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Vol. 11 N° 1 - Salute per tutti

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Anno <strong>11</strong><br />

n.1/2008<br />

La certificazione di idoneità<br />

alla pratica fisico-sportiva.<br />

Tito Livio Schwarzenberg<br />

Vincenza Patrizia Di Marino<br />

“Tako-tsubo syndrome”.<br />

Enigmatico stordimento miocardico<br />

di recente individuazione.<br />

Livio Meciani<br />

I disturbi dell’equilibrio nella terza età.<br />

Giorgio Guidetti<br />

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1, comma 1 DCB Milano<br />

PRIMO PIANO<br />

Endometriosi:<br />

quanto dura l’effetto ipoestrogenico<br />

della triptorelina depot<br />

Pietro Cazzola<br />

Il carcinoma vescicale:<br />

quando sospettarlo e qual è il ruolo<br />

del medico di Medicina Generale<br />

Alessandro Bertaccini<br />

Patologie cutanee da tessuti<br />

Paolo D. Pigatto<br />

Lucretia A. Frasin<br />

Più messaggi corretti o fregature<br />

quando si parla di capelli<br />

Cronaca del primo dibattito a<strong>per</strong>to<br />

organizzato dalla IHRF<br />

e proposta di un decalogo<br />

<strong>per</strong> chi <strong>per</strong>de i capelli.<br />

Fabio Rinaldi


<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

Indice<br />

La certificazione di idoneità alla pratica fisico-sportiva.<br />

Tito Livio Schwarzenberg, Vincenza Patrizia Di Marino pag. 3<br />

Direttore Responsabile<br />

Pietro Cazzola<br />

Direttore Generale<br />

Armando Mazzù<br />

Direttore Marketing<br />

Antonio Di Maio<br />

Redazione e Amministrazione<br />

Scripta Manent s.n.c.<br />

Via Bassini, 41 - 20133 Milano<br />

Tel. 0270608091 - 0270608060<br />

Fax 0270606917<br />

E-mail: scriman@tin.it<br />

Consulenza Amministrativa<br />

Cristina Brambilla<br />

Consulenza Grafica<br />

Piero Merlini<br />

“Tako-tsubo syndrome”.<br />

Enigmatico stordimento miocardico di recente individuazione.<br />

Livio Meciani pag. 13<br />

I disturbi dell’equilibrio nella terza età.<br />

Giorgio Guidetti pag. 25<br />

PRIMO PIANO<br />

Endometriosi: quanto dura l’effetto ipoestrogenico<br />

della triptorelina depot<br />

Pietro Cazzola pag. 30<br />

Impaginazione<br />

Clementina Pasina<br />

Registrazione<br />

Tribunale di Milano n. 383<br />

del 28/05/1998<br />

Iscrizione al Registro Nazionale<br />

della Stampa n.10.000<br />

Stampa<br />

Parole Nuove s.r.l. Brugherio (MI)<br />

È vietata la riproduzione totale o parziale, con<br />

qualsiasi mezzo, di articoli, illustrazioni e fotografie<br />

pubblicati su Scripta MEDICA senza autorizzazione<br />

scritta dell’Editore.<br />

L’Editore non risponde dell’opinione espressa<br />

dagli Autori degli articoli.<br />

Edizioni Scripta Manent pubblica inoltre:<br />

ARCHIVIO ITALIANO<br />

DI UROLOGIA E ANDROLOGIA<br />

RIVISTA ITALIANA DI MEDICINA<br />

DELL’ADOLESCENZA<br />

JOURNAL OF PLASTIC DERMATOLOGY<br />

INFORMED, CADUCEUM, IATROS, EUREKA<br />

Il carcinoma vescicale:<br />

quando sospettarlo e qual è<br />

il ruolo del medico<br />

di Medicina Generale<br />

Alessandro Bertaccini pag. 35<br />

Patologie cutanee da tessuti<br />

Paolo D. Pigatto,<br />

Lucretia A. Frasin pag. 39<br />

Più messaggi corretti o fregature<br />

quando si parla di capelli<br />

Cronaca del primo dibattito a<strong>per</strong>to<br />

organizzato dalla IHRF<br />

e proposta di un decalogo<br />

<strong>per</strong> chi <strong>per</strong>de i capelli.<br />

Fabio Rinaldi pag. 45<br />

Diffusione gratuita. Ai sensi della legge 675/96 è possibile, in qualsiasi momento ,<br />

opporsi all’invio della rivista comunicando <strong>per</strong> iscritto la propria decisione a:<br />

Edizioni Scripta Manent s.n.c.<br />

Via Bassini, 41 - 20133 Milano


Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

3<br />

La certificazione di idoneità<br />

alla pratica fisico-sportiva.<br />

Tito Livio Schwarzenberg, Vincenza Patrizia Di Marino<br />

Introduzione<br />

L’argomento che ci accingiamo ad<br />

affrontare, vale a dire “La certificazione medico-sportiva”<br />

può apparire, a prima vista,<br />

abbastanza banale e scontato, soprattutto di<br />

fronte ad una platea di es<strong>per</strong>ti pediatri e adolescentologi.<br />

Ciò non ostante riteniamo<br />

senz’altro utile e importante, proprio in questo<br />

contesto, riflettere e confrontarci su un<br />

aspetto di così frequente riscontro nella<br />

nostra pratica professionale quotidiana ricco<br />

di implicazioni normative, giuridiche, etiche<br />

oltreché sanitarie e con riflessi addirittura<br />

sull’economia nazionale tanto da essere stato<br />

preso in seria considerazione <strong>per</strong>fino nell’ultima<br />

(quanto mai discussa e sofferta) legge di<br />

programmazione economica e finanziaria del<br />

nostro Paese.<br />

Giova premettere, a questo punto qualche<br />

richiamo di carattere sostanziale e normativo<br />

sulla certificazione in genere, su quella medica<br />

in particolare <strong>per</strong> poter concentrare, infine,<br />

la nostra attenzione sull’aspetto specifico<br />

della certificazione medico-sportiva.<br />

Si definisce “certificato” un atto scritto che<br />

dichiara conformi a verità fatti di natura tecnica,<br />

di cui il certificato stesso è destinato a<br />

provare l’esistenza. Essendo un atto pubblico<br />

il certificato deve, ovviamente, essere veritiero<br />

e redatto in modo chiaro ed univoco (1-3).<br />

Con espressione più formale “Il certificato è la<br />

testimonianza scritta su fatti e comportamenti<br />

tecnicamente apprezzabili e valutabili, la cui<br />

dimostrazione può condurre all’affermazione di<br />

diritti soggettivi previsti dalla norma, ovvero<br />

UOC di Adolescentologia, Dipartimento Scienze Ginecologiche,<br />

Perinatologia e Puericultura<br />

Università “La Sapienza”, Roma<br />

determinare conseguenze a carico dell’individuo<br />

o della collettività aventi rilevanza giuridica e/o<br />

amministrativa“ (4) o, più semplicemente: “Il<br />

certificato è l’atto scritto e firmato <strong>per</strong> mezzo del<br />

quale una <strong>per</strong>sona investita di determinate<br />

attribuzioni e in tale qualità, attesta l’esistenza<br />

o meno di determinati fatti o qualità” (1).<br />

Ne consegue che il certificato medico rappresenta<br />

un documento che contiene una<br />

dichiarazione scritta nella quale si attesta la<br />

sussistenza di fatti obiettivi effettivamente<br />

riscontrati dal medico stesso nell’esercizio<br />

della propria attività professionale e destinati<br />

ad avere rilevanza giuridica.<br />

Per altro, la certificazione è sottoposta al vincolo<br />

degli art. 480 e 481 c.p., relativi alla falsità<br />

ideologica commessa dal pubblico ufficiale<br />

e/o dal <strong>per</strong>sonale esercente un servizio<br />

di pubblica necessità, oltre che dell’ art. 485<br />

c.p. relativo alla falsità in scrittura privata. Il<br />

requisito della veridicità non può essere<br />

disgiunto da quello della chiarezza: è necessario,<br />

<strong>per</strong>tanto, evitare abbreviazioni e acronimi<br />

e, qualora non venga utilizzata la dattiloscrittura<br />

o l’uso di una modulistica prestampata,<br />

impiegare una grafia chiara, di<br />

pronta ed inequivocabile leggibilità.<br />

Vale anche la pena di ricordare che, in base<br />

alle previsioni del codice penale, possono<br />

essere individuate tre possibili qualificazioni<br />

del medico certificatore (2):<br />

1) Pubblico ufficiale (art. 357 c.p.): è colui<br />

che esercita, in modo temporaneo o <strong>per</strong>manente,<br />

una pubblica funzione o un’attività<br />

legislativa, giudiziaria, amministrativa<br />

in rappresentanza dello Stato o<br />

dell’Ente pubblico di appartenenza.<br />

Secondo le più recenti interpretazioni<br />

della giurisprudenza a tale categoria<br />

vanno assimilati i medici dipendenti


4<br />

Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

dalle ASL o dalle Aziende Ospedaliere<br />

con funzioni organizzative e che partecipano,<br />

quindi, alla volontà della Pubblica<br />

Amministrazione. Deve ritenersi pubblico<br />

ufficiale anche il medico che svolga<br />

l’incarico di <strong>per</strong>ito o di consulente tecnico<br />

su nomina dell’autorità giudiziaria;<br />

2) Incaricato di pubblico servizio (art.<br />

358 c.p.): è il medico che, <strong>per</strong> conto<br />

dello Stato che ne cura <strong>per</strong>tanto la tutela,<br />

svolge un’attività socialmente utile (vale<br />

a dire un pubblico servizio), indipendentemente<br />

dal fatto che sussista alla base<br />

un impiego di ruolo o avventizio. A tale<br />

categoria, <strong>per</strong>tanto, appartengono i<br />

medici dipendenti o convenzionati col<br />

Servizio Sanitario Nazionale (ad esempio<br />

i medici di base e i pediatri di libera scelta)<br />

impegnati nello svolgimento di mansioni<br />

di carattere strettamente medico<br />

dirette al soddisfacimento di un bisogno<br />

della collettività;<br />

3) Esercente un servizio di pubblica necessità<br />

(art. 359 c.p.): è il medico libero<br />

professionista abilitato dallo Stato, alla<br />

cui o<strong>per</strong>a ricorre il cittadino che ne ravveda<br />

la necessità. Si tratta, in questo<br />

caso, di prestazioni professionali che il<br />

medico – anche se dipendente pubblico<br />

– esercita, tuttavia, privatamente e direttamente<br />

e non in nome né <strong>per</strong> conto<br />

dello Stato o di un Ente pubblico.<br />

Da quanto finora premesso ne deriva che la<br />

potestà di certificare (G. Umani Ronchi e coll.,<br />

2002) discende esclusivamente dal conseguimento<br />

del diploma di laurea e dall’abilitazione<br />

all’esercizio della professione medica (2).<br />

Il limite oggettivo del certificato è rappresentato<br />

dall’oggetto stesso della certificazione<br />

che, in quanto promanazione dell’attività<br />

medica, non può avere altro rilievo che quello<br />

medico-biologico. Il limite soggettivo si<br />

concretizza, viceversa, nell’osservanza delle<br />

norme deontologiche e codicistiche relative<br />

in modo particolare al rispetto del segreto<br />

professionale e alla tutela della privacy.<br />

Pertanto (prescindendo da casi particolari,<br />

espressamente previsti <strong>per</strong> talune certificazioni<br />

obbligatorie) il certificato medico deve<br />

rispondere ai seguenti due requisiti (2, 5):<br />

a) essere rilasciato unicamente alla <strong>per</strong>sona<br />

assistita o visitata, ovvero al suo rappresentante<br />

legale (genitore o tutore) in caso<br />

di minore o, comunque, di un soggetto<br />

legalmente incapace;<br />

b) limitarsi, nel proprio contenuto, unicamente<br />

a ciò che necessita all’interessato o<br />

a quanto quest’ultimo voglia rendere<br />

manifesto.<br />

A seconda di quanto viene previsto dalle specifiche<br />

disposizioni di legge, i certificati<br />

medici vengono distinti in:<br />

certificati obbligatori: rivolti alla tutela di<br />

interessi pubblici e rilasciati non in quanto<br />

richiesti dagli interessati ma in quanto<br />

una precisa normativa impone al medico il<br />

dovere della certificazione stessa;<br />

certificati facoltativi: di regola destinati ad<br />

attestare, nei confronti di Enti pubblici o<br />

privati, lo stato di salute del richiedente<br />

che, spontaneamente, li esibisce anche al<br />

di fuori di ogni obbligo di legge.<br />

È bene, tuttavia, rimarcare che la distinzione<br />

tra certificazione obbligatoria e facoltativa è,<br />

in realtà, puramente formale in quanto essa<br />

viene privata di qualsiasi rilievo sostanziale<br />

proprio alla luce dell’art 22 del Codice di<br />

Deontologia Medica, laddove si cita che<br />

“….il medico non può rifiutarsi di rilasciare<br />

direttamente al cittadino certificati relativi al<br />

suo stato di salute”.<br />

Giova anche premettere che tutta la normativa<br />

rivolta alla tutela sanitaria di chi pratica<br />

attività sportiva trova la propria origine, giustificazione<br />

e conforto proprio da alcuni articoli<br />

della Costituzione stessa della Repubblica<br />

Italiana, laddove l’art. 2 “riconosce e<br />

garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come<br />

singolo che nelle funzioni sociali ove si svolge la<br />

sua <strong>per</strong>sonalità”, l’art. 4 stabilisce che “ogni<br />

cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie<br />

possibilità e la propria scelta, un’attività o<br />

una funzione che concorra al progresso materiale<br />

o spirituale della società” e, infine, l’art. 32<br />

che garantisce la tutela della salute come<br />

“fondamentale diritto dell’individuo e interesse<br />

della collettività”.<br />

Gli esordi della Legislazione in materia nel<br />

nostro Paese si fanno risalire alla Legge 28<br />

dicembre 1950, n. 1055, recante norme di


Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

5<br />

“Tutela sanitaria<br />

delle attività sportive”.<br />

La tutela sanitaria<br />

in questione – inizialmente<br />

affidata alla<br />

Federazione Medico<br />

Sportiva Italiana – si<br />

esercitava nei confronti<br />

degli sportivi<br />

professionisti e dei<br />

cosiddetti “dilettanti<br />

con retribuzione abituale”<br />

nonché dei praticanti<br />

attività sportive<br />

considerate impegnative<br />

o <strong>per</strong>icolose<br />

(pugilato, atletica pesante,<br />

gare ciclistiche<br />

particolarmente gravose,<br />

sport motoristici<br />

e sport subacquei),<br />

imponendo a <strong>tutti</strong> costoro<br />

l’obbligo di sottoporsi<br />

ad accertamenti<br />

medici di idoneità<br />

con <strong>per</strong>iodicità<br />

annuale, quale condizione<br />

indispensabile<br />

<strong>per</strong> l’accesso alla pratica<br />

dello sport.<br />

L’embrionale assetto<br />

normativo veniva,<br />

quindi sviluppato e<br />

rivisto, venti anni più<br />

tardi, dalla Legge 26 ottobre 1971, n. 1099,<br />

che affidava alle neonate Regioni la tutela<br />

sanitaria delle attività sportive e ampliava la<br />

portata della tutela medesima estendendola a<br />

“chiunque intende svolgere o svolge attività agonistico<br />

sportive” mediante l’accertamento<br />

obbligatorio, con visite mediche di selezione<br />

e di controllo <strong>per</strong>iodico, dell’idoneità generica<br />

e dell’attitudine.<br />

A questo punto vale la pena di richiamare<br />

l’attenzione proprio sulla terminologia<br />

comunemente utilizzata, ricordando come le<br />

espressioni “idoneità” ed “attitudine” sportiva<br />

vengano assai spesso, erroneamente, considerate<br />

sinonimi. Al contrario, <strong>per</strong> idoneità<br />

generica all’attività sportiva dobbiamo intendere<br />

la “possibilità dell’organismo di tollerare<br />

senza danno il maggiore sviluppo di potenza e,<br />

quindi, il maggiore dispendio metabolico ed<br />

energetico che sono propri dell’attività sportiva<br />

rispetto alle attività abituali della vita sociale e<br />

lavorativa: si tratta, in altre parole, della generica<br />

capacità di reggere, senza danno, uno sforzo<br />

anche protratto”, mentre l’attitudine all’attività<br />

sportiva altro non è che la “specifica tendenza<br />

del soggetto verso una particolare e ben<br />

definita forma di attività sportiva in conseguenza<br />

di fattori genetici, ambientali, costituzionali,<br />

psicologici, antropometrici e funzionali”.<br />

Tralasciando in questa sede, <strong>per</strong> ovvii motivi<br />

di tempo e di spazio qualsiasi ulteriore considerazione<br />

sulla normativa intermedia e/o<br />

integrativa, è ben noto che tutte le attuali<br />

disposizioni sulla certificazione medico


6<br />

Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

sportiva fanno principalmente riferimento a<br />

tre decreti del Ministero della Sanità, tutt’ora<br />

pienamente vigenti, <strong>per</strong> quanto datati di ben<br />

25 anni:<br />

Decreto Ministeriale 18 febbraio 1982<br />

“Norme <strong>per</strong> la tutela sanitaria dell’attività<br />

sportiva agonistica” (G.U. n. 63 del<br />

5 marzo 1982);<br />

Decreto Ministeriale 28 febbraio 1983<br />

“Integrazione e rettifica del decreto<br />

ministeriale 18 febbraio 1982, concernente<br />

norme <strong>per</strong> la tutela dell’attività<br />

sportiva agonistica” (G.U. n. 72 del 15<br />

marzo 1983);<br />

Decreto Ministeriale 28 febbraio 1983<br />

“Norme <strong>per</strong> la tutela sanitaria dell’attività<br />

sportiva non agonistica” (G.U. n.<br />

72 del 15 marzo 1983).<br />

L’ultimo decreto citato, recita all’art.1 che<br />

devono essere sottoposti a controllo sanitario<br />

<strong>per</strong> la pratica delle attività sportive non agonistiche:<br />

a) gli alunni che svolgono attività fisico-sportive<br />

organizzate dagli organi scolastici nell’ambito<br />

delle attività parascolastiche;<br />

b) coloro che svolgono attività organizzate<br />

dal CONI, da società sportive affiliate<br />

alle Federazioni Sportive Nazionali o agli<br />

Enti di Promozione Sportiva riconosciuti<br />

dal CONI e che non siano considerati<br />

atleti agonisti ai sensi del Decreto<br />

Ministeriale 18 febbraio 1982;<br />

c) coloro che partecipano ai Giochi della<br />

Gioventù, nelle fasi precedenti quella<br />

nazionale*.<br />

Una prima, inevitabile e spontanea, <strong>per</strong>plessità<br />

sorge, a questo punto, riguardo alla precisa<br />

ed univoca identificazione di quelle attività<br />

sportive che possono (o devono) essere<br />

identificate come “non agonistiche” in base al<br />

punto b) del citato DM 28-02-83, dal<br />

momento che la categoria del “non agonismo”<br />

finisce col caratterizzarsi soprattutto in negativo<br />

rispetto a quella dell’ “agonismo”, essendo<br />

la prima semplicemente la negazione<br />

della seconda. Ne discende che l’una e l’altra<br />

categoria sono state istituite dal legislatore<br />

non tanto in base a concrete valutazioni biomediche<br />

e psico-attitudinali quanto sulla<br />

spinta di motivazioni economiche, in considerazione<br />

del costo non certo indifferente<br />

che già comportano gli accertamenti obbligatori<br />

di idoneità agonistica riservati ad<br />

almeno nove milioni di soggetti che annualmente<br />

praticano attività sportive nell’ambito<br />

delle Federazioni Nazionali e degli Enti di<br />

promozione sportiva. Non si possono evidenziare,<br />

al contrario particolari dubbi nei<br />

riguardi dell’identificazione dei soggetti<br />

* Quando gli studenti italiani nel 1968 scesero in piazza e occuparono scuole e università <strong>per</strong> manifestare il loro profondo malessere,<br />

non immaginavano certamente di dare un contributo determinante alla nascita dei Giochi della Gioventù.<br />

L’approvazione ufficiale avvenne il 3 settembre 1968, ma già una circolare del 29 agosto ai comitati provinciali del Coni forniva le norme<br />

principali della manifestazione: età di ammissione <strong>11</strong>-15 anni; programma: atletica leggera, ciclismo, ginnastica, nuoto, pallacanestro,<br />

pallavolo e sci (<strong>per</strong> l’inverno 1969-70); fasi: locali, provinciali, inter-provinciali e nazionale. L’entusiasmo con cui fu accolta l’iniziativa<br />

fece andare ben oltre quanto ordinariamente previsto gli o<strong>per</strong>atori di base, che su strade e piazze, ma anche su prati e cortili fecero<br />

disputare non solo le gare di atletica leggera, ma anche la ginnastica artistica e gli sport di squadra. Da quel grandioso successo, i Giochi<br />

della Gioventù presero il volo, finendo <strong>per</strong> diventare in breve la più importante manifestazione sportiva giovanile italiana e una delle più<br />

importanti d’Europa. La numerosità dei partecipanti andò via via aumentando fino a su<strong>per</strong>are i tre milioni e mezzo alla fine degli anni’70.<br />

Il programma si estese a sua volta fino a comprendere oltre cinquanta discipline, praticamente quasi <strong>tutti</strong> gli sport esistenti. Nel 1974 la<br />

manifestazione fece il suo ingresso stabile e ufficiale nella scuola, compresa quella elementare, anche se limitatamente al secondo ciclo.<br />

Dall’anno scolastico 1993-94 il programma tornò ad essere circoscritto alle discipline ufficialmente praticate nella scuola: atletica leggera,<br />

ginnastica, nuoto, sci, calcio, pallacanestro, pallamano, pallavolo, le stesse del programma dei Campionati Studenteschi. Merito fondamentale<br />

e indiscutibile dei Giochi della Gioventù è stato quello di aver introdotto nel potere pubblico e tra le autorità politiche una<br />

forte sensibilizzazione nei confronti dell’attività sportiva, intesa come mezzo insostituibile nella formazione ed educazione dei giovani,<br />

fin dalla scuola elementare. Non meno importante, infine, è da considerare l’azione svolta dai Giochi della Gioventù nella capillare diffusione<br />

tra la massa giovanile di un sano spirito sportivo e, nello stesso tempo, nella rivelazione di numerosi talenti, destinati successivamente<br />

ad arricchire in misura considerevole le fila dello sport nazionale. A partire dal 1998, altro momento “storico” del lungo cammino<br />

dell’attività scolastica è l’istituzione dei Giochi Sportivi Studenteschi, diretta conseguenza di un rinnovato protocollo di intesa tra<br />

Coni e Ministero della Pubblica Istruzione (19). In realtà, la nascita del Giochi Sportivi Studenteschi ha coinciso con un parallelo rapido<br />

e progressivo declino dei Giochi della Gioventù, sia <strong>per</strong> la diversa impostazione di base delle due iniziative, sia <strong>per</strong> il difficile connubio<br />

tra Coni e MPI. Tra l’altro, in questa sfavorevole situazione di conflitto hanno giocato il proprio ruolo anche alcune normative che<br />

impongono, ad esempio, <strong>per</strong> gli sport di squadra compresi nei Giochi Sportivi Studenteschi, il tetto massimo di 1/3 di atleti con lo status<br />

di tesserati, mentre gli altri atleti (i 2/3 quindi) devono essere puri, vale a dire non tesserati <strong>per</strong> l’anno in corso dalla specifica<br />

Federazione. Va, tuttavia, segnalato che non sono mancate iniziative congiunte del Coni e MPI <strong>per</strong> un rilancio dei Giochi della Gioventù<br />

proprio a partire dal corrente anno scolastico 2006/2007.


Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

7<br />

indicati ai punti a) e c), anche se l’acquisizione<br />

nella categoria agonistica <strong>per</strong> i partecipanti<br />

ai Giochi della Gioventù solo nelle fasi<br />

nazionali è del tutto incongrua, dal momento<br />

che l’impegno atletico e gli eventuali rischi<br />

ad esso connessi sono praticamente identici<br />

sia prima che durante le fasi nazionali dei<br />

Giochi stessi.<br />

L’art. 2 del DM 28-02-83 cita testualmente:<br />

“Ai fini della pratica delle attività sportive non<br />

agonistiche i soggetti di cui al precedente art. 1<br />

devono sottoporsi, preventivamente e con <strong>per</strong>iodicità<br />

annuale, a visita medica intesa ad accertare<br />

il loro stato di buona salute.<br />

In caso di motivato sospetto clinico il medico ha<br />

la facoltà di richiedere accertamenti specialistici<br />

integrativi, rivolgendosi anche al <strong>per</strong>sonale sanitario<br />

e alle strutture di cui all’art. 5, ultimo<br />

comma, della legge n. 33/80. La certificazione di<br />

stato di buona salute riscontrato all’atto della<br />

visita medica deve essere redatta in conformità<br />

al modello di cui all’allegato 1”.<br />

Infine, l’art.3 del DM conclude che:<br />

“La certificazione di cui al precedente art. 2 è<br />

rilasciata ai propri assistiti dai medici di medicina<br />

generale e dai medici specialisti pediatri di<br />

libera scelta, ai sensi dell’art. 23 dei rispettivi<br />

accordi collettivi vigenti”.<br />

Non si può fare a meno di rimarcare, a questo<br />

punto, che l’espressione “stato di buona salute”<br />

che il medico è chiamato a certificare come<br />

imposto dalla normativa, è di non univoca<br />

interpretazione né di agevole traduzione in<br />

chiave biomedica (6). Tra l’altro, l’equiparazione<br />

delle espressioni “stato di buona salute” e<br />

“integrità psico-fisica della <strong>per</strong>sona” come abitualmente<br />

suggerito dalla disciplina giuridica,<br />

non appare del tutto convincente <strong>per</strong>ché troppo<br />

impegnativa e potenzialmente, se presa<br />

alla lettera, suscettibile di allontanare dalla<br />

pratica sportiva (forse) la maggior parte della<br />

popolazione ritenendo non idonei anche<br />

coloro che fossero affetti da lievi o lievissime<br />

menomazioni (difetti di vista, paramorfismi<br />

vertebrali, malocclusioni, ecc,).<br />

Peraltro, sia nei vari articoli del Decreto<br />

Ministeriale in esame che nel fac-simile di<br />

certificazione (di cui all’allegato 1) non compare<br />

mai il termine “idoneità” che, al contrario,viene<br />

ampiamente usato in tutta la normativa<br />

riguardante la pratica dello sport agonistico.<br />

Ne consegue che, attestando meramente<br />

uno “stato di buona salute” e l’assenza<br />

di controindicazioni in atto (cioè clinicamente<br />

manifeste e, comunque diagnosticabili), il<br />

medico certificatore non viene assolutamente<br />

coinvolto nell’esprimere un qualsivoglia<br />

giudizio di idoneità sportiva (come, viceversa<br />

è esplicitamente previsto nelle certificazioni<br />

<strong>per</strong> lo sport agonistico). Né è accettabile<br />

una sovrapposizione concettuale tra le due<br />

locuzioni “stato di buona salute” e “idoneità<br />

generica allo sport” da taluni proposta riferendosi<br />

anche a precedenti quanto su<strong>per</strong>ate<br />

normative (Legge 26 ottobre 1971, n. 1099).<br />

Di fatti, un giudizio di “idoneità generica allo<br />

sport” appare del tutto improprio e inattendibile<br />

sulla base tanto dell’inesistenza di uno<br />

“sport generico” che dell’intrinseca specificità<br />

di qualsivoglia attività sportiva.<br />

Parallelamente, dobbiamo riflettere sul grave<br />

rischio di responsabilità professionale <strong>per</strong><br />

quel medico certificatore che volesse, comunque,<br />

esprimere un giudizio di “idoneità generica<br />

allo sport” confidando esclusivamente sul<br />

carattere “non agonistico” della pratica così<br />

autorizzata, senza riflettere sull’estrema variabilità<br />

di impegno psico-fisico che le numerose<br />

specialità sportive inevitabilmente sottendono.<br />

Né va dimenticato che il medico certificatore,<br />

in caso di “motivato sospetto clinico” può,<br />

comunque, richiedere il conforto di consulenze<br />

specialistiche e di esami clinico strumentali<br />

integrativi (art. 2 comma 2° DM 28/02/83).<br />

È evidente che la clausola limitativa del “motivato<br />

sospetto clinico” è esclusivamente di natura<br />

economica e tesa a impedire la richiesta di<br />

accertamenti specialistici e/o di esami laboratoristici<br />

o strumentali non giustificabili da una<br />

dimostrata esigenza clinica ma il cui costo,<br />

rapportato ai milioni di soggetti potenzialmente<br />

coinvolgibili, sarebbe insostenibile<br />

dalle precarie finanze del nostro Servizio<br />

Sanitario Nazionale. Proprio in questa luce va,<br />

quindi, vista la designazione dei medici e dei<br />

pediatri di famiglia in funzione di filtro <strong>per</strong><br />

l’accesso allo sport non agonistico, essendo<br />

queste figure professionali quelle che (almeno<br />

presumibilmente) conoscono meglio il paziente<br />

e la sua storia clinica e, quindi, si trovano<br />

in posizione privilegiata sia <strong>per</strong> affermare<br />

lo “stato di buona salute” del proprio pazien-


8<br />

Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

te che <strong>per</strong> conoscere<br />

eventuali controindicazioni<br />

relative a eventi<br />

morbosi in atto o<br />

pregressi.<br />

Per quanto attiene alle<br />

norme sanitarie che<br />

riguardano le certificazioni<br />

e la tutela<br />

delle attività sportive<br />

agonistiche, come già<br />

premesso, si fa riferimento<br />

ad Decreto del<br />

Ministero della Sanità<br />

del 18 febbraio 1982<br />

(integrato e rettificato<br />

a mezzo del Decreto<br />

28 febbraio 1983). Lo<br />

stesso Ministero della<br />

Sanità, allo scopo di<br />

uniformare il comportamento<br />

normativo<br />

delle varie Regioni<br />

ha, successivamente,<br />

emesso la Circolare<br />

18/03/1996 n. 500.4<br />

dal titolo “Linee guida<br />

<strong>per</strong> un’organizzazione<br />

omogenea della<br />

certificazione di<br />

idoneità alla attività<br />

sportiva agonistica”.<br />

Viene, anzitutto, ribadito<br />

che devono ottenere<br />

il “certificato di<br />

idoneità sportiva agonistica”<br />

<strong>tutti</strong> coloro che praticano attività sportive<br />

qualificate come agonistiche dalle Federazioni<br />

Sportive Nazionali, dal CONI, dagli<br />

Enti sportivi riconosciuti oltre ai partecipanti<br />

alle fasi nazionali dei Giochi della Gioventù.<br />

Il criterio <strong>per</strong> determinare il “tesseramento agonistico”<br />

di un atleta è, quindi demandato ad<br />

ogni singola Federazione Sportiva Nazionale<br />

e, quasi di regola, si tratta di un criterio<br />

meramente anagrafico. Per meglio rendersi<br />

conto della realtà, riporto alcuni esempi di<br />

età di ingresso nell’attività agonistica (7-9):<br />

7 anni: hockey su pista, moto minicross, pattinaggio<br />

artistico, tennis da tavolo;<br />

8 anni: bocce, ginnastica, karting, nuoto,<br />

pattinaggio su ghiaccio, scherma;<br />

9 anni: baseball, canottaggio, sci (alpino e<br />

nordico), vela;<br />

10 anni: hockey su prato, pentathlon, tennis;<br />

12 anni: calcio, judo e sport marziali, pallacanestro,<br />

pallavolo, rugby, atletica<br />

leggera;<br />

14 anni: moto enduro-cross trial e velocità,<br />

pugilato, tiro a volo<br />

Rimane inteso, tuttavia, che le diverse fasce<br />

di età sopra ricordate sono sempre suscettibili<br />

di modifiche e revisioni a discrezione di<br />

ciascuna Federazione.


Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

9<br />

Il rilascio della certificazione di idoneità alla<br />

pratica sportiva agonistica è, comunque,<br />

demandato esclusivamente al medico specialista<br />

in Medicina dello Sport o<strong>per</strong>ante nelle<br />

strutture pubbliche o in quelle private autorizzate<br />

che, in relazione alle varie normative<br />

regionali, possono essere:<br />

Centri ASL<br />

Centri pubblici non ASL<br />

(ospedali, università)<br />

Centri privati accreditati<br />

o convenzionati<br />

Specialisti esterni accreditati<br />

o convenzionati<br />

Il più volte citato DM 18 febbraio 1982 prevede<br />

esplicitamente (all’art. 3), <strong>per</strong> i soggetti<br />

interessati ad ottenere il certificato di idoneità<br />

allo sport agonistico, di sottoporsi agli<br />

accertamenti sanitari elencati in un apposito<br />

protocollo clinico-diagnostico allegato al DM<br />

stesso. Implicitamente ne consegue l’obbligo,<br />

<strong>per</strong> il medico certificatore, di attenersi al<br />

protocollo medesimo, la cui procedura rappresenta<br />

un complesso di condizioni necessarie<br />

e sufficienti <strong>per</strong> proferire il giudizio<br />

conclusivo di idoneità.<br />

Il protocollo di cui sopra è costituito da due<br />

allegati: “allegato 1”, nel quale sono rispettivamente<br />

elencati i controlli sanitari previsti e la<br />

loro <strong>per</strong>iodicità in relazione ai diversi sport<br />

praticabili, che vengono raggruppati i due distinte<br />

categorie (elencate in Tabella “A” e Tabella<br />

“B”) e “allegato 2” in cui vengono riprodotti<br />

i modelli di scheda valutativa (Modello“A”<br />

e Modello“B”) che dovranno essere compilati<br />

dal medico visitatore a conclusione della<br />

visita stessa. Gli accertamenti sanitari richiesti<br />

<strong>per</strong> i praticanti le attività sportive elencate<br />

in Tabella “A” sono (10-12):<br />

1. Visita medica<br />

2. Esame completo delle urine<br />

3. Elettrocardiogramma a riposo<br />

Per coloro che, viceversa, sono interessati a<br />

praticare le attività agonistiche elencate in<br />

Tabella “B” gli accertamenti sanitari necessari<br />

consistono in:<br />

1. Visita medica<br />

2. Esame completo delle urine<br />

3. Elettrocardiogramma a riposo e dopo<br />

sforzo<br />

4. Spirografia<br />

In calce all’allegato 1 vengono, inoltre, riportate<br />

alcune “note esplicative”, che forniscono<br />

ulteriori importanti indicazioni. Per quanto<br />

riguarda la “visita medica” viene infatti specificato<br />

che essa deve inderogabilmente comprendere:<br />

l’anamnesi<br />

la determinazione del peso corporeo (in<br />

kg) e della statura (in cm)<br />

l’esame obiettivo con particolare riguardo<br />

agli organi e apparati specificamente<br />

impegnati nello sport praticato<br />

l’esame generico dell’acuità visiva<br />

mediante ottotipo luminoso<br />

l’esame del senso cromatico (solo <strong>per</strong> gli<br />

sport motoristici)<br />

il rilievo indicativo della <strong>per</strong>cezione della<br />

voce sussurrata a m 4 di distanza, quando<br />

non è previsto l’esame specialistico ORL.<br />

Viene, infine, decretato che ogni sport non<br />

contemplato nelle Tabelle “A” o “B” venga<br />

assimilato, ai fini degli accertamenti e certificazioni<br />

sanitarie, a quello che risulta ad esso<br />

più affine tra quanti ufficialmente previsti.<br />

Sempre nell’ambito dei praticanti attività<br />

sportiva agonistica viene fatta un’ulteriore<br />

distinzione tra (13):<br />

Dilettanti<br />

Professionisti<br />

Lo status di sportivi professionisti è riconosciuto<br />

(art. 2 della Legge 23 marzo 1981 n.<br />

91) agli atleti, agli allenatori, ai direttori tecnico-sportivi<br />

e ai preparatori atletici, che<br />

esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso<br />

con carattere di continuità nell’ambito delle<br />

discipline regolamentate dal CONI e che<br />

conseguono tale qualificazione dalle Federazioni<br />

Sportive Nazionali, con l’osservanza<br />

delle direttive emanate dal CONI stesso <strong>per</strong><br />

la distinzione dell’attività dilettantistica da<br />

quella professionistica. Molto più semplicemente,<br />

gli atleti professionisti sono quelli<br />

legati da un rapporto di lavoro subordinato<br />

con la Società Sportiva. Per <strong>tutti</strong> costoro, l’attività<br />

professionistica è subordinata al possesso<br />

da parte dell’atleta della “scheda sanitaria”<br />

(art. 7 comma 2, Legge 23 marzo 1981<br />

n. 91), che accompagnerà l’atleta stesso <strong>per</strong><br />

tutta la durata della sua attività sportiva e<br />

sarà aggiornata, con <strong>per</strong>iodicità almeno


10<br />

Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

semestrale, salve le diverse disposizioni emanate<br />

dalle varie Federazioni.<br />

Esaurita, a questo punto, la pur ampia panoramica<br />

sulla certificazione medico-sportiva,<br />

come previsto dalla normativa vigente, può<br />

essere interessante qualche considerazione<br />

su aspetti particolari di tutela sanitaria dei<br />

giovani che, comunque, praticano attività al<br />

di fuori dello sport organizzato, bensì presso<br />

circoli sportivi, palestre, centri fitness.<br />

È bene chiarire che, il certificato medico non<br />

costituisce, dal punto di vista normativo, la<br />

condicio sine qua non <strong>per</strong> lo svolgimento di attività<br />

fisica in palestra. Infatti, nella legislazione<br />

attualmente vigente in Italia manca qualsiasi<br />

prescrizione in tal senso, <strong>per</strong>tanto la scelta<br />

sulle modalità attraverso le quali verificare l’idoneità<br />

fisica del fruitore dei servizi della<br />

palestra o del centro fitness è lasciata esclusivamente<br />

al gestore dell’impianto.<br />

Si tratta di un vuoto normativo particolarmente<br />

grave (14): da una parte, infatti, l’attuale<br />

sistema va chiaramente a scapito dell’integrità<br />

dello sportivo; dall’altra è forte il rischio che si<br />

verifichino disparità di comportamento, anche<br />

sotto il punto di vista di assunzione di responsabilità<br />

da parte del gestore/organizzatore.<br />

Attualmente, infatti, le scelte si indirizzano<br />

principalmente verso tre direzioni:<br />

a) i Centri più attrezzati e qualificati dispongono<br />

di <strong>per</strong>sonale medico interno,<br />

cui è demandata la verifica dell’idoneità<br />

del frequentatore;<br />

b) in alternativa viene richiesta la presentazione<br />

di un certificato di “sana e robusta<br />

costituzione”;<br />

c) in casi non del tutto rari, le palestre si<br />

accontentano di far sottoscrivere al socio<br />

un’autocertificazione di assenza di impedimenti<br />

di natura sanitaria, con assunzione<br />

di responsabilità esclusiva e <strong>per</strong>sonale<br />

in caso di sinistri e, conseguente,<br />

esonero della palestra.<br />

È, <strong>per</strong> altro, evidente che nella malaugurata<br />

ipotesi di un sinistro che si sia verificato nel<br />

corso delle sedute in palestra, la dichiarazione<br />

di assunzione di responsabilità fatta sottoscrivere<br />

al cliente, non garantisce in alcun<br />

modo i titolari del centro sportivo rispetto<br />

all’eventualità di essere chiamati a rispondere<br />

in giudizio dell’accadimento in questione,<br />

a titolo di responsabilità civile: l’unica vera<br />

possibilità di essere esonerati consiste, infatti,<br />

nel poter dimostrare di aver posto in essere<br />

<strong>tutti</strong> gli adempimenti necessari al fine di<br />

evitare il verificarsi dell’evento dannoso che,<br />

<strong>per</strong>tanto, deve essere considerato del tutto<br />

imprevedibile e fortuito.<br />

In una trattazione sulla tutela sanitaria dei giovani<br />

atleti e sulla normativa riguardante la certificazione<br />

medico-sportiva, non si può fare a<br />

meno di accennare, seppure sommariamente,<br />

all’importante problematica riguardante sport<br />

e disabilità (15-17).<br />

Le enormi potenzialità esprimibili da coloro<br />

che <strong>per</strong> propria disavventura risultano essere<br />

“diversamente abili” vengono, infatti, ulteriormente<br />

confermate nel mondo dello sport<br />

dove, ormai in quasi tutte le specialità, esistono<br />

settori riservati ad atleti disabili capaci<br />

tuttavia, assai spesso, di fornire <strong>per</strong>formance<br />

di livello assai elevato. Tale materia, <strong>per</strong><br />

altro, è stata recentemente regolamentata<br />

dalla Legge 5 luglio 2003 n. 189 (“Norme <strong>per</strong><br />

la promozione della pratica dello sport da parte<br />

delle <strong>per</strong>sone disabili”).<br />

È necessario anche segnalare che la FISD<br />

(Federazione Italiana Sport Disabili) attivamente<br />

promuove, diffonde e disciplina proprio<br />

l’attività sportiva di alto livello e paraolimpica<br />

dei disabili fisici, ciechi e mentali <strong>per</strong><br />

oltre 25 diverse discipline sportive.<br />

In campo internazionale il massimo riferimento<br />

può essere considerato, invece, l’IPC<br />

(International Paralympic Committee) che, tra<br />

l’altro, ha organizzato con grande e scontato<br />

successo, nel corso degli anni, le diverse<br />

Paraolimpiadi (vale a dire le Olimpiadi riservate<br />

ai portatori di handicap).<br />

Per quanto ci riguarda come medici (certificatori<br />

e non), dobbiamo anzitutto fare riferimento<br />

alla precedente Legge 5 febbraio 1992<br />

n. 104 (Legge quadro <strong>per</strong> l’assistenza, l’integrazione<br />

sociale e i diritti delle <strong>per</strong>sone handicappate)<br />

dove, all’art. 2, leggiamo: “È <strong>per</strong>sona<br />

handicappata colui che presenta una minorazione<br />

fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata<br />

o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento,<br />

di relazione o di integrazione lavorativa<br />

e tale da determinare un processo di svantaggio<br />

sociale e di emarginazione”.


Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

<strong>11</strong><br />

La predetta legge stabilisce, inoltre, all’art. 23<br />

che: “l’attività e la pratica sportiva sono favorite<br />

senza limitazione alcuna”. Il successivo DM<br />

4 marzo 1993 recante “Determinazione dei<br />

protocolli <strong>per</strong> la concessione dell’idoneità alla<br />

pratica agonistica alle <strong>per</strong>sone handicappate”<br />

(pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del<br />

18/03/1993 n. 64) ha consentito un più<br />

organico approccio alla tutela dello sport <strong>per</strong><br />

i disabili, laddove cita: “Ai fini della tutela<br />

della salute, i soggetti portatori di un handicap<br />

fisico e/o psichico e/o neurosensoriale, che praticano<br />

attività sportiva agonistica, devono sottoporsi<br />

previamente al controllo della idoneità<br />

specifica allo sport che intendono svolgere o che<br />

svolgono. Tale controllo deve essere ripetuto con<br />

<strong>per</strong>iodicità annuale o inferiore quando ritenuto<br />

necessario dai sanitari. La qualificazione di agonista<br />

<strong>per</strong> i portatori di handicap che praticano<br />

attività sportiva è demandata alla federazione<br />

Italiana Sport Disabili (FISD) o agli enti di promozione<br />

sportiva riconosciuti dal CONI”<br />

Anche <strong>per</strong> la valutazione dell’idoneità agonistica<br />

allo sport del portatore di handicap ci si<br />

deve riferire a due specifiche Tabelle “A” e<br />

“B” (diverse da quelle di cui ad DM<br />

18/02/1982, prima ricordate) ancora una<br />

volta suddivise in rapporto al minore o maggiore<br />

impegno cardiovascolare e respiratorio.<br />

I medici incaricati del giudizio di idoneità<br />

sono gli stessi già individuati <strong>per</strong> la certificazione<br />

agonistica e i certificati medesimi non<br />

si differenziano che <strong>per</strong> la specificazione<br />

“adatto ad atleti disabili”, nonché <strong>per</strong> la delimitazione<br />

cronologica di validità di un anno<br />

o di sei mesi, con chiara indicazione, sul certificato,<br />

della relativa scadenza.<br />

Nel concludere questa rassegna sulla certificazione<br />

medico-sportiva è necessario fare<br />

cenno anche alla normativa riguardante la<br />

dispensa dalle lezioni di educazione fisica<br />

che, non raramente, coinvolge le competenze<br />

professionali del medico di famiglia e/o<br />

del pediatra. A tale proposito, il primo rilevante<br />

riferimento normativo è rappresentato<br />

dalla Legge 7 febbraio 1958 n. 88 che, all’art.<br />

3, cita testualmente “Il capo di istituto concede<br />

esoneri temporanei o <strong>per</strong>manenti, parziali o<br />

totali <strong>per</strong> provati motivi di salute, su richiesta<br />

delle famiglie degli alunni e previi gli opportuni<br />

controlli medici sullo stato fisico degli alunni<br />

stessi”. La successiva C.M. 3 ottobre 1959, n.<br />

401, prot. N. 10168 entrando nel merito<br />

specifica, all’ art. 1, che “Il capo di istituto<br />

potrà prescindere dai controlli medici quando<br />

trattasi di alunni che presentino gravi menomazioni<br />

o difetti fisici, congeniti o acquisiti, di<br />

immediata evidenza”. La predetta circolare<br />

ministeriale specifica, in seguito, che “Gli<br />

accertamenti, ai fini dell’esonero, sono affidati al<br />

sanitario addetto al servizio medico-scolastico,<br />

ove esista, o a un medico di fiducia dell’Amministrazione<br />

scelto dal capo d’istituto…..Ove,<br />

in base agli accertamenti eseguiti, ritenga comprovato<br />

l’impedimento, il capo d’istituto, sentito<br />

il parere dell’insegnante di educazione fisica,<br />

specialmente <strong>per</strong> quanto concerne la dispensa<br />

da determinate esercitazioni, dispone la concessione<br />

dell’esonero”. L’esonero dalle lezioni di<br />

educazione fisica potrà, inoltre, essere:<br />

totale, quando esclude l’alunno sia dalle<br />

lezioni che dalle prove di esame e la sua<br />

validità potrà essere <strong>per</strong>manente o temporanea;<br />

parziale, anche in questo caso temporaneo<br />

o <strong>per</strong>manente, ha il limitato effetto<br />

di escludere l’alunno da determinati<br />

esercizi, fermo restando l’obbligo di frequentare<br />

le lezioni e/o di partecipare alle<br />

prove di esame.<br />

Nel proporre un esonero dall’educazione fisica<br />

ogni medico coinvolto nella relativa certificazione<br />

dovrebbe, prioritariamente, riflettere<br />

su quanto puntualmente specificato, a<br />

proposito di tale insegnamento, nel D.M. 9<br />

febbraio 1979: “L’educazione fisica, nella peculiarità<br />

delle sue attività e delle sue tecniche, concorre<br />

a promuovere l’equilibrata maturazione<br />

psico-fisica, intellettuale e morale del preadolescente<br />

e un suo migliore inserimento sociale<br />

mediante la sollecitazione di un armonico sviluppo<br />

corporeo…I vari insegnamenti esprimono<br />

modi diversi di articolazione del sa<strong>per</strong>e, di accostamento<br />

alla realtà, di conquista, sistemazione<br />

e trasformazione di essa e, a tal fine, utilizzano<br />

specifici linguaggi che convergono verso un unico<br />

obiettivo educativo: lo sviluppo della <strong>per</strong>sona<br />

nella quale si realizza l’unità del sa<strong>per</strong>e”.<br />

Per altro, è da tenere presente che l’istanza di<br />

esonero dall’educazione fisica, <strong>per</strong> quanto<br />

regolarmente documentata e accolta, non


12<br />

Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

dovrebbe senz’altro esimere l’alunno dalla<br />

partecipazione alle relative lezioni: sarebbe,<br />

infatti, cura del docente preposto di coinvolgere<br />

gli alunni esonerati dalle esercitazioni<br />

pratiche, sia negli aspetti teorici che nei vari<br />

momenti interdisciplinari del proprio insegnamento<br />

anche sollecitandone il diretto<br />

intervento e l’attiva partecipazione in compiti<br />

di giuria o di arbitraggio o, più in generale,<br />

nell’organizzazione delle varie attività<br />

(C.M. 17 luglio 1987, n, 216, prot. n. 17771/A).<br />

A conclusione di questa lunga e complessa<br />

rassegna sulla certificazione medico-sportiva<br />

desidero fare due (<strong>per</strong> altro ovvie e scontate)<br />

raccomandazioni. La prima, rivolta ai colleghi<br />

pediatri e medici di famiglia, è che le certificazioni<br />

di sana e robusta costituzione non<br />

vengano mai rilasciate con eccessiva disinvoltura<br />

quasi fossero atti dovuti o mere formalità.<br />

Ogni certificazione deve scaturire,<br />

viceversa, da un’attenta anamnesi mirata,<br />

seguita da una visita medica quanto più è<br />

possibile accurata e completa, che tenga nel<br />

massimo conto le valutazioni auxologiche<br />

nonché le caratteristiche psico-emozionali e<br />

relazionali del giovane.<br />

La seconda, indirizzata agli istruttori, allenatori,<br />

preparatori, dirigenti sportivi e insegnanti<br />

è di tenere bene a mente che non si<br />

può considerare alla stessa stregua il bambino,<br />

il ragazzo e l’adulto e che se nell’atleta<br />

maturo l’attività sportiva ha finito con l’assumere<br />

i connotati di una vera e propria impresa<br />

s<strong>per</strong>imentale volta ad esplorare i limiti<br />

della “macchina umana”, tale impostazione<br />

non può, ovviamente, essere mai giustificata<br />

durante l’età evolutiva dove, tra l’altro, di<br />

estrema importanza è sempre la determinazione<br />

della cosiddetta età biologica del ragazzo,<br />

ossia delle sue peculiarità somato-evolutive<br />

che, come è noto, possono variare enormemente<br />

da un soggetto all’altro anche a<br />

parità di età anagrafica (18, 19).<br />

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4. Barni M. Diritti e doveri, responsabilità del medico,<br />

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5. Caldarone G, Giampietro M. Età evolutiva e attività<br />

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Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

13<br />

"Tako-tsubo syndrome".<br />

Enigmatico stordimento miocardico<br />

di recente individuazione.<br />

Livio Meciani<br />

Introduzione<br />

La sindrome del cosiddetto “Takotsubo”<br />

- originariamente descritta, come casi<br />

isolati ed aneddotici fin dagli anni ‘90 (1-7) -<br />

è stata descritta da un gran numero di cardiologi<br />

giapponesi (8-43) e clinicamente<br />

configurata, in epoca abbastanza recente,<br />

quale miocardiopatia acuta e reversibile<br />

anche da cardiologi statunitensi ed europei<br />

(44-70), fra i quali molti italiani (71-85).<br />

Dal punto di vista anatomo-funzionale questa<br />

sindrome consiste in una dilatazione sacciforme<br />

(cioè a “palloncino”) dell’apice del ventricolo<br />

cardiaco sinistro, quindi in una ipo-acinesia<br />

della punta del cuore, associata molto<br />

spesso ad una i<strong>per</strong>contrazione della base ventricolare,<br />

così da far assumere temporaneamente<br />

al ventricolo sinistro una forma che<br />

ricorda il vaso a tipo di anfora - cioè il takotsubo<br />

(Figura 1) - utilizzato dai pescatori giapponesi<br />

<strong>per</strong> catturare i polipi: i quali, una volta<br />

scivolati nel vaso, non riescono più ad uscirne<br />

a causa del restringimento del collare vasale.<br />

L’individuazione anatomo-funzionale di questa<br />

sindrome non è stata frutto di osservazioni<br />

primitive (all’inizio infatti l’evento veniva<br />

considerato come una forma di ischemia<br />

acuta), bensì di approfondimenti successivi<br />

presupponenti l’impiego tanto dell’ecografia,<br />

quanto e soprattutto della ventricolografia - in<br />

centri cardiologici adeguatamente attrezzati -<br />

attraverso le quali è stato appunto possibile<br />

precisare il tipo di disfunzione responsabile<br />

del quadro clinico cardiaco similinfartuale<br />

(Figura 2).<br />

L.D. in Patologia Speciale Medica nell’Università di Milano<br />

Da queste indagini è poi derivata la più precisa<br />

descrizione della sindrome definita come:<br />

“Transient left ventricular apical ballooning syndrome”<br />

(Dilatazione apicale transitoria a palloncino<br />

dell’apice del ventricolo sinistro);<br />

“Neurogenic stunned myocardium”; “Myocardial<br />

stunning due to sudden emotional stress”; “Cardiomiopatia<br />

acuta da stress”; ecc., ecc.<br />

Figura 1<br />

Rappresentazione del vaso usato dai pescatori giapponesi<br />

- ossia il “Tako-tsubo” - <strong>per</strong> catturare i polipi.<br />

(Da Girod JP, et al. Circulation 2003; 107-121).


Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

14<br />

Figura 2<br />

Angiografia del ventricolo<br />

sinistro, che documenta<br />

in diastole la<br />

quasi normale dilatazione<br />

della camera<br />

cardiaca, mentre in<br />

sistole evidenzia - accanto<br />

ad una "contrattura"<br />

del miocardio<br />

di base - la dilatazione<br />

"a palloncino"<br />

dell'apice.<br />

Da: Sharkey SW, et al.<br />

Circulation 2005;<br />

<strong>11</strong>1:476<br />

Dal punto di vista clinico, infatti, la casistica<br />

colpita da questa disfunzione miocardica è<br />

quasi esclusivamente costituita da donne, in<br />

fase pre-climaterica, o climaterica ed assai<br />

spesso fumatrici, le quali - costantemente<br />

vittime di un intenso ed improvviso stress<br />

psico-emotivo (o comunque di un evento<br />

psicologicamente “vissuto” come una forte e<br />

subitanea emozione) - presentano la comparsa<br />

di un quadro clinico assimilabile alla<br />

“crisi cardiaca acuta”.<br />

Sintomatologia<br />

Anzitutto occorre precisare che la<br />

Sindrome del Tako-tsubo può presentarsi come<br />

episodio intercorrente, o come complicazione<br />

acuta nel corso di parecchie forme morbose<br />

come: la sindrome di Guillain-Barré (5),<br />

la trombo-embolia polmonare (10), il pneumotorace<br />

(22), la rabdomiolisi (25), l’anestesia<br />

generale (29), la plasmaferesi <strong>per</strong> miastenia<br />

grave (32), l’i<strong>per</strong>tireosi (35), la sindrome<br />

da astinenza nelI’alcoolismo (36), la sclerosi<br />

laterale amiotrofica (37), la terapia steroidea<br />

<strong>per</strong> linfoma (38), l’esecuzione di una risonanza<br />

magnetica nucleare come fenomeno di<br />

claustrofobia acuta (63), l’infezione da citomegalovirus<br />

(80), ecc., ecc.<br />

In secondo luogo tale sindrome può associarsi<br />

tanto a crisi cardiovascolari acute di vario tipo<br />

(42, 43, 45, 61), quanto tachiaritmiche (20,<br />

21, 27, 53), o bradicardiche (84), oppure<br />

addirittura infartuali (5l), destinate ovviamente<br />

a complicare ancor più il quadro sintomatologico.<br />

A questo proposito ho gia precisato<br />

che, in senso clinico, questa sindrome può<br />

simulare l’infarto miocardico acuto (6, 8, 13,<br />

15, 28, 36, 52, 71, 72) e questo <strong>per</strong>ché:<br />

dal punto di vista soggettivo il paziente<br />

presenta un dolore precordiale abbastanza<br />

tipico <strong>per</strong> orientare verso la “stenocardia”;<br />

dolore accompagnato spesso da<br />

dispnea e soprattutto da intenso turbamento<br />

psico-emozionale;<br />

dal punto di vista obiettivo sussistono<br />

segni assai suggestivi <strong>per</strong> porre diagnosi<br />

di ischemia miocardica acuta in quanto:<br />

l’Ecg - che può presentarsi (e talvolta<br />

<strong>per</strong>sistere) come normale durante le<br />

prime ore di ricovero in pronto soccorso<br />

- rivela poi gravi segni di ischemia diffusa<br />

<strong>per</strong> la presenza di T negative simmetriche<br />

(talora “giganti”), accompagnate sia da<br />

eventuale, seppur transitoria, sopra-elevazione<br />

del tratto ST, sia da possibile<br />

allargamento del complesso elettrico ventricolare,<br />

in assenza di onda Q suggestiva<br />

<strong>per</strong> necrosi miocardica (Figura 3);


Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

15<br />

Figura 3<br />

Elettrocardiogramma di un soggetto con “sindrome apicale discinetica”, che presenta un quadro di ischemia miocardica<br />

diffusa con “T simmetriche” negative nelle precordiali sinistre.<br />

Da: Greco C, et al. J Cardiovasc Med 2006; 7:624<br />

è spesso presente un moderato “movimento”<br />

enzimatico <strong>per</strong> aumento del CPK-<br />

MB e della troponina l A;<br />

l’ecocardiogramma rivela:<br />

- una quasi costante diminuzione della<br />

Frazione di Eiezione (FE), che si attesta<br />

attorno al 35-40%, ma successivamente e<br />

piuttosto rapidamente si normalizza;<br />

- una tipica e transitoria deformazione “a<br />

palloncino” dell’apice del ventricolo sinistro<br />

(<strong>per</strong>altro documentabile soprattutto con la<br />

ventricolografia, qualora questa venga<br />

fatta) dimostrante una seria e localizzata<br />

“acinesia” della punta cardiaca.<br />

I dati piuttosto sconcertanti sono invece:<br />

1. La pressocché costante normalità strutturale<br />

dell’albero coronarico (<strong>11</strong>, l3, 15, 49, 59,<br />

81), documentata dalla coronarografia, cui<br />

<strong>tutti</strong> questi pazienti vengono inevitabilmente<br />

sottoposti in funzione proprio della<br />

sintomatologia in atto (in qualche raro<br />

caso, <strong>per</strong>altro, l’obiettivazione coronarografica<br />

ha mostrato la presenza di stenosi non<br />

critiche, cioè non su<strong>per</strong>iori al 25%).<br />

2. La costante e completa assenza - evidenziata,<br />

<strong>per</strong> esempio, mediante la PET (<strong>11</strong>, 24),<br />

o mediante la RMN (54) - di qualsiasi necrosi<br />

miocardica (d’altronde in concordanza<br />

con la già citata assenza di onde Q), anche<br />

in corrispondenza dell’acinesia apicale.<br />

Eziologia<br />

La Sindrome del Tako-tsubo è sempre associata<br />

al recente intervento - quale fattore scatenante<br />

- di un forte stress psico-emotivo<br />

(Tabella l).<br />

I punti focali consistono nel comprendere:<br />

a - Come mai uno “stressor” di questo genere<br />

- <strong>per</strong> quanto violento, o comunque<br />

“vissuto” soggettivamente in modo dram-


16<br />

Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

TABELLA 1<br />

Stress i<strong>per</strong>acuto come possibile fattore scatenante della cosiddetta “Sindrome del Tako-tsubo”<br />

1 - Psico-distress da <strong>per</strong>dita<br />

a - Luttuosa<br />

Morte del coniuge<br />

Morte di un figlio<br />

Morte di un parente stretto<br />

Morte di un amico fraterno<br />

b - Economica<br />

Fallimento<br />

Dissesto finanziario<br />

Sottrazione (furto; truffa)<br />

Precarietà, instabilità<br />

c - Sociale<br />

Carcerazione<br />

Segregazione<br />

Solitudine<br />

2 - Psico-distress da modificazione<br />

a - Famigliare<br />

Matrimonio<br />

Separazione<br />

Divorzio<br />

b - Lavorativa<br />

Tipo di lavoro<br />

Ambiente di lavoro<br />

Pensionamento<br />

Licenziamento<br />

c - Sociale<br />

Eventi bellici<br />

Cambiamento della situazione<br />

d - Problemi di ambientamento<br />

Emigrazione<br />

Trasloco<br />

Ostilità ambientale<br />

Promiscuità<br />

e - Delusioni<br />

f- Preoccupazioni<br />

g - Incidenti stradali<br />

3 - Psico-distress da disagio<br />

a - Problemi di salute<br />

Malattia <strong>per</strong>sonale<br />

Malattia di un famigliare intimo<br />

Prognosi infausta<br />

b - Problemi sessuali<br />

c - Problemi giudiziari<br />

matico – possa indurre una sintomatologia<br />

soggettiva ed oggettiva inducente a<br />

porre diagnosi di “crisi cardiaca acuta” (6,<br />

8, 13, 15, 44, 48, 56).<br />

Certamente in questo caso la discussione non<br />

può che concernere il modo fondamentale<br />

svolto dal meccanismo mediante il quale queste<br />

forme di “reazione da stress” provocano il<br />

momentaneo dissesto circolatorio: punto che<br />

sarà trattato a proposito delle non poche ipotesi<br />

patogenetiche.<br />

b - Come mai questa sindrome colpisca<br />

quasi esclusivamente il sesso femminile. A<br />

questo proposito sono state formulate<br />

varie ipotesi esplicative, fra le quali appare<br />

preminente l’idea che le donne presentino<br />

una i<strong>per</strong>-sensibilità ed una i<strong>per</strong>-reattività<br />

nei confronti di qualsiasi stressor psicoemozionale<br />

e quindi sollecitino maggiormente<br />

il proprio sistema vegetativo simpatico.<br />

Tuttavia queste teorie (<strong>per</strong> la verità<br />

abbastanza “tradizionali”) urtano contro<br />

parecchie constatazioni s<strong>per</strong>imentali: ad<br />

esempio contrastano con la constatazione<br />

che il sesso maschile possiede ben maggiori<br />

capacità di reagire di fronte ad un<br />

improvviso aumento del tasso ematico di<br />

catecolamine (87-90), logica conseguenza<br />

di qualsiasi impatto con uno stressor.<br />

Un’osservazione, invece, assai più <strong>per</strong>tinente<br />

si riferisce al fatto che quasi tutte le donne<br />

interessate da questo abbastanza strano (e<br />

quasi sempre transitorio) evento cardiovascolare<br />

si trovano nella delicata situazione -<br />

psicoemotiva e neuro-ormonale - correlata al<br />

climaterio, ossia ad una fase particolarmente<br />

delicata della vita muliebre, che comporta una<br />

cospicua “vulnerabilità” vegetativa.<br />

c - Come mai la sindrome del Tako-tsubo,<br />

non ostante la clamorosità cardiovascolare<br />

della sintomatologia, si comporti come<br />

un “evento transitorio” e - salvo casi piuttosto<br />

rari (30, 40, 86) - a risoluzione<br />

favorevole. L’ evoluzione sostanzialmente<br />

benigna sembrerebbe risiedere nel fatto<br />

che manca quasi sempre la presenza di


Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

17<br />

una necrosi miocardica, sicché la situazione<br />

sindromica si configurerebbe in un<br />

quadro solamente disfunzionale, cioè<br />

senza componenti anatomo-patologiche:<br />

almeno <strong>per</strong> quel che concerne la struttura<br />

macroscopica.<br />

Cio che, al contrario, non può esser sottaciuto<br />

concerne l’eziologia psico-emozionale, che<br />

certamente reca un “tassello” supplementare<br />

alla molto discussa teoria secondo cui un adeguato<br />

disturbo psico-emotivo, soprattutto se<br />

sistematicamente reiterato, è in grado di provocare<br />

alterazioni cardiovascolari particolarmente<br />

intense. Le quali - anche in assenza di<br />

lesioni strutturali (leggi: ateromatose) - possono<br />

ugualmente concretare modificazioni funzionali<br />

capaci di determinare (o, quanto<br />

meno, di facilitare), nel tempo, la comparsa di<br />

danni irreparabili. E questo proprio in un<br />

apparato come quello circolatorio estremamente<br />

sensibile ad ogni modificazione indotta<br />

dal sistema neuro-vegetativo, che a sua<br />

volta è correlato in modo stretto e diretto ai<br />

turbamenti della sfera pscoemotiva.<br />

Patogenesi<br />

Dal punto di vista della patogenesi questa<br />

sindrome rappresenta senza dubbio uno<br />

dei molteplici “misteri” della medicina ed in<br />

particolare della cardiologia <strong>per</strong>ché a tutt’oggi<br />

- non ostante siano state in proposito formulate<br />

parecchie ipotesi (che, più sotto, tratterò<br />

in dettaglio) - non si è ancora riusciti a comprendere<br />

il <strong>per</strong>ché il miocardio si comporti in<br />

maniera così anomala, cioè con una ipo-acinesia<br />

della punta cardiaca, quasi sempre<br />

associata ad una sovra-contrazione della porzione<br />

basale della camera ventricolare sinistra.<br />

Un punto patogenetico essenziale sembra<br />

esser rappresentato dall’osservazione che,<br />

come conseguenza dell’intenso turbamento<br />

psico-emotivo, interviene un’attivazione del<br />

sistema nervoso vegetativo che, nel caso dell’insorgenza<br />

della sindrome del Tako-tsubo -<br />

così come accade in concomitanza con altre<br />

sindromi i<strong>per</strong>acute quali: l’ictus (98); le crisi<br />

di asma (91, 92); di feocromocitoma (93-<br />

97); di emorragia sub-aracnoidea (99-104);<br />

e le morti violente (105, 106) - si concreta,<br />

alla <strong>per</strong>iferia circolatoria, in una forte stimolazione<br />

della componente adrenergica, la cui<br />

immediata conseguenza è costituita da un<br />

altrettanto immediato incremento della catecolaminemia<br />

(Schema 1), che realizza una<br />

vera e propria “Sindrome da tossicità adrenergica”,<br />

di cui il “Tako-tsubo” sarebbe una<br />

delle manifestazioni.<br />

L’iter neuronale di questo fenomeno simpaticotonico<br />

è ormai fisiologicamente ben conosciuto<br />

e si realizza secondo due <strong>per</strong>corsi<br />

(Schema 2):<br />

a - Il <strong>per</strong>corso del sistema simpatico<br />

bulbare: il quale, attraverso la mediazione<br />

noradrenergica, provoca alla <strong>per</strong>iferia<br />

un’i<strong>per</strong>-catecolaminemia (vedasi oltre)<br />

responsabile di un “dissesto omeostatico<br />

multiplo” nell’ambito del quale si annoverano<br />

le ben conosciute conseguenze coronariche<br />

ed emodinamiche, nonché le<br />

conseguenze biochimiche rappresentate<br />

principalmente dallo stress ossidativo. La<br />

cui fondamentale caratteristica consiste<br />

nella sovra-produzione di radicali liberi<br />

dell’ossigeno, sempre provocatrice di<br />

cospicui ed irreversibili danni in un tessuto<br />

estremamente sensibile qual’è quello<br />

miocardico (107,108).<br />

b - Il <strong>per</strong>corso del cosiddetto asse ipotalamo-ipofisario:<br />

il quale, mediante la produzione<br />

di ACTH, determina la stimolazione<br />

della corteccia surrenale e quindi la<br />

sovra-produzione dei corticosteroidi, che<br />

concorrono a potenziare l’attività delle<br />

catecolamine.<br />

c - Il <strong>per</strong>corso genericamente definibile<br />

come ipotalamico, responsabile di una<br />

sovra-produzione di NPY e di BNP, ossia<br />

di neuropeptidi recentemente coinvolti in<br />

maniera diretta nell’attivazione cardiovascolare<br />

(109-<strong>11</strong>1).<br />

<strong>Vol</strong>endo, ora, esaminare con maggiore dettaglio<br />

le varie ipotesi patogenetiche, è possibile<br />

farne questa elencazione riassuntiva:<br />

1. Partecipazione coronarica<br />

Descrivendo la sintomatologia ho<br />

precisato che nella quasi totalità dei casi sussiste<br />

un dato abbastanza sconcertante costituito<br />

dalla assenza (o dalla - emodinamica-


18<br />

Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

SCHEMA 1 - CONSEGUENZE DELLA IPER-NORADRENALINEMIA<br />

L’I<strong>per</strong>-noradrenalinemia, che si verifica in corso di psico-neurostress acuto, è una conseguenza diretta dell'attivazione sia centrale, sia<br />

- soprattutto - <strong>per</strong>iferica del sistema simpatico e rappresenta, <strong>per</strong> l'organismo, una delle più gravi conseguenze ad un tempo emodinarniche<br />

acute e biochimiche acute in grado di dissestare rapidamente l'intera orneostasi.<br />

Gli effetti emodinamici si riflettono ovviamente sul sistema cardio-circolatorio e sono rappresentati da:<br />

a - Aumento della frequenza pulsatoria <strong>per</strong> diretta stimolazione dei recettori adrenergici del sistema cardiaco “di conduzione”.<br />

b - Vasospasmo soprattutto arteriolare (quindi micro-circolatorio} <strong>per</strong> diretta stimolazione, anche in questo<br />

caso, degli adrenergo-recettori diffusi nell'albero vascolare (ed ovviamente anche in quello coronarico).<br />

c - Sovra-stimolazione nella produzione di vasopressina e di angiotensina, le cui conseguenze spasmogene<br />

sulla circolazione arteriolare sono ben conosciute.<br />

Gli effetti biochimici interessano l'intero complesso dell'organismo e determinano intrinseche modificazioni<br />

dell'andamento metabolico, i cui molteplici disequilibri sono così elencabili:<br />

1 - Diminuzione nella produzione del nitrossido, accoppiata tanto all'aurnento nella produzione di endoteline,<br />

quanto alla stimolazione degli alfa-adreno-recettori, il che concorre a provocare il vasospasmo arteriolare.<br />

2 - Aumento nella produzione endoteliale delle molecole adesive, che concorrono vivacemente a creare una<br />

condizione generale di trombofilia.<br />

3 - Dissesto metabolico complesso, riassumibile precisando da un lato l'instaurazione di un certo grado di resistenza<br />

insulinica, da un altro lato l'incremento nella produzione citotossica degli FFA e dei radicali liberi (stress ossidativo).<br />

4 - Modificazione delle espressioni biochimiche sia dei leucociti (indotti a su<strong>per</strong>produrre radicali liberi<br />

e citochine, fra cui prevale il TNF-alfa), sia delle piastrine (principali fautrici della tendenza trombifilica).<br />

Neuro-ipofisi<br />

A.D.H.<br />

Neuro-adrenorecettori<br />

C. juxta-glomer.<br />

R.A.A.A.<br />

VASO-<br />

COSTRIZIONE<br />

Medullo-surr.<br />

Nor-adr.<br />

Effetti<br />

emodinamici<br />

Miocardio<br />

Sistema<br />

di conduzione<br />

Adrenergorecettori<br />

Frequenza<br />

beta-R.<br />

alfa-R.<br />

IPER-NORADRE-<br />

NALINEMIA<br />

Arterie<br />

Disfunzione<br />

endoteliale<br />

Alfa-adrenorecettori<br />

Nitrossido<br />

Endoteline<br />

Mol.adesive<br />

Muscoli<br />

Resistenza<br />

insulinica<br />

Fegato<br />

Pancreas<br />

Produzione<br />

di insulina<br />

Effetti<br />

biochimici<br />

Tessuto<br />

adiposo<br />

FFA<br />

Radicali liberi<br />

DISSESTO<br />

METABOLICO<br />

Leucociti<br />

TNF-alfa<br />

Piastrine<br />

Adesioneaggregazione<br />

Trombofilia


Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

19<br />

SCHEMA 2 - POSSIBILE INTERPRETAZIONE PATOGENETICA DELLA “SINDROME DEL TAKO-TSUBO”<br />

Un intenso ed improvviso psico-distress (soprattutto se vissuto in modo esageratamente “drammatico”) può provocare<br />

in determinati soggetti - complice una forte i<strong>per</strong>-catecolaminemia - la comparsa di rnodificazioni funzionali miocardiche<br />

espresse da un'alterazione discinetica, ma reversibile, della sistole del ventricolo sinistro (contrattura della base e dilatazione<br />

“a palloncino” dell'apice). Tale psico-distress acuto - tramite le non conosciute interazioni fra psiche e cervello -<br />

provocherebbe, simultaneamente all'attivazione emozionale ed all’elaborazione cognitiva, una su<strong>per</strong>-stimolazione dei<br />

centri vegetativi su<strong>per</strong>iori, le cui immediate conseguenze sarebbero costituite da una sollecitazione sia dell’asse ipotalamo-ipofisario,<br />

sia del sistema vegetativo simpatico, accompagnata da una possibile sovra-produzione di neuropeptidi<br />

vasoattivi, quali l'NPY ed il BNP.<br />

L'attivazione ipotalarno-ipofisaria si estrinsecherebbe con l'intensificazione nella produzione dell' ACTH, il cui “target” cortico-surrenale,<br />

provocherebbe un aumento nella biosintesi e nell'increzione dei cortico-steroidi.<br />

L'attivazione del sistema simpatico determinerebbe, dal canto suo, un'eccitazione funzionale tanto della midollare surrenale,<br />

quanto e sopratutto del sistema simpatico <strong>per</strong>iferico, le cui disastrose conseguenze si compendiano in una forte<br />

i<strong>per</strong>-noradrenalinernia (<strong>per</strong>altro spesso documentata nei pazienti colpiti dalla presente sindrome).<br />

Le conseguenze di questi fenomeni sarebbero costituite tanto da uno stordimento miocardico (myocardial stunning),<br />

quanto da uno spasmo micro-coronarico, contemporaneamente<br />

responsabili di quella inconsueta discinesia miocardica<br />

sintetizzata dal nome di “Sindrome del Tako-tsubo”.<br />

PSICO-STRESS<br />

IPERACUTO<br />

INTERAZIONI<br />

PSICHE-CERVELLO<br />

Elaborazione<br />

cognitiva<br />

Attivazione<br />

emozionale<br />

CENTRI<br />

VEGETATIVI<br />

SUPERIORI<br />

Ipotalamo<br />

Ipofisi<br />

SIMPATICO<br />

CENTRALE<br />

Cortico-surrene<br />

Accanto ed in rafforzamento di questo deragliamento funzionale<br />

si determinerebbe - sempre in conseguenza dell'i<strong>per</strong>-catecolaminemia<br />

- una condizione di stress ossidativo<br />

condizionatore di una necrosi delle bande sarcomeriche<br />

miocardiche (evidenziata in parecchi re<strong>per</strong>ti miocardio-bioptici).<br />

Medullosurrene<br />

Simpatico<br />

<strong>per</strong>iferico<br />

NPY<br />

BNP<br />

Cortico-steroidi<br />

IPER-NORADRE-<br />

NALINEMIA<br />

Sovracontrazione<br />

basilare<br />

STORDIMENTO<br />

MIOCARDICO<br />

IPO-ACINESIA<br />

APICALE<br />

Stress<br />

ossidativo<br />

Microspasmo<br />

coronarico<br />

Band-necrosis<br />

dei sarcomeri<br />

SINDROME DEL<br />

TAKO-TSUBO


20<br />

Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

mente - non rilevanza) di lesioni ateromasiche<br />

dell’albero coronarico: questo induce a pensare<br />

che il quadro elettrocardiografico (<strong>per</strong>altro<br />

assai “clamoroso” in senso ischemico), sia quasi<br />

sempre di tipo funzionale e quindi transitorio.<br />

Tuttavia è proprio su questo punto che possono<br />

sorgere dei dubbi patogenetici dal momento<br />

che le uniche due piu verosimili interpretazioni<br />

concernono eventualità non del tutto<br />

convincenti e precisamente:<br />

- Che possa essersi verificato uno spasmo<br />

delle arterie coronarie epicardiche (13, 15,<br />

59). Il punto critico è rappresentato dalla<br />

esclusiva localizzazione all’apice del ventricolo<br />

sinistro. In soccorso - <strong>per</strong> così dire - di<br />

questa specifica localizzazione sussisterebbe<br />

la constatazione anatomica secondo la<br />

quale l’apice del ventricolo sinistro sarebbe<br />

costituito soltanto da tre strati miocardici<br />

(<strong>11</strong>2) e costituirebbe quindi un punto<br />

“debole” (o, se si vuole, particolarmente<br />

“sensibile”: <strong>11</strong>3-<strong>11</strong>6) di tutta la molto complicata<br />

struttura del muscolo cardiaco.<br />

- Che possa essersi verificato un diffuso spasmo<br />

della micro-circolazione coronarica<br />

(9, 51, 52, 56, 75): considerazione patogenetica<br />

che possiede una corrispondenza<br />

piuttosto importante costituita dalla cosiddetta<br />

“Sindrome X coronarica” [o angina<br />

microvascolare (<strong>11</strong>7)]. In quest’ultimo<br />

caso la patogenesi più verosimile potrebbe<br />

fare riferimento alla molteplice convergenza<br />

patogenetica - compendiata nella<br />

Sindrome Metabolica (<strong>11</strong>8-120) - tanto<br />

della “resistenza insulinica” quanto della<br />

“normalità strutturale, ma non funzionale,<br />

della circolazione coronarica”, quanto in fine<br />

della disfunzione endoteliale connessa all’i<strong>per</strong>-simpaticotonia<br />

(121).<br />

2. Partecipazione miocardica basale<br />

L’i<strong>per</strong>-catecolaminemia potrebbe<br />

provocare un’i<strong>per</strong>contrazione della base del<br />

miocardio ventricolare: il che spiegherebbe<br />

la conseguente dilatazione apicale sistolica.<br />

L’ipotesi sembrerebbe avvalorata dall’osservazione<br />

che in parecchi soggetti presentanti<br />

questa forma di ipo-acinesia miocardica apicale<br />

la somministrazione di dobutamina<br />

(cioè di una catecolamina) provoca effettivamente<br />

un’ostruzione dinamica transitoria<br />

delle porzioni basilari del ventricolo sinistro<br />

(44, 66, 74, 122).<br />

3. Stordimento miocardico<br />

La sovra-stimolazione adrenergica<br />

consecutiva all’i<strong>per</strong>-catecolaminemia porta<br />

sempre ad un generale “stordimento miocardico”<br />

(44, 56, 123), le cui espressioni biochimche<br />

si concreterebbero in un insulto diretto dei<br />

miocardiociti in grado di provocare una necrosi<br />

da i<strong>per</strong>contrazione dei sarcomeri (contraction<br />

band necrosis: 58-62, 124). In altre parole:<br />

un sovraccarico (probabilmente AMP-mediato)<br />

di calcio-ioni responsabile della morte dei<br />

miocardiociti caratterizzata da un’infiltrazione<br />

sia di eosinofili, sia di monociti-macrofagi (del<br />

tutto diversa da quella propria dell’infarto<br />

miocardico in cui, invece, predomina l’infiltrazione<br />

dei polimorfonucleati).<br />

Terapia<br />

La Sindrome del Tako-tsubo - in quanto<br />

“crisi cardiaca” - va ovviamente trattata<br />

secondo i classici canoni terapeutici consoni<br />

a questo evento, tanto più che nella quasi<br />

totalità dei casi (almeno nelle fasi iniziali)<br />

questa sindrome viene diagnosticamente<br />

interpretata come una forma di ischemia<br />

miocardica acuta.<br />

La sua rapida e pressocché costante evoluzione<br />

favorevole consiglia tuttavia la prosecuzione<br />

di un trattamento, caso <strong>per</strong> caso<br />

adeguato, in funzione della sintomatologia<br />

in atto.<br />

Comunque la sua risoluzione esige sempre<br />

una terapia orientata sia verso l’indubbia<br />

componente psicologica, sia verso l’evidenza<br />

che il bersaglio preferenziale di qualsiasi<br />

futura “reazione da stress” sarà probabilmente<br />

l’apparato circolatorio.


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Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

25<br />

I disturbi dell’equilibrio nella terza età.<br />

Giorgio Guidetti<br />

Premessa<br />

L’equilibrio è legato principalmente al<br />

corretto funzionamento, di tre input sensoriali:<br />

vestibolare, visivo e propriocettivo. La<br />

coo<strong>per</strong>azione e l’integrazione di queste tre<br />

diverse informazioni a livello del sistema<br />

nervoso centrale sono indispensabili <strong>per</strong> il<br />

corretto controllo del nostro corpo in condizioni<br />

statiche e dinamiche e <strong>per</strong> l’orientamento<br />

spazio-temporale.<br />

Un evento acuto che danneggi una componente<br />

della rete neuronale deputata all’equilibrio,<br />

come ad esempio la <strong>per</strong>dita di un labirinto,<br />

provoca violenti disturbi.<br />

Immediatamente si attivano dei meccanismi<br />

di adattamento centrale e di compenso sensoriale,<br />

finalizzati sia al recu<strong>per</strong>o del controllo<br />

oculomotorio, con relativa scomparsa del<br />

nistagmo e quindi della sensazione rotatoria<br />

dell’ambiente circostante, che dell’assetto<br />

posturale statico e dinamico, con relativa<br />

scomparsa dell’atassia e dell’instabilità.<br />

L’efficienza di tale recu<strong>per</strong>o, la sua completezza<br />

ed i tempi di realizzazione, sono legati<br />

a diversi fattori.<br />

Le abitudini di vita sedentarie ed un atteggiamento<br />

psicologico ansioso-depressivo, ad<br />

esempio, l’ostacolano. Altrettanto influenti<br />

sono l’efficienza degli input vestibolari controlaterali<br />

e di quelli visivi e propriocettivi,<br />

che possono consentire meccanismi di compenso<br />

vicariante, ed il grado di plasticità dei<br />

neuroni cerebrali e cerebellari che devono<br />

garantire i processi di adattamento.<br />

La senescenza coinvolge in maniera globale<br />

l’organismo umano ed interferisce anche con<br />

i complessi meccanismi preposti a regolare<br />

l’equilibrio (Tabella 1).<br />

È dunque facilmente comprensibile come i<br />

fenomeni legati all’invecchiamento possano<br />

modificare anche i complessi meccanismi preposti<br />

a regolare l’equilibrio e quindi i corretti<br />

rapporti tra il soggetto e l’ambiente circostante<br />

in condizioni sia statiche che dinamiche.<br />

I disturbi dell’equilibrio rappresentano <strong>per</strong>tanto<br />

un evento molto comune nella vecchiaia,<br />

infatti:<br />

Tabella 1.<br />

Principali fattori nella età senile predisponenti al disequilibrio.<br />

Fattori favorenti<br />

Invecchiamento fisiologico<br />

o patologia dell’apparato vestibolare<br />

Stile di vita sedentario<br />

DISEQUILIBRIO SENILE<br />

Effetti<br />

Ridotta efficienza<br />

dei riflessi vestibolari<br />

Ridotto utilizzo del controllo dell’equilibrio,<br />

<strong>per</strong>dita di confidenza<br />

Ridotto controllo dell’equilibrio,<br />

Ridotta efficienza<br />

degli input sensorial i ridotto compenso sensoriale vicariante<br />

Aumentato consumo di farmaci<br />

Rallentamento dei riflessi,<br />

difficoltà di compenso vestibolare<br />

Servizio di Vestibologia e Rieducazione Vestibolare Azienda USL di Modena


26<br />

Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

Tabella 2.<br />

Principali cause <strong>per</strong>iferiche di vertigine nell’anziano.<br />

PATOLOGIA<br />

Labirintolitiasi<br />

Neuronite vestibolare<br />

Malattia di Meniere<br />

Fistola <strong>per</strong>ilinfatica/otite cronica<br />

Neoplasie dell’angolo ponto-cerebellare<br />

Tossicità da farmaci (es: gentamicina)<br />

Disturbi del microcircolo<br />

ALTRI SINTOMI ASSOCIATI<br />

Nausea, vomito<br />

Disequilibrio<br />

Ipoacusia fluttuante, tinnito<br />

Perdita o diminuzione dell’udito, otalgia<br />

Diminuzione udito, otalgia, disequilibrio<br />

Disequilibrio<br />

Diminuzione udito, acufeni, disequilibrio<br />

l’instabilità posturale costituisce una<br />

delle cause più frequenti di ricorso al<br />

medico di famiglia nei soggetti di età<br />

oltre i 70 anni;<br />

la prevalenza di vertigine e disequilibrio<br />

è pari al 47% nei maschi e al 61% nelle<br />

femmine di età su<strong>per</strong>iore ai 70 anni;<br />

l’incidenza di caduta a terra improvvisa<br />

in età su<strong>per</strong>iore ai 65 anni varia tra<br />

il 20% e il 40%.<br />

A questo proposito, l’Istat stima che in Italia<br />

la prima causa di incidente domestico sia<br />

rappresentata proprio dalle cadute, che sono<br />

al primo posto come causa di ricovero e<br />

decesso in questi casi.<br />

A preoccupare non sono solo le conseguenze<br />

fisiche della caduta ma anche le ri<strong>per</strong>cussioni<br />

psicologiche come la paura di cadere di<br />

nuovo, “che possono accelerare il declino funzionale<br />

e generare depressione e isolamento<br />

sociale”.<br />

In più, i traumi da caduta hanno anche un<br />

costo in termini economici: secondo dati del<br />

Sindaca, (Sistema informativo nazionale<br />

sugli infortuni in ambienti di civile abitazione<br />

dell’Iss).<br />

In Italia il costo unitario <strong>per</strong> ricovero da incidente<br />

domestico, la cui causa prevalente è la<br />

caduta, è di circa 3.000 euro.<br />

Una riduzione del 20% delle cadute consentirebbe<br />

circa 27.000 ricoveri in meno su base<br />

annua.<br />

I disturbi dell’equilibrio rappresentano <strong>per</strong>tanto<br />

un evento molto comune nella vecchiaia<br />

e sono riconducibili alla presbiatassia,<br />

cioè al generico disturbo vertiginoso-posturale<br />

ad eziologia multifattoriale correlato con<br />

il parafisiologico deterioramento dell’intero<br />

sistema dell’equilibrio, oppure a specifiche<br />

patologie di tipo vestibolare <strong>per</strong>iferico<br />

(Tabella 2), centrale (Tabella 3), o ad altre<br />

noxe extravestibolari (Tabella 4) che possono<br />

influenzare direttamente o indirettamente il<br />

controllo dell’equilibrio.<br />

Le vertigini nell’anziano da causa <strong>per</strong>iferica<br />

sono contraddistinte in genere da vere vertigini<br />

rotatorie.<br />

I disturbi centrali invece sono generalmente<br />

contraddistinti da dizziness (instabilità, atassia,<br />

insicurezza, difficoltà nei movimenti,<br />

senso di stordimento, disorientamento spaziale),<br />

più raramente si tratta di vere vertigini<br />

rotatorie, e nella maggior parte dei casi<br />

rientrano in un corteo sintomatologico più<br />

complesso di sofferenza del sistema nervoso<br />

centrale, diverso a seconda del tipo di patologia<br />

e delle sedi interessate.<br />

Altre patologie possono provocare disturbi<br />

dell’equilibrio in modo diretto (ad esempio<br />

alterando l’afflusso ematico all’apparato<br />

vestibolare a livello <strong>per</strong>iferico e/o centrale, in<br />

modo episodico o saltuario), favorire patologie<br />

vestibolari o neurologiche (ad esempio<br />

provocando ischemie acute o croniche)<br />

oppure interagendo sulla funzione dell’equilibrio<br />

mediante l’alterazione degli input propriocettivi<br />

(ad esempio quelli cervicali nel<br />

caso dell’artrosi cervicale).<br />

Anche in questo caso si tratta in genere di<br />

sintomi del tipo dizziness e solo raramente<br />

di vere vertigini rotatorie soggettive o<br />

oggettive.


Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

27<br />

Tabella 3.<br />

Principali cause centrali di “vertigine” nell’anziano.<br />

PATOLOGIA<br />

TIA, RIND e Stroke del territorio vertebro-basilare<br />

Disturbi del circolo cerebrale anteriore<br />

Morbo di Parkinson e patologie extrapiramidali<br />

Neoplasie cerebrali<br />

Epilessia<br />

Patologie degenerative<br />

Demenza (fasi iniziali)<br />

Traumi cranici<br />

ALTRI SINTOMI ASSOCIATI<br />

Disturbi neurologici vari <strong>per</strong> lesioni in particolare<br />

del tronco o del cervelletto<br />

Disturbi neurologici vari<br />

Sindrome extrapiramidale<br />

Disturbi neurologici vari<br />

Crisi comiziali<br />

Disturbi neurologici vari<br />

Disorientamento, disturbi della memoria<br />

Disturbi neurologici vari<br />

Principi di terapia<br />

Nella scelta della terapia farmacologica<br />

antivertiginosa nel paziente anziano<br />

occorrerà in particolare:<br />

1. limitare alle sole fasi acute di una vestibolopatia<br />

l’uso dei sintomatici ad azione<br />

sedativa (ad esempio: fenotiazine, antistaminici,<br />

benzodiazepine, difenilpi<strong>per</strong>azine);<br />

2. privilegiare i farmaci con attività modulatoria<br />

e nootropa;<br />

Tabella 4.<br />

Altre patologie con possibile influenza<br />

diretta o indiretta sull’equilibrio<br />

nell’anziano.<br />

Stenosi aortica<br />

Sindrome da i<strong>per</strong>sensibilità del seno carotideo<br />

Disritmie cardiache<br />

Ipotensione ortostatica<br />

Vasculiti autoimmuni<br />

Stenosi della carotide<br />

Sindrome da furto della succlavia<br />

Anemie<br />

Sindrome da i<strong>per</strong>viscosità<br />

Dislipidemie di vario tipo<br />

Diabete mellito<br />

I<strong>per</strong>ventilazione<br />

I<strong>per</strong> o ipoglicemia<br />

Artrosi cervicale<br />

Polineuropatia sensitivo-motoria<br />

Depressione e altri disturbi psichici<br />

3. evitare i farmaci con maggior probabilità<br />

di effetti indesiderati nel soggetto<br />

anziano;<br />

4. prestare particolare attenzione alla compliance.<br />

Nelle forme acute occorrerà anzitutto ridurre<br />

la sintomatologia, senza <strong>per</strong>ò ostacolare<br />

l’instaurarsi dei processi centrali di adattamento<br />

e compenso funzionale.<br />

Nelle forme cronizzate occorrerà soprattutto<br />

favorire lo sviluppo di tali processi, in<br />

gran parte caratterizzati dai processi di<br />

modulazione centrale degli input sensoriali,<br />

memorizzazione delle nuove es<strong>per</strong>ienze e<br />

messa a punto di procedure motorie adattative.<br />

Nelle forme ricorrenti, come alcuni casi di<br />

vertigine parossistica da posizionamento o la<br />

Malattia di Menière, occorrerà cercare anche<br />

di contrastare i relativi meccanismi patogenetici<br />

(ad esempio i disturbi del microcircolo<br />

o la formazione dell’idrope).<br />

Betaistina dicloridrato<br />

È un farmaco ampiamente utilizzato nel trattamento<br />

dei disordini vestibolari <strong>per</strong>iferici e<br />

centrali.<br />

È un farmaco che si distingue <strong>per</strong> una attività<br />

di tipo modulatorio, non sedativo, caratterizzato<br />

da una ottima tollerabilità. La sua attività<br />

è dovuta ad un meccanismo d’azione<br />

multiplo:<br />

1. <strong>per</strong>ifericamente riduce l’attività spontanea<br />

dei recettori ampollari labirintici;


28<br />

Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

Tabella 5.<br />

Trattamento con betaistina delle più comuni patologie causa di vertigine o disequilibrio<br />

con coinvolgimento della funzione vestibolare.<br />

PATOLOGIA FASE ACUTA FASE CRONICA O RICORRENTE<br />

Presbiatassia<br />

- betaistina 24 mg x 2/die<br />

- neurotropi<br />

Vertigini parossistiche manovre liberatorie o - betaistina 24 mg x 2/die<br />

da posizionamento<br />

di riposizionamento<br />

Malattia di Menière - betaistina 16 mg x 3/die - betaistina 24 mg x 2/die<br />

- sedativi, antiidropici - ansiolitici<br />

ed antinausea<br />

- prevenzione dell’idrope<br />

Neurite vestibolare - betaistina 16 mg x 3/die, - betaistina 24 mg x 2/ die<br />

- sedativi ed antinausea - neurotropi<br />

- cortisonici, neurotropi<br />

Disturbi del microcircolo - betaistina 16 mg x 3/ die - betaistina 24 mg x 2/die<br />

labirintico - farmaci sedativi ed antinausea - prevenzione sui meccanismi<br />

- farmaci attivi sul meccanismo eziopatogenetici,<br />

patogenetico circolatorio<br />

- neurotropi<br />

- neurotropi<br />

2. centralmente, tramite una attività histamine-like<br />

agonista sui recettori H1 ed<br />

antagonista sui recettori H3, modula la<br />

sintesi e il rilascio di vari neurotrasmettitori,<br />

in primis l’istamina, con miglioramento<br />

dei processi di adattamento e<br />

compenso funzionale dell’equilibrio statico<br />

e dinamico;<br />

3. a livello microcircolatorio del labirinto<br />

e del sistema arterioso vertebrobasilare,<br />

stimola direttamente i recettori H1 localizzati<br />

sulle cellule endoteliali dei capillari<br />

provocando una vasodilatazione e<br />

favorendo il riassorbimento di un’eventuale<br />

idrope labirintica.<br />

Nella maggior parte dei più importanti studi<br />

clinici condotti con betaistina (che hanno<br />

coinvolto oltre 4000 pazienti) i risultati più<br />

soddisfacenti sono stati raggiunti con terapie<br />

della durata di 1-6 mesi e con dosi fino a 48<br />

mg/die. Inoltre, un recente studio di farmacologia<br />

ha dimostrato che l’attività di betaistina<br />

è sia dose che durata dipendente. In<br />

base a queste premesse, betaistina dovrebbe<br />

essere preferibilmente somministrata alla<br />

massima dose giornaliera autorizzata (fino a<br />

48 mg die) <strong>per</strong> un tempo il più lungo possibile.<br />

Il trattamento può essere modulato come<br />

segue:<br />

nelle forme acute è preferibile una tripla<br />

somministrazione giornaliera di 16<br />

mg di betaistina <strong>per</strong> alcuni giorni, che<br />

garantisca l’attività inibitoria a livello del<br />

recettore vestibolare <strong>per</strong>iferico e modulatoria<br />

a livello del SNC in modo più<br />

costante ed omogeneo nel tempo.<br />

nelle forme cronicizzate e ricorrenti,<br />

in cui la terapia va abitualmente protratta<br />

<strong>per</strong> cicli ripetuti, è opportuno mantenere<br />

lo stesso dosaggio massimo giornaliero<br />

(48 mg die) privilegiando <strong>per</strong>ò la<br />

compliance ed affidandosi quindi alla<br />

doppia somministrazione di 24 mg.<br />

Un soggetto anziano, infatti, assume già abitualmente<br />

vari farmaci e pare poco probabile<br />

che possa accettare una terapia prolungata<br />

con ulteriori tre somministrazioni giornaliere.<br />

La Tabella 5 riporta alcuni esempi di trattamento<br />

nelle forme di disturbo dell’equilibrio<br />

più comuni nella terza età con coinvolgimento<br />

della funzione vestibolare.<br />

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Tratto da<br />

2/2007


30<br />

Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

Endometriosi: quanto dura l’effetto ipoestrogenico<br />

della triptorelina depot<br />

Pietro Cazzola<br />

Introduzione<br />

Quando una patologia è oggetto<br />

di un documento sottoscritto<br />

da duecentosessantasei membri<br />

del Parlamento Europeo significa<br />

che essa ha una grande rilevanza<br />

sociale e necessita <strong>per</strong>ciò di particolare<br />

considerazione da parte delle<br />

Autorità governative e sanitarie,<br />

nonché, ovviamente, dell’intera<br />

classe medica. Con la Written Declaration<br />

on Endometriosis (1), infatti,<br />

viene ricordato che:<br />

nell’Unione Europea l’endometriosi<br />

colpisce una donna su dieci;<br />

nell’Unione Europea l’onere annuale<br />

dei congedi dovuti a tale<br />

affezione viene stimato in 30 miliardi<br />

di euro;<br />

non esiste una giornata europea<br />

dell’endometriosi e la conoscenza<br />

di tale malattia, sia tra i medici<br />

che nella popolazione, è<br />

scarsa.<br />

Nello stesso documento, inoltre,<br />

viene sollecitata la Commissione<br />

Europea affinché, tra l’altro, favorisca<br />

la ricerca sulle cause, la prevenzione<br />

e sul trattamento di tale<br />

patologia.<br />

Definizione<br />

di endometriosi<br />

Con “endometriosi” si definisce<br />

un’affezione caratterizzata dalla<br />

presenza in sedi localizzate all’esterno<br />

della cavità uterina di tes-<br />

Specialista in Anatomia e Istologia Patologica<br />

e Tecniche di Laboratorio, Milano<br />

suto simil-endometriale che determina<br />

una reazione infiammatoria<br />

cronica (2).<br />

La maggior parte dei foci endometriosici<br />

ha sede a livello pelvico<br />

(ovaie, <strong>per</strong>itoneo, legamenti uterosacrali<br />

cavo del Douglas e setto retto-vaginale),<br />

mentre foci extrapelvici<br />

sono rari.<br />

La manifestazione della malattia varia<br />

da piccole lesioni a cisti endometriosiche,<br />

fibrosi e aderenze di<br />

tale gravità da sovvertire l’apparato<br />

riproduttivo della donna e condizionarne<br />

la fertilità.<br />

Dell’endometriosi sono state proposte<br />

diverse classificazioni, ma la<br />

più utilizzata è quella dell’American<br />

Society of Reproductive Medicine (3)<br />

che, in base alla gravità, identifica<br />

quattro stadi della malattia.<br />

Sfortunatamente, <strong>per</strong>ò, essa non<br />

consente di prevedere, in rapporto<br />

allo stadio, ne le probabilità di<br />

gravidanza, né l’entità del dolore<br />

che la donna patirà, né l’efficacia<br />

del trattamento su quest’ultimo.<br />

Epidemiologia<br />

dell’endometriosi<br />

I dati diffusi dalla Fondazione<br />

Italiana Endometriosi indicano<br />

che tale affezione interessa 14 milioni<br />

di donne in Europa e 3 milioni<br />

in Italia, con una spesa annua<br />

<strong>per</strong> il Sistema Sanitario Nazionale<br />

di 182 milioni di euro (4).<br />

Nelle donne tra i 25-44 anni l’incidenza<br />

dell’endometriosi si aggira<br />

intorno al 10-15% ed è maggiore<br />

del 5-7% nelle parenti di primo<br />

grado di donne affette da endometriosi<br />

(5, 6).<br />

È stato osservato che circa il 35%<br />

delle donne con infertilità è affetta<br />

da endometriosi (7).<br />

Tuttavia all’ampia diffusione della<br />

malattia non corrisponde una rapidità<br />

nella diagnosi: questa viene<br />

raggiunta in media dopo 8,5 anni<br />

in USA, 8 anni in UK e 6,7 anni in<br />

Norvegia (8). Secondo un recente<br />

studio i motivi di tale ritardo sono<br />

da ricercarsi sia a livello delle pazienti<br />

(incapacità di distinguere tra<br />

es<strong>per</strong>ienze mestruali normali e anormali,<br />

paura di apparire deboli, sviluppo<br />

di strategie tendenti più ad<br />

accomodare che a scoprire la causa<br />

del dolore), sia a livello dei medici<br />

(“normalizzazione” del dolore da parte<br />

del medico di famiglia, soppressione<br />

intermittente dei sintomi con<br />

la pillola anticoncezionale, uso di<br />

esami non discriminanti) (8).


Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

31<br />

Eziopatogenesi<br />

dell’endometriosi<br />

L’eziopatogenesi dell’endometriosi<br />

non è nota. In proposito esistono<br />

diverse teorie, ma nessuna di<br />

esse è in grado di fornire spiegazioni<br />

che siano valide <strong>per</strong> <strong>tutti</strong> i casi.<br />

L’ipotesi più diffusamente accettata<br />

è quella della mestruazione retrograda<br />

o trans-salpingea, secondo la<br />

quale del tessuto endometriale, presente<br />

nel flusso mestruale, risalirebbe<br />

le tube <strong>per</strong> impiantarsi nella<br />

cavità addominale.<br />

Accanto a questa teoria si collocano<br />

il trasporto in sedi lontane delle<br />

cellule endometriali attraverso la<br />

via linfatica e/o ematica e la trasformazione<br />

dell’epitelio celomatico<br />

in ghiandole simil-endometriali<br />

(metaplasia celomatica). Inoltre,<br />

la maggiore incidenza dell’endometriosi<br />

in alcuni gruppi familiari,<br />

suggerisce che l’ereditarietà possa<br />

essere un fattore causale (6).<br />

I sintomi<br />

dell’endometriosi<br />

Il modo con cui l’endometriosi<br />

si presenta clinicamente è<br />

multiforme e l’estrema variabilità<br />

dei sintomi rende spesso difficile la<br />

diagnosi (Tabella 1).<br />

Il sintomo più comune è la disme-<br />

Tabella 1.<br />

Principali sintomi di endometriosi (9).<br />

Dismenorrea<br />

Dolore pelvico<br />

Dispareunia<br />

Lombalgia<br />

Dischezia<br />

Dolore minzionale sovrapubico<br />

Infertilità<br />

norrea e spesso la paziente si rivolge<br />

al medico quando essa diventa<br />

ingravescente (9).<br />

Nel 15% dei casi di dolore pelvico<br />

la causa è rappresentata dall’endometriosi<br />

(10).<br />

In aggiunta al dolore le pazienti<br />

possono accusare sintomi aspecifici<br />

come affaticabilità, malessere<br />

generale e disturbi del sonno (9).<br />

Diagnosi<br />

di endometriosi<br />

L’elevata incidenza di sintomi<br />

non legati alla sfera sessuale con<br />

cui si manifesta l’endometriosi rende<br />

conto dei risultati di un’indagine<br />

condotta dalla National Endometriosis<br />

Society (UK) che ha evidenziato<br />

che il 32% delle pazienti prima<br />

di essere visitata da un ginecologo<br />

consulta un’altro specialista e<br />

che il 25% addirittura due (9).<br />

La diagnosi di endometriosi sulla<br />

sola base dei sintomi può essere<br />

molto difficile <strong>per</strong>chè questi possono<br />

essere sovrapponibili a quelli<br />

della sindrome dell’intestino irritabile<br />

e della malattia pelvica infiammatoria<br />

(2).<br />

Il test diagnostico gold standard <strong>per</strong><br />

l’endometriosi è rappresentato dall’ispezione<br />

diretta della pelvi mediante<br />

laparoscopia e l’esame istologico<br />

della lesione serve a conferma<br />

della diagnosi (l’istologia negativa<br />

non la esclude) (2).<br />

Trattamento<br />

dell’endometriosi<br />

Il trattamento dell’endometriosi<br />

deve tenere conto dell’età<br />

della paziente, del suo desiderio<br />

di una gravidanza futura, della gravità<br />

dei sintomi e della localizzazione<br />

ed estensione della lesione.<br />

La terapia dell’endometriosi è variata<br />

nel corso degli anni, ma una<br />

cura certa non è ancora disponibile<br />

(<strong>11</strong>).<br />

Il counseling prevede l’incentivazione<br />

della gravidanza <strong>per</strong> due<br />

principali motivi: 1) la gravidanza<br />

spesso causa una remissione temporanea<br />

della sintomatologia e 2)<br />

l’insorgenza della sterilità diventa<br />

più probabile con il progredire della<br />

malattia (<strong>11</strong>).<br />

Ovviamente questa modalità “terapeutica”<br />

non è scevra di problemi<br />

facilmente intuibili.<br />

La rimozione chirurgica degli impianti<br />

endometriosici rappresenta<br />

il trattamento ideale, tuttavia l’es<strong>per</strong>ienza<br />

clinica dimostra che alcune<br />

donne non hanno i benefici<br />

attesi sia a causa di escissioni incomplete,<br />

sia <strong>per</strong> recidiva della malattia<br />

e sia <strong>per</strong>chè l’endometriosi<br />

non era la causa della loro sintomatologia<br />

(2, 9).<br />

La terapia medica dell’endometriosi,<br />

escludendo i FANS che alcune<br />

donne assumono nel tentativo<br />

[non supportato da evidenze<br />

scientifiche (2)] di risolvere il dolore,<br />

si fonda sulla necessità di abolire<br />

l’effetto trofico dell’estradiolo sul<br />

tessuto endometriale ectopico (9).<br />

Si tratta in pratica di determinare<br />

un quadro di pseudo-gravidanza o<br />

di pseudo-menopausa o di anovulazione<br />

cronica (12).<br />

Nella Tabella 2 sono indicati i farmaci<br />

comunemente impiegati <strong>per</strong><br />

la cura dell’endometriosi e i relativi<br />

effetti collaterali.<br />

Tutti questi farmaci ormonali sono<br />

risultati efficaci e circa l’80-85%<br />

delle pazienti ha avuto un miglioramento<br />

dei loro sintomi (2, 9).<br />

Le differenze tra i vari trattamenti<br />

medici risiedono principalmente<br />

negli schemi posologici e nella loro<br />

tollerabilità: infatti alcuni effetti<br />

collaterali limitano il loro impiego<br />

<strong>per</strong> <strong>per</strong>iodi prolungati e spesso<br />

riducono la compliance (2, 9).


32<br />

Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

Tabella 2.<br />

Farmaci <strong>per</strong> il trattamento dell’endometriosi (9).<br />

Farmaco<br />

Antinfiammatori non steroidei (FANS)<br />

(diclofenac, ibuprofene, acido mefenamico, ecc.)<br />

Progestinici<br />

(diidrogesterone, medrossiprogesterone acetato,<br />

noretisterone)<br />

Androgeni sintetici<br />

(danazolo, gestrinone)<br />

Estro-progestinici<br />

Analoghi del GnRH<br />

(buserelina, goserelina, leuprorelina acetato,<br />

nafarelina, triptorelina)<br />

Analoghi del GnRH e terapia ormonale sostitutiva<br />

o tibolone<br />

Effetti collaterali<br />

Irritazione gastrica<br />

Edemi, ritenzione di fluidi, tensione mammaria, nausea<br />

Seborrea, acne, aumento di peso, crampi muscolari,<br />

sintomi della menopausa (tranne osteoporosi)<br />

Simili a quelli associati ai contraccettivi orali<br />

Sintomi della menopausa (compreso osteoporosi)<br />

La terapia ormonale sostitutiva migliora gli effetti<br />

collaterali degli analoghi del GnRH<br />

Gli analoghi del GnRH<br />

Gli analoghi del gonadotropinreleasing<br />

hormone (GnRH) bloccano<br />

la liberazione di LH e FSH da parte<br />

dell’ipofisi, determinando una condizione<br />

di ipogonadismo ipogonadotropo,<br />

con conseguente ipoestrogenismo<br />

che favorisce la remissione<br />

delle lesioni endometriosiche.<br />

È stato ipotizzato che <strong>per</strong> raggiungere<br />

questo risultato è necessario<br />

arrivare a un livello plasmatico di<br />

estrogeni pari a 50 pg/mL (13) e gli<br />

analoghi del GnRH sarebbero i farmaci<br />

più efficaci in tal senso, <strong>per</strong>chè<br />

determinano concentrazioni<br />

plasmatiche di estradiolo nettamente<br />

inferiori e più stabili rispetto<br />

ad altri trattamenti (12).<br />

Gli effetti collaterali della terapia<br />

con analoghi del GnRH sono quelli<br />

di uno stato di ipoestrogenismo,<br />

similmente a quanto accade durante<br />

la menopausa.<br />

La <strong>per</strong>dita di densità minerale ossea<br />

rappresenta l’effetto avverso più<br />

importante, ma l’aggiunta di estroprogestinici<br />

(add-back therapy) si è<br />

rilevata in grado di contrastare efficacemente<br />

questa evenienza (14).<br />

Quanto debba durare il trattamento<br />

con analoghi del GnRH + addback<br />

therapy non è ancora completamente<br />

chiarito, tuttavia osservazioni<br />

protratte fino a 2 anni hanno<br />

evidenziato che l’efficacia sul dolore<br />

e la protezione sulla densità minerale<br />

ossea si mantengono inalterate<br />

<strong>per</strong> tutto tale <strong>per</strong>iodo (14).<br />

Gli analoghi del GnRH sono disponibili<br />

in diverse formulazioni: (iniezioni<br />

giornaliere, spray nasale, depot),<br />

ma le preparazioni depot sono<br />

le meglio accettate dalle pazienti.<br />

Triptorelina depot:<br />

l’effetto dura più a<br />

lungo del previsto<br />

La triptorelina è un decapeptide<br />

sintetico analogo dell’ormone<br />

naturale GnRH prodotto dall’ipotalamo.<br />

Per il trattamento dell’endometriosi<br />

la triptorelina nella<br />

formulazione depot è disponibile<br />

sottoforma di acetato in una siringa<br />

preriempita (Gonapeptyl Depot ® ).<br />

La posologia della triptorelina depot,<br />

raccomandata nel riassunto<br />

delle caratteristiche del prodotto, è<br />

di una siringa (equivalente a 3,75<br />

mg di triptorelina/1 mL) somministrata<br />

<strong>per</strong> via sottocutanea (SC) o<br />

<strong>per</strong> via intramuscolare (IM) ogni<br />

28 giorni (15).<br />

Esistono tuttavia osservazioni che<br />

indicano che l’effetto e l’efficacia<br />

della triptorelina depot si protraggono<br />

ben oltre le 4 settimane<br />

di intervallo tra una dose e l’altra<br />

(16, 17).<br />

Infatti Filicori et al. (16) hanno mostrato<br />

che con entrambi le vie di<br />

somministrazione (SC e IM), dopo<br />

2 mesi dall’ultima iniezione, le concentrazioni<br />

ematiche di triptorelina<br />

sono ancora misurabili e gli effetti<br />

su LH, FSH e estradiolo <strong>per</strong>mangono<br />

invariati (Figura 1).


Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

33<br />

dolore (17) (Figura 2).<br />

La triptorelina, tuttavia, sia <strong>per</strong> la<br />

maggiore tollerabilità, sia <strong>per</strong> la più<br />

conveniente modalità di somministrazione<br />

(4 iniezioni in totale vs 3<br />

assunzioni quotidiane <strong>per</strong> via orale<br />

di danazolo) ha fatto registrare,<br />

rispetto a danazolo, una migliore<br />

compliance (un solo paziente non<br />

ha completato la terapia vs 7 di danazolo;<br />

p < 0,05) (17).<br />

Conclusioni<br />

Figura 1.<br />

L’effetto della triptorelina acetato depot sui livelli ematici di LH, FS<br />

ed estradiolo <strong>per</strong>siste <strong>per</strong> 2 mesi dalla fine del trattamento (16).<br />

L’endometriosi è una malattia che<br />

in Italia affligge 3 milioni di donne,<br />

con elevati costi sociali.<br />

La sua eziopatogenesi non è nota.<br />

La sua diagnosi è difficoltosa a<br />

causa della grande variabilità dei<br />

sintomi.<br />

La terapia medica dell’endometriosi<br />

si basa sull’impiego di farmaci<br />

che ostacolano l’effetto trofico<br />

degli estrogeni sull’endometrio.<br />

Gli analoghi del GnRH bloccano<br />

la liberazione di LH e FSH da<br />

parte dell’ipofisi, determinando<br />

una condizione di ipogonadismo<br />

ipogonadotropo, con conseguente<br />

ipoestrogenismo.<br />

Questo prolungato effetto della triptorelina<br />

sul profilo ormonale della<br />

donna ha fornito il presupposto <strong>per</strong><br />

uno studio clinico di confronto con<br />

danazolo, in cui l’analogo del GnRH<br />

nella formulazione depot è stato<br />

somministrato ad intervalli di 6 settimane<br />

nel <strong>per</strong>iodo posto<strong>per</strong>atorio<br />

(6 mesi) a donne sottoposte a intervento<br />

chirurgico conservativo <strong>per</strong><br />

endometriosi moderata-grave (17).<br />

I risultati, oltre a dimostrare che<br />

l’allungamento da 4 a 6 settimane<br />

dell’intervallo di somministrazione<br />

della triptorelina non influenza<br />

l’efficacia del trattamento, hanno<br />

indicato che entrambi i farmaci<br />

sono validi nel controllare il<br />

Figura 2.<br />

Endometriosi:<br />

l’allungamento da 4 a 6 settimane dell’intervallo di somministrazione<br />

della triptorelina acetato depot non influenza l’efficacia sul dolore<br />

(simile a quella del danazolo) (17).


34<br />

Scripta MEDICA<br />

<strong>Vol</strong>ume 8, n. 10, 2005<br />

tre le 4 settimane di intervallo<br />

raccomandato tra una dose e l’altra<br />

(fino a 2 mesi).<br />

Il prolungamento dell’intervallo<br />

di somministrazione della trip-<br />

La triptorelina è un decapeptide<br />

sintetico analogo del GnRH.<br />

L’effetto e l’efficacia della triptorelina<br />

acetato depot nell’endometriosi<br />

si protraggono ben oltorelina<br />

depot (fino a 2 mesi), oltre<br />

a incrementare la tollerabilita<br />

e la compliance (già migliori<br />

rispetto al danazolo), contribuisce<br />

a ridurre i costi della terapia.<br />

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17. Wong AY, Tang L. An open and randomized<br />

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of moderate to severe endometriosis. Fertil<br />

Steril. 2004; 81:1522-7


Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

E DITORIALE<br />

In considerazione dell’altissimo impatto epidemiologico nell’ambito della<br />

popolazione generale maschile e femminile e della cronicità che<br />

caratterizza la maggior parte delle malattie urologiche, abbiamo pensato di<br />

offrire ai Colleghi Medici di Medicina Generale questa rubrica come un utile<br />

strumento di aggiornamento e di supporto pratico nella gestione del<br />

paziente. Dedicare una rubrica urologica anche a non es<strong>per</strong>ti del settore<br />

deriva dalla consapevolezza che si tratta di malattie spesso aggravate da<br />

un notevole impatto sulla qualità di vita del paziente stesso e della sua<br />

famiglia. Proprio <strong>per</strong> questi motivi è necessario che il Medico di Medicina<br />

Generale ne conosca le caratteristiche principali e sappia come affrontare il<br />

paziente urologico nella pratica clinica. Il “management” può essere<br />

complesso e non si limita al solo monitoraggio tramite la prescrizione di<br />

esami, farmaci e presidi ma riguarda anche il trattamento di importanti<br />

disturbi funzionali che ne possono derivare (in primis impotenza ed<br />

incontinenza urinaria), rendendosi necessaria una conoscenza dei<br />

principali meccanismi fisiopatologici alla base di queste alterazioni.<br />

La rubrica dedicherà spazio ai principali disordini urologici che si<br />

caratterizzano <strong>per</strong> il grande impatto socio-economico, dando spazio<br />

alle novità diagnostiche e terapeutiche ed ai punti più controversi.<br />

Mi <strong>per</strong>metto di aggiungere che un ampio respiro verrà dato agli argomenti<br />

uro-oncologici, con un approccio multidisciplinare che <strong>per</strong>mette di integrare<br />

i vari punti di vista delle diverse specialità interessate alla gestione del<br />

paziente.<br />

Il coinvolgimento di numerose figure professionale, tra cui quella del<br />

Medico di Medicina Generale, si colloca come un elemento fondamentale<br />

sia nella fase diagnostico-terapeutica che di monitoraggio delle neoplasie<br />

urologiche.<br />

Lo scopo di questa rubrica non è solo quello di aggiornare ma anche di<br />

rifornire il medico di medicina generale di algoritmi possibilmente semplici<br />

che <strong>per</strong>mettano una gestione ottimale del paziente urologico.<br />

Alessandro Bertaccini<br />

Segretario e Tesoriere<br />

Società Italiana di Urologia Oncologica (SIUrO)


Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

36<br />

Il carcinoma vescicale: quando sospettarlo e qual è<br />

il ruolo del medico di Medicina Generale<br />

Alessandro Bertaccini<br />

Clinica Urologica<br />

Alma Mater Studiorum Università degli Studi di Bologna<br />

I ntroduzione<br />

L’epidemiologia della neoplasia<br />

vescicale nell’ambito della<br />

popolazione mondiale, colloca<br />

questo tumore al quarto posto<br />

<strong>per</strong> incidenza fra gli uomini e<br />

all’ottavo fra le donne con una<br />

mortalità complessiva di 14.000<br />

casi/anno [1].<br />

Sebbene il suo trattamento sia<br />

esclusivamente di <strong>per</strong>tinenza specialistica,<br />

il ruolo del medico di<br />

medicina generale è cruciale nell’identificazione<br />

dei pazienti a rischio<br />

e nel riconoscere chi deve<br />

essere inviato all’attenzione degli<br />

urologi. Tutto ciò con l’intento di<br />

individuare quanto prima gli istotipi<br />

ad alta malignità e ad evoluzione<br />

rapidissima cercando di<br />

garantire una diagnosi precoce e<br />

quindi una migliore prognosi.<br />

È importante quindi individuare e<br />

correlare gli elementi che derivano<br />

da un’analisi dei fattori di rischio e<br />

dei risultati dei test effettuati.<br />

aziente con sospetto<br />

Pdi tumore vescicale<br />

L’inquadramento del paziente<br />

con sospetto di tumore vescicale<br />

può essere complicato, poiché<br />

molti dei sintomi riferiti oltre ad<br />

associarsi a questa neoplasia sono<br />

tipici di altre patologie benigne<br />

delle vie urinarie. Inoltre, non<br />

essendo stato ancora identificato<br />

un test di screening <strong>per</strong> la neoplasia<br />

vescicale abbastanza specifico e<br />

sensibile da fornire benefici clinici,<br />

il sospetto di neoplasia si pone<br />

nella maggior parte dei casi, solo e<br />

se il paziente si rivolge al medico<br />

di medicina generale lamentando<br />

l’insorgenza di un sintomo specifico<br />

oppure <strong>per</strong> segnalare un valore<br />

alterato in un esame eseguito.<br />

Spesso si tratta del solo riscontro<br />

di emazie nel sedimento urinario,<br />

microematuria, altre volte invece il<br />

quadro clinico assume maggior<br />

significato in quanto il paziente<br />

lamenta urine visibilmente ematiche<br />

(macroematuria).<br />

I dati di letteratura riportano un’incidenza<br />

di neoplasia vescicale nel<br />

25% dei pazienti affetti da macroematuria<br />

ed un’incidenza che oscilla<br />

dall’1% al 10% nei pazienti che<br />

presentano microematuria<br />

[2-4].<br />

Nei casi di microematuria, il presupposto<br />

<strong>per</strong> impostare un iter<br />

diagnostico finalizzato ad escludere<br />

la presenza di un tumore vescicale,<br />

si pone quando viene individuata<br />

la presenza di una media di<br />

3 o più emazie <strong>per</strong> campo<br />

(RBC/hpf) in almeno 2 dei 3 sedimenti<br />

urinari ottenuti dal secondo<br />

getto mattutino di urine.<br />

L’associazione tra la patologia neoplastica<br />

e la microematuria nei<br />

pazienti asintomatici è stata riscontrata<br />

nel 9-18% [2, 5].<br />

Questo è il motivo <strong>per</strong> cui viene<br />

scoraggiato l’utilizzo dello stick<br />

delle urine come test di screening,<br />

poichè<br />

ogni<br />

ulte-


Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong> n. 1, 2008<br />

37<br />

riore valutazione mirata ad un<br />

approfondimento diagnostico in<br />

questi casi potrebbe rappresentare<br />

solo un costo senza benefici<br />

reali <strong>per</strong> il paziente [2, 6, 7].<br />

Questo non si deve necessariamente<br />

tradurre nell’ignorare il dato clinico,<br />

ma nel valutare <strong>tutti</strong> gli elementi<br />

inclusi anche i fattori prognostici<br />

ed altri parametri come la<br />

proteinuria e la creatininemia che<br />

possono giustificare la presenza di<br />

microematuria con una patologia<br />

renale. Non va comunque dimenticato<br />

che anche in questi casi se si<br />

associano fattori di rischio <strong>per</strong> neoplasia<br />

urologica il paziente deve<br />

necessariamente rivolgersi all’urologo.<br />

In ogni caso non sono ancora<br />

stati del tutto chiariti i dettagli clinici<br />

che riguardano quale sia la<br />

gestione nei casi di microematuria.<br />

Attualmente viene raccomandato,<br />

qualora si tratti di microematuria<br />

significativa, di ripetere l’esame del<br />

sedimento urinario entro 3-6 mesi<br />

nei pazienti affetti da microematuria<br />

asintomatica ma con fattori di<br />

rischio associati mentre ad un<br />

anno <strong>per</strong> chi ha presentato un episodio<br />

isolato in assenza di fattori<br />

prognostici negativi, sconsigliando,<br />

in entrambi i casi, di esporsi<br />

agli stessi nel futuro [8].<br />

È stato infatti dimostrato come nei<br />

pazienti di età su<strong>per</strong>iore ai 40 anni,<br />

fumatori, che abusano di analgesici,<br />

esposti a radiazioni ionizzanti a<br />

livello della pelvi o ad agenti chimici<br />

e vernici, sia maggiore il<br />

rischio di sviluppare un tumore<br />

vescicale. Se il dato laboratoristico<br />

viene confermato anche nei successivi<br />

controlli ed il paziente ha<br />

più di 40 anni vale la pena eseguire<br />

una visita urologica.<br />

Al contrario nei soggetti di età inferiore<br />

ai 40 anni che presentano<br />

ALGORITMO DIAGNOSTICO - SOSPETTO DI NEOPLASIA VESCICALE


Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

38<br />

microematuria asintomatica in<br />

assenza di fattori di rischio non si<br />

deve procedere con ulteriori accertamenti<br />

ma solamente ad una<br />

valutazione nel tempo [4, 9].<br />

A supporto di ciò uno studio di<br />

1930 pazienti con ematuria, in cui<br />

solo 1 su 143 di età inferiore ai 40<br />

anni ed affetto da microematuria<br />

asintomatica, ha sviluppato una<br />

neoplasia vescicale.<br />

Nei casi di microematuria significativa<br />

associata ad una sintomatologia<br />

irritativa, si deve necessariamente<br />

sottoporre il paziente all’attenzione<br />

dello specialista soprattutto<br />

se <strong>per</strong>siste dopo terapia antibiotica.<br />

Infatti generalmente questa<br />

neoplasia ha esordio asintomatico<br />

ma può coesistere con la disuria<br />

ed a frequenti episodi di infezioni<br />

alle vie urinarie [2].<br />

Recenti studi hanno dimostrato<br />

un’incidenza doppia di neoplasie<br />

vescicali in pazienti affetti da<br />

microematuria sintomatica rispetto<br />

alla restante popolazione<br />

(10,5% contro il 5%) [8].<br />

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prevalence, and etiology. Urology.<br />

2001; 57:599-603.<br />

3. Alishahi S, Byrne D, Goodman CM,<br />

Baxby K. Haematuria investigation<br />

based on a standard protocol: emphasis<br />

on the diagnosis of urological malignancy.<br />

J R Coll Surg Edinb. 2002; 47:422-427.<br />

4. Khadra MH, Pickard RS, Charlton<br />

Meno controversa appare la gestione<br />

del paziente con macroematuria<br />

che pone quasi sempre il sospetto<br />

di una neoplasia urologica (25%<br />

dei casi) [3, 4]. Infatti in questi<br />

pazienti l’assenza di fattori di<br />

rischio non preclude ulteriori<br />

approfondimenti diagnostici e la<br />

richiesta di una visita specialistica.<br />

Un’eccezione può essere rappresentata<br />

dalle donne di età inferiore<br />

ai 40 anni che riferiscono un episodio<br />

di macroematuria contemporanea<br />

ad un’infezione urinaria sintomatica<br />

confermata dalla positività<br />

dell’urinocoltura e risoltasi dopo<br />

terapia antibiotica [2]. Al contrario<br />

un episodio di macro-ematuria<br />

anche se risoltosi dopo presunta<br />

infezione urinaria in presenza di<br />

urinocoltura negativa non può farci<br />

esimere da eseguire approfondimenti<br />

tenendo in considerazione<br />

che il sanguinamento ha spesso andamento<br />

intermittente/remittente.<br />

Tutto ciò vale anche <strong>per</strong> i pazienti<br />

in terapia con farmaci anticoagulanti<br />

dove la macroematuria non è<br />

M, Powell PH, Neal DE. A prospective<br />

analysis of 1,930 patients with hematuria<br />

to evaluate current diagnostic<br />

practice. J Urol. 2000; 163:524-527.<br />

5. Mohr DN, Offord KP, Owen RA,<br />

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http://www.guideline.gov/summary/su<br />

mmary.aspxss=15&doc_id=5268&nb<br />

r=3595 Accessed January 18, 2008.<br />

7. U.S. Preventive Services Task Force.<br />

comunque giustificata e rappresenta<br />

un marcatore di patologia [2].<br />

Un altro scenario dove non necessariamente<br />

si deve sospettare una<br />

patologia maligna, è la presenza di<br />

urine ematiche successive ad<br />

un’intensa attività sportiva. Di<br />

fronte al sospetto di neoplasia<br />

vescicale e/o <strong>per</strong> fare una diagnosi<br />

differenziale con un’ eventuale sintomatologia<br />

“irritativi” di altra origine,<br />

è necessario inviare il paziente<br />

allo specialista <strong>per</strong> eseguire<br />

appropriati approfondimenti diagnostici<br />

quali ecografia reno-vescicale,<br />

esame citologico urinario su 3<br />

campioni, cistoscopia ed URO-TC<br />

(oppure urografia tradizionale).<br />

In ogni caso una buona selezione<br />

dei pazienti, <strong>per</strong>mette da una<br />

parte di ridurre le ansie di coloro<br />

che <strong>per</strong> qualche crocetta di sangue<br />

rilevato nello stick delle urine<br />

si rivolgono subito all’urologo<br />

eseguendo spesso inutili test, e<br />

dall’altra, di diagnosticare precocemente<br />

patologie neoplastiche<br />

potenzialmente curabili.<br />

Screening for Bladder Cancer: Brief<br />

Evidence Update. Rockville, Md:<br />

Agency for Healthcare Research and<br />

Quality; June 2004. Available at:<br />

http://www.ahrq.gov/clinic/3rduspstf/bl<br />

adder/blacanup.htm Accessed January<br />

18, 2008.<br />

8. Sultana SR, Goodman CM, Byrne<br />

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696; discussion 697-698.<br />

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males under 40 years. A prospective<br />

study of 100 patients. Br J Urol 1988;<br />

62:541-545.


Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, 10, n. 1, 2008 2007<br />

39<br />

ISPLAD 2007<br />

2° Congresso Internazionale<br />

di Dermatologia Plastica<br />

La Dermatologia Plastica si occupa di tutto ciò che riguarda l’invecchiamento cutaneo, le calvizie e i<br />

defluvium, le i<strong>per</strong>tricosi, le melanosi, la vitiligine, l’acne e i suoi postumi, le smagliature, la cellulite, le cicatrici e<br />

i cheloidi, e altri inestetismi cutanei, ma non come semplici inestetismi: il dermatologo plastico, come specialista<br />

d’organo, deve “preoccuparsi” e interessarsi della cute che invecchia nell’interezza di tutte le sue problematiche<br />

e cercare i risultati con mezzi che prediligono l’aspetto conservativo, biostimolante, riducendo al massimo<br />

la distruzione cutanea.<br />

Occuparsi di invecchiamento cutaneo deve significare, inevitabilmente, occuparsi anche di i<strong>per</strong>cheratosi,<br />

discheratosi e altre precancerosi che caratterizzano una pelle “matura” e che spesso sfociano in vera e propria<br />

patologia oncologica. La dermatologia plastica è in questo modo anche “prevenzione” e può svolgere un reale<br />

ruolo etico e sociale.<br />

Ampio consenso, di pubblico, stampa e mondo scientifico, ha riscosso il II<br />

Congresso Internazionale di Dermatologia Plastica e Oncologica, organizzato<br />

dall’ISPLAD (International-Italian Society of Plastic-Aesthetic and Oncologic<br />

Dermatology) a Milano dal 6 all’8 marzo 2008.<br />

L’edizione ha puntato l’attenzione non solo sui trattamenti estetici, ma soprattutto<br />

sulle prevenzione delle malattie cutanee, in particolare oncologiche: scelta<br />

premiata con un afflusso di oltre mille tra dermatologi e specialisti di altre<br />

discipline mediche e un grande interesse da parte della stampa nazionale.<br />

Circa 70 i giornalisti accreditati, e importante la presenza di Radio 24, Odeon<br />

Tv e RAI 2.<br />

Quest’ultima, con tre collegamenti in diretta, nella seconda giornata congressuale, dalle 15 alle 16, ha <strong>per</strong>messo<br />

a molti telespettatori di vedere in anteprima alcune tra le principali novità presentate.<br />

Ancora oggi, a distanza di più di un mese, le pagine di mensili e settimanali risuonano dei temi trattati in sede congressuale,<br />

segno dell’interesse che hanno suscitato nel grande pubblico oltre che presso la comunità scientifica.<br />

ISPLAD, forte di questi risultati, non si ferma, pronta ad accogliere e vincere nuove sfide, dando impulso a un’o<strong>per</strong>a<br />

di informazione e di sensibilizzazione della popolazione verso un approccio differente alla salute cutanea.


Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

40<br />

Patologie cutanee da tessuti<br />

Paolo D. Pigatto, Lucretia A. Frasin<br />

Istituto di Scienze Dermatologiche FRCCS , Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli Regina Elena Mlano<br />

I ntroduzione<br />

La cute ha un ruolo fondamentale<br />

nel proteggere l’organismo umano<br />

dall’ambiente esterno, tanto è vero che la<br />

vita non è possibile quando ampie aree<br />

del mantello cutaneo sono gravemente<br />

danneggiate, come si verifica ad esempio<br />

<strong>per</strong> i grandi ustionati. Questo ruolo globale<br />

di protezione si esplica in diverse<br />

modalità che, considerate singolarmente,<br />

costituiscono altrettante funzioni della<br />

cute. Le stesse funzioni protettive sono<br />

espletate dagli indumenti che da tempi<br />

remoti vengono utilizzati dall’uomo<br />

sovrapposti direttamente sulla cute in<br />

ogni <strong>per</strong>iodo della sua vita.<br />

Durante i primi <strong>per</strong>iodi di vita sulla<br />

terra l’uomo si è co<strong>per</strong>to con pelli di<br />

animali utili <strong>per</strong> proteggersi dal freddo<br />

notturno o invernale. Il <strong>per</strong>iodo e le<br />

ragioni in cui gli uomini hanno cominciato<br />

a vestirsi intrecciando fibre vegetali<br />

ed animali, rimangono ancora oggi<br />

sconosciuti. Per millenni gli uomini<br />

hanno utilizzato fibre naturali di tipo<br />

cellulosico e quindi di derivazione vegetale<br />

(cotone, canapa e lino) e di tipo<br />

proteico e <strong>per</strong>tanto di derivazione animale<br />

(lana e seta). Alla fine del secolo<br />

scorso i chimici sono stati in grado di<br />

copiare i polimeri naturali in forma<br />

fibrosa e di formare polimeri da sostanze<br />

chimiche semplici arrivando a sintetizzarne<br />

ben 21 tipi di fibre differenti e<br />

in ogni modo ben distinte le une dalle<br />

altre (fibre artificiali).<br />

Le fibre sintetiche sono ottenute da<br />

polimeri sintetici lineari di condensazione<br />

(poliammidi, poliesteri, etc) e di<br />

addizione (acriliche). Questi polimeri<br />

formano “la spina dorsale” della fibra:<br />

essa è <strong>per</strong>ò costituita da numerosi prodotti<br />

chimici che si formano come fattori<br />

collaterali nel processo di polimerizzazione<br />

e con la presenza di numerosissimi<br />

additivi chimici.<br />

Molti di questi additivi sono aggiunti<br />

<strong>per</strong> conferire alcune caratteristiche ai<br />

singoli tessuti quali l’idrorepellenza,<br />

l’ingualcibilità, la resistenza alle fiamme<br />

e l’anti-staticità. Tutti questi procedimenti<br />

vengono definiti genericamente<br />

finissaggio.<br />

ute e sostanze tossiche<br />

C presenti nei tessuti<br />

La valutazione dei rischi legati<br />

alla esposizione della cute a sostanze tossiche,<br />

cancerogene, presenti nei prodotti<br />

tessili sono state oggetto di numerose<br />

ricerche a livello internazionale ma non<br />

hanno ancora <strong>per</strong>messo di definire correlazioni<br />

dimostrabili scientificamente con<br />

alcune patologie croniche. I riferimenti<br />

scientifici che hanno <strong>per</strong>messo l’individuazione<br />

di sostanze <strong>per</strong>icolose da eliminare<br />

tramite le norme o tramite marchi<br />

volontari sono di tipo precauzionale e<br />

fanno riferimento a pubblicazioni scientifiche<br />

relative all’esposizione durante il<br />

processo produttivo o al loro impatto<br />

sull’ambiente (1-10).<br />

Manca tuttora una formulazione condivisa<br />

dal mondo scientifico di un modello<br />

<strong>per</strong> la valutazione dell’esposizione della<br />

cute ai prodotti tessili indossati e uno<br />

studio accurato sulle sostanze che effettivamente<br />

rimangono nel prodotto tessile<br />

finale.<br />

Non vi è un flusso continuo, aggiornato<br />

ed utilizzabile dei i risultati della ricerca<br />

scientifica sulle esposizioni professionali<br />

nel settore tessile ed i possibili effetti di<br />

quelle sostanze sui consumatori e mancano<br />

professionalità in grado di integrare le<br />

conoscenze di carattere sanitario con<br />

quelle relative ai prodotti tessili (<strong>11</strong>-14).<br />

Le correlazioni tra le sostanze irritanti e<br />

sensibilizzanti presenti nei prodotti tessili<br />

e patologie quali le dermatiti da contatto<br />

irritanti acute e croniche (DIC), le<br />

dermatiti allergiche da contatto (DAC),<br />

le esacerbazione delle dermatiti atopiche<br />

e le orticarie da contatto sono state<br />

invece maggiormente studiate soprattutto<br />

in Italia grazie al contributo del<br />

Gruppo Italiano Ricerca Dermatiti da<br />

Contatto e Ambientali (GIRDCA poi<br />

divenuta SIDAPA) che ha studiato oltre<br />

42.000 casi negli anni 1984-1993 (5).<br />

In tale studio si stimava, che la Dermatite<br />

Allergica da Contatto (DAC) da indumenti<br />

rappresentasse circa il 10% delle<br />

DAC extraprofessionali, dati confermati<br />

da uno studio effettuato dall’Associazione<br />

Tessile e <strong>Salute</strong> utilizzando pubblicazioni<br />

scientifiche della Società Italiana di<br />

Dermatologia Allergologica Professionale<br />

e Ambientale (SIDAPA).<br />

La stessa SIDAPA calcola che oggi, in<br />

Italia, siano circa 60.000 i soggetti sensibilizzati<br />

da sostanze presenti nei tessuti;<br />

tale aumento sembra dovuto sia al<br />

miglioramento degli strumenti e dei criteri<br />

di diagnosi sia all’aumento di patologie<br />

predisponenti soprattutto nelle fasce<br />

giovanili. Nel contempo, tali prevalenze<br />

possono essere sottostimate, <strong>per</strong>ché pur<br />

migliorando la diagnosi di dermatite da<br />

contatto con tessuti, ancora <strong>per</strong>sistono


Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

41<br />

numerose difficoltà tecniche relativamente<br />

agli strumenti e ai criteri<br />

di diagnosi.<br />

I punti critici sono che l’indagine<br />

anamnestica è, in genere, di<br />

modesto aiuto dal momento che<br />

manifestazioni cliniche possono<br />

essere atipiche con quadri non<br />

eczematosi.<br />

Scarse sono le indicazioni bibliografiche<br />

e le informazioni<br />

merceologiche sugli allergeni e<br />

alcuni coloranti non sono elencati<br />

nel Color Index o mancano<br />

di formula chimica nota oppure<br />

hanno differenti nomi commerciali;<br />

non si conoscono gli effetti,<br />

nel prodotto finito, dei composti<br />

che si formano durante il<br />

processo produttivo, sui singoli<br />

potenziali allergeni.<br />

I test diagnostici di routine sono<br />

poi eseguiti solo con alcuni allergeni<br />

e può essere difficile verificare<br />

la rilevanza delle positività<br />

riscontrate ai patch test.<br />

Da ultimo gli studi di prevalenza<br />

sulle dermatiti da contatto sono<br />

effettuati solo nella popolazione<br />

che afferisce agli ambulatori dermatologici,<br />

<strong>per</strong> cui non si conosce<br />

l’attuale reale dimensione del<br />

problema sull’intero territorio<br />

nazionale.<br />

ibre tessili e indumenti<br />

F<br />

Gli indumenti sono<br />

confezionati con pezze di tessuto<br />

che vengono colorate o stampate,<br />

quindi trattate con varie<br />

sostanze chimiche.<br />

Le singole fibre presentano poi caratteristiche<br />

di su<strong>per</strong>ficie notevolmente differenti.<br />

Il nylon e le fibre in poliestere<br />

sono lisci, mentre il rayon, il cotone e il<br />

poliestere trattato con agenti alcalini<br />

presentano su<strong>per</strong>fici irregolari. Alcune<br />

Figura 1. Dermatite da contatto in sede ascellare da tessuti (notare il<br />

risparmio della parte più profonda del cavo ascellare).<br />

Figura 2. Tipico aspetto della dermatite da contatto da tessuti<br />

interessamento delle aree realmente a contatto con i tessuti in<br />

soggetto di sesso femminile ed obeso.<br />

(Gentile concessione del Prof. Paolo Lisi, Università di Perugia)<br />

fibre sono conosciute <strong>per</strong> la loro morbidezza<br />

(Cashmere) mentre altre sono<br />

grossolane e ruvide come la lana grezza<br />

e la fibra di vetro. Le medesime fibre<br />

prodotte <strong>per</strong>sino dallo stesso gruppo<br />

industriale possono variare nelle qualità<br />

fisiche e a maggior ragione fibre dello<br />

stesso tipo ma utilizzate da<br />

diversi produttori possono<br />

variare <strong>per</strong> l’uso maggiore o<br />

minore di additivi e di sostanze<br />

chimiche. Gli indumenti devono<br />

sovrapporsi in modo armonico<br />

al mantello cutaneo aiutando le<br />

varie attività fisiologiche della<br />

cute, agendo in modo complementare:<br />

<strong>per</strong> essere buono un<br />

tessuto deve proteggere senza<br />

modificare in modo negativo la<br />

qualità del rapporto cuteambiente<br />

esterno. Attraverso il<br />

contatto diretto con la pelle, i<br />

tessuti possono prevenire alcune<br />

patologie (cosiddette “fibre<br />

intelligenti” <strong>per</strong> esempio, <strong>per</strong><br />

prevenire danni da agenti esterni),<br />

migliorare patologie esistenti<br />

(tessuti elastocompressivi <strong>per</strong><br />

le patologie venose) o al contrario<br />

provocare patologie della<br />

cute. Dal punto di vista clinico<br />

le dermatiti causate da contatto<br />

con gli abiti possono variare <strong>per</strong><br />

aspetto e/o localizzazione.<br />

Generalmente il quadro clinico<br />

delle dermatiti connesse ai prodotti<br />

tessili è rappresentato dalla<br />

dermatite allergica da contatto<br />

(DAC) ma nella letteratura sono<br />

state descritte diverse varianti cliniche<br />

come risulta dalla Tabella 1.<br />

Le zone dove gli abiti sono più a<br />

stretto contatto con la pelle sono<br />

le più esposte al rischio di sviluppare<br />

una DAC. In genere è<br />

localizzata nelle regioni non<br />

protette dagli indumenti intimi<br />

ed è particolarmente presente<br />

alle ascelle (con il risparmio del<br />

cavo), al collo, nella fossa antecubitale o<br />

cavo popliteo, al torace ed al tronco<br />

(Figure 1 e 2). Quando la dermatite è<br />

causata dalle calze, le più interessate<br />

sono le regioni posteriore ed interna<br />

delle cosce, la fossa poplitea ed il dorso<br />

dei piedi. Gli indumenti intimi più in


Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

42<br />

causa sono le calze nel sesso femminile<br />

mentre i calzini difficilmente inducono<br />

allergia nei maschi. Al secondo posto si<br />

segnala una discreta frequenza di allergia<br />

ai coloranti delle mutande, mentre i<br />

costumi da bagno come tali sono molto<br />

raramente in causa nelle dermatiti da<br />

indumenti intimi. Quindi sono suggestivi<br />

<strong>per</strong> una DAC da indumenti l’interessamento<br />

di aree non protette dalla<br />

biancheria intima, aree a contatto con<br />

parti “speciali” di biancheria intima,<br />

aree a contatto con fodere, aree di maggior<br />

sudorazione e aree di maggior attrito<br />

con indumenti. La reale incidenza di<br />

tali patologie è poco conosciuta; i dati<br />

attualmente disponibili suggeriscono<br />

che questa dermatite sia più comune di<br />

quello che precedentemente si credeva,<br />

cioè l’interessamento di una piccola<br />

parte della popolazione, soprattutto<br />

quella femminile tra i 24 e 34 anni ma<br />

sono descritti anche numerosi casi in<br />

età avanzata. In un’indagine epidemiologica<br />

GIRDCA sulle dermatiti da contatto<br />

in Italia (1994-1998) Lisi P et al.<br />

(5), tra le cause di dermatite da contatto<br />

di natura extraprofessionale un ruolo<br />

Dermatite da contatto allergica<br />

Dermatite da contatto irritante<br />

Orticaria da contatto<br />

Dermatite da contatto come eritema<br />

multiforme<br />

Dermatite da contatto tipo purpurica<br />

Dermatite da contatto tipo<br />

pigmentaria<br />

Dermatite da contatto tipo pustolare<br />

Eritroderma<br />

Dermatite da contatto come lichen<br />

amiloidosico<br />

Dermatite fototossica da tessuti<br />

Miliaria<br />

Follicolite<br />

Orticaria da pressione<br />

Dermatite atopica<br />

Tabella 1. Dermatiti da tessuti.<br />

Figura 3. Prodotti in causa nella dermatite da contatto extraprofessionale.<br />

importante viene dato all’abbigliamento<br />

(Figura 3).<br />

L’incidenza delle dermopatie allergiche<br />

da tessuti non è aumentata negli ultimi<br />

anni, nonostante il notevole uso di tessuti<br />

provenienti dall’area extra UE,<br />

soprattutto da paesi dove non esiste una<br />

normativa sul controllo delle sostanze<br />

immesse nel ciclo produttivo e dove le<br />

tecnologie utilizzate sono vetuste, riducendo<br />

il grado di adesività degli apteni.<br />

Molti consumatori dichiarano problemi<br />

cutanei vari, asserendo di essere in modo<br />

non evidenziabile allergici, mentre in<br />

realtà presentano semplicemente solo<br />

irritazione al tessuto: l’evento negativo<br />

più frequente prodotto da un tessuto è<br />

quella sensazione di sconforto che il<br />

calore, la scarsa circolazione d’aria all’interno<br />

del vestito e l’eccesso di sudore che<br />

si raccoglie sulla su<strong>per</strong>ficie cutanea induce<br />

un tipico fastidio cutaneo.<br />

Le singole fibre possono indurre specifici<br />

e differenti quadri clinici:<br />

1) La lana causa irritazione acuta e cronica,<br />

aggrava la dermatite atopica e<br />

induce dermatite allergica da contatto<br />

(DAC) e orticaria da contatto.<br />

2) La seta è in grado di aggravare una<br />

dermatite atopica e raramente induce<br />

orticaria da contatto. Non sono invece<br />

mai state notate reazioni allergiche<br />

da contatto e neppure reazioni irritative.<br />

3) Il Nylon può causare DAC e orticaria<br />

da contatto.<br />

4) Le fibre di vetro non vengono usate<br />

<strong>per</strong> vestiti normali ma gli indumenti<br />

possono essere occasionalmente contaminati<br />

dal lavaggio degli indumenti<br />

in macchine lavatrici che hanno<br />

lavato delle tende.<br />

5) Lo Spandex è utilizzato soprattutto<br />

nei reggiseni e lingerie e determina<br />

soltanto DAC.<br />

6) La gomma è contenuta in numerosi<br />

prodotti e <strong>per</strong> questo motivo costituisce<br />

una causa frequente d’allergia.<br />

Pertanto considerando tutte le numerose<br />

fibre disponibili <strong>per</strong> l’uso negli abiti<br />

solo 2 naturali e 4 sintetiche sono responsabili<br />

di problemi dermatologici.<br />

Le manifestazioni dermatologiche causate<br />

da contatto con gli abiti sono così<br />

attribuite a sostanze chimiche e coloranti<br />

che vengono aggiunti alle fibre tessili<br />

durante la loro manifattura e assemblaggio<br />

in indumenti. In particolare, gli<br />

agenti responsabili sono rappresentati<br />

da prodotti <strong>per</strong> le tinture e il finissaggio,<br />

i metalli, la gomma e le colle.<br />

Occasionalmente anche gli sbiancanti


Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

43<br />

ottici, i biocidi, i materiali ignifughi ed<br />

altri agenti sono responsabili dell’insorgenza<br />

del quadro clinico cutaneo. I<br />

coloranti sono le sostanze chimiche più<br />

usate e possono essere classificate in<br />

acidi, diretti, reattivi, dis<strong>per</strong>si e vengono<br />

legati al mordente <strong>per</strong> diffondere più<br />

facilmente tra le fibre. Dal punto di<br />

vista della classe chimica il 40% dei<br />

coloranti tessili sono azoici ma non<br />

<strong>tutti</strong> sono altamente allergizzanti. Tra<br />

questi coloranti quelli che più facilmente<br />

determinano sensibilizzazioni<br />

appartengono al gruppo dei dis<strong>per</strong>si:<br />

questi formano legami stabili con le<br />

fibre naturali, si legano meno stabilmente<br />

con le fibre sintetiche ed essendo<br />

liposolubili penetrano bene attraverso<br />

la cute. I dati epidemiologici riportano<br />

la loro prevalenza di sensibilizzazione<br />

tra 3,1% e 5,2%. In particolare, i coloranti<br />

blu dis<strong>per</strong>si sono stati selezionati<br />

nel 2000 come “allergeni da contatto<br />

dell’anno” anche se la diagnosi di allergia<br />

ai coloranti dis<strong>per</strong>si è difficile <strong>per</strong> le<br />

numerose sostanze impiegate e la difficoltà<br />

ad avere un colorante come<br />

marker. In passato si riteneva che la<br />

PFD fosse una spia attendibile della<br />

sensibilizzazione a coloranti in genere e<br />

a quelli azoici in modo particolare ma<br />

questo dato non è stato più confermato.<br />

Altro gruppo responsabile di allergie<br />

agli indumenti sono le resine, usate <strong>per</strong><br />

dare certe proprietà specifiche ai tessuti<br />

come sofficità, resistenza ai colori,<br />

etc. L’incidenza di sensibilizzazione alle<br />

resine nella popolazione generale è<br />

poco accertata e dovrebbe essere più<br />

bassa rispetto ai coloranti.<br />

Come sostanza mordente il più impiegato<br />

è il bicromato di potassio ma<br />

anche con analoga funzione vengono<br />

impiegati coloranti metallo complessi<br />

che contengono cobalto o nichel all’interno<br />

della molecola. Gli strumenti a<br />

nostra disposizione <strong>per</strong> una appropriata<br />

diagnosi di una sospetta DAC con<br />

tessuti di indumenti sono: anamnesi,<br />

valutazione clinica delle localizzazioni,<br />

i patch test, l’esame merceologico e<br />

alcune metodiche analitiche di laboratorio.<br />

L’esecuzione del patch test è lo<br />

strumento fondamentale <strong>per</strong> la conferma<br />

della diagnosi e <strong>per</strong> l’individuazione<br />

delle sostanze responsabili. I patch test<br />

possono essere effettuati con serie standard,<br />

serie addizionali, miscele di coloranti<br />

o indumenti sospettati. L’esame<br />

merceologico valuta l’esame dell’etichetta<br />

del capo incriminato che può<br />

fornire utili indicazioni mentre le metodiche<br />

analitiche possono essere utili <strong>per</strong><br />

verificare la presenza di resine di finissaggio<br />

a base di formaldeide e <strong>per</strong> individuare<br />

i coloranti realmente presenti.<br />

Per quanto detto sopra, si ritiene che l’istituzione<br />

di un sistema di sorveglianza<br />

(banca dati delle sostanze, osservatorio<br />

dermatologico) possa costituire uno<br />

strumento valido e fattibile <strong>per</strong> la protezione<br />

della salute dei lavoratori e dei<br />

consumatori attraverso la determinazione<br />

della prevalenza delle dermatiti<br />

da contatto da prodotti tessili sul territorio<br />

nazionale, di un sistema di controllo<br />

nei prodotti tessili, ad iniziare da<br />

quelli importati (prodotti in paesi con<br />

minori o nulle restrizioni normative)<br />

sia delle sostanze vietate dalle normative<br />

vigenti, sia di quelle sostanze <strong>per</strong>icolose<br />

e/o sensibilizzanti, non normate<br />

ma fatte proprie da alcuni paesi europei<br />

e dai maggiori marchi volontari.<br />

B ibliografia<br />

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Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

45<br />

Più messaggi corretti o fregature quando si parla di capelli<br />

Cronaca del primo dibattito a<strong>per</strong>to organizzato dalla IHRF<br />

e proposta di un decalogo <strong>per</strong> chi <strong>per</strong>de i capelli.<br />

Fabio Rinaldi<br />

International Hair Research Foundation, Milano<br />

Sembrerebbe proprio che prevalgano le<br />

fregature, o quantomeno messaggi tendenziosi<br />

e poco chiari che riescano a<br />

“pilotare” le <strong>per</strong>sone che hanno un problema<br />

di capelli verso scelte non sempre<br />

giuste. È quanto emerso dal dibattito<br />

a<strong>per</strong>to che si è tenuto il 15 marzo al teatro<br />

San Babila di Milano, organizzato<br />

dalla IHRF.<br />

Il Dottor Fabio Rinaldi (Milano) ha condotto<br />

questa specie di “talk-show” che aveva lo scopo di<br />

dare delle indicazioni <strong>per</strong> orientarsi nel mondo tricologico,<br />

ed e stato distribuito un decalogo di regole che possono<br />

fornire delle indicazioni precise, magari <strong>per</strong> cercare di<br />

non cadere in trappole spesso <strong>per</strong>icolose (che può essere<br />

richiesto gratuitamente a segreteria@ihrf.eu). Rinaldi, da<br />

dermatologo, è partito da una premessa che spesso ricorda:<br />

la colpa del proliferare<br />

di tanti “centri<br />

tricologici” non proprio<br />

seri, di tante<br />

figure improvvisate e<br />

impreparate, è anche<br />

dell’atteggiamento<br />

della dermatologia. È molto frequente<br />

ascoltare <strong>per</strong>sone che si<br />

lamentano di aver consultato un<br />

dermatologo che si è disinteressato<br />

completamente del problema<br />

dei capelli, limitandosi a prescrivere<br />

uno shampoo e a dire<br />

che i capelli non si possono curare.<br />

Lo scopo della IHRF è anche quello di<br />

richiamare un po’ di più l’attenzione del dermatologo,<br />

il più specifico competente delle<br />

patologie tricologiche <strong>per</strong> via dell’indirizzo<br />

di studio universitario, verso il problema dei<br />

capelli, e ad avere un po’ più rispetto <strong>per</strong> chi<br />

soffre a causa di una forma di alopecia.<br />

Le es<strong>per</strong>ienze degli ospiti stranieri (Dottor<br />

Mangubat dagli USA, Dottor Farjo dalla Gran<br />

Bretagna, Dottor Jimenez dalla Spagna) ci<br />

hanno dimostrato che il problema è uguale in tutto il mondo:<br />

le riviste, le televisioni, i siti internet di quelle nazioni sono<br />

pieni di comunicazioni di cure “miracolose” esattamente come<br />

in Italia. In Spagna, <strong>per</strong> esempio, è<br />

in vendita su internet un apparecchio<br />

che emette dei raggi non precisati<br />

che possono far ricrescere i<br />

capelli in tre settimane, al bassissimo<br />

() costo di 500 euro.<br />

Ovviamente non esiste nessuna<br />

prova scientifica, ma pare che se<br />

ne vendano parecchi!<br />

La spiegazione è semplice, come<br />

ha ricordato la Dottoressa Nicla<br />

Sambvani (Milano): l’ansia<br />

e la paura di <strong>per</strong>dere<br />

i capelli porta a fidarsi<br />

di qualsiasi promessa<br />

che faccia illudere chi sa<br />

che le cure mediche,<br />

invece, i miracoli non li<br />

fanno. Tutto questo<br />

comporta che in molte<br />

<strong>per</strong>sone l’ansia di non<br />

poter controllare la propria<br />

calvizie aggrava la


Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

46<br />

caduta dei capelli, innescando<br />

una vera e propria<br />

reazione psicosomatica.<br />

Colpa della disinformazione,<br />

delle scarse conoscenze<br />

dei dati scientifici,<br />

della volontà di speculare.<br />

Il Dottor Piero Rosati<br />

(Ferrara) ha fatto esempi<br />

concreti nel campo dei<br />

trapianti dei capelli:<br />

molte <strong>per</strong>sone che si<br />

rivolgono a lui <strong>per</strong> effettuare<br />

un microautotrapianto<br />

di capelli hanno<br />

delle aspettative sul risultato<br />

finale che non sono realistiche, e che sono frutto di informazioni<br />

scorrette spesso lette anche su giornali importanti.<br />

Addirittura Rosati si è rivolto ai giornalisti presenti <strong>per</strong> chiedere<br />

di verificare le notizie. Un esempio su <strong>tutti</strong>: l’anno scorso<br />

l’autorevole trasmissione Quark (RAI tre) ha trasmesso un<br />

servizio annunciando con grande enfasi la sco<strong>per</strong>ta scientifica<br />

rivoluzionaria di un gruppo di chirurgia plastica<br />

dell’Istituto dei Tumori di una importante città del Nord<br />

Italia (volutamente in questa sede non forniamo dettagli <strong>per</strong><br />

identificare né il medico né l’Ospedale) in grado di clonare le<br />

cellule dei bulbi dei capelli, e quindi di effettuare innesti di<br />

migliaia di capelli. La notizia non è scientificamente provata,<br />

mai sono stati realizzati interventi di questo tipo, ma molta<br />

gente si è rivolta al Chirurgo di questo istituto che ha poi proposto<br />

interventi tradizionali. In sala era presente una signora<br />

che è “cascata nella rete” e ha raccontato e denunciato questa<br />

es<strong>per</strong>ienza. Tra l’altro, subito dopo la trasmissione, la IHRF<br />

aveva chiesto alla segreteria di Quark dei chiarimenti, chiedendo<br />

una precisazione. Ovviamente la risposta della Rai è<br />

stata negativa.<br />

Un altro esempio lo ha portato il Dottor Vincenzo Gambino<br />

(Milano), sempre parlando di trapianti di capelli: molte <strong>per</strong>sone<br />

credono che sia possibile effettuare un trapianto prelevando<br />

dalla zona della nuca tante piccolissime isole di 2 millimetri<br />

di capelli intatti, che in questo modo <strong>per</strong>metterebbero<br />

di non lasciare cicatrici, e di innestarle nella zona calva<br />

ottenendo risultati importanti. Questa tecnica non è reale:<br />

spesso le isole prelevate in questo modo non contengono<br />

bulbi integri e il risultato finale dell’intervento non è esteticamente<br />

bello. Molti giornali di divulgazione medica, <strong>per</strong>ò,<br />

hanno parlato di questa tecnica, probabilmente senza verificarne<br />

la correttezza. Un’altra segnalazione molto interessante<br />

di Gambino è stata la necessità di coo<strong>per</strong>azione tra i vari specialisti<br />

che si occupano di<br />

capelli <strong>per</strong> cercare di ottenere<br />

il risultato migliore,<br />

compreso il lavoro di un<br />

acconciatore che contribuisce<br />

a rendere più belli i<br />

capelli e a sfruttarli al<br />

meglio <strong>per</strong> avere alla fine<br />

una chioma ancora più<br />

piacevole. Alfredo Rubertelli,<br />

in rappresentanza<br />

proprio degli acconciatori,<br />

ha spiegato alcuni “trucchi”<br />

del suo mestiere proprio<br />

<strong>per</strong> ottenere questi risultati,<br />

soprattutto nelle donne.<br />

La Dottoressa Riccarda Serri (Milano) ha evidenziato quanti<br />

progressi abbia fatto la dematologia negli ultimi 20 anni nella<br />

cura dei capelli: ha ricordato l’es<strong>per</strong>ienza del padre, il<br />

Professor Serri uno dei più illustri e autorevoli dermatologi<br />

italiani di <strong>tutti</strong> i tempi, che insegnava che non esistevano<br />

terapie utili <strong>per</strong> curare la calvizie e la caduta dei capelli. La<br />

sco<strong>per</strong>ta dell’efficacia del minoxidil, della finasteride, della<br />

dutasteride, dei fattori di crescita, hanno dimostrato che oggi<br />

è possibile arrestare la progressione della calvizie sia negli<br />

uomini che nelle donne.<br />

Il Dottor Alberto Donzelli (Milano) in qualità di specialista in<br />

scienza dell’alimentazione ha addirittura ricordato che esistono<br />

diete alimentari specifiche che possono ridurre la quantità<br />

di testosterone nell’organismo.<br />

Si è parlato di messaggi scorretti, ma anche di messaggi veri,<br />

del fatto che esiste chi specula, ma ci sono anche tantissimi<br />

professionisti seri che studiano, compiono ricerche, si dedicano<br />

a questo campo della medicina.<br />

Ci sono aziende (o laboratori non certificati che preparano<br />

chissà cosa in un sottoscala e che vendono a prezzi esorbitanti,<br />

o a volte bassissimi pur di “accalappiarsi” il cliente), ma<br />

anche aziende che producono farmaci, cosmetici, integratori<br />

frutto di studi seri e costosi, e che vengono commercializzati<br />

solo dopo aver dimostrato la loro efficacia ed escluso rischi<br />

<strong>per</strong> la salute. L’invito <strong>per</strong> <strong>tutti</strong> è quello di cercare di informarsi<br />

ma con senso critico, di non credere a messaggi “esplosivi e<br />

rivoluzionari”, di individuare professionisti credibili nelle<br />

categorie che si occupano del problema: il medico, il farmacista,<br />

il parrucchiere.<br />

Ognuno, <strong>per</strong> la sua competenza potrà dare informazioni preziose.<br />

In questa lista non c’è il tricologo, che in Italia non è<br />

una figura professionale riconosciuta dal punto di vista medico,<br />

né legislativo!<br />

Alcuni dei partecipanti al dibattito del 15 marzo 2008 al Teatro San Babila di Milano.<br />

Da sinistra Antonio Mangubat, Bessam Farjo, Vincenzo Gambino, Fabio Rinaldi,<br />

Francisco Jimenez Acosta, Piero Rosati, Elisabetta Sorbellini.


Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

47<br />

DECALOGO DI CONSIGLI UTILI PER CHI PERDE I CAPELLI<br />

<strong>per</strong> cercare di orientarsi nella scelta di una cura corretta<br />

a cura della<br />

INTERNATIONAL HAIR RESEARCH FOUNDATION<br />

IHRF<br />

1 – I capelli sono una parte del corpo umano: la loro salute dipende dallo stato di salute generale dell’organismo.<br />

Quando i capelli cadono, quando la cute del suoi capelluto è alterata, quando i capelli<br />

diventano fragili o brutti significa che qualcosa nel corpo non va come dovrebbe: spesso questo<br />

è un segnale che andrebbe valutato dal punto di vista medico. La prima regola è che se i capelli<br />

o il cuoio capelluto hanno un problema bisognerebbe consultare un medico <strong>per</strong> capire cosa succede<br />

e cercare di trovare un rimedio. Il proprio medico di fiducia, il dermatologo, l’endocrinologo,<br />

il ginecologo, i medici es<strong>per</strong>ti in medicina estetica sono normalmente i professionisti che sono più<br />

spesso chiamati ad affrontare un problema tricologico.<br />

2 – Le conoscenze scientifiche oggigiorno si diffondono velocemente: le cure che possono essere<br />

utili <strong>per</strong> i capelli e la pelle sono a disposizione di <strong>tutti</strong> i medici che si aggiornano sull’argomento.<br />

Non esistono terapie miracolose, segrete, esclusive note solo a qualcuno particolarmente “illuminato”.<br />

Non sono mai credibili i messaggi miracolistici che vantano cure definitive e risolutive<br />

della calvizie.<br />

3 – Ci sono varie categorie di professionisti che si occupano seriamente di capelli oltre ai medici:<br />

* i farmacisti che spesso possono dare il primo consiglio <strong>per</strong> prendersi cura di un problema di<br />

capelli o del cuoio capelluto<br />

* i parrucchieri che quotidianamente trattano i capelli di uomini e donne e che, con la loro es<strong>per</strong>ienza,<br />

sono in grado di suggerire rimedi estetici ma anche consigli sullo stato di salute dei capelli<br />

Medici, farmacisti, parrucchieri, ognuno nel proprio ambito di competenza e preparazione, svolge<br />

un lavoro accurato dopo anni di studi o di corsi di formazione specifica. Presunti “es<strong>per</strong>ti” <strong>per</strong><br />

imprecisati meriti o studi non definiti non hanno nessuna qualifica <strong>per</strong> curare le malattie dei<br />

capelli. Ovviamente esistono eccezioni!<br />

4 – Non esistono altre figure professionali riconosciute dalla legge <strong>per</strong> curare o trattare i capelli e il<br />

cuoio capelluto. Non esiste la figura del tricologo in senso lato: un dermatologo potrebbe essere<br />

definito uno specialista in tricologia se si occupa in particolare di capelli, in virtù degli anni di<br />

studio della scuola di specializzazione in Dermatologia in Università.<br />

5 – Non esistono centri di TRICOLOGIA definibili come centri di specialisti del settore dei capelli se<br />

non quelli dove dei medici e dei dermatologi svolgono la propria o<strong>per</strong>a. Spesso si tratta di luoghi<br />

gestiti da <strong>per</strong>sonale NON medico dove si effettuano prestazioni di tipo medico (in modo illegale),<br />

o dove dei medici purtroppo si prestano a consulenze quasi mai “libere”.<br />

6 – Non è vero che “solo il pavimento ferma la caduta dei capelli”: è una fastidiosa battuta ormai su<strong>per</strong>ata,<br />

e che non rispetta il disagio di tantissime <strong>per</strong>sone. Oggigiorno esistono terapie mediche e<br />

cosmetiche utili <strong>per</strong> ottenere dei risultati terapeutici, cure che sono frutto di ricerche e di studio<br />

da parte di molte aziende serie: è un peccato <strong>per</strong>dere tempo con cure empiriche non supportate<br />

da nessuno studio scientifico ma propagandate solo con testimonial famosi pagate a suon di milioni<br />

di euro, o con subdoli messaggi non controllabili che illudono le s<strong>per</strong>anze magari via internet.<br />

Tutte le novità che la scienza ci offre ormai sempre più di frequente sono frutto di ricerche molto<br />

accurate, e che vengono divulgate solo dopo la certezza dell’efficacia e della loro sicurezza.<br />

7 – Come <strong>per</strong> qualsiasi altra alterazione dello stato di salute di una parte del corpo, ogni situazione<br />

richiede una diagnosi e una cura specifica. Non esistono cure universali e soprattutto tutte le<br />

terapie utili non hanno costi esagerati: non hanno senso cure che costano migliaia di euro, shampoo<br />

che “disostruiscono i follicoli e li fanno respirare”non esistono “macchine” che emettono


Scripta MEDICA <strong>Vol</strong>ume <strong>11</strong>, n. 1, 2008<br />

48<br />

raggi miracolosi. Le conoscenze scientifiche attuali non hanno mai dimostrato la reale efficacia<br />

di molte di queste proposte alternative ma, anzi, spesso il loro potenziale rischio <strong>per</strong> la salute.<br />

8 – Qualsiasi cura proposta <strong>per</strong> una forma di alopecia deve essere motivata in base alla diagnosi clinica<br />

o dei risultati di esami specifici di controllo, spiegata in <strong>tutti</strong> i suoi possibili effetti positivi<br />

e negativi (i rischi derivati dall’uso di un farmaco), indicando il tempo previsto <strong>per</strong> la cura e la<br />

necessità di eventuali visite successive. In caso di cure che presentano un rischio <strong>per</strong> la salute<br />

o di trattamenti con strumenti particolari il medico deve far firmare al suo paziente uno specifico<br />

consenso informato.<br />

9 – I mezzi di informazione svolgono un ruolo fondamentale <strong>per</strong> diffondere le notizie scientifiche e<br />

mediche: attenzione, <strong>per</strong>ò, non tutte le fonti sono “autonome”. È indispensabile un senso critico<br />

molto attento, <strong>per</strong> cercare di non cadere in trappole costruite con grande arte: tanto più il messaggio<br />

è allettante, tanto più di solito nasconde una vera “bufala”.<br />

10 – I capelli si curano con i farmaci, con certi cosmetici, con l’attenzione a stili di vita corretti (alimentazione,<br />

poco sole, riduzione del fumo, igiene accurata, controllo dello stress).<br />

I cosmetici <strong>per</strong> i capelli o i trattamenti estetici eseguiti con prodotti di buona qualità da professionisti<br />

preparati non sono mai causa di problemi gravi di caduta dei capelli.<br />

COME ORIENTARSI NELLA “GIUNGLA”<br />

secondo le conoscenze della dermatologia e della cosmetologia moderna.<br />

* NON È VERO che lavare i capelli di frequente fa male (<strong>per</strong>ché non cascano i peli del barba o del<br />

resto del corpo facendo una doccia al giorno)<br />

* NON È VERO che i bulbi vengono soffocati dal sebo, e che si deve ripulire il follicolo pilifero (se no<br />

<strong>per</strong>ché farebbe male lavare i capelli).<br />

* NON È VERO che esistono cure segrete che i medici si rifiutano di usare <strong>per</strong> motivi imprecisati<br />

(sarebbero stupidi, <strong>tutti</strong> approfitterebbero di sostanze utili <strong>per</strong> svolgere un lavoro corretto).<br />

Qualsiasi idea sensata, qualsiasi formula efficace può essere brevettata e venduta con buon<br />

interesse di aziende e medici e farmacisti!<br />

* NON È VERO che non esistono cure efficaci <strong>per</strong> la calvizie di uomini e donne, anche se purtroppo<br />

questa è un’affermazione che spesso fanno proprio dei medici o dei farmacisti.<br />

* NON È VERO che il trapianto dei capelli dà risultati brutti, o che non è utile <strong>per</strong> le donne: mediamente<br />

è una tecnica efficace, pur con <strong>tutti</strong> i limiti di un intervento chirurgico.<br />

* NON È VERO che i parrucchieri sono <strong>per</strong>sone impreparate: sempre più questi professionisti seguono<br />

corsi di aggiornamento e <strong>per</strong>fezionamento e possono essere tra i primi ad indicare la necessità<br />

di curare i capelli. Senza dimenticare che la bellezza della chioma è di <strong>per</strong>tinenza proprio<br />

dei parrucchieri!<br />

* NON È VERO che una cura efficace debba essere molto costosa, ma non è neanche vero che dei<br />

prodotti efficaci e testati scientificamente possano costare troppo poco: bisogna diffidare di<br />

imitazioni particolarmente economiche, o di soluzioni alternative “che hanno la stessa efficacia<br />

ma costano meno della metà”. La maggior parte delle aziende serie farmaceutiche o cosmetiche<br />

non fa beneficenza, ma studia attentamente i costi del proprio prodotto!<br />

* NON si devono firmare contratti capestro che obblighino ad effettuare cicli di trattamenti (raramente<br />

in questi contratti si parla di cure mediche, terapie, <strong>per</strong>ché la legge lo vieta!!) a costi<br />

esorbitanti. Accettare una cura che richieda più sedute non vuole dire vincolarsi con obblighi<br />

che non hanno nessun senso medico!<br />

* È VERO che un problema di capelli (estetico o patologico) deve essere affrontato il più precocemente<br />

possibile, consultando un medico (e a maggior ragione uno specialista del settore) o<br />

facendosi consigliare dal farmacista o dal proprio parrucchiere. Se non si è certi di essere in<br />

presenza di un medico laureato e specialista varrebbe sempre la regola di farsi mostrare un<br />

documento (certificato di laurea, tesserino dell’Ordine dei Medici), così come i farmacisti laureati<br />

devono indossare l’apposito stemma di riconoscimento!

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