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senza pietà il muco affinché defluisse dalle narici. “Spero che tu sia abbastanza<br />
forte da accettare il verdetto finale, lui ha perso la voglia di vivere<br />
e tutto ciò che rimane è il vuoto”, disse Jirani con un tono malinconico<br />
mentre prendeva il cartone di latte. “Possa un domani migliore<br />
essere la nostra speranza contro i danni di oggi”, avrebbe detto Jirani<br />
portando a casa un ulteriore cartone di latte preso a credito.<br />
Disteso sul suo letto di morte, Chwora sapeva che sua moglie stava per<br />
partorire. La faccia malata e giallastra per la morte imminente. Le ossa<br />
delle guance sporgenti e gli occhi incavati nelle orbite. Cercò di emettere<br />
dei suoni “mmm…”.<br />
“Chwora, riposati per favore”, disse accorata. Non sapeva che le stava<br />
dicendo addio. Quando Jirani arrivò all’ospedale il giorno seguente, c’era<br />
una opprimente nuvola di malinconia nell’aria. Suo marito era morto<br />
alle tre del mattino. Credeva che nello stesso momento lo spirito della<br />
morte l’avesse visitata in sogno consentendole di vedere suo marito<br />
ascendere al trono dei morti.<br />
L’aria fredda schiaffeggiava la sua sciarpa ripetutamente, aveva a malapena<br />
vent’anni. A ventitre anni aveva già imparato molto dalla scuola<br />
della vita. Jirani era giunta nello slum per stare con gli amici dopo la<br />
morte di sua zia. Al contrario di Skwota, Jirani era arrivata in città da<br />
bambina. Rinforzata dalle stranezze della vita era flessibile e forte. “La<br />
povertà, l’AIDS e il governo sono tutti nemici”, sputò. “Se solo la mia<br />
famiglia non fosse povera, l’AIDS non avrebbe rubato mio marito”, spiegò.<br />
Jirani sapeva che la morte l’aveva derubata e lei non ne aveva più<br />
paura. “Toto, starai bene, ti porterò dal dottore e tutto andrà bene”, disse<br />
stringendo il bambino più forte.<br />
Mentre si avvicinava l’alba, si poteva sentire il turaco strillare e il gufo<br />
stridere affacciandosi nel nuovo giorno. La notte era particolarmente<br />
lunga e si aspettava con impazienza un nuovo giorno. Skwota era stata<br />
seduta sul sacco contenente ciò che possedeva per un’ora e si sentiva<br />
già stanca in quanto il sacco conteneva oggetti sporgenti messi alla<br />
rinfusa. Alle tre del mattino voleva liberarsi come d’abitudine. Camminò<br />
giù nella valle verso il fosso e si liberò. La strada che conduceva al fosso<br />
era ingombra di rifiuti umani ed era ancora peggio per il buio. Ogni<br />
due passi metteva i piedi su letame suppurante.<br />
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