Racconto Africano vol.6 - Energheia

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11.01.2015 Views

Dominic Chege Per la cruna di un ago Traduzione di Sara Giaccotto Il fruscìo leggero del vento e l’oscillare delle cime degli alberi avvolgevano la foresta pluviale in un’atmosfera di pace e armonia. La brina era evaporata e con lei i raggi del sole del mattino, che risplendono sulla terra marrone e la penetrano in profondità, si erano dispersi. Particelle di vapore, simili a linee sinuose e impenetrabili, erano sprigionate dal caldo umido e così intenso da far sudare chiunque. All’improvviso un enorme bucero batté le ali scomparendo nel verde lenzuolo della natura, tipica di ogni foresta pluviale. Poco prima un babbuino era comparso dal nulla scuotendo i grandi rami. Era il mese di ottobre; a causa dell’acqua abbondante caduta durante il mese passato, alcuni rami si erano spezzati producendo un rumore sonoro. Il babbuino era poi scomparso senza nemmeno guardarsi intorno. Il vento leggero muoveva le acque dello stagno. All'improvviso l’acqua iniziò a incresparsi, partendo dagli angoli dello stagno. Nient’altro, a parte il vento, muoveva la natura intorno. Al massimo si sarebbe potuto udire il fischio acuto dei fucili AK-47 dei cacciatori che rincorrono un animale selvaggio o sparano contro i leopardi bramosi di carne umana. E anche se si fossero mai imbattuti in un leopardo, ciò non sarebbe stato un problema. Tutt’altro; avrebbero potuto perfezionare il tiro. Quella della caccia era un’arte che praticavano fin da quando erano piccoli. Probabilmente, un talento ereditato dai nonni. Durante le vacanze, quan- 23

do le scuole erano chiuse, passavano il loro tempo cacciando. Era il loro hobby ed erano bravi in questo. Sapevano come sparare. Avevano un tiro perfetto e sapevano come posizionare le trappole e scuoiare gli animali. Tempo addietro avevano imparato ad usare archi e frecce, senza che nessuno gli avesse detto come usarli. Il vecchio del villaggio era solito ripetere: “Una freccia è una minaccia di cui abbiamo disperatamente bisogno!”. Talvolta il “Vecchio Padre” usava la pelle degli animali come decorazioni, per costruire strumenti musicali tradizionali, letti e anche vestiti tipici che indossava lui stesso o faceva indossare ad altri. “È una bella giornata, non è vero”, aveva detto Kaisi, il più alto, forte e anziano del gruppo. “Di sicuro la mattinata giusta per far risvegliare tutte le mosche tse-tse della foresta”, aveva risposto Jimo, “il Bambino”, come da sempre lo chiamavano. Il fatto che fosse il più piccolo del gruppo gli creava a volte dei complessi di inferiorità. Nessuno gli permetteva di portare un fucile; per questo era costretto a nascondersi dietro Kaisi ogni qualvolta sparava ad un animale. Jimo era addetto al controllo trappole. “La vita scorre felicemente tutto intorno a noi, Kaisi. Perfino Jimo vuole arrampicarsi sull’albero più alto e vedere dall’alto l’intera foresta”. Era una delle solite osservazioni ironiche di Moine. Tutti erano scoppiati in una risata fragorosa, provocando un’eco che si era subito smorzato lontano. Ancora una volta il silenzio era piombato tra loro, un silenzio tombale. Erano pronti a rispondere a qualunque attacco, specialmente in quella zona della foresta abitata da pericolosi carnivori. I fucili erano pronti a sparare e gli archi e le frecce pronte a vibrare dalle loro braccia muscolose. Attraversarono rapidamente il fiumiciattolo; l'acqua entrò negli stivali. Un desiderio impellente iniziò a impadronirsi delle loro menti mentre risalivano la scarpata, come una leonessa che scatta dietro un'antilope. Si stavano dirigendo verso le due trappole. I pesanti colpi degli stivali riecheggiavano nel silenzio penetrante, mentre enormi gocce d’acqua cadevano 24

do le scuole erano chiuse, passavano il loro tempo cacciando. Era il loro<br />

hobby ed erano bravi in questo. Sapevano come sparare. Avevano un tiro<br />

perfetto e sapevano come posizionare le trappole e scuoiare gli animali.<br />

Tempo addietro avevano imparato ad usare archi e frecce, senza che nessuno<br />

gli avesse detto come usarli. Il vecchio del villaggio era solito ripetere:<br />

“Una freccia è una minaccia di cui abbiamo disperatamente bisogno!”.<br />

Talvolta il “Vecchio Padre” usava la pelle degli animali come decorazioni,<br />

per costruire strumenti musicali tradizionali, letti e anche vestiti<br />

tipici che indossava lui stesso o faceva indossare ad altri.<br />

“È una bella giornata, non è vero”, aveva detto Kaisi, il più alto, forte<br />

e anziano del gruppo.<br />

“Di sicuro la mattinata giusta per far risvegliare tutte le mosche tse-tse<br />

della foresta”, aveva risposto Jimo, “il Bambino”, come da sempre lo<br />

chiamavano. Il fatto che fosse il più piccolo del gruppo gli creava a volte<br />

dei complessi di inferiorità. Nessuno gli permetteva di portare un fucile;<br />

per questo era costretto a nascondersi dietro Kaisi ogni qualvolta<br />

sparava ad un animale. Jimo era addetto al controllo trappole.<br />

“La vita scorre felicemente tutto intorno a noi, Kaisi. Perfino Jimo vuole<br />

arrampicarsi sull’albero più alto e vedere dall’alto l’intera foresta”.<br />

Era una delle solite osservazioni ironiche di Moine.<br />

Tutti erano scoppiati in una risata fragorosa, provocando un’eco che si<br />

era subito smorzato lontano. Ancora una volta il silenzio era piombato<br />

tra loro, un silenzio tombale. Erano pronti a rispondere a qualunque attacco,<br />

specialmente in quella zona della foresta abitata da pericolosi carnivori.<br />

I fucili erano pronti a sparare e gli archi e le frecce pronte a vibrare<br />

dalle loro braccia muscolose. Attraversarono rapidamente il fiumiciattolo;<br />

l'acqua entrò negli stivali. Un desiderio impellente iniziò a<br />

impadronirsi delle loro menti mentre risalivano la scarpata, come una<br />

leonessa che scatta dietro un'antilope.<br />

Si stavano dirigendo verso le due trappole. I pesanti colpi degli stivali riecheggiavano<br />

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