10 la <strong>Biblioteca</strong> <strong>di</strong> <strong>via</strong> <strong>Senato</strong> Milano – <strong>giugno</strong> 2012 Da sinistra: Antoine-François Callet (1741–1823), ritratto <strong>di</strong> Luigi XVI <strong>di</strong> Francia (1754-1793) in abito reale, olio su tela, Reggia <strong>di</strong> Versailles, Salone <strong>di</strong> Apollo; Jean-Baptiste Gautier Dagoty (1740-1786), ritratto <strong>di</strong> Maria-Antoinetta d’Austria, moglie <strong>di</strong> Luigi XVI, olio su tela, Reggia <strong>di</strong> Versailles abbastanza preve<strong>di</strong>bile ma Mercier pone attenzione alla go<strong>di</strong>bilità del testo, che mai <strong>di</strong>venta pedante né cede a tentazioni moraleggianti. La lettura scorre veloce, mettendo anzi in luce le doti e il mestiere del narratore. Ciò che più preme a Mercier è mostrare come il mondo <strong>di</strong> Williams-Zidzem cambi in peggio, venendo in contatto sempre più stretto con la civiltà europea. E come siano solo le doti personali del protagonista, forgiatosi in un mondo primor<strong>di</strong>ale e genuino, a permettergli <strong>di</strong> non “perdersi” nell’apocalisse della sua civiltà. Se nelle pagine appare un forte trasporto, quasi sentimentale, verso tutto ciò che rappresenta il “selvaggio”, appare anche una feroce condanna della religione cristiana e dei suoi missionari, falsi perché moralmente corrotti; colpevoli <strong>di</strong> <strong>di</strong>struggere la primor<strong>di</strong>ale moralità naturale a favore <strong>di</strong> un <strong>di</strong>o repressivo e assente. Per lungo tempo l’opera <strong>di</strong> Mercier venne creduta una traduzione della novella Der Wildemann dell’autore tedesco Johann Gottlieb Pfeil. In realtà, benché Mercier si sia ispirato a Pfeil, L’Homme sauvage è a tutti gli effetti un romanzo originale che (quasi nemesi) più volte è stato in<strong>di</strong>cato da critici e traduttori come fonte <strong>di</strong>retta dell’Atala (1801) <strong>di</strong> François-René de Chateaubriand. Con Chateaubriand e James Fenimore Cooper (L’ultimo dei Mohicani, 1826) si chiude il ciclo settecentesco e romantico del mito del “buon selvaggio”. L’espansione e l’affermazione degli imperi coloniali porterà a una reinterpretazione <strong>di</strong> questo mito, ma in chiave prettamente politica e antimperialista. L’utopia lascia spazio all’utopismo, tragico e sanguinario. Bibliografia: Louis Sebastien Mercier, L’- Homme sauvage, Neuchâtel, Société Typographique, 1784. 8vo; pp. [4], 314, [2]. NOTE 1 S. Mercier, L’Homme sauvage, Neuchâtel, Société Typographique, 1784, pp. 3-4. 2 Ib., p. 15.
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