Racconto Africano vol.6 - Energheia
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madre che entrava nel manyatta e si dirigeva verso la capanna. Portava sul petto mia sorella più piccola e sulla schiena una catasta di legna per il fuoco. Generalmente, era compito delle donne andare a prendere l’acqua, raccogliere la legna da ardere, prendersi cura del bestiame e preparare i pasti per la famiglia, tra le altre faccende da sbrigare. Mio padre, invece, passava gran parte del suo tempo seduto su uno sgabello a tre gambe, giocando a ntotoi, un gioco tradizionale che si giocava con dei sassolini. Di solito partecipava a trattative per matrimoni, sedando dispute e proteggendo la famiglia dai ladri di bestiame. Ma, in realtà, era molto difficile che avesse davvero qualcosa da fare. All’improvviso un’idea mi balenò in mente. Dapprima pensai che non fosse saggio assillare mia madre che stava lavorando. Doveva essere stanca, aver sete e fame sotto quel sole cocente. Poi pensai di parlare del problema ai custodi dell’ordine e della legge. Invece, preferii parlare con mia madre poiché avevo un sacro terrore per quel padre che dispensava punizioni. Mi era ben nota la sua rigidità nel far rispettare le regole, specialmente quando si trattava di questioni etiche. “Stai bene”, mi domandò mia madre preoccupata. Aveva forse percepito la mia infelicità dal mio insolito silenzio. “Va tutto bene”, mi chiese. Feci degli scarabocchi sul terreno come uno di quei vermi che si trovano nel terreno. Non dissi neanche una parola. Continuai a restare in silenzio. Mia madre allungò la mano e mi diede un colpetto sulla testa per attirare la mia attenzione. “Sto bene, mamma”, le dissi con difficoltà. Non ero in grado di trovare le parole giuste per farle capire la difficile situazione in cui mi trovavo. In quel momento sentii nelle mie parole una certa contraddizione. Mi ero espresso in modo confuso, benché lei fosse un’esperta nel capire quello che volevo dire. “ ma… sembri turbato”, disse, sorpresa. Esitando le dissi del cadavere che si trovava nella giungla. “E’ il corpo di una ragazza che è stata costretta a sposarsi presto”. Le sue parole suscitarono immediatamente la mia curiosità. “Un gruppo di uomini del villaggio” continuò, “ha barattato la ragazza Lawrence Lentilalu Momenti indimenticabili 47
in cambio di mucche, denaro, liquori e coperte. Poi gli uomini hanno bevuto muratina - una birra locale - per sigillare il matrimonio dietro pagamento”. Di solito, una ragazza era considerata fonte di ricchezza, mentre un ragazzo apparteneva alla casta superiore in quanto erede. Quando una famiglia aveva delle figlie era considerata ricca. Era pratica comune che il consiglio degli anziani obbligasse le giovanette a sposarsi presto. Questo sistema costituisce la cosiddetta nkauti (la dote), che è essenzialmente un contratto che coinvolge l’intera comunità, più che le coppie. Questo tipo di matrimonio è legato alla dote e non all’amore. Il pagamento della dote, ovviamente, può essere tremendamente costoso, ma non dovrebbe mai essere messo sullo stesso piano della vita, dei diritti, dei desideri e della libertà della ragazza. In seguito la ragazza scoprì uno strano accordo matrimoniale e non accettò di essere la sesta moglie. “Decise quindi di avvelenarsi e così si tolse la vita”, mia madre continuò; poi fece una pausa. Infine aggiunse che la donna morta era stata gettata nel cespuglio. Provai un profondo senso di disgusto, mentre ascoltavo senza fare domande. “Una donna come quella, non sposata, non poteva essere seppellita adeguatamente e, ancora peggio, era vittima di un suicidio”, aggiunse. Non riuscivo a resistere al senso di profondo odio che mi montava dentro. “Fu considerata un’emarginata, abominevole e posseduta da spiriti maligni” mi disse mia madre. Poi rimase in silenzio, scosse la testa e mi guardò. Doveva aver notato in me un senso di amarezza. Finora mi ero chiesto perché gli anziani del villaggio non erano stati in grado di fare un vero e proprio funerale della comunità. Poi mia madre aggiunse: “E’ la nostra cultura!”, e tacque. In quel preciso istante, compresi la dura verità. Sì, le nostre tradizioni sono caparbiamente legate al modo di vivere patriarcale. Respirai profondamente e pensai a quella generazione ingiusta che non aveva saputo cedere il passo ad un raffinato ordine culturale che poteva, infine, trasformare i poco promettenti standard sociali. 48
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madre che entrava nel manyatta e si dirigeva verso la capanna. Portava<br />
sul petto mia sorella più piccola e sulla schiena una catasta di legna<br />
per il fuoco.<br />
Generalmente, era compito delle donne andare a prendere l’acqua, raccogliere<br />
la legna da ardere, prendersi cura del bestiame e preparare i pasti<br />
per la famiglia, tra le altre faccende da sbrigare. Mio padre, invece,<br />
passava gran parte del suo tempo seduto su uno sgabello a tre gambe,<br />
giocando a ntotoi, un gioco tradizionale che si giocava con dei sassolini.<br />
Di solito partecipava a trattative per matrimoni, sedando dispute e<br />
proteggendo la famiglia dai ladri di bestiame. Ma, in realtà, era molto<br />
difficile che avesse davvero qualcosa da fare.<br />
All’improvviso un’idea mi balenò in mente. Dapprima pensai che non<br />
fosse saggio assillare mia madre che stava lavorando. Doveva essere stanca,<br />
aver sete e fame sotto quel sole cocente. Poi pensai di parlare del<br />
problema ai custodi dell’ordine e della legge. Invece, preferii parlare con<br />
mia madre poiché avevo un sacro terrore per quel padre che dispensava<br />
punizioni. Mi era ben nota la sua rigidità nel far rispettare le regole,<br />
specialmente quando si trattava di questioni etiche.<br />
“Stai bene”, mi domandò mia madre preoccupata. Aveva forse percepito<br />
la mia infelicità dal mio insolito silenzio.<br />
“Va tutto bene”, mi chiese.<br />
Feci degli scarabocchi sul terreno come uno di quei vermi che si trovano<br />
nel terreno. Non dissi neanche una parola. Continuai a restare in silenzio.<br />
Mia madre allungò la mano e mi diede un colpetto sulla testa<br />
per attirare la mia attenzione.<br />
“Sto bene, mamma”, le dissi con difficoltà.<br />
Non ero in grado di trovare le parole giuste per farle capire la difficile<br />
situazione in cui mi trovavo. In quel momento sentii nelle mie parole<br />
una certa contraddizione. Mi ero espresso in modo confuso, benché lei<br />
fosse un’esperta nel capire quello che volevo dire.<br />
“ ma… sembri turbato”, disse, sorpresa.<br />
Esitando le dissi del cadavere che si trovava nella giungla.<br />
“E’ il corpo di una ragazza che è stata costretta a sposarsi presto”.<br />
Le sue parole suscitarono immediatamente la mia curiosità.<br />
“Un gruppo di uomini del villaggio” continuò, “ha barattato la ragazza<br />
Lawrence Lentilalu Momenti indimenticabili<br />
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