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ARTE Didier Alessio Contadini, Ha ancora un senso l’arte Se Danto riesce a evitare di soffocare la propria teoria che dichiara insufficiente ogni altro linguaggio che tenti di parafrasare, sintetizzare o comprendere l’opera 12 , ci sembra non riesca invece a evitare di ridurre questa dinamica a un gioco esclusivamente culturale incapace di spiegare perché l’avventura sia iniziata. In altri termini, riesce a confermarci che l’avventura dell’arte non è finita con gli albori dello scorso secolo ma non è in grado di dirci perché è ricominciata in un’altra forma. E ciò risulta rilevante non per appagare uno sguardo desideroso di ritrovare un’esaustività sistematica della teoria bensì perché questo punto specifico mostra come, pur nella storicità causale dell’opera, manchi il riconoscimento di una sua storicità essenziale, cioè il fatto che essa sia prodotta per esporre un’esigenza tensionale oggettiva e non una visione soggettiva, cioè il fatto che l’opera interroghi le relazioni storiche in cui è immersa esponendole e interroghi allo stesso tempo se stessa come linguaggio esponendovisi. Paradossalmente, la presa di distanza dalla riflessione kantiana produce come effetto una costruzione teorica analoga ma più debole. Il fondamento è infatti sempre il giudizio di gusto che, non più fondato sul bello e, dunque, su una relazione complessa e moralmente umanizzante della natura, trova ora il momento di condivisione che lo istituisce in una soddisfazione che rimane sensibile ma che è legittima solo se risulta intellettualisticamente consacrata, secondo criteri che sorgono dal consesso degli esperti, critici, cultori e collezionisti, e dalle istituzioni rappresentate da musei e gallerie d’arte 13 . Una condivisione, in definitiva, esclusiva di un determinato ambiente sociale cui pertiene il linguaggio del giudizio artistico. Ci troviamo così di fronte all’impossibilità di una condivisione generale del prodotto 12 Id., La trasfigurazione del banale. Una filosofia dell’arte, cit., p. 212. 13 Cfr. Id., The Artworld, in «The Journal of Philosophy», 19, 61, 1964, p. 581; P. D’Angelo, Tre modi (più uno) d’intendere l’estetica, in L. Russo (a cura di), Dopo l’estetica, Aesthetica Preprint, Palermo 2010, pp. 27, 42. 190
S&F_n. 9_2013 artistico e, dall’altro, alla neutralizzazione dell’opera come interrogazione potenzialmente esplosiva del reale. 3. L’arte come critica della realtà Sulla rottura artistica provocata dalla sperimentazione di Duchamp lavora in una direzione del tutto differente e in termini per noi significativi Didi‐Huberman. Lo studioso francese convoca l’operazione duchampiana all’interno della propria teoria sulla funzione complessa dell’impronta. L’impronta conserva una duplice relazione con la nozione di aura. Da un lato, nega il valore assoluto dell’aura. Dall’altro, ne afferma l’efficacia nella misura in cui produce un’interrogazione della materialità a partire dal suo limite, dalla sua presenza nella sua assenza, dalla complessa trama di relazioni (percettive, memoriali, concettuali, storiche…) che le sono connesse oltrepassandone il carattere fisico. È nello sviluppo di questa articolata trama argomentativa e concettuale che il teorico francese dell’immagine ci parla tanto della relazione mimetica tra l’opera d’arte e il mondo quanto della capacità trasfigurativa dell’arte. Emerge così la natura dialettica del readymade duchampiano e la sua portata trans‐disciplinare; la sua “virtù” «deriva proprio dalla sua condizione apparentemente poco determinata, sempre trasversale: è una virtù operazionale, una virtù dialettica grazie a cui i modelli temporali univoci possono essere combinati, sfumati, resi più complessi. Tali modelli ignorano solitamente l’“immagine dialettica”, la collisione tra l’Adesso e il Già‐stato, il lampo di anacronismo in cui si genera una configurazione nuova che non è né nostalgia del passato né isolamento maniacale del presente, e che, ancor prima di trovare una collocazione nella storia, ne spiazza la prospettiva, l’orientamento» 14 . 14 G. Didi‐Huberman, La somiglianza per contatto. Archeologia, anacronismo e modernità dell’impronta (2008), Bollati Boringhieri, Torino 2009, p. 178. 191
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Sulla rottura artistica provocata dalla sperimentazione di Duchamp<br />
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assoluto dell’aura. Dall’altro, ne afferma l’efficacia nella<br />
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trans‐disciplinare; la sua “virtù” «deriva proprio dalla sua<br />
condizione apparentemente poco determinata, sempre trasversale: è<br />
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dialettica”, la collisione tra l’Adesso e il Già‐stato, il lampo<br />
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