STORIA CULTURALE DELLA MUSICA AMERICANA - Paola Carbone

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27.01.2015 Views

16 Capitolo I: La musica dei nativi americani La ricostruzione dei tratti culturali delle popolazioni indigene americane, oggi note come nativi americani, presenta difficoltà enormi, quando non insormontabili. In effetti, in assenza di una lingua scritta, non esiste una documentazione della loro evoluzione culturale e materiale. Le prime cronache e descrizioni risalgono all’arrivo degli europei (XVI secolo) e questo comporta un’assenza di documentazione per un periodo di circa 40mila anni. Tutto quel che possiamo sapere per l’epoca cosiddetta preistorica è affidato all’interpretazione della tradizione orale, ai reperti archeologici e alle teorie antropologiche. Un ulteriore elemento da tener presente sono le enormi diversità riscontrate tra le diverse popolazioni native, così come sono state conosciute in epoca storica: questo dato non permette quindi facili generalizzazioni. La diversità è stata causata dall’isolamento dei vari popoli su di un territorio sterminato e dal notevole intervallo temporale intercorso tra le varie migrazioni, avvenute dall’Asia attraverso quel passaggio oggi noto come stretto di Bering in un’epoca in cui era più facilmente percorribile poiché Siberia ed Alaska, oggi separate da soli 90 chilometri, erano congiunte da un ponte di terra e di ghiaccio. In effetti, a causa delle trasformazioni storico-culturali avvenute nella stessa Asia, gli ultimi popoli arrivati sul continente americano erano molto diversi dai primi arrivati. In quelli che oggi sono gli Stati Uniti e il Canada gli studiosi hanno identificato circa seicento popoli che parlavano lingue diverse, per lo più incomprensibili tra loro. Vi era però un tratto culturale che li accomunava, ossia un modello di vita che implicava un contatto continuo ed intimo con il mondo naturale, un adattamento all’ambiente che oggi possiamo definire “equilibrio ecologico”. Da questo atteggiamento nei confronti della terra e degli animali sorgevano la religiosità del nativo americano, la sua visione dell’esistenza, le sue espressioni artistiche. Parlare della sua musica comporta lo stesso tipo di difficoltà incontrate dallo studio della sua storia

17 e della sua cultura in generale. Anzi, si pone un problema ulteriore poiché la musica, a differenza ad esempio delle arti plastiche, non ha alcuna forma fisica: esiste solo nel suono. In assenza di una notazione musicale, ossia di una trascrizione attraverso una serie di simboli, non abbiamo alcuna traccia fisica della natura della musica indiana americana prima dell’arrivo degli europei nel Nuovo Mondo. Possiamo però operare alcune deduzioni da testimonianze indirette: in primis la tradizione orale dei nativi stessi e, ovviamente, la loro musica contemporanea. I resoconti dei primi esploratori e coloni racchiudono tutto lo stupore, la meraviglia, i pregiudizi e le limitazioni culturali degli europei di fronte ad una realtà umana e culturale assolutamente altra. Le testimonianze, di fonti disparate, si moltiplicano e nel tempo si viene delineando un’immagine duplice e complementare del nativo americano: da un lato è descritto come il “nobile selvaggio” di rousseauniana memoria, dall’altro è il selvaggio sanguinario, spirito del male che va “civilizzato” o eliminato. Raccontare, anche solo sommariamente, il trattamento ricevuto dagli indiani d’America da parte dell’europeo e dell’euro-americano esula dagli obiettivi di questa storia culturale della musica del Nuovo Mondo. Sarà sufficiente ricordare le poetiche e dolenti parole con le quali Tecumseh, capo degli Shawnee, ha chiarito come sono andate realmente le cose: “Dove sono, oggi, i Pequot Dove sono i Narragansett, i Mohican, i Pokanonet, e tante altre tribù un tempo potenti del nostro popolo Sono svaniti davanti all’avidità e all’oppressione dell’Uomo Bianco, come la neve sotto il sole estivo.” La progressiva eliminazione delle popolazioni native sottrae al sogno americano un elemento costitutivo, di portata mitica e come tale non sostituibile. Il senso di perdita è accompagnato da un’ansia descrittiva e catalogatrice: diari, lettere, giornali, libri e, più tardi, anche la fotografia si soffermano dettagliatamente sui tratti caratteristici del mondo indiano, musica inclusa. Una seria analisi della musica indiana americana inizia con una dissertazione di Theodore Baker all’Università di Lipsia , pubblicata nel 1882, che include una trascrizione di canti in notazione occidentale, con analisi strutturali e stilistiche. Alice Fletcher è la prima studiosa americana della musica indiana: nel 1893 pubblica una monografia,

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e della sua cultura in generale. Anzi, si pone un problema ulteriore poiché<br />

la musica, a differenza ad esempio delle arti plastiche, non ha alcuna forma<br />

fisica: esiste solo nel suono.<br />

In assenza di una notazione musicale, ossia di una trascrizione attraverso<br />

una serie di simboli, non abbiamo alcuna traccia fisica della natura della<br />

musica indiana americana prima dell’arrivo degli europei nel Nuovo<br />

Mondo. Possiamo però operare alcune deduzioni da testimonianze<br />

indirette: in primis la tradizione orale dei nativi stessi e, ovviamente, la<br />

loro musica contemporanea.<br />

I resoconti dei primi esploratori e coloni racchiudono tutto lo stupore, la<br />

meraviglia, i pregiudizi e le limitazioni culturali degli europei di fronte ad<br />

una realtà umana e culturale assolutamente altra. Le testimonianze, di<br />

fonti disparate, si moltiplicano e nel tempo si viene delineando<br />

un’immagine duplice e complementare del nativo americano: da un lato è<br />

descritto come il “nobile selvaggio” di rousseauniana memoria, dall’altro è<br />

il selvaggio sanguinario, spirito del male che va “civilizzato” o eliminato.<br />

Raccontare, anche solo sommariamente, il trattamento ricevuto dagli<br />

indiani d’America da parte dell’europeo e dell’euro-americano esula dagli<br />

obiettivi di questa storia culturale della musica del Nuovo Mondo. Sarà<br />

sufficiente ricordare le poetiche e dolenti parole con le quali Tecumseh,<br />

capo degli Shawnee, ha chiarito come sono andate realmente le cose:<br />

“Dove sono, oggi, i Pequot Dove sono i Narragansett, i Mohican, i<br />

Pokanonet, e tante altre tribù un tempo potenti del nostro popolo Sono<br />

svaniti davanti all’avidità e all’oppressione dell’Uomo Bianco, come la<br />

neve sotto il sole estivo.”<br />

La progressiva eliminazione delle popolazioni native sottrae al sogno<br />

americano un elemento costitutivo, di portata mitica e come tale non<br />

sostituibile. Il senso di perdita è accompagnato da un’ansia descrittiva e<br />

catalogatrice: diari, lettere, giornali, libri e, più tardi, anche la fotografia si<br />

soffermano dettagliatamente sui tratti caratteristici del mondo indiano,<br />

musica inclusa. Una seria analisi della musica indiana americana inizia con<br />

una dissertazione di Theodore Baker all’Università di Lipsia , pubblicata<br />

nel 1882, che include una trascrizione di canti in notazione occidentale,<br />

con analisi strutturali e stilistiche. Alice Fletcher è la prima studiosa<br />

americana della musica indiana: nel 1893 pubblica una monografia,

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