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ARTE Didier Alessio Contadini, Ha ancora un senso l’arte In questa lettura della funzione dell’opera d’arte e del bello in essa, Benjamin non separa dunque l’estetico dall’artistico e, soprattutto, in termini prossimi alla riflessione kantiana della terza critica, li fa convergere nell’orizzonte della produzione di un significato comune che coinvolge anche l’elemento naturale. Dove però non è la teleologia naturale accolta nella moralità e nella condivisione dell’umano a emergere come conseguenza, bensì la potenza trans‐estetica o, meglio, storica ed etico‐politica del compito di riformulare l’umano secondo lo spunto che emerge dalla perforazione dell’epidermide del mondo. Allora, non siamo di fronte a un oggetto d’arte ma di fronte, proprio attraverso la specificazione del bello, a un oggetto d’arte e, dunque, a un’eccezione, che se non richiede necessariamente un soggetto investito del compito di produrla implica però inevitabilmente, secondo un’eco romantica, una specificità irriproducibile ed esclusiva. Questo carattere rimane implicitamente in sospeso e trova una sua soluzione (anche se non esclusiva) nella tesi di abilitazione dove l’opera d’arte è sottratta al dialogo tra bello e privo di espressione e ricondotta all’interno del più ampio quadro della sensibilità di un epoca rispetto all’interrogativo metafisicoantropologico proprio dell’uomo. La relazione cui rinvia il privo di espressione, sebbene non richiamata, rimane nel suo significato essenziale, ovvero nella funzione che svolge nell’opera, sotto forma della lingua che si esprime nell’allegoria. Nell’allegoria si esprime la dialettica del rapporto tra l’attenzione (feticistica) per gli infiniti elementi materiali del mondo e la nominazione (araldica) che li tesse in un discorso incapace di esaurirli e, dunque, indice/indizio/impronta di un’apertura costitutiva che richiede una riformulazione dello spazio etico comune perché possa trovare un accoglimento più pieno 21 . 21 Cfr. W. Benjamin, Origine del dramma barocco tedesco, cit., pp. 203‐205, 265‐267. 194
S&F_n. 9_2013 Benjamin risponde dunque, a suo modo, all’esigenza kantiana di un senso comune che segnali la condivisione di uno spazio etico tra gli uomini tramite la convergenza dei giudizi su un’opera; vi risponde attraverso una disseminazione di quel che era la funzione dell’opera tra gli oggetti, qualsiasi essi siano, prodotti dall’uomo, senza che questo provochi un depotenziamento dell’interrogazione critica del reale che in questi ultimi si arriva a ritrovare. Da qui riparte Didi‐Huberman e da qui può ripartire una riflessione sulla produzione artistica come interrogazione radicale dei rapporti etici dell’uomo. DIDIER ALESSIO CONTADINI svolge attività di ricerca presso l’Università degli Studi di Napoli – L’Orientale didierales@gmail.com 195
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