STORIA CULTURALE DELLA MUSICA AMERICANA - Paola Carbone

STORIA CULTURALE DELLA MUSICA AMERICANA - Paola Carbone STORIA CULTURALE DELLA MUSICA AMERICANA - Paola Carbone

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124 allontana dall’idea di partitura che non prevede sufficiente libertà all’esecutore facendo perdere al jazz il suo feeling più autentico. In questa incisione sono evidenti repentini cambiamenti di atmosfera, di tempo, di ritmo inseriti in una generale estetica free. Il mondo sonoro di Mingus, di straordinaria varietà ed ampiezza, è sorprendentemente guidato dal suo contrabbasso che, nelle sue mani, sembra vivere di vita propria: autorevole, complesso, molto musicale, ben lontano dalla sua consueta funzione di accompagnamento. Particolarmente felice è stata la sua collaborazione con i sassofonisti Eric Dolphy e Charles Mariano , con i quali ha realizzato alcune delle sue produzioni migliori, come The Black Saint and the Sinner Lady e Mingus, Mingus, Mingus, Mingus, Mingus che contiene il celebre pezzo elegiaco in ricordo di Lester Young “Theme for Lester Young”. Tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60 il jazz ha vissuto un periodo di straordinaria creatività e i musicisti costituivano una comunità d’artisti che praticava uno stile di vita ( con un linguaggio che ha influenzato più di ogni altro sia la letteratura che il modo di parlare dei giovani) e una pratica musicale in evoluzione permanente. Il jazz sapeva cogliere lo spirito dei tempi, sapeva esprimerlo e sapeva cogliere e anticipare le trasformazioni che si profilavano all’orizzonte. L’occidente stava prendendo un corso del tutto nuovo e in America, e nella sua musica, i cambiamenti erano avvertiti in anticipo. Il jazz si può, in buona sostanza, definire una sorta di colonna sonora delle rapide trasformazioni cui sono incessantemente sottoposti la cultura e il modello di vita americani. Era il periodo delle grande utopie, del desiderio del mondo giovanile di trasformare, per il meglio, la società nella quale erano inseriti e che li relegava ad un ruolo ormai sgradito, non più accettato nelle sue stesse fondamenta. Il jazz, nella sfera che gli compete, che è quella della creazione artistica, aveva sviluppato la sua utopia di una musica senza confini, aperta a tutti i possibili influssi. L’esplicitazione della libertà espressiva assoluta è rappresentata dal disco Free Jazz (1960), registrato da Ornette Coleman: improvvisazione collettiva di un doppio quartetto, quello di Coleman e quello di Eric Dolphy.

125 Coleman comparve sulla scena del jazz verso la fine degli anni ’50 e fu subito notato – non solo perché amava a volte suonare con un sassofono di plastica – ma per le sue improvvisazioni geniali e spigolose che lasciavano intuire ul lessico musicale totalmente rinnovato. Nel 1960 ritenne che fosse giunto il momento adatto per dare vita a un esperimento fondamentale. In effetti riunì un’anomala formazione di otto musicisti, strutturata come un doppio quartetto, con due batteristi, due contrabbassisti e quattro fiati, tra cui il grandissimo Eric Dolphy, e propose come indicazione di lavoro la libera improvvisazione di tutti i musicisti, legati da una fluttuazione ritmica non restrittiva ma in qualche modo riconoscibile. Il resto era affidato all’estro del momento, senza temi prefissati. Il risultato fu un’interminabile session di quaranta minuti, che occupava senza soluzione di continuità ambedue le facciate del disco, simile a uno stream of consciuosness, con un evidente e provocatorio senso di libertà totale. In copertina Coleman decise di mettere un quadro di Jackson Pollock, trovando affinità di linguaggio con l’astrattismo informale della pittura contemporanea. Il disco fu subito visto come manifesto, fece scalpore e rimase oggetto di discussione per anni nel mondo del jazz provocando una spaccatura sia tra i musicisti sia tra gli appassionati e gli studiosi: o lo si accettava o lo si rifiutava. Le conseguenze del disco furono comunque vastissime poiché poneva sul tappeto alcune delle principali problematiche musicali del momento. In realtà il disco di Coleman lanciò un forte segnale liberatorio e aprì la strada a molti sviluppi successivi, pur rimanendo tutto sommato all’interno di caratteristiche ed elementi che hanno sempre contraddistinto la storia del jazz. Infatti, l’improvvisazione informale teorizzata da Coleman riprendeva, radicalizzandolo, lo spirito di libero dialogo collettivo tra i musicisti, tipico della storia del jazz fin dalle sue origini. Dal 1960 in poi il jazz entra in quella fase successivamente definita l’ “avanguardia”: atteggiamento non nuovo, ripeto, nel jazz, ma che negli anni ’60 ed anche successivamente fu portato alle estreme conseguenze. In quegli anni comparve sulla scena americana e internazionale una generazione di musicisti volutamente oltraggiosi, perentori, decisi a seguire mille strade diverse grazie alla liberazione operata dalla rottura del free jazz.

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Coleman comparve sulla scena del jazz verso la fine degli anni ’50 e fu<br />

subito notato – non solo perché amava a volte suonare con un sassofono di<br />

plastica – ma per le sue improvvisazioni geniali e spigolose che lasciavano<br />

intuire ul lessico musicale totalmente rinnovato. Nel 1960 ritenne che<br />

fosse giunto il momento adatto per dare vita a un esperimento<br />

fondamentale. In effetti riunì un’anomala formazione di otto musicisti,<br />

strutturata come un doppio quartetto, con due batteristi, due contrabbassisti<br />

e quattro fiati, tra cui il grandissimo Eric Dolphy, e propose come<br />

indicazione di lavoro la libera improvvisazione di tutti i musicisti, legati da<br />

una fluttuazione ritmica non restrittiva ma in qualche modo riconoscibile.<br />

Il resto era affidato all’estro del momento, senza temi prefissati. Il risultato<br />

fu un’interminabile session di quaranta minuti, che occupava senza<br />

soluzione di continuità ambedue le facciate del disco, simile a uno stream<br />

of consciuosness, con un evidente e provocatorio senso di libertà totale. In<br />

copertina Coleman decise di mettere un quadro di Jackson Pollock,<br />

trovando affinità di linguaggio con l’astrattismo informale della pittura<br />

contemporanea.<br />

Il disco fu subito visto come manifesto, fece scalpore e rimase oggetto<br />

di discussione per anni nel mondo del jazz provocando una spaccatura sia<br />

tra i musicisti sia tra gli appassionati e gli studiosi: o lo si accettava o lo si<br />

rifiutava. Le conseguenze del disco furono comunque vastissime poiché<br />

poneva sul tappeto alcune delle principali problematiche musicali del<br />

momento. In realtà il disco di Coleman lanciò un forte segnale liberatorio<br />

e aprì la strada a molti sviluppi successivi, pur rimanendo tutto sommato<br />

all’interno di caratteristiche ed elementi che hanno sempre contraddistinto<br />

la storia del jazz. Infatti, l’improvvisazione informale teorizzata da<br />

Coleman riprendeva, radicalizzandolo, lo spirito di libero dialogo<br />

collettivo tra i musicisti, tipico della storia del jazz fin dalle sue origini.<br />

Dal 1960 in poi il jazz entra in quella fase successivamente definita l’<br />

“avanguardia”: atteggiamento non nuovo, ripeto, nel jazz, ma che negli<br />

anni ’60 ed anche successivamente fu portato alle estreme conseguenze. In<br />

quegli anni comparve sulla scena americana e internazionale una<br />

generazione di musicisti volutamente oltraggiosi, perentori, decisi a<br />

seguire mille strade diverse grazie alla liberazione operata dalla rottura del<br />

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