STORIA CULTURALE DELLA MUSICA AMERICANA - Paola Carbone

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122 scomparso. Il secondo è Ascension (1965), che si muove più nella direzione della libera improvvisazione collettiva, tipica del free jazz. La sua corsa inarrestabile verso territori inesplorati ha contribuito a consumarlo velocemente, com’era accaduto anni prima a Charlie Parker o, per rimanere nelle icone degli anni Sessanta come accadrà a Jimi Hendrix ; la morte prematura, in un momento drammatico della storia “razziale” d’America (e in particolare della città di New York) non ha impedito e non impedisce ancor oggi di considerarlo un maestro, non solo di metodo, ma di una visione della musica come avventura continua, come instancabile progettazione di traguardi da raggiungere e da superare in un movimento continuo. A completamento del quadro di questa straordinaria stagione del jazz è necessario ricordare almeno altri tre musicisti, ossia Thelonious Monk, Charles Mingus e Sonny Rollins. Nonostante la popolarità, i riconoscimenti e le collaborazioni di prestigio, ciascuno dei tre ha seguito un indirizzo artistico individuale, e questo ha implicato anche un certo isolamento che ha conferito alla loro musica alcuni elementi di enigmaticità. Il più enigmatico ed anche eccentrico dei tre è sicuramente Thelonious Monk, pianista che si è trovato al centro del movimento che ha cambiato la storia del jazz, rimanendone però solo parzialmente coinvolto. Molto introverso, la sua attenzione rimase rivolta unicamente al suo personalissimo genio. Anche la sua tecnica, il suo modo di suonare era assolutamente fuori dalla norma, con le dita tese e non piegate secondo la prassi classica. Questo veniva considerato un limite tecnico piuttosto grave. Non va dimenticato però che, nonostante la sua indifferenza a quanto accadeva nel mondo esterno, Monk, se non altro per quel che riguardava la musica, era perfettamente consapevole di quel che voleva ottenere dal piano. Ovvero un fraseggio frammentario, una sonorità inconfondibile, percussiva che scaturiva proprio dal modo in cui venivano “colpiti” i tasti. Tecnica messa a punto sul piccolo pianoforte del modesto appartamento del ghetto di San Juan Hill che ha abitato per tutta la vita anche quando, ottenuti tardivi riconoscimenti, aveva raggiunto una relativa agiatezza, inadeguata comunque di fronte al suo disagio esistenziale, al grado di sofferenza che non lo ha mai abbandonato.

123 Il suo nome comincia ad affermarsi nel 1957, dopo molti anni di oscurità, quando con il suo quartetto propone un repertorio che lo farà diventare un maestro nel suo genere: Round Midnight, Straight No Chaser, Blue Monk, Misterioso e molti altri. Monk conquista una meritata fama internazionale e nel 1964 perfino la copertina di “Time”. La gloria sembra suscitare in lui il desiderio di eclissarsi, di scomparire: in effetti per più di una decade si autoreclude in casa a San Juan Hill, fino alla scomparsa nel 1986. Anche Sonny Rollins, tenorsassofonista, proviene dall’esaltante esperienza del bebop, suonando negli anni ’50 con Parker, Monk e Davis. In effetti Sonny Rollins è il gigante indiscusso dell’epoca d’oro dell’ hard bebop , con un suono particolarmente robusto e un timbro vibrante che hanno reso inconfondibile il suo segno stilistico. Più che all’innovazione, Rollins era attratto dall’improvvisazione tematica, che ha sviluppato in modo sbalorditivo e folgorante e ad un ritmo vertiginoso. Suo capolavoro è Saxophone Colossusm ma splendida è anche la Freedom Suite, che dimostra le sue capacità di autore di composizioni ad ampio resiro. Decisivo è il suo incontro con un maestro della batteria quale è stato Max Roach. Ha inoltre sviluppato una tecnica puntilistica, ossia ha usato i suoni come eventi timbrici (il timbro è la specifica qualità del suono) e temporali isolati, e una sonorità con inflessioni vagamente sardoniche. Dotato, inoltre, di notevoli qualità di performer, ha alternato sparizioni improvvise (leggendario è diventato il suo “ritiro” sotto il ponte di Brooklyn) a ritorni fulminanti, mescolando stranezze e genialità creativa: tutto questo ha fatto di lui uno dei più grandi esponenti della storia della tradizione musicale afro-americana. Altra figura complessa è quella di Charles Mingus, che per quanto abbia collaborato con buona parte dei grandi della storia del jazz è difficilmente associabile ad una corrente poiché in effetti ha seguito una strada a sé stante, profondamente legata alla tradizione afro-americana. Ha sempre dichiarato che le sue fonti d’ispirazione sono state la musica da chiesa, Duke Ellington, Charlie Parker e Art Tatum. All’inizio degli anni Cinquanta la sua musica risentiva dell’influenza del cool ed era caratterizzata da una studiata strutturazione. I caratteri peculiari della sua musica iniziano però a delinearsi con Pithecantropus Erectus, dove si

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Il suo nome comincia ad affermarsi nel 1957, dopo molti anni di<br />

oscurità, quando con il suo quartetto propone un repertorio che lo farà<br />

diventare un maestro nel suo genere: Round Midnight, Straight No Chaser,<br />

Blue Monk, Misterioso e molti altri. Monk conquista una meritata fama<br />

internazionale e nel 1964 perfino la copertina di “Time”. La gloria sembra<br />

suscitare in lui il desiderio di eclissarsi, di scomparire: in effetti per più di<br />

una decade si autoreclude in casa a San Juan Hill, fino alla scomparsa nel<br />

1986.<br />

Anche Sonny Rollins, tenorsassofonista, proviene dall’esaltante<br />

esperienza del bebop, suonando negli anni ’50 con Parker, Monk e Davis.<br />

In effetti Sonny Rollins è il gigante indiscusso dell’epoca d’oro dell’ hard<br />

bebop , con un suono particolarmente robusto e un timbro vibrante che<br />

hanno reso inconfondibile il suo segno stilistico. Più che all’innovazione,<br />

Rollins era attratto dall’improvvisazione tematica, che ha sviluppato in<br />

modo sbalorditivo e folgorante e ad un ritmo vertiginoso. Suo capolavoro<br />

è Saxophone Colossusm ma splendida è anche la Freedom Suite, che<br />

dimostra le sue capacità di autore di composizioni ad ampio resiro.<br />

Decisivo è il suo incontro con un maestro della batteria quale è stato Max<br />

Roach. Ha inoltre sviluppato una tecnica puntilistica, ossia ha usato i suoni<br />

come eventi timbrici (il timbro è la specifica qualità del suono) e temporali<br />

isolati, e una sonorità con inflessioni vagamente sardoniche. Dotato,<br />

inoltre, di notevoli qualità di performer, ha alternato sparizioni improvvise<br />

(leggendario è diventato il suo “ritiro” sotto il ponte di Brooklyn) a ritorni<br />

fulminanti, mescolando stranezze e genialità creativa: tutto questo ha fatto<br />

di lui uno dei più grandi esponenti della storia della tradizione musicale<br />

afro-americana.<br />

Altra figura complessa è quella di Charles Mingus, che per quanto abbia<br />

collaborato con buona parte dei grandi della storia del jazz è difficilmente<br />

associabile ad una corrente poiché in effetti ha seguito una strada a sé<br />

stante, profondamente legata alla tradizione afro-americana. Ha sempre<br />

dichiarato che le sue fonti d’ispirazione sono state la musica da chiesa,<br />

Duke Ellington, Charlie Parker e Art Tatum. All’inizio degli anni<br />

Cinquanta la sua musica risentiva dell’influenza del cool ed era<br />

caratterizzata da una studiata strutturazione. I caratteri peculiari della sua<br />

musica iniziano però a delinearsi con Pithecantropus Erectus, dove si

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