L'ITALIA AL FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL CINEMA DI PECHINO

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23.01.2015 Views

Così diventammo una patria: visita alla mostra “Fare gli italiani” alle Ogr di Torino Sessantadue volti ti guardano e ti danno il benvenuto in un viaggio nel passato dal quale uscirai trasformato. Una folla di busti bianchi che raffigurano personaggi attivi in quel 17 marzo 1861, quando venne proclamata l’unità d’Italia. Provi davvero l’impressione di trovarti davanti a una moltitudine storica anche grazie a un sistema di specchi che riproduce le immagini all’infinito e crea uno choc visivo cui si aggiunge quello acustico, quando alcuni busti cominciano a parlare: Giuseppe Garibaldi, Vittorio Emanuele II, Pio IX, Carlo Cattaneo... Ciascuno con il suo accento dialettale e portatore di una propria visione della nazione appena nata e ancora da costruire. Non poteva essere più efficace l’ingresso alla mostra “Fare gli italiani”, inaugurata il 17 marzo alle Officine grandi riparazioni di Torino e già visitata dal presidente Giorgio Napolitano. Curata dagli storici Walter Barberis e Giovanni De Luna, con la direzione artistica di Paolo Rosa e la direzione tecnica dell’architetto Carlo Pession, la mostra, evento culmine delle celebrazioni per il centocinquantesimo dell’Unità d’Italia, occupa una superficie di diecimila metri quadrati sul lato nord di quel tempio dell’archeologia industriale che sono le Officine grandi riparazioni (Ogr) di Torino, una enorme H di ghisa e mattoni dove venivano portate per la manutenzione locomotive e carrozze ferroviarie. L’ala sud delle Ogr sarà dedicata ad altre due esposizioni, “Stazione futuro” e “Futuro nelle mani”, sulle prospettive di questo nostro Paese ancora in divenire. Ma non v’è dubbio che gli sforzi concettuali, tecnologici e finanziari (è pari a sette milioni di euro la sponsorizzazione complessiva del gruppo Intesa San Paolo) si concentrino in questa mostra “Fare gli italiani”. «Fare gli italiani», dice senza falsa modestia Walter Barberis, «potrebbe costituire il primo nucleo» di quel museo dedicato alla storia dell’Italia proposto su questo giornale da Ernesto Galli della Loggia e Andrea Carandini. Il percorso comincia intorno al 1820, quando la nazione italiana era soltanto l’idea di una coraggiosa minoranza, e si conclude nel 2011. All’ingresso spettacolare tra la moltitudine di busti fa seguito una sala con alcuni capolavori pittorici del nostro Risorgimento, da Domenico Induno a Francesco Hayez, a Eleuterio Pagliano, autore della grande tela L’arrivo di Garibaldi a Sesto Calende, in cui sono riconoscibili 77 personaggi dell’epoca. Ma questi sono contorni, pur succosi, rispetto al nucleo principale, così come sono fuori dal filo conduttore gli spazi riservati ai consumi che hanno fatto l’Italia (dalla Fiat Seicento all’abito su misura Facis o Lebole) o le rappresentazioni della nostra nazione, dalla classica Italia turrita all’Italia tricolore interpretata con l’aiuto dello stilista Guillermo Mariotto da Francesca Testasecca, statuaria Miss. Il filo conduttore che si articola attraverso tredici isole tematiche è basato sul binomio concettuale di inclusione/esclusione. «Abbiamo cercato di raccontare — spiega Barberis — in che modo partendo da una pluralità di Stati e di identità gli italiani abbiano maturato un sentimento di appartenenza alla patria comune». In alcuni momenti, come quello dell’emigrazione, sintetizzato in un’enorme rete contenente decine di valigie, prevale l’elemento di esclusione, in altri, come la prima guerra mondiale, l’aspetto inclusivo è più forte. «Durante la Grande Guerra — dice Barberis, che insegna Metodologia della ricerca storica all’università di Torino — sono state mobilitate cinque milioni di persone, sul fronte i veneti hanno conosciuto i siciliani, i toscani hanno incontrato i pugliesi, i piemontesi i campani... e tutti sono morti per la stessa causa. Durante tre anni e mezzo di guerra gli italiani hanno cominciato a scriversi: è stato calcolato che da casa al fronte e viceversa le poste abbiano recapitato due miliardi di lettere e cartoline. È per questo che i sacchi che delimitano le trincee allestite nella nostra mostra portano la scritta delle poste e si immaginano piene di lettere e non di sabbia. Pur nella tragedia, la Grande Guerra ha rappresentato dunque un forte elemento di inclusione». Più complicate sono le cose per la seconda guerra mondiale, ma c’è un elemento qui rappresentato da un aereo militare e da alcuni paracaduti su cui saranno proiettate scene di guerra che ha unito la penisola da Nord a Sud, ed è stato quello dei bombardamenti aerei. Costellata da enormi pannelli di plexiglas trasparente sui quali viene percorsa la cronologia nazionale, per un totale di circa duecento metri lineari, “Fare gli italiani” è anche un miracolo di creatività e di tecnologia. «Questa mostra — dice Rosa — più che pensando all’arte degli allestimenti è stata ideata come opera d’arte». Un’opera multimediale in cui le varie arti si rincorrono e si intrecciano, dalla scultura alla pittura alla fotografia, al cinema e alle nuove applicazioni digitali della video-arte. Nell’isola dedicata alla scuola, per esempio, da una lavagna scaturiscono immagini che si portano dall’epoca deamicisiana al Sessantotto. Nella sezione dei movimenti politici su un muro bianco corrono le varie scritte che hanno animato un secolo e mezzo di lotte, da alcuni faldoni dei processi per mafia, custoditi in una grande libreria attorno a un cratere che rimanda alla strage di Capaci, esce la voce delle vittime. Ciascuna isola tematica è introdotta da un breve video con la voce di Umberto Orsini, mentre l’approfondimento del tema è stato affidato al racconto di Giuliana Lojodice. Sfruttando anche l’altezza delle Ogr, la mostra “Fare gli italiani” (sono italiani anche gli immigrati neri filmati a raccogliere broccoli e pomodori nei nostri campi) dà luogo a un percorso su due livelli. Così, quando saremo nel punto più alto, come il Duca d’Auge nei “Fiori blu” di Raymond Queneau potremo dire di aver considerato la situazione storica e di averla trovata piuttosto complessa. Dino Messina (per gentile concessione del Corriere della Sera) 34 35

Così diventammo una patria: visita alla mostra<br />

“Fare gli italiani” alle Ogr di Torino<br />

Sessantadue volti ti guardano e ti danno il<br />

benvenuto in un viaggio nel passato dal quale<br />

uscirai trasformato. Una folla di busti bianchi che<br />

raffigurano personaggi attivi in quel 17 marzo<br />

1861, quando venne proclamata l’unità d’Italia.<br />

Provi davvero l’impressione di trovarti davanti a<br />

una moltitudine storica anche grazie a un sistema<br />

di specchi che riproduce le immagini all’infinito e<br />

crea uno choc visivo cui si aggiunge quello acustico,<br />

quando alcuni busti cominciano a parlare: Giuseppe<br />

Garibaldi, Vittorio Emanuele II, Pio IX, Carlo<br />

Cattaneo... Ciascuno con il suo accento dialettale e<br />

portatore di una propria visione della nazione appena<br />

nata e ancora da costruire.<br />

Non poteva essere più efficace l’ingresso alla<br />

mostra “Fare gli italiani”, inaugurata il 17 marzo<br />

alle Officine grandi riparazioni di Torino e già<br />

visitata dal presidente Giorgio Napolitano. Curata<br />

dagli storici Walter Barberis e Giovanni De<br />

Luna, con la direzione artistica di Paolo Rosa e<br />

la direzione tecnica dell’architetto Carlo Pession,<br />

la mostra, evento culmine delle celebrazioni per<br />

il centocinquantesimo dell’Unità d’Italia, occupa<br />

una superficie di diecimila metri quadrati sul lato<br />

nord di quel tempio dell’archeologia industriale<br />

che sono le Officine grandi riparazioni (Ogr) di<br />

Torino, una enorme H di ghisa e mattoni dove<br />

venivano portate per la manutenzione locomotive<br />

e carrozze ferroviarie. L’ala sud delle Ogr sarà<br />

dedicata ad altre due esposizioni, “Stazione futuro”<br />

e “Futuro nelle mani”, sulle prospettive di questo<br />

nostro Paese ancora in divenire. Ma non v’è dubbio<br />

che gli sforzi concettuali, tecnologici e finanziari<br />

(è pari a sette milioni di euro la sponsorizzazione<br />

complessiva del gruppo Intesa San Paolo) si<br />

concentrino in questa mostra “Fare gli italiani”.<br />

«Fare gli italiani», dice senza falsa modestia<br />

Walter Barberis, «potrebbe costituire il primo<br />

nucleo» di quel museo dedicato alla storia<br />

dell’Italia proposto su questo giornale da<br />

Ernesto Galli della Loggia e Andrea Carandini.<br />

Il percorso comincia intorno al 1820, quando la<br />

nazione italiana era soltanto l’idea di una coraggiosa<br />

minoranza, e si conclude nel 2011. All’ingresso<br />

spettacolare tra la moltitudine<br />

di busti fa seguito una sala<br />

con alcuni capolavori pittorici<br />

del nostro Risorgimento, da<br />

Domenico Induno a Francesco<br />

Hayez, a Eleuterio Pagliano,<br />

autore della grande tela L’arrivo<br />

di Garibaldi a Sesto Calende,<br />

in cui sono riconoscibili 77<br />

personaggi dell’epoca. Ma questi<br />

sono contorni, pur succosi,<br />

rispetto al nucleo principale,<br />

così come sono fuori dal filo<br />

conduttore gli spazi riservati ai<br />

consumi che hanno fatto l’Italia<br />

(dalla Fiat Seicento all’abito<br />

su misura Facis o Lebole)<br />

o le rappresentazioni della<br />

nostra nazione, dalla classica<br />

Italia turrita all’Italia tricolore<br />

interpretata con l’aiuto dello stilista Guillermo<br />

Mariotto da Francesca Testasecca, statuaria Miss.<br />

Il filo conduttore che si articola attraverso tredici<br />

isole tematiche è basato sul binomio concettuale<br />

di inclusione/esclusione. «Abbiamo cercato di<br />

raccontare — spiega Barberis — in che modo<br />

partendo da una pluralità di Stati e di identità<br />

gli italiani abbiano maturato un sentimento di<br />

appartenenza alla patria comune». In alcuni<br />

momenti, come quello dell’emigrazione, sintetizzato<br />

in un’enorme rete contenente decine di valigie,<br />

prevale l’elemento di esclusione, in altri, come la<br />

prima guerra mondiale, l’aspetto inclusivo è più<br />

forte. «Durante la Grande Guerra — dice Barberis,<br />

che insegna Metodologia della<br />

ricerca storica all’università di<br />

Torino — sono state mobilitate<br />

cinque milioni di persone, sul<br />

fronte i veneti hanno conosciuto<br />

i siciliani, i toscani hanno<br />

incontrato i pugliesi, i piemontesi<br />

i campani... e tutti sono morti per<br />

la stessa causa. Durante tre anni e<br />

mezzo di guerra gli italiani hanno<br />

cominciato a scriversi: è stato<br />

calcolato che da casa al fronte<br />

e viceversa le poste abbiano<br />

recapitato due miliardi di lettere e<br />

cartoline. È per questo che i sacchi<br />

che delimitano le trincee allestite<br />

nella nostra mostra portano la<br />

scritta delle poste e si immaginano<br />

piene di lettere e non di sabbia.<br />

Pur nella tragedia, la Grande<br />

Guerra ha rappresentato dunque un<br />

forte elemento di inclusione». Più complicate sono<br />

le cose per la seconda guerra mondiale, ma c’è un<br />

elemento qui rappresentato da un aereo militare e da<br />

alcuni paracaduti su cui saranno proiettate scene di<br />

guerra che ha unito la penisola da Nord a Sud, ed è<br />

stato quello dei bombardamenti aerei.<br />

Costellata da enormi pannelli di plexiglas<br />

trasparente sui quali viene percorsa la cronologia<br />

nazionale, per un totale di circa duecento metri<br />

lineari, “Fare gli italiani” è anche un miracolo di<br />

creatività e di tecnologia. «Questa mostra — dice<br />

Rosa — più che pensando all’arte degli allestimenti<br />

è stata ideata come opera d’arte». Un’opera<br />

multimediale in cui le varie arti si rincorrono e si<br />

intrecciano, dalla scultura alla pittura alla fotografia,<br />

al cinema e alle nuove applicazioni digitali della<br />

video-arte. Nell’isola dedicata alla scuola, per<br />

esempio, da una lavagna scaturiscono immagini che<br />

si portano dall’epoca deamicisiana al Sessantotto.<br />

Nella sezione dei movimenti politici su un muro<br />

bianco corrono le varie scritte che hanno animato un<br />

secolo e mezzo di lotte, da alcuni faldoni dei processi<br />

per mafia, custoditi in una grande libreria attorno a<br />

un cratere che rimanda alla strage di Capaci, esce<br />

la voce delle vittime. Ciascuna isola tematica è<br />

introdotta da un breve video con la voce di Umberto<br />

Orsini, mentre l’approfondimento del tema è stato<br />

affidato al racconto di Giuliana Lojodice.<br />

Sfruttando anche l’altezza delle Ogr, la mostra<br />

“Fare gli italiani” (sono italiani anche gli immigrati<br />

neri filmati a raccogliere broccoli e pomodori nei<br />

nostri campi) dà luogo a un percorso su due livelli.<br />

Così, quando saremo nel punto più alto, come il<br />

Duca d’Auge nei “Fiori blu” di Raymond Queneau<br />

potremo dire di aver considerato la situazione storica<br />

e di averla trovata piuttosto complessa.<br />

Dino Messina<br />

(per gentile concessione del Corriere della Sera)<br />

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