STORIA CULTURALE DELLA MUSICA AMERICANA - Paola Carbone

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27.01.2015 Views

94 L’aspetto più importante del blues, difficilmente esprimibile verbalmente, è il profondo significato che ha assunto per i neri d’America. La gran parte dei testi del blues tratta, in un modo o in un altro, la sfortuna personale espressa da una profonda sensazione di tristezza (“blue feeling”), personificata come “Mister Blues”. Cantare o suonare il blues è sempre stato considerato una sorta di catarsi, di liberazione, appunto dal “blue feeling”. In effetti questa musica, attraverso il singolo cantante/interprete, proiettava i problemi e le sofferenze di un intero popolo sottoposto a discriminazioni e violenze di ogni tipo. Benché il cantante blues possa protestare contro un destino avverso, di solito non lo fa da arrabbiato e di rado guarda al cielo per trarne conforto. Canta per liberarsi del blues: il dichiararlo, esprimerlo diventa già terapeutico, una liberazione emotiva. La tragedia è anche non raramente mediata dal distacco ironico. Il blues ha un legame privilegiato con un simbolismo “nomade”, le cui icone diventano i segni fisici del movimento: strade, incroci, carri e, in particolare, treni. Tema così ricorrente nei blues da poter essere definito una vera e propria ossessione, il treno è sicuramente il mito fondante della mobilità americana nel corso della prima metà del XX secolo. Il treno rappresenta una serie infinita di partenze e la speranza di un approdo in un altrove migliore. Il nero lavorava alla ferrovia e vi viaggiava, spesso come clandestino, spinto da incalzanti necessità economiche. In effetti tendeva a muoversi in continuazione perché aveva ben poco, se non nulla, che lo potesse tenere fermo. Memorabile rimane Honky Tonk Train Blues, dove la spinta della mano sinistra genera uno slancio enorme, accresciuto dai ritmi incrociati complessi della mano destra. Fino agli anni ’20 del Novecento il blues restò una vera musica folk, diffusa oralmente e patrimonio di un gruppo etnico specifico. Soltanto negli ultimi anni di questo periodo gli americani bianchi vennero a conoscenza di questa musica ed iniziarono a stamparla e registrarla, mettendo in atto un processo di adeguamento e “annacquamento” dei suoi caratteri più originari. Il city blues nasce quando il distretto malfamato di New Orleans venne chiuso e i musicisti si trovarono senza lavoro ed iniziarono una migrazione verso nord: a Memphis, St.Louis e Chicago. Paragonato a quelle della città del delta, l’ambiente di Chicago è senz’altro

95 molto più arido e brutale. La cordialità della città del sud scompare e questo si riflette nella musica. Bessie Smith ( 1898-1937) elevò il blues urbano ad una intensità tragica sconosciuta in precedenza. Il suo talento era inseparabile dalle feroci umiliazioni che aveva dovuto subire sia nel profondo Sud che nelle città del nord. Il suo malessere, la sua amarezza scaturivano da ciò che le aveva riservato la vita e i suoi blues accettano questa dura verità con un nonsentimentalismo tragico e con una fiera dignità. Fu chiamata l’ “imperatrice del blues” e nella sua arte vi sono una grandezza e un’intensità che diventano emblematiche della profonda solitudine sperimentata da chiunque in un contesto urbano. Anche la sua tragica fine è emblematica della spietatezza dei rapporti tra bianchi e neri in America: ferita in un incidente di macchina, non trovò un ospedale che la accogliesse, in quanto riservati ai bianchi, e praticamente morì dissanguata. Bessie Smith combina mirabilmente l’intimità del country blues con la maggiore complessità delle band del city blues: la cantante, infatti, non è più accompagnata da se stessa, ma dalla base ritmico-armonica della band (pianoforte e contrabbasso), mentre la linea melodica viene condivisa tra la cantante e il solista della band. Lo strumentista sostituirà talvolta la cantante in una strofa intera, proponendo il suo commento senza parole ai racconti fatti dalla cantante. E’ perciò tutt’uno con la cantante e insieme distinto da lei; paradossalmente, la solitudine del blues è diventata un’esperienza della comunità. Memorabili sono le incisioni con Louis Armstrong e Joe Smith come solisti (“Careless Love”, “Young Woman’s Blues”, “Reckless Blues”) dove la malinconia passiva del country blues acquista, arrivando in città, una sorta di lacerazione acuta e nervosa. Come accadrà anche con il jazz, il city blues, giungendo a Chicago, mantiene elementi della vitalità country ( che in termini culturali potremmo avvicinare al concetto di innocenza) cui si aggiunge, integrandosi, la tensione della vita urbana (ovverola la dura e violenta esperienza della “giungla d’asflato”). Per gran parte degli estimatori della musica afro-americana, il blues tende ad identificarsi con il particolare stile noto come “Chicago Blues”, quello reso famoso da personaggi leggendari come Muddy Waters,

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molto più arido e brutale. La cordialità della città del sud scompare e<br />

questo si riflette nella musica.<br />

Bessie Smith ( 1898-1937) elevò il blues urbano ad una intensità tragica<br />

sconosciuta in precedenza. Il suo talento era inseparabile dalle feroci<br />

umiliazioni che aveva dovuto subire sia nel profondo Sud che nelle città<br />

del nord. Il suo malessere, la sua amarezza scaturivano da ciò che le aveva<br />

riservato la vita e i suoi blues accettano questa dura verità con un nonsentimentalismo<br />

tragico e con una fiera dignità. Fu chiamata l’<br />

“imperatrice del blues” e nella sua arte vi sono una grandezza e<br />

un’intensità che diventano emblematiche della profonda solitudine<br />

sperimentata da chiunque in un contesto urbano. Anche la sua tragica fine<br />

è emblematica della spietatezza dei rapporti tra bianchi e neri in America:<br />

ferita in un incidente di macchina, non trovò un ospedale che la<br />

accogliesse, in quanto riservati ai bianchi, e praticamente morì<br />

dissanguata.<br />

Bessie Smith combina mirabilmente l’intimità del country blues con la<br />

maggiore complessità delle band del city blues: la cantante, infatti, non è<br />

più accompagnata da se stessa, ma dalla base ritmico-armonica della band<br />

(pianoforte e contrabbasso), mentre la linea melodica viene condivisa tra la<br />

cantante e il solista della band. Lo strumentista sostituirà talvolta la<br />

cantante in una strofa intera, proponendo il suo commento senza parole ai<br />

racconti fatti dalla cantante. E’ perciò tutt’uno con la cantante e insieme<br />

distinto da lei; paradossalmente, la solitudine del blues è diventata<br />

un’esperienza della comunità. Memorabili sono le incisioni con Louis<br />

Armstrong e Joe Smith come solisti (“Careless Love”, “Young Woman’s<br />

Blues”, “Reckless Blues”) dove la malinconia passiva del country blues<br />

acquista, arrivando in città, una sorta di lacerazione acuta e nervosa. Come<br />

accadrà anche con il jazz, il city blues, giungendo a Chicago, mantiene<br />

elementi della vitalità country ( che in termini culturali potremmo<br />

avvicinare al concetto di innocenza) cui si aggiunge, integrandosi, la<br />

tensione della vita urbana (ovverola la dura e violenta esperienza della<br />

“giungla d’asflato”).<br />

Per gran parte degli estimatori della musica afro-americana, il blues<br />

tende ad identificarsi con il particolare stile noto come “Chicago Blues”,<br />

quello reso famoso da personaggi leggendari come Muddy Waters,

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