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Psicologia sociale dei gruppi - Scienze della Formazione

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<strong>Psicologia</strong> Sociale <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong><br />

CORSO da 6 CREDITI<br />

36 ORE di lezione<br />

DOCENTE Prof. Fridanna Maricchiolo<br />

RICEVIMENTO Lunedì, , 12-13, 13, Via <strong>dei</strong> Mille 23, stanza 12<br />

MAIL fmaricchiolo@uniroma3.it


Lezioni: giorni, orari e luogo<br />

PERIODO<br />

ORARIO<br />

26/10 --21/12<br />

recupero 9-11-16/01<br />

lunedì 15-17<br />

mercoledì 13-15<br />

LEZIONI<br />

18<br />

SEDE<br />

p.zza <strong>della</strong> Repubblica<br />

lunedì Aula 4 PII PII<br />

mercoledì Aula 9 PT


Programma del corso<br />

• Il corso offre una sintetica panoramica sui concetti teorici <strong>della</strong><br />

la<br />

psicologia <strong>sociale</strong> applicata ai processi di gruppo<br />

• Verranno approfondite nozioni teoriche e metodologiche di analisi,<br />

i,<br />

dello studio <strong>dei</strong> processi di gruppo<br />

• Tra gli argomenti principali:<br />

– Lo studio <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong> nella prospettiva <strong>della</strong> psicologia <strong>sociale</strong>.<br />

– Ruoli, norme, status e funzioni nei <strong>gruppi</strong>.<br />

– I fenomeni delle dinamiche di gruppo.<br />

– Potere e leadership.<br />

– L’interazione nei <strong>gruppi</strong> e tra i <strong>gruppi</strong> sociali.<br />

– Relazioni inter-<strong>gruppi</strong> e categorizzazione <strong>sociale</strong>.<br />

– La comunicazione e i processi di influenza <strong>sociale</strong> nei <strong>gruppi</strong>.<br />

– Comunicazione non verbale.


Libri di testo<br />

Manuale<br />

BROWN. <strong>Psicologia</strong> <strong>sociale</strong> <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong>, Il Mulino,<br />

Bologna<br />

Monografia<br />

BONAIUTO, MARICCHIOLO. Comunicazione non verbale.<br />

Seconda Edizione. 2009. Carocci Editore, Roma.<br />

Un articolo di ricerca (in inglese) a scelta tra un elenco che verrà<br />

comunicato dal docente sul sito


MODALITA’ D’ESAME<br />

• Prenotazione OBBLIGATORIA<br />

STAMPARE LA RICEVUTA DELLA PRENOTAZIONE<br />

• Esame orale sui due testi d’esame d<br />

e l’articolol


Cos’è la psicologia <strong>sociale</strong><br />

6


“Scientific study of how the thought, feeling and<br />

behavior of individuals are influenced by the actual,<br />

imagined or implied presence of other human<br />

beings"<br />

(G. Allport, 1954)<br />

Una definizione<br />

7


Una definizione<br />

• G. Allport ha definito la <strong>Psicologia</strong> Sociale:<br />

– “Lo studio scientifico delle modalità attraverso cui i<br />

pensieri, i sentimenti , e i comportamenti degli individui<br />

sono influenzati dalla presenza, reale o immaginata, di<br />

altre persone.”<br />

• Scientifico<br />

• Pensieri, sentimenti e comportamenti<br />

• Individui<br />

• Presenza di altre persone<br />

8


Cos’è la psicologia <strong>sociale</strong><br />

La presenza di altre persone, le conoscenze e le opinioni<br />

che ci trasmettono, i nostri sentimenti nei confronti <strong>dei</strong><br />

<strong>gruppi</strong> a cui apparteniamo, sono tutti elementi che ci<br />

influenzano profondamente attraverso i “processi sociali”,<br />

indipendentemente dal fatto che siamo soli o in<br />

compagnia.<br />

Anche percezioni, ricordi, emozioni, motivazioni<br />

esercitano una grande influenza attraverso i “processi<br />

cognitivi” (percettivi, interpretativi, valutativi).<br />

I processi sociali e cognitivi non sono separati, sono anzi<br />

strettamente connessi.


Interazione <strong>sociale</strong><br />

La psicologia <strong>sociale</strong> studia l’interazione <strong>sociale</strong><br />

• L’inizio di un nuovo corso<br />

• Un colloquio di lavoro<br />

• Un appuntamento galante<br />

• Una riunione<br />

• Un incontro tra amici<br />

• Sono tutte occasioni di interazione (agenti e osservatori)<br />

10


Interazione <strong>sociale</strong><br />

• Nei contesti d’interazione <strong>sociale</strong> le altre persone ci<br />

osservano, influenzano i nostri sentimenti e il nostro<br />

comportamento.<br />

• Noi, in genere, cerchiamo di essere all’altezza, di proporre<br />

una buona impressione, di cooperare, etc.<br />

• Ma siamo influenzati dalle nostre motivazioni e sentimenti nel<br />

valutare gli altri che interagiscono con noi<br />

12


Interazione <strong>sociale</strong> e processi cognitivi<br />

• I processi sociali sono dunque i modi in cui i nostri pensieri,<br />

sentimenti, il nostro comportamento sono influenzati dalle persone<br />

con cui interagiamo, dai <strong>gruppi</strong> di appartenenza, dagli aspetti<br />

culturali trasmessi con l’educazione, etc…<br />

• I processi cognitivi sono invece i modi in cui percezioni, ricordi,<br />

emozioni guidano la nostra comprensione del mondo.<br />

13


L’obiettivo <strong>della</strong> <strong>Psicologia</strong> <strong>sociale</strong><br />

In ultima istanza, l’obiettivo <strong>della</strong> “psicologia <strong>sociale</strong>” è<br />

quello di comprendere le cause del comportamento<br />

<strong>sociale</strong> delle persone.<br />

Molteplicità di variabili potenzialmente influenti<br />

- Elementi personali (atteggiamenti, valori, motivazioni, etc.)<br />

- Comportamenti e caratteristiche delle altre persone<br />

- Variabili ambientali<br />

- Variabili socio-culturali<br />

- Aspetti di tipo biologico


Livelli di spiegazione in psicologia <strong>sociale</strong><br />

Doise (1982) ha individuato quattro diversi livelli in cui lo studio <strong>della</strong><br />

psicologia si colloca a seconda <strong>della</strong> natura delle variabili coinvolte<br />

nella ricerca:<br />

• il livello intraindividuale<br />

• il livello intragruppo<br />

• il livello intergruppo<br />

• il livello collettivo<br />

15


Il livello intraindividuale: studia le modalità con cui l’individuo<br />

analizza la realtà e costruisce un’immagine del mondo <strong>sociale</strong><br />

che lo circonda, sceglie determinati comportamenti.<br />

Il livello intragruppo: analizza le dinamiche interpersonali tra più<br />

soggetti che fanno parte di un medesimo gruppo (es. processi<br />

di conformismo, devianza, comunicazione e leadership).<br />

Il livello intergruppo: studia le relazioni esistenti tra <strong>gruppi</strong> sociali<br />

differenti (in-group – out-group).<br />

Il livello collettivo: prende in considerazione i processi sociali<br />

legati al contesto culturale e storico in cui gli individui si<br />

trovano ad operare.<br />

16


Livelli di spiegazione in psicologia <strong>sociale</strong><br />

17


Kurt Lewin<br />

• 1890 -- 1947.<br />

• Equazione di Lewin :<br />

C= f (P, A)<br />

18


Stanley Milgram<br />

• 1933 -- 1984<br />

• Gli esperimenti di Milgram sull’ obbedienza<br />

19


Muzafer Sherif<br />

• 1906 – 1988<br />

• Gli esperimenti di Robber’s Cave: interdipendenza e<br />

cooperazione<br />

20


Henry Tajfel<br />

• 1919 -- 1982<br />

• La Teoria dell’ Identità Sociale e le relazioni inter<strong>gruppi</strong><br />

21


Come si è evoluta la psicologia <strong>sociale</strong><br />

Nel corso del XX secolo la psicologia <strong>sociale</strong> ha mantenuto la<br />

convinzione che l’individuo fosse un essere pensante, capace di<br />

generare ragionamenti valutazioni e inferenze.<br />

22


Tra gli anni ’50 e ‘60 studiosi come Festinger con la sua teoria <strong>della</strong> dissonanza<br />

cognitiva [1957] e Heider [1958] autore <strong>della</strong> teoria dell’equilibrio propongono una<br />

concezione dell’uomo come ricercatore di coerenza teso a cogliere l’equilibrio, da un<br />

lato, tra le credenze che possiede, dall’altro, tra il proprio sistema di credenze ed i<br />

propri comportamenti.<br />

23


A partire dagli anni ’70 si afferma una nuova prospettiva che propone<br />

una concezione dell’individuo inteso non più come ricercatore di<br />

coerenza, ma come uno scienziato ingenuo (teorie naive)<br />

24


<strong>Psicologia</strong> Sociale e teorie naive<br />

• La psicologia <strong>sociale</strong> spesso può essere simile al senso comune, perché<br />

cerca di spiegare comportamenti quotidiani su cui ogni giorno noi cerchiamo di<br />

dare una spiegazione o su cui pensiamo di riuscire a fare delle previsioni.<br />

• Eppure i risultati delle ricerche molto spesso sono distanti da quello che ci<br />

farebbe rispondere il senso comune<br />

25


<strong>Psicologia</strong> Sociale e teorie naive<br />

• Supponete che una persona autorevole chieda ad un uno studente di<br />

somministrare delle scosse elettriche di forte entità: che percentuale di<br />

soggetti arriverà a fornire il massimo dell’intensità a) 8% b) 22% c) 65%<br />

• Se date ad un bambino una ricompensa dopo che ha fatto un’attività che già<br />

gli piace fare, quell’attività poi gli piacerà: a) di più b) di meno c) come<br />

prima<br />

• La ripetizione di esposizione ad uno stimolo (persona, canzone, poster) lo farà<br />

piacere: a) di più b) di meno c) come prima<br />

• Se chiedi un favore ad una persona, a quella persona piacerai: a) di più b)<br />

di meno c) come prima<br />

26


Negli ultimi decenni, ci si è resi conto che l’individuo,<br />

avendo a disposizione limitate risorse cognitive, deve<br />

ricorrere a delle strategie di elaborazione delle<br />

informazioni, le cosiddette euristiche, che gli consentono di<br />

risparmiare tempo e sforzi e, contemporaneamente, di<br />

ottenere delle informazioni sufficientemente attendibili su<br />

quanto sta accadendo attorno a lui<br />

Processi automatici vs. processi deliberativi<br />

27


Fino a che punto siamo consapevoli <strong>dei</strong> nostri pensieri<br />

Non tutta l’attività <strong>della</strong> mente umana viene svolta in maniera<br />

consapevole. Compiti routinari (ad esempio, la lettura di un breve<br />

messaggio) possono essere attuati in maniera automatica con un carico<br />

attentivo bassissimo.<br />

I processi controllati, al contrario, presuppongono il<br />

controllo flessibile, intenzionale dell’individuo e sono<br />

vincolati alla quantità di attenzione attivata al momento<br />

(Bargh, 1989).<br />

28


Molti comportamenti sono di natura<br />

automatica<br />

• Spesso nascono come comportamenti più deliberativi e si evolvono<br />

nell’arco del tempo come automatici (es. guida automobile)<br />

• Sono efficienti (nel senso di poche energie spese), poco<br />

controllabili, veloci, autonomi, non trasparenti (senza conoscenza<br />

<strong>dei</strong> processi sottostanti), non intenzionali<br />

29


Anche nell’elaborazione dell’informazione<br />

<strong>sociale</strong> facciamo ricorso a processi di<br />

categorizzazione o giudizio <strong>sociale</strong> che vengono,<br />

in buona parte, attivati in maniera automatica,<br />

cioè indipendentemente dalla nostra<br />

consapevolezza<br />

Meccanismi alla base di stereotipi e<br />

pregiudizi<br />

Non sempre portano a comportamenti automatici (discriminatori)<br />

30


Con quali modalità procede la psicologia<br />

<strong>sociale</strong><br />

31


Essa si avvale del METODO SCIENTIFICO che si articola<br />

nelle seguenti tappe:<br />

• formulazione <strong>della</strong> teoria<br />

• esplicitazione delle ipotesi<br />

• raccolta <strong>dei</strong> dati empirici<br />

• analisi <strong>dei</strong> dati<br />

• confronto tra risultati ottenuti e ipotesi<br />

• eventuale riformulazione <strong>della</strong> teoria<br />

32


Che cos’è una teoria scientifica<br />

33


Un insieme di leggi espresse in una forma sintetica e<br />

sistematica che si basano su osservazioni e vengono<br />

mantenute come vere fino a quando non sono smentite<br />

da evidenze contrarie<br />

Ciò che conferisce ad una teoria il carattere di<br />

scientificità consiste nella possibilità <strong>della</strong> stessa di essere<br />

confutata<br />

34


A partire dalla teoria sono formulate le ipotesi di ricerca<br />

Affinché un’ipotesi possa essere sottoposta a verifica empirica essa deve essere<br />

operazionalizzata, ossia trasformata in un’operazione empiricamente osservabile<br />

L’OPERAZIONALIZZAZIONE consiste quindi nel trasformare <strong>dei</strong> concetti<br />

teorici in variabili, cioè in entità rilevabili e misurabili<br />

35


Come si misurano gli atteggiamenti<br />

• Atteggiamenti<br />

– Costrutti non osservabili<br />

– Inferibili da alcuni indicatori (risposte esplicite e<br />

comportamenti)<br />

• affermazioni favorevoli o sfavorevoli all’oggetto<br />

studiato su cui i soggetti devono indicare il grado di<br />

accordo o disaccordo<br />

• Azioni che manifestano favore o sfavore nei<br />

riguardi dell’oggetto di studio<br />

36


Le risposte <strong>della</strong> <strong>Psicologia</strong> Sociale<br />

• Tendono a enfatizzare la A nell’ equazione di Lewin<br />

• Sono probabilistiche<br />

• Sono condizionali: “Dipende”<br />

• Sono spesso controintuitive<br />

37


La formazione delle impressioni<br />

38


Solomon Asch (1946): modello configurazionale nella formazione delle impressioni<br />

Le persone sono concepite come unità psicologiche e le diverse informazioni sono<br />

ricondotte ad un nucleo interpretativo unificante<br />

•Esperimento: I soggetti leggevano una lista di aggettivi relativi ad un individuo.<br />

Veniva chiesto loro di valutare questo ipotetico individuo<br />

•Intelligente, abile, lavoratore, freddo, risoluto, pratico, prudente =<br />

•persona calcolatrice, arrivista<br />

•Intelligente, abile, lavoratore, caldo, risoluto, pratico, prudente =<br />

• persona affabile, generosa<br />

39


Effetto primacy:<br />

– I primi tratti pecepiti sono più influenti perché sono quelli che<br />

attivano e formano la configurazione globale dell’impressione<br />

– Quando una lista inizia con tratti positivi, i tratti negativi sono<br />

interpretati meno negativamente.<br />

– Questo non avviene se gli stessi tratti negativi vengono presentati<br />

all’inizio<br />

•Processo di elaborazione top down: effetto dovuto al calo di attenzione<br />

•Processo di elaborazione bottom up: richiede sforzo maggiore di elaborazione<br />

rispetto a quello top down<br />

40


I due processi possono essere agli estremi di un continuum<br />

(Fiske e Neuberg, 1990)<br />

Processo basato su<br />

informazioni di<br />

appartenenza categoriale<br />

(top down)<br />

__________________________<br />

Ruolo <strong>della</strong> motivazione nel processo di elaborazione<br />

Processo basato su<br />

informazioni<br />

individuali<br />

(bottom up)<br />

Esempio: Impressione verso uno sconosciuto<br />

• Inizialmente sono utilizzate informazioni categoriali (sesso,<br />

età…): impressione quasi automatica, poco sforzo e<br />

attenzione. Elaborazione di tipo Top Down: dall’unità agli<br />

elementi<br />

• Se la persona diviene rilevante per il raggiungimento di uno<br />

scopo: elaborazione più profonda e maggiore sforzo.<br />

Elaborazione di tipo Bottom up: attenzione alle informazioni<br />

individuali<br />

41


Impressioni degli altri come elementi di scambio comunicativo<br />

Tre modalità per conoscere gli altri:<br />

• Osservazione diretta del comportamento<br />

• Ascoltare ciò che gli altri dicono di loro stessi<br />

• Avere informazioni da terzi = formazione <strong>della</strong> reputazione<br />

Che cosa è la reputazione<br />

“Giudizio formulato da una comunità su un individuo in particolare che<br />

generalmente, ma non necessariamente, appartiene alla comunità stessa”<br />

(Emler, 1994)<br />

- Forma di conoscenza <strong>sociale</strong> mediata dall’esperienza altrui<br />

- Prende il via dalla formazione delle impressioni e si costruisce nella<br />

comunicazione<br />

42


Perché un individuo abbia una reputazione è necessario che:<br />

• Faccia parte di una comunità come membro stabile<br />

• I membri scambino, nelle conversazioni, informazioni sui suoi comportamenti e<br />

qualità<br />

• I membri siano inseriti in una rete che colleghi chi non si conosce per via diretta<br />

A che cosa serve la reputazione<br />

• Assicura gli scambi comunicativi: coordina gli sforzi degli individui<br />

• Controllo <strong>sociale</strong>: limita l’accesso alle interazioni a persone potenzialmente<br />

dannose<br />

• Promuove autocontrollo: l’individuo ha interesse ad avere una reputazione<br />

positiva per avere accesso agli scambi comunicativi<br />

Di conseguenza: l’individuo agisce attivamente e consapevolmente nella costruzione<br />

<strong>della</strong> propria reputazione<br />

43


Percepire le persone e i <strong>gruppi</strong><br />

I processi che sono alla base <strong>della</strong> percezione degli individui e <strong>della</strong> percezione<br />

<strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong> sono gli stessi<br />

Hamilton e Sherman hanno mostrato che le persone percepiscono un certo<br />

livello di unità (entitativity) anche nel caso <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong> sociali<br />

Che cos’è l’ entitativity<br />

Percezione che un aggregato abbia natura di entità fornita da una sorta di<br />

confine (Campel, 1958).<br />

I fattori che creano la percezione di entitativity :<br />

– Somiglianza o prossimità fra gli elementi dell’insieme<br />

– Organizzazione reciproca<br />

– Interdipendenza<br />

– Aspettative di comportamenti congruenti<br />

44


Gruppi ad alta entitativity<br />

(membri di un club esclusivo)<br />

come nella formazione delle impressioni individuali le informazioni<br />

sono integrate in una rappresentazione ben organizzata (topdown):<br />

– Danno luogo a inferenze immediate e spontanee sulle<br />

caratteristiche <strong>dei</strong> membri<br />

– Danno luogo a maggiori aspettative di coerenza<br />

– Danno luogo a spiegazioni di tipo causale per comportamenti<br />

congruenti con le aspettative<br />

45


Gruppi a bassa entitativity (clienti di un negozio)<br />

Come nella formazione delle impressioni basate sulle<br />

categorie, le informazioni sono rievocate dalla memoria<br />

(memory based) e le eventuali incongruenze fra le<br />

informazioni non creano problemi di ricomposizione<br />

(bottom up)<br />

Conclusioni:<br />

A parità di aspettative circa l’unitarietà degli individui o<br />

<strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong> i processi per la formazione delle<br />

impressioni sono gli stessi<br />

46


<strong>Psicologia</strong> <strong>sociale</strong> <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong><br />

47


I temi <strong>della</strong> psicologia <strong>sociale</strong> <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong><br />

1. Descrizione di gruppo<br />

2. L’interazione nei <strong>gruppi</strong><br />

3. Le relazioni fra i <strong>gruppi</strong> sociali<br />

4. L’influenza <strong>sociale</strong><br />

48


I temi <strong>della</strong> psicologia <strong>sociale</strong> <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong><br />

Descrizione di gruppo<br />

• Storia dello studio <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong><br />

• Tipi di gruppo<br />

• Definizioni di gruppo<br />

• Individuo vs. Gruppo<br />

Le relazioni fra i <strong>gruppi</strong><br />

• Comportamenti inter<strong>gruppi</strong><br />

• Identità <strong>sociale</strong><br />

• Categorizzazione <strong>sociale</strong><br />

• Discriminazione inter<strong>gruppi</strong>:<br />

stereotipi e pregiudizi<br />

L’interazione nei <strong>gruppi</strong><br />

• Struttura del gruppo: status, ruoli,<br />

norme<br />

• La comunicazione nel gruppo<br />

• Processi di gruppo: potere, leadership<br />

• Decisioni nei <strong>gruppi</strong><br />

L’influenza <strong>sociale</strong><br />

• Conformismo e influenza <strong>della</strong><br />

maggioranza<br />

• Genesi del cambiamento <strong>sociale</strong>:<br />

influenza minoritaria<br />

• Condiscendenza e conversione


1. Descrizione di gruppo<br />

• Storia dello studio <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong><br />

• Tipi di gruppo<br />

• Definizioni di gruppo<br />

• Individuo vs. Gruppo<br />

50


2. L’interazione nei <strong>gruppi</strong><br />

• Struttura del gruppo<br />

• Sistema di status<br />

• I ruoli<br />

• Le norme di gruppo<br />

• La comunicazione nel gruppo<br />

• Processi di gruppo<br />

• Il potere nel gruppo<br />

• La leadership: stile di leadership e funzioni<br />

• Decisioni nei <strong>gruppi</strong><br />

51


3. Le relazioni fra i <strong>gruppi</strong> sociali<br />

• Comportamenti inter<strong>gruppi</strong><br />

• Identità <strong>sociale</strong><br />

• Categorizzazione <strong>sociale</strong><br />

• Discriminazione inter<strong>gruppi</strong>: stereotipi e pregiudizi<br />

52


4. L’influenza <strong>sociale</strong><br />

• Conformismo e influenza <strong>della</strong> maggioranza<br />

• Genesi del cambiamento <strong>sociale</strong>: influenza minoritaria<br />

• Condiscendenza e conversione<br />

53


I <strong>gruppi</strong> sociali<br />

54


Approcci allo studio <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong><br />

• Antropologico<br />

• Etologico<br />

• Sociologico<br />

Psicanalitico<br />

Psicodrammatico<br />

Psico<strong>sociale</strong><br />

55


<strong>Psicologia</strong> <strong>sociale</strong> <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong>: breve storia<br />

2 prospettive (Hogg<br />

& Vaughan, , 1995):<br />

- Individualistica<br />

es. Social Cognition<br />

(le persone si comportano allo stesso modo sia in gruppo che<br />

da sole; i processi di gruppo sono processi interpersonali che<br />

occorrono tra un certo numero di individui)<br />

- Collettivistica<br />

es. Rappresentazioni Sociali<br />

(il comportamento delle persone nei <strong>gruppi</strong> è influenzato<br />

da processi sociali che emergono nei <strong>gruppi</strong> e da essi si<br />

originano)<br />

56


<strong>Psicologia</strong> <strong>sociale</strong> <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong>: breve storia<br />

• Nascita dell’interesse verso lo studio <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong>: USA, anni ’30<br />

• 2 tipi di fenomeni promotori di interesse:<br />

- eventi storici di natura politico-economica (crollo <strong>della</strong> Borsa di Wall-Street<br />

Street,<br />

avvento <strong>dei</strong> regimi totalitari in Europa)<br />

- incidenza <strong>dei</strong> “fattori umani” nel mondo <strong>della</strong> produzione; importanza <strong>gruppi</strong> di<br />

lavoro per il comportamento individuale (studi di E. Mayo negli stabilimenti<br />

Hawthorne)<br />

57


<strong>Psicologia</strong> <strong>sociale</strong> <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong>: breve storia<br />

• Il “Centro di Ricerca per le Dinamiche di Gruppo” di K. Lewin: : il<br />

gruppo come totalità dinamica con caratteristiche diverse dalla<br />

semplice somma <strong>dei</strong> componenti.<br />

“Le proprietà dell’acqua sono qualcosa di diverso dalla sempice somma di<br />

proprietà di 2 molecole d’idrogeno d<br />

e una di ossigeno” (Asch,, 1952)<br />

• Anni ’60: l’interesse l<br />

<strong>della</strong> Ψ <strong>sociale</strong> per lo studio <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong> si sposta in<br />

Europa<br />

Es.: S. Moscovici, , l’influenza l<br />

minoritaria; H. Tajfel, , identità <strong>sociale</strong> e<br />

relazioni inter<strong>gruppi</strong><br />

58


Tipi di gruppo - sociologia<br />

In sociologia, si opera una distinzione tra i concetti di:<br />

- Gruppo <strong>sociale</strong>: numero limitato di individui che interagiscono con regolarità<br />

Esempio: una famiglia, un circolo sportivo<br />

- Aggregato: insieme di individui che si trovano nello stesso luogo e allo stesso<br />

momento, senza condividere un legame preciso<br />

Esempio: gli spettatori in una sala cinematografica<br />

- Categoria <strong>sociale</strong>: raggruppamento statistico; insieme di individui che hanno<br />

una caratteristica comune<br />

Esempio: le donne; i vegetariani<br />

59


Tipi di gruppo - Ψ <strong>sociale</strong><br />

Alcune dicotomie<br />

• Piccoli <strong>gruppi</strong><br />

(detti anche “ristretti”)<br />

• Gruppi primari<br />

(es. Famiglia)<br />

• Gruppi formali<br />

(es. Associazioni)<br />

• Gruppi strumentali<br />

(orientati allo scopo)<br />

vs.<br />

vs.<br />

Grandi <strong>gruppi</strong><br />

(detti anche “estesi”)<br />

vs.<br />

Gruppi secondari<br />

(es. team aziendale)<br />

vs.<br />

Gruppi informali<br />

(es. gruppo di amici)<br />

Gruppi espressivi<br />

(orient. emozionale)<br />

• Gruppi artificiali<br />

(creati ad hoc)<br />

vs.<br />

Gruppi naturali<br />

(pre-esistenti)<br />

esistenti)<br />

60


Che cos’è<br />

un gruppo Definizioni - I<br />

• 1) Il fattore critico è l’esperienza di un destino comune (Lewin,, 1948;<br />

Campbell, 1958; Rabbie & Horowitz, 1988)<br />

• 2) La cosa fondamentale è l’esistenza di una struttura <strong>sociale</strong> formale o<br />

implicita, , espressa solitamente attraverso relazioni di status o di ruolo<br />

(Sherif<br />

& Sherif, , 1969)<br />

• 3) E’ E necessario che vi sia una interazione faccia a faccia tra i membri<br />

(Bales,, 1950; Homans, , 1950)<br />

La seconda e la terza definizione possono essere applicate solo a <strong>gruppi</strong> di<br />

piccole dimensioni (massimo 20 membri)<br />

61


Che cos’è<br />

un gruppo Definizioni - II<br />

• 4) Un gruppo esiste quando due o più individui percepiscono se stessi<br />

come membri <strong>della</strong> medesima categoria <strong>sociale</strong> (Turner, 1982)<br />

• 5) Un gruppo esiste quando due o più individui definiscono se stessi<br />

come membri e quando la sua esistenza è riconosciuta da almeno<br />

un’altra persona, , intendendo per “altra persona” un singolo individuo o<br />

un gruppo di persone che non si definiscono membri di quel gruppo<br />

(Brown,, 2000)<br />

62


Individuo vs. Gruppo - I<br />

Un gruppo può essere considerato la somma <strong>dei</strong><br />

suoi individui<br />

Secondo Allport (1924) non esiste una psicologia<br />

<strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong> che non sia fondamentalmente ed<br />

interamente una psicologia degli individui.<br />

Questo va nella posizione contraria di chi sostiene<br />

che, invece, possa esistere una “mente di gruppo”<br />

che induce a fare azioni che, altrimenti, i singoli<br />

individui non compierebbero mai (come nel caso<br />

delle folle).<br />

63


Individuo vs. Gruppo - II<br />

Secondo Allport questa mancanza di consapevolezza<br />

<strong>dei</strong> singoli individui non può essere sottoposta a una<br />

verifica empirica: non è possibile osservare la “mente<br />

di gruppo” distintamente dagli individui che lo<br />

compongono.<br />

Effettivamente, il concetto di “mente di gruppo”<br />

rischia di sfociare in qualcosa di astratto e metafisico<br />

Ma, nella sua definizione, Allport riconduce i<br />

fenomeni gruppali a processi psicologici individuali (e<br />

quindi si ferma a un livello interpersonale: prospettiva<br />

individualistica)<br />

64


Individuo vs. Gruppo - III<br />

Il concetto di “mente di gruppo” è stato ripreso e<br />

sviluppato in modo più completo da altri autori<br />

come Mead (1934), Sherif (1936), Asch (1952) e<br />

Lewin (1952): tutti questi autori sottolineano come<br />

la relazione tra i membri di un gruppo caratterizzi<br />

un gruppo <strong>sociale</strong>.<br />

Quindi il gruppo emerge dalla percezione che le<br />

persone hanno di se stesse come membri di una<br />

entità <strong>sociale</strong> e dalle relazioni che intercorrono<br />

all’interno di tale entità<br />

65


Il continuum interpersonale-inter<strong>gruppi</strong> - I<br />

Come è possibile distinguere il comportamento<br />

interpersonale dal comportamento di gruppo<br />

Secondo Tajfel (1978) ci sono tre criteri:<br />

1) La presenza o assenza di almeno due categorie sociali<br />

identificabili in modo non ambiguo: Es.: uomo/donna<br />

2) Il grado di variabilità (basso/alto) negli atteggiamenti o<br />

nel comportamento <strong>dei</strong> membri di un gruppo: è<br />

uniforme nei comportamenti inter<strong>gruppi</strong>, è gestito dalle<br />

differenze individuali nei comportamenti interpersonali:<br />

Es. i tifosi<br />

3) Il grado di variabilità del comportamento degli individui<br />

nei confronti <strong>dei</strong> membri di altri <strong>gruppi</strong><br />

66


Il continuum interpersonale-inter<strong>gruppi</strong> - II<br />

Le polarità inter<strong>gruppi</strong> – interpersonale (Tajfel)<br />

Comportamento <strong>sociale</strong><br />

Comportamento inter<strong>gruppi</strong><br />

Comportamento interpersonale<br />

L’interazione è determinata<br />

dall’appartenenza ai vari <strong>gruppi</strong> e<br />

dalle relazioni tra loro<br />

L’interazione dipende dagli individui,<br />

dalle caratteristiche personali e dalle<br />

relazioni interpersonali<br />

67


Il continuum interpersonale-inter<strong>gruppi</strong> - III<br />

Che cosa può favorire lo spostamento sull’asse<br />

ipotizzato da Tajfel<br />

Secondo Turner (1982) è necessario fare riferimento al<br />

concetto di “sé” e ai cambiamenti nel suo funzionamento.<br />

Per Turner il concetto di sé è formato da:<br />

1) identità personale: le auto-descrizioni basate su<br />

caratteristiche individuali: “sono un amante dell’arte”<br />

2) identità <strong>sociale</strong>: le auto-descrizioni basate in termini di<br />

appartenenza a categorie; “sono un tifoso del Milan”<br />

68


Il continuum interpersonale-inter<strong>gruppi</strong> - IV<br />

Come afferma Turner, nel definirsi come membri di un<br />

particolare gruppo gli individui si stabilizza<br />

un’associazione tra se stessi e i vari<br />

attributi/norme comuni che si sperimenta nel far<br />

parte di quel gruppo: questo porta ai comportamenti<br />

uniformi che caratterizzano i <strong>gruppi</strong><br />

Spesso vediamo i membri di altri <strong>gruppi</strong> in modi<br />

stereotipati, e percepiamo noi stessi come<br />

relativamente simili con gli altri membri del nostro<br />

gruppo<br />

69


Il continuum interpersonale-inter<strong>gruppi</strong> - V<br />

La differenziazione tra il comportamento interpersonale e<br />

il comportamento di gruppo può dipendere dal numero di<br />

persone coinvolte<br />

Ad esempio: tra un uomo e una donna oppure tra 2<br />

contradaioli di Siena l’interazione è interpersonale o di<br />

gruppo<br />

Quello che caratterizza l’interazione come<br />

comportamento di gruppo è l’uniformità nelle azioni degli<br />

individui che lascia supporre che questi interagiscano in<br />

base alla loro appartenenza a un gruppo piuttosto che in<br />

base alle loro caratteristiche personali.<br />

70


Il continuum interpersonale-inter<strong>gruppi</strong> - VI<br />

La distinzione interpersonale–inter<strong>gruppi</strong> è un continuum<br />

Ognuno di noi fa parte di più <strong>gruppi</strong>, ma si porta dietro una<br />

propria storia personale.<br />

Viceversa, anche gli scambi interpersonali possono<br />

contenere stereotipi inter-<strong>gruppi</strong><br />

Questo, ovviamente, complica molto lo studio di questo tipo<br />

di processi<br />

71


Il continuum interpersonale-inter<strong>gruppi</strong> - VI<br />

Il comportamento interpersonale si basa sull’analisi delle<br />

differenze tra le persone (differenze individuali, di<br />

atteggiamento etc.), ma il comportamento di gruppo si basa<br />

sull’analisi delle uniformità tra individui<br />

Per cui raramente è utile applicare teorie sul comportamento<br />

interpersonale a contesti di gruppo<br />

Non bastano dunque le teorie individualiste ma sono<br />

necessarie teorie <strong>della</strong> psicologia <strong>sociale</strong> specifiche <strong>dei</strong><br />

comportamenti di gruppo<br />

72


Il comportamento collettivo: la folla come gruppo - I<br />

Il comportamento delle folle, oltre agli psicologi, ha<br />

affascinato la fantasia di scrittori e artisti in genere.<br />

In un primo momento il comportamento delle persone<br />

nei contesti di folla veniva spiegato come una<br />

regressione a modalità di condotta primitive e istintive<br />

(Le Bon, 1895): il fatto di trovarsi in un contesto che<br />

garantisca anonimato, la possibilità di essere contagiati<br />

e suggestionati, determinano una perdita di razionalità e<br />

di identità nei singoli, creando quella che si chiama<br />

“mente di gruppo”.


Il comportamento collettivo: la folla come gruppo - II<br />

Teoria <strong>della</strong> “<strong>dei</strong>ndividuazione” Zimbardo (1969) ha costruito<br />

un modello secondo il quale anonimato, responsabilità<br />

diffusa e ampiezza del gruppo conducono alla perdita di<br />

identità e a una minore preoccupazione per la valutazione<br />

<strong>sociale</strong>. Il comportamento delle persone, non più soggetto al<br />

controllo <strong>sociale</strong> e personale, regredisce diventando<br />

impulsivo e irrazionale = <strong>dei</strong>ndividuazione.<br />

Verifiche empiriche: esperimenti di laboratorio<br />

Zimbardo (1969)<br />

Jaffe e Yinon (1979)<br />

V.D.: durata media delle scariche elettriche<br />

V.I.: grado di <strong>dei</strong>ndividuazione (manipolato)<br />

V.D.: intensità media delle scariche elettriche<br />

V.I.: individui vs. <strong>gruppi</strong> di 3 persone


Il comportamento collettivo: la folla come gruppo - III<br />

Risultati che disconfermano la teoria di Zimbardo<br />

Diener (1976): l’anonimato, l’appartenenza a un gruppo riduce<br />

l’aggressività<br />

Johnson e Downing (1979): l’effetto di mediazione delle norme<br />

situazionali rilevanti (indossare l’uniforme da infermiera in condizioni<br />

<strong>dei</strong>ndividuate fa diminuire il livello di scariche somministrate)<br />

Ad ogni modo, la teoria <strong>della</strong> <strong>dei</strong>ndividuazione pone<br />

un’enfasi eccessiva sulle conseguenze negative<br />

dell’appartenenza al gruppo, che in molti casi, può invece<br />

favorire il comportamento pro-<strong>sociale</strong>


Il comportamento collettivo: la folla come gruppo - IV<br />

Secondo Diener (1980) l’elemento chiave nel comportamento<br />

degli individui nelle folle è la perdita dell’autoconsapevolezza<br />

I fattori che caratterizzano le folle quali l’anonimato, la coesione,<br />

l’aumento di attivazione, fanno sì che l’attenzione si sposti verso<br />

l’esterno piuttosto che verso se stessi.<br />

Questa teoria non esclude di per sé il comportamento<br />

pro<strong>sociale</strong>: quello che conta sono gli stimoli presenti<br />

nell’ambiente.<br />

Che cosa accomuna la teoria di Zimbardo con quella di Diener<br />

Entrambe sottolineano come in situazioni di folla il<br />

comportamento tenda a divenire privo di regole: si ha una<br />

perdita di identità con una conseguente perdita di autocontrollo.


Il comportamento collettivo: la folla come gruppo - V<br />

Nella prospettiva inter<strong>gruppi</strong>, in una folla è quasi sempre<br />

coinvolto più di un gruppo: Il comportamento delle folle è<br />

quindi un comportamento inter<strong>gruppi</strong><br />

E’ dunque più lecito parlare di acquisizione di una nuova<br />

identità (dall’identità personale all’identità <strong>sociale</strong>) piuttosto<br />

che di anonimato o perdita dell’identità e il comportamento<br />

risulta più influenzato dall’appartenenza al gruppo piuttosto<br />

che da fattori personali o ambientali<br />

Anche la comunicazione via PC favorisce il processo di <strong>dei</strong>ndividuazione (Siegel<br />

et al., 1986; Rutter, 1987): Ricerca di Spears et al., (1990): il contenuto<br />

degli scambi via rete dipendono dal grado di importanza<br />

attribuito all’identità di gruppo dai membri <strong>della</strong> rete.


Il comportamento collettivo: la folla come gruppo - VI<br />

In conclusione:<br />

Il comportamento degli individui sembra essere regolato<br />

anche nelle situazioni di folla, anche se i processi psicologici<br />

soggiacenti ai meccanismi di regolazione sono di ordine<br />

diverso da quelli “individuali”.<br />

Sembra che le folle si prefiggano bersagli o scopi specifici,<br />

sulla base dell’identificazione con una particolare categoria<br />

<strong>sociale</strong>.<br />

La prospettiva inter<strong>gruppi</strong> mette l’accento sull’esistenza di un<br />

gruppo “altro”, che chiamiamo outgroup che è fondamentale in<br />

ciò che accade.<br />

Raramente un gruppo esiste isolato e le relazioni con gli altri<br />

<strong>gruppi</strong> ci permettono di analizzare quello che accade<br />

all’interno del gruppo stesso


Struttura <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong><br />

79


Struttura del gruppo<br />

• Diventare membri di un gruppo<br />

• Differenziazione <strong>dei</strong> ruoli<br />

• Sistema di status<br />

• Norme di gruppo<br />

80


Diventare membri di un gruppo - I<br />

Immaginiamo di dover entrare a far parte di un qualsiasi gruppo. Qual è la<br />

sensazione immediata che possiamo provare<br />

Si tratta sicuramente di una sensazione di ansia. . Questa sensazione è<br />

indipendente dall’et<br />

età e dal tipo di gruppo in cui stiamo per entrare.<br />

Da che cosa può derivare questa sensazione<br />

Può essere definita come “paura dell’ignoto<br />

ignoto” .<br />

E questa potrebbe essere una causa. Ma ci sono anche altri processi, tentativi<br />

di ridurre l’incertezzal<br />

di una situazione nuova<br />

81


Diventare membri di un gruppo - II<br />

Modello di Levine e Moreland (1994)<br />

definito come “modello temporale <strong>della</strong> socializzazione al gruppo”,<br />

attribuisce un’importanza particolare alla reciprocità dell’individuo e del<br />

gruppo, nel senso che non è solamente l’individuo l<br />

a dover affrontare <strong>dei</strong><br />

cambiamenti quando entra a far parte di un gruppo; anche il gruppo, po, infatti,<br />

deve adattarsi ai suoi nuovi membri.<br />

Tra i fenomeni discussi dagli autori:<br />

• La ricognizione iniziale<br />

• I cambiamenti nel concetto di sés<br />

quando si entra a far parte di un gruppo<br />

• Il processo di iniziazione al gruppo<br />

82


Diventare membri di un gruppo - III<br />

La ricognizione iniziale del gruppo<br />

È il processo che si compie quando si deve scegliere il gruppo (o i <strong>gruppi</strong>) di<br />

cui potremmo entrare a far parte.<br />

Questo a prescindere dall’appartenenza appartenenza a <strong>gruppi</strong> che sono prescritti e che,<br />

quindi, non possono essere scelti (sesso, classe <strong>sociale</strong>, etc.)<br />

Quali sono i criteri con cui viene scelto un gruppo piuttosto che e un altro<br />

Secondo Levine e Moreland (1994) la scelta avviene in base a un criterio di<br />

massimizzazione <strong>dei</strong> propri vantaggi e minimizzazione <strong>dei</strong> costi:<br />

valutazione costi/benefici<br />

(Teoria dello “scambio <strong>sociale</strong>”: Homans, , 1950)<br />

Il criterio è, , quindi, che cosa può fare il gruppo per noi e che cosa il gruppo po si<br />

aspetta da noi in cambio<br />

83


Diventare membri di un gruppo - IV<br />

Quali sono i fattori che determinano la percezione individuale <strong>dei</strong> d<br />

costi/benefici<br />

associata all’entrata in un determinato gruppo<br />

Secondo Pavelchack, Moreland e Levine (1986) la maggior parte di informazioni<br />

deriva dalle nostre esperienze precedenti con altri <strong>gruppi</strong>.<br />

Verifica empirica: ricerca degli autori con studenti universitari.<br />

i.<br />

Focus: relazione tra 1) grado di importanza e soddisfazione dell’appartenenza a<br />

<strong>gruppi</strong> durante la scuola; 2) grado di intensità con cui si persegue<br />

l’appartenenza a <strong>gruppi</strong> “universitari”<br />

Risultati: relazione positiva significativa, , ma debole<br />

Secondo Hogg (1992), un fattore rilevante nella scelta è la percezione di<br />

similitudine con il membro ideale (tipico, rappresentativo) del gruppo: una<br />

minore discrepanza permette di preferire un gruppo piuttosto che un altro.<br />

84


Diventare membri di un gruppo - V<br />

I cambiamenti nel concetto di sés<br />

Una delle prime conseguenze del divenire membri di un gruppo consiste in una<br />

ridefinizione di ciò che siamo, cioè un cambiamento nel modo in cui vediamo<br />

noi stessi.<br />

Nel campo <strong>della</strong> psicologia del lavoro, soprattutto per predire il i “commitment”<br />

(investimento) degli impiegati verso la propria organizzazione, viene<br />

somministrato uno strumento (ideato da Khun e McPartland,1954)<br />

in cui si esplora la<br />

definizione di sés<br />

attraverso la domanda “Chi sono io” Le<br />

persone possono dare un massimo di 20 risposte.<br />

Nella ricerca di questi autori, la maggior parte <strong>dei</strong> partecipanti i diede più del 50%<br />

di risposte “gruppali”.<br />

85


Diventare membri di un gruppo - VI<br />

(1985) trovò che i nuovi membri di un gruppo tendono a categorizzarsi e ad<br />

essere categorizzati come “nuovi” rispetto ai “vecchi”.. Questo processo di<br />

ridefinizione di sés<br />

influisce sul comportamento: i “nuovi” tendono a interagire<br />

maggiormente con gli altri “nuovi”.<br />

Moreland (1985)<br />

La ridefinizione di sés<br />

che avviene nell’entrare entrare in un gruppo può avere implicazioni<br />

anche a livello dell’autostima<br />

autostima.<br />

Un determinato valore o prestigio associato al gruppo deve necessariamente<br />

riflettersi anche sul concetto che abbiamo di noi stessi; se interiorizziamo le<br />

nostre appartenenze ai <strong>gruppi</strong> come parte del nostro concetto di sé, , il successo<br />

o il fallimento di un gruppo tendono ad alzare o abbassare i livelli di autostima e<br />

autovalutazione personale.<br />

86


Diventare membri di un gruppo - VII<br />

L’iniziazione del gruppo<br />

Abbiamo visto che significato possa avere entrare in un gruppo, i cambiamenti che<br />

questo ingresso provoca nel sé. . Proviamo adesso ad analizzare quale possa<br />

essere la risposta del gruppo quando <strong>dei</strong> nuovi membri si apprestano ad<br />

entrare.<br />

Può accadere, ad esempio, che l’ingresso l<br />

di un nuovo membro sia teatro di<br />

cerimonie rituali, , soprattutto nei <strong>gruppi</strong> stabili o formali (Moreland(<br />

e Levine,<br />

1982).<br />

Questo tipo di rituali e cerimonie possono essere favorevoli al nuovo membro.......<br />

ma possono esserci anche esperienze altamente spiacevoli, dolorose o<br />

imbarazzanti.<br />

87


Diventare membri di un gruppo - VIII<br />

Gli eventi di iniziazione spiacevoli, , osservabili in alcuni riti religiosi, possono essere<br />

a livello psicologico o fisico (come la circoncisione o il provocare dolore fisico);<br />

sono tendenzialmente utilizzati per sottolineare transizioni di status o ruolo<br />

all’interno di un gruppo.<br />

Altri esempi di <strong>gruppi</strong> che possono avere riti di iniziazioni spiacevoli: <strong>gruppi</strong> militari,<br />

associazioni universitarie.<br />

Qual è il senso di queste iniziazioni Perché l’entrata di un nuovo membro deve<br />

essere sottolineata così tanto<br />

88


Diventare membri di un gruppo - IX<br />

Esistono diverse spiegazioni possibili:<br />

• Le cerimonie svolgono una funzione simbolica sia per il nuovo (facilitano(<br />

il<br />

processo di transizione dell’identit<br />

identità) ) che per il gruppo (che può sentire il<br />

bisogno di simboli per definire i suoi confini e sottolineare il carattere distintivo<br />

del gruppo rispetto agli altri): divise, segni caratteristici, etc.<br />

• Le iniziazioni servono come una specie di “tirocinio” per il nuovo, proprio per<br />

indirizzarlo verso l’apprendimento l<br />

degli standard normativi del gruppo.<br />

• Le cerimonie hanno la funzione di suscitare la lealtà del nuovo membro (e, in<br />

questo caso, si fa riferimento in modo particolare solo alle condizioni favorevoli<br />

di iniziazione).<br />

89


Diventare membri di un gruppo - X<br />

E qual è il senso delle esperienze decisamente negative e spiacevoli<br />

Una spiegazione plausibile (ma un po’ complessa) è stata fornita da Aronson e<br />

Mills (1959) sulla base di quella che è la Teoria <strong>della</strong> dissonanza cognitiva di<br />

Festinger (1957).<br />

Secondo Aronson e Mills è raro che l’esperienza l<br />

<strong>della</strong> vita di gruppo sia totalmente<br />

positiva. E questo può indebolire la coesione del gruppo. L’iniziazione<br />

L<br />

spiacevole è ciò che può contrastare la perdita <strong>della</strong> coesione.<br />

Questo perché avere una esperienza negativa all’ingresso non può essere<br />

compatibile con la scoperta che alcuni aspetti del gruppo non sono come<br />

avevamo pensato all’inizio.<br />

90


Diventare membri di un gruppo - XI<br />

La percezione di incoerenza o dissonanza, a livello psicologico, è spiacevole e gli<br />

individui cercano di ridurla.<br />

Quindi una via per ridurre la dissonanza iniziale è quella di migliorare la valutazione<br />

del proprio gruppo. Il pensiero tipico che può essere sotteso a un processo<br />

simile può essere:<br />

“Se ho fatto tutto questo per diventare membro del gruppo, vuol dire d<br />

che deve<br />

essere veramente importante per me”.<br />

In pratica, più l’ingresso<br />

è difficile, più il gruppo sembrerà attraente.<br />

Gli studi in merito hanno dimostrato che, effettivamente, l’iniziazione l<br />

difficoltosa o<br />

spiacevole rende il gruppo più attraente, può servire per esaltarne la lealtà e la<br />

coesione.<br />

Se sia il meccanismo di riduzione <strong>della</strong> dissonanza o qualche altro tipo di<br />

processo… questo è ancora in fase di studio e discussione<br />

91


Gli aspetti strutturali <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong> - I<br />

Abbiamo analizzato i processi attraverso cui avviene l’entrata l<br />

di un nuovo<br />

membro in un gruppo. Adesso iniziamo ad analizzare quelli che sono gli<br />

aspetti strutturali <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong>.<br />

• Gli aspetti strutturali indicano le cose che mostrano una certa stabilità.<br />

• Possiamo dire che gli aspetti strutturali del gruppo sono la cornice entro cui<br />

avvengono i processi di gruppo.<br />

• Che cosa è la struttura di un gruppo<br />

Sherif e Sherif (1969) la definiscono come “una rete interdipendente di ruoli e<br />

status gerarchici”<br />

92


Gli aspetti strutturali <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong> - II<br />

Qual è la definizione di “status” e “ruolo”<br />

• Prima di tutto lo status e il ruolo non si riferiscono a un membro in particolare,<br />

ma alla posizione che questo occupa all’interno del gruppo.<br />

• Quello che differenzia lo status dal ruolo è il valore: : ruoli diversi possono<br />

avere un valore simile, ma questo non accade per lo status, per cui a<br />

posizioni di status diverse sono associati valori diversi.<br />

• Chi ha la posizione di status di valore superiore in un gruppo è considerato il<br />

leader.<br />

93


La differenziazione di ruolo - I<br />

• Cos’è<br />

il “ruolo”<br />

È un insieme di aspettative condivise circa il modo in cui dovrebbe comportarsi<br />

una persona che occupa una certa posizione in un gruppo.<br />

• La differenziazione di ruolo è quindi legata alla differenza di aspettative associate<br />

a ciascun membro all’interno del gruppo<br />

• Esistono ruoli stabiliti formalmente (es. quelli lavorativi o scolastici) e<br />

informalmente (es.(<br />

studio di Sherif e coll., 1961, su un campo estivo di ragazzi).<br />

• Esistono <strong>gruppi</strong> in cui può essere inizialmente difficile evidenziare iare i confini tra un<br />

ruolo e un altro. Tuttavia sembra sempre possibile identificare la differenziazione<br />

<strong>dei</strong> ruoli anche in <strong>gruppi</strong> apparentemente non strutturati (es. <strong>gruppi</strong> di amici). a<br />

94


La differenziazione di ruolo - IIa<br />

• Un sistema di ruoli ha origine nella cultura o subcultura di riferimento, che si<br />

caratterizza per uno specifico patrimonio di valori, ideologie e rappresentazioni<br />

condivise<br />

• Ricerca di Zimbardo e coll. (1972): la “Stanford<br />

Prison”<br />

• I risultati di questo esperimento sono andati molto al di làl<br />

delle previsioni degli<br />

sperimentatori, dimostrandosi particolarmente drammatici.<br />

• Secondo Zimbardo, , la prigione finta, nell'esperienza psicologica vissuta dai<br />

soggetti di entrambi i <strong>gruppi</strong>, era diventata una prigione vera.<br />

95


La differenziazione di ruolo - IIb<br />

• Secondo Bronfenbrenner (1979), le reazioni osservate durante l’esperimento l<br />

<strong>della</strong><br />

Stanford Prison non sono dovute a caratteristiche di personalità, , ma piuttosto a<br />

modelli di risposta specifici di ruoli e istituzioni particolari <strong>della</strong> società americana: i<br />

comportamenti relativi ai ruoli di “guardia” e “carcerato” sono legittimati da 2<br />

istituzioni: : il sistema carcerario esistente e l’universitl<br />

università (acquiescenza alle istruzioni<br />

dello sperimentatore “universitario” in quanto studenti)<br />

• Assumere una funzione di controllo sugli altri nell'ambito di una istituzione come<br />

quella del carcere, assumere cioè un ruolo istituzionale, induce ad assumere le<br />

norme e le regole dell'istituzione come unico valore a cui il comportamento deve<br />

adeguarsi<br />

96


La differenziazione di ruolo - III<br />

• Uno <strong>dei</strong> primi studi sulla differenziazione di ruolo è quello di Slater (1955).<br />

Risultato: distinzione tra “specializzazione al compito” e “specializzazione<br />

socio-emozionale<br />

emozionale”, , associate ai comportamenti rispettivamente strumentali<br />

ed espressivi evidenziati da Bales.<br />

• Differenze di ruolo importanti sono quelle presenti nel gruppo “famiglia”.<br />

Parsons e Bales (1956) evidenziarono una maggiore efficienza e coesione<br />

nelle famiglie in cui i ruoli erano altamente specializzati e distinti secondo le<br />

linee di genere (ai padri il ruolo strumentale, alle madri quello o espressivo).<br />

97


La differenziazione di ruolo - IV<br />

Limiti <strong>della</strong> teoria di Parsons e Bales<br />

• È basata sull’assunzione che le attività legate al compito e quelle socio-<br />

emozionali siano sempre incompatibili. . Questo si è dimostrato non vero, per<br />

cui è possibile affermare che uno stesso individuo possa svolgere entrambi<br />

i ruoli.<br />

• I compiti strumentali familiari possono essere sia quelli culturalmente definiti<br />

come “maschili” (manutenzione e piccole riparazioni domestiche) sia quelli<br />

definiti come “femminili” (cucinare)<br />

Inoltre la relazione tra differenziazione e coesione familiare non n<br />

è chiara<br />

98


La differenziazione di ruolo - V<br />

• E’ forse probabile che le strutture di ruoli troppo rigide creino problemi e<br />

limiti in diverse tipologie di <strong>gruppi</strong>.<br />

• Ad es., nei <strong>gruppi</strong> di lavoro, una differenziazione rigida può impedire<br />

l’adattamento al cambiamento.<br />

• Resta il fatto che, in ogni tipo di gruppo, una differenziazione tra i ruoli<br />

sembra avere una importanza necessaria alla vita stessa del gruppo.<br />

Ma questo perché<br />

99


La differenziazione di ruolo - VI<br />

FUNZIONI DEL RUOLO<br />

• La differenziazione tra ruoli aiuta la divisione <strong>dei</strong> compiti e del lavoro e,<br />

quindi, agevola il conseguimento dello scopo del gruppo. Questo può portare<br />

a dire che, in taluni casi, la differenziazione è contesto-specifica<br />

specifica.<br />

• I ruoli portano ordine nell’esistenza esistenza del gruppo; da ruoli diversi abbiamo<br />

aspettative diverse e anche noi stessi ci relazioniamo in modo differente.<br />

• I ruoli sono parte <strong>della</strong> definizione che diamo di noi nel gruppo e <strong>della</strong><br />

consapevolezza di ciò che siamo. Detto in altri modi, il ruolo contribuisce a<br />

formare la nostra identità, , quando è definito.<br />

100


La differenziazione di ruolo - VII<br />

• A che cosa dunque serve una divisione in ruoli<br />

• Permette una vita di gruppo prevedibile e ordinata; è funzionale alla<br />

soddisfazione e alla coesione di gruppo (Brown(<br />

Brown, , 1988)<br />

• In quasi tutti i <strong>gruppi</strong> sono identificabili i seguenti 3 ruoli:<br />

- leader<br />

- “nuovo arrivato”<br />

- “capro espiatorio”<br />

• Secondo Wells(1980) il “capro espiatorio” ha una funzione “protettiva” del<br />

gruppo, in quanto permette agli altri membri di proiettare le parti negative<br />

dell’immagine di sé. s<br />

101


La differenziazione di ruolo - VIII<br />

Conflitti legati al ruolo<br />

• Conflitti prevedibili legati all’assegnazione<br />

assegnazione di ruoli determinati a<br />

determinate persone<br />

• Conflitti a livello personale:<br />

• Incompatibilità fra ruolo giocato nel gruppo ed altri ruoli<br />

sociali<br />

• Assenza di motivazione a sostenere il ruolo<br />

• Conflitti a livello di gruppo:<br />

• Assenza di accordo nel gruppo rispetto alla persona che<br />

ricopre un determinato ruolo<br />

• Assenza di accordo rispetto al modo in cui un ruolo viene<br />

interpretato<br />

102


La differenziazione di ruolo - IX<br />

Conflitti legati al ruolo<br />

• Jackson e Schuler (1985): i conflitti di ruolo nei <strong>gruppi</strong> di lavoro<br />

comportano un aumento <strong>della</strong> tensione e un decremento di<br />

produttività<br />

• Possibile soluzione:<br />

• Innovazione e transazioni di ruolo<br />

• benché a volte il passaggio da un ruolo a un altro può<br />

essere fonte di ulteriori conflitti (Moreland(<br />

e Levine,<br />

1984)<br />

103


Il sistema di status - I<br />

• Legata alla struttura <strong>dei</strong> ruoli, all’interno di un gruppo è possibile evidenziare<br />

una gerarchia di status.<br />

• Ma che cosa è esattamente lo status<br />

• Lo status si riferisce alla posizione occupata dall’individuo nel gruppo,<br />

unitamente alla valutazione di tale posizione in una scala di prestigio<br />

(Scilligo,, 1973)<br />

– Il sistema di status è il pattern generale di influenza <strong>sociale</strong> fra i<br />

membri di un gruppo (Levine(<br />

e Moreland, , 1990)<br />

104


Il sistema di status - II<br />

• Uno status elevato è rivelato da due indicatori fondamentali:<br />

• Tendenza a promuovere iniziative (idee ed attività) che<br />

vengono continuate dal resto del gruppo (Bales(<br />

Bales, , 1950;<br />

Sherif e Sherif, , 1964).<br />

• Consenso sulla valutazione del prestigio connesso alla<br />

posizione dell’individuo nel gruppo (Brown(<br />

Brown, , 1988),<br />

valutazione o classificazione positiva da parte degli altri nel<br />

gruppo (Homans(<br />

Homans, , 1950).<br />

Indicatori altamente correlati tra loro, ma distinti<br />

105


Il sistema di status - III<br />

• Ci sono stati molti studi che hanno confermato l’esistenza l<br />

di gerarchie<br />

di status anche nei <strong>gruppi</strong> informali (es.(<br />

studio di Sherif e Sherif,<br />

1964, sulle bande di adolescenti).<br />

– Misura: classificare i membri in base alla capacità di prendere<br />

iniziativa efficace nelle attività di gruppo<br />

– Correlazioni alte tra risposte date dai membri del gruppo e da<br />

osservatori esterni<br />

– Basse correlazioni tra queste classificazioni e la popolarità <strong>dei</strong><br />

membri (distinzione tra efficacia nel compito e preferenza)<br />

106


Il sistema di status - IV<br />

• La definizione di status rimanda a delle unità strutturali solitamente<br />

definite come statiche (mentre i ruoli sono considerati la parte<br />

dinamica, perché legati agli obiettivi)<br />

• Tuttavia anche le gerarchie di status possono essere mutevoli,<br />

possono modificarsi con:<br />

– l’ingresso o l’uscita l<br />

di membri del gruppo<br />

– il cambiamento del contesto o conflitto inter<strong>gruppi</strong><br />

– Il cambiamento degli interessi, attività o scopi del gruppo<br />

107


Il sistema di status - IV<br />

A che cosa servono le gerarchie di status<br />

• Soddisfano un bisogno di prevedibilità e ordine (in questo caso le<br />

aspettative sono di competenza piuttosto che sul tipo di comportamento)<br />

• Questo facilita l’assegnazionel<br />

<strong>dei</strong> compiti, , la stabilità del gruppo e<br />

l’efficacia nel raggiungimento degli scopi<br />

• A volte, può portare verso quella che viene chiamata come “la<br />

profezia<br />

che si auto-avvera<br />

avvera”: : le persone si adeguano al livello che ci si attende<br />

benché le loro capacità possono essere superiori o inferiori.<br />

– Lo status influenza quindi il comportamento delle persone<br />

108


Il sistema di status - V<br />

• Come si produce un sistema di status<br />

• Due spiegazioni teoriche:<br />

• Corrente etologica (Mazur,, 1985)<br />

• Teoria degli “stati di aspettativa”<br />

(Berger et al., 1980; Berger e Zelditch, , 1985)<br />

• Secondo la corrente etologica, , l’assegnazione l<br />

di status avviene in base ad<br />

una distinzione iniziale fra ipotetici “vincitori” e “perdenti”,, effettuata valutando<br />

la forza di ciascuno a partire da caratteristiche quali statura, muscolatura,<br />

espressione facciale.<br />

109


Il sistema di status - VI<br />

• La teoria degli stati di aspettativa fornisce una spiegazione dell’influenza<br />

dello status sul comportamento.<br />

Secondo questa teoria, quando un gruppo è impegnato in un compito, nella<br />

maggior parte <strong>dei</strong> casi i suoi membri hanno già sviluppato o sviluppano<br />

rapidamente aspettative sulle abilità di prestazione <strong>dei</strong> loro compagni.<br />

I membri di status più elevato avviano le attività, , sono considerati più influenti;<br />

inoltre, sono considerati più competenti anche in altri settori, , anche se non è<br />

realmente così (“effetto alone”)<br />

Questo fa sìs<br />

che l’iniziale l<br />

gerarchia di status venga rinforzata e amplificata<br />

circolarmente.<br />

110


Il sistema di status - VII<br />

• Secondo la teoria degli stati di aspettativa, è possibile fare delle inferenze<br />

sulle prestazioni anche sulla base di tratti “esteriori” quali la razza e il<br />

genere, per effetto degli stereotipi culturali ad essi associati<br />

• La diversa percezione di razza e genere nell’evoluzione evoluzione culturale può<br />

contribuire a collocare le persone in modo diverso all’interno <strong>della</strong> struttura<br />

del gruppo.<br />

• Soprattutto per quanto riguarda le differenze di status tra i sessi, ssi, esse si<br />

stanno (seppur lentamente) riducendo e, quindi, nel lungo termine è<br />

possibile ipotizzare che possano scomparire.<br />

111


Il sistema di status - VIII<br />

• Metodi di studio dello status<br />

• Raccolta delle valutazioni <strong>dei</strong> membri del gruppo:<br />

• Ciascun appartenente al gruppo valuta gli altri in termini di<br />

popolarità, , influenza, competenza<br />

• Come evidenziato da Sherif (1948) esiste una maggiore<br />

concordanza rispetto alle valutazioni <strong>dei</strong> livelli estremi <strong>della</strong><br />

struttura gerarchica<br />

• Osservazione <strong>dei</strong> comportamenti verbali e non verbali<br />

• Le persone con status elevato interagiscono più frequentemente con gli altri<br />

membri, dunque<br />

– Maggiori interventi: frequente f<br />

presa di turno, turni di parola più<br />

lunghi, critiche, comandi, interruzioni frequenti degli interlocutori<br />

– Maggiori ricezioni di turni: ricevono r<br />

un maggior numero di<br />

comunicazioni da parte degli altri membri<br />

112


Indicatori non verbali di status elevato<br />

• Apparenza (abbigliamento, accessori, status symbol)<br />

• Maggiori contatti fisici attivi, utilizzo di maggior spazio personale:<br />

– movimenti verticali<br />

– movimenti orizzontali<br />

– "intrusioni"" fisiche (contatti, puntamenti)<br />

• Posture (asse dominanza/subordinazione) più aperte, rilassate e<br />

erette<br />

113


Indicatori non verbali di status elevato<br />

• Maggior numero di sguardi rivolti all’interlocutore mentre si parla<br />

rispetto a quando si ascolta (alto visual ratio)<br />

• Migliore espressività verbale e non verbale:<br />

– Maggiori gesti connessi al discorso (contenuto e struttura)<br />

– Maggior congruenza tra comunicazione verbale e non verbale<br />

nell’espressione espressione orale (mimica, intonazione, velocità e ritmo<br />

d’eloquio, articolazione chiara delle parole, voce ferma assenza<br />

di esitazioni e di errori)<br />

114


Le norme di gruppo


Le norme di gruppo - I<br />

• Ogni gruppo possiede una sua peculiarità che lo distingue dagli altri. Si può<br />

sicuramente dire che ogni gruppo sia unico.<br />

• Da che cosa è data questa unicità<br />

Da sistemi di norme diversi che producono valori e atteggiamenti diversi.<br />

Questi sistemi di norme caratterizzano qualsiasi tipologia di gruppo, formale<br />

o informale.<br />

• L’interesse <strong>della</strong> ricerca si è focalizzato sui fattori coinvolti nell’acquisizione<br />

acquisizione,<br />

interiorizzazione e sviluppo delle norme da parte di un gruppo


Le norme di gruppo - II<br />

Le nome costituiscono scale di valori che definiscono le aspettative condivise<br />

rispetto al modo in cui dovrebbero comportarsi i membri del gruppo po (Levine(<br />

e<br />

Moreland, , 1990); riguardano un set di regole di comportamenti e opinioni cui ci si<br />

aspetta che i membri si uniformino<br />

Permettono di definire la “latitudine” entro la quale sono accettate le differenze<br />

individuali<br />

Non hanno lo stesso carattere di obbligatorietà per tutti i membri: le persone di<br />

status elevato sono più vincolate alle norme centrali<br />

Esempi di “norme”:: il “look” che caratterizza determinati <strong>gruppi</strong><br />

117


Le norme di gruppo - III<br />

... sono “scale di valori” che definiscono una serie di atteggiamenti e comportamenti<br />

accettabili (e inaccettabili) per i membri di una certa unità <strong>sociale</strong>” (Sherif<br />

e Sherif,<br />

1969)<br />

... sono “aspettative condivise” circa il modo in cui dovrebbero comportarsi i membri<br />

di un gruppo (Levine<br />

e Moreland, , 1990)<br />

In altre parole, le norme sono regole che riguardano il “come gli individui si<br />

dovrebbero comportare” e sono la base delle aspettative reciproche tra i<br />

membri del gruppo.<br />

• Che cosa succede a chi non rispetta le norme<br />

I devianti ricevono più comunicazioni; questo stato termina quando essi si riavvicinano alle<br />

opinioni <strong>della</strong> maggioranza. Se invece persistono nella posizione assunta, il gruppo finisce per<br />

abbandonarli a se stessi


Le norme di gruppo - IV<br />

• Le norme possono essere...<br />

- esplicite, come nei <strong>gruppi</strong> formali e nelle organizzazioni: regolamento scritto<br />

che sancisce ciò che è permesso e ciò che è proibito<br />

- implicite, , non espresse direttamente, ma ugualmente sanzionatorie<br />

• Si possono distinguere...<br />

- norme centrali: : si riferiscono a questioni che comportano conseguenze per il<br />

gruppo; i casi di devianza sono duramente sanzionati (es.: discipline di partito,<br />

disobbedienza negli ambienti militari e religiosi)<br />

+ il gruppo è coeso, + la reazione <strong>dei</strong> membri è unitaria<br />

devianza di un membro<br />

in caso di


Le norme di gruppo - V<br />

- norme periferiche: : riguardano questioni considerate dal gruppo come<br />

marginali al proprio schema di comportamento (es.: hobby privati <strong>dei</strong> membri)<br />

I membri di basso status sono sanzionati con + frequenza rispetto ai “superiori”<br />

se violano le norme periferiche<br />

• I membri di status elevato sono ancora + obbligati degli altri a seguire le norme<br />

centrali (in quanto da esse dipende la sopravvivenza del gruppo e del loro<br />

potere al suo interno), mentre sono + liberi di non aderire o addirittura dirittura cambiare<br />

le norme periferiche (ciò spesso non è concesso agli altri membri;<br />

es.:<br />

puntualità agli appuntamenti)


Le norme di gruppo - VI<br />

• Opp (1982) distingue 3 tipi di norme, che sottintendono origini diverse....<br />

- norme istituzionali: : sono imposte da autorità esterne o dal leader (quindi<br />

“calano dall’alto<br />

alto”)<br />

- norme volontarie: : nascono dalle negoziazioni tra i membri allo scopo di<br />

risolvere i conflitti<br />

- norme evolutive: : si producono quando i comportamenti che soddisfano un<br />

membro vengono appresi anche dagli altri, che li diffondono nel resto del<br />

gruppo, fino a diventare successivamente prescrizioni<br />

Es.: convivenza di studenti in un appartamento


Acquisizione e sviluppo delle norme - I<br />

Studi condotti in college americani sul modo in cui le norme vengono acquisite<br />

dai nuovi membri:<br />

• Newcomb (1961): in un college dalle norme “progressiste” che accoglie studenti di famiglie<br />

“conservatrici”,, gli studenti agli ultimi anni preferiscono il candidato (alla presidenza USA)<br />

progressista in misura significativamente maggiore <strong>dei</strong> studenti <strong>dei</strong> primi anni<br />

• Siegel e Siegel, , 1975:<br />

Modalità <strong>della</strong> VI: : Confronto tra una casa dello studente gestita in maniera progressista ed una<br />

più tradizionale<br />

Disegno longitudinale (pre,, post) - 2 rilevazioni: ad inizio anno, ossia all’entrata nell’alloggio<br />

(pre); e a fine anno (post)<br />

Misura entro i soggetti (= VD): grado di autoritarismo<br />

Risultato: : diminuzione significativa del grado di autoritarismo tra il pre e il post, ma solo negli<br />

studenti inquilini dell’alloggio<br />

“progressista”,, mentre gli altri restano invariati


Acquisizione e sviluppo delle norme - II<br />

• Studi sul comportamento <strong>dei</strong> bambini all’ingresso <strong>della</strong> scuola materna<br />

(McGrew,, 1972; Feldbaum et al., 1980) mostrano che esiste una prima fase in cui i<br />

bambini osservano giocare gli altri, come se tentassero di capire quali siano le<br />

“regole di base” prima di entrare a fare parte del gruppo<br />

• Altri studi sullo stesso target (Merei,, 1949; Putallaz, Gottman, , 1981) evidenziano che,<br />

nell’ammissione come membri di un nuovo gruppo, i bambini più popolari o i<br />

leader sono quelli che all’inizio sanno adeguarsi alle norme pre-esistenti<br />

esistenti<br />

(strategia “attendista”), mentre quelli che tentano subito di mettersi in mostra o<br />

di apportare variazioni (strategia “interventista”)) sono poco accettati.<br />

• Anche negli studi sulle strategie di conquista <strong>della</strong> leadership negli adulti<br />

(Hollander,, 1960), il conformismo iniziale alle norme del gruppo risulta vincente.


Funzioni delle norme - I<br />

La costruzione delle norme di gruppo assolve ad almeno<br />

4 funzioni (Cartwright(<br />

e Zander, , 1968) ...<br />

• Avanzamento del gruppo: : le norme, ad esempio le pressioni verso l’uniformitl<br />

uniformità, sono<br />

necessarie affinché il gruppo raggiunga i suoi obiettivi<br />

• Mantenimento del gruppo: : le norme , come ad esempio le richieste per incontri<br />

regolari, preservano il gruppo dall’estinzione<br />

• Costruzione <strong>della</strong> realtà <strong>sociale</strong>: : sviluppo di una concezione comune <strong>della</strong> realtà che<br />

serve come riferimento, soprattutto nell’interpretazione di situazioni ambigue per<br />

l’autovalutazione individuale<br />

– Definizione delle relazioni con l’ambiente l<br />

<strong>sociale</strong>: : consenso sulle relazioni<br />

con gli altri <strong>gruppi</strong> che costituiscono l’ambiente l<br />

esterno e stabilire quali<br />

<strong>gruppi</strong> siano “alleati” o “nemici”


Funzioni delle norme - II<br />

Quali possono essere le funzioni che svolgono le norme a livello individuale<br />

• Sono strutture di riferimento tramite le quali è possibile interpretare il mondo<br />

• Sono una serie di costrutti a cui sono associati valori che servono per dare<br />

ordine e prevedibilità a quello che ci circonda<br />

• Permettono, inoltre, di capire come possiamo comportarci in una situazione<br />

nuova o ambigua<br />

Esempio: l’esperimento l<br />

di Sherif (1936) sull’effetto<br />

autocinetico: : dalla “norma individuale” alla<br />

“norma di gruppo”


Funzioni delle norme - III<br />

Quali sono, invece, le funzioni che svolgono le norme a livello <strong>sociale</strong><br />

• Regolano l’esistenza <strong>sociale</strong> e, di conseguenza, aiutano a coordinare le<br />

attività <strong>dei</strong> membri del gruppo<br />

• Le norme, inoltre, sono legate agli scopi del gruppo; ; una volta stabilito<br />

l’obiettivo, le norme servono per orientare i membri del gruppo verso il suo<br />

raggiungimento<br />

• Possono servire per migliorare l’identitl<br />

identità del gruppo (questo è soprattutto il<br />

caso delle norme gergali o di abbigliamento)


Variazioni delle norme - I<br />

• Ogni norma ha una sua “ampiezza di accettazione” (Sherif<br />

e Sherif, , 1969): la<br />

gamma di comportamenti “accettabili” può essere più o meno ristretta a<br />

seconda <strong>della</strong> norma (+ o – saliente per l’esistenza l<br />

del gruppo) e <strong>della</strong><br />

posizione del membro all’interno del gruppo (+ o – status)<br />

• Dunque, l’accettabilitl<br />

accettabilità <strong>dei</strong> comportamenti varia a seconda dell’importanza delle<br />

questioni a cui le norme si riferiscono; la tolleranza è inversamente<br />

proporzionale all’importanza.<br />

• E’ importante anche la posizione che gli individui hanno nel gruppo: solitamente,<br />

i membri di status superiore hanno la possibilità di deviare in misura maggiore<br />

rispetto ai subordinati. Questo, però, non vale per le attività fondamentali del<br />

gruppo e nelle relazioni con l’outgroupl<br />

(si deve essere membri “modello”)


Variazioni delle norme - II<br />

• Un altro fattore da prendere in considerazione è quello temporale: le norme possono<br />

variare a seconda delle diverse circostanze che il gruppo deve affrontarea<br />

Ricerca sulla variazione delle norme di gestione in un’azienda (Coch(<br />

e French, , 1948): è un esempio<br />

di come un cambiamento a livello inter-<strong>gruppi</strong> ha un effetto intra-gruppo<br />

Due <strong>gruppi</strong> partecipano al programma di cambiamento, un altro viene solo informato.<br />

Risultati:<br />

1. aumento <strong>della</strong> produzione solo nei <strong>gruppi</strong> coinvolti;<br />

2. le norme <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong> coinvolti divergevano di circa il 50% rispetto al gruppo non coinvolto<br />

• Ad ogni modo, non tutte le norme sono soggette a cambiamenti: esistono delle<br />

norme gruppali stabili, , riferite soprattutto ad abitudini e tradizioni.


Potere e leadership nel gruppo


Il potere nel gruppo<br />

• Ruoli, status e norme mettono in evidenza che i membri possono essere<br />

centrali o periferici<br />

• I rapporti di dominanza-sottomissione sono aspetti strutturali del gruppo, ma<br />

anche processuali<br />

130


Il potere nel gruppo<br />

• Definizioni<br />

– Capacità di influenzare o di controllare altre persone (Levine e<br />

Moreland, 1990).<br />

– Secondo French e Raven (1959), il potere costituisce una<br />

influenza potenziale di O su P (French e Raven, 1959)<br />

• E’ necessario tenere in considerazione<br />

– nella realtà, il potere raramente deriva da un’unica fonte;<br />

– le relazioni fra O e P sono caratterizzate da molte variabili, ciascuna<br />

delle quali può essere una base di potere.<br />

131


Forme del potere (French e Raven, 1959)<br />

– Il potere di ricompensa: si basa sull’abilità di O di dare o promettere<br />

ricompense, materiali o simboliche, a P. Aumenta con l’ampiezza<br />

delle ricompense.<br />

– Il potere coercitivo: la base del potere è nella minaccia o attuazione<br />

di sanzioni punitive di O su P.<br />

– Il potere legittimo: P ha interiorizzato norme che stabiliscono che O<br />

ha il diritto legittimo di influenzare P, ad esempio in base a una<br />

designazione <strong>sociale</strong> (elezioni).<br />

Questi tipi di potere possono indurre al conformismo esteriore, ma<br />

non adesione autentica del “dominato” rispetto al “dominatore”<br />

132


Forme del potere (French e Raven, 1959)<br />

– Il potere d’esempio: o potere di riferimento, si basa<br />

sull’identificazione di P con O. Può dipendere dal prestigio di O.<br />

Spesso inconsapevole per P.<br />

– Il potere di competenza: P ritiene O un esperto in un determinato<br />

ambito, ed ha fiducia che O dica la verità. Può essere limitato ad<br />

un’area specifica<br />

Questi tipi di potere possono indurre alla conversione<br />

parte del “dominato” rispetto al “dominatore”<br />

autentica da<br />

Critiche: la tipologia di French e Raven non considera né i rapporti<br />

economici, né le motivazioni di chi accetta la fonte di influenza (es.<br />

processi persuasivi, controllo delle informazioni…)<br />

133


Leadership - I<br />

• Il leader è colui che:<br />

- ha lo status più elevato all’interno di un gruppo<br />

- propone idee e attività<br />

- influenza i membri del gruppo fino a modificare il loro comportamento.<br />

• Influenza non sempre è sinonimo di potere: persuasione vs.<br />

acquiescenza<br />

• Influenza <strong>sociale</strong> e potere sono processi alternativi di modificazione del<br />

comportamento altrui<br />

• L’influenza è un tratto distintivo del leader<br />

134


Leadership - I<br />

• Ma visto che l’influenza <strong>sociale</strong> è un processo reciproco, si può<br />

dire in modo più specifico che il leader è colui che può<br />

influenzare gli altri membri del gruppo più di quanto sia<br />

influenzato lui stesso.<br />

• Sono molti i modi tramite cui un leader può emergere: elezione,<br />

nomina, usurpazione, emergere spontaneo.<br />

• Quali sono i motivi che rendono alcune persone in grado di<br />

influenzare gli altri<br />

135


Leadership - I<br />

Teorie che hanno cercato di rispondere al quesito:<br />

• Teorie <strong>della</strong> personalità (Stogdill, 1974): grande uomo, leader naturale<br />

• Teorie del Comportamento del leader (Bales e Slater, 1955): stili di<br />

leadership<br />

• Approccio situazionale (Argyle e Little, 1972): natura del compito,<br />

competenze diverse<br />

• Modello <strong>della</strong> contingenza (Fiedler, 1964): corrispondenza tra stile e<br />

controllo <strong>della</strong> situazione<br />

• Modelli transazionali: relazione bidirezionale di influenza tra leader e<br />

membri<br />

– Credito idiosincratico (Hollander, 1982): conformità iniziale alle norme,<br />

scelta del gruppo, competenza, identificazione<br />

136


Teorie <strong>della</strong> personalità<br />

Leadership - II<br />

• Molte teorie sulla leadership tendono a definire i leader come individui che<br />

hanno determinate caratteristiche di personalità che li rendono diversi dalla<br />

gente comune.<br />

• In realtà, se pensiamo ai “grandi” leader, ci si rende conto che possono essere<br />

persone estremamente diverse l’una dall’altra, per cui gli aggettivi con cui<br />

vengono definiti sono abbastanza vaghi: “carisma” e “genio” sono i più<br />

accreditati e i più utilizzati per cercare di spiegare il successo di questi<br />

individui.<br />

• Non si è mai trovato un riscontro empirico forte che spiegasse il successo del<br />

leader in questi termini.<br />

137


Leadership - III<br />

• Una rassegna di vari studi (Stogdill, 1974) ha evidenziato che gli unici tratti<br />

almeno in parte attendibili e correlati con il leader sono che questi individui<br />

sono “un po’ più intelligenti, sicuri di sé, dominanti, socievoli e orientati verso la<br />

riuscita degli altri”.<br />

• In opposizione alla teoria sui tratti di personalità, ci sono studiosi (ad es., Bales,<br />

1950; Sherif et al., 1961) per cui i leader più efficienti sono quelli che riescono<br />

a guidare il gruppo verso i propri obiettivi. Questo implica che in momenti e<br />

contesti diversi, qualcun altro può emergere come leader (studi: cambio di<br />

obiettivo, cambio di leader).<br />

• Anche l’approccio situazionale, però, non riesce a spiegare bene quali fattori<br />

sono implicati nell’emersione di un leader<br />

138


Leadership - IV<br />

• Dal momento che i tratti di personalità non giustificano il potere del leader, si è<br />

iniziato a pensare che il successo di questi individui potesse derivare dal loro<br />

stile di comportamento (Lippit e White, 1943).<br />

• Secondo Lippit e White, il leader avrebbe la funzione di creare un clima <strong>sociale</strong><br />

nel gruppo: lo stato d’animo e l’efficienza del gruppo dipenderebbero proprio<br />

dalla natura del clima prodotto.<br />

Esperimento con bambini frequentanti il dopo-scuola. Analisi di 3 modalità di<br />

comportamento del leader:<br />

- autocratica (direttiva e distante del gruppo, orientamento al compito)<br />

- democratica (coinvolgimento del gruppo, scelta <strong>dei</strong> compagni)<br />

- permissiva (gruppo libero, intervento minimo del leader)<br />

139


Leadership - V<br />

Le 3 persone addestrate ad agire come leader restavano 7 settimane nello stesso<br />

gruppo, poi cambiavano due volte gruppo e stile di comportamento.<br />

Dunque, qualsiasi effetto osservato nei <strong>gruppi</strong> poteva essere attribuito allo stile di<br />

comportamento e non alla personalità.<br />

Risultati:<br />

- l’approccio democratico era il preferito da parte <strong>dei</strong> membri <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong><br />

- l’atmosfera <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong> “democratici” era + amichevole, centrata sul gruppo e<br />

discretamente orientata al compito<br />

140


Leadership - VI<br />

- i membri <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong> “autocratici” erano + aggressivi e dipendenti dal leader (in<br />

assenza del leader, i membri smettevano di lavorare) e più egocentrici<br />

- i leader “permissivi” suscitavano molte richieste di informazioni ed erano nel<br />

complesso graditi, ma i <strong>gruppi</strong> tendevano a giocare piuttosto che a lavorare<br />

- produttività: gli “autocratici” sono i + alti, ma solo se è presente il leader, nei<br />

“permissivi” aumenta quando non c’é il leader, i “democratici” sono poco<br />

influenzati dalla presenza/assenza del leader<br />

Gli autori approvarono lo stile democratico per autonomia, morale,<br />

efficienza complessiva<br />

141


Leadership - VII<br />

• La teoria sulla leadership di Bales (1950), attraverso l’analisi <strong>dei</strong> ruoli identifica<br />

due specializzazioni: una legata al compito e una socio-emozionale.<br />

• Bales e Slater (1955) distinguono due tipi di funzioni del leader:<br />

- leader socio-emozionale: presta attenzione ai sentimenti <strong>dei</strong> membri<br />

del gruppo; è teso ad assicurare armonia nel gruppo<br />

- leader centrato sul compito: concentrato sulla realizzazione del compito e<br />

sull’organizzazione del lavoro di gruppo<br />

• Secondo i due studiosi, i due ruoli sono complementari e difficilmente possono<br />

essere svolti dalla stessa persona<br />

• Lo specialista del compito è colui che viene percepito come “meglio attrezzato”<br />

per aiutare il gruppo nell’esecuzione del compito.<br />

142


Leadership - VIII<br />

• Da un punto di vista comportamentale, questi individui partecipano di più alle<br />

attività del gruppo e il loro comportamento si concentra nelle categorie<br />

dell’interazione relativa al compito (forniscono idee, opinioni, soluzioni)<br />

• Confrontando la teoria di Bales con quella di Lippit e White, emerge che la<br />

dicotomia di Bales (compito/socio-emozionale) è simile alla distinzione di Lippit e<br />

White tra leader autocratico e leader democratico.<br />

• Anche altri studiosi (Fleishman, 1973; Stogdill, 1974) hanno fornito evidenze<br />

empiriche su questa dicotomia all’interno di un programma di ricerca dell’Ohio<br />

State University.<br />

Furono valutati il comportamento e l’efficienza del leader attraverso valutazioni<br />

fornite da alcuni membri di <strong>gruppi</strong> di militari e industriali nei confronti <strong>dei</strong> loro leader.<br />

Le valutazioni evidenziavano 2 caratteristiche principali:<br />

1) l’interesse a dare origine a una struttura;<br />

2) la considerazione degli altri.<br />

143


Leadership - IX<br />

• La differenza con la teoria di Bales è che i ricercatori dell’OSU vedono le 2<br />

dimensioni come indipendenti, mentre per Bales sono due estremi di un<br />

continuum.<br />

• Quindi, statisticamente, Bales si sarebbe aspettato fattori inversamente<br />

correlati, mentre il gruppo dell’OSU ha mostrato tramite analisi fattoriali che<br />

essi sono ortogonali (e quindi un leader potrebbe avere valutazioni elevate in<br />

entrambi i fattori).<br />

• Dunque, secondo il gruppo OSU il leader migliore é l’individuo che viene<br />

valutato sopra la media in entrambi gli attributi: leader capace di organizzare<br />

le attività del gruppo, ma sensibile a opinioni e sentimenti <strong>dei</strong> membri.<br />

144


Leadership - X<br />

• Alcune ricerche interculturali (Smiths et al., 1989) hanno confermato la<br />

dicotomia di Bales, ma le specifiche condotte associate ai 2 stili variavano da<br />

cultura a cultura (occidentale vs. orientale)<br />

• L’ approccio “situazionista”, invece, si fonda sull’idea che in situazioni diverse<br />

il leader deve assolvere funzioni diverse. Tale ruolo può quindi essere<br />

assunto da diversi membri del gruppo, caso per caso<br />

• Esperimento di Carter e Nixon (1949): variando il tipo di compito, persone<br />

diverse emergevano come leader<br />

• Fattori situazionali collegati all’emergere di un leader: natura del compito,<br />

presenza nel gruppo di un membro con esperienza di leader, grandezza del<br />

gruppo, stabilità ambientale.<br />

145


Leadership - XI<br />

• Critiche all’approccio “situazionista”:<br />

- trascura troppo le caratteristiche delle persone con ruoli di leader<br />

- la definizione <strong>della</strong> situazione (centrata sulle richieste relative al compito) è<br />

riduttiva e considera poco elementi importanti come la storia, la struttura, le<br />

risorse del gruppo<br />

• In anni recenti alcuni studiosi hanno anche ripreso il concetto di “carisma”,<br />

concepito in termini di una caratteristica di una relazione particolare tra il<br />

leader e i seguaci, più che di un tratto di personalità (Bass, 1985).<br />

• Il leader carismatico infonde al gruppo qualche forma di ispirazione che<br />

trascende gli obiettivi “normali” di prestazione e promuove l’impegno<br />

nell’interesse collettivo<br />

146


Leadership - XII<br />

• Bass chiama questo stile “trasformazionale”. Secondo Bass lo stile<br />

trasformazionale è efficace in ogni occasione, ma particolarmente<br />

quando c’è una crisi o un cambiamento. Ma può essere utile anche in<br />

situazioni stabili; ed è percepita come molto efficace dai membri<br />

• Quali possono essere i limiti di questa teoria<br />

- le ricerche di Bass sono prevalentemente correlazionali, per cui non<br />

è possibile fare inferenze sulle relazioni causa-effetto.<br />

- le correlazioni potrebbero riflettere le teorie ingenue <strong>dei</strong> membri del<br />

gruppo sull’identità e le caratteristiche del leader di successo.<br />

147


• Leadership “trasformazionale”<br />

- Offre una visione significativa e positiva <strong>della</strong> realtà<br />

- Presta attenzione individuale alle persone, ai loro bisogni, desideri,<br />

atteggiamenti<br />

- Promuove apprendimento<br />

Leadership - XIII<br />

- Incoraggia l’azione creativa, la risoluzione <strong>dei</strong> problemi, il<br />

coinvolgimento<br />

- Comunica aspettative di elevata prestazione<br />

- Sviluppa energie, propositi, progetti di innovazione<br />

148


Leadership - XIV<br />

• Altri studi (Howell e Frost, 1989) hanno dimostrato l’utilità di una leadership<br />

trasformazionale e carismatica, in quanto:<br />

- stimola maggiormente la prestazione del gruppo<br />

- sembra che il leader carismatico tenga maggiormente fede ai propri impegni<br />

(studi longitudinali).<br />

Il carisma resta pur sempre il prodotto di una relazione tra leader e membri<br />

• Resta comunque che il fatto che nella teoria <strong>della</strong> leadership carismatica c’è<br />

una certa indeterminatezza <strong>dei</strong> fattori implicati (quali sono gli ingredienti che<br />

creano il “carisma” nella relazione leader-gruppo) e il concetto rischia di<br />

essere circolare (solo a posteriori si può verificare se il leader è “carismatico”<br />

oppure no).<br />

149


Leadership - XV<br />

Modello <strong>della</strong> contingenza (Fiedler, 1965)<br />

• Fiedler (1965) rilevò che l’approccio degli stili di comportamento non spiegava<br />

perché in taluni casi erano + efficienti le leadership orientate al compito, in altri<br />

le leadership socio-emozionali<br />

• Approccio interazionista: l’efficienza del leader dipende dalla corrispondenza<br />

fra stile adottato e controllo <strong>della</strong> situazione<br />

• Stile di leadership misurato mediante punteggio LPC (Least Preferred Coworker):<br />

descrizione su scale bipolari (collaborativo / non collaborativo;<br />

amichevole / ostile…) del collaboratore con cui la persona trova più difficile<br />

lavorare (il meno preferito) da parte di aspiranti leader<br />

- Alto Lpc = leader centrato sulle relazioni<br />

- Basso Lpc = leader centrato sul compito<br />

150


Leadership - XVI<br />

• Il punteggio LPC rispecchia per Fiedler una caratteristica di personalità<br />

relativamente stabile nelle diverse situazioni e nel tempo.<br />

• 3 dimensioni (dalla + alla – importante) che determinano la favorevolezza o<br />

meno <strong>della</strong> situazione per il leader:<br />

1. Qualità <strong>dei</strong> legami leader-membri<br />

2. Livello di struttura del compito (es.: chiarezza delle procedure per il<br />

raggiungimento dello scopo)<br />

3. Potere del leader (es.: grado di controllo di sanzioni e premi,<br />

formalizzazione <strong>della</strong> ledership)<br />

• Valutando ogni situazione di leadership come alta o bassa rispetto a questi 3<br />

fattori, derivano 8 combinazioni di favorevolezza (2X2X2)<br />

151


Leadership - XVII<br />

• Se la situazione è molto favorevole (positiva per tutti e 3 i fattori), i leader non<br />

hanno bisogno di sprecare tempo preoccupandosi del morale <strong>dei</strong> membri del<br />

gruppo e hanno mezzi e potere per essere direttivi<br />

• Se la situazione è molto sfavorevole (negativa per tutti e 3 i fattori), accade<br />

che i leader non abbiano niente da perdere ad essere autocratici<br />

• A livelli intermedi, il leader può compensare un compito mal definito o uno<br />

scarso potere con uno stile orientato alla relazione<br />

152


Leadership - XVIII<br />

• Una meta-analisi di 178 studi (Strube e Garcia, 1981) conferma<br />

sostanzialmente la validità del modello di Fiedler, individuando comunque<br />

degli aspetti critici riguardo la sua completezza.<br />

• Nonostante ciò, il modello <strong>della</strong> contingenza ha sollevato alcune<br />

controversie.<br />

• Innanzi tutto, il modello implica che lo stile del leader non venga influenzato<br />

dalle circostanze e che, di conseguenza, sia “dato” e non immutabile.<br />

Ciò si basa su una definizione di personalità basata sui tratti che considera<br />

gli individui coerenti nel tempo e nelle situazioni.<br />

La facilità con cui gli individui possono essere addestrati ad agire un<br />

determinato stile (es.: Lippit e White, 1943) sembra contraddire la presenza<br />

di tratti stabili e invarianti.<br />

153


Leadership - XIX<br />

• Inoltre, nella realtà delle organizzazioni lavorative, gli individui vengono<br />

formati in modo specifico per “interpretare” il ruolo di leader in una certa<br />

maniera.<br />

• Un’altra prova contro la stabilità <strong>dei</strong> tratti è fornita da Rice (1978), che ha<br />

riportato un’attendibilità test-retest relativamente modesta <strong>della</strong> scala LPC<br />

• Un’altra critica riguarda l’ordine degli 8 tipi di situazioni, che per Fiedler<br />

rappresentano un continuum ordinato di favorevolezza dove ogni ottante<br />

(combinazione delle 3 dimensioni) è ugualmente distante dal successivo.<br />

Ma l’ordine <strong>dei</strong> 3 fattori situazionali era stato stabilito in modo arbitrario da<br />

Fiedler e, cambiandone l’ordine gerarchico, cambia il continuum tra le 8<br />

combinazioni e, dunque, cambia l’ordine di ampiezza di correlazione tra LPC<br />

ed efficacia.<br />

154


Leadership - XX<br />

• Singh e coll. (1979) hanno inoltre rilevato che l’ordine di importanza <strong>dei</strong> 3<br />

fattori nel determinare la favorevolezza <strong>della</strong> situazione è diverso da quello<br />

prescritto da Fiedler: su 4 studi, solo in 2 il legame leader-membri era<br />

considerato il + importante, mentre negli altri 2 il + importante era il grado di<br />

potere, il quale complessivamente è emerso come il + importante in assoluto.<br />

• Un ulteriore limite riguarda il fatto che ogni leader può essere categorizzato<br />

solo in modo dicotomico (alto vs. basso LPC) : l’applicazione in campo<br />

formativo del modello scarta ca. il 20% di punteggi (cioè gli intermedi, né alti,<br />

né bassi). Quanto sarebbero stati efficaci<br />

155


Leadership - XXI<br />

• Il punto base <strong>della</strong> teoria di Fiedler, vede la prestazione del leader<br />

come contingente alla situazione.<br />

• Esistono altri due modelli che valutano gli aspetti contingenti <strong>della</strong><br />

leadership:<br />

- il modello <strong>della</strong> “leadership situazionale” (SLT) di Hersey e Blanchard<br />

(1993)<br />

- Il modello <strong>della</strong> “contingenza” di Vroom e Yetton (1973)<br />

156


Leadership - XXII<br />

• Secondo il modello <strong>della</strong> “leadershIp situazionale” (Hersey e Blanchard,<br />

1993) i leader devono adattare il loro stile alla “prontezza” <strong>dei</strong> membri del<br />

gruppo ad affrontare il compito.<br />

• Per “prontezza” gli autori intendono una combinazione di capacità,<br />

disponibilità e sicurezza <strong>dei</strong> membri nell’affrontare un dato compito.<br />

• Se gli individui sono poco motivati e poco abili, il grado di prontezza è basso,<br />

e il leader dovrebbe avere un approccio orientato al compito.<br />

• Se gli individui sono motivati e sicuri, il grado di prontezza è alto, e il leader<br />

avrà un approccio meno orientato al compito perché può e deve delegare<br />

compiti al gruppo (qui non si parla di un cambiamento in senso socioemozionale).<br />

157


Leadership - XXIII<br />

• A livelli medi di prontezza, il leader dovrebbe avere un orientamento<br />

prevalentemente socio-emozionale (che è comunque considerato indipendente<br />

dal grado di orientamento al compito)<br />

• Somiglianze e differenze con la teoria di Fiedler:<br />

Per entrambe l’efficacia <strong>della</strong> leadership dipende dall’integrazione tra il leader e<br />

la situazione, ma…<br />

- per la STL i leader devono avere le capacità di adattare il comportamento al<br />

cambiamento <strong>dei</strong> contesti, mentre per<br />

Fiedler lo stile di leadership è relativamente stabile<br />

- per la STL sono salienti la motivazione e la competenza <strong>dei</strong> membri e c’è<br />

maggiore attenzione alla relazione tra essi e il leader, mentre per Fiedler la<br />

relazione tra membri e gruppo è solo un aspetto <strong>della</strong> situazione utile per<br />

identificare lo stile di leadership più efficace<br />

158


Leadership - XXIV<br />

• Il modello <strong>della</strong> “leadership situazionale” è molto utilizzato in ambito formativo<br />

nei contesti organizzativi, ma ha avuto ad oggi scarse verifiche empiriche. Una<br />

delle poche (Vecchio, 1987) non ha confermato la validità del modello.<br />

• Il modello <strong>della</strong> “contingenza” di Vroom e Yetton (1973).<br />

prende in considerazione solo l’aspetto <strong>della</strong> decisione nel gruppo e cerca di<br />

definire il processo al quale si dovrebbe richiamare il leader in diversi contesti di<br />

decisione.<br />

• In altre parole, il modello cerca di definire “il grado di consultazione e di<br />

partecipazione di gruppo che il leader dovrebbe incoraggiare per giungere alle<br />

decisioni più efficaci”.<br />

159


Leadership - XXV<br />

• Nel modello <strong>della</strong> “contingenza” la scelta del processo migliore (cioè<br />

quello che produce una decisione efficace) dipende dalla natura del<br />

compito di decisione.<br />

• Gli autori inizialmente ipotizzarono l’esistenza di 7 attributi che<br />

consentirebbero al leader di scegliere tra 5 processi decisionali (dal +<br />

“autocratico” al + “democratico”)<br />

– Es. tentare di arrivare a una decisione senza consultare i membri del<br />

gruppo (+ autocratica)<br />

– Es. cercare la partecipazione del gruppo per arrivare a una decisione<br />

consensuale (+ democratica)<br />

160


Leadership - XXV<br />

• Gli attributi sono sotto forma di valutazioni condizionali a cascata e che<br />

prendono la forma di un diagramma di flusso.<br />

Sono, quindi, valutati attraverso domande.<br />

Es.: attributo “importanza <strong>della</strong> qualità <strong>della</strong> decisione”.<br />

Quanto conta prendere la decisione giusta<br />

Domande a cui rispondere “sì” o “no” portando a una sequenza<br />

processuale.<br />

Alla fine si giunge all’indicazione sui processi consigliati di decisione, che<br />

alla fine viene confrontata con il processo realmente utilizzato per verificare<br />

se il leader ha aderito o meno alle prescrizioni del modello.<br />

161


Leadership - XXVI<br />

• Il leader (o l’aspirante tale) risponde alle domande circa i attributi in sequenza,<br />

così da sapere quali sono i processi decisionali consigliati per quella situazione.<br />

• Il punto di forza del modello è dato dalla possibilità di avere uno schema<br />

(vademecum) che orienti il leader.<br />

• La verifica empirica <strong>della</strong> validità del modello fornisce prove a favore, ma anche<br />

alcuni problemi (ad es., il processo + “partecipativo” è risultato + efficace, a<br />

prescindere dalle situazioni)<br />

162


Leadership - XXVII<br />

• In realtà le “indicazioni” hanno alcuni limiti, in quanto l’adesione alle prescrizioni<br />

non garantisce l’efficacia e l’accettazione <strong>sociale</strong> di una decisione.<br />

• Una versione + complessa del modello (Vroom e Jago, 1988) prevede 12<br />

attributi e alternative di risposta tipo Likert (in luogo delle dicotomiche), rendendo<br />

il modello stesso meno “maneggevole” al fine di migliorarne il potere predittivo<br />

dell’efficacia del leader<br />

163


Leadership - XXVIII<br />

• La leadership come processo<br />

• Dinamica processuale: il leader può influenzare i membri del gruppo, e questi<br />

ultimi possono influenzare, con le loro aspettative e le loro richieste, il leader<br />

stesso. È perciò riconosciuto un ruolo più attivo <strong>dei</strong> membri del gruppo<br />

• Ricerca di Merei (1949) in una scuola materna. Bambini più grandi, introdotti in un gruppo<br />

esistente, divennero leader solo se prima di introdurre innovazioni di gioco furono capaci di<br />

adattarsi alle norme, al comportamento ed alle “tradizioni” del gruppo esistente.<br />

164


Leadership - XXIX<br />

• Nella Teoria <strong>della</strong> Leadership di Hollander (1978),la sequenza di adesione<br />

iniziale alle norme del gruppo e di successiva introduzione di idee nuove<br />

riveste un ruolo centrale<br />

• Viene introdotta la nozione di “credibilità idiosincratica”, che il leader deve<br />

conquistare nei contatti iniziali con il gruppo<br />

• 4 fonti di legittimità che favoriscono la “credibilità” del L:<br />

- conformità iniziale alle norme di gruppo<br />

- essere stato scelto dal gruppo<br />

- competenza rispetto agli scopi del gruppo<br />

- identificazione con il gruppo<br />

165


Leadership - XXX<br />

• La controparte dell’identificazione del leader con il gruppo è rappresentata dalla<br />

percezione del leader come rappresentante o membro prototipico del gruppo.<br />

Secondo Hogg (1996) questo aspetto svolge un ruolo importante nel momento<br />

in cui il leader deve essere accettato dal gruppo, soprattutto in contesti<br />

inter<strong>gruppi</strong>.<br />

• Connesso alla legittimazione è il modo in cui il leader esercita la sua autorità nel<br />

gruppo (Tyler e Lind, 1992).<br />

Secondo questi studiosi il leader può...<br />

- sforzarsi di acquisire risultati positivi ed equi per i membri del gruppo (criteri di<br />

giustizia distributiva)<br />

- sottolineare la correttezza delle procedure utilizzate per distribuire i redditi<br />

(criteri di giustizia procedurale)<br />

166


Leadership - XXXI<br />

• Il rispetto <strong>dei</strong> due criteri permette al leader di conquistare il gruppo; se le<br />

procedure sono percepite come imparziali, il gruppo è maggiormente<br />

disposto ad accettare un leader anche se non dà loro qualcosa che<br />

aspettavano da tempo.<br />

• È importante sottolineare che gli effetti che entrambi i criteri di giustizia<br />

esercitano sono dipendenti dal contesto in cui hanno luogo, in particolare<br />

se è intra-gruppo o inter-<strong>gruppi</strong>.<br />

167


Leadership - XXXII<br />

• Situazione sperimentale di Platow et al. (1997) in cui i leader distribuivano<br />

somme di denaro.<br />

2 variabili manipolate:<br />

- tipo di distribuzione (equa/non-equa)<br />

- contesti (intra-/inter-<strong>gruppi</strong>)<br />

Misura: grado di approvazione del leader dai membri<br />

Risultati: i leader equi ricevevano + approvazione <strong>dei</strong> non-equi, ma<br />

l’effetto era minore nel contesto inter-<strong>gruppi</strong>. Ma il dato più importante è<br />

che in alcuni contesti inter-<strong>gruppi</strong>, il leader che era poco equo nei<br />

confronti dell’altro gruppo era + approvato di quello che era equo.<br />

168


Leadership - XXXIV<br />

Riassunto <strong>dei</strong> principali approcci allo studio <strong>della</strong> leadership<br />

• Approccio <strong>dei</strong> “tratti di personalità”<br />

• Approccio degli “stili di comportamento” (Bales, Lippit & White, Bass)<br />

• Approccio “situazionista” (Carter & Wright)<br />

• Approccio “interazionista” (Fiedler, Hersy & Blanchard, Vroom & Yetton)<br />

• Approccio “transazionale” (Hollander, Tyler & Lindon)<br />

169


Ruoli, relazioni e processi nel gruppo<br />

• Potere = potenzialità di influenzare l’altro<br />

• Dominanza = rapporto con la persona influenzata<br />

• Controllo = comportamento di chi ha potere<br />

• Status alto = posizione ricoperta da chi ha maggior controllo<br />

• Leadership = status più alto nel gruppo


Comunicazione nei <strong>gruppi</strong><br />

171


Comunicazione nei <strong>gruppi</strong> - I<br />

• La comunicazione è uno degli elementi costitutivi di un gruppo in quanto<br />

implica uno “scambio di significati”, che determinano una finalità e<br />

atteggiamenti comuni, la coesione gruppale, le relazioni interpersonali, gli<br />

accordi o i disaccordi, la collaborazione o la competizione (Flament, 1965)<br />

• Tutti i processi di gruppo (es. coesione, cooperazione/competizione, influenza<br />

<strong>sociale</strong>, devianza, polarizzazione) hanno a che fare con la comunicazione<br />

• Il fenomeno <strong>della</strong> “discussione”: un rito di comunicazione che riunisce i membri<br />

di un gruppo in un luogo idoneo secondo regole prescritte (Moscovici e Doise,<br />

1991)


Comunicazione nei <strong>gruppi</strong> - II<br />

• La discussione è il contesto privilegiato sia per l’emersione del conflitto, sia per<br />

la ricerca del consenso<br />

• Come sosteneva Festinger (1950), la costruzione di una realtà <strong>sociale</strong><br />

condivisa all’interno del gruppo avviene tramite gli scambi comunicazionali di<br />

idee e opinioni<br />

• Una discussione di gruppo può essere influenzata da...<br />

- tipo di atmosfera (calda/fredda)<br />

- grado di spontaneità (spontanea/vincolata)<br />

- tipo di partecipazione (consensuale/normalizzata)


Comunicazione nei <strong>gruppi</strong> - III<br />

• L’atmosfera <strong>della</strong> discussione e gli scambi comunicativi sono influenzati dagli<br />

attributi del setting fisico-spaziale: grandezza <strong>della</strong> stanza, arredi, aspetto<br />

globale del luogo (familiare, solenne, asettico, ecc.), lay-out, disposizione di<br />

sedie e tavolo<br />

• Alcuni studi mostrano come sia gli aspetti fisico-spaziali + “micro” (sedersi in<br />

cerchio vs. sedersi allineati), sia i + “macro” (stessa disposizione “micro”, ma in<br />

differenti contesti) creano differenze di atmosfera che si ripercuotono nei<br />

processi che avvengono nel gruppo<br />

• Il grado di spontaneità di una discussione è legato alla presenza o meno di<br />

vincoli temporali o procedurali: + la discussione è spontanea, + si verificano<br />

partecipazione diffusa di tutti i membri e fenomeni di influenza <strong>sociale</strong>


Comunicazione nei <strong>gruppi</strong> - IV<br />

• Partecipazione “consensuale” vs. “normalizzata”<br />

- nella p. consensuale tutti i membri del gruppo possono dire la loro senza<br />

preoccupazioni di status e senza vantaggi per la maggioranza (rispetto alle<br />

minoranze)<br />

- nella p. normalizzata le possibilità di accedere alla discussione sono<br />

“regolamentate” dalla gerarchia di status<br />

• Nelle discussioni a p. consensuale gli scambi sono accesi, c’è alto coinvolgimento<br />

<strong>dei</strong> membri, emergono punti di vista divergenti e conflitti<br />

• Nelle discussioni a p. normalizzata gli scambi sono ordinati, non emergono punti di<br />

vista conflittuali, i membri di status basso (o di una minoranza) non contraddicono i<br />

membri di status alto (o la maggioranza), il coinvolgimento <strong>dei</strong> membri è scarso, le<br />

decisioni sono + scontate e determinate dalla leadership


Comunicazione nei <strong>gruppi</strong> - V<br />

Tre principali oggetti di studio sulla comunicazione nei <strong>gruppi</strong>:<br />

• Festinger (1950) e Schachter (1951): analizzano i processi comunicativi in<br />

rapporto ad altri fenomeni di gruppo.<br />

Esempio: studi sulle comunicazioni (persuasive) verso i devianti x ristabilire la<br />

coesione gruppale<br />

• Bales et al. (1951): studiano le strutture di comunicazione nei <strong>gruppi</strong> di<br />

discussione; evidenziano che la quantità di comunicazioni date e ricevute<br />

riproduce la gerarchia di status<br />

Esempio: in una struttura centralizzata il leader riceve e trasmette più<br />

comunicazioni di tutti<br />

• Bavelas (1950) e Leavitt (1951): propongono un modello di descrizione delle<br />

reti di comunicazione che riprende l’idea lewiniana di rappresentazione del<br />

campo psicologico mediante mappe topologiche


Comunicazione nei <strong>gruppi</strong> - VI<br />

• È Flament (1965) che concettualizza la distinzione tra<br />

rete di comunicazione e struttura di comunicazione<br />

La rete di comunicazione è l’insieme di “canali” presenti in un gruppo, i quali<br />

rendono possibile il passaggio di informazioni<br />

La struttura di comunicazione è invece l’insieme di comunicazioni che si sono<br />

effettivamente scambiate all’interno di un gruppo<br />

• In altre parole, la rete è una “possibilità” di comunicazione, laddove la struttura<br />

è una “realtà” di comunicazione


Reti di comunicazione - I<br />

• Se pensiamo che i membri di un gruppo sono in relazione tra di loro attraverso<br />

<strong>dei</strong> legami di comunicazione, è possibile comprendere quali possano essere gli<br />

effetti sul gruppo di reti di comunicazione differenti.<br />

• Secondo Bavelas (1950) e Leavitt (1951) la cosa più importante non è il grado<br />

di vicinanza fisica tra i membri, ma piuttosto l’organizzazione topologica <strong>dei</strong><br />

legami e per questo hanno operazionalizzato indici quantitativi per mezzo <strong>dei</strong><br />

quali è possibile descrivere diversi tipi di reti


Reti di comunicazione - II<br />

• Situazione sperimentale di Leavitt (1951)<br />

Gruppo di 5 persone sedute ad un tavolo e separate da pannelli: è possibile<br />

comunicare solo tramite messaggi scritti. Il passaggio <strong>dei</strong> messaggi è controllato<br />

dallo sperimentatore, che tiene aperte (o chiuse) le finestrelle <strong>dei</strong> pannelli.<br />

Verifica dell’effetto di 4 tipi di rete (= VI) su un compito di individuazione di un<br />

simbolo comune tra i 5 cartoncini (1 ciascuno) dato ai partecipanti.<br />

Misure rilevate (= VD):<br />

- rapidità temporale<br />

- concisione (numero di comunicazioni scambiate)<br />

- precisione (grado di correttezza <strong>della</strong> decisione)<br />

- morale del gruppo (grado di soddisfazione individuale verso il lavoro<br />

svolto)<br />

- grado di popolarità di ogni membro (tramite indici sociometrici)


Reti di comunicazione - III<br />

I 4 tipi di reti di comunicazione studiati da Leavitt (1951)<br />

A B C D<br />

A = rete centralizzata o ruota<br />

B = rete a Y<br />

C = rete a catena<br />

D = rete decentralizzata o cerchio


Reti di comunicazione - IV<br />

• Due indici quantitativi per descrivere i diversi tipi di rete:<br />

– Indice di “distanza” = numero minimo di legami di comunicazione<br />

che un individuo deve “attraversare” per comunicare con un altro<br />

– Indice di “centralità” = la misura in cui un flusso di informazioni nel<br />

gruppo è centralizzato in una persona oppure distribuito tra i<br />

membri<br />

• Indice di “centralità”... + elevato = ruota<br />

- elevato = cerchio


Reti di comunicazione - V<br />

Risultati<br />

• Rete + centralizzata (ruota) = + rapidità + concisione<br />

+ precisione, ma - morale.<br />

Il + popolare è il membro in posizione centrale, che ha<br />

anche il + alto morale (mentre i membri più periferici<br />

hanno il morale + basso)<br />

• Rete + decentralizzata (cerchio) = - rapidità - concisione<br />

- precisione, ma + morale, che è anche simile tra i<br />

membri.<br />

Nessuno emerge come + popolare di altri


Reti di comunicazione - VI<br />

• Studi successivi (es.: Shaw, 1964) hanno mostrato che in realtà questi risultati<br />

si hanno per compiti semplici, mentre per compiti più complessi (problemi<br />

logico-matematici, discussioni, ecc.) le reti centralizzate sono – rapide e –<br />

precise delle reti decentralizzate.<br />

Questo perchè...<br />

- il leader delle reti centralizzate sono sottoposti a un sovraccarico cognitivo,<br />

mentre nella reti decentralizzate c’è una maggiore distribuzione del carico<br />

- il morale + alto tra i membri delle reti decentralizzate si traduce in una + alta<br />

motivazione al lavoro e, quindi, ciascun membro desidera fornire il proprio<br />

apporto all’esecuzione del compito<br />

• Dunque, la natura del compito modera la relazione tra tipo di rete e prestazione<br />

del gruppo


Reti di comunicazione - VII<br />

• Riassumendo, il tipo di rete di comunicazione influenza...<br />

- l’efficienza di gruppo nella risoluzione di compiti<br />

La natura del compito è una variabile fondamentale:<br />

i <strong>gruppi</strong> centralizzati risolvono più rapidamente compiti<br />

semplici, i <strong>gruppi</strong> decentralizzati i compiti complessi<br />

- la soddisfazione o il morale <strong>dei</strong> membri del gruppo<br />

• Critiche:<br />

Nelle reti decentralizzate il morale medio del gruppo è più<br />

elevato; nelle reti centralizzate la persona in posizione<br />

centrale è più soddisfatta.<br />

Questi risultati, ottenuti con studi di laboratorio, sono poco applicabili alla<br />

complessità <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong> naturali


Valutazione di sé e<br />

Confronto <strong>sociale</strong><br />

185


Valutazione di sé e confronto <strong>sociale</strong> - I<br />

• Le norme e i ruoli nonché le differenze di status ci aiutano a conoscere e<br />

valutare noi stessi<br />

• Ma come valutiamo noi stessi<br />

Teoria del confronto <strong>sociale</strong> (Festinger, 1954) dinamiche di gruppo<br />

Secondo Festinger esiste una motivazione umana universale che ci spinge a<br />

valutare le nostre opinioni e le nostre capacità.<br />

Questa affermazione si basa sulla convinzione che sarebbe difficile (se non<br />

impossibile) vivere senza un modo che ci permetta di valutare le nostre<br />

capacità.<br />

Esempi: la guida dell’auto o le scelte <strong>della</strong> scuola e <strong>della</strong> professione<br />

186


Valutazione di sé e confronto <strong>sociale</strong> - II<br />

• Come possiamo ricavare questo tipo di conoscenza<br />

Il modo più ovvio è quello di trovare degli strumenti oggettivi di valutazione (es.:<br />

capacità atletiche), ma spesso essi non sono disponibili.<br />

Dunque, dobbiamo ricorrere all’aiuto di “altri” per ottenere informazioni sulle<br />

nostre capacità: anche le misure oggettive sono rapportate a quelle ottenute<br />

da altri.<br />

Ma chi sono gli “altri” con cui deve avvenire questo tipo di confronto<br />

Chiaramente non possono essere “altri” generici, ma individui che sono simili a<br />

noi, altrimenti non potremmo ricavare molte informazioni.<br />

187


Valutazione di sé e confronto <strong>sociale</strong> - III<br />

• Il fatto di poterci confrontare con nostri “simili” ci permette di fare previsioni e<br />

guidarci verso i nostri possibili risultati<br />

• A questo punto è più facile comprendere l’importanza <strong>della</strong> gerarchia di status:<br />

dà ai membri del gruppo una classificazione delle competenze su vari attributi e<br />

permette, quindi, di scegliere “altri” confrontabili al fine <strong>della</strong> valutazione del sé.<br />

• L’ipotesi <strong>della</strong> somiglianza di Festinger sembra di tipo circolare:<br />

scopro le capacità di un altro individuo in modo tale da poter fare inferenze sulle<br />

MIE capacità;<br />

ma se sappiamo già che quella persona è simile a noi, qual è il senso del<br />

confronto<br />

188


Valutazione di sé e confronto <strong>sociale</strong> - IV<br />

• Secondo Goethals e Darley (1977) cerchiamo altri simili a noi “in attributi<br />

che sono in relazione con la capacità che ci interessa”.<br />

Esempio: si cerca il confronto con persone <strong>della</strong> propria età, sesso, etc.<br />

• Quindi la posizione di status nel gruppo funziona da “attributo associato”<br />

generale: deduciamo la nostra competenza in un determinato campo<br />

confrontandoci con qualcuno di status simile al nostro in tale campo.<br />

189


Valutazione di sé e confronto <strong>sociale</strong> - IV<br />

• Questi confronti su attributi comportano alcuni svantaggi<br />

Es. Studio di Major (1994):<br />

• I soggetti svolgevano compiti diversi per cui ricevevano una retribuzione<br />

• Alla fine si chiedeva di quale gruppo volessero conoscere la retribuzione<br />

media (così da poter fare un confronto con la propria)<br />

• Il 63% sceglieva come termine di confronto la paga media di retribuzione<br />

del proprio sesso nel proprio stesso compito (sono il 21% sceglieva la<br />

media di retribuzione <strong>dei</strong> due sessi nello stesso compito)<br />

• Le persone percepivano il genere come variabile pertinente al principio di<br />

equità retributiva<br />

190


Valutazione di sé e confronto <strong>sociale</strong> - V<br />

Quali conseguenze può avere a livello affettivo il confronto<br />

<strong>sociale</strong><br />

Prima di tutto le conseguenze del confronto ricadono<br />

sull’autostima.<br />

E’ ovvio che la nostra autostima aumenta quando<br />

facciamo bene qualche cosa.<br />

Questo potrebbe portare a pensare che si debba<br />

ricercare il confronto solo con i membri del gruppo che<br />

hanno una posizione inferiore alla nostra per evitare un<br />

esito spiacevole che abbasserebbe la nostra autostima.<br />

191


Valutazione di sé e confronto <strong>sociale</strong> - VI<br />

Ma la nostra presupposta superiorità, quando facciamo un<br />

confronto con persone gerarchicamente inferiori a noi,<br />

funziona solamente se possiamo assumere un loro<br />

impegno nella prova pari al nostro.<br />

Inoltre, se l’esito del confronto non fosse a nostro favore,<br />

l’inferenza di inferiorità risulterebbe molto più evidente<br />

(e quindi dannosa) che non quella che deriva da un<br />

confronto con un superiore.<br />

192


Valutazione di sé e confronto <strong>sociale</strong> - VII<br />

• Secondo Festinger (1954) il valore “occidentale” <strong>della</strong> “prestazione migliore”<br />

spinge gli individui a tentare di superare i risultati degli altri. Questo è dato<br />

da una “pulsione verso l’alto” che ha 2 effetti sulle relazioni di status:<br />

1. Porta instabilità nel gruppo in quanto i membri del gruppo sono portati a<br />

competere per la posizione<br />

2. Determina la tendenza a fare confronti con le persone di posizione più<br />

elevata al fine di migliorare la propria.<br />

193


Valutazione di sé e confronto <strong>sociale</strong> - VIII<br />

Alcuni studi confermano che i confronti avvengono con i membri del gruppo percepiti<br />

come leggermente migliori di noi (e quindi molto “somiglianti”; es. un gradino<br />

più in alto in una graduatoria)<br />

• Questo è vero però quando si ha conoscenza <strong>della</strong> gamma delle capacità del<br />

gruppo.<br />

• Wheeler e coll. (1969) hanno visto che, se non si conosce la gamma, la<br />

maggioranza vuole conoscere in primis il punteggio migliore, poi il punteggio<br />

peggiore.<br />

• Esistono anche occasioni in cui c’è proprio una tendenza a confrontarsi verso il<br />

basso: una di queste è il caso in cui le persone si trovino in circostanze<br />

negative (il conforto di sapere che c’è chi sta peggio di noi…)<br />

194


Valutazione di sé e confronto <strong>sociale</strong> - IX<br />

• Secondo Wills (1991) il confronto verso il basso è funzionale alla salvaguardia<br />

di un’autostima minacciata.<br />

Le prove empiriche a sostegno di questa tesi sono contraddittorie (es. pazienti<br />

con cancro al seno vs. disabili).<br />

• Viceversa, Taylor e Lobel (1989) sostengono che, anche in situazioni difficili, il<br />

confronto può volgersi verso l’alto:<br />

il confronto verso il basso rafforza il sé di persone che si sentono minacciate<br />

solo in superficie, mentre quello verso l’alto può dare speranza e prospettive di<br />

miglioramento (“anche io come loro, un giorno…”).<br />

195


Valutazione di sé e confronto <strong>sociale</strong> - X<br />

Quali sono gli effetti del confronto <strong>sociale</strong> sulla prestazione effettiva degli individui<br />

• Secondo Festinger (1954) gli individui hanno la tendenza a migliorare la loro<br />

prestazione soprattutto in rapporto a coloro che sono simili o immediatamente<br />

superiori a loro.<br />

• Diversi studi confermano che all’interno di un gruppo il miglioramento<br />

complessivo <strong>dei</strong> risultati è legato principalmente ad un aumento <strong>della</strong><br />

prestazione <strong>dei</strong> membri più deboli; mentre c’è un peggioramento in caso di<br />

membri molto simili o troppo diversi tra loro.<br />

196


Valutazione di sé e confronto <strong>sociale</strong> - XI<br />

• Pur riconoscendo l’importanza del confronto <strong>sociale</strong> per spiegare il processo di<br />

valutazione di sé, Albert (1977) sottolinea anche l’importanza del confronto<br />

temporale, ovvero il confronto <strong>della</strong> propria prestazione attuale con quella<br />

passata o futura.<br />

• Il confronto temporale può essere + usato se i confronti sociali generano esiti<br />

sfavorevoli per il sé (es. Gibbons et al., 1994: gli studenti universitari + “abili”<br />

usano + confronto <strong>sociale</strong>, i – abili + confronto temporale)<br />

• Ricerche hanno mostrato che i confronti sociali prevalgono tra adolescenti e<br />

adulti, mentre quelli temporali prevalgono tra bambini e anziani<br />

197


Valutazione di sé e confronto <strong>sociale</strong> - XII<br />

• In altri casi le persone possono utilizzare come elemento di confronto qualche<br />

standard astratto, seguendo un orientamento “autonomo” (Hinkle e Brown,<br />

1990)<br />

• Ad ogni modo, la teoria del confronto <strong>sociale</strong> ha almeno altri 3 punti deboli:<br />

1. trascura (anzi, Festinger la ritiene una cosa molto improbabile) la possibilità<br />

che i confronti possano coinvolgere anche i membri di altri <strong>gruppi</strong> di status<br />

differente<br />

2. ritiene che i processi di confronto <strong>sociale</strong> siano generali, dunque simili in tutti gli<br />

individui; in realtà, alcuni studi mostrano differenze intercategoriali e<br />

interpersonali (es.: alcune persone sono più interessate di altre a ottenere<br />

informazioni che possono derivare dal confronto <strong>sociale</strong>)<br />

198


Valutazione di sé e confronto <strong>sociale</strong> - XIII<br />

3. Afferma l’intenzionalità <strong>dei</strong> processi di confronto <strong>sociale</strong>, secondo una strategia<br />

che permette di ricavare le informazioni + utili per l’autovalutazione e<br />

trascurare altri possibili confronti meno informativi.<br />

Alcuni studiosi (Gilbert et al., 1995) hanno invece mostrato che i confronti<br />

avvengono in modo meno consapevolmente “controllato” e con chi capita (il<br />

confronto viene automaticamente annullato nel caso in cui si riveli<br />

inappropriato per la nostra autovalutazione).<br />

199


Produttività di gruppo


Produttività di gruppo - I<br />

• Già dai primissimi studi condotti in laboratorio si cercava di valutare se e in che<br />

modo la presenza di altri influenzasse la prestazione individuale.<br />

• Esperimento di Triplett (1898) con bambini 9-12 anni<br />

Compito: avvolgere mulinelli di canne di pesca.<br />

Condizioni: 1. da soli, 2. in situazione competitiva<br />

Risultato: tendenza <strong>dei</strong> soggetti a lavorare più velocemente se si trovavano in una situazione<br />

competitiva piuttosto che individuale.<br />

• Allport (1924) replicò la procedura di Triplett, togliendo però l’elemento<br />

competitivo nella condizione “<strong>sociale</strong>”. Compiti: semplici (moltiplicazioni, cancellazioni<br />

di vocali) e complessi (sviluppo di contro-argomentazioni logiche)<br />

Risultato: la presenza di altri migliorava la prestazione nei compiti semplici, ma la peggiorava<br />

nei compiti complessi


Produttività di gruppo - II<br />

• Il miglioramento nella prestazione indotto dalla presenza di altre persone è un<br />

fenomeno definito “facilitazione <strong>sociale</strong>”<br />

• L’effetto moderatore <strong>della</strong> natura del compito sulla relazione tra condizione di<br />

svolgimento del compito (solitaria vs. <strong>sociale</strong>) e prestazione è stato confermato<br />

in oltre 200 esperimenti (Bond e Titus, 1983)<br />

• Zajonc (1965) ha tentato di spiegare questa differenza, osservando che anche<br />

nel mondo animale avvengono cose simili.


Produttività di gruppo - III<br />

• Secondo Zajonc la presenza di altri membri fa aumentare il livello di<br />

attivazione ( o pulsazione, secondo schemi di risposte adattive) a predisporre<br />

l’organismo all’azione, in linea con la teoria classica dell’apprendimento<br />

(Spence, 1956), secondo la quale l’attivazione aumenta il manifestarsi di<br />

riposte apprese o abituali, ma limita la probabilità di risposte nuove o non<br />

apprese in modo adeguato.<br />

• Dunque, anche per gli esseri umani, i compiti semplici mettono in gioco solo<br />

poche attività consolidate (per cui l’attivazione facilita la prestazione), mentre<br />

quelli complessi necessitano di strategie cognitive più complesse (per cui<br />

l’attivazione ostacola la prestazione).


Produttività di gruppo - IV<br />

Presenza Attivazione Compito facile<br />

degli altri<br />

fisiologica<br />

+<br />

_<br />

Compito difficile<br />

• Altri studiosi hanno tentato di dare spiegazioni più complesse <strong>dei</strong> motivi per cui<br />

la presenza degli altri induce l’aumento dell’attivazione fisiologica<br />

• Secondo Cottrell (1972) l’attivazione può essere connessa con la<br />

preoccupazione di essere valutati dagli altri.


Produttività di gruppo - V<br />

• Secondo Guerin e Innes (1982) l’attivazione deriverebbe dalla difficoltà di<br />

controllare un individuo <strong>della</strong> stessa specie potenzialmente imprevedibile.<br />

• Secondo Baron (1986) l’attivazione dipenderebbe dal fatto che l’animale deve<br />

fare attenzione contemporaneamente al compito e all’altro membro.<br />

• Ad ogni modo, che cosa rende questo approccio abbastanza riduttivo per<br />

quanto riguarda gli esseri umani<br />

• ...non tiene in considerazione i processi cognitivi, di attenzione e neppure il<br />

significato <strong>sociale</strong> e psicologico <strong>della</strong> presenza dell’”altro”.


Produttività di gruppo - VI<br />

• Secondo Sanna (1992) un elemento-chiave è costituito dal processo di<br />

“confronto <strong>sociale</strong>”, per cui la prestazione in un dato compito è determinata in<br />

modo congiunto da:<br />

- aspettative su di sé<br />

- valutazione di sé in relazione agli altri.<br />

• Dunque, i compiti più semplici avranno maggiori aspettative di riuscita<br />

amplificate dal confronto <strong>sociale</strong> e, viceversa, i compiti più difficili avranno<br />

aspettative di riuscita minori, ulteriormente abbassate nelle situazioni di<br />

confronto con gli altri.<br />

• Quindi, il livello di aspettativa di riuscita (derivante dal confronto <strong>sociale</strong>)<br />

influisce sulla prestazione


Produttività di gruppo - VII<br />

• La ricerca sulle prestazioni di gruppo ha posto fin dal suo inizio diversi<br />

problemi, primo tra tutti quello di riuscire a confrontare le prestazioni degli<br />

individui con quelle <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong>.<br />

• La letteratura di ricerca presenta diversi tipi di confronti:<br />

- confronti diretti tra la prestazione di individui isolati e prestazione di un<br />

gruppo (il che porta sempre a rilevare che un gruppo ha prestazioni migliori<br />

degli individui)<br />

- confronti tra la combinazione di prestazioni di individui isolati, come se<br />

fossero un “gruppo”, e prestazioni di un gruppo reale che interagisce (ossia:<br />

confronto tra <strong>gruppi</strong> “statistici” e <strong>gruppi</strong> reali)<br />

- confronti tra le prestazioni <strong>dei</strong> membri migliori <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong> statistici e<br />

prestazioni di un gruppo reale


Produttività di gruppo - VIII<br />

• Molte ricerche hanno utilizzato come misura la soluzione a problemi di logica.<br />

Nel complesso, i <strong>gruppi</strong> “reali” ottengono risultati superiori all’individuo “medio”,<br />

ma inferiori ai <strong>gruppi</strong> “statistici” (e soprattutto rispetto ai loro soggetti “migliori”)<br />

• Nel caso di compiti che richiedono capacità di pensiero divergente, ossia<br />

creatività e immaginazione (ad es. il brainstorming: Osborn, 1957), il risultato<br />

emerso da una ricerca (Taylor et al., 1958) è contro-intuitivo: si è evidenziata<br />

una prestazione nettamente migliore <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong> statistici rispetto a quelli reali.<br />

Dunque, questa tecnica sembrerebbe più utile se eseguita prima in privato,<br />

usando il gruppo come luogo di discussione a posteriori per combinare e<br />

valutare le idee prodotte dai singoli


Produttività di gruppo - IX<br />

• Quello che emerge dalla valutazione di questi studi è una situazione<br />

abbastanza confusa.<br />

• Un tentativo di dare ordine è stato fatto da Steiner (1972) con la sua teoria <strong>dei</strong><br />

processi e <strong>della</strong> produttività di gruppo.<br />

• Secondo Steiner la prestazione osservata di un gruppo è determinata da:<br />

- le richieste del compito (quello che serve per il suo svolgimento)<br />

- le risorse del gruppo<br />

- il processo per mezzo del quale il gruppo interagisce per risolvere il compito


Produttività di gruppo - X<br />

• In merito alla natura del compito, Steiner individua alcune dimensioni in<br />

accordo alle quali ciascun compito può essere classificato come:<br />

• divisibile (in sottocompiti svolti da singoli individui) o unitario (che può essere<br />

svolto solo in toto dal gruppo)<br />

• massimizzante (per cui si deve raggiungere una quantità o velocità massime)<br />

oppure ottimizzante (per cui si deve avere corrispondenza con qualche<br />

standard predeterminato)<br />

• additivo (i contributi sono semplicemente aggregati), disgiuntivo (selezione del<br />

miglior contributo), congiuntivo (tutti devono terminare il compito) o<br />

discrezionale (i <strong>gruppi</strong> possono decidere come eseguire il compito).


Produttività di gruppo - XI<br />

• Steiner definisce “produttività potenziale” la condizione ideale per cui le risorse<br />

del gruppo corrispondono esattamente alle richieste del compito.<br />

• La produttività potenziale dipende dalla natura del compito:<br />

- per i compiti additivi, basta sommare i contributi individuali massimi.<br />

- per i compiti disgiuntivi, la produttività potenziale è equivalente alla probabilità<br />

che nel gruppo ci sia qualcuno in grado di risolvere il compito.


Produttività di gruppo - XII<br />

• Secondo Steiner, la produttività effettiva di un gruppo non può raggiungere<br />

quella potenziale, in quanto i <strong>gruppi</strong> non sono in grado di usare al massimo le<br />

loro risorse. Le perdite di produttività sarebbero dovute a processi imperfetti<br />

che impediscono ai <strong>gruppi</strong> di sfruttare al massimo le proprie potenzialità.<br />

• Dunque l’equazione di Steiner è:<br />

Produttività Effettiva = Produttività Potenziale – Perdite dovute a processi<br />

imperfetti<br />

• Questi processi imperfetti possono essere dovuti a:<br />

- problemi di coordinamento, magari dettati dalla problematica del condividere<br />

spazi con altre persone;<br />

- dinamiche sociali quali il confronto <strong>sociale</strong>, che può portare anche a<br />

percepire l’imbarazzo nel sentirsi valutati.


Produttività di gruppo - XIII<br />

• Steiner (1972) prende in considerazione anche fattori motivazionali: quando gli<br />

individui sono in gruppo non si impegnano allo stesso modo di quando sono da<br />

soli<br />

• Latanè e coll. (1979) trovarono risultati analoghi e definirono questa<br />

diminuzione di impegno come “social loafing” (“inerzia <strong>sociale</strong>”), spiegabile<br />

sulla base <strong>della</strong> “dispersione” tra i membri <strong>della</strong> fonte d’influenza degli<br />

esperimenti, cioè le istruzioni dello sperimentatore, che hanno invece<br />

un’influenza massima nella situazione di coppia sperimentatore-partecipante<br />

• Dunque, più grande è il gruppo, più l’influenza è dispersa tra i membri e quindi<br />

diminuisce per ogni singolo membro.<br />

• Secondo questa teoria, dunque, lo sforzo all’interno di un gruppo non può mai<br />

superare quello che si può esprimere individualmente.


Produttività di gruppo - XIV<br />

• Un’analisi di 78 studi di confronto tra situazioni di lavoro individuale e lavoro<br />

collettivo (Karau e Williams, 1993) mostra che nell’80% <strong>dei</strong> casi è presente il<br />

social loafing.<br />

• La stessa analisi mostra però che in alcune condizioni il social loafing non<br />

compare, ma piuttosto si manifesta il fenomeno opposto, il “social labouring”<br />

(“laboriosità <strong>sociale</strong>”)<br />

• I fattori che favoriscono il social labouring sembrano essere:<br />

- l’importanza del compito<br />

- la salienza del gruppo agli occhi <strong>dei</strong> membri<br />

- l’eventualità per il gruppo di essere valutato<br />

• È quindi possibile ipotizzare anche l’esistenza di “guadagni di processo” (Shaw,<br />

1976), dunque il gruppo potrebbe superare la sua prestazione potenziale nel<br />

caso in cui i “guadagni di processo” sopravanzino le perdite di processo


Produttività di gruppo - XV<br />

• Sia Steiner che Latané esprimono una concezione abbastanza individualistica<br />

<strong>della</strong> produttività in contesti gruppali<br />

• Steiner usa la prestazione di un individuo isolato come termine di confronto per<br />

misurare la condotta nel gruppo<br />

• Latané concepisce l’individuo come “economizzatore di sforzo”, ossia intento a<br />

investire il minimo per raggiungere un livello sufficiente di prestazione di<br />

gruppo<br />

• Le motivazioni e gli incentivi individuali sono certamente importanti per alcuni<br />

compiti di gruppo, ma non si può trascurare l’importanza del gruppo come<br />

entità capace di produrre sia motivazioni ai membri, sia schemi cognitivi non<br />

prevedibili a livello individuale.


Produttività di gruppo - XVI<br />

• Le ricerche che hanno fornito evidenze sulle “perdite” nella produttività di<br />

gruppo hanno utilizzato compiti troppo semplici o, comunque, non coinvolgenti<br />

per i partecipanti, ed erano compiti additivi o massimizzanti.<br />

• Alcuni studi (es.: Lorge e Solomon, 1955; Shaw e Ashton, 1976) hanno<br />

evidenziato <strong>dei</strong> vantaggi del gruppo rispetto ai singoli in compiti che<br />

costituivano una sfida per il gruppo e richiedevano l’integrazione <strong>dei</strong> singoli<br />

contributi: i membri del gruppo tendono a facilitare la prestazione reciproca<br />

• Se i membri percepiscono che la prestazione delle persone che collaborano<br />

con loro è meno brillante <strong>della</strong> propria possono essere motivati a superare il<br />

proprio sforzo individuale per compensare (nel caso di un compito percepito<br />

come significativo).


Produttività di gruppo - XVII<br />

• Quando in un gruppo ci sono <strong>dei</strong> membri percepiti come “poco abili” e deve<br />

avvenire un processo di compensazione in quanto il compito è importante per<br />

il gruppo, è il membro “più abile” a impegnarsi maggiormente (Williams e<br />

Karau, 1991).<br />

• Può anche essere che sia la prestazione del membro “meno abile” a<br />

migliorare, raggiungendo un livello simile a quello degli altri compagni, forse<br />

secondo un processo di confronto <strong>sociale</strong> (Stroebe et al., 1996).<br />

• Questo è vero nella misura in cui le differenze non sono troppo grandi: se c’è<br />

una disomogeneità o una omogeneità troppo grande, la probabilità che<br />

avvenga un simile effetto diminuisce.


Produttività di gruppo - XVIII<br />

• Se è vero che, grazie ad attività cooperative significative, la prestazione <strong>dei</strong><br />

membri più deboli può migliorare, è chiaro come questo possa avere delle<br />

ripercussioni in campo educativo (ad es. persone con difficoltà di<br />

apprendimento).<br />

• E’ importante notare il fatto che i <strong>gruppi</strong> di laboratorio usati per queste ricerche<br />

erano semplici aggregati artificiali di persone, in cui non vi era la possibilità di<br />

rendere saliente l’identificazione.<br />

• Secondo la prospettiva teorica dell’identità <strong>sociale</strong> (Tajfel e Turner, 1986),<br />

l’appartenenza a un gruppo significativo dà alle persone una parte importante<br />

legata alla concezione di sé, <strong>della</strong> propria identità e del proprio valore.


Produttività di gruppo - XIX<br />

• E’ chiaro che un gruppo psicologicamente importante per un individuo<br />

motiverà i suoi membri a fare sì che la prestazione in diversi compiti migliori,<br />

anche al fine di mantenere uno status prestigioso o di migliorare quello<br />

esistente.<br />

• Le ricerche effettuate in merito (Harkins e Szymansky, 1989) hanno utilizzato<br />

una procedura sperimentale che consisteva nel rendere saliente l’identità di<br />

gruppo magari attraverso un ipotetico confronto inter<strong>gruppi</strong>, alla luce <strong>della</strong><br />

teoria sull’identità <strong>sociale</strong>.


Produttività di gruppo - XX<br />

• A sostegno degli effetti positivi dell’identificazione <strong>sociale</strong> sulla prestazione,<br />

sono state condotte altre ricerche come quelle di Worchel e colleghi (1998) i<br />

quali hanno messo a confronto <strong>gruppi</strong> impegnati in un compito abbastanza<br />

banale (la costruzione di catene di carta) rendendo saliente, nei <strong>gruppi</strong><br />

sperimentali, l’identificazione con il gruppo.<br />

• I risultati evidenziarono un aumento <strong>della</strong> prestazione individuale a sostegno<br />

del gruppo.<br />

• Questo è ovviamente in contrasto con le previsioni fatte sulla base <strong>dei</strong> modelli<br />

individualistici.


Produttività di gruppo - XXI<br />

• Per quanto riguarda la verifica interculturale di questi risultati sono state<br />

evidenziate differenze tra culture collettiviste e individualiste: i cali di<br />

prestazione, nelle prime sono, chiaramente, un evento eccezionale. Nelle<br />

culture collettiviste, infatti, c’è un forte attaccamento ai <strong>gruppi</strong> cui gli individui<br />

appartengono.


Processi di presa di decisione nei<br />

<strong>gruppi</strong><br />

222


Decisioni di gruppo<br />

• La decisione di gruppo è una forma di prestazione di gruppo<br />

• Secondo i modelli matematici: un gruppo arriverà alla risposta corretta se<br />

almeno due membri sono in grado di farlo (uno la trova e un altro la<br />

riconosce)<br />

• Non sempre però i <strong>gruppi</strong> devono prendere decisioni su risposte corrette<br />

(oggettivamente verificabili) o risultati migliori<br />

• Spesso devono confrontare opinioni e giudizi e arrivare a un’unica valutazione<br />

(es. scelta di un candidato a nuovo membro)<br />

• Studi sulla relazione tra opinione individuale e valutazione consensuale<br />

espressa dal gruppo


Decisioni nei <strong>gruppi</strong><br />

– Secondo il senso comune, i <strong>gruppi</strong> sono luogo di ricerca del<br />

compromesso: sono perciò poco efficaci nella presa di decisioni<br />

– Effetto di normalizzazione (Sherif,1935): le risposte di gruppo in una<br />

prova di giudizio tendono a concentrarsi attorno alla media <strong>dei</strong><br />

giudizi individuali<br />

– Stoner (1961), sulla base di evidenze empiriche inattese, propone<br />

una posizione molto diversa: le decisioni prese in gruppo sono<br />

decisamente più rischiose delle decisioni che i singoli<br />

prenderebbero individualmente<br />

– Decisione rischiosa = decisione in cui si mette in gioco qualcosa di<br />

acquisito, rischiando di perderlo, in vista dell’ottenimento di<br />

qualcosa di molto più rilevante


Tre fasi:<br />

Metodologia utilizzata da Stoner<br />

Decisione<br />

individuale<br />

Subito dopo,<br />

formazione di <strong>gruppi</strong><br />

e decisione di gruppo<br />

Nuova decisione<br />

individuale dopo<br />

alcune settimane<br />

Esempio di problema usato da Stoner:<br />

Il capitano di una squadra universitaria di calcio, negli ultimi secondi di<br />

una partita, giocata contro i più accaniti tra gli avversari dell’istituto, ha<br />

la possibilità di scegliere fra due tecniche di gioco: una che quasi<br />

certamente porterebbe al pareggio e l’altra che in caso di successo<br />

porterebbe ad una vittoria completa ma, in caso di insuccesso, alla<br />

totale disfatta<br />

Richiesta del compito: valutare la probabilità minima di riuscita<br />

considerata accettabile nel consigliare al personaggio principale <strong>della</strong><br />

situazione di scegliere l’alternativa più rischiosa


Risultati ottenuti da Stoner<br />

12 <strong>gruppi</strong> su 13 modificarono la decisione iniziale presa individualmente, verso un<br />

maggior rischio.<br />

Come interpretare questo spostamento nelle decisioni di gruppo verso la direzione<br />

rischiosa<br />

• Diffusione <strong>della</strong> responsabilità: discutendo con altri, un individuo si sente meno<br />

direttamente responsabile (Wallach, Kogan e Bem, 1964). Tuttavia, la stessa<br />

interpretazione era stata in precedenza avanzata per spiegare perché i <strong>gruppi</strong><br />

appaiono conservatori nelle loro decisioni<br />

• Familiarità: la discussione di gruppo aumenta la familiarità <strong>dei</strong> singoli rispetto a<br />

problemi delicati<br />

• “Rischio come valore”: nel corso <strong>della</strong> discussione di gruppo, diventa saliente un<br />

valore proprio <strong>della</strong> cultura americana, ossia l’apprezzamento per chi sa correre <strong>dei</strong><br />

rischi (Brown, 1965)


Limiti riscontrati alla teoria di Stoner<br />

• Effetto “storia”: E’ possibile costruire storie che spingono a scelte orientate verso la<br />

cautela invece che verso il rischio<br />

• Ogni storia utilizzata mostra uno spostamento di intensità e direzione caratteristico<br />

• E’ possibile prevedere la direzione e l’intensità dello spostamento a partire dal<br />

pattern <strong>dei</strong> giudizi ottenuto nella fase di decisione individuale. Dopo la discussione<br />

di gruppo:<br />

– gli item con punteggio iniziale in favore del rischio mostrano uno<br />

spostamento consistente verso il rischio;<br />

– gli item con punteggio iniziale in favore <strong>della</strong> cautela mostrano invece<br />

uno spostamento consistente verso la cautela


Effetto polarizzazione<br />

• Moscovici e Zavalloni (1969): Gli effetti <strong>della</strong> discussione di gruppo sono limitati<br />

alle situazioni di assunzioni di rischio O sono in rapporto ad un processo<br />

psicologico più ampio<br />

• Replica dello studio di Stoner, utilizzando un tradizionale questionario di<br />

atteggiamenti invece di dilemmi alla Stoner.<br />

• Risultato: gli atteggiamenti del gruppo sono più estremi di quelli <strong>dei</strong> singoli<br />

individui che ne fanno parte.<br />

• L’estremizzazione non è indifferenziata<br />

• Polarizzazione degli atteggiamenti = incremento dato dal gruppo ad un<br />

orientamento già presente nei singoli componenti


Polarizzazione<br />

• Dubbi sul processo di polarizzazione evidenziato in questi studi:<br />

• Studi basati su <strong>gruppi</strong> ad hoc di laboratorio e le soluzioni erano ipotetiche<br />

(non coinvolgevano personalmente i membri o il gruppo)<br />

• In <strong>gruppi</strong> di lavoro reali invece la decisione del gruppo è simile alle<br />

valutazioni medie degli individui<br />

• In <strong>gruppi</strong> di valutazione reali invece è più polarizzata<br />

• Di solito i <strong>gruppi</strong> reali già strutturati sono più conservatori nelle decisioni<br />

• Probabilmente la polarizzazione si verifica negli stadi iniziali del gruppo o se<br />

si affronta un problema nuovo<br />

• La polarizzazione è comunque un fenomeno importante e si è cercato di<br />

conoscerne i processi sottostanti


Polarizzazione<br />

• Le spiegazioni fornite al fenomeno <strong>della</strong> polarizzazione sono tre: la teoria del<br />

confronto <strong>sociale</strong>, la teoria degli argomenti persuasivi e la teoria dell’identità<br />

<strong>sociale</strong>.<br />

Polarizzazione tramite confronto <strong>sociale</strong><br />

• Il fenomeno di polarizzazione viene spiegato a partire dalla teoria del confronto<br />

<strong>sociale</strong> di Festinger (1954), ripresa da Sender e Baron (1977).<br />

• Secondo questi autori, il fenomeno avviene in quanto a ogni argomento di<br />

discussione vengono assegnati <strong>dei</strong> valori sociali che, congiuntamente, faranno<br />

preferire un risultato a un altro.


Polarizzazione<br />

• In altre parole, c’è una specie di competizione tra i membri del gruppo ai fini di<br />

sostenere le opinioni che sono socialmente più desiderabili per migliorare la<br />

propria immagine.<br />

• La discussione di gruppo mette in risalto tali valori e può accadere che qualche<br />

membro scopra che la propria percezione iniziale di essere gli unici portatori di tali<br />

valori non era corretta (scoperta che avviene osservando altri soggetti che<br />

approvano posizioni che sono ancora più vicine al polo socialmente valorizzato<br />

rispetto al loro)<br />

• Affinché questo accada, è necessario che le posizioni <strong>dei</strong> membri del gruppo<br />

siano note a tutti.<br />

• Secondo alcuni studi (ad es. Teger e Puitt, 1967; Myers, 1978) può bastare la<br />

semplice conoscenza delle opinioni degli altri (effetto “esposizione”) per produrre<br />

la polarizzazione, il ché sminuisce il ruolo <strong>della</strong> discussione.


Polarizzazione<br />

• Effettivamente questo è vero, anche se la polarizzazione dopo la discussione<br />

è più forte rispetto alla polarizzazione per semplice conoscenza.<br />

• Ulteriori studi hanno dimostrato che più il valore sottostante al fenomeno viene<br />

reso esplicito, più lo spostamento verso il polo valutato positivamente è ampio<br />

(Baron e Roper, 1976).<br />

Polarizzazione tramite persuasione<br />

• La prima spiegazione si focalizza sulla relazione tra i membri, mentre il<br />

contenuto dell’argomento è irrilevante ai fini dello svilupparsi del fenomeno di<br />

polarizzazione.<br />

• Secondo questo approccio, invece, è proprio il contenuto persuasorio del<br />

messaggio a provocare polarizzazione


Polarizzazione<br />

• La discussione di gruppo promuoverebbe la scoperta di ulteriori argomenti<br />

soprattutto nella direzione <strong>della</strong> posizione media <strong>dei</strong> membri, e dunque i<br />

membri sposterebbero verso l’estremo di tale direzione il proprio punto di<br />

vista, come previsto dal fenomeno di polarizzazione.<br />

• Burnstein e Vinokur (1973; 1977) hanno dimostrato con alcuni esperimenti la<br />

validità di questo approccio e tentarono anche di invalidare quello basato sul<br />

confronto <strong>sociale</strong>.<br />

• Si tentò di dimostrare questo sostenendo che se la cosa importante è il<br />

contenuto persuasivo <strong>della</strong> discussione, il fenomeno debba aver luogo anche<br />

in quando i membri non possono inferire le opinioni degli altri; se l’argomento<br />

non è persuasivo, poco importa che i membri inferiscano le opinioni degli altri.


Polarizzazione<br />

• Se le ricerche condotte dal Burnestein e Vinkour hanno confermato quasi<br />

totalmente le ipotesi in merito al fenomeno, ulteriori studi non hanno<br />

evidenziato molti risultati a favore <strong>della</strong> polarizzazione mediante persuasione,<br />

ma sembrano risentire i modo più marcato degli effetti provocati dal conoscere<br />

le opinioni degli altri.<br />

• Ci sono anche <strong>dei</strong> dubbi riguardo il fatto che siano argomentazioni “nuove” a<br />

creare in modo più diretto il fenomeno di polarizzazione, ma osservazioni<br />

effettuate anche in campo lavorativo sembrano andare in un’altra direzione.<br />

• Infatti, sembra che i <strong>gruppi</strong> si concentrino sulle informazioni che hanno in<br />

comune piuttosto che su quelle non condivise o “nascoste” (Stasser et al.,<br />

1989; Stasser e Steward, 1992).


Polarizzazione<br />

Polarizzazione tramite differenziazione inter<strong>gruppi</strong><br />

• Se la teoria sugli argomenti persuasivi fosse vera in modo assoluto,<br />

vorrebbe poter dire che la fonte da cui proviene la discussione non ha<br />

importanza.<br />

• Questo sembra un po’ improbabile se si pensa alla realtà quotidiana.<br />

• Il terzo approccio prende in considerazione un punto totalmente diverso<br />

dai primi due e prende in considerazione l’identificazione <strong>sociale</strong> e la<br />

teoria dell’autocategorizzazione di Turner (1987).<br />

• Facendo riferimento a questa teoria, un gruppo subisce il fenomeno di<br />

polarizzazione in quanto i membri si adeguano al proprio in-group e alla<br />

posizione prototipica che detta le norme gruppali.


Polarizzazione<br />

• Il fenomeno sarà ancora più evidente nel caso in cui un gruppo si confronti con<br />

un altro: ci sarà una maggiore necessità di distinguersi dall’out-group e, quindi,<br />

una maggiore polarizzazione.<br />

• Makie e Cooper (1984) evidenziarono cambiamenti di atteggiamenti dopo aver<br />

ascoltato le discussioni dell’ingroup piuttosto che dell’outgroup (e, quindi, dopo<br />

questo ascolto nel caso dell’out-group, non veniva evidenziato il fenomeno di<br />

polarizzazione).<br />

• Successivi esperimenti di Makie (1986), evidenziarono che questo avviene<br />

anche quando non c’è un confronto inter<strong>gruppi</strong>: basta che ci siano individui<br />

“esterni”.<br />

• Che conclusioni possono essere fatte riguardo questi tre approcci


Polarizzazione<br />

• Tutti e tre sono presenti nei processi di presa di decisione <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong>:<br />

la prevalenza di uno sull’altro sembra essere situazionale.<br />

Quando una è più efficace dell’altra<br />

• La teoria del confronto <strong>sociale</strong> spiega meglio la polarizzazione nel<br />

caso in cui ci sono poche occasioni di scambio e di discussione, ma è<br />

comunque possibile avere informazioni riguardo un modo di<br />

comportamento socialmente adeguato<br />

• La teoria degli argomenti persuasivi sembra essere efficace nel caso in<br />

cui non si abbiano molte informazioni sugli altri membri del gruppo


Polarizzazione<br />

• La teoria <strong>della</strong> polarizzazione come differenziazione inter<strong>gruppi</strong> sembra avere<br />

maggiore forza nel caso in cui si abbiano informazioni sulla struttura normativa<br />

del gruppo, e sia resa saliente l’appartenenza a “quel” gruppo, il ché porta gli<br />

individui a spostarsi in quanto l’appartenenza al gruppo ha un ruolo<br />

fondamentale nella costruzione dell’identità <strong>sociale</strong>.


Processi decisionali di gruppo<br />

• Riuscire a valutare la qualità delle decisioni prodotte da un gruppo non è una<br />

cosa semplice: non esiste una misura che ci permetta di stabilire quanto il<br />

risultato sia buono o giusto.<br />

• Janis (1982) ha tentato, allora, di fare una valutazione di qualità del processo<br />

decisionale che è alla base <strong>della</strong> decisione raggiunta dal gruppo.<br />

• Analizzando, tramite ricerca di archivio, alcune decisioni che erano state prese<br />

negli USA tra il ‘40 e l’‘80 su tematiche di politica estera, arrivò a formulare 5<br />

punti centrali nel caso in cui i risultati <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong> non erano stati positivi e,<br />

quindi, gli americani erano stati danneggiati.


“Group think” (Janis, 1972)<br />

• Cosa succede quando nei <strong>gruppi</strong> il conflitto è totalmente assente<br />

• Analisi di decisioni “disastrose” prese da <strong>gruppi</strong> di esperti: ad es., il tentativo<br />

americano di invadere Cuba nel 1961<br />

– Caratteristiche del processo decisionale<br />

• Forte coesione di gruppo<br />

• Isolamento del gruppo rispetto a informazioni esterne<br />

• Pressione a decidere in tempi brevissimi<br />

• Quasi sempre, presenza di un leader molto direttivo<br />

– Conseguenze:<br />

• Forti pressioni alla ricerca dell’accordo; autocensura; fiducia nella<br />

“moralità interna” del gruppo<br />

• Percezione di unanimità; decisione disastrosa, “imperfetta”


Pensiero di gruppo<br />

• Il pensiero di gruppo può provocare diversi effetti:<br />

- pressioni sui devianti, implicite o esplicite<br />

- illusioni di essere un gruppo che raggiunge decisioni in modo<br />

unanime e, quindi, corretto<br />

- formazione di stereotipi negativi sull’out-group<br />

• Ci sono diversi fattori che, comunque, possono intervenire nei processi<br />

decisionali e portare a una decisione più o meno buona.<br />

• La possibilità che il leader assuma un ruolo meno direttivo e più aperto<br />

verso punti di vista divergenti e critici, secondo Janis, permette di<br />

procedere in un modo migliore verso una decisione, diminuendo anche<br />

la possibilità di sbagliare.


Critiche alla ricerca di Janis<br />

• Esclusiva centratura sui processi psico-sociali a scapito <strong>dei</strong> fattori sociali e<br />

politici.<br />

• Inoltre, la ricerca di archivio non permette spesso di avere una visione obiettiva<br />

degli eventi.<br />

• Un’altra critica viene fatta a proposito <strong>della</strong> coesione del gruppo: in altre<br />

ricerche il pensiero di gruppo emerge maggiormente in <strong>gruppi</strong> poco coesi<br />

(Tetlock et al., 1992; Peterson et al., 1998; Flowers, 1977).<br />

• Dalle successive ricerche emerge in modo particolare che non è la coesione<br />

quanto piuttosto lo stile direttivo adottato dal leader: uno stile più aperto e<br />

democratico permette al gruppo di produrre più soluzioni.


Processi decisionali<br />

• Sembra, quindi, che possano essere delineate delle linee guida per permettere<br />

ai <strong>gruppi</strong> di decidere in modo migliore:<br />

- non demandare le decisioni a un individuo singolo: la divisione del lavoro<br />

sembra assumere un valore essenziale anche nei processi decisionali.<br />

- integrare le idee <strong>dei</strong> membri al fine di superare stereotipi e pregiudizi<br />

- scegliere uno stile di leadership adeguato alla situazione<br />

- adottare la coesione come sintomo di sicurezza e non come risultato di<br />

conformismo<br />

- far sì che le informazioni vengano condivise e che non restino nascoste,<br />

patrimonio solo di chi già le conosce.


Influenza <strong>sociale</strong> nei <strong>gruppi</strong>


Influenza <strong>sociale</strong> - I<br />

• Che cosa indica la presenza di norme in un gruppo<br />

Una certa uniformità degli atteggiamenti e/o nei comportamenti <strong>dei</strong> membri di<br />

un gruppo.<br />

• Sembra che gli individui, non appena si trovano in situazioni collettive, sono<br />

disponibili a conformarsi alla maggioranza abbandonando le credenze e le<br />

opinioni personali.<br />

http://www.youtube.com/watchv=ge6wmDfsHXA<br />

• Come viene spiegato il conformismo


Influenza <strong>sociale</strong> - II<br />

• Il caposaldo è costituito dalla teoria del confronto <strong>sociale</strong> di Festinger: non si<br />

confrontano solo le proprie capacità con quelle degli altri individui, ma anche<br />

l’esattezza delle nostre credenze.<br />

Il consenso <strong>sociale</strong> è la chiave che ci permette di percepire che la nostra<br />

visione è corretta, e quindi il conformarsi al resto del gruppo avrebbe questa<br />

funzione.<br />

• Per molti anni i fenomeni di influenza <strong>sociale</strong> nei <strong>gruppi</strong> sono stati sinonimo di<br />

conformismo nei confronti <strong>della</strong> maggioranza.<br />

Più di recente, partendo dagli studi di Moscovici, è divenuta oggetto di studio<br />

anche l’influenza delle minoranze nel produrre cambiamenti di opinioni nella<br />

maggioranza.


Il potere <strong>della</strong> maggioranza - I<br />

• Il conformismo e la pressione delle maggioranze sono evidenti nella vita di tutti<br />

i giorni.<br />

Ci sono diversi fattori che possono influire su questo processo, tra esse le<br />

relazioni di status, la personalità degli individui coinvolti e la complessità del<br />

compito che deve affrontare il gruppo.<br />

• Gli esperimenti di Asch (1955; 1956) sul conformismo, considerati come pietre<br />

miliari <strong>della</strong> psicologia <strong>sociale</strong> (<strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong>) hanno cercato di tenere sotto<br />

controllo questi fattori<br />

• Procedura: reclutamento di partecipanti a un presunto esperimento su giudizi<br />

percettivi


Il potere <strong>della</strong> maggioranza - II<br />

• Contesto: stanza dove il partecipante arriva e si siede insieme ad altri (che in<br />

realtà sono “confederati”)<br />

• Compito: identificare quale di tre linee verticali è uguale ad una linea-target e<br />

rispondere a turno ad alta voce<br />

• Situazione sperimentale: dalla terza prova, i “confederati” danno tutti la stessa<br />

risposta sbagliata per i 2/3 delle prove<br />

• http://www.youtube.com/watchv=iRh5qy09nNw<br />

• Risultati: nelle prove “a risposta sbagliata”, i ¾ <strong>dei</strong> soggetti “ingenui” si<br />

conformarono all’errore almeno una volta.<br />

La percentuale di risposte sbagliate in tali prove è stata di circa il 36 %


Il potere <strong>della</strong> maggioranza - III<br />

• In una condizione di controllo, in cui i partecipanti fornivano le risposte da soli,<br />

la percentuale di errore era tendente a 0.<br />

• La natura non ambigua e la facilità del compito (era palese quali fossero le<br />

risposte esatte) mette in luce che le persone tendono a negare l’evidenza per<br />

conformarsi alla maggioranza<br />

• Sulla base di successive interviste con i partecipanti, Asch concluse che la<br />

percezione sbagliata di una cosa evidentemente vera (come la differenza di<br />

lunghezza delle linee) per alcuni individui potrebbe derivare da una scarsa<br />

fiducia nei propri giudizi, mentre altri si conformano solo per non essere diversi.


Il potere <strong>della</strong> maggioranza - IV<br />

• Questi risultati porterebbero a distinguere due tipi di conformismo:<br />

1. Un conformismo che implica un cambiamento percettivo o cognitivo<br />

2. Un conformismo del tipo “andare con gli altri”, che è condiscendenza a livello<br />

di comportamento o pubblica<br />

• Il primo tipo di conformismo caratterizzava i soggetti dell’esperimento di<br />

Sherif (1936) sull’effetto autocinetico (la norma di gruppo persisteva anche<br />

quando l’individuo veniva posto alla prova da solo)<br />

• Il secondo tipo caratterizza maggiormente gli esperimenti di Asch


Il potere <strong>della</strong> maggioranza - V<br />

• In esperimenti successivi sono stati cambiati alcuni aspetti in modo da<br />

esplorarne gli effetti sul conformismo alla pressione <strong>della</strong> maggioranza.<br />

• Un primo fattore esplorato fu l’ampiezza <strong>della</strong> maggioranza (costituita dai<br />

“confederati”).<br />

Emerse che…<br />

- con un solo complice il conformismo è trascurabile<br />

- aumentando il numero di complici aumenta anche il conformismo, fino ad<br />

una certa soglia numerica (intorno a 5-6 coll., poi resta invariato)<br />

- risultato inatteso: con 15 collaboratori si otteneva un conformismo<br />

leggermente inferiore a quello che veniva provocato da 4 collaboratori (un<br />

esperimento che non è stato più replicato).


Il potere <strong>della</strong> maggioranza - VI<br />

• In generale, quindi, si parla di una correlazione diretta ma non molto<br />

marcata tra conformismo e dimensione <strong>della</strong> maggioranza.<br />

• Una ulteriore variante introdotta fu quella di spezzare il consenso prodotto<br />

dalla maggioranza <strong>dei</strong> complici.<br />

- quando ad affrontare la maggioranza <strong>dei</strong> complice c’erano 2 soggetti<br />

ingenui, il conformismo diminuiva (risposte errate: 10% circa).<br />

- aggiungendo un complice che fornisce la risposta corretta, il conformismo<br />

scende ancora (risposte errate: 5% circa).


Il potere <strong>della</strong> maggioranza - VII<br />

• Questi risultati sono dovuti alla rottura dell’unanimità, più che alla presenza<br />

di un alleato.<br />

• Questo fu dimostrato addestrando il complice a fornire risposte diverse dalla<br />

maggioranza, sia come “via di mezzo”, sia ancora più sbagliate: in entrambi i<br />

casi c’è riduzione di conformismo, soprattutto nel secondo caso.<br />

• Importanza del dissenso per ridurre il conformismo<br />

• I risultati di questi esperimenti si sono dimostrati stabili nelle repliche e in altri<br />

contesti culturali (maggiore conformismo nelle culture collettiviste vs<br />

individualiste)


Il potere <strong>della</strong> maggioranza - VIII<br />

• Quanto dimostrato con gli esperimenti sembra accadere anche nella vita<br />

reale: la forza <strong>della</strong> pressione <strong>sociale</strong> produce atteggiamenti e<br />

comportamenti allineati alla maggioranza, non solo su aspetti secondari<br />

(argomenti “meno importanti” come moda, musica, ecc.), ma anche su<br />

aspetti che riguardano i valori fondamentali.<br />

• Negli esperimenti di Milgram (1964; 1965), la presenza di altri (complici)<br />

induceva i soggetti “ingenui” a seguire le loro istigazioni, sia quelle prosociali,<br />

sia quelle anti-sociali, in termini di intensità di scosse elettriche fornite<br />

ad altri individui.<br />

• Ma perché in una situazione gruppale gli individui si conformano e le risposte<br />

<strong>dei</strong> membri di un gruppo risultano uniformi


Il potere <strong>della</strong> maggioranza - IX<br />

• Secondo Festinger (1950) esistono due processi che spiegano perché gli<br />

individui subiscano le pressioni <strong>della</strong> maggioranza.<br />

1. Costruzione <strong>sociale</strong> <strong>della</strong> realtà.<br />

Questo processo nasce dall’importanza di verificare le nostre credenze e le<br />

nostre teorie con cui agiamo e interpretiamo gli eventi sociali.<br />

Non avendo possibilità di misurarne oggettivamente la correttezza, ricorriamo al<br />

confronto con gli altri; il fatto che gli altri siano in accordo con noi ci rassicura.<br />

Tali pressioni aumentano nel caso di situazioni nuove o ambigue, poiché<br />

mancano elementi oggettivi che guidino le nostre credenze (ad es.: l’effetto<br />

autocinetico).<br />

Il consenso <strong>sociale</strong> ha più valore quando le nostre decisioni hanno<br />

conseguenze importanti.


Il potere <strong>della</strong> maggioranza - X<br />

2. La presenza di uno scopo di gruppo importante.<br />

Se il gruppo ha uno scopo definito e importante e il raggiungimento di questo<br />

dipende dall’unione delle forze <strong>dei</strong> membri, ci sarà una tendenza all’uniformarsi.<br />

Chiaramente ci deve essere un accordo sullo scopo e sui mezzi per<br />

raggiungerlo.<br />

• Lewin (1965) ha dimostrato invece che l’esistenza di un obiettivo nuovo nel<br />

gruppo è capace di produrre un cambiamento di atteggiamento nei membri di<br />

un gruppo.<br />

Deve, comunque, sussistere una condizione: che il gruppo eserciti una certa<br />

attrazione iniziale sui suoi membri. Più i membri sono considerati “importanti”,<br />

più il gruppo sarà coeso e incline al conformismo.


Il potere <strong>della</strong> maggioranza - XI<br />

• Ad ogni modo, il conformismo emerso negli esperimenti di Asch non è<br />

spiegabile sulla base <strong>dei</strong> 2 processi ipotizzati da Festinger: in quel caso non<br />

c’era una situazione ambigua (che avrebbe favorito l’ancoraggio a una<br />

costruzione <strong>sociale</strong> condivisa) e non c’era uno scopo di gruppo (ma solo<br />

individui che rispondevano sulla base delle risposte <strong>della</strong> maggioranza)<br />

• Deutsch e Gerard (1955) proposero allora una ulteriore spiegazione al<br />

conformismo ,che chiamarono “influenza normativa”, in opposizione all’<br />

“influenza informativa” postulata da Festinger.<br />

Influenza informativa: la forza che spinge un individuo isolato ad accettare le<br />

informazioni degli altri come prova circa la realtà<br />

Influenza normativa: la forza che spinge un soggetto, in quanto membro di un<br />

gruppo, a rispondere alle attese positive di uno o più membri del proprio gruppo


Il potere <strong>della</strong> maggioranza - XII<br />

• L’influenza normativa si basa sul fatto che, se non nutriamo simpatia per<br />

chi non è in accordo con noi, possiamo prevedere che gli altri possano<br />

provare antipatia nei nostri confronti se le nostre opinioni sono troppo<br />

differenti dalle loro.<br />

• Dunque, ci si conforma per apparire “simpatici”.<br />

• In virtù di questa teoria, il conformismo dovrebbe diminuire se le opinioni<br />

vengono espresse in privato.


Il potere <strong>della</strong> maggioranza - XIII<br />

• Ricerca di Deutch e Gerard (1955): impianto sperimentale simile a quello usato da<br />

Asch con alcune varianti<br />

Condizioni sperimentali<br />

1. uguale a quella di Asch (3 complici che rispondevano sbagliato)<br />

2. uguale a quella di Asch, ma i soggetti non si vedevano e le risposte erano quindi<br />

“anonime”<br />

3. introduzione di uno scopo di gruppo: il miglior gruppo avrebbe ricevuto un premio<br />

4., 5. e 6. tre condizioni di “compromissione” (2 di impegno “privato”, 1 di impegno<br />

“pubblico”): scrivere le risposte prima di conoscere quelle degli altri e di fornire le<br />

proprie (ufficiali)<br />

In tutte le condizioni, in metà prove i soggetti rispondevano quando gli stimoli erano<br />

“scomparsi” (maggiore ambiguità del compito)


Il potere <strong>della</strong> maggioranza - XIV<br />

Risultati<br />

- la proporzione di errori (= grado di conformismo) + alta è nella condizione “scopo di<br />

gruppo” (è dunque dimostrata l’ipotesi 2 di Festinger)<br />

- la proporzione di errori aumenta se le risposte sono date quando gli stimoli non<br />

sono più presenti (situazione + ambigua, quindi è dimostrata l’ipotesi 1 di Festinger)<br />

- la proporzione di errori diminuisce nella condizione di anonimato (in virtù del venir<br />

meno del “bisogno di accettazione”)<br />

- la proporzione di errori + bassa si ha nelle situazioni di “compromissione” (scrivere<br />

prima la risposta), ma, anche nei casi di chiarezza <strong>della</strong> situazione e di anonimato, il<br />

grado di conformismo non era praticamente nullo come nella condizione di controllo<br />

di Asch (probabile influenza “residua” <strong>della</strong> presenza <strong>dei</strong> complici).


Il potere <strong>della</strong> maggioranza - XV<br />

• Turner (1987, 1991) ha fornito una spiegazione diversa per cercare di risolvere<br />

questo problema: secondo questo studioso, l’appartenere a un gruppo fornisce<br />

agli individui una identità <strong>sociale</strong>, tramite la categorizzazione di sé stessi come<br />

membri e la conseguente associazione di sé alle norme e agli attributi percepiti<br />

del gruppo.<br />

• In altre parole, avviene un “adattamento” cognitivo di se stessi con le<br />

caratteristiche percepite del gruppo (l’“auto-stereotipo”) che spiegherebbe il<br />

conformismo.<br />

• Tra le condizioni di anonimato o compromissione di Deutsch e Gerard e la<br />

condizione di controllo di Asch il risultato è differente perché nel 1°caso i<br />

soggetti credevano di far parte dello stesso gruppo (= studenti), contrariamente<br />

all’esperimento di Asch.<br />

• Questo tipo in influenza è stato definito da Turner come “influenza informativa<br />

referente”.


Il potere <strong>della</strong> maggioranza - XVI<br />

• Questo dovrebbe suggerire che gli individui percepiscano maggiormente la<br />

pressione che deriva dal proprio gruppo (in-group) piuttosto che quella di un<br />

gruppo “altro” (out-group).<br />

• Alcuni esperimenti condotti su <strong>gruppi</strong> di studenti universitari (Abrams et al.,<br />

1990) hanno confermato questa ipotesi.<br />

• Sono state, inoltre, condotte molte ricerche in prospettiva evolutiva che hanno<br />

mostrato un picco nella tendenza al conformismo nella prima adolescenza: la<br />

pressione del gruppo <strong>dei</strong> pari<br />

• Anche la socializzazione di genere provoca una pressione alla conformità, fin<br />

da bambini, quando lo stare con compagni dello stesso sesso ha la funzione di<br />

sviluppare l’identità di genere (che implica un insieme di comportamenti e<br />

atteggiamenti accettabili per le norme del gruppo dello stesso sesso)


Il potere <strong>della</strong> maggioranza - XVII<br />

• Molto spesso la maggioranza interviene in maniera diretta per esercitare<br />

pressioni su coloro che manifestano opinioni diverse, cioè che “deviano”<br />

dall’opinione prevalente.<br />

• Festinger (1950) riteneva che i membri <strong>della</strong> maggioranza in un gruppo<br />

rivolgono la maggior parte degli scambi comunicativi ai membri con opinioni<br />

devianti al fine di “persuaderli” a cambiare opinione.<br />

• Maggiore è la distanza di posizione <strong>della</strong> minoranza, maggiore è la frequenza<br />

di comunicazioni da essa ricevuti.<br />

• Nel caso in cui gli scambi non abbiano effetto (e quindi nel caso in cui la<br />

minoranza non cambi opinione), i membri <strong>della</strong> maggioranza rifiutano i<br />

devianti attraverso manifestazioni di antipatia o, in casi estremi, escludendoli<br />

dal gruppo.


Il potere <strong>della</strong> maggioranza - XVIII<br />

• Schachter (1951) testò la veridicità di questa ipotesi attraverso un impianto<br />

sperimentale che prevedeva <strong>gruppi</strong> di discussione di studenti che dovevano<br />

risolvere un problema di relazioni familiari<br />

Nei <strong>gruppi</strong> di 8-9 persone erano presenti 3 “confederati”, ciascuno con un ruolo specifico:<br />

- il “deviante”, che assumeva una posizione deviante quando un opinione del gruppo<br />

cominciava ad emergere<br />

- lo “slider”, che era deviante all’inizio, ma poi si allineava gradualmente<br />

- il “mode”, che si adeguava al gruppo fin dall’inizio<br />

Risultati: il deviante ha totalizzato un numero di scambi ricevuti + alto degli altri, ma nella prima<br />

fase lo slider ha totalizzato un risultato simile (per poi essere quasi ignorato), mentre il mode<br />

non ha ricevuto alcuna attenzione<br />

I dati sociometrici raccolti sulle preferenze per i vari membri del gruppo dimostrano che i<br />

devianti sono anche quelli che ricevono il punteggio + basso


Il potere <strong>della</strong> maggioranza - XIX<br />

• Un vasto studio interculturale condotto dallo stesso studioso e da alcuni<br />

colleghi (Schachter et al., 1954) ha confermato la scarsa popolarità <strong>dei</strong><br />

devianti all’interno del gruppo in varie culture.<br />

• Ulteriori studi (Mann, 1980) hanno dimostrato una correlazione forte tra<br />

tendenza all’uniformità e rifiuto del deviante.<br />

• Alcune ricerche hanno mostrato che il grado di tolleranza ai devianti<br />

dipende anche dalla fase in cui è il gruppo: è + basso sia nelle prime fasi,<br />

quando il gruppo sta costruendo una sua identità e coesione (Worcher et<br />

al.,1991), sia in prossimità <strong>della</strong> presa di decisione (Kruglanski e Webster,<br />

1991), in quanto rallentano e minacciano il raggiungimento dello scopo


Il potere <strong>della</strong> maggioranza - XX<br />

• I fenomeni di devianza sono inoltre + tollerati nei <strong>gruppi</strong> più aperti rispetto ai<br />

<strong>gruppi</strong> più chiusi<br />

• Un elemento importante in appoggio al deviante è quello di poter contare su<br />

un sostegno <strong>sociale</strong> all’interno del gruppo, il ché può rompere la tendenza<br />

all’uniformità (come successo anche negli studi di Asch)<br />

• Un risultato sorprendente dello studio interculturale di Schatcher et al.<br />

(1954) fu che, su 95 <strong>gruppi</strong> utilizzati, ci furono ben 26 <strong>gruppi</strong> che<br />

cambiarono opinione adeguandosi al deviante.<br />

• Sembra, dunque, che possano esistere condizioni in cui una minoranza<br />

deviante riesce ad avere influenza sulla maggioranza. INFLUENZA<br />

MINORITARIA


Influenza minoritaria


L’influenza delle minoranze - I<br />

• Secondo le ipotesi prodotte dalla teoria di Festinger, , l’influenza l<br />

<strong>sociale</strong><br />

sarebbe un processo unidirezionale (l’individuo subisce le pressioni del<br />

gruppo).<br />

• In realtà, , secondo Moscovici (1976) NON è esattamente un processo di tipo<br />

unidirezionale.<br />

• Moscovici parte ponendosi la questione di come i <strong>gruppi</strong> possano cambiare<br />

(nel senso di valori e norme) se tendono sempre all’uniformit<br />

uniformità (come<br />

sostiene Festinger).<br />

• La risposta <strong>dei</strong> sostenitori del processo unidirezionale è che i <strong>gruppi</strong><br />

cambiano rispondendo a circostanze esterne nuove.<br />

268


L’influenza delle minoranze - II<br />

• Questo però non spiega esempi storici di cambiamento, , ad esempio, nella<br />

comunità scientifica come quello prodotto dalla teoria dell’evoluzione evoluzione di Darwin<br />

(1859) che, tra l’altro, l<br />

non era ritenuto un personaggio con una personalità<br />

“carismatica” ed era malvisto dalla comunità scientifica dell’epoca.<br />

epoca.<br />

• Moscovici ipotizza che la cosa fondamentale, in un caso come questo, è stata<br />

la strategia di promozione <strong>della</strong> teoria: un’ affermazione continua e costante<br />

<strong>della</strong> sua validità anche di fronte ad attacchi continui.<br />

269


L’influenza delle minoranze - II<br />

• La minoranza riesce ad avere effetti perché, , secondo Moscovici, , in ogni<br />

gruppo esistono divisioni latenti.<br />

I devianti agirebbero proprio rendendo esplicite queste divisioni consentendo<br />

l’emergere di nuove norme a partire dal conflitto.<br />

http://www.youtube.com/watch<br />

watchv=If-LfgnTUlU<br />

http://www.youtube.com/watch<br />

watchv=UULh1C8R8yk<br />

http://www.youtube.com/watch<br />

watchv=gRfh7vrKXts<br />

270


L’influenza delle minoranze - III<br />

• Per fornire prove empiriche di questa posizione, Moscovici et al. (1969) hanno<br />

condotto alcuni esperimenti, modificando la procedura sperimentale di Asch:<br />

utilizzo di una maggioranza composta da soggetti ingenui e di una minoranza<br />

di complici dello sperimentatore<br />

• In luogo <strong>della</strong> valutazione <strong>della</strong> percezione dell’uguaglianza o differenza di<br />

linee, il compito consisteva nella valutazione del colore di alcune diapositive di<br />

colore blu.<br />

• I risultati hanno dimostrato che esiste una minoranza deviante (benché<br />

minima) che influenza la maggioranza riuscendo a modificare non solo il<br />

comportamento manifesto (quindi il comportamento pubblico), ma anche la<br />

cognizione <strong>dei</strong> membri.<br />

271


L’influenza delle minoranze - IV<br />

• Le ricerche sull’influenza <strong>sociale</strong> delle minoranze mostrano che la minoranza<br />

sembra avere effetti marcati in senso indiretto, cioè:<br />

- a distanza di qualche tempo<br />

- su dimensioni dell’atteggiamento o del comportamento connesse a quelle<br />

espresse dalla fonte di influenza ma non necessariamente coincidenti con<br />

esse.<br />

• Questo potrebbe dipendere dal fatto che le minoranze agiscono come<br />

catalizzatori di cambiamento provocando l’insorgenza l<br />

di conflitto cognitivo<br />

nella maggioranza.<br />

272


L’influenza delle minoranze - V<br />

• Oppure può essere anche che la dissonanza cognitiva creata dalla minoranza<br />

abbia bisogno di tempo per essere risolta e che, quindi il cambiamento si<br />

realizza solo in modo “occulto”.<br />

• Dunque, sembra che il potere <strong>della</strong> maggioranza abbia effetti immediati,<br />

mentre quello <strong>della</strong> minoranza richiede più tempo.<br />

• E’ stato analizzato anche il caso in cui si discuta di due temi di cui il secondo<br />

risulta poco connesso con il primo (che è la questione principale del<br />

messaggio <strong>della</strong> minoranza).<br />

L’ipotesi, testata attraverso diversi esperimenti (Alvaro e Crano, , 1997), è che<br />

le minoranze abbiano la capacità di stimolare riflessioni su tematiche che sono<br />

oggetto di discussione.<br />

273


L’influenza delle minoranze - VI<br />

• Questo può portare allo sviluppo di argomentazioni contrarie al messaggio<br />

<strong>della</strong> minoranza che difficilmente hanno rilevanza rispetto a temi diversi e che,<br />

pertanto, sono suscettibili di cambiamento rispetto a questi temi i (debolmente<br />

connessi) e non a quello focale.<br />

• Questo è stato il pilastro di una tecnica di persuasione: : trovare un tema<br />

debolmente connesso alla questione focale e concentrare la propaganda su<br />

questo. La maggioranza opporrà resistenza su questo argomento ma si può<br />

trasformare la mentalità rispetto alla questione cruciale.<br />

274


L’influenza delle minoranze - VII<br />

• Moscovici ha definito gli attributi salienti che una minoranza deve possedere<br />

per influenzare e persuadere la maggioranza:<br />

• consistenza (coerenza<br />

e tenacia, in senso sia sincronico – fra i membri <strong>della</strong><br />

minoranza – sia diacronico – nel corso del tempo)<br />

• autonomia (indipendenza<br />

da legami esterni)<br />

• investimento (coinvolgimento<br />

e disposizione al sacrificio)<br />

• flessibilità (stile di negoziazione “aperto” e non dogmatico)<br />

• equità (guardare a posizioni diverse con imparzialità)<br />

275


L’influenza delle minoranze - VIII<br />

• Una meta-analisi analisi su circa 100 studi (Wood et al., 1994) dimostra che, pur<br />

avendo un’influenza minore <strong>della</strong> maggioranza, le minoranze hanno un effetto<br />

persuasivo se confrontate con condizioni in cui sono assenti fonti di influenza<br />

• E’ possibile quindi sostenere che la minoranza ha un effetto sul gruppo, g<br />

anche<br />

se restano predominanti gli effetti <strong>della</strong> maggioranza (fatta eccezione per le<br />

misure indirette).<br />

• Questo cambia la teoria proposta da Festinger che vede l’influenza l<br />

come<br />

processo monodirezionale: gli individui devianti possono, infatti, essere<br />

considerati come bersagli e come fonti di persuasione.<br />

• Ad ogni modo, in molti casi l’influenza l<br />

delle minoranze è limitata.<br />

276


L’influenza delle minoranze - IX<br />

• Le risposte negative rivolte dalla maggioranza alla minoranza deviante<br />

comprendono:<br />

• rifiuto esplicito e totale (“il deviante dice il falso”)<br />

• rifiuto parziale (si pensa che il deviante dica il vero, ma è meglio non<br />

parlarne pubblicamente)<br />

• disconferma (apparente indifferenza, , il deviante è ignorato per<br />

neutralizzarlo)<br />

• ridicolizzazione<br />

• naturalizzazione (attribuzione <strong>della</strong> posizione deviante a cause<br />

endemiche “naturali” dell’individuo:<br />

“è paranoico”, “è comunista”)<br />

277


L’influenza delle minoranze - X<br />

Quali possono essere le cause per cui una minoranza fallisce<br />

• L’intensità di investimento personale <strong>della</strong> maggioranza nel mantenimento<br />

<strong>della</strong> propria visione. Quando le questioni non sono importanti, sembra che la<br />

maggioranza abbia meno interesse e che, quindi, sia più disposta a fare<br />

concessioni alla minoranza.<br />

• Alcune minoranze hanno effetto a differenza di altre a causa del clima di<br />

opinione prevalente nel gruppo (o nella cultura) coinvolto. Se si avvisano<br />

sostegni al cambiamento, , una minoranza che esprima questa visione contro<br />

una maggioranza che vi si oppone, può avere più successo.<br />

278


L’influenza delle minoranze - XI<br />

• Gli individui che esprimono una posizione di minoranza, oltre ad essere in<br />

disaccordo con la maggioranza, vengono categorizzati come out-group<br />

group.<br />

• Secondo la teoria dell’autocategorizzazione<br />

(Turner, 1991) le persone<br />

gravitano attorno a coloro che fanno parte del proprio in-group<br />

(e<br />

particolarmente attorno a coloro che sono membri tipici) e si discostano<br />

dall’out<br />

out-group.<br />

• Questo ragionamento si può applicare anche all’influenza delle minoranze (nel<br />

senso di subire l’influenza l<br />

di minoranze che riteniamo appartenere alla nostra<br />

stessa categoria)<br />

279


L’influenza delle minoranze - XII<br />

• I risultati di vari studi sembrano dimostrare che sono i messaggi i che<br />

provengono dall’in<br />

in-group<br />

a modificare gli atteggiamenti.<br />

• Anche in questo caso, la maggioranza esercita gli effetti immediati iati mentre gli<br />

effetti <strong>dei</strong> messaggi <strong>della</strong> minoranza si manifestano dopo qualche tempo.<br />

• Se l’opinione l<br />

minoritaria è in una posizione deviante e poco rappresentativa<br />

dell’out<br />

out-group<br />

talvolta può essere più efficace, così come può accadere che<br />

membri di un out-group<br />

possano essere ricategorizzati come in-group<br />

temporaneamente (magari per una specifica questione)<br />

280


Influenza maggioritaria vs. minoritaria - I<br />

I processi psicologici soggiacenti all’influenza maggioritaria e minoritaria sono gli<br />

stessi<br />

• Secondo Moscovici (1976) tra le due forme di influenza esistono differenze<br />

qualitative, , sia nei fattori che le originano, sia negli effetti che producono.<br />

Dunque, sono ipotizzati 2 diversi processi di influenza.<br />

• Esistono poi teorie “mono-fattoriali” (es.: Latanè e Wolf, , 1981) secondo cui le<br />

differenze tra le due forme di influenza sono differenze di grado o e sono guidate<br />

dagli stessi processi di fondo.<br />

281


Influenza maggioritaria vs. minoritaria - II<br />

• La visione “duale” sostiene che il conformismo provocato dalle maggioranze è<br />

prima di tutto un fenomeno pubblico (“compiacenza(<br />

compiacenza”: : dipendenza <strong>sociale</strong> o<br />

informazione sulla validità delle proprie credenze), mentre quello che<br />

esercitano le minoranze portano a cambiamenti privati (“conversione(<br />

conversione”, , dovuta<br />

ai conflitti e alla ristrutturazione cognitiva prodotta dalle idee devianti)<br />

• Dunque, secondo la visione “duale”...<br />

- l’influenza maggioritaria porta a condiscendenza, , cioè:<br />

- un cambiamento a livello manifesto (<strong>sociale</strong>)<br />

- raramente a un cambiamento a livello profondo<br />

- l’influenza minoritaria porta a conversione, , cioè:<br />

- un cambiamento a livello latente<br />

- qualche volta a un cambiamento a livello manifesto<br />

282


Influenza maggioritaria vs. minoritaria - VI<br />

• Ad ogni modo, secondo la visione “duale”,, la maggioranza e la minoranza<br />

esercitano un’influenza che innesca reazioni socio-cognitive cognitive diverse. . L’influenza L<br />

minoritaria si traduce in cambiamento interiorizzato (“privato(<br />

privato”), mentre quella<br />

maggioritaria si traduce in un’adesione di facciata (“pubblica(<br />

pubblica”).<br />

• Altre ricerche (es. De Vries et al., 1996) hanno invece riportato che la modifica<br />

di un atteggiamento è maggiore nell’influenza maggioritaria, sia sulla questione<br />

principale, sia su una questione collegata.<br />

• Comunque, alcuni (es. Nemeth, , 1986) ritengono che l’influenza l<br />

<strong>della</strong> minoranza<br />

agisca su modalità di pensiero differenti da quelle <strong>della</strong> maggioranza, nel senso<br />

che la prima produce un pensiero + divergente e creativo, mentre la seconda<br />

produce un pensiero + convergente e focalizzato.<br />

283


Influenza maggioritaria vs. minoritaria - VII<br />

• Per quanto riguarda la teoria “mono-fattoriale” (Latanè e Wolf, , 1981) la<br />

differenza tra influenza maggioritaria e minoritaria risiede nel fatto che nella<br />

prima il numero di fonti di influenza è maggiore rispetto alla seconda.<br />

• La teoria di riferimento sostiene infatti che l’impatto degli stimoli sociali<br />

aumenta in base al loro numero, , ma con un’accelerazione negativa (simile a<br />

quanto riscontrato con la manipolazione dell’ampiezza <strong>della</strong> maggioranza negli<br />

esperimenti di Asch)<br />

• Anche se è difficile sostenere la presenza di una demarcazione netta tra le due<br />

modalità, , sembra che le differenze qualitative che le distinguono sul piano<br />

degli antecedenti e degli effetti supportino una distinzione teorica tra di esse<br />

284


Conflitto intra-gruppo<br />

- I<br />

• La maggior parte <strong>dei</strong> conflitti all’interno <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong> sono da ricondurre alla<br />

dinamica delle influenze maggioritaria e minoritaria<br />

• I conflitti intra-gruppo<br />

possono avere conseguenze...<br />

- negative (ostilità interpersonali, prestazioni scarse, disintegrazione del<br />

gruppo)<br />

oppure<br />

- positive (aumento di creatività nel problem solving, , soluzione di ordine e<br />

qualità superiore che soddisfano tutti i membri)<br />

• Solitamente i <strong>gruppi</strong> vedono il conflitto come una minaccia sia al<br />

raggiungimento dello scopo, sia all’armonia armonia e alla coesione del gruppo stesso,<br />

con conseguenti perdite di morale e motivazione, e virata verso interessi<br />

“personali”<br />

285


Conflitto intra-gruppo<br />

- II<br />

• Le strategie di evitamento del conflitto messe in atto nei <strong>gruppi</strong> possono<br />

risolversi in un effetto boomerang: l’appiattimento l<br />

delle posizioni e la<br />

repressione delle contrarietà possono provocare il disinvestimento o,<br />

addirittura, l’abbandono l<br />

da parte di alcuni membri.<br />

• I conflitti dovuti a una divergenza d’opinioni d<br />

possono essere evitate tramite il<br />

“controllo del pensiero”, , sia proprio sia degli altri membri (Levine(<br />

e<br />

Thompson, 1996)<br />

• Il controllo del proprio pensiero si esprime in 2 modi:<br />

- tenersi per sés<br />

le proprie opinioni in caso esse siano divergenti da quelle<br />

maggioritarie (e quindi minacciose per l’unione l<br />

del gruppo)<br />

- modificare le proprie opinioni nella direzione di quelle maggioritarie<br />

286


Conflitto intra-gruppo<br />

- III<br />

• Il controllo e la manipolazione del pensiero degli altri si esprimono tramite:<br />

- controllo <strong>dei</strong> comportamenti verbali (porre vincoli sui contenuti e sui tempi)<br />

- introduzione di regole decisionali di tipo autoritario<br />

- interpretazioni “distorte” <strong>dei</strong> disaccordi per sminuirne l’importanza e quindi<br />

ridurne il potenziale disgregante<br />

- adozione di compromessi<br />

• La ricerca del compromesso è definita da Moscovici (1976) “normalizzazione”,<br />

un processo di mutua influenza tra i membri per raggiungere una posizione<br />

media accettabile per tutti<br />

287


Conflitto intra-gruppo<br />

- IV<br />

• Il processo di normalizzazione avviene quando la posta in gioco non è saliente<br />

per i membri, che quindi sono motivati ad evitare il conflitto e a negoziare sulle<br />

rispettive posizioni, mediante reciproche concessioni<br />

• Secondo Moscovici e Doise (1991) la propensione al compromesso è<br />

negativamente associata a una presa di decisione di qualità e/o innovativa: il<br />

raggiungimento di un consenso reale e autentico viene infatti ottenuto solo con<br />

il confronto acceso tra le varie posizioni attraverso la discussione e,<br />

eventualmente, il conflitto<br />

• Anche altri (Johnson(<br />

e Johnson, , 1989) sottolineano l’importanza l<br />

<strong>della</strong><br />

“controversia” come situazione di apprendimento<br />

288


Conflitto intra-gruppo<br />

- V<br />

• Gli scambi di opinioni tra i membri provocherebbero dapprima incertezza e<br />

conflitto, , ma successivamente subentrerebbero nuove curiosità conoscitive e<br />

un aumento <strong>della</strong> capacità di adottare la prospettiva dell’altro<br />

altro.<br />

Questo porta sia ad una riconcettualizzazione del problema per arrivare ad<br />

una soluzione comune, sia ad un aumento di positività delle relazioni tra i<br />

membri.<br />

• Alcuni studi condotti con bambini (es. Doise e Mugny, , 1984) hanno messo in<br />

luce l’importanza l<br />

del manifestarsi del conflitto socio-cognitivo<br />

cognitivo, , che produce<br />

scambi comunicativi in grado di ristrutturare le modalità di soluzione di un<br />

problema gruppale.<br />

In questi casi, la soluzione non è il frutto di un imitazione o di un<br />

compromesso, ma piuttosto il risultato <strong>della</strong> costruzione di nuove conoscenze<br />

derivate dall’interazione <strong>sociale</strong><br />

289


Conflitto intra-gruppo<br />

- VI<br />

• Dunque, l’evitamentol<br />

del conflitto sembra avere più svantaggi che vantaggi per<br />

i membri di un gruppo.<br />

• Ad ogni modo, è anche da considerare la natura del conflitto, che può essere<br />

distruttiva o costruttiva (Deutsch(<br />

Deutsch,1969)<br />

• Il conflitto distruttivo è caratterizzato da un graduale incremento e allargamento<br />

<strong>della</strong> conflittualità, , fino al punto che essa permane anche quando vengano<br />

rimosse o dimenticate le iniziali cause scatenanti<br />

• Il conflitto costruttivo è caratterizzato invece dall’impegno <strong>dei</strong> membri in<br />

direzione di una riconsiderazione <strong>della</strong> situazione in senso cooperativo,<br />

ricostruttivo e di una reciproca soddisfazione.<br />

290


Conflitto intra-gruppo<br />

- VII<br />

Quando il conflitto è già emerso, spesso i <strong>gruppi</strong> mettono in atto strategie di<br />

riduzione del conflitto, , per riportare l’armonia l<br />

e raggiungere lo scopo senza<br />

ostacoli.<br />

• La riduzione del conflitto può manifestarsi nei seguenti modi:<br />

- la maggioranza impone la sua visione e isola (o espelle) i devianti<br />

- la minoranza impone la propria visione e la maggioranza si “adatta”<br />

- fenomeni di negoziazione in cui, a partire da posizioni divergenti, c’èc<br />

uno<br />

scambio di informazioni e comunicazioni tra le posizioni per raggiungere e una<br />

decisione consensuale che soddisfi tutti<br />

- votazioni, , mediante un criterio condiviso che soddisfi tutti i membri<br />

291


I processi scismatici - I<br />

Cos’è<br />

uno “scisma”<br />

• Il termine “scisma” si riferisce al processo di divisione di un gruppo in<br />

sotto<strong>gruppi</strong> e alla secessione finale di almeno uno <strong>dei</strong> sotto<strong>gruppi</strong> del gruppo<br />

originario (Sani e Reicher, , 1998)<br />

• Worchel et al. (1991) sostengono che la nascita di un nuovo gruppo da uno<br />

precedentemente esistente avviene dopo un periodo di malcontento di alcuni<br />

membri e un successivo evento scatenante, che genera il distacco.<br />

• Secondo Sani e Reicher (1998) ciascuna fazione ritiene che l’altra l<br />

(o le altre)<br />

stia violando l’essenza (ossia gli aspetti centrali alla base dell’esistenza esistenza del<br />

gruppo) dell’identit<br />

identità del gruppo.<br />

292


I processi scismatici - II<br />

• A questo punto si arrestano i processi di negoziazione tra le parti e il conflitto<br />

intra-gruppo<br />

diviene irrisolvibile, , dunque avviene lo scisma.<br />

• Studio sulla scissione del PCI in PDS e RC (Sani e Reicher, , 1998)<br />

Metodo: : interviste a militanti e leader di PDS e RC sulle rappresentazioni riguardo a PCI, PDS<br />

e RC.<br />

Analisi del contenuto delle interviste.<br />

Risultati<br />

Rappresentazioni del PCI:<br />

- argomentazioni comuni ai 2 <strong>gruppi</strong><br />

(es. “Il PCI era comunista ma non acritico nei confronti dell’URSS<br />

URSS”)<br />

293


I processi scismatici - III<br />

- argomentazioni unilaterali<br />

(es. PDS: “Il PCI era pluralista”, “Il PCI era indebolito dal purismo ideologico”; ; es. RC “Il PCI<br />

era un partito di classe”)<br />

- argomentazioni asimmetriche<br />

(es. PDS “Il PCI era diviso in fazioni pragmatiche e dogmatiche”;<br />

es. RC “Il PCI era diviso in fazioni comuniste e non-comuniste<br />

comuniste”)<br />

Rappresentazioni del PDS<br />

Sono solo asimmetriche (es. PDS “Il PDS è un’efficace forza nuova <strong>della</strong> sinistra”; ; es. RC “Il<br />

PDS è una forza politica liberale non di sinistra”)<br />

Rappresentazioni di RC<br />

Sono solo asimmetriche (es. PDS “RC<br />

è anacronistica e dogmatica”; ; es. RC “RC<br />

è il partito<br />

che capisce che si possono aiutare le classi lavoratrici solo combattendo il capitalismo”)<br />

294


I processi scismatici - IV<br />

• Secondo gli autori dello studio, l’analisi l<br />

delle argomentazioni mostra che<br />

ciascuno <strong>dei</strong> 2 sotto<strong>gruppi</strong> vedeva la posizione dell’altro come incoerente<br />

rispetto alla natura e all’identit<br />

identità del PCI.<br />

Con l’apertura l<br />

del dibattito sul cambiamento di simbolo e nome del partito<br />

(“evento scatenante”) ) e la successiva trasformazione da PCI a PDS viene<br />

avallata dalla maggioranza, avviene il processo scismatico <strong>della</strong> minoranza,<br />

che va a costituire un nuovo gruppo.<br />

• Sani (1998) individua alcune condizioni necessarie perchè avvenga un scisma:<br />

- percezione di minaccia all’identit<br />

identità di gruppo<br />

- percezione di mancanza di “entitatività” del gruppo<br />

295


I processi scismatici - V<br />

- accentuazione delle differenze tra sotto<strong>gruppi</strong> e delle somiglianze entro il<br />

proprio sottogruppo (ingroup-outgroup)<br />

- impermeabilità all’influenza <strong>sociale</strong> dell’altro sottogruppo<br />

- simmetria rispetto all’attribuzione attribuzione di “sovversivo” all’altro altro sottogruppo<br />

• L’accadere di un processo scismatico dipende anche dalle relazioni di status<br />

tra le fazioni e dal contesto <strong>sociale</strong> inter-<strong>gruppi</strong><br />

di riferimento: ad es. lo scisma<br />

del PCI è spiegabile solo se si tiene conto anche <strong>della</strong> crisi del comunismo mo a<br />

livello internazionale (caduta del muro, crisi dell’URSS, ecc.)<br />

296


I processi scismatici - VI<br />

• A differenza dell’uscita individuale da un gruppo (quando i livelli di impegno del<br />

gruppo e dell’individuo scendono sotto-soglia, soglia, cfr. Levine e Moreland, , 1994),<br />

nello scisma l’uscita l<br />

dal gruppo è operata da un sottogruppo di membri,<br />

dunque in una situazione intra-gruppo<br />

si verificano dinamiche di relazione<br />

inter-<strong>gruppi</strong><br />

<strong>gruppi</strong>.<br />

• La scarsa attenzione mostrata dalla psicologia <strong>sociale</strong> ai processi scismatici è<br />

dovuta probabilmente alla difficoltà di studio di tali processi, difficilmente<br />

riproducibili in situazioni sperimentali di laboratorio<br />

297


Relazioni inter<strong>gruppi</strong>


Identità <strong>sociale</strong> e relazioni inter-<strong>gruppi</strong><br />

- I<br />

• All’interno <strong>della</strong> psicologia <strong>sociale</strong> attuale, e in particolare <strong>della</strong> psicologia<br />

<strong>sociale</strong> europea, la Teoria dell’Identit<br />

Identità Sociale (Social(<br />

Identity Theory, , SIT:<br />

Tajfel, , 1978, 1981; Tajfel e Turner, 1979, 1986) e i suoi sviluppi successivi,<br />

come la Teoria <strong>della</strong> Auto-categorizzazione<br />

o Categorizzazione del Sé S (Self<br />

Categorisation Theory, , SCT: : Turner, 1985; Turner et al. 1987), rappresentano<br />

uno <strong>dei</strong> paradigmi teorici ed empirici dominanti.<br />

• La SIT e la SCT hanno avuto un considerevole impatto sulla ricerca ca in<br />

psicologia <strong>sociale</strong> negli ultimi due decenni.


Identità <strong>sociale</strong> e relazioni inter-<strong>gruppi</strong> - II<br />

• Il contributo <strong>della</strong> SIT e <strong>della</strong> SCT è stato particolarmente rilevante soprattutto<br />

per ciò che concerne la comprensione <strong>dei</strong> processi cognitivi e motivazionali<br />

che regolano il comportamento degli individui nei <strong>gruppi</strong> e le relazioni tra i<br />

<strong>gruppi</strong> all’interno delle strutture sociali, e più in generale per ciò che riguarda il<br />

complesso sistema di relazioni tra individui, <strong>gruppi</strong> e società, , che rappresenta<br />

in un ultima analisi il focus centrale <strong>della</strong> psicologia <strong>sociale</strong> stessa come<br />

disciplina (Abrams(<br />

e Hogg, , 1990; Brown, , 2000; Capozza e Brown, , 2000).<br />

• Attraverso il processo di autocategorizzazione noi scegliamo di appartenere a<br />

determinati <strong>gruppi</strong> piuttosto che ad altri.


Identità <strong>sociale</strong> e relazioni inter-<strong>gruppi</strong><br />

- III<br />

• L’identità <strong>sociale</strong> è concettualizzata come il legame psicologico tra il sés<br />

e il<br />

collettivo che emerge attraverso il processo psicologico di categorizzazione.<br />

e.<br />

• Come afferma Tajfel (1978), l’identitl<br />

identità <strong>sociale</strong> è “la parte del concetto di sés<br />

individuale che deriva dalla consapevolezza di essere membro di un gruppo<br />

<strong>sociale</strong> (o più <strong>gruppi</strong>) con i valori e il significato emotivo che comporta questa<br />

appartenenza”<br />

• Dal momento che l’identitl<br />

identità <strong>sociale</strong> è parte del concetto che l’individuo l<br />

ha di sés<br />

come membro di un determinato gruppo, l’osservazione l<br />

che se ne ricava può<br />

essere senza dubbio che è meglio avere una visione dell’in<br />

in-group<br />

positiva.


Identità <strong>sociale</strong> e relazioni inter-<strong>gruppi</strong><br />

- IV<br />

• Teoria dell’Identit<br />

Identità Sociale (Tajfel(<br />

Tajfel, , 1978)<br />

Punti salienti:<br />

– Il confronto inter<strong>gruppi</strong> attiva negli appartenenti un bisogno di<br />

specificità positiva del proprio gruppo rispetto all’out<br />

out-group.<br />

– Attraverso il raggiungimento di tale specificità positiva, il gruppo<br />

contribuisce a fornire ai suoi membri un’identit<br />

identità <strong>sociale</strong> positiva<br />

Identità <strong>sociale</strong>: : l’insieme l<br />

degli aspetti del concetto di sés<br />

che<br />

derivano dall’appartenenza appartenenza ad un gruppo


Identità <strong>sociale</strong> e relazioni inter-<strong>gruppi</strong><br />

- V<br />

• Competizione <strong>sociale</strong>: il conflitto fra <strong>gruppi</strong> può essere la conseguenza di una<br />

competizione non solo per risorse materiali, ma anche di una competizione per<br />

il prestigio<br />

• Tre processi fondamentali in gioco nella competizione <strong>sociale</strong>:<br />

– la categorizzazione <strong>sociale</strong>: permette di costruire una<br />

rappresentazione semplificata del mondo <strong>sociale</strong> che comporta<br />

un’accentuazione<br />

delle differenze fra categorie e una riduzione<br />

delle differenze all’interno di ciascuna categoria<br />

– l’identificazione <strong>sociale</strong>: definizione di sés<br />

delle persone come<br />

membri di un gruppo<br />

– il confronto <strong>sociale</strong>: permette di determinare il valore relativo <strong>dei</strong><br />

<strong>gruppi</strong> rispetto a dimensioni di confronto rilevanti, in riferimento alle<br />

quali raggiungere o mantenere una specificità positiva del gruppo<br />

di appartenenza


Identità <strong>sociale</strong> e relazioni inter-<strong>gruppi</strong><br />

- VI<br />

• Teoria <strong>della</strong> Categorizzazione di Sé S (Turner et al., 1987)<br />

Obiettivo: spiegare gli antecedenti e le conseguenze <strong>della</strong> formazione<br />

psicologica di un gruppo, , partendo dal processo cognitivo di categorizzazione<br />

• Differenze fra teoria <strong>della</strong> Categorizzazione di Sé S (SCT) e teoria dell’Identit<br />

Identità<br />

Sociale (SIT):<br />

- la SIT considera l’identitl<br />

identità <strong>sociale</strong> come un aspetto di SéS<br />

derivante<br />

dall’appartenenza appartenenza di gruppo; per l’SCT l<br />

essa costituisce un livello di astrazione<br />

<strong>della</strong> rappresentazione cognitiva del sés<br />

• la SIT distingue fra agire nei termini del SéS<br />

ed agire nei termini del gruppo; la<br />

SCT considera comportamento individuale e di gruppo come un agire e nei<br />

termini del Sé, S , un SéS<br />

che opera a diversi livelli di astrazione


Identità <strong>sociale</strong> e relazioni inter-<strong>gruppi</strong><br />

- VII<br />

• Tre livelli fondamentali di categorizzazione di sé: s<br />

– livello sovraordinato: SéS<br />

come essere umano (identit(<br />

identità umana)<br />

– livello intermedio: SéS<br />

come membro di un gruppo (identit(<br />

identità<br />

<strong>sociale</strong>)<br />

– livello subordinato: SéS<br />

come individuo unico (identit(<br />

identità personale)<br />

• Conseguenze <strong>della</strong> categorizzazione di sés<br />

a livello<br />

intermedio:<br />

– accentuazione del carattere prototipico e stereotipico del gruppo<br />

– depersonalizzazione <strong>della</strong> percezione di sé, s , che comporta un<br />

incremento <strong>della</strong> somiglianza percepita fra sés<br />

ed i membri del<br />

proprio gruppo


Identità <strong>sociale</strong> e relazioni inter-<strong>gruppi</strong><br />

- VIII<br />

• Quali categorie sociali saranno salienti in una determinata situazione<br />

– Modello<br />

“Accessibilità<br />

per<br />

Fit”<br />

(corrispondenza):<br />

la<br />

categorizzazione <strong>sociale</strong> utilizzata sarà quella che massimizza<br />

l’interazione fra accessibilità<br />

<strong>della</strong> categoria (rispetto alle<br />

intenzioni presenti ed all’esperienza passata) e la corrispondenza<br />

fra stimoli e specificazioni categoriali<br />

– Principio del metacontrasto: la categorizzazione saliente sarà<br />

quella che minimizza le differenze intracategoriali e massimizza le<br />

differenze intercategoriali<br />

• Critiche: è difficile predire con esattezza quale categorizzazione di sés<br />

sarà<br />

saliente in contesti in cui le categorizzazioni possibili sono numerose n<br />

(Hogg(<br />

e<br />

McGarty, , 1990)


Identità <strong>sociale</strong> e relazioni inter-<strong>gruppi</strong><br />

- IX<br />

• Secondo Tajfel e Turner (1986), confrontando il mio con altri <strong>gruppi</strong> ne<br />

stabilisco il prestigio che, secondo la teoria, avrà conseguenze anche sulla mia<br />

stessa autostima (equivalente <strong>della</strong> teoria del confronto <strong>sociale</strong> di Festinger a<br />

livello di <strong>gruppi</strong>)<br />

• C’è, , quindi, una ricerca diretta al fine di valutare positivamente il mio in-group<br />

group.<br />

• Quello che accade quando si ha un confronto inter<strong>gruppi</strong> è la possibilità che<br />

emergano confronti di tipo discriminante e di bias a favore del proprio in-group<br />

group.


Identità <strong>sociale</strong> e relazioni inter-<strong>gruppi</strong><br />

- X<br />

• Un altro processo che si può verificare è quello <strong>della</strong> ricategorizzazione,<br />

quando un precedente out-group<br />

viene inserito nell’in<br />

in-group<br />

in<br />

contrapposizione ad un altro outgroup (ad es.: film “Niente da dichiarare”)<br />

• I <strong>gruppi</strong> “reali” più osservati per studiare i processi di identità <strong>sociale</strong> e il bias<br />

verso l’ingroupl<br />

sono i <strong>gruppi</strong> di lavoro.<br />

• I primi risultati degli studi effettuati sui <strong>gruppi</strong> lavorativi Brown, , 1978; van<br />

Knippberg e van Oers, , 1984) hanno dimostrato che il perseguire una<br />

distintività positiva avviene in modo diverso e seconda <strong>dei</strong> diversi contesti in<br />

cui si effettua il confronto inter<strong>gruppi</strong>.


Identità <strong>sociale</strong> e relazioni inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XI<br />

• I <strong>gruppi</strong> usano i diversi linguaggi o i diversi dialetti per distinguersi (il dialetto<br />

rimanda a un particolare gruppo etnico e, quindi, anche alla nostra identità<br />

<strong>sociale</strong>) e comunicare in un certo modo con l’outl<br />

out-group. . Inoltre, il linguaggio<br />

può servire per esprimere il pregiudizio di un gruppo nei confronti di altri.<br />

• Secondo Giles et al. (1981) la differenziazione linguistica può servire nei casi<br />

in cui l’identitl<br />

identità è in pericolo (caso in cui, ad esempio, si commenta o insulta un<br />

membro dell’out<br />

out-group<br />

nel linguaggio dell’in<br />

in-group).


Identità <strong>sociale</strong> e relazioni inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XII<br />

• Anche la descrizione del comportamento altrui può essere diversa a seconda<br />

se l’oggetto l<br />

è un membro dell’in<br />

in-group<br />

o un membro dell’out<br />

out-group<br />

(es.<br />

Linguistic Category Model).<br />

• La discriminazione linguistica sembra avere la funzione di mantenere nere una<br />

immagine positiva dell’in<br />

in-group<br />

(e quindi di protezione dell’identit<br />

identità): comunque<br />

il pregiudizio linguistico sembra essere favorito anche da altri fattori quali le<br />

diverse aspettative in-group<br />

group/out-group<br />

e la preferenza per le associazioni di<br />

valori positive con l’inl<br />

in-group<br />

e l’allontanamento l<br />

di valori negativi associati<br />

all’out<br />

out-group.<br />

• I <strong>gruppi</strong> sociali non hanno tutti lo stesso status; ; quello che accade da parte <strong>dei</strong><br />

<strong>gruppi</strong> di status e potere inferiore, è una ricerca di una distinzione positiva


Identità <strong>sociale</strong> e relazioni inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XIII<br />

• I <strong>gruppi</strong> di status elevato hanno una posizione di superiorità rispetto ad altri<br />

<strong>gruppi</strong> che sono presenti nella società. . Questa superiorità è data dall’occupare<br />

posizioni privilegiate e dirigenziali nella società.<br />

• Questo implica che i membri che appartengono a questi <strong>gruppi</strong>, hanno una<br />

percezione di sés<br />

tendenzialmente positiva.<br />

• Con i <strong>gruppi</strong> di status elevato, il confronto avviene in quanto i membri<br />

continuano a marcare la superiorità del proprio in-group<br />

group, , molto più di quanto<br />

non facciano i <strong>gruppi</strong> di status inferiore (Mullen(<br />

Mullen, Brown e Smith, 1992).


Identità <strong>sociale</strong> e relazioni inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XIV<br />

• La differenziazione inter<strong>gruppi</strong>, , inoltre, sembra assolvere funzioni diverse.<br />

• Per i <strong>gruppi</strong> di status superiore, , la differenziazione può servire a mantenere la<br />

propria posizione dominante.<br />

• Per i <strong>gruppi</strong> di status simile, , può servire per differenziarsi. . Questa ultima<br />

ipotesi non ha avuto molto sostegno dai dati empirici; infatti, alcune ricerche<br />

(Brown<br />

e Abrams, , 1986) hanno evidenziato una predisposizione maggiore<br />

verso <strong>gruppi</strong> con atteggiamenti simili a quelli dell’in<br />

in-group.


Identità <strong>sociale</strong> e relazioni inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XV<br />

• Inoltre si evidenziava un bias moderato nei confronti dell’in<br />

in-group<br />

quando i<br />

soggetti credono di rapportarsi a un gruppo di status simile al loro.<br />

• Quello che accade dopo aver attraversato una certa soglia di somiglianza,<br />

è la<br />

percezione di una minaccia che deriva dalla vicinanza psicologica dell’out<br />

out-<br />

group; ; questo porta a un aumento del bias a favore dell’in<br />

in-group.


Identità <strong>sociale</strong> e relazioni inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XVI<br />

• Per quanto riguarda i <strong>gruppi</strong> di status inferiore, , secondo la teoria dell’identit<br />

identità<br />

<strong>sociale</strong>, la necessità di ovviare a uno svantaggio <strong>sociale</strong> porterà a una serie di<br />

confronti che potrebbero avere un esito negativo (ed essere quindi deleteri per<br />

l’autostima).<br />

• Quello che può accadere in questi casi è l’abbandono<br />

del proprio gruppo per<br />

passare a uno di status superiore (Tajfel(<br />

e Turner, 1986).<br />

• Questo, però è difficile prima di tutto quando l’appartenenza l<br />

a un gruppo non<br />

si è scelta, ma è ascritta (per esempio, etnia o genere); in secondo luogo, può<br />

accadere che esista un forte attaccamento con il proprio gruppo che ne<br />

impedisce l’abbandono.<br />

l


Identità <strong>sociale</strong> e relazioni inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XVII<br />

• Nel caso in cui uscire dal gruppo è impossibile, , le strategie possono essere<br />

diverse:<br />

- circoscrivere i confronti solo verso <strong>gruppi</strong> di status simili o, addirittura, inferiori<br />

(che può portare a una distintività “più positiva” per l’inl<br />

in-group)<br />

- cercare dimensioni valoriali diverse di confronto (ad es., i <strong>gruppi</strong> di<br />

contestazione giovanile)<br />

• Quando i <strong>gruppi</strong> di status inferiore non riescono a immaginarsi delle d<br />

alternative, il confronto con un gruppo superiore non avverrà. . Questo<br />

contribuisce a mantenere delle situazioni sociali in cui prevalgono ingiustizie.


Identità <strong>sociale</strong> e relazioni inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XVIII<br />

• Secondo Tajfer e Turner (1986) esistono tre fattori che sembrano incoraggiare<br />

lo sviluppo delle alternative cognitive che possono portare al confronto con<br />

<strong>gruppi</strong> di status superiore:<br />

1. La presenza di confini relativamente valicabili tra i <strong>gruppi</strong><br />

2. La presenza di differenze di status relativamente instabili<br />

3. La percezione dell’illegittimit<br />

illegittimità di queste differenze e dell’inequit<br />

inequità <strong>dei</strong> principi su<br />

cui si reggono.<br />

• In situazioni di consapevolezza di ingiustizia nei confronti del proprio gruppo,<br />

quello che può accadere è una forma collettiva di protesta: : questo accade sia<br />

in <strong>gruppi</strong> di status alto, che in <strong>gruppi</strong> di status basso.


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - I<br />

• Una delle principali caratteristiche del comportamento inter<strong>gruppi</strong><br />

pi è quella di<br />

percepirsi reciprocamente in termini categoriali come membri di uno o più<br />

<strong>gruppi</strong>.<br />

• A che cosa serve questa tendenza alla categorizzazione <strong>sociale</strong><br />

Una risposta generale è che la categorizzazione è un modo indispensabile con<br />

cui semplifichiamo e ordiniamo il mondo.<br />

• Riconducendo gli stimoli (fisici e sociali) a categorie basate su s somiglianze e<br />

differenze, , possiamo affrontare gli eventi in modo + efficiente e adeguato alla<br />

nostra (limitata) capacità cognitiva.<br />

• In altre parole, il processo di categorizzazione ha una valenza di sopravvivenza<br />

per la specie umana.


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - II<br />

• Il processo di categorizzazione ha punti di contatto con il pensiero scientifico,<br />

che usa sistemi di classificazione per ridurre la complessità degli oggetti di<br />

studio ad un numero gestibile di categorie.<br />

• La categorizzazione è, , inoltre, alla base di processi vitali quali la<br />

comunicazione: : il sistema linguistico è quello che ci permette di riferirci a classi<br />

di oggetti e persone senza la necessità di descrizioni minuziose<br />

• Se la categorizzazione ha lo scopo di dare ordine, è necessario che le categorie<br />

siano ben distinguibili così come gli oggetti e le persone che ne fanno parte;<br />

dobbiamo riuscire a capire subito chi appartiene o meno a una categoria.<br />

• Gordon Allport (1954) nella sua opera sul pregiudizio afferma: “Le categorie<br />

sono nomi che tagliano a fette il mondo <strong>sociale</strong>”


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - III<br />

• Il primo a fare esperimenti su questo aspetto fu Campbell (1957) che,<br />

attraverso un semplice esperimento, riuscì a dimostrare che la<br />

categorizzazione aumenta il contrasto.<br />

• Esperimento delle sillabe senza senso:<br />

• compito soggetti: : memorizzare la collocazione spaziale di sillabe senza senso<br />

presentate su una linea orizzontale sempre nella stessa posizione.<br />

• stimoli:<br />

– sillabe aventi la e come lettera centrale collocati sulla sinistra<br />

– sillabe aventi la x come lettera finale collocati sulla destra<br />

– sillabe casuali al centro<br />

• risultati: : errori nel ricordare la posizione delle sillabe al centro. I soggetti s<br />

tendevano<br />

a separare con precisione la posizione spaziale delle 2 categorie e di stimoli.


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - III<br />

• Tajfel (1959) riprese questa conclusione e da qui sviluppò due ipotesi:<br />

1. Se imponiamo categorie esistenti a una serie di stimoli (fisici o sociali) il<br />

risultato sarà un rafforzamento delle differenze tra le categorie.<br />

2. Le differenze interne a ogni categoria di attenueranno


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - IV<br />

• Queste due ipotesi sono state verificate attraverso diversi esperimenti (Tajfel(<br />

e<br />

Wilkes, , 1963; Doise, , 1976; Eiser, , 1971; Mc Garty e Penny, 1988).<br />

• A che cosa può servire questo processo<br />

Permette di rafforzare le differenze tra <strong>gruppi</strong> diversi e di ridurre le differenze<br />

all’interno del proprio gruppo, , in modo da facilitare cognitivamente il processo<br />

di risposta (che sarà diverso a seconda se il ricevente è nell’in<br />

in-group<br />

o nell’out<br />

out-<br />

group).<br />

• Da cosa dipende l’uso l<br />

di una specifica categorizzazione piuttosto che di altre<br />

possibili<br />

Secondo Bruner (1957) le persone usano le categorie più “accessibili” e più<br />

“integrate” con la situazione attuale.


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - V<br />

• Secondo Campbell (1958) esistono tre fattori con cui gli individui vengono<br />

percepiti come “<strong>gruppi</strong>”.. Questi fattori sono:<br />

1. di natura fisica: la prossimità (l’essere fisicamente vicini).<br />

2. di natura socio-culturale: culturale: la somiglianza (il condividere caratteristiche comuni<br />

quali linguaggio, stile di vestiario, ecc.)<br />

3. di natura psicologica: il destino comune (il fare qualcosa assieme o avere<br />

esperienze simili)


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - VI<br />

• Non tutte le categorie sono equivalenti da un punto di vista psicologico: non<br />

apparteniamo a tutte le categorie.<br />

• Secondo la teoria dell’autocategorizzazione<br />

autocategorizzazione, , la categoria che verrà<br />

probabilmente adottata nel caso specifico è quella che minimizza la differenza<br />

tra sés<br />

e il membro tipico <strong>della</strong> categoria di appartenenza e massimizza la<br />

differenza tra il membro prototipico dell’in<br />

in-group<br />

e il membro prototipico<br />

dell’out<br />

out-group.<br />

• Questo principio può essere rappresentato da un rapporto definito “rapporto di<br />

metacontrasto”.


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - VII<br />

Rapporto di<br />

Metacontrasto<br />

=<br />

Differenza inter-categoriale media<br />

Differenza media tra sé e un<br />

altro membro dell’in-group<br />

È una formula situazionale, per cui basta che diventi<br />

saliente una diversa identità di gruppo per cambiare il<br />

rapporto di metacontrasto


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - VIII<br />

Integrazione categoriale<br />

• Campbell (1958) parla di entitatività percepita per indicare il fenomeno per cui<br />

la percezione di un insieme di persone come membri di uno stesso gruppo<br />

dipende dal modo in cui esse stanno in rapporto l’una l<br />

con l’altral<br />

• L’entitatività, , per Campbell, ha in sés<br />

i tre criteri di prossimità, , somiglianza e<br />

destino comune<br />

• Un altro fattore che influenza la scelta delle categorie è la distintività degli<br />

stimoli: : sembra, infatti, che per tale motivo le minoranze numeriche siamo<br />

fonte di attenzione per le maggioranze (Kanter(<br />

Kanter, , 1977; Taylor, 1981)


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - IX<br />

Accessibilità categoriale<br />

• Oltre alle proprietà dello stimolo, deve essere presa in considerazione a quello<br />

che ognuno porta nella situazione.<br />

• Questo facilita o ostacola la facilità o la difficoltà di accesso alle categorie.<br />

• Viene riconosciuta l’importanza l<br />

di tre fattori:<br />

1. La natura degli eventi immediatamente precedenti (per cui è probabile che, se<br />

accade qualche evento che porta a una categorizzazione, è possibile che gli<br />

eventi successivi vengano interpretati alla luce di queste categorie. Questo<br />

fenomeno è conosciuto come effetto di priming)


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - X<br />

2. La disposizione personale dell’osservatore e l’influenza l<br />

che questa esercita<br />

sulla tendenza a utilizzare certe categorie piuttosto che altre<br />

3. Il compito o l’obiettivo l<br />

attuale <strong>della</strong> persona che effettua la categorizzazione<br />

PRIMING = attivazione categoriale (spesso al di fuori <strong>della</strong><br />

consapevolezza) provocata da uno<br />

stimolo preliminare<br />

nostra<br />

• Il priming viene utilizzato spesso per stimolare una determinata<br />

categorizzazione anche a livello subliminale


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - XI<br />

Esempio degli effetti del priming su risposte valutative<br />

• Effetto <strong>della</strong> presentazione preliminare di aggettivi e simboli, tra cui alcuni evocatori <strong>della</strong><br />

categoria “malato mentale”, , sul ricordo e la valutazione di una persona descritta in una breve b<br />

storia (Skowronski(<br />

et al., 1993)<br />

Risultati: : Il gruppo di SS esposti alla presentazione preliminare ricordava un numero maggiore<br />

di caratteristiche stereotipiche <strong>della</strong> persona descritta e ne dava una valutazione + negativa


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - XII<br />

• In realtà, , studi effettuati successivamente sugli effetti di priming sulla<br />

categorizzazione, suggeriscono l’eventualitl<br />

eventualità di prendere in considerazione<br />

aspetti che dipendono da fattori relativi alla disposizione personale del<br />

soggetto.<br />

• Ad esempio, uno studio (Devine,1989) che mostrava come il priming<br />

provocasse categorizzazioni “etniche” in base a stereotipi negativi, , non aveva<br />

tenuto conto del livello di pregiudizio iniziale <strong>dei</strong> soggetti (Lepore(<br />

e Brown,<br />

1997).<br />

• Alcune categorizzazioni hanno una maggiore accessibilità per alcuni, ad<br />

esempio quelle di natura “etnica” sono in varie situazioni le + accessibili per<br />

coloro che hanno pregiudizi “etnici”.<br />

• Il tipo di categorizzazione può anche variare a seconda delle richieste del<br />

compito.


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - XIII<br />

• Se la categorizzazione è un processo così importante per gli individui,<br />

dovremmo aspettarci che possa esistere anche nei bambini.<br />

• In effetti, sembra che i bambini siano sensibili alle divisione degli<br />

stimoli presenti nell’ambiente<br />

che li circonda fin dalla più tenera età<br />

• Sembra, inoltre, che non sia un processo rigido di catalogazione, , ma<br />

che risenta del contesto peculiare in cui si trovano i bambini.


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - XIV<br />

• Alcuni studi condotti su bambini americani da Horowitz e Horowitz (1938),<br />

hanno dimostrato che esistono delle categorie più o meno salienti nel mondo<br />

infantile.<br />

• La categoria più saliente era quella dell’appartenenza<br />

etnica (bianco-nero),<br />

nero),<br />

seguita dal genere (maschio-femmina) e dallo status socio-economico<br />

economico.<br />

• Anche se questi risultati sono stati riscontrati anche in altri contesti culturali,<br />

una ricerca condotta Davey (1983)<br />

• I compiti che, di solito, vengono presentati ai bambini, consistono ono in semplici<br />

raggruppamenti di fotografie con soggetti che variano per sesso, etnia, , età,<br />

abbigliamento.


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - XV<br />

• Davey introdusse un nuovo criterio: : chiese ai bambini chi giocherebbe insieme<br />

con chi.<br />

• Questo nuovo criterio fece sìs<br />

che fosse più saliente il genere dell’appartenenza<br />

etnica.<br />

• I risultati mostrano una maggiore accessibilità <strong>della</strong> categorizzazione di genere<br />

rispetto a quella etnica se è saliente la dimensione “comportamento di gioco”<br />

• Sono state, inoltre, effettuate numerose ricerche in contesti con n diverse<br />

minoranze etniche ed è emerso che la salienza delle categorie nei bambini è<br />

contesto-dipendente<br />

(Bennet, et al., 1991)


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - XVI<br />

• A questo punto, i ricercatori hanno iniziato a chiedersi se basti i la<br />

categorizzazione di un individuo in un gruppo a far emergere la<br />

discriminazione inter<strong>gruppi</strong>.<br />

• E’ facile, infatti, evidenziare <strong>dei</strong> pregiudizi a favore dell’ingroup<br />

ingroup.<br />

• Ad analizzare questo problema per primi furono Rabbie e Horowitz (1969).<br />

• Tramite alcuni semplici esperimenti basati su ricompense, emerse<br />

chiaramente un favoritismo nei confronti dell’in<br />

in-group<br />

piuttosto che dell’out<br />

out-<br />

group anche quando i membri di un gruppo non si conoscono; ; basta che sia<br />

nota l’appartenenza l<br />

a quel determinato gruppo per favorirlo.


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - XVII<br />

• Ricerca di Rabbie ed Horwitz (1969): quali sono le condizioni minime sufficienti<br />

a generare discriminazione inter<strong>gruppi</strong><br />

Procedura sperimentale: divisione di scolari estranei fra loro in Blu e Verdi, seguita o meno da<br />

un’esperienza di destino comune di gruppo (informazione di ricompensa o non-ricompensa vs.<br />

nessuna informazione). Ai soggetti era chiesto di valutare i membri dell’in<br />

in-group<br />

e dell’out<br />

out-<br />

group rispetto ad alcune caratteristiche quali cordialità, , sincerità ecc.<br />

Risultati: l’esperienza di un destino comune (condizione di interdipendenza), positivo o<br />

negativo, è la condizione necessaria e sufficiente per osservare favoritismo verso il gruppo di<br />

appartenenza


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - XVIII<br />

• Ricerca di Tajfel, Billig, Bundy<br />

e Flament (1971): basta la<br />

semplice<br />

categorizzazione in <strong>gruppi</strong>, , in assenza di conflitti oggettivi di interessi o di<br />

interdipendenza del destino, per provocare favoritismo verso l’inl<br />

in-group<br />

Paradigma sperimentale <strong>dei</strong> “<strong>gruppi</strong> minimi”<br />

– divisione <strong>dei</strong> partecipanti in due <strong>gruppi</strong> su base arbitraria<br />

– assenza di interazioni faccia a faccia<br />

– anonimato di tutti i membri <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong><br />

– assenza di interesse personale nelle risposte <strong>dei</strong> soggetti


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - XIX<br />

Compito sperimentale:<br />

Distribuzione di risorse ad un membro dell’in<br />

in-group<br />

e dell’out<br />

out-group<br />

mediante matrici, strutturate in<br />

modo tale per cui ad una certa somma per il membro dell’in<br />

in-group<br />

ne corrisponde un’altra per il<br />

membro dell’out<br />

out-group<br />

Strategie di scelta possibili:<br />

- Massimo profitto comune:<br />

“estorcere” allo sperimentatore<br />

scelta <strong>della</strong> casella corrispondente alla somma più<br />

alta da<br />

- Massimo profitto per il gruppo di appartenenza: massimo punteggio per il membro del gruppo<br />

di appartenenza<br />

- Massima differenza a favore del gruppo di appartenenza: scelta che massimizza la differenza<br />

anche se questo implica un guadagno relativamente minore rispetto a quello massimo possibile<br />

- Equità: punteggi uguali o simili per i due destinatari


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - XX<br />

Risultati:<br />

– preponderanza di scelte di massimo profitto e soprattutto di massima<br />

differenza a favore dell’in<br />

in-group<br />

– rilevanza <strong>della</strong> scelta di equità<br />

• Conclusioni:<br />

la categorizzazione <strong>sociale</strong> di per sés<br />

è sufficiente per produrre discriminazione<br />

inter<strong>gruppi</strong><br />

• Secondo Tajfel<br />

et<br />

al. (1971) le scelte <strong>dei</strong> partecipanti riflettono un<br />

compromesso fra due norme sociali: : una norma di equità ed una norma<br />

centrata sul primato del proprio gruppo, , in base alla quale è “appropriato”<br />

favorire i membri del proprio gruppo a discapito di <strong>gruppi</strong> esterni


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - XXI<br />

• Il paradigma <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong> minimi ha ricevuto grande successo, accompagnato da<br />

una serie di critiche (interpretazione focalizzata + sulla norma dell’in<br />

in-group<br />

bias che sulla norma dell’equit<br />

equità, , mancanza di validità esterna ed ecologica del<br />

paradigma, specificità dell’interesse economico, ecc.)<br />

• Per esempio, quando si tratta di ricevere ricompense emerge un maggiore m<br />

favoritismo in-group<br />

rispetto a quando si tratta di sottrarre denaro o dare uno<br />

stimolo “negativo” all’in<br />

in-group<br />

o all’out<br />

out-group: : in quest’ultimo ultimo caso il favoritismo<br />

in-group<br />

ha livelli inferiori (Hewstone<br />

et al., 1981)


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - XXII<br />

• Secondo Rabbie et al. (1989) anche i risultati <strong>dei</strong> “<strong>gruppi</strong> minimi” possono<br />

essere spiegati alla luce di una percezione di interdipendenza del destino,<br />

basata sulla credenza che i membri di ciascun gruppo tenderanno a favorirsi<br />

tra loro.<br />

• Dunque, secondo questa interpretazione, avallata da alcuni studi, , il favoritismo<br />

in-group<br />

è da attribuire alla salvaguardia di un interesse personale<br />

(massimizzazione del proprio utile): se la fonte di ricompensa (o non-<br />

ricompensa) è l’out-group<br />

(= interdipendenza con i membri dell’out<br />

out-group),<br />

allora diminuisce il favoritismo in-group<br />

e in alcuni casi si ha favoritismo verso<br />

l’out-group<br />

(Rabbie et al., 1989)


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - XXIII<br />

• Ad ogni modo, altre ricerche (Gagnon(<br />

e Bourhis, , 1996) mostrano che anche<br />

quando non c’èc<br />

alcuna condizione di interdipendenza possibile (ad es.:<br />

soggetti ricompensati a prescindere dalle scelte degli altri membri<br />

in-group<br />

e<br />

out-group<br />

group) ) esiste qualche forma di favoritismo in-group<br />

(e quindi di<br />

discriminazione inter-<strong>gruppi</strong><br />

<strong>gruppi</strong>)<br />

• Dunque, la percezione di interdipendenza sembra incrementare la<br />

discriminazione inter-<strong>gruppi</strong><br />

<strong>gruppi</strong>, , ma non sembra necessaria per provocare questo<br />

tipo di risposta


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - XXIV<br />

• Un altro aspetto focale <strong>della</strong> categorizzazione <strong>sociale</strong> è la percezione di<br />

omogeneità dell’out<br />

out-group: : i membri dell’out<br />

out-group<br />

tendono ad essere percepiti<br />

in modo più omogeneo rispetto ai membri dell’in<br />

in-group.<br />

• Una prima ipotesi è che questo effetto percettivo nasca dalla differenza di<br />

quantità di informazioni che ha l’osservatore l<br />

rispetto ai due (o più) ) <strong>gruppi</strong><br />

(Linville<br />

et al., 1989).<br />

• Una seconda ipotesi sostiene l’importanza l<br />

<strong>della</strong> natura <strong>della</strong> categoria: l’in-<br />

group è percepito come più variabile e articolato perché, , come concetto, è più<br />

importante e “concreto” in quanto contiene il sés


La categorizzazione <strong>sociale</strong> - XXV<br />

• La prima ipotesi non ha avuto supporto dai dati empirici. Inoltre, anche usando<br />

il paradigma <strong>dei</strong> <strong>gruppi</strong> minimi di Tajfel (in cui praticamente non si hanno<br />

informazioni sui <strong>gruppi</strong>) si può osservare l’effetto l<br />

di percezione di omogeneità<br />

dell’out<br />

out-group.<br />

• E’ da sottolineare, comunque, che l’outl<br />

out-group<br />

non è necessariamente sempre<br />

percepito come eterogeneo. Uno <strong>dei</strong> fattori più importanti che influisce sulla<br />

percezione di omogeneità è la dimensione relativa del gruppo (Simon e Brown,<br />

1987).<br />

• E’ stato dimostrato, infatti, che quando l’inl<br />

in-group<br />

è minoritario, , possa avvertire<br />

il bisogno di difendere la propria identità dal gruppo di maggioranza: : questo<br />

capovolge la situazione precedentemente descritta.


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- I<br />

• Come si può definire il pregiudizio<br />

...il mantenimento o l’espressione l<br />

di atteggiamenti dispregiativi, , emozioni<br />

negative o condotte discriminatorie nei confronti di membri di un gruppo<br />

esterno; ; tali fenomeni sono motivati dall’appartenenza appartenenza di questi membri al<br />

gruppo esterno (Brown(<br />

Brown, , 1995).<br />

• Teoria <strong>della</strong> frustrazione-aggressivit<br />

aggressività (Dollard<br />

et al., 1939): la presenza di un<br />

comportamento aggressivo presuppone sempre l’esistenza l<br />

di frustrazione,<br />

così come l’esistenza l<br />

di frustrazione porta sempre a un comportamento<br />

aggressivo<br />

• Dato che spesso l’aggressivitl<br />

aggressività non può essere rivolta alla vera fonte <strong>della</strong><br />

frustrazione, allora viene “spostata” su un’altro<br />

obiettivo (ad esempio: un<br />

gruppo di minoranza).


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- II<br />

• Esempi “storici” (1): Dollard et al., 1939<br />

frustrazioni causate dal crollo dell’economia economia tedesca<br />

popolarità delle idee antisemite di Hitler<br />

• Esempi “storici” (2): Hovland e Sears, 1940<br />

fase di recessione economica (= alto prezzo del cotone)<br />

numero di neri linciati


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- III<br />

• Esperimento in un campo estivo per giovani di Miller e Bugelski (1948): la<br />

frustrazione per i vincoli posti dai responsabili del campo viene “sfogata” verso<br />

due <strong>gruppi</strong> minoritari (= aumento atteggiamenti negativi), mentre un gruppo di<br />

controllo (che non sperimenta la frustrazione) non mostra tale aumento. a<br />

• Punti di debolezza <strong>della</strong> teoria <strong>della</strong> frustrazione-aggressivit<br />

aggressività:<br />

- quale gruppo (o individuo) sarà scelto come capro espiatorio<br />

- la frustrazione non è né necessaria nén<br />

sufficiente a provocare l’aggressivitl<br />

aggressività<br />

(Berkowitz,, 1962; Bandura, , 1973)


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- IV<br />

• Teoria <strong>della</strong> frustrazione-aggressivit<br />

aggressività rivisitata da Berkowitz (1962; 1989):<br />

- il gruppo (o individuo) scelto come capro espiatorio è stato già in passato<br />

fonte di conflitto o antipatia<br />

- la frustrazione non è causata semplicemente dall’interferenza<br />

“oggettiva” con<br />

una risposta diretta allo scopo, ma anche da un ostacolo alla soddisfazione<br />

delle aspettative degli individui<br />

- la frustrazione è solo una delle possibili esperienze spiacevoli che provocano<br />

aggressività negli individui: anche altri “eventi avversi” (es.: percezione di<br />

dolore, , calore, freddo) possono favorire l’aggressivitl<br />

aggressività (es.: le rivolte popolari<br />

sono + probabili con alti livelli di calore e umidità)


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- V<br />

• Limiti dell’approccio<br />

“frustrazione-aggressività”<br />

à”:<br />

- è un approccio individualistico in quanto...<br />

* presuppone che un’esplosione di scontento accade in<br />

quanto i<br />

membri di una folla sperimentino nello stesso<br />

istante uno stato emotivo<br />

negativo che viene poi<br />

“scaricato” da tutti verso lo stesso bersaglio<br />

* il pregiudizio è visto come un fenomeno irrazionale<br />

dovuto<br />

all’aggregazione aggregazione di stati emotivi individuali,<br />

dunque non ci sarebbe una<br />

premeditazione verso uno<br />

specifico gruppo esterno<br />

- non è in grado di spiegare i comportamenti positivi (amicizia e cooperazione)<br />

tra i <strong>gruppi</strong>, , in quanto l’assenza<br />

di frustrazione implica solo l’assenza l<br />

di<br />

aggressività, , non l’eventuale l<br />

spinta a collaborare


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- VI<br />

• Teoria <strong>della</strong> “deprivazione relativa” (Runciman,, 1966):<br />

- le persone manifestano scontento quando percepiscono una discrepanza tra<br />

quanto hanno e quanto ritengono di dover avere (scarto tra aspettative e<br />

risultati: : + è alta, + è la probabilità di scontento)<br />

• Runciman (1966) distingue tra:<br />

- deprivazione “egoistica” (insoddisfazione rispetto ad aspettative personali)<br />

- deprivazione “collettiva” (insoddisfazione rispetto alla deprivazione del proprio<br />

gruppo rispetto a uno standard desiderato)<br />

• Misurazione <strong>della</strong> deprivazione relativa: differenza di punteggio tra<br />

soddisfazione verso la propria vita reale e aspettativa verso la vita “ideale”<br />

(Cantril,, 1965)


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- VII<br />

• Le ricerche di Gurr, , 1970 (correlazione tra deprivazione relativa e<br />

tumulti in varie nazioni) ) e di Crawford e Naditch, , 1970 (correlazione tra<br />

deprivazione relativa e atteggiamenti verso Potere Nero e le<br />

sommosse <strong>dei</strong> neri a Detroit) forniscono evidenze empiriche a favore<br />

di questa teoria.<br />

• Cosa determina le aspettative degli individui<br />

Un fattore importante è l’esperienza passata<br />

• Secondo Davies (1969) è più probabile che le rivolte avvengano non<br />

dopo una deprivazione prolungata, ma dopo un periodo di prosperità<br />

relativa (= aumento di aspettative verso il futuro) che ha ricevuto un<br />

brusco freno


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- VIII<br />

• Davies sostiene infatti che le + famose rivolte “storiche” (rivoluzioni francese e<br />

russa, guerra civile americana, avvento del nazismo in Germania) sono state<br />

precedute da 20-30 anni di prosperità, , prima di un brusco arresto socio-<br />

economico.<br />

• La tesi di Davies è stata confermata solo in parte<br />

• Un altro fattore ipotizzato come antecedente l’aspettativa<br />

l<br />

è il contatto con altri<br />

<strong>gruppi</strong><br />

• Alcuni studi mostrano che il pregiudizio inter-<strong>gruppi</strong><br />

è legato alla deprivazione<br />

“collettiva”,, non a quella egoistica”<br />

(es.: sostegno <strong>dei</strong> neri a Potere Nero, sostegno <strong>dei</strong> francofoni agli a<br />

indipendentisti del Québec)


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- IX<br />

• Più recentemente sono stati portati almeno 4 ulteriori elementi in grado di<br />

migliorare il modello di predizione dello scontento <strong>sociale</strong> sulla a base <strong>della</strong><br />

deprivazione relativa<br />

1. il ruolo dell’identificazione di gruppo: : una forte identificazione <strong>dei</strong> membri<br />

sembra favorire la percezione di deprivazione “collettiva” che porta all’azione azione di<br />

gruppo<br />

2. la credenza <strong>dei</strong> membri che la protesta di gruppo possa favorire il<br />

cambiamento <strong>sociale</strong><br />

3. la natura dell’ingiustizia che provoca la percezione di deprivazione relativa: la<br />

percezione di un’ingiustizia<br />

“distributiva” (inequità di distribuzione) sembra -<br />

potente nel provocare deprivazione relativa rispetto a un’ingiustizia<br />

“procedurale” (inequità di metodo)<br />

4. il termine di confronto scelto (ossia il gruppo oggetto di paragone)


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XI<br />

• Dall’analisi analisi delle cause psico-sociali<br />

sociali dello scontento <strong>sociale</strong> in termini di<br />

deprivazione allo studio del conflitto tra interessi gruppali: : la teoria del conflitto<br />

realistico di Sherif (1967)<br />

• Gli atteggiamenti e il comportamento inter-<strong>gruppi</strong> tenderanno a riflettere gli<br />

interessi oggettivi di ciascun gruppo nel confronto con gli altri <strong>gruppi</strong>: se tali<br />

interessi gruppali sono in conflitto, , aumenta la competitività (e l’ostilitl<br />

ostilità) inter-<br />

<strong>gruppi</strong>, , se invece gli interessi coincidono, aumenta lo sforzo collaborativo<br />

ativo<br />

(Sherif,, 1967)


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XII<br />

• In quali condizioni si genera animosità fra i <strong>gruppi</strong><br />

È necessario considerare le conseguenze dell’appartenenza<br />

di gruppo sugli<br />

individui (Sherif<br />

et al., 1961)<br />

• Le ricerche <strong>dei</strong> “campi estivi” (Sherif<br />

e Sherif, , 1953; Sherif et al., 1955; 1961)<br />

Partecipanti: adolescenti americani, non consapevoli di partecipare ad una<br />

ricerca, che trascorrevano due settimane in un campo estivo diretto da Sherif<br />

e collaboratori<br />

Procedura: introduzione di diverse fasi, , nel corso delle quali i ricercatori<br />

concentravano l’attenzione l<br />

su aspetti diversi del gruppo e del comportamento<br />

inter<strong>gruppi</strong>


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XIII<br />

- Fase I: le attività riguardavano tutti i partecipanti<br />

- Fase II: : dopo una settimana, divisione in due <strong>gruppi</strong> distinti, Rossi e Blu, , apparentemente al<br />

fine di organizzare le attività del campo<br />

* Separazione degli amici più stretti. Fine delle attività comuni<br />

* Evoluzione delle abitudini e delle gerarchie intra-<strong>gruppi</strong><br />

- Fase III: : introduzione di competizione fra i due <strong>gruppi</strong><br />

* Rapido deterioramento delle relazioni inter-<strong>gruppi</strong><br />

<strong>gruppi</strong>, , caratterizzate da ostilità e<br />

formazione di stereotipi negativi dell’altro gruppo<br />

* Forte coesione all’interno<br />

di ciascun gruppo<br />

* Le tensioni inter-<strong>gruppi</strong> non cessavano nemmeno al termine delle<br />

competitive<br />

- Fase IV: : introduzione di uno scopo sovraordinato per i due <strong>gruppi</strong><br />

* Diminuzione dell’ostilit<br />

ostilità e <strong>della</strong> tensione fra i <strong>gruppi</strong><br />

situazioni


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XIV<br />

• Cosa ci dicono le ricerche <strong>dei</strong> “campi estivi”<br />

– i risultati sono interpretabili sulla base di dinamiche inter-<strong>gruppi</strong><br />

e<br />

non di dinamiche inter-personali o intra-personali<br />

– il conflitto di interessi, , anche rappresentato da giochi competitivi, è<br />

all’origine del conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

– il gruppo premiato mostra maggiore favoritismo per il proprio<br />

gruppo (“in(<br />

in-group<br />

bias”) ) e discredito dell’out<br />

out-group<br />

rispetto al<br />

gruppo non premiato, contraddicendo la teoria <strong>della</strong> frustrazione-<br />

aggressività<br />

– scopi sovraordinati conducono a cooperazione fra <strong>gruppi</strong>


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XV<br />

• I risultati delle ricerche <strong>dei</strong> “campi estivi” (in particolare il fenomeno dell’in<br />

in-<br />

group bias) ) hanno ricevuto conferma anche da altri studi sperimentali<br />

• Studio di Black e Mouton (1962): 24 coppie di <strong>gruppi</strong> (48 <strong>gruppi</strong>) che<br />

competono per la risoluzione di un problema organizzativo. Risultati: : 46 <strong>gruppi</strong><br />

valutano meglio la soluzione del proprio gruppo, 2 danno un giudizio izio di parità,<br />

nessun gruppo valuta la soluzione dell’altro gruppo come migliore<br />

• Indagine etnografica di Brewer e Campbell (1976) su 30 <strong>gruppi</strong> tribali dell’Africa<br />

orientale: : la valutazione dell’in<br />

in-group<br />

e di vari out-group<br />

sulla base di diversi<br />

indici mostra un’in<br />

in-group<br />

bias + accentuato nel confronto con i <strong>gruppi</strong> + vicini<br />

(forse per una maggiore competizione su risorse comuni, , es. film Niente da<br />

dichiarare)


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XVI<br />

• La faziosità in direzione del proprio in-group<br />

(e i suoi “prodotti”)) rispetto all’out<br />

out-<br />

group, , in caso di competizione o conflitto di interessi, è facilmente riscontrabile<br />

anche negli eventi socio-politici storici e di attualità<br />

• Secondo Sherif (1967), in linea con i risultati delle sue ricerche, la riduzione del<br />

conflitto e l’induzione l<br />

di sforzi cooperativi è possibile solo con la presenza di<br />

scopi sovraordinati, , cioè scopi desiderati da entrambi i <strong>gruppi</strong> il cui<br />

raggiungimento non è possibile con il solo impegno del proprio gruppo


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XVII<br />

• Alcuni studi (Ryen(<br />

e Kahn, 1975; Turner, 1981; Brown e Adams, 1986)<br />

mostrano che, dopo che i <strong>gruppi</strong> hanno vissuto situazioni cooperative,<br />

diminuisce il favoritismo per l’inl<br />

in-group, , pur senza scomparire del tutto<br />

• Altri studi hanno individuato <strong>dei</strong> limiti nella strategia degli scopi sovraordinati<br />

• Ad es., un punto importante sembra essere l’esito<br />

degli sforzi cooperativi


• Esperimento di Worchel et al. (1977): coppie di <strong>gruppi</strong> lavorano insieme su un<br />

compito con esiti positivi oppure negativi<br />

- I fase pre-prova<br />

prova: : alcuni <strong>gruppi</strong> lavorano in competizione, , altri in cooperazione, , altri ancora in<br />

indipendenza<br />

Risultati <strong>della</strong> rilevazione pre-:<br />

* atteggiamenti verso l’outl<br />

out-group<br />

+ negativi nei <strong>gruppi</strong> che hanno lavorato in competizione, - negativi<br />

nei <strong>gruppi</strong> che hanno lavorato in cooperazione, intermedi negli altri; ; viceversa per il favoritismo<br />

verso l’inl<br />

in-group<br />

* maggior coesione nei <strong>gruppi</strong> che hanno lavorato in competizione<br />

- II fase prova: esiti positivi o negativi<br />

Risultati <strong>della</strong> rilevazione post-:<br />

Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XVIII<br />

* a prescindere dall’esito,<br />

stabilità del favoritismo in-group<br />

e miglioramento dell’atteggiamento verso<br />

l’out-group<br />

in tutti i <strong>gruppi</strong>, eccetto quelli che avevano avuto esito negativo nella prova e nella I fase<br />

avevano lavorato in competizione


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XIX<br />

• Altri studi suggeriscono che gli scopi sovraordinati sono efficaci nel promuovere<br />

atteggiamenti positivi verso l’outl<br />

out-group<br />

soprattutto se ciascun gruppo mantiene<br />

parte <strong>della</strong> sua identità di gruppo nell’attivit<br />

attività congiunta (ad es., in termini di<br />

distinguibilità del contributo del proprio gruppo)<br />

• Limiti <strong>della</strong> teoria del conflitto realistico nello spiegare le relazioni inter-<strong>gruppi</strong>:<br />

- il favoritismo per l’inl<br />

in-group<br />

e gli atteggiamenti negativi verso l’outl<br />

out-group<br />

non<br />

scompaiono con la cooperazione<br />

- non sempre è necessario un conflitto esplicito di interessi per produrre<br />

favoritismo per l’inl<br />

in-group<br />

e atteggiamenti negativi verso l’outl<br />

out-group<br />

- il focus è solo sui conflitti “reali”,, mentre non è contemplata l’importanza l<br />

del<br />

conflitto percepito (importanza delle credenze del gruppo) ) o <strong>della</strong> competizione<br />

rispetto a beni intangibili (ad es. il prestigio <strong>sociale</strong>)


Gli stereotipi - I<br />

• Come si può definire il concetto di stereotipo<br />

In linea generale, possiamo affermare che uno stereotipo è dato dalle<br />

inferenze, , dalle immagini mentali che abbiamo quando richiamiamo una certa<br />

categoria.<br />

• Nel processo di categorizzazione con cui ordiniamo e semplifichiamo la realtà,<br />

le persone vengono inserite in categorie; il contenuto di queste categorie è<br />

costituito, appunto, dagli stereotipi.


Gli stereotipi - II<br />

• Tajfel (1981): gli stereotipi costituiscono prodotti peculiari del processo<br />

cognitivo di categorizzazione.<br />

• Gli stereotipi sociali hanno le seguenti caratteristiche:<br />

– vengono condivisi<br />

da molte persone all’interno di <strong>gruppi</strong> o<br />

istituzioni sociali<br />

– costituiscono immagini semplificate al massimo di una categoria<br />

<strong>sociale</strong>, un’istituzione o un evento<br />

– consentono la spiegazione di eventi complessi, , la giustificazione di<br />

azioni progettate o commesse verso altri <strong>gruppi</strong>; permettono la<br />

differenziazione positiva del proprio gruppo rispetto agli altri <strong>gruppi</strong>


Gli stereotipi - III<br />

Distinzione concettuale fra stereotipo e pregiudizio<br />

– stereotipo <strong>sociale</strong> = immagine semplificata di una categoria<br />

di persone o un evento, condivisa nei tratti essenziali da<br />

molte persone; si accompagna in genere al pregiudizio<br />

– pregiudizio = giudizio o opinione a priori, , in genere con<br />

connotazione negativa, , verso persone, <strong>gruppi</strong> o altri oggetti<br />

sociali salienti


• Secondo Brown (2000) esistono tre fattori connessi agli aspetti sociali degli<br />

stereotipi che, quindi hanno a che fare con la relazione inter<strong>gruppi</strong>.<br />

1. le credenze legittimanti<br />

2. le aspettative<br />

3. le profezie che si autoavverano<br />

Gli stereotipi - IV<br />

Gli stereotipi come “credenze legittimanti”<br />

• Che funzione hanno gli stereotipi<br />

...servono per semplificare e ordinare la realtà percepita.<br />

• In alcuni casi, sono la “giustificazione ideologica” per alcuni eventi sociali.<br />

• Gli stereotipi di gruppo, generalmente, sono condivisi dai membri dello stesso<br />

gruppo o <strong>della</strong> stessa società


Gli stereotipi - V<br />

• Questo è evidente confrontando gli stereotipi di <strong>gruppi</strong> o società. . Se lo<br />

stereotipo fosse individuale, sarebbe possibile osservare una serie di credenze<br />

stereotipiche che varia da persona a persona, mentre in realtà la maggior<br />

parte di tali credenze (per es. stereotipi di genere o “etnici”) sono condivisi da<br />

ampie maggioranze.<br />

• Gli stereotipi, inoltre, sono soggetti a cambiamenti quando si modificano le<br />

relazioni inter<strong>gruppi</strong> (es., attribuzioni stereotipiche negative al nemico in caso<br />

di conflitto: percezione “occidentale” degli arabi).<br />

• A volte sono aspetti <strong>della</strong> realtà <strong>sociale</strong> ed economica a far nascere degli<br />

stereotipi; questi, benché spesso non veri, , vengono utilizzati per legittimare il<br />

mantenimento delle disuguaglianze (es. percezione stereotipa negativa degli<br />

extracomunitari: “poco di buono”, “tolgono il lavoro ai locali”, “socialmente<br />

pericolosi”).


• Vari studi mostrano come, sulla base <strong>della</strong> sola appartenenza categoriale degli<br />

individui, vengono inferite e associate altre caratteristiche che fanno parte<br />

dell’immagine<br />

stereotipa di quella categoria<br />

Gli stereotipi come “aspettative”<br />

Gli stereotipi - VI<br />

• Gli stereotipi possono agire influenzando le aspettative e le valutazioni<br />

dell’osservatore riguardo il gruppo, o di un suo membro<br />

• Le valutazioni, in generale, vengono influenzate sia dalle informazioni generali<br />

che si hanno su un individuo, sia dalle aspettative create dallo stereotipo (ad<br />

es. l’appartenenza l<br />

ad una o all’altra altra classe <strong>sociale</strong> può influenzare la<br />

valutazione accademica).


Gli stereotipi - VII<br />

• Ci sono casi in cui le persone non usano gli stereotipi senza riflettere, ma<br />

piuttosto li utilizzano come ipotesi da sottoporre a verifica, , quindi possono<br />

essere confermate o smentite dalla realtà <strong>dei</strong> fatti (Darley(<br />

e Gross, , 1983).<br />

• Questo, in verità, , non accade molto spesso: la tendenza generale è quella di<br />

considerare le informazioni che confermano le aspettative e a sottostimare le<br />

informazioni incongruenti con esse.<br />

• Alcune ricerche (Hamilton e Rose, 1980) hanno dimostrato che gli stereotipi<br />

influenzano anche la memoria del passato (si ricordano maggiormente le<br />

associazioni più stereotipe)


Gli stereotipi - VIII<br />

• Ad es., uno studio di Hamilton e Rose (1980) mostra che il termine<br />

“attraente”<br />

è + ricordato in associazione alla categoria “hostess” piuttosto che alla<br />

categoria “venditore”.<br />

• Le aspettative verso i diversi <strong>gruppi</strong> fanno riferimento al sistema di valori<br />

dell’osservatore<br />

osservatore: : all’in<br />

in-group<br />

sono di solito associati molti tratti positivi e pochi<br />

tratti negativi, mentre la percezione dell’out<br />

out-group<br />

è inversa (anche se<br />

l’associazione di tratti è + debole)<br />

• Le aspettative stereotipe possono talvolta operare in modo automatico, , al di<br />

fuori <strong>della</strong> consapevolezza dell’individuo (Perdue(<br />

et al., 1990)


Gli stereotipi - IX<br />

Gli stereotipi come “profezie che si autoavverano”<br />

• Il processo di stereotipizzazione è bidirezionale, , nel senso che ogni soggetto<br />

(o gruppo) ha un determinato stereotipo nei confronti di un “oggetto” che non è<br />

statico, , ma reattivo.<br />

• La reazione dell’oggetto, paradossalmente, rinforza lo stereotipo, creando la<br />

situazione cosiddetta di “profezia che si autoavvera”.<br />

• Se penso che una donna non sia in grado di fare un determinato lavoro<br />

prettamente maschile in quanto la categoria viene stereotipata come c<br />

“troppo<br />

emotiva”, , molto probabilmente accadrà che i membri di questa si possano<br />

irritare. . L’irritazione<br />

L<br />

è percepita come dimostrazione di emotività...e lo<br />

stereotipo viene chiaramente rinforzato.


Gli stereotipi - X<br />

• Il processo, anche in questo caso, può essere automatico. Es. studio di Bargh<br />

sull’attivazione subliminare dello stereotipo; studi sulle scuole: aspettative delle<br />

insegnanti<br />

• In tutte le ricerche, di laboratorio o sul campo, colui che innesca la profezia che si<br />

autoavvera è sempre la persona che manifesta lo stereotipo (cioè è questa che<br />

provoca con un’azione<br />

il comportamento confermativo <strong>della</strong> persona bersaglio).<br />

• Può accadere anche che se le persone che sono oggetto di un pregiudizio ne<br />

sono consapevoli possano percepire quella che viene definita come “minaccia<br />

stereotipa” innescando la profezia che si autoavvera (Steele<br />

e Aronson, , 1995).<br />

• Praticamente, lo stereotipo viene interiorizzato nella concezione che una persona<br />

ha di sés<br />

in quanto membro di quella categoria (es:: prestazioni degli studenti neri ai<br />

test accademici).


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- I<br />

• Come si può definire il pregiudizio<br />

...il mantenimento o l’espressione l<br />

di atteggiamenti dispregiativi, emozioni<br />

negative o condotte discriminatorie nei confronti di membri di un gruppo<br />

esterno; tali fenomeni sono motivati dall’appartenenza appartenenza di questi membri al<br />

gruppo esterno (Brown, 1995).<br />

• Teoria <strong>della</strong> frustrazione-aggressivit<br />

aggressività (Dollard et al., 1939): la presenza di un<br />

comportamento aggressivo presuppone sempre l’esistenza l<br />

di frustrazione,<br />

così come l’esistenza l<br />

di frustrazione porta sempre a un comportamento<br />

aggressivo<br />

• Dato che spesso l’aggressivitl<br />

aggressività non può essere rivolta alla vera fonte <strong>della</strong><br />

frustrazione, allora viene “spostata” su un’altro<br />

obiettivo (ad esempio: un<br />

gruppo di minoranza).


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- II<br />

• Esempi “storici” (1): Dollard et al., 1939<br />

frustrazioni causate dal crollo dell’economia economia tedesca<br />

popolarità delle idee antisemite di Hitler<br />

• Esempi “storici” (2): Hovland e Sears, 1940<br />

fase di recessione economica (= alto prezzo del cotone)<br />

numero di neri linciati


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- III<br />

• Esperimento in un campo estivo per giovani di Miller e Bugelski (1948): la<br />

frustrazione per i vincoli posti dai responsabili del campo viene “sfogata” verso<br />

due <strong>gruppi</strong> minoritari (= aumento atteggiamenti negativi), mentre un gruppo di<br />

controllo (che non sperimenta la frustrazione) non mostra tale aumento. a<br />

• Punti di debolezza <strong>della</strong> teoria <strong>della</strong> frustrazione-aggressivit<br />

aggressività:<br />

- quale gruppo (o individuo) sarà scelto come capro espiatorio<br />

- la frustrazione non è né necessaria nén<br />

sufficiente a provocare l’aggressivitl<br />

aggressività<br />

(Berkowitz, 1962; Bandura, 1973)


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- IV<br />

• Teoria <strong>della</strong> frustrazione-aggressivit<br />

aggressività rivisitata da Berkowitz (1962; 1989):<br />

- il gruppo (o individuo) scelto come capro espiatorio è stato già in passato<br />

fonte di conflitto o antipatia<br />

- la frustrazione non è causata semplicemente dall’interferenza<br />

“oggettiva” con<br />

una risposta diretta allo scopo, ma anche da un ostacolo alla soddisfazione<br />

delle aspettative degli individui<br />

- la frustrazione è solo una delle possibili esperienze spiacevoli che provocano<br />

aggressività negli individui: anche altri “eventi avversi” (es.: percezione di<br />

dolore, calore, freddo) possono favorire l’aggressivitl<br />

aggressività (es.: le rivolte popolari<br />

sono + probabili con alti livelli di calore e umidità)


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- V<br />

• Limiti dell’approccio<br />

“frustrazione-aggressività”<br />

à”:<br />

- è un approccio individualistico in quanto...<br />

* presuppone che un’esplosione di scontento accade in<br />

quanto i<br />

membri di una folla sperimentino nello stesso<br />

istante uno stato emotivo<br />

negativo che viene poi<br />

“scaricato” da tutti verso lo stesso bersaglio<br />

* il pregiudizio è visto come un fenomeno irrazionale dovuto<br />

all’aggregazione aggregazione di stati emotivi individuali,<br />

dunque non ci sarebbe una<br />

premeditatazione verso uno<br />

specifico gruppo esterno<br />

- non è in grado di spiegare i comportamenti positivi (amicizia e cooperazione)<br />

tra i <strong>gruppi</strong>, in quanto l’assenza l<br />

di frustrazione implica solo l’assenza l<br />

di<br />

aggressività, , non l’eventuale l<br />

spinta a collaborare


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- VI<br />

• Teoria <strong>della</strong> “deprivazione relativa” (Runciman, 1966; Gurr, 1970):<br />

- le persone manifestano scontento quando percepiscono una discrepanza tra<br />

quanto hanno e quanto ritengono di dover avere (scarto tra aspettative tative e<br />

risultati: + è alto, + è la probabilità di scontento)<br />

• Runciman (1966) distingue tra:<br />

- deprivazione “egoistica” (insoddisfazione rispetto ad aspettative personali)<br />

- deprivazione “collettiva” (insoddisfazione rispetto alla deprivazione del proprio<br />

gruppo rispetto a uno standard desiderato)<br />

• Misurazione <strong>della</strong> deprivazione relativa: differenza di punteggio tra<br />

soddisfazione verso la propria vita reale e aspettativa verso la vita “ideale”<br />

(Cantril, 1965)


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- VII<br />

• Le ricerche di Gurr, 1970 (correlazione tra deprivazione relativa a e tumulti in<br />

varie nazioni) e di Crawford e Naditch, 1970 (correlazione tra deprivazione<br />

d<br />

relativa e atteggiamenti verso Potere Nero e le sommosse <strong>dei</strong> neri i a Detroit)<br />

forniscono evidenze empiriche a favore di questa teoria.<br />

• Cosa determina le aspettative degli individui<br />

Un fattore importante è l’esperienza passata<br />

• Secondo Davies (1969) è + probabile che le rivolte avvengano non dopo una<br />

deprivazione prolungata, ma dopo un periodo di prosperità relativa (= aumento<br />

di aspettative verso il futuro) che ha ricevuto un brusco freno


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- VIII<br />

• Davies sostiene infatti che le + famose rivolte “storiche” (rivoluzioni francese e<br />

russa, guerra civile americana, avvento del nazismo in Germania) sono state<br />

precedute da 20-30 anni di prosperità, , prima di un brusco arresto socio-<br />

economico.<br />

• La tesi di Davies è stata confermata solo in parte<br />

• Un altro fattore ipotizzato come antecedente l’aspettativa<br />

l<br />

è il contatto con altri<br />

<strong>gruppi</strong><br />

• Alcuni studi mostrano che il pregiudizio inter-<strong>gruppi</strong><br />

è legato alla deprivazione<br />

“collettiva”,, non a quella egoistica”<br />

(es.: sostegno <strong>dei</strong> neri a Potere Nero, sostegno <strong>dei</strong> francofoni agli a<br />

indipendentisti del Québec)


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- IX<br />

• Ma è la percezione di deprivazione “collettiva” che provoca il sostegno alla<br />

ribellione oppure è la partecipazione ad azioni collettive che favorisce la<br />

percezione di deprivazione<br />

• Alcune ricerche sembrano dimostrare che la direzione <strong>della</strong> relazione<br />

è quella<br />

propugnata dalla teoria <strong>della</strong> deprivazione relativa<br />

• Più recentemente sono stati portati almeno 4 ulteriori elementi in grado di<br />

migliorare il modello di predizione dello scontento <strong>sociale</strong> sulla a base <strong>della</strong><br />

deprivazione relativa<br />

1. il ruolo dell’identificazione di gruppo: : una forte identificazione <strong>dei</strong> membri<br />

sembra favorire la percezione di deprivazione “collettiva” che porta all’azione azione di<br />

gruppo


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- X<br />

2. la credenza <strong>dei</strong> membri che la protesta di gruppo possa favorire il<br />

cambiamento <strong>sociale</strong><br />

3. la natura dell’ingiustizia che provoca la percezione di deprivazione relativa: la<br />

percezione di un’ingiustizia<br />

“distributiva” (inequità di distribuzione) sembra -<br />

potente nel provocare deprivazione relativa rispetto a un’ingiustizia<br />

“procedurale” (inequità di metodo)<br />

4. il termine di confronto scelto (ossia il gruppo oggetto di paragone)


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XI<br />

• Dall’analisi analisi delle cause psico-sociali sociali dello scontento <strong>sociale</strong> in termini di<br />

deprivazione allo studio del conflitto tra interessi gruppali: la teoria del conflitto<br />

realistico di Sherif (1967)<br />

• Gli atteggiamenti e il comportamento inter-<strong>gruppi</strong> tenderanno a riflettere gli<br />

interessi oggettivi di ciascun gruppo nel confronto con gli altri i <strong>gruppi</strong>: se tali<br />

interessi gruppali sono in conflitto, aumenta la competitività (e l’ostilitl<br />

ostilità) ) inter-<br />

<strong>gruppi</strong>, se invece gli interessi coincidono, aumenta lo sforzo collaborativo<br />

(Sherif, 1967)


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XII<br />

• In quali condizioni si genera animosità fra i <strong>gruppi</strong><br />

I fenomeni inter-<strong>gruppi</strong> non possono essere spiegati invocando<br />

esclusivamente problemi di personalità o frustrazioni individuali. È necessario<br />

considerare le conseguenze dell’appartenenza di gruppo sugli individui (Sherif<br />

et al., 1961)<br />

• Le ricerche <strong>dei</strong> “campi estivi” (Sherif e Sherif, 1953; Sherif et al., 1955; 1961)<br />

Partecipanti: adolescenti americani, non consapevoli di partecipare ad una ricerca, che<br />

trascorrevano due settimane in un campo estivo diretto da Sherif e collaboratori<br />

Procedura: introduzione di diverse fasi, nel corso delle quali i ricercatori concentravano<br />

l’attenzione su aspetti diversi del gruppo e del comportamento inter<strong>gruppi</strong>


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XIII<br />

- Fase I: I le attività riguardavano tutti i partecipanti<br />

- Fase II: : dopo una settimana, divisione in due <strong>gruppi</strong> distinti, Rossi e Blu, , apparentemente al<br />

fine di organizzare le attività del campo<br />

* Separazione degli amici più stretti. Fine delle attività comuni<br />

* Evoluzione delle abitudini e delle gerarchie intra-<strong>gruppi</strong><br />

- Fase III: introduzione di competizione fra i due <strong>gruppi</strong><br />

* Rapido deterioramento delle relazioni inter-<strong>gruppi</strong>, caratterizzate<br />

formazione di stereotipi negativi dell’altro gruppo<br />

* Forte coesione all’interno di ciascun gruppo<br />

* Le tensioni inter-<strong>gruppi</strong> non cessavano nemmeno al termine delle<br />

competitive<br />

da ostilità e<br />

situazioni<br />

- Fase IV: introduzione di uno scopo sovraordinato per i due <strong>gruppi</strong><br />

* Diminuzione dell’ostilit<br />

ostilità e <strong>della</strong> tensione fra i <strong>gruppi</strong>


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XIV<br />

• Cosa ci dicono le ricerche <strong>dei</strong> “campi estivi”<br />

– i risultati sono interpretabili sulla base di dinamiche inter-<strong>gruppi</strong> e<br />

non di dinamiche inter-personali o intra-personali<br />

– il conflitto di interessi, anche rappresentato da giochi competitivi,<br />

tivi, è<br />

all’origine del conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

– scopi competitivi conducono a conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

– il gruppo premiato mostra maggiore favoritismo per il proprio<br />

gruppo (“in(<br />

in-group bias”) ) e discredito dell’out<br />

out-group<br />

rispetto al<br />

gruppo non premiato, contraddicendo la teoria <strong>della</strong> frustrazione-<br />

aggressività<br />

– scopi sovraordinati conducono a cooperazione fra <strong>gruppi</strong>


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XV<br />

• I risultati delle ricerche <strong>dei</strong> “campi estivi” (in particolare il fenomeno dell’in<br />

in-<br />

group bias) ) hanno ricevuto conferma anche da altri studi sperimentali<br />

• Studio di Black e Mouton (1962): 24 coppie di <strong>gruppi</strong> che competono per la<br />

risoluzione di un problema organizzativo. Risultati: : 46 <strong>gruppi</strong> valutano meglio la<br />

soluzione del proprio gruppo, 2 danno un giudizio di parità, , nessun gruppo<br />

valuta la soluzione dell’altro gruppo come migliore<br />

• Indagine etnografica di Brewer e Campbell (1976) su 30 <strong>gruppi</strong> tribali dell’Africa<br />

orientale: : la valutazione dell’in<br />

in-group e di vari out-group sulla base di diversi<br />

indici mostra un’in<br />

in-group bias + accentuato nel confronto con i <strong>gruppi</strong> + vicini<br />

(forse per una maggiore competizione su risorse comuni)


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XVI<br />

• La faziosità in direzione del proprio in-group (e i suoi “prodotti”)) rispetto all’out<br />

out-<br />

group, in caso di competizione o conflitto di interessi, è facilmente riscontrabile<br />

anche negli eventi socio-politici storici e di attualità<br />

• Secondo Sherif (1967), in linea con i risultati delle sue ricerche, la riduzione del<br />

conflitto e l’induzione l<br />

di sforzi cooperativi è possibile solo con la presenza di<br />

scopi sovraordinati, , cioè scopi desiderati da entrambi i <strong>gruppi</strong> il cui<br />

raggiungimento non è possibile con il solo impegno del proprio gruppo


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XVII<br />

• Alcuni studi (Ryen e Kahn, 1975; Turner, 1981; Brown e Adams, 1986)<br />

mostrano che, dopo che i <strong>gruppi</strong> hanno vissuto situazioni cooperative,<br />

diminuisce il favoritismo per l’inl<br />

in-group, pur senza scomparire del tutto<br />

• Altri studi hanno individuato <strong>dei</strong> limiti nella strategia degli scopi s<br />

sovraordinati<br />

• Ad es., un punto importante sembra essere l’esito l<br />

degli sforzi cooperativi


• Esperimento di Worchel et al. (1977): coppie di <strong>gruppi</strong> lavorano insieme su un<br />

compito con esiti positivi oppure negativi<br />

- I fase pre-prova<br />

prova: : alcuni <strong>gruppi</strong> lavorano in competizione, altri in cooperazione, altri ancora in<br />

indipendenza<br />

Risultati <strong>della</strong> rilevazione pre-:<br />

* atteggiamenti verso l’outl<br />

out-group + negativi nei <strong>gruppi</strong> che hanno lavorato in competizione, - negativi<br />

nei <strong>gruppi</strong> che hanno lavorato in cooperazione, intermedi negli altri; a<br />

viceversa per il favoritismo<br />

verso l’inl<br />

in-group<br />

* maggior coesione nei <strong>gruppi</strong> che hanno lavorato in competizione<br />

- II fase: prova<br />

Risultati <strong>della</strong> rilevazione post-:<br />

Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XVIII<br />

* a prescindere dall’esito, stabilità del favoritismo in-group<br />

e miglioramento dell’atteggiamento verso<br />

l’out-group in tutti i <strong>gruppi</strong>, eccetto quelli che avevano avuto esito negativo nella prova e nella I fase<br />

avevano lavorato in competizione


Conflitto inter-<strong>gruppi</strong><br />

- XIX<br />

• Altri studi suggeriscono che gli scopi sovraordinati sono efficaci ci nel promuovere<br />

atteggiamenti positivi verso l’outl<br />

out-group soprattutto se ciascun gruppo mantiene<br />

parte <strong>della</strong> sua identità di gruppo nell’attivit<br />

attività congiunta (ad es., in termini di<br />

distinguibilità del contributo del proprio gruppo)<br />

• Limiti <strong>della</strong> teoria del conflitto realistico nello spiegare le relazioni inter-<strong>gruppi</strong>:<br />

- il favoritismo per l’inl<br />

in-group e gli atteggiamenti negativi verso l’outl<br />

out-group non<br />

scompaiono con la cooperazione<br />

- non sempre è necessario un conflitto esplicito di interessi per produrre<br />

favoritismo per l’inl<br />

in-group e atteggiamenti negativi verso l’outl<br />

out-group<br />

- il focus è solo sui conflitti “reali”,, mentre non è contemplata l’importanza l<br />

del<br />

conflitto percepito (importanza delle credenze del gruppo) o <strong>della</strong> la competizione<br />

rispetto a beni intangibili (ad es. il prestigio <strong>sociale</strong>)


Gli stereotipi - I<br />

• Come si può definire il concetto di stereotipo<br />

In linea generale, possiamo affermare che uno stereotipo è dato dalle<br />

inferenze, dalla immagini mentali che abbiamo quando richiamiamo una certa<br />

categoria.<br />

• Nel processo di categorizzazione con cui ordiniamo e semplifichiamo la realtà,<br />

le persone vengono inserite in categorie; il contenuto di queste categorie è<br />

costituito, appunto, dagli stereotipi.


Gli stereotipi - II<br />

• Tajfel (1981): gli stereotipi costituiscono prodotti peculiari del d<br />

processo<br />

cognitivo di categorizzazione.<br />

• Gli stereotipi sociali hanno le seguenti caratteristiche:<br />

– vengono condivisi da molte persone all’interno di <strong>gruppi</strong> o<br />

istituzioni sociali<br />

– costituiscono immagini semplificate al massimo di una categoria<br />

<strong>sociale</strong>, un’istituzione o un evento<br />

– consentono la spiegazione di eventi complessi, la giustificazione e di<br />

azioni progettate o commesse verso altri <strong>gruppi</strong>; permettono la<br />

differenziazione positiva del proprio gruppo rispetto agli altri <strong>gruppi</strong>


Gli stereotipi - III<br />

Distinzione concettuale fra stereotipo e pregiudizio<br />

– stereotipo <strong>sociale</strong> = immagine semplificata di una categoria<br />

di persone o un evento, condivisa nei tratti essenziali da<br />

molte persone; si accompagna in genere al pregiudizio<br />

– pregiudizio = giudizio o opinione a priori, in genere con<br />

connotazione negativa, verso persone, <strong>gruppi</strong> o altri oggetti<br />

sociali salienti


• Secondo Brown (2000) esistono tre fattori connessi agli aspetti sociali degli<br />

stereotipi che, quindi hanno a che fare con la relazione inter<strong>gruppi</strong>.<br />

1. le credenze legittimanti<br />

2. le aspettative<br />

3. le profezie che si autoavverano<br />

Gli stereotipi - IV<br />

Gli stereotipi come “credenze legittimanti”<br />

• Che funzione hanno gli stereotipi<br />

...servono per semplificare e ordinare la realtà percepita.<br />

• In alcuni casi, sono la “giustificazione ideologica” per alcuni eventi sociali.<br />

• Gli stereotipi di gruppo, generalmente, sono condivisi dai membri i dello stesso<br />

gruppo o <strong>della</strong> stessa società


Gli stereotipi - V<br />

• Questo è evidente confrontando gli stereotipi di <strong>gruppi</strong> o società. . Se lo<br />

stereotipo fosse individuale, sarebbe possibile osservare una serie di credenze<br />

stereotipiche che varia da persona a persona, mentre in realtà la maggior<br />

parte di tali credenze (per es. stereotipi di genere o “etnici”) sono condivisi da<br />

ampie maggioranze.<br />

• Gli stereotipi, inoltre, sono soggetti a cambiamenti quando si modificano m<br />

le<br />

relazioni inter<strong>gruppi</strong> (es., attribuzioni stereotipiche negative al nemico in caso<br />

di conflitto: percezione “occidentale” degli arabi).<br />

• A volte sono aspetti <strong>della</strong> realtà <strong>sociale</strong> ed economica a far nascere degli<br />

stereotipi; questi, benché spesso non veri, vengono utilizzati per legittimare il<br />

mantenimento delle disuguaglianze (es. percezione stereotipa negativa degli<br />

extracomunitari: “poco di buono”, “tolgono il lavoro ai locali”, “socialmente<br />

pericolosi”).


• Vari studi mostrano come, sulla base <strong>della</strong> sola appartenenza categoriale degli<br />

individui, vengono inferite e associate altre caratteristiche che e fanno parte<br />

dell’immagine stereotipa di quella categoria<br />

Gli stereotipi come “aspettative”<br />

Gli stereotipi - VI<br />

• Gli stereotipi possono agire influenzando le aspettative e le valutazioni<br />

dell’osservatore riguardo il gruppo, o di un suo membro<br />

• Le valutazioni, in generale, vengono influenzate sia dalle informazioni generali<br />

che si hanno su un individuo, sia dalle aspettative create dallo stereotipo (ad<br />

es. l’appartenenza l<br />

ad una o all’altra altra classe <strong>sociale</strong> può influenzare la<br />

valutazione accademica).


Gli stereotipi - VII<br />

• Ci sono casi in cui le persone non usano gli stereotipi senza riflettere, r<br />

ma<br />

piuttosto li utilizzano come ipotesi da sottoporre a verifica, quindi q<br />

possono<br />

essere confermate o smentite dalla realtà <strong>dei</strong> fatti (Darley e Gross, 1983).<br />

• Questo, in verità, , non accade molto spesso: la tendenza generale è quella di<br />

considerare le informazioni che confermano le aspettative e a sottostimare le<br />

informazioni incongruenti con esse.<br />

• Alcune ricerche (Hamilton e Rose, 1980) hanno dimostrato che gli stereotipi<br />

influenzano anche la memoria del passato (si ricordano maggiormente le<br />

associazioni più stereotipe)


Gli stereotipi - VIII<br />

• Ad es., uno studio di Hamilton e Rose (1980) mostra che il termine<br />

“attraente”<br />

è + ricordato in associazione alla categoria “hostess” piuttosto che alla<br />

categoria “venditore”.<br />

• Le aspettative verso i diversi <strong>gruppi</strong> fanno riferimento al sistema di valori<br />

dell’osservatore: all’in<br />

in-group sono di solito associati molti tratti positivi e pochi<br />

tratti negativi, mentre la percezione dell’out<br />

out-group<br />

è inversa (anche se<br />

l’associazione di tratti è + debole)<br />

• Le aspettative stereotipe possono talvolta operare in modo automatico, atico, al di<br />

fuori <strong>della</strong> consapevolezza dell’individuo (Perdue et al., 1990)


Gli stereotipi - IX<br />

Gli stereotipi come “profezie che si autoavverano”<br />

• Il processo di stereotipizzazione è bidirezionale, nel senso che ogni soggetto<br />

(o gruppo) ha un determinato stereotipo nei confronti di un “oggetto” che non è<br />

statico, ma reattivo.<br />

• La reazione dell’oggetto, paradossalmente, rinforza lo stereotipo, creando la<br />

situazione cosiddetta di “profezia che si autoavvera”.<br />

• Se penso che una donna non sia in grado di fare un determinato lavoro l<br />

prettamente maschile in quanto la categoria viene stereotipata come c<br />

“troppo<br />

emotiva”, , molto probabilmente accadrà che i membri di questa si possano<br />

irritare. L’irritazione<br />

L<br />

è percepita come dimostrazione di emotività...e lo<br />

stereotipo viene chiaramente rinforzato.


Gli stereotipi - X<br />

• Il processo, anche in questo caso, può essere automatico.<br />

• In tutte le ricerche, di laboratorio o sul campo, colui che innesca la profezia che si<br />

autoavvera è sempre la persona che manifesta lo stereotipo (cioè è questa che<br />

provoca con un’azione il comportamento confermativo <strong>della</strong> persona bersaglio).<br />

• Quello che accade è che se le persone che sono oggetto di un pregiudizio ne<br />

sono consapevoli possano percepire quella che viene definita come “minaccia<br />

stereotipa” innescando la profezia che si autoavvera (Steele e Aronson, 1995).<br />

• Praticamente, lo stereotipo viene interiorizzato nella concezione e che una persona<br />

di sés<br />

in quanto membro di quella categoria (es: prestazioni degli studenti neri ai<br />

test accademici).

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