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S&F_n. 9_2013<br />

brandelli di stoffa, cartaccia»; anche se si trattasse del<br />

vaneggiamento di due uomini ebbri, che, con pochi sorsi di cattivo<br />

vino riescono a vedere «intorno a loro splendere tutti i tesori<br />

dell’Oriente» (p. 104).<br />

Le c<strong>it</strong>tà invisibili che ogni sera compaiono dinnanzi agli occhi<br />

stanchi di Kublai, appaiono a seconda degli stati d’animo eden<br />

perduti e anelati, o inferni minacciosi dai quali fuggire.<br />

Il mon<strong>it</strong>o finale del mercante‐narratore, vale allora per le c<strong>it</strong>tà<br />

invisibili e per quelle visibili, per quelle di ieri e per quelle<br />

di oggi, perché riguarda il nostro ab<strong>it</strong>are nel mondo: «L’inferno<br />

dei viventi non è qualcosa che sarà; se c’è n’è uno, è quello che<br />

è già qui, l’inferno che ab<strong>it</strong>iamo tutti i giorni, che formiamo<br />

stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo<br />

riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino<br />

al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige<br />

attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere<br />

chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e<br />

dargli spazio» (p. 164).<br />

FABIANA GAMBARDELLA<br />

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