STORIA CULTURALE DELLA MUSICA AMERICANA - Paola Carbone
STORIA CULTURALE DELLA MUSICA AMERICANA - Paola Carbone STORIA CULTURALE DELLA MUSICA AMERICANA - Paola Carbone
88 sempre più numerose e un aumento graduale di velocità man mano che si svolge il pezzo. Sebbene gli europei si lamentassero spesso della musica “selvaggia e barbara” degli africani, questa non risultava tanto estranea al loro orecchio quanto la musica degli indiani d’America. In effetti, nonostante le differenze, le due tradizioni musicali hanno alcuni importanti elementi in comune. La musica dell’Africa occidentale è basata su scale pentatoniche ed eptatoniche spesso simili come struttura e intonazione a quelle della musica europea. Anche l’uso dell’armonia, o per lo meno di note suonate simultaneamente, è un altro punto di somiglianza. Anche il canto a chiamata-risposta assomiglia al canto responsoriale della liturgia cattolica e all’alternanza tra solista e coro nella salmodia protestante. Cruciale è il ruolo svolto dalla musica nella vita sociale e religiosa dell’africano che, mancando di una storia scritta, dipende per la conoscenza del proprio patrimonio culturale e storico dal racconto, dal mito, dalla leggenda – sempre legati alla musica. Privato della propria musica l’africano perde quindi anche la propria identità. Ed è appunto questo che tendenzialmente è accaduto nel Nuovo Mondo. Ma nonostante l’opera di soppressione attiva di ogni espressione della cultura africana, soprattutto nelle colonie inglesi, tantissimi resoconti scritti dell’epoca della schiavitù testimoniano la sopravvivenza di elementi africani nella musica e nelle cerimonie degli schiavi. Ogni domenica, nella città di New Orleans, la Place Congo o Congo Square era riservata ad una riunione degli schiavi della città e delle piantagioni della zona, per cantare e ballare. Inizia presto una fusione di elementi africani tradizionali con la lingua e la cultura d’America: anche la musica risulta alquanto modificata da elementi auroamericani. Sono esempi di acculturazione, il procedimento tramite il quale un determinato gruppo culturale assorbe elementi appartenenti ad un altro. Buona parte della storia della musica afroamericana si occupa dell’assimilazione e trasformazione di elementi musicali di origine europea. La musica euroamericana da ballo, ad esempio, diventò presto parte dell’esperienza degli schiavi in America, a partire dal momento del trasporto sulle navi. Entro la seconda metà del Seicento, si insegnava agli
89 schiavi a suonare il violino, per accompagnare le danze dei loro padroni. I violinisti bravi erano talmente richiesti che i piantatori ricorrevano addirittura al rapimento pur di procurarsi i migliori musicisti per i propri svaghi. Nonostante la natura fortemente evangelica del cristianesimo, la conversione degli schiavi su larga scala progredì lentamente. Tra la maggioranza dei padroni imperava la paura di qualunque circostanza che potesse far riunire grandi numeri di schiavi. Il clima religioso in America subì cambiamenti radicali con l’avvento del Grande Risveglio. Ovunque si tenevano riunioni evangeliche – note come revival meetings – caratterizzate da sermoni infuocati e congregazioni grandi e molto emotive. Tra i “peccatori” pentiti battezzati in una riunione del 1735 c’erano cinque neri. Le versioni musicate di canti spirituali e di testi biblici, che contraddistinguevano le riunioni revivaliste, costituirono di gran lunga il più importante influsso occidentale sulla cultura dell’africano in America. Il fatto che i raduni si svolgessero all’aperto facilitava la partecipazione degli schiavi. La loro presenza aumentò molto con il tempo, attratti dall’atmosfera di libertà, dall’impiego della musica e soprattutto dal messaggio che prometteva a chiunque la possibilità di essere accolto in una fraternità più vasta, assicurandosi anche una vita migliore dopo quella terrena, assai tragica e tormentata. Con l’avanzare del XIX secolo gli schiavi d’America sentivano sempre più forte il richiamo del cristianesimo. Anche l’opposizione dei bianchi crollò perché divenne evidente che la religione non incitava gli schiavi alla ribellione: piuttosto, tendeva a renderli più disposti ad accettare una vita di fatica e di umiliazioni promettendo un premio nell’al di là purché si comportassero “bene” in questo mondo. In definitiva, il cristianesimo divenne un tranquillante, un anestetizzante per i neri d’America. Verso l’inizio dell’Ottocento i neri cominciarono ad adattare i canti cristiani ai propri usi musicali e culturali. Molti dei testi più diffusi trattavano di un popolo in cattività ovvero schiavo: gli israeliti in Egitto. Il modo di cantarli è sostanzialmente sopravvissuto fino ad oggi, in quanto molto vicino al suono e allo spirito dello “shout” o “grido” o “spiritual” presente fin da prima della Guerra Civile.
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Sebbene gli europei si lamentassero spesso della musica “selvaggia e<br />
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quanto la musica degli indiani d’America. In effetti, nonostante le<br />
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comune. La musica dell’Africa occidentale è basata su scale pentatoniche<br />
ed eptatoniche spesso simili come struttura e intonazione a quelle della<br />
musica europea. Anche l’uso dell’armonia, o per lo meno di note suonate<br />
simultaneamente, è un altro punto di somiglianza. Anche il canto a<br />
chiamata-risposta assomiglia al canto responsoriale della liturgia cattolica<br />
e all’alternanza tra solista e coro nella salmodia protestante.<br />
Cruciale è il ruolo svolto dalla musica nella vita sociale e religiosa<br />
dell’africano che, mancando di una storia scritta, dipende per la<br />
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questo che tendenzialmente è accaduto nel Nuovo Mondo. Ma nonostante<br />
l’opera di soppressione attiva di ogni espressione della cultura africana,<br />
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Ogni domenica, nella città di New Orleans, la Place Congo o Congo<br />
Square era riservata ad una riunione degli schiavi della città e delle<br />
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elementi africani tradizionali con la lingua e la cultura d’America: anche la<br />
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La musica euroamericana da ballo, ad esempio, diventò presto parte<br />
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