Giuseppe Cavalli
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<strong>Giuseppe</strong> <strong>Cavalli</strong><br />
La verità della luce<br />
Anne Biroleau e<br />
Jean-Claude Lemagny<br />
Immanuel Kant ci racconta che ci deve proprio essere stato un giorno in cui un geometra, forse Talete, comprese<br />
che ciò a cui era interessato non era questo triangolo disegnato col gesso o sulla sabbia, ma la pura idea di triangolo che<br />
aveva in mente. In maniera opposta e parallela, ciò che deve destare interesse in un’opera d’arte, considerata in quanto<br />
tale, non sono le idee che suggerisce, ma la pura presenza delle sue forme materiali.<br />
Questa semplice verità è alla base delle opere di <strong>Giuseppe</strong> <strong>Cavalli</strong>. Tutta l’evoluzione del pensiero sull’arte tende da<br />
secoli a liberarla dai pensieri parassiti ingombranti e che ne falsano la natura: pensieri morali, aneddotici, psicologici,<br />
sociologici. Agli inizi del XX secolo questa tendenza si chiarifica ulteriormente, con l’avvento dell’arte astratta che ha<br />
manifestato direttamente – nelle opere e in più senza sviamenti teorici – la possibilità di un’arte che si regge su se stessa<br />
in quanto arte. È notevole il fatto che l’arte recente della fotografia abbia saputo seguire questa svolta con la stessa rapidità<br />
della pittura, dagli anni 1910 con Alvin Langdon Coburn. Ma la relazione privilegiata che la fotografia intrattiene<br />
con un mondo che si può nominare e riconoscere non poteva permettere alle sue ricerche di fermarsi completamente<br />
sulle sperimentazioni astratte. Il cammino della fotografia si è rivelato passare per l’incontro fra forme epurate, viste in<br />
sé, e realtà poetiche che, sappiamo, la fotografia, dagli Equivalents di Stieglitz in poi, è in grado di trasmettere in modo<br />
eminente.<br />
È lì, in questo incontro, che trova il suo posto l’opera di <strong>Giuseppe</strong> <strong>Cavalli</strong>. Dal primo sguardo, la parola che viene in<br />
mente è purezza. Chiaro pensiero delle forme, sbarazzato da ogni considerazione che gli sia estranea, pensiero netto e<br />
rigoroso che suddivide gli esseri e le cose fotografate secondo un ordine che dà in maniera evidente un ritmo allo spazio.<br />
<strong>Giuseppe</strong> <strong>Cavalli</strong> è uno dei grandi maestri dello spazio. Non ci potrebbe essere per noi spazio alcuno, se non ci fossero<br />
dei mezzi adatti a manifestarlo. <strong>Cavalli</strong> gestisce questi mezzi in modo magistrale. Nello sceglierli, nel ripartirli, s’indirizza<br />
anzitutto all’estensione che li separa, e che si dà a noi in tutta la sua ampiezza. Un vuoto d’oggetti, un vuoto che canta<br />
tutta la sua presenza poetica. Allo stesso modo, un grande musicista sa far suonare il silenzio.<br />
Ma qui la fotografia ci richiama ugualmente a uno dei suoi caratteri inevitabili. Lo spazio è qui abitato, e a prescindere<br />
da qualsiasi rappresentazione, da una texture, quella dei grani d’argento. Si contrappone così in definitiva ad<br />
un’arte che le è molto vicina, con cui condivide molti effetti, e che è l’arte dell’incisione. La vibrazione delle incisioni, per<br />
quanto possa essere equilibrata, è sempre quella, in ultima analisi, del coflitto fra neri e bianchi.<br />
Abbiamo a che fare con tratti che intagliano in maniera assai sottile la natura immacolata della carta. Il dominio<br />
prediletto della fotografia è il grigio, grigio di una texture granulosa che vibra delle intime variazioni della sua grana.<br />
Sfumature in spiaggie di sabbia. <strong>Cavalli</strong> privilegia una gamma di grigi così dolce e luminosa che il grigio sembra non<br />
aver mai dispiegato il ventaglio delle sue sottigliezze prima di lui. Mentre la luce di un disegno o di un incisione emerge<br />
dal fondo della carta bianca filtrando attraverso i tratti del motivo, quella della fotografia viene dall’esterno. È dal più<br />
profondo una delle cause dell’effetto di realtà dato dalla fotografia, che per tanti altri aspetti è così poco realista. Esiste in<br />
<strong>Giuseppe</strong> <strong>Cavalli</strong> un lirismo della luce globale. Questa fa vibrare tutto lo spazio e disegna con finezza l’acuità dei suoi<br />
tratti netti e chiari che la ritmano, lasciando tuttavia intatto il mistero della sua pura e calma estensione. L’opera di <strong>Giuseppe</strong><br />
<strong>Cavalli</strong> esalta la felicità di un mondo che si rivela sotto il sole, sotto la luce unica dell’Italia.