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09.01.2015 Views

Introduzione Verso una mediazione di nuova generazione La mediazione culturale, interculturale, linguistica o linguistico-culturale di cui trattiamo in questo studio (userò indifferentemente questi termini) fa riferimento ad un particolare tipo di intervento-dispositivo che si inserisce all’interno di contesti sociali e territoriali caratterizzati dalla presenza di popolazioni migranti, dove persone che non condividono la stessa lingua e le medesime appartenenze culturali entrano in contatto e comunicazione. La precisazione non è scontata. È capitato più di una volta, in tempi recenti, di assistere a vivaci dibattiti tra studiosi e operatori della mediazione linguistico-culturale che, partendo da premesse, riferimenti e contesti differenti, riconducevano alla medesima espressione pratiche mediatorie con significati e finalità assai diverse. Con il risultato paradossale, soprattutto per coloro che si occupano di mediazione, di non comprendersi e stupirsi reciprocamente. La mediazione è indubbiamente una prospettiva rintracciabile in numerosi campi della conoscenza e in molteplici aspetti della vita umana, dalla filosofia alla psicologia, dalla teologia alla medicina, dal diritto alla linguistica. Non c’è un uso univoco e condiviso di tale termine e ancor meno dell’espressione “mediazione interculturale” o delle altre sopra menzionate le quali, pur indicando pratiche traduttive e mediatorie svolte da un professionista interprete-mediatore, possono essere riferite ad ambiti diversi (economico, politico, diplomatico…) che nulla hanno a che vedere con il tema della migrazione. La mediazione interculturale di cui trattiamo in questo studio non va dunque confusa con quella presente in ambito economico, piuttosto che in ambito della cooperazione internazionale: nonostante alcuni aspetti in comune, i contesti, le finalità, i compiti, i ruoli e gli interlocutori sono assai diversi. Nessuno può pretendere di avere l’uso esclusivo e più “vero” di tale espressione. Prenderne atto è un buon esercizio di

Introduzione<br />

Verso una mediazione di nuova generazione<br />

La mediazione culturale, interculturale, linguistica o linguistico-culturale<br />

di cui trattiamo in questo studio (userò indifferentemente questi<br />

termini) fa riferimento ad un particolare tipo di intervento-dispositivo<br />

che si inserisce all’interno di contesti sociali e territoriali caratterizzati<br />

dalla presenza di popolazioni migranti, dove persone che non condividono<br />

la stessa lingua e le medesime appartenenze culturali entrano in<br />

contatto e comunicazione. La precisazione non è scontata.<br />

È capitato più di una volta, in tempi recenti, di assistere a vivaci<br />

dibattiti tra studiosi e operatori della mediazione linguistico-culturale<br />

che, partendo da premesse, riferimenti e contesti differenti, riconducevano<br />

alla medesima espressione pratiche mediatorie con significati<br />

e finalità assai diverse. Con il risultato paradossale, soprattutto per<br />

coloro che si occupano di mediazione, di non comprendersi e stupirsi<br />

reciprocamente.<br />

La mediazione è indubbiamente una prospettiva rintracciabile in numerosi<br />

campi della conoscenza e in molteplici aspetti della vita umana,<br />

dalla filosofia alla psicologia, dalla teologia alla medicina, dal diritto<br />

alla linguistica. Non c’è un uso univoco e condiviso di tale termine e<br />

ancor meno dell’espressione “mediazione interculturale” o delle altre<br />

sopra menzionate le quali, pur indicando pratiche traduttive e mediatorie<br />

svolte da un professionista interprete-mediatore, possono essere<br />

riferite ad ambiti diversi (economico, politico, diplomatico…) che nulla<br />

hanno a che vedere con il tema della migrazione.<br />

La mediazione interculturale di cui trattiamo in questo studio non<br />

va dunque confusa con quella presente in ambito economico, piuttosto<br />

che in ambito della cooperazione internazionale: nonostante alcuni<br />

aspetti in comune, i contesti, le finalità, i compiti, i ruoli e gli interlocutori<br />

sono assai diversi. Nessuno può pretendere di avere l’uso esclusivo<br />

e più “vero” di tale espressione. Prenderne atto è un buon esercizio di


decentramento e ci apre a orizzonti e visioni altre sulla mediazione, che<br />

possono rivelarsi utili anche per quella specie di mediazione finalizzata<br />

all’inclusione delle popolazioni immigrate.<br />

La mediazione che prende impulso dalla realtà dei fenomeni migratori<br />

è quindi una delle molteplici forme di mediazione culturale/interculturale<br />

esistenti. Ed è forse una delle più recenti in ordine di tempo.<br />

Va intesa “come dimensione di tutte le politiche di integrazione”, secondo<br />

un’efficace espressione del Consiglio Nazionale dell’Economia e<br />

<br />

culturale, sociale, storico, in Italia da almeno vent’anni e in altri paesi<br />

europei da più tempo, con storia e specificità proprie. Parimenti, esistono<br />

vari modi di essere della mediazione interculturale con popolazione<br />

immigrata, come documentiamo in questo libro. Il quadro è dunque<br />

composito e stratificato.<br />

La mediazione interculturale è una professione centrata sulle competenze<br />

linguistiche e relazionali, agita da un professionista della comunicazione<br />

mediata, appositamente formato a tale lavoro: il mediatore<br />

e la mediatrice interculturale.<br />

L’intervento del mediatore ha come finalità centrale il superamento<br />

delle barriere comunicative di tipo linguistico e culturale che possono<br />

presentarsi nell’interazione con migranti, nella consapevolezza e nella<br />

conoscenza degli aspetti importanti che compongono una “identità<br />

migrante” (progetto migratorio, ricongiungimento familiare, processo<br />

di acculturazione, cambiamenti culturali inerenti ad ogni trapianto di<br />

lunga durata…). Il mediatore svolge non solo un’attività di interpretariato<br />

linguistico e culturale, ma anche un’attività socio-culturale di<br />

accompagnamento e di facilitazione delle relazioni; non è tuttavia un<br />

esperto di “culture” e neppure un esperto di intercultura: è un “atleta”<br />

dell’incontro e della comunicazione mediata, è un “agente” di riconoscimento<br />

dell’altro come persona, della sua storia, dei suoi riferimenti<br />

culturali, dei suoi diritti… e attraverso il suo intervento consente di<br />

aprire spazi, passaggi e pertugi ad una partecipazione più consapevole.<br />

La presenza di un mediatore interculturale è già un segno di riconoscimento<br />

da parte del paese di accoglienza e da parte dell’ente/servizio,<br />

dei bisogni, delle specificità e delle differenze culturali, linguistiche,<br />

religiose, etc. espresse dai singoli, dai nuclei familiari, dai gruppi di


minoranza. E la domanda espressa dai migranti ai servizi è spesso una<br />

domanda complessa, molteplice, che nasconde un bisogno di presa in<br />

carico a largo raggio, riguardante una pluralità di aspetti interconnessi<br />

tra di loro (sanitario, sociale, relazionale, professionale). Il mediatore<br />

è, pertanto, un agente di promozione dei processi partecipativi e di<br />

cittadinanza, nonché un facilitatore del processo di cittadinizzazione<br />

degli stranieri, ovvero di progressiva acquisizione e interiorizzazione<br />

degli elementi socio-culturali, relazionali, economici e istituzionali che<br />

caratterizzano la società di arrivo.<br />

A livello europeo la figura del mediatore interculturale non è ancora<br />

una figura chiara e presente in tutti i paesi, con un profilo certo e riconosciuto<br />

dalle legislazioni nazionali e non trova ancora una collocazione<br />

definita e adeguata nei servizi territoriali. In Italia se ne parla dalla<br />

fine degli anni Ottanta del secolo scorso, e il primo documento ufficiale<br />

che ne fa esplicito riferimento è del 1990. Un percorso di due decenni,<br />

ricco di esperienze, pratiche, dibattiti, riflessioni e protagonisti.<br />

Alla frammentarietà e indefinitezza delle direttive e delle norme a<br />

livello nazionale ha corrisposto una marcata eterogeneità e differenziazione<br />

delle previsioni a livello regionale e locale, in ordine a requisiti<br />

di accesso, percorsi formativi, mandati, collocazioni in relazione alla<br />

struttura dei servizi… La presenza, poi, di una prospettiva universitaria<br />

sulla mediazione interculturale (nella formazione e nella ricerca) si sta<br />

rivelando un importante elemento di rinnovamento e di contaminazione<br />

forse ancora poco compreso. Nel contempo, la rapida e intensa<br />

crescita quantitativa dell’immigrazione, e soprattutto il passaggio dal<br />

primo al secondo ciclo del fenomeno migratorio (la crescita della componente<br />

familiare, la presenza dei bambini e dei ragazzi di “seconda<br />

generazione”, i processi di mescolamento esemplificati dalle numerose<br />

unioni coniugali tra autoctoni e migranti…), trasformando profondamente<br />

il paesaggio urbano, hanno moltiplicato la richiesta di mediatrici<br />

e mediatori interculturali da parte delle istituzioni e dei servizi alla<br />

persona.<br />

Le prospettive delle (e sulla) mediazione, dunque, si sono moltiplicate<br />

e incrociate in questi anni, e anche i terreni di ricerca stanno conoscendo<br />

dei mutamenti importanti, favoriti in questo dal fatto di essere<br />

la mediazione una professionalità di frontiera, che si avvale e si arric-


chisce di saperi ed esperienze diverse. Nemmeno i confini della mediazione<br />

sono così chiari. Il suo orizzonte appare ampio e frastagliato.<br />

Un ragionamento ampio e approfondito sulla mediazione interculturale<br />

deve prendere avvio necessariamente da questa prospettiva: qual è<br />

stato il cammino compiuto e come sono cambiati i bisogni di mediazio-<br />

<br />

gli snodi che attendono di essere chiariti e superati Come vedremo, si<br />

tratta di domande complesse, che ne racchiudono molte altre. Chi si avvicina<br />

al tema della mediazione professionale con finalità di studio ha<br />

l’impressione di trovarsi di fronte ad una matassa ingarbugliata di questioni<br />

e contraddizioni lasciate sedimentare per troppo tempo. Obiettivo<br />

di questo studio è, per restare dentro metafora, ritrovare il filo della<br />

matassa: ricostruire il percorso realizzato con uno sguardo al futuro;<br />

evidenziare contraddizioni e trasformazioni dell’idea e delle pratiche,<br />

nonché i possibili e auspicabili intrecci interdisciplinari; contribuire a<br />

rendere meno asfittica e autoreferenziale la riflessione sul tema.<br />

Ripercorrere il cammino incerto e faticoso di un dispositivo coraggioso<br />

e creativo, “nato per dare voce a più voci”, come la mediazione<br />

interculturale, porta inevitabilmente a riflettere sui mutamenti avvenuti<br />

lungo quasi due decenni nell’immigrazione, nei servizi e nelle comunità<br />

locali, nelle politiche di integrazione, nella pratiche interculturali, nelle<br />

professioni del sociale, nel dibattito sul multiculturalismo. Come essi<br />

hanno cambiato e cambiano la mediazione E qual è stato il contributo<br />

della mediazione e dei mediatori al cambiamento Le “promesse” della<br />

mediazione sono state mantenute e fino a che punto<br />

Negli anni il dispositivo della mediazione è diventato pratica diffusa<br />

– ma non ancora stabile e organico ai servizi – richiesta moltiplicata e<br />

soluzione invocata come “chiave” per facilitare la comunicazione (che<br />

si vorrebbe più efficace e inclusiva), per rendere più fluido il dialogo,<br />

disvelare gli impliciti, prevenire il conflitto. Per la mediazione (e per le<br />

mediatrici e i mediatori), aver acquisito via via una posizione di maggiore<br />

centralità nelle politiche di integrazione, non ha ancora portato<br />

ad una sostanziale legittimazione e a un riconoscimento professionale.<br />

La mediazione, in definitiva, sembra vittima della sua stessa fortuna: la<br />

pervasività del fenomeno migratorio fa sì che sia invocata e richiesta<br />

un po’ ovunque con la tendenza ad attribuire ai mediatori funzioni cre-


scenti e variegate; ma questa dispersione e pluralizzazione di contesti<br />

di intervento e di mansioni (mediatori dappertutto e onniscienti) porta<br />

a disegnare una professione debole, confusa, non priva di ambiguità.<br />

Una professione che più di altre ha risentito dei radicali cambiamenti<br />

sociali degli ultimi decenni e che ora deve volgersi a dare sistemazione<br />

al proprio profilo, inaugurando una nuova fase più consapevole dei<br />

temi e delle domande ancora aperte e delle acquisizioni sedimentate.<br />

È questo l’orizzonte a cui guarda il libro. Il primo capitolo ricostruisce<br />

il cammino ventennale della mediazione linguistico-culturale in Italia,<br />

evidenziando i principali passaggi (e le soste) che hanno contribuito alla<br />

sua attuale configurazione e le possibili prospettive della professione<br />

di mediatore e mediatrice interculturale. Il secondo e il terzo capitolo<br />

entrano nel cuore dei temi, delle questioni e delle trasformazioni delle<br />

idee e delle pratiche della mediazione, richiamandosi in più parti<br />

ad alcune ricerche realizzate in Italia e all’estero. Il quarto capitolo<br />

approfondisce le pratiche mediatorie in alcuni settori di intervento,<br />

sottolineando le acquisizioni maturate e i mutamenti prodottisi, al fine<br />

di ripensarle e reinventarle in nuove condizioni e su una scala diversa.<br />

Per la redazione di alcuni suoi paragrafi mi sono avvalso della preziosa<br />

collaborazione di Mirca Ognisanti, Elena De Filippo, Maddalena Pinto e<br />

Andrea Morniroli, a cui va il mio più sentito ringraziamento. Il capitolo<br />

conclusivo presenta alcune riflessioni di cui i mediatori, le agenzie di<br />

mediazione e i formatori possono servirsi per garantire una preparazione<br />

più efficace al lavoro mediato.

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