STORIA CULTURALE DELLA MUSICA AMERICANA - Paola Carbone
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Negli anni ’20, molti compositori americani di talento continuavano a<br />
recarsi in Europa, ma ormai più che in Germania o Italia andavano a<br />
Parigi e di conseguenza producevano opere caratterizzate da tecniche e<br />
atteggiamenti francesizzanti. Tra i molti va ricordato Aaron Copland, nato<br />
a Brooklyn nel 1900, figlio di immigrati ebrei russi il cui vero nome era<br />
Kaplan. Lo scambio di esperienze musicali tra le due sponde dell’Atlantico<br />
tenderà ad invertire la rotta in coincidenza con la fine della Grande<br />
Depressione e il coinvolgimento prima dell’Europa e quindi anche<br />
dell’America in un altro conflitto mondiale, eventi che comporteranno<br />
un’ondata di musicisti europei che cercheranno asilo nel Nuovo Mondo.<br />
Questo fenomeno contribuirà ad indebolire il tendenziale “isolazionismo”<br />
del mondo musicale americano attraverso l’introduzione di idee musicali<br />
nuove nella coscienza dei maggiori compositori del paese.<br />
Conscio delle difficoltà della sua musica ad essere compresa dal più<br />
vasto pubblico, Copland decise di “dire ciò che aveva da dire nei termini<br />
più semplici possibili. Come aveva già fatto con la musica jazz, pensò che<br />
l’unica via percorribile sarebbe stata quella di conferire alle sue<br />
composizioni un carattere spiccatamente americano. Che la strada<br />
intrapresa fosse quella giusta è confermato dal fatto che non esistono opere<br />
orchestrali di un compositore americano che abbiano ricevuto più<br />
esecuzioni, con grande consenso di pubblico, di quelle di Copland. Tra le<br />
principali, si possono ricordare El Salon México(1936), Billy the Kid<br />
(1938), Quiet City (1939), Appalachian Spring (1944) e The Red Pony<br />
(1948).<br />
In quasi tutte queste opere Copland fa un uso importante di motivi<br />
tradizionali. L’uso più celebrato in assoluto di una melodia presa a prestito<br />
lo troviamo in Appalachian Spring, dove la melodia di Shaker The Gift to<br />
be Simple costituisce il soggetto di una lunga serie di variazioni che<br />
diventano il momento culminante dell’opera. La forma della melodia<br />
rimane facilmente riconoscibile ma la “manomissione” del compositore<br />
comporta un allungamento dei valori in modo imprevisto, l’omissione di<br />
alcune note , la separazione dei motivi melodici e la formazione di nuove<br />
frasi. Ne consegue che il flusso della musica non è affatto determinato<br />
dalle melodie.