STORIA CULTURALE DELLA MUSICA AMERICANA - Paola Carbone
STORIA CULTURALE DELLA MUSICA AMERICANA - Paola Carbone STORIA CULTURALE DELLA MUSICA AMERICANA - Paola Carbone
30 apice per poi ridiscendere e ritirarsi. Le ballate raccolte in America e presunte native di questo paese hanno invece una tendenza al pentatonicismo e la manierismo del cosiddetto feathering, una tecnica vocale in cui la voce sale improvvisamente alla fine di una frase. Queste ballate, che costituiscono il contributo diretto del Nuovo Mondo affrontano avvenimenti “locali” e di “attualità” o comunque non risalenti troppo indietro nel tempo: storie di omicidi e di altri delitti, di amanti fedeli e infedeli, di disastri, tragedie e altre avventure nella vita di marinai, boscaioli, cowboy, soldati e comuni cittadini. Le ballate non esauriscono comunque il repertorio delle canzoni angloamericane di tradizione orale. Sharp ed altri studiosi hanno raccolto molti pezzi vocali, genericamente definiti songs, scritti frequentemente in prima persona, con un carattere più intenso e di maggiore intimità. Un altro gruppo si potrebbe definire di canzoni devozionali private, con testi moraleggianti o apertamente religiosi. Nel Nuovo Mondo giunge anche un bagaglio di musica strumentale, la cui storia, fino ad un certo momento, scorre parallela a quella delle ballate e delle canzoni. Sia nel Seicento che nel Settecento, il violino era il più comune strumento d’accompagnamento delle country dances o contraddanze, che erano parte integrante di celebrazioni comunitarie come matrimoni o altri avvenimenti simili. I danzatori si disponevano in due schiere una di fronte all’altra, gli uomini da una parte e le donne dall’altra. Questa disposizione, chiamata “in lungo per quanti ci stiano”, contrastava con le danze in tondo e con quelle più disciplinate eseguite soltanto da alcune coppie. Qualche melodia di queste danze è sopravvissuta fino ad oggi: la più celebre è Green Sleeves, già citata da Shakespeare ne Le allegre comari di Windsor e presente oggi nel repertorio violinistico della tradizione orale in forma di giga. Da ricordare anche celebri riletture in chiave jazzistica, di cui la più nota è forse quella del grande sassofonista John Coltrane. Fino al ventesimo secolo, i violinisti suonavano senza accompagnamento, generalmente seduti su una sedia, con lo strumento appoggiato al petto anziché sotto il mento. La maggioranza delle melodie suonate delinea progressioni di accordi in uno stile armonico che segue una prassi comune. Nelle esecuzioni contemporanee, invece, vengono
31 spesso sostenuti da strumenti accordali quali il pianoforte, la chitarra o la fisarmonica. Questo genere di musica segue una via di mezzo tra la tradizione orale e quella scritta. Molti violinisti popolari erano – e possono esserlo anche oggi – musicalmente analfabeti e questo non dovrebbe sorprendere più di tanto se si ricorda che una figura di estrema importanza per la storia del jazz quale Louis Armstrong pare non fosse in grado di leggere la musica. I motivi vengono imparati ad orecchio e allo stesso modo vengono trasmessi ad altri; a volte si può imparare almeno una parte del proprio repertorio da collezioni stampate, anche se poi si suona a memoria. Alcune melodie sembrano essere rimaste sorprendentemente intatte, nell’arco di due secoli ed anche più, come ad esempio la notissima The Flowers of Edinburgh. Ad ogni modo il repertorio dei motivi per violino, come quello delle ballate e delle canzoni di tradizioni orale, cresce in continuazione. L’identità del compositore viene presto andata perduta, grazie alla trasmissione della melodia ad altri interpreti: è raro che una melodia venga collegata al nome del suo autore. Le melodie per violino della regione appalachiana e di altre zone meridionali sono assai diverse da quelle diffuse nel resto del paese. Trattandosi spesso di gighe, le melodie sono in maggioranza pentatoniche. Le corde più acute del violino servono per la melodia, mentre quelle più gravi suonano un bordone. L’effetto risultante somiglia al suono di una cornamusa e il timbro del violino risulta aspro o nasale all’orecchio abituato al suono di un violino classico. Anche il banjo era uno strumento d’uso comune nella regione appalachiana durante l’Ottocento. Introdotto in America dagli schiavi neri, sul modello di uno strumento di origine africana, il banjo era suonato, fino all’Ottocento, esclusivamente dai neri d’America. A poco a poco, però, divenne familiare ed accettabile anche ai bianchi, sebbene dapprima soltanto tra i ceti inferiori e generalmente in relazione a qualche ambiente “basso”, evitato dalle persone di gusto e cultura. Il banjo giunse all’attenzione di una schiera molto più numerosa di americani negli anni ’30 e ’40 dell’Ottocento nel contesto del minstrel show – spettacolo di varietà presentato da una compagnia di attori
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Le ballate non esauriscono comunque il repertorio delle canzoni<br />
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altro gruppo si potrebbe definire di canzoni devozionali private, con testi<br />
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Nel Nuovo Mondo giunge anche un bagaglio di musica strumentale, la<br />
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chiave jazzistica, di cui la più nota è forse quella del grande sassofonista<br />
John Coltrane.<br />
Fino al ventesimo secolo, i violinisti suonavano senza<br />
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