STORIA CULTURALE DELLA MUSICA AMERICANA - Paola Carbone
STORIA CULTURALE DELLA MUSICA AMERICANA - Paola Carbone
STORIA CULTURALE DELLA MUSICA AMERICANA - Paola Carbone
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
129<br />
spesso in molte formazioni jazzistiche, ma la stragrande maggioranza delle<br />
band suona con strumenti acustici, non elettrificati e amplificati da<br />
microfoni. Anche la difesa nei confronti dell’elettrificazione e<br />
dell’elettronica non dovrebbe essere letta in modo univoco: questo ha<br />
comportato che la sonorità del jazz sia rimasta all’interno di un codice che<br />
ha subito pochi rinnovamenti ma ha anche il mantenimento di un legame<br />
con una gloriosa tradizione, con una cifra espressiva che non ha eguali<br />
nella storia musicale del XX secolo.<br />
Infine, anche il mercato non è del tutto innocente e ininfluente. La storia<br />
del jazz, iniziata con i race records, racchiude tutte le luci e le ombre dei<br />
rapporti razziali in America. E’ una storia di segregazione, continuata con<br />
l’ emarginazione, al cui interno il controllo dei musicisti sulla loro stessa<br />
musica è stato molto scarso dati i rapporti socio-economici esistenti nel<br />
paese. Nonostante, ancor oggi, esista un numeroso pubblico appassionato e<br />
preparato – cosa particolarmente evidente in occasione di musica dal vivo:<br />
concerti, festival, club e locali vari – il mercato discografico fa ben poco,<br />
se non nulla, per far conoscere e diffondere il jazz. A loro volta, i jazzisti,<br />
salvo casi eccezionali, non amano dialogare con il resto del mondo<br />
musicale, sono quasi immuni dal fascino della popolarità. Ovviamente,<br />
anche questo in controtendenza rispetto ad un mondo, incluso quello della<br />
musica classica, che invece si nutre ed è retto dallo star system.<br />
Uno degli elementi che ha contribuito alla riscoperta dei classici del jazz<br />
da parte delle giovani generazioni è stato l’avvento del compact disc. Dalla<br />
metà circa degli anni ’80 le principali case discografiche hanno iniziato<br />
una massiccia opera di ristampa del catalogo jazz realizzando<br />
numerosissime antologie e riportando alla luce capolavori scomparsi o<br />
introvabili in vinile. Vinile, però che prospera talmente bene nel mondo<br />
dell’usato – anche per il grande fascino delle cover d’epoca – da crescere<br />
molto di più delle vendite di compact disc, la cui sonorità è da più parti<br />
considerata asettica, inadatta a trasmettere tutta la vivacità e il “calore” che<br />
contraddistingue la musica jazz.<br />
Due personaggi incarnano meglio di altri il difficile passaggio del jazz<br />
dagli anni ’70 ai decenni successivi: Keith Jarrett e Herbie Hancock,<br />
entrambi cresciuti all’ombra di Miles Davis ma poi approdati a percorsi<br />
molto diversi tra loro. Terminata la collaborazione con Miles Davis, con il