Vol. 11 N° 1 - Salute per tutti
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Anno <strong>11</strong><br />
n.1/2008<br />
La certificazione di idoneità<br />
alla pratica fisico-sportiva.<br />
Tito Livio Schwarzenberg<br />
Vincenza Patrizia Di Marino<br />
“Tako-tsubo syndrome”.<br />
Enigmatico stordimento miocardico<br />
di recente individuazione.<br />
Livio Meciani<br />
I disturbi dell’equilibrio nella terza età.<br />
Giorgio Guidetti<br />
Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1, comma 1 DCB Milano<br />
PRIMO PIANO<br />
Endometriosi:<br />
quanto dura l’effetto ipoestrogenico<br />
della triptorelina depot<br />
Pietro Cazzola<br />
Il carcinoma vescicale:<br />
quando sospettarlo e qual è il ruolo<br />
del medico di Medicina Generale<br />
Alessandro Bertaccini<br />
Patologie cutanee da tessuti<br />
Paolo D. Pigatto<br />
Lucretia A. Frasin<br />
Più messaggi corretti o fregature<br />
quando si parla di capelli<br />
Cronaca del primo dibattito a<strong>per</strong>to<br />
organizzato dalla IHRF<br />
e proposta di un decalogo<br />
<strong>per</strong> chi <strong>per</strong>de i capelli.<br />
Fabio Rinaldi
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
Indice<br />
La certificazione di idoneità alla pratica fisico-sportiva.<br />
Tito Livio Schwarzenberg, Vincenza Patrizia Di Marino pag. 3<br />
Direttore Responsabile<br />
Pietro Cazzola<br />
Direttore Generale<br />
Armando Mazzù<br />
Direttore Marketing<br />
Antonio Di Maio<br />
Redazione e Amministrazione<br />
Scripta Manent s.n.c.<br />
Via Bassini, 41 - 20133 Milano<br />
Tel. 0270608091 - 0270608060<br />
Fax 0270606917<br />
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Consulenza Amministrativa<br />
Cristina Brambilla<br />
Consulenza Grafica<br />
Piero Merlini<br />
“Tako-tsubo syndrome”.<br />
Enigmatico stordimento miocardico di recente individuazione.<br />
Livio Meciani pag. 13<br />
I disturbi dell’equilibrio nella terza età.<br />
Giorgio Guidetti pag. 25<br />
PRIMO PIANO<br />
Endometriosi: quanto dura l’effetto ipoestrogenico<br />
della triptorelina depot<br />
Pietro Cazzola pag. 30<br />
Impaginazione<br />
Clementina Pasina<br />
Registrazione<br />
Tribunale di Milano n. 383<br />
del 28/05/1998<br />
Iscrizione al Registro Nazionale<br />
della Stampa n.10.000<br />
Stampa<br />
Parole Nuove s.r.l. Brugherio (MI)<br />
È vietata la riproduzione totale o parziale, con<br />
qualsiasi mezzo, di articoli, illustrazioni e fotografie<br />
pubblicati su Scripta MEDICA senza autorizzazione<br />
scritta dell’Editore.<br />
L’Editore non risponde dell’opinione espressa<br />
dagli Autori degli articoli.<br />
Edizioni Scripta Manent pubblica inoltre:<br />
ARCHIVIO ITALIANO<br />
DI UROLOGIA E ANDROLOGIA<br />
RIVISTA ITALIANA DI MEDICINA<br />
DELL’ADOLESCENZA<br />
JOURNAL OF PLASTIC DERMATOLOGY<br />
INFORMED, CADUCEUM, IATROS, EUREKA<br />
Il carcinoma vescicale:<br />
quando sospettarlo e qual è<br />
il ruolo del medico<br />
di Medicina Generale<br />
Alessandro Bertaccini pag. 35<br />
Patologie cutanee da tessuti<br />
Paolo D. Pigatto,<br />
Lucretia A. Frasin pag. 39<br />
Più messaggi corretti o fregature<br />
quando si parla di capelli<br />
Cronaca del primo dibattito a<strong>per</strong>to<br />
organizzato dalla IHRF<br />
e proposta di un decalogo<br />
<strong>per</strong> chi <strong>per</strong>de i capelli.<br />
Fabio Rinaldi pag. 45<br />
Diffusione gratuita. Ai sensi della legge 675/96 è possibile, in qualsiasi momento ,<br />
opporsi all’invio della rivista comunicando <strong>per</strong> iscritto la propria decisione a:<br />
Edizioni Scripta Manent s.n.c.<br />
Via Bassini, 41 - 20133 Milano
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
3<br />
La certificazione di idoneità<br />
alla pratica fisico-sportiva.<br />
Tito Livio Schwarzenberg, Vincenza Patrizia Di Marino<br />
Introduzione<br />
L’argomento che ci accingiamo ad<br />
affrontare, vale a dire “La certificazione medico-sportiva”<br />
può apparire, a prima vista,<br />
abbastanza banale e scontato, soprattutto di<br />
fronte ad una platea di es<strong>per</strong>ti pediatri e adolescentologi.<br />
Ciò non ostante riteniamo<br />
senz’altro utile e importante, proprio in questo<br />
contesto, riflettere e confrontarci su un<br />
aspetto di così frequente riscontro nella<br />
nostra pratica professionale quotidiana ricco<br />
di implicazioni normative, giuridiche, etiche<br />
oltreché sanitarie e con riflessi addirittura<br />
sull’economia nazionale tanto da essere stato<br />
preso in seria considerazione <strong>per</strong>fino nell’ultima<br />
(quanto mai discussa e sofferta) legge di<br />
programmazione economica e finanziaria del<br />
nostro Paese.<br />
Giova premettere, a questo punto qualche<br />
richiamo di carattere sostanziale e normativo<br />
sulla certificazione in genere, su quella medica<br />
in particolare <strong>per</strong> poter concentrare, infine,<br />
la nostra attenzione sull’aspetto specifico<br />
della certificazione medico-sportiva.<br />
Si definisce “certificato” un atto scritto che<br />
dichiara conformi a verità fatti di natura tecnica,<br />
di cui il certificato stesso è destinato a<br />
provare l’esistenza. Essendo un atto pubblico<br />
il certificato deve, ovviamente, essere veritiero<br />
e redatto in modo chiaro ed univoco (1-3).<br />
Con espressione più formale “Il certificato è la<br />
testimonianza scritta su fatti e comportamenti<br />
tecnicamente apprezzabili e valutabili, la cui<br />
dimostrazione può condurre all’affermazione di<br />
diritti soggettivi previsti dalla norma, ovvero<br />
UOC di Adolescentologia, Dipartimento Scienze Ginecologiche,<br />
Perinatologia e Puericultura<br />
Università “La Sapienza”, Roma<br />
determinare conseguenze a carico dell’individuo<br />
o della collettività aventi rilevanza giuridica e/o<br />
amministrativa“ (4) o, più semplicemente: “Il<br />
certificato è l’atto scritto e firmato <strong>per</strong> mezzo del<br />
quale una <strong>per</strong>sona investita di determinate<br />
attribuzioni e in tale qualità, attesta l’esistenza<br />
o meno di determinati fatti o qualità” (1).<br />
Ne consegue che il certificato medico rappresenta<br />
un documento che contiene una<br />
dichiarazione scritta nella quale si attesta la<br />
sussistenza di fatti obiettivi effettivamente<br />
riscontrati dal medico stesso nell’esercizio<br />
della propria attività professionale e destinati<br />
ad avere rilevanza giuridica.<br />
Per altro, la certificazione è sottoposta al vincolo<br />
degli art. 480 e 481 c.p., relativi alla falsità<br />
ideologica commessa dal pubblico ufficiale<br />
e/o dal <strong>per</strong>sonale esercente un servizio<br />
di pubblica necessità, oltre che dell’ art. 485<br />
c.p. relativo alla falsità in scrittura privata. Il<br />
requisito della veridicità non può essere<br />
disgiunto da quello della chiarezza: è necessario,<br />
<strong>per</strong>tanto, evitare abbreviazioni e acronimi<br />
e, qualora non venga utilizzata la dattiloscrittura<br />
o l’uso di una modulistica prestampata,<br />
impiegare una grafia chiara, di<br />
pronta ed inequivocabile leggibilità.<br />
Vale anche la pena di ricordare che, in base<br />
alle previsioni del codice penale, possono<br />
essere individuate tre possibili qualificazioni<br />
del medico certificatore (2):<br />
1) Pubblico ufficiale (art. 357 c.p.): è colui<br />
che esercita, in modo temporaneo o <strong>per</strong>manente,<br />
una pubblica funzione o un’attività<br />
legislativa, giudiziaria, amministrativa<br />
in rappresentanza dello Stato o<br />
dell’Ente pubblico di appartenenza.<br />
Secondo le più recenti interpretazioni<br />
della giurisprudenza a tale categoria<br />
vanno assimilati i medici dipendenti
4<br />
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
dalle ASL o dalle Aziende Ospedaliere<br />
con funzioni organizzative e che partecipano,<br />
quindi, alla volontà della Pubblica<br />
Amministrazione. Deve ritenersi pubblico<br />
ufficiale anche il medico che svolga<br />
l’incarico di <strong>per</strong>ito o di consulente tecnico<br />
su nomina dell’autorità giudiziaria;<br />
2) Incaricato di pubblico servizio (art.<br />
358 c.p.): è il medico che, <strong>per</strong> conto<br />
dello Stato che ne cura <strong>per</strong>tanto la tutela,<br />
svolge un’attività socialmente utile (vale<br />
a dire un pubblico servizio), indipendentemente<br />
dal fatto che sussista alla base<br />
un impiego di ruolo o avventizio. A tale<br />
categoria, <strong>per</strong>tanto, appartengono i<br />
medici dipendenti o convenzionati col<br />
Servizio Sanitario Nazionale (ad esempio<br />
i medici di base e i pediatri di libera scelta)<br />
impegnati nello svolgimento di mansioni<br />
di carattere strettamente medico<br />
dirette al soddisfacimento di un bisogno<br />
della collettività;<br />
3) Esercente un servizio di pubblica necessità<br />
(art. 359 c.p.): è il medico libero<br />
professionista abilitato dallo Stato, alla<br />
cui o<strong>per</strong>a ricorre il cittadino che ne ravveda<br />
la necessità. Si tratta, in questo<br />
caso, di prestazioni professionali che il<br />
medico – anche se dipendente pubblico<br />
– esercita, tuttavia, privatamente e direttamente<br />
e non in nome né <strong>per</strong> conto<br />
dello Stato o di un Ente pubblico.<br />
Da quanto finora premesso ne deriva che la<br />
potestà di certificare (G. Umani Ronchi e coll.,<br />
2002) discende esclusivamente dal conseguimento<br />
del diploma di laurea e dall’abilitazione<br />
all’esercizio della professione medica (2).<br />
Il limite oggettivo del certificato è rappresentato<br />
dall’oggetto stesso della certificazione<br />
che, in quanto promanazione dell’attività<br />
medica, non può avere altro rilievo che quello<br />
medico-biologico. Il limite soggettivo si<br />
concretizza, viceversa, nell’osservanza delle<br />
norme deontologiche e codicistiche relative<br />
in modo particolare al rispetto del segreto<br />
professionale e alla tutela della privacy.<br />
Pertanto (prescindendo da casi particolari,<br />
espressamente previsti <strong>per</strong> talune certificazioni<br />
obbligatorie) il certificato medico deve<br />
rispondere ai seguenti due requisiti (2, 5):<br />
a) essere rilasciato unicamente alla <strong>per</strong>sona<br />
assistita o visitata, ovvero al suo rappresentante<br />
legale (genitore o tutore) in caso<br />
di minore o, comunque, di un soggetto<br />
legalmente incapace;<br />
b) limitarsi, nel proprio contenuto, unicamente<br />
a ciò che necessita all’interessato o<br />
a quanto quest’ultimo voglia rendere<br />
manifesto.<br />
A seconda di quanto viene previsto dalle specifiche<br />
disposizioni di legge, i certificati<br />
medici vengono distinti in:<br />
certificati obbligatori: rivolti alla tutela di<br />
interessi pubblici e rilasciati non in quanto<br />
richiesti dagli interessati ma in quanto<br />
una precisa normativa impone al medico il<br />
dovere della certificazione stessa;<br />
certificati facoltativi: di regola destinati ad<br />
attestare, nei confronti di Enti pubblici o<br />
privati, lo stato di salute del richiedente<br />
che, spontaneamente, li esibisce anche al<br />
di fuori di ogni obbligo di legge.<br />
È bene, tuttavia, rimarcare che la distinzione<br />
tra certificazione obbligatoria e facoltativa è,<br />
in realtà, puramente formale in quanto essa<br />
viene privata di qualsiasi rilievo sostanziale<br />
proprio alla luce dell’art 22 del Codice di<br />
Deontologia Medica, laddove si cita che<br />
“….il medico non può rifiutarsi di rilasciare<br />
direttamente al cittadino certificati relativi al<br />
suo stato di salute”.<br />
Giova anche premettere che tutta la normativa<br />
rivolta alla tutela sanitaria di chi pratica<br />
attività sportiva trova la propria origine, giustificazione<br />
e conforto proprio da alcuni articoli<br />
della Costituzione stessa della Repubblica<br />
Italiana, laddove l’art. 2 “riconosce e<br />
garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come<br />
singolo che nelle funzioni sociali ove si svolge la<br />
sua <strong>per</strong>sonalità”, l’art. 4 stabilisce che “ogni<br />
cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie<br />
possibilità e la propria scelta, un’attività o<br />
una funzione che concorra al progresso materiale<br />
o spirituale della società” e, infine, l’art. 32<br />
che garantisce la tutela della salute come<br />
“fondamentale diritto dell’individuo e interesse<br />
della collettività”.<br />
Gli esordi della Legislazione in materia nel<br />
nostro Paese si fanno risalire alla Legge 28<br />
dicembre 1950, n. 1055, recante norme di
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
5<br />
“Tutela sanitaria<br />
delle attività sportive”.<br />
La tutela sanitaria<br />
in questione – inizialmente<br />
affidata alla<br />
Federazione Medico<br />
Sportiva Italiana – si<br />
esercitava nei confronti<br />
degli sportivi<br />
professionisti e dei<br />
cosiddetti “dilettanti<br />
con retribuzione abituale”<br />
nonché dei praticanti<br />
attività sportive<br />
considerate impegnative<br />
o <strong>per</strong>icolose<br />
(pugilato, atletica pesante,<br />
gare ciclistiche<br />
particolarmente gravose,<br />
sport motoristici<br />
e sport subacquei),<br />
imponendo a <strong>tutti</strong> costoro<br />
l’obbligo di sottoporsi<br />
ad accertamenti<br />
medici di idoneità<br />
con <strong>per</strong>iodicità<br />
annuale, quale condizione<br />
indispensabile<br />
<strong>per</strong> l’accesso alla pratica<br />
dello sport.<br />
L’embrionale assetto<br />
normativo veniva,<br />
quindi sviluppato e<br />
rivisto, venti anni più<br />
tardi, dalla Legge 26 ottobre 1971, n. 1099,<br />
che affidava alle neonate Regioni la tutela<br />
sanitaria delle attività sportive e ampliava la<br />
portata della tutela medesima estendendola a<br />
“chiunque intende svolgere o svolge attività agonistico<br />
sportive” mediante l’accertamento<br />
obbligatorio, con visite mediche di selezione<br />
e di controllo <strong>per</strong>iodico, dell’idoneità generica<br />
e dell’attitudine.<br />
A questo punto vale la pena di richiamare<br />
l’attenzione proprio sulla terminologia<br />
comunemente utilizzata, ricordando come le<br />
espressioni “idoneità” ed “attitudine” sportiva<br />
vengano assai spesso, erroneamente, considerate<br />
sinonimi. Al contrario, <strong>per</strong> idoneità<br />
generica all’attività sportiva dobbiamo intendere<br />
la “possibilità dell’organismo di tollerare<br />
senza danno il maggiore sviluppo di potenza e,<br />
quindi, il maggiore dispendio metabolico ed<br />
energetico che sono propri dell’attività sportiva<br />
rispetto alle attività abituali della vita sociale e<br />
lavorativa: si tratta, in altre parole, della generica<br />
capacità di reggere, senza danno, uno sforzo<br />
anche protratto”, mentre l’attitudine all’attività<br />
sportiva altro non è che la “specifica tendenza<br />
del soggetto verso una particolare e ben<br />
definita forma di attività sportiva in conseguenza<br />
di fattori genetici, ambientali, costituzionali,<br />
psicologici, antropometrici e funzionali”.<br />
Tralasciando in questa sede, <strong>per</strong> ovvii motivi<br />
di tempo e di spazio qualsiasi ulteriore considerazione<br />
sulla normativa intermedia e/o<br />
integrativa, è ben noto che tutte le attuali<br />
disposizioni sulla certificazione medico
6<br />
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
sportiva fanno principalmente riferimento a<br />
tre decreti del Ministero della Sanità, tutt’ora<br />
pienamente vigenti, <strong>per</strong> quanto datati di ben<br />
25 anni:<br />
Decreto Ministeriale 18 febbraio 1982<br />
“Norme <strong>per</strong> la tutela sanitaria dell’attività<br />
sportiva agonistica” (G.U. n. 63 del<br />
5 marzo 1982);<br />
Decreto Ministeriale 28 febbraio 1983<br />
“Integrazione e rettifica del decreto<br />
ministeriale 18 febbraio 1982, concernente<br />
norme <strong>per</strong> la tutela dell’attività<br />
sportiva agonistica” (G.U. n. 72 del 15<br />
marzo 1983);<br />
Decreto Ministeriale 28 febbraio 1983<br />
“Norme <strong>per</strong> la tutela sanitaria dell’attività<br />
sportiva non agonistica” (G.U. n.<br />
72 del 15 marzo 1983).<br />
L’ultimo decreto citato, recita all’art.1 che<br />
devono essere sottoposti a controllo sanitario<br />
<strong>per</strong> la pratica delle attività sportive non agonistiche:<br />
a) gli alunni che svolgono attività fisico-sportive<br />
organizzate dagli organi scolastici nell’ambito<br />
delle attività parascolastiche;<br />
b) coloro che svolgono attività organizzate<br />
dal CONI, da società sportive affiliate<br />
alle Federazioni Sportive Nazionali o agli<br />
Enti di Promozione Sportiva riconosciuti<br />
dal CONI e che non siano considerati<br />
atleti agonisti ai sensi del Decreto<br />
Ministeriale 18 febbraio 1982;<br />
c) coloro che partecipano ai Giochi della<br />
Gioventù, nelle fasi precedenti quella<br />
nazionale*.<br />
Una prima, inevitabile e spontanea, <strong>per</strong>plessità<br />
sorge, a questo punto, riguardo alla precisa<br />
ed univoca identificazione di quelle attività<br />
sportive che possono (o devono) essere<br />
identificate come “non agonistiche” in base al<br />
punto b) del citato DM 28-02-83, dal<br />
momento che la categoria del “non agonismo”<br />
finisce col caratterizzarsi soprattutto in negativo<br />
rispetto a quella dell’ “agonismo”, essendo<br />
la prima semplicemente la negazione<br />
della seconda. Ne discende che l’una e l’altra<br />
categoria sono state istituite dal legislatore<br />
non tanto in base a concrete valutazioni biomediche<br />
e psico-attitudinali quanto sulla<br />
spinta di motivazioni economiche, in considerazione<br />
del costo non certo indifferente<br />
che già comportano gli accertamenti obbligatori<br />
di idoneità agonistica riservati ad<br />
almeno nove milioni di soggetti che annualmente<br />
praticano attività sportive nell’ambito<br />
delle Federazioni Nazionali e degli Enti di<br />
promozione sportiva. Non si possono evidenziare,<br />
al contrario particolari dubbi nei<br />
riguardi dell’identificazione dei soggetti<br />
* Quando gli studenti italiani nel 1968 scesero in piazza e occuparono scuole e università <strong>per</strong> manifestare il loro profondo malessere,<br />
non immaginavano certamente di dare un contributo determinante alla nascita dei Giochi della Gioventù.<br />
L’approvazione ufficiale avvenne il 3 settembre 1968, ma già una circolare del 29 agosto ai comitati provinciali del Coni forniva le norme<br />
principali della manifestazione: età di ammissione <strong>11</strong>-15 anni; programma: atletica leggera, ciclismo, ginnastica, nuoto, pallacanestro,<br />
pallavolo e sci (<strong>per</strong> l’inverno 1969-70); fasi: locali, provinciali, inter-provinciali e nazionale. L’entusiasmo con cui fu accolta l’iniziativa<br />
fece andare ben oltre quanto ordinariamente previsto gli o<strong>per</strong>atori di base, che su strade e piazze, ma anche su prati e cortili fecero<br />
disputare non solo le gare di atletica leggera, ma anche la ginnastica artistica e gli sport di squadra. Da quel grandioso successo, i Giochi<br />
della Gioventù presero il volo, finendo <strong>per</strong> diventare in breve la più importante manifestazione sportiva giovanile italiana e una delle più<br />
importanti d’Europa. La numerosità dei partecipanti andò via via aumentando fino a su<strong>per</strong>are i tre milioni e mezzo alla fine degli anni’70.<br />
Il programma si estese a sua volta fino a comprendere oltre cinquanta discipline, praticamente quasi <strong>tutti</strong> gli sport esistenti. Nel 1974 la<br />
manifestazione fece il suo ingresso stabile e ufficiale nella scuola, compresa quella elementare, anche se limitatamente al secondo ciclo.<br />
Dall’anno scolastico 1993-94 il programma tornò ad essere circoscritto alle discipline ufficialmente praticate nella scuola: atletica leggera,<br />
ginnastica, nuoto, sci, calcio, pallacanestro, pallamano, pallavolo, le stesse del programma dei Campionati Studenteschi. Merito fondamentale<br />
e indiscutibile dei Giochi della Gioventù è stato quello di aver introdotto nel potere pubblico e tra le autorità politiche una<br />
forte sensibilizzazione nei confronti dell’attività sportiva, intesa come mezzo insostituibile nella formazione ed educazione dei giovani,<br />
fin dalla scuola elementare. Non meno importante, infine, è da considerare l’azione svolta dai Giochi della Gioventù nella capillare diffusione<br />
tra la massa giovanile di un sano spirito sportivo e, nello stesso tempo, nella rivelazione di numerosi talenti, destinati successivamente<br />
ad arricchire in misura considerevole le fila dello sport nazionale. A partire dal 1998, altro momento “storico” del lungo cammino<br />
dell’attività scolastica è l’istituzione dei Giochi Sportivi Studenteschi, diretta conseguenza di un rinnovato protocollo di intesa tra<br />
Coni e Ministero della Pubblica Istruzione (19). In realtà, la nascita del Giochi Sportivi Studenteschi ha coinciso con un parallelo rapido<br />
e progressivo declino dei Giochi della Gioventù, sia <strong>per</strong> la diversa impostazione di base delle due iniziative, sia <strong>per</strong> il difficile connubio<br />
tra Coni e MPI. Tra l’altro, in questa sfavorevole situazione di conflitto hanno giocato il proprio ruolo anche alcune normative che<br />
impongono, ad esempio, <strong>per</strong> gli sport di squadra compresi nei Giochi Sportivi Studenteschi, il tetto massimo di 1/3 di atleti con lo status<br />
di tesserati, mentre gli altri atleti (i 2/3 quindi) devono essere puri, vale a dire non tesserati <strong>per</strong> l’anno in corso dalla specifica<br />
Federazione. Va, tuttavia, segnalato che non sono mancate iniziative congiunte del Coni e MPI <strong>per</strong> un rilancio dei Giochi della Gioventù<br />
proprio a partire dal corrente anno scolastico 2006/2007.
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
7<br />
indicati ai punti a) e c), anche se l’acquisizione<br />
nella categoria agonistica <strong>per</strong> i partecipanti<br />
ai Giochi della Gioventù solo nelle fasi<br />
nazionali è del tutto incongrua, dal momento<br />
che l’impegno atletico e gli eventuali rischi<br />
ad esso connessi sono praticamente identici<br />
sia prima che durante le fasi nazionali dei<br />
Giochi stessi.<br />
L’art. 2 del DM 28-02-83 cita testualmente:<br />
“Ai fini della pratica delle attività sportive non<br />
agonistiche i soggetti di cui al precedente art. 1<br />
devono sottoporsi, preventivamente e con <strong>per</strong>iodicità<br />
annuale, a visita medica intesa ad accertare<br />
il loro stato di buona salute.<br />
In caso di motivato sospetto clinico il medico ha<br />
la facoltà di richiedere accertamenti specialistici<br />
integrativi, rivolgendosi anche al <strong>per</strong>sonale sanitario<br />
e alle strutture di cui all’art. 5, ultimo<br />
comma, della legge n. 33/80. La certificazione di<br />
stato di buona salute riscontrato all’atto della<br />
visita medica deve essere redatta in conformità<br />
al modello di cui all’allegato 1”.<br />
Infine, l’art.3 del DM conclude che:<br />
“La certificazione di cui al precedente art. 2 è<br />
rilasciata ai propri assistiti dai medici di medicina<br />
generale e dai medici specialisti pediatri di<br />
libera scelta, ai sensi dell’art. 23 dei rispettivi<br />
accordi collettivi vigenti”.<br />
Non si può fare a meno di rimarcare, a questo<br />
punto, che l’espressione “stato di buona salute”<br />
che il medico è chiamato a certificare come<br />
imposto dalla normativa, è di non univoca<br />
interpretazione né di agevole traduzione in<br />
chiave biomedica (6). Tra l’altro, l’equiparazione<br />
delle espressioni “stato di buona salute” e<br />
“integrità psico-fisica della <strong>per</strong>sona” come abitualmente<br />
suggerito dalla disciplina giuridica,<br />
non appare del tutto convincente <strong>per</strong>ché troppo<br />
impegnativa e potenzialmente, se presa<br />
alla lettera, suscettibile di allontanare dalla<br />
pratica sportiva (forse) la maggior parte della<br />
popolazione ritenendo non idonei anche<br />
coloro che fossero affetti da lievi o lievissime<br />
menomazioni (difetti di vista, paramorfismi<br />
vertebrali, malocclusioni, ecc,).<br />
Peraltro, sia nei vari articoli del Decreto<br />
Ministeriale in esame che nel fac-simile di<br />
certificazione (di cui all’allegato 1) non compare<br />
mai il termine “idoneità” che, al contrario,viene<br />
ampiamente usato in tutta la normativa<br />
riguardante la pratica dello sport agonistico.<br />
Ne consegue che, attestando meramente<br />
uno “stato di buona salute” e l’assenza<br />
di controindicazioni in atto (cioè clinicamente<br />
manifeste e, comunque diagnosticabili), il<br />
medico certificatore non viene assolutamente<br />
coinvolto nell’esprimere un qualsivoglia<br />
giudizio di idoneità sportiva (come, viceversa<br />
è esplicitamente previsto nelle certificazioni<br />
<strong>per</strong> lo sport agonistico). Né è accettabile<br />
una sovrapposizione concettuale tra le due<br />
locuzioni “stato di buona salute” e “idoneità<br />
generica allo sport” da taluni proposta riferendosi<br />
anche a precedenti quanto su<strong>per</strong>ate<br />
normative (Legge 26 ottobre 1971, n. 1099).<br />
Di fatti, un giudizio di “idoneità generica allo<br />
sport” appare del tutto improprio e inattendibile<br />
sulla base tanto dell’inesistenza di uno<br />
“sport generico” che dell’intrinseca specificità<br />
di qualsivoglia attività sportiva.<br />
Parallelamente, dobbiamo riflettere sul grave<br />
rischio di responsabilità professionale <strong>per</strong><br />
quel medico certificatore che volesse, comunque,<br />
esprimere un giudizio di “idoneità generica<br />
allo sport” confidando esclusivamente sul<br />
carattere “non agonistico” della pratica così<br />
autorizzata, senza riflettere sull’estrema variabilità<br />
di impegno psico-fisico che le numerose<br />
specialità sportive inevitabilmente sottendono.<br />
Né va dimenticato che il medico certificatore,<br />
in caso di “motivato sospetto clinico” può,<br />
comunque, richiedere il conforto di consulenze<br />
specialistiche e di esami clinico strumentali<br />
integrativi (art. 2 comma 2° DM 28/02/83).<br />
È evidente che la clausola limitativa del “motivato<br />
sospetto clinico” è esclusivamente di natura<br />
economica e tesa a impedire la richiesta di<br />
accertamenti specialistici e/o di esami laboratoristici<br />
o strumentali non giustificabili da una<br />
dimostrata esigenza clinica ma il cui costo,<br />
rapportato ai milioni di soggetti potenzialmente<br />
coinvolgibili, sarebbe insostenibile<br />
dalle precarie finanze del nostro Servizio<br />
Sanitario Nazionale. Proprio in questa luce va,<br />
quindi, vista la designazione dei medici e dei<br />
pediatri di famiglia in funzione di filtro <strong>per</strong><br />
l’accesso allo sport non agonistico, essendo<br />
queste figure professionali quelle che (almeno<br />
presumibilmente) conoscono meglio il paziente<br />
e la sua storia clinica e, quindi, si trovano<br />
in posizione privilegiata sia <strong>per</strong> affermare<br />
lo “stato di buona salute” del proprio pazien-
8<br />
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
te che <strong>per</strong> conoscere<br />
eventuali controindicazioni<br />
relative a eventi<br />
morbosi in atto o<br />
pregressi.<br />
Per quanto attiene alle<br />
norme sanitarie che<br />
riguardano le certificazioni<br />
e la tutela<br />
delle attività sportive<br />
agonistiche, come già<br />
premesso, si fa riferimento<br />
ad Decreto del<br />
Ministero della Sanità<br />
del 18 febbraio 1982<br />
(integrato e rettificato<br />
a mezzo del Decreto<br />
28 febbraio 1983). Lo<br />
stesso Ministero della<br />
Sanità, allo scopo di<br />
uniformare il comportamento<br />
normativo<br />
delle varie Regioni<br />
ha, successivamente,<br />
emesso la Circolare<br />
18/03/1996 n. 500.4<br />
dal titolo “Linee guida<br />
<strong>per</strong> un’organizzazione<br />
omogenea della<br />
certificazione di<br />
idoneità alla attività<br />
sportiva agonistica”.<br />
Viene, anzitutto, ribadito<br />
che devono ottenere<br />
il “certificato di<br />
idoneità sportiva agonistica”<br />
<strong>tutti</strong> coloro che praticano attività sportive<br />
qualificate come agonistiche dalle Federazioni<br />
Sportive Nazionali, dal CONI, dagli<br />
Enti sportivi riconosciuti oltre ai partecipanti<br />
alle fasi nazionali dei Giochi della Gioventù.<br />
Il criterio <strong>per</strong> determinare il “tesseramento agonistico”<br />
di un atleta è, quindi demandato ad<br />
ogni singola Federazione Sportiva Nazionale<br />
e, quasi di regola, si tratta di un criterio<br />
meramente anagrafico. Per meglio rendersi<br />
conto della realtà, riporto alcuni esempi di<br />
età di ingresso nell’attività agonistica (7-9):<br />
7 anni: hockey su pista, moto minicross, pattinaggio<br />
artistico, tennis da tavolo;<br />
8 anni: bocce, ginnastica, karting, nuoto,<br />
pattinaggio su ghiaccio, scherma;<br />
9 anni: baseball, canottaggio, sci (alpino e<br />
nordico), vela;<br />
10 anni: hockey su prato, pentathlon, tennis;<br />
12 anni: calcio, judo e sport marziali, pallacanestro,<br />
pallavolo, rugby, atletica<br />
leggera;<br />
14 anni: moto enduro-cross trial e velocità,<br />
pugilato, tiro a volo<br />
Rimane inteso, tuttavia, che le diverse fasce<br />
di età sopra ricordate sono sempre suscettibili<br />
di modifiche e revisioni a discrezione di<br />
ciascuna Federazione.
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
9<br />
Il rilascio della certificazione di idoneità alla<br />
pratica sportiva agonistica è, comunque,<br />
demandato esclusivamente al medico specialista<br />
in Medicina dello Sport o<strong>per</strong>ante nelle<br />
strutture pubbliche o in quelle private autorizzate<br />
che, in relazione alle varie normative<br />
regionali, possono essere:<br />
Centri ASL<br />
Centri pubblici non ASL<br />
(ospedali, università)<br />
Centri privati accreditati<br />
o convenzionati<br />
Specialisti esterni accreditati<br />
o convenzionati<br />
Il più volte citato DM 18 febbraio 1982 prevede<br />
esplicitamente (all’art. 3), <strong>per</strong> i soggetti<br />
interessati ad ottenere il certificato di idoneità<br />
allo sport agonistico, di sottoporsi agli<br />
accertamenti sanitari elencati in un apposito<br />
protocollo clinico-diagnostico allegato al DM<br />
stesso. Implicitamente ne consegue l’obbligo,<br />
<strong>per</strong> il medico certificatore, di attenersi al<br />
protocollo medesimo, la cui procedura rappresenta<br />
un complesso di condizioni necessarie<br />
e sufficienti <strong>per</strong> proferire il giudizio<br />
conclusivo di idoneità.<br />
Il protocollo di cui sopra è costituito da due<br />
allegati: “allegato 1”, nel quale sono rispettivamente<br />
elencati i controlli sanitari previsti e la<br />
loro <strong>per</strong>iodicità in relazione ai diversi sport<br />
praticabili, che vengono raggruppati i due distinte<br />
categorie (elencate in Tabella “A” e Tabella<br />
“B”) e “allegato 2” in cui vengono riprodotti<br />
i modelli di scheda valutativa (Modello“A”<br />
e Modello“B”) che dovranno essere compilati<br />
dal medico visitatore a conclusione della<br />
visita stessa. Gli accertamenti sanitari richiesti<br />
<strong>per</strong> i praticanti le attività sportive elencate<br />
in Tabella “A” sono (10-12):<br />
1. Visita medica<br />
2. Esame completo delle urine<br />
3. Elettrocardiogramma a riposo<br />
Per coloro che, viceversa, sono interessati a<br />
praticare le attività agonistiche elencate in<br />
Tabella “B” gli accertamenti sanitari necessari<br />
consistono in:<br />
1. Visita medica<br />
2. Esame completo delle urine<br />
3. Elettrocardiogramma a riposo e dopo<br />
sforzo<br />
4. Spirografia<br />
In calce all’allegato 1 vengono, inoltre, riportate<br />
alcune “note esplicative”, che forniscono<br />
ulteriori importanti indicazioni. Per quanto<br />
riguarda la “visita medica” viene infatti specificato<br />
che essa deve inderogabilmente comprendere:<br />
l’anamnesi<br />
la determinazione del peso corporeo (in<br />
kg) e della statura (in cm)<br />
l’esame obiettivo con particolare riguardo<br />
agli organi e apparati specificamente<br />
impegnati nello sport praticato<br />
l’esame generico dell’acuità visiva<br />
mediante ottotipo luminoso<br />
l’esame del senso cromatico (solo <strong>per</strong> gli<br />
sport motoristici)<br />
il rilievo indicativo della <strong>per</strong>cezione della<br />
voce sussurrata a m 4 di distanza, quando<br />
non è previsto l’esame specialistico ORL.<br />
Viene, infine, decretato che ogni sport non<br />
contemplato nelle Tabelle “A” o “B” venga<br />
assimilato, ai fini degli accertamenti e certificazioni<br />
sanitarie, a quello che risulta ad esso<br />
più affine tra quanti ufficialmente previsti.<br />
Sempre nell’ambito dei praticanti attività<br />
sportiva agonistica viene fatta un’ulteriore<br />
distinzione tra (13):<br />
Dilettanti<br />
Professionisti<br />
Lo status di sportivi professionisti è riconosciuto<br />
(art. 2 della Legge 23 marzo 1981 n.<br />
91) agli atleti, agli allenatori, ai direttori tecnico-sportivi<br />
e ai preparatori atletici, che<br />
esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso<br />
con carattere di continuità nell’ambito delle<br />
discipline regolamentate dal CONI e che<br />
conseguono tale qualificazione dalle Federazioni<br />
Sportive Nazionali, con l’osservanza<br />
delle direttive emanate dal CONI stesso <strong>per</strong><br />
la distinzione dell’attività dilettantistica da<br />
quella professionistica. Molto più semplicemente,<br />
gli atleti professionisti sono quelli<br />
legati da un rapporto di lavoro subordinato<br />
con la Società Sportiva. Per <strong>tutti</strong> costoro, l’attività<br />
professionistica è subordinata al possesso<br />
da parte dell’atleta della “scheda sanitaria”<br />
(art. 7 comma 2, Legge 23 marzo 1981<br />
n. 91), che accompagnerà l’atleta stesso <strong>per</strong><br />
tutta la durata della sua attività sportiva e<br />
sarà aggiornata, con <strong>per</strong>iodicità almeno
10<br />
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
semestrale, salve le diverse disposizioni emanate<br />
dalle varie Federazioni.<br />
Esaurita, a questo punto, la pur ampia panoramica<br />
sulla certificazione medico-sportiva,<br />
come previsto dalla normativa vigente, può<br />
essere interessante qualche considerazione<br />
su aspetti particolari di tutela sanitaria dei<br />
giovani che, comunque, praticano attività al<br />
di fuori dello sport organizzato, bensì presso<br />
circoli sportivi, palestre, centri fitness.<br />
È bene chiarire che, il certificato medico non<br />
costituisce, dal punto di vista normativo, la<br />
condicio sine qua non <strong>per</strong> lo svolgimento di attività<br />
fisica in palestra. Infatti, nella legislazione<br />
attualmente vigente in Italia manca qualsiasi<br />
prescrizione in tal senso, <strong>per</strong>tanto la scelta<br />
sulle modalità attraverso le quali verificare l’idoneità<br />
fisica del fruitore dei servizi della<br />
palestra o del centro fitness è lasciata esclusivamente<br />
al gestore dell’impianto.<br />
Si tratta di un vuoto normativo particolarmente<br />
grave (14): da una parte, infatti, l’attuale<br />
sistema va chiaramente a scapito dell’integrità<br />
dello sportivo; dall’altra è forte il rischio che si<br />
verifichino disparità di comportamento, anche<br />
sotto il punto di vista di assunzione di responsabilità<br />
da parte del gestore/organizzatore.<br />
Attualmente, infatti, le scelte si indirizzano<br />
principalmente verso tre direzioni:<br />
a) i Centri più attrezzati e qualificati dispongono<br />
di <strong>per</strong>sonale medico interno,<br />
cui è demandata la verifica dell’idoneità<br />
del frequentatore;<br />
b) in alternativa viene richiesta la presentazione<br />
di un certificato di “sana e robusta<br />
costituzione”;<br />
c) in casi non del tutto rari, le palestre si<br />
accontentano di far sottoscrivere al socio<br />
un’autocertificazione di assenza di impedimenti<br />
di natura sanitaria, con assunzione<br />
di responsabilità esclusiva e <strong>per</strong>sonale<br />
in caso di sinistri e, conseguente,<br />
esonero della palestra.<br />
È, <strong>per</strong> altro, evidente che nella malaugurata<br />
ipotesi di un sinistro che si sia verificato nel<br />
corso delle sedute in palestra, la dichiarazione<br />
di assunzione di responsabilità fatta sottoscrivere<br />
al cliente, non garantisce in alcun<br />
modo i titolari del centro sportivo rispetto<br />
all’eventualità di essere chiamati a rispondere<br />
in giudizio dell’accadimento in questione,<br />
a titolo di responsabilità civile: l’unica vera<br />
possibilità di essere esonerati consiste, infatti,<br />
nel poter dimostrare di aver posto in essere<br />
<strong>tutti</strong> gli adempimenti necessari al fine di<br />
evitare il verificarsi dell’evento dannoso che,<br />
<strong>per</strong>tanto, deve essere considerato del tutto<br />
imprevedibile e fortuito.<br />
In una trattazione sulla tutela sanitaria dei giovani<br />
atleti e sulla normativa riguardante la certificazione<br />
medico-sportiva, non si può fare a<br />
meno di accennare, seppure sommariamente,<br />
all’importante problematica riguardante sport<br />
e disabilità (15-17).<br />
Le enormi potenzialità esprimibili da coloro<br />
che <strong>per</strong> propria disavventura risultano essere<br />
“diversamente abili” vengono, infatti, ulteriormente<br />
confermate nel mondo dello sport<br />
dove, ormai in quasi tutte le specialità, esistono<br />
settori riservati ad atleti disabili capaci<br />
tuttavia, assai spesso, di fornire <strong>per</strong>formance<br />
di livello assai elevato. Tale materia, <strong>per</strong><br />
altro, è stata recentemente regolamentata<br />
dalla Legge 5 luglio 2003 n. 189 (“Norme <strong>per</strong><br />
la promozione della pratica dello sport da parte<br />
delle <strong>per</strong>sone disabili”).<br />
È necessario anche segnalare che la FISD<br />
(Federazione Italiana Sport Disabili) attivamente<br />
promuove, diffonde e disciplina proprio<br />
l’attività sportiva di alto livello e paraolimpica<br />
dei disabili fisici, ciechi e mentali <strong>per</strong><br />
oltre 25 diverse discipline sportive.<br />
In campo internazionale il massimo riferimento<br />
può essere considerato, invece, l’IPC<br />
(International Paralympic Committee) che, tra<br />
l’altro, ha organizzato con grande e scontato<br />
successo, nel corso degli anni, le diverse<br />
Paraolimpiadi (vale a dire le Olimpiadi riservate<br />
ai portatori di handicap).<br />
Per quanto ci riguarda come medici (certificatori<br />
e non), dobbiamo anzitutto fare riferimento<br />
alla precedente Legge 5 febbraio 1992<br />
n. 104 (Legge quadro <strong>per</strong> l’assistenza, l’integrazione<br />
sociale e i diritti delle <strong>per</strong>sone handicappate)<br />
dove, all’art. 2, leggiamo: “È <strong>per</strong>sona<br />
handicappata colui che presenta una minorazione<br />
fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata<br />
o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento,<br />
di relazione o di integrazione lavorativa<br />
e tale da determinare un processo di svantaggio<br />
sociale e di emarginazione”.
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
<strong>11</strong><br />
La predetta legge stabilisce, inoltre, all’art. 23<br />
che: “l’attività e la pratica sportiva sono favorite<br />
senza limitazione alcuna”. Il successivo DM<br />
4 marzo 1993 recante “Determinazione dei<br />
protocolli <strong>per</strong> la concessione dell’idoneità alla<br />
pratica agonistica alle <strong>per</strong>sone handicappate”<br />
(pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del<br />
18/03/1993 n. 64) ha consentito un più<br />
organico approccio alla tutela dello sport <strong>per</strong><br />
i disabili, laddove cita: “Ai fini della tutela<br />
della salute, i soggetti portatori di un handicap<br />
fisico e/o psichico e/o neurosensoriale, che praticano<br />
attività sportiva agonistica, devono sottoporsi<br />
previamente al controllo della idoneità<br />
specifica allo sport che intendono svolgere o che<br />
svolgono. Tale controllo deve essere ripetuto con<br />
<strong>per</strong>iodicità annuale o inferiore quando ritenuto<br />
necessario dai sanitari. La qualificazione di agonista<br />
<strong>per</strong> i portatori di handicap che praticano<br />
attività sportiva è demandata alla federazione<br />
Italiana Sport Disabili (FISD) o agli enti di promozione<br />
sportiva riconosciuti dal CONI”<br />
Anche <strong>per</strong> la valutazione dell’idoneità agonistica<br />
allo sport del portatore di handicap ci si<br />
deve riferire a due specifiche Tabelle “A” e<br />
“B” (diverse da quelle di cui ad DM<br />
18/02/1982, prima ricordate) ancora una<br />
volta suddivise in rapporto al minore o maggiore<br />
impegno cardiovascolare e respiratorio.<br />
I medici incaricati del giudizio di idoneità<br />
sono gli stessi già individuati <strong>per</strong> la certificazione<br />
agonistica e i certificati medesimi non<br />
si differenziano che <strong>per</strong> la specificazione<br />
“adatto ad atleti disabili”, nonché <strong>per</strong> la delimitazione<br />
cronologica di validità di un anno<br />
o di sei mesi, con chiara indicazione, sul certificato,<br />
della relativa scadenza.<br />
Nel concludere questa rassegna sulla certificazione<br />
medico-sportiva è necessario fare<br />
cenno anche alla normativa riguardante la<br />
dispensa dalle lezioni di educazione fisica<br />
che, non raramente, coinvolge le competenze<br />
professionali del medico di famiglia e/o<br />
del pediatra. A tale proposito, il primo rilevante<br />
riferimento normativo è rappresentato<br />
dalla Legge 7 febbraio 1958 n. 88 che, all’art.<br />
3, cita testualmente “Il capo di istituto concede<br />
esoneri temporanei o <strong>per</strong>manenti, parziali o<br />
totali <strong>per</strong> provati motivi di salute, su richiesta<br />
delle famiglie degli alunni e previi gli opportuni<br />
controlli medici sullo stato fisico degli alunni<br />
stessi”. La successiva C.M. 3 ottobre 1959, n.<br />
401, prot. N. 10168 entrando nel merito<br />
specifica, all’ art. 1, che “Il capo di istituto<br />
potrà prescindere dai controlli medici quando<br />
trattasi di alunni che presentino gravi menomazioni<br />
o difetti fisici, congeniti o acquisiti, di<br />
immediata evidenza”. La predetta circolare<br />
ministeriale specifica, in seguito, che “Gli<br />
accertamenti, ai fini dell’esonero, sono affidati al<br />
sanitario addetto al servizio medico-scolastico,<br />
ove esista, o a un medico di fiducia dell’Amministrazione<br />
scelto dal capo d’istituto…..Ove,<br />
in base agli accertamenti eseguiti, ritenga comprovato<br />
l’impedimento, il capo d’istituto, sentito<br />
il parere dell’insegnante di educazione fisica,<br />
specialmente <strong>per</strong> quanto concerne la dispensa<br />
da determinate esercitazioni, dispone la concessione<br />
dell’esonero”. L’esonero dalle lezioni di<br />
educazione fisica potrà, inoltre, essere:<br />
totale, quando esclude l’alunno sia dalle<br />
lezioni che dalle prove di esame e la sua<br />
validità potrà essere <strong>per</strong>manente o temporanea;<br />
parziale, anche in questo caso temporaneo<br />
o <strong>per</strong>manente, ha il limitato effetto<br />
di escludere l’alunno da determinati<br />
esercizi, fermo restando l’obbligo di frequentare<br />
le lezioni e/o di partecipare alle<br />
prove di esame.<br />
Nel proporre un esonero dall’educazione fisica<br />
ogni medico coinvolto nella relativa certificazione<br />
dovrebbe, prioritariamente, riflettere<br />
su quanto puntualmente specificato, a<br />
proposito di tale insegnamento, nel D.M. 9<br />
febbraio 1979: “L’educazione fisica, nella peculiarità<br />
delle sue attività e delle sue tecniche, concorre<br />
a promuovere l’equilibrata maturazione<br />
psico-fisica, intellettuale e morale del preadolescente<br />
e un suo migliore inserimento sociale<br />
mediante la sollecitazione di un armonico sviluppo<br />
corporeo…I vari insegnamenti esprimono<br />
modi diversi di articolazione del sa<strong>per</strong>e, di accostamento<br />
alla realtà, di conquista, sistemazione<br />
e trasformazione di essa e, a tal fine, utilizzano<br />
specifici linguaggi che convergono verso un unico<br />
obiettivo educativo: lo sviluppo della <strong>per</strong>sona<br />
nella quale si realizza l’unità del sa<strong>per</strong>e”.<br />
Per altro, è da tenere presente che l’istanza di<br />
esonero dall’educazione fisica, <strong>per</strong> quanto<br />
regolarmente documentata e accolta, non
12<br />
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
dovrebbe senz’altro esimere l’alunno dalla<br />
partecipazione alle relative lezioni: sarebbe,<br />
infatti, cura del docente preposto di coinvolgere<br />
gli alunni esonerati dalle esercitazioni<br />
pratiche, sia negli aspetti teorici che nei vari<br />
momenti interdisciplinari del proprio insegnamento<br />
anche sollecitandone il diretto<br />
intervento e l’attiva partecipazione in compiti<br />
di giuria o di arbitraggio o, più in generale,<br />
nell’organizzazione delle varie attività<br />
(C.M. 17 luglio 1987, n, 216, prot. n. 17771/A).<br />
A conclusione di questa lunga e complessa<br />
rassegna sulla certificazione medico-sportiva<br />
desidero fare due (<strong>per</strong> altro ovvie e scontate)<br />
raccomandazioni. La prima, rivolta ai colleghi<br />
pediatri e medici di famiglia, è che le certificazioni<br />
di sana e robusta costituzione non<br />
vengano mai rilasciate con eccessiva disinvoltura<br />
quasi fossero atti dovuti o mere formalità.<br />
Ogni certificazione deve scaturire,<br />
viceversa, da un’attenta anamnesi mirata,<br />
seguita da una visita medica quanto più è<br />
possibile accurata e completa, che tenga nel<br />
massimo conto le valutazioni auxologiche<br />
nonché le caratteristiche psico-emozionali e<br />
relazionali del giovane.<br />
La seconda, indirizzata agli istruttori, allenatori,<br />
preparatori, dirigenti sportivi e insegnanti<br />
è di tenere bene a mente che non si<br />
può considerare alla stessa stregua il bambino,<br />
il ragazzo e l’adulto e che se nell’atleta<br />
maturo l’attività sportiva ha finito con l’assumere<br />
i connotati di una vera e propria impresa<br />
s<strong>per</strong>imentale volta ad esplorare i limiti<br />
della “macchina umana”, tale impostazione<br />
non può, ovviamente, essere mai giustificata<br />
durante l’età evolutiva dove, tra l’altro, di<br />
estrema importanza è sempre la determinazione<br />
della cosiddetta età biologica del ragazzo,<br />
ossia delle sue peculiarità somato-evolutive<br />
che, come è noto, possono variare enormemente<br />
da un soggetto all’altro anche a<br />
parità di età anagrafica (18, 19).<br />
Bibliografia<br />
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all’Esercizio professionale <strong>per</strong> i Medici-Chirurghi e gli<br />
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4. Barni M. Diritti e doveri, responsabilità del medico,<br />
dalla bioetica al biodiritto. Giuffrè ed. (Milano, 1999).<br />
5. Caldarone G, Giampietro M. Età evolutiva e attività<br />
motorie. Istituto di Scienza dello Sport CONI. Mediserve<br />
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6. AA Vari. Legislazione e normativa riferita allo sport. In:<br />
Scuola dello Sport. CONI ed. (Roma, 1986).<br />
7. Di Nella L. Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico.<br />
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8. De Rosa C, Di Mizio G, Ricci P. La certificazione <strong>per</strong><br />
l’idoneità alla pratica sportiva: aspetti normativi e medicolegali.<br />
Difesa Sociale 2004; 75-80:83/4.<br />
9. Antoniotti F, Di Luca NM. Medicina legale e delle assicurazioni<br />
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Acconcia P, Florio V. Giovani e tempo libero: indagine<br />
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1988) pag. 167 – Pozzi ed. (Roma, 1990).<br />
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Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
13<br />
"Tako-tsubo syndrome".<br />
Enigmatico stordimento miocardico<br />
di recente individuazione.<br />
Livio Meciani<br />
Introduzione<br />
La sindrome del cosiddetto “Takotsubo”<br />
- originariamente descritta, come casi<br />
isolati ed aneddotici fin dagli anni ‘90 (1-7) -<br />
è stata descritta da un gran numero di cardiologi<br />
giapponesi (8-43) e clinicamente<br />
configurata, in epoca abbastanza recente,<br />
quale miocardiopatia acuta e reversibile<br />
anche da cardiologi statunitensi ed europei<br />
(44-70), fra i quali molti italiani (71-85).<br />
Dal punto di vista anatomo-funzionale questa<br />
sindrome consiste in una dilatazione sacciforme<br />
(cioè a “palloncino”) dell’apice del ventricolo<br />
cardiaco sinistro, quindi in una ipo-acinesia<br />
della punta del cuore, associata molto<br />
spesso ad una i<strong>per</strong>contrazione della base ventricolare,<br />
così da far assumere temporaneamente<br />
al ventricolo sinistro una forma che<br />
ricorda il vaso a tipo di anfora - cioè il takotsubo<br />
(Figura 1) - utilizzato dai pescatori giapponesi<br />
<strong>per</strong> catturare i polipi: i quali, una volta<br />
scivolati nel vaso, non riescono più ad uscirne<br />
a causa del restringimento del collare vasale.<br />
L’individuazione anatomo-funzionale di questa<br />
sindrome non è stata frutto di osservazioni<br />
primitive (all’inizio infatti l’evento veniva<br />
considerato come una forma di ischemia<br />
acuta), bensì di approfondimenti successivi<br />
presupponenti l’impiego tanto dell’ecografia,<br />
quanto e soprattutto della ventricolografia - in<br />
centri cardiologici adeguatamente attrezzati -<br />
attraverso le quali è stato appunto possibile<br />
precisare il tipo di disfunzione responsabile<br />
del quadro clinico cardiaco similinfartuale<br />
(Figura 2).<br />
L.D. in Patologia Speciale Medica nell’Università di Milano<br />
Da queste indagini è poi derivata la più precisa<br />
descrizione della sindrome definita come:<br />
“Transient left ventricular apical ballooning syndrome”<br />
(Dilatazione apicale transitoria a palloncino<br />
dell’apice del ventricolo sinistro);<br />
“Neurogenic stunned myocardium”; “Myocardial<br />
stunning due to sudden emotional stress”; “Cardiomiopatia<br />
acuta da stress”; ecc., ecc.<br />
Figura 1<br />
Rappresentazione del vaso usato dai pescatori giapponesi<br />
- ossia il “Tako-tsubo” - <strong>per</strong> catturare i polipi.<br />
(Da Girod JP, et al. Circulation 2003; 107-121).
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
14<br />
Figura 2<br />
Angiografia del ventricolo<br />
sinistro, che documenta<br />
in diastole la<br />
quasi normale dilatazione<br />
della camera<br />
cardiaca, mentre in<br />
sistole evidenzia - accanto<br />
ad una "contrattura"<br />
del miocardio<br />
di base - la dilatazione<br />
"a palloncino"<br />
dell'apice.<br />
Da: Sharkey SW, et al.<br />
Circulation 2005;<br />
<strong>11</strong>1:476<br />
Dal punto di vista clinico, infatti, la casistica<br />
colpita da questa disfunzione miocardica è<br />
quasi esclusivamente costituita da donne, in<br />
fase pre-climaterica, o climaterica ed assai<br />
spesso fumatrici, le quali - costantemente<br />
vittime di un intenso ed improvviso stress<br />
psico-emotivo (o comunque di un evento<br />
psicologicamente “vissuto” come una forte e<br />
subitanea emozione) - presentano la comparsa<br />
di un quadro clinico assimilabile alla<br />
“crisi cardiaca acuta”.<br />
Sintomatologia<br />
Anzitutto occorre precisare che la<br />
Sindrome del Tako-tsubo può presentarsi come<br />
episodio intercorrente, o come complicazione<br />
acuta nel corso di parecchie forme morbose<br />
come: la sindrome di Guillain-Barré (5),<br />
la trombo-embolia polmonare (10), il pneumotorace<br />
(22), la rabdomiolisi (25), l’anestesia<br />
generale (29), la plasmaferesi <strong>per</strong> miastenia<br />
grave (32), l’i<strong>per</strong>tireosi (35), la sindrome<br />
da astinenza nelI’alcoolismo (36), la sclerosi<br />
laterale amiotrofica (37), la terapia steroidea<br />
<strong>per</strong> linfoma (38), l’esecuzione di una risonanza<br />
magnetica nucleare come fenomeno di<br />
claustrofobia acuta (63), l’infezione da citomegalovirus<br />
(80), ecc., ecc.<br />
In secondo luogo tale sindrome può associarsi<br />
tanto a crisi cardiovascolari acute di vario tipo<br />
(42, 43, 45, 61), quanto tachiaritmiche (20,<br />
21, 27, 53), o bradicardiche (84), oppure<br />
addirittura infartuali (5l), destinate ovviamente<br />
a complicare ancor più il quadro sintomatologico.<br />
A questo proposito ho gia precisato<br />
che, in senso clinico, questa sindrome può<br />
simulare l’infarto miocardico acuto (6, 8, 13,<br />
15, 28, 36, 52, 71, 72) e questo <strong>per</strong>ché:<br />
dal punto di vista soggettivo il paziente<br />
presenta un dolore precordiale abbastanza<br />
tipico <strong>per</strong> orientare verso la “stenocardia”;<br />
dolore accompagnato spesso da<br />
dispnea e soprattutto da intenso turbamento<br />
psico-emozionale;<br />
dal punto di vista obiettivo sussistono<br />
segni assai suggestivi <strong>per</strong> porre diagnosi<br />
di ischemia miocardica acuta in quanto:<br />
l’Ecg - che può presentarsi (e talvolta<br />
<strong>per</strong>sistere) come normale durante le<br />
prime ore di ricovero in pronto soccorso<br />
- rivela poi gravi segni di ischemia diffusa<br />
<strong>per</strong> la presenza di T negative simmetriche<br />
(talora “giganti”), accompagnate sia da<br />
eventuale, seppur transitoria, sopra-elevazione<br />
del tratto ST, sia da possibile<br />
allargamento del complesso elettrico ventricolare,<br />
in assenza di onda Q suggestiva<br />
<strong>per</strong> necrosi miocardica (Figura 3);
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
15<br />
Figura 3<br />
Elettrocardiogramma di un soggetto con “sindrome apicale discinetica”, che presenta un quadro di ischemia miocardica<br />
diffusa con “T simmetriche” negative nelle precordiali sinistre.<br />
Da: Greco C, et al. J Cardiovasc Med 2006; 7:624<br />
è spesso presente un moderato “movimento”<br />
enzimatico <strong>per</strong> aumento del CPK-<br />
MB e della troponina l A;<br />
l’ecocardiogramma rivela:<br />
- una quasi costante diminuzione della<br />
Frazione di Eiezione (FE), che si attesta<br />
attorno al 35-40%, ma successivamente e<br />
piuttosto rapidamente si normalizza;<br />
- una tipica e transitoria deformazione “a<br />
palloncino” dell’apice del ventricolo sinistro<br />
(<strong>per</strong>altro documentabile soprattutto con la<br />
ventricolografia, qualora questa venga<br />
fatta) dimostrante una seria e localizzata<br />
“acinesia” della punta cardiaca.<br />
I dati piuttosto sconcertanti sono invece:<br />
1. La pressocché costante normalità strutturale<br />
dell’albero coronarico (<strong>11</strong>, l3, 15, 49, 59,<br />
81), documentata dalla coronarografia, cui<br />
<strong>tutti</strong> questi pazienti vengono inevitabilmente<br />
sottoposti in funzione proprio della<br />
sintomatologia in atto (in qualche raro<br />
caso, <strong>per</strong>altro, l’obiettivazione coronarografica<br />
ha mostrato la presenza di stenosi non<br />
critiche, cioè non su<strong>per</strong>iori al 25%).<br />
2. La costante e completa assenza - evidenziata,<br />
<strong>per</strong> esempio, mediante la PET (<strong>11</strong>, 24),<br />
o mediante la RMN (54) - di qualsiasi necrosi<br />
miocardica (d’altronde in concordanza<br />
con la già citata assenza di onde Q), anche<br />
in corrispondenza dell’acinesia apicale.<br />
Eziologia<br />
La Sindrome del Tako-tsubo è sempre associata<br />
al recente intervento - quale fattore scatenante<br />
- di un forte stress psico-emotivo<br />
(Tabella l).<br />
I punti focali consistono nel comprendere:<br />
a - Come mai uno “stressor” di questo genere<br />
- <strong>per</strong> quanto violento, o comunque<br />
“vissuto” soggettivamente in modo dram-
16<br />
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
TABELLA 1<br />
Stress i<strong>per</strong>acuto come possibile fattore scatenante della cosiddetta “Sindrome del Tako-tsubo”<br />
1 - Psico-distress da <strong>per</strong>dita<br />
a - Luttuosa<br />
Morte del coniuge<br />
Morte di un figlio<br />
Morte di un parente stretto<br />
Morte di un amico fraterno<br />
b - Economica<br />
Fallimento<br />
Dissesto finanziario<br />
Sottrazione (furto; truffa)<br />
Precarietà, instabilità<br />
c - Sociale<br />
Carcerazione<br />
Segregazione<br />
Solitudine<br />
2 - Psico-distress da modificazione<br />
a - Famigliare<br />
Matrimonio<br />
Separazione<br />
Divorzio<br />
b - Lavorativa<br />
Tipo di lavoro<br />
Ambiente di lavoro<br />
Pensionamento<br />
Licenziamento<br />
c - Sociale<br />
Eventi bellici<br />
Cambiamento della situazione<br />
d - Problemi di ambientamento<br />
Emigrazione<br />
Trasloco<br />
Ostilità ambientale<br />
Promiscuità<br />
e - Delusioni<br />
f- Preoccupazioni<br />
g - Incidenti stradali<br />
3 - Psico-distress da disagio<br />
a - Problemi di salute<br />
Malattia <strong>per</strong>sonale<br />
Malattia di un famigliare intimo<br />
Prognosi infausta<br />
b - Problemi sessuali<br />
c - Problemi giudiziari<br />
matico – possa indurre una sintomatologia<br />
soggettiva ed oggettiva inducente a<br />
porre diagnosi di “crisi cardiaca acuta” (6,<br />
8, 13, 15, 44, 48, 56).<br />
Certamente in questo caso la discussione non<br />
può che concernere il modo fondamentale<br />
svolto dal meccanismo mediante il quale queste<br />
forme di “reazione da stress” provocano il<br />
momentaneo dissesto circolatorio: punto che<br />
sarà trattato a proposito delle non poche ipotesi<br />
patogenetiche.<br />
b - Come mai questa sindrome colpisca<br />
quasi esclusivamente il sesso femminile. A<br />
questo proposito sono state formulate<br />
varie ipotesi esplicative, fra le quali appare<br />
preminente l’idea che le donne presentino<br />
una i<strong>per</strong>-sensibilità ed una i<strong>per</strong>-reattività<br />
nei confronti di qualsiasi stressor psicoemozionale<br />
e quindi sollecitino maggiormente<br />
il proprio sistema vegetativo simpatico.<br />
Tuttavia queste teorie (<strong>per</strong> la verità<br />
abbastanza “tradizionali”) urtano contro<br />
parecchie constatazioni s<strong>per</strong>imentali: ad<br />
esempio contrastano con la constatazione<br />
che il sesso maschile possiede ben maggiori<br />
capacità di reagire di fronte ad un<br />
improvviso aumento del tasso ematico di<br />
catecolamine (87-90), logica conseguenza<br />
di qualsiasi impatto con uno stressor.<br />
Un’osservazione, invece, assai più <strong>per</strong>tinente<br />
si riferisce al fatto che quasi tutte le donne<br />
interessate da questo abbastanza strano (e<br />
quasi sempre transitorio) evento cardiovascolare<br />
si trovano nella delicata situazione -<br />
psicoemotiva e neuro-ormonale - correlata al<br />
climaterio, ossia ad una fase particolarmente<br />
delicata della vita muliebre, che comporta una<br />
cospicua “vulnerabilità” vegetativa.<br />
c - Come mai la sindrome del Tako-tsubo,<br />
non ostante la clamorosità cardiovascolare<br />
della sintomatologia, si comporti come<br />
un “evento transitorio” e - salvo casi piuttosto<br />
rari (30, 40, 86) - a risoluzione<br />
favorevole. L’ evoluzione sostanzialmente<br />
benigna sembrerebbe risiedere nel fatto<br />
che manca quasi sempre la presenza di
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
17<br />
una necrosi miocardica, sicché la situazione<br />
sindromica si configurerebbe in un<br />
quadro solamente disfunzionale, cioè<br />
senza componenti anatomo-patologiche:<br />
almeno <strong>per</strong> quel che concerne la struttura<br />
macroscopica.<br />
Cio che, al contrario, non può esser sottaciuto<br />
concerne l’eziologia psico-emozionale, che<br />
certamente reca un “tassello” supplementare<br />
alla molto discussa teoria secondo cui un adeguato<br />
disturbo psico-emotivo, soprattutto se<br />
sistematicamente reiterato, è in grado di provocare<br />
alterazioni cardiovascolari particolarmente<br />
intense. Le quali - anche in assenza di<br />
lesioni strutturali (leggi: ateromatose) - possono<br />
ugualmente concretare modificazioni funzionali<br />
capaci di determinare (o, quanto<br />
meno, di facilitare), nel tempo, la comparsa di<br />
danni irreparabili. E questo proprio in un<br />
apparato come quello circolatorio estremamente<br />
sensibile ad ogni modificazione indotta<br />
dal sistema neuro-vegetativo, che a sua<br />
volta è correlato in modo stretto e diretto ai<br />
turbamenti della sfera pscoemotiva.<br />
Patogenesi<br />
Dal punto di vista della patogenesi questa<br />
sindrome rappresenta senza dubbio uno<br />
dei molteplici “misteri” della medicina ed in<br />
particolare della cardiologia <strong>per</strong>ché a tutt’oggi<br />
- non ostante siano state in proposito formulate<br />
parecchie ipotesi (che, più sotto, tratterò<br />
in dettaglio) - non si è ancora riusciti a comprendere<br />
il <strong>per</strong>ché il miocardio si comporti in<br />
maniera così anomala, cioè con una ipo-acinesia<br />
della punta cardiaca, quasi sempre<br />
associata ad una sovra-contrazione della porzione<br />
basale della camera ventricolare sinistra.<br />
Un punto patogenetico essenziale sembra<br />
esser rappresentato dall’osservazione che,<br />
come conseguenza dell’intenso turbamento<br />
psico-emotivo, interviene un’attivazione del<br />
sistema nervoso vegetativo che, nel caso dell’insorgenza<br />
della sindrome del Tako-tsubo -<br />
così come accade in concomitanza con altre<br />
sindromi i<strong>per</strong>acute quali: l’ictus (98); le crisi<br />
di asma (91, 92); di feocromocitoma (93-<br />
97); di emorragia sub-aracnoidea (99-104);<br />
e le morti violente (105, 106) - si concreta,<br />
alla <strong>per</strong>iferia circolatoria, in una forte stimolazione<br />
della componente adrenergica, la cui<br />
immediata conseguenza è costituita da un<br />
altrettanto immediato incremento della catecolaminemia<br />
(Schema 1), che realizza una<br />
vera e propria “Sindrome da tossicità adrenergica”,<br />
di cui il “Tako-tsubo” sarebbe una<br />
delle manifestazioni.<br />
L’iter neuronale di questo fenomeno simpaticotonico<br />
è ormai fisiologicamente ben conosciuto<br />
e si realizza secondo due <strong>per</strong>corsi<br />
(Schema 2):<br />
a - Il <strong>per</strong>corso del sistema simpatico<br />
bulbare: il quale, attraverso la mediazione<br />
noradrenergica, provoca alla <strong>per</strong>iferia<br />
un’i<strong>per</strong>-catecolaminemia (vedasi oltre)<br />
responsabile di un “dissesto omeostatico<br />
multiplo” nell’ambito del quale si annoverano<br />
le ben conosciute conseguenze coronariche<br />
ed emodinamiche, nonché le<br />
conseguenze biochimiche rappresentate<br />
principalmente dallo stress ossidativo. La<br />
cui fondamentale caratteristica consiste<br />
nella sovra-produzione di radicali liberi<br />
dell’ossigeno, sempre provocatrice di<br />
cospicui ed irreversibili danni in un tessuto<br />
estremamente sensibile qual’è quello<br />
miocardico (107,108).<br />
b - Il <strong>per</strong>corso del cosiddetto asse ipotalamo-ipofisario:<br />
il quale, mediante la produzione<br />
di ACTH, determina la stimolazione<br />
della corteccia surrenale e quindi la<br />
sovra-produzione dei corticosteroidi, che<br />
concorrono a potenziare l’attività delle<br />
catecolamine.<br />
c - Il <strong>per</strong>corso genericamente definibile<br />
come ipotalamico, responsabile di una<br />
sovra-produzione di NPY e di BNP, ossia<br />
di neuropeptidi recentemente coinvolti in<br />
maniera diretta nell’attivazione cardiovascolare<br />
(109-<strong>11</strong>1).<br />
<strong>Vol</strong>endo, ora, esaminare con maggiore dettaglio<br />
le varie ipotesi patogenetiche, è possibile<br />
farne questa elencazione riassuntiva:<br />
1. Partecipazione coronarica<br />
Descrivendo la sintomatologia ho<br />
precisato che nella quasi totalità dei casi sussiste<br />
un dato abbastanza sconcertante costituito<br />
dalla assenza (o dalla - emodinamica-
18<br />
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
SCHEMA 1 - CONSEGUENZE DELLA IPER-NORADRENALINEMIA<br />
L’I<strong>per</strong>-noradrenalinemia, che si verifica in corso di psico-neurostress acuto, è una conseguenza diretta dell'attivazione sia centrale, sia<br />
- soprattutto - <strong>per</strong>iferica del sistema simpatico e rappresenta, <strong>per</strong> l'organismo, una delle più gravi conseguenze ad un tempo emodinarniche<br />
acute e biochimiche acute in grado di dissestare rapidamente l'intera orneostasi.<br />
Gli effetti emodinamici si riflettono ovviamente sul sistema cardio-circolatorio e sono rappresentati da:<br />
a - Aumento della frequenza pulsatoria <strong>per</strong> diretta stimolazione dei recettori adrenergici del sistema cardiaco “di conduzione”.<br />
b - Vasospasmo soprattutto arteriolare (quindi micro-circolatorio} <strong>per</strong> diretta stimolazione, anche in questo<br />
caso, degli adrenergo-recettori diffusi nell'albero vascolare (ed ovviamente anche in quello coronarico).<br />
c - Sovra-stimolazione nella produzione di vasopressina e di angiotensina, le cui conseguenze spasmogene<br />
sulla circolazione arteriolare sono ben conosciute.<br />
Gli effetti biochimici interessano l'intero complesso dell'organismo e determinano intrinseche modificazioni<br />
dell'andamento metabolico, i cui molteplici disequilibri sono così elencabili:<br />
1 - Diminuzione nella produzione del nitrossido, accoppiata tanto all'aurnento nella produzione di endoteline,<br />
quanto alla stimolazione degli alfa-adreno-recettori, il che concorre a provocare il vasospasmo arteriolare.<br />
2 - Aumento nella produzione endoteliale delle molecole adesive, che concorrono vivacemente a creare una<br />
condizione generale di trombofilia.<br />
3 - Dissesto metabolico complesso, riassumibile precisando da un lato l'instaurazione di un certo grado di resistenza<br />
insulinica, da un altro lato l'incremento nella produzione citotossica degli FFA e dei radicali liberi (stress ossidativo).<br />
4 - Modificazione delle espressioni biochimiche sia dei leucociti (indotti a su<strong>per</strong>produrre radicali liberi<br />
e citochine, fra cui prevale il TNF-alfa), sia delle piastrine (principali fautrici della tendenza trombifilica).<br />
Neuro-ipofisi<br />
A.D.H.<br />
Neuro-adrenorecettori<br />
C. juxta-glomer.<br />
R.A.A.A.<br />
VASO-<br />
COSTRIZIONE<br />
Medullo-surr.<br />
Nor-adr.<br />
Effetti<br />
emodinamici<br />
Miocardio<br />
Sistema<br />
di conduzione<br />
Adrenergorecettori<br />
Frequenza<br />
beta-R.<br />
alfa-R.<br />
IPER-NORADRE-<br />
NALINEMIA<br />
Arterie<br />
Disfunzione<br />
endoteliale<br />
Alfa-adrenorecettori<br />
Nitrossido<br />
Endoteline<br />
Mol.adesive<br />
Muscoli<br />
Resistenza<br />
insulinica<br />
Fegato<br />
Pancreas<br />
Produzione<br />
di insulina<br />
Effetti<br />
biochimici<br />
Tessuto<br />
adiposo<br />
FFA<br />
Radicali liberi<br />
DISSESTO<br />
METABOLICO<br />
Leucociti<br />
TNF-alfa<br />
Piastrine<br />
Adesioneaggregazione<br />
Trombofilia
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
19<br />
SCHEMA 2 - POSSIBILE INTERPRETAZIONE PATOGENETICA DELLA “SINDROME DEL TAKO-TSUBO”<br />
Un intenso ed improvviso psico-distress (soprattutto se vissuto in modo esageratamente “drammatico”) può provocare<br />
in determinati soggetti - complice una forte i<strong>per</strong>-catecolaminemia - la comparsa di rnodificazioni funzionali miocardiche<br />
espresse da un'alterazione discinetica, ma reversibile, della sistole del ventricolo sinistro (contrattura della base e dilatazione<br />
“a palloncino” dell'apice). Tale psico-distress acuto - tramite le non conosciute interazioni fra psiche e cervello -<br />
provocherebbe, simultaneamente all'attivazione emozionale ed all’elaborazione cognitiva, una su<strong>per</strong>-stimolazione dei<br />
centri vegetativi su<strong>per</strong>iori, le cui immediate conseguenze sarebbero costituite da una sollecitazione sia dell’asse ipotalamo-ipofisario,<br />
sia del sistema vegetativo simpatico, accompagnata da una possibile sovra-produzione di neuropeptidi<br />
vasoattivi, quali l'NPY ed il BNP.<br />
L'attivazione ipotalarno-ipofisaria si estrinsecherebbe con l'intensificazione nella produzione dell' ACTH, il cui “target” cortico-surrenale,<br />
provocherebbe un aumento nella biosintesi e nell'increzione dei cortico-steroidi.<br />
L'attivazione del sistema simpatico determinerebbe, dal canto suo, un'eccitazione funzionale tanto della midollare surrenale,<br />
quanto e sopratutto del sistema simpatico <strong>per</strong>iferico, le cui disastrose conseguenze si compendiano in una forte<br />
i<strong>per</strong>-noradrenalinernia (<strong>per</strong>altro spesso documentata nei pazienti colpiti dalla presente sindrome).<br />
Le conseguenze di questi fenomeni sarebbero costituite tanto da uno stordimento miocardico (myocardial stunning),<br />
quanto da uno spasmo micro-coronarico, contemporaneamente<br />
responsabili di quella inconsueta discinesia miocardica<br />
sintetizzata dal nome di “Sindrome del Tako-tsubo”.<br />
PSICO-STRESS<br />
IPERACUTO<br />
INTERAZIONI<br />
PSICHE-CERVELLO<br />
Elaborazione<br />
cognitiva<br />
Attivazione<br />
emozionale<br />
CENTRI<br />
VEGETATIVI<br />
SUPERIORI<br />
Ipotalamo<br />
Ipofisi<br />
SIMPATICO<br />
CENTRALE<br />
Cortico-surrene<br />
Accanto ed in rafforzamento di questo deragliamento funzionale<br />
si determinerebbe - sempre in conseguenza dell'i<strong>per</strong>-catecolaminemia<br />
- una condizione di stress ossidativo<br />
condizionatore di una necrosi delle bande sarcomeriche<br />
miocardiche (evidenziata in parecchi re<strong>per</strong>ti miocardio-bioptici).<br />
Medullosurrene<br />
Simpatico<br />
<strong>per</strong>iferico<br />
NPY<br />
BNP<br />
Cortico-steroidi<br />
IPER-NORADRE-<br />
NALINEMIA<br />
Sovracontrazione<br />
basilare<br />
STORDIMENTO<br />
MIOCARDICO<br />
IPO-ACINESIA<br />
APICALE<br />
Stress<br />
ossidativo<br />
Microspasmo<br />
coronarico<br />
Band-necrosis<br />
dei sarcomeri<br />
SINDROME DEL<br />
TAKO-TSUBO
20<br />
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
mente - non rilevanza) di lesioni ateromasiche<br />
dell’albero coronarico: questo induce a pensare<br />
che il quadro elettrocardiografico (<strong>per</strong>altro<br />
assai “clamoroso” in senso ischemico), sia quasi<br />
sempre di tipo funzionale e quindi transitorio.<br />
Tuttavia è proprio su questo punto che possono<br />
sorgere dei dubbi patogenetici dal momento<br />
che le uniche due piu verosimili interpretazioni<br />
concernono eventualità non del tutto<br />
convincenti e precisamente:<br />
- Che possa essersi verificato uno spasmo<br />
delle arterie coronarie epicardiche (13, 15,<br />
59). Il punto critico è rappresentato dalla<br />
esclusiva localizzazione all’apice del ventricolo<br />
sinistro. In soccorso - <strong>per</strong> così dire - di<br />
questa specifica localizzazione sussisterebbe<br />
la constatazione anatomica secondo la<br />
quale l’apice del ventricolo sinistro sarebbe<br />
costituito soltanto da tre strati miocardici<br />
(<strong>11</strong>2) e costituirebbe quindi un punto<br />
“debole” (o, se si vuole, particolarmente<br />
“sensibile”: <strong>11</strong>3-<strong>11</strong>6) di tutta la molto complicata<br />
struttura del muscolo cardiaco.<br />
- Che possa essersi verificato un diffuso spasmo<br />
della micro-circolazione coronarica<br />
(9, 51, 52, 56, 75): considerazione patogenetica<br />
che possiede una corrispondenza<br />
piuttosto importante costituita dalla cosiddetta<br />
“Sindrome X coronarica” [o angina<br />
microvascolare (<strong>11</strong>7)]. In quest’ultimo<br />
caso la patogenesi più verosimile potrebbe<br />
fare riferimento alla molteplice convergenza<br />
patogenetica - compendiata nella<br />
Sindrome Metabolica (<strong>11</strong>8-120) - tanto<br />
della “resistenza insulinica” quanto della<br />
“normalità strutturale, ma non funzionale,<br />
della circolazione coronarica”, quanto in fine<br />
della disfunzione endoteliale connessa all’i<strong>per</strong>-simpaticotonia<br />
(121).<br />
2. Partecipazione miocardica basale<br />
L’i<strong>per</strong>-catecolaminemia potrebbe<br />
provocare un’i<strong>per</strong>contrazione della base del<br />
miocardio ventricolare: il che spiegherebbe<br />
la conseguente dilatazione apicale sistolica.<br />
L’ipotesi sembrerebbe avvalorata dall’osservazione<br />
che in parecchi soggetti presentanti<br />
questa forma di ipo-acinesia miocardica apicale<br />
la somministrazione di dobutamina<br />
(cioè di una catecolamina) provoca effettivamente<br />
un’ostruzione dinamica transitoria<br />
delle porzioni basilari del ventricolo sinistro<br />
(44, 66, 74, 122).<br />
3. Stordimento miocardico<br />
La sovra-stimolazione adrenergica<br />
consecutiva all’i<strong>per</strong>-catecolaminemia porta<br />
sempre ad un generale “stordimento miocardico”<br />
(44, 56, 123), le cui espressioni biochimche<br />
si concreterebbero in un insulto diretto dei<br />
miocardiociti in grado di provocare una necrosi<br />
da i<strong>per</strong>contrazione dei sarcomeri (contraction<br />
band necrosis: 58-62, 124). In altre parole:<br />
un sovraccarico (probabilmente AMP-mediato)<br />
di calcio-ioni responsabile della morte dei<br />
miocardiociti caratterizzata da un’infiltrazione<br />
sia di eosinofili, sia di monociti-macrofagi (del<br />
tutto diversa da quella propria dell’infarto<br />
miocardico in cui, invece, predomina l’infiltrazione<br />
dei polimorfonucleati).<br />
Terapia<br />
La Sindrome del Tako-tsubo - in quanto<br />
“crisi cardiaca” - va ovviamente trattata<br />
secondo i classici canoni terapeutici consoni<br />
a questo evento, tanto più che nella quasi<br />
totalità dei casi (almeno nelle fasi iniziali)<br />
questa sindrome viene diagnosticamente<br />
interpretata come una forma di ischemia<br />
miocardica acuta.<br />
La sua rapida e pressocché costante evoluzione<br />
favorevole consiglia tuttavia la prosecuzione<br />
di un trattamento, caso <strong>per</strong> caso<br />
adeguato, in funzione della sintomatologia<br />
in atto.<br />
Comunque la sua risoluzione esige sempre<br />
una terapia orientata sia verso l’indubbia<br />
componente psicologica, sia verso l’evidenza<br />
che il bersaglio preferenziale di qualsiasi<br />
futura “reazione da stress” sarà probabilmente<br />
l’apparato circolatorio.
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Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
25<br />
I disturbi dell’equilibrio nella terza età.<br />
Giorgio Guidetti<br />
Premessa<br />
L’equilibrio è legato principalmente al<br />
corretto funzionamento, di tre input sensoriali:<br />
vestibolare, visivo e propriocettivo. La<br />
coo<strong>per</strong>azione e l’integrazione di queste tre<br />
diverse informazioni a livello del sistema<br />
nervoso centrale sono indispensabili <strong>per</strong> il<br />
corretto controllo del nostro corpo in condizioni<br />
statiche e dinamiche e <strong>per</strong> l’orientamento<br />
spazio-temporale.<br />
Un evento acuto che danneggi una componente<br />
della rete neuronale deputata all’equilibrio,<br />
come ad esempio la <strong>per</strong>dita di un labirinto,<br />
provoca violenti disturbi.<br />
Immediatamente si attivano dei meccanismi<br />
di adattamento centrale e di compenso sensoriale,<br />
finalizzati sia al recu<strong>per</strong>o del controllo<br />
oculomotorio, con relativa scomparsa del<br />
nistagmo e quindi della sensazione rotatoria<br />
dell’ambiente circostante, che dell’assetto<br />
posturale statico e dinamico, con relativa<br />
scomparsa dell’atassia e dell’instabilità.<br />
L’efficienza di tale recu<strong>per</strong>o, la sua completezza<br />
ed i tempi di realizzazione, sono legati<br />
a diversi fattori.<br />
Le abitudini di vita sedentarie ed un atteggiamento<br />
psicologico ansioso-depressivo, ad<br />
esempio, l’ostacolano. Altrettanto influenti<br />
sono l’efficienza degli input vestibolari controlaterali<br />
e di quelli visivi e propriocettivi,<br />
che possono consentire meccanismi di compenso<br />
vicariante, ed il grado di plasticità dei<br />
neuroni cerebrali e cerebellari che devono<br />
garantire i processi di adattamento.<br />
La senescenza coinvolge in maniera globale<br />
l’organismo umano ed interferisce anche con<br />
i complessi meccanismi preposti a regolare<br />
l’equilibrio (Tabella 1).<br />
È dunque facilmente comprensibile come i<br />
fenomeni legati all’invecchiamento possano<br />
modificare anche i complessi meccanismi preposti<br />
a regolare l’equilibrio e quindi i corretti<br />
rapporti tra il soggetto e l’ambiente circostante<br />
in condizioni sia statiche che dinamiche.<br />
I disturbi dell’equilibrio rappresentano <strong>per</strong>tanto<br />
un evento molto comune nella vecchiaia,<br />
infatti:<br />
Tabella 1.<br />
Principali fattori nella età senile predisponenti al disequilibrio.<br />
Fattori favorenti<br />
Invecchiamento fisiologico<br />
o patologia dell’apparato vestibolare<br />
Stile di vita sedentario<br />
DISEQUILIBRIO SENILE<br />
Effetti<br />
Ridotta efficienza<br />
dei riflessi vestibolari<br />
Ridotto utilizzo del controllo dell’equilibrio,<br />
<strong>per</strong>dita di confidenza<br />
Ridotto controllo dell’equilibrio,<br />
Ridotta efficienza<br />
degli input sensorial i ridotto compenso sensoriale vicariante<br />
Aumentato consumo di farmaci<br />
Rallentamento dei riflessi,<br />
difficoltà di compenso vestibolare<br />
Servizio di Vestibologia e Rieducazione Vestibolare Azienda USL di Modena
26<br />
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
Tabella 2.<br />
Principali cause <strong>per</strong>iferiche di vertigine nell’anziano.<br />
PATOLOGIA<br />
Labirintolitiasi<br />
Neuronite vestibolare<br />
Malattia di Meniere<br />
Fistola <strong>per</strong>ilinfatica/otite cronica<br />
Neoplasie dell’angolo ponto-cerebellare<br />
Tossicità da farmaci (es: gentamicina)<br />
Disturbi del microcircolo<br />
ALTRI SINTOMI ASSOCIATI<br />
Nausea, vomito<br />
Disequilibrio<br />
Ipoacusia fluttuante, tinnito<br />
Perdita o diminuzione dell’udito, otalgia<br />
Diminuzione udito, otalgia, disequilibrio<br />
Disequilibrio<br />
Diminuzione udito, acufeni, disequilibrio<br />
l’instabilità posturale costituisce una<br />
delle cause più frequenti di ricorso al<br />
medico di famiglia nei soggetti di età<br />
oltre i 70 anni;<br />
la prevalenza di vertigine e disequilibrio<br />
è pari al 47% nei maschi e al 61% nelle<br />
femmine di età su<strong>per</strong>iore ai 70 anni;<br />
l’incidenza di caduta a terra improvvisa<br />
in età su<strong>per</strong>iore ai 65 anni varia tra<br />
il 20% e il 40%.<br />
A questo proposito, l’Istat stima che in Italia<br />
la prima causa di incidente domestico sia<br />
rappresentata proprio dalle cadute, che sono<br />
al primo posto come causa di ricovero e<br />
decesso in questi casi.<br />
A preoccupare non sono solo le conseguenze<br />
fisiche della caduta ma anche le ri<strong>per</strong>cussioni<br />
psicologiche come la paura di cadere di<br />
nuovo, “che possono accelerare il declino funzionale<br />
e generare depressione e isolamento<br />
sociale”.<br />
In più, i traumi da caduta hanno anche un<br />
costo in termini economici: secondo dati del<br />
Sindaca, (Sistema informativo nazionale<br />
sugli infortuni in ambienti di civile abitazione<br />
dell’Iss).<br />
In Italia il costo unitario <strong>per</strong> ricovero da incidente<br />
domestico, la cui causa prevalente è la<br />
caduta, è di circa 3.000 euro.<br />
Una riduzione del 20% delle cadute consentirebbe<br />
circa 27.000 ricoveri in meno su base<br />
annua.<br />
I disturbi dell’equilibrio rappresentano <strong>per</strong>tanto<br />
un evento molto comune nella vecchiaia<br />
e sono riconducibili alla presbiatassia,<br />
cioè al generico disturbo vertiginoso-posturale<br />
ad eziologia multifattoriale correlato con<br />
il parafisiologico deterioramento dell’intero<br />
sistema dell’equilibrio, oppure a specifiche<br />
patologie di tipo vestibolare <strong>per</strong>iferico<br />
(Tabella 2), centrale (Tabella 3), o ad altre<br />
noxe extravestibolari (Tabella 4) che possono<br />
influenzare direttamente o indirettamente il<br />
controllo dell’equilibrio.<br />
Le vertigini nell’anziano da causa <strong>per</strong>iferica<br />
sono contraddistinte in genere da vere vertigini<br />
rotatorie.<br />
I disturbi centrali invece sono generalmente<br />
contraddistinti da dizziness (instabilità, atassia,<br />
insicurezza, difficoltà nei movimenti,<br />
senso di stordimento, disorientamento spaziale),<br />
più raramente si tratta di vere vertigini<br />
rotatorie, e nella maggior parte dei casi<br />
rientrano in un corteo sintomatologico più<br />
complesso di sofferenza del sistema nervoso<br />
centrale, diverso a seconda del tipo di patologia<br />
e delle sedi interessate.<br />
Altre patologie possono provocare disturbi<br />
dell’equilibrio in modo diretto (ad esempio<br />
alterando l’afflusso ematico all’apparato<br />
vestibolare a livello <strong>per</strong>iferico e/o centrale, in<br />
modo episodico o saltuario), favorire patologie<br />
vestibolari o neurologiche (ad esempio<br />
provocando ischemie acute o croniche)<br />
oppure interagendo sulla funzione dell’equilibrio<br />
mediante l’alterazione degli input propriocettivi<br />
(ad esempio quelli cervicali nel<br />
caso dell’artrosi cervicale).<br />
Anche in questo caso si tratta in genere di<br />
sintomi del tipo dizziness e solo raramente<br />
di vere vertigini rotatorie soggettive o<br />
oggettive.
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
27<br />
Tabella 3.<br />
Principali cause centrali di “vertigine” nell’anziano.<br />
PATOLOGIA<br />
TIA, RIND e Stroke del territorio vertebro-basilare<br />
Disturbi del circolo cerebrale anteriore<br />
Morbo di Parkinson e patologie extrapiramidali<br />
Neoplasie cerebrali<br />
Epilessia<br />
Patologie degenerative<br />
Demenza (fasi iniziali)<br />
Traumi cranici<br />
ALTRI SINTOMI ASSOCIATI<br />
Disturbi neurologici vari <strong>per</strong> lesioni in particolare<br />
del tronco o del cervelletto<br />
Disturbi neurologici vari<br />
Sindrome extrapiramidale<br />
Disturbi neurologici vari<br />
Crisi comiziali<br />
Disturbi neurologici vari<br />
Disorientamento, disturbi della memoria<br />
Disturbi neurologici vari<br />
Principi di terapia<br />
Nella scelta della terapia farmacologica<br />
antivertiginosa nel paziente anziano<br />
occorrerà in particolare:<br />
1. limitare alle sole fasi acute di una vestibolopatia<br />
l’uso dei sintomatici ad azione<br />
sedativa (ad esempio: fenotiazine, antistaminici,<br />
benzodiazepine, difenilpi<strong>per</strong>azine);<br />
2. privilegiare i farmaci con attività modulatoria<br />
e nootropa;<br />
Tabella 4.<br />
Altre patologie con possibile influenza<br />
diretta o indiretta sull’equilibrio<br />
nell’anziano.<br />
Stenosi aortica<br />
Sindrome da i<strong>per</strong>sensibilità del seno carotideo<br />
Disritmie cardiache<br />
Ipotensione ortostatica<br />
Vasculiti autoimmuni<br />
Stenosi della carotide<br />
Sindrome da furto della succlavia<br />
Anemie<br />
Sindrome da i<strong>per</strong>viscosità<br />
Dislipidemie di vario tipo<br />
Diabete mellito<br />
I<strong>per</strong>ventilazione<br />
I<strong>per</strong> o ipoglicemia<br />
Artrosi cervicale<br />
Polineuropatia sensitivo-motoria<br />
Depressione e altri disturbi psichici<br />
3. evitare i farmaci con maggior probabilità<br />
di effetti indesiderati nel soggetto<br />
anziano;<br />
4. prestare particolare attenzione alla compliance.<br />
Nelle forme acute occorrerà anzitutto ridurre<br />
la sintomatologia, senza <strong>per</strong>ò ostacolare<br />
l’instaurarsi dei processi centrali di adattamento<br />
e compenso funzionale.<br />
Nelle forme cronizzate occorrerà soprattutto<br />
favorire lo sviluppo di tali processi, in<br />
gran parte caratterizzati dai processi di<br />
modulazione centrale degli input sensoriali,<br />
memorizzazione delle nuove es<strong>per</strong>ienze e<br />
messa a punto di procedure motorie adattative.<br />
Nelle forme ricorrenti, come alcuni casi di<br />
vertigine parossistica da posizionamento o la<br />
Malattia di Menière, occorrerà cercare anche<br />
di contrastare i relativi meccanismi patogenetici<br />
(ad esempio i disturbi del microcircolo<br />
o la formazione dell’idrope).<br />
Betaistina dicloridrato<br />
È un farmaco ampiamente utilizzato nel trattamento<br />
dei disordini vestibolari <strong>per</strong>iferici e<br />
centrali.<br />
È un farmaco che si distingue <strong>per</strong> una attività<br />
di tipo modulatorio, non sedativo, caratterizzato<br />
da una ottima tollerabilità. La sua attività<br />
è dovuta ad un meccanismo d’azione<br />
multiplo:<br />
1. <strong>per</strong>ifericamente riduce l’attività spontanea<br />
dei recettori ampollari labirintici;
28<br />
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
Tabella 5.<br />
Trattamento con betaistina delle più comuni patologie causa di vertigine o disequilibrio<br />
con coinvolgimento della funzione vestibolare.<br />
PATOLOGIA FASE ACUTA FASE CRONICA O RICORRENTE<br />
Presbiatassia<br />
- betaistina 24 mg x 2/die<br />
- neurotropi<br />
Vertigini parossistiche manovre liberatorie o - betaistina 24 mg x 2/die<br />
da posizionamento<br />
di riposizionamento<br />
Malattia di Menière - betaistina 16 mg x 3/die - betaistina 24 mg x 2/die<br />
- sedativi, antiidropici - ansiolitici<br />
ed antinausea<br />
- prevenzione dell’idrope<br />
Neurite vestibolare - betaistina 16 mg x 3/die, - betaistina 24 mg x 2/ die<br />
- sedativi ed antinausea - neurotropi<br />
- cortisonici, neurotropi<br />
Disturbi del microcircolo - betaistina 16 mg x 3/ die - betaistina 24 mg x 2/die<br />
labirintico - farmaci sedativi ed antinausea - prevenzione sui meccanismi<br />
- farmaci attivi sul meccanismo eziopatogenetici,<br />
patogenetico circolatorio<br />
- neurotropi<br />
- neurotropi<br />
2. centralmente, tramite una attività histamine-like<br />
agonista sui recettori H1 ed<br />
antagonista sui recettori H3, modula la<br />
sintesi e il rilascio di vari neurotrasmettitori,<br />
in primis l’istamina, con miglioramento<br />
dei processi di adattamento e<br />
compenso funzionale dell’equilibrio statico<br />
e dinamico;<br />
3. a livello microcircolatorio del labirinto<br />
e del sistema arterioso vertebrobasilare,<br />
stimola direttamente i recettori H1 localizzati<br />
sulle cellule endoteliali dei capillari<br />
provocando una vasodilatazione e<br />
favorendo il riassorbimento di un’eventuale<br />
idrope labirintica.<br />
Nella maggior parte dei più importanti studi<br />
clinici condotti con betaistina (che hanno<br />
coinvolto oltre 4000 pazienti) i risultati più<br />
soddisfacenti sono stati raggiunti con terapie<br />
della durata di 1-6 mesi e con dosi fino a 48<br />
mg/die. Inoltre, un recente studio di farmacologia<br />
ha dimostrato che l’attività di betaistina<br />
è sia dose che durata dipendente. In<br />
base a queste premesse, betaistina dovrebbe<br />
essere preferibilmente somministrata alla<br />
massima dose giornaliera autorizzata (fino a<br />
48 mg die) <strong>per</strong> un tempo il più lungo possibile.<br />
Il trattamento può essere modulato come<br />
segue:<br />
nelle forme acute è preferibile una tripla<br />
somministrazione giornaliera di 16<br />
mg di betaistina <strong>per</strong> alcuni giorni, che<br />
garantisca l’attività inibitoria a livello del<br />
recettore vestibolare <strong>per</strong>iferico e modulatoria<br />
a livello del SNC in modo più<br />
costante ed omogeneo nel tempo.<br />
nelle forme cronicizzate e ricorrenti,<br />
in cui la terapia va abitualmente protratta<br />
<strong>per</strong> cicli ripetuti, è opportuno mantenere<br />
lo stesso dosaggio massimo giornaliero<br />
(48 mg die) privilegiando <strong>per</strong>ò la<br />
compliance ed affidandosi quindi alla<br />
doppia somministrazione di 24 mg.<br />
Un soggetto anziano, infatti, assume già abitualmente<br />
vari farmaci e pare poco probabile<br />
che possa accettare una terapia prolungata<br />
con ulteriori tre somministrazioni giornaliere.<br />
La Tabella 5 riporta alcuni esempi di trattamento<br />
nelle forme di disturbo dell’equilibrio<br />
più comuni nella terza età con coinvolgimento<br />
della funzione vestibolare.<br />
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Tratto da<br />
2/2007
30<br />
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
Endometriosi: quanto dura l’effetto ipoestrogenico<br />
della triptorelina depot<br />
Pietro Cazzola<br />
Introduzione<br />
Quando una patologia è oggetto<br />
di un documento sottoscritto<br />
da duecentosessantasei membri<br />
del Parlamento Europeo significa<br />
che essa ha una grande rilevanza<br />
sociale e necessita <strong>per</strong>ciò di particolare<br />
considerazione da parte delle<br />
Autorità governative e sanitarie,<br />
nonché, ovviamente, dell’intera<br />
classe medica. Con la Written Declaration<br />
on Endometriosis (1), infatti,<br />
viene ricordato che:<br />
nell’Unione Europea l’endometriosi<br />
colpisce una donna su dieci;<br />
nell’Unione Europea l’onere annuale<br />
dei congedi dovuti a tale<br />
affezione viene stimato in 30 miliardi<br />
di euro;<br />
non esiste una giornata europea<br />
dell’endometriosi e la conoscenza<br />
di tale malattia, sia tra i medici<br />
che nella popolazione, è<br />
scarsa.<br />
Nello stesso documento, inoltre,<br />
viene sollecitata la Commissione<br />
Europea affinché, tra l’altro, favorisca<br />
la ricerca sulle cause, la prevenzione<br />
e sul trattamento di tale<br />
patologia.<br />
Definizione<br />
di endometriosi<br />
Con “endometriosi” si definisce<br />
un’affezione caratterizzata dalla<br />
presenza in sedi localizzate all’esterno<br />
della cavità uterina di tes-<br />
Specialista in Anatomia e Istologia Patologica<br />
e Tecniche di Laboratorio, Milano<br />
suto simil-endometriale che determina<br />
una reazione infiammatoria<br />
cronica (2).<br />
La maggior parte dei foci endometriosici<br />
ha sede a livello pelvico<br />
(ovaie, <strong>per</strong>itoneo, legamenti uterosacrali<br />
cavo del Douglas e setto retto-vaginale),<br />
mentre foci extrapelvici<br />
sono rari.<br />
La manifestazione della malattia varia<br />
da piccole lesioni a cisti endometriosiche,<br />
fibrosi e aderenze di<br />
tale gravità da sovvertire l’apparato<br />
riproduttivo della donna e condizionarne<br />
la fertilità.<br />
Dell’endometriosi sono state proposte<br />
diverse classificazioni, ma la<br />
più utilizzata è quella dell’American<br />
Society of Reproductive Medicine (3)<br />
che, in base alla gravità, identifica<br />
quattro stadi della malattia.<br />
Sfortunatamente, <strong>per</strong>ò, essa non<br />
consente di prevedere, in rapporto<br />
allo stadio, ne le probabilità di<br />
gravidanza, né l’entità del dolore<br />
che la donna patirà, né l’efficacia<br />
del trattamento su quest’ultimo.<br />
Epidemiologia<br />
dell’endometriosi<br />
I dati diffusi dalla Fondazione<br />
Italiana Endometriosi indicano<br />
che tale affezione interessa 14 milioni<br />
di donne in Europa e 3 milioni<br />
in Italia, con una spesa annua<br />
<strong>per</strong> il Sistema Sanitario Nazionale<br />
di 182 milioni di euro (4).<br />
Nelle donne tra i 25-44 anni l’incidenza<br />
dell’endometriosi si aggira<br />
intorno al 10-15% ed è maggiore<br />
del 5-7% nelle parenti di primo<br />
grado di donne affette da endometriosi<br />
(5, 6).<br />
È stato osservato che circa il 35%<br />
delle donne con infertilità è affetta<br />
da endometriosi (7).<br />
Tuttavia all’ampia diffusione della<br />
malattia non corrisponde una rapidità<br />
nella diagnosi: questa viene<br />
raggiunta in media dopo 8,5 anni<br />
in USA, 8 anni in UK e 6,7 anni in<br />
Norvegia (8). Secondo un recente<br />
studio i motivi di tale ritardo sono<br />
da ricercarsi sia a livello delle pazienti<br />
(incapacità di distinguere tra<br />
es<strong>per</strong>ienze mestruali normali e anormali,<br />
paura di apparire deboli, sviluppo<br />
di strategie tendenti più ad<br />
accomodare che a scoprire la causa<br />
del dolore), sia a livello dei medici<br />
(“normalizzazione” del dolore da parte<br />
del medico di famiglia, soppressione<br />
intermittente dei sintomi con<br />
la pillola anticoncezionale, uso di<br />
esami non discriminanti) (8).
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
31<br />
Eziopatogenesi<br />
dell’endometriosi<br />
L’eziopatogenesi dell’endometriosi<br />
non è nota. In proposito esistono<br />
diverse teorie, ma nessuna di<br />
esse è in grado di fornire spiegazioni<br />
che siano valide <strong>per</strong> <strong>tutti</strong> i casi.<br />
L’ipotesi più diffusamente accettata<br />
è quella della mestruazione retrograda<br />
o trans-salpingea, secondo la<br />
quale del tessuto endometriale, presente<br />
nel flusso mestruale, risalirebbe<br />
le tube <strong>per</strong> impiantarsi nella<br />
cavità addominale.<br />
Accanto a questa teoria si collocano<br />
il trasporto in sedi lontane delle<br />
cellule endometriali attraverso la<br />
via linfatica e/o ematica e la trasformazione<br />
dell’epitelio celomatico<br />
in ghiandole simil-endometriali<br />
(metaplasia celomatica). Inoltre,<br />
la maggiore incidenza dell’endometriosi<br />
in alcuni gruppi familiari,<br />
suggerisce che l’ereditarietà possa<br />
essere un fattore causale (6).<br />
I sintomi<br />
dell’endometriosi<br />
Il modo con cui l’endometriosi<br />
si presenta clinicamente è<br />
multiforme e l’estrema variabilità<br />
dei sintomi rende spesso difficile la<br />
diagnosi (Tabella 1).<br />
Il sintomo più comune è la disme-<br />
Tabella 1.<br />
Principali sintomi di endometriosi (9).<br />
Dismenorrea<br />
Dolore pelvico<br />
Dispareunia<br />
Lombalgia<br />
Dischezia<br />
Dolore minzionale sovrapubico<br />
Infertilità<br />
norrea e spesso la paziente si rivolge<br />
al medico quando essa diventa<br />
ingravescente (9).<br />
Nel 15% dei casi di dolore pelvico<br />
la causa è rappresentata dall’endometriosi<br />
(10).<br />
In aggiunta al dolore le pazienti<br />
possono accusare sintomi aspecifici<br />
come affaticabilità, malessere<br />
generale e disturbi del sonno (9).<br />
Diagnosi<br />
di endometriosi<br />
L’elevata incidenza di sintomi<br />
non legati alla sfera sessuale con<br />
cui si manifesta l’endometriosi rende<br />
conto dei risultati di un’indagine<br />
condotta dalla National Endometriosis<br />
Society (UK) che ha evidenziato<br />
che il 32% delle pazienti prima<br />
di essere visitata da un ginecologo<br />
consulta un’altro specialista e<br />
che il 25% addirittura due (9).<br />
La diagnosi di endometriosi sulla<br />
sola base dei sintomi può essere<br />
molto difficile <strong>per</strong>chè questi possono<br />
essere sovrapponibili a quelli<br />
della sindrome dell’intestino irritabile<br />
e della malattia pelvica infiammatoria<br />
(2).<br />
Il test diagnostico gold standard <strong>per</strong><br />
l’endometriosi è rappresentato dall’ispezione<br />
diretta della pelvi mediante<br />
laparoscopia e l’esame istologico<br />
della lesione serve a conferma<br />
della diagnosi (l’istologia negativa<br />
non la esclude) (2).<br />
Trattamento<br />
dell’endometriosi<br />
Il trattamento dell’endometriosi<br />
deve tenere conto dell’età<br />
della paziente, del suo desiderio<br />
di una gravidanza futura, della gravità<br />
dei sintomi e della localizzazione<br />
ed estensione della lesione.<br />
La terapia dell’endometriosi è variata<br />
nel corso degli anni, ma una<br />
cura certa non è ancora disponibile<br />
(<strong>11</strong>).<br />
Il counseling prevede l’incentivazione<br />
della gravidanza <strong>per</strong> due<br />
principali motivi: 1) la gravidanza<br />
spesso causa una remissione temporanea<br />
della sintomatologia e 2)<br />
l’insorgenza della sterilità diventa<br />
più probabile con il progredire della<br />
malattia (<strong>11</strong>).<br />
Ovviamente questa modalità “terapeutica”<br />
non è scevra di problemi<br />
facilmente intuibili.<br />
La rimozione chirurgica degli impianti<br />
endometriosici rappresenta<br />
il trattamento ideale, tuttavia l’es<strong>per</strong>ienza<br />
clinica dimostra che alcune<br />
donne non hanno i benefici<br />
attesi sia a causa di escissioni incomplete,<br />
sia <strong>per</strong> recidiva della malattia<br />
e sia <strong>per</strong>chè l’endometriosi<br />
non era la causa della loro sintomatologia<br />
(2, 9).<br />
La terapia medica dell’endometriosi,<br />
escludendo i FANS che alcune<br />
donne assumono nel tentativo<br />
[non supportato da evidenze<br />
scientifiche (2)] di risolvere il dolore,<br />
si fonda sulla necessità di abolire<br />
l’effetto trofico dell’estradiolo sul<br />
tessuto endometriale ectopico (9).<br />
Si tratta in pratica di determinare<br />
un quadro di pseudo-gravidanza o<br />
di pseudo-menopausa o di anovulazione<br />
cronica (12).<br />
Nella Tabella 2 sono indicati i farmaci<br />
comunemente impiegati <strong>per</strong><br />
la cura dell’endometriosi e i relativi<br />
effetti collaterali.<br />
Tutti questi farmaci ormonali sono<br />
risultati efficaci e circa l’80-85%<br />
delle pazienti ha avuto un miglioramento<br />
dei loro sintomi (2, 9).<br />
Le differenze tra i vari trattamenti<br />
medici risiedono principalmente<br />
negli schemi posologici e nella loro<br />
tollerabilità: infatti alcuni effetti<br />
collaterali limitano il loro impiego<br />
<strong>per</strong> <strong>per</strong>iodi prolungati e spesso<br />
riducono la compliance (2, 9).
32<br />
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
Tabella 2.<br />
Farmaci <strong>per</strong> il trattamento dell’endometriosi (9).<br />
Farmaco<br />
Antinfiammatori non steroidei (FANS)<br />
(diclofenac, ibuprofene, acido mefenamico, ecc.)<br />
Progestinici<br />
(diidrogesterone, medrossiprogesterone acetato,<br />
noretisterone)<br />
Androgeni sintetici<br />
(danazolo, gestrinone)<br />
Estro-progestinici<br />
Analoghi del GnRH<br />
(buserelina, goserelina, leuprorelina acetato,<br />
nafarelina, triptorelina)<br />
Analoghi del GnRH e terapia ormonale sostitutiva<br />
o tibolone<br />
Effetti collaterali<br />
Irritazione gastrica<br />
Edemi, ritenzione di fluidi, tensione mammaria, nausea<br />
Seborrea, acne, aumento di peso, crampi muscolari,<br />
sintomi della menopausa (tranne osteoporosi)<br />
Simili a quelli associati ai contraccettivi orali<br />
Sintomi della menopausa (compreso osteoporosi)<br />
La terapia ormonale sostitutiva migliora gli effetti<br />
collaterali degli analoghi del GnRH<br />
Gli analoghi del GnRH<br />
Gli analoghi del gonadotropinreleasing<br />
hormone (GnRH) bloccano<br />
la liberazione di LH e FSH da parte<br />
dell’ipofisi, determinando una condizione<br />
di ipogonadismo ipogonadotropo,<br />
con conseguente ipoestrogenismo<br />
che favorisce la remissione<br />
delle lesioni endometriosiche.<br />
È stato ipotizzato che <strong>per</strong> raggiungere<br />
questo risultato è necessario<br />
arrivare a un livello plasmatico di<br />
estrogeni pari a 50 pg/mL (13) e gli<br />
analoghi del GnRH sarebbero i farmaci<br />
più efficaci in tal senso, <strong>per</strong>chè<br />
determinano concentrazioni<br />
plasmatiche di estradiolo nettamente<br />
inferiori e più stabili rispetto<br />
ad altri trattamenti (12).<br />
Gli effetti collaterali della terapia<br />
con analoghi del GnRH sono quelli<br />
di uno stato di ipoestrogenismo,<br />
similmente a quanto accade durante<br />
la menopausa.<br />
La <strong>per</strong>dita di densità minerale ossea<br />
rappresenta l’effetto avverso più<br />
importante, ma l’aggiunta di estroprogestinici<br />
(add-back therapy) si è<br />
rilevata in grado di contrastare efficacemente<br />
questa evenienza (14).<br />
Quanto debba durare il trattamento<br />
con analoghi del GnRH + addback<br />
therapy non è ancora completamente<br />
chiarito, tuttavia osservazioni<br />
protratte fino a 2 anni hanno<br />
evidenziato che l’efficacia sul dolore<br />
e la protezione sulla densità minerale<br />
ossea si mantengono inalterate<br />
<strong>per</strong> tutto tale <strong>per</strong>iodo (14).<br />
Gli analoghi del GnRH sono disponibili<br />
in diverse formulazioni: (iniezioni<br />
giornaliere, spray nasale, depot),<br />
ma le preparazioni depot sono<br />
le meglio accettate dalle pazienti.<br />
Triptorelina depot:<br />
l’effetto dura più a<br />
lungo del previsto<br />
La triptorelina è un decapeptide<br />
sintetico analogo dell’ormone<br />
naturale GnRH prodotto dall’ipotalamo.<br />
Per il trattamento dell’endometriosi<br />
la triptorelina nella<br />
formulazione depot è disponibile<br />
sottoforma di acetato in una siringa<br />
preriempita (Gonapeptyl Depot ® ).<br />
La posologia della triptorelina depot,<br />
raccomandata nel riassunto<br />
delle caratteristiche del prodotto, è<br />
di una siringa (equivalente a 3,75<br />
mg di triptorelina/1 mL) somministrata<br />
<strong>per</strong> via sottocutanea (SC) o<br />
<strong>per</strong> via intramuscolare (IM) ogni<br />
28 giorni (15).<br />
Esistono tuttavia osservazioni che<br />
indicano che l’effetto e l’efficacia<br />
della triptorelina depot si protraggono<br />
ben oltre le 4 settimane<br />
di intervallo tra una dose e l’altra<br />
(16, 17).<br />
Infatti Filicori et al. (16) hanno mostrato<br />
che con entrambi le vie di<br />
somministrazione (SC e IM), dopo<br />
2 mesi dall’ultima iniezione, le concentrazioni<br />
ematiche di triptorelina<br />
sono ancora misurabili e gli effetti<br />
su LH, FSH e estradiolo <strong>per</strong>mangono<br />
invariati (Figura 1).
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
33<br />
dolore (17) (Figura 2).<br />
La triptorelina, tuttavia, sia <strong>per</strong> la<br />
maggiore tollerabilità, sia <strong>per</strong> la più<br />
conveniente modalità di somministrazione<br />
(4 iniezioni in totale vs 3<br />
assunzioni quotidiane <strong>per</strong> via orale<br />
di danazolo) ha fatto registrare,<br />
rispetto a danazolo, una migliore<br />
compliance (un solo paziente non<br />
ha completato la terapia vs 7 di danazolo;<br />
p < 0,05) (17).<br />
Conclusioni<br />
Figura 1.<br />
L’effetto della triptorelina acetato depot sui livelli ematici di LH, FS<br />
ed estradiolo <strong>per</strong>siste <strong>per</strong> 2 mesi dalla fine del trattamento (16).<br />
L’endometriosi è una malattia che<br />
in Italia affligge 3 milioni di donne,<br />
con elevati costi sociali.<br />
La sua eziopatogenesi non è nota.<br />
La sua diagnosi è difficoltosa a<br />
causa della grande variabilità dei<br />
sintomi.<br />
La terapia medica dell’endometriosi<br />
si basa sull’impiego di farmaci<br />
che ostacolano l’effetto trofico<br />
degli estrogeni sull’endometrio.<br />
Gli analoghi del GnRH bloccano<br />
la liberazione di LH e FSH da<br />
parte dell’ipofisi, determinando<br />
una condizione di ipogonadismo<br />
ipogonadotropo, con conseguente<br />
ipoestrogenismo.<br />
Questo prolungato effetto della triptorelina<br />
sul profilo ormonale della<br />
donna ha fornito il presupposto <strong>per</strong><br />
uno studio clinico di confronto con<br />
danazolo, in cui l’analogo del GnRH<br />
nella formulazione depot è stato<br />
somministrato ad intervalli di 6 settimane<br />
nel <strong>per</strong>iodo posto<strong>per</strong>atorio<br />
(6 mesi) a donne sottoposte a intervento<br />
chirurgico conservativo <strong>per</strong><br />
endometriosi moderata-grave (17).<br />
I risultati, oltre a dimostrare che<br />
l’allungamento da 4 a 6 settimane<br />
dell’intervallo di somministrazione<br />
della triptorelina non influenza<br />
l’efficacia del trattamento, hanno<br />
indicato che entrambi i farmaci<br />
sono validi nel controllare il<br />
Figura 2.<br />
Endometriosi:<br />
l’allungamento da 4 a 6 settimane dell’intervallo di somministrazione<br />
della triptorelina acetato depot non influenza l’efficacia sul dolore<br />
(simile a quella del danazolo) (17).
34<br />
Scripta MEDICA<br />
<strong>Vol</strong>ume 8, n. 10, 2005<br />
tre le 4 settimane di intervallo<br />
raccomandato tra una dose e l’altra<br />
(fino a 2 mesi).<br />
Il prolungamento dell’intervallo<br />
di somministrazione della trip-<br />
La triptorelina è un decapeptide<br />
sintetico analogo del GnRH.<br />
L’effetto e l’efficacia della triptorelina<br />
acetato depot nell’endometriosi<br />
si protraggono ben oltorelina<br />
depot (fino a 2 mesi), oltre<br />
a incrementare la tollerabilita<br />
e la compliance (già migliori<br />
rispetto al danazolo), contribuisce<br />
a ridurre i costi della terapia.<br />
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17. Wong AY, Tang L. An open and randomized<br />
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of moderate to severe endometriosis. Fertil<br />
Steril. 2004; 81:1522-7
Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
E DITORIALE<br />
In considerazione dell’altissimo impatto epidemiologico nell’ambito della<br />
popolazione generale maschile e femminile e della cronicità che<br />
caratterizza la maggior parte delle malattie urologiche, abbiamo pensato di<br />
offrire ai Colleghi Medici di Medicina Generale questa rubrica come un utile<br />
strumento di aggiornamento e di supporto pratico nella gestione del<br />
paziente. Dedicare una rubrica urologica anche a non es<strong>per</strong>ti del settore<br />
deriva dalla consapevolezza che si tratta di malattie spesso aggravate da<br />
un notevole impatto sulla qualità di vita del paziente stesso e della sua<br />
famiglia. Proprio <strong>per</strong> questi motivi è necessario che il Medico di Medicina<br />
Generale ne conosca le caratteristiche principali e sappia come affrontare il<br />
paziente urologico nella pratica clinica. Il “management” può essere<br />
complesso e non si limita al solo monitoraggio tramite la prescrizione di<br />
esami, farmaci e presidi ma riguarda anche il trattamento di importanti<br />
disturbi funzionali che ne possono derivare (in primis impotenza ed<br />
incontinenza urinaria), rendendosi necessaria una conoscenza dei<br />
principali meccanismi fisiopatologici alla base di queste alterazioni.<br />
La rubrica dedicherà spazio ai principali disordini urologici che si<br />
caratterizzano <strong>per</strong> il grande impatto socio-economico, dando spazio<br />
alle novità diagnostiche e terapeutiche ed ai punti più controversi.<br />
Mi <strong>per</strong>metto di aggiungere che un ampio respiro verrà dato agli argomenti<br />
uro-oncologici, con un approccio multidisciplinare che <strong>per</strong>mette di integrare<br />
i vari punti di vista delle diverse specialità interessate alla gestione del<br />
paziente.<br />
Il coinvolgimento di numerose figure professionale, tra cui quella del<br />
Medico di Medicina Generale, si colloca come un elemento fondamentale<br />
sia nella fase diagnostico-terapeutica che di monitoraggio delle neoplasie<br />
urologiche.<br />
Lo scopo di questa rubrica non è solo quello di aggiornare ma anche di<br />
rifornire il medico di medicina generale di algoritmi possibilmente semplici<br />
che <strong>per</strong>mettano una gestione ottimale del paziente urologico.<br />
Alessandro Bertaccini<br />
Segretario e Tesoriere<br />
Società Italiana di Urologia Oncologica (SIUrO)
Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
36<br />
Il carcinoma vescicale: quando sospettarlo e qual è<br />
il ruolo del medico di Medicina Generale<br />
Alessandro Bertaccini<br />
Clinica Urologica<br />
Alma Mater Studiorum Università degli Studi di Bologna<br />
I ntroduzione<br />
L’epidemiologia della neoplasia<br />
vescicale nell’ambito della<br />
popolazione mondiale, colloca<br />
questo tumore al quarto posto<br />
<strong>per</strong> incidenza fra gli uomini e<br />
all’ottavo fra le donne con una<br />
mortalità complessiva di 14.000<br />
casi/anno [1].<br />
Sebbene il suo trattamento sia<br />
esclusivamente di <strong>per</strong>tinenza specialistica,<br />
il ruolo del medico di<br />
medicina generale è cruciale nell’identificazione<br />
dei pazienti a rischio<br />
e nel riconoscere chi deve<br />
essere inviato all’attenzione degli<br />
urologi. Tutto ciò con l’intento di<br />
individuare quanto prima gli istotipi<br />
ad alta malignità e ad evoluzione<br />
rapidissima cercando di<br />
garantire una diagnosi precoce e<br />
quindi una migliore prognosi.<br />
È importante quindi individuare e<br />
correlare gli elementi che derivano<br />
da un’analisi dei fattori di rischio e<br />
dei risultati dei test effettuati.<br />
aziente con sospetto<br />
Pdi tumore vescicale<br />
L’inquadramento del paziente<br />
con sospetto di tumore vescicale<br />
può essere complicato, poiché<br />
molti dei sintomi riferiti oltre ad<br />
associarsi a questa neoplasia sono<br />
tipici di altre patologie benigne<br />
delle vie urinarie. Inoltre, non<br />
essendo stato ancora identificato<br />
un test di screening <strong>per</strong> la neoplasia<br />
vescicale abbastanza specifico e<br />
sensibile da fornire benefici clinici,<br />
il sospetto di neoplasia si pone<br />
nella maggior parte dei casi, solo e<br />
se il paziente si rivolge al medico<br />
di medicina generale lamentando<br />
l’insorgenza di un sintomo specifico<br />
oppure <strong>per</strong> segnalare un valore<br />
alterato in un esame eseguito.<br />
Spesso si tratta del solo riscontro<br />
di emazie nel sedimento urinario,<br />
microematuria, altre volte invece il<br />
quadro clinico assume maggior<br />
significato in quanto il paziente<br />
lamenta urine visibilmente ematiche<br />
(macroematuria).<br />
I dati di letteratura riportano un’incidenza<br />
di neoplasia vescicale nel<br />
25% dei pazienti affetti da macroematuria<br />
ed un’incidenza che oscilla<br />
dall’1% al 10% nei pazienti che<br />
presentano microematuria<br />
[2-4].<br />
Nei casi di microematuria, il presupposto<br />
<strong>per</strong> impostare un iter<br />
diagnostico finalizzato ad escludere<br />
la presenza di un tumore vescicale,<br />
si pone quando viene individuata<br />
la presenza di una media di<br />
3 o più emazie <strong>per</strong> campo<br />
(RBC/hpf) in almeno 2 dei 3 sedimenti<br />
urinari ottenuti dal secondo<br />
getto mattutino di urine.<br />
L’associazione tra la patologia neoplastica<br />
e la microematuria nei<br />
pazienti asintomatici è stata riscontrata<br />
nel 9-18% [2, 5].<br />
Questo è il motivo <strong>per</strong> cui viene<br />
scoraggiato l’utilizzo dello stick<br />
delle urine come test di screening,<br />
poichè<br />
ogni<br />
ulte-
Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong> n. 1, 2008<br />
37<br />
riore valutazione mirata ad un<br />
approfondimento diagnostico in<br />
questi casi potrebbe rappresentare<br />
solo un costo senza benefici<br />
reali <strong>per</strong> il paziente [2, 6, 7].<br />
Questo non si deve necessariamente<br />
tradurre nell’ignorare il dato clinico,<br />
ma nel valutare <strong>tutti</strong> gli elementi<br />
inclusi anche i fattori prognostici<br />
ed altri parametri come la<br />
proteinuria e la creatininemia che<br />
possono giustificare la presenza di<br />
microematuria con una patologia<br />
renale. Non va comunque dimenticato<br />
che anche in questi casi se si<br />
associano fattori di rischio <strong>per</strong> neoplasia<br />
urologica il paziente deve<br />
necessariamente rivolgersi all’urologo.<br />
In ogni caso non sono ancora<br />
stati del tutto chiariti i dettagli clinici<br />
che riguardano quale sia la<br />
gestione nei casi di microematuria.<br />
Attualmente viene raccomandato,<br />
qualora si tratti di microematuria<br />
significativa, di ripetere l’esame del<br />
sedimento urinario entro 3-6 mesi<br />
nei pazienti affetti da microematuria<br />
asintomatica ma con fattori di<br />
rischio associati mentre ad un<br />
anno <strong>per</strong> chi ha presentato un episodio<br />
isolato in assenza di fattori<br />
prognostici negativi, sconsigliando,<br />
in entrambi i casi, di esporsi<br />
agli stessi nel futuro [8].<br />
È stato infatti dimostrato come nei<br />
pazienti di età su<strong>per</strong>iore ai 40 anni,<br />
fumatori, che abusano di analgesici,<br />
esposti a radiazioni ionizzanti a<br />
livello della pelvi o ad agenti chimici<br />
e vernici, sia maggiore il<br />
rischio di sviluppare un tumore<br />
vescicale. Se il dato laboratoristico<br />
viene confermato anche nei successivi<br />
controlli ed il paziente ha<br />
più di 40 anni vale la pena eseguire<br />
una visita urologica.<br />
Al contrario nei soggetti di età inferiore<br />
ai 40 anni che presentano<br />
ALGORITMO DIAGNOSTICO - SOSPETTO DI NEOPLASIA VESCICALE
Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
38<br />
microematuria asintomatica in<br />
assenza di fattori di rischio non si<br />
deve procedere con ulteriori accertamenti<br />
ma solamente ad una<br />
valutazione nel tempo [4, 9].<br />
A supporto di ciò uno studio di<br />
1930 pazienti con ematuria, in cui<br />
solo 1 su 143 di età inferiore ai 40<br />
anni ed affetto da microematuria<br />
asintomatica, ha sviluppato una<br />
neoplasia vescicale.<br />
Nei casi di microematuria significativa<br />
associata ad una sintomatologia<br />
irritativa, si deve necessariamente<br />
sottoporre il paziente all’attenzione<br />
dello specialista soprattutto<br />
se <strong>per</strong>siste dopo terapia antibiotica.<br />
Infatti generalmente questa<br />
neoplasia ha esordio asintomatico<br />
ma può coesistere con la disuria<br />
ed a frequenti episodi di infezioni<br />
alle vie urinarie [2].<br />
Recenti studi hanno dimostrato<br />
un’incidenza doppia di neoplasie<br />
vescicali in pazienti affetti da<br />
microematuria sintomatica rispetto<br />
alla restante popolazione<br />
(10,5% contro il 5%) [8].<br />
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practice policy--part I: definition, detection,<br />
prevalence, and etiology. Urology.<br />
2001; 57:599-603.<br />
3. Alishahi S, Byrne D, Goodman CM,<br />
Baxby K. Haematuria investigation<br />
based on a standard protocol: emphasis<br />
on the diagnosis of urological malignancy.<br />
J R Coll Surg Edinb. 2002; 47:422-427.<br />
4. Khadra MH, Pickard RS, Charlton<br />
Meno controversa appare la gestione<br />
del paziente con macroematuria<br />
che pone quasi sempre il sospetto<br />
di una neoplasia urologica (25%<br />
dei casi) [3, 4]. Infatti in questi<br />
pazienti l’assenza di fattori di<br />
rischio non preclude ulteriori<br />
approfondimenti diagnostici e la<br />
richiesta di una visita specialistica.<br />
Un’eccezione può essere rappresentata<br />
dalle donne di età inferiore<br />
ai 40 anni che riferiscono un episodio<br />
di macroematuria contemporanea<br />
ad un’infezione urinaria sintomatica<br />
confermata dalla positività<br />
dell’urinocoltura e risoltasi dopo<br />
terapia antibiotica [2]. Al contrario<br />
un episodio di macro-ematuria<br />
anche se risoltosi dopo presunta<br />
infezione urinaria in presenza di<br />
urinocoltura negativa non può farci<br />
esimere da eseguire approfondimenti<br />
tenendo in considerazione<br />
che il sanguinamento ha spesso andamento<br />
intermittente/remittente.<br />
Tutto ciò vale anche <strong>per</strong> i pazienti<br />
in terapia con farmaci anticoagulanti<br />
dove la macroematuria non è<br />
M, Powell PH, Neal DE. A prospective<br />
analysis of 1,930 patients with hematuria<br />
to evaluate current diagnostic<br />
practice. J Urol. 2000; 163:524-527.<br />
5. Mohr DN, Offord KP, Owen RA,<br />
Melton LJ III. Asymptomatic microhematuria<br />
and urologic disease. A population-based<br />
study. JAMA 1986;<br />
256:224-229.<br />
6. U.S. Preventive Services Task Force.<br />
Screening for Bladder Cancer in Adults:<br />
Recommendation Statement. Rockville,<br />
Md: Agency for Healthcare Research<br />
and Quality; June 2004. Available at:<br />
http://www.guideline.gov/summary/su<br />
mmary.aspxss=15&doc_id=5268&nb<br />
r=3595 Accessed January 18, 2008.<br />
7. U.S. Preventive Services Task Force.<br />
comunque giustificata e rappresenta<br />
un marcatore di patologia [2].<br />
Un altro scenario dove non necessariamente<br />
si deve sospettare una<br />
patologia maligna, è la presenza di<br />
urine ematiche successive ad<br />
un’intensa attività sportiva. Di<br />
fronte al sospetto di neoplasia<br />
vescicale e/o <strong>per</strong> fare una diagnosi<br />
differenziale con un’ eventuale sintomatologia<br />
“irritativi” di altra origine,<br />
è necessario inviare il paziente<br />
allo specialista <strong>per</strong> eseguire<br />
appropriati approfondimenti diagnostici<br />
quali ecografia reno-vescicale,<br />
esame citologico urinario su 3<br />
campioni, cistoscopia ed URO-TC<br />
(oppure urografia tradizionale).<br />
In ogni caso una buona selezione<br />
dei pazienti, <strong>per</strong>mette da una<br />
parte di ridurre le ansie di coloro<br />
che <strong>per</strong> qualche crocetta di sangue<br />
rilevato nello stick delle urine<br />
si rivolgono subito all’urologo<br />
eseguendo spesso inutili test, e<br />
dall’altra, di diagnosticare precocemente<br />
patologie neoplastiche<br />
potenzialmente curabili.<br />
Screening for Bladder Cancer: Brief<br />
Evidence Update. Rockville, Md:<br />
Agency for Healthcare Research and<br />
Quality; June 2004. Available at:<br />
http://www.ahrq.gov/clinic/3rduspstf/bl<br />
adder/blacanup.htm Accessed January<br />
18, 2008.<br />
8. Sultana SR, Goodman CM, Byrne<br />
DJ, Baxby K. Microscopic haematuria:<br />
urological investigation using a standard<br />
protocol. Br J Urol 1996; 78:691-<br />
696; discussion 697-698.<br />
9. Jones DJ, Langstaff RJ, Holt SD,<br />
Morgans BT. The value of cystourethroscopy<br />
in the investigation of<br />
microscopic haematuria in adult<br />
males under 40 years. A prospective<br />
study of 100 patients. Br J Urol 1988;<br />
62:541-545.
Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, 10, n. 1, 2008 2007<br />
39<br />
ISPLAD 2007<br />
2° Congresso Internazionale<br />
di Dermatologia Plastica<br />
La Dermatologia Plastica si occupa di tutto ciò che riguarda l’invecchiamento cutaneo, le calvizie e i<br />
defluvium, le i<strong>per</strong>tricosi, le melanosi, la vitiligine, l’acne e i suoi postumi, le smagliature, la cellulite, le cicatrici e<br />
i cheloidi, e altri inestetismi cutanei, ma non come semplici inestetismi: il dermatologo plastico, come specialista<br />
d’organo, deve “preoccuparsi” e interessarsi della cute che invecchia nell’interezza di tutte le sue problematiche<br />
e cercare i risultati con mezzi che prediligono l’aspetto conservativo, biostimolante, riducendo al massimo<br />
la distruzione cutanea.<br />
Occuparsi di invecchiamento cutaneo deve significare, inevitabilmente, occuparsi anche di i<strong>per</strong>cheratosi,<br />
discheratosi e altre precancerosi che caratterizzano una pelle “matura” e che spesso sfociano in vera e propria<br />
patologia oncologica. La dermatologia plastica è in questo modo anche “prevenzione” e può svolgere un reale<br />
ruolo etico e sociale.<br />
Ampio consenso, di pubblico, stampa e mondo scientifico, ha riscosso il II<br />
Congresso Internazionale di Dermatologia Plastica e Oncologica, organizzato<br />
dall’ISPLAD (International-Italian Society of Plastic-Aesthetic and Oncologic<br />
Dermatology) a Milano dal 6 all’8 marzo 2008.<br />
L’edizione ha puntato l’attenzione non solo sui trattamenti estetici, ma soprattutto<br />
sulle prevenzione delle malattie cutanee, in particolare oncologiche: scelta<br />
premiata con un afflusso di oltre mille tra dermatologi e specialisti di altre<br />
discipline mediche e un grande interesse da parte della stampa nazionale.<br />
Circa 70 i giornalisti accreditati, e importante la presenza di Radio 24, Odeon<br />
Tv e RAI 2.<br />
Quest’ultima, con tre collegamenti in diretta, nella seconda giornata congressuale, dalle 15 alle 16, ha <strong>per</strong>messo<br />
a molti telespettatori di vedere in anteprima alcune tra le principali novità presentate.<br />
Ancora oggi, a distanza di più di un mese, le pagine di mensili e settimanali risuonano dei temi trattati in sede congressuale,<br />
segno dell’interesse che hanno suscitato nel grande pubblico oltre che presso la comunità scientifica.<br />
ISPLAD, forte di questi risultati, non si ferma, pronta ad accogliere e vincere nuove sfide, dando impulso a un’o<strong>per</strong>a<br />
di informazione e di sensibilizzazione della popolazione verso un approccio differente alla salute cutanea.
Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
40<br />
Patologie cutanee da tessuti<br />
Paolo D. Pigatto, Lucretia A. Frasin<br />
Istituto di Scienze Dermatologiche FRCCS , Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli Regina Elena Mlano<br />
I ntroduzione<br />
La cute ha un ruolo fondamentale<br />
nel proteggere l’organismo umano<br />
dall’ambiente esterno, tanto è vero che la<br />
vita non è possibile quando ampie aree<br />
del mantello cutaneo sono gravemente<br />
danneggiate, come si verifica ad esempio<br />
<strong>per</strong> i grandi ustionati. Questo ruolo globale<br />
di protezione si esplica in diverse<br />
modalità che, considerate singolarmente,<br />
costituiscono altrettante funzioni della<br />
cute. Le stesse funzioni protettive sono<br />
espletate dagli indumenti che da tempi<br />
remoti vengono utilizzati dall’uomo<br />
sovrapposti direttamente sulla cute in<br />
ogni <strong>per</strong>iodo della sua vita.<br />
Durante i primi <strong>per</strong>iodi di vita sulla<br />
terra l’uomo si è co<strong>per</strong>to con pelli di<br />
animali utili <strong>per</strong> proteggersi dal freddo<br />
notturno o invernale. Il <strong>per</strong>iodo e le<br />
ragioni in cui gli uomini hanno cominciato<br />
a vestirsi intrecciando fibre vegetali<br />
ed animali, rimangono ancora oggi<br />
sconosciuti. Per millenni gli uomini<br />
hanno utilizzato fibre naturali di tipo<br />
cellulosico e quindi di derivazione vegetale<br />
(cotone, canapa e lino) e di tipo<br />
proteico e <strong>per</strong>tanto di derivazione animale<br />
(lana e seta). Alla fine del secolo<br />
scorso i chimici sono stati in grado di<br />
copiare i polimeri naturali in forma<br />
fibrosa e di formare polimeri da sostanze<br />
chimiche semplici arrivando a sintetizzarne<br />
ben 21 tipi di fibre differenti e<br />
in ogni modo ben distinte le une dalle<br />
altre (fibre artificiali).<br />
Le fibre sintetiche sono ottenute da<br />
polimeri sintetici lineari di condensazione<br />
(poliammidi, poliesteri, etc) e di<br />
addizione (acriliche). Questi polimeri<br />
formano “la spina dorsale” della fibra:<br />
essa è <strong>per</strong>ò costituita da numerosi prodotti<br />
chimici che si formano come fattori<br />
collaterali nel processo di polimerizzazione<br />
e con la presenza di numerosissimi<br />
additivi chimici.<br />
Molti di questi additivi sono aggiunti<br />
<strong>per</strong> conferire alcune caratteristiche ai<br />
singoli tessuti quali l’idrorepellenza,<br />
l’ingualcibilità, la resistenza alle fiamme<br />
e l’anti-staticità. Tutti questi procedimenti<br />
vengono definiti genericamente<br />
finissaggio.<br />
ute e sostanze tossiche<br />
C presenti nei tessuti<br />
La valutazione dei rischi legati<br />
alla esposizione della cute a sostanze tossiche,<br />
cancerogene, presenti nei prodotti<br />
tessili sono state oggetto di numerose<br />
ricerche a livello internazionale ma non<br />
hanno ancora <strong>per</strong>messo di definire correlazioni<br />
dimostrabili scientificamente con<br />
alcune patologie croniche. I riferimenti<br />
scientifici che hanno <strong>per</strong>messo l’individuazione<br />
di sostanze <strong>per</strong>icolose da eliminare<br />
tramite le norme o tramite marchi<br />
volontari sono di tipo precauzionale e<br />
fanno riferimento a pubblicazioni scientifiche<br />
relative all’esposizione durante il<br />
processo produttivo o al loro impatto<br />
sull’ambiente (1-10).<br />
Manca tuttora una formulazione condivisa<br />
dal mondo scientifico di un modello<br />
<strong>per</strong> la valutazione dell’esposizione della<br />
cute ai prodotti tessili indossati e uno<br />
studio accurato sulle sostanze che effettivamente<br />
rimangono nel prodotto tessile<br />
finale.<br />
Non vi è un flusso continuo, aggiornato<br />
ed utilizzabile dei i risultati della ricerca<br />
scientifica sulle esposizioni professionali<br />
nel settore tessile ed i possibili effetti di<br />
quelle sostanze sui consumatori e mancano<br />
professionalità in grado di integrare le<br />
conoscenze di carattere sanitario con<br />
quelle relative ai prodotti tessili (<strong>11</strong>-14).<br />
Le correlazioni tra le sostanze irritanti e<br />
sensibilizzanti presenti nei prodotti tessili<br />
e patologie quali le dermatiti da contatto<br />
irritanti acute e croniche (DIC), le<br />
dermatiti allergiche da contatto (DAC),<br />
le esacerbazione delle dermatiti atopiche<br />
e le orticarie da contatto sono state<br />
invece maggiormente studiate soprattutto<br />
in Italia grazie al contributo del<br />
Gruppo Italiano Ricerca Dermatiti da<br />
Contatto e Ambientali (GIRDCA poi<br />
divenuta SIDAPA) che ha studiato oltre<br />
42.000 casi negli anni 1984-1993 (5).<br />
In tale studio si stimava, che la Dermatite<br />
Allergica da Contatto (DAC) da indumenti<br />
rappresentasse circa il 10% delle<br />
DAC extraprofessionali, dati confermati<br />
da uno studio effettuato dall’Associazione<br />
Tessile e <strong>Salute</strong> utilizzando pubblicazioni<br />
scientifiche della Società Italiana di<br />
Dermatologia Allergologica Professionale<br />
e Ambientale (SIDAPA).<br />
La stessa SIDAPA calcola che oggi, in<br />
Italia, siano circa 60.000 i soggetti sensibilizzati<br />
da sostanze presenti nei tessuti;<br />
tale aumento sembra dovuto sia al<br />
miglioramento degli strumenti e dei criteri<br />
di diagnosi sia all’aumento di patologie<br />
predisponenti soprattutto nelle fasce<br />
giovanili. Nel contempo, tali prevalenze<br />
possono essere sottostimate, <strong>per</strong>ché pur<br />
migliorando la diagnosi di dermatite da<br />
contatto con tessuti, ancora <strong>per</strong>sistono
Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
41<br />
numerose difficoltà tecniche relativamente<br />
agli strumenti e ai criteri<br />
di diagnosi.<br />
I punti critici sono che l’indagine<br />
anamnestica è, in genere, di<br />
modesto aiuto dal momento che<br />
manifestazioni cliniche possono<br />
essere atipiche con quadri non<br />
eczematosi.<br />
Scarse sono le indicazioni bibliografiche<br />
e le informazioni<br />
merceologiche sugli allergeni e<br />
alcuni coloranti non sono elencati<br />
nel Color Index o mancano<br />
di formula chimica nota oppure<br />
hanno differenti nomi commerciali;<br />
non si conoscono gli effetti,<br />
nel prodotto finito, dei composti<br />
che si formano durante il<br />
processo produttivo, sui singoli<br />
potenziali allergeni.<br />
I test diagnostici di routine sono<br />
poi eseguiti solo con alcuni allergeni<br />
e può essere difficile verificare<br />
la rilevanza delle positività<br />
riscontrate ai patch test.<br />
Da ultimo gli studi di prevalenza<br />
sulle dermatiti da contatto sono<br />
effettuati solo nella popolazione<br />
che afferisce agli ambulatori dermatologici,<br />
<strong>per</strong> cui non si conosce<br />
l’attuale reale dimensione del<br />
problema sull’intero territorio<br />
nazionale.<br />
ibre tessili e indumenti<br />
F<br />
Gli indumenti sono<br />
confezionati con pezze di tessuto<br />
che vengono colorate o stampate,<br />
quindi trattate con varie<br />
sostanze chimiche.<br />
Le singole fibre presentano poi caratteristiche<br />
di su<strong>per</strong>ficie notevolmente differenti.<br />
Il nylon e le fibre in poliestere<br />
sono lisci, mentre il rayon, il cotone e il<br />
poliestere trattato con agenti alcalini<br />
presentano su<strong>per</strong>fici irregolari. Alcune<br />
Figura 1. Dermatite da contatto in sede ascellare da tessuti (notare il<br />
risparmio della parte più profonda del cavo ascellare).<br />
Figura 2. Tipico aspetto della dermatite da contatto da tessuti<br />
interessamento delle aree realmente a contatto con i tessuti in<br />
soggetto di sesso femminile ed obeso.<br />
(Gentile concessione del Prof. Paolo Lisi, Università di Perugia)<br />
fibre sono conosciute <strong>per</strong> la loro morbidezza<br />
(Cashmere) mentre altre sono<br />
grossolane e ruvide come la lana grezza<br />
e la fibra di vetro. Le medesime fibre<br />
prodotte <strong>per</strong>sino dallo stesso gruppo<br />
industriale possono variare nelle qualità<br />
fisiche e a maggior ragione fibre dello<br />
stesso tipo ma utilizzate da<br />
diversi produttori possono<br />
variare <strong>per</strong> l’uso maggiore o<br />
minore di additivi e di sostanze<br />
chimiche. Gli indumenti devono<br />
sovrapporsi in modo armonico<br />
al mantello cutaneo aiutando le<br />
varie attività fisiologiche della<br />
cute, agendo in modo complementare:<br />
<strong>per</strong> essere buono un<br />
tessuto deve proteggere senza<br />
modificare in modo negativo la<br />
qualità del rapporto cuteambiente<br />
esterno. Attraverso il<br />
contatto diretto con la pelle, i<br />
tessuti possono prevenire alcune<br />
patologie (cosiddette “fibre<br />
intelligenti” <strong>per</strong> esempio, <strong>per</strong><br />
prevenire danni da agenti esterni),<br />
migliorare patologie esistenti<br />
(tessuti elastocompressivi <strong>per</strong><br />
le patologie venose) o al contrario<br />
provocare patologie della<br />
cute. Dal punto di vista clinico<br />
le dermatiti causate da contatto<br />
con gli abiti possono variare <strong>per</strong><br />
aspetto e/o localizzazione.<br />
Generalmente il quadro clinico<br />
delle dermatiti connesse ai prodotti<br />
tessili è rappresentato dalla<br />
dermatite allergica da contatto<br />
(DAC) ma nella letteratura sono<br />
state descritte diverse varianti cliniche<br />
come risulta dalla Tabella 1.<br />
Le zone dove gli abiti sono più a<br />
stretto contatto con la pelle sono<br />
le più esposte al rischio di sviluppare<br />
una DAC. In genere è<br />
localizzata nelle regioni non<br />
protette dagli indumenti intimi<br />
ed è particolarmente presente<br />
alle ascelle (con il risparmio del<br />
cavo), al collo, nella fossa antecubitale o<br />
cavo popliteo, al torace ed al tronco<br />
(Figure 1 e 2). Quando la dermatite è<br />
causata dalle calze, le più interessate<br />
sono le regioni posteriore ed interna<br />
delle cosce, la fossa poplitea ed il dorso<br />
dei piedi. Gli indumenti intimi più in
Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
42<br />
causa sono le calze nel sesso femminile<br />
mentre i calzini difficilmente inducono<br />
allergia nei maschi. Al secondo posto si<br />
segnala una discreta frequenza di allergia<br />
ai coloranti delle mutande, mentre i<br />
costumi da bagno come tali sono molto<br />
raramente in causa nelle dermatiti da<br />
indumenti intimi. Quindi sono suggestivi<br />
<strong>per</strong> una DAC da indumenti l’interessamento<br />
di aree non protette dalla<br />
biancheria intima, aree a contatto con<br />
parti “speciali” di biancheria intima,<br />
aree a contatto con fodere, aree di maggior<br />
sudorazione e aree di maggior attrito<br />
con indumenti. La reale incidenza di<br />
tali patologie è poco conosciuta; i dati<br />
attualmente disponibili suggeriscono<br />
che questa dermatite sia più comune di<br />
quello che precedentemente si credeva,<br />
cioè l’interessamento di una piccola<br />
parte della popolazione, soprattutto<br />
quella femminile tra i 24 e 34 anni ma<br />
sono descritti anche numerosi casi in<br />
età avanzata. In un’indagine epidemiologica<br />
GIRDCA sulle dermatiti da contatto<br />
in Italia (1994-1998) Lisi P et al.<br />
(5), tra le cause di dermatite da contatto<br />
di natura extraprofessionale un ruolo<br />
Dermatite da contatto allergica<br />
Dermatite da contatto irritante<br />
Orticaria da contatto<br />
Dermatite da contatto come eritema<br />
multiforme<br />
Dermatite da contatto tipo purpurica<br />
Dermatite da contatto tipo<br />
pigmentaria<br />
Dermatite da contatto tipo pustolare<br />
Eritroderma<br />
Dermatite da contatto come lichen<br />
amiloidosico<br />
Dermatite fototossica da tessuti<br />
Miliaria<br />
Follicolite<br />
Orticaria da pressione<br />
Dermatite atopica<br />
Tabella 1. Dermatiti da tessuti.<br />
Figura 3. Prodotti in causa nella dermatite da contatto extraprofessionale.<br />
importante viene dato all’abbigliamento<br />
(Figura 3).<br />
L’incidenza delle dermopatie allergiche<br />
da tessuti non è aumentata negli ultimi<br />
anni, nonostante il notevole uso di tessuti<br />
provenienti dall’area extra UE,<br />
soprattutto da paesi dove non esiste una<br />
normativa sul controllo delle sostanze<br />
immesse nel ciclo produttivo e dove le<br />
tecnologie utilizzate sono vetuste, riducendo<br />
il grado di adesività degli apteni.<br />
Molti consumatori dichiarano problemi<br />
cutanei vari, asserendo di essere in modo<br />
non evidenziabile allergici, mentre in<br />
realtà presentano semplicemente solo<br />
irritazione al tessuto: l’evento negativo<br />
più frequente prodotto da un tessuto è<br />
quella sensazione di sconforto che il<br />
calore, la scarsa circolazione d’aria all’interno<br />
del vestito e l’eccesso di sudore che<br />
si raccoglie sulla su<strong>per</strong>ficie cutanea induce<br />
un tipico fastidio cutaneo.<br />
Le singole fibre possono indurre specifici<br />
e differenti quadri clinici:<br />
1) La lana causa irritazione acuta e cronica,<br />
aggrava la dermatite atopica e<br />
induce dermatite allergica da contatto<br />
(DAC) e orticaria da contatto.<br />
2) La seta è in grado di aggravare una<br />
dermatite atopica e raramente induce<br />
orticaria da contatto. Non sono invece<br />
mai state notate reazioni allergiche<br />
da contatto e neppure reazioni irritative.<br />
3) Il Nylon può causare DAC e orticaria<br />
da contatto.<br />
4) Le fibre di vetro non vengono usate<br />
<strong>per</strong> vestiti normali ma gli indumenti<br />
possono essere occasionalmente contaminati<br />
dal lavaggio degli indumenti<br />
in macchine lavatrici che hanno<br />
lavato delle tende.<br />
5) Lo Spandex è utilizzato soprattutto<br />
nei reggiseni e lingerie e determina<br />
soltanto DAC.<br />
6) La gomma è contenuta in numerosi<br />
prodotti e <strong>per</strong> questo motivo costituisce<br />
una causa frequente d’allergia.<br />
Pertanto considerando tutte le numerose<br />
fibre disponibili <strong>per</strong> l’uso negli abiti<br />
solo 2 naturali e 4 sintetiche sono responsabili<br />
di problemi dermatologici.<br />
Le manifestazioni dermatologiche causate<br />
da contatto con gli abiti sono così<br />
attribuite a sostanze chimiche e coloranti<br />
che vengono aggiunti alle fibre tessili<br />
durante la loro manifattura e assemblaggio<br />
in indumenti. In particolare, gli<br />
agenti responsabili sono rappresentati<br />
da prodotti <strong>per</strong> le tinture e il finissaggio,<br />
i metalli, la gomma e le colle.<br />
Occasionalmente anche gli sbiancanti
Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
43<br />
ottici, i biocidi, i materiali ignifughi ed<br />
altri agenti sono responsabili dell’insorgenza<br />
del quadro clinico cutaneo. I<br />
coloranti sono le sostanze chimiche più<br />
usate e possono essere classificate in<br />
acidi, diretti, reattivi, dis<strong>per</strong>si e vengono<br />
legati al mordente <strong>per</strong> diffondere più<br />
facilmente tra le fibre. Dal punto di<br />
vista della classe chimica il 40% dei<br />
coloranti tessili sono azoici ma non<br />
<strong>tutti</strong> sono altamente allergizzanti. Tra<br />
questi coloranti quelli che più facilmente<br />
determinano sensibilizzazioni<br />
appartengono al gruppo dei dis<strong>per</strong>si:<br />
questi formano legami stabili con le<br />
fibre naturali, si legano meno stabilmente<br />
con le fibre sintetiche ed essendo<br />
liposolubili penetrano bene attraverso<br />
la cute. I dati epidemiologici riportano<br />
la loro prevalenza di sensibilizzazione<br />
tra 3,1% e 5,2%. In particolare, i coloranti<br />
blu dis<strong>per</strong>si sono stati selezionati<br />
nel 2000 come “allergeni da contatto<br />
dell’anno” anche se la diagnosi di allergia<br />
ai coloranti dis<strong>per</strong>si è difficile <strong>per</strong> le<br />
numerose sostanze impiegate e la difficoltà<br />
ad avere un colorante come<br />
marker. In passato si riteneva che la<br />
PFD fosse una spia attendibile della<br />
sensibilizzazione a coloranti in genere e<br />
a quelli azoici in modo particolare ma<br />
questo dato non è stato più confermato.<br />
Altro gruppo responsabile di allergie<br />
agli indumenti sono le resine, usate <strong>per</strong><br />
dare certe proprietà specifiche ai tessuti<br />
come sofficità, resistenza ai colori,<br />
etc. L’incidenza di sensibilizzazione alle<br />
resine nella popolazione generale è<br />
poco accertata e dovrebbe essere più<br />
bassa rispetto ai coloranti.<br />
Come sostanza mordente il più impiegato<br />
è il bicromato di potassio ma<br />
anche con analoga funzione vengono<br />
impiegati coloranti metallo complessi<br />
che contengono cobalto o nichel all’interno<br />
della molecola. Gli strumenti a<br />
nostra disposizione <strong>per</strong> una appropriata<br />
diagnosi di una sospetta DAC con<br />
tessuti di indumenti sono: anamnesi,<br />
valutazione clinica delle localizzazioni,<br />
i patch test, l’esame merceologico e<br />
alcune metodiche analitiche di laboratorio.<br />
L’esecuzione del patch test è lo<br />
strumento fondamentale <strong>per</strong> la conferma<br />
della diagnosi e <strong>per</strong> l’individuazione<br />
delle sostanze responsabili. I patch test<br />
possono essere effettuati con serie standard,<br />
serie addizionali, miscele di coloranti<br />
o indumenti sospettati. L’esame<br />
merceologico valuta l’esame dell’etichetta<br />
del capo incriminato che può<br />
fornire utili indicazioni mentre le metodiche<br />
analitiche possono essere utili <strong>per</strong><br />
verificare la presenza di resine di finissaggio<br />
a base di formaldeide e <strong>per</strong> individuare<br />
i coloranti realmente presenti.<br />
Per quanto detto sopra, si ritiene che l’istituzione<br />
di un sistema di sorveglianza<br />
(banca dati delle sostanze, osservatorio<br />
dermatologico) possa costituire uno<br />
strumento valido e fattibile <strong>per</strong> la protezione<br />
della salute dei lavoratori e dei<br />
consumatori attraverso la determinazione<br />
della prevalenza delle dermatiti<br />
da contatto da prodotti tessili sul territorio<br />
nazionale, di un sistema di controllo<br />
nei prodotti tessili, ad iniziare da<br />
quelli importati (prodotti in paesi con<br />
minori o nulle restrizioni normative)<br />
sia delle sostanze vietate dalle normative<br />
vigenti, sia di quelle sostanze <strong>per</strong>icolose<br />
e/o sensibilizzanti, non normate<br />
ma fatte proprie da alcuni paesi europei<br />
e dai maggiori marchi volontari.<br />
B ibliografia<br />
1. Lazarov A. Textile dermatitis in<br />
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Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
45<br />
Più messaggi corretti o fregature quando si parla di capelli<br />
Cronaca del primo dibattito a<strong>per</strong>to organizzato dalla IHRF<br />
e proposta di un decalogo <strong>per</strong> chi <strong>per</strong>de i capelli.<br />
Fabio Rinaldi<br />
International Hair Research Foundation, Milano<br />
Sembrerebbe proprio che prevalgano le<br />
fregature, o quantomeno messaggi tendenziosi<br />
e poco chiari che riescano a<br />
“pilotare” le <strong>per</strong>sone che hanno un problema<br />
di capelli verso scelte non sempre<br />
giuste. È quanto emerso dal dibattito<br />
a<strong>per</strong>to che si è tenuto il 15 marzo al teatro<br />
San Babila di Milano, organizzato<br />
dalla IHRF.<br />
Il Dottor Fabio Rinaldi (Milano) ha condotto<br />
questa specie di “talk-show” che aveva lo scopo di<br />
dare delle indicazioni <strong>per</strong> orientarsi nel mondo tricologico,<br />
ed e stato distribuito un decalogo di regole che possono<br />
fornire delle indicazioni precise, magari <strong>per</strong> cercare di<br />
non cadere in trappole spesso <strong>per</strong>icolose (che può essere<br />
richiesto gratuitamente a segreteria@ihrf.eu). Rinaldi, da<br />
dermatologo, è partito da una premessa che spesso ricorda:<br />
la colpa del proliferare<br />
di tanti “centri<br />
tricologici” non proprio<br />
seri, di tante<br />
figure improvvisate e<br />
impreparate, è anche<br />
dell’atteggiamento<br />
della dermatologia. È molto frequente<br />
ascoltare <strong>per</strong>sone che si<br />
lamentano di aver consultato un<br />
dermatologo che si è disinteressato<br />
completamente del problema<br />
dei capelli, limitandosi a prescrivere<br />
uno shampoo e a dire<br />
che i capelli non si possono curare.<br />
Lo scopo della IHRF è anche quello di<br />
richiamare un po’ di più l’attenzione del dermatologo,<br />
il più specifico competente delle<br />
patologie tricologiche <strong>per</strong> via dell’indirizzo<br />
di studio universitario, verso il problema dei<br />
capelli, e ad avere un po’ più rispetto <strong>per</strong> chi<br />
soffre a causa di una forma di alopecia.<br />
Le es<strong>per</strong>ienze degli ospiti stranieri (Dottor<br />
Mangubat dagli USA, Dottor Farjo dalla Gran<br />
Bretagna, Dottor Jimenez dalla Spagna) ci<br />
hanno dimostrato che il problema è uguale in tutto il mondo:<br />
le riviste, le televisioni, i siti internet di quelle nazioni sono<br />
pieni di comunicazioni di cure “miracolose” esattamente come<br />
in Italia. In Spagna, <strong>per</strong> esempio, è<br />
in vendita su internet un apparecchio<br />
che emette dei raggi non precisati<br />
che possono far ricrescere i<br />
capelli in tre settimane, al bassissimo<br />
() costo di 500 euro.<br />
Ovviamente non esiste nessuna<br />
prova scientifica, ma pare che se<br />
ne vendano parecchi!<br />
La spiegazione è semplice, come<br />
ha ricordato la Dottoressa Nicla<br />
Sambvani (Milano): l’ansia<br />
e la paura di <strong>per</strong>dere<br />
i capelli porta a fidarsi<br />
di qualsiasi promessa<br />
che faccia illudere chi sa<br />
che le cure mediche,<br />
invece, i miracoli non li<br />
fanno. Tutto questo<br />
comporta che in molte<br />
<strong>per</strong>sone l’ansia di non<br />
poter controllare la propria<br />
calvizie aggrava la
Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
46<br />
caduta dei capelli, innescando<br />
una vera e propria<br />
reazione psicosomatica.<br />
Colpa della disinformazione,<br />
delle scarse conoscenze<br />
dei dati scientifici,<br />
della volontà di speculare.<br />
Il Dottor Piero Rosati<br />
(Ferrara) ha fatto esempi<br />
concreti nel campo dei<br />
trapianti dei capelli:<br />
molte <strong>per</strong>sone che si<br />
rivolgono a lui <strong>per</strong> effettuare<br />
un microautotrapianto<br />
di capelli hanno<br />
delle aspettative sul risultato<br />
finale che non sono realistiche, e che sono frutto di informazioni<br />
scorrette spesso lette anche su giornali importanti.<br />
Addirittura Rosati si è rivolto ai giornalisti presenti <strong>per</strong> chiedere<br />
di verificare le notizie. Un esempio su <strong>tutti</strong>: l’anno scorso<br />
l’autorevole trasmissione Quark (RAI tre) ha trasmesso un<br />
servizio annunciando con grande enfasi la sco<strong>per</strong>ta scientifica<br />
rivoluzionaria di un gruppo di chirurgia plastica<br />
dell’Istituto dei Tumori di una importante città del Nord<br />
Italia (volutamente in questa sede non forniamo dettagli <strong>per</strong><br />
identificare né il medico né l’Ospedale) in grado di clonare le<br />
cellule dei bulbi dei capelli, e quindi di effettuare innesti di<br />
migliaia di capelli. La notizia non è scientificamente provata,<br />
mai sono stati realizzati interventi di questo tipo, ma molta<br />
gente si è rivolta al Chirurgo di questo istituto che ha poi proposto<br />
interventi tradizionali. In sala era presente una signora<br />
che è “cascata nella rete” e ha raccontato e denunciato questa<br />
es<strong>per</strong>ienza. Tra l’altro, subito dopo la trasmissione, la IHRF<br />
aveva chiesto alla segreteria di Quark dei chiarimenti, chiedendo<br />
una precisazione. Ovviamente la risposta della Rai è<br />
stata negativa.<br />
Un altro esempio lo ha portato il Dottor Vincenzo Gambino<br />
(Milano), sempre parlando di trapianti di capelli: molte <strong>per</strong>sone<br />
credono che sia possibile effettuare un trapianto prelevando<br />
dalla zona della nuca tante piccolissime isole di 2 millimetri<br />
di capelli intatti, che in questo modo <strong>per</strong>metterebbero<br />
di non lasciare cicatrici, e di innestarle nella zona calva<br />
ottenendo risultati importanti. Questa tecnica non è reale:<br />
spesso le isole prelevate in questo modo non contengono<br />
bulbi integri e il risultato finale dell’intervento non è esteticamente<br />
bello. Molti giornali di divulgazione medica, <strong>per</strong>ò,<br />
hanno parlato di questa tecnica, probabilmente senza verificarne<br />
la correttezza. Un’altra segnalazione molto interessante<br />
di Gambino è stata la necessità di coo<strong>per</strong>azione tra i vari specialisti<br />
che si occupano di<br />
capelli <strong>per</strong> cercare di ottenere<br />
il risultato migliore,<br />
compreso il lavoro di un<br />
acconciatore che contribuisce<br />
a rendere più belli i<br />
capelli e a sfruttarli al<br />
meglio <strong>per</strong> avere alla fine<br />
una chioma ancora più<br />
piacevole. Alfredo Rubertelli,<br />
in rappresentanza<br />
proprio degli acconciatori,<br />
ha spiegato alcuni “trucchi”<br />
del suo mestiere proprio<br />
<strong>per</strong> ottenere questi risultati,<br />
soprattutto nelle donne.<br />
La Dottoressa Riccarda Serri (Milano) ha evidenziato quanti<br />
progressi abbia fatto la dematologia negli ultimi 20 anni nella<br />
cura dei capelli: ha ricordato l’es<strong>per</strong>ienza del padre, il<br />
Professor Serri uno dei più illustri e autorevoli dermatologi<br />
italiani di <strong>tutti</strong> i tempi, che insegnava che non esistevano<br />
terapie utili <strong>per</strong> curare la calvizie e la caduta dei capelli. La<br />
sco<strong>per</strong>ta dell’efficacia del minoxidil, della finasteride, della<br />
dutasteride, dei fattori di crescita, hanno dimostrato che oggi<br />
è possibile arrestare la progressione della calvizie sia negli<br />
uomini che nelle donne.<br />
Il Dottor Alberto Donzelli (Milano) in qualità di specialista in<br />
scienza dell’alimentazione ha addirittura ricordato che esistono<br />
diete alimentari specifiche che possono ridurre la quantità<br />
di testosterone nell’organismo.<br />
Si è parlato di messaggi scorretti, ma anche di messaggi veri,<br />
del fatto che esiste chi specula, ma ci sono anche tantissimi<br />
professionisti seri che studiano, compiono ricerche, si dedicano<br />
a questo campo della medicina.<br />
Ci sono aziende (o laboratori non certificati che preparano<br />
chissà cosa in un sottoscala e che vendono a prezzi esorbitanti,<br />
o a volte bassissimi pur di “accalappiarsi” il cliente), ma<br />
anche aziende che producono farmaci, cosmetici, integratori<br />
frutto di studi seri e costosi, e che vengono commercializzati<br />
solo dopo aver dimostrato la loro efficacia ed escluso rischi<br />
<strong>per</strong> la salute. L’invito <strong>per</strong> <strong>tutti</strong> è quello di cercare di informarsi<br />
ma con senso critico, di non credere a messaggi “esplosivi e<br />
rivoluzionari”, di individuare professionisti credibili nelle<br />
categorie che si occupano del problema: il medico, il farmacista,<br />
il parrucchiere.<br />
Ognuno, <strong>per</strong> la sua competenza potrà dare informazioni preziose.<br />
In questa lista non c’è il tricologo, che in Italia non è<br />
una figura professionale riconosciuta dal punto di vista medico,<br />
né legislativo!<br />
Alcuni dei partecipanti al dibattito del 15 marzo 2008 al Teatro San Babila di Milano.<br />
Da sinistra Antonio Mangubat, Bessam Farjo, Vincenzo Gambino, Fabio Rinaldi,<br />
Francisco Jimenez Acosta, Piero Rosati, Elisabetta Sorbellini.
Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
47<br />
DECALOGO DI CONSIGLI UTILI PER CHI PERDE I CAPELLI<br />
<strong>per</strong> cercare di orientarsi nella scelta di una cura corretta<br />
a cura della<br />
INTERNATIONAL HAIR RESEARCH FOUNDATION<br />
IHRF<br />
1 – I capelli sono una parte del corpo umano: la loro salute dipende dallo stato di salute generale dell’organismo.<br />
Quando i capelli cadono, quando la cute del suoi capelluto è alterata, quando i capelli<br />
diventano fragili o brutti significa che qualcosa nel corpo non va come dovrebbe: spesso questo<br />
è un segnale che andrebbe valutato dal punto di vista medico. La prima regola è che se i capelli<br />
o il cuoio capelluto hanno un problema bisognerebbe consultare un medico <strong>per</strong> capire cosa succede<br />
e cercare di trovare un rimedio. Il proprio medico di fiducia, il dermatologo, l’endocrinologo,<br />
il ginecologo, i medici es<strong>per</strong>ti in medicina estetica sono normalmente i professionisti che sono più<br />
spesso chiamati ad affrontare un problema tricologico.<br />
2 – Le conoscenze scientifiche oggigiorno si diffondono velocemente: le cure che possono essere<br />
utili <strong>per</strong> i capelli e la pelle sono a disposizione di <strong>tutti</strong> i medici che si aggiornano sull’argomento.<br />
Non esistono terapie miracolose, segrete, esclusive note solo a qualcuno particolarmente “illuminato”.<br />
Non sono mai credibili i messaggi miracolistici che vantano cure definitive e risolutive<br />
della calvizie.<br />
3 – Ci sono varie categorie di professionisti che si occupano seriamente di capelli oltre ai medici:<br />
* i farmacisti che spesso possono dare il primo consiglio <strong>per</strong> prendersi cura di un problema di<br />
capelli o del cuoio capelluto<br />
* i parrucchieri che quotidianamente trattano i capelli di uomini e donne e che, con la loro es<strong>per</strong>ienza,<br />
sono in grado di suggerire rimedi estetici ma anche consigli sullo stato di salute dei capelli<br />
Medici, farmacisti, parrucchieri, ognuno nel proprio ambito di competenza e preparazione, svolge<br />
un lavoro accurato dopo anni di studi o di corsi di formazione specifica. Presunti “es<strong>per</strong>ti” <strong>per</strong><br />
imprecisati meriti o studi non definiti non hanno nessuna qualifica <strong>per</strong> curare le malattie dei<br />
capelli. Ovviamente esistono eccezioni!<br />
4 – Non esistono altre figure professionali riconosciute dalla legge <strong>per</strong> curare o trattare i capelli e il<br />
cuoio capelluto. Non esiste la figura del tricologo in senso lato: un dermatologo potrebbe essere<br />
definito uno specialista in tricologia se si occupa in particolare di capelli, in virtù degli anni di<br />
studio della scuola di specializzazione in Dermatologia in Università.<br />
5 – Non esistono centri di TRICOLOGIA definibili come centri di specialisti del settore dei capelli se<br />
non quelli dove dei medici e dei dermatologi svolgono la propria o<strong>per</strong>a. Spesso si tratta di luoghi<br />
gestiti da <strong>per</strong>sonale NON medico dove si effettuano prestazioni di tipo medico (in modo illegale),<br />
o dove dei medici purtroppo si prestano a consulenze quasi mai “libere”.<br />
6 – Non è vero che “solo il pavimento ferma la caduta dei capelli”: è una fastidiosa battuta ormai su<strong>per</strong>ata,<br />
e che non rispetta il disagio di tantissime <strong>per</strong>sone. Oggigiorno esistono terapie mediche e<br />
cosmetiche utili <strong>per</strong> ottenere dei risultati terapeutici, cure che sono frutto di ricerche e di studio<br />
da parte di molte aziende serie: è un peccato <strong>per</strong>dere tempo con cure empiriche non supportate<br />
da nessuno studio scientifico ma propagandate solo con testimonial famosi pagate a suon di milioni<br />
di euro, o con subdoli messaggi non controllabili che illudono le s<strong>per</strong>anze magari via internet.<br />
Tutte le novità che la scienza ci offre ormai sempre più di frequente sono frutto di ricerche molto<br />
accurate, e che vengono divulgate solo dopo la certezza dell’efficacia e della loro sicurezza.<br />
7 – Come <strong>per</strong> qualsiasi altra alterazione dello stato di salute di una parte del corpo, ogni situazione<br />
richiede una diagnosi e una cura specifica. Non esistono cure universali e soprattutto tutte le<br />
terapie utili non hanno costi esagerati: non hanno senso cure che costano migliaia di euro, shampoo<br />
che “disostruiscono i follicoli e li fanno respirare”non esistono “macchine” che emettono
Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />
48<br />
raggi miracolosi. Le conoscenze scientifiche attuali non hanno mai dimostrato la reale efficacia<br />
di molte di queste proposte alternative ma, anzi, spesso il loro potenziale rischio <strong>per</strong> la salute.<br />
8 – Qualsiasi cura proposta <strong>per</strong> una forma di alopecia deve essere motivata in base alla diagnosi clinica<br />
o dei risultati di esami specifici di controllo, spiegata in <strong>tutti</strong> i suoi possibili effetti positivi<br />
e negativi (i rischi derivati dall’uso di un farmaco), indicando il tempo previsto <strong>per</strong> la cura e la<br />
necessità di eventuali visite successive. In caso di cure che presentano un rischio <strong>per</strong> la salute<br />
o di trattamenti con strumenti particolari il medico deve far firmare al suo paziente uno specifico<br />
consenso informato.<br />
9 – I mezzi di informazione svolgono un ruolo fondamentale <strong>per</strong> diffondere le notizie scientifiche e<br />
mediche: attenzione, <strong>per</strong>ò, non tutte le fonti sono “autonome”. È indispensabile un senso critico<br />
molto attento, <strong>per</strong> cercare di non cadere in trappole costruite con grande arte: tanto più il messaggio<br />
è allettante, tanto più di solito nasconde una vera “bufala”.<br />
10 – I capelli si curano con i farmaci, con certi cosmetici, con l’attenzione a stili di vita corretti (alimentazione,<br />
poco sole, riduzione del fumo, igiene accurata, controllo dello stress).<br />
I cosmetici <strong>per</strong> i capelli o i trattamenti estetici eseguiti con prodotti di buona qualità da professionisti<br />
preparati non sono mai causa di problemi gravi di caduta dei capelli.<br />
COME ORIENTARSI NELLA “GIUNGLA”<br />
secondo le conoscenze della dermatologia e della cosmetologia moderna.<br />
* NON È VERO che lavare i capelli di frequente fa male (<strong>per</strong>ché non cascano i peli del barba o del<br />
resto del corpo facendo una doccia al giorno)<br />
* NON È VERO che i bulbi vengono soffocati dal sebo, e che si deve ripulire il follicolo pilifero (se no<br />
<strong>per</strong>ché farebbe male lavare i capelli).<br />
* NON È VERO che esistono cure segrete che i medici si rifiutano di usare <strong>per</strong> motivi imprecisati<br />
(sarebbero stupidi, <strong>tutti</strong> approfitterebbero di sostanze utili <strong>per</strong> svolgere un lavoro corretto).<br />
Qualsiasi idea sensata, qualsiasi formula efficace può essere brevettata e venduta con buon<br />
interesse di aziende e medici e farmacisti!<br />
* NON È VERO che non esistono cure efficaci <strong>per</strong> la calvizie di uomini e donne, anche se purtroppo<br />
questa è un’affermazione che spesso fanno proprio dei medici o dei farmacisti.<br />
* NON È VERO che il trapianto dei capelli dà risultati brutti, o che non è utile <strong>per</strong> le donne: mediamente<br />
è una tecnica efficace, pur con <strong>tutti</strong> i limiti di un intervento chirurgico.<br />
* NON È VERO che i parrucchieri sono <strong>per</strong>sone impreparate: sempre più questi professionisti seguono<br />
corsi di aggiornamento e <strong>per</strong>fezionamento e possono essere tra i primi ad indicare la necessità<br />
di curare i capelli. Senza dimenticare che la bellezza della chioma è di <strong>per</strong>tinenza proprio<br />
dei parrucchieri!<br />
* NON È VERO che una cura efficace debba essere molto costosa, ma non è neanche vero che dei<br />
prodotti efficaci e testati scientificamente possano costare troppo poco: bisogna diffidare di<br />
imitazioni particolarmente economiche, o di soluzioni alternative “che hanno la stessa efficacia<br />
ma costano meno della metà”. La maggior parte delle aziende serie farmaceutiche o cosmetiche<br />
non fa beneficenza, ma studia attentamente i costi del proprio prodotto!<br />
* NON si devono firmare contratti capestro che obblighino ad effettuare cicli di trattamenti (raramente<br />
in questi contratti si parla di cure mediche, terapie, <strong>per</strong>ché la legge lo vieta!!) a costi<br />
esorbitanti. Accettare una cura che richieda più sedute non vuole dire vincolarsi con obblighi<br />
che non hanno nessun senso medico!<br />
* È VERO che un problema di capelli (estetico o patologico) deve essere affrontato il più precocemente<br />
possibile, consultando un medico (e a maggior ragione uno specialista del settore) o<br />
facendosi consigliare dal farmacista o dal proprio parrucchiere. Se non si è certi di essere in<br />
presenza di un medico laureato e specialista varrebbe sempre la regola di farsi mostrare un<br />
documento (certificato di laurea, tesserino dell’Ordine dei Medici), così come i farmacisti laureati<br />
devono indossare l’apposito stemma di riconoscimento!