastro di travi che regge l’intera<br />

struttura. All’interno, immersa nell’oscurità, si palesa la<br />

statua del Buddha Vairocana. Non è certo un esempio<br />

rilevante dal punto di vista artistico: il suo valore è dato<br />

<strong>per</strong>lopiù dall’antichità poiché risale al 746, anche se è stata<br />

rifusa nel <strong>per</strong>iodo Edo. La testa, un tempo andata <strong>per</strong>duta, è<br />

di nuova e scarsa fattura. Le dimensioni sono colossali (16 m<br />

di altezza).<br />

Dietro alla statua vi è una colonna con un buco alla base,<br />

grande quanto la narice del Buddha: si dice che chi riesca<br />

a passarvi attraverso abbia la garanzia di raggiungere<br />

l’illuminazione. Il <strong>per</strong>tugio è piuttosto stretto <strong>per</strong> gli adulti,<br />

ma sufficientemente largo <strong>per</strong> i bambini, che si divertono<br />

a giocare a nascondino. Morale: la via del Nirvāna è assai<br />

più ardua <strong>per</strong> gli adulti, ormai contaminati dalle vicende<br />

e dai pensieri mondani, che <strong>per</strong> i bambini ancora <strong>per</strong>vasi<br />

dall’ingenuità e dalla semplicità.<br />

All’uscita transitiamo sotto il Nandai-mon, portale adorno<br />

delle pregevoli statue di due guardiani Niō in aspetto adirato<br />

(XIII secolo).<br />

Il parco è popolato (oserei dire “infestato”) da una<br />

moltitudine di cervi spelacchiati che seguono i turisti in cerca<br />

di cibo. Uno di loro, in un istante di distrazione di un nostro<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

compagno, gli strappa di mano la mappa della città e se la<br />

assapora <strong>per</strong> bene come se fosse chissà quale prelibatezza!<br />

Anche tentando di levargliela dalle fauci, l’ungulato non ha<br />

voluto lasciare l’insolito boccone. Nel frattempo, guardandoci<br />

attorno... constatiamo d’aver <strong>per</strong>so qualcuno! «A ripensarci»,<br />

ragiono, «li abbiamo visti l’ultima volta nel butsuden».<br />

Probabilmente ci siamo separati al Tōdai-ji, dove la calca era<br />

notevole e l’orientamento difficoltoso. Ci sparpagliamo nei<br />

dintorni, purtroppo senza risultati.<br />

La pioggia sempre più battente costringe al ritorno di gran<br />

carriera verso la stazione, dove attendiamo il treno <strong>per</strong> Kyōto.<br />

I latitanti sono poi tornati con un treno successivo. In questi<br />

casi è consuetudine ritrovarsi la sera direttamente in albergo.<br />

In città il gruppo si divide: alcuni si recano al santuario di<br />

Fushimi, ornato di numerosissimi torii e dedicato ad Inari, la<br />

divinità delle messi.<br />

In cinque invece, dopo un momento di sosta <strong>per</strong> il pranzo,<br />

<strong>per</strong>corriamo qualche chilometro a piedi verso sud-ovest<br />

oltrepassando strade, cavalcavia, semafori, ferrovie e palazzi<br />

di cemento. Ad un tratto le case si fanno più basse, le strade<br />

più strette, l’atmosfera più dimessa: dal centro siamo arrivati<br />

in un quartiere più popolare. La nostra meta è il Tō-ji, tempio<br />

di scuola Shingon fondato nel 794. Orientarsi non è difficile:<br />

al di là dei tetti si scorge già la pagoda, la più alta costruzione<br />

lignea del <strong>Giappone</strong>, risalente al 1643.<br />

Il classico giardino offre già una discreta fioritura ed è<br />

costellato qua e là dalle macchie bianche e rosa dei ciliegi.<br />

Sul bordo di uno stagno, un airone attende pazientemente<br />

qualche piccolo pesce, mentre fra le zampe gli nuotano delle<br />

carpe, troppo grosse <strong>per</strong> il suo becco.<br />

Riflessa sulla su<strong>per</strong>ficie dell’acqua, la pagoda ricorda<br />

che questo è un luogo sacro al buddhismo: essa deriva, nelle<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

sue linee fondamentali, dallo stūpa indiano e costituisce in<br />

sostanza un mausoleo <strong>per</strong> la conservazione di reliquie da<br />

venerare. La tradizione vuole che il passaggio dalla forma<br />

tondeggiante dello stūpa a quella slanciata della pagoda sia<br />

avvenuta nel XIII secolo <strong>per</strong> mano dell’architetto nepalese<br />

Araniko, al servizio del Gran Khan Kubilai.<br />

Del Tō-ji sono inoltre notevoli il Kōdō (sala degli<br />

insegnamenti) ed il Kondō (sala principale), contenenti<br />

pregevoli immagini buddhiste. La scuola Shingon, cui il<br />

tempio appartiene, è una delle più ritualizzate e dottrinarie<br />

nel panorama del buddhismo giapponese. I suoi caratteri<br />

talvolta mistici ed iniziatici la avvicinano <strong>per</strong> certi versi al<br />

buddhismo tibetano e ne rimarcano la distanza con il severo<br />

Tendai, con il rarefatto Zen e con il popolare amidismo.<br />

È ora di tornare verso il centro della città con un autobus<br />

(linea 205): l’ultima tappa della giornata è l’Higashi<br />

Hongan-ji, tempio gemello del Nishi Hongan-ji di cui si è<br />

parlato precedentemente, forse più dimesso ma non meno<br />

vasto. Uno dei due padiglioni è completamente avvolto da<br />

una struttura provvisoria <strong>per</strong> via di alcuni lavori di restauro,<br />

tanto da apparire come un grosso capannone.<br />

Il sole va declinando: è tempo di ritirarsi in albergo <strong>per</strong> una<br />

doccia. Prima di cenare saliamo sulla vicina torre di Kyōto,<br />

che offre una vista a <strong>per</strong>dita d’occhio sulla città costellata di<br />

luci. Le uniche macchie di buio facilmente riconoscibili sono<br />

i recinti dei monasteri. Anche le colline si notano <strong>per</strong> la loro<br />

oscurità: la pianura è estremamente urbanizzata ma i rilievi<br />

sono boscosi e spopolati. Al limite orientale della conca di<br />

Kyōto spicca illuminata fra le vallette solo la lontana sagoma<br />

del Kiyomizu-dera. Per noi ospiti del Kyōto Tower Hotel, cui<br />

appartiene la torre, il biglietto <strong>per</strong> la terrazza panoramica è<br />

gratuito.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Per cena ci fermiamo in un ristorante interno alla stazione,<br />

specializzato in rāmen (pasta in brodo con carne e verdure),<br />

soba (tagliolini di grano saraceno) e udon (grossi spaghetti<br />

di grano tenero).<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Nara, il Tōdai-ji<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

7 aprile<br />

Treni veloci, sacre isole e ferite storiche<br />

S<br />

veglia alle sei, dobbiamo lasciare Kyōto. Il clima è<br />

freddo ma fortunatamente il cielo è soleggiato. In<br />

stazione i binari dell’alta velocità ferroviaria sono separati<br />

dalle linee ordinarie ed hanno un intero settore a loro<br />

dedicato. Il nostro treno è lo shinkansen 495 delle 8.20 in<br />

servizio su<strong>per</strong> espresso “Hikari”.<br />

Sarebbe stato pittoresco pensare che shin-kan-sen<br />

suonasse come “tonante dragone d’acciaio” o qualcosa di<br />

simile, ma in realtà quest’espressione non significa altro<br />

che… “nuova linea [veloce]”. I giapponesi possono essere, a<br />

seconda del contesto, poetici o pragmatici: in un paese dove<br />

le automobili sono relativamente scarse e decine di milioni<br />

di individui utilizzano quotidianamente i mezzi pubblici, la<br />

questione dei trasporti è affrontata in maniera assai seria e<br />

puntigliosa.<br />

In <strong>Giappone</strong> si può comprendere la vera natura di un<br />

servizio ferroviario ad alta velocità, a differenza di<br />

quanto avviene in altri paesi. La linea è completamente<br />

autonoma da quella ordinaria e presenta uno scartamento ed<br />

una tensione differente: fra le due non vi è mai commistione,<br />

neppure nei centri urbani. Il treno arriva e riparte con<br />

decelerazioni ed accelerazioni notevoli, sostando <strong>per</strong> non più<br />

di due minuti e raggiungendo in brevissimo tempo la velocità<br />

di circa 300 km/h. I macchinisti dello shinkansen sono<br />

sottoposti ad un rigido addestramento che li porta a condurre<br />

il treno con una precisione che rasenta il secondo sulla<br />

tabella di marcia (nella cabina di guida è sempre presente<br />

un cronometro professionale). Per tenere alta l’attenzione<br />

essi devono ripetere, indicandoli, i segnali che trovano sul<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

<strong>per</strong>corso. Le corse sono frequentissime: sul Tōkaidō (Tōkyō–<br />

Ōsaka) transita mediamente un treno ogni dieci minuti<br />

<strong>per</strong> senso di marcia. Quando sono su<strong>per</strong>ati i cinque minuti<br />

di ritardo, l’utente ha diritto ad un certificato da esibire al<br />

datore di lavoro, in certi casi valido anche <strong>per</strong> il rimborso del<br />

biglietto.<br />

Il paragone con l’Italia, dove in confronto le corse sono<br />

scarse e male organizzate, è bruciante. Il servizio dei Treni ad<br />

Alta Velocità (TAV), orgoglio dei politici e materia di comizi<br />

elettorali, non è migliorato neppure con la liberalizzazione<br />

dei trasporti: qual è stata la principale novità introdotta dal<br />

primo o<strong>per</strong>atore privato italiano La puntualità L’elevata<br />

frequenza dei treni Un prezzo popolare No… la carrozza<br />

cinema: una concezione chiaramente non finalizzata ad un<br />

trasporto di massa, ma ad una clientela elitaria e di lusso.<br />

Sullo shinkansen invece non c’è il cinema, né esistono<br />

carrozze ristorante od altri inutili e costosi fronzoli: «spazio<br />

rubato ai posti a sedere» direbbero i giapponesi. Pulizia,<br />

capienza ed estrema puntualità: questo è ciò che in <strong>Giappone</strong><br />

si richiede al treno, senza alcuna deroga. Chi desidera il pranzo<br />

a bordo si porta da casa la scatola del bentō (il baracchino),<br />

oppure lo acquista in stazione.<br />

Puntualissimo, il su<strong>per</strong> espresso 495 da Nagoya <strong>per</strong><br />

Hiroshima arriva a Kyōto alle 8.18, <strong>per</strong> ripartire alle 8.20<br />

esatte. Si tratta di un convoglio della serie N700, una delle<br />

più recenti, o<strong>per</strong>ativa dal 2007.<br />

Ad Ōsaka termina il Tōkaidō ed inizia la linea del Sanyō<br />

in direzione sud-est. L’accelerazione è notevole, ma i vagoni<br />

hanno un’ammortizzazione eccellente: è possibile passeggiare<br />

nei corridoi anche viaggiando alla velocità massima. A volte,<br />

guardando fuori dal finestrino, pare che il treno debba<br />

prendere il volo: 300 chilometri l’ora corrispondono alla<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

velocità di un aereo in fase di decollo. In due ore, comprese<br />

sette fermate intermedie, <strong>per</strong>corriamo 400 km incontrando<br />

città come Himeji, Okayama e Fukuyama, intervallate da<br />

zone industriali, campagne, risaie, colline, foreste e gallerie.<br />

L’arrivo ad Hiroshima avviene, come previsto, alle 10.18.<br />

Il tempo si è guastato e sta volgendo al brutto. Un’aria fredda<br />

inizia a penetrare fin sotto i vestiti. Cerchiamo un posto dove<br />

lasciare i bagagli in consegna, in modo da riprenderli nel<br />

pomeriggio ed evitare di averli appresso durante l’escursione a<br />

Miyajima: il <strong>per</strong>sonale della stazione acconsente a depositarli<br />

in un magazzino, richiedendo una cifra onesta.<br />

Da qui, su un treno normale (linea del Sanyō), <strong>per</strong>corriamo<br />

ancora qualche decina di chilometri verso sud-est fino alla<br />

fermata di Miyajimaguchi. La maggior parte dei turisti scende<br />

con noi <strong>per</strong> sciamare verso l’imbarcadero ove si attestano i<br />

traghetti che fanno la spola da e verso l’isola d’Itsukushima<br />

(anche nota come Miyajima). Questa tratta marittima è<br />

una delle poche gestite dal gruppo Japan Railways, il cui il<br />

biglietto è compreso nel Japan Rail Pass.<br />

Il barcone si stacca dalla terraferma su un’acqua grigiastra<br />

che riflette le nubi sopra le nostre teste. Dopo mezz’ora di<br />

navigazione si scorge una macchia scarlatta sulla costa<br />

d’Itsukushima: è il santuario di Miyajima con il suo<br />

torii arancione che emerge dalle acque, una delle immagini<br />

più note del <strong>Giappone</strong>. La fondazione di questo romitaggio<br />

risale al VI secolo (epoca Yamato, sotto<strong>per</strong>iodo Asuka) e fu<br />

ingrandito nel 1168.<br />

L’intera isola è sacra e, fino a qualche decennio fa, vi era<br />

precluso l’accesso ai comuni mortali che non appartenessero<br />

al clero o alla nobiltà. Si afferma che fosse proibito nascervi o<br />

morirvi, avvenimenti che avrebbero reso impura l’area sacra.<br />

L’immagine del torii è come da cartolina: affiorante<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

dal mare con il santuario sullo sfondo. Questo panorama<br />

non si presenta sempre allo stesso modo, ma è tale solo<br />

con l’alta marea. Al contrario, <strong>per</strong> metà della giornata il<br />

portale emerge da una distesa di fango ed alghe. Già ieri<br />

sera ragionavamo su fasi lunari, opposizioni e quadrature,<br />

prevedendo dalle evidenze astronomiche l’alta marea <strong>per</strong> le<br />

11 del mattino odierne, momento del nostro arrivo, cosa che<br />

si è effettivamente verificata. Il concetto di torii, semplice<br />

struttura formata da un architrave sostenuto da due colonne,<br />

deriva anticamente dall’omologo (e quasi omonimo) torana<br />

indiano, monumento che espletava la medesima funzione<br />

d’ingresso alle zone di culto ed agli stūpa.<br />

È quasi ora di pranzo ed i morsi della fame si fanno<br />

sentire. Poco oltre lo sbarco è presente una fila di banchetti<br />

che vende cibo di strada: il profumo mi guida verso degli<br />

spiedini di polpo, cotti sulla piastra con salsa teriyaki (shōyu<br />

dolcificata con caramello e fatta rapprendere), accompagnati<br />

da una pannocchia cucinata alla stessa maniera. Non è facile<br />

addentare il polpo gommoso in delicato equilibrio sullo<br />

spiedo, tenendo la pannocchia con l’altra mano. Come se non<br />

fosse sufficiente, dobbiamo prestare attenzione ai cervi che<br />

girano liberi <strong>per</strong> le strade e che tentano di rubare le vivande.<br />

Questi animali, avvezzi all’uomo fin dalla nascita, non si fanno<br />

particolari problemi nell’adocchiare il vostro pasto (ma in<br />

tempi di magra si accontentano anche della guida turistica).<br />

Un lungomare, costeggiato da una fila di lucerne di pietra<br />

inframmezzate da pini, conduce fino al corpo principale del<br />

tempio, proteso nella baia e sorretto da una serie di pontili e<br />

palafitte.<br />

Lentamente la marea si ritira, lasciando sco<strong>per</strong>to il<br />

fondale dal penetrante odore di alghe ed acqua salmastra: i<br />

turisti scendono nel fango <strong>per</strong> recarsi fin sotto il torii che ora,<br />

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43<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

visto dal lato dell’isola, presenta come sfondo l’urbanizzata<br />

terraferma. Riesce difficile pensare che, riprese da questa<br />

prospettiva, le classiche fotografie da cartolina non siano<br />

ritoccate.<br />

Non vale la pena, <strong>per</strong> via del meteo avverso, prendere<br />

la funivia <strong>per</strong> il monte Misen: meglio addentrarsi ad<br />

esplorare a piedi i dintorni. Una strada conduce verso<br />

l’interno fino al Daishō-in, un tempio addossato sul lato<br />

della montagna, immerso nella vegetazione e nei vapori<br />

dell’umidità atmosferica. In questo luogo di venerazione il<br />

culto è estremamente sincretico <strong>per</strong> via della compresenza,<br />

se non addirittura della commistione, di elementi scintoisti<br />

e buddhisti delle scuole più disparate. Una ripida rampa di<br />

scale, costellata da ruote di preghiera come in Tibet, termina<br />

presso un piazzale dov’è presente una torretta campanaria:<br />

molti pellegrini usano suonare un rintocco all’entrata.<br />

Salendo ulteriormente <strong>per</strong> altre rampe si incontrano vari<br />

edifici; uno di essi contiene un mandala di sabbia realizzato<br />

in occasione della visita del Dalai Lama nel 2006.<br />

Giù nel cortile, alcuni ragazzi abbigliati alla maniera<br />

tradizionale sono intenti a suonare dei tamburi rituali. In<br />

breve tempo si forma un capannello di <strong>per</strong>sone, noi compresi,<br />

che <strong>per</strong> una decina di minuti rimangono ad assistere allo<br />

spettacolo.<br />

È ormai giunta l’ora di tornare sui nostri passi.<br />

Ri<strong>per</strong>corriamo la strada in senso contrario fino all’imbarco.<br />

Le <strong>per</strong>sone sul traghetto sono numerose e non vi è neppure<br />

un posto a sedere: meglio uscire sul ponte all’aria a<strong>per</strong>ta,<br />

<strong>per</strong>lomeno lo sguardo non è intralciato dai vetri appannati,<br />

mentre l’aria salmastra è un vero toccasana. A Miyajimaguchi,<br />

sulla terraferma, attendiamo il treno <strong>per</strong> Hiroshima. La sete e<br />

l’arsura dovute al polpo grigliato iniziano a farsi sentire: i bar<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

non esistono, ma sono presenti ovunque dei distributori<br />

automatici che vendono bevande di marche locali ed<br />

internazionali, compresa la ben nota lattina rossa che si trova<br />

in tutto il mondo. I giapponesi prediligono <strong>per</strong>ò prodotti di<br />

loro gusto, che spaziano dal tè verde freddo non zuccherato<br />

agli integratori salini. Fra questi ultimi è assai noto il Pocari<br />

Sweat, una gradevole bibita di colore opalescente, non<br />

gassata e con un leggero gusto citrato. Il nome inglese potrà<br />

sembrare vagamente inquietante: com’è ovvio non si tratta<br />

di “sudore” in bottiglia, bensì di una bevanda adatta agli<br />

sportivi che sudano.<br />

Alla stazione centrale di Hiroshima (ab. 1,2 milioni) il<br />

primo impegno concerne il ritiro del bagaglio, seguito dal<br />

trasferimento in taxi al nostro albergo, l’“Hotel 28”, la cui<br />

entrata si trova sul lato opposto di un isolato prospiciente<br />

l’Heiwa Ōdōri (Viale della Pace). Neppure il tempo di<br />

prendere possesso delle camere che siamo di nuovo <strong>per</strong><br />

strada: camminando di buon passo <strong>per</strong> circa 1 km (20 minuti)<br />

raggiungiamo l’Heiwa kinen kōen, il Parco della Pace dove<br />

si conservano le testimonianze, i sacrari ed i memoriali delle<br />

vittime della bomba atomica.<br />

La vicenda storica è tristemente nota: il 6 agosto 1945<br />

venne fatto deflagrare il primo ordigno nucleare della storia a<br />

scopo bellico, che causò la morte di un numero compreso tra<br />

le 150.000 e le 200.000 <strong>per</strong>sone, sia <strong>per</strong> gli effetti immediati<br />

del calore che <strong>per</strong> quelli a lungo termine delle radiazioni.<br />

Pur configurandosi come un crimine contro l’umanità, chi<br />

ha ordinato l’uso della bomba (nello specifico il presidente<br />

statunitense Harry Truman) non è mai stato punito, né<br />

è mai stato chiamato a giudizio presso alcun tribunale<br />

internazionale. Per contro, il primo ministro giapponese<br />

dell’epoca, il generale Tōjō, anch’egli responsabile della<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

morte di centinaia di migliaia di <strong>per</strong>sone durante la guerra,<br />

fu condannato a morte dal Tribunale Internazionale <strong>per</strong><br />

l’Estremo Oriente: com’è ovvio, <strong>per</strong> vincitori e vinti sono stati<br />

adottati trattamenti differenti. Qualcuno ha obiettato che<br />

questa fu la giusta ritorsione all’attacco di Pearl Harbor del<br />

1941. È <strong>per</strong>ò necessario ricordare che, se mai è esistita una<br />

«guerra giusta», quella fu un’azione strettamente militare,<br />

non paragonabile all’annientamento di un’intera città e<br />

dei suoi abitanti. Non si intende <strong>per</strong>ò effettuare in questa<br />

sede un’apologia del regime giapponese, <strong>per</strong>ché i crimini<br />

<strong>per</strong>petrati dal suo esercito nelle zone conquistate furono di<br />

un’atroce nefandezza; invece si cerca solo di rendere giustizia<br />

alle vite dei semplici cittadini che sono stati vittime della<br />

follia bellica.<br />

Il Parco della Pace sorge su una lingua di terra nel<br />

delta del fiume Ōta. L’area, corrispondente all’epicentro<br />

dell’esplosione, fu rasa al suolo ed appositamente mai<br />

ricostruita. Al giorno d’oggi vi trovano posto un museo<br />

e numerosi monumenti dedicati al ricordo del tragico<br />

avvenimento: questo pellegrinaggio civile inizia costeggiando<br />

il parco sul lato orientale, in riva al fiume. Nonostante spiri<br />

un’aria fredda (non più di 10-12 °C) i residenti non rinunciano<br />

al picnic sotto i ciliegi fioriti. Girato l’angolo, una struttura<br />

di vetro, pietra ed acciaio indica il punto esatto dove cadde<br />

la bomba. Nei pressi, a pochi passi di distanza, vi sono il<br />

sacrario con i nomi delle vittime, il cenotafio e la fiamma della<br />

pace, che verrà spenta (vana s<strong>per</strong>anza) solo quando al mondo<br />

non esisteranno più ordigni nucleari. Poco oltre si ode una<br />

campana <strong>per</strong>ennemente suonata a lutto dai visitatori, che<br />

costringe a soffermarsi <strong>per</strong> riflettere sul vero significato di<br />

questo luogo, gravato da un’atmosfera piuttosto lugubre che<br />

aleggia come una cappa di piombo.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Oltre il ponte Aioi campeggia l’immagine drammatica,<br />

presente su tutti i libri di storia, dell’unico edificio<br />

su<strong>per</strong>stite, conservato come monumento nazionale. La sua<br />

vicenda è significativa e denota che tali ferite storiche sono<br />

ancora a<strong>per</strong>te, al punto che in passato qualcuno lo avrebbe<br />

voluto abbattere <strong>per</strong>ché testimone di un passato troppo<br />

recente e tragico: non vi è famiglia in città che non abbia<br />

annoverato parecchi lutti e feriti.<br />

Nell’area crescono alcuni alberi di firmiana simplex,<br />

conservati con venerazione e tuttora vegeti, gli unici che<br />

resistettero all’onda d’urto e che con grande stupore<br />

germogliarono la primavera dell’anno successivo. Terminato<br />

il giro del Parco, si prosegue <strong>per</strong> il museo della bomba<br />

(ufficialmente denominato “museo della pace”): nella prima<br />

sezione sono descritte la storia e la vita della città prima del<br />

1945, mentre la seconda è incentrata sulle testimonianze e sui<br />

danni alle cose e alle <strong>per</strong>sone dovuti agli effetti dell’esplosione.<br />

Mi corre l’obbligo d’avvertire che queste sale contengono<br />

immagini e materiali scioccanti, talora truculenti, che non<br />

starò a descrivere in questa sede ma potenzialmente non<br />

adatti ad un pubblico sensibile. Talvolta si ha l’impressione<br />

che alcune rappresentazioni ad alto impatto emotivo siano<br />

state espressamente concepite <strong>per</strong> colpire la coscienza<br />

dei turisti, che <strong>per</strong> la maggior parte sono di nazionalità<br />

statunitense. Sarà una casualità<br />

Ad ogni modo, Hiroshima non si può evitare: non solo <strong>per</strong><br />

la rilevanza storica, ma anche <strong>per</strong>ché questa visita assume<br />

i contorni del pellegrinaggio laico. Non si è mai vaccinati a<br />

sufficienza verso quelle immagini di distruzione: <strong>per</strong> ogni<br />

individuo che abbia un minimo di coscienza non può essere<br />

una tappa indolore.<br />

Il ritorno verso l’albergo è stranamente silenzioso: tutti<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

noi, solitamente loquaci, siamo ora chiusi in un silenzio che<br />

esprime più di molte parole. Anche i nostri visi sono rabbuiati.<br />

Mi sforzo di pensare che sia colpa del freddo, ma nel profondo<br />

intuisco che non si tratta del freddo atmosferico, ma di quello<br />

dell’animo.<br />

La serata si risolleva al momento della cena: girovaghiamo<br />

a lungo <strong>per</strong> via della <strong>per</strong>severanza nel cercare un certo<br />

ristorante, presente sulla cartina turistica, chiamato Roku,<br />

che una volta individuato si è <strong>per</strong>ò rivelato troppo lussuoso<br />

<strong>per</strong> le nostre tasche. Alla fine scopriamo fortunatamente<br />

un ristorante di Okonomiyaki, specialità di Hiroshima<br />

costituita da una grossa frittata, servita insieme alle più<br />

disparate pietanze saltate sulla piastra. Ordino la versione<br />

locale, con tagliolini e salsa teriyaki. Gli altri provano<br />

versioni differenti: con il cavolo, le cipolle ed addirittura con<br />

le cozze e le ostriche. L’uso dei molluschi in cucina è tipico<br />

della zona <strong>per</strong> via dei numerosi allevamenti presenti nella<br />

baia di Hiroshima.<br />

La finestra della nostra stanza d’albergo è esposta a<br />

settentrione ad un piano alto, con vista sui tetti dei palazzi<br />

contigui e più in lontananza sulle colline che contornano<br />

l’agglomerato urbano. Si nota subito l’impiego, data la<br />

mancanza di spazio a terra, di molti tetti piani come parcheggi<br />

<strong>per</strong> le automobili: un apposito montacarichi ne <strong>per</strong>mette la<br />

facile mobilizzazione.<br />

È ormai l’ora del giusto riposo: domani sarà una lunga<br />

tappa di 600 km ed oltre verso nord-est, sull’altra sponda del<br />

paese.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Interno dello shinkansen (serie N700)<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Isola di Itsukushima (Miyajima)<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Hiroshima, l’unico edificio su<strong>per</strong>stite<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

8 aprile<br />

Dall’oceano Pacifico al mar del <strong>Giappone</strong><br />

D<br />

i buon mattino, dopo il solito tè in camera, ci ritroviamo<br />

nella hall dell’albergo ad attendere il taxi <strong>per</strong> la<br />

stazione. Lo Shinkansen 540 “Sakura” delle 8.15, proveniente<br />

da Hakata e diretto a Shin-Ōsaka, parte ovviamente puntuale<br />

(che noia...): sul treno qualcuno di noi sonnecchia, qualcun<br />

altro naviga sull’internet col palmare, altri ancora guardano<br />

il panorama fuori dai finestrini. Si scorgono i tetti delle case<br />

rurali di questa regione, che presentano grosse tegole scure<br />

lucide, con delle colorazioni che variano dal marrone al blu<br />

scuro e danno un tocco caratteristico al paesaggio agricolo,<br />

che parrebbe altrimenti monotono.<br />

A Shin-Ōsaka (ore 9.44) scendiamo dal treno ad<br />

alta velocità del Sanyō <strong>per</strong> prendere la linea ordinaria<br />

dell’Hokuriku. Il limited express “Thunderbird” n.13 parte<br />

alle 10.16, transitando <strong>per</strong> Kyōto e lasciandosi alle spalle<br />

il Kansai. Costeggiamo a lungo le sponde del lago Biwa,<br />

costellate d’isolate casette immerse nella campagna e nelle<br />

risaie. I trattori arano la terra, mentre in lontananza i<br />

contadini bruciano cumuli di fascine sollevando colonne di<br />

fumo bianco.<br />

Una galleria di oltre 10 km sotto le Alpi preannuncia<br />

il passaggio sull’altro versante e la discesa verso il mar del<br />

<strong>Giappone</strong>.<br />

Meglio affrettarsi a pranzare prima di scendere: il bentō<br />

che ho acquistato in stazione contiene riso, carne e verdure<br />

(carote, patate, mais, fagiolini). Naturalmente nella scatola<br />

non sono presenti le posate, ma solo le bacchette di bambù.<br />

Il contenitore è caratteristico e variopinto: ancora adesso mi<br />

pento di non averlo tenuto. D’altronde, quando si viaggia con<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

tutto appresso, non si può conservare ogni cosa.<br />

L’arrivo a Kanazawa (ab. 455.000) avviene come<br />

previsto alle 12.58. L’edificio della stazione è moderno, con<br />

un occhio al passato riletto in chiave futuristica: all’ingresso<br />

è presente un monumento in legno (Tsuzumimon) che<br />

ricorda un grosso torii stilizzato. Nelle vicinanze trova posto<br />

una strana fontana che disegna con i suoi zampilli le cifre di<br />

un orologio e di un datario digitale, facendo poi apparire la<br />

scritta “welcome to Kanazawa”.<br />

L’hotel Castle Inn non è distante e si può raggiungere<br />

tranquillamente a piedi, anche con i trolley al seguito.<br />

Come di consueto usciamo immediatamente <strong>per</strong> la<br />

visita alla città. Appena dietro l’albergo quasi <strong>per</strong>diamo<br />

l’orientamento in un dedalo di stradine dentro ad un quartiere<br />

popolare fatto di casette di due piani al massimo.<br />

Ritrovato il viale principale, ancora poche centinaia di<br />

metri ci separano dal mercato co<strong>per</strong>to di Omicho, risalente<br />

all’epoca Edo. La maggior parte dei negozi e delle bancarelle<br />

vende prodotti di mare, ma non mancano la carne, la verdura<br />

e la frutta.<br />

Le mura del castello (jo) si raggiungono dopo un ulteriore<br />

mezzo chilometro a piedi. Entrando attraverso l’ingresso<br />

settentrionale, dopo una breve salita si apre una grande<br />

spianata erbosa, che lascia spaziare la visuale verso le<br />

colline alle spalle della città. Su questo versante del paese,<br />

assai freddo e umido, l’aspetto della vegetazione è ancora<br />

decisamente invernale. Numerosi corvidi volano gracchiando<br />

da una chioma all’altra sugli altissimi alberi che crescono ai<br />

margini dei bastioni.<br />

A lato si erge la rocca del castello di Kanazawa, fondato<br />

nel 1583 dalla famiglia Maeda, feudataria di questi luoghi.<br />

La struttura è stata ricostruita parecchie volte in seguito a<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

vari incendi. A causa della chiusura di alcuni viali <strong>per</strong> lavori<br />

di restauro, non riusciamo ad attraversare diametralmente<br />

il parco, ma siamo costretti a chiedere indicazioni <strong>per</strong><br />

aggirare l’ostacolo. Ci vengono in soccorso alcuni giapponesi<br />

in vacanza che, pur non conoscendo una parola d’inglese, ci<br />

accompagnano fino al cancello di sud-est (Ishikawa-mon).<br />

Da qui attraversiamo il ponte sopra quello che un tempo era<br />

il fossato, ora trasformato in un’arteria stradale. Dall’altro<br />

lato si trova l’ingresso del Kenroku-en, uno dei giardini più<br />

noti del paese.<br />

Il giardino giapponese trae origine dalla tradizione cinese<br />

del <strong>per</strong>iodo Sòng (960–1279) ed è retto dal concetto della<br />

ricostruzione miniaturizzata ed idealizzata di un paesaggio<br />

e di un ambiente naturale. La struttura è regolata da sei<br />

attributi fondamentali (da cui il nome Kenroku-en) che<br />

devono essere in <strong>per</strong>fetto equilibrio fra loro: spaziosità,<br />

seclusione, artificiosità, antichità, presenza di acque e<br />

ricchezza di panorami. A prima vista la disposizione delle<br />

piante e degli specchi d’acqua può dare l’impressione d’essere<br />

frutto della casualità, ma uno sguardo più approfondito può<br />

notare che ogni minimo dettaglio è funzionale ad un’esigenza<br />

di paesaggio o di prospettiva. Anche le modalità di potatura<br />

rispondono a dei rigidi canoni estetici: il gusto cinese si<br />

riscontra in particolar modo nella costrizione delle piante in<br />

forma “patente” o “piangente”, un artificio che vede pruni,<br />

ciliegi ed addirittura pini steccati, legati e fasciati, ormai<br />

irriconoscibili rispetto alle loro forme originali. La mano<br />

dell’uomo deve intuirsi, ma al contempo deve sembrare quasi<br />

invisibile: ogni tanto la rivela una lanterna che spunta dietro<br />

un cespuglio, oppure una piccola pagoda ai margini di un<br />

laghetto, formando una composizione che pare o<strong>per</strong>a di un<br />

pittore o di un poeta cinese dell’XI secolo.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Invece la tradizione europea dei giardini, dove l’intervento<br />

dell’uomo è palese, è del tutto differente: passeggiando fra i<br />

viali di Boboli (Firenze) si può comprendere che nel nostro<br />

giardino, eccezion fatta <strong>per</strong> alcuni esempi anglosassoni, la<br />

vegetazione non costituisce altro che materia informe da<br />

plasmare ed ordinare secondo concetti cartesiani. Si potrebbe<br />

quindi affermare che, mentre il giardino rinascimentale<br />

europeo piega la natura alla logica ed alla geometria, quello<br />

giapponese la sublima nella poesia e nella filosofia.<br />

La costruzione del Kenroku-en, originariamente il giardino<br />

esterno del castello, è iniziata nel XVII secolo ed è proseguita<br />

fino agli anni ‘20 del XIX secolo, con il completamento della<br />

struttura attuale. L’a<strong>per</strong>tura al pubblico risale al 1874, in<br />

seguito alla soppressione del feudalesimo nell’ambito delle<br />

riforme dell’era Meiji.<br />

Il nostro itinerario inizia dall’ingresso di Katsurazaka con la<br />

visita delle aree di Sakuragaoka (ciliegiaia) e di Tokiwagaoka<br />

(ove si trova la fontana più antica del <strong>Giappone</strong>) <strong>per</strong> poi<br />

costeggiare il lato nord dalla parte del laghetto Kasumigake<br />

e del belvedere. Il <strong>per</strong>corso prosegue in senso orario verso<br />

l’area di Chitosedai <strong>per</strong> terminare al Pruneto giapponese ed<br />

al cancello di Zuishinzaka.<br />

Per mezzo della linea Kikugawa, segnata in rosso sulla<br />

mappa turistica (fermata n.20), ci spostiamo di 1 km verso<br />

sud in direzione del quartiere di Nagamachi. Scendiamo alla<br />

fermata n.1, camminando <strong>per</strong> 500 m attraverso una zona di<br />

casette di legno, delimitate da muri di pietra e fango, affiancate<br />

da rogge che corrono ai lati delle strade. Questo luogo era<br />

una volta abitato prevalentemente dai samurai riuniti sotto<br />

la bandiera dei feudatari Maeda: alcune case sono ancora di<br />

proprietà dei discendenti dei guerrieri d’un tempo, altre sono<br />

invece conservate come monumenti e musei. In uno di questi<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

vicoli transita un gruppo di ragazze abbigliate in kimono,<br />

prese letteralmente d’assalto dalle macchine fotografiche di<br />

una comitiva d’arabi. Se da un lato i giapponesi sono assai<br />

disponibili, questo è <strong>per</strong>lopiù dovuto alle norme sociali e non<br />

ad un’innata simpatia verso il prossimo: meglio dunque non<br />

abusare della loro pazienza.<br />

L’antica residenza della famiglia Nomura, ora museo, è fra<br />

quelle visitabili l’esempio più chiaro delle case dei samurai.<br />

Abitata dalla stessa famiglia <strong>per</strong> dodici generazioni, con la<br />

fine del sistema shōgunale passò di mano <strong>per</strong> essere rilevata,<br />

anni più tardi, dall’imprenditore Kubo Hikobei. Questo<br />

mecenate arricchì la dimora della preziosa sala chiamata<br />

Jyōdan-no-ma, contenente tarsie in legno di rosa ed<br />

avorio, oltre a numerosi paraventi dipinti da Sasaki Senkei<br />

(1650–1723), pittore della scuola Kanō. Notevole è inoltre<br />

il giardino, puramente decorativo, che riesce a condensare<br />

gli elementi fondamentali descritti in precedenza, seppur in<br />

ambito molto ristretto. L’integrazione tra l’interno e l’esterno<br />

dell’abitazione è pressoché totale: l’ubicazione di ogni<br />

a<strong>per</strong>tura è studiata in modo che all’osservatore si presenti<br />

uno scorcio sempre differente del giardino, su cui si affaccia<br />

l’immancabile porticato (engawa), fonte di refrigerio durante<br />

i giorni e le serate di calura estiva.<br />

Terminata la visita, dalla fermata 7 della linea Zaimoku<br />

(verde) ci dirigiamo a nord-ovest verso Higashi Kuruwa,<br />

storico quartiere di geisha e case da tè fondato nel 1820<br />

dal governo feudale locale. Alla fermata 20, attraversato il<br />

ponte Ume sul fiume Asano con il sole ormai al tramonto,<br />

<strong>per</strong>corriamo ancora poche centinaia di metri dentro a degli<br />

strettissimi vicoli fra modeste casette con vasi di fiori e piante<br />

posti all’esterno. Nelle case si accendono le luci, mentre<br />

profumi di riso e di pietanze iniziano a diffondersi <strong>per</strong> l’aria.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Un bambino corre fuori dell’uscio e, nell’attesa del lauto<br />

pasto, si diverte a giocare coi coetanei, rincorrendo qualche<br />

gatto: la combriccola, capeggiata dal lesto felino, scompare<br />

velocemente dietro l’angolo.<br />

All’improvviso si apre la strada principale, fiancheggiata<br />

su entrambi i lati dagli edifici di legno delle case da tè. Nella<br />

Shima (isola), una delle più prestigiose, i membri delle<br />

classi agiate come mercanti e letterati venivano a trascorrere<br />

qualche ora nell’ozio e nei piaceri, dilettandosi con il canto, la<br />

musica, la poesia e la cerimonia del tè.<br />

La Shima è classificata come “importante proprietà<br />

culturale del <strong>Giappone</strong>”, ma è addirittura difficile<br />

individuarne l’entrata, poiché non reca alcun’insegna, né<br />

ha caratteri esterni sufficientemente appariscenti che la<br />

possano distinguere dalle altre case di legno schierate ai lati<br />

della strada. Chiedendo ad un passante, ci viene indicato<br />

un ingresso sovrastato da due lanterne di carta. All’interno<br />

dobbiamo toglierci le scarpe e lasciarle nel guardaroba<br />

insieme alle borse ed agli zaini. Non è ammessa l’introduzione<br />

di macchine fotografiche reflex, ma è tollerato l’uso di quelle<br />

compatte. A malincuore devo dunque lasciare in custodia<br />

il “cannone” (come viene chiamato scherzosamente da<br />

un compagno di viaggio) e farmi prestare una fotocamera<br />

compatta. I piani dell’edificio sono due: in quello su<strong>per</strong>iore, di<br />

rappresentanza, la geisha riceveva ed intratteneva gli ospiti.<br />

L’ambiente è molto riservato, con piccole stanze rischiarate<br />

dalla luce di qualche lanterna. Il legno che riveste le pareti è in<br />

larga parte rico<strong>per</strong>to di lacca, mentre nei tokonoma (nicchie<br />

dove si espongono le o<strong>per</strong>e d’arte) pendono gli emakimono,<br />

rotoli di pregevoli calligrafie che sovrastano fini composizioni<br />

di ikebana. Il piano inferiore è invece di servizio e vi trovano<br />

posto lo spogliatoio, l’ufficio, la cucina, il bagno ed il giardino.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Poco oltre, nella stessa strada, vi è un negozio che vende<br />

solo oggetti placcati di sottilissimi fogli d’oro: potrà sembrare<br />

pacchiano, ma è una curiosità unica nel suo genere.<br />

Ormai le serrande delle botteghe chiudono, segno che<br />

è ora di ritornare sui nostri passi. Dopo un quarto d’ora di<br />

cammino attraverso un quartiere di <strong>per</strong>iferia, raggiungiamo<br />

la fermata 13 della linea Konohana (viola). Con un tempismo<br />

<strong>per</strong>fetto riusciamo a prendere l’autobus delle 18.30, l’ultimo<br />

della giornata, che ci porta direttamente di fronte al nostro<br />

albergo.<br />

Mentre mi trovo sotto la doccia, già insaponato, qualcuno<br />

di noi bussa alla porta della camera <strong>per</strong> chiedere se vogliamo<br />

scendere all’onsen (il bagno termale tradizionale). Purtroppo<br />

sono le 19.30, già tardi <strong>per</strong> gli orari serali giapponesi: molti<br />

ristoranti, specie quelli degli alberghi, smettono di accettare<br />

clienti tra le 20.30 e le 21, <strong>per</strong> chiudere i battenti entro un’ora<br />

al massimo. Alcuni si avviano dunque all’onsen, mentre a me<br />

tocca rinunciare <strong>per</strong> non saltare la cena.<br />

Dopo mezz’ora di <strong>per</strong>egrinazione siamo ripagati nello<br />

scovare un izakaya, definito talvolta come “pub giapponese”,<br />

in realtà un tipo di locale senza equivalenti nel resto del<br />

mondo. L’interno è suddiviso in varie stanzette separate da<br />

pareti di legno dove i commensali si ritrovano, oltre che <strong>per</strong><br />

mangiare e bere, <strong>per</strong> rimanere qualche ora a chiacchierare<br />

e scherzare con tranquillità. La clientela, prevalentemente<br />

maschile, è costituita da gruppi di amici e colleghi di lavoro,<br />

ma in tempi più recenti anche le donne hanno iniziato a<br />

frequentarli.<br />

Il menù comprende delle portate che ben si adattano alla<br />

birra ed al sake come carne alla piastra, yakitori (spiedini di<br />

pollo), takoyaki (polpette di polpo), sushi, fritti ecc.<br />

In questi locali non ci si sazia come nei ristoranti, ma si<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

tratta di un’interessante es<strong>per</strong>ienza di vita locale che non<br />

dovrebbe mancare in un viaggio in <strong>Giappone</strong>.<br />

Sulla via del ritorno spira una brezza fredda. Mi guardo<br />

intorno: poche auto, <strong>per</strong>sone ancora meno. A volte emerge<br />

l’idea che il <strong>Giappone</strong> sia un paradiso della vita notturna:<br />

questo è in larga misura falso <strong>per</strong>ché, a parte nelle grandi città<br />

come Ōsaka e Tōkyō, dove i locali sono concentrati in alcuni<br />

quartieri, i piccoli ed i medi centri diventano semideserti<br />

dopo le 22, con quasi tutti gli esercizi ormai sprangati. Vita<br />

dura dunque <strong>per</strong> gli appassionati delle ore piccole: a tal<br />

proposito posso riferire dell’infelice es<strong>per</strong>ienza di alcuni<br />

membri di un gruppo precedente che, in vena di far baldoria<br />

la notte a Tōkyō, si sono invece ritrovati a vagare in piena<br />

notte <strong>per</strong> le strade vuote, costretti poi a tornare all’albergo<br />

a piedi <strong>per</strong> mancanza di mezzi pubblici (la metropolitana<br />

chiude a mezzanotte e riapre alle cinque del mattino). Cari<br />

amanti della movida, siete dunque avvertiti: il <strong>Giappone</strong> non<br />

è vostra la meta d’eccellenza!<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Kanazawa: giardini del Kenroku-en<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Kanazawa: quartiere di Higashi Kuruwa<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

9 aprile<br />

Passaggio sulle Alpi giapponesi<br />

Questa mattina disponiamo di un ampio margine di<br />

tranquillità: il primo treno utile passa a mezzogiorno,<br />

<strong>per</strong>ciò ognuno è libero di trascorrere la mattinata in<br />

autonomia.<br />

Non avendo potuto s<strong>per</strong>imentare l’onsen ieri sera, ma<br />

neppure avendo rinunciato all’idea, decido di scendere<br />

al bagno. Al mattino non è il momento più usuale, ma in<br />

compenso c’è meno folla e l’acqua delle vasche è più pulita.<br />

L’onsen è un’istituzione della cultura giapponese,<br />

paragonabile solamente alle terme dell’antica Roma: la gente<br />

viene al bagno pubblico dopo una giornata di lavoro <strong>per</strong><br />

rilassarsi, chiacchierare e tessere rapporti sociali, secondo<br />

un preciso costume che va ben oltre la mera pulizia del corpo.<br />

Come ha rilevato l’etnologo Fosco Maraini (1912–2004),<br />

in Europa il bagno è incentrato sul concetto di lavaggio,<br />

simile ad una profilassi medica, foriera sin dal medioevo di<br />

un’atavica diffidenza (rimuovere lo sporco <strong>per</strong> scongiurare le<br />

malattie). La stanza da bagno europea, compressa e segregata<br />

nell’angolo più buio della casa, deve celarsi come una vergogna<br />

alla vista degli eventuali ospiti. Quella giapponese invece,<br />

ove si disponga di spazio sufficiente, è ampia e luminosa,<br />

tradizionalmente in legno come il resto dell’edificio se in<br />

ambito rurale. La vasca è preferibilmente di cipresso, che a<br />

contatto con l’acqua calda diffonde la sua essenza in tutto<br />

l’ambiente. Purtroppo, con la sovrappopolazione delle città e<br />

la riduzione degli spazi abitabili, queste antiche finezze sono<br />

diventate un lusso <strong>per</strong> pochi.<br />

Nel bagno pubblico entra poi in gioco un altro concetto<br />

culturale, quello dell’atteggiamento verso il nudo: la<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

civiltà europea considera la nudità come peccato <strong>per</strong> ragioni<br />

strettamente legate alla religione, che impone l’inscindibilità<br />

fra il corpo umano e la sfera della sessualità. Ai giapponesi<br />

invece, del tutto estranei a questa logica, il corpo nudo di<br />

un estraneo non suscita particolari reazioni: «gli esseri<br />

umani sono fatti tutti allo stesso modo», direbbero, «<strong>per</strong>ché<br />

dovremmo scandalizzarci». La visione culturale della<br />

nudità è diametralmente opposta anche nel campo delle<br />

rappresentazioni figurative: in Europa il nudo non è ammesso<br />

nella vita, ma è presente nell’arte fin dai tempi dell’antica<br />

Grecia. In <strong>Giappone</strong> invece (e più generalmente in Asia) è<br />

ammesso nella vita ma disdicevole nell’arte: <strong>per</strong> i giapponesi<br />

in trasferta nel Vecchio Continente è sempre fonte di vivo<br />

stupore il connubio tra il rigido moralismo cristiano e la<br />

presenza nelle nostre piazze, nei nostri musei e nelle nostre<br />

gallerie di o<strong>per</strong>e che ben poco lasciano all’immaginazione<br />

(come esempio si può citare il David di Michelangelo).<br />

Esistono vari tipi di bagni: pubblici, privati, termali o<br />

meno (detti sentō se alimentati da acqua comune), situati in<br />

città, in campagna o in montagna, al chiuso o all’a<strong>per</strong>to. Può<br />

accadere che alcuni alberghi, come il nostro, ne abbiano uno<br />

riservato agli ospiti.<br />

Come prevede il rituale, mi vesto già in camera con la<br />

yukata, infilo le ciabatte di plastica e ripongo il necessario<br />

<strong>per</strong> la doccia in un catino. Nel corridoio incontro un altro<br />

compagno di viaggio che ha avuto la mia stessa idea <strong>per</strong><br />

sfruttare la mattinata nel modo migliore. La zona maschile<br />

e quella femminile sono separate fin dall’ingresso, oltre il<br />

quale si trova un’anticamera celata da un tendone: qui ci si<br />

spoglia completamente lasciando la yukata, le ciabatte e gli<br />

altri oggetti <strong>per</strong>sonali in un armadietto, di cui ci si lega la<br />

chiave al polso. Si tiene con sé solo il catino con la spugna, il<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

sapone ed un piccolo asciugamano <strong>per</strong> coprire le parti intime<br />

(utile quando si transita fuori dalle vasche). A questo punto<br />

si procede al lavaggio: lungo una parete sono allineati vari<br />

rubinetti miscelatori dotati di doccia. Una volta individuata<br />

una postazione libera, ci si accomoda su uno sgabello<br />

<strong>per</strong> lavarsi da seduti, energicamente, avendo cura di non<br />

schizzare eccessivamente il vicino. Terminata l’o<strong>per</strong>azione, ci<br />

si può immergere nel daiyokujō, la grande vasca comune con<br />

acqua riscaldata ad oltre 45 °C. Il piccolo asciugamano è utile<br />

<strong>per</strong> tamponare il sudore della fronte: alcuni lo lasciano al<br />

bordo della vasca, mentre altri lo tengono direttamente sulla<br />

testa. Data l’elevata tem<strong>per</strong>atura è consigliabile alternare<br />

le immersioni, non più lunghe di qualche minuto, ad una<br />

doccia fresca. In molti onsen, compreso il nostro, è presente<br />

una vasca all’aria a<strong>per</strong>ta (rotenburō), che in questo contesto<br />

urbano si trova sotto ad una veranda, celata dall’esterno <strong>per</strong><br />

mezzo di una palizzata di canne. Il déhors è collegato alla<br />

struttura interna attraverso una porta scorrevole. Nelle zone<br />

rurali si possono invece trovare dei rotenburō completamente<br />

all’a<strong>per</strong>to, costituiti da vasche naturali di roccia situate in<br />

mezzo alla natura: in genere sono annessi ai vecchi ryōkan<br />

(strutture ricettive tradizionali) a gestione familiare, assai<br />

onerosi <strong>per</strong> le tasche di un utente medio.<br />

Terminata la spola tra le vasche, avendo ormai accumulato<br />

sufficiente calore, mi avvio allo spogliatoio rivestendomi con<br />

la yukata, <strong>per</strong>ò… non ricordo più il numero della nostra<br />

camera! Vago un po’ <strong>per</strong> i corridoi, con indosso solo vestaglia<br />

e ciabatte, reggendo in mano il catino, fino a quando non<br />

trovo un’addetta alle pulizie, alla quale domando in inglese<br />

d’indicarmi cortesemente «il piano del gruppo degli italiani».<br />

La risposta è stata esaustiva, ma la mia magra figura l’ho fatta<br />

lo stesso.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Abbiamo ancora un po’ di tempo a disposizione <strong>per</strong> degli<br />

acquisti di generi alimentari al mercato di Omicho, più che<br />

altro frutta da consumare durante il viaggio. Sul <strong>per</strong>corso ci<br />

fermiamo al tempio buddhista di Higashi Betsu, poco noto<br />

ma interessante <strong>per</strong> la ricchezza delle costruzioni lignee, fra<br />

cui i portali d’accesso al cortile.<br />

Ritrovo in albergo alle 11: la stazione non è lontana, poco<br />

più di cinque minuti di cammino. Debbo anche andare in<br />

cerca di un bentō <strong>per</strong> il pranzo, ma la scelta non è molto<br />

varia: meglio ripiegare su una delle panetterie che vendono<br />

focacce, quiches e “pizzette” (commestibili). Nell’attesa del<br />

treno, mi cade l’occhio su uno dei numerosissimi distributori<br />

automatici di caffè in lattina: un po’ di caffeina sferzerà la<br />

fiacchezza dovuta all’onsen. Scelgo un “espresso”, introduco<br />

la moneta e ritiro il prodotto ma… è freddo! Riesco a<br />

sorseggiarlo solo dopo averlo stem<strong>per</strong>ato un po’ con il calore<br />

della mano. Nonostante la sorpresa, non rimango deluso<br />

<strong>per</strong>ché è di buona qualità. Nei distributori, come ho imparato<br />

a mie spese, l’unico segno di distinzione tra una bevanda<br />

calda ed una fredda è costituito da un segno di colore rosso<br />

o blu, esposto in genere vicino al prezzo. È necessaria una<br />

particolare attenzione all’atto dell’acquisto <strong>per</strong>ché i prodotti<br />

a tem<strong>per</strong>atura ambiente quasi non esistono: sono venduti<br />

riscaldati oppure refrigerati.<br />

Nel frattempo due ragazze, che dall’aspetto paiono<br />

commesse di un negozio, si aggirano con fare trafelato tra le<br />

banchine dei treni, mostrando un oggetto a destra e a manca.<br />

La gente lo osserva e scuote la testa. Correndo e gesticolando,<br />

puntano verso di noi: il misterioso oggetto è il portafoglio di<br />

un nostro compagno, individuato grazie ad una fototessera<br />

al suo interno, che viene restituito al proprietario con tanto<br />

di inchini e sorrisi. Terminata con successo la loro sacra<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

missione, le commesse sono ritornate al lavoro visibilmente<br />

felici e rasserenate.<br />

Intanto, il limited express Shirasagi n.3 <strong>per</strong> Toyama è in<br />

forte ritardo: previsto alle 11.54, arriva addirittura alle 12.05.<br />

Se si fosse trattato di un treno ad alta velocità, vi sarebbe stata<br />

la possibilità del rimborso del biglietto. A Toyama, stazione di<br />

cambio, attendiamo il limited express Hida n.14 delle 13.02.<br />

Lasciamo alle spalle il mar del <strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> salire sulle Alpi<br />

mediante una linea ferroviaria non elettrificata a binario<br />

semplice. Ormai la città si esaurisce con gli ultimi condominî:<br />

inizialmente il <strong>per</strong>corso corre in pianura attraverso un<br />

paesaggio di campagna solcato da numerosi corsi d’acqua,<br />

assai antropizzato, con parecchi paesi e stazioni. D’un tratto<br />

iniziano i rilievi: il trenino a gasolio s’instrada nella valle<br />

del Jinzu-gawa e pare arrancare tra gole, viadotti, pareti<br />

scoscese e gallerie. Le latifoglie lasciano lentamente il campo<br />

alle conifere, mentre <strong>per</strong> terra compare la prima neve.<br />

Alle 14.33 raggiungiamo Takayama (ab. 95.000, m 600),<br />

città situata quasi a cavallo dello spartiacque tra i due versanti<br />

del <strong>Giappone</strong>. Nonostante la scarsa altitudine, è considerata<br />

località montana <strong>per</strong> via delle correnti fredde di derivazione<br />

siberiana e delle abbondanti nevicate, che rendono l’intera<br />

regione dell’Hida assai nota <strong>per</strong> gli sport invernali. Dopo<br />

un veloce passaggio all’ufficio turistico <strong>per</strong> ottenere delle<br />

mappe dettagliate, <strong>per</strong>corriamo un breve tratto a piedi fino<br />

al Country Hotel Takayama, una buona sistemazione, anche<br />

se le camere sono notevolmente piccole: poco più della<br />

larghezza di due letti.<br />

Appena il tempo necessario ad approntare un itinerario<br />

di massima, che il giro della città può iniziare: la prima meta<br />

è l’Hida Kokubun-ji, il più antico tempio di Takayama,<br />

costruito nel 746 dall’im<strong>per</strong>atore Shōmu <strong>per</strong> assicurare pace<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

e pros<strong>per</strong>ità alla nazione. La parte che ha maggiormente<br />

resistito alle ingiurie del tempo è la sala principale, risalente<br />

al XVI secolo, mentre l’adiacente pagoda a tre piani è stata<br />

ricostruita nel 1821 durante il <strong>per</strong>iodo Edo. Nel cortile si può<br />

ammirare un antico esemplare di ginkgo biloba di 1200 anni,<br />

piantato all’epoca della fondazione del tempio.<br />

Poco oltre, un negozietto vende i taiyaki, biscotti a forma<br />

di pesce ripieni di marmellata di fagioli rossi azuki, che<br />

li caratterizzano con una consistenza pastosa ed un gusto<br />

lievemente dolce.<br />

Dopo mezzo chilometro in direzione sud attraverso un<br />

quartiere di stradine e casette, compare ad una svolta il muro<br />

<strong>per</strong>imetrale del Takayama Jinya, storica residenza del<br />

governatore della provincia dell’Hida, l’unico palazzo ad uso<br />

civile d’epoca Tokugawa ad essersi conservato fino ai giorni<br />

nostri. Originariamente edificato dal feudatario Kanamori<br />

come residenza privata, nel 1629 fu adibito dallo shōgun<br />

Tokugawa Iemitsu a dimora del proprio emissario. Dal 1777<br />

fino alla rivoluzione Meiji fu sede del governo locale, ma<br />

continuò ad essere utilizzato <strong>per</strong> gli uffici di vari enti pubblici<br />

fino al 1969.<br />

Attualmente il complesso è classificato come bene storico<br />

ed è stato quasi interamente restaurato al suo stato originale<br />

del <strong>per</strong>iodo Edo.<br />

I tetti sono rivestiti di scandole <strong>per</strong> via delle copiose<br />

precipitazioni nevose e dell’abbondanza della produzione di<br />

legname proveniente dai fitti boschi della zona.<br />

Ovunque, dalle lanterne poste all’entrata, ai tendoni, agli<br />

intagli lignei, campeggia il mon (emblema) di Casa Tokugawa<br />

raffigurante il fiore della malva rosa (alcea rosea o malvone).<br />

L’interno, sobrio come si addice al quartier generale di<br />

un capo militare, conta vari edifici collegati da porticati,<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

inframmezzati da cortili di ghiaia e giardinetti. L’impiantito<br />

è composto da centinaia di metri di tatami, sul quale si deve<br />

camminare scalzi. I porticati sono riparati dal sole estivo <strong>per</strong><br />

mezzo di stuoie di canne palustri, che ombreggiano l’ambiente<br />

lasciando al contempo circolare l’aria. L’arredo delle stanze è<br />

diversificato in base al rango dell’occupante: dal tokonoma<br />

con preziose calligrafie <strong>per</strong> l’attendente dello shōgun, al più<br />

umile braciere con il bollitore del tè nei quartieri della servitù.<br />

Un’intera ala del palazzo è dedicata al museo che espone<br />

abiti, armi, monete ed o<strong>per</strong>e d’arte relative al <strong>per</strong>iodo del<br />

governatorato (ca. 1629–1868).<br />

Oltrepassato il fiume Miya, a meno di un chilometro<br />

di distanza, sorge la città vecchia di Sanmachi Suji,<br />

comprendente le vie Ichinomachi, Ninomachi e Sannomachi,<br />

fiancheggiate da case di legno a due piani e botteghe a<br />

pianterreno. Alcune attività, come le distillerie artigianali<br />

di sake e di birra, sono riconoscibili da una grossa palla di<br />

aghi di pino posta sopra l’ingresso. La birra, assai apprezzata,<br />

non deriva <strong>per</strong>ò dalla tradizione, essendo stata introdotta<br />

in <strong>Giappone</strong> dagli europei solo a metà ‘800. I ristoranti ed<br />

i negozi d’antiquariato sono invece prevalentemente rivolti<br />

al turismo di massa. Altre attività artigianali spaziano dai<br />

produttori di miele a quelli di miso, la “minestra nazionale”<br />

di spessa consistenza e media salatura dal gusto di soia ed<br />

alghe: oltrepassata la soglia del negozio, con i consueti cori di<br />

irasshaimase~ (“benvenuti”) da parte dei proprietari, siamo<br />

invitati alla degustazione servendoci da un pentolone nel<br />

quale ribolle la scura brodaglia. Purtroppo la specialità non<br />

incontra il palato di molti europei, anche se <strong>per</strong>sonalmente<br />

posso dire di averla apprezzata.<br />

Le case del centro storico sono intervallate da alcune<br />

strane rimesse, molto alte e strette: vi si custodiscono i<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

variopinti carri (yatai) che sfilano due volte l’anno, ad aprile<br />

e ad ottobre, in occasione della festa del paese. Poco oltre,<br />

un artigiano è intento a fabbricare tatami nel suo laboratorio<br />

con grande concentrazione: neppure si accorge d’essere<br />

osservato.<br />

Qualche centinaio di metri verso nord-est, ai margini delle<br />

colline, vi è il santuario di Sakurayama Hachiman-gū: la<br />

leggenda vuole che sia stato fondato nel IV secolo, in seguito<br />

al voto di un guerriero <strong>per</strong> aver sconfitto un demonio; in realtà<br />

le fonti storiche rivelano che fu consacrato alla protezione<br />

della città nell’anno 1683. A questo luogo è dedicata la<br />

festività autunnale che cade tra il 9 e il 10 ottobre. Quella<br />

primaverile invece, dedicata al santuario di Hie, si tiene dal<br />

14 al 15 aprile.<br />

È tardo pomeriggio e la luce radente del sole al tramonto<br />

inonda il cortile del santuario, ormai deserto, tingendo di<br />

rosso il monumentale torii di legno all’entrata. Si ode solo il<br />

vento tra i pini e lo sciabordio dell’acqua nel fontanile delle<br />

abluzioni. Sui battenti del portone e sulle banderuole che lo<br />

ornano è raffigurato il fiore di ciliegio: non a <strong>caso</strong> il significato<br />

del nome Sakurayama è “poggio dei ciliegi”. Un grosso leone<br />

di pietra dai tratti grotteschi guarda beffardo verso di noi,<br />

stanchi ed infreddoliti: sarà uno di quei kami che si prendono<br />

burla degli esseri umani<br />

È giunta l’ora di rientrare, ma solo <strong>per</strong> una doccia ed un breve<br />

momento di riposo. Questa sera, data la parsimonia sinora<br />

praticata sulla cassa comune, abbiamo agio di concederci<br />

l’uscita al Suzuya, un locale in stile tradizionale di livello<br />

medio-alto (kaiseki-ryōri), le cui specialità sono il miso e la<br />

carne dell’Hida. Entriamo attraverso un tendone e veniamo<br />

condotti in una sala con tatami ed un basso tavolo di legno al<br />

centro. Lasciamo le scarpe ai margini e ci accomodiamo <strong>per</strong><br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

terra sugli zabuton (cuscini), infilando le gambe in un incavo,<br />

fatto apposta <strong>per</strong> non rimanere anchilosati.<br />

La carne dell’Hida, famosa a livello nazionale ma forse<br />

meno conosciuta dagli stranieri rispetto a quella di Kōbe,<br />

come tutte le carni pregiate giapponesi è apprezzata <strong>per</strong><br />

una serie di striature lipidiche reticolari, che la rendono più<br />

grassa e profondamente dissimile dalla nostra. In genere<br />

viene cucinata alla piastra o alla griglia. Le fette sono sempre<br />

sottili, quando non sottilissime: non esiste alcun taglio<br />

assimilabile alla nostra “fiorentina”.<br />

Itadakimasu~ allora, buon appetito (lett.: “umilmente<br />

riceviamo”): la mia bistecca è accompagnata da miso,<br />

verdure e salse a base di soia. Alcuni di noi si cimentano con<br />

la cottura delle fette direttamente in tavola su un braciere<br />

alimentato a carbonella. L’uso delle bacchette è obbligatorio,<br />

come anche la destrezza nel manovrarle, <strong>per</strong> non lasciarsi<br />

sfuggire qualche prezioso (e costoso) boccone sotto il tavolo.<br />

Infine, <strong>per</strong> concludere la serata, ordiniamo l’immancabile<br />

giro di sake della casa: i commensali si servono a vicenda e,<br />

prima di bere, esclamano kanpai (“vuotiamo i bicchieri”).<br />

Vietatissimo invece il “cin-cin”, che qui suona come una<br />

volgare espressione <strong>per</strong> designare l’organo maschile: se<br />

proprio si vuole brindare in italiano, è preferibile l’uso del<br />

più corretto “salute”.<br />

Il bilancio <strong>per</strong> l’atmosfera ed il servizio è senz’altro positivo,<br />

ma la carne in sé può anche non suscitare l’entusiasmo di<br />

un palato europeo. Il consumo dei bovini in <strong>Giappone</strong> è<br />

d’altronde assai recente: la prima macellazione di una vacca<br />

risale a metà ‘800, commemorata da una stele posta dai<br />

macellai di Tōkyō sul luogo dell’evento. In tempi antecedenti<br />

l’alimentazione era costituita solo da riso, pesce, verdure e,<br />

nelle campagne, da volatili da cortile.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Gochisō-samadeshita (“è stata una vera delizia”) è<br />

l’espressione che si usa <strong>per</strong> congedarsi a fine pasto, ma nel<br />

frangente post sake riesco solo a proferire un misero “very<br />

good”, che viene ugualmente apprezzato dai gestori del locale.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Takayama, una distilleria nella città vecchia<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Takayama: Sakurayama Hachiman-gū<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

10 aprile<br />

Dalle montagne alla grande città<br />

Q<br />

uesta mattina il viaggio prosegue nei dintorni di<br />

Takayama: circa tre chilometri a sud-ovest della città<br />

vi è l’Hida Minzoku Mura, comunemente noto come Hida<br />

no Sato, un museo a cielo a<strong>per</strong>to composto da circa trenta<br />

vecchie case coloniche che illustrano gli stili architettonici<br />

delle regioni montuose del <strong>Giappone</strong>. Vi si può arrivare in un<br />

quarto d’ora di autobus, con capolinea nei pressi della stazione<br />

ferroviaria. Tra i vari distributori automatici presenti nella<br />

sala d’attesa, uno offre cibi precotti e riscaldati 24 ore su 24.<br />

Se siete uomini d’affari in carriera, non dovrete più <strong>per</strong>dere<br />

tempo nel fare cose “inutili” come sedervi a tavola: <strong>per</strong> ¥ 350<br />

(ca. € 3,5) potrete disporre all’istante di rāmen, riso fritto,<br />

taiyaki, takoyaki ed addirittura hot dog con patate fritte!<br />

Durante il breve tragitto verso l’Hida no Sato, ad un tratto<br />

compare la sagoma di un bizzarro edificio simile ad un tempio:<br />

sul timpano del tetto campeggia uno strano simbolo che pare<br />

una stella di colore dorato. Si tratta del quartier generale della<br />

setta Sūkyō Mahikari, una congrega di gente varia, ancora<br />

convinta di vivere negli anni ‘60. La loro dottrina afferma che<br />

in tempi ancestrali l’im<strong>per</strong>atore del <strong>Giappone</strong> avesse inviato<br />

i suoi emissari in regioni come l’Egitto, la Mesopotamia e<br />

l’India <strong>per</strong> portarvi la civiltà: in tal modo le lingue, le culture<br />

e le religioni della Terra sarebbero state originate dagli<br />

antichi giapponesi. Secondo questa teoria, anche Gesù Cristo<br />

si sarebbe recato in <strong>Giappone</strong> all’età di diciotto anni <strong>per</strong><br />

imparare le tecniche dell’ascetismo, ritornandovi ed infine<br />

morendovi all’età di 118 anni. Quest’indubbia originalità<br />

sul piano teleologico è condita da qualche pratica magica<br />

che concerne la trasmissione dell’“energia vitale” da un<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

individuo all’altro attraverso il palmo della mano. Avevano<br />

anche teorizzato un’apocalisse, prevista <strong>per</strong> l’anno 2000:<br />

sfortunatamente <strong>per</strong> loro, il mondo esiste ancora.<br />

Poco oltre, su un pendio collinare rivolto a mezzanotte,<br />

sorge l’Hida no Sato, dislocato su un’area piuttosto estesa.<br />

Le case, provenienti da varie zone del <strong>Giappone</strong>, risalgono in<br />

larga parte al XVIII secolo, ricostruite in questo museo diffuso<br />

che ben s’inserisce nel contesto naturalistico circostante.<br />

Alcune di esse sono classificate come “importante patrimonio<br />

culturale nazionale” e costituiscono fra i migliori esempi<br />

dell’architettura rurale tradizionale in stile gasshō-zukuri (a<br />

tetto acuminato).<br />

È <strong>per</strong>ò triste vedere una ricchezza non più viva,<br />

né vissuta. Non mi si fraintenda: non sto chiedendo ai<br />

giapponesi di tornare a vivere nelle capanne! Ciò che colpisce<br />

è l’apparente distacco che essi hanno verso il passato,<br />

venendo a visitare questi luoghi come se la cosa non li<br />

riguardasse. Il popolo giapponese ha uno strano rapporto<br />

con la storia: in alcuni momenti esaltata, in altri dimenticata,<br />

comunque mai esule da una larvata contaminazione col<br />

mito, foriero del nazionalismo, del militarismo ed in ultima<br />

istanza dei disastri dell’ultima guerra. Nel <strong>per</strong>iodo successivo<br />

alla sconfitta del 1945, la tradizione è stata volutamente<br />

cancellata dai luoghi e dalle menti: un seppuku culturale<br />

che è stato accompagnato da un’altra ideologia, quella<br />

dello sviluppo economico, <strong>per</strong> la quale l’intero paese è<br />

stato spianato dalle ruspe e riplasmato dalle betoniere. Un<br />

<strong>Giappone</strong> più triste, più grigio e più benestante ha aiutato<br />

le <strong>per</strong>sone a dimenticare le ferite del passato, al cui pensiero<br />

le vecchie generazioni ancora provano un misto di rabbia e<br />

di vergogna. È <strong>per</strong>ò impossibile fuggire dalle proprie radici:<br />

la stessa ricostruzione post-bellica è stata espressione sia dei<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

paradigmi buddhisti (transitorietà ed inconsistenza delle<br />

cose) che di quelli shintō (vitalismo e rinnovamento <strong>per</strong>petuo).<br />

Solo in tempi recenti sono state sollevate le problematiche<br />

della cementificazione selvaggia delle città e dei relativi<br />

sobborghi, della pesante infrastrutturazione in spregio al<br />

territorio e della distruzione sistematica del paesaggio, ma la<br />

strada da <strong>per</strong>correre è ancora ardua. Anche le campagne, pur<br />

meno urbanizzate, sono fortemente antropizzate: si salvano<br />

solo i rilievi montuosi e le vallate interne, in genere rico<strong>per</strong>te<br />

da fitta vegetazione.<br />

Dalle eloquenti parole degli stessi gestori del villaggiomuseo:<br />

«l’economia giapponese ha recentemente fatto<br />

notevoli progressi, ma il nostro successo materiale ci ha<br />

spinti a trascurare il più importante lato spirituale della<br />

vita. Adesso realizziamo di dover porre una maggiore<br />

attenzione al patrimonio culturale che i nostri antenati<br />

hanno costruito <strong>per</strong> secoli. Dobbiamo ritornare ad alcuni<br />

nostri modi tradizionali di vita. Non solo dobbiamo<br />

conservare e rivalutare il nostro patrimonio, ma dobbiamo<br />

anche tramandarlo alle future generazioni».<br />

Vi sono tre tipi di <strong>per</strong>corsi raccomandati: di 15, 30 e<br />

60 minuti. Se si ha tempo sufficiente è preferibile il più<br />

completo, che in realtà si esaurisce in meno di tre quarti d’ora<br />

e comprende patrimoni nazionali come casa Wakayama,<br />

nota <strong>per</strong> il suo grande tetto acuminato di canne palustri,<br />

casa Tanaka, costruzione ad un piano tipica della regione di<br />

Takayama, casa Taguchi, antesignana dell’open space con le<br />

sue pareti mobili e casa Yoshizane che presenta dei tronchi<br />

d’albero biforcuti come sostegno del tetto in luogo delle<br />

colonne. Nelle stanze, nei depositi e nei fienili sono esposti<br />

numerosi oggetti ed attrezzi da lavoro originali: aratri,<br />

utensili <strong>per</strong> lavorare la terra e rudimentali arredamenti.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

In alcuni ambienti sono addirittura mantenuti dei bracieri<br />

accesi <strong>per</strong> simulare l’atmosfera dell’epoca, cosa non sgradita<br />

data la nebbia, il freddo e l’umido. Il riscaldamento di queste<br />

case è assai scarso nonostante il rigido clima della regione:<br />

il mese di aprile è già inoltrato ma sul terreno <strong>per</strong>mangono<br />

alcuni centimetri di neve, residuo delle abbondanti nevicate<br />

di pochi giorni fa.<br />

Terminata la visita, torniamo in città con lo stesso<br />

autobus. In due prendiamo un taxi, <strong>per</strong> via della mancanza di<br />

mezzi pubblici, verso il Takayama matsuri yatai kaikan,<br />

museo dei grandi carri allegorici (yatai) usati durante le due<br />

feste (matsuri) della città. Questi mezzi, risalenti al XVII<br />

ed al XVIII secolo, sono decorati con elaborate incisioni<br />

in legno ed artefatti di metallo secondo il gusto del primo<br />

<strong>per</strong>iodo Edo, i cui colori dominanti sono l’oro, il rosso ed il<br />

nero delle lacche. Il giorno della festa, prima del tramonto, i<br />

carri vengono riuniti ed addobbati con delle lanterne e con i<br />

blasoni che rappresentano i relativi quartieri. In seguito ha<br />

luogo la sfilata <strong>per</strong> la città, al traino da parte dei contradaioli<br />

vestiti in kimono o hakama.<br />

Su alcuni carri trovano posto delle marionette lignee<br />

che raffigurano dèi e nobiluomini, vestite di sete e broccati,<br />

manovrate da abili burattinai. Nel museo sono esposti a<br />

rotazione, nel corso dell’anno, quattro carri sugli undici<br />

totali (ovvero Daihachi, Jinma, Kagura, Kyuhō, Hōō, Hotei,<br />

Hōmei, Gyōjin, Kinpō, Hōjiyu e Sennin).<br />

Nell’adiacente Sakurayama Nikkōkan si possono<br />

ammirare, con lo stesso biglietto, i modellini in scala ridotta<br />

del santuario di Nikkō, un’o<strong>per</strong>a assai vasta e dettagliata,<br />

coadiuvata da un meccanismo d’illuminazione che simula le<br />

ore del giorno.<br />

A breve distanza vi è il Shishi kaikan, museo delle<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

maschere e degli strumenti delle danze del Leone, tipiche<br />

del <strong>Giappone</strong> centro-settentrionale. Quest’arte di antica<br />

origine cinese, nota come shishi mai, differisce di regione<br />

in regione ed è eseguita prevalentemente durante le feste<br />

religiose. Il leone giapponese presenta una maschera di<br />

legno laccato, chiamata shishi gashira (“testa del leone”)<br />

ed un corpo di tessuto verde con motivi bianchi nel quale<br />

possono entrare una o due <strong>per</strong>sone. La danza del leone è<br />

eseguita con l’accompagnamento di tamburi, piatti, gong<br />

e strumenti <strong>per</strong> sincronizzare i movimenti dei danzatori.<br />

Alcune delle maschere esposte sono assai antiche e,<br />

dall’aspetto grottesco e cinesizzante, si direbbero risalenti<br />

<strong>per</strong>lomeno alle epoche Nara ed Heian. Nel frattempo, siamo<br />

invitati ad assistere ad una rappresentazione di Karakuri<br />

ningyō, le marionette solitamente collocate sulla cima dei<br />

carri. La storia degli automi giapponesi ricalca curiosamente,<br />

sia in senso cronologico che tecnico, quella dei cugini europei<br />

con la costruzione, a partire dal XVII secolo, di congegni<br />

semoventi derivati dai meccanismi degli orologi. Ben presto<br />

il Karakuri ottenne il favore del pubblico, affiancandosi alle<br />

forme d’intrattenimento già esistenti come il Nō, il Kyōgen<br />

ed il Kabuki. Le marionette sono prevalentemente utilizzate<br />

durante i matsuri, occasione <strong>per</strong> ogni quartiere d’esibire con<br />

orgoglio l’abilità del proprio burattinaio. Lo spettacolo inizia:<br />

dal fantoccio che serve il tè, a quello che salta in equilibrio<br />

da un palo all’altro, a quello che compie delle giravolte da<br />

ginnasta olimpionico. Questa è solo una dimostrazione<br />

effettuata in teatro, ma la realtà è più complessa <strong>per</strong>ché la<br />

rappresentazione avviene in precario equilibrio sui carri<br />

in movimento. Infine il pezzo forte: un burattino, dalle<br />

fattezze di un antico signore feudale, in grado di scrivere.<br />

Il manovratore, nascosto all’interno del basamento, muove<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

sapientemente i comandi in modo da tracciare con il pennello<br />

la parola “Hida” sia in ideogrammi che in caratteri latini. Al<br />

termine dell’esibizione, quali unici stranieri presenti in sala,<br />

siamo invitati a recarci sul palco dove ci viene fatto gradito<br />

dono della <strong>per</strong>gamena.<br />

Ormai è quasi mezzogiorno e si avvicina l’ora di lasciare<br />

Takayama: con passo veloce <strong>per</strong>corriamo in un quarto d’ora<br />

il chilometro e mezzo che ci separa dall’albergo, dov’è fissato<br />

il ritrovo con il resto del gruppo. Il cielo si è liberato dalle<br />

brume mattutine e adesso batte un sole abbastanza forte che,<br />

unito ad un’atmosfera piuttosto umida, causa una leggera<br />

sensazione d’afa.<br />

Alle 12.32 nessuno manca all’appuntamento con il<br />

treno limited express Hida n.10 <strong>per</strong> Nagoya. Su<strong>per</strong>ato lo<br />

spartiacque, ha inizio la discesa sul versante dell’oceano<br />

Pacifico attraverso la boscosa valle dell’Hida, su<strong>per</strong>ando<br />

strette gole e conche verdeggianti. La ferrovia transita da<br />

Gero, una delle località termali più note della regione, meta<br />

di villeggiatura già nel X secolo, sede di alcuni fra i migliori<br />

onsen e ryokan del <strong>Giappone</strong>: peccato non potersi fermare a<br />

riposare <strong>per</strong> un giorno.<br />

Dopo un paio d’ore le montagne digradano, mentre innanzi<br />

a noi si apre la pianura di Nagoya. Nel 1943 Fosco Maraini,<br />

allora docente d’italiano presso l’università di Kyōto, fu qui<br />

internato nel campo di prigionia del Tempaku insieme a tutta<br />

la famiglia, <strong>per</strong> essersi rifiutato di giurare fedeltà a Mussolini<br />

ed alla repubblica di Salò. La medesima sorte fu riservata agli<br />

altri italiani residenti in <strong>Giappone</strong> che non vollero piegarsi<br />

al regime. Ne uscirono solo due anni più tardi, dopo grandi<br />

patimenti.<br />

Alla stazione di Nagoya (ore 15.02), salutiamo<br />

definitivamente il trenino di montagna a gasolio <strong>per</strong> prendere<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

la coincidenza con l’alta velocità: l’orario è pienamente<br />

rispettato (c’era qualche dubbio)<br />

Solo pochi minuti d’attesa e, puntuale come un orologio<br />

svizzero, anzi giapponese, compare lo shinkansen 524<br />

“Hikari” delle 15.24 <strong>per</strong> Tōkyō.<br />

A bordo ne approfittiamo <strong>per</strong> pianificare gli spostamenti<br />

in città: l’ora di punta sarà nel suo massimo e dovremo<br />

raggiungere il nostro albergo in un altro quartiere, nel modo<br />

più veloce ed indolore possibile. Suscita qualche timore<br />

l’idea di dover piombare, in capo ad un paio d’ore, nella<br />

più grande metropoli del mondo (ab. 13 milioni) e doversi<br />

immediatamente districare in una rete sotterranea di oltre<br />

300 km d’estensione, con 13 linee gestite da due società<br />

diverse, trasporti di su<strong>per</strong>ficie esclusi. In realtà, come sarà<br />

dimostrato sul campo, le preoccupazioni di questo tipo sono<br />

largamente infondate.<br />

Intanto, fuori dai finestrini sfila il paesaggio della costa tra<br />

Nagoya e Shizuoka, un’unica conurbazione di case, industrie,<br />

autostrade ed elettrodotti. Improvvisamente, poco prima<br />

della galleria del passo di Hakone, alla nostra sinistra si<br />

palesa il monte Fuji, innevato e completamente sgombro<br />

dalle nubi: uno spettacolo tanto inatteso quanto fugace<br />

e grandioso, degno del kami più potente di questa terra.<br />

Proseguendo verso Atami e Odawara, il treno passa sotto il<br />

promontorio d’Izu: tra una galleria e l’altra si apre la vista sulle<br />

pendici digradanti verso il mare, coltivate a terrazzamenti<br />

d’agrumi. Un panorama pittoresco ma di breve durata: da<br />

Kanagawa in poi ha inizio la megalopoli composta dalle città<br />

che gravitano intorno alla capitale giapponese. Il passante<br />

ferroviario di Tōkyō, da Shinagawa a sud fino a Ueno a nord,<br />

è uno degli snodi più trafficati del pianeta, ma gli intasamenti<br />

non si verificano quasi mai: un paradosso se considero che<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

nella mia vita quotidiana, <strong>per</strong> entrare ogni mattina a Torino,<br />

il mio treno è costretto a fermarsi <strong>per</strong> almeno cinque minuti<br />

in attesa che la via diventi libera.<br />

Alle 17.10 lo shinkansen si attesta al suo capolinea: la<br />

stazione centrale di Tōkyō. Per raggiungere il quartiere<br />

settentrionale di Ueno, utilizziamo la linea circolare<br />

Yamanote (in senso antiorario), gestita dalle ferrovie e<br />

compresa nel Japan Rail Pass: la segnaletica è chiarissima;<br />

l’unica relativa difficoltà risiede nel districarsi con i trolley<br />

e le valigie all’interno di una fiumana di <strong>per</strong>sone all’uscita<br />

dal lavoro. All’arrivo del primo convoglio siamo presi da un<br />

attimo di sconforto: è strapieno! «Aspettiamo il prossimo»,<br />

ragioniamo tra noi, «e guardiamo cosa fanno i giapponesi»:<br />

ovviamente il treno successivo è tal quale al precedente.<br />

Restiamo <strong>per</strong> un po’ in disparte ad osservare i passanti che<br />

entrano ed escono come se nulla fosse. Poi, tirando un respiro<br />

profondo, ci buttiamo e riusciamo addirittura a salire tutti,<br />

pur pigiati come sardine. Per fortuna il tragitto è breve: solo<br />

tre fermate intermedie (Kanda, Akihabara, Okachimachi) ed<br />

infine Ueno. Per guadagnare l’uscita siamo costretti a farci<br />

largo a colpi di sumimasen e gomen nasai (“scusate…”).<br />

Dalla stazione proseguiamo <strong>per</strong> circa 300 m verso est in<br />

direzione Asakusa fino al New Izu, un albergo situato in una<br />

tranquilla stradina poco trafficata. Come spesso accade nelle<br />

città giapponesi, anticamente nate dall’unione di vari antichi<br />

villaggi, ogni quartiere popolare conserva un’atmosfera di<br />

paese. In questa zona di Ueno, pur costellata di strutture<br />

moderne, si respira ancora l’aria della shitamachi (la città<br />

vecchia, o più propriamente “città bassa” <strong>per</strong>ché prossima<br />

al fiume Sumida). Naturalmente, al posto delle vecchie case<br />

di legno vi sono i condominî di cemento, ma meno alti che<br />

altrove. Ogni isolato ha inoltre il proprio minimarket ed i<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

propri servizi fondamentali. All’interno di queste viuzze si<br />

vedono raramente le automobili: la gente si sposta a piedi<br />

oppure in bicicletta, salutandosi <strong>per</strong>ché si conoscono tutti.<br />

L’hotel, un anonimo edificio bianco e verde, dispone di<br />

una minuscola sala a pianterreno con un acquario ed una<br />

poltrona massaggiante, dove attendiamo qualche istante<br />

prima che ci vengano consegnate le chiavi delle camere.<br />

Alcune di esse sono in stile occidentale, mentre altre sono in<br />

stile giapponese: l’arredamento di queste ultime comprende<br />

un armadio a muro, un tavolino e degli zabuton (grossi e<br />

sottili cuscini) in luogo delle sedie. Il pavimento è rico<strong>per</strong>to di<br />

tatami, su cui si deve camminare scalzi o con delle pantofole.<br />

Per dormire si srotolano in terra i futon, materassi di fibra<br />

vegetale dotati di co<strong>per</strong>ta. Il bagno è diviso in tre minuscoli<br />

ambienti separati tra loro: quello del lavandino dà accesso<br />

sia alla latrina, anch’essa provvista delle relative ciabatte, che<br />

al locale del lavaggio, strutturato come piccolo ofuro con una<br />

vasca quadrata ed uno spazio antistante <strong>per</strong> la doccia, dotato<br />

di sgabello. Il lato negativo della sistemazione riguarda la<br />

completa assenza di luce naturale: la stanza è situata su un<br />

lato dell’albergo, ad una distanza di mezzo metro dal muro<br />

del palazzo contiguo. Sporgendosi dalle finestre <strong>per</strong> guardare<br />

all’esterno s’indovina, verso l’alto, una sottile striscia di cielo,<br />

neppure sufficiente <strong>per</strong> capire se stia piovendo o ci sia il sole.<br />

Addirittura in pieno giorno è necessario tenere la luce accesa.<br />

Pazienza: non abbiamo intenzione di rimanere in camera a<br />

lungo.<br />

Detto, fatto: è già buio ma, dopo una doccia, siamo<br />

nuovamente in strada nella direzione del parco di Ueno. Ai<br />

semafori, centinaia di pedoni attendono il verde <strong>per</strong> sciamare<br />

verso l’altro lato della strada. Le automobili in circolazione<br />

sono scarse (45 <strong>per</strong> 100 abitanti contro le 61 dell’Italia),<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

ancora considerate un lusso da molte famiglie, specie<br />

nelle zone urbane dove oltretutto non esistono sufficienti<br />

parcheggi. Per questo motivo il governo incoraggia da decenni<br />

i trasporti pubblici a detrimento degli spostamenti privati.<br />

L’industria locale dell’automobile non ne soffre <strong>per</strong>ché, oltre<br />

alla massiccia esportazione, può beneficiare di una posizione<br />

di monopolio nel mercato interno (i giapponesi acquistano<br />

quasi unicamente veicoli di produzione nazionale).<br />

Seguendo il flusso delle <strong>per</strong>sone, raggiungiamo il parco<br />

di Ueno (Ueno kōen), istituito nel 1873 sull’esempio delle<br />

aree verdi già esistenti nelle città europee ed americane. Vi<br />

trovano posto alcuni fra i più rilevanti musei del <strong>Giappone</strong><br />

come quello nazionale, quello della scienza e della natura e<br />

quello d’arte occidentale. Il parco di Ueno è inoltre, con i suoi<br />

viali di ciliegi, la principale meta dell’hanami di Tōkyō. Nella<br />

penombra, debolmente rischiarata dalle lanterne di carta,<br />

migliaia di <strong>per</strong>sone sostano sedute <strong>per</strong> terra su dei teli di<br />

plastica a bere ed a consumare pietanze. Il panorama umano<br />

è vario: dalle famiglie ai gruppi di amici, ai colleghi d’ufficio<br />

in giacca e cravatta che, neppure rientrati a casa, sono si sono<br />

precipitati fin qui direttamente dal lavoro. Fra questi ultimi la<br />

birra è un articolo assai diffuso e, man mano che trascorre la<br />

serata, l’atmosfera si fa sempre più faceta e rumorosa. Un filo<br />

di vento scuote le chiome dei ciliegi, provocando una debole<br />

pioggia di petali: molti fotografi sono attrezzati con degli<br />

altissimi cavalletti <strong>per</strong> immortalare l’evento sopra le teste<br />

della folla. Anche la televisione non vuole essere da meno,<br />

con una cinepresa che si aggira continuamente tra i presenti.<br />

Scendendo verso il tempietto di Benzaiten, riconoscibile dalla<br />

caratteristica cupola ottagonale, vi sono numerosi ed affollati<br />

banchetti che vendono cibi di strada come tagliolini, carne,<br />

pesce e verdure alla piastra: i profumi che si sprigionano<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

nell’aria sono assai invitanti e ricordano che è quasi l’ora<br />

di mettersi a tavola. Cena presso un ristorantino attiguo al<br />

cavalcavia della stazione: la cucina è tradizionale ed i<br />

prezzi sono più che onesti. La mia scelta cade su un ottimo<br />

katsudon, cotoletta di maiale impanata e fritta, servita su<br />

una ciotola di riso. Altri provano invece il tempura, un fritto<br />

di pesce e verdure in pastella, anch’esso eccellente, tipico<br />

piatto invernale che è assai improbabile trovare nei mesi<br />

caldi. Molti turisti si ostinano <strong>per</strong>ò a chiederlo anche in estate<br />

suscitando grande stupore, come se i giapponesi in visita in<br />

Italia ordinassero polenta e salsiccia a ferragosto. Nel ritorno<br />

verso l’albergo transitiamo nei pressi di una delle numerose<br />

sale di pachinko, un rumorosissimo tipo di flip<strong>per</strong>, la cui<br />

invenzione risale all’immediato dopoguerra da parte di un<br />

piccolo imprenditore di Nagoya, che ebbe l’idea di montare<br />

in verticale alcuni dei suoi biliardini <strong>per</strong> risparmiare spazio.<br />

Il successo fu immediato e, in breve tempo, questo gioco<br />

divenne il principale passatempo nazionale. Oggi il pachinko<br />

conta un giro d’affari annuale di circa 300 miliardi di euro,<br />

una cifra di gran lunga su<strong>per</strong>iore ad una manovra economica.<br />

Non appena varchiamo la soglia, un rumore assordante simile<br />

a quello d’un cantiere navale investe i nostri poveri timpani.<br />

Il gioco è semplice: s’introduce una sferetta d’acciaio nella<br />

macchina e si aspetta che cada vero il basso. Nella maggior<br />

parte dei casi non si vince nulla, ma qualche volta la sfera<br />

scende nel punto giusto e si ottengono altre sferette. Siccome il<br />

gioco d’azzardo è proibito, i premi devono obbligatoriamente<br />

consistere in oggetti e consumazioni. L’affare è <strong>per</strong>ò troppo<br />

ghiotto: la yakuza (mafia), che gestisce la maggior parte dei<br />

locali, ha ideato un astuto stratagemma, quello di emettere<br />

una sorta di “gettone” <strong>per</strong> riscuotere illegalmente la vincita<br />

in denaro presso un intermediario situato all’esterno della<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

sala. La polizia è sempre all’erta, ma il fenomeno è diffuso<br />

a tal punto che un controllo capillare è di fatto impossibile.<br />

Rimaniamo qualche istante ad osservare i giocatori che, quasi<br />

indifferenti rispetto al contesto, continuano ad introdurre<br />

le loro sfere nelle macchinette come fossero degli automi<br />

in trance. Senza farmi notare dagli inservienti, estraggo la<br />

macchina fotografica dalla custodia e con un po’ di faccia<br />

tosta scatto velocemente un’immagine di questo singolare<br />

fenomeno dai risvolti sociali. Poi, un dubbio: ci saranno<br />

le telecamere Meglio non sa<strong>per</strong>lo ed uscire, allungando il<br />

passo <strong>per</strong> la strada… d’altronde siamo quasi sordi ed è l’ora<br />

di rientrare in albergo.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Alpi giapponesi: l’Hida no Sato<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Shishi gashira (maschera della testa del leone)<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Monte Fuji ripreso dallo shinkansen in corsa<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Hanami notturno a Ueno<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

11 aprile<br />

Kamakura e le origini dello shōgunato<br />

A<br />

ppuntamento alle 8.30 nella hall con bagaglio leggero<br />

(borsa, zaino) <strong>per</strong> l’escursione a Kamakura, 60 km a<br />

sud-ovest di Tōkyō. Da Ueno utilizziamo la linea Yamanote<br />

in senso opposto a quello di ieri sera: la situazione della folla<br />

non è mutata, ma iniziamo già a farvi l’abitudine. L’ordine,<br />

la disciplina e la compostezza dei giapponesi consentono<br />

di rendere accettabili anche le situazioni di questo genere:<br />

tutti si dispongono in fila ad aspettare il proprio turno, non<br />

prima d’aver lasciato scendere gli altri. Siamo circondati da<br />

centinaia di <strong>per</strong>sone, ma neppure una che parli ad alta voce.<br />

I cellulari sono rigorosamente silenziati e sui vagoni nessuno<br />

risponde al telefono <strong>per</strong> non disturbare il vicino. Alla stazione<br />

centrale di Tōkyō cambiamo <strong>per</strong> la linea di Yokosuka: dal<br />

momento che Kamakura non è il capolinea, come direzione<br />

sono indicati Zushi, Yokosuka o Kurihama.<br />

Durante il tragitto abbiamo modo di osservare i pendolari<br />

durante il viaggio in treno: dormono, leggono giornali,<br />

riviste e manga (fumetti), navigano sull’internet col cellulare<br />

oppure se ne stanno semplicemente fermi con lo sguardo<br />

<strong>per</strong>so nel vuoto. In molti indossano la mascherina <strong>per</strong><br />

proteggersi dall’inquinamento e dai germi, che in questi<br />

ambienti chiusi e stretti sono di facile trasmissione. Una<br />

fobia Forse no: questo non è l’unico accorgimento <strong>per</strong><br />

tentare di evitare i mali di stagione. Mentre in Italia qualche<br />

colpo di tosse è già una scusa sufficiente <strong>per</strong> mettersi in<br />

mutua, <strong>per</strong> un giapponese l’assenza dal lavoro è invece assai<br />

problematica, oltre che disonorevole: colui che si dichiara<br />

malato dà a tutti l’impressione d’essere pigro, inaffidabile ed<br />

egoista, cosa che si riflette negativamente nei rapporti con i<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

colleghi ed i su<strong>per</strong>iori. Anche lo starnuto e l’uso pubblico del<br />

fazzoletto sono considerati atti d’una certa maleducazione,<br />

cosicché tutti tirano su col naso, usanza che nel tempo ha<br />

assunto un significato di rispetto (sic!) verso il prossimo. È<br />

pur vero che, quando serve, anche i giapponesi si soffiano il<br />

naso, ma più spesso noi abbiamo incontrato interlocutori (o<br />

semplicemente <strong>per</strong>sone in ascensore) che <strong>per</strong> atto d’ossequio<br />

inspiravano rumorosamente.<br />

Un’ora più tardi siamo in vista di Kamakura (ab.<br />

175.000), località in riva al mare situata sul lato opposto<br />

della penisola di Miura rispetto a Tōkyō. Al giorno d’oggi<br />

è un centro di medie dimensioni, ma conserva una forte<br />

rilevanza storica <strong>per</strong>ché fu capitale de facto del <strong>Giappone</strong> e<br />

sede dello shōgunato dal 1185 al 1333. Questo <strong>per</strong>iodo, che<br />

prende il nome dalla città stessa, ebbe origine con la guerra<br />

di Genpei (1180–1185) fra le famiglie Taira e Minamoto <strong>per</strong><br />

il predominio sul paese e sull’ormai imbelle corte im<strong>per</strong>iale<br />

di Kyōto. Dopo un momento d’iniziale favore <strong>per</strong> i Taira, il<br />

conflitto si concluse a vantaggio dei Minamoto nella battaglia<br />

di Dannoura. Il capo della casata, Minamoto no Yoritomo, si<br />

fece proclamare shōgun (generalissimo) e stabilì la sede del<br />

bakufu (governo campale) nella roccaforte di Kamakura. Con<br />

la sua morte, nel 1199, il padrino Hōjō Tokimasa approfittò<br />

della debolezza della famiglia Minamoto <strong>per</strong> farsi nominare<br />

shikken (reggente). Questo regime <strong>per</strong>durò fino al 1333,<br />

quando le armate degli Ashikaga sconfissero gli Hōjō e<br />

riportarono la sede del governo a Kyōto, inaugurando l’epoca<br />

Muromachi. La città di Kamakura rappresenta dunque una<br />

tappa obbligata <strong>per</strong> conoscere la storia, l’arte, la vita, la<br />

religione e l’architettura del Duecento giapponese.<br />

Scendiamo dal treno alla stazione di Kita Kamakura,<br />

(Kamakura nord), la più opportuna se si intende iniziare<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

la visita dalla zona dei templi Zen di Yamanouchi. Il filone<br />

buddhista del pensiero Zen non ha costituito in <strong>Giappone</strong><br />

una scuola autonoma fino al XII secolo, quando furono<br />

fondati alcuni lignaggi tuttora esistenti da parte dei maestri<br />

di ritorno dalla Cina: fra essi si ricorda la figura di Dōgen<br />

(1200–1253), capostipite della scuola Sōtō, una delle tre<br />

maggiori assieme alla Rinzai ed alla Ōbaku.<br />

Proseguendo verso sud <strong>per</strong> 50 m lungo la ferrovia,<br />

si raggiunge l’accesso all’Engaku-ji, uno dei principali<br />

templi del buddhismo Zen giapponese, al secondo posto<br />

tra le “Cinque Montagne” (monasteri di Stato) dell’epoca<br />

Kamakura. Il complesso fu fondato nel 1282 da un monaco<br />

cinese, in seguito al voto del reggente Hōjō Tokimune<br />

<strong>per</strong> aver respinto le armate mongole tra il 1274 ed il 1281.<br />

La struttura attuale risale alla fine dell’epoca Edo. Nel<br />

<strong>per</strong>iodo Meiji l’Engaku-ji è assurto a centro d’eccellenza <strong>per</strong><br />

l’insegnamento dello Zen nella regione del Kantō ed è tuttora<br />

sede di varie sessioni quotidiane di zazen (meditazione<br />

seduta). Nel sanmon (portale d’ingresso) del 1780 è collocata<br />

l’Ōgane, grande campana risalente al 1301, classificata come<br />

tesoro nazionale. Il recinto si addentra in una valletta dove si<br />

trovano il reliquiario contenente un dente ritenuto di Buddha,<br />

la sala principale (butsuden) ricostruita in tempi recenti ed<br />

infine la tomba del reggente Hōjō Tokimune. In un padiglione<br />

più in basso, varie <strong>per</strong>sone abbigliate in modo tradizionale<br />

si stanno esercitando al tiro con l’arco, un’antichissima<br />

disciplina strettamente connessa alle pratiche Zen <strong>per</strong> il<br />

raggiungimento del satori (illuminazione). Il tiratore, più<br />

che al bersaglio, deve mirare simbolicamente a se stesso:<br />

lo scopo è quello del distacco dal pensiero razionale e, <strong>per</strong><br />

mezzo di esso, al raggiungimento della totale consapevolezza<br />

spaziale e temporale.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Seguendo la strada n. 21 verso sud, dopo circa 300 m<br />

incontriamo sulla nostra destra, immediatamente prima<br />

del passaggio a livello, un viottolo in salita che porta in<br />

direzione del tempio di Jōchi-ji. Oltrepassato quest’ultimo,<br />

imbocchiamo sulla sinistra il sentiero del Buddha, un<br />

<strong>per</strong>corso di circa 3 km (1 ora) tra modeste salite e discese<br />

attraverso le selve e le vallette che circondano la città sul<br />

lato settentrionale. La vegetazione, oltre alle specie comuni<br />

anche in Europa, comprende degli interi boschi di camelie<br />

selvatiche in fiore. Questa insolita ma piacevole passeggiata<br />

offre alcuni scorci meno noti al turismo di massa, come la<br />

fioritura dei ciliegi al Kuzuharaoka jinja, un santuario<br />

costruito su un pendio collinare al limitare della boscaglia.<br />

Dal piazzale, con un po’ di fortuna, nelle giornate terse si può<br />

addirittura scorgere il monte Fuji. Poco oltre, merita una<br />

digressione il santuario di Zeniarai Benzaiten: l’entrata è<br />

segnata da un inconfondibile torii di pietra, antistante ad un<br />

cunicolo scavato nella roccia. Dalla parte opposta si apre uno<br />

spiazzo con vari altari, incensieri e tabernacoli, che prelude<br />

ad una caverna dove scorrono delle acque di sorgente. I<br />

visitatori pongono alcune monete in un cestello di paglia e<br />

le irrorano con un mestolo prima di riprenderle con sé. È<br />

credenza diffusa che quest’acqua di sorgiva sia in grado di<br />

accrescere il denaro, grazie al potere di una divinità sincretica<br />

che fonde gli elementi scintoisti del kami Ugajin con quelli<br />

indo-buddhisti della dea Benzaiten (in sanscrito Sarasvatī).<br />

Da qui si scende fino ai primi sobborghi formati dalle<br />

classiche casette residenziali a due piani con giardinetto,<br />

sogno e coronamento dell’intera vita lavorativa <strong>per</strong><br />

l’impiegato medio. Si <strong>per</strong>corre ancora mezzo chilometro, poi<br />

si svolta a destra passando sotto un tunnel ed infine, dopo<br />

un’ultima svolta a sinistra, si prosegue <strong>per</strong> ulteriori 500 m.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

All’incrocio con la strada n. 32 siamo già di fronte all’ingresso<br />

del Kōtoku-in, il tempio noto <strong>per</strong> il daibutsu (Grande<br />

Buddha), una colossale statua bronzea del Buddha Amida<br />

(Amitābha in sanscrito). Prima di entrare, mi fermo presso<br />

un negozietto <strong>per</strong> acquistare qualche ricordo, fra cui un fūrin,<br />

campanella a vento che si usa porre nel <strong>per</strong>iodo estivo sotto<br />

i porticati e fuori dalle finestre: tuttora, mentre scrivo a casa<br />

in un caldo pomeriggio d’agosto, il suo tintinnio mi allieta<br />

e quasi mi rinfresca. Fra l’altro, il clima italiano e quello<br />

giapponese sono quasi identici: le uniche lievi differenze<br />

consistono nei momenti dei massimi pluviometrici, che in<br />

<strong>Giappone</strong> si concentrano a giugno e a settembre anziché,<br />

come nell’Italia nord-occidentale ove risiedo, ad aprile e ad<br />

ottobre. Più precisamente, nei rilevamenti tra maggio 2012 e<br />

gennaio 2013, la tem<strong>per</strong>atura di Torino è risultata in media<br />

su<strong>per</strong>iore di due gradi rispetto a quella di Tōkyō, mentre<br />

l’umidità della metropoli subalpina ha registrato valori del<br />

15-20% piu bassi rispetto alla capitale orientale.<br />

Il Grande Buddha risale al 1252, fuso in sostituzione<br />

di una precedente statua di legno. I reggenti di Kamakura<br />

vollero in tal modo dotarsi di un’effigie buddhista che potesse<br />

rivaleggiare con quella di Nara, di dominio della corte<br />

im<strong>per</strong>iale. Artisticamente, questa è la più rilevante delle due:<br />

oltre a chiare reminiscenze cinesi e indiane, qualcuno vi vuole<br />

addirittura scorgere echi del Gandhāra, fattore decisamente<br />

improbabile, a parte qualche vago dubbio riguardo alle<br />

fattezze del volto e del panneggio. L’altezza è di 13,35 m <strong>per</strong> un<br />

peso di circa 100 tonnellate. Vicino alle orecchie si conservano<br />

ancora alcune tracce della doratura originale. La vicenda<br />

della sala che lo riparava dalle intem<strong>per</strong>ie è stata sofferta:<br />

distrutta una prima volta nel 1334 da una tempesta, è stata<br />

ricostruita e nuovamente danneggiata nel 1369. Riparata<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

<strong>per</strong> la seconda volta, è stata definitivamente spazzata via<br />

dallo tsunami (maremoto) del 20 settembre 1498: da allora<br />

il Grande Buddha, trasferito un po’ più a monte, è rimasto<br />

a cielo a<strong>per</strong>to. Il basamento ha subìto forti danneggiamenti<br />

durante il terremoto del Kantō del 1923 ed è stato ricostruito<br />

due anni più tardi. Gli interventi più recenti risalgono<br />

agli anni 1960–1961, quando il collo è stato rafforzato<br />

mediante l’adozione di misure antisismiche. Sul retro della<br />

statua vi sono due finestrelle che ne rivelano la cavità. Alla<br />

base, attraverso una porticina, i turisti possono entrarvi e<br />

salire <strong>per</strong> una modica cifra. Durante un attimo di sosta in<br />

contemplazione di questa possente o<strong>per</strong>a, le prime gocce di<br />

pioggia ci sorprendono, costringendo a scelte differenti: molti<br />

rientrano a Tōkyō, mentre in cinque proseguiamo la visita<br />

a Kamakura nonostante il peggioramento delle condizioni<br />

meteorologiche. È ora di pranzo: in direzione sud, lungo la<br />

strada n. 32, scopriamo un negozietto che offre dei morbidi<br />

e grossi ravioli ripieni di carne cotti al vapore. Insieme<br />

sono venduti i mochi, dolcetti di riso. Poco oltre, vi è un<br />

altro bugigattolo specializzato nella preparazione di dolci di<br />

zucca a forma cubetti arancioni, cosparsi di zucchero a velo:<br />

ovviamente proviamo anche quelli. Il tragitto, rallentato dalle<br />

soste gastronomiche, ha come destinazione il Kaikōzan<br />

Jishōin Hase-dera, meglio conosciuto con il solo nome di<br />

Hase-dera.<br />

Situato sulle pendici collinari ad occidente della città,<br />

questo tempio è appartenuto inizialmente alla scuola Tendai,<br />

infine divenuto una branca autonoma della scuola Jōdo.<br />

La leggenda narra che la fondazione sia avvenuta intorno<br />

all’anno 736, quando dal mare riemerse miracolosamente<br />

una statua lignea di Kannon, data <strong>per</strong> dis<strong>per</strong>sa quindici anni<br />

prima. Per celebrare l’evento, considerato particolarmente<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

fausto, fu decisa la costruzione di un tempio che potesse<br />

ospitare degnamente il re<strong>per</strong>to ritrovato. Da tempi immemori<br />

l’Hase-dera è noto come la quarta stazione del pellegrinaggio<br />

dei trentatré luoghi sacri della regione del Kantō. L’ambiente<br />

è assai verdeggiante e l’interno racchiude un ampio e curato<br />

giardino che garantisce la fioritura di varie specie in tutte<br />

le stagioni dell’anno. Salendo, a lato della scalinata vi è un<br />

sacello dedicato a Jizō, con le sue numerose statuette di varie<br />

dimensioni poste l’una accanto all’altra. La zona principale<br />

del tempio, poco più in alto, comprende le due sale note<br />

come Amida-dō e Kannon-dō: la prima ospita una statua<br />

del Buddha Amida (Amitābha) risalente al 1194, mentre<br />

la seconda è sede della preziosa immagine lignea del VIII<br />

secolo raffigurante il Bodhisattva Kannon dalle undici teste<br />

(Avalokiteśvara), dorata nel 1342 <strong>per</strong> volontà dello shōgun<br />

Ashikaga Takauji. Gli attributi iconografici di Avalokiteśvara<br />

sono pressappoco uniformi in tutta l’Asia orientale, ma<br />

in ogni paese presentano delle differenze che riflettono<br />

la tradizione artistica locale. In Tibet <strong>per</strong> esempio, le teste<br />

sono uguali fra loro e spuntano dal collo del santo (dal nome<br />

tibetano di Chenresig) formando un albero di volti dallo<br />

sguardo omnidirezionale. In <strong>Giappone</strong> invece vi è una testa<br />

principale, mentre le dieci restanti sono di dimensioni assai<br />

minori, disposte in cerchio come se fossero una corona, con<br />

un effetto visivo di maggior naturalezza.<br />

Sulla destra dei padiglioni (rivolgendo ad essi le spalle) vi<br />

è la terrazza panoramica, affacciata sulla parte occidentale<br />

della baia di Sagami, sulla città di Kamakura e sul suo<br />

entroterra, <strong>per</strong> spaziare infine ai promontori della penisola<br />

di Miura. Pur con il cielo lattiginoso e la foschia spessa, si<br />

riesce ugualmente ad avere una buona visuale dei dintorni.<br />

Numerosi rapaci volteggiano nel cielo: tengono d’occhio<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

il picnic dei turisti con sguardo discreto ma attento.<br />

All’occasione scendono in picchiata e, praticamente in<br />

silenzio, ghermiscono il panino dalle mani dell’ignaro gitante<br />

arrivandogli alle spalle e talvolta ferendolo: <strong>per</strong> questa<br />

ragione il municipio ha affisso vari avvisi nei quali si invita<br />

a prestare attenzione all’avvicinamento di eventuali pennuti.<br />

Mediante un autobus di linea, <strong>per</strong>corriamo il tragitto di<br />

circa 2 km che separa l’Hase-dera dal centro città. Il biglietto<br />

si acquista come di consueto a bordo, direttamente dal<br />

conducente. Per effettuare questo <strong>per</strong>corso si può anche<br />

utilizzare l’Eno-den, il treno di Enoshima, tra le fermate di<br />

Hase e Kamakura. Trattandosi <strong>per</strong>ò di una ferrovia privata,<br />

il Japan Rail Pass non ha valore: dovrete in ogni <strong>caso</strong> pagare<br />

la tariffa.<br />

Dalla stazione ci spostiamo a piedi verso il Wakamiya<br />

Ōji, viale centrale di Kamakura. Costruito da Minamoto no<br />

Yoritomo a somiglianza del Suzaku Ōji di Kyoto, è molto più<br />

ampio di quest’ultimo, delimitato su entrambi i lati da canali<br />

di tre metri di profondità e fiancheggiato da alberi di pino.<br />

Lungo il <strong>per</strong>corso si incontrano tre torii, ichi, ni e san no<br />

torii (“primo, secondo e terzo cancello”): tra il primo ed il<br />

secondo è collocata la Geba Yotsukado, luogo dove in passato<br />

era obbligatorio scendere da cavallo in ossequio al santuario<br />

di Hachiman. Oltrepassato il secondo torii ha inizio il<br />

Dankazura, un <strong>per</strong>corso pedonale al centro della carreggiata,<br />

fiancheggiato da alberi di ciliegio che in questo <strong>per</strong>iodo sono<br />

in piena fioritura.<br />

Mentre siamo in cammino si scatena un forte temporale,<br />

che ci costringe ad allungare il passo verso lo Tsurugaoka<br />

Hachiman-gū, uno dei più noti santuari della regione del<br />

Kantō. Fulcro della città di Kamakura dal 1063, esso fu <strong>per</strong><br />

oltre ottocento anni il centro sincretico della venerazione<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

del kami Hachiman (protettore dei guerrieri) e della divinità<br />

buddhista Miroku (in sanscrito Maitreya, il Buddha del<br />

futuro). Dal 1872 in poi, la politica di separazione dei culti<br />

(shinbutsu bunri) voluta dal governo Meiji, causò l’esclusione<br />

del buddhismo a vantaggio dello shintoismo, imposto come<br />

religione di stato. L’antica denominazione di gū–ji (santuariotempio)<br />

fu dunque cancellata, con lo smantellamento degli<br />

edifici buddhisti ed il conseguente impoverimento del luogo<br />

di culto.<br />

Attraversiamo il cortile sotto la pioggia battente,<br />

inerpicandoci sulla scalinata fino a raggiungere il portale del<br />

santuario: neppure gli ombrelli sono utili <strong>per</strong> via del forte<br />

vento. In molti, sorpresi dall’acquazzone, si sono rifugiati<br />

qui sotto, sommandosi alla già nutrita folla dei pellegrini<br />

salmodianti. Dall’alto si ha una panoramica sull’intero<br />

Wakamiya Ōji e sulla prospettiva dei torii. Mentre mi<br />

accingo a scattare una fotografia, entra nel campo visivo una<br />

miko (sacerdotessa) con la tipica veste bianca e l’hakama<br />

(gonna lunga) di colore rosso carminio: un valore aggiunto<br />

all’immagine già di <strong>per</strong> sé suggestiva. In un’aiuola a lato<br />

si nota il celebre ginkgo di quasi mille anni, severamente<br />

danneggiato da una tempesta nel 2010. Questa pianta è assai<br />

tenace: non solo hanno attecchito le talee di recu<strong>per</strong>o, ma<br />

anche il vecchio ceppo ha nuovamente germogliato.<br />

Le condizioni meteorologiche impietose costringono<br />

nostro malgrado a rinunciare all’ultima tappa della giornata,<br />

il Kenchō-ji, uno dei templi Zen più antichi del <strong>Giappone</strong>,<br />

fondato nel 1253. I punti d’interesse sarebbero stati il giardino,<br />

il butsuden (sala del Buddha), l’hattō (sala del Dharma, la<br />

più grande struttura lignea del <strong>Giappone</strong> orientale), il karamon<br />

(grande cancello), il bonshō (campana del tempio,<br />

tesoro nazionale del 1255) ed il boschetto di ginepri. Invece,<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

correndo a rotta di collo sotto un muro d’acqua, ripieghiamo<br />

verso la stazione dove attendiamo fradici il treno <strong>per</strong> Tōkyō.<br />

Durante il tragitto cessa la pioggia: non raggiungiamo<br />

<strong>per</strong>ò il capolinea di Tōkyō Centrale ma scendiamo a<br />

Shinbashi, la fermata precedente, <strong>per</strong> una passeggiata alla<br />

Ginza, meta dello shopping di lusso con la presenza delle<br />

più famose marche internazionali d’abbigliamento, gioielli,<br />

profumi, orologi ed elettronica di alto livello. A pochi passi<br />

l’uno dall’altro si trovano i negozi di Burberry, Mont Blanc,<br />

Swarowski, Rolex, Zara, Salvatore Ferragamo, Abercrombie<br />

& Fitch, Prada, Tiffany, Gucci, Apple, Bulgari, Cartier, Louis<br />

Vuitton ecc. Noi ci accontentiamo di guardare le vetrine. Il<br />

nome della Ginza, il cui significato è “zecca”, trae origine dal<br />

conio ivi collocato dal governo Tokugawa agli inizi del XVII<br />

secolo. Anche se tale istituto è ormai scomparso, se ne conserva<br />

la memoria storica nel toponimo. Da fine ‘800 in poi, con<br />

l’arrivo delle mode europee, furono costruiti numerosi edifici<br />

in muratura, alcuni ancora integri nonostante i frequenti<br />

terremoti. La Ginza visse il <strong>per</strong>iodo di maggior splendore<br />

tra gli anni ‘20 e ‘30, fino a quando l’austerità imposta dalle<br />

ristrettezze e dai razionamenti bellici ne decretò il rapido<br />

declino. Con la ricostruzione del dopoguerra sono sorti altri<br />

centri delle mode e del consumismo come Omotesandō e<br />

Roppongi, che hanno tentato di strapparle il primato del<br />

lusso. Un intento probabilmente non del tutto riuscito,<br />

dato che i figli della buona società edochiana continuano<br />

a sciamare su questi marciapiedi <strong>per</strong> le piccole spese di<br />

“generi fondamentali”: un orologio d’oro, un abito firmato<br />

oppure l’ultimo I-pad in commercio. La Ginza si estende<br />

complessivamente <strong>per</strong> un chilometro lungo la strada Chūō<br />

Dōri, da Shinbashi a sud-ovest fino a Nihonbashi a nord-est.<br />

Al termine del <strong>per</strong>corso svoltiamo a sinistra in direzione della<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

stazione centrale <strong>per</strong> rientrare a Ueno. È nuovamente l’ora di<br />

punta e la prospettiva di utilizzare l’affollata linea Yamanote<br />

non ci alletta. Ad un tratto, ecco il satori (l’illuminazione):<br />

<strong>per</strong>ché mescolarsi alla plebe comune nei convogli strapieni<br />

quando l’abbonamento ferroviario dà diritto a salire su quasi<br />

tutti i treni, compresi quelli ad alta velocità Lo shinkansen<br />

del Tōhoku parte, guarda <strong>caso</strong>, proprio da Tōkyō Centrale <strong>per</strong><br />

fermarsi dopo pochi minuti a Ueno. Le corse sono frequenti<br />

a tal punto che il tempo d’attesa non è mai elevato (dieci<br />

minuti nelle ore più trafficate). Alla banchina è in partenza<br />

lo shinkansen 37 “Komachi” <strong>per</strong> Akita: saliamo velocemente<br />

sulla carrozza riservata agli utenti non prenotati. Neppure il<br />

tempo di accomodarci che, dopo quattro minuti, siamo già<br />

a destinazione. Con un filo di vergogna scivoliamo fuori dal<br />

convoglio, seguiti dagli sguardi <strong>per</strong>plessi e preoccupati dei<br />

giapponesi del nostro vagone. Abbiamo battezzato “shinkametro”<br />

questo nuovo servizio ferroviario, frutto dell’italico<br />

genio, ben noto in tutto il mondo <strong>per</strong> l’arte d’arrangiarsi.<br />

Ceniamo in un ristorantino sotto il cavalcavia della<br />

stazione, <strong>per</strong> nulla degno di nota. Si tratta d’un locale che<br />

serve delle pietanze contaminate da uno stile che secondo<br />

i gestori dovrebbe essere simile a quello europeo: se lo<br />

avessimo saputo, mai vi saremmo entrati! Purtroppo non<br />

vi è neppure una scritta in caratteri latini. Il mio piattone è<br />

composto da un misto di verdure, pastella, carne, frittata e<br />

spaghetti. Molti giapponesi sono qui <strong>per</strong> provare quest’ultima<br />

specialità, cimentandosi a manovrare l’insolita portata con<br />

le bacchette di bambù. Lo spaghetto a dire il vero non è del<br />

tutto indecente, ma dato che ci siamo recati dall’altra parte<br />

del mondo allo scopo di conoscere questo paese, l’avremmo<br />

volentieri evitato in favore di portate autoctone.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Daibutsu (Grande Buddha) di Kamakura<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Kamakura, tempio di Hase-dera<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

12 aprile<br />

Nikkō, lo specchio di un’epoca<br />

S<br />

veglia alle sei. Oggi sfrutteremo l’ultimo giorno<br />

dell’abbonamento ferroviario <strong>per</strong> recarci a Nikkō, 150<br />

km a nord di Tōkyō. Ritrovo con il gruppo alle 7.30 nella hall<br />

dell’albergo. Il tempo è soleggiato e la giornata si annuncia<br />

mite.<br />

Lo shinkansen 127 “Tsubasa” <strong>per</strong> Yamagata parte da Ueno<br />

alle 8.14 e arriva ad Utsunomiya dopo circa tre quarti d’ora<br />

(8.58). Alle 9.12 si cambia sulla linea locale <strong>per</strong> Nikkō, con<br />

arrivo a destinazione alle 9.54. La cittadina (ab. 90.000,<br />

alt. 200 m s.l.m.) è adagiata in un favorevole contesto<br />

naturalistico, contornata da vari monti con altitudini medie<br />

di 2500 m, compresi nel Parco Nazionale di Nikkō. Dalla<br />

stazione si prosegue ulteriormente <strong>per</strong> qualche chilometro<br />

con l’autobus fino a raggiungere l’area sacra dei templi e dei<br />

santuari, che si annuncia con il Shinkyō, sacro ponte che<br />

un tempo ne costituiva l’ingresso. Costruito nel 1636 e coevo<br />

del vicino santuario Futarasan cui appartiene, il Shinkyō ha<br />

costituito <strong>per</strong> secoli il passaggio obbligato sul fiume Daiya<br />

<strong>per</strong> i nobili che accedevano all’area sacra. La struttura<br />

lignea, arcuata e slanciata, è rico<strong>per</strong>ta di lacca rossa. Misura<br />

28 metri di campata singola, 7,4 metri di larghezza e 10,6<br />

metri d’altezza sulla sottostante gola. Ha fama d’essere uno<br />

dei ponti più belli del <strong>Giappone</strong>, patrimonio dell’UNESCO<br />

dal 1999 poiché, pur avendo subìto varie ricostruzioni, ha<br />

mantenuto inalterate le forme originarie del XVII secolo.<br />

Poco più in alto, dopo cinque minuti di cammino, si raggiunge<br />

l’ingresso del Tōshō-gū, complesso di santuari scintoisti e<br />

di templi buddhisti, realizzato a partire dal 1617 <strong>per</strong> volere<br />

di Tokugawa Hidetada, figlio di Ieyasu, affinché le spoglie<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

dei membri di Casa Tokugawa potessero essere conservate<br />

e venerate in <strong>per</strong>petuo. La costruzione è stata notevolmente<br />

arricchita ed ampliata a partire dal 1634 da parte del terzo<br />

shōgun Tokugawa Iemitsu. Nel medesimo <strong>per</strong>iodo fu<br />

costruita la strada del Nikkōkaidō <strong>per</strong> collegare Edo a Nikkō,<br />

teatro di una solenne processione annuale.<br />

Per entrare nel santuario, immerso in un lussureggiante<br />

bosco di cipressi, si passa dapprima attraverso un torii di<br />

pietra, poi sotto l’Omote-mon (portale) che introduce al<br />

primo cortile. Sulla sinistra vi è una pagoda rossa a cinque<br />

piani, mentre di fronte si notano il Kamijinko, il Nakajinko,<br />

e lo Shimojinko, magazzini destinati agli arredi sacri: sul<br />

primo sono raffigurate delle curiose immagini di elefanti,<br />

scolpite da un intagliatore che non aveva mai visto dal vivo<br />

questi animali. Sulla sinistra vi è il Shinkyū, stalla <strong>per</strong> i<br />

cavalli sacri, sul cui frontone sono collocate in altorilievo le<br />

tre celeberrime scimmie che “non vedono, non sentono e non<br />

parlano”. La teoria più diffusa vuole che esse simboleggino<br />

il principio buddhista del “non vedere, non udire e non<br />

nominare il male”. Alcuni invece vi hanno scorto la satira<br />

della grettezza di casa Tokugawa e del suo potere, fondato<br />

sul paternalismo e sull’omertà, che costringeva i cittadini a<br />

tacere ed a fingere di non aver visto e udito nulla riguardo al<br />

malaffare dei governanti.<br />

Lasciato sulla sinistra un fontanile <strong>per</strong> le abluzioni, si sale<br />

<strong>per</strong> un’ulteriore scalinata fino al Yōmeimon, forse una delle<br />

o<strong>per</strong>e più note di Nikkō, esempio illustre della corrente<br />

artistica del primo <strong>per</strong>iodo Edo: questo portale,<br />

risalente al 1636, è un tripudio d’intagli con figure di tutti<br />

i tipi: umane, animali e vegetali. I virtuosismi sono a tratti<br />

eccessivi ed i colori violenti, denunciando la stanchezza<br />

di un’arte ormai di maniera. Neppure l’ispirazione è più<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

autoctona, ma è importata dal continente: lo stile è cinese<br />

più che giapponese e risente profondamente della tendenza<br />

alla pesantezza, all’artificioso, all’elaborato, tipica dei secoli<br />

della dinastia Qīng. Fosco Maraini l’ha definita a buon diritto<br />

«un’arte falsa e pretenziosa»: l’illustre etnologo era ben<br />

poco attratto da questo stile, da lui considerato all’antitesi<br />

della purezza originaria. Di quel <strong>per</strong>iodo Maraini ha inoltre<br />

rilevato, contemporaneamente alla decadenza delle arti,<br />

anche il crollo del dinamismo sociale e l’imposizione della pace<br />

<strong>per</strong> mezzo della repressione. Ad ogni modo, non è possibile<br />

essere totalmente critici nei confronti dell’arte seicentesca<br />

giapponese che, similmente al barocco europeo, presenta<br />

degli autentici esempi di linearità contrapposti a quelli di<br />

retorica: <strong>per</strong> azzardare un parallelismo interculturale, fra i<br />

primi si annoverano il potente colonnato Vaticano e la Villa<br />

Katsura, fra i secondi il ridondante interno del Laterano ed il<br />

pletorico Tōshō-gū.<br />

Poco oltre, col pagamento di una tariffa aggiuntiva, si<br />

accede ad un passaggio sul cui architrave è raffigurato un<br />

gatto dormiente. Non si comprende <strong>per</strong>ché tale scultura abbia<br />

acquisito una così larga fama da divenire addirittura simbolo<br />

del tempio: può forse ispirare simpatia, ma non è rilevante dal<br />

punto di vista artistico ed è parte di una lunga serie d’intagli<br />

con soggetti animali che circondano tutto il porticato. Da qui<br />

inizia l’ultima rampa, assai ripida, che conduce nel luogo più<br />

sacro del Tōshō-gū, il mausoleo di Tokugawa Ieyasu,<br />

dove lo shōgun è venerato sia come kami scintoista che come<br />

divinità buddhista col nome di Tōshō Daigongen (Grande<br />

Incarnazione, Luce d’Oriente). La tomba è un inconfondibile<br />

monumento cilindrico bronzeo sovrastato da un tetto a<br />

forma di pagoda. Ritornati in basso <strong>per</strong> la medesima via,<br />

compiamo il giro rituale dentro all’Haiden, la parte più<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

interna del santuario e ci attardiamo presso l’Honjidō, sala<br />

dal soffitto dipinto con il motivo di un drago. Un monaco si<br />

ferma nel centro, battendovi due cunei di legno, che <strong>per</strong> via<br />

della particolare acustica generano un’eco chiamata “ruggito<br />

del drago”, suono acuto simile ad un trillo.<br />

Alle 13.35 riprendiamo il treno in direzione Utsunomiya,<br />

dove cambiamo con lo shinkansen 54 “Yamabiko” delle 14.24<br />

<strong>per</strong> Tōkyō. Il bentō che ho acquistato <strong>per</strong> pranzo contiene il<br />

prestigioso sekihan (riso ai fagioli rossi) e le prugne umeboshi<br />

dal sapore agro e salato, <strong>per</strong> noi assai inusali: la cucina europea<br />

non presenta alcunché di simile. Data la giornata tersa, ci<br />

dirigiamo di comune accordo verso le falde del monte Fuji<br />

<strong>per</strong> osservare la montagna nella luce del tramonto. A Tōkyō<br />

dunque, nuovo cambio con lo shinkansen 665 “Kodama”<br />

delle 14.56 <strong>per</strong> Odawara. Da lì proseguiamo con la normale<br />

ferrovia fino ad Hakone, poi con una cremagliera saliamo a<br />

Gōra ed infine con una funicolare a Sōunzan (767 metri sul<br />

livello del mare). Dobbiamo intraprendere solo più l’ultimo<br />

tratto in cabinovia verso il punto panoramico e la solfatara<br />

di Ōwakudani, ma... un’amara sorpresa ci attende: l’orario<br />

d’a<strong>per</strong>tura è ormai terminato da pochi minuti. L’inflessibilità<br />

giapponese non <strong>per</strong>dona: siamo costretti a tornare indietro<br />

con le pive nel sacco. Magra consolazione: il Fuji l’abbiamo<br />

già visto in precedenza.<br />

Ormai è calata la sera: rientriamo a Tōkyō con lo<br />

shinkansen 672 “Kodama” delle 19.42. Siamo a destinazione<br />

alle 20.17, in tempo <strong>per</strong> una cena a base di sushi presso<br />

un kaiten-zushi, ristorante col nastro trasportatore dove<br />

scorrono i piatti già pronti. Il cliente si siede innanzi ad un<br />

bancone provvisto di varie postazioni affiancate le une alle<br />

altre, dotate di porta bacchette, bicchieri, una boccetta di<br />

shōyu ed un minuscolo lavandino <strong>per</strong> sciacquarsi le dita.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Ci si serve direttamente dal tapis roulant nella quantità<br />

e nella varietà della pietanza desiderata. Assai diffuso è il<br />

nigirizushi, riso con salsa di wasabi (rafano) su cui vengono<br />

adagiate le fette di maguro (tonno), ika (seppia), tako<br />

(polpo), unagi (anguilla) ecc... Non mancano poi i maki,<br />

involtini nei quali il pesce è racchiuso dentro ad un cilindro<br />

di riso ed avvolto in una foglia d’alga. Il riso <strong>per</strong> il sushi è<br />

a sua volta preparato con un procedimento particolare, che<br />

prevede l’aggiunta di zucchero ed aceto di riso. Una volta in<br />

tavola, i bocconi possono essere bagnati con un po’ di shōyu<br />

versato in un’apposita ciotola. Conoscendo il giapponese si<br />

può ordinare la portata desiderata direttamente al cuoco, che<br />

si trova dall’altra parte del bancone: io stesso vi sono riuscito<br />

orecchiando gli ordini dei vicini. Il pasto è in genere concluso<br />

col tamagoyaki, la tipica frittata dolce. Il conto finale della<br />

cena è basato sul numero e sul tipo di piatti consumati, che<br />

nel nostro <strong>caso</strong> si sono mediamente assommati ad una decina<br />

a testa da circa 150 ¥ l’uno.<br />

Sulla via del ritorno si notano numerosi lampioni spenti <strong>per</strong><br />

le strade. Nei corridoi dell’albergo vi sono alcuni cartelli che<br />

invitano alla parsimonia con l’elettricità, a causa dell’arresto<br />

delle centrali nucleari dovuto al disastro di Fukushima.<br />

L’attuale situazione di carenza energetica è aggravata dalla<br />

presenza di due differenti frequenze di distribuzione: un<br />

divario tra il nord-est ed il sud-ovest del paese che trae origine<br />

dagli albori dell’elettrificazione, iniziata a fine ‘800 in due<br />

aree distinte, il Kansai ed il Kantō. Nella prima fu adottata la<br />

tecnologia americana a 60 Hz, mentre nella seconda quella<br />

europea a 50 Hz. Con la progressiva espansione, i due bacini<br />

d’utenza si sono incontrati creando una “barriera elettrica”<br />

che tuttora divide in due il <strong>Giappone</strong>. Il grave deficit di una<br />

delle zone non può dunque essere efficacemente compensato<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

dall’altra: sul confine esistono tre stazioni di conversione<br />

(Sakuma, Shin Shinano e Higashi Shimitsu, con 1200 MW<br />

di potenza complessiva), progettate solo <strong>per</strong> bilanciare la<br />

rete, senza essere in grado di supplire alle mancanze di<br />

questa portata. A Tōkyō la problematica è particolarmente<br />

evidente: la capitale è situata all’interno della zona a 50 Hz,<br />

dove si sono verificati i maggiori disagi. La gente è invitata<br />

ovunque a risparmiare, mentre il settore pubblico è il primo<br />

a dare l’esempio con lo spegnimento alternato delle luci<br />

sui treni e in metropolitana, con la contestuale limitazione<br />

degli impianti di riscaldamento e condizionamento. Questa<br />

situazione ha anche favorito una crescente sensibilizzazione<br />

del pubblico nei confronti degli sprechi. Il popolo giapponese<br />

ha da sempre mostrato la capacità di unirsi <strong>per</strong> affrontare le<br />

avversità: l’attuale comandamento di «sobrietà e risparmio»<br />

ha suscitato in pochi mesi la riduzione dei consumi energetici<br />

del 15% a livello nazionale. Degli stessi effetti del terremoto<br />

del 2011, che ha mietuto 20.000 vittime, non vi sono più<br />

tracce visibili poiché tutto è stato ricostruito a grandissima<br />

velocità. Solo la zona d’alienazione intorno alla centrale<br />

nucleare di Fukushima Dai-ichi, di 30 km di raggio, rimane<br />

isolata dal resto del paese e probabilmente rimarrà tale a tempo<br />

indeterminato, con buona pace dei 140.000 cittadini sfollati.<br />

I problemi dovuti alla radioattività sono lungi dall’essere<br />

risolti, specie <strong>per</strong> quanto concerne l’ambiente marino al largo<br />

della centrale dove, durante l’emergenza, si sono riversate<br />

520 tonnellate di acqua contenente alte dosi di Iodio-131,<br />

Cesio-134 e Cesio-137, sedimentatesi sui fondali circostanti.<br />

A queste si aggiungono ulteriori 300.000 tonnellate d’acqua<br />

debolmente radioattiva scaricate intenzionalmente a mare<br />

dai gestori dell’impianto <strong>per</strong> scongiurare danni ancora<br />

peggiori. Il consumo del pesce contaminato, che arriva tutti i<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

giorni sulle tavole dei giapponesi, potrebbe negli anni favorire<br />

tumori e leucemie. La radioattività ambientale raggiunge <strong>per</strong>ò<br />

elevati livelli di <strong>per</strong>icolosità <strong>per</strong> la <strong>per</strong>manenza umana solo<br />

nell’arco di poche decine di chilometri dalla centrale stessa,<br />

nella zona attualmente evacuata: non vi è alcun <strong>per</strong>icolo <strong>per</strong><br />

il viaggiatore in transito. Il vero problema è dei residenti<br />

e della loro esposizione continua, derivata soprattutto<br />

dall’alimentazione con prodotti vegetali ed animali del luogo.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Nikkō: sacro ponte Shinkyō<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Santuari di Nikkō<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

13 aprile<br />

Tōkyō in libertà<br />

C<br />

ontrariamente a quanto si potrebbe supporre,<br />

muoversi a Tōkyō è semplice, a patto di possedere<br />

a priori una conoscenza <strong>per</strong>lomeno generale del sistema dei<br />

trasporti. Come ho già scritto in precedenza, la rete conta<br />

oltre 300 km di <strong>per</strong>corsi sotterranei, gestiti da due società<br />

diverse: la Tōkyō Metro di 9 linee e la Tōei di 4 linee. La<br />

privatizzazione selvaggia degli anni ‘90 ha portato alla<br />

creazione di due società indipendenti, anche nell’emissione<br />

dei titoli di viaggio, in genere non intercambiabili (esistono<br />

<strong>per</strong>ò dei pass polivalenti come la SUICA, rilasciata dalle<br />

ferrovie JR East ed il PASMO, valido <strong>per</strong> l’area del Kantō).<br />

Entrambe le compagnie rimangono <strong>per</strong>ò di fatto pubbliche,<br />

poiché nessun privato sarebbe in grado di affrontare i<br />

costi d’esercizio: la Tōkyō Metro (ex TRTA–Teito Rapid<br />

Transit Authority) è gestita congiuntamente dal Ministero<br />

dei Trasporti e dal comune di Tōkyō, mentre la Tōei dal<br />

solo governo municipale. I biglietti validi <strong>per</strong> entrambe le<br />

compagnie hanno un costo maggiore, ragione <strong>per</strong> la quale<br />

conviene dotarsi di un pass oppure abbonarsi a quella che<br />

gestisce le linee di vostra maggiore utilità. A completare il<br />

quadro si aggiungono le ferrovie e gli altri gestori privati<br />

che, con i loro numerosi <strong>per</strong>corsi autonomi, infittiscono<br />

ulteriormente il tessuto dei trasporti urbani.<br />

Effettuate le dovute valutazioni, sottoscriviamo<br />

l’abbonamento giornaliero <strong>per</strong> la Tōkyō Metro presso un<br />

distributore automatico e, <strong>per</strong> mezzo della linea Hibiya (sette<br />

fermate), raggiungiamo i mercati generali di Tsukiji.<br />

Il primo mercato di Tōkyō fu istituito da Tokugawa Ieyasu<br />

durante il <strong>per</strong>iodo Edo <strong>per</strong> rifornire la sua corte. Il pescato<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

residuale era venduto in una semplice schiera bancarelle<br />

ai lati della strada. Dopo la carestia del 1918, il governo fu<br />

costretto ad implementare le strutture <strong>per</strong> la distribuzione<br />

dei prodotti alimentari, in particolar modo nelle aree urbane,<br />

con l’emanazione di un’apposita legge nel 1923 che sancì<br />

l’istituzione dei Mercati Generali Centrali. Nei mesi successivi<br />

al grande terremoto del Kantō, il mercato fu trasferito<br />

nell’area attuale, la cui struttura è stata completata nel 1935.<br />

Tsukiji è erroneamente conosciuto presso il grande<br />

pubblico come mercato “del pesce”, ma in realtà si vendono<br />

anche carne, frutta, verdura e fiori recisi. Esso costituisce la<br />

principale piazza del settore ittico a livello mondiale <strong>per</strong> la<br />

quantità di prodotti quotidianamente trattati. Le altre merci,<br />

ancorché non trascurabili, rimangono necessariamente in<br />

secondo piano.<br />

L’attività inizia verso le tre del mattino, quando i carichi<br />

iniziano ad affluire nelle aree di conferimento. Alle cinque<br />

ha luogo l’asta dei tonni, riservata ai grossisti autorizzati: un<br />

banditore batte all’asta i singoli esemplari, ancora congelati,<br />

allineati sul pavimento. I potenziali acquirenti ne valutano la<br />

qualità e tentano di aggiudicarsi i pezzi migliori al prezzo più<br />

conveniente. Per assistere come pubblico è necessario essere<br />

sul luogo prima dell’inizio delle contrattazioni ed effettuare<br />

la registrazione <strong>per</strong> via di soli 120 posti disponibili su un<br />

palco separato.<br />

Noi invece arriviamo alle nove, <strong>per</strong> avere la possibilità<br />

di osservare liberamente i banchi dei grossisti intermedi<br />

(il mercato vero e proprio), attivi <strong>per</strong> circa due ore fino alle<br />

undici.<br />

L’ingresso, piuttosto anonimo, è situato sul lato<br />

meridionale di Shin Ōhashi Dōri. Nei dintorni si osserva una<br />

crescente concentrazione di negozietti d’indumenti, sandali,<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

coltelli, articoli <strong>per</strong> la casa e ristoranti di sushi, sashimi,<br />

rāmen e vari cibi di strada. Il bazar prosegue all’interno<br />

dell’area mercatale, dove un artigiano sta forgiando nella<br />

sua bottega un coltello d’acciaio deba bōchō (multiuso<br />

da cucina). Tale è la <strong>per</strong>izia nella lavorazione della lama che<br />

conviene sostare ad assistere all’o<strong>per</strong>azione. Il coltello è poi<br />

stato da me acquistato insieme alla pietra <strong>per</strong> l’affilatura. Al<br />

ritorno non sono stati riscontrati problemi alla dogana e non<br />

è neppure stato necessario effettuare la denuncia.<br />

La zona degli espositori del pesce è riconoscibile dai<br />

capannoni con pianta a quarto di cerchio, dove sono assiepati<br />

centinaia di esercenti. Chi ama i generi ittici non sarà di certo<br />

deluso da questo tripudio: che sia d’acqua dolce o salata,<br />

dell’Atlantico o del Pacifico, che siano molluschi o crostacei,<br />

non v’è specie che non sia rappresentata. Il re del mercato è<br />

<strong>per</strong>ò il tonno: si va dai tagli più magri del semplice maguro<br />

fino a quelli più grassi del ricercatissimo toro, che può<br />

arrivare a costare sui 500 euro al chilo (abbiamo visto di<br />

<strong>per</strong>sona confezioni da circa 200 g vendute a 90 €). Si dice che i<br />

giapponesi siano fra i peggiori “predatori del mare” al mondo,<br />

con le loro navi che caricano all’inverosimile le stive frigorifere<br />

<strong>per</strong> poi rientrare alla base qualche settimana dopo. In realtà,<br />

ciò accade sempre meno: l’attuale tendenza dell’industria<br />

ittica giapponese è quella di ridurre l’esposizione in prima<br />

<strong>per</strong>sona, lasciando ai pescatori africani, magrebini e indiani<br />

il compito di trarre nelle rispettive zone le reti con le specie<br />

a rischio, successivamente caricate sugli aerei cargo <strong>per</strong><br />

essere a Tōkyō in ventiquattr’ore o meno. Per questo motivo<br />

è diffusa la battuta che recita: «Sapete qual è il principale<br />

porto di pesca del <strong>Giappone</strong> L’aeroporto internazionale<br />

di Narita!». Il pescato viene trasferito ancora surgelato sui<br />

banchi di vendita, <strong>per</strong> sparire definitivamente sui furgoni<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

dei corrieri entro le undici del mattino. Da quel momento il<br />

luogo si spopola ed iniziano le pulizie intensive, che lasciano<br />

al turista ben poco da vedere.<br />

Prima di uscire transitiamo velocemente attraverso il<br />

mercato ortofrutticolo, che <strong>per</strong>ò non desta grande interesse.<br />

Ancora una breve sosta: acquisto un tendone da ristorante di<br />

sushi con la raffigurazione dell’onda di Katsushika Hokusai,<br />

una delle trentasei vedute del monte Fuji, o<strong>per</strong>a suprema<br />

del maestro dell’ukiyo-e. Come giustamente ha affermato<br />

un compagno di viaggio: «non si può tornare dal <strong>Giappone</strong><br />

senza l’onda di Hokusai!»<br />

In un quarto d’ora raggiungiamo Shintomichō, sulla linea<br />

Yūrakuchō, <strong>per</strong> scendere all’omonima fermata. Dopo 500 m,<br />

attraversata Hibiya Dōri, i palazzi si diradano e si presenta<br />

il fossato esterno del palazzo im<strong>per</strong>iale, che introduce al<br />

Kōkyo-gaien, un ampio parco pubblico costellato da<br />

centinaia di pini nigræ tenuti alla maniera tradizionale,<br />

area sulla quale sorgevano un tempo le dimore dei capi della<br />

servitù di palazzo. Il prato è (come sempre accade) di figura ed<br />

il pubblico è obbligato a transitare sui viali ed a sostare sulle<br />

panchine. Peccato che le piante siano piuttosto rade e, nelle<br />

giornate calde e afose come questa, non diano alcun refrigerio.<br />

Finalmente ci fermiamo qualche minuto <strong>per</strong> un po’ di riposo e<br />

<strong>per</strong> un boccone al sacco. Appena ripreso il cammino, si apre la<br />

grande spianata che conduce al Nijubashi, ponte a due arcate<br />

che costituisce l’ingresso d’onore al palazzo im<strong>per</strong>iale<br />

(Kōkyo). Durante l’epoca Edo quest’area ospitava il castello<br />

che fu <strong>per</strong> secoli residenza degli shōgun della famiglia<br />

Tokugawa. Nella successiva era Meiji il sito raggiunse la sua<br />

attuale estensione di 3,41 chilometri quadrati, arrivando<br />

ad ospitare al suo interno il palazzo principale (Kyūden),<br />

le residenze private della famiglia im<strong>per</strong>iale, un archivio,<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

un museo e gli uffici della potente Agenzia (ex Ministero)<br />

dell’Im<strong>per</strong>ial Casa. Dall’esterno poco o nulla s’intuisce:<br />

l’intero complesso, del quale s’indovinano solo alcuni tetti,<br />

è celato da una fitta cortina d’alberi piantati oltre la riva del<br />

fossato interno. A differenza della mentalità europea, dove il<br />

potere cerca l’ostentazione ed il lusso, in oriente esso agisce<br />

in modo discreto, rigorosamente nascosto dagli sguardi della<br />

plebe. Più è effettivo, più è invisibile: il medesimo “palazzo”<br />

è in realtà un complesso di sobri padiglioni alti al massimo<br />

due piani, immersi nella verzura circostante. Questo luogo è<br />

stato considerato sacro fino alla fine della II guerra mondiale,<br />

quando l’im<strong>per</strong>atore era ancora venerato come discendente<br />

della dea solare Amaterasu-ō-mi-kami: <strong>per</strong>fino le <strong>per</strong>sone di<br />

passaggio sul tram erano obbligate, racconta Fosco Maraini,<br />

a togliersi il cappello in segno di deferenza verso la Sublime<br />

Dimora. Qui è conservato il gioiello Yasakani no Magatama,<br />

una delle tre Regalie Im<strong>per</strong>iali oltre alla spada Kusanagi<br />

dell’Atsuta-jingū di Nagoya ed allo specchio Yata no Kagami<br />

dei santuari di Ise. È ormai appurato che questi oggetti, un<br />

tempo ritenuti di valore magico e sciamanico, sono in realtà<br />

re<strong>per</strong>ti archeologici d’epoca protostorica Yamato (300–710<br />

d.C.), simboli dell’autorità temporale e spirituale del Tennō<br />

da almeno quindici secoli. Il ruolo della figura im<strong>per</strong>iale si<br />

<strong>per</strong>de nei meandri dalla storia, avendo subìto vari mutamenti:<br />

dai primi mitici sovrani menzionati nel Kōjiki (cronaca delle<br />

antiche cose) e nel Nihon-shoki (cronaca del <strong>Giappone</strong>), ai più<br />

terreni sacerdoti-sciamani, ai bellicosi sovrani-condottieri,<br />

ai colti signori feudali, alle insignificanti figure alla mercé<br />

dei propri attendenti ed infine, con l’età contemporanea,<br />

ai moderni monarchi costituzionali. I riti d’ascesa al trono<br />

si protraggono <strong>per</strong> vari mesi e presentano una notevole<br />

stratificazione di simbologie, alcune delle quali svuotate<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

da tempi immemori del loro significato. Ad ogni modo,<br />

<strong>per</strong>lomeno negli ultimi 150 anni, il popolo giapponese si è quasi<br />

sempre riconosciuto nel Tennō e nei suoi pronunciamenti,<br />

illuminati o deleteri che fossero. Attualmente egli è visto, in<br />

modo conforme alla Costituzione del 1947, quale «simbolo<br />

dello Stato e dell’unità del popolo». Non mancano <strong>per</strong>ò degli<br />

isolati gruppi estremisti, che inneggiano alla proclamazione<br />

della Repubblica (a sinistra) e teorici della restaurazione<br />

delle prerogative divine dell’im<strong>per</strong>atore (a destra).<br />

Gran parte del palazzo è chiuso al pubblico, tranne che<br />

in speciali occasioni come il capodanno ed il compleanno<br />

del sovrano. Presso il ponte Niju, <strong>per</strong>ennemente sorvegliato<br />

dalle guardie, ci raduniamo <strong>per</strong> fare il punto della situazione:<br />

esauriti i punti d’interesse comune, il gruppo si divide affinché<br />

ognuno possa proseguire la giornata a proprio piacimento.<br />

Rimasti in quattro, prima di riprendere la strada mi reco<br />

alle latrine pubbliche ad accesso libero, pulitissime e, a<br />

scelta, con tazza dotata di asse elettronico oppure con pedana<br />

giapponese (simile alla cd. “turca” ma con il para-urina<br />

davanti).<br />

Costeggiamo il palazzo sul lato nord-est ed attraversiamo<br />

i giardini Kitanomaru, ancora all’interno del <strong>per</strong>imetro<br />

delimitato dal fossato: quest’ultimo non presenta una visione<br />

ridente, pieno com’è di melma, lemne e sicuramente di gran<br />

copia di culicidi vari.<br />

Usciamo dal lato ovest su Uchibori dōri e puntiamo verso<br />

nord. Dopo altri 500 m di cammino si presenta l’ingresso del<br />

santuario di Yasukuni. Un grosso torii di bronzo, seguito<br />

da un portale ligneo, introduce ad un giardino di ciliegi. Sullo<br />

sfondo s’intravede l’Haiden, sala di preghiera risalente al 1901<br />

dove i fedeli si ritirano a pregare ed a depositare le offerte<br />

votive. L’Honden invece, costruito nel 1872, è il santuario<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

dove risiedono i kami e dove i sacerdoti eseguono i rituali,<br />

edificio solitamente chiuso al pubblico. A lato trova posto lo<br />

Yūshūkan, museo della guerra. Perché la guerra L’intero<br />

complesso è nato nel 1869 <strong>per</strong> accogliere gli spiriti dei caduti<br />

in battaglia sotto la bandiera dell’im<strong>per</strong>atore durante la<br />

guerra civile che portò lo shōgunato alla sconfitta. Nei decenni<br />

successivi il luogo è stato eletto a dimora di tutti i morti <strong>per</strong><br />

la patria nei conflitti contemporanei, fra cui la spedizione di<br />

Taiwan (1874), la prima guerra sino-giapponese (1894–1895),<br />

la guerra russo-giapponese (1904–1905), la seconda guerra<br />

sino-giapponese (1937–1941) e la seconda guerra mondiale<br />

(combattuta dal <strong>Giappone</strong> tra il 1941 ed il 1945). La principale<br />

controversia, che accompagna costantemente la visita dei<br />

politici e dei funzionari di governo, riguarda la venerazione<br />

di oltre mille criminali di guerra condannati a morte dal<br />

Tribunale <strong>per</strong> l’Estremo Oriente, deificati nonostante ciò nel<br />

1959. A questi si sommano i 14 criminali maggiori innalzati<br />

agli onori degli altari scintoisti nel 1978, fra cui il generale<br />

Tōjō Hideki, ex primo ministro e capo della giunta militare<br />

durante la II guerra mondiale. Si dice che <strong>per</strong> questa ragione<br />

l’im<strong>per</strong>atore Shōwa (Hirohito) non volle più mettere piede<br />

a Yasukuni dal 1978 fino alla sua morte. In occasione dei<br />

pellegrinaggi dei membri del Gabinetto, compreso il Primo<br />

Ministro, i paesi limitrofi come Cina e Corea non mancano di<br />

protestare con veemenza e di minacciare feroci ritorsioni. Da<br />

parte giapponese a nulla vale affermare che le visite dei politici<br />

vengono effettuate a titolo <strong>per</strong>sonale: una scusa difficilmente<br />

credibile data l’ingente mobilitazione di forze dell’ordine e di<br />

giornalisti che accompagna regolarmente l’evento.<br />

Da Yasukuni non è assai distante la fermata Kudanshita<br />

della linea Hanzōmon, che utilizziamo in direzione Shibuya,<br />

quartiere commerciale ed usuale meta di giovani, sede di<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

numerosi grandi magazzini e negozi alla moda.<br />

All’uscita della metropolitana è collocata la statua di<br />

Hachikō, il cane che ha aspettato il padrone, ormai deceduto,<br />

tutte le sere <strong>per</strong> ben dieci anni (dal 1925 al 1935) fino a diventare<br />

una celebrità nazionale. La sua fedeltà, in un paese dove<br />

questa qualità è assai apprezzata, ha colpito l’immaginario<br />

popolare a tal punto da essere celebrato ancora in vita.<br />

L’interesse del pubblico ha inoltre <strong>per</strong>messo il salvataggio<br />

della razza Akita, che all’epoca era vicina all’estinzione, con<br />

una trentina d’esemplari rimasti. La piazza, che oggi porta<br />

il nome di Hachikō, è il punto d’incontro più frequentato<br />

della zona. Nei pressi si trova un famoso attraversamento<br />

pedonale con le strisce poste in diagonale sull’incrocio: il<br />

rosso dei semafori scatta contemporaneamente <strong>per</strong> tutte le<br />

auto ed all’istante una fiumana di <strong>per</strong>sone si riversa sulla<br />

strada <strong>per</strong> guadagnare il marciapiede opposto.<br />

Alcuni grandi schermi televisivi, montati sugli edifici<br />

prospicienti, s’affacciano sulla folla, così come molte insegne<br />

pubblicitarie. Un politico è intento a tenere un comizio<br />

elettorale in cima ad un camioncino dotato di megafoni,<br />

ma pare non riesca a destare l’interesse dei passanti: l’arte<br />

oratoria non è una tradizione giapponese e i discorsi pubblici<br />

risultano invariabilmente piatti, monotoni e privi di qualsiasi<br />

gestualità. Ciò nonostante, il poveretto <strong>per</strong>severa im<strong>per</strong>territo<br />

nella declamazione delle sue esternazioni.<br />

Dall’incrocio di Shibuya seguiamo <strong>per</strong> 1,5 km (20 minuti)<br />

il <strong>per</strong>corso della linea ferroviaria Yamanote in direzione<br />

nord, che teniamo sulla nostra destra. A sinistra costeggiamo<br />

il parco olimpico, costruito da Tange Kenzō in occasione dei<br />

giochi del 1964. Poco oltre vi è la zona di Harajuku, dove di<br />

solito si raduna una compagine di gente un po’ strana, da<br />

quelli che praticano lo skateboard in canottiera (ormai a<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

pomeriggio inoltrato, con meno di 15°C) a quelli che ballano<br />

in gruppo a ritmo di musica proveniente da alcune radio<br />

gracchianti poste sul marciapiede… come dice il poeta, «non<br />

ti curar di lor, ma guarda e passa». L’ingresso del Yoyogi<br />

kōen si annuncia con un grosso torii di legno: questo vasto<br />

parco di 5,4 km² è uno dei più estesi polmoni verdi nel cuore<br />

di Tōkyō ed è attraversato da numerosi <strong>per</strong>corsi di ghiaia e<br />

terra battuta che si fanno largo all’interno di una fitta foresta,<br />

in palese contrasto con l’ambiente urbano circostante. Molti<br />

sono i cittadini che passeggiano e si rilassano <strong>per</strong> qualche ora<br />

nel verde.<br />

Nel frattempo noi, sempre pedibus calcantibus, iniziamo<br />

ad avvertire una certa stanchezza <strong>per</strong> via delle sette ore ormai<br />

trascorse a piedi <strong>per</strong> la città. La giornata è <strong>per</strong>ò ben lungi dal<br />

volgere al termine: al centro del parco vi è il Meiji-jingū,<br />

principale santuario di Tōkyō, dedicato alla memoria del<br />

defunto im<strong>per</strong>atore Meiji (1852–1912). Per la costruzione,<br />

iniziata immediatamente dopo la sua morte, fu scelta<br />

una zona dove il Tennō e la consorte usavano soggiornare<br />

presso un padiglione situato all’epoca fuori porta. Lo stile<br />

architettonico è il tradizionale nagare-zukuri, che vede<br />

l’utilizzo in via preferenziale di cipresso sugi e di rame. La<br />

consacrazione è avvenuta nel 1920 ed il completamento sei<br />

anni più tardi, nel 1926. Il Gaien (recinto esterno) comprende<br />

lo stadio nazionale ed altri svariati edifici, mentre il Naien<br />

(recinto interno) è invece il vero cuore del santuario, adibito<br />

alle funzioni religiose. Vi si trova inoltre un museo del tesoro,<br />

edificato in stile azekura-zukuri (o<strong>per</strong>a lineare in solo legno).<br />

Il vasto cortile lastricato è accessibile dal pubblico e, con<br />

un po’ di fortuna come è accaduto a noi, è possibile assistere<br />

ad uno sposalizio scintoista. Dal porticato il corteo nuziale<br />

procede con il kannushi (sacerdote) in testa, seguito da due<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

assistenti e due miko (sacerdotesse), poi dagli sposi ed infine<br />

dal codazzo del parentado. Tutti sono vestiti alla maniera<br />

tradizionale, con un’eccezione: gli uomini del seguito vestono<br />

con il frac, che pur essendo l’abito occidentale più formale,<br />

quasi non si usa più neppure in Europa! La sposa porta<br />

un’elaboratissima acconciatura che viene sco<strong>per</strong>ta solo ad<br />

un certo momento della cerimonia. Terminata la funzione,<br />

gli sposi di buon grado si prestano ad essere immortalati dai<br />

turisti, di cui molti stranieri, ma soprattutto giapponesi: un<br />

matrimonio in questo luogo equivale nella nostra ottica a<br />

quello celebrato in una basilica pontificia di Roma. Secondo<br />

un detto assai diffuso in occidente, i giapponesi nascerebbero<br />

scintoisti, vivrebbero secondo i precetti morali di Confucio,<br />

si sposerebbero cristiani <strong>per</strong> via della cerimonia pittoresca<br />

ed invecchierebbero buddhisti <strong>per</strong> prepararsi spiritualmente<br />

alla morte. Anche se non del tutto errato, il precedente<br />

assunto è a dir poco semplicistico: sia il confucianesimo che<br />

il buddhismo <strong>per</strong>meano la società da un millennio e mezzo,<br />

mentre il cristianesimo, presente sulla scena religiosa da “soli”<br />

cinque secoli, è stato adottato sin dagli inizi da una piccola<br />

ma attiva minoranza. Lo spirito sincretico dei giapponesi ha<br />

da sempre favorito una commistione più o meno marcata di<br />

tutti i culti presenti sul territorio. Nel 1911 il filosofo Nishida<br />

Kitaro, ben sintetizzando questo pensiero, ha affermato: «lo<br />

spirito della vera religione rimane estraneo a coloro che<br />

pregano solo il Buddha <strong>per</strong> essere accolti nel suo paradiso».<br />

Proseguiamo attraverso il parco fino all’uscita nordovest.<br />

Dopo aver costeggiato <strong>per</strong> circa 500 m la su<strong>per</strong>strada<br />

sopraelevata n.4 in direzione di Nishi Shinjuku, svoltiamo a<br />

sinistra verso il Museo delle spade giapponesi, una meta<br />

leggermente insolita e fuori mano, che sarà apprezzata non<br />

solo dagli amanti delle lame, ma anche dai cultori della storia<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

e dell’arte. La ricca collezione comprende una preziosa serie<br />

di pezzi unici, alcuni classificati come patrimonio nazionale,<br />

esposti seguendo l’evoluzione cronologica delle tecniche di<br />

forgiatura e di lavorazione delle spade dall’epoca Heian (secoli<br />

IX–XII) fino ai giorni nostri. Sono presenti varie tipologie di<br />

armi da taglio, di cui la più nota è la katana, senza trascurare<br />

le altrettanto importanti wakizashi, tantō, yari, naginata,<br />

nagamaki, tachi, uchigatana, nodachi, ōdachi e kodachi.<br />

Sono inoltre descritti i vari tipi di laminazione impiegati (ve<br />

ne sono nove fra i più comuni), che in una scala di crescente<br />

complessità vanno dal semplice maru (lama di un solo strato<br />

d’acciaio tem<strong>per</strong>ato), all’intermedio honsanmai (quattro<br />

strati d’acciaio di tre durezze diverse) fino al sofisticato<br />

soshu kitae (sette strati d’acciaio di tre durezze diverse). Le<br />

didascalie sono scritte anche in inglese, <strong>per</strong> cui il visitatore<br />

europeo non avrà particolari difficoltà di comprensione.<br />

Dal museo, tornati sui nostri passi, raggiungiamo<br />

Shinjuku, quartiere direzionale, sede di vari uffici del<br />

governo e dei maggiori keiretsu (gruppi aziendali) del<br />

<strong>Giappone</strong>.<br />

Fra la moltitudine di palazzi dello skyline spicca quello del<br />

Governo Metropolitano di Tōkyō (Tōkyō-to Chōsha),<br />

cuore dell’amministrazione municipale. Costruito su<br />

progetto di Tange Kenzō tra il 1988 ed il 1991, con i suoi 48<br />

piani raggiunge l’altezza di 243 metri. La parte sommitale si<br />

compone di due torri (nord e sud) che, con orari differenti,<br />

garantiscono l’a<strong>per</strong>tura gratuita al pubblico dalle 9.30 alle<br />

23 di ogni giorno. A pianterreno sono presenti le indicazioni<br />

<strong>per</strong> raggiungere gli accessi alle terrazze panoramiche: dopo<br />

qualche minuto di coda ed un’ispezione di polizia, siamo<br />

imbarcati sull’ascensore della torre nord, che in breve tempo<br />

conduce a 202 metri d’altitudine. Le piattaforme sono situate<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

completamente all’interno dell’edificio e chiuse da vetrate;<br />

vi trovano posto anche dei caffè e negozi di souvenir. Se si<br />

ha la rara fortuna d’incappare in una giornata limpida e<br />

ventosa, si potranno ammirare l’intera pianura del Kantō, la<br />

baia e le montagne fino al Fuji. Solitamente <strong>per</strong>ò, come nel<br />

nostro <strong>caso</strong>, la foschia non dà tregua. Vale comunque la pena<br />

d’effettuare questa tappa: lo sguardo spazia sull’agglomerato<br />

urbano <strong>per</strong> parecchi chilometri in linea d’aria, anche in<br />

condizioni meteorologiche non ottimali. Partendo da est si<br />

nota l’affusolata struttura di 634 m del Tōkyō Sky Tree, la torre<br />

televisiva più alta del mondo. Proseguendo in senso orario,<br />

in primo piano vi sono i grattacieli di Akasaka, quartiere<br />

centrale che cela la vista al palazzo im<strong>per</strong>iale. Ancora più<br />

a destra, verso sud-est spicca il colore rosso e bianco della<br />

torre di Tōkyō, situata nel quartiere di Minato, in prossimità<br />

dell’area portuale e della baia. A sud risalta la macchia verde<br />

del Yoyogi kōen e del santuario Meiji, oltre il quale si trova<br />

Shibuya. In direzione ovest si estende il vasto hinterland, che<br />

s’arresta sui rilievi montuosi dopo circa trenta chilometri. A<br />

nord vi è infine la piana del Kantō, ove entro qualche decina<br />

di chilometri la metropoli lascia progressivamente spazio ai<br />

terreni agricoli, inframmezzati da un reticolo di cittadine.<br />

Scesi a pianterreno, accediamo alla linea Ōedo della<br />

metropolitana (con l’ingresso all’interno del palazzo),<br />

che utilizziamo <strong>per</strong> otto fermate fino a Shiodome. Da qui<br />

raggiungiamo la linea Yurikamome, il primo sistema<br />

di trasporto automatico di Tōkyō (inaugurato nel 1995),<br />

senza alcun conducente a bordo. Anche se spesso viene<br />

erroneamente definita “monorotaia”, in realtà i treni scorrono<br />

sulla pista sopraelevata mediante ruote gommate, guidate<br />

dalle piste laterali, mentre l’alimentazione è effettuata in<br />

corrente continua con la terza rotaia: questo tipo di convoglio<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

è stato utilizzato <strong>per</strong> la prima volta in Italia sulla linea 1 della<br />

metropolitana di Torino (2006).<br />

È invece necessario non confondersi con la “Tōkyō<br />

Monorail”, unica vera monorotaia della città, gestita dalle<br />

ferrovie e inclusa nel Japan Rail Pass, che non conduce<br />

ad Odaiba (zona della baia) bensì in direzione opposta, da<br />

Hamamatsuchō al vecchio aeroscalo di Haneda, al giorno<br />

d’oggi destinato prevalentemente ai voli interni. Al contrario<br />

la Yurikamome è, a mio avviso, il miglior mezzo <strong>per</strong> godere<br />

di una panoramica completa del fronte-mare, senza dover<br />

affrontare le elevate spese di una gita in barca o <strong>per</strong> non<br />

dover effettuare ulteriori tratti a piedi (specie se siete nella<br />

nostra condizione, con ormai dieci ore e tredici chilometri di<br />

cammino alle spalle…).<br />

Finalmente seduti. Il treno s’avvia verso sud fino al<br />

ponte Arcobaleno (Rainbow bridge, così detto <strong>per</strong> via della<br />

variopinta illuminazione notturna), ove compie un giro di 270<br />

gradi <strong>per</strong> portarsi dal livello del terreno a quello dell’arcata,<br />

attraversando la baia e l’estuario del Sumida-gawa. Sull’altra<br />

sponda sorge Odaiba, una serie di isole artificiali strappate<br />

ai flutti a furia di imponenti ritombamenti, frutto dei piani<br />

regolatori degli anni ‘70 e ‘80, quando si riteneva che<br />

l’espansione dell’edilizia residenziale e commerciale potesse<br />

trovare sfogo a mare, oltre l’ormai sovraffollata terraferma.<br />

All’inizio degli anni ‘90 <strong>per</strong>ò, il crollo della domanda<br />

dei terreni edificabili dovuto all’esplosione della bolla<br />

speculativa, minacciava di trasformare questo progetto in un<br />

eccesso di territorializzazione. Il comune ne decise allora la<br />

parziale riconversione della destinazione d’uso, includendo<br />

centri commerciali, onsen, ristoranti, musei ed altre strutture<br />

ricreative come la Daikanransha, ruota panoramica di 115<br />

metri d’altezza. Questa politica, unita alla presenza ad Odaiba<br />

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124<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

dell’unico accesso diretto al mare di Tōkyō, addirittura<br />

dotato di una lunga spiaggia sabbiosa, ha trasformato questo<br />

luogo nella meta privilegiata dei cittadini in cerca di una<br />

giornata all’insegna del relax e dello shopping. Nelle calde<br />

giornate estive qualcuno si avventura a bagnarsi, nonostante<br />

il divieto, nelle acque della baia tra la spiaggia e le due ex<br />

batterie militari ottocentesche. Altri lotti sono invece dedicati<br />

alle attività portuali, con attracchi, depositi di container,<br />

piattaforme industriali, raffinerie ecc. Alcuni appezzamenti<br />

rimangono <strong>per</strong>ò deserti: è il <strong>caso</strong> dell’area dove saranno in<br />

futuro trasferiti i mercati generali, un’intera isola artificiale<br />

di oltre 500.000 m², <strong>per</strong> ora sede della sola fermata Shijōmae<br />

della linea Yurikamome. Questo scalo, denominato con<br />

troppa fretta «di fronte al mercato», fronteggia ad oggi solo i<br />

prati ed è, con i suoi neppure 100 passeggeri annui, il meno<br />

utilizzato di tutta la città.<br />

Giunti al capolinea di Toyosu ormai all’imbrunire,<br />

prendiamo la coincidenza con la linea Yūrakuchō fino a<br />

Ginza-itchōme. Nonostante l’ora sciagurata d’uscita dagli<br />

uffici, riusciamo addirittura a sederci. Durante il viaggio mi<br />

sovvengono alcune strofe di Battiato, che nel Re del Mondo<br />

canta: «nelle metro giapponesi oggi macchine d’ossigeno».<br />

Mi guardo intorno: sono su una metropolitana<br />

giapponese, a Tōkyō, in piena ora di punta, ma non vedo<br />

alcuna macchina d’ossigeno. Non v’è neppure l’ombra<br />

dei famigerati “spintonatori” <strong>per</strong> stipare all’inverosimile<br />

i vagoni: questa circostanza può forse verificarsi durante<br />

i picchi d’affluenza sulle direttive più affollate, ma si tratta<br />

dell’eccezione e non certo della norma. Si viaggia compressi,<br />

ma a parità d’orario non si è in condizioni peggiori rispetto<br />

ai mezzi pubblici delle grandi città europee (con buona pace<br />

di Battiato, che apprezzo assai come cantautore). Ultimo<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

cambio <strong>per</strong> la linea della Ginza in direzione Ueno. Cena con<br />

un buon rāmen piccante nei pressi dell’albergo. Il locale, lo<br />

abbiamo sco<strong>per</strong>to più tardi, è gestito da cinesi: pazienza, in<br />

fondo lo stesso rāmen non è un piatto d’origine giapponese,<br />

bensì continentale.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Tsukiji: mercato del pesce<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Scorcio del Kōkyo (palazzo im<strong>per</strong>iale)<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Shibuya: il trafficato incrocio<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Sposalizio scintoista al Meiji-jingū<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

La zona portuale di Odaiba ed il “Ponte Arcobaleno” al crepuscolo<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

14 aprile<br />

Tōkyō: musei e tecnologia<br />

O<br />

ggi, come previsto, piove a dirotto: è la giornata<br />

adatta alle mete che non prevedono dei lunghi tragitti<br />

all’aria a<strong>per</strong>ta.<br />

Situato all’interno del parco di Ueno, il Museo Nazionale<br />

di Tōkyō è una tappa che non può mancare agli amanti<br />

della storia, della cultura e dell’arte di questo paese. Fondato<br />

nel 1872, contiene la più vasta collezione d’arte giapponese<br />

al mondo, oltre ad una ricca rassegna di o<strong>per</strong>e provenienti<br />

da tutta l’Asia. L’edificio principale è l’Honkan (galleria<br />

giapponese), costruito negli anni ‘30 e composto da due piani:<br />

la visita inizia da quello su<strong>per</strong>iore con lo sviluppo dell’arte<br />

sacra e l’introduzione del buddhismo dalla Cina attraverso la<br />

Corea (epoca Yamato, sotto<strong>per</strong>iodo Asuka). Si prosegue con<br />

l’arte di corte, che ebbe la massima espressione durante il<br />

<strong>per</strong>iodo Heian, con l’invenzione del genere romanzesco da<br />

parte della dama Murasaki Shikibu: il suo Genji Monogatari<br />

racconta le vicende del principe Genji che, con le sue virtù e<br />

le sue debolezze, è assurto a simbolo della classe nobiliare<br />

dell’XI secolo. Il <strong>per</strong>corso espositivo comprende inoltre la<br />

pittura Zen, la cerimonia del tè, gli equipaggiamenti militari<br />

e le armature antiche. Un discorso approfondito si sviluppa<br />

poi intorno alla pittura: dallo stile tradizionale Yamato-e alle<br />

calligrafie Zen, fino ai pannelli ed ai paraventi delle scuole<br />

Kanō e Tosa. Nelle sezioni successive sono illustrate le arti<br />

nella vita quotidiana, il teatro sacro Nō ed il profano Kabuki,<br />

l’Ukiyo-e, le stampe e la moda nel <strong>per</strong>iodo Edo. Infine, uno<br />

spazio a sé stante è dedicato alla collezione <strong>per</strong>sonale del<br />

principe Takamado.<br />

Non è possibile descrivere l’esatto contenuto delle singole<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

sale ma solo il tema, <strong>per</strong>ché il numero dei re<strong>per</strong>ti posseduti<br />

dal museo è assai elevato: l’esposizione avviene a rotazione<br />

con turni trimestrali.<br />

Al piano inferiore trovano posto la scultura, le lacche,<br />

la lavorazione dei metalli, la forgiatura delle spade, le<br />

ceramiche, la cultura popolare e l’arte moderna. Da un<br />

passaggio interno si accede all’edificio dell’Heiseikan, dov’è<br />

collocata la galleria archeologica, focalizzata sui re<strong>per</strong>ti delle<br />

epoche precedenti l’arrivo della scrittura (fino al V secolo),<br />

in particolare la preistoria (<strong>per</strong>iodi Jōmon e Yayoi) e la<br />

protostoria (epoca Yamato, sotto<strong>per</strong>iodo Kofun).<br />

I Jōmon, primi abitanti del <strong>Giappone</strong> tra i secoli XIV e IV<br />

a.C., erano organizzati in varie tribù di cacciatori-raccoglitori<br />

dislocate sul territorio, divenute in seguito stanziali con<br />

l’adozione di un’agricoltura di sussistenza: artisticamente<br />

si distinguono <strong>per</strong> una produzione di terraglie e ceramiche<br />

riccamente decorate, pietre lavorate e statuette antropomorfe<br />

d’argilla. Gli antropologi sono concordi sul fatto che i<br />

discendenti dei Jōmon siano gli attuali Ainu, vero popolo<br />

autoctono del <strong>Giappone</strong> (probabilmente indoeuropeo), ora<br />

ridotto ad una minoranza sull’isola più settentrionale di<br />

Hokkaidō. Furono gli Yayoi (300 a.C.–300 d.C.), progenitori<br />

genetici degli attuali giapponesi, a confinare verso le fredde<br />

regioni del nord i popoli già presenti sul territorio, da loro<br />

chiamati Emishi o Ebisu (“barbari”). Forti di una su<strong>per</strong>iorità<br />

tecnica, gli Yayoi introdussero la coltivazione del riso ed il<br />

procedimento <strong>per</strong> la lavorazione del rame e del bronzo,<br />

materie prime <strong>per</strong> la fabbricazione di utensili ed armi.<br />

Infine il <strong>per</strong>iodo Kofun (secoli IV–V), con cui si conclude la<br />

preistoria e si dà l’avvio alla storia, trae il proprio nome dai<br />

tumuli funerari rinvenuti presso l’area di Yamato (nell’agro<br />

di Nara), luogo del ritrovamento di alcuni idoli d’argilla detti<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Haniwa, nonché di vari specchi, gioielli e spade, coevi a quelli<br />

noti come “sacri tesori” della nazione e simbolo del potere<br />

im<strong>per</strong>iale.<br />

Uscendo dall’Honkan, un viale sulla destra conduce<br />

all’Hōryū-ji Hōmotsukan, edificio che conserva il tesoro<br />

dell’antichissimo tempio di Hōryū-ji, risalente ai secoli<br />

VI–VII (epoca Asuka). A pianterreno sono esposte varie<br />

statuette dorate raffiguranti divinità buddhiste, alcune di<br />

stile chiaramente indiano, altre influenzate dal gusto cinese<br />

con reminescenze tibetane e nepalesi. Accanto vi è la sala<br />

delle attrezzature <strong>per</strong> il gigaku, un tipo di danza mimata a<br />

ritmo di musica, oggi non più praticata. Le fattezze grottesche<br />

delle maschere le avvicinano <strong>per</strong> molti versi a quelle tuttora<br />

utilizzate in Tibet. Al piano su<strong>per</strong>iore sono inoltre collocate<br />

stoffe, calligrafie, pitture, lacche, o<strong>per</strong>e di legno e di metallo<br />

provenienti dallo stesso tesoro dell’Hōryū-ji.<br />

Fuori piove a dirotto: i giardini con le storiche case da tè sono<br />

chiusi <strong>per</strong> maltempo, mentre l’edificio del Tōyōkan (galleria<br />

asiatica) non è temporaneamente accessibile <strong>per</strong> lavori di<br />

ristrutturazione. Parte della collezione d’arte orientale è<br />

esposta provvisoriamente nell’Honkan e nell’Heiseikan. La<br />

ria<strong>per</strong>tura di quest’ala è prevista <strong>per</strong> il 2013.<br />

Da lì riattraversiamo il parco e torniamo all’albergo <strong>per</strong><br />

riposare circa un’ora, asciugando l’umido dei vestiti.<br />

Terminata la pausa, usciamo nuovamente: con la<br />

linea Hibiya raggiungiamo in due fermate Akihabara,<br />

soprannominata denki-gai (“città elettrica”) <strong>per</strong> via<br />

dell’elevata concentrazione di negozi specializzati nel campo<br />

dell’elettronica.<br />

La storia di questo distretto ha avuto origine nel <strong>Giappone</strong><br />

del dopoguerra: l’elevata quantità di residuati bellici aveva<br />

indotto alcuni commercianti a sfruttarne proficuamente il<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

riutilizzo, facendo comparire le prime bancarelle di materiale<br />

elettrico grezzo venduto a peso. In capo a pochi anni<br />

apparvero i primi negozi, mentre parallelamente l’offerta si<br />

arricchiva e si differenziava con l’assemblaggio di prodotti<br />

funzionanti, seppur artigianali: spesso accadeva che gli<br />

studenti d’ingegneria elettronica, <strong>per</strong> sbarcare il lunario, si<br />

dedicassero alla costruzione di apparecchi radiofonici, molto<br />

richiesti quanto difficili da trovare negli anni dell’occupazione<br />

americana (1945–1952). Nel successivo <strong>per</strong>iodo dello<br />

sviluppo economico iniziarono a diffondersi i generi di svago<br />

come i dischi e gli impianti stereo hi-fi. Con l’avvento degli<br />

anni ottanta le vetrine, ormai illuminate dalle variopinte luci<br />

al neon, si riempirono di elettrodomestici, videoregistratori e<br />

tv-color, articoli dei quali i giapponesi erano ormai divenuti<br />

i maggiori produttori mondiali. Dagli anni novanta in<br />

poi, Akihabara si è affermata come principale piazza <strong>per</strong> i<br />

prodotti legati all’informatica, nonché come luogo deputato<br />

<strong>per</strong> il lancio di nuovi videogiochi e di serie di anime (cartoni<br />

animati di produzione nazionale).<br />

Già fuori dalla stazione si aprono varie viuzze di negozi<br />

colmi d’ogni articolo: componenti elettrici, attrezzature <strong>per</strong> la<br />

gioia di ogni radioamatore, accessori <strong>per</strong> telefonia ecc. Poco<br />

oltre si apre la <strong>per</strong>pendicolare Chūō dōri, la strada principale<br />

dove s’affacciano i centri commerciali rigorosamente dedicati<br />

alla tecnologia. Solo <strong>per</strong> visitarne uno fra i più noti (un intero<br />

edificio di sei piani) impieghiamo circa un’ora. La fornitura<br />

è vasta ma i prezzi sono simili a quelli europei: praticamente<br />

non v’è convenienza negli acquisti in loco di questo genere.<br />

In compenso, se desiderate un souvenir veramente originale,<br />

<strong>per</strong> ¥ 300.000 (ca. € 3.000) potrete portarvi a casa l’intero<br />

washlet (il water automatico), scegliendo fra vari modelli<br />

in base alle vostre esigenze: con la tavoletta che s’abbassa<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

automaticamente al vostro arrivo, autopulente e, <strong>per</strong>ché no,<br />

con l’asse riscaldato… ce n’è <strong>per</strong> tutti i gusti!<br />

Fuori dai negozi sono a disposizione dei sacchetti di<br />

plastica di forma tubolare, dove i clienti sono invitati a riporre<br />

gli ombrelli bagnati (che ognuno si porta appresso) <strong>per</strong> non<br />

insozzare il locale e magari <strong>per</strong> non sgocciolare su qualche<br />

costosa videocamera. Agli angoli delle strade si vedono delle<br />

ragazze vestite da cameriere, che tentano d’attirare l’attenzione<br />

dei passanti offrendo volantini: lavorano nei cosiddetti maid<br />

cafè, luoghi dove le bevande e le pietanze sono accompagnate<br />

da parole lusinghiere verso i clienti (le finte domestiche vi si<br />

rivolgono con «bentornato padrone», «la sua umile serva le<br />

dà il benvenuto» ed altre simili amenità). Probabilmente gli<br />

avventori, in larga parte uomini, non si rendono conto che<br />

<strong>per</strong> le ragazze questi lavori costituiscono una scelta spesso<br />

obbligata <strong>per</strong> ovviare alla disoccupazione, pagarsi gli studi<br />

oppure estinguere dei debiti. Coloro che frequentano questi<br />

locali contribuiscono ad esaltare le espressioni d’una società<br />

tradizionalmente maschilista ed a propugnare la cultura del<br />

servilismo, piaghe che invece si tentano di debellare con<br />

fatica da decenni. Non mancano poi altri esempi di strani<br />

caffè, fra cui quelli popolati da intere colonie di gatti che,<br />

volenti o nolenti, sono a disposizione dei clienti <strong>per</strong> essere<br />

accarezzati e vezzeggiati. Appena 500 m verso nord, la zona<br />

commerciale termina <strong>per</strong> lasciare il posto a degli anonimi<br />

palazzi: ritorniamo sui nostri passi, cogliendo l’occasione <strong>per</strong><br />

visitare ancora un altro grande magazzino ed avviarci infine<br />

sulla strada del ritorno.<br />

Questa è l’ultima sera in terra giapponese: decidiamo<br />

all’unanimità di celebrarla con una cena a base di sushi all’ottimo<br />

kaiten già s<strong>per</strong>imentato in precedenza. Poi, a dormire presto: il<br />

letto lo rivedremo nuovamente fra due giorni, e sarà quello di casa.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Museo Nazionale: Ukiyo-e<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

15 aprile<br />

Last but not least: ultimo giorno a Tōkyō<br />

Q<br />

uesta notte abbiamo dormito in quattro in una camera<br />

all’occidentale. Per fortuna, rispetto alla sistemazione<br />

precedente, questa è collocata ad un piano alto, con due ampie<br />

porte a vetro che danno accesso ad un balcone ad angolo. Il<br />

tempo stamattina è clemente, con il cielo sgombro da nubi:<br />

un tiepido sole inizia ad alzarsi facendosi strada in fondo alle<br />

vie e tra i palazzi.<br />

Con la linea della Ginza raggiungiamo in tre fermate<br />

Asakusa <strong>per</strong> visitare il Sensō-ji: la leggenda narra che<br />

questo tempio, il più antico di Tōkyō, fu fondato nel 645 sul<br />

luogo del recu<strong>per</strong>o di una statua di Kannon dalle acque del<br />

fiume Sumida. Il ritrovamento, effettuato da due pescatori,<br />

fu considerato miracoloso e la comunità locale volle edificare<br />

un sacello affinché i fedeli potessero recarsi a venerare il<br />

bodhisattva della Misericordia.<br />

Nel corso dei secoli il complesso si è progressivamente<br />

esteso, in particolare durante il primo <strong>per</strong>iodo Edo, quando<br />

Tokugawa Ieyasu elevò la divinità titolare del tempio a<br />

protettrice della propria casata. Conformemente allo spirito<br />

sincretico dell’epoca, è presente anche un santuario scintoista<br />

dedicato al kami Inari, patrono delle attività agricole e delle<br />

volpi. I danni dovuti ai bombardamenti della II guerra<br />

mondiale sono stati ingenti ma riparati in breve tempo dopo<br />

la fine delle ostilità.<br />

L’accesso principale è il Kaminari-mon (portale del<br />

tuono), così detto <strong>per</strong> via delle due statue, quella del dio del<br />

tuono Raijin e quella del dio del vento Fūjin, che trovano<br />

posto al suo interno. La sua costruzione risale al 941, ma le<br />

statue furono realizzate nel 1635 in occasione di alcuni lavori<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

di restauro. Sul passaggio incombe un’imponente lanterna<br />

rossa (chochin) di 670 chili di peso, forse uno dei simboli<br />

più noti della città, recante gli ideogrammi “Kaminari-mon”<br />

e “Furaijin-mon” in dimensioni cubitali. Dall’altro lato si<br />

apre Nakamise-dōri, la strada che conduce al tempio: un<br />

<strong>per</strong>corso lungo circa 300 m, costellato di bancarelle di tutti<br />

i tipi con dolciumi, souvenir, abiti, cartoline, maschere,<br />

valigie, piatti ecc. Questo bazar nacque spontaneamente in<br />

tempi antichi <strong>per</strong> soddisfare le esigenze dei pellegrini; altri<br />

esempi del genere erano assai diffusi nei pressi dei templi e<br />

dei santuari più importanti del paese. L’intero quartiere di<br />

Asakusa è gravitato intorno al Sensō-ji fin dalle sue origini,<br />

condividendone i momenti di gloria e di decadenza. Questo è<br />

il centro della vecchia Shitamachi, la popolare città bassa che<br />

<strong>per</strong> secoli si è contrapposta al centro del potere e degli affari<br />

della Yamanote, la zona delle colline occidentali.<br />

Un banchetto vende biscotti sfornati sul momento: non<br />

sono né dolci né salati ed hanno una pasta abbastanza dura,<br />

bagnata nell’uovo sbattuto prima della cottura. Data la<br />

natura delle nostre giornate, che non prevedono un pranzo<br />

strutturato, questi saltuari assaggi costituiscono una valida<br />

occasione <strong>per</strong> conoscere i cibi di strada giapponesi.<br />

Oltrepassata l’Hōzōmon (la porta più interna), si apre il<br />

cortile del tempio, dov’è collocato un grande incensiere di<br />

bronzo. Le <strong>per</strong>sone si avvicinano e si lasciano avvolgere dal<br />

fumo, ritenuto di buon auspicio, benefico e curativo. Oltre<br />

a recitare le litanie e le preci, i pellegrini possono tentare<br />

la divinazione della fortuna richiedendo un biglietto<br />

stampato (o-mikuji), che una volta a<strong>per</strong>to reca il vaticinio:<br />

se è infausto, lo si può legare ad una rastrelliera in modo da<br />

lasciare la malasorte al tempio, mentre se è favorevole lo si<br />

porta con sé. Osserviamo con interesse questi rituali, ma ci<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

asteniamo dal praticarli in prima <strong>per</strong>sona: <strong>per</strong> degli europei<br />

come noi, nati fuori dal contesto della cultura giapponese,<br />

sarebbe fuori luogo. Purtroppo invece, è assai frequente<br />

osservare dei turisti che, <strong>per</strong> citare un tipico esempio,<br />

praticano l’abluzione (magari pure in modo errato) solo<br />

<strong>per</strong> farsi scattare una fotografia da esibire a casa, oppure<br />

suonano le campane dei templi <strong>per</strong> curiosità e non <strong>per</strong> motivi<br />

religiosi: non si comprende <strong>per</strong>ché queste <strong>per</strong>sone, che<br />

considerano la cultura locale alla stregua di folklore, abbiano<br />

volontariamente affrontato un viaggio di varie migliaia di<br />

chilometri <strong>per</strong> recarsi in <strong>Giappone</strong>.<br />

Sulla sinistra spicca la pagoda rossa del Sensō-ji, alta<br />

cinque piani. A destra vi è la fontana <strong>per</strong> la purificazione,<br />

mentre di fronte campeggia l’Hondō, sala principale dalle<br />

tegole di titanio, metallo adottato <strong>per</strong> via della maggiore<br />

leggerezza e resistenza ai fenomeni atmosferici.<br />

I gradini che conducono al porticato sono gremiti di <strong>per</strong>sone<br />

in attesa del loro turno <strong>per</strong> venerare l’effigie di Kannon.<br />

Da quel punto ritorniamo sui nostri passi, ri<strong>per</strong>correndo<br />

Nakamise-dōri in senso contrario. Un negozio espone una<br />

bella lanterna rossa: non starebbe male in casa mia, penso.<br />

Chiedo il prezzo e scopro che in realtà... è la lampada esterna<br />

del negozio: «sorry» dice il negoziante, «questa non gliela<br />

posso proprio vendere!» Pazienza, niente lanterna…<br />

Data la maggior clemenza del tempo rispetto ai giorni<br />

precedenti, con la linea della Ginza cambiamo <strong>per</strong> la<br />

Marunouchi e torniamo verso il palazzo del governo<br />

metropolitano di Shinjuku. Stavolta saliamo sulla torre<br />

sud, che ha la visuale sgombra a meridione: v’è molta meno<br />

bruma dell’altro ieri, ma la cappa d’inquinamento e polveri è<br />

notevole, lasciando come di consueto il mare e le montagne<br />

all’immaginazione dell’osservatore.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Poi, sempre con la linea Marunouchi, arriviamo fino<br />

ad Ōtemachi. Dopo aver costeggiato il fossato del palazzo<br />

im<strong>per</strong>iale ci fermiamo, seduti su un gradino, a consumare un<br />

veloce boccone al sacco.<br />

Mentre sostiamo tranquilli a riposare, scrutiamo i<br />

passanti: nel via vai non si vede neppure un immigrato.<br />

Gli unici stranieri sono i turisti, <strong>per</strong>altro pochi, visto che il<br />

<strong>Giappone</strong> non è una meta di viaggio gettonata. L’insularità<br />

di questo paese ha da sempre svolto la funzione di difesa<br />

naturale contro le invasioni e le ondate d’immigrazione:<br />

con l’avvento dei galeoni da guerra e delle armi da fuoco<br />

(sec. XVI–XVII), accompagnato dal crescente proselitismo<br />

cattolico, questo fattore non fu <strong>per</strong>ò più sufficiente. Il bakufu<br />

ricorse <strong>per</strong>tanto alla forza <strong>per</strong> instaurare un isolamento<br />

forzato, respingendo chiunque sbarcasse sulle coste,<br />

compresi i mercanti e gli ambasciatori. Chi osava addentrarsi<br />

di nascosto nell’entroterra era nel migliore dei casi preso ed<br />

incarcerato dagli hatamoto, gli scherani dei Tokugawa, ma<br />

più spesso veniva trucidato sul posto. Agli stessi giapponesi,<br />

una volta espatriati, era fatto divieto di rientrare, pena la<br />

morte. Tra il 1633 ed il 1853 gli unici europei autorizzati a<br />

commerciare nell’arcipelago furono gli olandesi, arroccati in<br />

una minuscola concessione nei pressi di Nagasaki ed obbligati<br />

a recarsi <strong>per</strong>iodicamente a Edo <strong>per</strong> rendere atto d’omaggio<br />

allo shōgun. Tra il 1853 ed il 1854 gli Stati Uniti, prefigurando<br />

nel <strong>Giappone</strong> un mercato da sfruttare, inviarono una flotta<br />

al comando del commodoro Matthew Perry ed imposero<br />

l’a<strong>per</strong>tura dei porti. I futuri e poco idilliaci rapporti tra i<br />

due paesi ebbero inizio con quest’atto d’im<strong>per</strong>io, preludio<br />

alla stipula dei trattati ineguali, odiatissimi dai giapponesi<br />

e forieri d’ingiusti vantaggi <strong>per</strong> le potenze coloniali. Questi<br />

avvenimenti, uniti alla tradizione storica ed all’es<strong>per</strong>ienza<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

pregressa, spinsero i giapponesi a chiudersi nuovamente (ora<br />

anche in senso psicologico) <strong>per</strong> rifugiarsi nella convinzione<br />

d’essere un popolo su<strong>per</strong>iore, omogeneo, razzialmente puro<br />

e di discendenza divina, additando i detestati invasori come<br />

“barbari”, “cani”, “puzzolenti” e con altri gentili epiteti. Fu<br />

questo il <strong>per</strong>iodo in cui iniziarono a svilupparsi i sentimenti del<br />

razzismo e del nazionalismo, inizialmente fra i letterati sulla<br />

base ideologica della scuola kokugaku («studi nazionali») e<br />

successivamente fra il popolo col movimento sonnō jōi («viva<br />

l’im<strong>per</strong>atore, fuori i barbari»). Come inoltre ha rilevato il<br />

giornalista Tiziano Terzani (1938–2004), a quest’epoca<br />

risale la radicata ed erronea convinzione, diffusa anche fra<br />

gli stranieri, che i giapponesi possano essere compresi solo<br />

da loro stessi. Terzani ha mosso critiche assai aspre nei<br />

confronti del <strong>Giappone</strong>, che detestava a<strong>per</strong>tamente, al punto<br />

da affermare che la civiltà europea non avrebbe avuto nulla<br />

da imparare da esso.<br />

La chiusura del paese (sakoku), seppur ufficialmente<br />

abolita da più di un secolo e mezzo, rimane ancora oggi larvata<br />

nella politica, nella legge e nella società: i visti <strong>per</strong> lavoro sono<br />

assai restrittivi ed i <strong>per</strong>messi di soggiorno sono centellinati<br />

col contagocce. In ogni settore produttivo vige la regola<br />

non scritta che determina la preferenza <strong>per</strong> la manodo<strong>per</strong>a<br />

nazionale a quella straniera, anche <strong>per</strong> le mansioni non<br />

qualificate. L’asilo politico è un istituto raramente applicato<br />

<strong>per</strong>ché gli estremi di <strong>per</strong>secuzione non vengono quasi mai<br />

riconosciuti, nonostante l’ONU abbia inoltrato vari richiami al<br />

governo, sollecitando l’accoglimento dei rifugiati provenienti<br />

dai paesi in cui sono violati i diritti umani.<br />

Il momento della sosta e delle riflessioni è terminato:<br />

<strong>per</strong>correndo Uchibori dōri verso nord ci rechiamo fino<br />

all’ingresso est dei giardini orientali del palazzo<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

im<strong>per</strong>iale (Kōkyo higashi gyōen), l’unica parte del Palazzo<br />

effettivamente a<strong>per</strong>ta al pubblico. Quest’area non è nata<br />

come giardino, ma come fortificazione durante l’epoca Edo:<br />

se ne può tuttora osservare la struttura originaria, divisa<br />

in honmaru (rocca), ninomaru (cerchia secondaria) e<br />

sannomaru (bastione esterno).<br />

Oltre il fossato ed il primo bastione, si aprono vari <strong>per</strong>corsi<br />

e viali, fiancheggiati da aiuole fiorite e prati piantumati.<br />

Proseguendo in senso orario si arriva alla rocca, un tempo<br />

residenza ufficiale degli shōgun di Casa Tokugawa, della<br />

quale rimangono integre solo le fondamenta. Il vasto prato ai<br />

suoi piedi ha trovato nei secoli vari impieghi, fra cui quello di<br />

sede di alcuni riti d’incoronazione dell’attuale im<strong>per</strong>atore<br />

Akihito tra il 1989 ed il 1991. In particolare, qui si è tenuta la<br />

cerimonia del daijōsai (grande banchetto), con l’assaggio da<br />

parte del tennō degli alimenti tradizionali (riso, sake ecc...)<br />

donati dai migliori produttori del paese. Per l’occasione era<br />

stato costruito un intero villaggio di legno secondo le regole<br />

della carpenteria sacra, con un santuario scintoista nel centro,<br />

smontato pochi mesi più tardi. A nord-est, oltrepassato il<br />

moderno edificio della sala musica, vi sono il giardino ed il<br />

boschetto d’epoca Edo, fra i rarissimi esempi di questo stile<br />

rimasti in tutto il <strong>Giappone</strong>.<br />

Appena fuori dall’uscita nord si trova la fermata Takebashi<br />

della linea Tōzai, che utilizziamo fino a Nihonbashi, dove<br />

cambiamo con quella della Ginza fino a Ueno.<br />

Il Tōshō-gū, tempio collocato all’interno del parco di<br />

Ueno, è uno dei primi mausolei dedicati a Tokugawa Ieyasu,<br />

dove le sue spoglie furono inizialmente conservate prima di<br />

essere traslate a Nikkō.<br />

Un lungo viale (sandō), affiancato da lanterne di pietra<br />

e di metallo, conduce fino alla sala principale (haiden), che<br />

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143<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

purtroppo non è accessibile a causa dei lavori di restauro<br />

attualmente in corso. Lo stile è ricco e colorato come si addice<br />

ad una costruzione del XVII secolo, fortunatamente senza<br />

raggiungere gli eccessi di Nikkō. Nel cortile sono presenti sia<br />

una fontana <strong>per</strong> il lavacro purificatore, che un’edicola dove<br />

i fedeli possono appendere delle tavolette di legno (ema)<br />

recanti le loro preci ed i loro desideri. Il Tōshō-gū possiede<br />

anche una pagoda di cinque piani, situata sulla sinistra del<br />

viale, voltando le spalle al tempio.<br />

Abbiamo ancora un po’ di tempo a disposizione prima del<br />

ritrovo in albergo: <strong>per</strong> mezz’ora restiamo seduti ai margini<br />

di un’aiuola ad osservare le <strong>per</strong>sone a passeggio, ricordando<br />

i momenti salienti di questo viaggio, che ormai volge al<br />

termine.<br />

Transitando sul cavalcavia di Ueno, udiamo un rauco<br />

vociare proveniente dalla strada sottostante ed amplificato da<br />

un megafono. Mi sporgo dal parapetto <strong>per</strong> avere una visuale<br />

migliore: il baccano ha origine da un lugubre camioncino<br />

blindato, dipinto di nero, su cui spiccano bandiere giapponesi<br />

ed emblemi im<strong>per</strong>iali. Senza volerlo, ci siamo imbattuti in<br />

un comizio dell’estrema destra, che sta approfittando<br />

della bella giornata <strong>per</strong> fare un po’ di propaganda. Come al<br />

solito, le loro parole paiono cadere nel vuoto. Molte <strong>per</strong>sone<br />

ferme ai semafori fingono di nulla, ma guardano con la<br />

coda dell’occhio ed ascoltano con discrezione. Qual è la loro<br />

reazione di fronte agli slogan dei nazionalisti Approvano<br />

Biasimano È inutile tentare di capirlo: dai loro volti<br />

impenetrabili non si riesce ad indovinare alcun’emozione.<br />

Poco oltre ci viene incontro un finto santone, asiatico ma non<br />

giapponese, di dubbio aspetto ed eloquio sospetto, che con<br />

insistenza cerca d’imbonirci offrendo benedizioni in cambio<br />

di denaro. Ci svincoliamo e proseguiamo oltre.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Ormai è tardo pomeriggio: rientrati all’hotel Izu, una volta<br />

riuniti, preleviamo i bagagli e ci accingiamo a lasciare Tōkyō.<br />

La nostra armata Brancaleone si avvia verso la stazione<br />

in ordine sparso con zaini sulle spalle e trolley al seguito,<br />

formando una lunga e variegata colonna di <strong>per</strong>sone, ormai<br />

stanche e dimagrite, dall’aspetto di reduci delle crociate.<br />

Per raggiungere l’aeroporto di Narita non utilizziamo il<br />

Narita Express ma un treno locale, meno veloce ma anche<br />

meno costoso.<br />

Check-in, attesa e poi... addio <strong>Giappone</strong>! Il volo<br />

Emirates 319 delle 22 <strong>per</strong> Dubai decolla puntuale e prende<br />

rapidamente quota sulle campagne della penisola di Bōsō.<br />

Dopo una virata di novanta gradi, una sfavillante Tōkyō si<br />

rivela porgendo l’ultimo saluto, spettacolo che Fosco Maraini<br />

ha definito «campi di luce in fiore». Transitiamo sulla<br />

pianura del Kantō, poi sulle Alpi. Dopo Kanazawa avanza il<br />

buio del mar del <strong>Giappone</strong>, poi si scorge Seul. Ad un tratto il<br />

sonno prende il sopravvento... mi risveglierò solo fra qualche<br />

migliaio di chilometri.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

16 aprile<br />

Parentesi araba, poi a casa<br />

I<br />

l volo verso ovest dilata apparentemente il tempo:<br />

partiti ieri sera da Tōkyō, dopo undici ore e mezza di<br />

volo atterriamo a Dubai che neppure albeggia.<br />

L’intera giornata è a nostra disposizione. Richiediamo il<br />

visto, che viene rilasciato direttamente dalla polizia di frontiera,<br />

con validità di trenta giorni. In banca ci procuriamo qualche<br />

dirham <strong>per</strong> le piccole spese. All’esterno dell’aerostazione si<br />

<strong>per</strong>cepisce una tem<strong>per</strong>atura elevata poiché Dubai è situata<br />

a ridosso del tropico del Cancro: anche se sono solamente<br />

le cinque del mattino di un giorno d’aprile, siamo costretti<br />

a svestirci <strong>per</strong> rimanere in maniche corte. I taxi, abbastanza<br />

diffusi, sono il mezzo migliore <strong>per</strong> spostarsi in città. Gli altri<br />

trasporti pubblici sono quasi inesistenti: data l’abbondanza<br />

di denaro e petrolio, ciascuno possiede una propria vettura<br />

e <strong>per</strong>fino le donne guidano, cosa piuttosto inconsueta in un<br />

paese arabo. Alcuni taxi, differenziati dagli altri mediante<br />

una livrea rosa, sono riservati alla sola clientela femminile.<br />

Chiediamo all’autista di portarci in centro città... una<br />

richiesta difficile da esaurire. A Dubai il centro non esiste ed<br />

ognuno interpreta questo vocabolo secondo la propria visione<br />

<strong>per</strong>sonale. Le strade sono nuove ed ampie, scarsamente<br />

utilizzate rispetto al traffico reale.<br />

Il taxi si ferma sotto il Burj Khalifa (o Burj Dubai),<br />

grattacielo che con i suoi 828 m è attualmente il più alto edificio<br />

costruito dall’uomo. Il prezzo <strong>per</strong> la salita senza prenotazione<br />

è proibitivo (quasi 100 euro a <strong>per</strong>sona), ma <strong>per</strong> vedere cosa<br />

Il deserto Oppure quell’enorme cantiere che è la città ai suoi<br />

piedi, fatta di palazzi che sorgono disordinatamente qua e<br />

là, in mezzo alla sabbia Rinunciamo: decisamente di scarso<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Asakusa: tempio del Sensō-ji<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Panorama di Tōkyō dalle torri del municipio<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

interesse.<br />

Sono circa le sette, il sole sorge all’orizzonte su un’atmosfera<br />

quasi surreale, fatta di larghi viali vuoti, costeggiati da<br />

aiuole d’erba verde e di fiori che stridono con l’aridità del<br />

luogo. Ovunque si vedono scavi, recinzioni, lavori in corso.<br />

Gli o<strong>per</strong>ai, uniche <strong>per</strong>sone in circolazione, sono quasi tutti<br />

indiani, pakistani, bangladesi e cingalesi. Le fotografie<br />

promozionali e le pubblicità turistiche non mostrano la vera<br />

natura di Dubai: un’effimera città in costruzione ai margini<br />

del nulla.<br />

Molta è la fatica <strong>per</strong> trovare un locale a<strong>per</strong>to dove fare<br />

un minimo di colazione. Alla fine, chiedendo il <strong>per</strong>messo,<br />

ci sediamo sotto la veranda di un albergo con il buffet e<br />

riusciamo ad ottenere brioche, muffin ed addirittura caffè e<br />

cappuccino.<br />

Pare non sia una cosa molto nota, ma a Dubai è presente<br />

anche la città vecchia (Deira) affacciata su un’insenatura,<br />

con i suoi sūq immersi in un dedalo di stradine. Su questi<br />

vicoli si affaccia una miriade di negozietti che vendono<br />

stoffe, incenso, frutta e molto altro. Gli esercenti sono quasi<br />

tutti indiani, tanto che non pare neppure d’essere in Arabia.<br />

Sorseggio un cocco fresco presso un banchetto dove viene<br />

tagliato al momento. Poco oltre, girato l’angolo, appare la<br />

mole dell’antico forte Al-fahidi, risalente al XVIII secolo.<br />

Il sole inizia ad essere alto nel cielo e il caldo si fa sentire:<br />

meglio camminare all’ombra rasentando i muri.<br />

Una piccola flotta di barche di legno effettua la spola tra<br />

una sponda e l’altra dell’insenatura, <strong>per</strong> approdare sul lato<br />

del sūq “arabo” con i suoi banchi di spezie, datteri e pesce<br />

secco. Alcuni isolati di una zona attigua sono invece dedicati<br />

alla vendita dell’oro: gli oggetti sono pesanti, elaborati e<br />

decisamente pacchiani, assai adatti al cattivo gusto degli<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

sceicchi locali.<br />

Acquisto del curry in una drogheria: quando, qualche<br />

settimana più tardi, ho a<strong>per</strong>to il sacchetto con l’intenzione di<br />

usarlo, vi ho trovato dentro degli insetti… vivi. Questa merce<br />

scadente si è rivelata utile solo come concime <strong>per</strong> l’orto.<br />

Il mercato ortofrutticolo è situato poco distante, sul lato<br />

opposto della strada verso il mare. Il caldo torrido, accentuato<br />

dall’aria marina carica d’umidità, non dà tregua: affrettiamo il<br />

passo <strong>per</strong> raggiungere i tendoni e pranziamo con qualche frutto,<br />

consumato velocemente sul posto.<br />

Ultima tappa: in quattro fermiamo un taxi <strong>per</strong> recarci a<br />

Jumeirah, 20 km a sud-ovest, zona delle spiagge e delle case<br />

(<strong>per</strong>lopiù vuote) di proprietà dei ricchi occidentali. Durante il<br />

tragitto si notano numerose cliniche odontoiatriche ai lati della<br />

strada: una specialità di Dubai nel campo delle cure mediche a<br />

basso costo, meta di un certo “turismo” da parte di molti europei<br />

ed arabi. Simbolo inconfondibile della zona è il Burj al-’Arab,<br />

l’unico albergo ad otto stelle del mondo, che con i suoi sessanta<br />

piani sovrasta qualsiasi altra costruzione dei dintorni. Sulle<br />

spiagge, stranamente non attrezzate, sono in molti a sostare:<br />

gli arabi sono i più co<strong>per</strong>ti, mentre gli occidentali indossano i<br />

costumi da bagno. Questo è l’unico posto dove si riesce a resistere<br />

sotto il sole, <strong>per</strong> via della brezza che spira dal mare.<br />

Si sta facendo tardi: in aeroporto, dopo un ultimo saluto, il<br />

gruppo si divide, questa volta definitivamente. Metà di noi rientra<br />

a Milano e l’altra metà a Roma. Ancora sei ore ci separano dalla<br />

meta. L’aeromobile attraversa il mediterraneo, poi arriva sulla<br />

penisola italiana, celata dalle nubi. Ad un tratto la coltre si dirada,<br />

rivelando il paesaggio della pianura padana: campi verdeggianti<br />

costellati da decine di paesi, ognuno con il proprio campanile, le<br />

case rico<strong>per</strong>te di tegole rosse. Sullo sfondo, le Alpi spolverate di<br />

neve. «Però... », penso, «questo posto mi pare <strong>per</strong>sino bello»<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Postfazione<br />

V<br />

i sono paesi che possono essere compresi con uno<br />

sguardo ed altri che devono invece essere indagati<br />

con l’intelletto: nel novero dei primi vi è ad esempio il<br />

Tibet, la cui cultura millenaria trova <strong>per</strong>fetta sintesi nei<br />

suoi cieli, fiumi, laghi e montagne. Fra i secondi invece, il<br />

<strong>Giappone</strong> è addirittura scoraggiante al primo impatto, con<br />

i suoi grigi condominî a <strong>per</strong>dita d’occhio. Dietro questa<br />

cortina di cemento e di yen, si scorge <strong>per</strong>ò ancora l’anima<br />

d’un paese che non c’è più, fatto di <strong>per</strong>sone schive, scontrose<br />

e laboriose, abituate da secoli a rassegnarsi alle catastrofi<br />

d’una natura ingrata ed a difendersi dai continui attacchi<br />

degli stranieri. I giapponesi sono, fra i popoli non europei, i<br />

più modernizzati: questa modernizzazione non è <strong>per</strong>ò entrata<br />

realmente a far parte della mentalità più profonda <strong>per</strong>ché non<br />

è scaturita dalla graduale evoluzione dei processi produttivi,<br />

ma dall’imposizione di riforme volute dall’alto. Il popolo<br />

giapponese, in fondo, pur non potendo più fare a meno di<br />

essa, non riesce tuttora a sentirla come propria. Il <strong>Giappone</strong>,<br />

<strong>per</strong> rimanere se stesso in un mondo che tende all’entropia<br />

culturale, dovrebbe dunque tentare di mantenere alto il livello<br />

raggiunto nella scienza e nella tecnologia, sbarazzandosi<br />

invece di tutta quella serie di mode, usi e costumi alloctoni che<br />

hanno inquinato il suo modo di vivere e di pensare da oltre<br />

centocinquant’anni. Le sembianze odierne di questa terra,<br />

costituite dalla luccicante tecnologia, dalle megalopoli, dai<br />

colori sgargianti delle pubblicità e dai treni veloci, appaiono<br />

in ultima analisi come i sottoprodotti di una vecchia nazione<br />

di agricoltori e pescatori che <strong>per</strong> ragioni storiche si è trovata,<br />

suo malgrado, a recitare la parte della potenza economica.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Nei mesi successivi a questo viaggio ho navigato sul web<br />

alla ricerca di resoconti e relazioni di altri viaggiatori <strong>per</strong><br />

indagare quali fossero gli approcci più diffusi alla sfera<br />

culturale giapponese. Non solo siti e blog, ma anche<br />

audiovisivi: su YouTube è sufficiente digitare “viaggio in<br />

<strong>Giappone</strong>” <strong>per</strong> ottenere decine di risultati. Ciò che <strong>per</strong>ò ha<br />

suscitato la mia <strong>per</strong>plessità è la palese incongruenza che<br />

spesso si verifica tra la narrazione e la realtà: in alcuni casi<br />

ho addirittura stentato a riconoscere i luoghi da me visitati,<br />

<strong>per</strong>ché tratteggiati in maniera del tutto fuorviante. Purtroppo<br />

duole constatare che molti autori, invece di concentrarsi sulla<br />

descrizione di ciò che hanno visto, cadono volentieri nella<br />

tentazione d’indugiare su fatti insoliti, stranezze, stravaganze<br />

e folklore. Non intendo negare che anche quell’aspetto sia<br />

parte del contesto: già quattro secoli fa gli shōgun della<br />

famiglia Tokugawa, scaltri comunicatori ante litteram,<br />

avevano edificato l’esuberante Nikkō <strong>per</strong> stupire i sudditi<br />

con un’arte straniera e decadente. Nell’epoca attuale invece,<br />

il popolo non è più incantato davanti a dei semplici intagli<br />

variopinti, ma è narcotizzato davanti alle rumorose e colorate<br />

macchine del pachinko: come Nikkō, in molti lo definiscono<br />

«cool» e «fantastico», quando invece è simbolo di paralisi<br />

morale.<br />

Questo racconto e le relative considerazioni sono il frutto<br />

di una visione strettamente <strong>per</strong>sonale, che non deve<br />

essere necessariamente condivisa. Credo sia <strong>per</strong>ò opportuno<br />

diffidare dei racconti dove il <strong>Giappone</strong> assurge a luogo<br />

idealizzato oppure, all’opposto, dove i giapponesi sono<br />

definiti strani, bizzarri ed addirittura extraterrestri, poiché il<br />

passo verso l’adorazione acritica o verso la xenofobia è assai<br />

breve. Nel propugnare tali visioni distorte <strong>per</strong> compiacere<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

il pubblico voglioso di facili esotismi, questi autori non<br />

fanno che acuire e rimarcare il divario tra le culture, anziché<br />

tentare di trovare terreni comuni basati sulla reciproca<br />

comprensione, sui sentimenti umani e sui problemi globali.<br />

A mio avviso sarebbe <strong>per</strong>tanto auspicabile una visione più<br />

ampia e comparata della cultura giapponese, poiché la<br />

conoscenza che se ne ha in Europa, ed in modo più esteso<br />

in Occidente, non rende sufficiente giustizia a questo paese.<br />

A quel punto, una volta fugati gli stereotipi ed i pregiudizi,<br />

potremo finalmente comprendere che, nel bene e nel male,<br />

il <strong>Giappone</strong> ed i suoi abitanti sono assai più simili a noi di<br />

quanto qualcuno potrebbe (o vorrebbe) credere.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Dati riassuntivi<br />

Questo viaggio, effettuato dal 1° al 16 aprile 2012, è stato<br />

auto-organizzato da parte di un gruppo di dieci partecipanti<br />

con l’o<strong>per</strong>atore Avventure nel Mondo seguendo, pur con delle<br />

significative variazioni, la traccia proposta dall’itinerario<br />

“<strong>Giappone</strong> Solo”.<br />

Voli dell’andata: Milano Malpensa–Dubai (6 ore), Dubai–<br />

Ōsaka Kansai (11 ore).<br />

Voli del ritorno: Tōkyō Narita–Dubai (11,5 ore), Dubai–<br />

Milano Malpensa (6 ore).<br />

Il <strong>per</strong>corso, a grandi linee, è stato: Ōsaka, Kyōto (con<br />

escursione a Nara), Hiroshima (con escursione a Miyajima),<br />

Kanazawa, Takayama, Tōkyō (con escursioni a Kamakura e<br />

Nikkō).<br />

Totale km <strong>per</strong>corsi:<br />

In aereo 25.000 (34,5 ore)<br />

In treno 2.400 (25 ore)<br />

Con mezzi urbani 170 (ca. 5 ore)<br />

A piedi 100 (ca. 70 ore)<br />

In traghetto 5 (meno di 1 ora)<br />

Nota: le informazioni pratiche presenti in questo racconto<br />

sono riferite al momento in cui è stato effettuato il viaggio<br />

(2012) e potrebbero risultare non più valide o attuali.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Per viaggiare<br />

Guide<br />

• AA.VV., Lonely Planet – <strong>Giappone</strong>, EDT, Torino, ultima<br />

edizione.<br />

• AA.VV., <strong>Giappone</strong>, Mondadori, Milano, ultima edizione.<br />

Mappe<br />

• Carta stradale del <strong>Giappone</strong>, scala 1:1.200.000, Istituto<br />

Geografico Deagostini, Milano, ultima edizione.<br />

• Japan atlas – a bilingual guide, Kodansha, Tōkyō, ultima<br />

edizione.<br />

• Japan road map, scala 1:1.600.000, Hildebrand’s,<br />

Frankfurt am Main, ultima edizione.<br />

Lingua<br />

• Mizuguchi A., Scalise M. (a cura di), Dizionario Plus –<br />

<strong>Giappone</strong>se, Vallardi, Milano, 2009.<br />

• Mizuguchi A., Scalise M. (a cura di), Parlo <strong>Giappone</strong>se,<br />

Vallardi, Milano, 2004.<br />

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155<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Bibliografia<br />

Storia<br />

• Arena L. V., Samurai, A. Mondadori, Milano, 2002.<br />

• Bouissou J. M., Storia del <strong>Giappone</strong> contemporaneo, Il<br />

Mulino, Bologna, 2003.<br />

• Calvet R., Storia del <strong>Giappone</strong> e dei giapponesi, Lindau,<br />

Torino, 2008.<br />

• Caroli R., Gatti F., Storia del <strong>Giappone</strong>, Laterza, Bari, 2006.<br />

• Henshall K. G., Storia del <strong>Giappone</strong>, A. Mondadori, Milano,<br />

2005.<br />

• Lord Russell di Liverpool, I Cavalieri del Bushidō. Storia<br />

dei crimini di guerra giapponesi, Newton Compton, Roma,<br />

2003.<br />

• Maruyama M., Le radici dell’espansionismo. Ideologie del<br />

<strong>Giappone</strong> moderno, Ed. Fond. G. Agnelli, Torino, 1991.<br />

• Tipton E. K., Il <strong>Giappone</strong> moderno, Einaudi, Torino, 2011.<br />

Cultura, costume e società<br />

• AA.VV., Visual Encyclopedia of Japanese Culture, Ikeda<br />

Shoten, Tōkyō, 2008.<br />

• AA.VV., Eating in Japan, JTB publishing, Tōkyō, 1997.<br />

• AA.VV., Quaderni di viaggio d’autore – <strong>Giappone</strong>, Ed. La<br />

Bottega del Caffè Letterario, Roma, 2012.<br />

• Cleary T., L’arte giapponese della guerra, A. Mondadori,<br />

Milano, 1993.<br />

• Maraini F., L’àgape celeste. I riti di consacrazione del<br />

sovrano giapponese, Luni, Milano, 2003.<br />

• Maraini F., Ore giapponesi, Corbaccio, Milano, 2005.<br />

• Montanelli I., L’im<strong>per</strong>o bonsai, Rizzoli, Milano, 2007.<br />

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156<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

• Nakagawa H., Introduzione alla cultura giapponese, B.<br />

Mondadori, Milano, 2006.<br />

• Vecchia S., <strong>Giappone</strong>. L’antica terra dei Samurai proiettata<br />

nel futuro, Polaris, Vicchio di Mugello, 2010.<br />

• Yamamoto T., Hagakure, Einaudi, Torino, 2010.<br />

Religione e filosofia<br />

• Arena L.V., Lo Spirito del <strong>Giappone</strong>, Rizzoli, Milano, 2008.<br />

• Cacciapuoti C., Dèi del <strong>Giappone</strong> tradizionale, ed. Il<br />

Cerchio, Rimini, 2012.<br />

• Herrigel E., Lo Zen e il tiro con l’arco, Adelphi, Milano,<br />

1999.<br />

• Suzuki D. T., Saggi sul buddhismo Zen, Ed. Mediterranee,<br />

Roma, 1989.<br />

• Senzaki N., Reps P. (a cura di), 101 storie Zen, Adelphi,<br />

Milano, 2002.<br />

Immagini e luoghi del <strong>Giappone</strong> ieri ed oggi<br />

• AA.VV., Qui Tokyo, Touring Club Italiano, Milano, 1973.<br />

• Maraini F., <strong>Giappone</strong> mandala, Electa, Milano, 2006.<br />

• Giovannini G., <strong>Giappone</strong>, Aeda, Torino, 1971.<br />

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157<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Sommario<br />

Prefazione 3<br />

1° aprile. Fuori dall’Europa 4<br />

2 aprile. Voli interminabili 5<br />

3 aprile. Ōsaka sotto la pioggia 9<br />

4 aprile. Kyōto, l’antica capitale 15<br />

5 aprile. Kyōto tra templi e monasteri 24<br />

6 aprile. Nara e le origini della civiltà giapponese 34<br />

7 aprile. Hiroshima: treni, sacre isole e ferite storiche 40<br />

8 aprile. Dall’oceano Pacifico al mar del <strong>Giappone</strong> 52<br />

9 aprile. Passaggio sulle Alpi giapponesi 62<br />

10 aprile. Dalle montagne alla grande città 70<br />

11 aprile. Kamakura e le origini dello shōgunato 94<br />

12 aprile. Nikkō, lo specchio di un’epoca 103<br />

13 aprile. Tōkyō in libertà 112<br />

14 aprile. Tōkyō tra musei e tecnologia 132<br />

15 aprile. Last but not least: ultimo giorno a Tōkyō 138<br />

16 aprile. Parentesi araba, poi a casa 146<br />

Postfazione 151<br />

Dati riassuntivi 154<br />

Per viaggiare 155<br />

Bibliografia 156<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

<strong>Lorenzo</strong> <strong>Rossetti</strong>, classe 1984, è<br />

laureato in Relazioni Internazionali<br />

e tutela dei Diritti Umani (Scienze<br />

Politiche).<br />

Vive in Val di Susa e lavora<br />

presso l’Ufficio Stampa del Parco<br />

Nazionale Gran Paradiso.<br />

Fra i suoi interessi figurano i<br />

viaggi alla sco<strong>per</strong>ta di altre civiltà<br />

e lo studio degli aspetti storici e<br />

culturali dei paesi visitati.<br />

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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />

Questo diario è disponibile sul sito web<br />

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© 2012 <strong>Lorenzo</strong> <strong>Rossetti</strong>, tutti i diritti riservati<br />

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