Lorenzo Rossetti - Giappone per caso
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<strong>Giappone</strong><br />
<strong>per</strong><br />
<strong>caso</strong><br />
Viaggio oltre gli stereotipi<br />
attraverso il paese del Sol Levante<br />
<strong>Lorenzo</strong> <strong>Rossetti</strong>
<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
«Il <strong>Giappone</strong> rende possibile una sociologia non euclidea,<br />
un’economia non euclidea, una cultura non euclidea»<br />
Fosco Maraini<br />
In co<strong>per</strong>tina: scorcio del tempio del Tō-ji, Kyōto<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Prefazione<br />
Il <strong>Giappone</strong> non ama rivelarsi immediatamente a chi vi si<br />
accosta. Rispetto ad altri luoghi dell’Asia, la sua notevole<br />
complessità culturale, sociale e territoriale si appresta<br />
ad essere colta più agevolmente mediante un processo<br />
intellettuale anziché attraverso uno sguardo emotivo: in tal<br />
senso è un paese la cui bellezza si palesa solo a chi sceglie<br />
deliberatamente di cercarla.<br />
Qualcuno ritiene che i giapponesi siano più simili a dei<br />
marziani che a degli esseri umani. Sushi, samurai, geishe,<br />
traffico caotico, kamikaze, Fuji, tradizione e tecnologia, natura<br />
ed inquinamento, fanatismo e raffinatezza, belligeranza e<br />
sottomissione, etica del lavoro e s<strong>per</strong>sonalizzazione: qual è<br />
il limite tra cultura e folklore È tutto vero oppure stiamo<br />
cadendo nella trappola di vecchi e nuovi stereotipi,<br />
propugnati in nome del mai tramontato esotismo Lo<br />
scopriremo solo viaggiando...<br />
<strong>Giappone</strong> dunque, non del tutto «<strong>per</strong> <strong>caso</strong>», come<br />
parrebbe suggerire il titolo: di casuale v’è stata solo l’occasione<br />
<strong>per</strong> partire, ma l’intenzione di approfondire la conoscenza di<br />
questo paese era già forte da tempo.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
1° aprile<br />
Fuori dall’Europa<br />
A<br />
ll’aeroporto di Milano Malpensa il volo Emirates 94<br />
<strong>per</strong> Dubai è già in ritardo di un’ora. Alcuni compagni<br />
di viaggio arrivano alla spicciolata mentre i rimanenti, in<br />
partenza da Roma, si uniranno a noi allo scalo di Dubai,<br />
dov’è prevista la coincidenza <strong>per</strong> Ōsaka.<br />
Effettuato il check-in, rimane ancora qualche istante<br />
<strong>per</strong> un veloce pranzo in un caffè dell’aerostazione. L’attesa<br />
prima della partenza è incentrata sulla ricognizione degli<br />
aspetti organizzativi: guide, cartine, valuta, prenotazioni<br />
alberghiere, orari dei mezzi pubblici ecc.<br />
Finalmente, verso le 16.30, l’aeromobile lascia il suolo<br />
europeo. Sotto di noi si vedono Grecia, Turchia, Siria, Iraq<br />
ed Arabia Saudita. Il volo dura in totale sei ore. Già in fase<br />
di atterraggio (ore 0.30 circa secondo il fuso orario locale) si<br />
nota l’eccessiva illuminazione di Dubai: negli Emirati Arabi<br />
Uniti non vige il concetto di risparmio energetico, grazie al<br />
potere dei petrodollari.<br />
L’aeroporto, un’estesa o<strong>per</strong>a d’architettura moderna,<br />
nel bene o nel male non può lasciare indifferenti: decine di<br />
negozi, assiepati e lucidati a specchio, traboccano di oggetti<br />
d’oro, d’alta tecnologia, di vini e liquori prestigiosi. Poi<br />
ancora: bistrot, ristoranti e molto altro.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
2 aprile<br />
Voli interminabili<br />
A<br />
lle tre del mattino è annunciato l’imbarco sul volo<br />
Emirates 316 <strong>per</strong> Ōsaka, della durata di undici ore.<br />
Sorvoliamo il Golfo Persico, l’Iran, il Pakistan, l’India, la<br />
Birmania e la Cina. La rotta è piuttosto meridionale rispetto<br />
alla traiettoria geometrica: il vento favorevole della corrente<br />
a getto fa toccare al velivolo punte di oltre 1100 km/h. Dopo<br />
qualche ora i finestrini vengono oscurati e le voci tacciono,<br />
lasciando spazio al rombo continuo delle turbine. La maggior<br />
parte dei passeggeri sonnecchia avvolta nelle co<strong>per</strong>te. Alcuni<br />
guardano dei film in lingue incomprensibili, altri leggono<br />
con la propria luce pagine d’ideogrammi indecifrabili. Altri<br />
ancora, come me, cercano d’ingannare il tempo ed il mal di<br />
testa: mi alzo <strong>per</strong> fare due passi nel corridoio, scansando<br />
teste ciondolanti e piedi puzzolenti di varie nazionalità, <strong>per</strong><br />
arrivare fino in coda all’aereo, dove stazionano gli assistenti<br />
di volo. Questo stanzino è l’unico luogo non immerso nella<br />
penombra; qui riesco a trovare lo spazio <strong>per</strong> qualche esercizio<br />
ginnico e <strong>per</strong> sorseggiare un succo d’arancia, ascoltando i<br />
discorsi del <strong>per</strong>sonale. «I’m a little bit tired» dice un’hostess<br />
rivolgendosi alla sua collega, anch’essa affaticata: le tratte<br />
intercontinentali di questa durata sono fiaccanti anche <strong>per</strong> i<br />
professionisti del settore.<br />
Le tendine vengono a<strong>per</strong>te durante il transito sul mar<br />
cinese orientale quando appare il primo lembo di terra<br />
giapponese: l’isola di Kyūshū con la città di Kagoshima,<br />
seguita poco più tardi dall’isola di Shikoku.<br />
Atterraggio all’aeroporto di Ōsaka Kansai verso le 17.30<br />
locali. Grande stanchezza, mal di stomaco e mal di testa: non<br />
ho dormito, ma debbo cercare di recu<strong>per</strong>are le forze <strong>per</strong> le<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
o<strong>per</strong>azioni di sbarco.<br />
Le procedure <strong>per</strong> ottenere il visto turistico giapponese,<br />
della durata di 90 giorni, sono assai semplici: il passaporto<br />
in corso di validità dev’essere esibito all’ufficiale di frontiera,<br />
che rileva le impronte digitali (indici della mano destra e<br />
sinistra) e scatta una foto del volto. Il visto è applicato sul<br />
documento con lo status di “temporary visitor”. È necessario<br />
dichiarare le ragioni della visita (“turismo” nel nostro <strong>caso</strong>)<br />
e l’itinerario del viaggio (o <strong>per</strong>lomeno il nome del primo<br />
albergo). Nessun problema <strong>per</strong> il ritiro dei bagagli: arrivati<br />
a destinazione in orario ed integri. Un avvertimento: nel<br />
progettare gli spostamenti è necessario evitare di confondere<br />
l’aeroporto internazionale del Kansai con l’«aeroporto di<br />
Ōsaka», ovvero il vecchio scalo situato sul lato opposto della<br />
baia.<br />
L’albergo prenotato <strong>per</strong> stasera, il Corona Hotel, è situato<br />
nei pressi della stazione ferroviaria di Shin-Ōsaka. Per<br />
raggiungerlo scegliamo, dopo una breve consultazione, il<br />
mezzo più diretto, anche se non il più economico: il treno<br />
Japan Railways tokkyū (Limited Express) 40 “Haruka”<br />
delle 19.46. Primo problema giapponese: non è<br />
presente alcun bigliettaio e non vi è nessuno a cui chiedere<br />
informazioni. I passanti intuiscono le nostre difficoltà e si<br />
fermano <strong>per</strong> tentare di aiutarci, senza risultati <strong>per</strong> via della<br />
loro scarsa padronanza dell’inglese. Ma... guardate: là in<br />
fondo c’è un botteghino delle ferrovie... siamo salvi No,<br />
neppure gli impiegati riescono a comprendere le nostre<br />
domande. Dopo una ventina di minuti, realizziamo che il<br />
biglietto è emesso da alcune macchine automatiche disposte<br />
in fila lungo una parete. Il loro utilizzo, se a prima vista può<br />
sembrare sconfortante, è in realtà semplice: l’utente con<br />
scarsa familiarità della scrittura giapponese può cercare la<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
funzione che mostra il processo in lingua inglese (scelta della<br />
tratta ed introduzione della tariffa corrispondente).<br />
I binari del treno non sono liberamente accessibili:<br />
le obliteratrici espletano anche la funzione di tornelli,<br />
impedendo l’accesso agli eventuali viaggiatori abusivi.<br />
Il biglietto, una volta convalidato, va conservato fino<br />
al termine della corsa <strong>per</strong> transitare attraverso i cancelli<br />
d’uscita. In <strong>caso</strong> di smarrimento è richiesta la tariffa piena<br />
dell’intera tratta.<br />
Sul pavimento delle banchine è segnato il punto<br />
corrispondente ad ogni porta del treno in modo che gli<br />
utenti, conoscendo il numero della propria carrozza,<br />
possano incolonnarsi in anticipo. I posti sono prenotabili<br />
gratuitamente presso gli sportelli delle stazioni. Prima di<br />
partire può essere utile controllare sui tabelloni luminosi la<br />
collocazione dei vagoni riservati e di quelli liberi.<br />
A bordo i sedili vengono orientati nel senso di marcia<br />
mediante un meccanismo automatico, che <strong>per</strong>mette una<br />
rotazione di 180° ad ogni capolinea. È presente anche un<br />
pedale che <strong>per</strong>mette di effettuare manualmente questa<br />
o<strong>per</strong>azione.<br />
Il tempo necessario a compiere il tragitto fino a Shin-<br />
Ōsaka è di 50 minuti: il treno scorre dalla <strong>per</strong>iferia verso il<br />
centro, un unico agglomerato di condominî di cemento.<br />
Il <strong>per</strong>corso a piedi dalla stazione all’albergo, complice<br />
il buio, non risulta assai semplice. Dopo qualche giro a<br />
vuoto intorno agli isolati circostanti riusciamo finalmente a<br />
rintracciarne l’entrata.<br />
Ci sistemiamo in tre in una stanza <strong>per</strong> fumatori, anche<br />
se non lo siamo: purtroppo, in mancanza d’alternative,<br />
negli alberghi business (economici) questa scelta è spesso<br />
obbligata. La finestra è affacciata direttamente sui binari<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
dell’alta velocità, i cui treni transitano ogni cinque minuti<br />
provocando uno sferragliamento non trascurabile.<br />
Si avvicina l’ora di cena: in cinque usciamo in cerca di un<br />
ristorante nei pressi dell’albergo. Gli altri si dirigono invece<br />
con la metropolitana verso la zona più centrale di Umeda.<br />
Dopo qualche decina di minuti di <strong>per</strong>egrinazione, dovuti<br />
ad un’incertezza su quale locale affrontare, optiamo <strong>per</strong><br />
un ristorantino economico, dove scegliamo a priori la<br />
portata da un pannello illustrato, pagando in anticipo presso<br />
una macchina automatica: quest’ultima eroga lo scontrino<br />
con l’ordine, che può essere trasmesso direttamente al cuoco.<br />
Nella sala vi è un distributore di tè verde, bevanda disponibile<br />
gratuitamente.<br />
La mia scelta cade su un donburi con riso bianco, contorno<br />
di carne e verdure saltate, alghe e miso (zuppa di fagioli di<br />
soia).<br />
Tornati in albergo, ci apprestiamo al primo sonno in terra<br />
giapponese. La ferrovia sotto le finestre è assai rumorosa, ma<br />
<strong>per</strong> fortuna le corse dei treni ad alta velocità si diradano e<br />
quasi s’interrompono tra le 23 e le 6.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
3 aprile<br />
Ōsaka sotto la pioggia<br />
Q<br />
uesta mattina, <strong>per</strong> l’unica volta nella durata del nostro<br />
soggiorno, la colazione è inclusa nel prezzo della<br />
camera. La scelta è <strong>per</strong>ò scarsa: qualche fetta di pancarré<br />
con della marmellata e del caffè lungo (non è a disposizione<br />
neppure il tè).<br />
Il tempo è assai inclemente: usciamo <strong>per</strong> la visita ad<br />
Ōsaka (ab. 2,7 milioni) accompagnati da uno sgradevole<br />
umido, bagnati dalla pioggia e sferzati dal vento freddo.<br />
Per comodità negli spostamenti, sottoscriviamo un<br />
abbonamento giornaliero (one day pass) all’intera rete della<br />
metropolitana. Utilizziamo la linea Midōsuji in direzione sud<br />
fino ad Hommachi, poi cambiamo <strong>per</strong> la Chūō e scendiamo a<br />
Tanimachi Yonchōme.<br />
La prima meta è l’Ōsaka-jo, castello costruito dal<br />
condottiero Toyotomi Hideyoshi (1536–1598) e terminato<br />
nel 1580. Come la maggior parte dei monumenti di questo<br />
paese, esso è stato ricostruito “dov’era e com’era” (anche se<br />
con rinforzo antisismico in cemento armato) in seguito a<br />
vari episodi distruttivi, principalmente terremoti ed incendi,<br />
senza trascurare i bombardamenti purtroppo subiti durante<br />
la II guerra mondiale.<br />
Un passaggio sull’imponente fossato conduce al portale<br />
situato sui bastioni. Questo tipo di fortificazione, come anche<br />
il concetto di castello, non esisteva in <strong>Giappone</strong> prima del<br />
XVI secolo, essendo stato importato dall’Europa con l’arrivo<br />
dei commercianti portoghesi e riadattato dalle maestranze<br />
locali, che apportarono alcune innovazioni come l’adozione<br />
dell’incastro irregolare (e non più squadrato) della pietre<br />
della bastionatura. Agli angoli si notano degli edifici con<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
funzioni di garitte, le yagura (lett. “depositi <strong>per</strong> frecce”):<br />
è curioso notare come nel nome sia rimasto il riferimento<br />
all’arma bianca, anche se nel <strong>per</strong>iodo Azuchi-Momoyama<br />
(1568–1603) i castelli erano già stati progettati in funzione<br />
delle bocche da fuoco.<br />
Dal parco, che in molti reputano pittoresco durante il<br />
<strong>per</strong>iodo della fioritura, si ha una vasta panoramica della città<br />
e zone circostanti. Questi giorni, teoricamente già compresi<br />
nel <strong>per</strong>iodo dell’hanami (la fioritura dei ciliegi), sono invece<br />
funestati da una <strong>per</strong>sistente ondata di freddo siberiano, che<br />
quasi non lascia intravedere neppure i boccioli.<br />
Ōsaka non offre molti poli d’interesse: l’anima della città<br />
è prevalentemente commerciale e la gente vive di traffici e<br />
finanza più che di storia e cultura.<br />
Riprendiamo la linea Chūō della metropolitana e<br />
cambiamo ad Hommachi <strong>per</strong> la Midōsuji, portandoci verso<br />
la zona di Namba, che comprende Sennichimae e Dōguyasuji,<br />
famose strade commerciali co<strong>per</strong>te. I negozi offrono una<br />
mercanzia assai variegata: cibo, carabattole, abbigliamento,<br />
scarpe, telefoni cellulari ed altro. Ritorno mediante la<br />
medesima linea Midōsuji.<br />
Nel pomeriggio, dopo aver ritirato le valigie lasciate in<br />
custodia all’albergo, riprendiamo la via della stazione di<br />
Shin-Ōsaka.<br />
Siamo a corto di generi alimentari, ma questo non è un<br />
fattore problematico: le grandi stazioni giapponesi sono un<br />
microcosmo autonomo dove si può trovare di tutto, non<br />
solo centri commerciali e su<strong>per</strong>mercati, ma anche alberghi,<br />
ristoranti ecc. Usciamo da un negozio di alimentari con un<br />
sacchetto di frutta, verdura, yogurt e bevande varie. Vi sono<br />
anche alcuni forni in stile europeo, che riscuotono parecchio<br />
successo con i loro pani caldi ripieni di frutta secca, i plum-<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
cakes e le brioches, molto utili <strong>per</strong> le nostre colazioni in<br />
camera.<br />
Avendo un budget limitato e non disponendo ancora<br />
dell’abbonamento ferroviario, ci rechiamo a Kyōto <strong>per</strong><br />
mezzo di un treno locale, la cui tariffa è assai inferiore<br />
a quella di un espresso. Siamo <strong>per</strong>ò costretti ad affrontare<br />
un viaggio di oltre 60 minuti nell’ora di punta, compressi<br />
come sardine, sull’affollata tratta Ōsaka-Kyōto. I posti a<br />
sedere sono scarsi e la maggioranza delle <strong>per</strong>sone rimane in<br />
piedi fino a destinazione, mentre il caldo nei vagoni dovuto<br />
all’elevato numero di passeggeri sale di minuto in minuto.<br />
D’un tratto squilla il telefono: è una chiamata proveniente<br />
dall’Italia. Esito qualche istante al pensiero degli elevati costi<br />
del roaming, quando infine mi decido a rispondere. Ho fatto<br />
bene, è un’importante telefonata di lavoro, anche se <strong>per</strong> soli<br />
cinque minuti di conversazione ho dovuto sborsare circa 10<br />
euro. Per essere utilizzati in <strong>Giappone</strong>, i telefoni cellulari<br />
devono essere conformi allo standard 3G (W-CDMA) con<br />
frequenze di 800 e 2100 MHz, caratteristiche incluse in<br />
qualsiasi moderno smartphone. I telefoni che sicuramente<br />
non funzionano sono quelli rispondenti al solo standard 2G<br />
(GSM), ormai in declino anche in Europa. Ho effettuato il<br />
roaming con NTT DoCoMo, la principale compagnia di<br />
telecomunicazioni giapponese, che ha accordi con il mio<br />
o<strong>per</strong>atore italiano. Un altro o<strong>per</strong>atore che copre largamente<br />
il territorio è Softbank.<br />
A Kyōto (ab. 1,5 milioni) l’intero treno si riversa nella<br />
modernissima stazione, una monumentale o<strong>per</strong>a in vetro<br />
ed acciaio dell’architetto Hara Hiroshi, inaugurata nel 1997.<br />
Questo edificio, che di solito costituisce il primo impatto<br />
della città da parte dei visitatori, ha da sempre suscitato<br />
sentimenti contrastanti: alcuni lo considerano un illustre<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
esempio d’architettura moderna, mentre altri lo ritengono<br />
scarsamente consono alla capitale storico-culturale del<br />
<strong>Giappone</strong>, custode di templi e santuari millenari.<br />
Il nostro albergo, il Kyōto Tower Hotel Annex, è la<br />
dipendenza di uno degli alberghi più centrali della città, a soli<br />
cinque minuti di cammino dalla stazione. Le camere, seppur<br />
piccole, sono confortevoli. Dalla finestra si ha la visuale della<br />
torre di Kyōto, un affusolato edificio bianco ed arancione alto<br />
131 m, illuminato di notte. La strada su cui si affaccia la stanza,<br />
di fronte ad un parcheggio, è tranquilla e poco trafficata. Per<br />
mancanza di posti letto, due <strong>per</strong>sone sono invece alloggiate<br />
nell’edificio principale del Kyōto Tower Hotel, a tre isolati di<br />
distanza.<br />
Finalmente è tempo di una doccia: il bagno non è costruito<br />
in muratura, bensì è una struttura prefabbricata in plastica<br />
(ca. 1,5×1,5 m) collocata in un angolo della camera, dotata<br />
di un minuscolo lavandino, una vasca striminzita ed un<br />
water elettronico (washlet). Quest’ultimo, invenzione della<br />
ditta Toto negli anni ‘80, include il riscaldamento dell’asse,<br />
il bidet automatico ed altre funzioni azionate mediante una<br />
plancia posta a lato. Su comando dell’utente l’acqua esce già<br />
tiepida da alcune cannelle <strong>per</strong> il lavaggio delle parti anteriori<br />
e posteriori. Il getto è regolabile in vari gradi d’intensità. Per<br />
i <strong>per</strong>plessi: fidatevi, funziona ed è anche piacevole!<br />
Se invece avete necessità d’usare un rasoio elettrico ad<br />
alimentazione diretta o un asciugacapelli, considerate che<br />
nei bagni non è sempre disponibile una presa di corrente. La<br />
tensione è ovunque di 100 V, mentre la frequenza è di 50 Hz<br />
nella metà nord-est del paese e di 60 Hz nella metà sud-ovest.<br />
Le prese sono di tipo “A” con due poli a lamine piatte, simili<br />
a quelle americane. L’acqua dei rubinetti è sempre potabile,<br />
ma è possibile che nelle città non abbia un ottimo sapore <strong>per</strong><br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
via dei processi di depurazione.<br />
La dotazione delle camere comprende in genere oltre<br />
a saponi, asciugamani, spazzolino e dentifricio, anche<br />
la yukata, vestaglia di cotone che si usa dopo il bagno<br />
pomeridiano oppure d’estate come indumento informale e<br />
leggero. Onnipresente è inoltre il bollitore dell’acqua con le<br />
bustine del tè di cortesia.<br />
Sono ormai le 20.30, già tardi <strong>per</strong> la cena: il ristorante<br />
dell’albergo sta ormai smettendo di accettare clienti.<br />
Chiediamo se sia ancora possibile accomodarsi. «Va bene»,<br />
rispondono, «<strong>per</strong>ò chiudiamo alle 21». Provo il curry<br />
giapponese (karē raisu), versione nazionale del curry<br />
indiano introdotto dagli inglesi nel XIX secolo, ormai parte<br />
integrante della cucina locale. La portata è divisa a metà,<br />
con del riso bianco da un lato e della salsa al curry con carne<br />
dall’altro. Puntuali, alle 21 i camerieri iniziano a sparecchiare:<br />
non ho ancora finito la pietanza che sono invitato a saldare<br />
il conto ed a lasciare il locale. Fingo di nulla, tergiversando<br />
<strong>per</strong> qualche istante, mentre sorseggio un bicchiere d’acqua.<br />
Poi, con grandi cucchiaiate, riesco a dare velocemente fondo<br />
al piatto.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Ōsaka: la rocca del castello<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
4 aprile<br />
Kyōto, l’antica capitale<br />
L<br />
a giornata è interamente dedicata a Kyōto. Acquistiamo<br />
un abbonamento giornaliero (“one day pass”) <strong>per</strong> i<br />
trasporti pubblici: la città è servita da una fitta rete di autobus,<br />
mentre la metropolitana invece, di sole due linee, è di scarsa<br />
utilità a fini turistici.<br />
La linea 5 è la più diretta <strong>per</strong> il tragitto dalla stazione<br />
fino a ridosso delle colline nord-orientali. La prima meta è<br />
il Ginkaku-ji (Padiglione d’argento), costruito nel 1482<br />
<strong>per</strong> volere dello shōgun Ashikaga Yoshimasa come luogo di<br />
svago e meditazione immerso nella natura. Dal 1485, con il<br />
ritiro dello shōgun a vita contemplativa, venne riadattato a<br />
monastero Zen. Nel nome degli edifici religiosi, i suffissi –ji,<br />
–dera, –in o –an indicano un tempio buddhista, mentre –gū,<br />
–jingū, –jinja o più raramente –taisha rivelano la presenza<br />
di un santuario scintoista. In molti casi il sincretismo non<br />
<strong>per</strong>mette <strong>per</strong>ò di scindere nettamente i culti.<br />
La parte più nota del complesso, costituito da vari edifici<br />
circondati da un lussureggiante giardino, è la sala di Kannon<br />
(Kannonden). Nell’intenzione del costruttore, essa avrebbe<br />
dovuto emulare il più antico Padiglione d’oro (sempre a<br />
Kyōto) con la co<strong>per</strong>tura di uno strato d’argento. Il progetto<br />
non fu <strong>per</strong>ò mai portato a termine e la struttura lignea rimase<br />
esposta.<br />
Dal Ginkaku-ji <strong>per</strong>corriamo un tratto di strada a piedi<br />
verso sud seguendo il sentiero della filosofia (o del<br />
filosofo) che costeggia le colline orientali (Higashiyama). Per<br />
via del freddo intenso e della pioggia di questi giorni, i ciliegi<br />
che lambiscono il viale continuano a non degnarci della loro<br />
fioritura. Forse Amaterasu-ō-mi-kami, suprema dea del sole,<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
si cela dietro ad una cortina di nuvole <strong>per</strong> scarsa simpatia<br />
verso noi gaijin (stranieri)<br />
Dopo un quarto d’ora svoltiamo a sinistra oltre un<br />
ponticello verso l’Hōnen-in, tempio della scuola Jōdo<br />
fondato nel 1681. L’interno non è a<strong>per</strong>to al pubblico, ma la<br />
parte più interessante sono i folti giardini di rododendri, pini,<br />
camelie e grossi sugi (Cryptomeria japonica, gli autoctoni<br />
cipressi giapponesi).<br />
Riprendiamo il <strong>per</strong>corso: la giornata si rasserena<br />
lentamente e ne approfittiamo <strong>per</strong> un breve pranzo al sacco.<br />
All’estremità meridionale del sentiero della filosofia vi è<br />
il Nanzen-ji, annoverato fra i templi più rappresentativi<br />
di Kyōto: nato come residenza im<strong>per</strong>iale, fu trasformato<br />
in tempio Zen nel 1291. Gli edifici attuali risalgono al XVII<br />
secolo.<br />
Il sanmon, monumentale portale ligneo, introduce all’area<br />
interna. Il famoso giardino detto della “tigre saltante” è<br />
purtroppo chiuso <strong>per</strong> lavori. Le parti meno note del complesso<br />
non sono <strong>per</strong>ò meno interessanti: oltrepassato l’acquedotto in<br />
mattoni, svoltiamo a sinistra <strong>per</strong> una stradina che si addentra<br />
in una valletta boscosa. Lasciamo ancora sulla sinistra un<br />
santuario scintoista, inerpicandoci <strong>per</strong> un sentiero fino<br />
all’Oku-no-in, romitaggio che sorge nei pressi di una grotta<br />
e di una cascata, oasi di pace non interessata dal turismo<br />
tradizionale. Concordo appieno con quanto affermato da una<br />
compagna di viaggio: la sco<strong>per</strong>ta di questo luogo deserto a<br />
contatto con la natura non fa certo rimpiangere la folla dei<br />
monumenti più conosciuti. Una grossa pietra, scolpita con<br />
delle formule sacre, reca un cordone che la cinge in senso<br />
longitudinale: così la fede scintoista suole tributare onore<br />
alle più notevoli manifestazioni naturali, come alberi secolari<br />
e massi erratici, che in tal modo assurgono alla dignità di<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
manifestazioni metafisiche, seppur non trascendenti, quali<br />
sono gli spiriti ed i kami.<br />
Tornati in basso, attraverso una porta a<strong>per</strong>ta nel convento<br />
riusciamo ugualmente a sbirciare all’interno dei giardini,<br />
almeno fino a quando non giunge un monaco a ricordarci che<br />
quella zona è chiusa al pubblico.<br />
Ripreso l’autobus, il <strong>per</strong>corso continua verso il Chionin,<br />
monastero casa-madre della scuola Jōdo, costruito nel<br />
1234 da un discepolo del fondatore Hōnen (1133–1212). Gli<br />
edifici attuali risalgono al XVII secolo, quando il complesso<br />
fu interamente ricostruito dallo shōgun Tokugawa Iemitsu<br />
(1604–1651) in seguito ad un incendio.<br />
Oltrepassato il portale, come in tutti i templi ed i santuari,<br />
si trova una fontanella <strong>per</strong> l’abluzione rituale: mediante un<br />
mestolo, preso con la mano destra, si versa un po’ d’acqua<br />
sulla sinistra. Quindi si inverte la mano e se ne versa un po’<br />
sulla destra. Si riprende poi il mestolo con la mano destra e<br />
si versa dell’acqua nella sinistra, con la quale ci si sciacqua la<br />
bocca. Il liquido residuo viene infine scaricato sulla mano che<br />
ha lavato la bocca.<br />
Nella sala principale un monaco è intento alla recitazione<br />
dei sūtra accompagnandosi con il suono di un tamburello. Il<br />
corridoio che conduce ad un padiglione attiguo è dotato del<br />
pavimento dell’usignolo, così detto <strong>per</strong> via dello scricchiolio<br />
che ricorda il canto del volatile: si tratta di un’antica forma di<br />
antifurto che trova anche altri esempi nel paese e nella stessa<br />
Kyōto.<br />
Dal cortile, una scala sul fianco del clivo propinquo<br />
raggiunge la struttura che ospita la campana più grande del<br />
<strong>Giappone</strong> (74 tonnellate), fusa nel 1633. Si dice che siano<br />
necessari più di 15 monaci <strong>per</strong> poterla suonare.<br />
Dal Chion-in si prosegue con il bus (linea 100), sempre<br />
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17<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
costeggiando le colline, verso il Kiyomizu-dera, tempio<br />
fondato nel 798. Dalla fermata su Higashi Ōji raggiungiamo<br />
la <strong>per</strong>pendicolare Matsubara dōri, una strada costellata di<br />
negozi che conduce, dopo una ventina di minuti di cammino,<br />
fino alla scalinata d’ingresso. Gli edifici attuali sono<br />
abbastanza antichi <strong>per</strong> i criteri giapponesi poiché risalgono al<br />
1633. La folla è numerosa: questo è uno dei luoghi più amati<br />
della città. Il sole declina e molti abitanti di Kyōto salgono fin<br />
quassù <strong>per</strong> godersi lo spettacolo del tramonto, alcuni vestiti<br />
in kimono.<br />
Il panorama migliore si ha dalla terrazza lignea dell’edificio<br />
principale, rivolta sulla valle sottostante e sospesa <strong>per</strong> decine<br />
di metri su un sistema di palafitte: nella lingua giapponese vi<br />
è l’espressione idiomatica “saltare dal Kiyomizu”, utilizzata<br />
quando ci si appresta a su<strong>per</strong>are una difficoltà (equivalente ai<br />
nostri “saltare il fosso” o “gettare il cuore oltre l’ostacolo”). In<br />
passato qualche pazzo ha saltato veramente, risolvendo tutti<br />
i suoi problemi in maniera definitiva.<br />
Più in basso è collocata una fontana, già venerata in tempi<br />
antichissimi, forse addirittura antecedenti la fondazione del<br />
tempio stesso (il cui nome evocativo significa non a <strong>caso</strong><br />
“acqua chiara”). Le leggende sono varie, ma fra le più diffuse vi<br />
è quella che vorrebbe i tre zampilli rispettivamente portatori<br />
di buona salute, felice vita sentimentale e successo negli studi<br />
(o intelligenza). Sarebbe <strong>per</strong>ò concesso bere al massimo da<br />
due getti: il su<strong>per</strong>bo che osasse servirsi da tutti e tre sarebbe<br />
punito con il mancato esaudimento dei suoi desideri.<br />
L’imbrunire si avvicina: lasciamo il Kiyomizu scendendo<br />
da Gojozaka ed attendiamo l’autobus (linea 100) <strong>per</strong> Gion, il<br />
quartiere tradizionale di Kyōto, dove si concentrano le poche<br />
strade che ancora ricordano l’atmosfera della città vecchia.<br />
Iniziando da Shinmonzen dōri, la meno interessante <strong>per</strong> via<br />
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18<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
della presenza di edifici moderni, proseguiamo <strong>per</strong> Shirakawa<br />
minami dōri, fiancheggiata da case di legno e ciliegi in fiore<br />
ai margini di un ruscello. L’atmosfera notturna con gli alberi<br />
illuminati dai fari e con la luna sullo sfondo conferisce un<br />
valore aggiunto a questo luogo già di <strong>per</strong> sé suggestivo.<br />
L’ultima strada, Hanami kōji, è conosciuta <strong>per</strong> le vecchie da<br />
case da tè ove risiedono le poche geisha che ancora esercitano<br />
questa professione.<br />
La geisha (lett.: “<strong>per</strong>sona d’arte”), fa del proprio lavoro<br />
la pratica delle arti tradizionali, ovvero la musica, il canto, la<br />
danza, la pittura, la calligrafia ecc. Essa non è, come alcuni<br />
possono credere, una sorta di meretrice <strong>per</strong>ché è lei stessa a<br />
decidere se e quando concedersi, cosa che può avvenire non<br />
prima di lunghissimi <strong>per</strong>iodi di frequentazione, ma che più<br />
spesso non avviene affatto.<br />
Le danze eseguite dalle geisha traggono origine dal<br />
teatro kabuki degli inizi, quando era ancora <strong>per</strong>messa la<br />
recitazione delle donne. Nel corso dei secoli i movimenti<br />
hanno acquisito maggiore lentezza e simbolismo, andando a<br />
configurare un genere autonomo. Il principale strumento di<br />
accompagnamento è lo shamisen, una chitarra a tre corde.<br />
I ranghi delle geisha sono differenziati in base<br />
all’es<strong>per</strong>ienza: l’apprendista è detta maiko, mentre la geisha<br />
effettiva, che porta il nome di geiko nella zona di Kyōto, può<br />
essere solo colei che ha raggiunto la totale padronanza delle<br />
arti.<br />
In tutto ciò che rappresenta, la geisha è un re<strong>per</strong>to storico<br />
e sociologico vivente, quasi immutato nelle sue forme da<br />
quattrocento anni.<br />
All’improvviso scorgiamo un paio di esse mentre, inseguite<br />
dai turisti e dai fotografi, escono furtivamente da una casa da<br />
tè ed affrettano il passo <strong>per</strong> dileguarsi nei vicoli più bui del<br />
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19<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
quartiere.<br />
Un ponte sul Kamo-gawa, fiume che taglia la città in senso<br />
latitudinale, conduce a Pontochō, l’altro quartiere vecchio<br />
di cui rimane solo un vicolo affollato di ristoranti di tutti i<br />
tipi.<br />
Essendo già tardi, alcuni preferiscono cenare in zona,<br />
mentre altri ritornano verso l’albergo. Noi del primo<br />
gruppetto optiamo <strong>per</strong> un ristorantino nel quale scelgo la<br />
nabe (lett. “casseruola”), una ciotola di ghisa rovente ripiena<br />
di carne sukiyaki, verdure (principalmente cipollotto e<br />
cavolo) e tagliolini. Vi è anche un uovo crudo che viene cotto<br />
direttamente in tavola a contatto con il calore della pentola.<br />
Questo piatto, assai consistente, è di norma servito solo nei<br />
mesi invernali.<br />
Da bere, oltre il tè, vi è la birra di produzione nazionale di<br />
marca Asahi o Sapporo, in stile Lager mediamente luppolata<br />
e parecchio costosa. La birra, se ordinata, può essere una<br />
delle voci più onerose di un pranzo in un locale economico.<br />
La giornata termina con il rientro in albergo mediante<br />
autobus (linea 17). Prima di ritirarci, rimasti in due ci<br />
attardiamo ancora mezz’ora <strong>per</strong> salire sulla terrazza<br />
panoramica della stazione. Una serie di scale mobili conduce<br />
fin sul tetto: in piena sera, nella penombra, sono in molti a<br />
sostare tranquillamente seduti sulle panchine a godersi la<br />
serata, chiacchierando e contemplando il panorama di Kyōto<br />
puntinata di luci. Non si avverte alcuna tensione dovuta alla<br />
sicurezza, non ci si sente osservati da nessuno. La polizia, che<br />
non è sostanzialmente d’utilità, non rivela quasi mai la sua<br />
presenza. Mentre scrivo, ormai a casa, ripenso con nostalgia<br />
all’assenza di criminalità spicciola che concerne scippi e<br />
rapine. Con questo non intendo affermare che in <strong>Giappone</strong> la<br />
malavita non esista: la Yakuza (mafia) gestisce nell’ombra<br />
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20<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
grandi affari come appalti, giri di corruzione politica, traffico<br />
di stupefacenti e speculazione edilizia, ma rimane confinata<br />
nella propria sfera che raramente tocca la vita del cittadino<br />
comune.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Kyōto: il Nanzen-ji<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Kyōto: il Kiyomizu-dera<br />
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23<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
5 aprile<br />
Kyōto tra templi e monasteri<br />
A<br />
ll’ufficio abbonamenti della stazione, i Japan Rail<br />
Pass prenotati dall’Italia sono pronti <strong>per</strong> essere<br />
ritirati. Questo abbonamento ferroviario, riservato solo<br />
agli stranieri o ai giapponesi residenti all’estero, è l’unico<br />
realmente conveniente <strong>per</strong> i turisti. Con meno di 300<br />
euro alla settimana si ha diritto all’utilizzo illimitato delle<br />
carrozze di IIª classe (“standard”) sui treni del gruppo Japan<br />
Railways, compresi quelli locali, gli espressi, alcune tratte<br />
d’autobus ed una di traghetto. Fanno eccezione i soli servizi<br />
di shinkansen “Nozomi” e “Mizuho”, mentre tutti gli altri<br />
treni ad alta velocità sono inclusi. Il Japan Rail Pass offre<br />
eventualmente anche la Iª classe (“green car”, i cui vagoni<br />
sono contraddistinti da un quadrifoglio verde), dal costo<br />
settimanale di circa 350/400 euro. Si prenota l’abbonamento<br />
già prima della partenza tramite un’agenzia specializzata<br />
<strong>per</strong>ché in <strong>Giappone</strong> non viene rilasciato. Giunti sul luogo, ci<br />
si presenta presso gli uffici JR delle grandi stazioni, dei porti<br />
o degli aeroporti muniti del tagliando fornito dall’agenzia,<br />
che sarà scambiato con la tessera vera e propria del Japan<br />
Rail Pass.<br />
«I vostri documenti saranno pronti nel pomeriggio», ci<br />
comunicano. Nel frattempo chiediamo di poter prenotare<br />
dieci posti sul treno di domani <strong>per</strong> Nara: «si possono<br />
effettuare solo sette prenotazioni» sentenzia l’impiegata ad<br />
alta voce, accertandosi che tutti i presenti abbiano udito.<br />
Dopo tali categoriche parole afferra sette biglietti, li allinea<br />
in bella vista di fronte a noi ed aggiunge «<strong>per</strong>ché questo è<br />
il regolamento!». Poi, con fare fulmineo, passa sottobanco<br />
altri tre biglietti. Ringraziamo con inchini silenziosi.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Da questo episodio si può trarre spunto <strong>per</strong> accennare<br />
alla complessità dell’etica giapponese, <strong>per</strong>meata di<br />
valori confuciani d’origine cinese, rielaborati attraverso<br />
paradigmi locali nel corso di vari secoli: se da un lato il<br />
testo di un regolamento è insindacabile, dall’altro la sua<br />
applicazione può essere assai meno rigida. L’impiegata delle<br />
ferrovie ha salvato tatemae (apparenza) e honne (sostanza)<br />
consegnando pubblicamente il numero di biglietti consentiti e<br />
contravvenendo con i tre rimanenti <strong>per</strong> soddisfare le richieste<br />
del cliente. Le altre <strong>per</strong>sone in fila, che hanno visto e sentito<br />
tutto, hanno suggellato questo mercato con la loro omertà.<br />
È dunque possibile sfatare il mito del rispetto delle regole,<br />
in realtà assai più labile di quanto si possa immaginare: è<br />
sufficiente che l’illecito non sia commesso in modo plateale.<br />
L’unica cosa da salvaguardare, in ogni <strong>caso</strong>, è la correttezza<br />
di facciata.<br />
La prima meta della giornata, raggiunta mediante la linea<br />
205, è il Kinkaku-ji (Padiglione d’Oro), da sempre citato<br />
fra i principali luoghi d’interesse del <strong>Giappone</strong>, costruito nel<br />
1397 <strong>per</strong> volontà dello shōgun Ashikaga Yoshimitsu. Il nome<br />
è dovuto alla co<strong>per</strong>tura in fogli d’oro della parte su<strong>per</strong>iore<br />
dell’edificio. In modo simile ad altre strutture, anche questa<br />
fu trasformata nel corso del tempo da luogo di svago a luogo<br />
di preghiera.<br />
A quei tempi non era infrequente il ritiro a vita cenobitica<br />
da parte di uno shōgun, <strong>per</strong> lasciare la carica alle generazioni<br />
successive. L’influenza del governante in ritiro continuava<br />
<strong>per</strong>ò ad essere informalmente esercitata dalla cella del<br />
convento (il cosiddetto “governo claustrale”), ponendolo in<br />
una posizione talvolta preminente rispetto a quello legittimo.<br />
Nel 1950 questo luogo fu teatro di un’amara vicenda:<br />
un monaco, in seguito dichiarato incapace di intendere<br />
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25<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
e di volere, diede il padiglione alle fiamme nel corso di un<br />
accesso di follia. Cinque anni più tardi fu completata la<br />
ricostruzione fedele all’originale. L’episodio ha costituito lo<br />
spunto letterario da parte dello scrittore Mishima Yukio<br />
<strong>per</strong> la stesura del romanzo intitolato Kinkaku-ji.<br />
Sul finire degli anni ‘80, constatato il deterioramento della<br />
doratura, si decise di intervenire applicandone uno strato<br />
più spesso: in quell’occasione l’o<strong>per</strong>azione fu estesa anche al<br />
piano intermedio dell’edificio.<br />
Il <strong>per</strong>corso della visita è circolare ed include, oltre al<br />
padiglione, anche i vasti giardini che lo circondano. I<br />
giardinieri sono all’o<strong>per</strong>a <strong>per</strong> rinnovare il tappeto di muschio<br />
che ricopre il terreno. Questo sistema è utilizzato in luogo<br />
dell’erba <strong>per</strong>ché il giardino giapponese è <strong>per</strong>lopiù di figura:<br />
lo si può ammirare ma non lo si può calpestare. All’interno,<br />
i visitatori devono passare sopra degli appositi <strong>per</strong>corsi di<br />
ghiaia e terra battuta.<br />
Presso un banchetto verso l’uscita assaggio i mochi,<br />
dolcetti di riso glutinoso che sono venduti infilzati ad uno<br />
spiedino.<br />
Riprendiamo l’itinerario costeggiando le colline<br />
occidentali. Non lontano dal Padiglione d’oro, proseguendo<br />
con la linea 59, vi è il Ryōan-ji, tempio Zen di scuola Rinzai<br />
la cui principale attrattiva consiste nel celeberrimo giardino<br />
secco di quindici rocce, un cortile di ghiaia modellata a<br />
righe, composto da vari massi che possono essere visti<br />
nell’insieme solo da un certo punto d’osservazione. Non è<br />
possibile camminarvi attraverso <strong>per</strong>ché si tratta a tutti gli<br />
effetti di un’o<strong>per</strong>a d’arte che verrebbe altrimenti deteriorata.<br />
L’autore, vissuto intorno alla metà del XV secolo, è rimasto<br />
sconosciuto lasciando un alone di mistero sul significato<br />
dell’o<strong>per</strong>a. Alcuni vogliono scorgervi la rappresentazione del<br />
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26<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
mare; <strong>per</strong>sonalmente prediligo <strong>per</strong>ò l’ipotesi del giardino<br />
come metafora e strumento della ricerca dello Zen, intuizione<br />
spontanea dell’osservatore che, esaurita la ricerca razionale,<br />
scaturirà dalla pura contemplazione attraverso la mente<br />
sgombra e recettiva, finalmente libera dai processi cognitivi.<br />
All’interno del tempio, dov’è obbligatorio camminare<br />
scalzi, una calligrafa è intenta a tracciare ideogrammi su<br />
alcune tavolette di legno: chissà quali sacre scritture<br />
Oltre al giardino secco, non meno interessante, seppur<br />
meno noto, è l’esteso giardino umido, assai fitto ed<br />
inframmezzato di piante, arbusti, rocce e laghetti. Fra la<br />
vegetazione sono collocate delle caratteristiche fontanelle,<br />
il cui getto d’acqua esce da un tubo di canna di bambù,<br />
gettandosi in un bacile cilindrico di pietra.<br />
Pranzo consumato al volo su una scalinata, quasi senza<br />
tregua: il tempo passa ed è necessario proseguire con il<br />
59 verso la prossima meta. Giunti al capolinea (fermata di<br />
Yamagoe Nakacho) si effettua il cambio con la linea 11.<br />
Sui rilievi si stanno addensando nubi nere che<br />
preannunciano un acquazzone. Fuori città, ad Arashiyama<br />
(forse non a <strong>caso</strong> “monti della tempesta”), il temporale si<br />
scatena costringendoci a trovare rifugio in un locale <strong>per</strong><br />
riscaldarci sorbendo un tè. Fuori, insieme alla pioggia<br />
battente, spira un vento freddo e violento. La furia degli<br />
elementi si placa in tre quarti d’ora, ma le nubi rimangono<br />
fitte e cariche (è evidente che la dea del sole non ci ama…)<br />
Riusciamo ad infonderci coraggio e ad uscire, vestiti di<br />
tutto ciò che possediamo, <strong>per</strong> visitare il Tenryū-ji, tempio<br />
casa-madre della corrente Tenryū del buddhismo Rinzai Zen,<br />
fondato nel 1339 dallo shōgun Ashikaga Takauji.<br />
L’interno si rivela come un vasto e valido esempio<br />
dell’architettura Zen d’epoca Muromachi, che ha come base<br />
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27<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
l’idea della linearità e della sobrietà. La struttura portante<br />
degli edifici è interamente in legno, con le pareti rimovibili<br />
foderate di carta di riso. Con l’arrivo della bella stagione<br />
vengono eliminate le barriere fra interno ed esterno: in<br />
tal modo sia il tempio che la residenza privata si aprono al<br />
giardino tramite il porticato, ed il giardino diventa a sua volta<br />
parte della dimora.<br />
Nei padiglioni la pulizia regna sovrana e, come sempre<br />
accade, siamo invitati a lasciare le scarpe all’entrata <strong>per</strong><br />
camminare scalzi sul tatami.<br />
Rimesse le calzature ci <strong>per</strong>diamo nel vasto e labirintico<br />
giardino (XIV secolo) che include, oltre a numerose specie<br />
endemiche ed esotiche, anche un boschetto di bambù giganti.<br />
Al termine del pomeriggio il gruppo si divide: alcuni<br />
si dirigono in albergo mentre in quattro rientriamo in<br />
città (linea 28) effettuando una tappa intermedia al Nishi<br />
Hongan-ji, tempio casa-madre della corrente Hongan della<br />
scuola buddhista Jōdo, costruito <strong>per</strong> volere di Toyotomi<br />
Hideyoshi nel 1591. Ormai si sta facendo tardi e purtroppo<br />
molti monumenti pubblici quali templi e musei non<br />
presentano degli orari assai estesi: in inverno la chiusura<br />
avviene raramente dopo le 17.30. Arriviamo sul luogo alle<br />
17.13 e subito una guardia si avvicina <strong>per</strong> ricordarci l’orario<br />
di chiusura. «Va bene, grazie», gli rispondo, «allora<br />
abbiamo circa 20 minuti <strong>per</strong> la visita…». E lui: «di minuti<br />
ne avete 17, non 20!». Sbalorditi e vagamente <strong>per</strong>plessi da<br />
tale puntigliosità, ci affrettiamo con lo sguardo costante<br />
all’orologio.<br />
Chi ama le o<strong>per</strong>e grandiose non sarà di certo deluso:<br />
dal cortile ai padiglioni, tutto lascia intuire quale centro di<br />
potere fosse questo luogo in passato, quando costituiva il<br />
braccio religioso dei governanti del <strong>Giappone</strong> nell’epoca<br />
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28<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Azuchi-Momoyama. Qui ebbe origine la potenza del<br />
buddhismo di stato e di governo che fu <strong>per</strong> secoli favorito<br />
dalla casata shōgunale e dai signori feudali a detrimento<br />
dello shintoismo, culto legato tradizionalmente alla famiglia<br />
im<strong>per</strong>iale. Per questa ragione nel 1868, con il rovesciamento<br />
dello shōgunato Tokugawa e la restaurazione dell’im<strong>per</strong>atore<br />
Meiji, il credo buddhista venne scoraggiato a favore di<br />
un rinascente scintoismo, culto autoctono maggiormente<br />
funzionale alla nuova retorica nazionalista.<br />
Anche nel passato più remoto non mancarono i momenti<br />
di difficoltà. Appena nel 1602, 11 anni dopo la sua fondazione,<br />
l’Hongan-ji si scisse in due rami distinti <strong>per</strong> ragioni politiche:<br />
il Nishi (Occidentale) e l’Higashi (Orientale), il primo fedele<br />
alla famiglia Toyotomi ed il secondo a quella Tokugawa. La<br />
disputa a livello politico si risolse con il consolidamento del<br />
potere e la pacificazione del paese da parte di Tokugawa<br />
Ieyasu, ma le due correnti rimasero separate con i rispettivi<br />
monasteri a pochi isolati di distanza.<br />
Le sale sono amplissime e decorate di fini intagli lignei. Dal<br />
soffitto pendono sontuosi lampadari intarsiati che illuminano<br />
ricchi altari carichi d’oro e di broccati. Nonostante questi<br />
particolari, nel complesso l’ambiente rimane assai sobrio<br />
in confronto ad altri esempi di opulenza asiatica, come ad<br />
esempio sono certi monasteri tibetani.<br />
Nel porticato, due giovani monaci sono intenti a suonare<br />
un cilindro di legno con dei martelli: un suono sordo, acuto<br />
e ritmato.<br />
Allo scadere dei 17 minuti la guardia invita tutti gli astanti,<br />
in modo <strong>per</strong>entorio, ad uscire dal cancello. Dopo averci<br />
chiesto la provenienza (pura formalità), ci accompagna<br />
fino in strada <strong>per</strong> essere sicuro che a nessuno venga la<br />
tentazione di attardarsi qualche secondo in più oltre l’orario<br />
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29<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
consentito. Io, fermo sulla soglia <strong>per</strong> scattare una fotografia,<br />
sono costretto ad arretrare verso il marciapiede e non riesco<br />
neppure a terminare <strong>per</strong>ché «l’area è in chiusura». A volte<br />
si dice che i giapponesi non siano in grado di declinare una<br />
richiesta anche se non sono in grado d’esaudirla: questo è<br />
generalmente vero solo nell’ambito dei rapporti sociali<br />
governati dalle regole confuciane, come quelli familiari,<br />
lavorativi, scolastici, politici o comunque di quelli che<br />
presuppongono l’esistenza d’una gerarchia consolidata.<br />
Poiché la posizione del turista nella “società confuciana” è<br />
assai incerta, esso verrà trattato ora con grande sussiego, ora<br />
con malcelata freddezza. Nella maggior parte dei casi <strong>per</strong>ò,<br />
il viaggiatore straniero sarà ignorato dai giapponesi. A noi<br />
è comunque accaduto di ricevere dei secchi «iie!» («no!»)<br />
a fronte di cortesi e ragionevoli richieste, come quella di<br />
rimanere ancora un paio di minuti al tempio <strong>per</strong> terminare le<br />
fotografie. L’affermare d’essere arrivati fin qui dall’Italia <strong>per</strong><br />
ammirare questi monumenti non suscita alcuna differenza di<br />
trattamento da parte del guardiano.<br />
Così bruscamente congedati, grazie alla clemenza del<br />
tempo riusciamo a tornare a piedi verso l’albergo: in tal modo<br />
abbiamo la possibilità di cercare un locale <strong>per</strong> la cena.<br />
Nel frattempo, dobbiamo fermarci <strong>per</strong> degli acquisti. Non<br />
esistono molti negozi di generi specifici, ma sono assai diffusi<br />
i minimarket (localmente detti konbini, una storpiatura<br />
e contrattura di convenience store) che vendono un po’ di<br />
tutto: dai biscotti ai giornali, dai detersivi alla verdura fino<br />
ai sacchetti di polpo e seppia essiccati da gustare come<br />
snack. I generi ittici di tutti i tipi costituiscono una parte<br />
preponderante nel settore degli alimentari. C’è anche un<br />
banco dove i bentō vengono preparati al momento: garanzia<br />
di freschezza, direte voi E invece niente affatto! S’intravede<br />
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30<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
la cucina retrostante, un unico lerciume nel quale spiccano<br />
friggitrici incrostate di grasso vecchio di giorni lasciato<br />
seccare, pentole sporche alla mercé delle mosche, avanzi di<br />
cibo da buttare, il tutto condito da un olezzo generalizzato<br />
assai poco invitante. Che fine ha fatto la pulizia maniacale che<br />
dovrebbe contraddistinguere questo paese Semplicemente<br />
si tratta di un’altra verità parziale: mentre alcuni luoghi sono<br />
quasi asettici, altri lo sono assai meno.<br />
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31<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Kyōto: il Kinkaku-ji (Padiglione d’oro)<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Kyōto: il Nishi Hongan-ji<br />
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33<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
6 aprile<br />
Nara e le origini della civiltà giapponese<br />
S<br />
ituata 40 km a sud di Kyōto, Nara (ab. 320.000) fu la<br />
capitale del <strong>Giappone</strong> nel corso dell’VIII secolo d.C. e<br />
conserva tuttora vari monumenti risalenti a quell’epoca.<br />
Dalla stazione di Kyōto è conveniente utilizzare la linea<br />
locale <strong>per</strong> Nara. Su questa tratta vi sono due tipi di servizi:<br />
quello rapido che impiega 45 minuti e quello ordinario che<br />
ne impiega 65, fermandosi in tutte le stazioni. La tariffa è la<br />
medesima <strong>per</strong>ché è basata sui chilometri di <strong>per</strong>correnza.<br />
Durante il tragitto scorrono campagne, colline e paesi.<br />
Questa regione è stata <strong>per</strong> novecento anni il cuore politico<br />
ed amministrativo del <strong>Giappone</strong>, inizialmente senza una<br />
capitale fissa (<strong>per</strong>iodo Yamato, 300–710), poi con Nara come<br />
primo centro direzionale (conosciuta all’epoca come Heijō,<br />
710–794) ed infine con Kyōto (allora chiamata Heian, 794–<br />
1185). Dal 1185 in poi il centro del potere, passando da Heian<br />
a Kamakura, si trasferì <strong>per</strong> un secolo e mezzo nell’area del<br />
Kantō, 450 km più ad oriente: questo avvenimento scalfì<br />
definitivamente il predominio del Kansai, che anche con il<br />
successivo ritorno della capitale a Kyōto (1333) non riuscì più<br />
a recu<strong>per</strong>are i fasti <strong>per</strong>duti.<br />
Dalla stazione ferroviaria, una strada rettilinea (Sanjo dōri)<br />
conduce all’area del Parco (Kōen), dove i templi principali<br />
sono situati a breve distanza l’uno dall’altro.<br />
Il primo complesso sul nostro cammino è quello del<br />
Kōfuku-ji, fondato nel 669. Per raggiungerlo è necessario<br />
inerpicarsi su una scalinata, che a lato presenta un piccolo<br />
santuario dedicato a Jizō, con le sue molteplici statue<br />
rico<strong>per</strong>te di stoffe scarlatte. Al piazzale la vista si apre sull’aula<br />
ottagonale del Nanendō e sulle due pagode: quella più antica<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
a tre piani (1143) e quella più recente a cinque piani (1426),<br />
che con i suoi quasi 60 m è la seconda più alta del <strong>Giappone</strong><br />
dopo quella del Tō-ji di Kyōto.<br />
Il tempo va peggiorando: si solleva un vento gelido<br />
ed inizia a piovigginare. Per fortuna a soli cinque minuti<br />
sorge il Tōdai-ji, l’altro polo d’interesse della città. Questo<br />
recinto di templi è celebre <strong>per</strong> il Daibutsu-den (sala del<br />
Grande Buddha), l’edificio ligneo più vasto del mondo. Dal<br />
prato prospiciente la sala si accede al porticato, da dove si<br />
può ammirare l’ardito incastro di travi che regge l’intera<br />
struttura. All’interno, immersa nell’oscurità, si palesa la<br />
statua del Buddha Vairocana. Non è certo un esempio<br />
rilevante dal punto di vista artistico: il suo valore è dato<br />
<strong>per</strong>lopiù dall’antichità poiché risale al 746, anche se è stata<br />
rifusa nel <strong>per</strong>iodo Edo. La testa, un tempo andata <strong>per</strong>duta, è<br />
di nuova e scarsa fattura. Le dimensioni sono colossali (16 m<br />
di altezza).<br />
Dietro alla statua vi è una colonna con un buco alla base,<br />
grande quanto la narice del Buddha: si dice che chi riesca<br />
a passarvi attraverso abbia la garanzia di raggiungere<br />
l’illuminazione. Il <strong>per</strong>tugio è piuttosto stretto <strong>per</strong> gli adulti,<br />
ma sufficientemente largo <strong>per</strong> i bambini, che si divertono<br />
a giocare a nascondino. Morale: la via del Nirvāna è assai<br />
più ardua <strong>per</strong> gli adulti, ormai contaminati dalle vicende<br />
e dai pensieri mondani, che <strong>per</strong> i bambini ancora <strong>per</strong>vasi<br />
dall’ingenuità e dalla semplicità.<br />
All’uscita transitiamo sotto il Nandai-mon, portale adorno<br />
delle pregevoli statue di due guardiani Niō in aspetto adirato<br />
(XIII secolo).<br />
Il parco è popolato (oserei dire “infestato”) da una<br />
moltitudine di cervi spelacchiati che seguono i turisti in cerca<br />
di cibo. Uno di loro, in un istante di distrazione di un nostro<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
compagno, gli strappa di mano la mappa della città e se la<br />
assapora <strong>per</strong> bene come se fosse chissà quale prelibatezza!<br />
Anche tentando di levargliela dalle fauci, l’ungulato non ha<br />
voluto lasciare l’insolito boccone. Nel frattempo, guardandoci<br />
attorno... constatiamo d’aver <strong>per</strong>so qualcuno! «A ripensarci»,<br />
ragiono, «li abbiamo visti l’ultima volta nel butsuden».<br />
Probabilmente ci siamo separati al Tōdai-ji, dove la calca era<br />
notevole e l’orientamento difficoltoso. Ci sparpagliamo nei<br />
dintorni, purtroppo senza risultati.<br />
La pioggia sempre più battente costringe al ritorno di gran<br />
carriera verso la stazione, dove attendiamo il treno <strong>per</strong> Kyōto.<br />
I latitanti sono poi tornati con un treno successivo. In questi<br />
casi è consuetudine ritrovarsi la sera direttamente in albergo.<br />
In città il gruppo si divide: alcuni si recano al santuario di<br />
Fushimi, ornato di numerosissimi torii e dedicato ad Inari, la<br />
divinità delle messi.<br />
In cinque invece, dopo un momento di sosta <strong>per</strong> il pranzo,<br />
<strong>per</strong>corriamo qualche chilometro a piedi verso sud-ovest<br />
oltrepassando strade, cavalcavia, semafori, ferrovie e palazzi<br />
di cemento. Ad un tratto le case si fanno più basse, le strade<br />
più strette, l’atmosfera più dimessa: dal centro siamo arrivati<br />
in un quartiere più popolare. La nostra meta è il Tō-ji, tempio<br />
di scuola Shingon fondato nel 794. Orientarsi non è difficile:<br />
al di là dei tetti si scorge già la pagoda, la più alta costruzione<br />
lignea del <strong>Giappone</strong>, risalente al 1643.<br />
Il classico giardino offre già una discreta fioritura ed è<br />
costellato qua e là dalle macchie bianche e rosa dei ciliegi.<br />
Sul bordo di uno stagno, un airone attende pazientemente<br />
qualche piccolo pesce, mentre fra le zampe gli nuotano delle<br />
carpe, troppo grosse <strong>per</strong> il suo becco.<br />
Riflessa sulla su<strong>per</strong>ficie dell’acqua, la pagoda ricorda<br />
che questo è un luogo sacro al buddhismo: essa deriva, nelle<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
sue linee fondamentali, dallo stūpa indiano e costituisce in<br />
sostanza un mausoleo <strong>per</strong> la conservazione di reliquie da<br />
venerare. La tradizione vuole che il passaggio dalla forma<br />
tondeggiante dello stūpa a quella slanciata della pagoda sia<br />
avvenuta nel XIII secolo <strong>per</strong> mano dell’architetto nepalese<br />
Araniko, al servizio del Gran Khan Kubilai.<br />
Del Tō-ji sono inoltre notevoli il Kōdō (sala degli<br />
insegnamenti) ed il Kondō (sala principale), contenenti<br />
pregevoli immagini buddhiste. La scuola Shingon, cui il<br />
tempio appartiene, è una delle più ritualizzate e dottrinarie<br />
nel panorama del buddhismo giapponese. I suoi caratteri<br />
talvolta mistici ed iniziatici la avvicinano <strong>per</strong> certi versi al<br />
buddhismo tibetano e ne rimarcano la distanza con il severo<br />
Tendai, con il rarefatto Zen e con il popolare amidismo.<br />
È ora di tornare verso il centro della città con un autobus<br />
(linea 205): l’ultima tappa della giornata è l’Higashi<br />
Hongan-ji, tempio gemello del Nishi Hongan-ji di cui si è<br />
parlato precedentemente, forse più dimesso ma non meno<br />
vasto. Uno dei due padiglioni è completamente avvolto da<br />
una struttura provvisoria <strong>per</strong> via di alcuni lavori di restauro,<br />
tanto da apparire come un grosso capannone.<br />
Il sole va declinando: è tempo di ritirarsi in albergo <strong>per</strong> una<br />
doccia. Prima di cenare saliamo sulla vicina torre di Kyōto,<br />
che offre una vista a <strong>per</strong>dita d’occhio sulla città costellata di<br />
luci. Le uniche macchie di buio facilmente riconoscibili sono<br />
i recinti dei monasteri. Anche le colline si notano <strong>per</strong> la loro<br />
oscurità: la pianura è estremamente urbanizzata ma i rilievi<br />
sono boscosi e spopolati. Al limite orientale della conca di<br />
Kyōto spicca illuminata fra le vallette solo la lontana sagoma<br />
del Kiyomizu-dera. Per noi ospiti del Kyōto Tower Hotel, cui<br />
appartiene la torre, il biglietto <strong>per</strong> la terrazza panoramica è<br />
gratuito.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Per cena ci fermiamo in un ristorante interno alla stazione,<br />
specializzato in rāmen (pasta in brodo con carne e verdure),<br />
soba (tagliolini di grano saraceno) e udon (grossi spaghetti<br />
di grano tenero).<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Nara, il Tōdai-ji<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
7 aprile<br />
Treni veloci, sacre isole e ferite storiche<br />
S<br />
veglia alle sei, dobbiamo lasciare Kyōto. Il clima è<br />
freddo ma fortunatamente il cielo è soleggiato. In<br />
stazione i binari dell’alta velocità ferroviaria sono separati<br />
dalle linee ordinarie ed hanno un intero settore a loro<br />
dedicato. Il nostro treno è lo shinkansen 495 delle 8.20 in<br />
servizio su<strong>per</strong> espresso “Hikari”.<br />
Sarebbe stato pittoresco pensare che shin-kan-sen<br />
suonasse come “tonante dragone d’acciaio” o qualcosa di<br />
simile, ma in realtà quest’espressione non significa altro<br />
che… “nuova linea [veloce]”. I giapponesi possono essere, a<br />
seconda del contesto, poetici o pragmatici: in un paese dove<br />
le automobili sono relativamente scarse e decine di milioni<br />
di individui utilizzano quotidianamente i mezzi pubblici, la<br />
questione dei trasporti è affrontata in maniera assai seria e<br />
puntigliosa.<br />
In <strong>Giappone</strong> si può comprendere la vera natura di un<br />
servizio ferroviario ad alta velocità, a differenza di<br />
quanto avviene in altri paesi. La linea è completamente<br />
autonoma da quella ordinaria e presenta uno scartamento ed<br />
una tensione differente: fra le due non vi è mai commistione,<br />
neppure nei centri urbani. Il treno arriva e riparte con<br />
decelerazioni ed accelerazioni notevoli, sostando <strong>per</strong> non più<br />
di due minuti e raggiungendo in brevissimo tempo la velocità<br />
di circa 300 km/h. I macchinisti dello shinkansen sono<br />
sottoposti ad un rigido addestramento che li porta a condurre<br />
il treno con una precisione che rasenta il secondo sulla<br />
tabella di marcia (nella cabina di guida è sempre presente<br />
un cronometro professionale). Per tenere alta l’attenzione<br />
essi devono ripetere, indicandoli, i segnali che trovano sul<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
<strong>per</strong>corso. Le corse sono frequentissime: sul Tōkaidō (Tōkyō–<br />
Ōsaka) transita mediamente un treno ogni dieci minuti<br />
<strong>per</strong> senso di marcia. Quando sono su<strong>per</strong>ati i cinque minuti<br />
di ritardo, l’utente ha diritto ad un certificato da esibire al<br />
datore di lavoro, in certi casi valido anche <strong>per</strong> il rimborso del<br />
biglietto.<br />
Il paragone con l’Italia, dove in confronto le corse sono<br />
scarse e male organizzate, è bruciante. Il servizio dei Treni ad<br />
Alta Velocità (TAV), orgoglio dei politici e materia di comizi<br />
elettorali, non è migliorato neppure con la liberalizzazione<br />
dei trasporti: qual è stata la principale novità introdotta dal<br />
primo o<strong>per</strong>atore privato italiano La puntualità L’elevata<br />
frequenza dei treni Un prezzo popolare No… la carrozza<br />
cinema: una concezione chiaramente non finalizzata ad un<br />
trasporto di massa, ma ad una clientela elitaria e di lusso.<br />
Sullo shinkansen invece non c’è il cinema, né esistono<br />
carrozze ristorante od altri inutili e costosi fronzoli: «spazio<br />
rubato ai posti a sedere» direbbero i giapponesi. Pulizia,<br />
capienza ed estrema puntualità: questo è ciò che in <strong>Giappone</strong><br />
si richiede al treno, senza alcuna deroga. Chi desidera il pranzo<br />
a bordo si porta da casa la scatola del bentō (il baracchino),<br />
oppure lo acquista in stazione.<br />
Puntualissimo, il su<strong>per</strong> espresso 495 da Nagoya <strong>per</strong><br />
Hiroshima arriva a Kyōto alle 8.18, <strong>per</strong> ripartire alle 8.20<br />
esatte. Si tratta di un convoglio della serie N700, una delle<br />
più recenti, o<strong>per</strong>ativa dal 2007.<br />
Ad Ōsaka termina il Tōkaidō ed inizia la linea del Sanyō<br />
in direzione sud-est. L’accelerazione è notevole, ma i vagoni<br />
hanno un’ammortizzazione eccellente: è possibile passeggiare<br />
nei corridoi anche viaggiando alla velocità massima. A volte,<br />
guardando fuori dal finestrino, pare che il treno debba<br />
prendere il volo: 300 chilometri l’ora corrispondono alla<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
velocità di un aereo in fase di decollo. In due ore, comprese<br />
sette fermate intermedie, <strong>per</strong>corriamo 400 km incontrando<br />
città come Himeji, Okayama e Fukuyama, intervallate da<br />
zone industriali, campagne, risaie, colline, foreste e gallerie.<br />
L’arrivo ad Hiroshima avviene, come previsto, alle 10.18.<br />
Il tempo si è guastato e sta volgendo al brutto. Un’aria fredda<br />
inizia a penetrare fin sotto i vestiti. Cerchiamo un posto dove<br />
lasciare i bagagli in consegna, in modo da riprenderli nel<br />
pomeriggio ed evitare di averli appresso durante l’escursione a<br />
Miyajima: il <strong>per</strong>sonale della stazione acconsente a depositarli<br />
in un magazzino, richiedendo una cifra onesta.<br />
Da qui, su un treno normale (linea del Sanyō), <strong>per</strong>corriamo<br />
ancora qualche decina di chilometri verso sud-est fino alla<br />
fermata di Miyajimaguchi. La maggior parte dei turisti scende<br />
con noi <strong>per</strong> sciamare verso l’imbarcadero ove si attestano i<br />
traghetti che fanno la spola da e verso l’isola d’Itsukushima<br />
(anche nota come Miyajima). Questa tratta marittima è<br />
una delle poche gestite dal gruppo Japan Railways, il cui il<br />
biglietto è compreso nel Japan Rail Pass.<br />
Il barcone si stacca dalla terraferma su un’acqua grigiastra<br />
che riflette le nubi sopra le nostre teste. Dopo mezz’ora di<br />
navigazione si scorge una macchia scarlatta sulla costa<br />
d’Itsukushima: è il santuario di Miyajima con il suo<br />
torii arancione che emerge dalle acque, una delle immagini<br />
più note del <strong>Giappone</strong>. La fondazione di questo romitaggio<br />
risale al VI secolo (epoca Yamato, sotto<strong>per</strong>iodo Asuka) e fu<br />
ingrandito nel 1168.<br />
L’intera isola è sacra e, fino a qualche decennio fa, vi era<br />
precluso l’accesso ai comuni mortali che non appartenessero<br />
al clero o alla nobiltà. Si afferma che fosse proibito nascervi o<br />
morirvi, avvenimenti che avrebbero reso impura l’area sacra.<br />
L’immagine del torii è come da cartolina: affiorante<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
dal mare con il santuario sullo sfondo. Questo panorama<br />
non si presenta sempre allo stesso modo, ma è tale solo<br />
con l’alta marea. Al contrario, <strong>per</strong> metà della giornata il<br />
portale emerge da una distesa di fango ed alghe. Già ieri<br />
sera ragionavamo su fasi lunari, opposizioni e quadrature,<br />
prevedendo dalle evidenze astronomiche l’alta marea <strong>per</strong> le<br />
11 del mattino odierne, momento del nostro arrivo, cosa che<br />
si è effettivamente verificata. Il concetto di torii, semplice<br />
struttura formata da un architrave sostenuto da due colonne,<br />
deriva anticamente dall’omologo (e quasi omonimo) torana<br />
indiano, monumento che espletava la medesima funzione<br />
d’ingresso alle zone di culto ed agli stūpa.<br />
È quasi ora di pranzo ed i morsi della fame si fanno<br />
sentire. Poco oltre lo sbarco è presente una fila di banchetti<br />
che vende cibo di strada: il profumo mi guida verso degli<br />
spiedini di polpo, cotti sulla piastra con salsa teriyaki (shōyu<br />
dolcificata con caramello e fatta rapprendere), accompagnati<br />
da una pannocchia cucinata alla stessa maniera. Non è facile<br />
addentare il polpo gommoso in delicato equilibrio sullo<br />
spiedo, tenendo la pannocchia con l’altra mano. Come se non<br />
fosse sufficiente, dobbiamo prestare attenzione ai cervi che<br />
girano liberi <strong>per</strong> le strade e che tentano di rubare le vivande.<br />
Questi animali, avvezzi all’uomo fin dalla nascita, non si fanno<br />
particolari problemi nell’adocchiare il vostro pasto (ma in<br />
tempi di magra si accontentano anche della guida turistica).<br />
Un lungomare, costeggiato da una fila di lucerne di pietra<br />
inframmezzate da pini, conduce fino al corpo principale del<br />
tempio, proteso nella baia e sorretto da una serie di pontili e<br />
palafitte.<br />
Lentamente la marea si ritira, lasciando sco<strong>per</strong>to il<br />
fondale dal penetrante odore di alghe ed acqua salmastra: i<br />
turisti scendono nel fango <strong>per</strong> recarsi fin sotto il torii che ora,<br />
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43<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
visto dal lato dell’isola, presenta come sfondo l’urbanizzata<br />
terraferma. Riesce difficile pensare che, riprese da questa<br />
prospettiva, le classiche fotografie da cartolina non siano<br />
ritoccate.<br />
Non vale la pena, <strong>per</strong> via del meteo avverso, prendere<br />
la funivia <strong>per</strong> il monte Misen: meglio addentrarsi ad<br />
esplorare a piedi i dintorni. Una strada conduce verso<br />
l’interno fino al Daishō-in, un tempio addossato sul lato<br />
della montagna, immerso nella vegetazione e nei vapori<br />
dell’umidità atmosferica. In questo luogo di venerazione il<br />
culto è estremamente sincretico <strong>per</strong> via della compresenza,<br />
se non addirittura della commistione, di elementi scintoisti<br />
e buddhisti delle scuole più disparate. Una ripida rampa di<br />
scale, costellata da ruote di preghiera come in Tibet, termina<br />
presso un piazzale dov’è presente una torretta campanaria:<br />
molti pellegrini usano suonare un rintocco all’entrata.<br />
Salendo ulteriormente <strong>per</strong> altre rampe si incontrano vari<br />
edifici; uno di essi contiene un mandala di sabbia realizzato<br />
in occasione della visita del Dalai Lama nel 2006.<br />
Giù nel cortile, alcuni ragazzi abbigliati alla maniera<br />
tradizionale sono intenti a suonare dei tamburi rituali. In<br />
breve tempo si forma un capannello di <strong>per</strong>sone, noi compresi,<br />
che <strong>per</strong> una decina di minuti rimangono ad assistere allo<br />
spettacolo.<br />
È ormai giunta l’ora di tornare sui nostri passi.<br />
Ri<strong>per</strong>corriamo la strada in senso contrario fino all’imbarco.<br />
Le <strong>per</strong>sone sul traghetto sono numerose e non vi è neppure<br />
un posto a sedere: meglio uscire sul ponte all’aria a<strong>per</strong>ta,<br />
<strong>per</strong>lomeno lo sguardo non è intralciato dai vetri appannati,<br />
mentre l’aria salmastra è un vero toccasana. A Miyajimaguchi,<br />
sulla terraferma, attendiamo il treno <strong>per</strong> Hiroshima. La sete e<br />
l’arsura dovute al polpo grigliato iniziano a farsi sentire: i bar<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
non esistono, ma sono presenti ovunque dei distributori<br />
automatici che vendono bevande di marche locali ed<br />
internazionali, compresa la ben nota lattina rossa che si trova<br />
in tutto il mondo. I giapponesi prediligono <strong>per</strong>ò prodotti di<br />
loro gusto, che spaziano dal tè verde freddo non zuccherato<br />
agli integratori salini. Fra questi ultimi è assai noto il Pocari<br />
Sweat, una gradevole bibita di colore opalescente, non<br />
gassata e con un leggero gusto citrato. Il nome inglese potrà<br />
sembrare vagamente inquietante: com’è ovvio non si tratta<br />
di “sudore” in bottiglia, bensì di una bevanda adatta agli<br />
sportivi che sudano.<br />
Alla stazione centrale di Hiroshima (ab. 1,2 milioni) il<br />
primo impegno concerne il ritiro del bagaglio, seguito dal<br />
trasferimento in taxi al nostro albergo, l’“Hotel 28”, la cui<br />
entrata si trova sul lato opposto di un isolato prospiciente<br />
l’Heiwa Ōdōri (Viale della Pace). Neppure il tempo di<br />
prendere possesso delle camere che siamo di nuovo <strong>per</strong><br />
strada: camminando di buon passo <strong>per</strong> circa 1 km (20 minuti)<br />
raggiungiamo l’Heiwa kinen kōen, il Parco della Pace dove<br />
si conservano le testimonianze, i sacrari ed i memoriali delle<br />
vittime della bomba atomica.<br />
La vicenda storica è tristemente nota: il 6 agosto 1945<br />
venne fatto deflagrare il primo ordigno nucleare della storia a<br />
scopo bellico, che causò la morte di un numero compreso tra<br />
le 150.000 e le 200.000 <strong>per</strong>sone, sia <strong>per</strong> gli effetti immediati<br />
del calore che <strong>per</strong> quelli a lungo termine delle radiazioni.<br />
Pur configurandosi come un crimine contro l’umanità, chi<br />
ha ordinato l’uso della bomba (nello specifico il presidente<br />
statunitense Harry Truman) non è mai stato punito, né<br />
è mai stato chiamato a giudizio presso alcun tribunale<br />
internazionale. Per contro, il primo ministro giapponese<br />
dell’epoca, il generale Tōjō, anch’egli responsabile della<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
morte di centinaia di migliaia di <strong>per</strong>sone durante la guerra,<br />
fu condannato a morte dal Tribunale Internazionale <strong>per</strong><br />
l’Estremo Oriente: com’è ovvio, <strong>per</strong> vincitori e vinti sono stati<br />
adottati trattamenti differenti. Qualcuno ha obiettato che<br />
questa fu la giusta ritorsione all’attacco di Pearl Harbor del<br />
1941. È <strong>per</strong>ò necessario ricordare che, se mai è esistita una<br />
«guerra giusta», quella fu un’azione strettamente militare,<br />
non paragonabile all’annientamento di un’intera città e<br />
dei suoi abitanti. Non si intende <strong>per</strong>ò effettuare in questa<br />
sede un’apologia del regime giapponese, <strong>per</strong>ché i crimini<br />
<strong>per</strong>petrati dal suo esercito nelle zone conquistate furono di<br />
un’atroce nefandezza; invece si cerca solo di rendere giustizia<br />
alle vite dei semplici cittadini che sono stati vittime della<br />
follia bellica.<br />
Il Parco della Pace sorge su una lingua di terra nel<br />
delta del fiume Ōta. L’area, corrispondente all’epicentro<br />
dell’esplosione, fu rasa al suolo ed appositamente mai<br />
ricostruita. Al giorno d’oggi vi trovano posto un museo<br />
e numerosi monumenti dedicati al ricordo del tragico<br />
avvenimento: questo pellegrinaggio civile inizia costeggiando<br />
il parco sul lato orientale, in riva al fiume. Nonostante spiri<br />
un’aria fredda (non più di 10-12 °C) i residenti non rinunciano<br />
al picnic sotto i ciliegi fioriti. Girato l’angolo, una struttura<br />
di vetro, pietra ed acciaio indica il punto esatto dove cadde<br />
la bomba. Nei pressi, a pochi passi di distanza, vi sono il<br />
sacrario con i nomi delle vittime, il cenotafio e la fiamma della<br />
pace, che verrà spenta (vana s<strong>per</strong>anza) solo quando al mondo<br />
non esisteranno più ordigni nucleari. Poco oltre si ode una<br />
campana <strong>per</strong>ennemente suonata a lutto dai visitatori, che<br />
costringe a soffermarsi <strong>per</strong> riflettere sul vero significato di<br />
questo luogo, gravato da un’atmosfera piuttosto lugubre che<br />
aleggia come una cappa di piombo.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Oltre il ponte Aioi campeggia l’immagine drammatica,<br />
presente su tutti i libri di storia, dell’unico edificio<br />
su<strong>per</strong>stite, conservato come monumento nazionale. La sua<br />
vicenda è significativa e denota che tali ferite storiche sono<br />
ancora a<strong>per</strong>te, al punto che in passato qualcuno lo avrebbe<br />
voluto abbattere <strong>per</strong>ché testimone di un passato troppo<br />
recente e tragico: non vi è famiglia in città che non abbia<br />
annoverato parecchi lutti e feriti.<br />
Nell’area crescono alcuni alberi di firmiana simplex,<br />
conservati con venerazione e tuttora vegeti, gli unici che<br />
resistettero all’onda d’urto e che con grande stupore<br />
germogliarono la primavera dell’anno successivo. Terminato<br />
il giro del Parco, si prosegue <strong>per</strong> il museo della bomba<br />
(ufficialmente denominato “museo della pace”): nella prima<br />
sezione sono descritte la storia e la vita della città prima del<br />
1945, mentre la seconda è incentrata sulle testimonianze e sui<br />
danni alle cose e alle <strong>per</strong>sone dovuti agli effetti dell’esplosione.<br />
Mi corre l’obbligo d’avvertire che queste sale contengono<br />
immagini e materiali scioccanti, talora truculenti, che non<br />
starò a descrivere in questa sede ma potenzialmente non<br />
adatti ad un pubblico sensibile. Talvolta si ha l’impressione<br />
che alcune rappresentazioni ad alto impatto emotivo siano<br />
state espressamente concepite <strong>per</strong> colpire la coscienza<br />
dei turisti, che <strong>per</strong> la maggior parte sono di nazionalità<br />
statunitense. Sarà una casualità<br />
Ad ogni modo, Hiroshima non si può evitare: non solo <strong>per</strong><br />
la rilevanza storica, ma anche <strong>per</strong>ché questa visita assume<br />
i contorni del pellegrinaggio laico. Non si è mai vaccinati a<br />
sufficienza verso quelle immagini di distruzione: <strong>per</strong> ogni<br />
individuo che abbia un minimo di coscienza non può essere<br />
una tappa indolore.<br />
Il ritorno verso l’albergo è stranamente silenzioso: tutti<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
noi, solitamente loquaci, siamo ora chiusi in un silenzio che<br />
esprime più di molte parole. Anche i nostri visi sono rabbuiati.<br />
Mi sforzo di pensare che sia colpa del freddo, ma nel profondo<br />
intuisco che non si tratta del freddo atmosferico, ma di quello<br />
dell’animo.<br />
La serata si risolleva al momento della cena: girovaghiamo<br />
a lungo <strong>per</strong> via della <strong>per</strong>severanza nel cercare un certo<br />
ristorante, presente sulla cartina turistica, chiamato Roku,<br />
che una volta individuato si è <strong>per</strong>ò rivelato troppo lussuoso<br />
<strong>per</strong> le nostre tasche. Alla fine scopriamo fortunatamente<br />
un ristorante di Okonomiyaki, specialità di Hiroshima<br />
costituita da una grossa frittata, servita insieme alle più<br />
disparate pietanze saltate sulla piastra. Ordino la versione<br />
locale, con tagliolini e salsa teriyaki. Gli altri provano<br />
versioni differenti: con il cavolo, le cipolle ed addirittura con<br />
le cozze e le ostriche. L’uso dei molluschi in cucina è tipico<br />
della zona <strong>per</strong> via dei numerosi allevamenti presenti nella<br />
baia di Hiroshima.<br />
La finestra della nostra stanza d’albergo è esposta a<br />
settentrione ad un piano alto, con vista sui tetti dei palazzi<br />
contigui e più in lontananza sulle colline che contornano<br />
l’agglomerato urbano. Si nota subito l’impiego, data la<br />
mancanza di spazio a terra, di molti tetti piani come parcheggi<br />
<strong>per</strong> le automobili: un apposito montacarichi ne <strong>per</strong>mette la<br />
facile mobilizzazione.<br />
È ormai l’ora del giusto riposo: domani sarà una lunga<br />
tappa di 600 km ed oltre verso nord-est, sull’altra sponda del<br />
paese.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Interno dello shinkansen (serie N700)<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Isola di Itsukushima (Miyajima)<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Hiroshima, l’unico edificio su<strong>per</strong>stite<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
8 aprile<br />
Dall’oceano Pacifico al mar del <strong>Giappone</strong><br />
D<br />
i buon mattino, dopo il solito tè in camera, ci ritroviamo<br />
nella hall dell’albergo ad attendere il taxi <strong>per</strong> la<br />
stazione. Lo Shinkansen 540 “Sakura” delle 8.15, proveniente<br />
da Hakata e diretto a Shin-Ōsaka, parte ovviamente puntuale<br />
(che noia...): sul treno qualcuno di noi sonnecchia, qualcun<br />
altro naviga sull’internet col palmare, altri ancora guardano<br />
il panorama fuori dai finestrini. Si scorgono i tetti delle case<br />
rurali di questa regione, che presentano grosse tegole scure<br />
lucide, con delle colorazioni che variano dal marrone al blu<br />
scuro e danno un tocco caratteristico al paesaggio agricolo,<br />
che parrebbe altrimenti monotono.<br />
A Shin-Ōsaka (ore 9.44) scendiamo dal treno ad<br />
alta velocità del Sanyō <strong>per</strong> prendere la linea ordinaria<br />
dell’Hokuriku. Il limited express “Thunderbird” n.13 parte<br />
alle 10.16, transitando <strong>per</strong> Kyōto e lasciandosi alle spalle<br />
il Kansai. Costeggiamo a lungo le sponde del lago Biwa,<br />
costellate d’isolate casette immerse nella campagna e nelle<br />
risaie. I trattori arano la terra, mentre in lontananza i<br />
contadini bruciano cumuli di fascine sollevando colonne di<br />
fumo bianco.<br />
Una galleria di oltre 10 km sotto le Alpi preannuncia<br />
il passaggio sull’altro versante e la discesa verso il mar del<br />
<strong>Giappone</strong>.<br />
Meglio affrettarsi a pranzare prima di scendere: il bentō<br />
che ho acquistato in stazione contiene riso, carne e verdure<br />
(carote, patate, mais, fagiolini). Naturalmente nella scatola<br />
non sono presenti le posate, ma solo le bacchette di bambù.<br />
Il contenitore è caratteristico e variopinto: ancora adesso mi<br />
pento di non averlo tenuto. D’altronde, quando si viaggia con<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
tutto appresso, non si può conservare ogni cosa.<br />
L’arrivo a Kanazawa (ab. 455.000) avviene come<br />
previsto alle 12.58. L’edificio della stazione è moderno, con<br />
un occhio al passato riletto in chiave futuristica: all’ingresso<br />
è presente un monumento in legno (Tsuzumimon) che<br />
ricorda un grosso torii stilizzato. Nelle vicinanze trova posto<br />
una strana fontana che disegna con i suoi zampilli le cifre di<br />
un orologio e di un datario digitale, facendo poi apparire la<br />
scritta “welcome to Kanazawa”.<br />
L’hotel Castle Inn non è distante e si può raggiungere<br />
tranquillamente a piedi, anche con i trolley al seguito.<br />
Come di consueto usciamo immediatamente <strong>per</strong> la<br />
visita alla città. Appena dietro l’albergo quasi <strong>per</strong>diamo<br />
l’orientamento in un dedalo di stradine dentro ad un quartiere<br />
popolare fatto di casette di due piani al massimo.<br />
Ritrovato il viale principale, ancora poche centinaia di<br />
metri ci separano dal mercato co<strong>per</strong>to di Omicho, risalente<br />
all’epoca Edo. La maggior parte dei negozi e delle bancarelle<br />
vende prodotti di mare, ma non mancano la carne, la verdura<br />
e la frutta.<br />
Le mura del castello (jo) si raggiungono dopo un ulteriore<br />
mezzo chilometro a piedi. Entrando attraverso l’ingresso<br />
settentrionale, dopo una breve salita si apre una grande<br />
spianata erbosa, che lascia spaziare la visuale verso le<br />
colline alle spalle della città. Su questo versante del paese,<br />
assai freddo e umido, l’aspetto della vegetazione è ancora<br />
decisamente invernale. Numerosi corvidi volano gracchiando<br />
da una chioma all’altra sugli altissimi alberi che crescono ai<br />
margini dei bastioni.<br />
A lato si erge la rocca del castello di Kanazawa, fondato<br />
nel 1583 dalla famiglia Maeda, feudataria di questi luoghi.<br />
La struttura è stata ricostruita parecchie volte in seguito a<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
vari incendi. A causa della chiusura di alcuni viali <strong>per</strong> lavori<br />
di restauro, non riusciamo ad attraversare diametralmente<br />
il parco, ma siamo costretti a chiedere indicazioni <strong>per</strong><br />
aggirare l’ostacolo. Ci vengono in soccorso alcuni giapponesi<br />
in vacanza che, pur non conoscendo una parola d’inglese, ci<br />
accompagnano fino al cancello di sud-est (Ishikawa-mon).<br />
Da qui attraversiamo il ponte sopra quello che un tempo era<br />
il fossato, ora trasformato in un’arteria stradale. Dall’altro<br />
lato si trova l’ingresso del Kenroku-en, uno dei giardini più<br />
noti del paese.<br />
Il giardino giapponese trae origine dalla tradizione cinese<br />
del <strong>per</strong>iodo Sòng (960–1279) ed è retto dal concetto della<br />
ricostruzione miniaturizzata ed idealizzata di un paesaggio<br />
e di un ambiente naturale. La struttura è regolata da sei<br />
attributi fondamentali (da cui il nome Kenroku-en) che<br />
devono essere in <strong>per</strong>fetto equilibrio fra loro: spaziosità,<br />
seclusione, artificiosità, antichità, presenza di acque e<br />
ricchezza di panorami. A prima vista la disposizione delle<br />
piante e degli specchi d’acqua può dare l’impressione d’essere<br />
frutto della casualità, ma uno sguardo più approfondito può<br />
notare che ogni minimo dettaglio è funzionale ad un’esigenza<br />
di paesaggio o di prospettiva. Anche le modalità di potatura<br />
rispondono a dei rigidi canoni estetici: il gusto cinese si<br />
riscontra in particolar modo nella costrizione delle piante in<br />
forma “patente” o “piangente”, un artificio che vede pruni,<br />
ciliegi ed addirittura pini steccati, legati e fasciati, ormai<br />
irriconoscibili rispetto alle loro forme originali. La mano<br />
dell’uomo deve intuirsi, ma al contempo deve sembrare quasi<br />
invisibile: ogni tanto la rivela una lanterna che spunta dietro<br />
un cespuglio, oppure una piccola pagoda ai margini di un<br />
laghetto, formando una composizione che pare o<strong>per</strong>a di un<br />
pittore o di un poeta cinese dell’XI secolo.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Invece la tradizione europea dei giardini, dove l’intervento<br />
dell’uomo è palese, è del tutto differente: passeggiando fra i<br />
viali di Boboli (Firenze) si può comprendere che nel nostro<br />
giardino, eccezion fatta <strong>per</strong> alcuni esempi anglosassoni, la<br />
vegetazione non costituisce altro che materia informe da<br />
plasmare ed ordinare secondo concetti cartesiani. Si potrebbe<br />
quindi affermare che, mentre il giardino rinascimentale<br />
europeo piega la natura alla logica ed alla geometria, quello<br />
giapponese la sublima nella poesia e nella filosofia.<br />
La costruzione del Kenroku-en, originariamente il giardino<br />
esterno del castello, è iniziata nel XVII secolo ed è proseguita<br />
fino agli anni ‘20 del XIX secolo, con il completamento della<br />
struttura attuale. L’a<strong>per</strong>tura al pubblico risale al 1874, in<br />
seguito alla soppressione del feudalesimo nell’ambito delle<br />
riforme dell’era Meiji.<br />
Il nostro itinerario inizia dall’ingresso di Katsurazaka con la<br />
visita delle aree di Sakuragaoka (ciliegiaia) e di Tokiwagaoka<br />
(ove si trova la fontana più antica del <strong>Giappone</strong>) <strong>per</strong> poi<br />
costeggiare il lato nord dalla parte del laghetto Kasumigake<br />
e del belvedere. Il <strong>per</strong>corso prosegue in senso orario verso<br />
l’area di Chitosedai <strong>per</strong> terminare al Pruneto giapponese ed<br />
al cancello di Zuishinzaka.<br />
Per mezzo della linea Kikugawa, segnata in rosso sulla<br />
mappa turistica (fermata n.20), ci spostiamo di 1 km verso<br />
sud in direzione del quartiere di Nagamachi. Scendiamo alla<br />
fermata n.1, camminando <strong>per</strong> 500 m attraverso una zona di<br />
casette di legno, delimitate da muri di pietra e fango, affiancate<br />
da rogge che corrono ai lati delle strade. Questo luogo era<br />
una volta abitato prevalentemente dai samurai riuniti sotto<br />
la bandiera dei feudatari Maeda: alcune case sono ancora di<br />
proprietà dei discendenti dei guerrieri d’un tempo, altre sono<br />
invece conservate come monumenti e musei. In uno di questi<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
vicoli transita un gruppo di ragazze abbigliate in kimono,<br />
prese letteralmente d’assalto dalle macchine fotografiche di<br />
una comitiva d’arabi. Se da un lato i giapponesi sono assai<br />
disponibili, questo è <strong>per</strong>lopiù dovuto alle norme sociali e non<br />
ad un’innata simpatia verso il prossimo: meglio dunque non<br />
abusare della loro pazienza.<br />
L’antica residenza della famiglia Nomura, ora museo, è fra<br />
quelle visitabili l’esempio più chiaro delle case dei samurai.<br />
Abitata dalla stessa famiglia <strong>per</strong> dodici generazioni, con la<br />
fine del sistema shōgunale passò di mano <strong>per</strong> essere rilevata,<br />
anni più tardi, dall’imprenditore Kubo Hikobei. Questo<br />
mecenate arricchì la dimora della preziosa sala chiamata<br />
Jyōdan-no-ma, contenente tarsie in legno di rosa ed<br />
avorio, oltre a numerosi paraventi dipinti da Sasaki Senkei<br />
(1650–1723), pittore della scuola Kanō. Notevole è inoltre<br />
il giardino, puramente decorativo, che riesce a condensare<br />
gli elementi fondamentali descritti in precedenza, seppur in<br />
ambito molto ristretto. L’integrazione tra l’interno e l’esterno<br />
dell’abitazione è pressoché totale: l’ubicazione di ogni<br />
a<strong>per</strong>tura è studiata in modo che all’osservatore si presenti<br />
uno scorcio sempre differente del giardino, su cui si affaccia<br />
l’immancabile porticato (engawa), fonte di refrigerio durante<br />
i giorni e le serate di calura estiva.<br />
Terminata la visita, dalla fermata 7 della linea Zaimoku<br />
(verde) ci dirigiamo a nord-ovest verso Higashi Kuruwa,<br />
storico quartiere di geisha e case da tè fondato nel 1820<br />
dal governo feudale locale. Alla fermata 20, attraversato il<br />
ponte Ume sul fiume Asano con il sole ormai al tramonto,<br />
<strong>per</strong>corriamo ancora poche centinaia di metri dentro a degli<br />
strettissimi vicoli fra modeste casette con vasi di fiori e piante<br />
posti all’esterno. Nelle case si accendono le luci, mentre<br />
profumi di riso e di pietanze iniziano a diffondersi <strong>per</strong> l’aria.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Un bambino corre fuori dell’uscio e, nell’attesa del lauto<br />
pasto, si diverte a giocare coi coetanei, rincorrendo qualche<br />
gatto: la combriccola, capeggiata dal lesto felino, scompare<br />
velocemente dietro l’angolo.<br />
All’improvviso si apre la strada principale, fiancheggiata<br />
su entrambi i lati dagli edifici di legno delle case da tè. Nella<br />
Shima (isola), una delle più prestigiose, i membri delle<br />
classi agiate come mercanti e letterati venivano a trascorrere<br />
qualche ora nell’ozio e nei piaceri, dilettandosi con il canto, la<br />
musica, la poesia e la cerimonia del tè.<br />
La Shima è classificata come “importante proprietà<br />
culturale del <strong>Giappone</strong>”, ma è addirittura difficile<br />
individuarne l’entrata, poiché non reca alcun’insegna, né<br />
ha caratteri esterni sufficientemente appariscenti che la<br />
possano distinguere dalle altre case di legno schierate ai lati<br />
della strada. Chiedendo ad un passante, ci viene indicato<br />
un ingresso sovrastato da due lanterne di carta. All’interno<br />
dobbiamo toglierci le scarpe e lasciarle nel guardaroba<br />
insieme alle borse ed agli zaini. Non è ammessa l’introduzione<br />
di macchine fotografiche reflex, ma è tollerato l’uso di quelle<br />
compatte. A malincuore devo dunque lasciare in custodia<br />
il “cannone” (come viene chiamato scherzosamente da<br />
un compagno di viaggio) e farmi prestare una fotocamera<br />
compatta. I piani dell’edificio sono due: in quello su<strong>per</strong>iore, di<br />
rappresentanza, la geisha riceveva ed intratteneva gli ospiti.<br />
L’ambiente è molto riservato, con piccole stanze rischiarate<br />
dalla luce di qualche lanterna. Il legno che riveste le pareti è in<br />
larga parte rico<strong>per</strong>to di lacca, mentre nei tokonoma (nicchie<br />
dove si espongono le o<strong>per</strong>e d’arte) pendono gli emakimono,<br />
rotoli di pregevoli calligrafie che sovrastano fini composizioni<br />
di ikebana. Il piano inferiore è invece di servizio e vi trovano<br />
posto lo spogliatoio, l’ufficio, la cucina, il bagno ed il giardino.<br />
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57<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Poco oltre, nella stessa strada, vi è un negozio che vende<br />
solo oggetti placcati di sottilissimi fogli d’oro: potrà sembrare<br />
pacchiano, ma è una curiosità unica nel suo genere.<br />
Ormai le serrande delle botteghe chiudono, segno che<br />
è ora di ritornare sui nostri passi. Dopo un quarto d’ora di<br />
cammino attraverso un quartiere di <strong>per</strong>iferia, raggiungiamo<br />
la fermata 13 della linea Konohana (viola). Con un tempismo<br />
<strong>per</strong>fetto riusciamo a prendere l’autobus delle 18.30, l’ultimo<br />
della giornata, che ci porta direttamente di fronte al nostro<br />
albergo.<br />
Mentre mi trovo sotto la doccia, già insaponato, qualcuno<br />
di noi bussa alla porta della camera <strong>per</strong> chiedere se vogliamo<br />
scendere all’onsen (il bagno termale tradizionale). Purtroppo<br />
sono le 19.30, già tardi <strong>per</strong> gli orari serali giapponesi: molti<br />
ristoranti, specie quelli degli alberghi, smettono di accettare<br />
clienti tra le 20.30 e le 21, <strong>per</strong> chiudere i battenti entro un’ora<br />
al massimo. Alcuni si avviano dunque all’onsen, mentre a me<br />
tocca rinunciare <strong>per</strong> non saltare la cena.<br />
Dopo mezz’ora di <strong>per</strong>egrinazione siamo ripagati nello<br />
scovare un izakaya, definito talvolta come “pub giapponese”,<br />
in realtà un tipo di locale senza equivalenti nel resto del<br />
mondo. L’interno è suddiviso in varie stanzette separate da<br />
pareti di legno dove i commensali si ritrovano, oltre che <strong>per</strong><br />
mangiare e bere, <strong>per</strong> rimanere qualche ora a chiacchierare<br />
e scherzare con tranquillità. La clientela, prevalentemente<br />
maschile, è costituita da gruppi di amici e colleghi di lavoro,<br />
ma in tempi più recenti anche le donne hanno iniziato a<br />
frequentarli.<br />
Il menù comprende delle portate che ben si adattano alla<br />
birra ed al sake come carne alla piastra, yakitori (spiedini di<br />
pollo), takoyaki (polpette di polpo), sushi, fritti ecc.<br />
In questi locali non ci si sazia come nei ristoranti, ma si<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
tratta di un’interessante es<strong>per</strong>ienza di vita locale che non<br />
dovrebbe mancare in un viaggio in <strong>Giappone</strong>.<br />
Sulla via del ritorno spira una brezza fredda. Mi guardo<br />
intorno: poche auto, <strong>per</strong>sone ancora meno. A volte emerge<br />
l’idea che il <strong>Giappone</strong> sia un paradiso della vita notturna:<br />
questo è in larga misura falso <strong>per</strong>ché, a parte nelle grandi città<br />
come Ōsaka e Tōkyō, dove i locali sono concentrati in alcuni<br />
quartieri, i piccoli ed i medi centri diventano semideserti<br />
dopo le 22, con quasi tutti gli esercizi ormai sprangati. Vita<br />
dura dunque <strong>per</strong> gli appassionati delle ore piccole: a tal<br />
proposito posso riferire dell’infelice es<strong>per</strong>ienza di alcuni<br />
membri di un gruppo precedente che, in vena di far baldoria<br />
la notte a Tōkyō, si sono invece ritrovati a vagare in piena<br />
notte <strong>per</strong> le strade vuote, costretti poi a tornare all’albergo<br />
a piedi <strong>per</strong> mancanza di mezzi pubblici (la metropolitana<br />
chiude a mezzanotte e riapre alle cinque del mattino). Cari<br />
amanti della movida, siete dunque avvertiti: il <strong>Giappone</strong> non<br />
è vostra la meta d’eccellenza!<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Kanazawa: giardini del Kenroku-en<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Kanazawa: quartiere di Higashi Kuruwa<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
9 aprile<br />
Passaggio sulle Alpi giapponesi<br />
Questa mattina disponiamo di un ampio margine di<br />
tranquillità: il primo treno utile passa a mezzogiorno,<br />
<strong>per</strong>ciò ognuno è libero di trascorrere la mattinata in<br />
autonomia.<br />
Non avendo potuto s<strong>per</strong>imentare l’onsen ieri sera, ma<br />
neppure avendo rinunciato all’idea, decido di scendere<br />
al bagno. Al mattino non è il momento più usuale, ma in<br />
compenso c’è meno folla e l’acqua delle vasche è più pulita.<br />
L’onsen è un’istituzione della cultura giapponese,<br />
paragonabile solamente alle terme dell’antica Roma: la gente<br />
viene al bagno pubblico dopo una giornata di lavoro <strong>per</strong><br />
rilassarsi, chiacchierare e tessere rapporti sociali, secondo<br />
un preciso costume che va ben oltre la mera pulizia del corpo.<br />
Come ha rilevato l’etnologo Fosco Maraini (1912–2004),<br />
in Europa il bagno è incentrato sul concetto di lavaggio,<br />
simile ad una profilassi medica, foriera sin dal medioevo di<br />
un’atavica diffidenza (rimuovere lo sporco <strong>per</strong> scongiurare le<br />
malattie). La stanza da bagno europea, compressa e segregata<br />
nell’angolo più buio della casa, deve celarsi come una vergogna<br />
alla vista degli eventuali ospiti. Quella giapponese invece,<br />
ove si disponga di spazio sufficiente, è ampia e luminosa,<br />
tradizionalmente in legno come il resto dell’edificio se in<br />
ambito rurale. La vasca è preferibilmente di cipresso, che a<br />
contatto con l’acqua calda diffonde la sua essenza in tutto<br />
l’ambiente. Purtroppo, con la sovrappopolazione delle città e<br />
la riduzione degli spazi abitabili, queste antiche finezze sono<br />
diventate un lusso <strong>per</strong> pochi.<br />
Nel bagno pubblico entra poi in gioco un altro concetto<br />
culturale, quello dell’atteggiamento verso il nudo: la<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
civiltà europea considera la nudità come peccato <strong>per</strong> ragioni<br />
strettamente legate alla religione, che impone l’inscindibilità<br />
fra il corpo umano e la sfera della sessualità. Ai giapponesi<br />
invece, del tutto estranei a questa logica, il corpo nudo di<br />
un estraneo non suscita particolari reazioni: «gli esseri<br />
umani sono fatti tutti allo stesso modo», direbbero, «<strong>per</strong>ché<br />
dovremmo scandalizzarci». La visione culturale della<br />
nudità è diametralmente opposta anche nel campo delle<br />
rappresentazioni figurative: in Europa il nudo non è ammesso<br />
nella vita, ma è presente nell’arte fin dai tempi dell’antica<br />
Grecia. In <strong>Giappone</strong> invece (e più generalmente in Asia) è<br />
ammesso nella vita ma disdicevole nell’arte: <strong>per</strong> i giapponesi<br />
in trasferta nel Vecchio Continente è sempre fonte di vivo<br />
stupore il connubio tra il rigido moralismo cristiano e la<br />
presenza nelle nostre piazze, nei nostri musei e nelle nostre<br />
gallerie di o<strong>per</strong>e che ben poco lasciano all’immaginazione<br />
(come esempio si può citare il David di Michelangelo).<br />
Esistono vari tipi di bagni: pubblici, privati, termali o<br />
meno (detti sentō se alimentati da acqua comune), situati in<br />
città, in campagna o in montagna, al chiuso o all’a<strong>per</strong>to. Può<br />
accadere che alcuni alberghi, come il nostro, ne abbiano uno<br />
riservato agli ospiti.<br />
Come prevede il rituale, mi vesto già in camera con la<br />
yukata, infilo le ciabatte di plastica e ripongo il necessario<br />
<strong>per</strong> la doccia in un catino. Nel corridoio incontro un altro<br />
compagno di viaggio che ha avuto la mia stessa idea <strong>per</strong><br />
sfruttare la mattinata nel modo migliore. La zona maschile<br />
e quella femminile sono separate fin dall’ingresso, oltre il<br />
quale si trova un’anticamera celata da un tendone: qui ci si<br />
spoglia completamente lasciando la yukata, le ciabatte e gli<br />
altri oggetti <strong>per</strong>sonali in un armadietto, di cui ci si lega la<br />
chiave al polso. Si tiene con sé solo il catino con la spugna, il<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
sapone ed un piccolo asciugamano <strong>per</strong> coprire le parti intime<br />
(utile quando si transita fuori dalle vasche). A questo punto<br />
si procede al lavaggio: lungo una parete sono allineati vari<br />
rubinetti miscelatori dotati di doccia. Una volta individuata<br />
una postazione libera, ci si accomoda su uno sgabello<br />
<strong>per</strong> lavarsi da seduti, energicamente, avendo cura di non<br />
schizzare eccessivamente il vicino. Terminata l’o<strong>per</strong>azione, ci<br />
si può immergere nel daiyokujō, la grande vasca comune con<br />
acqua riscaldata ad oltre 45 °C. Il piccolo asciugamano è utile<br />
<strong>per</strong> tamponare il sudore della fronte: alcuni lo lasciano al<br />
bordo della vasca, mentre altri lo tengono direttamente sulla<br />
testa. Data l’elevata tem<strong>per</strong>atura è consigliabile alternare<br />
le immersioni, non più lunghe di qualche minuto, ad una<br />
doccia fresca. In molti onsen, compreso il nostro, è presente<br />
una vasca all’aria a<strong>per</strong>ta (rotenburō), che in questo contesto<br />
urbano si trova sotto ad una veranda, celata dall’esterno <strong>per</strong><br />
mezzo di una palizzata di canne. Il déhors è collegato alla<br />
struttura interna attraverso una porta scorrevole. Nelle zone<br />
rurali si possono invece trovare dei rotenburō completamente<br />
all’a<strong>per</strong>to, costituiti da vasche naturali di roccia situate in<br />
mezzo alla natura: in genere sono annessi ai vecchi ryōkan<br />
(strutture ricettive tradizionali) a gestione familiare, assai<br />
onerosi <strong>per</strong> le tasche di un utente medio.<br />
Terminata la spola tra le vasche, avendo ormai accumulato<br />
sufficiente calore, mi avvio allo spogliatoio rivestendomi con<br />
la yukata, <strong>per</strong>ò… non ricordo più il numero della nostra<br />
camera! Vago un po’ <strong>per</strong> i corridoi, con indosso solo vestaglia<br />
e ciabatte, reggendo in mano il catino, fino a quando non<br />
trovo un’addetta alle pulizie, alla quale domando in inglese<br />
d’indicarmi cortesemente «il piano del gruppo degli italiani».<br />
La risposta è stata esaustiva, ma la mia magra figura l’ho fatta<br />
lo stesso.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Abbiamo ancora un po’ di tempo a disposizione <strong>per</strong> degli<br />
acquisti di generi alimentari al mercato di Omicho, più che<br />
altro frutta da consumare durante il viaggio. Sul <strong>per</strong>corso ci<br />
fermiamo al tempio buddhista di Higashi Betsu, poco noto<br />
ma interessante <strong>per</strong> la ricchezza delle costruzioni lignee, fra<br />
cui i portali d’accesso al cortile.<br />
Ritrovo in albergo alle 11: la stazione non è lontana, poco<br />
più di cinque minuti di cammino. Debbo anche andare in<br />
cerca di un bentō <strong>per</strong> il pranzo, ma la scelta non è molto<br />
varia: meglio ripiegare su una delle panetterie che vendono<br />
focacce, quiches e “pizzette” (commestibili). Nell’attesa del<br />
treno, mi cade l’occhio su uno dei numerosissimi distributori<br />
automatici di caffè in lattina: un po’ di caffeina sferzerà la<br />
fiacchezza dovuta all’onsen. Scelgo un “espresso”, introduco<br />
la moneta e ritiro il prodotto ma… è freddo! Riesco a<br />
sorseggiarlo solo dopo averlo stem<strong>per</strong>ato un po’ con il calore<br />
della mano. Nonostante la sorpresa, non rimango deluso<br />
<strong>per</strong>ché è di buona qualità. Nei distributori, come ho imparato<br />
a mie spese, l’unico segno di distinzione tra una bevanda<br />
calda ed una fredda è costituito da un segno di colore rosso<br />
o blu, esposto in genere vicino al prezzo. È necessaria una<br />
particolare attenzione all’atto dell’acquisto <strong>per</strong>ché i prodotti<br />
a tem<strong>per</strong>atura ambiente quasi non esistono: sono venduti<br />
riscaldati oppure refrigerati.<br />
Nel frattempo due ragazze, che dall’aspetto paiono<br />
commesse di un negozio, si aggirano con fare trafelato tra le<br />
banchine dei treni, mostrando un oggetto a destra e a manca.<br />
La gente lo osserva e scuote la testa. Correndo e gesticolando,<br />
puntano verso di noi: il misterioso oggetto è il portafoglio di<br />
un nostro compagno, individuato grazie ad una fototessera<br />
al suo interno, che viene restituito al proprietario con tanto<br />
di inchini e sorrisi. Terminata con successo la loro sacra<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
missione, le commesse sono ritornate al lavoro visibilmente<br />
felici e rasserenate.<br />
Intanto, il limited express Shirasagi n.3 <strong>per</strong> Toyama è in<br />
forte ritardo: previsto alle 11.54, arriva addirittura alle 12.05.<br />
Se si fosse trattato di un treno ad alta velocità, vi sarebbe stata<br />
la possibilità del rimborso del biglietto. A Toyama, stazione di<br />
cambio, attendiamo il limited express Hida n.14 delle 13.02.<br />
Lasciamo alle spalle il mar del <strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> salire sulle Alpi<br />
mediante una linea ferroviaria non elettrificata a binario<br />
semplice. Ormai la città si esaurisce con gli ultimi condominî:<br />
inizialmente il <strong>per</strong>corso corre in pianura attraverso un<br />
paesaggio di campagna solcato da numerosi corsi d’acqua,<br />
assai antropizzato, con parecchi paesi e stazioni. D’un tratto<br />
iniziano i rilievi: il trenino a gasolio s’instrada nella valle<br />
del Jinzu-gawa e pare arrancare tra gole, viadotti, pareti<br />
scoscese e gallerie. Le latifoglie lasciano lentamente il campo<br />
alle conifere, mentre <strong>per</strong> terra compare la prima neve.<br />
Alle 14.33 raggiungiamo Takayama (ab. 95.000, m 600),<br />
città situata quasi a cavallo dello spartiacque tra i due versanti<br />
del <strong>Giappone</strong>. Nonostante la scarsa altitudine, è considerata<br />
località montana <strong>per</strong> via delle correnti fredde di derivazione<br />
siberiana e delle abbondanti nevicate, che rendono l’intera<br />
regione dell’Hida assai nota <strong>per</strong> gli sport invernali. Dopo<br />
un veloce passaggio all’ufficio turistico <strong>per</strong> ottenere delle<br />
mappe dettagliate, <strong>per</strong>corriamo un breve tratto a piedi fino<br />
al Country Hotel Takayama, una buona sistemazione, anche<br />
se le camere sono notevolmente piccole: poco più della<br />
larghezza di due letti.<br />
Appena il tempo necessario ad approntare un itinerario<br />
di massima, che il giro della città può iniziare: la prima meta<br />
è l’Hida Kokubun-ji, il più antico tempio di Takayama,<br />
costruito nel 746 dall’im<strong>per</strong>atore Shōmu <strong>per</strong> assicurare pace<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
e pros<strong>per</strong>ità alla nazione. La parte che ha maggiormente<br />
resistito alle ingiurie del tempo è la sala principale, risalente<br />
al XVI secolo, mentre l’adiacente pagoda a tre piani è stata<br />
ricostruita nel 1821 durante il <strong>per</strong>iodo Edo. Nel cortile si può<br />
ammirare un antico esemplare di ginkgo biloba di 1200 anni,<br />
piantato all’epoca della fondazione del tempio.<br />
Poco oltre, un negozietto vende i taiyaki, biscotti a forma<br />
di pesce ripieni di marmellata di fagioli rossi azuki, che<br />
li caratterizzano con una consistenza pastosa ed un gusto<br />
lievemente dolce.<br />
Dopo mezzo chilometro in direzione sud attraverso un<br />
quartiere di stradine e casette, compare ad una svolta il muro<br />
<strong>per</strong>imetrale del Takayama Jinya, storica residenza del<br />
governatore della provincia dell’Hida, l’unico palazzo ad uso<br />
civile d’epoca Tokugawa ad essersi conservato fino ai giorni<br />
nostri. Originariamente edificato dal feudatario Kanamori<br />
come residenza privata, nel 1629 fu adibito dallo shōgun<br />
Tokugawa Iemitsu a dimora del proprio emissario. Dal 1777<br />
fino alla rivoluzione Meiji fu sede del governo locale, ma<br />
continuò ad essere utilizzato <strong>per</strong> gli uffici di vari enti pubblici<br />
fino al 1969.<br />
Attualmente il complesso è classificato come bene storico<br />
ed è stato quasi interamente restaurato al suo stato originale<br />
del <strong>per</strong>iodo Edo.<br />
I tetti sono rivestiti di scandole <strong>per</strong> via delle copiose<br />
precipitazioni nevose e dell’abbondanza della produzione di<br />
legname proveniente dai fitti boschi della zona.<br />
Ovunque, dalle lanterne poste all’entrata, ai tendoni, agli<br />
intagli lignei, campeggia il mon (emblema) di Casa Tokugawa<br />
raffigurante il fiore della malva rosa (alcea rosea o malvone).<br />
L’interno, sobrio come si addice al quartier generale di<br />
un capo militare, conta vari edifici collegati da porticati,<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
inframmezzati da cortili di ghiaia e giardinetti. L’impiantito<br />
è composto da centinaia di metri di tatami, sul quale si deve<br />
camminare scalzi. I porticati sono riparati dal sole estivo <strong>per</strong><br />
mezzo di stuoie di canne palustri, che ombreggiano l’ambiente<br />
lasciando al contempo circolare l’aria. L’arredo delle stanze è<br />
diversificato in base al rango dell’occupante: dal tokonoma<br />
con preziose calligrafie <strong>per</strong> l’attendente dello shōgun, al più<br />
umile braciere con il bollitore del tè nei quartieri della servitù.<br />
Un’intera ala del palazzo è dedicata al museo che espone<br />
abiti, armi, monete ed o<strong>per</strong>e d’arte relative al <strong>per</strong>iodo del<br />
governatorato (ca. 1629–1868).<br />
Oltrepassato il fiume Miya, a meno di un chilometro<br />
di distanza, sorge la città vecchia di Sanmachi Suji,<br />
comprendente le vie Ichinomachi, Ninomachi e Sannomachi,<br />
fiancheggiate da case di legno a due piani e botteghe a<br />
pianterreno. Alcune attività, come le distillerie artigianali<br />
di sake e di birra, sono riconoscibili da una grossa palla di<br />
aghi di pino posta sopra l’ingresso. La birra, assai apprezzata,<br />
non deriva <strong>per</strong>ò dalla tradizione, essendo stata introdotta<br />
in <strong>Giappone</strong> dagli europei solo a metà ‘800. I ristoranti ed<br />
i negozi d’antiquariato sono invece prevalentemente rivolti<br />
al turismo di massa. Altre attività artigianali spaziano dai<br />
produttori di miele a quelli di miso, la “minestra nazionale”<br />
di spessa consistenza e media salatura dal gusto di soia ed<br />
alghe: oltrepassata la soglia del negozio, con i consueti cori di<br />
irasshaimase~ (“benvenuti”) da parte dei proprietari, siamo<br />
invitati alla degustazione servendoci da un pentolone nel<br />
quale ribolle la scura brodaglia. Purtroppo la specialità non<br />
incontra il palato di molti europei, anche se <strong>per</strong>sonalmente<br />
posso dire di averla apprezzata.<br />
Le case del centro storico sono intervallate da alcune<br />
strane rimesse, molto alte e strette: vi si custodiscono i<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
variopinti carri (yatai) che sfilano due volte l’anno, ad aprile<br />
e ad ottobre, in occasione della festa del paese. Poco oltre,<br />
un artigiano è intento a fabbricare tatami nel suo laboratorio<br />
con grande concentrazione: neppure si accorge d’essere<br />
osservato.<br />
Qualche centinaio di metri verso nord-est, ai margini delle<br />
colline, vi è il santuario di Sakurayama Hachiman-gū: la<br />
leggenda vuole che sia stato fondato nel IV secolo, in seguito<br />
al voto di un guerriero <strong>per</strong> aver sconfitto un demonio; in realtà<br />
le fonti storiche rivelano che fu consacrato alla protezione<br />
della città nell’anno 1683. A questo luogo è dedicata la<br />
festività autunnale che cade tra il 9 e il 10 ottobre. Quella<br />
primaverile invece, dedicata al santuario di Hie, si tiene dal<br />
14 al 15 aprile.<br />
È tardo pomeriggio e la luce radente del sole al tramonto<br />
inonda il cortile del santuario, ormai deserto, tingendo di<br />
rosso il monumentale torii di legno all’entrata. Si ode solo il<br />
vento tra i pini e lo sciabordio dell’acqua nel fontanile delle<br />
abluzioni. Sui battenti del portone e sulle banderuole che lo<br />
ornano è raffigurato il fiore di ciliegio: non a <strong>caso</strong> il significato<br />
del nome Sakurayama è “poggio dei ciliegi”. Un grosso leone<br />
di pietra dai tratti grotteschi guarda beffardo verso di noi,<br />
stanchi ed infreddoliti: sarà uno di quei kami che si prendono<br />
burla degli esseri umani<br />
È giunta l’ora di rientrare, ma solo <strong>per</strong> una doccia ed un breve<br />
momento di riposo. Questa sera, data la parsimonia sinora<br />
praticata sulla cassa comune, abbiamo agio di concederci<br />
l’uscita al Suzuya, un locale in stile tradizionale di livello<br />
medio-alto (kaiseki-ryōri), le cui specialità sono il miso e la<br />
carne dell’Hida. Entriamo attraverso un tendone e veniamo<br />
condotti in una sala con tatami ed un basso tavolo di legno al<br />
centro. Lasciamo le scarpe ai margini e ci accomodiamo <strong>per</strong><br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
terra sugli zabuton (cuscini), infilando le gambe in un incavo,<br />
fatto apposta <strong>per</strong> non rimanere anchilosati.<br />
La carne dell’Hida, famosa a livello nazionale ma forse<br />
meno conosciuta dagli stranieri rispetto a quella di Kōbe,<br />
come tutte le carni pregiate giapponesi è apprezzata <strong>per</strong><br />
una serie di striature lipidiche reticolari, che la rendono più<br />
grassa e profondamente dissimile dalla nostra. In genere<br />
viene cucinata alla piastra o alla griglia. Le fette sono sempre<br />
sottili, quando non sottilissime: non esiste alcun taglio<br />
assimilabile alla nostra “fiorentina”.<br />
Itadakimasu~ allora, buon appetito (lett.: “umilmente<br />
riceviamo”): la mia bistecca è accompagnata da miso,<br />
verdure e salse a base di soia. Alcuni di noi si cimentano con<br />
la cottura delle fette direttamente in tavola su un braciere<br />
alimentato a carbonella. L’uso delle bacchette è obbligatorio,<br />
come anche la destrezza nel manovrarle, <strong>per</strong> non lasciarsi<br />
sfuggire qualche prezioso (e costoso) boccone sotto il tavolo.<br />
Infine, <strong>per</strong> concludere la serata, ordiniamo l’immancabile<br />
giro di sake della casa: i commensali si servono a vicenda e,<br />
prima di bere, esclamano kanpai (“vuotiamo i bicchieri”).<br />
Vietatissimo invece il “cin-cin”, che qui suona come una<br />
volgare espressione <strong>per</strong> designare l’organo maschile: se<br />
proprio si vuole brindare in italiano, è preferibile l’uso del<br />
più corretto “salute”.<br />
Il bilancio <strong>per</strong> l’atmosfera ed il servizio è senz’altro positivo,<br />
ma la carne in sé può anche non suscitare l’entusiasmo di<br />
un palato europeo. Il consumo dei bovini in <strong>Giappone</strong> è<br />
d’altronde assai recente: la prima macellazione di una vacca<br />
risale a metà ‘800, commemorata da una stele posta dai<br />
macellai di Tōkyō sul luogo dell’evento. In tempi antecedenti<br />
l’alimentazione era costituita solo da riso, pesce, verdure e,<br />
nelle campagne, da volatili da cortile.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Gochisō-samadeshita (“è stata una vera delizia”) è<br />
l’espressione che si usa <strong>per</strong> congedarsi a fine pasto, ma nel<br />
frangente post sake riesco solo a proferire un misero “very<br />
good”, che viene ugualmente apprezzato dai gestori del locale.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Takayama, una distilleria nella città vecchia<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Takayama: Sakurayama Hachiman-gū<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
10 aprile<br />
Dalle montagne alla grande città<br />
Q<br />
uesta mattina il viaggio prosegue nei dintorni di<br />
Takayama: circa tre chilometri a sud-ovest della città<br />
vi è l’Hida Minzoku Mura, comunemente noto come Hida<br />
no Sato, un museo a cielo a<strong>per</strong>to composto da circa trenta<br />
vecchie case coloniche che illustrano gli stili architettonici<br />
delle regioni montuose del <strong>Giappone</strong>. Vi si può arrivare in un<br />
quarto d’ora di autobus, con capolinea nei pressi della stazione<br />
ferroviaria. Tra i vari distributori automatici presenti nella<br />
sala d’attesa, uno offre cibi precotti e riscaldati 24 ore su 24.<br />
Se siete uomini d’affari in carriera, non dovrete più <strong>per</strong>dere<br />
tempo nel fare cose “inutili” come sedervi a tavola: <strong>per</strong> ¥ 350<br />
(ca. € 3,5) potrete disporre all’istante di rāmen, riso fritto,<br />
taiyaki, takoyaki ed addirittura hot dog con patate fritte!<br />
Durante il breve tragitto verso l’Hida no Sato, ad un tratto<br />
compare la sagoma di un bizzarro edificio simile ad un tempio:<br />
sul timpano del tetto campeggia uno strano simbolo che pare<br />
una stella di colore dorato. Si tratta del quartier generale della<br />
setta Sūkyō Mahikari, una congrega di gente varia, ancora<br />
convinta di vivere negli anni ‘60. La loro dottrina afferma che<br />
in tempi ancestrali l’im<strong>per</strong>atore del <strong>Giappone</strong> avesse inviato<br />
i suoi emissari in regioni come l’Egitto, la Mesopotamia e<br />
l’India <strong>per</strong> portarvi la civiltà: in tal modo le lingue, le culture<br />
e le religioni della Terra sarebbero state originate dagli<br />
antichi giapponesi. Secondo questa teoria, anche Gesù Cristo<br />
si sarebbe recato in <strong>Giappone</strong> all’età di diciotto anni <strong>per</strong><br />
imparare le tecniche dell’ascetismo, ritornandovi ed infine<br />
morendovi all’età di 118 anni. Quest’indubbia originalità<br />
sul piano teleologico è condita da qualche pratica magica<br />
che concerne la trasmissione dell’“energia vitale” da un<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
individuo all’altro attraverso il palmo della mano. Avevano<br />
anche teorizzato un’apocalisse, prevista <strong>per</strong> l’anno 2000:<br />
sfortunatamente <strong>per</strong> loro, il mondo esiste ancora.<br />
Poco oltre, su un pendio collinare rivolto a mezzanotte,<br />
sorge l’Hida no Sato, dislocato su un’area piuttosto estesa.<br />
Le case, provenienti da varie zone del <strong>Giappone</strong>, risalgono in<br />
larga parte al XVIII secolo, ricostruite in questo museo diffuso<br />
che ben s’inserisce nel contesto naturalistico circostante.<br />
Alcune di esse sono classificate come “importante patrimonio<br />
culturale nazionale” e costituiscono fra i migliori esempi<br />
dell’architettura rurale tradizionale in stile gasshō-zukuri (a<br />
tetto acuminato).<br />
È <strong>per</strong>ò triste vedere una ricchezza non più viva,<br />
né vissuta. Non mi si fraintenda: non sto chiedendo ai<br />
giapponesi di tornare a vivere nelle capanne! Ciò che colpisce<br />
è l’apparente distacco che essi hanno verso il passato,<br />
venendo a visitare questi luoghi come se la cosa non li<br />
riguardasse. Il popolo giapponese ha uno strano rapporto<br />
con la storia: in alcuni momenti esaltata, in altri dimenticata,<br />
comunque mai esule da una larvata contaminazione col<br />
mito, foriero del nazionalismo, del militarismo ed in ultima<br />
istanza dei disastri dell’ultima guerra. Nel <strong>per</strong>iodo successivo<br />
alla sconfitta del 1945, la tradizione è stata volutamente<br />
cancellata dai luoghi e dalle menti: un seppuku culturale<br />
che è stato accompagnato da un’altra ideologia, quella<br />
dello sviluppo economico, <strong>per</strong> la quale l’intero paese è<br />
stato spianato dalle ruspe e riplasmato dalle betoniere. Un<br />
<strong>Giappone</strong> più triste, più grigio e più benestante ha aiutato<br />
le <strong>per</strong>sone a dimenticare le ferite del passato, al cui pensiero<br />
le vecchie generazioni ancora provano un misto di rabbia e<br />
di vergogna. È <strong>per</strong>ò impossibile fuggire dalle proprie radici:<br />
la stessa ricostruzione post-bellica è stata espressione sia dei<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
paradigmi buddhisti (transitorietà ed inconsistenza delle<br />
cose) che di quelli shintō (vitalismo e rinnovamento <strong>per</strong>petuo).<br />
Solo in tempi recenti sono state sollevate le problematiche<br />
della cementificazione selvaggia delle città e dei relativi<br />
sobborghi, della pesante infrastrutturazione in spregio al<br />
territorio e della distruzione sistematica del paesaggio, ma la<br />
strada da <strong>per</strong>correre è ancora ardua. Anche le campagne, pur<br />
meno urbanizzate, sono fortemente antropizzate: si salvano<br />
solo i rilievi montuosi e le vallate interne, in genere rico<strong>per</strong>te<br />
da fitta vegetazione.<br />
Dalle eloquenti parole degli stessi gestori del villaggiomuseo:<br />
«l’economia giapponese ha recentemente fatto<br />
notevoli progressi, ma il nostro successo materiale ci ha<br />
spinti a trascurare il più importante lato spirituale della<br />
vita. Adesso realizziamo di dover porre una maggiore<br />
attenzione al patrimonio culturale che i nostri antenati<br />
hanno costruito <strong>per</strong> secoli. Dobbiamo ritornare ad alcuni<br />
nostri modi tradizionali di vita. Non solo dobbiamo<br />
conservare e rivalutare il nostro patrimonio, ma dobbiamo<br />
anche tramandarlo alle future generazioni».<br />
Vi sono tre tipi di <strong>per</strong>corsi raccomandati: di 15, 30 e<br />
60 minuti. Se si ha tempo sufficiente è preferibile il più<br />
completo, che in realtà si esaurisce in meno di tre quarti d’ora<br />
e comprende patrimoni nazionali come casa Wakayama,<br />
nota <strong>per</strong> il suo grande tetto acuminato di canne palustri,<br />
casa Tanaka, costruzione ad un piano tipica della regione di<br />
Takayama, casa Taguchi, antesignana dell’open space con le<br />
sue pareti mobili e casa Yoshizane che presenta dei tronchi<br />
d’albero biforcuti come sostegno del tetto in luogo delle<br />
colonne. Nelle stanze, nei depositi e nei fienili sono esposti<br />
numerosi oggetti ed attrezzi da lavoro originali: aratri,<br />
utensili <strong>per</strong> lavorare la terra e rudimentali arredamenti.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
In alcuni ambienti sono addirittura mantenuti dei bracieri<br />
accesi <strong>per</strong> simulare l’atmosfera dell’epoca, cosa non sgradita<br />
data la nebbia, il freddo e l’umido. Il riscaldamento di queste<br />
case è assai scarso nonostante il rigido clima della regione:<br />
il mese di aprile è già inoltrato ma sul terreno <strong>per</strong>mangono<br />
alcuni centimetri di neve, residuo delle abbondanti nevicate<br />
di pochi giorni fa.<br />
Terminata la visita, torniamo in città con lo stesso<br />
autobus. In due prendiamo un taxi, <strong>per</strong> via della mancanza di<br />
mezzi pubblici, verso il Takayama matsuri yatai kaikan,<br />
museo dei grandi carri allegorici (yatai) usati durante le due<br />
feste (matsuri) della città. Questi mezzi, risalenti al XVII<br />
ed al XVIII secolo, sono decorati con elaborate incisioni<br />
in legno ed artefatti di metallo secondo il gusto del primo<br />
<strong>per</strong>iodo Edo, i cui colori dominanti sono l’oro, il rosso ed il<br />
nero delle lacche. Il giorno della festa, prima del tramonto, i<br />
carri vengono riuniti ed addobbati con delle lanterne e con i<br />
blasoni che rappresentano i relativi quartieri. In seguito ha<br />
luogo la sfilata <strong>per</strong> la città, al traino da parte dei contradaioli<br />
vestiti in kimono o hakama.<br />
Su alcuni carri trovano posto delle marionette lignee<br />
che raffigurano dèi e nobiluomini, vestite di sete e broccati,<br />
manovrate da abili burattinai. Nel museo sono esposti a<br />
rotazione, nel corso dell’anno, quattro carri sugli undici<br />
totali (ovvero Daihachi, Jinma, Kagura, Kyuhō, Hōō, Hotei,<br />
Hōmei, Gyōjin, Kinpō, Hōjiyu e Sennin).<br />
Nell’adiacente Sakurayama Nikkōkan si possono<br />
ammirare, con lo stesso biglietto, i modellini in scala ridotta<br />
del santuario di Nikkō, un’o<strong>per</strong>a assai vasta e dettagliata,<br />
coadiuvata da un meccanismo d’illuminazione che simula le<br />
ore del giorno.<br />
A breve distanza vi è il Shishi kaikan, museo delle<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
maschere e degli strumenti delle danze del Leone, tipiche<br />
del <strong>Giappone</strong> centro-settentrionale. Quest’arte di antica<br />
origine cinese, nota come shishi mai, differisce di regione<br />
in regione ed è eseguita prevalentemente durante le feste<br />
religiose. Il leone giapponese presenta una maschera di<br />
legno laccato, chiamata shishi gashira (“testa del leone”)<br />
ed un corpo di tessuto verde con motivi bianchi nel quale<br />
possono entrare una o due <strong>per</strong>sone. La danza del leone è<br />
eseguita con l’accompagnamento di tamburi, piatti, gong<br />
e strumenti <strong>per</strong> sincronizzare i movimenti dei danzatori.<br />
Alcune delle maschere esposte sono assai antiche e,<br />
dall’aspetto grottesco e cinesizzante, si direbbero risalenti<br />
<strong>per</strong>lomeno alle epoche Nara ed Heian. Nel frattempo, siamo<br />
invitati ad assistere ad una rappresentazione di Karakuri<br />
ningyō, le marionette solitamente collocate sulla cima dei<br />
carri. La storia degli automi giapponesi ricalca curiosamente,<br />
sia in senso cronologico che tecnico, quella dei cugini europei<br />
con la costruzione, a partire dal XVII secolo, di congegni<br />
semoventi derivati dai meccanismi degli orologi. Ben presto<br />
il Karakuri ottenne il favore del pubblico, affiancandosi alle<br />
forme d’intrattenimento già esistenti come il Nō, il Kyōgen<br />
ed il Kabuki. Le marionette sono prevalentemente utilizzate<br />
durante i matsuri, occasione <strong>per</strong> ogni quartiere d’esibire con<br />
orgoglio l’abilità del proprio burattinaio. Lo spettacolo inizia:<br />
dal fantoccio che serve il tè, a quello che salta in equilibrio<br />
da un palo all’altro, a quello che compie delle giravolte da<br />
ginnasta olimpionico. Questa è solo una dimostrazione<br />
effettuata in teatro, ma la realtà è più complessa <strong>per</strong>ché la<br />
rappresentazione avviene in precario equilibrio sui carri<br />
in movimento. Infine il pezzo forte: un burattino, dalle<br />
fattezze di un antico signore feudale, in grado di scrivere.<br />
Il manovratore, nascosto all’interno del basamento, muove<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
sapientemente i comandi in modo da tracciare con il pennello<br />
la parola “Hida” sia in ideogrammi che in caratteri latini. Al<br />
termine dell’esibizione, quali unici stranieri presenti in sala,<br />
siamo invitati a recarci sul palco dove ci viene fatto gradito<br />
dono della <strong>per</strong>gamena.<br />
Ormai è quasi mezzogiorno e si avvicina l’ora di lasciare<br />
Takayama: con passo veloce <strong>per</strong>corriamo in un quarto d’ora<br />
il chilometro e mezzo che ci separa dall’albergo, dov’è fissato<br />
il ritrovo con il resto del gruppo. Il cielo si è liberato dalle<br />
brume mattutine e adesso batte un sole abbastanza forte che,<br />
unito ad un’atmosfera piuttosto umida, causa una leggera<br />
sensazione d’afa.<br />
Alle 12.32 nessuno manca all’appuntamento con il<br />
treno limited express Hida n.10 <strong>per</strong> Nagoya. Su<strong>per</strong>ato lo<br />
spartiacque, ha inizio la discesa sul versante dell’oceano<br />
Pacifico attraverso la boscosa valle dell’Hida, su<strong>per</strong>ando<br />
strette gole e conche verdeggianti. La ferrovia transita da<br />
Gero, una delle località termali più note della regione, meta<br />
di villeggiatura già nel X secolo, sede di alcuni fra i migliori<br />
onsen e ryokan del <strong>Giappone</strong>: peccato non potersi fermare a<br />
riposare <strong>per</strong> un giorno.<br />
Dopo un paio d’ore le montagne digradano, mentre innanzi<br />
a noi si apre la pianura di Nagoya. Nel 1943 Fosco Maraini,<br />
allora docente d’italiano presso l’università di Kyōto, fu qui<br />
internato nel campo di prigionia del Tempaku insieme a tutta<br />
la famiglia, <strong>per</strong> essersi rifiutato di giurare fedeltà a Mussolini<br />
ed alla repubblica di Salò. La medesima sorte fu riservata agli<br />
altri italiani residenti in <strong>Giappone</strong> che non vollero piegarsi<br />
al regime. Ne uscirono solo due anni più tardi, dopo grandi<br />
patimenti.<br />
Alla stazione di Nagoya (ore 15.02), salutiamo<br />
definitivamente il trenino di montagna a gasolio <strong>per</strong> prendere<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
la coincidenza con l’alta velocità: l’orario è pienamente<br />
rispettato (c’era qualche dubbio)<br />
Solo pochi minuti d’attesa e, puntuale come un orologio<br />
svizzero, anzi giapponese, compare lo shinkansen 524<br />
“Hikari” delle 15.24 <strong>per</strong> Tōkyō.<br />
A bordo ne approfittiamo <strong>per</strong> pianificare gli spostamenti<br />
in città: l’ora di punta sarà nel suo massimo e dovremo<br />
raggiungere il nostro albergo in un altro quartiere, nel modo<br />
più veloce ed indolore possibile. Suscita qualche timore<br />
l’idea di dover piombare, in capo ad un paio d’ore, nella<br />
più grande metropoli del mondo (ab. 13 milioni) e doversi<br />
immediatamente districare in una rete sotterranea di oltre<br />
300 km d’estensione, con 13 linee gestite da due società<br />
diverse, trasporti di su<strong>per</strong>ficie esclusi. In realtà, come sarà<br />
dimostrato sul campo, le preoccupazioni di questo tipo sono<br />
largamente infondate.<br />
Intanto, fuori dai finestrini sfila il paesaggio della costa tra<br />
Nagoya e Shizuoka, un’unica conurbazione di case, industrie,<br />
autostrade ed elettrodotti. Improvvisamente, poco prima<br />
della galleria del passo di Hakone, alla nostra sinistra si<br />
palesa il monte Fuji, innevato e completamente sgombro<br />
dalle nubi: uno spettacolo tanto inatteso quanto fugace<br />
e grandioso, degno del kami più potente di questa terra.<br />
Proseguendo verso Atami e Odawara, il treno passa sotto il<br />
promontorio d’Izu: tra una galleria e l’altra si apre la vista sulle<br />
pendici digradanti verso il mare, coltivate a terrazzamenti<br />
d’agrumi. Un panorama pittoresco ma di breve durata: da<br />
Kanagawa in poi ha inizio la megalopoli composta dalle città<br />
che gravitano intorno alla capitale giapponese. Il passante<br />
ferroviario di Tōkyō, da Shinagawa a sud fino a Ueno a nord,<br />
è uno degli snodi più trafficati del pianeta, ma gli intasamenti<br />
non si verificano quasi mai: un paradosso se considero che<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
nella mia vita quotidiana, <strong>per</strong> entrare ogni mattina a Torino,<br />
il mio treno è costretto a fermarsi <strong>per</strong> almeno cinque minuti<br />
in attesa che la via diventi libera.<br />
Alle 17.10 lo shinkansen si attesta al suo capolinea: la<br />
stazione centrale di Tōkyō. Per raggiungere il quartiere<br />
settentrionale di Ueno, utilizziamo la linea circolare<br />
Yamanote (in senso antiorario), gestita dalle ferrovie e<br />
compresa nel Japan Rail Pass: la segnaletica è chiarissima;<br />
l’unica relativa difficoltà risiede nel districarsi con i trolley<br />
e le valigie all’interno di una fiumana di <strong>per</strong>sone all’uscita<br />
dal lavoro. All’arrivo del primo convoglio siamo presi da un<br />
attimo di sconforto: è strapieno! «Aspettiamo il prossimo»,<br />
ragioniamo tra noi, «e guardiamo cosa fanno i giapponesi»:<br />
ovviamente il treno successivo è tal quale al precedente.<br />
Restiamo <strong>per</strong> un po’ in disparte ad osservare i passanti che<br />
entrano ed escono come se nulla fosse. Poi, tirando un respiro<br />
profondo, ci buttiamo e riusciamo addirittura a salire tutti,<br />
pur pigiati come sardine. Per fortuna il tragitto è breve: solo<br />
tre fermate intermedie (Kanda, Akihabara, Okachimachi) ed<br />
infine Ueno. Per guadagnare l’uscita siamo costretti a farci<br />
largo a colpi di sumimasen e gomen nasai (“scusate…”).<br />
Dalla stazione proseguiamo <strong>per</strong> circa 300 m verso est in<br />
direzione Asakusa fino al New Izu, un albergo situato in una<br />
tranquilla stradina poco trafficata. Come spesso accade nelle<br />
città giapponesi, anticamente nate dall’unione di vari antichi<br />
villaggi, ogni quartiere popolare conserva un’atmosfera di<br />
paese. In questa zona di Ueno, pur costellata di strutture<br />
moderne, si respira ancora l’aria della shitamachi (la città<br />
vecchia, o più propriamente “città bassa” <strong>per</strong>ché prossima<br />
al fiume Sumida). Naturalmente, al posto delle vecchie case<br />
di legno vi sono i condominî di cemento, ma meno alti che<br />
altrove. Ogni isolato ha inoltre il proprio minimarket ed i<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
propri servizi fondamentali. All’interno di queste viuzze si<br />
vedono raramente le automobili: la gente si sposta a piedi<br />
oppure in bicicletta, salutandosi <strong>per</strong>ché si conoscono tutti.<br />
L’hotel, un anonimo edificio bianco e verde, dispone di<br />
una minuscola sala a pianterreno con un acquario ed una<br />
poltrona massaggiante, dove attendiamo qualche istante<br />
prima che ci vengano consegnate le chiavi delle camere.<br />
Alcune di esse sono in stile occidentale, mentre altre sono in<br />
stile giapponese: l’arredamento di queste ultime comprende<br />
un armadio a muro, un tavolino e degli zabuton (grossi e<br />
sottili cuscini) in luogo delle sedie. Il pavimento è rico<strong>per</strong>to di<br />
tatami, su cui si deve camminare scalzi o con delle pantofole.<br />
Per dormire si srotolano in terra i futon, materassi di fibra<br />
vegetale dotati di co<strong>per</strong>ta. Il bagno è diviso in tre minuscoli<br />
ambienti separati tra loro: quello del lavandino dà accesso<br />
sia alla latrina, anch’essa provvista delle relative ciabatte, che<br />
al locale del lavaggio, strutturato come piccolo ofuro con una<br />
vasca quadrata ed uno spazio antistante <strong>per</strong> la doccia, dotato<br />
di sgabello. Il lato negativo della sistemazione riguarda la<br />
completa assenza di luce naturale: la stanza è situata su un<br />
lato dell’albergo, ad una distanza di mezzo metro dal muro<br />
del palazzo contiguo. Sporgendosi dalle finestre <strong>per</strong> guardare<br />
all’esterno s’indovina, verso l’alto, una sottile striscia di cielo,<br />
neppure sufficiente <strong>per</strong> capire se stia piovendo o ci sia il sole.<br />
Addirittura in pieno giorno è necessario tenere la luce accesa.<br />
Pazienza: non abbiamo intenzione di rimanere in camera a<br />
lungo.<br />
Detto, fatto: è già buio ma, dopo una doccia, siamo<br />
nuovamente in strada nella direzione del parco di Ueno. Ai<br />
semafori, centinaia di pedoni attendono il verde <strong>per</strong> sciamare<br />
verso l’altro lato della strada. Le automobili in circolazione<br />
sono scarse (45 <strong>per</strong> 100 abitanti contro le 61 dell’Italia),<br />
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82<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
ancora considerate un lusso da molte famiglie, specie<br />
nelle zone urbane dove oltretutto non esistono sufficienti<br />
parcheggi. Per questo motivo il governo incoraggia da decenni<br />
i trasporti pubblici a detrimento degli spostamenti privati.<br />
L’industria locale dell’automobile non ne soffre <strong>per</strong>ché, oltre<br />
alla massiccia esportazione, può beneficiare di una posizione<br />
di monopolio nel mercato interno (i giapponesi acquistano<br />
quasi unicamente veicoli di produzione nazionale).<br />
Seguendo il flusso delle <strong>per</strong>sone, raggiungiamo il parco<br />
di Ueno (Ueno kōen), istituito nel 1873 sull’esempio delle<br />
aree verdi già esistenti nelle città europee ed americane. Vi<br />
trovano posto alcuni fra i più rilevanti musei del <strong>Giappone</strong><br />
come quello nazionale, quello della scienza e della natura e<br />
quello d’arte occidentale. Il parco di Ueno è inoltre, con i suoi<br />
viali di ciliegi, la principale meta dell’hanami di Tōkyō. Nella<br />
penombra, debolmente rischiarata dalle lanterne di carta,<br />
migliaia di <strong>per</strong>sone sostano sedute <strong>per</strong> terra su dei teli di<br />
plastica a bere ed a consumare pietanze. Il panorama umano<br />
è vario: dalle famiglie ai gruppi di amici, ai colleghi d’ufficio<br />
in giacca e cravatta che, neppure rientrati a casa, sono si sono<br />
precipitati fin qui direttamente dal lavoro. Fra questi ultimi la<br />
birra è un articolo assai diffuso e, man mano che trascorre la<br />
serata, l’atmosfera si fa sempre più faceta e rumorosa. Un filo<br />
di vento scuote le chiome dei ciliegi, provocando una debole<br />
pioggia di petali: molti fotografi sono attrezzati con degli<br />
altissimi cavalletti <strong>per</strong> immortalare l’evento sopra le teste<br />
della folla. Anche la televisione non vuole essere da meno,<br />
con una cinepresa che si aggira continuamente tra i presenti.<br />
Scendendo verso il tempietto di Benzaiten, riconoscibile dalla<br />
caratteristica cupola ottagonale, vi sono numerosi ed affollati<br />
banchetti che vendono cibi di strada come tagliolini, carne,<br />
pesce e verdure alla piastra: i profumi che si sprigionano<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
nell’aria sono assai invitanti e ricordano che è quasi l’ora<br />
di mettersi a tavola. Cena presso un ristorantino attiguo al<br />
cavalcavia della stazione: la cucina è tradizionale ed i<br />
prezzi sono più che onesti. La mia scelta cade su un ottimo<br />
katsudon, cotoletta di maiale impanata e fritta, servita su<br />
una ciotola di riso. Altri provano invece il tempura, un fritto<br />
di pesce e verdure in pastella, anch’esso eccellente, tipico<br />
piatto invernale che è assai improbabile trovare nei mesi<br />
caldi. Molti turisti si ostinano <strong>per</strong>ò a chiederlo anche in estate<br />
suscitando grande stupore, come se i giapponesi in visita in<br />
Italia ordinassero polenta e salsiccia a ferragosto. Nel ritorno<br />
verso l’albergo transitiamo nei pressi di una delle numerose<br />
sale di pachinko, un rumorosissimo tipo di flip<strong>per</strong>, la cui<br />
invenzione risale all’immediato dopoguerra da parte di un<br />
piccolo imprenditore di Nagoya, che ebbe l’idea di montare<br />
in verticale alcuni dei suoi biliardini <strong>per</strong> risparmiare spazio.<br />
Il successo fu immediato e, in breve tempo, questo gioco<br />
divenne il principale passatempo nazionale. Oggi il pachinko<br />
conta un giro d’affari annuale di circa 300 miliardi di euro,<br />
una cifra di gran lunga su<strong>per</strong>iore ad una manovra economica.<br />
Non appena varchiamo la soglia, un rumore assordante simile<br />
a quello d’un cantiere navale investe i nostri poveri timpani.<br />
Il gioco è semplice: s’introduce una sferetta d’acciaio nella<br />
macchina e si aspetta che cada vero il basso. Nella maggior<br />
parte dei casi non si vince nulla, ma qualche volta la sfera<br />
scende nel punto giusto e si ottengono altre sferette. Siccome il<br />
gioco d’azzardo è proibito, i premi devono obbligatoriamente<br />
consistere in oggetti e consumazioni. L’affare è <strong>per</strong>ò troppo<br />
ghiotto: la yakuza (mafia), che gestisce la maggior parte dei<br />
locali, ha ideato un astuto stratagemma, quello di emettere<br />
una sorta di “gettone” <strong>per</strong> riscuotere illegalmente la vincita<br />
in denaro presso un intermediario situato all’esterno della<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
sala. La polizia è sempre all’erta, ma il fenomeno è diffuso<br />
a tal punto che un controllo capillare è di fatto impossibile.<br />
Rimaniamo qualche istante ad osservare i giocatori che, quasi<br />
indifferenti rispetto al contesto, continuano ad introdurre<br />
le loro sfere nelle macchinette come fossero degli automi<br />
in trance. Senza farmi notare dagli inservienti, estraggo la<br />
macchina fotografica dalla custodia e con un po’ di faccia<br />
tosta scatto velocemente un’immagine di questo singolare<br />
fenomeno dai risvolti sociali. Poi, un dubbio: ci saranno<br />
le telecamere Meglio non sa<strong>per</strong>lo ed uscire, allungando il<br />
passo <strong>per</strong> la strada… d’altronde siamo quasi sordi ed è l’ora<br />
di rientrare in albergo.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Alpi giapponesi: l’Hida no Sato<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Shishi gashira (maschera della testa del leone)<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Monte Fuji ripreso dallo shinkansen in corsa<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Hanami notturno a Ueno<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
11 aprile<br />
Kamakura e le origini dello shōgunato<br />
A<br />
ppuntamento alle 8.30 nella hall con bagaglio leggero<br />
(borsa, zaino) <strong>per</strong> l’escursione a Kamakura, 60 km a<br />
sud-ovest di Tōkyō. Da Ueno utilizziamo la linea Yamanote<br />
in senso opposto a quello di ieri sera: la situazione della folla<br />
non è mutata, ma iniziamo già a farvi l’abitudine. L’ordine,<br />
la disciplina e la compostezza dei giapponesi consentono<br />
di rendere accettabili anche le situazioni di questo genere:<br />
tutti si dispongono in fila ad aspettare il proprio turno, non<br />
prima d’aver lasciato scendere gli altri. Siamo circondati da<br />
centinaia di <strong>per</strong>sone, ma neppure una che parli ad alta voce.<br />
I cellulari sono rigorosamente silenziati e sui vagoni nessuno<br />
risponde al telefono <strong>per</strong> non disturbare il vicino. Alla stazione<br />
centrale di Tōkyō cambiamo <strong>per</strong> la linea di Yokosuka: dal<br />
momento che Kamakura non è il capolinea, come direzione<br />
sono indicati Zushi, Yokosuka o Kurihama.<br />
Durante il tragitto abbiamo modo di osservare i pendolari<br />
durante il viaggio in treno: dormono, leggono giornali,<br />
riviste e manga (fumetti), navigano sull’internet col cellulare<br />
oppure se ne stanno semplicemente fermi con lo sguardo<br />
<strong>per</strong>so nel vuoto. In molti indossano la mascherina <strong>per</strong><br />
proteggersi dall’inquinamento e dai germi, che in questi<br />
ambienti chiusi e stretti sono di facile trasmissione. Una<br />
fobia Forse no: questo non è l’unico accorgimento <strong>per</strong><br />
tentare di evitare i mali di stagione. Mentre in Italia qualche<br />
colpo di tosse è già una scusa sufficiente <strong>per</strong> mettersi in<br />
mutua, <strong>per</strong> un giapponese l’assenza dal lavoro è invece assai<br />
problematica, oltre che disonorevole: colui che si dichiara<br />
malato dà a tutti l’impressione d’essere pigro, inaffidabile ed<br />
egoista, cosa che si riflette negativamente nei rapporti con i<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
colleghi ed i su<strong>per</strong>iori. Anche lo starnuto e l’uso pubblico del<br />
fazzoletto sono considerati atti d’una certa maleducazione,<br />
cosicché tutti tirano su col naso, usanza che nel tempo ha<br />
assunto un significato di rispetto (sic!) verso il prossimo. È<br />
pur vero che, quando serve, anche i giapponesi si soffiano il<br />
naso, ma più spesso noi abbiamo incontrato interlocutori (o<br />
semplicemente <strong>per</strong>sone in ascensore) che <strong>per</strong> atto d’ossequio<br />
inspiravano rumorosamente.<br />
Un’ora più tardi siamo in vista di Kamakura (ab.<br />
175.000), località in riva al mare situata sul lato opposto<br />
della penisola di Miura rispetto a Tōkyō. Al giorno d’oggi<br />
è un centro di medie dimensioni, ma conserva una forte<br />
rilevanza storica <strong>per</strong>ché fu capitale de facto del <strong>Giappone</strong> e<br />
sede dello shōgunato dal 1185 al 1333. Questo <strong>per</strong>iodo, che<br />
prende il nome dalla città stessa, ebbe origine con la guerra<br />
di Genpei (1180–1185) fra le famiglie Taira e Minamoto <strong>per</strong><br />
il predominio sul paese e sull’ormai imbelle corte im<strong>per</strong>iale<br />
di Kyōto. Dopo un momento d’iniziale favore <strong>per</strong> i Taira, il<br />
conflitto si concluse a vantaggio dei Minamoto nella battaglia<br />
di Dannoura. Il capo della casata, Minamoto no Yoritomo, si<br />
fece proclamare shōgun (generalissimo) e stabilì la sede del<br />
bakufu (governo campale) nella roccaforte di Kamakura. Con<br />
la sua morte, nel 1199, il padrino Hōjō Tokimasa approfittò<br />
della debolezza della famiglia Minamoto <strong>per</strong> farsi nominare<br />
shikken (reggente). Questo regime <strong>per</strong>durò fino al 1333,<br />
quando le armate degli Ashikaga sconfissero gli Hōjō e<br />
riportarono la sede del governo a Kyōto, inaugurando l’epoca<br />
Muromachi. La città di Kamakura rappresenta dunque una<br />
tappa obbligata <strong>per</strong> conoscere la storia, l’arte, la vita, la<br />
religione e l’architettura del Duecento giapponese.<br />
Scendiamo dal treno alla stazione di Kita Kamakura,<br />
(Kamakura nord), la più opportuna se si intende iniziare<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
la visita dalla zona dei templi Zen di Yamanouchi. Il filone<br />
buddhista del pensiero Zen non ha costituito in <strong>Giappone</strong><br />
una scuola autonoma fino al XII secolo, quando furono<br />
fondati alcuni lignaggi tuttora esistenti da parte dei maestri<br />
di ritorno dalla Cina: fra essi si ricorda la figura di Dōgen<br />
(1200–1253), capostipite della scuola Sōtō, una delle tre<br />
maggiori assieme alla Rinzai ed alla Ōbaku.<br />
Proseguendo verso sud <strong>per</strong> 50 m lungo la ferrovia,<br />
si raggiunge l’accesso all’Engaku-ji, uno dei principali<br />
templi del buddhismo Zen giapponese, al secondo posto<br />
tra le “Cinque Montagne” (monasteri di Stato) dell’epoca<br />
Kamakura. Il complesso fu fondato nel 1282 da un monaco<br />
cinese, in seguito al voto del reggente Hōjō Tokimune<br />
<strong>per</strong> aver respinto le armate mongole tra il 1274 ed il 1281.<br />
La struttura attuale risale alla fine dell’epoca Edo. Nel<br />
<strong>per</strong>iodo Meiji l’Engaku-ji è assurto a centro d’eccellenza <strong>per</strong><br />
l’insegnamento dello Zen nella regione del Kantō ed è tuttora<br />
sede di varie sessioni quotidiane di zazen (meditazione<br />
seduta). Nel sanmon (portale d’ingresso) del 1780 è collocata<br />
l’Ōgane, grande campana risalente al 1301, classificata come<br />
tesoro nazionale. Il recinto si addentra in una valletta dove si<br />
trovano il reliquiario contenente un dente ritenuto di Buddha,<br />
la sala principale (butsuden) ricostruita in tempi recenti ed<br />
infine la tomba del reggente Hōjō Tokimune. In un padiglione<br />
più in basso, varie <strong>per</strong>sone abbigliate in modo tradizionale<br />
si stanno esercitando al tiro con l’arco, un’antichissima<br />
disciplina strettamente connessa alle pratiche Zen <strong>per</strong> il<br />
raggiungimento del satori (illuminazione). Il tiratore, più<br />
che al bersaglio, deve mirare simbolicamente a se stesso:<br />
lo scopo è quello del distacco dal pensiero razionale e, <strong>per</strong><br />
mezzo di esso, al raggiungimento della totale consapevolezza<br />
spaziale e temporale.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Seguendo la strada n. 21 verso sud, dopo circa 300 m<br />
incontriamo sulla nostra destra, immediatamente prima<br />
del passaggio a livello, un viottolo in salita che porta in<br />
direzione del tempio di Jōchi-ji. Oltrepassato quest’ultimo,<br />
imbocchiamo sulla sinistra il sentiero del Buddha, un<br />
<strong>per</strong>corso di circa 3 km (1 ora) tra modeste salite e discese<br />
attraverso le selve e le vallette che circondano la città sul<br />
lato settentrionale. La vegetazione, oltre alle specie comuni<br />
anche in Europa, comprende degli interi boschi di camelie<br />
selvatiche in fiore. Questa insolita ma piacevole passeggiata<br />
offre alcuni scorci meno noti al turismo di massa, come la<br />
fioritura dei ciliegi al Kuzuharaoka jinja, un santuario<br />
costruito su un pendio collinare al limitare della boscaglia.<br />
Dal piazzale, con un po’ di fortuna, nelle giornate terse si può<br />
addirittura scorgere il monte Fuji. Poco oltre, merita una<br />
digressione il santuario di Zeniarai Benzaiten: l’entrata è<br />
segnata da un inconfondibile torii di pietra, antistante ad un<br />
cunicolo scavato nella roccia. Dalla parte opposta si apre uno<br />
spiazzo con vari altari, incensieri e tabernacoli, che prelude<br />
ad una caverna dove scorrono delle acque di sorgente. I<br />
visitatori pongono alcune monete in un cestello di paglia e<br />
le irrorano con un mestolo prima di riprenderle con sé. È<br />
credenza diffusa che quest’acqua di sorgiva sia in grado di<br />
accrescere il denaro, grazie al potere di una divinità sincretica<br />
che fonde gli elementi scintoisti del kami Ugajin con quelli<br />
indo-buddhisti della dea Benzaiten (in sanscrito Sarasvatī).<br />
Da qui si scende fino ai primi sobborghi formati dalle<br />
classiche casette residenziali a due piani con giardinetto,<br />
sogno e coronamento dell’intera vita lavorativa <strong>per</strong><br />
l’impiegato medio. Si <strong>per</strong>corre ancora mezzo chilometro, poi<br />
si svolta a destra passando sotto un tunnel ed infine, dopo<br />
un’ultima svolta a sinistra, si prosegue <strong>per</strong> ulteriori 500 m.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
All’incrocio con la strada n. 32 siamo già di fronte all’ingresso<br />
del Kōtoku-in, il tempio noto <strong>per</strong> il daibutsu (Grande<br />
Buddha), una colossale statua bronzea del Buddha Amida<br />
(Amitābha in sanscrito). Prima di entrare, mi fermo presso<br />
un negozietto <strong>per</strong> acquistare qualche ricordo, fra cui un fūrin,<br />
campanella a vento che si usa porre nel <strong>per</strong>iodo estivo sotto<br />
i porticati e fuori dalle finestre: tuttora, mentre scrivo a casa<br />
in un caldo pomeriggio d’agosto, il suo tintinnio mi allieta<br />
e quasi mi rinfresca. Fra l’altro, il clima italiano e quello<br />
giapponese sono quasi identici: le uniche lievi differenze<br />
consistono nei momenti dei massimi pluviometrici, che in<br />
<strong>Giappone</strong> si concentrano a giugno e a settembre anziché,<br />
come nell’Italia nord-occidentale ove risiedo, ad aprile e ad<br />
ottobre. Più precisamente, nei rilevamenti tra maggio 2012 e<br />
gennaio 2013, la tem<strong>per</strong>atura di Torino è risultata in media<br />
su<strong>per</strong>iore di due gradi rispetto a quella di Tōkyō, mentre<br />
l’umidità della metropoli subalpina ha registrato valori del<br />
15-20% piu bassi rispetto alla capitale orientale.<br />
Il Grande Buddha risale al 1252, fuso in sostituzione<br />
di una precedente statua di legno. I reggenti di Kamakura<br />
vollero in tal modo dotarsi di un’effigie buddhista che potesse<br />
rivaleggiare con quella di Nara, di dominio della corte<br />
im<strong>per</strong>iale. Artisticamente, questa è la più rilevante delle due:<br />
oltre a chiare reminiscenze cinesi e indiane, qualcuno vi vuole<br />
addirittura scorgere echi del Gandhāra, fattore decisamente<br />
improbabile, a parte qualche vago dubbio riguardo alle<br />
fattezze del volto e del panneggio. L’altezza è di 13,35 m <strong>per</strong> un<br />
peso di circa 100 tonnellate. Vicino alle orecchie si conservano<br />
ancora alcune tracce della doratura originale. La vicenda<br />
della sala che lo riparava dalle intem<strong>per</strong>ie è stata sofferta:<br />
distrutta una prima volta nel 1334 da una tempesta, è stata<br />
ricostruita e nuovamente danneggiata nel 1369. Riparata<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
<strong>per</strong> la seconda volta, è stata definitivamente spazzata via<br />
dallo tsunami (maremoto) del 20 settembre 1498: da allora<br />
il Grande Buddha, trasferito un po’ più a monte, è rimasto<br />
a cielo a<strong>per</strong>to. Il basamento ha subìto forti danneggiamenti<br />
durante il terremoto del Kantō del 1923 ed è stato ricostruito<br />
due anni più tardi. Gli interventi più recenti risalgono<br />
agli anni 1960–1961, quando il collo è stato rafforzato<br />
mediante l’adozione di misure antisismiche. Sul retro della<br />
statua vi sono due finestrelle che ne rivelano la cavità. Alla<br />
base, attraverso una porticina, i turisti possono entrarvi e<br />
salire <strong>per</strong> una modica cifra. Durante un attimo di sosta in<br />
contemplazione di questa possente o<strong>per</strong>a, le prime gocce di<br />
pioggia ci sorprendono, costringendo a scelte differenti: molti<br />
rientrano a Tōkyō, mentre in cinque proseguiamo la visita<br />
a Kamakura nonostante il peggioramento delle condizioni<br />
meteorologiche. È ora di pranzo: in direzione sud, lungo la<br />
strada n. 32, scopriamo un negozietto che offre dei morbidi<br />
e grossi ravioli ripieni di carne cotti al vapore. Insieme<br />
sono venduti i mochi, dolcetti di riso. Poco oltre, vi è un<br />
altro bugigattolo specializzato nella preparazione di dolci di<br />
zucca a forma cubetti arancioni, cosparsi di zucchero a velo:<br />
ovviamente proviamo anche quelli. Il tragitto, rallentato dalle<br />
soste gastronomiche, ha come destinazione il Kaikōzan<br />
Jishōin Hase-dera, meglio conosciuto con il solo nome di<br />
Hase-dera.<br />
Situato sulle pendici collinari ad occidente della città,<br />
questo tempio è appartenuto inizialmente alla scuola Tendai,<br />
infine divenuto una branca autonoma della scuola Jōdo.<br />
La leggenda narra che la fondazione sia avvenuta intorno<br />
all’anno 736, quando dal mare riemerse miracolosamente<br />
una statua lignea di Kannon, data <strong>per</strong> dis<strong>per</strong>sa quindici anni<br />
prima. Per celebrare l’evento, considerato particolarmente<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
fausto, fu decisa la costruzione di un tempio che potesse<br />
ospitare degnamente il re<strong>per</strong>to ritrovato. Da tempi immemori<br />
l’Hase-dera è noto come la quarta stazione del pellegrinaggio<br />
dei trentatré luoghi sacri della regione del Kantō. L’ambiente<br />
è assai verdeggiante e l’interno racchiude un ampio e curato<br />
giardino che garantisce la fioritura di varie specie in tutte<br />
le stagioni dell’anno. Salendo, a lato della scalinata vi è un<br />
sacello dedicato a Jizō, con le sue numerose statuette di varie<br />
dimensioni poste l’una accanto all’altra. La zona principale<br />
del tempio, poco più in alto, comprende le due sale note<br />
come Amida-dō e Kannon-dō: la prima ospita una statua<br />
del Buddha Amida (Amitābha) risalente al 1194, mentre<br />
la seconda è sede della preziosa immagine lignea del VIII<br />
secolo raffigurante il Bodhisattva Kannon dalle undici teste<br />
(Avalokiteśvara), dorata nel 1342 <strong>per</strong> volontà dello shōgun<br />
Ashikaga Takauji. Gli attributi iconografici di Avalokiteśvara<br />
sono pressappoco uniformi in tutta l’Asia orientale, ma<br />
in ogni paese presentano delle differenze che riflettono<br />
la tradizione artistica locale. In Tibet <strong>per</strong> esempio, le teste<br />
sono uguali fra loro e spuntano dal collo del santo (dal nome<br />
tibetano di Chenresig) formando un albero di volti dallo<br />
sguardo omnidirezionale. In <strong>Giappone</strong> invece vi è una testa<br />
principale, mentre le dieci restanti sono di dimensioni assai<br />
minori, disposte in cerchio come se fossero una corona, con<br />
un effetto visivo di maggior naturalezza.<br />
Sulla destra dei padiglioni (rivolgendo ad essi le spalle) vi<br />
è la terrazza panoramica, affacciata sulla parte occidentale<br />
della baia di Sagami, sulla città di Kamakura e sul suo<br />
entroterra, <strong>per</strong> spaziare infine ai promontori della penisola<br />
di Miura. Pur con il cielo lattiginoso e la foschia spessa, si<br />
riesce ugualmente ad avere una buona visuale dei dintorni.<br />
Numerosi rapaci volteggiano nel cielo: tengono d’occhio<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
il picnic dei turisti con sguardo discreto ma attento.<br />
All’occasione scendono in picchiata e, praticamente in<br />
silenzio, ghermiscono il panino dalle mani dell’ignaro gitante<br />
arrivandogli alle spalle e talvolta ferendolo: <strong>per</strong> questa<br />
ragione il municipio ha affisso vari avvisi nei quali si invita<br />
a prestare attenzione all’avvicinamento di eventuali pennuti.<br />
Mediante un autobus di linea, <strong>per</strong>corriamo il tragitto di<br />
circa 2 km che separa l’Hase-dera dal centro città. Il biglietto<br />
si acquista come di consueto a bordo, direttamente dal<br />
conducente. Per effettuare questo <strong>per</strong>corso si può anche<br />
utilizzare l’Eno-den, il treno di Enoshima, tra le fermate di<br />
Hase e Kamakura. Trattandosi <strong>per</strong>ò di una ferrovia privata,<br />
il Japan Rail Pass non ha valore: dovrete in ogni <strong>caso</strong> pagare<br />
la tariffa.<br />
Dalla stazione ci spostiamo a piedi verso il Wakamiya<br />
Ōji, viale centrale di Kamakura. Costruito da Minamoto no<br />
Yoritomo a somiglianza del Suzaku Ōji di Kyoto, è molto più<br />
ampio di quest’ultimo, delimitato su entrambi i lati da canali<br />
di tre metri di profondità e fiancheggiato da alberi di pino.<br />
Lungo il <strong>per</strong>corso si incontrano tre torii, ichi, ni e san no<br />
torii (“primo, secondo e terzo cancello”): tra il primo ed il<br />
secondo è collocata la Geba Yotsukado, luogo dove in passato<br />
era obbligatorio scendere da cavallo in ossequio al santuario<br />
di Hachiman. Oltrepassato il secondo torii ha inizio il<br />
Dankazura, un <strong>per</strong>corso pedonale al centro della carreggiata,<br />
fiancheggiato da alberi di ciliegio che in questo <strong>per</strong>iodo sono<br />
in piena fioritura.<br />
Mentre siamo in cammino si scatena un forte temporale,<br />
che ci costringe ad allungare il passo verso lo Tsurugaoka<br />
Hachiman-gū, uno dei più noti santuari della regione del<br />
Kantō. Fulcro della città di Kamakura dal 1063, esso fu <strong>per</strong><br />
oltre ottocento anni il centro sincretico della venerazione<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
del kami Hachiman (protettore dei guerrieri) e della divinità<br />
buddhista Miroku (in sanscrito Maitreya, il Buddha del<br />
futuro). Dal 1872 in poi, la politica di separazione dei culti<br />
(shinbutsu bunri) voluta dal governo Meiji, causò l’esclusione<br />
del buddhismo a vantaggio dello shintoismo, imposto come<br />
religione di stato. L’antica denominazione di gū–ji (santuariotempio)<br />
fu dunque cancellata, con lo smantellamento degli<br />
edifici buddhisti ed il conseguente impoverimento del luogo<br />
di culto.<br />
Attraversiamo il cortile sotto la pioggia battente,<br />
inerpicandoci sulla scalinata fino a raggiungere il portale del<br />
santuario: neppure gli ombrelli sono utili <strong>per</strong> via del forte<br />
vento. In molti, sorpresi dall’acquazzone, si sono rifugiati<br />
qui sotto, sommandosi alla già nutrita folla dei pellegrini<br />
salmodianti. Dall’alto si ha una panoramica sull’intero<br />
Wakamiya Ōji e sulla prospettiva dei torii. Mentre mi<br />
accingo a scattare una fotografia, entra nel campo visivo una<br />
miko (sacerdotessa) con la tipica veste bianca e l’hakama<br />
(gonna lunga) di colore rosso carminio: un valore aggiunto<br />
all’immagine già di <strong>per</strong> sé suggestiva. In un’aiuola a lato<br />
si nota il celebre ginkgo di quasi mille anni, severamente<br />
danneggiato da una tempesta nel 2010. Questa pianta è assai<br />
tenace: non solo hanno attecchito le talee di recu<strong>per</strong>o, ma<br />
anche il vecchio ceppo ha nuovamente germogliato.<br />
Le condizioni meteorologiche impietose costringono<br />
nostro malgrado a rinunciare all’ultima tappa della giornata,<br />
il Kenchō-ji, uno dei templi Zen più antichi del <strong>Giappone</strong>,<br />
fondato nel 1253. I punti d’interesse sarebbero stati il giardino,<br />
il butsuden (sala del Buddha), l’hattō (sala del Dharma, la<br />
più grande struttura lignea del <strong>Giappone</strong> orientale), il karamon<br />
(grande cancello), il bonshō (campana del tempio,<br />
tesoro nazionale del 1255) ed il boschetto di ginepri. Invece,<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
correndo a rotta di collo sotto un muro d’acqua, ripieghiamo<br />
verso la stazione dove attendiamo fradici il treno <strong>per</strong> Tōkyō.<br />
Durante il tragitto cessa la pioggia: non raggiungiamo<br />
<strong>per</strong>ò il capolinea di Tōkyō Centrale ma scendiamo a<br />
Shinbashi, la fermata precedente, <strong>per</strong> una passeggiata alla<br />
Ginza, meta dello shopping di lusso con la presenza delle<br />
più famose marche internazionali d’abbigliamento, gioielli,<br />
profumi, orologi ed elettronica di alto livello. A pochi passi<br />
l’uno dall’altro si trovano i negozi di Burberry, Mont Blanc,<br />
Swarowski, Rolex, Zara, Salvatore Ferragamo, Abercrombie<br />
& Fitch, Prada, Tiffany, Gucci, Apple, Bulgari, Cartier, Louis<br />
Vuitton ecc. Noi ci accontentiamo di guardare le vetrine. Il<br />
nome della Ginza, il cui significato è “zecca”, trae origine dal<br />
conio ivi collocato dal governo Tokugawa agli inizi del XVII<br />
secolo. Anche se tale istituto è ormai scomparso, se ne conserva<br />
la memoria storica nel toponimo. Da fine ‘800 in poi, con<br />
l’arrivo delle mode europee, furono costruiti numerosi edifici<br />
in muratura, alcuni ancora integri nonostante i frequenti<br />
terremoti. La Ginza visse il <strong>per</strong>iodo di maggior splendore<br />
tra gli anni ‘20 e ‘30, fino a quando l’austerità imposta dalle<br />
ristrettezze e dai razionamenti bellici ne decretò il rapido<br />
declino. Con la ricostruzione del dopoguerra sono sorti altri<br />
centri delle mode e del consumismo come Omotesandō e<br />
Roppongi, che hanno tentato di strapparle il primato del<br />
lusso. Un intento probabilmente non del tutto riuscito,<br />
dato che i figli della buona società edochiana continuano<br />
a sciamare su questi marciapiedi <strong>per</strong> le piccole spese di<br />
“generi fondamentali”: un orologio d’oro, un abito firmato<br />
oppure l’ultimo I-pad in commercio. La Ginza si estende<br />
complessivamente <strong>per</strong> un chilometro lungo la strada Chūō<br />
Dōri, da Shinbashi a sud-ovest fino a Nihonbashi a nord-est.<br />
Al termine del <strong>per</strong>corso svoltiamo a sinistra in direzione della<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
stazione centrale <strong>per</strong> rientrare a Ueno. È nuovamente l’ora di<br />
punta e la prospettiva di utilizzare l’affollata linea Yamanote<br />
non ci alletta. Ad un tratto, ecco il satori (l’illuminazione):<br />
<strong>per</strong>ché mescolarsi alla plebe comune nei convogli strapieni<br />
quando l’abbonamento ferroviario dà diritto a salire su quasi<br />
tutti i treni, compresi quelli ad alta velocità Lo shinkansen<br />
del Tōhoku parte, guarda <strong>caso</strong>, proprio da Tōkyō Centrale <strong>per</strong><br />
fermarsi dopo pochi minuti a Ueno. Le corse sono frequenti<br />
a tal punto che il tempo d’attesa non è mai elevato (dieci<br />
minuti nelle ore più trafficate). Alla banchina è in partenza<br />
lo shinkansen 37 “Komachi” <strong>per</strong> Akita: saliamo velocemente<br />
sulla carrozza riservata agli utenti non prenotati. Neppure il<br />
tempo di accomodarci che, dopo quattro minuti, siamo già<br />
a destinazione. Con un filo di vergogna scivoliamo fuori dal<br />
convoglio, seguiti dagli sguardi <strong>per</strong>plessi e preoccupati dei<br />
giapponesi del nostro vagone. Abbiamo battezzato “shinkametro”<br />
questo nuovo servizio ferroviario, frutto dell’italico<br />
genio, ben noto in tutto il mondo <strong>per</strong> l’arte d’arrangiarsi.<br />
Ceniamo in un ristorantino sotto il cavalcavia della<br />
stazione, <strong>per</strong> nulla degno di nota. Si tratta d’un locale che<br />
serve delle pietanze contaminate da uno stile che secondo<br />
i gestori dovrebbe essere simile a quello europeo: se lo<br />
avessimo saputo, mai vi saremmo entrati! Purtroppo non<br />
vi è neppure una scritta in caratteri latini. Il mio piattone è<br />
composto da un misto di verdure, pastella, carne, frittata e<br />
spaghetti. Molti giapponesi sono qui <strong>per</strong> provare quest’ultima<br />
specialità, cimentandosi a manovrare l’insolita portata con<br />
le bacchette di bambù. Lo spaghetto a dire il vero non è del<br />
tutto indecente, ma dato che ci siamo recati dall’altra parte<br />
del mondo allo scopo di conoscere questo paese, l’avremmo<br />
volentieri evitato in favore di portate autoctone.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Daibutsu (Grande Buddha) di Kamakura<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Kamakura, tempio di Hase-dera<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
12 aprile<br />
Nikkō, lo specchio di un’epoca<br />
S<br />
veglia alle sei. Oggi sfrutteremo l’ultimo giorno<br />
dell’abbonamento ferroviario <strong>per</strong> recarci a Nikkō, 150<br />
km a nord di Tōkyō. Ritrovo con il gruppo alle 7.30 nella hall<br />
dell’albergo. Il tempo è soleggiato e la giornata si annuncia<br />
mite.<br />
Lo shinkansen 127 “Tsubasa” <strong>per</strong> Yamagata parte da Ueno<br />
alle 8.14 e arriva ad Utsunomiya dopo circa tre quarti d’ora<br />
(8.58). Alle 9.12 si cambia sulla linea locale <strong>per</strong> Nikkō, con<br />
arrivo a destinazione alle 9.54. La cittadina (ab. 90.000,<br />
alt. 200 m s.l.m.) è adagiata in un favorevole contesto<br />
naturalistico, contornata da vari monti con altitudini medie<br />
di 2500 m, compresi nel Parco Nazionale di Nikkō. Dalla<br />
stazione si prosegue ulteriormente <strong>per</strong> qualche chilometro<br />
con l’autobus fino a raggiungere l’area sacra dei templi e dei<br />
santuari, che si annuncia con il Shinkyō, sacro ponte che<br />
un tempo ne costituiva l’ingresso. Costruito nel 1636 e coevo<br />
del vicino santuario Futarasan cui appartiene, il Shinkyō ha<br />
costituito <strong>per</strong> secoli il passaggio obbligato sul fiume Daiya<br />
<strong>per</strong> i nobili che accedevano all’area sacra. La struttura<br />
lignea, arcuata e slanciata, è rico<strong>per</strong>ta di lacca rossa. Misura<br />
28 metri di campata singola, 7,4 metri di larghezza e 10,6<br />
metri d’altezza sulla sottostante gola. Ha fama d’essere uno<br />
dei ponti più belli del <strong>Giappone</strong>, patrimonio dell’UNESCO<br />
dal 1999 poiché, pur avendo subìto varie ricostruzioni, ha<br />
mantenuto inalterate le forme originarie del XVII secolo.<br />
Poco più in alto, dopo cinque minuti di cammino, si raggiunge<br />
l’ingresso del Tōshō-gū, complesso di santuari scintoisti e<br />
di templi buddhisti, realizzato a partire dal 1617 <strong>per</strong> volere<br />
di Tokugawa Hidetada, figlio di Ieyasu, affinché le spoglie<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
dei membri di Casa Tokugawa potessero essere conservate<br />
e venerate in <strong>per</strong>petuo. La costruzione è stata notevolmente<br />
arricchita ed ampliata a partire dal 1634 da parte del terzo<br />
shōgun Tokugawa Iemitsu. Nel medesimo <strong>per</strong>iodo fu<br />
costruita la strada del Nikkōkaidō <strong>per</strong> collegare Edo a Nikkō,<br />
teatro di una solenne processione annuale.<br />
Per entrare nel santuario, immerso in un lussureggiante<br />
bosco di cipressi, si passa dapprima attraverso un torii di<br />
pietra, poi sotto l’Omote-mon (portale) che introduce al<br />
primo cortile. Sulla sinistra vi è una pagoda rossa a cinque<br />
piani, mentre di fronte si notano il Kamijinko, il Nakajinko,<br />
e lo Shimojinko, magazzini destinati agli arredi sacri: sul<br />
primo sono raffigurate delle curiose immagini di elefanti,<br />
scolpite da un intagliatore che non aveva mai visto dal vivo<br />
questi animali. Sulla sinistra vi è il Shinkyū, stalla <strong>per</strong> i<br />
cavalli sacri, sul cui frontone sono collocate in altorilievo le<br />
tre celeberrime scimmie che “non vedono, non sentono e non<br />
parlano”. La teoria più diffusa vuole che esse simboleggino<br />
il principio buddhista del “non vedere, non udire e non<br />
nominare il male”. Alcuni invece vi hanno scorto la satira<br />
della grettezza di casa Tokugawa e del suo potere, fondato<br />
sul paternalismo e sull’omertà, che costringeva i cittadini a<br />
tacere ed a fingere di non aver visto e udito nulla riguardo al<br />
malaffare dei governanti.<br />
Lasciato sulla sinistra un fontanile <strong>per</strong> le abluzioni, si sale<br />
<strong>per</strong> un’ulteriore scalinata fino al Yōmeimon, forse una delle<br />
o<strong>per</strong>e più note di Nikkō, esempio illustre della corrente<br />
artistica del primo <strong>per</strong>iodo Edo: questo portale,<br />
risalente al 1636, è un tripudio d’intagli con figure di tutti<br />
i tipi: umane, animali e vegetali. I virtuosismi sono a tratti<br />
eccessivi ed i colori violenti, denunciando la stanchezza<br />
di un’arte ormai di maniera. Neppure l’ispirazione è più<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
autoctona, ma è importata dal continente: lo stile è cinese<br />
più che giapponese e risente profondamente della tendenza<br />
alla pesantezza, all’artificioso, all’elaborato, tipica dei secoli<br />
della dinastia Qīng. Fosco Maraini l’ha definita a buon diritto<br />
«un’arte falsa e pretenziosa»: l’illustre etnologo era ben<br />
poco attratto da questo stile, da lui considerato all’antitesi<br />
della purezza originaria. Di quel <strong>per</strong>iodo Maraini ha inoltre<br />
rilevato, contemporaneamente alla decadenza delle arti,<br />
anche il crollo del dinamismo sociale e l’imposizione della pace<br />
<strong>per</strong> mezzo della repressione. Ad ogni modo, non è possibile<br />
essere totalmente critici nei confronti dell’arte seicentesca<br />
giapponese che, similmente al barocco europeo, presenta<br />
degli autentici esempi di linearità contrapposti a quelli di<br />
retorica: <strong>per</strong> azzardare un parallelismo interculturale, fra i<br />
primi si annoverano il potente colonnato Vaticano e la Villa<br />
Katsura, fra i secondi il ridondante interno del Laterano ed il<br />
pletorico Tōshō-gū.<br />
Poco oltre, col pagamento di una tariffa aggiuntiva, si<br />
accede ad un passaggio sul cui architrave è raffigurato un<br />
gatto dormiente. Non si comprende <strong>per</strong>ché tale scultura abbia<br />
acquisito una così larga fama da divenire addirittura simbolo<br />
del tempio: può forse ispirare simpatia, ma non è rilevante dal<br />
punto di vista artistico ed è parte di una lunga serie d’intagli<br />
con soggetti animali che circondano tutto il porticato. Da qui<br />
inizia l’ultima rampa, assai ripida, che conduce nel luogo più<br />
sacro del Tōshō-gū, il mausoleo di Tokugawa Ieyasu,<br />
dove lo shōgun è venerato sia come kami scintoista che come<br />
divinità buddhista col nome di Tōshō Daigongen (Grande<br />
Incarnazione, Luce d’Oriente). La tomba è un inconfondibile<br />
monumento cilindrico bronzeo sovrastato da un tetto a<br />
forma di pagoda. Ritornati in basso <strong>per</strong> la medesima via,<br />
compiamo il giro rituale dentro all’Haiden, la parte più<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
interna del santuario e ci attardiamo presso l’Honjidō, sala<br />
dal soffitto dipinto con il motivo di un drago. Un monaco si<br />
ferma nel centro, battendovi due cunei di legno, che <strong>per</strong> via<br />
della particolare acustica generano un’eco chiamata “ruggito<br />
del drago”, suono acuto simile ad un trillo.<br />
Alle 13.35 riprendiamo il treno in direzione Utsunomiya,<br />
dove cambiamo con lo shinkansen 54 “Yamabiko” delle 14.24<br />
<strong>per</strong> Tōkyō. Il bentō che ho acquistato <strong>per</strong> pranzo contiene il<br />
prestigioso sekihan (riso ai fagioli rossi) e le prugne umeboshi<br />
dal sapore agro e salato, <strong>per</strong> noi assai inusali: la cucina europea<br />
non presenta alcunché di simile. Data la giornata tersa, ci<br />
dirigiamo di comune accordo verso le falde del monte Fuji<br />
<strong>per</strong> osservare la montagna nella luce del tramonto. A Tōkyō<br />
dunque, nuovo cambio con lo shinkansen 665 “Kodama”<br />
delle 14.56 <strong>per</strong> Odawara. Da lì proseguiamo con la normale<br />
ferrovia fino ad Hakone, poi con una cremagliera saliamo a<br />
Gōra ed infine con una funicolare a Sōunzan (767 metri sul<br />
livello del mare). Dobbiamo intraprendere solo più l’ultimo<br />
tratto in cabinovia verso il punto panoramico e la solfatara<br />
di Ōwakudani, ma... un’amara sorpresa ci attende: l’orario<br />
d’a<strong>per</strong>tura è ormai terminato da pochi minuti. L’inflessibilità<br />
giapponese non <strong>per</strong>dona: siamo costretti a tornare indietro<br />
con le pive nel sacco. Magra consolazione: il Fuji l’abbiamo<br />
già visto in precedenza.<br />
Ormai è calata la sera: rientriamo a Tōkyō con lo<br />
shinkansen 672 “Kodama” delle 19.42. Siamo a destinazione<br />
alle 20.17, in tempo <strong>per</strong> una cena a base di sushi presso<br />
un kaiten-zushi, ristorante col nastro trasportatore dove<br />
scorrono i piatti già pronti. Il cliente si siede innanzi ad un<br />
bancone provvisto di varie postazioni affiancate le une alle<br />
altre, dotate di porta bacchette, bicchieri, una boccetta di<br />
shōyu ed un minuscolo lavandino <strong>per</strong> sciacquarsi le dita.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Ci si serve direttamente dal tapis roulant nella quantità<br />
e nella varietà della pietanza desiderata. Assai diffuso è il<br />
nigirizushi, riso con salsa di wasabi (rafano) su cui vengono<br />
adagiate le fette di maguro (tonno), ika (seppia), tako<br />
(polpo), unagi (anguilla) ecc... Non mancano poi i maki,<br />
involtini nei quali il pesce è racchiuso dentro ad un cilindro<br />
di riso ed avvolto in una foglia d’alga. Il riso <strong>per</strong> il sushi è<br />
a sua volta preparato con un procedimento particolare, che<br />
prevede l’aggiunta di zucchero ed aceto di riso. Una volta in<br />
tavola, i bocconi possono essere bagnati con un po’ di shōyu<br />
versato in un’apposita ciotola. Conoscendo il giapponese si<br />
può ordinare la portata desiderata direttamente al cuoco, che<br />
si trova dall’altra parte del bancone: io stesso vi sono riuscito<br />
orecchiando gli ordini dei vicini. Il pasto è in genere concluso<br />
col tamagoyaki, la tipica frittata dolce. Il conto finale della<br />
cena è basato sul numero e sul tipo di piatti consumati, che<br />
nel nostro <strong>caso</strong> si sono mediamente assommati ad una decina<br />
a testa da circa 150 ¥ l’uno.<br />
Sulla via del ritorno si notano numerosi lampioni spenti <strong>per</strong><br />
le strade. Nei corridoi dell’albergo vi sono alcuni cartelli che<br />
invitano alla parsimonia con l’elettricità, a causa dell’arresto<br />
delle centrali nucleari dovuto al disastro di Fukushima.<br />
L’attuale situazione di carenza energetica è aggravata dalla<br />
presenza di due differenti frequenze di distribuzione: un<br />
divario tra il nord-est ed il sud-ovest del paese che trae origine<br />
dagli albori dell’elettrificazione, iniziata a fine ‘800 in due<br />
aree distinte, il Kansai ed il Kantō. Nella prima fu adottata la<br />
tecnologia americana a 60 Hz, mentre nella seconda quella<br />
europea a 50 Hz. Con la progressiva espansione, i due bacini<br />
d’utenza si sono incontrati creando una “barriera elettrica”<br />
che tuttora divide in due il <strong>Giappone</strong>. Il grave deficit di una<br />
delle zone non può dunque essere efficacemente compensato<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
dall’altra: sul confine esistono tre stazioni di conversione<br />
(Sakuma, Shin Shinano e Higashi Shimitsu, con 1200 MW<br />
di potenza complessiva), progettate solo <strong>per</strong> bilanciare la<br />
rete, senza essere in grado di supplire alle mancanze di<br />
questa portata. A Tōkyō la problematica è particolarmente<br />
evidente: la capitale è situata all’interno della zona a 50 Hz,<br />
dove si sono verificati i maggiori disagi. La gente è invitata<br />
ovunque a risparmiare, mentre il settore pubblico è il primo<br />
a dare l’esempio con lo spegnimento alternato delle luci<br />
sui treni e in metropolitana, con la contestuale limitazione<br />
degli impianti di riscaldamento e condizionamento. Questa<br />
situazione ha anche favorito una crescente sensibilizzazione<br />
del pubblico nei confronti degli sprechi. Il popolo giapponese<br />
ha da sempre mostrato la capacità di unirsi <strong>per</strong> affrontare le<br />
avversità: l’attuale comandamento di «sobrietà e risparmio»<br />
ha suscitato in pochi mesi la riduzione dei consumi energetici<br />
del 15% a livello nazionale. Degli stessi effetti del terremoto<br />
del 2011, che ha mietuto 20.000 vittime, non vi sono più<br />
tracce visibili poiché tutto è stato ricostruito a grandissima<br />
velocità. Solo la zona d’alienazione intorno alla centrale<br />
nucleare di Fukushima Dai-ichi, di 30 km di raggio, rimane<br />
isolata dal resto del paese e probabilmente rimarrà tale a tempo<br />
indeterminato, con buona pace dei 140.000 cittadini sfollati.<br />
I problemi dovuti alla radioattività sono lungi dall’essere<br />
risolti, specie <strong>per</strong> quanto concerne l’ambiente marino al largo<br />
della centrale dove, durante l’emergenza, si sono riversate<br />
520 tonnellate di acqua contenente alte dosi di Iodio-131,<br />
Cesio-134 e Cesio-137, sedimentatesi sui fondali circostanti.<br />
A queste si aggiungono ulteriori 300.000 tonnellate d’acqua<br />
debolmente radioattiva scaricate intenzionalmente a mare<br />
dai gestori dell’impianto <strong>per</strong> scongiurare danni ancora<br />
peggiori. Il consumo del pesce contaminato, che arriva tutti i<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
giorni sulle tavole dei giapponesi, potrebbe negli anni favorire<br />
tumori e leucemie. La radioattività ambientale raggiunge <strong>per</strong>ò<br />
elevati livelli di <strong>per</strong>icolosità <strong>per</strong> la <strong>per</strong>manenza umana solo<br />
nell’arco di poche decine di chilometri dalla centrale stessa,<br />
nella zona attualmente evacuata: non vi è alcun <strong>per</strong>icolo <strong>per</strong><br />
il viaggiatore in transito. Il vero problema è dei residenti<br />
e della loro esposizione continua, derivata soprattutto<br />
dall’alimentazione con prodotti vegetali ed animali del luogo.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Nikkō: sacro ponte Shinkyō<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Santuari di Nikkō<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
13 aprile<br />
Tōkyō in libertà<br />
C<br />
ontrariamente a quanto si potrebbe supporre,<br />
muoversi a Tōkyō è semplice, a patto di possedere<br />
a priori una conoscenza <strong>per</strong>lomeno generale del sistema dei<br />
trasporti. Come ho già scritto in precedenza, la rete conta<br />
oltre 300 km di <strong>per</strong>corsi sotterranei, gestiti da due società<br />
diverse: la Tōkyō Metro di 9 linee e la Tōei di 4 linee. La<br />
privatizzazione selvaggia degli anni ‘90 ha portato alla<br />
creazione di due società indipendenti, anche nell’emissione<br />
dei titoli di viaggio, in genere non intercambiabili (esistono<br />
<strong>per</strong>ò dei pass polivalenti come la SUICA, rilasciata dalle<br />
ferrovie JR East ed il PASMO, valido <strong>per</strong> l’area del Kantō).<br />
Entrambe le compagnie rimangono <strong>per</strong>ò di fatto pubbliche,<br />
poiché nessun privato sarebbe in grado di affrontare i<br />
costi d’esercizio: la Tōkyō Metro (ex TRTA–Teito Rapid<br />
Transit Authority) è gestita congiuntamente dal Ministero<br />
dei Trasporti e dal comune di Tōkyō, mentre la Tōei dal<br />
solo governo municipale. I biglietti validi <strong>per</strong> entrambe le<br />
compagnie hanno un costo maggiore, ragione <strong>per</strong> la quale<br />
conviene dotarsi di un pass oppure abbonarsi a quella che<br />
gestisce le linee di vostra maggiore utilità. A completare il<br />
quadro si aggiungono le ferrovie e gli altri gestori privati<br />
che, con i loro numerosi <strong>per</strong>corsi autonomi, infittiscono<br />
ulteriormente il tessuto dei trasporti urbani.<br />
Effettuate le dovute valutazioni, sottoscriviamo<br />
l’abbonamento giornaliero <strong>per</strong> la Tōkyō Metro presso un<br />
distributore automatico e, <strong>per</strong> mezzo della linea Hibiya (sette<br />
fermate), raggiungiamo i mercati generali di Tsukiji.<br />
Il primo mercato di Tōkyō fu istituito da Tokugawa Ieyasu<br />
durante il <strong>per</strong>iodo Edo <strong>per</strong> rifornire la sua corte. Il pescato<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
residuale era venduto in una semplice schiera bancarelle<br />
ai lati della strada. Dopo la carestia del 1918, il governo fu<br />
costretto ad implementare le strutture <strong>per</strong> la distribuzione<br />
dei prodotti alimentari, in particolar modo nelle aree urbane,<br />
con l’emanazione di un’apposita legge nel 1923 che sancì<br />
l’istituzione dei Mercati Generali Centrali. Nei mesi successivi<br />
al grande terremoto del Kantō, il mercato fu trasferito<br />
nell’area attuale, la cui struttura è stata completata nel 1935.<br />
Tsukiji è erroneamente conosciuto presso il grande<br />
pubblico come mercato “del pesce”, ma in realtà si vendono<br />
anche carne, frutta, verdura e fiori recisi. Esso costituisce la<br />
principale piazza del settore ittico a livello mondiale <strong>per</strong> la<br />
quantità di prodotti quotidianamente trattati. Le altre merci,<br />
ancorché non trascurabili, rimangono necessariamente in<br />
secondo piano.<br />
L’attività inizia verso le tre del mattino, quando i carichi<br />
iniziano ad affluire nelle aree di conferimento. Alle cinque<br />
ha luogo l’asta dei tonni, riservata ai grossisti autorizzati: un<br />
banditore batte all’asta i singoli esemplari, ancora congelati,<br />
allineati sul pavimento. I potenziali acquirenti ne valutano la<br />
qualità e tentano di aggiudicarsi i pezzi migliori al prezzo più<br />
conveniente. Per assistere come pubblico è necessario essere<br />
sul luogo prima dell’inizio delle contrattazioni ed effettuare<br />
la registrazione <strong>per</strong> via di soli 120 posti disponibili su un<br />
palco separato.<br />
Noi invece arriviamo alle nove, <strong>per</strong> avere la possibilità<br />
di osservare liberamente i banchi dei grossisti intermedi<br />
(il mercato vero e proprio), attivi <strong>per</strong> circa due ore fino alle<br />
undici.<br />
L’ingresso, piuttosto anonimo, è situato sul lato<br />
meridionale di Shin Ōhashi Dōri. Nei dintorni si osserva una<br />
crescente concentrazione di negozietti d’indumenti, sandali,<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
coltelli, articoli <strong>per</strong> la casa e ristoranti di sushi, sashimi,<br />
rāmen e vari cibi di strada. Il bazar prosegue all’interno<br />
dell’area mercatale, dove un artigiano sta forgiando nella<br />
sua bottega un coltello d’acciaio deba bōchō (multiuso<br />
da cucina). Tale è la <strong>per</strong>izia nella lavorazione della lama che<br />
conviene sostare ad assistere all’o<strong>per</strong>azione. Il coltello è poi<br />
stato da me acquistato insieme alla pietra <strong>per</strong> l’affilatura. Al<br />
ritorno non sono stati riscontrati problemi alla dogana e non<br />
è neppure stato necessario effettuare la denuncia.<br />
La zona degli espositori del pesce è riconoscibile dai<br />
capannoni con pianta a quarto di cerchio, dove sono assiepati<br />
centinaia di esercenti. Chi ama i generi ittici non sarà di certo<br />
deluso da questo tripudio: che sia d’acqua dolce o salata,<br />
dell’Atlantico o del Pacifico, che siano molluschi o crostacei,<br />
non v’è specie che non sia rappresentata. Il re del mercato è<br />
<strong>per</strong>ò il tonno: si va dai tagli più magri del semplice maguro<br />
fino a quelli più grassi del ricercatissimo toro, che può<br />
arrivare a costare sui 500 euro al chilo (abbiamo visto di<br />
<strong>per</strong>sona confezioni da circa 200 g vendute a 90 €). Si dice che i<br />
giapponesi siano fra i peggiori “predatori del mare” al mondo,<br />
con le loro navi che caricano all’inverosimile le stive frigorifere<br />
<strong>per</strong> poi rientrare alla base qualche settimana dopo. In realtà,<br />
ciò accade sempre meno: l’attuale tendenza dell’industria<br />
ittica giapponese è quella di ridurre l’esposizione in prima<br />
<strong>per</strong>sona, lasciando ai pescatori africani, magrebini e indiani<br />
il compito di trarre nelle rispettive zone le reti con le specie<br />
a rischio, successivamente caricate sugli aerei cargo <strong>per</strong><br />
essere a Tōkyō in ventiquattr’ore o meno. Per questo motivo<br />
è diffusa la battuta che recita: «Sapete qual è il principale<br />
porto di pesca del <strong>Giappone</strong> L’aeroporto internazionale<br />
di Narita!». Il pescato viene trasferito ancora surgelato sui<br />
banchi di vendita, <strong>per</strong> sparire definitivamente sui furgoni<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
dei corrieri entro le undici del mattino. Da quel momento il<br />
luogo si spopola ed iniziano le pulizie intensive, che lasciano<br />
al turista ben poco da vedere.<br />
Prima di uscire transitiamo velocemente attraverso il<br />
mercato ortofrutticolo, che <strong>per</strong>ò non desta grande interesse.<br />
Ancora una breve sosta: acquisto un tendone da ristorante di<br />
sushi con la raffigurazione dell’onda di Katsushika Hokusai,<br />
una delle trentasei vedute del monte Fuji, o<strong>per</strong>a suprema<br />
del maestro dell’ukiyo-e. Come giustamente ha affermato<br />
un compagno di viaggio: «non si può tornare dal <strong>Giappone</strong><br />
senza l’onda di Hokusai!»<br />
In un quarto d’ora raggiungiamo Shintomichō, sulla linea<br />
Yūrakuchō, <strong>per</strong> scendere all’omonima fermata. Dopo 500 m,<br />
attraversata Hibiya Dōri, i palazzi si diradano e si presenta<br />
il fossato esterno del palazzo im<strong>per</strong>iale, che introduce al<br />
Kōkyo-gaien, un ampio parco pubblico costellato da<br />
centinaia di pini nigræ tenuti alla maniera tradizionale,<br />
area sulla quale sorgevano un tempo le dimore dei capi della<br />
servitù di palazzo. Il prato è (come sempre accade) di figura ed<br />
il pubblico è obbligato a transitare sui viali ed a sostare sulle<br />
panchine. Peccato che le piante siano piuttosto rade e, nelle<br />
giornate calde e afose come questa, non diano alcun refrigerio.<br />
Finalmente ci fermiamo qualche minuto <strong>per</strong> un po’ di riposo e<br />
<strong>per</strong> un boccone al sacco. Appena ripreso il cammino, si apre la<br />
grande spianata che conduce al Nijubashi, ponte a due arcate<br />
che costituisce l’ingresso d’onore al palazzo im<strong>per</strong>iale<br />
(Kōkyo). Durante l’epoca Edo quest’area ospitava il castello<br />
che fu <strong>per</strong> secoli residenza degli shōgun della famiglia<br />
Tokugawa. Nella successiva era Meiji il sito raggiunse la sua<br />
attuale estensione di 3,41 chilometri quadrati, arrivando<br />
ad ospitare al suo interno il palazzo principale (Kyūden),<br />
le residenze private della famiglia im<strong>per</strong>iale, un archivio,<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
un museo e gli uffici della potente Agenzia (ex Ministero)<br />
dell’Im<strong>per</strong>ial Casa. Dall’esterno poco o nulla s’intuisce:<br />
l’intero complesso, del quale s’indovinano solo alcuni tetti,<br />
è celato da una fitta cortina d’alberi piantati oltre la riva del<br />
fossato interno. A differenza della mentalità europea, dove il<br />
potere cerca l’ostentazione ed il lusso, in oriente esso agisce<br />
in modo discreto, rigorosamente nascosto dagli sguardi della<br />
plebe. Più è effettivo, più è invisibile: il medesimo “palazzo”<br />
è in realtà un complesso di sobri padiglioni alti al massimo<br />
due piani, immersi nella verzura circostante. Questo luogo è<br />
stato considerato sacro fino alla fine della II guerra mondiale,<br />
quando l’im<strong>per</strong>atore era ancora venerato come discendente<br />
della dea solare Amaterasu-ō-mi-kami: <strong>per</strong>fino le <strong>per</strong>sone di<br />
passaggio sul tram erano obbligate, racconta Fosco Maraini,<br />
a togliersi il cappello in segno di deferenza verso la Sublime<br />
Dimora. Qui è conservato il gioiello Yasakani no Magatama,<br />
una delle tre Regalie Im<strong>per</strong>iali oltre alla spada Kusanagi<br />
dell’Atsuta-jingū di Nagoya ed allo specchio Yata no Kagami<br />
dei santuari di Ise. È ormai appurato che questi oggetti, un<br />
tempo ritenuti di valore magico e sciamanico, sono in realtà<br />
re<strong>per</strong>ti archeologici d’epoca protostorica Yamato (300–710<br />
d.C.), simboli dell’autorità temporale e spirituale del Tennō<br />
da almeno quindici secoli. Il ruolo della figura im<strong>per</strong>iale si<br />
<strong>per</strong>de nei meandri dalla storia, avendo subìto vari mutamenti:<br />
dai primi mitici sovrani menzionati nel Kōjiki (cronaca delle<br />
antiche cose) e nel Nihon-shoki (cronaca del <strong>Giappone</strong>), ai più<br />
terreni sacerdoti-sciamani, ai bellicosi sovrani-condottieri,<br />
ai colti signori feudali, alle insignificanti figure alla mercé<br />
dei propri attendenti ed infine, con l’età contemporanea,<br />
ai moderni monarchi costituzionali. I riti d’ascesa al trono<br />
si protraggono <strong>per</strong> vari mesi e presentano una notevole<br />
stratificazione di simbologie, alcune delle quali svuotate<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
da tempi immemori del loro significato. Ad ogni modo,<br />
<strong>per</strong>lomeno negli ultimi 150 anni, il popolo giapponese si è quasi<br />
sempre riconosciuto nel Tennō e nei suoi pronunciamenti,<br />
illuminati o deleteri che fossero. Attualmente egli è visto, in<br />
modo conforme alla Costituzione del 1947, quale «simbolo<br />
dello Stato e dell’unità del popolo». Non mancano <strong>per</strong>ò degli<br />
isolati gruppi estremisti, che inneggiano alla proclamazione<br />
della Repubblica (a sinistra) e teorici della restaurazione<br />
delle prerogative divine dell’im<strong>per</strong>atore (a destra).<br />
Gran parte del palazzo è chiuso al pubblico, tranne che<br />
in speciali occasioni come il capodanno ed il compleanno<br />
del sovrano. Presso il ponte Niju, <strong>per</strong>ennemente sorvegliato<br />
dalle guardie, ci raduniamo <strong>per</strong> fare il punto della situazione:<br />
esauriti i punti d’interesse comune, il gruppo si divide affinché<br />
ognuno possa proseguire la giornata a proprio piacimento.<br />
Rimasti in quattro, prima di riprendere la strada mi reco<br />
alle latrine pubbliche ad accesso libero, pulitissime e, a<br />
scelta, con tazza dotata di asse elettronico oppure con pedana<br />
giapponese (simile alla cd. “turca” ma con il para-urina<br />
davanti).<br />
Costeggiamo il palazzo sul lato nord-est ed attraversiamo<br />
i giardini Kitanomaru, ancora all’interno del <strong>per</strong>imetro<br />
delimitato dal fossato: quest’ultimo non presenta una visione<br />
ridente, pieno com’è di melma, lemne e sicuramente di gran<br />
copia di culicidi vari.<br />
Usciamo dal lato ovest su Uchibori dōri e puntiamo verso<br />
nord. Dopo altri 500 m di cammino si presenta l’ingresso del<br />
santuario di Yasukuni. Un grosso torii di bronzo, seguito<br />
da un portale ligneo, introduce ad un giardino di ciliegi. Sullo<br />
sfondo s’intravede l’Haiden, sala di preghiera risalente al 1901<br />
dove i fedeli si ritirano a pregare ed a depositare le offerte<br />
votive. L’Honden invece, costruito nel 1872, è il santuario<br />
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117<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
dove risiedono i kami e dove i sacerdoti eseguono i rituali,<br />
edificio solitamente chiuso al pubblico. A lato trova posto lo<br />
Yūshūkan, museo della guerra. Perché la guerra L’intero<br />
complesso è nato nel 1869 <strong>per</strong> accogliere gli spiriti dei caduti<br />
in battaglia sotto la bandiera dell’im<strong>per</strong>atore durante la<br />
guerra civile che portò lo shōgunato alla sconfitta. Nei decenni<br />
successivi il luogo è stato eletto a dimora di tutti i morti <strong>per</strong><br />
la patria nei conflitti contemporanei, fra cui la spedizione di<br />
Taiwan (1874), la prima guerra sino-giapponese (1894–1895),<br />
la guerra russo-giapponese (1904–1905), la seconda guerra<br />
sino-giapponese (1937–1941) e la seconda guerra mondiale<br />
(combattuta dal <strong>Giappone</strong> tra il 1941 ed il 1945). La principale<br />
controversia, che accompagna costantemente la visita dei<br />
politici e dei funzionari di governo, riguarda la venerazione<br />
di oltre mille criminali di guerra condannati a morte dal<br />
Tribunale <strong>per</strong> l’Estremo Oriente, deificati nonostante ciò nel<br />
1959. A questi si sommano i 14 criminali maggiori innalzati<br />
agli onori degli altari scintoisti nel 1978, fra cui il generale<br />
Tōjō Hideki, ex primo ministro e capo della giunta militare<br />
durante la II guerra mondiale. Si dice che <strong>per</strong> questa ragione<br />
l’im<strong>per</strong>atore Shōwa (Hirohito) non volle più mettere piede<br />
a Yasukuni dal 1978 fino alla sua morte. In occasione dei<br />
pellegrinaggi dei membri del Gabinetto, compreso il Primo<br />
Ministro, i paesi limitrofi come Cina e Corea non mancano di<br />
protestare con veemenza e di minacciare feroci ritorsioni. Da<br />
parte giapponese a nulla vale affermare che le visite dei politici<br />
vengono effettuate a titolo <strong>per</strong>sonale: una scusa difficilmente<br />
credibile data l’ingente mobilitazione di forze dell’ordine e di<br />
giornalisti che accompagna regolarmente l’evento.<br />
Da Yasukuni non è assai distante la fermata Kudanshita<br />
della linea Hanzōmon, che utilizziamo in direzione Shibuya,<br />
quartiere commerciale ed usuale meta di giovani, sede di<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
numerosi grandi magazzini e negozi alla moda.<br />
All’uscita della metropolitana è collocata la statua di<br />
Hachikō, il cane che ha aspettato il padrone, ormai deceduto,<br />
tutte le sere <strong>per</strong> ben dieci anni (dal 1925 al 1935) fino a diventare<br />
una celebrità nazionale. La sua fedeltà, in un paese dove<br />
questa qualità è assai apprezzata, ha colpito l’immaginario<br />
popolare a tal punto da essere celebrato ancora in vita.<br />
L’interesse del pubblico ha inoltre <strong>per</strong>messo il salvataggio<br />
della razza Akita, che all’epoca era vicina all’estinzione, con<br />
una trentina d’esemplari rimasti. La piazza, che oggi porta<br />
il nome di Hachikō, è il punto d’incontro più frequentato<br />
della zona. Nei pressi si trova un famoso attraversamento<br />
pedonale con le strisce poste in diagonale sull’incrocio: il<br />
rosso dei semafori scatta contemporaneamente <strong>per</strong> tutte le<br />
auto ed all’istante una fiumana di <strong>per</strong>sone si riversa sulla<br />
strada <strong>per</strong> guadagnare il marciapiede opposto.<br />
Alcuni grandi schermi televisivi, montati sugli edifici<br />
prospicienti, s’affacciano sulla folla, così come molte insegne<br />
pubblicitarie. Un politico è intento a tenere un comizio<br />
elettorale in cima ad un camioncino dotato di megafoni,<br />
ma pare non riesca a destare l’interesse dei passanti: l’arte<br />
oratoria non è una tradizione giapponese e i discorsi pubblici<br />
risultano invariabilmente piatti, monotoni e privi di qualsiasi<br />
gestualità. Ciò nonostante, il poveretto <strong>per</strong>severa im<strong>per</strong>territo<br />
nella declamazione delle sue esternazioni.<br />
Dall’incrocio di Shibuya seguiamo <strong>per</strong> 1,5 km (20 minuti)<br />
il <strong>per</strong>corso della linea ferroviaria Yamanote in direzione<br />
nord, che teniamo sulla nostra destra. A sinistra costeggiamo<br />
il parco olimpico, costruito da Tange Kenzō in occasione dei<br />
giochi del 1964. Poco oltre vi è la zona di Harajuku, dove di<br />
solito si raduna una compagine di gente un po’ strana, da<br />
quelli che praticano lo skateboard in canottiera (ormai a<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
pomeriggio inoltrato, con meno di 15°C) a quelli che ballano<br />
in gruppo a ritmo di musica proveniente da alcune radio<br />
gracchianti poste sul marciapiede… come dice il poeta, «non<br />
ti curar di lor, ma guarda e passa». L’ingresso del Yoyogi<br />
kōen si annuncia con un grosso torii di legno: questo vasto<br />
parco di 5,4 km² è uno dei più estesi polmoni verdi nel cuore<br />
di Tōkyō ed è attraversato da numerosi <strong>per</strong>corsi di ghiaia e<br />
terra battuta che si fanno largo all’interno di una fitta foresta,<br />
in palese contrasto con l’ambiente urbano circostante. Molti<br />
sono i cittadini che passeggiano e si rilassano <strong>per</strong> qualche ora<br />
nel verde.<br />
Nel frattempo noi, sempre pedibus calcantibus, iniziamo<br />
ad avvertire una certa stanchezza <strong>per</strong> via delle sette ore ormai<br />
trascorse a piedi <strong>per</strong> la città. La giornata è <strong>per</strong>ò ben lungi dal<br />
volgere al termine: al centro del parco vi è il Meiji-jingū,<br />
principale santuario di Tōkyō, dedicato alla memoria del<br />
defunto im<strong>per</strong>atore Meiji (1852–1912). Per la costruzione,<br />
iniziata immediatamente dopo la sua morte, fu scelta<br />
una zona dove il Tennō e la consorte usavano soggiornare<br />
presso un padiglione situato all’epoca fuori porta. Lo stile<br />
architettonico è il tradizionale nagare-zukuri, che vede<br />
l’utilizzo in via preferenziale di cipresso sugi e di rame. La<br />
consacrazione è avvenuta nel 1920 ed il completamento sei<br />
anni più tardi, nel 1926. Il Gaien (recinto esterno) comprende<br />
lo stadio nazionale ed altri svariati edifici, mentre il Naien<br />
(recinto interno) è invece il vero cuore del santuario, adibito<br />
alle funzioni religiose. Vi si trova inoltre un museo del tesoro,<br />
edificato in stile azekura-zukuri (o<strong>per</strong>a lineare in solo legno).<br />
Il vasto cortile lastricato è accessibile dal pubblico e, con<br />
un po’ di fortuna come è accaduto a noi, è possibile assistere<br />
ad uno sposalizio scintoista. Dal porticato il corteo nuziale<br />
procede con il kannushi (sacerdote) in testa, seguito da due<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
assistenti e due miko (sacerdotesse), poi dagli sposi ed infine<br />
dal codazzo del parentado. Tutti sono vestiti alla maniera<br />
tradizionale, con un’eccezione: gli uomini del seguito vestono<br />
con il frac, che pur essendo l’abito occidentale più formale,<br />
quasi non si usa più neppure in Europa! La sposa porta<br />
un’elaboratissima acconciatura che viene sco<strong>per</strong>ta solo ad<br />
un certo momento della cerimonia. Terminata la funzione,<br />
gli sposi di buon grado si prestano ad essere immortalati dai<br />
turisti, di cui molti stranieri, ma soprattutto giapponesi: un<br />
matrimonio in questo luogo equivale nella nostra ottica a<br />
quello celebrato in una basilica pontificia di Roma. Secondo<br />
un detto assai diffuso in occidente, i giapponesi nascerebbero<br />
scintoisti, vivrebbero secondo i precetti morali di Confucio,<br />
si sposerebbero cristiani <strong>per</strong> via della cerimonia pittoresca<br />
ed invecchierebbero buddhisti <strong>per</strong> prepararsi spiritualmente<br />
alla morte. Anche se non del tutto errato, il precedente<br />
assunto è a dir poco semplicistico: sia il confucianesimo che<br />
il buddhismo <strong>per</strong>meano la società da un millennio e mezzo,<br />
mentre il cristianesimo, presente sulla scena religiosa da “soli”<br />
cinque secoli, è stato adottato sin dagli inizi da una piccola<br />
ma attiva minoranza. Lo spirito sincretico dei giapponesi ha<br />
da sempre favorito una commistione più o meno marcata di<br />
tutti i culti presenti sul territorio. Nel 1911 il filosofo Nishida<br />
Kitaro, ben sintetizzando questo pensiero, ha affermato: «lo<br />
spirito della vera religione rimane estraneo a coloro che<br />
pregano solo il Buddha <strong>per</strong> essere accolti nel suo paradiso».<br />
Proseguiamo attraverso il parco fino all’uscita nordovest.<br />
Dopo aver costeggiato <strong>per</strong> circa 500 m la su<strong>per</strong>strada<br />
sopraelevata n.4 in direzione di Nishi Shinjuku, svoltiamo a<br />
sinistra verso il Museo delle spade giapponesi, una meta<br />
leggermente insolita e fuori mano, che sarà apprezzata non<br />
solo dagli amanti delle lame, ma anche dai cultori della storia<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
e dell’arte. La ricca collezione comprende una preziosa serie<br />
di pezzi unici, alcuni classificati come patrimonio nazionale,<br />
esposti seguendo l’evoluzione cronologica delle tecniche di<br />
forgiatura e di lavorazione delle spade dall’epoca Heian (secoli<br />
IX–XII) fino ai giorni nostri. Sono presenti varie tipologie di<br />
armi da taglio, di cui la più nota è la katana, senza trascurare<br />
le altrettanto importanti wakizashi, tantō, yari, naginata,<br />
nagamaki, tachi, uchigatana, nodachi, ōdachi e kodachi.<br />
Sono inoltre descritti i vari tipi di laminazione impiegati (ve<br />
ne sono nove fra i più comuni), che in una scala di crescente<br />
complessità vanno dal semplice maru (lama di un solo strato<br />
d’acciaio tem<strong>per</strong>ato), all’intermedio honsanmai (quattro<br />
strati d’acciaio di tre durezze diverse) fino al sofisticato<br />
soshu kitae (sette strati d’acciaio di tre durezze diverse). Le<br />
didascalie sono scritte anche in inglese, <strong>per</strong> cui il visitatore<br />
europeo non avrà particolari difficoltà di comprensione.<br />
Dal museo, tornati sui nostri passi, raggiungiamo<br />
Shinjuku, quartiere direzionale, sede di vari uffici del<br />
governo e dei maggiori keiretsu (gruppi aziendali) del<br />
<strong>Giappone</strong>.<br />
Fra la moltitudine di palazzi dello skyline spicca quello del<br />
Governo Metropolitano di Tōkyō (Tōkyō-to Chōsha),<br />
cuore dell’amministrazione municipale. Costruito su<br />
progetto di Tange Kenzō tra il 1988 ed il 1991, con i suoi 48<br />
piani raggiunge l’altezza di 243 metri. La parte sommitale si<br />
compone di due torri (nord e sud) che, con orari differenti,<br />
garantiscono l’a<strong>per</strong>tura gratuita al pubblico dalle 9.30 alle<br />
23 di ogni giorno. A pianterreno sono presenti le indicazioni<br />
<strong>per</strong> raggiungere gli accessi alle terrazze panoramiche: dopo<br />
qualche minuto di coda ed un’ispezione di polizia, siamo<br />
imbarcati sull’ascensore della torre nord, che in breve tempo<br />
conduce a 202 metri d’altitudine. Le piattaforme sono situate<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
completamente all’interno dell’edificio e chiuse da vetrate;<br />
vi trovano posto anche dei caffè e negozi di souvenir. Se si<br />
ha la rara fortuna d’incappare in una giornata limpida e<br />
ventosa, si potranno ammirare l’intera pianura del Kantō, la<br />
baia e le montagne fino al Fuji. Solitamente <strong>per</strong>ò, come nel<br />
nostro <strong>caso</strong>, la foschia non dà tregua. Vale comunque la pena<br />
d’effettuare questa tappa: lo sguardo spazia sull’agglomerato<br />
urbano <strong>per</strong> parecchi chilometri in linea d’aria, anche in<br />
condizioni meteorologiche non ottimali. Partendo da est si<br />
nota l’affusolata struttura di 634 m del Tōkyō Sky Tree, la torre<br />
televisiva più alta del mondo. Proseguendo in senso orario,<br />
in primo piano vi sono i grattacieli di Akasaka, quartiere<br />
centrale che cela la vista al palazzo im<strong>per</strong>iale. Ancora più<br />
a destra, verso sud-est spicca il colore rosso e bianco della<br />
torre di Tōkyō, situata nel quartiere di Minato, in prossimità<br />
dell’area portuale e della baia. A sud risalta la macchia verde<br />
del Yoyogi kōen e del santuario Meiji, oltre il quale si trova<br />
Shibuya. In direzione ovest si estende il vasto hinterland, che<br />
s’arresta sui rilievi montuosi dopo circa trenta chilometri. A<br />
nord vi è infine la piana del Kantō, ove entro qualche decina<br />
di chilometri la metropoli lascia progressivamente spazio ai<br />
terreni agricoli, inframmezzati da un reticolo di cittadine.<br />
Scesi a pianterreno, accediamo alla linea Ōedo della<br />
metropolitana (con l’ingresso all’interno del palazzo),<br />
che utilizziamo <strong>per</strong> otto fermate fino a Shiodome. Da qui<br />
raggiungiamo la linea Yurikamome, il primo sistema<br />
di trasporto automatico di Tōkyō (inaugurato nel 1995),<br />
senza alcun conducente a bordo. Anche se spesso viene<br />
erroneamente definita “monorotaia”, in realtà i treni scorrono<br />
sulla pista sopraelevata mediante ruote gommate, guidate<br />
dalle piste laterali, mentre l’alimentazione è effettuata in<br />
corrente continua con la terza rotaia: questo tipo di convoglio<br />
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123<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
è stato utilizzato <strong>per</strong> la prima volta in Italia sulla linea 1 della<br />
metropolitana di Torino (2006).<br />
È invece necessario non confondersi con la “Tōkyō<br />
Monorail”, unica vera monorotaia della città, gestita dalle<br />
ferrovie e inclusa nel Japan Rail Pass, che non conduce<br />
ad Odaiba (zona della baia) bensì in direzione opposta, da<br />
Hamamatsuchō al vecchio aeroscalo di Haneda, al giorno<br />
d’oggi destinato prevalentemente ai voli interni. Al contrario<br />
la Yurikamome è, a mio avviso, il miglior mezzo <strong>per</strong> godere<br />
di una panoramica completa del fronte-mare, senza dover<br />
affrontare le elevate spese di una gita in barca o <strong>per</strong> non<br />
dover effettuare ulteriori tratti a piedi (specie se siete nella<br />
nostra condizione, con ormai dieci ore e tredici chilometri di<br />
cammino alle spalle…).<br />
Finalmente seduti. Il treno s’avvia verso sud fino al<br />
ponte Arcobaleno (Rainbow bridge, così detto <strong>per</strong> via della<br />
variopinta illuminazione notturna), ove compie un giro di 270<br />
gradi <strong>per</strong> portarsi dal livello del terreno a quello dell’arcata,<br />
attraversando la baia e l’estuario del Sumida-gawa. Sull’altra<br />
sponda sorge Odaiba, una serie di isole artificiali strappate<br />
ai flutti a furia di imponenti ritombamenti, frutto dei piani<br />
regolatori degli anni ‘70 e ‘80, quando si riteneva che<br />
l’espansione dell’edilizia residenziale e commerciale potesse<br />
trovare sfogo a mare, oltre l’ormai sovraffollata terraferma.<br />
All’inizio degli anni ‘90 <strong>per</strong>ò, il crollo della domanda<br />
dei terreni edificabili dovuto all’esplosione della bolla<br />
speculativa, minacciava di trasformare questo progetto in un<br />
eccesso di territorializzazione. Il comune ne decise allora la<br />
parziale riconversione della destinazione d’uso, includendo<br />
centri commerciali, onsen, ristoranti, musei ed altre strutture<br />
ricreative come la Daikanransha, ruota panoramica di 115<br />
metri d’altezza. Questa politica, unita alla presenza ad Odaiba<br />
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124<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
dell’unico accesso diretto al mare di Tōkyō, addirittura<br />
dotato di una lunga spiaggia sabbiosa, ha trasformato questo<br />
luogo nella meta privilegiata dei cittadini in cerca di una<br />
giornata all’insegna del relax e dello shopping. Nelle calde<br />
giornate estive qualcuno si avventura a bagnarsi, nonostante<br />
il divieto, nelle acque della baia tra la spiaggia e le due ex<br />
batterie militari ottocentesche. Altri lotti sono invece dedicati<br />
alle attività portuali, con attracchi, depositi di container,<br />
piattaforme industriali, raffinerie ecc. Alcuni appezzamenti<br />
rimangono <strong>per</strong>ò deserti: è il <strong>caso</strong> dell’area dove saranno in<br />
futuro trasferiti i mercati generali, un’intera isola artificiale<br />
di oltre 500.000 m², <strong>per</strong> ora sede della sola fermata Shijōmae<br />
della linea Yurikamome. Questo scalo, denominato con<br />
troppa fretta «di fronte al mercato», fronteggia ad oggi solo i<br />
prati ed è, con i suoi neppure 100 passeggeri annui, il meno<br />
utilizzato di tutta la città.<br />
Giunti al capolinea di Toyosu ormai all’imbrunire,<br />
prendiamo la coincidenza con la linea Yūrakuchō fino a<br />
Ginza-itchōme. Nonostante l’ora sciagurata d’uscita dagli<br />
uffici, riusciamo addirittura a sederci. Durante il viaggio mi<br />
sovvengono alcune strofe di Battiato, che nel Re del Mondo<br />
canta: «nelle metro giapponesi oggi macchine d’ossigeno».<br />
Mi guardo intorno: sono su una metropolitana<br />
giapponese, a Tōkyō, in piena ora di punta, ma non vedo<br />
alcuna macchina d’ossigeno. Non v’è neppure l’ombra<br />
dei famigerati “spintonatori” <strong>per</strong> stipare all’inverosimile<br />
i vagoni: questa circostanza può forse verificarsi durante<br />
i picchi d’affluenza sulle direttive più affollate, ma si tratta<br />
dell’eccezione e non certo della norma. Si viaggia compressi,<br />
ma a parità d’orario non si è in condizioni peggiori rispetto<br />
ai mezzi pubblici delle grandi città europee (con buona pace<br />
di Battiato, che apprezzo assai come cantautore). Ultimo<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
cambio <strong>per</strong> la linea della Ginza in direzione Ueno. Cena con<br />
un buon rāmen piccante nei pressi dell’albergo. Il locale, lo<br />
abbiamo sco<strong>per</strong>to più tardi, è gestito da cinesi: pazienza, in<br />
fondo lo stesso rāmen non è un piatto d’origine giapponese,<br />
bensì continentale.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Tsukiji: mercato del pesce<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Scorcio del Kōkyo (palazzo im<strong>per</strong>iale)<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Shibuya: il trafficato incrocio<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Sposalizio scintoista al Meiji-jingū<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
La zona portuale di Odaiba ed il “Ponte Arcobaleno” al crepuscolo<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
14 aprile<br />
Tōkyō: musei e tecnologia<br />
O<br />
ggi, come previsto, piove a dirotto: è la giornata<br />
adatta alle mete che non prevedono dei lunghi tragitti<br />
all’aria a<strong>per</strong>ta.<br />
Situato all’interno del parco di Ueno, il Museo Nazionale<br />
di Tōkyō è una tappa che non può mancare agli amanti<br />
della storia, della cultura e dell’arte di questo paese. Fondato<br />
nel 1872, contiene la più vasta collezione d’arte giapponese<br />
al mondo, oltre ad una ricca rassegna di o<strong>per</strong>e provenienti<br />
da tutta l’Asia. L’edificio principale è l’Honkan (galleria<br />
giapponese), costruito negli anni ‘30 e composto da due piani:<br />
la visita inizia da quello su<strong>per</strong>iore con lo sviluppo dell’arte<br />
sacra e l’introduzione del buddhismo dalla Cina attraverso la<br />
Corea (epoca Yamato, sotto<strong>per</strong>iodo Asuka). Si prosegue con<br />
l’arte di corte, che ebbe la massima espressione durante il<br />
<strong>per</strong>iodo Heian, con l’invenzione del genere romanzesco da<br />
parte della dama Murasaki Shikibu: il suo Genji Monogatari<br />
racconta le vicende del principe Genji che, con le sue virtù e<br />
le sue debolezze, è assurto a simbolo della classe nobiliare<br />
dell’XI secolo. Il <strong>per</strong>corso espositivo comprende inoltre la<br />
pittura Zen, la cerimonia del tè, gli equipaggiamenti militari<br />
e le armature antiche. Un discorso approfondito si sviluppa<br />
poi intorno alla pittura: dallo stile tradizionale Yamato-e alle<br />
calligrafie Zen, fino ai pannelli ed ai paraventi delle scuole<br />
Kanō e Tosa. Nelle sezioni successive sono illustrate le arti<br />
nella vita quotidiana, il teatro sacro Nō ed il profano Kabuki,<br />
l’Ukiyo-e, le stampe e la moda nel <strong>per</strong>iodo Edo. Infine, uno<br />
spazio a sé stante è dedicato alla collezione <strong>per</strong>sonale del<br />
principe Takamado.<br />
Non è possibile descrivere l’esatto contenuto delle singole<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
sale ma solo il tema, <strong>per</strong>ché il numero dei re<strong>per</strong>ti posseduti<br />
dal museo è assai elevato: l’esposizione avviene a rotazione<br />
con turni trimestrali.<br />
Al piano inferiore trovano posto la scultura, le lacche,<br />
la lavorazione dei metalli, la forgiatura delle spade, le<br />
ceramiche, la cultura popolare e l’arte moderna. Da un<br />
passaggio interno si accede all’edificio dell’Heiseikan, dov’è<br />
collocata la galleria archeologica, focalizzata sui re<strong>per</strong>ti delle<br />
epoche precedenti l’arrivo della scrittura (fino al V secolo),<br />
in particolare la preistoria (<strong>per</strong>iodi Jōmon e Yayoi) e la<br />
protostoria (epoca Yamato, sotto<strong>per</strong>iodo Kofun).<br />
I Jōmon, primi abitanti del <strong>Giappone</strong> tra i secoli XIV e IV<br />
a.C., erano organizzati in varie tribù di cacciatori-raccoglitori<br />
dislocate sul territorio, divenute in seguito stanziali con<br />
l’adozione di un’agricoltura di sussistenza: artisticamente<br />
si distinguono <strong>per</strong> una produzione di terraglie e ceramiche<br />
riccamente decorate, pietre lavorate e statuette antropomorfe<br />
d’argilla. Gli antropologi sono concordi sul fatto che i<br />
discendenti dei Jōmon siano gli attuali Ainu, vero popolo<br />
autoctono del <strong>Giappone</strong> (probabilmente indoeuropeo), ora<br />
ridotto ad una minoranza sull’isola più settentrionale di<br />
Hokkaidō. Furono gli Yayoi (300 a.C.–300 d.C.), progenitori<br />
genetici degli attuali giapponesi, a confinare verso le fredde<br />
regioni del nord i popoli già presenti sul territorio, da loro<br />
chiamati Emishi o Ebisu (“barbari”). Forti di una su<strong>per</strong>iorità<br />
tecnica, gli Yayoi introdussero la coltivazione del riso ed il<br />
procedimento <strong>per</strong> la lavorazione del rame e del bronzo,<br />
materie prime <strong>per</strong> la fabbricazione di utensili ed armi.<br />
Infine il <strong>per</strong>iodo Kofun (secoli IV–V), con cui si conclude la<br />
preistoria e si dà l’avvio alla storia, trae il proprio nome dai<br />
tumuli funerari rinvenuti presso l’area di Yamato (nell’agro<br />
di Nara), luogo del ritrovamento di alcuni idoli d’argilla detti<br />
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133<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Haniwa, nonché di vari specchi, gioielli e spade, coevi a quelli<br />
noti come “sacri tesori” della nazione e simbolo del potere<br />
im<strong>per</strong>iale.<br />
Uscendo dall’Honkan, un viale sulla destra conduce<br />
all’Hōryū-ji Hōmotsukan, edificio che conserva il tesoro<br />
dell’antichissimo tempio di Hōryū-ji, risalente ai secoli<br />
VI–VII (epoca Asuka). A pianterreno sono esposte varie<br />
statuette dorate raffiguranti divinità buddhiste, alcune di<br />
stile chiaramente indiano, altre influenzate dal gusto cinese<br />
con reminescenze tibetane e nepalesi. Accanto vi è la sala<br />
delle attrezzature <strong>per</strong> il gigaku, un tipo di danza mimata a<br />
ritmo di musica, oggi non più praticata. Le fattezze grottesche<br />
delle maschere le avvicinano <strong>per</strong> molti versi a quelle tuttora<br />
utilizzate in Tibet. Al piano su<strong>per</strong>iore sono inoltre collocate<br />
stoffe, calligrafie, pitture, lacche, o<strong>per</strong>e di legno e di metallo<br />
provenienti dallo stesso tesoro dell’Hōryū-ji.<br />
Fuori piove a dirotto: i giardini con le storiche case da tè sono<br />
chiusi <strong>per</strong> maltempo, mentre l’edificio del Tōyōkan (galleria<br />
asiatica) non è temporaneamente accessibile <strong>per</strong> lavori di<br />
ristrutturazione. Parte della collezione d’arte orientale è<br />
esposta provvisoriamente nell’Honkan e nell’Heiseikan. La<br />
ria<strong>per</strong>tura di quest’ala è prevista <strong>per</strong> il 2013.<br />
Da lì riattraversiamo il parco e torniamo all’albergo <strong>per</strong><br />
riposare circa un’ora, asciugando l’umido dei vestiti.<br />
Terminata la pausa, usciamo nuovamente: con la<br />
linea Hibiya raggiungiamo in due fermate Akihabara,<br />
soprannominata denki-gai (“città elettrica”) <strong>per</strong> via<br />
dell’elevata concentrazione di negozi specializzati nel campo<br />
dell’elettronica.<br />
La storia di questo distretto ha avuto origine nel <strong>Giappone</strong><br />
del dopoguerra: l’elevata quantità di residuati bellici aveva<br />
indotto alcuni commercianti a sfruttarne proficuamente il<br />
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134<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
riutilizzo, facendo comparire le prime bancarelle di materiale<br />
elettrico grezzo venduto a peso. In capo a pochi anni<br />
apparvero i primi negozi, mentre parallelamente l’offerta si<br />
arricchiva e si differenziava con l’assemblaggio di prodotti<br />
funzionanti, seppur artigianali: spesso accadeva che gli<br />
studenti d’ingegneria elettronica, <strong>per</strong> sbarcare il lunario, si<br />
dedicassero alla costruzione di apparecchi radiofonici, molto<br />
richiesti quanto difficili da trovare negli anni dell’occupazione<br />
americana (1945–1952). Nel successivo <strong>per</strong>iodo dello<br />
sviluppo economico iniziarono a diffondersi i generi di svago<br />
come i dischi e gli impianti stereo hi-fi. Con l’avvento degli<br />
anni ottanta le vetrine, ormai illuminate dalle variopinte luci<br />
al neon, si riempirono di elettrodomestici, videoregistratori e<br />
tv-color, articoli dei quali i giapponesi erano ormai divenuti<br />
i maggiori produttori mondiali. Dagli anni novanta in<br />
poi, Akihabara si è affermata come principale piazza <strong>per</strong> i<br />
prodotti legati all’informatica, nonché come luogo deputato<br />
<strong>per</strong> il lancio di nuovi videogiochi e di serie di anime (cartoni<br />
animati di produzione nazionale).<br />
Già fuori dalla stazione si aprono varie viuzze di negozi<br />
colmi d’ogni articolo: componenti elettrici, attrezzature <strong>per</strong> la<br />
gioia di ogni radioamatore, accessori <strong>per</strong> telefonia ecc. Poco<br />
oltre si apre la <strong>per</strong>pendicolare Chūō dōri, la strada principale<br />
dove s’affacciano i centri commerciali rigorosamente dedicati<br />
alla tecnologia. Solo <strong>per</strong> visitarne uno fra i più noti (un intero<br />
edificio di sei piani) impieghiamo circa un’ora. La fornitura<br />
è vasta ma i prezzi sono simili a quelli europei: praticamente<br />
non v’è convenienza negli acquisti in loco di questo genere.<br />
In compenso, se desiderate un souvenir veramente originale,<br />
<strong>per</strong> ¥ 300.000 (ca. € 3.000) potrete portarvi a casa l’intero<br />
washlet (il water automatico), scegliendo fra vari modelli<br />
in base alle vostre esigenze: con la tavoletta che s’abbassa<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
automaticamente al vostro arrivo, autopulente e, <strong>per</strong>ché no,<br />
con l’asse riscaldato… ce n’è <strong>per</strong> tutti i gusti!<br />
Fuori dai negozi sono a disposizione dei sacchetti di<br />
plastica di forma tubolare, dove i clienti sono invitati a riporre<br />
gli ombrelli bagnati (che ognuno si porta appresso) <strong>per</strong> non<br />
insozzare il locale e magari <strong>per</strong> non sgocciolare su qualche<br />
costosa videocamera. Agli angoli delle strade si vedono delle<br />
ragazze vestite da cameriere, che tentano d’attirare l’attenzione<br />
dei passanti offrendo volantini: lavorano nei cosiddetti maid<br />
cafè, luoghi dove le bevande e le pietanze sono accompagnate<br />
da parole lusinghiere verso i clienti (le finte domestiche vi si<br />
rivolgono con «bentornato padrone», «la sua umile serva le<br />
dà il benvenuto» ed altre simili amenità). Probabilmente gli<br />
avventori, in larga parte uomini, non si rendono conto che<br />
<strong>per</strong> le ragazze questi lavori costituiscono una scelta spesso<br />
obbligata <strong>per</strong> ovviare alla disoccupazione, pagarsi gli studi<br />
oppure estinguere dei debiti. Coloro che frequentano questi<br />
locali contribuiscono ad esaltare le espressioni d’una società<br />
tradizionalmente maschilista ed a propugnare la cultura del<br />
servilismo, piaghe che invece si tentano di debellare con<br />
fatica da decenni. Non mancano poi altri esempi di strani<br />
caffè, fra cui quelli popolati da intere colonie di gatti che,<br />
volenti o nolenti, sono a disposizione dei clienti <strong>per</strong> essere<br />
accarezzati e vezzeggiati. Appena 500 m verso nord, la zona<br />
commerciale termina <strong>per</strong> lasciare il posto a degli anonimi<br />
palazzi: ritorniamo sui nostri passi, cogliendo l’occasione <strong>per</strong><br />
visitare ancora un altro grande magazzino ed avviarci infine<br />
sulla strada del ritorno.<br />
Questa è l’ultima sera in terra giapponese: decidiamo<br />
all’unanimità di celebrarla con una cena a base di sushi all’ottimo<br />
kaiten già s<strong>per</strong>imentato in precedenza. Poi, a dormire presto: il<br />
letto lo rivedremo nuovamente fra due giorni, e sarà quello di casa.<br />
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136<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Museo Nazionale: Ukiyo-e<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
15 aprile<br />
Last but not least: ultimo giorno a Tōkyō<br />
Q<br />
uesta notte abbiamo dormito in quattro in una camera<br />
all’occidentale. Per fortuna, rispetto alla sistemazione<br />
precedente, questa è collocata ad un piano alto, con due ampie<br />
porte a vetro che danno accesso ad un balcone ad angolo. Il<br />
tempo stamattina è clemente, con il cielo sgombro da nubi:<br />
un tiepido sole inizia ad alzarsi facendosi strada in fondo alle<br />
vie e tra i palazzi.<br />
Con la linea della Ginza raggiungiamo in tre fermate<br />
Asakusa <strong>per</strong> visitare il Sensō-ji: la leggenda narra che<br />
questo tempio, il più antico di Tōkyō, fu fondato nel 645 sul<br />
luogo del recu<strong>per</strong>o di una statua di Kannon dalle acque del<br />
fiume Sumida. Il ritrovamento, effettuato da due pescatori,<br />
fu considerato miracoloso e la comunità locale volle edificare<br />
un sacello affinché i fedeli potessero recarsi a venerare il<br />
bodhisattva della Misericordia.<br />
Nel corso dei secoli il complesso si è progressivamente<br />
esteso, in particolare durante il primo <strong>per</strong>iodo Edo, quando<br />
Tokugawa Ieyasu elevò la divinità titolare del tempio a<br />
protettrice della propria casata. Conformemente allo spirito<br />
sincretico dell’epoca, è presente anche un santuario scintoista<br />
dedicato al kami Inari, patrono delle attività agricole e delle<br />
volpi. I danni dovuti ai bombardamenti della II guerra<br />
mondiale sono stati ingenti ma riparati in breve tempo dopo<br />
la fine delle ostilità.<br />
L’accesso principale è il Kaminari-mon (portale del<br />
tuono), così detto <strong>per</strong> via delle due statue, quella del dio del<br />
tuono Raijin e quella del dio del vento Fūjin, che trovano<br />
posto al suo interno. La sua costruzione risale al 941, ma le<br />
statue furono realizzate nel 1635 in occasione di alcuni lavori<br />
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138<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
di restauro. Sul passaggio incombe un’imponente lanterna<br />
rossa (chochin) di 670 chili di peso, forse uno dei simboli<br />
più noti della città, recante gli ideogrammi “Kaminari-mon”<br />
e “Furaijin-mon” in dimensioni cubitali. Dall’altro lato si<br />
apre Nakamise-dōri, la strada che conduce al tempio: un<br />
<strong>per</strong>corso lungo circa 300 m, costellato di bancarelle di tutti<br />
i tipi con dolciumi, souvenir, abiti, cartoline, maschere,<br />
valigie, piatti ecc. Questo bazar nacque spontaneamente in<br />
tempi antichi <strong>per</strong> soddisfare le esigenze dei pellegrini; altri<br />
esempi del genere erano assai diffusi nei pressi dei templi e<br />
dei santuari più importanti del paese. L’intero quartiere di<br />
Asakusa è gravitato intorno al Sensō-ji fin dalle sue origini,<br />
condividendone i momenti di gloria e di decadenza. Questo è<br />
il centro della vecchia Shitamachi, la popolare città bassa che<br />
<strong>per</strong> secoli si è contrapposta al centro del potere e degli affari<br />
della Yamanote, la zona delle colline occidentali.<br />
Un banchetto vende biscotti sfornati sul momento: non<br />
sono né dolci né salati ed hanno una pasta abbastanza dura,<br />
bagnata nell’uovo sbattuto prima della cottura. Data la<br />
natura delle nostre giornate, che non prevedono un pranzo<br />
strutturato, questi saltuari assaggi costituiscono una valida<br />
occasione <strong>per</strong> conoscere i cibi di strada giapponesi.<br />
Oltrepassata l’Hōzōmon (la porta più interna), si apre il<br />
cortile del tempio, dov’è collocato un grande incensiere di<br />
bronzo. Le <strong>per</strong>sone si avvicinano e si lasciano avvolgere dal<br />
fumo, ritenuto di buon auspicio, benefico e curativo. Oltre<br />
a recitare le litanie e le preci, i pellegrini possono tentare<br />
la divinazione della fortuna richiedendo un biglietto<br />
stampato (o-mikuji), che una volta a<strong>per</strong>to reca il vaticinio:<br />
se è infausto, lo si può legare ad una rastrelliera in modo da<br />
lasciare la malasorte al tempio, mentre se è favorevole lo si<br />
porta con sé. Osserviamo con interesse questi rituali, ma ci<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
asteniamo dal praticarli in prima <strong>per</strong>sona: <strong>per</strong> degli europei<br />
come noi, nati fuori dal contesto della cultura giapponese,<br />
sarebbe fuori luogo. Purtroppo invece, è assai frequente<br />
osservare dei turisti che, <strong>per</strong> citare un tipico esempio,<br />
praticano l’abluzione (magari pure in modo errato) solo<br />
<strong>per</strong> farsi scattare una fotografia da esibire a casa, oppure<br />
suonano le campane dei templi <strong>per</strong> curiosità e non <strong>per</strong> motivi<br />
religiosi: non si comprende <strong>per</strong>ché queste <strong>per</strong>sone, che<br />
considerano la cultura locale alla stregua di folklore, abbiano<br />
volontariamente affrontato un viaggio di varie migliaia di<br />
chilometri <strong>per</strong> recarsi in <strong>Giappone</strong>.<br />
Sulla sinistra spicca la pagoda rossa del Sensō-ji, alta<br />
cinque piani. A destra vi è la fontana <strong>per</strong> la purificazione,<br />
mentre di fronte campeggia l’Hondō, sala principale dalle<br />
tegole di titanio, metallo adottato <strong>per</strong> via della maggiore<br />
leggerezza e resistenza ai fenomeni atmosferici.<br />
I gradini che conducono al porticato sono gremiti di <strong>per</strong>sone<br />
in attesa del loro turno <strong>per</strong> venerare l’effigie di Kannon.<br />
Da quel punto ritorniamo sui nostri passi, ri<strong>per</strong>correndo<br />
Nakamise-dōri in senso contrario. Un negozio espone una<br />
bella lanterna rossa: non starebbe male in casa mia, penso.<br />
Chiedo il prezzo e scopro che in realtà... è la lampada esterna<br />
del negozio: «sorry» dice il negoziante, «questa non gliela<br />
posso proprio vendere!» Pazienza, niente lanterna…<br />
Data la maggior clemenza del tempo rispetto ai giorni<br />
precedenti, con la linea della Ginza cambiamo <strong>per</strong> la<br />
Marunouchi e torniamo verso il palazzo del governo<br />
metropolitano di Shinjuku. Stavolta saliamo sulla torre<br />
sud, che ha la visuale sgombra a meridione: v’è molta meno<br />
bruma dell’altro ieri, ma la cappa d’inquinamento e polveri è<br />
notevole, lasciando come di consueto il mare e le montagne<br />
all’immaginazione dell’osservatore.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Poi, sempre con la linea Marunouchi, arriviamo fino<br />
ad Ōtemachi. Dopo aver costeggiato il fossato del palazzo<br />
im<strong>per</strong>iale ci fermiamo, seduti su un gradino, a consumare un<br />
veloce boccone al sacco.<br />
Mentre sostiamo tranquilli a riposare, scrutiamo i<br />
passanti: nel via vai non si vede neppure un immigrato.<br />
Gli unici stranieri sono i turisti, <strong>per</strong>altro pochi, visto che il<br />
<strong>Giappone</strong> non è una meta di viaggio gettonata. L’insularità<br />
di questo paese ha da sempre svolto la funzione di difesa<br />
naturale contro le invasioni e le ondate d’immigrazione:<br />
con l’avvento dei galeoni da guerra e delle armi da fuoco<br />
(sec. XVI–XVII), accompagnato dal crescente proselitismo<br />
cattolico, questo fattore non fu <strong>per</strong>ò più sufficiente. Il bakufu<br />
ricorse <strong>per</strong>tanto alla forza <strong>per</strong> instaurare un isolamento<br />
forzato, respingendo chiunque sbarcasse sulle coste,<br />
compresi i mercanti e gli ambasciatori. Chi osava addentrarsi<br />
di nascosto nell’entroterra era nel migliore dei casi preso ed<br />
incarcerato dagli hatamoto, gli scherani dei Tokugawa, ma<br />
più spesso veniva trucidato sul posto. Agli stessi giapponesi,<br />
una volta espatriati, era fatto divieto di rientrare, pena la<br />
morte. Tra il 1633 ed il 1853 gli unici europei autorizzati a<br />
commerciare nell’arcipelago furono gli olandesi, arroccati in<br />
una minuscola concessione nei pressi di Nagasaki ed obbligati<br />
a recarsi <strong>per</strong>iodicamente a Edo <strong>per</strong> rendere atto d’omaggio<br />
allo shōgun. Tra il 1853 ed il 1854 gli Stati Uniti, prefigurando<br />
nel <strong>Giappone</strong> un mercato da sfruttare, inviarono una flotta<br />
al comando del commodoro Matthew Perry ed imposero<br />
l’a<strong>per</strong>tura dei porti. I futuri e poco idilliaci rapporti tra i<br />
due paesi ebbero inizio con quest’atto d’im<strong>per</strong>io, preludio<br />
alla stipula dei trattati ineguali, odiatissimi dai giapponesi<br />
e forieri d’ingiusti vantaggi <strong>per</strong> le potenze coloniali. Questi<br />
avvenimenti, uniti alla tradizione storica ed all’es<strong>per</strong>ienza<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
pregressa, spinsero i giapponesi a chiudersi nuovamente (ora<br />
anche in senso psicologico) <strong>per</strong> rifugiarsi nella convinzione<br />
d’essere un popolo su<strong>per</strong>iore, omogeneo, razzialmente puro<br />
e di discendenza divina, additando i detestati invasori come<br />
“barbari”, “cani”, “puzzolenti” e con altri gentili epiteti. Fu<br />
questo il <strong>per</strong>iodo in cui iniziarono a svilupparsi i sentimenti del<br />
razzismo e del nazionalismo, inizialmente fra i letterati sulla<br />
base ideologica della scuola kokugaku («studi nazionali») e<br />
successivamente fra il popolo col movimento sonnō jōi («viva<br />
l’im<strong>per</strong>atore, fuori i barbari»). Come inoltre ha rilevato il<br />
giornalista Tiziano Terzani (1938–2004), a quest’epoca<br />
risale la radicata ed erronea convinzione, diffusa anche fra<br />
gli stranieri, che i giapponesi possano essere compresi solo<br />
da loro stessi. Terzani ha mosso critiche assai aspre nei<br />
confronti del <strong>Giappone</strong>, che detestava a<strong>per</strong>tamente, al punto<br />
da affermare che la civiltà europea non avrebbe avuto nulla<br />
da imparare da esso.<br />
La chiusura del paese (sakoku), seppur ufficialmente<br />
abolita da più di un secolo e mezzo, rimane ancora oggi larvata<br />
nella politica, nella legge e nella società: i visti <strong>per</strong> lavoro sono<br />
assai restrittivi ed i <strong>per</strong>messi di soggiorno sono centellinati<br />
col contagocce. In ogni settore produttivo vige la regola<br />
non scritta che determina la preferenza <strong>per</strong> la manodo<strong>per</strong>a<br />
nazionale a quella straniera, anche <strong>per</strong> le mansioni non<br />
qualificate. L’asilo politico è un istituto raramente applicato<br />
<strong>per</strong>ché gli estremi di <strong>per</strong>secuzione non vengono quasi mai<br />
riconosciuti, nonostante l’ONU abbia inoltrato vari richiami al<br />
governo, sollecitando l’accoglimento dei rifugiati provenienti<br />
dai paesi in cui sono violati i diritti umani.<br />
Il momento della sosta e delle riflessioni è terminato:<br />
<strong>per</strong>correndo Uchibori dōri verso nord ci rechiamo fino<br />
all’ingresso est dei giardini orientali del palazzo<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
im<strong>per</strong>iale (Kōkyo higashi gyōen), l’unica parte del Palazzo<br />
effettivamente a<strong>per</strong>ta al pubblico. Quest’area non è nata<br />
come giardino, ma come fortificazione durante l’epoca Edo:<br />
se ne può tuttora osservare la struttura originaria, divisa<br />
in honmaru (rocca), ninomaru (cerchia secondaria) e<br />
sannomaru (bastione esterno).<br />
Oltre il fossato ed il primo bastione, si aprono vari <strong>per</strong>corsi<br />
e viali, fiancheggiati da aiuole fiorite e prati piantumati.<br />
Proseguendo in senso orario si arriva alla rocca, un tempo<br />
residenza ufficiale degli shōgun di Casa Tokugawa, della<br />
quale rimangono integre solo le fondamenta. Il vasto prato ai<br />
suoi piedi ha trovato nei secoli vari impieghi, fra cui quello di<br />
sede di alcuni riti d’incoronazione dell’attuale im<strong>per</strong>atore<br />
Akihito tra il 1989 ed il 1991. In particolare, qui si è tenuta la<br />
cerimonia del daijōsai (grande banchetto), con l’assaggio da<br />
parte del tennō degli alimenti tradizionali (riso, sake ecc...)<br />
donati dai migliori produttori del paese. Per l’occasione era<br />
stato costruito un intero villaggio di legno secondo le regole<br />
della carpenteria sacra, con un santuario scintoista nel centro,<br />
smontato pochi mesi più tardi. A nord-est, oltrepassato il<br />
moderno edificio della sala musica, vi sono il giardino ed il<br />
boschetto d’epoca Edo, fra i rarissimi esempi di questo stile<br />
rimasti in tutto il <strong>Giappone</strong>.<br />
Appena fuori dall’uscita nord si trova la fermata Takebashi<br />
della linea Tōzai, che utilizziamo fino a Nihonbashi, dove<br />
cambiamo con quella della Ginza fino a Ueno.<br />
Il Tōshō-gū, tempio collocato all’interno del parco di<br />
Ueno, è uno dei primi mausolei dedicati a Tokugawa Ieyasu,<br />
dove le sue spoglie furono inizialmente conservate prima di<br />
essere traslate a Nikkō.<br />
Un lungo viale (sandō), affiancato da lanterne di pietra<br />
e di metallo, conduce fino alla sala principale (haiden), che<br />
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143<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
purtroppo non è accessibile a causa dei lavori di restauro<br />
attualmente in corso. Lo stile è ricco e colorato come si addice<br />
ad una costruzione del XVII secolo, fortunatamente senza<br />
raggiungere gli eccessi di Nikkō. Nel cortile sono presenti sia<br />
una fontana <strong>per</strong> il lavacro purificatore, che un’edicola dove<br />
i fedeli possono appendere delle tavolette di legno (ema)<br />
recanti le loro preci ed i loro desideri. Il Tōshō-gū possiede<br />
anche una pagoda di cinque piani, situata sulla sinistra del<br />
viale, voltando le spalle al tempio.<br />
Abbiamo ancora un po’ di tempo a disposizione prima del<br />
ritrovo in albergo: <strong>per</strong> mezz’ora restiamo seduti ai margini<br />
di un’aiuola ad osservare le <strong>per</strong>sone a passeggio, ricordando<br />
i momenti salienti di questo viaggio, che ormai volge al<br />
termine.<br />
Transitando sul cavalcavia di Ueno, udiamo un rauco<br />
vociare proveniente dalla strada sottostante ed amplificato da<br />
un megafono. Mi sporgo dal parapetto <strong>per</strong> avere una visuale<br />
migliore: il baccano ha origine da un lugubre camioncino<br />
blindato, dipinto di nero, su cui spiccano bandiere giapponesi<br />
ed emblemi im<strong>per</strong>iali. Senza volerlo, ci siamo imbattuti in<br />
un comizio dell’estrema destra, che sta approfittando<br />
della bella giornata <strong>per</strong> fare un po’ di propaganda. Come al<br />
solito, le loro parole paiono cadere nel vuoto. Molte <strong>per</strong>sone<br />
ferme ai semafori fingono di nulla, ma guardano con la<br />
coda dell’occhio ed ascoltano con discrezione. Qual è la loro<br />
reazione di fronte agli slogan dei nazionalisti Approvano<br />
Biasimano È inutile tentare di capirlo: dai loro volti<br />
impenetrabili non si riesce ad indovinare alcun’emozione.<br />
Poco oltre ci viene incontro un finto santone, asiatico ma non<br />
giapponese, di dubbio aspetto ed eloquio sospetto, che con<br />
insistenza cerca d’imbonirci offrendo benedizioni in cambio<br />
di denaro. Ci svincoliamo e proseguiamo oltre.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Ormai è tardo pomeriggio: rientrati all’hotel Izu, una volta<br />
riuniti, preleviamo i bagagli e ci accingiamo a lasciare Tōkyō.<br />
La nostra armata Brancaleone si avvia verso la stazione<br />
in ordine sparso con zaini sulle spalle e trolley al seguito,<br />
formando una lunga e variegata colonna di <strong>per</strong>sone, ormai<br />
stanche e dimagrite, dall’aspetto di reduci delle crociate.<br />
Per raggiungere l’aeroporto di Narita non utilizziamo il<br />
Narita Express ma un treno locale, meno veloce ma anche<br />
meno costoso.<br />
Check-in, attesa e poi... addio <strong>Giappone</strong>! Il volo<br />
Emirates 319 delle 22 <strong>per</strong> Dubai decolla puntuale e prende<br />
rapidamente quota sulle campagne della penisola di Bōsō.<br />
Dopo una virata di novanta gradi, una sfavillante Tōkyō si<br />
rivela porgendo l’ultimo saluto, spettacolo che Fosco Maraini<br />
ha definito «campi di luce in fiore». Transitiamo sulla<br />
pianura del Kantō, poi sulle Alpi. Dopo Kanazawa avanza il<br />
buio del mar del <strong>Giappone</strong>, poi si scorge Seul. Ad un tratto il<br />
sonno prende il sopravvento... mi risveglierò solo fra qualche<br />
migliaio di chilometri.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
16 aprile<br />
Parentesi araba, poi a casa<br />
I<br />
l volo verso ovest dilata apparentemente il tempo:<br />
partiti ieri sera da Tōkyō, dopo undici ore e mezza di<br />
volo atterriamo a Dubai che neppure albeggia.<br />
L’intera giornata è a nostra disposizione. Richiediamo il<br />
visto, che viene rilasciato direttamente dalla polizia di frontiera,<br />
con validità di trenta giorni. In banca ci procuriamo qualche<br />
dirham <strong>per</strong> le piccole spese. All’esterno dell’aerostazione si<br />
<strong>per</strong>cepisce una tem<strong>per</strong>atura elevata poiché Dubai è situata<br />
a ridosso del tropico del Cancro: anche se sono solamente<br />
le cinque del mattino di un giorno d’aprile, siamo costretti<br />
a svestirci <strong>per</strong> rimanere in maniche corte. I taxi, abbastanza<br />
diffusi, sono il mezzo migliore <strong>per</strong> spostarsi in città. Gli altri<br />
trasporti pubblici sono quasi inesistenti: data l’abbondanza<br />
di denaro e petrolio, ciascuno possiede una propria vettura<br />
e <strong>per</strong>fino le donne guidano, cosa piuttosto inconsueta in un<br />
paese arabo. Alcuni taxi, differenziati dagli altri mediante<br />
una livrea rosa, sono riservati alla sola clientela femminile.<br />
Chiediamo all’autista di portarci in centro città... una<br />
richiesta difficile da esaurire. A Dubai il centro non esiste ed<br />
ognuno interpreta questo vocabolo secondo la propria visione<br />
<strong>per</strong>sonale. Le strade sono nuove ed ampie, scarsamente<br />
utilizzate rispetto al traffico reale.<br />
Il taxi si ferma sotto il Burj Khalifa (o Burj Dubai),<br />
grattacielo che con i suoi 828 m è attualmente il più alto edificio<br />
costruito dall’uomo. Il prezzo <strong>per</strong> la salita senza prenotazione<br />
è proibitivo (quasi 100 euro a <strong>per</strong>sona), ma <strong>per</strong> vedere cosa<br />
Il deserto Oppure quell’enorme cantiere che è la città ai suoi<br />
piedi, fatta di palazzi che sorgono disordinatamente qua e<br />
là, in mezzo alla sabbia Rinunciamo: decisamente di scarso<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Asakusa: tempio del Sensō-ji<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Panorama di Tōkyō dalle torri del municipio<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
interesse.<br />
Sono circa le sette, il sole sorge all’orizzonte su un’atmosfera<br />
quasi surreale, fatta di larghi viali vuoti, costeggiati da<br />
aiuole d’erba verde e di fiori che stridono con l’aridità del<br />
luogo. Ovunque si vedono scavi, recinzioni, lavori in corso.<br />
Gli o<strong>per</strong>ai, uniche <strong>per</strong>sone in circolazione, sono quasi tutti<br />
indiani, pakistani, bangladesi e cingalesi. Le fotografie<br />
promozionali e le pubblicità turistiche non mostrano la vera<br />
natura di Dubai: un’effimera città in costruzione ai margini<br />
del nulla.<br />
Molta è la fatica <strong>per</strong> trovare un locale a<strong>per</strong>to dove fare<br />
un minimo di colazione. Alla fine, chiedendo il <strong>per</strong>messo,<br />
ci sediamo sotto la veranda di un albergo con il buffet e<br />
riusciamo ad ottenere brioche, muffin ed addirittura caffè e<br />
cappuccino.<br />
Pare non sia una cosa molto nota, ma a Dubai è presente<br />
anche la città vecchia (Deira) affacciata su un’insenatura,<br />
con i suoi sūq immersi in un dedalo di stradine. Su questi<br />
vicoli si affaccia una miriade di negozietti che vendono<br />
stoffe, incenso, frutta e molto altro. Gli esercenti sono quasi<br />
tutti indiani, tanto che non pare neppure d’essere in Arabia.<br />
Sorseggio un cocco fresco presso un banchetto dove viene<br />
tagliato al momento. Poco oltre, girato l’angolo, appare la<br />
mole dell’antico forte Al-fahidi, risalente al XVIII secolo.<br />
Il sole inizia ad essere alto nel cielo e il caldo si fa sentire:<br />
meglio camminare all’ombra rasentando i muri.<br />
Una piccola flotta di barche di legno effettua la spola tra<br />
una sponda e l’altra dell’insenatura, <strong>per</strong> approdare sul lato<br />
del sūq “arabo” con i suoi banchi di spezie, datteri e pesce<br />
secco. Alcuni isolati di una zona attigua sono invece dedicati<br />
alla vendita dell’oro: gli oggetti sono pesanti, elaborati e<br />
decisamente pacchiani, assai adatti al cattivo gusto degli<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
sceicchi locali.<br />
Acquisto del curry in una drogheria: quando, qualche<br />
settimana più tardi, ho a<strong>per</strong>to il sacchetto con l’intenzione di<br />
usarlo, vi ho trovato dentro degli insetti… vivi. Questa merce<br />
scadente si è rivelata utile solo come concime <strong>per</strong> l’orto.<br />
Il mercato ortofrutticolo è situato poco distante, sul lato<br />
opposto della strada verso il mare. Il caldo torrido, accentuato<br />
dall’aria marina carica d’umidità, non dà tregua: affrettiamo il<br />
passo <strong>per</strong> raggiungere i tendoni e pranziamo con qualche frutto,<br />
consumato velocemente sul posto.<br />
Ultima tappa: in quattro fermiamo un taxi <strong>per</strong> recarci a<br />
Jumeirah, 20 km a sud-ovest, zona delle spiagge e delle case<br />
(<strong>per</strong>lopiù vuote) di proprietà dei ricchi occidentali. Durante il<br />
tragitto si notano numerose cliniche odontoiatriche ai lati della<br />
strada: una specialità di Dubai nel campo delle cure mediche a<br />
basso costo, meta di un certo “turismo” da parte di molti europei<br />
ed arabi. Simbolo inconfondibile della zona è il Burj al-’Arab,<br />
l’unico albergo ad otto stelle del mondo, che con i suoi sessanta<br />
piani sovrasta qualsiasi altra costruzione dei dintorni. Sulle<br />
spiagge, stranamente non attrezzate, sono in molti a sostare:<br />
gli arabi sono i più co<strong>per</strong>ti, mentre gli occidentali indossano i<br />
costumi da bagno. Questo è l’unico posto dove si riesce a resistere<br />
sotto il sole, <strong>per</strong> via della brezza che spira dal mare.<br />
Si sta facendo tardi: in aeroporto, dopo un ultimo saluto, il<br />
gruppo si divide, questa volta definitivamente. Metà di noi rientra<br />
a Milano e l’altra metà a Roma. Ancora sei ore ci separano dalla<br />
meta. L’aeromobile attraversa il mediterraneo, poi arriva sulla<br />
penisola italiana, celata dalle nubi. Ad un tratto la coltre si dirada,<br />
rivelando il paesaggio della pianura padana: campi verdeggianti<br />
costellati da decine di paesi, ognuno con il proprio campanile, le<br />
case rico<strong>per</strong>te di tegole rosse. Sullo sfondo, le Alpi spolverate di<br />
neve. «Però... », penso, «questo posto mi pare <strong>per</strong>sino bello»<br />
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150<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Postfazione<br />
V<br />
i sono paesi che possono essere compresi con uno<br />
sguardo ed altri che devono invece essere indagati<br />
con l’intelletto: nel novero dei primi vi è ad esempio il<br />
Tibet, la cui cultura millenaria trova <strong>per</strong>fetta sintesi nei<br />
suoi cieli, fiumi, laghi e montagne. Fra i secondi invece, il<br />
<strong>Giappone</strong> è addirittura scoraggiante al primo impatto, con<br />
i suoi grigi condominî a <strong>per</strong>dita d’occhio. Dietro questa<br />
cortina di cemento e di yen, si scorge <strong>per</strong>ò ancora l’anima<br />
d’un paese che non c’è più, fatto di <strong>per</strong>sone schive, scontrose<br />
e laboriose, abituate da secoli a rassegnarsi alle catastrofi<br />
d’una natura ingrata ed a difendersi dai continui attacchi<br />
degli stranieri. I giapponesi sono, fra i popoli non europei, i<br />
più modernizzati: questa modernizzazione non è <strong>per</strong>ò entrata<br />
realmente a far parte della mentalità più profonda <strong>per</strong>ché non<br />
è scaturita dalla graduale evoluzione dei processi produttivi,<br />
ma dall’imposizione di riforme volute dall’alto. Il popolo<br />
giapponese, in fondo, pur non potendo più fare a meno di<br />
essa, non riesce tuttora a sentirla come propria. Il <strong>Giappone</strong>,<br />
<strong>per</strong> rimanere se stesso in un mondo che tende all’entropia<br />
culturale, dovrebbe dunque tentare di mantenere alto il livello<br />
raggiunto nella scienza e nella tecnologia, sbarazzandosi<br />
invece di tutta quella serie di mode, usi e costumi alloctoni che<br />
hanno inquinato il suo modo di vivere e di pensare da oltre<br />
centocinquant’anni. Le sembianze odierne di questa terra,<br />
costituite dalla luccicante tecnologia, dalle megalopoli, dai<br />
colori sgargianti delle pubblicità e dai treni veloci, appaiono<br />
in ultima analisi come i sottoprodotti di una vecchia nazione<br />
di agricoltori e pescatori che <strong>per</strong> ragioni storiche si è trovata,<br />
suo malgrado, a recitare la parte della potenza economica.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Nei mesi successivi a questo viaggio ho navigato sul web<br />
alla ricerca di resoconti e relazioni di altri viaggiatori <strong>per</strong><br />
indagare quali fossero gli approcci più diffusi alla sfera<br />
culturale giapponese. Non solo siti e blog, ma anche<br />
audiovisivi: su YouTube è sufficiente digitare “viaggio in<br />
<strong>Giappone</strong>” <strong>per</strong> ottenere decine di risultati. Ciò che <strong>per</strong>ò ha<br />
suscitato la mia <strong>per</strong>plessità è la palese incongruenza che<br />
spesso si verifica tra la narrazione e la realtà: in alcuni casi<br />
ho addirittura stentato a riconoscere i luoghi da me visitati,<br />
<strong>per</strong>ché tratteggiati in maniera del tutto fuorviante. Purtroppo<br />
duole constatare che molti autori, invece di concentrarsi sulla<br />
descrizione di ciò che hanno visto, cadono volentieri nella<br />
tentazione d’indugiare su fatti insoliti, stranezze, stravaganze<br />
e folklore. Non intendo negare che anche quell’aspetto sia<br />
parte del contesto: già quattro secoli fa gli shōgun della<br />
famiglia Tokugawa, scaltri comunicatori ante litteram,<br />
avevano edificato l’esuberante Nikkō <strong>per</strong> stupire i sudditi<br />
con un’arte straniera e decadente. Nell’epoca attuale invece,<br />
il popolo non è più incantato davanti a dei semplici intagli<br />
variopinti, ma è narcotizzato davanti alle rumorose e colorate<br />
macchine del pachinko: come Nikkō, in molti lo definiscono<br />
«cool» e «fantastico», quando invece è simbolo di paralisi<br />
morale.<br />
Questo racconto e le relative considerazioni sono il frutto<br />
di una visione strettamente <strong>per</strong>sonale, che non deve<br />
essere necessariamente condivisa. Credo sia <strong>per</strong>ò opportuno<br />
diffidare dei racconti dove il <strong>Giappone</strong> assurge a luogo<br />
idealizzato oppure, all’opposto, dove i giapponesi sono<br />
definiti strani, bizzarri ed addirittura extraterrestri, poiché il<br />
passo verso l’adorazione acritica o verso la xenofobia è assai<br />
breve. Nel propugnare tali visioni distorte <strong>per</strong> compiacere<br />
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152<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
il pubblico voglioso di facili esotismi, questi autori non<br />
fanno che acuire e rimarcare il divario tra le culture, anziché<br />
tentare di trovare terreni comuni basati sulla reciproca<br />
comprensione, sui sentimenti umani e sui problemi globali.<br />
A mio avviso sarebbe <strong>per</strong>tanto auspicabile una visione più<br />
ampia e comparata della cultura giapponese, poiché la<br />
conoscenza che se ne ha in Europa, ed in modo più esteso<br />
in Occidente, non rende sufficiente giustizia a questo paese.<br />
A quel punto, una volta fugati gli stereotipi ed i pregiudizi,<br />
potremo finalmente comprendere che, nel bene e nel male,<br />
il <strong>Giappone</strong> ed i suoi abitanti sono assai più simili a noi di<br />
quanto qualcuno potrebbe (o vorrebbe) credere.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Dati riassuntivi<br />
Questo viaggio, effettuato dal 1° al 16 aprile 2012, è stato<br />
auto-organizzato da parte di un gruppo di dieci partecipanti<br />
con l’o<strong>per</strong>atore Avventure nel Mondo seguendo, pur con delle<br />
significative variazioni, la traccia proposta dall’itinerario<br />
“<strong>Giappone</strong> Solo”.<br />
Voli dell’andata: Milano Malpensa–Dubai (6 ore), Dubai–<br />
Ōsaka Kansai (11 ore).<br />
Voli del ritorno: Tōkyō Narita–Dubai (11,5 ore), Dubai–<br />
Milano Malpensa (6 ore).<br />
Il <strong>per</strong>corso, a grandi linee, è stato: Ōsaka, Kyōto (con<br />
escursione a Nara), Hiroshima (con escursione a Miyajima),<br />
Kanazawa, Takayama, Tōkyō (con escursioni a Kamakura e<br />
Nikkō).<br />
Totale km <strong>per</strong>corsi:<br />
In aereo 25.000 (34,5 ore)<br />
In treno 2.400 (25 ore)<br />
Con mezzi urbani 170 (ca. 5 ore)<br />
A piedi 100 (ca. 70 ore)<br />
In traghetto 5 (meno di 1 ora)<br />
Nota: le informazioni pratiche presenti in questo racconto<br />
sono riferite al momento in cui è stato effettuato il viaggio<br />
(2012) e potrebbero risultare non più valide o attuali.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Per viaggiare<br />
Guide<br />
• AA.VV., Lonely Planet – <strong>Giappone</strong>, EDT, Torino, ultima<br />
edizione.<br />
• AA.VV., <strong>Giappone</strong>, Mondadori, Milano, ultima edizione.<br />
Mappe<br />
• Carta stradale del <strong>Giappone</strong>, scala 1:1.200.000, Istituto<br />
Geografico Deagostini, Milano, ultima edizione.<br />
• Japan atlas – a bilingual guide, Kodansha, Tōkyō, ultima<br />
edizione.<br />
• Japan road map, scala 1:1.600.000, Hildebrand’s,<br />
Frankfurt am Main, ultima edizione.<br />
Lingua<br />
• Mizuguchi A., Scalise M. (a cura di), Dizionario Plus –<br />
<strong>Giappone</strong>se, Vallardi, Milano, 2009.<br />
• Mizuguchi A., Scalise M. (a cura di), Parlo <strong>Giappone</strong>se,<br />
Vallardi, Milano, 2004.<br />
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155<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Bibliografia<br />
Storia<br />
• Arena L. V., Samurai, A. Mondadori, Milano, 2002.<br />
• Bouissou J. M., Storia del <strong>Giappone</strong> contemporaneo, Il<br />
Mulino, Bologna, 2003.<br />
• Calvet R., Storia del <strong>Giappone</strong> e dei giapponesi, Lindau,<br />
Torino, 2008.<br />
• Caroli R., Gatti F., Storia del <strong>Giappone</strong>, Laterza, Bari, 2006.<br />
• Henshall K. G., Storia del <strong>Giappone</strong>, A. Mondadori, Milano,<br />
2005.<br />
• Lord Russell di Liverpool, I Cavalieri del Bushidō. Storia<br />
dei crimini di guerra giapponesi, Newton Compton, Roma,<br />
2003.<br />
• Maruyama M., Le radici dell’espansionismo. Ideologie del<br />
<strong>Giappone</strong> moderno, Ed. Fond. G. Agnelli, Torino, 1991.<br />
• Tipton E. K., Il <strong>Giappone</strong> moderno, Einaudi, Torino, 2011.<br />
Cultura, costume e società<br />
• AA.VV., Visual Encyclopedia of Japanese Culture, Ikeda<br />
Shoten, Tōkyō, 2008.<br />
• AA.VV., Eating in Japan, JTB publishing, Tōkyō, 1997.<br />
• AA.VV., Quaderni di viaggio d’autore – <strong>Giappone</strong>, Ed. La<br />
Bottega del Caffè Letterario, Roma, 2012.<br />
• Cleary T., L’arte giapponese della guerra, A. Mondadori,<br />
Milano, 1993.<br />
• Maraini F., L’àgape celeste. I riti di consacrazione del<br />
sovrano giapponese, Luni, Milano, 2003.<br />
• Maraini F., Ore giapponesi, Corbaccio, Milano, 2005.<br />
• Montanelli I., L’im<strong>per</strong>o bonsai, Rizzoli, Milano, 2007.<br />
www.lorenzorossetti.it<br />
156<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
• Nakagawa H., Introduzione alla cultura giapponese, B.<br />
Mondadori, Milano, 2006.<br />
• Vecchia S., <strong>Giappone</strong>. L’antica terra dei Samurai proiettata<br />
nel futuro, Polaris, Vicchio di Mugello, 2010.<br />
• Yamamoto T., Hagakure, Einaudi, Torino, 2010.<br />
Religione e filosofia<br />
• Arena L.V., Lo Spirito del <strong>Giappone</strong>, Rizzoli, Milano, 2008.<br />
• Cacciapuoti C., Dèi del <strong>Giappone</strong> tradizionale, ed. Il<br />
Cerchio, Rimini, 2012.<br />
• Herrigel E., Lo Zen e il tiro con l’arco, Adelphi, Milano,<br />
1999.<br />
• Suzuki D. T., Saggi sul buddhismo Zen, Ed. Mediterranee,<br />
Roma, 1989.<br />
• Senzaki N., Reps P. (a cura di), 101 storie Zen, Adelphi,<br />
Milano, 2002.<br />
Immagini e luoghi del <strong>Giappone</strong> ieri ed oggi<br />
• AA.VV., Qui Tokyo, Touring Club Italiano, Milano, 1973.<br />
• Maraini F., <strong>Giappone</strong> mandala, Electa, Milano, 2006.<br />
• Giovannini G., <strong>Giappone</strong>, Aeda, Torino, 1971.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
Sommario<br />
Prefazione 3<br />
1° aprile. Fuori dall’Europa 4<br />
2 aprile. Voli interminabili 5<br />
3 aprile. Ōsaka sotto la pioggia 9<br />
4 aprile. Kyōto, l’antica capitale 15<br />
5 aprile. Kyōto tra templi e monasteri 24<br />
6 aprile. Nara e le origini della civiltà giapponese 34<br />
7 aprile. Hiroshima: treni, sacre isole e ferite storiche 40<br />
8 aprile. Dall’oceano Pacifico al mar del <strong>Giappone</strong> 52<br />
9 aprile. Passaggio sulle Alpi giapponesi 62<br />
10 aprile. Dalle montagne alla grande città 70<br />
11 aprile. Kamakura e le origini dello shōgunato 94<br />
12 aprile. Nikkō, lo specchio di un’epoca 103<br />
13 aprile. Tōkyō in libertà 112<br />
14 aprile. Tōkyō tra musei e tecnologia 132<br />
15 aprile. Last but not least: ultimo giorno a Tōkyō 138<br />
16 aprile. Parentesi araba, poi a casa 146<br />
Postfazione 151<br />
Dati riassuntivi 154<br />
Per viaggiare 155<br />
Bibliografia 156<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
<strong>Lorenzo</strong> <strong>Rossetti</strong>, classe 1984, è<br />
laureato in Relazioni Internazionali<br />
e tutela dei Diritti Umani (Scienze<br />
Politiche).<br />
Vive in Val di Susa e lavora<br />
presso l’Ufficio Stampa del Parco<br />
Nazionale Gran Paradiso.<br />
Fra i suoi interessi figurano i<br />
viaggi alla sco<strong>per</strong>ta di altre civiltà<br />
e lo studio degli aspetti storici e<br />
culturali dei paesi visitati.<br />
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<strong>Giappone</strong> <strong>per</strong> <strong>caso</strong><br />
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