STORIA CULTURALE DELLA MUSICA AMERICANA - Paola Carbone

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27.01.2015 Views

130 quale aveva condiviso il percorso di definizione del jazz elettrico, Hancock ha sviluppato a modo suo le premesse del jazz-rock con esempi innovativi e spesso geniali indirizzati vero un pubblico che si stava avvicinando al jazz. A questi sono seguite anche operazioni meno interessanti, sia nell’ambito del jazz-rock ( e del funk) che in quello del jazz vero e proprio. Pianista dalla carriera altalenante, Hancock è comunque sperimentatore curioso che ha lavorato sulla frontiera delle nuove tecnologie, confermandosi comunque artista dall’impeccabile fraseggio personale. Nel 1987, in collaborazione con Dexter Gordon, ha firmato la colonna sonora di Round Midnight, e questo gli ha permesso di vincere l’Oscar. Keith Jarrett, forse anche per aver collaborato con Miles Davis nel periodo più tumultuoso dal punto di vista della sperimentazione tecnologica – ossia tra il 1970 e il 1971 – è diventato uno dei più coerenti sostenitori del suono pulito e naturale, non toccando più una tastiera elettrificata. Il suo pianismo è forte e appassionato, spesso malinconico e romantico ma soprattutto possiede una intensità magica creata attraverso un’atmosfera di profonda sospensione. Il grande successo arriva con un album doppio realizzato nel 1975 – The Koln Concert – uno dei dischi più venduti di tutta la storia del jazz, ricco di lunghe improvvisazioni legate da un flusso ininterrotto nel quale nuclei di idee si trasformano in altri, in un incessante racconto musicale. Giunti pressoché al termine del lungo ed esaltante percorso compiuto dal jazz, particolarmente importante mi pare una dichiarazione di Jarrett , che riporto integralmente, perché sottolinea un elemento costitutivo di questa musica: “ Bisogna mollare completamente la presa per fare swing. Il classico è la tecnica, il jazz la libertà, il rischio. Sinceramente cosa succederebbe senza il jazz Sarebbe come una cornice senza il quadro.” Il jazz assomma quindi in sé ingredienti essenziali della cultura americana: elogio di uno spirito “democratico” che implica e sostiene trasformazione, cambiamento, libertà. Necessario è infine anche un riferimento al cosiddetto neo-bop, ben rappresentato dai fratelli Wynton e Branford Marsalis, trombettista il primo e sassofonista il secondo, cresciuti nei “Jazz Messengers” di Art Blakey, una sorta di “Università del jazz”. Eredi della tradizione dell’hardbop, i fratelli Marsalis sono spesso , e a ragione ritengo, accusati di avere

131 pochissima originalità, a fronte comunque di una tecnica straordinaria. Dei due Brandford è più aperto alle contaminazioni, più innovativo. Ha intensamente collaborato con la rockstar inglese Sting, approdando ad una sonorità che include anche il soul e l’hip hop. Esempio sapiente di questa sintesi è il tema-guida della colonna sonora di Mo’ Better Blues di Spike Lee. Come era già avvenuto in altri momenti della storia del jazz, il rapporto con il passato e con le radici porta alcuni musicisti a guardare con maggiore attenzione e partecipazione all’Africa. Così facendo, il jazz incontra il mondo e il in particolare il crescente successo della world music. A partire dagli anni Ottanta si moltiplicano gli esempi di un cosiddetto “world jazz” o anche “world fusion”, ossia di una contaminazione tra jazz e musica dell’ Africa – sia nera che araba – ed anche musica dell’Estremo Oriente, in particolare indiana. In realtà questi esperimenti non sono nuovi nella storia del jazz: forse oggi vi è da parte dei musicisti jazz una maggiore disponibilità ad un dialogo aperto, senza restrizioni. Di un certo rilievo, per concludere, è anche il contributo offerto dal “contemporary jazz” o “fusion”, che ha una sua linea, le sue etichette, le sue star – due nomi per tutti: Chick Corea e Weather Report – il suo circuito e un numero elevato di appassionati e seguaci. La stessa cosa si può dire dell’ “acid jazz”, uno stile e una moda nati nelle discoteche inglesi, che ha una visione improntata al marketing e che se non altro ha svolto l’importante funzione di far conoscere ai giovanissimi il jazz, con il suo lessico base, attraverso traduzioni danzabili e leggere di alcuni dei suoi “monumenti”.

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pochissima originalità, a fronte comunque di una tecnica straordinaria. Dei<br />

due Brandford è più aperto alle contaminazioni, più innovativo. Ha<br />

intensamente collaborato con la rockstar inglese Sting, approdando ad una<br />

sonorità che include anche il soul e l’hip hop. Esempio sapiente di questa<br />

sintesi è il tema-guida della colonna sonora di Mo’ Better Blues di Spike<br />

Lee.<br />

Come era già avvenuto in altri momenti della storia del jazz, il rapporto<br />

con il passato e con le radici porta alcuni musicisti a guardare con<br />

maggiore attenzione e partecipazione all’Africa. Così facendo, il jazz<br />

incontra il mondo e il in particolare il crescente successo della world<br />

music. A partire dagli anni Ottanta si moltiplicano gli esempi di un<br />

cosiddetto “world jazz” o anche “world fusion”, ossia di una<br />

contaminazione tra jazz e musica dell’ Africa – sia nera che araba – ed<br />

anche musica dell’Estremo Oriente, in particolare indiana. In realtà questi<br />

esperimenti non sono nuovi nella storia del jazz: forse oggi vi è da parte<br />

dei musicisti jazz una maggiore disponibilità ad un dialogo aperto, senza<br />

restrizioni.<br />

Di un certo rilievo, per concludere, è anche il contributo offerto dal<br />

“contemporary jazz” o “fusion”, che ha una sua linea, le sue etichette, le<br />

sue star – due nomi per tutti: Chick Corea e Weather Report – il suo<br />

circuito e un numero elevato di appassionati e seguaci. La stessa cosa si<br />

può dire dell’ “acid jazz”, uno stile e una moda nati nelle discoteche<br />

inglesi, che ha una visione improntata al marketing e che se non altro ha<br />

svolto l’importante funzione di far conoscere ai giovanissimi il jazz, con il<br />

suo lessico base, attraverso traduzioni danzabili e leggere di alcuni dei suoi<br />

“monumenti”.

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