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Vent'anni dalla 180 - Friuli Occidentale

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➋<br />

B O O K S E I<br />

AZIENDA PER I SERVIZI SANITARI N.6<br />

FRIULI OCCIDENTALE<br />

Vent’anni<br />

<strong>dalla</strong> <strong>180</strong><br />

L’esperienza del DSM<br />

di Pordenone<br />

➋<br />

B O O K S E I<br />

Intervista a<br />

Lucio Schittar<br />

AZIENDA PER I SERVIZI SANITARI N.6 FRIULI OCCIDENTALI<br />

Il lavoro con<br />

le famiglie<br />

Il ricovero<br />

psichiatrico<br />

del doporiforma<br />

I nodi del<br />

doporiforma<br />

Attività<br />

dei servizi<br />

psichiatrici<br />

del Distretto<br />

Nord<br />

La domanda di<br />

salute mentale<br />

in ospedale<br />

Complessità<br />

e integrazione:<br />

parole vuote<br />

o percorsi<br />

possibili<br />

2


BookSei 2<br />

Collana di Quaderni Scientifici<br />

dell’Azienda per i Servizi Sanitari n. 6<br />

<strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong><br />

Direttore Generale<br />

Ing. Giulio De Antoni<br />

Direttore Sanitario<br />

Dr. Marco Castelletto<br />

Direttore Amministrativo<br />

Dr. Renato Andreazza<br />

Comitato Editoriale<br />

(responsabile)<br />

Marco Castelletto<br />

Lucio Bomben<br />

Angelo Cassin<br />

Roberto Celotto<br />

Maddalena Coletti<br />

Giulio Camillo De Gregorio<br />

Andrea Flego<br />

Mario Fogolin<br />

Anna Furlan<br />

Ferruccio Giaccherini<br />

Salvatore Guarneri<br />

Flavia Munari<br />

Gianni Vicario<br />

Coordinamento Editoriale<br />

Anna Maria Falcetta<br />

Luca Sbrogiò<br />

Progetto Grafico<br />

Omar Cescut<br />

Patrizio A. De Mattio<br />

Stampa<br />

Tipografia Sartor<br />

Pordenone<br />

© Copyright<br />

Azienda per i Servizi Sanitari n. 6<br />

<strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong><br />

Booksei 2<br />

Vent’anni <strong>dalla</strong> <strong>180</strong><br />

L’esperienza del DSM di Pordenone<br />

ISBN 88 - 900235 - 2 - X


AZIENDA PER I SERVIZI SANITARI N.6<br />

FRIULI OCCIDENTALE<br />

Vent’anni <strong>dalla</strong> <strong>180</strong><br />

L’esperienza<br />

del DSM di Pordenone<br />

➋<br />

B O O K S E I


Presentazione<br />

Booksei n.2<br />

Seconda monografia<br />

della collana<br />

scientifica aziendale<br />

ing. Giulio De Antoni<br />

Direttore Generale<br />

ASS n. 6<br />

<strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong><br />

“Booksei”, la collana scientifica aziendale, è arrivata al secondo numero. La<br />

prima monografia, curata dal Dipartimento per le Dipendenze dell’Azienda,<br />

ha affrontato il problema del craving (“Craving: il desiderio incontrollabile”,<br />

Pordenone, aprile 1998). Questa seconda pubblicazione, curata dagli<br />

operatori del Dipartimento di Salute Mentale, intende ora far il punto su un<br />

argomento di particolare attualità: l’assistenza sanitaria territoriale al malato<br />

mentale nel pordenonese a vent’anni <strong>dalla</strong> legge <strong>180</strong>.<br />

Si tratta evidentemente di uno tra gli aspetti più controversi del grande<br />

mutamento in atto nel campo assistenziale. La de-istituzionalizzazione del malato psichiatrico, messa in<br />

atto <strong>dalla</strong> citata legge, ha segnato un punto irrinunciabile di crescita del mondo della sanità in particolare<br />

e della società nel suo complesso. Nello stesso tempo non possono essere misconosciuti i problemi<br />

organizzativi, assistenziali e di tipo familiare che ne sono derivati. Questa monografia si inserisce nella<br />

riflessione in atto con tutto il peso del grande lavoro svolto in questi anni dagli operatori del<br />

Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda per i Servizi Sanitari n. 6.<br />

Nei prossimi mesi la collana si arricchirà di altre pubblicazioni, attualmente in via di completamento, a partire<br />

da quelle curate dal Dipartimento di Neuro-Psichiatria Infantile e dal Dipartimento di Prevenzione.<br />

Si precisano così, in modo via via più chiaro, gli obiettivi e la fisionomia di questa iniziativa editoriale:<br />

raccogliere le esperienze più significative maturate nell’ambito aziendale evitando il rischio di una loro<br />

perdita; far conoscere il loro valore agli altri Servizi della stessa Azienda ed agli omologhi Servizi regionali<br />

e nazionali.<br />

Ci auguriamo dunque che a questo numero, frutto dell’impegno degli operatori del Dipartimento di<br />

Salute Mentale, seguano, con la stessa profondità e la stessa completezza dimostrate, ulteriori preziose<br />

monografie.<br />

B O O K S E I 5


Vent’anni <strong>dalla</strong> <strong>180</strong><br />

L’esperienza del DSM di Pordenone<br />

Comitato di Redazione<br />

Responsabile Angelo Cassin<br />

Augusto Casasola, Pietro Colussi, Sandra<br />

Conte, Bruno Forti, Giuseppe Geppini,<br />

Margherita Gobbi, Matteo Impagnatiello,<br />

Amalia Manzan, Alfredo Sigismondi,<br />

Fulvio Tesolin.<br />

Dipartimento Salute Mentale<br />

Azienda per i Servizi Sanitari n. 6<br />

<strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong><br />

Via Interna 5/A, 33170 Pordenone<br />

Tel. 0434 550817 - 550474 - 550199<br />

Fax 0434 550205<br />

2


8 B O O K S E I


Sommario<br />

Vent’anni <strong>dalla</strong> <strong>180</strong> 11<br />

L’esperienza del DSM di Pordenone<br />

I nodi del dopo riforma 15<br />

L’azione dell’operatore psichiatrico nel turbolento processo di cambiamento<br />

a cura di Angelo Cassin<br />

Intervista a Lucio Schittar 23<br />

Presente, passato e futuro della psichiatria nelle parole di un protagonista del cambiamento<br />

di Matteo Impagnatiello e Piero Colussi<br />

Complessità e integrazione: parole vuote o percorsi possibili 29<br />

Teoria e pratica vent’anni dopo la riforma psichiatrica.<br />

di Bruno Forti<br />

Attività dei servizi psichiatrici del Distretto Nord 37<br />

1° gennaio 1977 - 31 dicembre 1996<br />

di Giuseppe Geppini<br />

Il ricovero psichiatrico nel doporiforma 51<br />

Modifica delle domande e delle risposte fra bisogni di cura e controllo sociale<br />

di Alfredo Sigismonti, Bruno Forti, Giovanni Gaiatto, Amalia Manzan<br />

La domanda di salute mentale in ospedale 59<br />

Elementi per un sistema valutativo del DSM<br />

di Augusto Casasola e Fulvio Tesolin<br />

Il lavoro con le famiglie 70<br />

L’importanza del clima emotivo familiare<br />

di Danila Bortolussi, Fausto Della Bianca, Giovanni Michele Fontana<br />

Rubriche<br />

Prossimamente dal DSM 77<br />

La redazione<br />

B O O K S E I 9


1 0 B O O K S E I


Editoriale<br />

Vent’anni <strong>dalla</strong> <strong>180</strong><br />

L’esperienza<br />

del DSM di Pordenone<br />

La redazione<br />

La monografia “Vent’anni <strong>dalla</strong> <strong>180</strong>. L’esperienza del DSM di Pordenone”<br />

rappresenta per gli operatori del Dipartimeno di Salute Mentale<br />

di Pordenone un ottimo terreno di confronto tra loro, con altri colleghi,<br />

con l’Amministrazione. Questo primo numero, in particolare,<br />

fornisce l’occasione per approfondire un tema del quale si dibatte da<br />

tempo e che si articola su vari aspetti del lavoro quotidiano, un evento<br />

troppo importante per essere ignorato: il ventennale dell’entrata in<br />

vigore della legge <strong>180</strong>. Le leggi di cui vengono, per così dire, “celebrati<br />

gli anniversari” sono poche e sono quelle che hanno segnato una svolta<br />

nella storia e nella cultura di un paese. Sicuramente la <strong>180</strong> è fra queste: è una di quelle leggi<br />

con alto potenziale di trasformazione e che presenta ancora molti aspetti non realizzati; essendo<br />

una legge quadro ha visto numerose interpretazioni ed applicazioni locali spesso molto diverse<br />

da zona a zona del paese. Pazienti, operatori, familiari e politici ritengono che ci sarebbero molti<br />

aspetti da ridefinire e propongono ipotesi spesso diametralmente opposte tra loro.<br />

In questi 20 anni il DSM di Pordenone ha seguito la strada della applicazione delle norme contenute<br />

nella <strong>180</strong>, in prima fila, insieme a pochi altri Centri in Italia, esprimendo un gran numero<br />

di idee e progetti, realizzando iniziative significative attraverso la costruzione di paradigmi operativi<br />

originali e la valorizzazione della cultura locale.<br />

Vorremmo segnalare, all’interno della attuale organizzazione, alcuni progetti che maggiormente<br />

sono collegati con le indicazioni della riforma psichiatrica e che caratterizzano particolarmente<br />

l’attività del DSM. Questi nuclei di attività nascono attorno all’idea fondamentale di porre l’utente,<br />

la persona, al centro del modello operativo. I bisogni, le domande e le risorse del territorio<br />

che risultano essere il riferimento ideologico per la pratica dei nostri Servizi, riguardano nella<br />

pratica quotidiana:<br />

La centralità del lavoro: come risorsa importante per il paziente. Il DSM è stato protagonista in<br />

B O O K S E I 11


Editoriale<br />

tutti questi anni nella creazione e nello sviluppo di due significative cooperative Sociali: la Noncello<br />

e il Seme. Si è consolidata la pratica dell’inserimento lavorativo attraverso interventi diversificati:<br />

corsi di formazione, stesura di protocolli e schede per l’inserimento lavorativo, analisi di<br />

esito, collaborando anche con altre realtà occupazionali presenti nel territorio per favorire l’integrazione<br />

sociale dell’utenza.<br />

La formazione degli operatori è stata sempre all’attenzione del DSM come strumento importante<br />

di lavoro. Negli anni, in collaborazione con il Centro Studi e Ricerche sulla Salute Mentale<br />

della regione FVG, ha attivato la Scuola quadriennale di Psicoterapia e Riabilitazione, una serie<br />

ricca di programmi formativi rivolti alle equipes, di interventi specifici per ruoli e competenze.<br />

Una particolare attenzione viene rivolta alla formazione degli infermieri di nuovo accesso. Da<br />

anni il DSM promuove iniziative formative/informative rivolte alla cittadinanza ed in particolare<br />

ai familiari. Attualmente sono in corso tre programmi formativi rivolti ai familiari, ai volontari e<br />

agli attivatori di gruppi di auto-mutuo-aiuto.<br />

L’attività riabilitativa per la quale il DSM ha mantenuto negli anni la capacità di svilupparsi riuscendo<br />

spesso ad incontrare le reali necessità dei pazienti ed articolando tali attività nei luoghi di<br />

vita e non solo in spazi istituzionali (Centri diurni, strutture riabilitative, gruppi appartamento,<br />

centri sociali, ecc, ). Molte sono state le occasioni riabilitative, nel senso della riconquista di spazi<br />

di partecipazione alla vita sociale e numerosi interventi di socializzazione esterni ai Servizi.<br />

La partecipazione al progetto nazionale di accreditamento tra pari e qualità dei Servizi vede<br />

coinvolte tutte le Unità operative territoriali del Dipartimento con una serie di procedure atte al<br />

miglioramento della qualità delle prestazioni, alla costruzione di indicatori e alla identificazione<br />

delle procedure di provata efficacia. Sono stati avviati numerosi Circoli di Qualità che lavorano<br />

in stretta connessione con il progetto di accreditamento del DSM.<br />

Progetti di approfondimento specifico come l’Osservatorio delle condotte suicidarie e quello sul<br />

disagio giovanile, il Gruppo di lavoro per l’integrazione con la medicina di base e di liaison, per<br />

la razionalizzazione dei sistemi informativi.<br />

Programmi terapeutici rivolti a settori specifici ed emergenti di richieste dell’utenza, con elevato<br />

impegno ambulatoriale, come il Centro per i Disturbi Alimentari (CDA), i Gruppi di Automutuo-aiuto,<br />

Gruppi di terapia per pazienti con Disturbo da Attacchi di Panico (DAP), con<br />

patologia psicosomatica e depressiva.<br />

L’attività di rete, cioè una attività che attraverso l’integrazione e il coinvolgimento dei medici di<br />

base, dell’assistenza sociale di base, dell’Ospedale Civile, del volontariato e delle le risorse sociali<br />

disponibili mira, ad affrontare in modo complessivo i problemi del paziente.<br />

L’attività volta alla deistituzionalizzazione dei pazienti lungodegenti del’ex-Ospedale<br />

Psichiatrico Provinciale, nel 1997 sono state dimesse 19 persone, ma anche l’attenzione a limitare<br />

il crearsi di una nuova lungodegenza.<br />

L’attivita quotidiana e di “base” che è il fondamentale impegno del lavoro sulla salute mentale e<br />

che rischia di passare in secondo ordine nell’attenzione e nelle evidenze, quasi come una routine<br />

o un abitudine. Nel 1997 sono state garantite, attraverso l’attività dei 5 CSM, delle strutture riabilitative<br />

e di ricovero, assistenza e cura per 3165 utenti con un incremento del 22% rispetto al<br />

1996, pari al 1,10% della popolazione generale. Sono stati effetuati 154.503 interventi: visite specialistiche,<br />

attività di assistenza e cura della persona, colloqui individuali e familiari, interventi<br />

psicoterapeutici, azioni di prevenzione, ecc.. I due Centri 24 ore hanno ospitato 47 utenti e le<br />

1 2 B O O K S E I


Editoriale<br />

strutture semiresidenziali 198. I ricoveri presso il Servizio Ospedaliero Psichiatrico di Diagnosi e<br />

Cura (SOPDC) sono stati 231 con una degenza media di 18 giorni.<br />

Tutte queste attività e progetti, per gli operatori di Pordenone, non rappresentano solo l’anonimo<br />

esito di un impegno lavorativo ma il frutto di una storia, del lavoro di persone reali che hanno<br />

lasciato il segno attraverso quanto hanno fatto e pensato, segno a volte leggero, a volte impronta<br />

indelebile e drammatica. Abbiamo voluto raccogliere attraverso l’intervista al dr. Schittar, che nel<br />

1972 avviò i Servizi di Salute Mentale a Pordenone e li diresse fino al 1981, una testimonianza<br />

diretta e significativa del lavoro e delle idee della psichiatria della riforma e del contributo che in<br />

particolare l’esperienza pordenonese ha dato fin dall’inizio.<br />

Essendo difficile scegliere quali aspetti privilegiare per raccontare in poche pagine il lavoro che<br />

stiamo svolgendo abbiamo compiuto una scelta particolare e sicuramente parziale: quella di focalizzare<br />

alcuni momenti dell’operatività come istantanea dello stato attuale del DSM di<br />

Pordenone, come evidenza del lavoro e dei cambiamenti avvenuti in questi anni, come sottolineatura<br />

di inadeguatezze e necessità non soddisfatte. Vorrebbe rappresentare lo sforzo di valutare,<br />

al di fuori di un ideologico preconcetto di valore positivo, il lavoro e il cambiamento partendo<br />

“<strong>dalla</strong> base”, dagli aspetti del quotidiano come i ricoveri, i rapporti con le famiglie, l’attività<br />

territoriale, le modificazioni legate all’aziendalizzazione, le linee guida dell’operatività. Questa<br />

collana ci offre la possibilità di raccogliere alcune ricerche che come operatori avevamo sviluppato<br />

in piccoli gruppi, spinti <strong>dalla</strong> necessità di verificare alcuni aspetti delle nostre pratiche e raccogliendo<br />

esperienze condivise di diverse figure professionali, non solo mediche. Abbiamo inoltre<br />

la possibilità di concretizzare un confronto tra i dati concernenti la nostra attività con quelli<br />

provenienti da altre esperienze e di dare solidità alla valutazione della capacità di tutto il DSM di<br />

Pordenone di esprimere un buon livello di operatività. A conferma di ciò stanno alcuni indici<br />

emersi dagli studi qui pubblicati, come il basso numero di ricoveri psichiatrici volontari e soprattutto<br />

obbligatori, in riferimento alla media nazionale, la pratica, quasi sconosciuta altrove di ricoveri<br />

per motivi psichici in reparti non psichiatrici, attraverso il coinvolgimento di altre strutture<br />

sanitarie, evitando così la ghettizzazione del paziente in luoghi separati e la creazione di luoghi non<br />

frequentabili. La quantificazione dell’attività territoriale svolta in 20 anni, seppure relativa ad una<br />

porzione di territorio, per esempio, il Distretto Nord, offre spunti interessanti perchè conferma<br />

il trend positivo nell’attività rispetto alle analisi del CENSIS, che indicano come l’operatività e le<br />

strutture del <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia siano complessivamente all’avanguardia e perchè ci permette di<br />

evidenziare, anche all’interno della regione stessa, degli elementi distintivi e peculiari.<br />

Gli interventi che abbiamo scelto per questo primo numero esprimono inoltre un aspetto<br />

fondamentale della visione e dell’impostazione teorica del fare psichiatria: cioè il tentativo di<br />

mantenersi legati alle persone e ai fatti senza ridurre questo e la pratica dentro rigidi modelli concettuali.<br />

Forse il timore di istituzionalizzare la pratica territoriale e di svuotarla così dal profondo<br />

significato della riforma, nata attorno al nucleo della critica istituzionale, hanno inibito quegli<br />

aspetti riguardanti la oggettivazione del “fare” come può essere una produzione scritta. Non<br />

sono state molte in questi anni le produzioni di tipo più strettamente scientifico se confrontate<br />

con la quantità e la qualità del lavoro svolto, della capacità innovativa espressa, delle sperimentazioni<br />

e delle realizzazioni. Abbiamo scelto un modo per comunicare e descrivere il nostro lavoro<br />

e le nostre riflessioni in maniera da non definire l’operatività in un modello non dialettico che<br />

rischierebbe di essere al servizio della propria autoriproduzione ed autogiustificazione, ma di<br />

descrivere uno spazio con ampie zone in cambiamento, come il modificarsi della domanda da<br />

parte dell’utenza e delle risposte dei servizi pubblici. Questa modalità può rappresentare la riconquista<br />

di un ambito per la riflessione sui modelli teorici, la clinica, gli approcci alla persona, e alla<br />

società ed agli aspetti istituzionali del fare in psichiatria. Questa attenzione a non permettere alle<br />

”parole” e cioè ai modelli teorici di assumere il ruolo di realtà è fondamentale per salvaguardare<br />

il vero centro del nostro lavoro che è il paziente con i suoi problemi, la sua sofferenza, la sua<br />

malattia ma prima di tutto soggetto ed individuo sociale.<br />

B O O K S E I 13


1 4 B O O K S E I


I nodi<br />

del dopo<br />

riforma<br />

I nodi<br />

del dopo<br />

riforma<br />

L’azione dell’operatore psichiatrico<br />

nel turbolento processo di cambiamento<br />

di<br />

Angelo Cassin<br />

Vorrei soffermarmi sul termine di “cambiamento”, che più di altri rappresenta<br />

il processo di tumultuosa trasformazione che, dal superamento<br />

della logica manicomiale e <strong>dalla</strong> fondazione dell’assistenza psichiatrica<br />

territoriale sancito <strong>dalla</strong> legge di riforma, ha visto il definitivo<br />

posizionamento della “salute mentale” tra le articolazioni delle<br />

“aziende per i servizi sanitari”, entro i dispositivi organizzativi dei<br />

dipartimenti e delle articolazioni dell’assistenza territoriale di tipo<br />

distrettuale.<br />

Il manicomio ha rappresentato per oltre un secolo l’antitesi del cambiamento,<br />

il luogo della stasi, anzi dell’ipòstasi, di scarti umani, dopo la sua ottocentesca fondazione<br />

quale strumento del “progresso” dell’assistenza sanitaria ad un problema sociale quale la<br />

follia ha da sempre innanzi tutto rappresentato. Con esso era nata la psichiatria, sulla entusiastica<br />

spinta dei lumi positivistici del nascente sviluppo scientifico e soprattutto sul contributo al<br />

“buon governo” di uno stato moderno da essa sempre consapevolmente offerto, attraverso il suo<br />

paradigmatico costituirsi nella commistione di strumento di assistenza e di salvaguardia dell’ordine<br />

pubblico.<br />

I vent’anni di pratica psichiatrica secondo i principi del dopo riforma sono stati caratterizzati da<br />

un tumultuoso processo di cambiamento, spesso caotico, ma ricco degli elementi creativi, della<br />

motivazione e dell’entusiasmo che accompagnano ogni pratica di liberazione e di fondazione del<br />

nuovo. Cercherò di mettere a fuoco alcuni nodi significativi di questo processo, rammentando<br />

che il topos del “nodo” ben si collega a quello di “rete”, metafora pertinente della nuova assistenza<br />

psichiatrica territoriale.<br />

Angelo Cassin Responsabile DSM dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> - Pordenone<br />

B O O K S E I 15


I nodi<br />

del dopo<br />

riforma<br />

Istituzione<br />

Parafrasando Sartre, Franco Basaglia ci ha insegnato che le ideologie e le istituzioni “sono libertà<br />

mentre si fanno, prigioni quando fatte”: in questa semplice espressione sta racchiusa la contraddizione<br />

connaturata all’esigenza istitutiva di ogni pratica orientata ad organizzare e definire la<br />

complessità di un bisogno, e alla deriva cui soggiace ogni organismo istituito, quando tende ad<br />

avvitarsi attorno alla “logica istituzionale”, quella del prevalere sui fini espliciti dell’istituzione (la<br />

sua “mission”), dei fini impliciti della propria sopravvivenza.<br />

“Deistituzionalizzazione” non ha significato solo smontare la “Istituzione Totale” rappresentata<br />

dal manicomio, evidenziarne la mistificazione, e liberare i soggetti in esso ancora reclusi, ma fare<br />

della lotta alla “logica istituzionale” un principio di approccio critico alla fondazione delle nuove<br />

istituzione psichiatriche, affinchè in esse possa prevalere la funzione di essere strumento di cura<br />

e di libertà, e allo stesso tempo di stimolo alle responsabilità del contesto sociale di riferimento,<br />

sempre sedotto da una psichiatria che si pone come soluzione totale al problema complesso rappresentato<br />

dalle “malattie mentali”.<br />

Anche la nostra mente, come ci ha ricordato Ochmann, può funzionare come istituzione, e far<br />

prevalere sull’emergere della soggettività dell’altro, il nostro bisogno di governo, la nostra ideologia,<br />

l’esigenza di conferma del nostro ideale salvifico, o emancipativo.<br />

Il concetto d’istituzione oggi si è allargato a coglierne la funzione di garante della dimensione<br />

gruppale dell’organizzazione curante, a partire <strong>dalla</strong> sua vita effettiva (“il campo istituzionale”,<br />

Correale; “l’istituzione tra inerzia e cambiamento”, Vigorelli).<br />

La critica all’istituzione ha dato l’avvio a quell’“esercizio critico” (rubando il titolo di una recente<br />

opera di Jervis sulla psicoanalisi) che caratterizza oggi le pratiche terapeutiche e all’approccio<br />

valutativo che permette di evitare i pericoli, sempre immanenti quando si costruisce il nuovo, di<br />

scadere nella ripetitività o di restare ancorati a modelli storicamente fondati, ma che devono<br />

sapersi modificare al modificarsi dei contesti.<br />

Una eco di quanto qui espresso si trova nei percorsi di miglioramento della qualità dei servizi,<br />

che hanno identificato nella esplicitazione della propria finalità pratica un prerequisito indispensabile.<br />

Alla rigidità dell’istituzione totale fanno poi da contrappunto sia la flessibilità organizzativa dei<br />

nuovi servizi, sia la loro capacità di adattarsi alle modifiche della domanda, sia soprattutto la maggiore<br />

contrattualità dei soggetti che ad essi si rivolgono, giustamente definiti oggi clienti piuttosto<br />

che utenti, e una maggior sensibilità rappresentata dallo sviluppo di principi etici (es. consenso<br />

informato), dei punti di ascolto (URP), dall’associazionismo e dallo sviluppo dei gruppi di<br />

autoaiuto.<br />

Certamente lo smantellamento dell’istituzione manicomiale, una istituzione forte per fronteggiare<br />

il problema forte della follia, non può in alcun modo perdere di vista il fatto che un modello<br />

istituzionale territorializzato, flessibile e reticolare comporta non un indebolimento, ma semmai<br />

un rafforzamento delle risorse investite: purtroppo spesso superare il manicomio ha significato<br />

soprattutto spendere meno, e non solo spendere meglio.<br />

Un rinnovamento istituzionale che non sia in grado di rispondere in modo completo, sia culturalmente<br />

sia innanzitutto in termini di risorse, al “bisogno psichiatrico prolungato”, costituirebbe<br />

il fallimento della riforma.<br />

Deistituzionalizzare significa infine guardare oltre i confini del servizio, aprire un dialogo e<br />

una operatività comune con la città, ma anche costruire nuove forme di scambio, nuove<br />

opportunità di vita sociale, come si è realizzato qui a Pordenone con lo sviluppo dell’imprenditorialità<br />

sociale.<br />

Fattore Umano<br />

In un approccio che non è più nè meramente custodialistico, nè meramente assistenzialistico, la<br />

1 6 B O O K S E I


I nodi<br />

del dopo<br />

riforma<br />

relazione interpersonale ha assunto un valore caratterizzante più di altri il lavoro in psichiatria.<br />

La relazione con il paziente, con i suoi peculiari problemi, con il contesto familiare e sociale,<br />

mette pesantemente in gioco l’operatore dei servizi psichiatrici come persona, prima ancora che<br />

come professionista, in modo decisamente maggiore che per qualsiasi altro servizio sanitario,<br />

paragonabile forse solo a quello dei servizi di rianimazione o per pazienti oncologici o affetti da<br />

gravi menomazioni.<br />

Il coinvolgimento emotivo messo in movimento <strong>dalla</strong> relazione tende ad accumularsi un po’<br />

come il carico di radiazioni per gli operatori dei servizi radiologici, senza poter fare riferimento<br />

ai rilevatori di cui questi ultimi sono dotati, nè al numero di giornate aggiuntive di riposo di<br />

cui godono.<br />

I movimenti identificativi e controidentificativi, proiettivi e controproiettivi, costituiscono<br />

modelli di comprensione del complesso movimento affettivo implicato nella relazione con il<br />

paziente psichiatrico, richiedono una specifica capacità nell’operatore e necessitano di uno specifico<br />

“modo di lavorare”.<br />

È all’interno di una dimensione relazionale che si declina l’approccio clinico in psichiatria:<br />

osservazione partecipe, immedesimazione e introspezione empatica, dialettica transferale-controtransferale,<br />

sono solo alcuni dei termini maggiormente evocativi di specifici campi operativi<br />

e culturali.<br />

Allo stesso tempo è peculiare della psichiatria l’importanza del dato motivazionale, esplicito e<br />

latente, nel lavoro con il paziente grave: senza motivazione si può sopravvivere in molti ambienti<br />

di lavoro, ma non in psichiatria, dove la curiosità di avvicinare l’altro, il piacere di aiutare, di<br />

mettersi in relazione, la capacità di attendere e di accogliere, la tolleranza alla frustrazione, costituiscono<br />

elementi indispensabili al lavoro, che altrimenti diventa impossibile o infernale.<br />

Il clima caratterizzato da forti spinte motivazionali, prevalentemente sul piano dell’impegno<br />

sociale e politico, che ha accomunato chi si è avvicinato a questo lavoro negli anni attorno alla<br />

riforma, si coglie meno nei nuovi operatori, per il cambiamento di contesto e dei valori di riferimento.<br />

La motivazione resta comunque un elemento che se non costituisce il motore di una scelta<br />

iniziale, deve almeno potersi sviluppare in una capacità operativa, con un particolare lavoro<br />

critico e formativo, dal momento che la spinta motivazionale e l’impegno possono tradursi in<br />

senso di delusione sino al vero e proprio “burn-out”, se il tasso di frustrazione delle proprie attese<br />

risulta eccessivo, e se non viene riconosciuto e valorizzato l’elemento dell’impegno personale<br />

nell’organizzazione del lavoro.<br />

Il rischio dei processi di trasformazione indotti <strong>dalla</strong> aziendalizzazione, dall’enfasi posta agli<br />

aspetti organizzativi del lavoro, a quelli produttivi secondo i principi dell’efficacia ed efficienza,<br />

è quello di mortificare pericolosamente l’immenso valore rappresentato dal patrimonio motivazionale,<br />

dall’impegno personale nei termini di capacità affettive, di messa in gioco e coinvolgimento<br />

che sono presenti silenziosamente in molti operatori, in modo “invisibile” per le griglie<br />

“valutative”.<br />

Quale manager o responsabile a qualsiasi livello sarebbe così sconsiderato da disperdere un patrimonio<br />

che è l’unico in grado di fornire qualità vera e “valore aggiunto” ad un lavoro che si enfatizza<br />

come necessariamente valorizzante la persona del paziente<br />

Quali sono gli strumenti di una valorizzazione del “fattore umano” come qui ho cercato sommariamente<br />

di delineare Innanzi tutto il lavoro in èquipe e la formazione.<br />

L’équipe<br />

Lavorare in équipe è sin dall’inizio risultato l’unico antidoto pratico alla trasformazione dell’elemento<br />

relazionale in un fattore nocivo per il singolo operatore ed in ultima analisi per il paziente.<br />

L’équipe rappresenta l’elemento conoscitivo (“molti occhi vedono meglio di due”) in grado di<br />

creare una immagine del paziente più ricca e complessa, permettendo una sintesi di punti di vista<br />

B O O K S E I 17


I nodi<br />

del dopo<br />

riforma<br />

e professionalità diverse, capace di fondare una operatività il meno possibile parcellizzata, il più<br />

vicina possibile alla realtà, alla soggettività del paziente.<br />

Come ogni dimensione gruppale, l’équipe è animata da una vita affettiva propria, capace di<br />

animare e “nutrire” i singoli componenti, o di esporli al malessere di un suo “cattivo” funzionamento.<br />

Nel lavoro con il paziente psicotico, l’équipe è risultata lo strumento indispensabile, sin dalle<br />

prime osservazioni di Woodbury: punto di accoglimento, riconoscimento e di aggregazione delle<br />

spinte disgregative indotte dagli elementi proiettivi dei pazienti gravi, l’équipe è in grado di restituire<br />

al paziente una immagine integrata di sè, metabolizzarne la distruttività senza controagire<br />

con la violenza che ha spesso caratterizzato il fare psichiatrico.<br />

Per esercitare la sua funzione l’équipe deve godere di una stabilità nel tempo e nello spazio dell’operatività<br />

che oggi è fortemente messa in crisi dalle caratteristiche del lavoro per obiettivi e<br />

<strong>dalla</strong> dipartimentalizzazione dei servizi, che portano ad aggregare gli operatori di diverse èquipe<br />

in gruppi centrati su compiti specifici, sempre diversi e trasversali.<br />

L’identità che l’appartenenza ad una équipe spesso garantiva al singolo operatore ora è costretta<br />

ad alimentarsi di aspetti più complessi. più frammentati e precari: ne è prova un disagio diffuso<br />

quanto poco articolato presente negli operatori, in modo inversamente proporzionale alla forza<br />

della figura professionale di appartenenza.<br />

L’organizzazione aziendale sta introducendo inoltre forme di coordinamento delle singole professionalità,<br />

al fine di una valorizzazione delle stesse, di favorire l’integrazione dei servizi e l’introduzione<br />

di possibilità di compensare, attraverso la flessibilità e l’intercambiabilità dei componenti<br />

una stessa figura professionale, eventuali necessità operative o carenze di organico di strutture<br />

di appartenenza diverse.<br />

Se questi principi rispondono alle esigenze di integrazione ed ottimizzazione delle risorse in chiave<br />

strettamente economica, certamente contribuiscono a mettere in crisi lo strumento dell’équipe,<br />

il cui effetto fondamentale nella qualità operativa dovrebbe essere valutato anche nelle sue<br />

ricadute economiche; d’altra parte ci costringono a ricercare nuovi aspetti dell’organizzazione del<br />

lavoro tali da declinare in modo differenziato il principio irrinunciabile della gruppalità.<br />

La formazione - Le tecniche<br />

L’altro fattore di valorizzazione della risorsa umana nei servizi sanitari è la formazione. Tanto<br />

maggiore è la componente umana , il fattore relazionale e motivazionale dell’azione sanitaria,<br />

tanto maggiore è la necessità di una formazione permanente: se infatti una tecnica si può acquisire<br />

una volta per tutte, e sono sufficienti periodici aggiornamenti, un modo di operare che metta<br />

prioritariamente in gioco la persona stessa dell’operatore necessita di una “forma mentis”, di un<br />

qualcosa di più personale e profondo dell’acquisizione di una tecnica: di un “saper fare”, o<br />

meglio di un “atteggiamento” che è frutto di un operare critico che privilegia il continuo confronto<br />

e lo scambio, arricchito da stimoli provenienti da saperi diversi, che solo nella pratica possono<br />

trovare legittimazione ed integrazione: ecco perchè in psichiatria è necessario lavorare in<br />

gruppo, e viene garantito un così cospicuo spazio alle “riunioni di équipe”, e allo stesso tempo è<br />

necessario garantire un continuo spazio formativo.<br />

Nessun campo del sapere si costituisce in modo così ibrido e complesso come quello cui fa riferimento<br />

l’ambito psichiatrico, così al confine tra medicina, scienze sociali e psicologia: nella sua<br />

fondazione antropologica, la psichiatria contempla una specifica dimensione clinica, dove gli<br />

aspetti del modello medico di base sono sovrastati <strong>dalla</strong> determinazione sociale e culturale sia<br />

delle sindromi, del linguaggio usato dal paziente per parlare al medico; sia dal modo di osservare<br />

che, essendo per definizione “partecipe”, fonda l’osservazione nella relazione, sia infine nelle<br />

“pratiche”, così enfatizzate dall’opera di Franco Basaglia, che sono il senso ultimo di come ogni<br />

sapere si rapporta alla realtà assistenziale, come copertura di logiche segregatrici o come stru-<br />

1 8 B O O K S E I


I nodi<br />

del dopo<br />

riforma<br />

mento di emancipazione: <strong>dalla</strong> critica ai saperi si è giunti ad un sapere sulle pratiche, come<br />

punto di partenza per la costruzione-decostruzione di ogni strumento tecnico, e in ultima analisi<br />

di ogni teoria.<br />

La giusta enfasi posta all’azione pratica del fare psichiatria spesso è scaduta in una assolutizzazione<br />

dell’agire, rispetto alla riflessione e alla conoscenza, che presuppongono una teoria di riferimento,<br />

un “apparato per pensare”; spesso si è creata una vera e propria opposizione a tutto ciò<br />

che poteva sembrare astrazione teorica, lasciando l’agire in balìa dell’assistenzialismo, della ripetitività<br />

di agiti autoreferenziali, più difensivi o “a corto circuito”, che dotati di una vera capacità<br />

trasformativa.<br />

“Fare e pensare”, utilizzando il titolo di un noto volume curato da De Martis, sono i poli imprescindibili<br />

di ogni operatività psichiatrica: un “fare” capace di allargare l’ambito del “comprendere”,<br />

un agire che sia consapevolemente caricato del significato comunicativo (Racamier parlava<br />

a buona ragione di “azioni parlanti”), presuppongono apparati concettuali di riferimento<br />

che devono essere conosciuti criticamente, resi provvisori nel continuo confronto con l’esperienza<br />

e il lavoro di contestualizzazione, attraverso una formazione attiva.<br />

A distanza di anni l’atteggiamento rissoso tra scuole o indirizzi di pensiero, la sospettosità nei<br />

confronti degli strumenti scientifici e dell’Università, ha lasciato il posto ad un atteggiamento più<br />

laico, pragmatico e in ultima analisi “integrato”: a partire dall’approccio epidemiologico, che ha<br />

introdotto la necessità delle codifiche diagnostiche e delle scale di valutazione, si è arrivati al dialogo<br />

necessario tra diversi orientamenti di pensiero, in una visione integrata della complessità<br />

rappresentata <strong>dalla</strong> patologia mentale.<br />

Parlare di “cura” oggi è meno sospetto di riduttivismo clinico di quanto non era ieri, quando si<br />

preferiva parlare di “riabilitazione”, che implicava in modo più stringente l’intervento dell’ambito<br />

sociale, e una sua minore specificità, oltre che minori presupposti teorici.<br />

Parlare di valutazione dell’operatività in termini di ricadute, costi ed esiti, di miglioramento continuo<br />

della qualità, è oggi possibile in un clima di generale consenso, anche se dietro questa unanimità<br />

si rischia di scadere nel “valutismo” (L.Frattura).<br />

Per manutentare il fattore umano nel suo aspetto di strumento terapeutico, sia a livello individuale<br />

che di gruppo, risulta di fondamentale importanza la “supervisione”, capace di arricchire<br />

le capacità critiche, nel cogliere i propri movimenti emotivi suscitati <strong>dalla</strong> relazione con il paziente<br />

quale elemento conoscitivo e terapeutico, o il loro esatto contrario.<br />

Storicamente la supervisione accompagna obbligatoriamente la pratica psicoanalitica o psicoterapeutica<br />

individuale, ma per l’implicazione del fattore relazionale e dell’“atteggiamento psicoterapeutico”<br />

( parafrasando la nota opera di Shafer) quale orientamento diffuso all’interno<br />

delle èquipe, questo strumento è divenuto un elemento irrinunciabile di una buona pratica<br />

terapeutica.<br />

Se è risultato evidente come nel decorso ed esito dei disturbi mentali assumano fondamentale<br />

importanza “fattori aspecifici”, specialmente nel processo riabilitativo che confronta il paziente<br />

con la realtà del quotidiano, risulta evidente da quanto sopra accennato come azioni di per se<br />

semplici nei confronti del paziente grave, necessitino un alto livello di competenza professionale<br />

ed esperienza orientata <strong>dalla</strong> formazione.<br />

Forse nella psichiatria convivono paradossalmente questi opposti: semplicità degli oggetti scambiati<br />

(relazioni, quotidiano, risorse materiali) e sofisticazione delle competenze necessarie a rendere<br />

produttivo lo scambio.<br />

La domanda<br />

Dagli anni del doporiforma, caratterizzati <strong>dalla</strong> lotta di smantellamento del manicomio e della sua<br />

logica, l’utenza e la domanda prevalentemente rivolta ai servizi si è trasformata sia nei modi di<br />

espressione sia nella sostanza.<br />

B O O K S E I 19


I nodi<br />

del dopo<br />

riforma<br />

In quell’epoca il paziente-tipo era caratterizzato da una lunga permanenza nell’istituzione, e presentava<br />

un prioritario bisogno di ri-acquisizione dei più elementari diritti calpestati dall’internamento,<br />

a partire dal “diritto di cittadinanza”, che si declinava nei diritti alla casa, al lavoro, alla<br />

socialità deprivata. Il paziente attuale è inserito a suo modo nel contesto sociale, ha una famiglia<br />

alle spalle che è attivamente presente nella sua interlocuzione con il servizio; al contrario dell’ex<br />

internato, gli aspetti inerenti la sua espressività clinica sono in primo piano, spesso caratterizzati<br />

da periodiche fasi di riacutizzazione espressi con contenuti di ribellione o protesta; vive il rapporto<br />

con il servizio territorializzato non come alternativa, come strumento di liberazione, ma<br />

come controparte, come realtà prevalentemente controllante o connotante la propria diversità; la<br />

dissocialità, quando è presente, è attivamente perseguita in modo difensivo, o oggetto di una<br />

domanda di socializzazione purchè non sia connotata in termini psichiatrici, come quella realizzabile<br />

nei Centri Diurni. Si tratta quindi di pazienti per i quali è prioritariamente necessario lavorare<br />

sul processo motivazionale, e quindi sulla funzione di accoglimento e sulla accessibilità del<br />

servizio, che deve giocare un ruolo attivo in un ambito più incerto e precario di un tempo, fondamentalmente<br />

più difficile.<br />

Una realtà che si accompagna spesso alla nuova domanda è il notevole carico familiare indotto<br />

da questi pazienti, turbolenti e conflittuali con le famiglie di origine, le quali a loro volta lo sono<br />

spesso con il servizio. Una particolare attenzione alle famiglie è dedicata da ogni moderno servizio<br />

attraverso la costruzione di strumenti in grado di garantire forme di residenzialità alternativa<br />

per i pazienti, quale sollievo al carico familiare.<br />

Altri aspetti delle modifiche della domanda è la diffusione, accanto allo spettro dei disturbi schizofrenici,<br />

di forme diverse di espressività del disagio, che costituiscono realtà nuove per i servizi:<br />

innanzi tutto la patologia depressiva, nei suoi aspetti di gravità episodica o di invalidante cronicità,<br />

che ha un costo sociale sovrapponibile a quello della schizofrenia; spesso si assiste ad una<br />

difficoltà di catalogazione di sindromi che sempre più spesso coinvolgono l’area dei disturbi di<br />

personalità; aspetti clinici mutevoli, da sintomi nevrotici di vario tipo, alla depressività di fondo,<br />

a deragliamenti episodici di tipo psicotico alludono a quelle che vengono definite in termini psicopatologici<br />

“strutture borderline”; nuove forme del disagio, un tempo trattate con sufficienza<br />

entro il termine di “piccola psichiatria”, sono rappresentate oggi da sindromi come il disturbo da<br />

attacchi di panico, con le sequele fobiche tipiche, e il disturbo ossessivo compulsivo, che per la<br />

gravità dell’invalidazione conseguente e la larga diffusione sono da tenere in serissima considerazione.<br />

Farei infine un cenno ai disturbi alimentari, anoressia e bulimia in testa, per dare solo un<br />

cenno della portata del mutamento con il quale si confronta la domanda.<br />

Certamente il mutato quadro sociale, con la crisi del Welfare State, e la disoccupazione attestata<br />

ad oltre il 10% fa sentire i suoi contraccolpi sul servizio, che trova maggiori difficoltà a coinvolgere<br />

gli enti pubblici o il mondo del lavoro nella risposta alla serie complessa di problemi trascinati<br />

con sè dal disagio mentale, e spesso si è fatto promotore di realtà imprenditoriali come quelle<br />

delle cooperative sociali di tipo B.<br />

Se il turbolento processo di cambiamento mette in crisi l’azione dell’operatore psichiatrico, esso<br />

è anche il segno innegabile di vitalità, di sviluppo, a patto che si voglia affrontarlo con spirito<br />

creativo, come una sfida da raccogliere.<br />

2 0 B O O K S E I


B O O K S E I 21


2 2 B O O K S E I


Intervista<br />

al dr. Lucio<br />

Schittar<br />

Intervista<br />

a<br />

Lucio Schittar<br />

Presente, passato e futuro<br />

della psichiatria nelle parole<br />

di un protagonista del cambiamento.<br />

di<br />

Matteo Impagnatiello<br />

e<br />

Piero Colussi<br />

Il 13 maggio 1978 entrava in vigore la legge di riforma psichiatrica<br />

n.<strong>180</strong> conosciuta anche come “legge Basaglia”. A vent’anni da quella<br />

importante scadenza abbiamo posto alcune domande al dott. Lucio<br />

Schittar, lo psichiatra già collaboratore di Franco Basaglia, che nel<br />

1972 avviò i Servizi di Salute Mentale della Provincia di Pordenone<br />

dirigendoli fino alla fine del 1981.<br />

Laureatosi in medicina all’Università di Padova nel 1964, Lucio<br />

Schittar si è successivamente specializzato in Pneumologia e in Clinica<br />

delle Malattie Nervose e Mentali. Dopo un breve periodo trascorso<br />

all’Ospedale Civile di Mestre nel reparto di Pneumologia, fra il 1966 e il 1967 ha preso parte attivamente<br />

all’esperienza anti-istituzionale condotta da Basaglia presso l’Ospedale Psichiatrico di<br />

Gorizia assieme ad Antonio Slavich, Domenico Casagrande, Agostino Pirella, Giovanni Jervis.<br />

Nel 1968 si è trasferito a Parma dove, diventato primario, ha lavorato per quattro anni<br />

all’Ospedale Psichiatrico di Colorno, impegnandosi nell’opera di superamento della struttura<br />

manicomiale. Dal 1982 lavora come psichiatra privato a Pordenone.<br />

D. La Comunità Terapeutica a Gorizia è nata come il rifiuto di una situazione proposta come un<br />

dato anzichè come un prodotto (Franco Basaglia).<br />

Quali culture, saperi, politiche hanno ispirato l’esperienza della Comunità Terapeutica a Gorizia,<br />

laboratorio di tutte le successive esperienze anti-istituzionali in Italia<br />

Matteo Impagnatiello, Dirigente Medico DSM dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> - Pordenone<br />

Piero Colussi, Psicologo DSM dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> - Pordenone<br />

B O O K S E I 23


Intervista<br />

al dr. Lucio<br />

Schittar<br />

R. La Comunità Terapeutica dell’Ospedale di Gorizia fu uno degli strumenti del cambiamento psichiatrico;<br />

cioè servì a modificare, evidentemente in meglio, la situazione del manicomio. Servì anche<br />

a realizzare, nell’ambito manicomiale, quegli aspetti dello scambio sociale che venivano realizzati<br />

fuori del manicomio: per esempio le riunioni, la possibilità di parlare, di essere ascoltati.<br />

La Comunità Terapeutica venne dopo molti altri cambiamenti (di cui credo sia rimasta documentazione<br />

fotografica e cinematografica), come ad esempio l’abbattimento dei muri che circondavano i<br />

cortili dei reparti. Per quanto ricordo, l’abbattimento dei muri venne realizzato con gradualità: si<br />

cominciò dai reparti più “tranquilli”, ma i muri e il loro perimetro erano ormai entrati nella mente<br />

e nel cuore di molti ricoverati che, anche in assenza di muri, continuarono per un po’ a “prendere<br />

aria” all’interno del loro antico perimetro, all’interno cioè di muri che non esistevano più. Quindi<br />

la Comunità Terapeutica non venne somministrata ai pazienti come una terapia, ma si accompagnò<br />

ad altri graduali provvedimenti, di cui il libero movimento all’interno dell’ Ospedale Psichiatrico fu<br />

forse il principale. Il libero movimento creò all’inizio qualche problema “internazionale”. Il Confine<br />

di Stato fra Italia e Jugoslavia correva lungo il confine del manicomio; era segnato verso l’interno<br />

dell’OP., da segni bianchi per terra che facilmente venivano superati, costringendo talora i medici ad<br />

andare a riprendere il loro paziente dai graniciari alla Stazione di Confine.<br />

Ispiratore della Comunità Terapeutica fu lo psichiatra anglosassone Maxwell-Jones, che vi aveva<br />

inserito una forte componente psicoanalitica, ma presupponeva che vi fossero risolti gli aspetti manicomiali,<br />

cosa, come si può pensare, non semplice.<br />

D. L’esperienza goriziana nasce come superamento della Comunità Terapeutica anglosassone di<br />

Maxwell-Jones: quali i limiti, le contraddizioni, le innovazioni più significative<br />

R. L’esperienza inglese venne conosciuta non solo dalle pubblicazioni, ma anche direttamente, rimanendo<br />

in ospedale, in Gran Bretagna, alcuni giorni (allora Maxwell-Jones era direttore<br />

dell’Ospedale di Dingleton, in Scozia). Maxwell-Jones vi aveva introdotto delle modificazioni del<br />

tradizionale metodo inglese di cura (che già normalmente era più avanzato rispetto alla situazione<br />

italiana di allora). Ricordiamo che l’Inghilterra era stata la patria, fino dall’800, del Movimento<br />

dell’Open Door (Porta Aperta), di origine religiosa, in particolare quacchera. L’Inghilterra dell’800<br />

era anche la patria di John Connoly, che, nel 1848, per primo, col così detto Moral Treatment (Cura<br />

Morale), aprì la maggioranza dei reparti dell’Ospedale di Hanwell e istituì i primi corsi di formazione<br />

per infermieri psichiatrici. I “limiti” della Comunità Terapeutica di Gorizia furono quelli di<br />

aprire un ospedale in una realtà cittadina chiusa. La realtà che circondava l’ospedale psichiatrico era<br />

allora una realtà chiusa, tranquilla, e reagiva come sapeva alla novità rappresentata dall’ospedale psichiatrico<br />

e dal suo direttore. Un segno evidente della risposta del territorio fu, al tempo della strage<br />

di Peteano, un’interrogazione parlamentare dell’Onorevole De Vidovich, che chiedeva, più o meno,<br />

se era noto che Peteano era vicino a Gorizia, dove il prof. Basaglia cambiava i pazienti in “bombe<br />

umane”.<br />

D. ”Si deve scoprire un crimine che si adatti alla punizione e ricostruire la natura dell’internato<br />

per adattarla al crimine”. Così, Ervin Goffman, l’autore del celebre Asylums definisce il significato<br />

delle istituzioni totali.<br />

R. Ervin Goffman era un sociologo statunitense. Scrisse alcuni libri importanti: “Behaviour in public<br />

places”, “Stigma”, ecc., ma il suo libro più importante e significativo è sicuramente “Asylums” in cui<br />

prende in esame quelle che lui chiama “istituzioni totali ”. La frase di Goffman, che, come si sa, va<br />

bene per ogni situazione istituzionale, per quanto riguarda il manicomio potrebbe indicare, fra l’altro,<br />

come strumento di “punizione” la diagnosi, che allora, ricordiamolo, si situava all’interno di una<br />

2 4 B O O K S E I


Intervista<br />

al dr. Lucio<br />

Schittar<br />

legislazione vecchia di molti decenni (risaliva al 1904), e che definiva il malato di mente “pericoloso<br />

a sè o agli altri o di pubblico scandalo”. Fare o non fare la diagnosi fu allora un oggetto<br />

di dibattito fra i medici, che si rendevano conto del valore non solo specialistico di una definizione<br />

di malattia.<br />

D. La sua esperienza nel doporiforma, la nascita dei servizi territoriali nella Provincia di<br />

Pordenone.<br />

R. La mia esperienza nella Provincia di Pordenone (che, come è noto, era sorta da poco) era quella<br />

di una persona che voleva, se possibile, cambiare il tipo di assistenza psichiatrica fornito. In questa<br />

esperienza ero forse favorito dall’assenza di un ospedale psichiatrico; tuttavia, anche se l’ospedale<br />

psichiatrico era quello della Provincia di Udine, esistevano nella Provincia di Pordenone due così<br />

dette Succursali Psichiatriche maschili, a Sacile (che occupavano, tutto sommato, uno spazio ridotto<br />

all’interno dell’Ospedale Civile) dalle quali i politici fuggivano tappandosi il naso e dicendo “Fate<br />

qualcosa”. Storicamente l’Ospedale a Sacile, con le sue Succursali Psichiatriche era sorto prima<br />

dell’Ospedale Psichiatrico di Udine; era sorto <strong>dalla</strong> trasformazione di un Lazzaretto, assai frequentato,<br />

dato che Sacile è sulla strada che gli europei allora percorrevano per imbarcarsi, a Venezia,<br />

anche per le Crociate. Perciò la situazione era già fortemente “inquinata” dall’immagine del malato<br />

mentale cronico (questo soprattutto a Sacile, che, fra l’altro, vedeva ogni anno un piccolo spettacolo,<br />

che cominciava appunto nei reparti psichiatrici, del gruppo benefico “I Sarlatani”). Perciò, anche<br />

se non esisteva l’Ospedale Psichiatrico della Provincia di Pordenone, le influenze negative sull’immagine<br />

pubblica dell’essere “assistito” già vi erano. In questa situazione, come si è spiegato in altre<br />

pubblicazioni, dovetti cercare di mettere in piedi un sistema di assistenza psichiatrica basato sul<br />

rispetto del paziente, e, possibilmente, sulla somministrazione di farmaci “moderni”. Mi sembrò che<br />

la miglior “cura” fosse quella territoriale, basata cioè sul curare fuori dell’ospedale psichiatrico le persone<br />

che soffrivano di disturbi psichici e che, oltre a dover superare la fase acuta del loro disturbo,<br />

avevano bisogno anche di un “intervallo” nella loro storia, cosa per le quali si apprestarono le possibili<br />

strutture intermedie, intermedie cioè fra la casa e l’ospedale. In questa azione non ci si fece guidare<br />

da criteri puramente economici (cosa che possiamo lasciare ai contabili, che certamente la sanno<br />

fare meglio di noi), che avevano già guidato l’azione di Reagan, che, quand’era Governatore della<br />

California, aveva chiuso gli ospedali psichiatrici perchè costavano troppo alla Comunità californiana,<br />

senza molto interessarsi del destino dei ricoverati. I Community Mental Health Centers erano<br />

ormai entrati nei programmi e nella pratica dei politici nordamericani. Bisogna dire che allora non<br />

ci si è fatti “irretire” dal modello familiare dei servizi. Infatti la famiglia del paziente psichiatrico è<br />

un anello debole della catena sociale, mentre di solito la famiglia è un anello forte della catena sociale.<br />

Perciò abbiamo cercato di costruire invece delle “alternative” al ritorno in famiglia: appartamenti,<br />

piccole comunità, ecc.<br />

D. Quali a suo giudizio le innovazioni prodotte <strong>dalla</strong> “legge <strong>180</strong>” nell’assistenza psichiatrica<br />

comunitaria Quali i punti critici nei modelli di assistenza territoriale<br />

R. La “legge <strong>180</strong>”, che poi fece parte della “833” che vide la riforma dell’assistenza sanitaria, apportò<br />

un cambiamento fondamentale: la cura psichiatrica in Ospedale Civile. Ci sono da fare, a questo proposito,<br />

almeno due considerazioni.<br />

Una, che l’assistenza psichiatrica si doveva svolgere, secondo la “<strong>180</strong>”, di norma nel territorio e, in<br />

casi eccezionali (T.S.O., ad esempio), in Ospedale Civile (doveva perciò sparire l’Ospedale<br />

Psichiatrico).<br />

B O O K S E I 25


Intervista<br />

al dr. Lucio<br />

Schittar<br />

La seconda considerazione riguarda l’uso che si fa della legge. La legge antica del 1904 era, a suo<br />

modo, già una legge garantista. Garantiva infatti che il ricovero in ospedale psichiatrico avvenisse a<br />

seguito di un vero processo; solo eccezionalmente si doveva ricorrere, per la legge, al ricovero d’urgenza,<br />

che in seguito divenne invece, per la sua semplicità e comodità, la norma del ricovero. Inoltre<br />

la legge del 1904 garantiva dai sistemi di contenzione fisica, che doveva essere autorizzata dal direttore.<br />

Nella pratica, il direttore o meglio il “medico di reparto” sottoscriveva il foglio delle contenzioni.<br />

Anzi, era così generoso che ne sottoscriveva più di uno, lasciando poi agli infermieri di turno<br />

il compito di segnare le ore di contenzione che si erano rese necessarie. Inoltre, la legge del 1904<br />

recepiva i più moderni (per allora) risultati positivi dell’ergoterapia, per cui indicava che i lungodegenti<br />

dovevano lavorare nell’ospedale, preferibilmente nella Colonia Agricola. Cioè, in conclusione,<br />

interessava a tutti che chi “dava i numeri” venisse allontanato <strong>dalla</strong> sua comunità; e a questo fine<br />

veniva usata la legge vigente nel suo aspetto più retrivo.<br />

Voglio dire che ogni legge è buona o cattiva secondo come viene usata. La “<strong>180</strong>” costituì una grande<br />

innovazione, ma, fra l’altro, non volle significare che la malattia mentale era una malattia come<br />

tutte le altre, volle sopratutto sottolineare che i malati mentali avevano i diritti di tutti gli altri.<br />

Talora alcune “strutture intermedie” sembrano oggi dei piccoli manicomi, dimostrando che non<br />

basta una buona legge, non basta mettere in piedi un servizio territoriale per risolvere il problema<br />

dell’assistenza psichiatrica. I “punti critici nei modelli dell’assistenza territoriale” sono parecchi.<br />

Intanto non si deve avere un tipo di servizio come modello, perchè ogni situazione è diversa dall’altra;<br />

poi tutti questi modelli (compresi quelli statunitensi dei Community Mental Health Centers)<br />

sono basati sul modello della famiglia, che talvolta è all’origine prima dei disturbi del paziente e<br />

nella quale più facilmente gioca il meccanismo delle “emozioni espresse”.<br />

Quando questi modelli non sono basati sul modello della famiglia, sono basati sul modello dell’ospedale:<br />

accolgono per esempio, ben più di 4 o 5 persone; e si preparano a diventare, aiutati dal prolungamento<br />

dell’età media, il nuovo manicomio. Sappiamo che i “manicomi” sono caratterizzati,<br />

anche nella nostra età, da alcune particolarità: la completa autonomia economica, la riduzione dello<br />

spazio a disposizione di ogni ricoverato, il fatto che si tiene conto, prima di tutto, dell’interesse dei<br />

gestori e poi dell’interesse dei gestiti (nonostante gli standard fissati dalle leggi).<br />

Perciò i manicomi ci saranno anche oggi perchè, al di là delle molte situazioni regressive, c’è la<br />

volontà ben chiara di tenere fuori dal commercio sociale alcune persone più deboli: malati, vecchi,<br />

bambini, donne.<br />

D. L’elaborazione di nuove ipotesi e modelli della malattia e quindi di una nuova cultura volta al<br />

superamento dei modelli tradizionali, sembra di grande importanza nel momento in cui si affrontano<br />

i problemi cruciali della formazione degli operatori, da un lato, e dall’altro, <strong>dalla</strong> modificazione<br />

della domanda stessa dell’utenza.<br />

R. La formazione di una nuova cultura nei servizi territoriali, ipotizzata nella domanda, costringe a<br />

fare qualche riflessione.<br />

Intanto cerchiamo di capire se è vero che nel territorio, cioè fuori dall’ospedale, si è formata una cultura<br />

diversa. Non penso che, se non ci fosse stato il lavoro psichiatrico precedente, ci sarebbe stata<br />

la possibilità di fare ogni settimana per quattro volte un’inchiesta giornalistica sul pregiudizio nei<br />

confronti dei malati di mente. Non penso nemmeno che, se non ci fosse stato il lavoro psichiatrico<br />

precedente, si sarebbe costituita a Pordenone l’Associazione che raccoglie le prostitute.<br />

Vi sembrerà strana la connessione fra le due cose: ma, credo, se c’è stata una specificità nel lavoro<br />

territoriale di Pordenone, è stata quella di non marcare le differenze fra una condizione ed un’altra.<br />

Si è, cioè, costruito un po’ alla volta un modo di vedere che ha accolto la persona differente come<br />

una persona qualsiasi. Ciò mentre i vari gruppi si rafforzavano pensando al loro “nemico”, i medici<br />

2 6 B O O K S E I


Intervista<br />

al dr. Lucio<br />

Schittar<br />

ospedalieri “contro” i medici del territorio, come era stato in passato tra gli psichiatri: gli psichiatri<br />

tradizionalisti “contro” gli psichiatri “basagliani”, quelli non di Psichiatria Democratica “contro” gli<br />

psichiatri di Psichiatria Democratica, i partiti fra loro, le squadre di calcio, di pallacanestro, di pallavolo.<br />

In una parola si è costruita in questi anni una vera cultura della tolleranza.<br />

Per quanto riguarda l’assistenza psichiatrica questa nuova cultura della tolleranza ha certamente<br />

diminuito i comportamenti violenti, ma, come ogni tolleranza, ha dimostrato nel territorio provinciale<br />

i propri limiti: gli operatori psichiatrici hanno dovuto, per formarsi, fare dei salti. Ma gli infermieri<br />

non psichiatrici su che basi si formeranno Questa resta l’incognita del futuro.<br />

D. Ricordando Franco Basaglia...<br />

R. Nella mia storia di sentimenti - anche gli psichiatri, che ascoltano di tutto, hanno un cuore - ha<br />

un posto importante Franco Basaglia, lo psichiatra italiano scomparso nel 1980 e al quale si deve la<br />

legge “<strong>180</strong>” (alla quale non seguì mai il consueto Regolamento di applicazione).<br />

Franco Basaglia ha a lungo lavorato, come fenomenologo, presso la Clinica Neurologica<br />

dell’Università di Padova e poi è andato, appena si è liberato il posto, a dirigere l’Ospedale<br />

Psichiatrico di Gorizia. Dopo aver girato l’O.P.P., Basaglia disse, semplicemente, che non voleva fare<br />

il carceriere, e cominciò a cercar di modificare in tutti i modi la situazione.<br />

Lui era un uomo che voleva curare gli altri uomini che avevano bisogno di cure; questo, naturalmente,<br />

non era possibile nel manicomio.<br />

Basaglia aveva trasferito il proprio modo di vedere la realtà anche nei confronti delle altre persone:<br />

quando andai a parlare con lui, io che venivo da un ospedale dove assistevo in silenzio agli sfoghi di<br />

un Primario, mi sorprese la sua genuinità, che alla fine tirava fuori il meglio da tutti.<br />

C’era un principio, all’Ospedale Psichiatrico di Gorizia, cui nel mio lavoro cercai subito di conformarmi:<br />

“lo sporco non se ne va da solo”. Ci sarebbe moltissimo da dire su Franco Basaglia, ma tutta<br />

questa intervista è permeata del suo spirito e perciò mi limito a questo.<br />

D. Dove va la psichiatria<br />

R. Dove va la psichiatria; ma, la psichiatria continua il suo cammino di sempre, di scienza del comportamento,<br />

di scienza trionfalmente “ortopedica”.<br />

(Cordenons, 8 aprile 1998)<br />

B O O K S E I 27


2 8 B O O K S E I


Complessità<br />

e integrazione:<br />

parole vuote<br />

o percorsi<br />

possibili<br />

Complessità<br />

e integrazione:<br />

parole vuote<br />

o percorsi possibili <br />

A che punto è la teoria applicata alla<br />

pratica vent’anni dopo l’attuazione<br />

della riforma psichiatrica<br />

di<br />

La chiusura del cerchio<br />

Bruno Forti<br />

A più di un secolo <strong>dalla</strong> nascita delle discipline psicologiche e psichiatriche<br />

la malattia mentale è stata analizzata e sviscerata nei suoi più<br />

diversi aspetti, <strong>dalla</strong> psicologia del profondo a quella del comportamento,<br />

dalle dinamiche interpersonali e familiari alla biologia molecolare.<br />

L’approccio sociale ha rappresentato, probabilmente non a caso,<br />

l’ultimo approccio di una certa importanza attraverso il quale leggere<br />

i fenomeni psicopatologici.<br />

Con questo non si vuol dire, ovviamente, che ognuno di questi modelli abbia esaurito le proprie<br />

potenzialità, tutt’altro. Tuttavia, è come se, dovendo capire come è fatta e a cosa serve una casa<br />

d’abitazione, avessimo imparato ad osservarla un pò da tutte le prospettive possibili: dal di fuori,<br />

dal di dentro, dall’alto, dalle fondamenta, in funzione dei suoi abitanti e del tessuto residenziale<br />

in cui è inserita.<br />

La riforma psichiatrica in Italia, più di qualsiasi riflessione teorica, ha contribuito a mettere a<br />

nudo l’importanza della prospettiva sociale, a svelare quella mistificazione che per decenni era<br />

stata perpetrata sull’ambivalenza fra cura e controllo sociale. Gli eventi messi in moto <strong>dalla</strong> demanicomializzazione<br />

hanno infatti messo in luce come non si trattava solo di comprendere, più o<br />

meno asetticamente, in che modo certi fattori sociali possano influire sulla sofferenza sociale, ma<br />

come i fattori più rilevanti venissero messi in atto proprio da chi aveva il compito di comprendere<br />

e curare la malattia mentale.<br />

Colpevoli o strumenti passivi di giochi che si compivano altrove, gli operatori psichiatrici erano<br />

Bruno Forti, Dirigente Medico DSM dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> - Pordenone<br />

B O O K S E I 29


Complessità<br />

e integrazione:<br />

parole vuote<br />

o percorsi possibili<br />

di fatto i primi a produrre azioni antiterapeutiche, a creare condizioni in cui nessun intervento<br />

terapeutico, anche il migliore possibile, pensiamo ad esempio alle terapie psicoanalitiche prolungate<br />

condotte all’interno degli ospedali psichiatrici, avrebbe potuto essere efficace. Anche<br />

perchè certi fattori attinenti al contesto e al ruolo sociale non sono solo elementi da considerare<br />

assieme ad altri, ma costituiscono la base, il terreno fondamentale ove qualsiasi azione<br />

psicoterapica, farmacologica o riabilitativa possa attecchire e svilupparsi.<br />

In sostanza, la chiusura dei manicomi ha rivelato come di fatto l’intervento, di gran lunga più<br />

rilevante messo in atto fino ad allora fosse un intervento preminenemente sociale. Ovviamente<br />

ispirato da un senso del sociale negativo, spesso perverso e, si spera, quanto più possibile<br />

inconsapevole. Questo dato di fatto ha in certi momenti alimentato un equivoco dello<br />

stesso genere, forse nell’illusione che il ribaltare in positivo le valenze dell’approccio sociale,<br />

fino ad allora emarginante e custodialistico, se non annichilente nei riguardi della persona,<br />

potesse a sua volta costituire l’aspetto più importante, se non l’unico, dell’intervento curativo.<br />

Ciò è stato ancor di più condizionato dal fatto che certi interventi sul terreno sociale avevano<br />

una vera e propria valenza terapeutica, come la libertà del famoso motto dei tempi della<br />

riforma. L’esempio più noto riguarda il lavoro protetto che, a differenza dell’ergoterapia, è<br />

realmente emancipativo e riabilitativo in quanto produce un significato di ruolo per il contesto<br />

sociale e culturale di appartenenza.<br />

Per un certo periodo è stato perfettamente legittimo che gli approcci che hanno prodotto o<br />

che si sono accompagnati alla riforma psichiatrica si incentrassero prevalentemente sugli<br />

interventi sociali, contribuendo a svelare le potenzialità di un ambito d’azione fino ad allora<br />

prevalentemente inesplorato. Così avevano agito, in passato, tutti i modelli che l’avevano preceduto.<br />

Tornando all’esempio iniziale, il vedere le cose secondo una nuova prospettiva ci può<br />

offrire delle conoscenze prima difficilmente immaginabili, e allora si può essere tentati di dire,<br />

ad esempio, che la casa è il posto dove abitano le persone e fa parte di una città: non è studiando<br />

i mattoni o le fondamenta che si può capirne l’essenza. Oggi, tuttavia, anche se il terreno<br />

da esplorare in ambito sociale è probabilmente ancora molto vasto, non è più possibile<br />

privilegiare esclusivamente l’approccio sociale. Altrimenti si rischia di cadere in quel medesimo<br />

riduttivismo, forse migliore di tanti altri, che tuttavia ha provocato il fallimento dei modelli<br />

precedenti.<br />

Proprio l’evidenziarsi nella maniera più netta e chiara, come è avvenuto in Italia, dell’importanza<br />

degli aspetti sociali, può aver contribuito a chiudere quel cerchio delle prospettive<br />

utili da cui osservare il problema della malattia mentale. Di conseguenza la prospettiva che<br />

ci si presenta non è quella di scegliere l’uno o l’altro modello, come per un certo tempo è<br />

stato fatto, anche nella pratica, ma di capire che l’errore principale di ogni approccio è stato<br />

probabilmente quello di ritenersi l’unica prospettiva da cui osservare utilmente i fenomeni<br />

in gioco.<br />

Questa forse, a vent’anni di distanza, è la lezione più importante che possiamo trarre <strong>dalla</strong><br />

riforma psichiatrica e dal percorso storico che ha condotto alla riforma: non tanto il distanziarsi<br />

da posizioni oggi ritenute da alcuni eccessive o ideologiche, ma un’equidistanza, almeno<br />

in linea di principio*, da qualsiasi modello che voglia proporsi come interprete unico della<br />

realtà. In altri termini, la chiusura del cerchio che l’affermarsi del modello sociale ha provocato<br />

può essere vista come la conclusione di un percorso storico e concettuale che ha visto<br />

i diversi modelli come prospettive globali sulla realtà in alternativa gli uni con gli altri. Attual-<br />

*In linea principio significa che, se in certi casi l’intervento utile si rivela quasi solo di tipo farmacologico o psicoterapico<br />

o sociale, in nessun caso possiamo deciderlo a priori, sulla base di un preconcetto che privilegi l’uno o l’altro tipo di<br />

intervento: la teoria non può in alcun caso restringere una prospettiva che deve essere, al momento della valutazione, il<br />

più ampia possibile.<br />

3 0 B O O K S E I


Complessità<br />

e integrazione:<br />

parole vuote<br />

o percorsi possibili<br />

mente questi modelli non possono che essere visti come prospettive parziali di uno stesso<br />

oggetto, non in competizione fra loro ma l’uno ad integrare l’altro rispetto ad una realtà estremamente<br />

ricca e complessa.<br />

Questo non significa che i problemi siano risolti, tutt’altro. Non basta proporre inteventi<br />

combinati, appiccicare un programma riabilitativo alla terapia farmacologica, non è sufficiente<br />

alludere con faciloneria alla globalità e alla complessità dei problemi. Parlare di complessità<br />

ha senso solo se ciò vuol dire essere consapevoli delle difficoltà e dei problemi che<br />

abbiamo di fronte, altrimenti si tratta di parole vuote e prive di significato, che possono portare<br />

soltanto a un’operatività presuntuosa e superficiale: una complessità che fossimo in grado<br />

di padroneggiare (magari solo chiamandola complessità!) non sarebbe di fatto più tale.<br />

Se la strada è l’integrazione, siamo appena all’inizio di un percorso nuovo e difficile, fatto non<br />

tanto di ideologismi e di verità assolute e risolutive, quanto di delicati equilibri, del dover scegliere<br />

e soprattutto graduare un intervento in funzione di un insieme di fattori che attingono<br />

alle dimensioni e i livelli più disparati. Non possiamo nemmeno dire di saperne poco, quantomeno<br />

in senso assoluto. Ne sappiamo più che in molte altre discipline, ma in maniera insufficiente<br />

rispetto alla complessità dell’oggetto che ci troviamo di fronte, tanto che viene a chiedersi<br />

se conosciamo davvero quella cosa che ormai riusciamo ad osservare, come la casa d’abitazione,<br />

da tante diverse prospettive e in così numerosi dettagli.<br />

Il problema principale è a livello teorico: non possediamo ancora un metamodello che comprenda<br />

tutti quelli conosciuti, e probabilmente siamo ancora lontani dal possederlo. In altri<br />

termini, non riusciamo ancora ad integrare le conoscenze a cui attingiamo negli ambiti più<br />

disparati. Ciò significa che brancoliamo nel buio, ancor più di prima, quando possedevamo<br />

delle certezze rassicuranti anche se fallaci Che le teorie di cui disponiamo, lungi dall’essere<br />

completamente vere o completamente false, presentano invece un miscuglio diabolico di<br />

verità e falsità<br />

L’unico fatto confortante è che allo stato attuale la pratica, quando è buona pratica, è molto<br />

più avanzata di ogni speculazione teorica. Dalle grandi speculazioni e dalle ideologie più<br />

o meno politicizzate siamo passati al pragmatismo più assoluto. Facciamo gli interventi che<br />

sembrano funzionare, pur nella difficoltà di avere su questo dei riscontri precisi e metodologicamente<br />

ineccepibili, ma soprattutto, quando non ci facciamo ingabbiare da preconcetti,<br />

riusciamo a combinare insieme le diverse conoscenze tecniche, i fattori contestuali ed<br />

i continui feed-back che riceviamo in una maniera che nemmeno la più raffinata teoria sulla<br />

complessità riuscirebbe a prevedere.<br />

Da un’ottica monomodellistica ad una prospettiva integrata<br />

Purtroppo la parola integrazione è già abusata prima ancora di percorrere la maggior parte<br />

della strada che porta all’integrazione. Tuttavia è importante resistere alla tentazione di affidarci<br />

soprattuto al buon senso o all’iniziativa personale, col rischio di pericolosi superficialismi,<br />

di percorrere esclusivamente le pratiche condivise, come pure di seguire la prima via<br />

alternativa che ci si presenti davanti e che comporti una negazione di quanto già conosciamo.<br />

L’integrazione è complessa prima di tutto perchè, qualunque sia la sua direzione, non può<br />

comportare il mettere da parte le evidenze, i dati empiricamente fondati e le pratiche consolidate<br />

che ormai si sono accumulate in modo rilevante.<br />

Probabilmente la cosa più importante è essere consapevoli che la strada da percorrere lungo<br />

la via dell’integrazione è lunga e difficile. Allo stato attuale si può solamente individuare gli<br />

ambiti concettuali ove si annidano le problematiche più insidiose o dove possiamo trovare<br />

delle direttive teoriche che ci orientino sulla strada da percorrere. Quelli che presentiamo di<br />

B O O K S E I 31


Complessità<br />

e integrazione:<br />

parole vuote<br />

o percorsi possibili<br />

seguito rappresentano un breve elenco, largamente incompleto, di ambiti teorico-pratici ove<br />

i problemi e le possibili soluzioni sembrano intrecciarsi più fittamente.<br />

Le diverse prospettive non vanno considerate concettualmente incompatibili<br />

Non dobbiamo considerare i diversi modelli, e soprattutto le conoscenze da essi apportate, in<br />

linea di principio incompatibili le une con le altre. La nozione di incomprensibilità della<br />

malattia non preclude la possilità di comprendere l’altro nella relazione; l’esistenza di aspetti<br />

relazionali e comunicazionali non esclude la possibilità di evidenziare degli aspetti individuali<br />

e che entrambi possano coesistere; i dati sulla tollerabilità e sulla efficacia dei farmaci non<br />

costituiscono interpretazioni alternative rispetto alle conoscenze, anch’esse ormai consolidate,<br />

sulle valenze relazionali dell’oggetto farmaco; le ipotesi biologiche, psicologiche e sociali<br />

non vanno considerate altro che diversi livelli esplicativi di una realtà complessa e multistratificata,<br />

e gli esempi potrebbero essere innumerevoli. Il problema attiene probabilmente<br />

anche alla nostra struttura cognitiva, che ci fa vedere come una prospettiva ‘o o’ quella che<br />

invece spesso si rivela come una prospettiva ‘e e’.<br />

I limiti di ogni modello sono primariamente negli altri modelli<br />

Le principali deformazioni epistemologiche di ogni modello sono da ricercarsi proprio nel<br />

fatto che ognuno di essi rappresenta una prospettiva non totale, ma parziale, rispetto alla<br />

realtà studiata. Di conseguenza, i limiti di ogni modello risiedono prima di tutto negli altri<br />

modelli. In altre parole, non è possibile sostentere nell’ambito di un modello delle posizioni<br />

che siano smentite da fatti empiricamente fondati evidenziati all’interno di altre prospettive.<br />

Ciò può apparire abbastaza ovvio, ma in realtà i presunti progressi, che hanno rappresentato<br />

solo una diversificazione delle prospettive di osservazione, non hanno quasi mai soppiantato<br />

nè tanto meno incluso al proprio interno le risposte o le domande precedenti. Di solito, una<br />

rivoluzione scientifica comporta un’allargamento della prospettiva, per cui le nuove spiegazioni<br />

riescono a fornire risposte più adeguate ed esaustive, rispetto a quelle precedenti, alle<br />

vecchie domande. Nell’ambito psichiatrico e psicologico abbiamo assistito invece a un continuo<br />

spostamento della prospettiva che, se nel migliore dei casi ha aperto nuovi orizzonti<br />

conoscitivi, non è mai riuscito a fornire quella prospettiva più allargata che consentisse delle<br />

spiegazioni migliori alle vecchie domande. Ad esempio, se la prospettiva psicoanalitica risulta<br />

oggi difficilmente sostenibile nel suo complesso, le importanti questioni aperte <strong>dalla</strong> psicoanalisi,<br />

come la collocazione teorica delle difese psichiche, la questione pulsionale, l’organizzazione<br />

dinamica della personalità, e così via, risultano nel migliore dei casi accantonate<br />

dagli altri modelli, e a tutt’oggi prive di risposte.<br />

Dalle categorie alle dimensioni dell’intervento<br />

Siamo passati <strong>dalla</strong> scelta di un intervento, di un tipo di approccio, a decidere quanto graduare<br />

qualcosa che comunque dobbiamo fare, soprattutto nella relazione. Il problema è<br />

mantenere la giusta vicinanza, il corretto livello di intensità emotiva, corretto per quella specifica<br />

situazione e per quanto conosciamo quella persona, decidere di volta in volta quanto<br />

spazio di autonomia lasciare e quale grado di dipendenza mantenere. Ma soprattutto, più<br />

che di scelte alternative, di diverse categorie di intervento, disponiamo di svariate dimensioni<br />

che non possiamo ignorare in qualsiasi situazione, e che di volta in volta dobbiamo<br />

saper quantificare nella loro importanza, tenendo presente l’importanza relativa delle altre<br />

dimensioni e dell’equilibrio complessivo che ne deriva.<br />

Dobbiamo inoltre considerare che tali dimensioni di intervento non sono separate le une<br />

dalle altre, ma assomigliano, seppur con modalità molto più complesse, a dei vasi comuni-<br />

3 2 B O O K S E I


Complessità<br />

e integrazione:<br />

parole vuote<br />

o percorsi possibili<br />

canti ove il livello dell’uno può influenzare i livelli degli altri. Qualunque ambito decidiamo<br />

di scegliere, non possiamo fare a meno di influenzarne degli altri. Se attuiamo un programma<br />

riabilitativo, ci troveremo per forza ad avere con la persona una relazione che non sarà<br />

ininfluente, e che potrebbe anche risultare più influente della riabilitazione stessa, e una psicoterapia<br />

condotta rigorosamente in un ambito duale potrà avere degli effetti riabilitativi. La<br />

relazione influisce sull’effetto del farmaco così come l’effetto del farmaco può influire sulla<br />

relazione; un intervento comportamentale potrà mettere in moto valenze identificative o<br />

dinamiche profonde imprevedibili, e così via.<br />

Unitarietà - frammentazione diagnostica<br />

Quando ci confrontiamo con una persona tendiamo a vederla come un’entità unitaria, pur<br />

nelle sfaccettature sempre presenti. Stabilito il contesto, l’altro sarà affidabile, simpatico,<br />

noioso, arrogante e così via. La stessa cosa la facciamo nel lavoro terapeutico. Gran parte dei<br />

modelli che prevedevano un intervento interpersonale, compreso il modello clinico, si sono<br />

storicamente affidati a diagnosi tendenzialmente unitarie. Abbiamo la psicosi, il disturbo<br />

ossessivo, la struttura nevrotica o borderline, il modello depressivo del mondo, e tendiamo<br />

ad affidare alla caratteristica prescelta la previsione dei comportamenti dell’altro, dei suoi<br />

atteggiamenti, delle emozioni che ci suscita, delle difficoltà incontrate nella relazione. Tendiamo<br />

addirittura a interpretare altre caratteristiche evidenti in funzione di quella che<br />

abbiamo prescelto come principale, e quindi come derivanti da, difese nei confronti di, mere<br />

apparenze o coperture di qualcosa altro, e così via.<br />

D’altra parte ipotesi come quelle sulla comorbidità, sulla coesistenza di sindromi e disturbi di<br />

personalità, addirittura i dati sulla coesistenza di più disturbi di personalità possono essere<br />

accettabili su un piano astratto o sul piano della medicina, come quando diagnostichiamo che<br />

una persona ha il diabete, l’ipertensione arteriosa e altre malattie, ma ci convincono di meno<br />

quando ci dobbiamo confrontare effettivamente con l’altro sul terreno della relazione, quando<br />

tutte queste caratteristiche dovrebbero in qualche modo appartenere all’unica persona che<br />

ci troviamo di fronte. Anche perchè la personalità, normale o patologica che sia, sembra funzionare<br />

in maniera integrata.<br />

Malattia e incomprensibilità<br />

Gli approcci che si basavano sull’incomprensibilità e sul concetto di malattia, essenzialmente<br />

quello medico-biologico e quello fenomenologico-psicopatologico, hanno avuto, salvo rare<br />

eccezioni, dei percorsi storici paralleli o divergenti da quelle discipline che ricercavano la cura<br />

attraverso la relazione e quindi, quasi inevitabilmente, la necessità di comprendere. Questo<br />

malinteso ha creato incredibili castelli in aria concettuali, che poi crollano di fronte alla più<br />

banale pratica quotidiana, come quando diciamo al depresso che è malato (e quindi che gli<br />

sta succedendo qualcosa di assolutamente incomprensibile!) e ci accorgiamo che in un certo<br />

momento quella può essere la maniera più immediata per comprenderlo.<br />

Organico - psicologico e normale - patologico<br />

Uno dei preconcetti più vecchi ma più duri a morire riguarda il fatto che la malattia psichica<br />

attiene al corpo, ha cause organiche, mentre la comprensione degli atti di noi persone cosiddette<br />

normali, va ricercata in una prospettiva psicologica. Questo vorrebbe dire che il cervello<br />

non può essere sano e l’anima non si ammala mai Sicuramente no. Sta piuttosto a indicare<br />

come una delle più grosse difficoltà risieda non nel presupporre un’origine biologica per<br />

le malattie psichiatriche, ma nell’ammettere che alla base dei nostri comportamenti, dei nostri<br />

sentimenti, di quei meravigliosi processi creativi e di pensiero di cui siamo capaci vi sono dei<br />

processi biologici. Quindi la dicotomia fondamentale non è tanto fra biologico e psicologico,<br />

B O O K S E I 33


Complessità<br />

e integrazione:<br />

parole vuote<br />

o percorsi possibili<br />

quanto fra funzionamento normale e funzionamento patologico, rispetto ai quali le prospettive<br />

biologiche, psicologiche e sociali non si differenziano fra loro se non per il diverso livello<br />

di osservazione.<br />

Questo discorso si ricollega al problema dell’integrazione, in quanto una delle sfide più ardue<br />

risiede non tanto nell’ambito patologico quanto nel funzionamento fisiologico. Al giorno<br />

d’oggi probabilmente sappiamo molto di più sui meccanismi della schizofrenia e della depressione<br />

che sul funzionamento della mente in condizioni di normalità. Qual’è il ruolo dei dispositivi<br />

che presupponiamo alterati in certe malattie psichiche nel funzionamento normale, nella<br />

vita di tutti i giorni Ciò che non funziona nella schizofrenia, che funzione ha nell’individuo<br />

normale, ha qualche attinenza col guidare una macchina, stare assieme agli altri o uscire<br />

con una ragazza, e soprattutto come si integra con tutti gli altri dispositivi che noi abbiamo<br />

In altri campi della medicina non è così. Possiamo dire di conoscere il diabete non tanto perchè<br />

sappiamo che in certi casi si può verificare una carenza funzionale di insulina, ma perchè<br />

conosciamo il ruolo dell’insulina come regolatore del metabolismo intermedio del glucosio, e<br />

come il metabolismo intermedio sia a sua volta collegato a tutta una serie di funzioni essenziali<br />

per il nostro organismo. Solo partendo da questo punto possiamo capire che cosa succede<br />

nella fisiopatologica del diabete.<br />

Rendere totale la prospettiva d’azione allentando la totalità della presa in carico<br />

È un punto estremamente delicato. Come si può tacciare di riduttivismo la psichiatria manicomiale,<br />

quando in fondo si prendeva carico in tutto e per tutto del malato mentale Per un<br />

certo periodo anche la psichiatria più avanzata e caratterizzata in senso territoriale ha sentito<br />

il peso di quella delega totale che la comunità aveva affidato all’istituzione manicomiale. Si<br />

sono create opportunità residenziali e lavorative invidiabili, ma sempre in qualche modo<br />

all’interno del circuito psichiatrico, vi sono state oscillazioni da un lato fra atteggiamenti di<br />

oblatività e un impegno che andava ben al di là del mandato istituzionale, e dall’altro il chiudersi<br />

rigidamente dietro le proprie competenze tecniche. D’altra parte la comunità non ha<br />

facilitato le cose, come quando si dice che un paziente è seguito dal CIM, alludendo in qualche<br />

modo ad una responsabilità totale dell’istituzione: nessuno farebbe affermazioni del genere<br />

su di un libero cittadino che necessita di cure odontoiatriche.<br />

La questione, come detto, è delicata, perchè il contraltare di questi atteggiamenti può essere<br />

l’abbandono quasi totale, come si è verificato in certi paesi occidentali. Probabilmente anche<br />

in questo caso la soluzione risiede, più che in scelte di campo dicotomiche, nel soppesare<br />

attentamente degli equilibri sottili che si giocano fra bisogni assistenziali, competenze specifiche,<br />

autonomie dell’individuo e responsabilità della collettività. E’ chiaro che del problema,<br />

che resta primariamente un problema sociale, se ne dovrebbe fare idealmente carico la comunità<br />

nella sua interezza, con un grado di specificità che aumenti a seconda del livello delle<br />

competenze richieste. Altrimenti l’integrazione, quella del malato mentale nella società, verrà<br />

rinviata indefinitamente. E’ anche chiaro che non si tratta solo di una questione di politiche<br />

assistenziali e sanitarie, ma eminentemente culturale, e va a toccare l’accettazione verso la<br />

diversità, o sarebbe meglio dire verso un certo tipo di diversità che evidentemente più di tante<br />

altre fatica ad inserirsi nel novero di una società pluralista e apparentemente tollerante verso<br />

tanti modi di essere minoritari.<br />

Tecnica e fattore umano<br />

Ci si rende conto sempre di più dell’importanza del cosiddetto fattore umano, dell’impossibilità<br />

di ridurre a tecnica un intervento che, sia per quanto riguarda chi lo fa che chi ne usufruisce,<br />

deve rimanere il più possibile a misura d’uomo. Ciò accade nei campi più disparati,<br />

<strong>dalla</strong> riabilitazione all’utilizzo del volontariato e di risorse non strettamente psichiatriche, al<br />

3 4 B O O K S E I


Complessità<br />

e integrazione:<br />

parole vuote<br />

o percorsi possibili<br />

coinvolgimento dei familiari e della rete sociale, e perfino al campo per definizione più tecnico,<br />

quello delle psicoterapie e della relazione terapeutica in senso specifico.<br />

È possibile, anzi probabile, che anche in futuro si consoliderà l’importanza di quell’aspetto<br />

della terapia che attiene all’interazione fra persona e persona. Questo pone degli inevitabili<br />

problemi dal punto di vista concettuale, perchè significa mettere in campo qualcosa che nè la<br />

più approfondita analisi e ricerca personale nè le più sofisticate conoscenze sul funzionamento<br />

emotivo e cognitivo possono riuscire ad incasellare in una struttura concettuale di riferimento.<br />

E’ difficile teorizzare l’intuizione, i fattori motivazionali, il famigerato e potentissimo<br />

buon senso, ed è ancor più difficile teorizzare la relazione fra buon senso e tecnica, capire<br />

come chiunque di noi riesca ad imbrigliare in una rete intricatissima ma spesso efficace le<br />

più disparate conoscenze teorice e pratiche di cui dispone.<br />

Di questo se ne occuperà forse qualcuno in un futuro lontano. Per il momento possiamo<br />

accontentarci del fatto che, come si diceva, la pratica quotidiana e quindi le nostre risorse personali<br />

e collettive, costituiscono uno dei vettori più importanti di quell’integrazione che<br />

andiamo ricercando. Perdipiù, molte volte l’integrazione si realizza nel singolo caso e nella<br />

singola relazione, ed è possibile che anche quando le nostre conoscenze saranno sensibilmente<br />

progredite ci troveremo ancora di fronte a questo problema, e non potremmo ridurre<br />

a scienza e a tecnica ciò che resterà sempre, almeno in parte, un’arte.<br />

B O O K S E I 35


3 6 B O O K S E I


Attività dei<br />

servizi<br />

psichiatrici<br />

del<br />

Distretto Nord<br />

Attività dei<br />

servizi<br />

psichiatrici<br />

del<br />

Distretto Nord<br />

1 gennaio 1977<br />

31 dicembre 1996<br />

di<br />

L’attività dei presidi psichiatrici.<br />

Giuseppe Geppini<br />

Fino al momento dell’istituzione della Provincia di Pordenone (1968)<br />

il suo territorio faceva parte integrante della Provincia di Udine.<br />

Era quindi l’O.P.P. di Udine, inaugurato nel 1904, (e per quei tempi<br />

voluto come struttura manicomiale all’avanguardia in ambito nazionale<br />

ed internazionale per l’osservazione e cura” delle malattie mentali),<br />

che costituiva il punto di riferimento cardine della psichiatria<br />

del luogo.<br />

Il ricovero psichiatrico veniva attuato pertanto presso l’O.P. di Udine. Questa circostanza di fatto<br />

è continuata fino all’entrata in vigore della Legge Nazionale di riforma <strong>180</strong>/78, poichè la nuova<br />

Provincia di Pordenone non ha inteso intraprendere l’opera di organizzare un proprio Ospedale<br />

Psichiatrico, bensì quella di orientare l’assistenza specialistica verso le forme di prevenzione,<br />

cura e riabilitazione ambulatoriale e domiciliare. Dal 1975 in tutta la Provincia di Pordenone<br />

operavano varie sedi del Centro d’Igiene Mentale, istituito nel 1972 per le finalità sopra esposte,<br />

con apertura feriale diurna alcuni giorni la settimana nelle sedi più periferiche, tutti i giorni feriali<br />

presso quella centrale. In precedenza, anni’60, a partenza dall’O.P.P. di Udine, gli operatori psichiatrici,<br />

in forza presso quel presidio, assicuravano l’apertura periodica di un dispensario psi-<br />

Giuseppe Geppini Primario Psichiatra DSM dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> - Pordenone<br />

B O O K S E I 37


Attività dei<br />

servizi<br />

psichiatrici<br />

del<br />

Distretto Nord<br />

chiatrico ambulatoriale, operante a Maniago, per il controllo, quasi esclusivamente farmacologico,<br />

degli utenti che avevano avuto ricoveri in O.P. a Udine.<br />

Questo presidio ha cessato l’attività al momento dell’istituzione del Centro d’Igiene Mentale della<br />

Provincia di Pordenone. Con la riforma sanitaria, avviata sulla base della Legge n.833, istituite<br />

le U.S.L. e comprensive, nella realtà di questo territorio, dei servizi psichiatrici a partenza dal<br />

1.10.1981, le sedi di Maniago e di Spilimbergo del Centro d’Igiene Mentale dell’Amministrazione<br />

Provinciale di Pordenone hanno costituito il Centro di Salute Mentale dell’U.S.L. n.10.<br />

L’unico Servizio ospedaliero di Diagnosi e Cura Psichiatrica provinciale, costituito in relazione<br />

all’approvazione della Legge <strong>180</strong>, nel 1978, è stato situato presso l’O.C. di Sacile, dove permane<br />

anche attualmente. In Regione non operano cliniche specialistiche private, presenti invece nella<br />

vicina Regione Veneto. Per quanto riguarda la composizione del personale in servizio presso il<br />

Centro di Salute Mentale del Distretto Nord si possono riconoscere le seguenti fasi evolutive.<br />

Inizialmente (anno 1977-78) ciascuna delle due Èquipe ambulatoriali, quella di Maniago e quella<br />

di Spilimbergo, comprendevano in servizio: un medico psichiatra, uno psicologo o un’animatrice<br />

sociale, un’assistente sociale, un’assistente sanitaria visitatrice, due infermieri psichiatrici ed<br />

un agente tecnico. Si trattava in tutti i casi di personale neoassunto, che non aveva mai operato<br />

presso un ospedale psichiatrico, se non come tirocinio di preparazione.<br />

Un significativo aumento del personale infermieristico è intervenuto alla fine del 1978, anche in<br />

questo caso costituito da operatori giovani, di nuova assunzione, senza esperienza precedente in<br />

campo psichiatrico, ma che ha permesso l’estensione del servizio alle dodici ore diurne dal lunedì<br />

al venerdì. I due gruppi così costituitisi si sono formati attraverso la partecipazione a corsi all’uopo<br />

individuati ed attraverso il continuo confronto e la discussione sull’attività quotidianamente<br />

svolta. A partire dal 1984 in ciascuna Èquipe di lavoro si è provveduto ad inserire un secondo<br />

medico psichiatra e a rinnovare gli operatori che via via stavano cessando il servizio o passavano<br />

ad altri presidi dell’U.S.L.<br />

Questo processo si è protratto per un quadriennio durante il quale tutti gli operatori cessati sono<br />

stati sostituiti con infermieri professionali neoassunti che si sono ben integrati nel lavoro.<br />

Nel 1986 è stata potenziata l’attività di day-hospital, già attiva dagli anni precedenti presso ciascuna<br />

sede ambulatoriale. Successivamente, dicembre 1993, ha preso avvio l’attività del Centro<br />

di accoglimento Diurno-Notturno (Centro 24ore) operante continuativamente nelle 24ore, dotato<br />

di due posti letto, poi divenuti otto a far data dal luglio 1996, ed ora in corso di ulteriore<br />

ampliamento.<br />

All’apertura del Centro 24ore si è affiancata la reperibilità medico-psichiatrica notturna e festiva,<br />

a completamento della presenza medica già estesa a copertura delle dodici ore diurne.<br />

L’adozione di tali provvedimenti si collega con il sensibile aumento degli operatori in forza al Servizio:<br />

vi è stato infatti un incremento del numero dei medici in organico ed è stata completata la<br />

copertura di dodici posti di infermieri che ha consentito di procedere all’apertura del Centro<br />

24ore. In questa struttura, infatti, viene assicurata una presenza continuativa, in servizio, di due<br />

unità infermieristiche, di un medico per cinque ore diurne, e di uno psicologo per tre ore die,<br />

dal lunedì al venerdì.<br />

Presso il Centro 24ore trova collocazione temporaneamente anche il Centro Diurno, in attesa di<br />

altra più conforme ubicazione, in risposta ad un bisogno di residenzialità diurna più esteso di<br />

quello attualmente soddisfacibile.<br />

Il Registro Psichiatrico dei Casi e la registrazione dell’attività del Servizio.<br />

L’attività psichiatrica svolta presso i servizi del territorio e gli accessi di utenti di questo territorio<br />

presso altre agenzie psichiatriche, sono documentati attraverso un sistema di registrazione,<br />

continuamente aggiornato, che costituisce il Registro Psichiatrico dei Casi.<br />

3 8 B O O K S E I


Attività dei<br />

servizi<br />

psichiatrici<br />

del<br />

Distretto Nord<br />

Per ciascun utente che viene in contatto con le citate agenzie specialistiche, viene redatta una<br />

Scheda Epidemiologica Individuale dove si annotano:<br />

- dati di carattere generale: nome, età, sesso, stato civile, scolarità, residenza, collocazione socioambientale,<br />

professione, esperienza di emigrazione, ecc;<br />

- dati più specifici: riguardanti l’accesso al presidio consultato: invio, medico di libera scelta,<br />

motivazione, modalità; life events, la sede dell’intervento, gli operatori di riferimento, la diagnosi<br />

formulata, la rilevazione di eventuali disturbi psichiatrici precedenti e le cure effettuate,<br />

le indicazioni terapeutiche, l’intervento di altri servizi;<br />

- dati riguardanti i contatti successivi: data, sede dell’intervento, modalità e tipologia dell’intervento,<br />

operatori intervenuti;<br />

- dati riguardanti i ricoveri in reparti specialistici: durata e forma del ricovero, accoglimento<br />

presso centri diurni o diurno-notturni.<br />

Il Registro dei Casi Psichiatrici del territorio del Distretto Nord prende avvio a partire dal<br />

1.1.1977 e da allora continuamente viene aggiornato con gli elementi sopracitati.<br />

I dati riguardanti i contatti di ogni utente, che si presenta presso le sedi del C.S.M., sono dapprima<br />

registrati nel Registro dell’Attività Giornaliera, presente presso ciascuna sede, a cura degli<br />

operatori del presidio che intervengono ad accogliere la domanda e ad attuare il programma di<br />

cura specialistico.<br />

Il Registro dell’Attività Giornaliera, aggiornato giornalmente, documenta il nome dell’utente, il<br />

luogo dove il servizio interviene in suo favore, le modalità dell’intervento, il tipo di intervento<br />

attuato, l’eventuale circostanza d’urgenza, gli operatori che intervengono; mentre nell’ambito<br />

della prima segnalazione e del primo contatto vengono registrati, su di un’apposita porzione della<br />

Cartella Clinica del paziente, i dati di carattere generale e i dati più specifici, come descritti in<br />

premessa a proposito del Registro dei Casi.<br />

Il Registro dell’Attività Giornaliera è stato concepito, inoltre, per consentire la documentazione<br />

di tutti quegli interventi non rivolti direttamente al singolo utente ma che fanno riferimento alle<br />

attività di prevenzione, formazione, ricerca, supervisione di carattere più complessivo, svolta<br />

presso le sedi del servizio ed al di fuori di esse (scuole, comunità, ecc.).<br />

Gli elementi documentali, annotati nei Registri delle Attività Giornaliere e sulle Cartelle Cliniche<br />

degli utenti, vengono riportati a cadenza settimanale sulla Scheda Epidemiologica Individuale,<br />

relativa a ciascun utente, conservata presso la sede del Registro dei Casi.<br />

Analisi dell’attività del Servizio dal 1977 al 1996.<br />

I nuovi accessi al Servizio mostrano un andamento stabile dal 1977 al 1986, in questo periodo<br />

la media annua si attesta alle 133 unità e rappresentano oltre un terzo dell’utenza totale annua.<br />

Il dato conferma come in questa fase il Servizio venga individuato come presidio sanitario specialistico<br />

dell’area territoriale su cui opera, sia dalle altre strutture sanitarie che dagli utenti, ma<br />

ritenuto deputato essenzialmente alla cura dei disturbi psichiatrici di rilevante entità nonchè<br />

cronici.<br />

Seppur esiguo per quanto riguarda il numero degli operatori, era riuscito ad essere presente nelle<br />

situazioni di maggior bisogno ed a rappresentare un livello di interlocuzione nei confronti della<br />

domanda psichiatrica prima indirizzata direttamente all’O.P.P. di Udine.<br />

Si assisteva quindi alla frequenza degli ambulatori, di molti utenti che già avevano avuto esperienza<br />

di ricovero presso l’O.P. di Udine ma avevano potuto altresì rientrare al loro domicilio ed<br />

essere sostenuti, anche con contributo di tipo economico, nella permanenza nel loro ambiente<br />

famigliare e sociale.<br />

B O O K S E I 39


Attività dei<br />

servizi<br />

psichiatrici<br />

del<br />

Distretto Nord<br />

Il C.S.M. in quegli anni operava con costanza anche presso l’O.P.P. di Udine al fine di raggiungere<br />

meglio l’utenza ivi pervenuta e favorire l’espletamento di tutte quelle azioni idonee a consentirne<br />

il rientro a casa. Peraltro, l’ambulatorio territoriale accoglieva altresì richieste d’intervento<br />

urgente di primi invii e si muoveva con tempestività a livello domiciliare.<br />

Fra i primi accessi al C.S.M., nel periodo citato (1977/1986), vi sono comprese tuttavia anche<br />

persone con disagio psichico meno rilevante e meno disturbante, che cominciavano ad individuare<br />

il Centro come servizio specialistico di secondo livello, in luogo alle Case di Cura, lontane<br />

da questo territorio, e dei Reparti di Neurologia, per prestazioni continuative ambulatoriali in<br />

condizioni di non ricovero.<br />

L’intervento della Legge di Riforma del Sistema Psichiatrico <strong>180</strong>/78 aveva contribuito a convogliare<br />

verso il Sevizio territoriale l’utenza che in precedenza afferiva direttamente all’O.P.P. (non<br />

si contano infatti che rarissimi casi di nuovi utenti indirizzati direttamente al neo costituito<br />

S.O.D.C.P. dell’Ospedale Civile di Sacile, provenienti da questo territorio), ma anche a restringere<br />

la possibilità di ricovero per patologie psichiatriche, degli Ospedali Civili Provinciali più frequentati,<br />

quello di Pordenone e quello di Udine, e presso le Divisioni di Neurologia.<br />

L’impatto, a livello culturale, del passaggio da una cura-controllo del disturbo psichiatrico, attuata<br />

di norma in condizioni di degenza ospedaliera, ad una gestione della medesima con netta predominanza<br />

del momento territoriale ambulatoriale e domiciliare, seppur preceduta dalle già citate<br />

esperienze di un C.I.M. sorto ben in anticipo (1972) rispetto ai tempi della riforma e precorritore<br />

degli stessi, connotava intensamente l’attività quotidiana. Si esprimeva in ripetuti e talora<br />

aspri dissidi fra operatori e famiglie, con estenuanti itinerari di rassicurazione, di sostegno e di<br />

spiegazioni nei confronti degli utenti e dei loro congiunti, in un continuo lavoro di proposizione<br />

di quanto poteva effettivamente essere fatto, a beneficio del malato, se si poneva attenzione alla<br />

sua essenza di persona umana sofferente, piuttosto che al timore della distruttività e pericolosità<br />

temuta nei sintomi e nei segni di non facile comprensione, anche perchè troppo a lungo relegati<br />

e sottratti alla conoscenza comune.<br />

Si fa strada l’idea di un centro specialistico per i problemi di natura psichica che vede l’affluenza<br />

di una domanda riguardante anche problematiche di natura psicologica e psichiatrica che mai<br />

avrebbero varcato la porta dell’O.P.P. Una quota considerevole di tale utenza veniva inviata al<br />

Centro dai reparti dell’Ospedale Civile zonale, dove si rilevava allora una notevole presenza ed<br />

attività dell’équipe territoriale.<br />

Ciò aveva contribuito a consolidare un rapporto di conoscenza e di fiducia reciproca.<br />

Un’altra quota d’utenza giungeva dai medici di famiglia con i quali si andava instaurando un programma<br />

di scambio continuativo.<br />

Le azioni intraprese portavano ad un netto miglioramento delle relazioni con i medici di base, la<br />

cui partecipazione nell’invio dell’utente andava via via aumentando nel tempo, avvisaglia della<br />

sostanziale evoluzione che avrebbe interessato il C.S.M., documentata anche a proposito dei nuovi<br />

accessi, col divenire parte integrante dei presidi dell’U.S.L. del territorio.<br />

La suddivisione del territorio provinciale in quattro U.S.L. data al 1981 e diviene operativa<br />

durante il 1982. Gli anni che vanno dal 1982 al 1984 si devono considerare un periodo durante<br />

il quale i diversi servizi, confluiti nell’U.S.L., riordinano le loro reciproche relazioni, improntate<br />

alla mutata dimensione spazio-temporale della loro vicinanza ed interrelazione e di quella del<br />

loro nuovo ed unico interlocutore politico-amministrativo. Si assiste, per quanto riguarda il<br />

C.S.M., al progressivo avvicinamento agli altri presidi sanitari e sociali dell’area, inserito in una<br />

pianificazione unitaria ed interdipendente con gli stessi, che il territorio assume come propria,<br />

non più delegata al capoluogo provinciale. Per quanto concerne il C.S.M. questo processo coincide<br />

con l’assunzione, da parte dell’organo di gestione, di un programma di sviluppo e che si può<br />

riassumere per brevità nei seguenti capitoli:<br />

1) dotazione di nuove e più adeguate sedi, che vengono inaugurate nel marzo 1986;<br />

4 0 B O O K S E I


Attività dei<br />

servizi<br />

psichiatrici<br />

del<br />

Distretto Nord<br />

2) ampliamento delle possibilità delle risposte terapeutiche, riabilitative con revisione dell’organizzazione<br />

dell’attività di day-hospital che diviene attività continuativa e stabilmente struttura a<br />

partire dall’agosto 1985;<br />

3) potenziamento dell’organico del Servizio sia per quanto riguarda sia le figure direttive che<br />

infermieristiche;<br />

4) estensione delle giornate prefestive e festive dell’apertura del Servizio con presenza medica ed<br />

infermieristica (febbraio 1986);<br />

5) potenziamento dell’assistenza medico psichiatrica agli utenti delle Case di Riposo del territorio<br />

(1986);<br />

6) coordinamento del Servizio con gli altri Servizi Sanitari e Sociali operanti nell’area del sociale,<br />

per l’assistenza domiciliare agli anziani ed invalidi, in particolare con il Gruppo Operativo Tossicodipendenze<br />

(1985);<br />

7) ampliamento delle possibilità di accesso ed iniziative locali di appoggio per l’utenza specie nel<br />

versante della riabilitazione lavorativa (borse di lavoro presso i Comuni, ecc,).<br />

Il processo di avvicinamento del C.S.M. agli altri presidi territoriali locali e di riconoscimento del<br />

medesimo, inserito nel contesto della programmazione sanitaria dell’area, trova riscontro nella<br />

mutata immagine che si evidenzia a partire dall’inserimento nella U.S.L.<br />

Dal 1986 a tutt’oggi, si assiste al raddoppio della quota di nuovi accessi al Servizio, che passano<br />

da una media di 133 annui nel periodo 1977/1986 ad una media di 208 annui nel periodo<br />

1987/1996, senza che peraltro si modifichi la quota dei nuovi invii dai reparti dell’Ospedale Civile<br />

zonale di Maniago e di Spilimbergo, che rimane attestata intorno alle 45 unità annue per tutto<br />

il periodo considerato (1977/1996).<br />

Con una maggiore presenza specialistica nelle strutture per anziani da parte del Servizio, si assiste,<br />

inoltre, ad un sensibile aumento dei nuovi accessi, provenienti da dette strutture. La tabella<br />

I, relativa alla descrizione dell’utenza, dimostra come i nuovi accessi rappresentino nel 1977 circa<br />

1/3 dell’intera utenza annua e da allora il dato rimanga costante fino ad ora, evidenziando che,<br />

mentre cresce il numero delle nuove ammissioni, aumenta parimenti il numero di persone<br />

annualmente in carico, numero che quasi si raddoppia nel decennio 1987-96 rispetto a quello<br />

precedente.<br />

UTENTI IN CARICO E PRIMI ACCOGLIMENTI AL C.S.M. (Tab.1)<br />

anni 1977 - 1986 anni 1987 - 1996<br />

utenti in carico<br />

numero medio/valore% 413 100% 666 100%<br />

maschi<br />

numero medio/valore% 182 44.2% 268 40.1%<br />

femmine<br />

numero medio/valore% 231 55.9% 398 59.1%<br />

prosecuzioni<br />

numero medio/valore 254 61.7% 386 57.9%<br />

recidive<br />

numero medio/valore% 26 6.2% 72 10.8%<br />

primi accoglimenti<br />

numero medio/valore% 133 32.2% 208 31.2%<br />

maschi<br />

numero medio/valore% 55 41.3% 87 41.5%<br />

femmine<br />

numero medio/valore% 78 58.7% 121 58.5%<br />

B O O K S E I 41


Attività dei<br />

servizi<br />

psichiatrici<br />

del<br />

Distretto Nord<br />

Dei nuovi accessi annui il 30% circa rimane in cura per oltre un anno, questa quota diminusce<br />

ancora sensibilmente dopo il secondo anno, per poi decrescere molto più lentamente, oltre il terzo<br />

anno, negli anni successivi.<br />

A partire dal quinto anno <strong>dalla</strong> data di primo accoglimento il 9,7 in media, dei primi accolti, resta<br />

all’attenzione del Centro e prosegue per oltre dieci anni.<br />

Le nuove ammissioni annue rappresentano lo 0,4% della popolazione residente nell’area, mentre<br />

gli utenti annualmente in carico costituiscono l’1,2% nel decennio 1986-97 ( per utenti in<br />

carico annuale si devono intendere tutte le persone che hanno avuto almeno un accesso e quindi<br />

una valutazione specialistica nell’anno).<br />

Nel decennio precedente erano lo 0,2% e lo 0,7% rispettivamente.<br />

I nuovi accessi si caratterizzano ora in modo nettamente diverso da quelli del decennio passato;<br />

non si tratta più di persone con storia istituzionale psichiatrica, ma di utenti che si presentano al<br />

C.S.M. al primo apparire dei disturbi, ovvero dopo aver consultato altri specialisti e non aver trovato<br />

risposta soddisfacente alle loro difficoltà.<br />

Parallelamente all’integrarsi del Servizio di Salute Mentale nel contesto degli altri servizi, si è consolidato<br />

nella popolazione un significativo mutamento culturale, in relazione alle problematiche<br />

connesse con il disagio psichico, mutamento promosso da molteplici fattori e circostanze.<br />

Sebbene perdurino preconcetti e fantasmi ancora grossolani, inerenti l’assistenza psichiatrica,<br />

pur tuttavia si assiste alla proposizione da parte dei pazienti e dei loro famigliari di domande di<br />

assistenza e di riabilitazione che risentono del percorso culturale, avviato in quei primi anni cruciali<br />

della costituzione del presidio territoriale, mentre tutto il Paese viveva l’esperienza della trasformazione<br />

del manicomio.<br />

Se tuttavia è scomparsa l’utenza con storia manicomiale ciò non di meno permangono situazioni<br />

connotate da gravissime condizioni di povertà nei rapporti, nelle risorse, nelle prospettive, che<br />

ripropongono costantemente e riformulano sempre aggiornate esigenze di attenzione ai bisogni<br />

primari, soprattutto affettivi, ancora largamente disattesi.<br />

Ne è conferma il dato che vede un incremento sensibile nel decennio 1987/96 rispetto al decennio<br />

precedente, degli utenti che restano in carico, senza poter uscire dal circuito psichiatrico e,<br />

parimenti, il dato relativo alle recidive, anche se quest’ultimo rimane pressochè costante, come<br />

valore assoluto, di circa 70 utenti annui, a partire dal 1990.<br />

Se per quanto riguarda la zona di residenza appare facilmente intuibile come siano favorite nell’accesso<br />

le persone che risiedono nei comuni dove il presidio stesso ha sede o in quelli più prossimi,<br />

una considerazione si impone in riferimento alle fasce d’età.<br />

L’affluenza risulta notevolmente più elevata nel decennio 1987/96 per le persone ultra sessantacinquenni<br />

e già lo era, seppur in percentuale minore, nel decennio precedente, sia per quanto<br />

riguarda i primi accoglimenti che gli utenti in carico, a differenza di quanto si osserva per le altre<br />

fasce d’età dove non si notano sostanziali differenze, nel valore percentuale, di un gruppo rispetto<br />

all’altro.<br />

Questo dato si collega con l’aspetto dell’assistenza specialistica psichiatrica assicurata alle strutture<br />

per anziani; ben il 16% dell’intera utenza annua, infatti, è costituito da ospiti delle Case di<br />

Riposo nel decennio 1987/96, contro il 3% del periodo precedente.<br />

Ha attinenza, tuttavia, anche al più generale processo di invecchiamento della popolazione dell’area.<br />

Il considerevole aumento riguarda, inoltre, prevalentemente utenti di sesso femminile anche in<br />

ragione della loro maggiore durata della vita media.<br />

Si fa più profondo il divario numerico fra assistiti vedovi (circa metà del totale degli assistiti nel<br />

decennio 1987/96) rispetto alle altre categorie, con il conseguente aumento delle persone pensionate<br />

(Tab. II).<br />

4 2 B O O K S E I


Attività dei<br />

servizi<br />

psichiatrici<br />

del<br />

Distretto Nord<br />

UTENTI IN CARICO AL C.S.M.: STATO CIVILE E ATTIVITA’ LAVORATIVA (Tab. II)<br />

anni1 977 -1986 anni 1987 - 1996<br />

utenti in carico<br />

numero medio/valore% 413 100% 666 100%<br />

non coniugati<br />

numero medio/valore% 238 57.6% 204 31.5%<br />

coniugati<br />

numero medio/valore% 98.8 23.9% 136 20.3%<br />

vedovi / separati<br />

numero medio/valore% 78.1 18.5% 319 48.2%<br />

senza occupazione<br />

numero medio/valore% 39.4 9.5% 88 14.1%<br />

occupati<br />

numero medio/valore% 148 35.8% 211 32%<br />

pensionati<br />

numero medio/valore% 227 54.7% 360 53.9%<br />

Sotto il profilo numerico annotiamo come il 60% del totale degli utenti in carico annuale sia<br />

costituito da donne; questo dato costituisce la media registrata nel decennio 1987-96 ed evidenzia<br />

un incremento del 4%, rispetto alla media del decennio precedente (1977-86), della popolazione<br />

femminile assistita. La percentuale delle donne che afferiscono per la prima volta al Centro<br />

rimane costante rispetto ai maschi nei due decenni considerati e si situa attorno al 58% del<br />

totale dei primi accoglimenti annui, mentre varia la percentuale delle donne che restano in carico<br />

da un’anno all’altro, dove si riscontra, appunto, un ulteriore lieve aumento della percentuale<br />

delle donne rispetto ai maschi.<br />

L’incremento percentuale della popolazione femminile, rispetto a quella maschile, riguarda<br />

essenzialmente la classe di età di coloro che hanno superato i 65 anni.<br />

Per tutte le altre classi di età il numero medio di utenti in carico, maschi e femmine, risulta assolutamente<br />

sovrapponibile, lo scostamento comincia ad evidenziarsi con il 56° anno di età e diventa<br />

rilevante oltre il 65°. Gli utenti maschi e femmine che hanno 18 - 25 anni costituiscono la classe<br />

meno numerosa, se confrontata con quelle degli utenti di ogni altro decennio superiore.<br />

A fronte di 45 giovani di età compresa fra i 18 e 25 anni si hanno 80 persone di 26 - 35 anni, 100<br />

di 36 - 45 anni, 120 di 46-55 anni, fino a giungere ai 56 anni, quando il numero medio di assistiti<br />

rimane di circa 110, ma il divario fra maschi e femmine si sposta a favore delle donne, per<br />

toccare livelli molto elevati nella classe di età successiva, dove il dato relativo al numero di donne<br />

assistite diviene triplo rispetto a quello degli uomini, per un valore totale della coorte di 220<br />

persone.<br />

Analogo andamento si riscontra analizzando i dati relativi ai primi accoglimenti.<br />

Si documenta una differenza netta fra utenza maschile e femminile in riferimento allo stato civile.<br />

Gli utenti maschi del servizio per il 60% sono non coniugati, per il 30% coniugati per il 10%<br />

vedovi. È possibile quindi attribuire alla circostanza del non essere coniugati un ruolo favorente<br />

per l’insorgenza di problemi psichici e per il loro perdurare.<br />

Avere accanto una donna costituisce per l’uomo elemento di realizzazione personale oltre che<br />

aiuto ed assistenza in età senile. Le utenti donne del servizio sono invece non coniugate, coniu-<br />

B O O K S E I 43


Attività dei<br />

servizi<br />

psichiatrici<br />

del<br />

Distretto Nord<br />

gate e vedove in percentuali quasi sovrapponibili. L’essere quindi sole si evidenzia come l’aspetto<br />

favorente l’insorgenza di difficoltà psicologiche, mentre l’essere o l’essere state coniugate non<br />

assicura quella maggiore protezione che si riscontra nel caso dei maschi.<br />

Il ruolo rivestito dall’attività lavorativa, conferma come la maggioranza degli utenti del servizio<br />

non svolga un’attività lavorativa, ma questa condizione è nuovamente più presente per le donne.<br />

Si osserva infatti che, a fronte del 40% degli utenti maschi che risultano occupati, solo il 25%<br />

delle donne mantiene un’occupazione e doppia è la percentuale delle donne giovani, in carico al<br />

servizio, non occupate, rispetto ai maschi.<br />

Il lavoro, quale elemento che concorre a costituire la propria identità, diviene meno accessibile<br />

alle donne fin <strong>dalla</strong> giovinezza e più oltre con la maternità, in considerazione anche del fatto che<br />

il lavoro delle casalinghe non comporta retribuzione e spesso neppure altro riconoscimento.<br />

Considerando i profili diagnostici, riassunti nella Tab. III, si rilevano altre annotazioni importanti.<br />

Sebbene le patologie che richiedono un elevato impegno assistenziale specialistico (le psicosi)<br />

colpiscono i due sessi in percentuale sovrapponibili, l’utenza in carico al servizio, affetta da<br />

tali forme, è costituita in percentuale sensibilmente più numerosa da maschi.<br />

Non appariranno prive di fondamento al riguardo le circostanze che vogliono la donna subire<br />

con maggiore rassegnazione, sia da parte dell’ammalata che del proprio ambiente, il ruolo dell’invalida,<br />

ovvero sospinta ad adattarsi a compiti umili in seno all’ambiente domestico, ovvero<br />

infine assolutamente preclusa a dimostrare il proprio disagio in forme che arrechino disturbo<br />

sociale. La stigmatizzazione di eventuali comportamenti socialmente disturbanti colpisce più<br />

profondamente la donna, ne discende che il ricovero in reparti specialistici interessa in maggiore<br />

misura utenti maschi, mentre quello presso reparti di medicina generale o cliniche private vede<br />

presenti in maggior numero le donne.<br />

La percentuale delle donne assistite dal Centro appare quasi doppia rispetto a quella degli uomini<br />

in riferimento alle patologie nevrotiche.<br />

UTENTI ANNO 1996 DISTINTI PER DIAGNOSI (Tab.III)<br />

n. assistiti % totale assistiti<br />

psicosi schizofreniche<br />

uomini/donne 52 59 6.9% 7.9%<br />

psicosi deliranti croniche<br />

uomini/donne 36 52 4.8% 6.9%<br />

depressione maggiore<br />

uomini/donne 34 57 4.5% 7.6%<br />

disturbi di personalità<br />

uomini/donne 32 21 4.3% 2.8%<br />

nevrosi d’ansia<br />

uomini/donne 14 32 1.9% 4.3%<br />

nevrosi isterica<br />

uomini/donne 5 39 0.7% 5.2%<br />

nevrosi fobica<br />

uomini/donne 16 28 2.1% 3.8%<br />

nevrosi ossessiva<br />

uomini/donne 5 5 0.7% 0.7%<br />

nevrosi depressiva<br />

uomini/donne 35 44 4.8% 5.9%<br />

altre diagnosi<br />

uomini/donne 82 99 10.8% 13.4%<br />

4 4 B O O K S E I


Attività dei<br />

servizi<br />

psichiatrici<br />

del<br />

Distretto Nord<br />

Le problematiche che rivestono la sfera del corpo, dell’aspetto esteriore, in una società che tanto<br />

lo apprezza, dell’immagine da proporre, del giudizio positivo da ricercare agli occhi degli<br />

altri, attanagliano spesso la donna in un conflitto doloroso e logorante.<br />

Ed accanto a queste, assai numerose, quelle che si collegano ai temi della paura, dell’inibizione<br />

delle possibilità di esplorazione, dove piuttosto agevolmente si intravedono le derivazioni culturali<br />

che sono sottese e che le alimentano. La comunicazione attraverso il corpo e l’aspetto esteriore,<br />

da un lato, la misura e la padronanza di sè dall’altro, come aspetti talora antitetici, difficili<br />

da modulare in armonia con i movimenti della vita interiore, si ripropongono come problema<br />

che inibisce l’agire o lo relega ad una lotta con il cibo. Se il dato relativo all’utenza ambulatoriale,<br />

in netta espansione e con notevole turnover da un anno all’altro, trova spiegazione<br />

nelle considerazioni sull’evoluzione dell’immagine del Servizio, più sopra esposte, e sullo sviluppo<br />

dell’attività specialistica e di consulenza, alcune riflessioni si impongono a proposito dell’attività<br />

domiciliare.<br />

Il numero degli utenti seguiti con interventi domiciliari, numero che rimane costante durante tutto<br />

il periodo considerato, è dato in media da circa 150 persone ogni anno. Tale popolazione costituisce,<br />

nel primo decennio, la metà dell’utenza totale annua, ma nel secondo solo un quarto di<br />

essa. Solo la metà di costoro viene tuttavia assistita con programmi di cura che prevedono la prevalenza<br />

del momento domiciliare e tale condizione viene inoltre valutata attualmente con maggiore<br />

attenzione rispetto al passato. Il numero complessivo dei programmi prevalentemente<br />

domiciliari tende quindi a decrescere sensibilmente nel secondo decennio rispetto al primo.<br />

In diverse situazioni si dimostra più incisivo l’accoglimento presso il Centro Diurno-Notturno,<br />

con possibilità di degenza anche per periodi prolungati; attuato con modalità di trattamento<br />

comunitario, protettivo per l’assistito e che riordina ritmi e modalità disturbate di relazione.<br />

L’attività del Centro Diurno vede la partecipazione media annua di 60 utenti (nel secondo decennio),<br />

per una presenza di 4000 giornate annue circa.<br />

Il Centro Diurno offre possibilità di socializzazione, di animazione, di apprendimento dell’uso<br />

di materiali diversi per la costruzione di oggetti, di partecipazione ad iniziative ricreative concordate,<br />

di espressione personale e di stimolo. La presenza di una animatrice funge da guida alle<br />

diverse opportunità, di regola ritmate nel corso della settimana, mentre gli operatori sanitari attivano<br />

il collegamento fra i membri, rilevando le difficoltà e favorendo il superamento delle tensioni.<br />

In questa accezione il Centro Diurno costituisce luogo di aggregazione, di scambio, di contatto,<br />

idoneo a prevenire la completa esclusione ed emarginazione dal contesto sociale, capace di<br />

fungere da facilitatore nelle relazioni e quindi di costituire momento di accoglienza e di riconoscimento<br />

di ogni partecipante, nelle proprie peculiarità, rilevatore di bisogni o di condizioni critiche.<br />

L’utenza è costituita da persone con storie psichiatriche importanti, spesso in età ancora<br />

relativamente giovane, sole o con scarso sostegno ambientale, inidonee a sostenere un’attività di<br />

lavoro. L’inserimento al Centro Diurno consente, per questa tipologia di assistiti, una contrazione<br />

del bisogno di ricovero psichiatrico ed anche di cure ambulatoriali e domiciliari, limitando l’uso<br />

intenso di psicofarmaci. Di significato chiaramente sanitario, invece, l’accoglimento diurnonotturno<br />

si indirizza ad utenti in condizioni di scompenso, quale modalità di trattamento sostitutivo<br />

del ricovero ospedaliero. Attualmente sono circa venti gli utenti che beneficiano del ricovero,<br />

per un totale di 2900 giornate complessive annue di degenza.<br />

Dal momento che i posti disponibili nella struttaura sono otto vi è la possibilità di prevedere<br />

all’occorrenza anche periodi di soggiorno prolungati, nella prospettiva di favorire il raggiungimento<br />

di condizioni generali e cliniche tali da evitare il ripetersi delle difficoltà e dei ricoveri.<br />

Per la maggior parte gli accolti sono gli stessi che sono stati in precedenza ripetutamente ammessi<br />

al Servizio Ospedaliero Diagnosi e Cura Psichiatrica (SODC), senza raggiungere condizioni di<br />

stabilità psichica, soprattutto in relazione a gravi perturbazioni ambientali. Il rischio che viene<br />

maggiormente temuto in questo caso riguarda il transitare da una dimensione di necessaria<br />

B O O K S E I 45


Attività dei<br />

servizi<br />

psichiatrici<br />

del<br />

Distretto Nord<br />

dipendenza dal Servizio ad una che non consenta di raggiungere nuovamente livelli adeguati di<br />

autonomia dal Servizio stesso. Questo rischio, in psichiatria, è insito in ogni relazione di cura, ma<br />

appare evidentemente più accentuato laddove al paziente viene offerto un supporto globale, che<br />

si esplica in diverse aree di funzionamento personale, alcune delle quali possono risultare poco o<br />

per nulla compromesse dal problema cui ci rivolge con priorità, attraverso l’accoglimento diurno-notturno.<br />

Il pericolo di restare entro una condizione di residenzialità assistita si confronta con un bisogno<br />

molto diffuso nella popolazione, che trova solo parziale risposta attraverso le pur numerose strutture<br />

asilari presenti nel territorio, soprattutto in considerazione della scarsa differenziazione ed<br />

articolazione delle modalità organizzative ed operative delle stesse. Venendo ora ad una riflessione<br />

inerente il ruolo svolto dalle strutture ospedaliere nell’economia complessiva del lavoro psichiatrico,<br />

si coglie innanzitutto la preponderanza dell’Ospedale Civile rispetto al SODCP.<br />

Il ricovero presso il SODCP riguarda pochi assistiti, attualmente il 3% del totale utenti annui e<br />

si mostra in sensibile flessione in questo decennio rispetto al precedente; ma già negli anni precedenti<br />

la Legge di Riforma Psichiatrica <strong>180</strong>/78 si era osservato il progressivo decremento dei<br />

ricoveri in Servizio Ospedaliero Diagnosi e Cura Psichiatric (OPP.), numero che peraltro rimaneva<br />

piuttosto elevato nel 1977 (Tab. IV).<br />

UTENTI IN CARICO AL C.S.M. RICOVERI PRESSO IL S.O.D.C.P. (Tab. IV)<br />

anni 1977 - 1986 anni 1987 - 1996<br />

totali ricoveri SODCP<br />

numero medio/valore% 55.5 100% 33 100%<br />

T.S.O.<br />

numero medio/valore% 12.7 22.8% 5.7 17.7%<br />

utenti ricoverati al SODCP<br />

numero medio/valore% 30.6 100% 20.4 100%<br />

giornate degenza<br />

numero medio 1220 737<br />

degenza media<br />

numero medio 21.9 22<br />

Spesso il ricovero riguarda il medesimo utente (lo si coglie dal numero di ricoveri che risulta quasi<br />

doppio rispetto a quello degli utenti ricoverati), utente che trova difficoltà ad essere accolto<br />

presso l’Ospedale civile zonale, stanti le modalità espressive del suo disturbo.<br />

Si assiste peraltro ad una diminuzione delle giornate di degenza al SODCP nel corso degli anni,<br />

sia per l’intervento della riorganizzazione delle attività di day-night hospital, sia in relazione al<br />

sostegno operato a livello territoriale.<br />

Scarso risulta il ricorso al TSO. a conferma delle azioni messe in atto per favorire l’accettazione<br />

delle cure e dei programmi di riabilitazione proposti.<br />

In analogia a quanto già riportato a proposito dell’utenza domiciliare, anche il numero degli<br />

utenti che ogni anno vengono ricoverati per la prima volta al SODCP risulta molto basso, rispetto<br />

al numero complessivo dei ricoverati nell’anno.<br />

La percentuale di due nuovi accolti per ogni dieci utenti ricoverati al SODCP nell’anno è molto<br />

simile al dato relativo ai nuovi utenti domiciliari annui, rapportato al numero complessivo degli<br />

utenti domiciliari.<br />

Ciò rimanda agli aspetti di povertà e della deriva sociale presenti nell’area, aspetti non compri-<br />

4 6 B O O K S E I


Attività dei<br />

servizi<br />

psichiatrici<br />

del<br />

Distretto Nord<br />

mibili per effetto del solo intervento specialistico. Considerando l’insieme dei pazienti accolti<br />

presso il SODCP ed il Centro Diurno Notturno (30 persone complessivamente) si ricava che lo<br />

0,06% della popolazione dell’area necessita in un anno di ricovero in reparti specialistici psichiatrici.<br />

Le recidive sono maggiormente presenti negli utenti che hanno avuto il primo ricovero<br />

negli anni che vanno dal 1977 al 1979, poichè trattasi di persone con importanti storie manicomiali<br />

alle spalle, per diverse delle quali vi erano stati precedenti ricoveri anche presso l’OPP.<br />

I primi accoglimenti al SODCP degli anni successivi interessano invece prevalentemente utenti<br />

mai ricoverati presso l’Ospedale Psichiatrico, fino al 1990, successivamente solo persone il cui<br />

primo ricovero psichiatrico è rappresentato da quello presso il SODCP.<br />

Di tanto in tanto si riconosce, anche negli anni seguenti il 1979, qualche caso che tende a recidivare<br />

insistentemente nel ricovero al SODCP. Le caratteristiche salienti di tali situazioni rilevano<br />

la presenza di elementi analoghi a quelli riscontrati nel gruppo degli utenti con gravi precedenti<br />

psichiatrici. Viene molto più avvertita a livello territoriale la presenza e l’influenza dell’O.C. zonale,<br />

attraverso i reparti di medicina generale. Un terzo degli utenti in carico al Servizio è ricoverato<br />

ogni anno per problemi psichiatrici nel decennio 1977/86, ma, nel decennio successivo, pur in<br />

presenza di un più elevato numero di utenti ricoverati in O.C., questa percentuale tende a passare<br />

ad un quarto ed ora ad un quinto del totale degli assistiti annui; decresce il numero degli<br />

utenti domiciliari che beneficiano del ricovero, mentre aumentano quelli il cui rapporto col Servizio<br />

ha inizio in seguito al ricovero in ospedale, per poi proseguire a livello ambulatoriale od<br />

esaurirsi nell’ambito del rapporto di consulenza.<br />

Nel corso degli ultimi due anni si assiste ad una sensibile compressione dei ricoveri ospedalieri<br />

presso l’O.C. zonale collegato alla consistente riduzione dei posti letto nei reparti di accoglienza,<br />

in ottemperanza con il piano di revisione della rete ospedaliera regionale.<br />

Un importante capitolo dell’attività del Centro riguarda l’aspetto dell’assistenza economica degli<br />

utenti. Nel primo decennio la sussidiazione a favore degli assistiti costituiva un intervento largamente<br />

applicato, quale incentivo per la permanenza a casa del paziente ed il conseguente contenimento<br />

della durata dei ricoveri in strutture psichiatriche di degenza.<br />

A partire dal 1986 datano i primi inserimenti lavorativi con borsa lavoro; negli anni successivi<br />

aumentano progressivamente fino al livello di 10 utenti inseriti con borsa lavoro, per una spesa<br />

annua di 28 milioni. Questo livello si mantiene da alcuni anni.<br />

Più di recente è stata attivata un’ulteriore articolazione dell’offerta lavorativa, più protetta della<br />

prima e spesso propedeutica a quella, vale a dire l’inserimento sotto forma di incentivo al lavoro,<br />

per un compenso economico inferiore alla borsa lavoro, attuato presso strutture del Servizio<br />

o collegate con esso, condotto da educatori professionali che istruiscono ed accompagnano gli<br />

utenti nelle attività. Attualmente cinque persone beneficiano di tale iniziativa.<br />

Attraverso di essa si intende addestrare nuovamente il paziente ad accedere autonomamente alla<br />

sede di lavoro, al rispetto degli orari di arrivo e partenza, all’esecuzione di attività che rispondano<br />

ad un progetto prestabilito, ad una corretta modalità di rapporto con i colleghi, all’autonomia<br />

operativa, ecc., modalità tutte indispensabili per un reale reinserimento nel mondo del lavoro.<br />

Prima di concludere l’analisi dei dati, prendendo in considerazione gli interventi del Servizio,<br />

giova considerare il profilo dell’utente che emerge in questi ultimi anni (vedi Tab. V).<br />

Dai dati relativi alla diagnosi si ricava che circa 1/3 degli assistiti annui è affetto da psicosi, 1/3<br />

da problemi nevrotici ed un restante terzo da quadri organici, dipendenza alcolica, disturbi di<br />

personalità. Va poi aggiunto che, mentre i programmi di assistenza domiciliare hanno nella maggioranza<br />

dei casi cadenza regolare, quelli ambulatoriali per i 4/7 sono regolari, per i 2/7 periodici<br />

e per 1/7 occasionali. Il dato relativo alle medie degli interventi per utente può assumere quindi<br />

maggiore significato in riferimento a tale popolazione di utenti piuttosto che per gli assistiti<br />

ambulatoriali.<br />

B O O K S E I 47


Attività dei<br />

servizi<br />

psichiatrici<br />

del<br />

Distretto Nord<br />

INTERVENTI ANNUALI DEL C.S.M. (Tab. V)<br />

interventi totali<br />

anni 1977 - 1986 anni 1987 - 1996 differenza<br />

numero medio/valore% 5508 100% 13946 100% +8438<br />

interventi ambiulatoriali<br />

numero medio/valore% 1368 24.8% 4006 28.7% +2638 +3.9%<br />

interventi per utente<br />

numero medio 8 10.6 +2.6<br />

interventi domiciliari<br />

numero medio/valore% 1175 21.3% 1896 13.5% +719 -7.8%<br />

interventi per utente<br />

numero medio 8.3 11.3 +3<br />

interventi brevi amb./dom.<br />

numero medio/valore% 2241 40.6% 6524 46.7% +4283 +6.1%<br />

interventi per utente<br />

numero medio 5.4 9.7 +4.3<br />

interventi in O.C.<br />

numero medio/valore% 468 8.4% 679 4.8% +211 -3.6%<br />

interventi per utente<br />

numero medio 3.9 4.2 +0.3<br />

interventi in CdR<br />

numero medio/valore% 90.6 1.6% 689 4.9% +598.4 +3.3%<br />

interventi per utente<br />

numero medio/valore% 7.6 6.2 1.4<br />

Solamente un quarto degli interventi risponde a richieste non programmate, mentre per la maggior<br />

parte viene rispettata la programmazione delle attività così come definita a cadenza settimanale,<br />

sulla base della presenza in servizio del personale. La percentuale di prestazioni urgenti<br />

risulta piuttosto contenuta, nell’ordine di una ogni 34 interventi registrati. In regime di reperibilità<br />

medico psichiatrica infine si hanno in media tre chiamate alla settimana ma la maggior parte<br />

delle richieste si concentra durante il fine settimana. Gli utenti ad alto carico di interventi ambulatoriali<br />

e domiciliari, oltre 50 interventi annui, costituiscono il 10% degli assistiti annui; il dato<br />

evidenzia un numero complessivo di assistiti ad alto carico sostanzialmente invariato nel ventennio,<br />

sebbene negli ultimi anni appaia in flessione con istituzione del Centro Diurno-Notturno e<br />

con il potenziamento delle attività diurne di animazione e socializzazione. La tavola degli interventi<br />

annuali del C.S.M. evidenzia come siano in media aumentati gli interventi per utente a favore<br />

di tutte le categorie di assistiti, in riferimento con il numero di operatori in servizio che si è<br />

modificato sia sotto il profilo quantitativo che della tipologia delle categorie professionali.<br />

Un cenno infine alla deistituzionalizzazione dei lungodegenti, presenti presso l’ex O.P. di Udine<br />

e le Divisioni Psichiatriche di S.Daniele, Sacile, Sottoselva di Palmanova e Reana del Rojale al<br />

1.1.1977, in numero di 125. Una considerevole parte di costoro, 75 unità, è deceduta ad un età<br />

(media) di 73 anni, nel corso del ventennio considerato, senza aver potuto uscire dal manicomio<br />

e dopo aver trascorso (in media) 32,6 anni di ricovero. La maggior parte dei dimessi è stata accolta<br />

presso le Case di Riposo del territorio; si è trattato di 36 persone, uscite dall’O.P. dopo 32 anni<br />

(in media), di degenza, ad un’età (media) di 66 anni; di questa quota di utenti accolti in CdR, 15<br />

sono deceduti dopo la dimissione dall’O.P. ad un’età (media) di 68,4 anni.<br />

4 8 B O O K S E I


Attività dei<br />

servizi<br />

psichiatrici<br />

del<br />

Distretto Nord<br />

Solamente sei persone sono state dimesse a casa; erano i lungodegenti più giovani, alla dimissione<br />

dall’O.P. avevano infatti 39 anni d’età (in media) ed avevano alle spalle un periodo meno prolungato<br />

trascorso in ospedale, 13,3 anni (in media). Alcuni di questi inoltre, dopo alcuni anni di<br />

dimissione, sono stati riaccolti in CdR. Una persona infine è stata accolta presso il Centro Psichiatrico<br />

Diurno-Notturno, quale tappa riabilitativa in prospettiva di un livello di maggiore autonomia<br />

dal servizio specialistico. Rimangono ancora ospiti nelle attuali R.S.A. psichiatriche ad<br />

esaurimento nove utenti, di 67 anni d’età (media), ma che hanno trascorso in ospedale ben 43<br />

anni della loro vita. Questi dati evidenziano una volta ancora come anche persone che abbiano<br />

presentato disturbi psichiatrici importanti, nel corso della loro vita, possano accedere al strutture<br />

aspecifiche, predisposte per quanti versino in condizioni di solitudine, assenza di riferimenti<br />

famigliari, impossibilità di condurre vita autonoma. Sottolineano altresì gli esiti a distanza di istituzioni<br />

e cure totalizzanti che conducono l’assistito ad una grave perdita dell’autonomia ed ad<br />

una marcata contrazione delle possibilità di espressione personale e di relazione sociale.<br />

Conclusioni<br />

L’accoglimento di una domanda molto articolata ed abbondante pone oltre che problemi di carico<br />

di lavoro anche di livelli di competenza e specializzazione da parte di tutte le figure professionali<br />

del Servizio. Il continuo interscambio con i presidi territoriali, il lavoro di indirizzo e di<br />

raccordo fra i diversi soggetti che concorrono a supportare gli utenti, l’attività di consulenza al<br />

paziente ed alle famiglie, i trattamenti in condizioni di ospitalità assistita, si basano su elementi<br />

di conoscenza e di esperienza e di organizzazione che lasciano poco spazio all’improvvisazione.<br />

La lotta al continuo riproporsi di nuove forme di disagio e di segregazione, implica capacità di<br />

riconoscimento, di decodificazione ed intervento che fondano le loro radici sulla esperienza di<br />

superamento del manicomio ma che si integrano con altre conoscenze e saperi in psichiatria.<br />

La capacità di tenere aperto il dialogo anche nelle situazioni più disperate e di dar vita a nuove<br />

storie che riportino costantemente all’attenzione la sofferenza delle persone e sollecitino iniziative<br />

di cambiamento, devono costituire elementi cardine dell’operatività quotidiana.<br />

Lo studio evidenzia come se da un lato attraverso l’assistenza territoriale sia possibile prevenire<br />

il ricovero ospedaliero e superare l’esperienza manicomiale, dall’altro riconferma la necessità di<br />

documentare più accuratamente l’efficacia del sistema e gli esiti a distanza di tempo, attraverso<br />

studi longitudinali che documentano la qualità della vita delle persone che vanno incontro a difficoltà<br />

di ordine psichiatrico, i costi personali e sociali della malattia, gli eventuali handicaps.<br />

Bibliografia<br />

Adelstein A.M., Downham D.Y. Stein Z. e Susser M.W., The Epidemiology of Mental Illness in<br />

English City, Soc. Psychiat., vol 3, 47-49 (1968).<br />

British Psychiatric Registers, Statistics from Eight Psychiatric Case Registers in Great Britain, 1976-1981, resoconto del<br />

British Registers Group, tratto dal Registro del Knowle Hospital di Southampton (1984).<br />

Cheadle A.J., Day Care Facilities in the Metropolitan Borough of Salford, resoconto del Registro psichiatrico (Salford<br />

1983).<br />

Cleverly M. e Cheadle A.J., The Case Register, the Computer and the Cohort Study, Bull. R. Coll. Psychiat., vol. 7, 218-<br />

20 (1983).<br />

Cramer M., Applications of Mental Health Statistics (World Health Organization, Ginevra 1969).<br />

Höfner H. (a cura di), Estimating Needs for Mental Health Care (Springer, Berlino, Heidelberg e New York 1979).<br />

Horn G.H. M.M. ten, Giel R., Gulbinat W. e Henderson J. (a cura di), Psychiatric Case Registers 1960-1985 (Elsevier,<br />

Amsterdam 1986).<br />

Lavik N.J., Utilization of Mental Health Services over a Given Period, Acta psychiat.scand., vol. 67, 404-13 (1983).<br />

Wing L., Bramley C., Hailey A. e Wing J.K.,<br />

Camberwell Cumulative Psychiatric Case Register, pt. 1, Aims and Methods, Soc. Psychiat., vol. 3, 116-23 (1968).<br />

B O O K S E I 49


5 0 B O O K S E I


Il ricovero<br />

psichiatrico<br />

nel dopo<br />

riforma<br />

Il ricovero<br />

psichiatrico<br />

nel doporiforma<br />

Modificazioni delle domande<br />

e delle risposte fra bisogni di cura<br />

e controllo sociale<br />

di<br />

Alfredo Sigismondi<br />

Bruno Forti<br />

Giuseppe Gaiatto<br />

Amalia Manzan<br />

La legge <strong>180</strong> ha radicalmente modificato le modalità del ricovero psichiatrico,<br />

da un lato rendendolo un ricovero con finalità di cura e, salvo<br />

casi limitati, volontario, dall’altro eliminando le motivazioni legate<br />

a questioni di ordine pubblico, nei riferimenti al pubblico scandalo,<br />

alla pericolosità sociale e alla pubblica sicurezza. Questo sicuramente<br />

è espresso nella legge, ma nella vita e nella cultura dei pazienti, degli<br />

operatori, dei familiari e della popolazione quali sono realmente le<br />

motivazioni che sottendono il ricorso al ricovero presso i reparti psichiatrici<br />

del dopo riforma Questa domanda può rivestire ancor maggior<br />

rilevanza se utilizzata per verificare lo stato di attuazione della <strong>180</strong> a 20 anni <strong>dalla</strong> sua emanazione:<br />

il problema del ricovero rappresenta sicuramente un nodo centrale sia dello spirito della<br />

legge sia della sua applicazione.<br />

In occasione del decennale della legge, proprio in un convegno tenutosi a Pordenone, fu dato<br />

ampio spazio alle problematiche istituzionali connesse al ricovero del paziente psichiatrico attraverso<br />

un dibattito serrato sui concetti di crisi ed emergenza: venivano infatti sottolineati una serie<br />

di elementi di contraddizione nell’approccio al paziente e al suo contesto, all’instaurarsi di pericolosi<br />

cortocircuiti crisi-ricovero senza mediazioni possibili, al timore del prevalere degli aspetti<br />

di controllo sociale, alla esclusiva medicalizzazione della crisi psichiatrica, al suo sequestro in<br />

forme che ripercorrevano le modalità del manicomio (Evaristo, 1988; Mezzina, 1988).<br />

Proprio perchè questi temi ci sembrano essere ancora attuali e le contraddizioni non sciolte<br />

Alfredo Sigismondi, Primario Psichiatra DSM dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> - Pordenone<br />

Bruno Forti, Dirigente Medico DSM dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> - Pordenone<br />

Giuseppe Gaiatto, Dirigente Medico DSM dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> - Pordenone<br />

Amalia Manzan, Dirigente Medico DSM dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> - Pordenone<br />

B O O K S E I 51


Il ricovero<br />

psichiatrico<br />

nel dopo<br />

riforma<br />

potrebbe risultare opportuno sottoporre ad una verifica empirica la operatività dei nostri Servizi<br />

di Salute Mentale attraverso la “fotografia” dei ricoveri effettuati, le modalità con cui avvengono,<br />

i motivi e le operatività adottate. L’esperienza pordenonese ci sembra inoltre significativa<br />

all’interno delle applicazioni della riforma, in stretto contatto con l’esperienza triestina ma tenendo<br />

conto anche di alcune peculiarità della cultura territoriale: l’assenza di un Ospedale Psichiatrico<br />

Provinciale, il medico di base come medico della “famiglia” e persona significativa, la cultura<br />

del lavoro e della produttività, il buon livello di funzionamento, in generale, dei servizi pubblici,<br />

e così via.<br />

Negli anni ’78-’80 E. Sarli e A. Righetti (1987) hanno svolto una ricerca sui ricoveri presso il Servizio<br />

Psichiatrico Ospedaliero di Diagnosi e Cura di nuova istituzione aperto a Sacile e che serve,<br />

a tuttoggi, per l’intera provincia di Pordenone. Da quello studio emegeva che circa l’11% dell’utenza<br />

dei CIM subiva dei ricoveri presso lo SPDOC. Si evidenziavano inoltre una diminuzione<br />

delle persone al primo ricovero, negli anni presi in esame, indice di una buona capacità di filtro<br />

da parte delle strutture territoriali, e una progressiva diminuzione dei TSO rispetto al totale<br />

dei ricoveri. Un dato che oggi può sorprendere è quello che riguarda le recidive dei ricoveri, dal<br />

14,3% negli ultimi 8 mesi del 1978 al 28% del ‘79 fino al 48,9% del 1980: fin da subito dunque<br />

emerge il fenomeno importante dei pazienti così detti revolving-door e delle problematiche<br />

legate alle caratteristiche di questo gruppo di utenti che, avendo delle necessità assistenziali più<br />

elevate e problemi connessi a fattori ambientali, ricevono invece principalmente una risposta<br />

riduzionistica di tipo esclusivamente medico che si dimostra inadeguata a soddisfare i veri bisogni.<br />

Abbiamo pertanto svolto una ricerca sui ricoveri presso lo SPODC di Sacile in due anni campione,<br />

il 1992 e il 1994, per vedere innanzitutto qual’è lo “stato delle cose”, come effettivamente<br />

i servizi psichiatrici territoriali in questi anni siano riusciti a seguire e praticare il senso della<br />

legge di riforma, quali siano le modificazioni rispetto agli anni precedenti e quali le necessità e le<br />

novità emergenti.<br />

Sono stati identificati alcuni indicatori “di operatività” che si richiamano a quelle contraddizioni<br />

a cui si accennava in precedenza: urgenza ed emergenza sotto il profilo psicopatologico (con criteri<br />

come quello di gravità sintomatologica), e sociale (comportamento pericoloso e di pubblico<br />

scandalo), modalità del ricovero (richiesta, interventi, obiettivi).<br />

Metodologia<br />

I dati si riferiscono a tutti i ricoveri avvenuti nel 1992 e nel 1994 presso lo SPODC di Sacile, che<br />

accoglie, per competenza territoriale, tutti i pazienti psichiatrici (esclusi quelli, peraltro scarsamente<br />

numerosi, presso strutture private) della provincia di Pordenone.<br />

Attraverso una apposita scheda, oltre ai dati socio-demografici, alla diagnosi psichiatrica secondo<br />

l’ICD-9 e ai dati sui ricoveri precedenti, sono state raccolte informazioni relative a quattro<br />

aree inerenti la situazione del soggetto al momento del ricovero, il tipo di intervento territoriale<br />

in atto, la presenza di urgenza ed emergenza e gli interventi effettuati nel corso del ricovero. In<br />

particolare si è cercato di distinguere il concetto di urgenza, in senso strettamente clinico e psicopatologico,<br />

scorporandolo nei parametri della acuzie o crisi psicopatologica e della gravità sintomatologica<br />

(acuzie/gravità) da quello di emergenza sociale e comportamentale.<br />

Per i criteri di Acuzie/Gravità è stata valutata la presenza o meno di uno dei seguenti sintomi da<br />

almeno una settimana: compromissione delle funzioni vitali (insonnia, anoressia), grave alterazione<br />

dell’umore e della psicomotricità, della coscienza, stato delirante/allucinatorio con adesione<br />

totale, due o più aree sintomatologiche caratteristiche dei disturbi schizofrenici (disturbi formali<br />

del pensiero, deliri, allucinazioni, grave alterazione dell’affettività), sintomatologia nevroti-<br />

5 2 B O O K S E I


Il ricovero<br />

psichiatrico<br />

nel dopo<br />

riforma<br />

ca con compromissione del funzionamento.<br />

I criteri di emergenza sono legati alla messa in atto di un comportamento che arreca un qualche<br />

danno effettivo o potenziale di tipo fisico, psicologico o sociale auto od eterodiretto ed identificato<br />

nelle seguenti voci:<br />

Comportamenti autodiretti<br />

- tentativi di suicidio, serie intenzioni suicidarie, gesti autolesivi<br />

- mancata cura di sè; isolamento<br />

- allontanamento da casa o altri comportamenti che possano mettere a repentaglio la<br />

sicurezza del paziente o il suo ruolo sociale.<br />

Comportamenti eterodiretti<br />

- aggressività fisica nei confronti di familiari o della comunità<br />

- attività arrecanti danno alle cose e al patrimonio, compreso lo spendere eccessivamente<br />

- trasgressione di norme sociali (comportamento deviante, trasgressivo, stravagante, che dà pubblico<br />

scandalo come girare nudi per strada)<br />

- comportamento aggressivo (aggressività verbale, litigiosità, insulti, molestie rumori e grida,<br />

lamentele e richieste con carattere di aggressività e rivendicatività)<br />

- pericolosità (minacce, guida spericolata): si ravvisa un potenziale pericolo per familiari, figli,<br />

ecc.(Forti, 1994)<br />

Risultati<br />

Le tabelle I e II riassumono il numero di ricoveri effettuati nei due anni campione, il numero di<br />

pazienti, il numero di ricoveri precedenti ed alcune caratteristiche anagrafiche.<br />

I TSO nel ’92 sono stati 17, pari all’8,6% dei ricoveri e 35 (14,5%) nel ’94.<br />

Il campione totale, considerato nei due anni, è composto di 232 pazienti che si caratterizzano<br />

sotto il profilo socio-anagrfico per essere prevalentemente persone non coniugate: 71,5% (166<br />

paz.) a fronte del 18,5% (43 paz.) di coniugate. Il 33,1% (70 paz.) ha una scolarità elementare,<br />

il 49,15 (114 paz.) ha conseguito la licenza media inferiore, il 18,5% (43 paz.) il diploma e i laureati<br />

sono solo 5 persone (2,1%).<br />

La maggior parte di questi utenti ha come fonte di reddito una pensione: 97 persone (41,8%),<br />

di cui 76 (32,7%) percepiscono la pensione di invalidità civile; gli operai sono 41 (17,6%), da<br />

segnalare la discreta percentuale (6,9%) di soci di cooperative finalizzate e di “borsisti”, risultano<br />

disoccupati il 9,4% dei pazienti.<br />

Per l’inquadramento diagnostico si veda la Tabella III. Gli agenti della richiesta di ricovero, sul<br />

totale dei 438 ricoveri effettuati nei due anni risultano essere : il CSM in 169 casi (38,5%), i familiari<br />

in 115 (26,2%), il paziente stesso in 65 occasioni (14,8%), altre strutture sanitarie in 50<br />

(11,4%), le forze dell’ordine in 25 situazioni (5,7%).<br />

Gli esordi sono stati 8 nel ’92 e 3 nel’94, le ricadute rispettivamente 100 (50,7%) e 152 (63,1%),<br />

l’assenza di una crisi psicopatologica si riscontra in 89 ricoveri (45,1%) nel ’92 e in 86 (35,7%)<br />

nel ’94. Un gruppo abbastanza numeroso, costituito prevalentemente da pazienti affetti da schizofrenia,<br />

sono giunti al ricovero presentando una sintomatologia grave ma senza caratteristiche<br />

di riacutizzazione, indicando che le condizioni psicopatologiche erano costantemente assestate su<br />

livelli elevati di gravità sintomatologica. Abbiamo anche individuato un gruppo, che rappresenta<br />

circa il 20%, in cui il ricovero non è preceduto nè da una situazione di crisi nè di emergenza,<br />

in circa la metà di questi casi non vi è neppure la presenza di un sintomatologia grave.<br />

Per quanto riguarda la gravità sintomatologica e l’emergenza sociale i dati complessivi dei due<br />

B O O K S E I 53


Il ricovero<br />

psichiatrico<br />

nel dopo<br />

riforma<br />

anni, sono presentati nelle Tabelle IV e V.<br />

Il luogo dove l’emergenza sociale si manifesta, in quasi la metà dei casi, è la famiglia seguita, nel<br />

30%, <strong>dalla</strong> comunità e dagli ambienti sanitari nel restante 20%, comprese le strutture psichiatriche<br />

territoriali e riabilitative.<br />

Gli interventi nel corso del ricovero hanno comportato il convolgimento dei familiari in 1/3 dei<br />

casi, soprattutto per pazienti ai primi ricoveri, in circa 2/3 dei casi del CSM, sopratutto per<br />

pazienti lungoassistiti , in meno del 10% dei ricoveri sono stati invitati alla partecipazione del<br />

programma terapeutico i servizi sociali di base.<br />

Gli obiettivi del ricovero sono stati principalmente l’intervento sulla sintomatologia psichica, in<br />

particolare per coloro che si presentavano con pochi ricoveri precedenti, e invece l’allontanamento<br />

dalle conflittualità per coloro che avevano subito numerosi ricoveri in precedenza. Da rilevare<br />

come per questi ultimi il Servizio di Diagnosi e Cura rappresenti un nodo nei programmi di<br />

riabilitazione (20% dei casi tra i revolving-door).<br />

Conclusioni<br />

L’analisi dei dati esposti, in particolare alcuni indici delle dinamiche e motivazioni sottese al ricovero,<br />

come il comportamento o le manifestazioni sintomatologiche, mostrano come non sia priva<br />

di influenza la presenza di elementi che in qualche modo si possono riallacciare ai vecchi concetti<br />

di pericolosità e pubblico scandalo. Ci sono però, parallelamente le valutazioni sintomatologiche<br />

e cliniche che rileggono questi comportamenti in termini di disturbo dell’umore, di<br />

disturbi dissociativi e alterazioni della percezione o del contenuto del pensiero. Questo può evidenziare<br />

come la maggior parte dei ricoveri sia legata soprattutto alla difficoltà di gestire territorialmente<br />

una sintomatologia che si esprime prevalentemente sul versante comportamentale del<br />

“disturbo sociale”, tanto più che questi ricoveri sono prevalentemene richiesti o mediati proprio<br />

dal CSM e dai familiari.<br />

Forse merita soffermarsi su questo punto: non è più la forza pubblica ma il Servizio territoriale<br />

stesso che, sopratutto per i lungoassistiti, indica il ricovero, per cui è indispensabile interrogarsi<br />

e soffermarsi sul significato di questi aspetti della pratica territoriale. Potrebbe essere facile ascoltare<br />

ed assumere le opinioni di chi tende a vedere in queste situazioni la conferma della necessità<br />

di luoghi separati, il fallimento della pratica territoriale nelle situazioni limite o croniche, legandole<br />

magari a concetti di incurabilità (Torre, 1985).<br />

Se osserviamo, attraverso la logica dei costi-benefici in termini “aziendali”, i pazienti con numerosi<br />

ricoveri e quindi più onerosi in termini di ospedalizzazioni, vediamo che sono quelli a maggior<br />

carico teritoriale ed assistenziale. Va però innanzituto osservato come questi ricoveri, seppure<br />

frequenti, siano di breve durata e spesso abbiano lo scopo dichiarato di allentare tensioni<br />

interpersonali e sociali. Più precisamente, il bisogno espresso non si risolve in una richiesta espulsiva<br />

o di ritiro sociale, ma nel raggiungimento di equilibri sociali più consoni, cercando una ridefinizione<br />

ed una nuova individuazione di bisogni, sia del paziente sia dei familiari.<br />

Sembra inoltre che chiediamo ai nostri pazienti stili di comportamento molto controllati, livelli<br />

di adattamento buoni e una remissione sintomatologica quasi completa, visto che i gesti di rottura<br />

comportamentale riscontrati sono raramente gravi o di rilevanza penale. Non è comunque<br />

escludendo la possibilità di ricovero nè rendendolo lungo in modo indeterminato che si risponde<br />

alla domanda complessa che viene posta e che presenta contemporaneamente aspetti di cura<br />

e di controllo sociale.<br />

Meno evidente rispetto a 10 anni fa si presenta il problema della crisi come rottura comportamentale<br />

forte, molto connotata socialmente (sono oggi i servizi quelli che sembrano essere più<br />

sensibili anche a piccole ”intemperanze“ e trasgressioni) mentre vi è una attenzione maggiore<br />

5 4 B O O K S E I


Il ricovero<br />

psichiatrico<br />

nel dopo<br />

riforma<br />

all’adattamento ed alla integrazione (adeguamento) sociale. Si evidenziava allora come alla crisi<br />

venisse attribuito un senso normativo: verifichiamo oggi come il problema sia quello della organizzazione<br />

di tante microcrisi, non più uno scontro critico fra due modi di essere ma la tensione<br />

continua fra modalità e bisogni solo in parte differenti. Possiamo provare ad interpretare questo<br />

elemento come il prossimo limite da superare: quello della organizzazione del quotidiano del<br />

paziente e della sua famiglia.<br />

La pratica territoriale indica che alcuni grossi nodi sono oggi meno pressanti, e che i Servizi hanno<br />

affinato una sensibilità ancora maggiore per esempio riguardo alla tutela degli esordi e dei primi<br />

ricoveri e nell’impegno a ottenere il consenso del paziente come testimoniato dal numero contenuto<br />

di ricoveri all’esordio e dei TSO se confrontato con i dati nazionali (Crepet, 1992; CENSIS,<br />

1984 ). Gli stessi Servizi territoriali dimostrano però di avere anche una tolleranza minore, una facilità<br />

al ricovero come misura cautelativa e una diminuzione delle possibili alternative soprattutto per<br />

i pazienti lungoassistiti. Si è creata inoltre col tempo una specializzazione delle strutture riabilitative<br />

che le rende meno flessibili, come sembra dimostrare il numero di ricoveri effettuati in conseguenza<br />

di rotture comportamentali che avvengono proprio nelle strutture stesse.<br />

È evidente che molti strumenti sono validi o meno in relazione al contesto e alla finalità complessiva<br />

in cui vengono collocati. Non possiamo negare che i Servizi territoriali tengano in considerazione<br />

la rottura comportamentale quale determinante il ricovero del paziente. Va tuttavia<br />

notato come questo non rappresenti uno strumento di mero controllo e normalizzazione comportamentale<br />

ma si inserisca nel tentativo, non sempre riuscito, di una presa in carico globale e<br />

come il ricovero non rappresenti più per il paziente, gli operatori, i familiari solo il luogo della<br />

esclusione. Confrontando i nostri dati con uno studio svolto in regione (Sain, 1987) emerge<br />

come nella nosrta pratica la presenza dei CSM nella conduzione del ricovero, nella sua proposta<br />

nella costruzione del progamma terapeutico, sia molto importante e rappresenti un buon<br />

esempio di continuità terapeutica. In molti casi, abbiamo potuto osservare, come il paziente stesso<br />

chieda il ricovero, questo ci ripropone una riflessione su chi è il vero cliente dei nostri ricoveri:<br />

nel manicomio l’ordine sociale era, in modo esplicito, il mandatario dell’allontanamento della<br />

persona <strong>dalla</strong> comunità, senza neppure un tentativo di riconoscere una finalità di cura. Se invece<br />

oggi il nostro cliente è veramente l’individuo con problemi di salute mentale nascono nuovi<br />

problemi per l’identificazione del soggetto, delle sue qualificazioni specifiche e soprattutto dei<br />

suoi bisogni.<br />

Confrontando i dati attuali con quelli dell’80 (Righetti, 1987) le attuali percentuali di pazienti<br />

che possiamo considerare revolving-door sono quasi sovrapponibili a quelle riscontrate subito<br />

dopo la chiusura dell’Ospedale Psichiatrico: non si può pertanto dire che il fenomeno sia in<br />

aumento e la pratica territoriale tenda ad accumulare cronicità. Ricerche svolte all’estero sui primi<br />

ricoveri (Kanna et al., 1994) e sui fattori associati alla decisione di ricoverare (Mezzich et<br />

al.1984) sono difficilmente raffrontabili con i nostri dati poichè sono sottesi da pratiche diverse,<br />

però possono indicare come alcuni aspetti siano ubiquitari (fattori demografici, disponibilità di<br />

risorse sociali alternative, una sintomatologia grave, prevalentemente psicotica, le preoccupazioni<br />

istituzionali); altri fattori possono però essere differenti, come l’intervento delle forze dell’ordine<br />

o l’interpretazione di comportamenti che possono essere letti sia sul versante della pericolosità<br />

che su quello della psicopatologia. Sicuramente la riforma psichiatrica in Italia ha contribuito<br />

a segnare un cambiamento nella pratica, ma rimangono molte questioni da affrontare,<br />

come quella della cronicità, dell’integrazione sociale e dei diritti civili. Non è stato centrato ancora<br />

completamente il problema di questi pazienti, i reali bisogni delle loro soggettività, forse a causa<br />

di una mancanza di strumenti teorici e pratici in grado di dare una ulteriore svolta alla attuale<br />

operatività. La psichiatria deve continure a sviluppare un suo ambito specifico di azione, non<br />

condizionato dall’esterno, emancipandosi dal ruolo di esecutore, più o meno passivo o benevolo,<br />

di bisogni imposti <strong>dalla</strong> società.<br />

B O O K S E I 55


Il ricovero<br />

psichiatrico<br />

nel dopo<br />

riforma<br />

In questi anni molte energie sono state indirizzate alla realizzazione di occasioni di lavoro e di<br />

reinserimento sociale, alla tutela economica; solo recentemente sono stati fatti dei tentativi di istituire<br />

strutture di accoglienza alternative che potessero dare risposte adeguate al problema della<br />

lungoassistenza. Tali pratiche sono da verificare anche attraverso ulteriori analisi della modificazione<br />

delle pratiche di ricovero.<br />

Bibliografia<br />

CENSIS: (1992). L’attuazione della riforma psichiatrica nel quadro delle politiche regionali e dell’offerta quantitativa e<br />

qualitativa dei servizi. Dossier provvedimento. La tutela della salute mentale.Camera dei Deputati, Servizio Studi ; XI<br />

Legislatura, N. 69, Novembre.<br />

Crepet P.: (1992) Per una analisi epidemiologica del ricovero psichiarico in Italia (1970/1990). In : Modelli di intervento<br />

in psichiatria d’urgenza. Atti del Convegno Internazionale della Società Italiana di Psichiatria d’Urgenza. Torino 25-26<br />

Maggio.<br />

Evaristo P.(1988) Urgenza e ricovero psichiatrico. In: I dieci anni della <strong>180</strong>. Centro Studi e Ricerche per la salute mentale<br />

del <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia.<br />

Forti B.Sigismondi A., Manzan A., Gaiatto G. (1994) SPODC e riforma psichiatrica: cura o controllo sociale Atti del<br />

XXXIX Congresso SIP. Riccione 23-28/10/1994<br />

Kanna R., Gupta N., Verma S., Kanna N., (1992)<br />

Factors related to psychiatric hospitalization for first contact patients. Int. J. Soc. Psychiatry 3, 25-30<br />

Mezzich J.E., Evanczuk K.J., Mathias R.J., Coffman G.A. (1984) Symptoms and hospitalization decisions. Am. J. Psychiatry<br />

141, 764-769<br />

Mezzina R. (1988): Sul problema della crisi: codici e nessi. In: I dieci anni della <strong>180</strong>. Centro Studi e Ricerche per la salute<br />

mentale del <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia.<br />

Munizza C. et al. (1993) Emergency psychiatry: a review of literature. Acta Psychiatrica Scandinavica, Supplementum n.<br />

374, vol. 88<br />

Righetti A., Sarli E. (1987) Il Servizio di Diagnosi e Cura nel circuito psichiatrico. L’esperienza di Pordenone. In E. Sarli:<br />

Scritti ed interventi 1973-1986. Istituto Gramsci Pordenone.<br />

Sain F., Norcio B., Malannino S. (1987) Il Trattamento Sanitario Obbligatorio. Per la salute mentale 4.<br />

Torre E., Marinoni A. (1985) Register Studies: Data from four Areas in North Italy. Acta Psychiatrica Scandinavica, 71,<br />

Suppl. 316.<br />

5 6 B O O K S E I


Il ricovero<br />

psichiatrico<br />

nel dopo<br />

riforma<br />

TABELLA I Principali caratteristiche dei ricoveri<br />

1992 1994<br />

Numero Ricoveri 197 241<br />

Numero Pazienti 114 118<br />

Numero di TSO 17 (8,6%) 35 (14,5%)<br />

N.Pazienti I° ricovero 34 (29,8%) 42 (35,6%)<br />

N. Pazienti < 4 ricoveri 34 (29,8%) 25 (21,2%)<br />

N. Pazienti > 4 ricoveri 46 (40,3%) 51 (43,2%)<br />

TABELLA II Caratteristiche anagrafiche dei pazienti ricoverati<br />

Età media anni 40 41<br />

Numero di Maschi 66 71<br />

Numero di Femmine 48 47<br />

TABELLA III Distribuzione delle diagnosi<br />

Schizofrenia 44 (38,6%) 39 (33%)<br />

Disturbi dell’umore 22 (19,3%) 16 (13,5%)<br />

Unipolari depressivi 6 (5,3%) 2 (1,6%)<br />

Bipolari maniacali 14 (12,3%) 12 (10,2%)<br />

Bipolari depressivi 1 (0,9%) 1 (0,8%)<br />

Bipolari misti 1 (0,9%) 1 (0,8%)<br />

Dis. schizzoaffettivo 6 (5,3%) 5 (4,2%)<br />

Dis. deliranti 19 (16,7%) 18 (15,3%)<br />

Dis personalità 6 (5,3%) 24 (20,3%)<br />

Altre diagnosi 17 (14,9%) 16 (13,5%)<br />

TABELLA IV Presenza di grave sintomatologia psichiatrica<br />

Sintomi schizofreniformi 142 32,4%<br />

Deliri/allucinazioni 70 15,9%<br />

Disturbi dell’umore 84 19,1%<br />

Alterazioni psicomotricità 21 4,7%<br />

Alterazioni coscienza 19 4,3%<br />

Alterazioni funzioni vitali 14 3,1%<br />

Sintomi nevrotici 10 2,2%<br />

TABELLA V Presenza di emergenza<br />

AUTODIRETTI<br />

Gesti autolesivi 48 10.9%<br />

Mancata cura di sè 11 2,5%<br />

Isolamento/inadeguatezza 65 14.8%<br />

ETERODIRETTI<br />

Aggressività 73 16,6 %<br />

Trasgressione 29 6,6%<br />

Violenza 25 5.7%<br />

Pericolosità 19 4,3%<br />

Danni materiali 17 3,8%<br />

B O O K S E I 57


5 8 B O O K S E I


La domanda<br />

di salute<br />

mentale<br />

in ospedale<br />

La domanda<br />

di salute mentale<br />

in ospedale<br />

Elementi per un sistema<br />

valutativo del DSM<br />

di<br />

Augusto Casasola<br />

Fulvio Tesolin<br />

Introduzione<br />

In generale in una popolazione definita una certa percentuale di persone<br />

presenta disturbi psicologici, costituiti per la maggior parte da<br />

disturbi d’ansia e da disturbi affettivi minori. Una parte di queste persone<br />

prende la decisione di consultare il medico e solo alcune di esse<br />

vengono riconosciute dal medico come persone affette da disturbi psicologici.<br />

Per alcuni di essi il medico decide di inviarli allo specialista,<br />

nei servizi psichiatrici. Di questi pazienti che accedono ai servizi psichiatrici<br />

solo una parte viene ricoverata.<br />

Alcuni studi epidemiologici (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11) dimostrano che:<br />

1) il livello di disagio psichico “percepito” <strong>dalla</strong> popolazione oscilla fra il 190 e 230 per 1000<br />

abitanti;<br />

2) il numero di pazienti con disturbi psicologici che si rivolge al Medico di Base è di poco superiore<br />

alla metà di quelli che percepiscono il disagio;<br />

3) il Medico di Base riconosce il disagio solo per la metà dei pazienti che a lui si rivolgono;<br />

4) la percentuale di quelli che accede allo specialista è di 11 abitanti su 1000;<br />

5) 3 abitanti su 1000 hanno esperienza di ricovero.<br />

Ne consegue che:<br />

a) solo una parte dei disturbi emotivi vengono trattati dallo psichiatra e dallo psicologo. Tale<br />

parte è più o meno grande a seconda delle attitudini e delle capacità dei medici di medicina gene-<br />

Augusto Casasola Sociologo, Dipartimento di Osservazione Epidemiologica dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> (PN)<br />

Fulvio Tesolin Dirigente Medico DSM dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> (PN)<br />

B O O K S E I 59


La domanda<br />

di salute<br />

mentale<br />

in ospedale<br />

rale e del funzionamento dei servizi esistenti “a monte” dei servizi psichiatrici;<br />

b) gli studi valutativi delle attività dei servizi specialistici ed i progetti di programmazione -<br />

ristrutturazione di tali servizi devono necessariamente tenere conto delle attività e del funzionamento<br />

dei servizi sanitari di base. Un semplice aumento di permeabilità del medico di base, di<br />

cui al punto 3, è infatti in grado di annullare e rendere insufficiente qualunque potenziamento<br />

dei servizi psichiatrici esistenti, di cui ai punto 4 e 5;<br />

c) la conoscenza dei fattori e delle variabili che influenzano il funzionamento dei diversi livelli<br />

con cui si presenta il disagio psichico permette una lettura in chiave sistemica e dinamica di come<br />

emerge la domanda di salute mentale.<br />

Da ciò deriva una indicazione metodologica: i servizi di salute mentale devono essere abbastanza<br />

elastici per adattarsi alle nuove condizioni sociali in rapida evoluzione nella nostra comunità<br />

e, soprattutto, per interrelarsi con tutto il sistema di governo della salute mentale.<br />

Ci siamo posti le seguenti domande:<br />

• partendo dallo schema di Golberg e Huxley (1), come e quali problemi emergono nella<br />

domanda di salute mentale che viene intercettata dall’ospedale<br />

• quante persone utilizzano l’ospedale generale per problemi psichici diagnosticati <br />

• che caratteristiche hanno tali utilizzatori <br />

• sono tutti seguiti dai Centri di Salute Mentale<br />

Queste domande presuppongono un sforzo per passare dal particolare al generale, da una logica<br />

tutta interna al servizio per la salute mentale ad un dialogo e un confronto con gli altri servizi,<br />

avendo però sempre davanti l’orizzonte e la domanda posta <strong>dalla</strong> sofferenza psichica.<br />

Questo studio é un primo approccio sperimentale per avviare ed implementare processi di valutazione<br />

più articolati e costanti sulla pratica svolta a tutela della salute mentale e gli elementi di<br />

valutazione emersi, dal nostro punto di vista, rappresentano solo un primo tassello all’interno di<br />

un sistema di valutazione ancora da definire.<br />

Setting<br />

Il Dipartimento di Salute Mentale di Pordenone é articolato in 5 Centri di Salute Mentale. Il presente<br />

studio si riferisce al bacino di utenza di 2 Centri di salute Mentale (Distretto Urbano e Sud),<br />

che operano sul territorio di 14 Comuni, comprendenti il capoluogo di provincia e la sua area<br />

limitrofa, con una superficie di 597.71 kmq. La popolazione residente nel 1994 è di 156.948 unità<br />

con una densità di 262 abitanti per kmq., con un indice di natalità del 8,24 %°, di mortalità 9,34<br />

%°, di immigrazione 22,67%°, di emigrazione 19,52%°, con un saldo sociale positivo del<br />

3,15%° e con un saldo naturale negativo 1,09%°.<br />

Scopo dello studio<br />

Descrivere l’insieme delle patologie psichiatriche rilevate nelle schede di dimissione dagli ospedali<br />

regionali, nell’anno 1994 da parte di cittadini residenti nei 14 comuni considerati, e incrociare<br />

tali informazioni con quelle dell’utenza dei due Centri di Salute Mentale.<br />

Disegno dello studio<br />

Attraverso l’utilizzo delle schede di dimissione ospedaliera dell’anno 1994 sono stati selezionate<br />

le dimissioni con DRG psichiatrico (vedi Nota esplicativa) di cittadini residenti nei<br />

Comuni considerati.<br />

6 0 B O O K S E I


La domanda<br />

di salute<br />

mentale<br />

in ospedale<br />

Una volta selezionate le dimissioni e individuati i dimessi, tali informazioni sono state incrociate<br />

con quelle del registro dei casi dei Centri di Salute Mentale per evidenziare due tipologie pazienti:<br />

i casi “seguiti”, cioè i soggetti che nel corso dell’anno considerato hanno avuto più di 1 intervento<br />

da parte del servizio psichiatrico, e i casi “non seguiti“ .<br />

Nell’ambito delle dimissioni con diagnosi psichiatrica sono stati quindi considerate quelle ripetute,<br />

in quanto si è ipotizzato che tale evento possa essere da un lato espressione di una domanda<br />

complessa, dall’altro evidenzi un bisogno che non trova adeguata risposta.<br />

Per i ricoveri ripetuti si è proceduto ad un approfondimento ed ad una definizione univoca della<br />

diagnosi dei pazienti - infatti nel corso dei ricoveri ripetuti la diagnosi psichiatrica di dimissione<br />

non é stata sempre la stessa - :<br />

- per i casi “seguiti” è stata verificata la diagnosi del paziente con lo psichiatra del Centri di<br />

Salute Mentale;<br />

- per i casi “non seguiti” è stata verificata la diagnosi del paziente con il medico di medicina<br />

generale scelto dall’assistito.<br />

Risultati<br />

Complessivamente nel 1994 si sono verificate 26053 dimissioni di cittadini residenti nei 14<br />

Comuni considerati, di cui 629 con diagnosi psichiatrica.<br />

Il tasso di ospedalizzazione nell’area é di 166 ricoveri per 1.000 abitanti a fronte di un tasso di<br />

ricovero psichiatrico di 4 abitanti su 1.000 (cfr. Tab.1).<br />

DIMISSIONI DISTINTE PER COMUNE E PER DIAGNOSI (Tab.1)<br />

(valori assoluti e tasso per 1000 abitanti)<br />

Dimissioni<br />

Diagnosi psichiatrica<br />

Tutte le diagnosi<br />

Comuni n. Tasso osped. per 1000 ab. n. Tasso osped. per 1000 ab.<br />

Aviano 36 4,44 1366 168,29<br />

Azzano Decimo 45 3,68 2141 174,90<br />

Brugnera 28 3,52 1219 153,37<br />

Cordenons 55 3,46 2394 150,67<br />

Fiume Veneto 27 2,74 1727 175,42<br />

Fontanafredda 28 3,05 1493 162,58<br />

Pasiano di Pn 30 4,33 1162 167,89<br />

Porcia 42 3,17 2035 153,58<br />

Pordenone 243 5,00 8664 178,38<br />

Prata di Pn 16 2,41 1073 161,47<br />

Pravisdomini 16 6,80 394 167,45<br />

Roveredo in Piano 9 1,99 583 128,75<br />

S. Quirino 13 3,43 574 151,45<br />

Zoppola 41 5,35 1228 160,17<br />

Totale 629 4,01 26053 166,00<br />

B O O K S E I 61


La domanda<br />

di salute<br />

mentale<br />

in ospedale<br />

Il tasso di ospedalizzazione per l’ età pediatrica é di 1,26 ricoveri per 1000.<br />

Il tasso di ospedalizzazione nell’età lavorativa (15-64 anni) é di 3,74 ricoveri per 1000 abitanti.<br />

Il tasso di ospedalizzazione per gli anziani con diagnosi psichiatrica é di 7,0 ricoveri per 1000 abitanti.<br />

Le dimissioni con diagnosi psichiatrica, rispetto alla differenza di genere, evidenziano una prevalenza<br />

femminile (62% femmine, 38% maschi; cfr. Tab.2).<br />

DIMISSIONI PER MALATTIE E DISTURBI MENTALI DISTINTE<br />

PER SESSO E CLASSE DI ETÀ (Tab. 2)<br />

(valori assoluti e tasso per 1000 abitanti)<br />

Dimissioni<br />

Sesso<br />

Tasso di ospedalizzazione<br />

Classi di età F M MF per 1000 abitanti<br />

0 - 14 anni 12 12 24 1,26<br />

15 - 64 anni 234 <strong>180</strong> 414 3,74<br />

65 e oltre 139 52 191 7,02<br />

Totale 385 244 629 4,01<br />

Le malattie e disturbi mentali più frequentemente diagnosticate alla dimissione (cfr. Tab.3) sono<br />

le psicosi, 30% delle dimissioni e le nevrosi depressive, con il 21%.<br />

Le reazioni acuta di adattamento e disfunzione psico-sociale con il 19%; i disturbi organici e<br />

ritardo mentale con il 18% la terza e la quarta diagnosi in ordine di numerosità.<br />

DIMISSIONI PER MALATTIE E DISTURBI MENTALI (Tab. 3)<br />

(valori assoluti e percentuali)<br />

Dimissioni<br />

Malattie e Disturbi Mentali n. %<br />

Psicosi 187 29,7<br />

Nevrosi depressive 131 20,8<br />

Reazione acuta di adattamento e disfunzione sociale 117 18,6<br />

Disturbi organici e ritardo mentale 111 17,6<br />

Nevrosi (eccetto depressive) 35 5,6<br />

Disturbi della personalità 24 3,8<br />

Disturbi mentali dell’infanzia 13 2,1<br />

Altri disturbi mentali 6 1,0<br />

Interventi chirurgici associati a malattia mentale 5 0,8<br />

Totale 629 100,0<br />

6 2 B O O K S E I


La domanda<br />

di salute<br />

mentale<br />

in ospedale<br />

Passiamo alle sedi ospedaliere dove si effettuano i ricoveri:<br />

DIMISSIONI PER MALATTIE E DISTURBI MENTALI DISTINTE PER OSPEDALE<br />

E GIORNATE DI DEGENZA (Tab.4)<br />

(valori assoluti e percentuali, somma e media)<br />

Dimissioni Giornate di degenza<br />

Ospedali n % Somma Media<br />

Pordenone (azienda ospedaliera) 287 45,6 2946 10,3<br />

Casa di cura S. Giorgio (ospedale convenzionato) 150 23,8 2173 14,4<br />

Sacile (servizio ospedaliero di diagnosi e cura) 148 23,5 2436 16,5<br />

Burlo (istituto scientifico pediatrico) 19 3,0 25 1,3<br />

S. Vito al Tagliamento 7 1,1 90 12,8<br />

Aviano (centro di riferimento oncologico) 3 0,5 6 2,0<br />

Trieste (ospedali riuniti) 3 0,5 37 12,3<br />

S. Daniele (servizio ospedaliero di diagnosi e cura) 2 0,3 36 18,0<br />

Spilimbergo 2 0,3 6 3,0<br />

Udine 2 0,3 13 6,5<br />

Policlinico Universitario 2 0,3 2 1,0<br />

Gemona 1 0,2 8 -<br />

Latisana 1 0,2 1 -<br />

Maniago 1 0,2 6 -<br />

Palmanova 1 0,2 4 -<br />

Totale 629 100,0 7789 12,4<br />

Le sedi di ricovero prevalenti sono l’ospedale civile di Pordenone e la casa di Cura policlinico<br />

San Giorgio; queste due sedi assommano il 69,4% delle dimissioni (cfr. Tab.4).<br />

Nei due Servizi Ospedalieri di Diagnosi e Cura Psichiatrica utilizzati si effettua quasi un quarto<br />

dei ricoveri.<br />

L’Istituto scientifico pediatrico di Trieste é il punto di riferimento, prevalentemente diurno, per<br />

le diagnosi psichiatriche nei bambini.<br />

Fatta eccezione per l’ospedale di S. Vito, i ricoveri negli altri ospedali sembrano determinati dal<br />

caso. La durata media della degenza é di 12,4 giorni, escludendo i due Servizi Ospedalieri di<br />

Diagnosi e Cura Psichiatrica dove la degenza “prolungata” é da considerare parte integrante del<br />

trattamento, la durata della degenza superiore ai 10 giorni sembra evidenziare un “utilizzo consapevole“<br />

del presidio ospedaliero (cfr. Tab. 4).<br />

Per poter inferire un indice di domanda psichiatrica effettivamente non accolta dai Servizi di<br />

salute mentale, é necessario passare dagli eventi ricovero all’analisi dei casi, - si precisa che da tale<br />

analisi vengono esclusi i soggetti ricoverati la cui età è compresa fra 0 e 14 anni, in quanto di competenza<br />

del servizio di neuropsichiatria infantile -.<br />

B O O K S E I 63


La domanda<br />

di salute<br />

mentale<br />

in ospedale<br />

I dimessi vengono distinti in “seguiti” e “non seguiti” dai Centri di Salute Mentale.<br />

Si evidenziano, di seguito, i dimessi - Tab 5 - e i dimessi con ricoveri ripetuti - Tab 6 - distinti per<br />

tipo di paziente, classe di età e diagnosi:<br />

DIMESSI PER CLASSE DI ETÀ, DIAGNOSI E PER TIPO DI PAZIENTE (Tab 5)<br />

(valori assoluti e percentuali)<br />

Dimessi<br />

Seguiti Non seguiti Totale<br />

n. % n. % n. %<br />

Classi di età<br />

15 - 64 anni 174 59,2 120 40,8 294 100,0<br />

65 e oltre 31 17,6 145 82,4 176 100,0<br />

Totale 205 43,6 265 56,4 470 100,0<br />

Dimessi<br />

Seguiti Non seguiti Totale<br />

n. % n. % n. %<br />

Disturbi Mentali<br />

Psicosi 87 75,0 29 25,0 116 100,0<br />

Dist. org. e rit. ment. 11 12,5 76 87,5 88 100,0<br />

Nevrosi depressive 52 49,6 54 50,4 106 100,0<br />

Reaz. adat. e disf. soc. 42 42,0 58 58,8 100 100,0<br />

Nevrosi (escl. depres.) 2 6,5 29 93,5 31 100,0<br />

Dist. della personalità 9 56,3 7 43,7 16 100,0<br />

Altri disturbi mentali 0 0,0 8 100,0 8 100,0<br />

Int.chir.e mal. ment. 1 20,0 4 80,0 5 100,0<br />

Totale 205 43,6 265 56,4 470 100,0<br />

Emerge che:<br />

• le dimissioni hanno riguardato 470 persone con età superiore ai 14 anni con un numero complessivo<br />

di 605 ricoveri.<br />

• Su 470 pazienti, 205 sono “seguiti” dai Centri di Salute Mentale (43,5% dei dimessi), mentre<br />

i rimanenti 265 sono “non seguiti” ( 56,4% dei dimessi).<br />

• I 205 pazienti “seguiti” hanno effettuato 323 ricoveri, 53,4 % dei ricoveri totali.<br />

• I 265 pazienti “non seguiti” hanno effettuato 282 ricoveri, 46,4 % del totale.<br />

6 4 B O O K S E I


La domanda<br />

di salute<br />

mentale<br />

in ospedale<br />

DIMESSI CON RICOVERI RIPETUTI DISTINTI PER CLASSE DI ETÀ,<br />

DIAGNOSI E PER TIPO DI PAZIENTE (Tab 6)<br />

(valori assoluti e percentuali)<br />

Dimessi<br />

Seguiti Non seguiti Totale<br />

n. % n. % n. %<br />

Classi di età<br />

15 - 64 anni 55 85,6 9 14,4 64 100,0<br />

65 e oltre 5 35,7 9 64,3 14 100,0<br />

Totale 60 76,9 18 24,1 78 100,0<br />

Dimessi<br />

Seguiti Non seguiti Totale<br />

n. % n. % n. %<br />

Disturbi Mentali<br />

Psicosi 42 91,3 4 8,7 46 100,0<br />

Dist. org. e rit. ment. 2 33,3 4 66,7 6 100,0<br />

Nevrosi depressive 11 73,3 4 26,7 15 100,0<br />

Reaz. adat. e disf. soc. 4 80,0 1 20,0 5 100,0<br />

Nevrosi (escl. depres.) 0 0,0 2 100,0 2 100,0<br />

Dist. della personalità 1 25,0 3 75,0 4 100,0<br />

Totale 60 76,9 18 24,1 78 100,0<br />

Poniamo in evidenza che:<br />

• 78 pazienti hanno avuto ricoveri ripetuti, quindi 392 hanno avuto un solo ricovero.<br />

• I 78 pazienti con dimissioni ripetute (60 “seguiti”, 18 “non seguiti”) hanno numero complessivo<br />

di 213 ricoveri ( 177 i “seguiti”, 83,1 % dei ricoveri ripetuti; 36 i “non seguiti”, 16,9%<br />

delle dimissioni ripetute).<br />

• I 60 pazienti “seguiti” hanno avuto un caso con 8 ricoveri, ma i pazienti con 3 o più dimissioni<br />

sono stati ricoverati esclusivamente al Servizio Ospedaliero di Diagnosi e Cura Psichiatrica<br />

di Sacile.<br />

• Gli ospedali dove si sono verificati più frequentemente i ricoveri ripetuti sono:<br />

- per i “seguiti”: il Servizio Ospedaliero di Diagnosi e Cura Psichiatrica di Sacile 23 dimessi<br />

(38,3 % )e la Casa di Cura policlinico S. Giorgio 11 dimessi (18,3 %);<br />

-per i “non seguiti”: l’ Azienda Ospedaliera di Pordenone 7 dimessi (38,9 %) e la Casa di<br />

Cura policlinico S. Giorgio con 4 dimessi (22,2%).<br />

• Per i dimessi con ricoveri ripetuti la somma e la media delle giornate di degenza sono:<br />

- per i “seguiti”: 2418 giornate di degenza, con una media di 40,3 giorni per paziente;<br />

- per i “non seguiti”: 477 giornate di degenza, con una media di 26,5 giorni per paziente.<br />

• 46 pazienti con ricoveri ripetuti hanno diagnosi di psicosi e appartengono tutti alla classe di età<br />

compresa fra 15 e 64 anni (42 “seguiti” e 4 “non seguiti).<br />

• I 4 pazienti “non seguiti” con ricoveri ripetuti e diagnosi di psicosi sono stati ricoverati solamente<br />

presso l’ Azienda Ospedaliera di Pordenone.<br />

B O O K S E I 65


La domanda<br />

di salute<br />

mentale<br />

in ospedale<br />

Discussione<br />

1. Il tasso di ospedalizzazione con diagnosi psichiatrica nell’area considerata è di 4,39 su 1000<br />

abitanti in età superiore ai 14 anni (3,74 su 1000 abitanti in età lavorativa e 7,02 su 1000 abitanti<br />

nella popolazione anziana), appare sostanzialmente adeguato ai parametri medi della<br />

popolazione residente e conforme ai dati riportati in letteratura. Rimane aperta la questione se<br />

questi pazienti debbano usufruire dell’ospedale generale o se debbano essere ospitati in luoghi<br />

più chiaramente connotati da una etichetta psichiatrica. Fermo restando che deponiamo<br />

per la prima ipotesi, è innegabile che la tendenza attuale, dettata anche <strong>dalla</strong> gestione aziendalistica,<br />

sia la seconda, in quanto viene confermata <strong>dalla</strong> difficoltà sempre crescente all’interno<br />

delle unità operative ospedaliere di reperire posti letto con tempi rapportati al progetto<br />

terapeutico. Si apre la questione se riteniamo di dover proseguire sulla strada intrapresa<br />

vent’anni fa con la riforma psichiatrica, o se riaprire il discorso della separazione e differenziazione<br />

dei luoghi di cura tra i pazienti psichiatrici e non psichiatrici.<br />

2. La quota di domanda che riguarda utenti “non seguiti” dai Centri di Salute Mentale è composta<br />

prevalentemente da anziani. Questo dato conferma quanto è emerso in altri studi effettuati<br />

sul Servizio di salute mentale di Pordenone, oltre a palesare, più in generale, una differenza<br />

nella impostazione organizzativa rispetto ad altri paesi europei, come ad esempio la<br />

Gran Bretagna dove il 50% dell’utenza è psicogeriatrica. Sulla questione, nota e documentata,<br />

delle patologie degenerative cerebrali degli anziani è necessario riflettere per individuare<br />

strategie operative e organizzative che permettano di fornire una migliore cura e supporto agli<br />

anziani affetti da demenza e ai loro familiari.<br />

3. I dati ottenuti sull’utilizzo dell’ospedale generale, in particolare della Azienda ospedaliera di<br />

Pordenone e della Casa di Cura policlinico S. Giorgio, mostrano, a nostro avviso, un utilizzo<br />

“consapevole” del ricovero. Come emerge dal dato sulla degenza media, superiore ai 10 giorni,<br />

l’utilizzo dell’ospedale generale non è praticato a solo scopo diagnostico, ma soprattutto<br />

per il trattamento del disturbo, con un approccio efficace specifico nella clinica e nella cura<br />

psichiatrica e diverso rispetto ad altre branche della medicina, dove spesso l’efficacia passa<br />

anche attraverso la riduzione dei tempi di degenza.<br />

4. Le dimissioni relative ai casi “non seguiti” possono essere considerate una base di riferimento<br />

per valutazioni sulla capacità e flessibilità nello accoglimento della domanda da parte dei<br />

Servizi di salute mentale e di organizzazione strutturale della risposta; mentre le dimissioni<br />

relative ai casi “non seguiti” nei ricoveri ripetuti, in particolare con diagnosi di psicosi, possono<br />

segnalare un limite nella risposta da parte dei servizi territoriali.<br />

5. Emergono, in conclusione, elementi che confermano e specificano evidenze già fornite dai<br />

sistemi informativi psichiatrici, soprattutto in riferimento al necessario collegamento (12, 13,<br />

14) fra Centro di Salute Mentale, Ospedale Generale e Medicina di Base.<br />

Pordenone, aprile 1998<br />

6 6 B O O K S E I


La domanda<br />

di salute<br />

mentale<br />

in ospedale<br />

Nota esplicativa<br />

DRG: Diagnosis Related Groups - Raggruppamenti Omogenei di diagnosi<br />

Una serie di studi condotti a metà degli anni 70 negli Stati Uniti ha esaminato l’effetto sull’utilizzo delle<br />

risorse ospedaliere, mettendo in evidenza l’insufficienza degli indicatori ospedalieri basati sul numero delle<br />

giornate di degenza e i limiti della classificazione internazionale della malattie (ICD), in quanto importanti<br />

caratteristiche del paziente quali l’età, la comorbilità, le complicanze non venivano considerate. In aggiunta,<br />

tale classificazione dei pazienti basata sulla diagnosi principale conduceva ad un elevato numero di gruppi<br />

difficilmente gestibili e analizzabili. L’obiettivo era quello di sviluppare un sistema che, pur individuando<br />

un insieme relativamente contenuto di gruppi isorisorse, fosse significativo dal punto di vista clinico e<br />

utilizzabile per attività di valutazione, gestione e programmazione. Lo sviluppo dei DRG avviene rapidamente<br />

nel corso degli anni 70; dal 1979 utilizza la nuova revisione dell’ICD (ICD-9-CM), e successivamente<br />

viene condotta, sempre negli USA, una indagine su larga scala (1,4 milioni di records di dimissione) per<br />

la validazione del sistema. Dal 1983 gli Stati Uniti utilizzano i DRG per il finanziamento prospettivo degli<br />

ospedali per i ricoveri dei pazienti iscritti a Medicare. Recentemente in diversi paesi europei, Italia compresa<br />

dopo la riforma della riforma sanitaria, si sono sviluppate applicazioni dei DRG soprattutto per modificare<br />

il sistema di finanziamento degli ospedali, passando dal pagamento a giornata di degenza al pagamento a<br />

prestazione, infatti ad ogni DRG corrisponde una tariffa “remunerativa” delle prestazioni effettuate. I dati<br />

vengono inizialmente sottoposti ad un controllo di qualità per la verifica anche di eventuali incongruenze<br />

tra le principali variabili, ad esempio età/diagnosi, sesso/diagnosi, diagnosi/procedure. Successivamente i<br />

pazienti vengono attribuiti ad una delle 23 categorie diagnostiche principali (MDC) sulla base della diagnosi<br />

principale di dimissione. Le MDC costituiscono la riaggregazione di aree di patologie riconducibili alle<br />

diverse specialità cliniche. Dopo l’attribuzione dei singoli casi alla MDC appropriata, vengono distinti all’interno<br />

della stessa MDC i casi chirurgici da quelli medici sulla base della presenza o meno di una procedura<br />

o intervento richiedente per la sua esecuzione la permanenza del soggetto in sala operatoria. Dopo l’attribuzione<br />

dei casi alla MDC, viene individuato il DRG specifico in base alle altre variabili disponibili. Per<br />

l’assegnazione dei pazienti ai singoli DRG la variabile demografica più utilizzata è rappresentata dall’età;<br />

questa si utilizza sia per individuare i cosiddetti DRG pediatrici (età inferiore o uguale a 17 anni) che per<br />

quelli complessi anche in assenza di complicazioni. In genere i pazienti di età uguale o maggiore a 69 anni<br />

vengono attribuiti a DRG insieme a casi di qualsiasi età in presenza di complicazioni concomitanti. Questo<br />

perchÈ le cause concomitanti e l’età risultano associate ed entrambe sembrano influenzare in modo simile<br />

la durata di degenza. Fin dai primi studi statunitensi viene segnalata la difficoltà nella applicazione di questo<br />

sistema ai ricoveri psichiatrici, per i quali la Regione <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia ha definito una tariffa ad hoc.<br />

I DRG relativi alle Malattie e Disturbi Mentali, considerati in questo studio sono la Categoria medico diagnostica<br />

(MDC 19) - denominata Malattie e Disturbi Mentali - e precisamente i DRG: 424 C Interventi chirurgici<br />

associati ad una diagnosi principale di malattia mentale; 425 M Reazione acuta di disadattamento e<br />

disfunzione sociale; 426 M Nevrosi depressiva; 427 M Altre nevrosi; 428 M Disturbi della personalità: 429<br />

M Disturbi organici e ritardo mentale; 430 M Psicosi; 431 M Disturbi mentali dell’infanzia; 432 M Altre<br />

diagnosi di disturbi mentali.<br />

B O O K S E I 67


La domanda<br />

di salute<br />

mentale<br />

in ospedale<br />

Bibliografia<br />

(1) Goldberg D.P., Huxley P.<br />

“Mental illness in the Community: the pathway to the psychiatric care”, Tavistok, Londra, 1980<br />

(2) Goldberg D. P., Blackwell B.<br />

“Psychiatric illness in general practice”, Br. Med. J., vol.2, 439-43, 1970<br />

(3) De Salvia D. et altri<br />

“Disturbi mentali e disagio psichico nei servizi psichiatrici e sanitari e nel contesto sociale” Epidem.<br />

& Prev, n°48-49, 108-116, 1991<br />

(4) Hafner H. an der Heiden W.<br />

“Registri dei casi e schizofrenia”, in M.Tansella (a cura di) L’approccio epidemiologico in Psichiatria,<br />

259-299, Boringhieri, Torino; 1985<br />

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“Screening for psychiatric disorder in general practice”,<br />

Psycol. Med., vol .14, 365-377, 1984<br />

(7) Tansella M.<br />

“L’approccio epidemiologico in psichiatria”, Boringhieri, Torino, 1985<br />

(9) Williams P.<br />

“Le ricerche epidemiologiche sui disturbi psichiatrici nella medicina di base: una rassegna della letteratura”<br />

in M Tansella (a cura di) “L’approccio epidemiologico in psichiatria”, pg 321-378, Boringhieri,<br />

Torino, 1985<br />

(10) Rizzardo R. et altri.<br />

“The General Practitioner and the Psychiatric Health service in Italy after the reform: opinions and<br />

experiences in an urban district”,<br />

Acta Psichiatrica Scandinavica, n. 73, 234-238, 1986<br />

(11) Shepherd M.<br />

“General practice, mental illness and the British National Health Service”,<br />

A. J. Publ. Hlth., vol. 64, 230-232, 1974<br />

(12) Invernizzi G., Pezzullo M.<br />

“La psichiatria di Liaison: stato dell’arte”, Psichiatria e Medicina, 45, 1988<br />

(13) Majou R. A.<br />

“Consultation-Liaison Psychiatry ”(psichiatria di consult. e collegamento), Upjohn international INC,<br />

1988<br />

(14) Rigatelli M., et altri.<br />

“La consulenza psichiatrica-psicosomatica nei 4 ospedali del USL 16 di Modena: due anni a confronto”,<br />

Riv. Sper. Freniatr., vol. CXVII, n.2, 203-220, 1993<br />

6 8 B O O K S E I


B O O K S E I 69


Il lavoro<br />

con le<br />

famiglie<br />

Il lavoro<br />

con le<br />

famiglie<br />

L’importanza del clima emotivo familiare<br />

di<br />

Daniela Bortolussi<br />

Fausto Della Bianca<br />

Giovanni M. Fontana<br />

Introduzione<br />

“Noi non possiamo plasmare i figli secondo il nostro sentimento; così<br />

come Iddio ce li diede bisogna tenerli ed amarli” (J.W. Goethe).<br />

Questa laconica e quantomeno rassegnata affermazione sembra<br />

centrare in tutta la sua gravità l’enormità del carico familiare,<br />

soprattutto nei casi in cui si affrontino problematiche inerenti alla<br />

salute mentale. A venti anni <strong>dalla</strong> Legge <strong>180</strong> una delle più recenti<br />

acquisizioni nel percorso che conduce gli operatori psichiatrici a<br />

conferire dignità ai pazienti è stata probabilmente il cambiamento<br />

di rotta nella presa in carico che, vedeva in maniera paradossale e forse strumentale la tendenza<br />

a sostituirsi ai leggittimi parenti nella “funzione famiglia”.<br />

La necessità di conferire maggiori spazi ed importanza alla famiglia è stata in questi ultimi<br />

anni una delle caratteristiche maturative, spesso stimolata proprio dagli operatori del settore,<br />

nel tentativo di cercare un ulteriore elemento di confronto, pur sapendo che esisteva la potenzialità<br />

di una trasformazione di ruolo della famiglia in spiacevole “controparte”.<br />

Gradualmente nel tempo i familiari sembra abbiano valorizzato l’importanza di condividere<br />

problematiche affini e comuni ed abbiano deposto sempre più fiducia nell’importanza di<br />

momenti d’ascolto da parte degli operatori, mirati ad affrontare il carico nelle sue caratteristiche<br />

di più o meno grave oggettività e senz’altro di diversificata soggettività.<br />

Daniela Bortolussi Infermiera psichiatrica dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> - Pordenone<br />

Fausto Della Bianca Psicologo DSM dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> - Pordenone<br />

Giovanni M. Fontana Dirigente Medico DSM dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> - Pordenone<br />

7 0 B O O K S E I


Il lavoro<br />

con le<br />

famiglie<br />

Accantonata l’aggressività e la ricerca di “capri espiatori”, la famiglia sembra infatti ricercare,<br />

quasi desiderare, un luogo di condivisione e di ascolto che le permetta di metabolizzare le<br />

incomprensioni e talvolta le aspre critiche degli stessi parenti bisognosi di cure.<br />

Ciò in sintonia con una tagliente citazione di O. Wilde che sostiene “all’inizio i figli amano i<br />

genitori, dopo un po’ li giudicano, raramente o quasi li perdonano”.<br />

Inquadramento storico<br />

Per poter comprendere e collocare l’argomento dei familiari è utile considerare i vari scenari<br />

esistenti in psichiatria, per mezzo dei quali, prendendo a prestito conoscenze e teorie o criticando<br />

postulati e operatività, ha potuto svilupparsi e trovare una sua collocazione.<br />

Un primo scenario è rappresentato <strong>dalla</strong> psichiatria biologico-organicistica (aspetti medicobiologici)<br />

che non prevede il coinvolgimento dei familiari se non in termini di committenza<br />

od economici; il rapporto con la malattia è permeato e distorto dai concetti di danno biologico<br />

(colpa) ed ereditarietà.<br />

Un secondo è scenario dato <strong>dalla</strong> psichiatria psicodinamica, dove la famiglia è sempre stata<br />

tenuta fuori dal rapporto terapeutico in nome dell’osservanza di un setting e <strong>dalla</strong> lettura del<br />

disturbo mentale in termini di conflitto intrapsichico.<br />

Un terzo scenario (anni 50-60) vede l’utilizzo delle teorie dei sistemi per la cosiddetta Terapia<br />

Familiare, in cui la “spiegazione” del disturbo psichico non va cercata nel passato ma nei<br />

parametri e nelle regole interne al sistema stesso, alla famiglia, alla società, che però pone la<br />

famiglia non in un rapporto paritario con la scienza, bensì un oggetto della terapia stessa, con<br />

il risultato di creare un vissuto di colpa spesso paralizzante.<br />

Con lo scenario della psicoanalisi, si è cominciato a pensare all’espressione della sofferenza e<br />

del disagio in termini di quantità e non di qualità, il concetto di “vulnerabilità” ha soppiantato<br />

completamente quello di ereditarietà.<br />

Attorno agli anni 60-70 è sorto il filone inglese che utilizza programmi informativi ed educazionali<br />

(Wing, Leff), tesi al controllo dell’emotività espressa (EE) e alle aspettative che hanno<br />

una notevole influenza rispetto alle ricadute. Si può presumere quindi che, sostenendo le<br />

famiglie nel supportare le iniziative, questo possa influire in modo positivo sulle ricadute.<br />

Questa forma di supporto rischia però di trasformarsi in una facile delega alla cura.<br />

Per ultimo abbiamo lo scenario delle associazioni che con la loro connotazione difensiva<br />

hanno determinato una grande separazione tra chi sa (curanti) e i familiari, creando a volte<br />

con il Servizio Istituzione un rapporto gerarchico-funzionale; tipico del rapporto della famiglia<br />

con il bambino piccolo. Lo scenario attuale in cui si colloca il rapporto con i familiari,<br />

tende a far sì che il rapporto con il servizio, paziente e famiglie sia un rapporto tra soggetti<br />

che interagiscono reciprocamente.<br />

Se recenti studi internazionali ci indicano che un terzo dei portatori di diagnosi psichiatrica<br />

nell’arco di 5-20 anni guarisce completamente (guarigione clinica), un terzo guarisce socialmente<br />

(supporto farmacologico riabilitativo), un terzo, invece, è più resistente alla cura e al<br />

cambiamento, a questa quota principalmente si riferisce ed è oggetto l’interazione familiari-<br />

Servizi. Una famiglia, di solito, ha già delle risorse anche se minime per fronteggiare il disturbo,<br />

la malattia, che percepisce attraverso le proprie credenze, i propri valori, a volte sostenuti<br />

da luoghi comuni, stereotipie, ecc. Quando uno di questi tre fattori non trova più argine, si<br />

ha la crisi della famiglia. Se invece, quando c’è il disturbo mentale, la malattia, l’agente stressogeno,<br />

siamo capaci di attivare risorse nuove accanto a quelle già esistenti, riusciamo a dare<br />

costantemente un’informazione per fare il punto della situazione, per ridimensionare le aspettative<br />

e attivare le risorse, non avremo più una situazione di crisi e quindi di rottura o paralisi<br />

della famiglia, ma avremo dato avvio ad un processo di affrontamento (coping) delle situazioni<br />

che permette così alla famiglia, al paziente e paradossalmente al Servizio di trovare un<br />

giusto grado di adattamento e cambiamento.<br />

B O O K S E I 71


Il lavoro<br />

con le<br />

famiglie<br />

Aspetti teorici<br />

La famiglia è parte determinante di quello che i teorici dello stress chiamano equipaggiamento<br />

protettivo di base. E in quanto sfera di risorse, di identità, di appartenenza,<br />

incide attivamente sia nella definizione e nella oscillazione della soglia di vulnerabilità,<br />

sia nella negoziazione sulle forme della presa in carico e della cura.<br />

La consapevolezza dell’importanza rivestita dal clima familiare, dalle attese e dalle resistenze<br />

esercitate nei confronti del paziente grave, ha stimolato l’attenzione per interventi<br />

a livello delle famiglie (da non confondersi con la terapia familiare o sistemica).<br />

Molti studi effettuati sull’esito del processo riabilitativo hanno sottolineato l’importanza<br />

esercitata dalle aspettative e dalle resistenze nel determinare i successi dell’intervento<br />

stesso. In quest’ottica dovremo valutare attentamente la qualità di queste aspettative,<br />

considerare le attese del paziente come quelle degli operatori e del gruppo di<br />

familiari. Ma l’importanza svolta dalle caratteristiche emozionali in termini di resistenze<br />

e facilitazioni, vede al primo posto come fattore programmatico positivo le aspettative<br />

dei familiari, seguite poi da quelle dei pazienti, infine dagli operatori. Queste<br />

caratteristiche vanno considerate elementi ben più significativi di una prognosi legata<br />

alla valutazione della “forza della struttura dell’Io”. Alcuni studi sottolineano l’importanza<br />

delle aspettative positive e convergenti dei soggetti della riabilitazione, come<br />

anche degli esiti negativi consolidati nell’effetto Rosenthal o “profezia autoavverantesi”<br />

in cui si assiste ad un paziente che attua tiepidi miglioramenti rispetto alla condizione<br />

della propria disabilità, quando percepisce che nei suoi confronti si nutrono<br />

scarse aspettative di successo. Il fornire alle famiglie una sufficiente informazione sulla<br />

malattia, oltre a correggere aspettative e significati attribuiti al comportamento del<br />

paziente, ridurrà anche i conflitti tra i vari membri circa le capacità reali del paziente<br />

ed il modo migliore per porsi nei suoi confronti, l’effetto ultimo, sarà quello di ridurre<br />

l’intensità emotiva della vita familiare e quindi lo stress, a cui il paziente è sottoposto.<br />

Il ruolo che svolgiamo come operatori può essere definito come di catalizzatori di processi<br />

allargati a più ambiti istituzionali e a più figure professionali senza la cui cooperazione<br />

la psichiatria nel territorio non può far nulla.<br />

La nostra esperienza territoriale sviluppata nel corso di quasi 15 anni, non poteva più<br />

prescindere dal coinvolgimento attivo ed orientato delle famiglie ed è quindi stato<br />

necessario mettere a punto strumenti educativi e di partecipazione adeguati.<br />

A questa considerazione si è giunti attraverso fasi che inevitabilmente attraversano la<br />

pratica di un Servizio nato sulla linea di demarcazione della legge <strong>180</strong> che vede, in precedenza,<br />

accanto alle resistenze dei familiari, coagulate spesso intorno alla passività,<br />

all’aggressività espulsiva e alla impenetrabilità al lavoro riabilitativo, altri elementi di<br />

difficoltà, intesi come strategie miranti al mantenimento della stabilità e dell’omeostasi,<br />

incentrato sul paziente designato e sul rifiuto del folle e della follia come pratica di<br />

esclusione.<br />

Era quindi inevitabile che inizialmente la pratica fosse connotata da eccessi di oblatività<br />

da un lato e da atteggiamenti di stigmatizzazione e ipercriticità nei confronti dei<br />

familiari dall’altro.<br />

Quindi il favorire e il mantenere la permanenza del paziente all’interno della famiglia<br />

aumentava la necessità di rivedere il rapporto tra servizio e le famiglie, individuando<br />

questi come due poli di responsabilità rispetto al paziente e alla sua condizione.<br />

Aspetti operativi<br />

La famiglia non è che la prima agenzia contro la quale ci si va ad urtare, così che essa<br />

7 2 B O O K S E I


Il lavoro<br />

con le<br />

famiglie<br />

diventa al tempo stesso banco di prova di nuove tattiche, di nuovi stili professionali e modelli<br />

di intervento allargato.<br />

Proprio l’urgenza di elaborare il passaggio della famiglia da una cultura della delega a una<br />

cultura del coinvolgimento o della responsabilità (a una nuova etica di solidarietà col proprio<br />

malato) ha permesso ad alcuni di noi di portare avanti da circa due anni un programma<br />

di lavoro con le famiglie di pazienti ad alto carico emotivo. Tale programma si articola<br />

in incontri di cadenza bimensile (I° e III° lunedi di ogni mese) che hanno lo scopo di promuovere<br />

e migliorare la conoscenza della malattia, ma anche di favorire il confronto sulle<br />

credenze, sull’immaginario, su quanto di razionale c’è a volte nella malattia mentale.<br />

Si lavora sempre su un doppio versante: da un lato “l’oggettività” della malattia (livello psicoeducativo)<br />

dall’altro la partecipazione “soggettiva” del familiare ( con la consapevolezza<br />

di lavorare per sè) cerchiamo di far emergere il contributo positivo portato dal paziente<br />

all’interno della famiglia, valorizzando anche i più piccoli progressi all’interno della loro<br />

rete sociale.<br />

In sostanza, si intacca così la rassegnazione rispetto alla visione statica della malattia e si esercitano<br />

i genitori ad una percezione di movimento, valorizzando le capacità e le abilità e non<br />

le menomazioni, le disabilita, i sintomi.<br />

L’obiettivo più generale è quello di valorizzare il ruolo della famiglia, creare un ambiente emotivo<br />

migliore all’interno della stessa e favorire soluzioni pratiche tra famiglia e Servizio.<br />

A questo punto emerge anche l’impatto che questa nuova realtà produce sul Servizio in quanto<br />

il contatto familiari/Servizio, riduce fortemente la libertà di agire operazioni manipolatorie<br />

da parte del Servizio stesso, ne aumenta la trasparenza nel suo insieme, proponendo anche<br />

alla lunga di spostare sulle famiglie alcune ben definite competenze e attivare abilità di supporto;<br />

costringendo così il Servizio ad accogliere le istanze delle famiglie con più attenzione,<br />

a rivedere i programmi riabilitativi, ad introdurre nuove risorse, diversi soggetti nel percorso<br />

terapeutico, costringendo anche il Servizio ad una maggiore e più rapida disponibilità a modificarsi,<br />

a raccogliere le richieste dei singoli e del gruppo.<br />

In questo contesto, il riconoscimento della necessità delle risorse della famiglia nella presa a<br />

carico, pone un problema di maggior equità nelle responsabilità. Diventa quindi indispensabile<br />

elaborare forme di reciprocità e di autentica alleanza fra famiglie e servizi dal momento<br />

che questi ultimi non hanno più uno statuto forte, di Istituzione autosufficiente e separata.<br />

Così sembra legittimo che la famiglia non sia coinvolta solo in negativo in termini di sola riparazione<br />

di un danno o in termini di adattamento che resta quasi coatto, forzato, ma sia messa<br />

in grado di sviluppare liberamente nel percorso con i Servizi una soggettività e un senso proprio,<br />

un cambiamento dotato di una propria intenzionalità.<br />

Non dobbiamo dimenticare che la psichiatra istituzionale attribuisce alla famiglia (nello stretto<br />

rapporto con i Servizi) un ruolo di interlocuzione forte per poter riannodare i fili spezzati<br />

tra il malato e la comunità locale, questo, per poter ricreare i legami e le alleanze, il ruolo e la<br />

soggettività stessa della persona ammalata.<br />

In altre parole crediamo che nella vicinanza e prossimità coi Servizi, con cui condivide le<br />

responsabilità della cura, la famiglia è autorizzata sempre più a chiedere vantaggi per sè in<br />

cambio degli oneri e che questi oneri possano quindi essere convertiti di volta in volta in<br />

nuove capacità acquisitive, in legami sociali, in diritto alla salute e di cittadinanza.<br />

Si assiste quindi in questi ultimi anni, al trasformarsi della famiglia in agenzia di servizi, processo<br />

che ha obbligato le famiglie a coinvolgersi direttamente nelle politiche sociali, con funzione<br />

di integrazione, sostitutive e di promozione della qualità dei servizi.<br />

Lo scenario attuale in cui si colloca il rapporto con i familiari tende a far si che il rapporto tra<br />

Servizio, paziente e famiglie sia un rapporto tra soggetti che interagiscono reciprocamente.<br />

Il favorire e mantenere la permanenza del paziente all’interno della famiglia aumenta la neces-<br />

B O O K S E I 73


sità di rivedere il rapporto tra famiglie e servizi, individuando questi due come due poli di<br />

responsabilità rispetto al paziente e alla sua condizione .<br />

Di conseguenza dopo queste brevi considerazioni possiamo dire che i bisogni dei famigliari<br />

che emergono anche dagli incontri sono:<br />

- quello di conoscere di più la malattia per saperla fronteggiare;<br />

- ricercare un aiuto nei problemi quotidiani (necessità di fare il punto per sapere sempre<br />

dove si sta);<br />

- venire informati sul sistema ed organizzazione dei Servizi;<br />

- avere contatti con altre famiglie e incrementare così il “social- network”.<br />

Si è così organizzata per l’anno 1996 una serie di incontri strutturati e monotematici rivolti<br />

alle famiglie che, possano venire incontro a questi loro bisogni, utilizzando risorse sia<br />

interne al servizio che esterne.<br />

Inoltre, una particolare attenzione verrà rivolta ai familiari di utenti che utilizzano strumenti<br />

finalizzati all’inserimento lavorativo, come borse di lavoro, incentivi, ecc. questo<br />

anche al fine di supportare un’esperienza che, senza il giusto coinvolgimento ed elaborazione<br />

anche da parte della famiglia, rischia spesso di diventare un’operazione meramente<br />

assistenziale o peggio ancora un’area di parcheggio.<br />

Da ultimo, ma non ultimo in quanto ad importanza, riteniamo che i familiari possano<br />

costituire quel fronte di opinione e perchè no, di pressione, cui le Coop sociali e gli eventuali<br />

referenti politici devono tenere in giusta considerazione.<br />

Bibliografia<br />

Anderson C.M., Hogarty, G, Reiss D.J. 1980), Family treatment of adult schizophrenic patients: a psichoeducational<br />

approach. Schizophrenia Bullettin, 6, 490.<br />

Casacchia M., Roncone R., Core L. (1990), La famiglia come risorsa terapeutica nei disturbi schizofrenici.<br />

L’Ipetro - quaderni mensili di studi antropologici.<br />

Castelfranchi C. (1992), Le frontiere della riabilitazione (II parte), in Salute Mentale, Medicina sociale, epidemiologia<br />

Centro studi e Ricerche per la salute mentale, F.V.G.<br />

Dell’Acqua G., Mezzina R. (1988), Risposta alla crisi. strategie e intenzionalità dell’intervento nel servizio<br />

psichiatrico territoriale, in Per la salute mentale, 1/88<br />

Dell’Acqua G., Cogliati M.G. (1985), The end of the mental Hospital, Acta Psichiatrica Scandinavica,<br />

suppl. 316<br />

Gallio G. (1988) Famiglie e servizi nella deistituzionalizzazione, in Per la salute mentale 2-3/88<br />

Mezzina R., Mazzuia P.P., Vidoni D., Impagnatiello M. (1992), Networking consumers’ partecipation in<br />

community mental health service: mutual support groups, citizenship coping strategies. The International<br />

Journal of Social Psychology, 30,1<br />

7 4 B O O K S E I


Sintesi delle modalità di informazione alle famiglie e di organizzazione dell’aiuto reciproco<br />

uso/attivazione delle risorse disponibili. Aiuto concreto del servizio<br />

1<br />

- Lavoro terapeutico sul<br />

gruppo<br />

- Individuazione della rete<br />

sociale<br />

- Stimolazione e sostegno di<br />

auto-organiz. self-help<br />

-Valorizzazione dei famigliari<br />

come soggetti<br />

- Confronto sull’esperienza<br />

Riduzione<br />

del carico familiare<br />

- Valorizzazione dei famigliari<br />

come soggetti<br />

- Capacità di confrontarsi sulle<br />

proprie singolari<br />

esperienze<br />

- Capacità di riorganizzare le<br />

proprie risorse (della famiglia)<br />

- Supporto rete sociale selfhelp,<br />

attività autorganizzate,<br />

rete artificiale<br />

2<br />

- Conoscenza e informazioni<br />

sulla malattia<br />

- Vissuti di colpa<br />

- Pregiudizi<br />

- Singolarizzazione<br />

- Senso<br />

Storia del paziente<br />

Nosografia del positivo<br />

Modificazione<br />

del vissuto e<br />

della cultura<br />

della malattia<br />

- Diminuzione del vissuto<br />

di colpa<br />

- Critica del pregiudizio<br />

e dell’immaginario<br />

- Capacità di singolarizzare<br />

e di attribuire significati a<br />

quella storia<br />

- Capacità di vedere gli eventi<br />

positivi, le abilità, le competenze<br />

3<br />

- Apprendimento<br />

- Abilità di affrontamento dei<br />

problemi, della crisi<br />

Modificazione<br />

del rapporto<br />

famiglie/Servizio<br />

- Modificazione della domanda<br />

- Riduzione del carico sul<br />

Servizio<br />

- Diminuzione dell’allarme<br />

- Diminuzione delle ricadute<br />

4<br />

- Partecipazione / presenza<br />

delle famiglie<br />

Modificazione<br />

dell’operatività<br />

del servizio<br />

- Ricerca costante di nuove<br />

modalità di intervento<br />

- Riduzione di spazi manipolatori<br />

- Aumento della trasparenza<br />

- Impossibilità di neutralizzare<br />

i problemi e le istanze dei<br />

familiari<br />

B O O K S E I 75


7 6 B O O K S E I


Prossimamente<br />

dal DSM<br />

La redazione<br />

Anche nei nostri prossimi interventi vorremmo riprodurre questo schema:<br />

alcune riflessioni sul versante teorico o della rielaborazione concettuale,<br />

come approfondimento culturale di alcune nostre pratiche e la proposta<br />

di ricerche che evidenzino modalità di lavoro, analizzino la qualità dei servizi,<br />

verifichino le scelte operative compiute. L’idea guida resta quella di<br />

attingere primariamente alle iniziative spontanee degli operatori del DSM,<br />

al loro sforzo, che spesso si concretizza in tempo e lavoro fuori orario, di<br />

rispondere a quesiti operativi, di aggregarsi attorno a curiosità comuni e<br />

non solo istituzionalmente commissionate.<br />

Il tema attorno a cui vogliamo dedicarci in futuro riguarda uno dei progetti più significativi sia per l’Azienda<br />

Sanitaria sia per il DSM: ci occuperemo di Accreditamento e di Valutazione di qualità dei servizi.<br />

Il DSM, in particolare, è coinvolto a livello nazionale nel progetto accreditamento d’eccellenza<br />

tra pari e, in tale logica ha istituito un Circolo di Qualità per ogni unità operativa, coinvolgendo in tal<br />

modo tutti gli operatori e le strutture in un oggettivo ed effettivo programma di miglioramento dei<br />

servizi.<br />

Alcune iniziative specifiche riguardano il miglioramento dell’accessibilità ai servizi, della qualità ed<br />

appropriatezza delle prestazioni e del clima all’interno dell’equipe, valutazione e controllo della<br />

domanda e della risposta attraverso l’identificazione di protocolli o percorsi guidati (uso dei farmaci,<br />

registrazione e rilevazione dei dati, cartelle cliniche, protocolli di intervento in collaborazione con altre<br />

strutture), Numerose iniziative nascono quindi da questi obiettivi per cui sarà interessante proporne<br />

alcune come esperienza di lavoro, sintesi di risultati, progetti futuri.<br />

B O O K S E I 77


È consentita la riproduzione e la traduzione,<br />

sia integrale che in riassunto, di articoli<br />

e di notizie soltanto a condizione<br />

che ne sia citata la fonte e per fini<br />

di sanità pubblica e non a scopo di lucro.<br />

Finito di stampare in novembre 1998<br />

500 copie


➋<br />

AZIENDA PER I SERVIZI SANITARI N.6 FRIULI OCCIDENTALI<br />

B O O K S E I

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