Vent'anni dalla 180 - Friuli Occidentale
Vent'anni dalla 180 - Friuli Occidentale
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➋<br />
B O O K S E I<br />
AZIENDA PER I SERVIZI SANITARI N.6<br />
FRIULI OCCIDENTALE<br />
Vent’anni<br />
<strong>dalla</strong> <strong>180</strong><br />
L’esperienza del DSM<br />
di Pordenone<br />
➋<br />
B O O K S E I<br />
Intervista a<br />
Lucio Schittar<br />
AZIENDA PER I SERVIZI SANITARI N.6 FRIULI OCCIDENTALI<br />
Il lavoro con<br />
le famiglie<br />
Il ricovero<br />
psichiatrico<br />
del doporiforma<br />
I nodi del<br />
doporiforma<br />
Attività<br />
dei servizi<br />
psichiatrici<br />
del Distretto<br />
Nord<br />
La domanda di<br />
salute mentale<br />
in ospedale<br />
Complessità<br />
e integrazione:<br />
parole vuote<br />
o percorsi<br />
possibili<br />
2
BookSei 2<br />
Collana di Quaderni Scientifici<br />
dell’Azienda per i Servizi Sanitari n. 6<br />
<strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong><br />
Direttore Generale<br />
Ing. Giulio De Antoni<br />
Direttore Sanitario<br />
Dr. Marco Castelletto<br />
Direttore Amministrativo<br />
Dr. Renato Andreazza<br />
Comitato Editoriale<br />
(responsabile)<br />
Marco Castelletto<br />
Lucio Bomben<br />
Angelo Cassin<br />
Roberto Celotto<br />
Maddalena Coletti<br />
Giulio Camillo De Gregorio<br />
Andrea Flego<br />
Mario Fogolin<br />
Anna Furlan<br />
Ferruccio Giaccherini<br />
Salvatore Guarneri<br />
Flavia Munari<br />
Gianni Vicario<br />
Coordinamento Editoriale<br />
Anna Maria Falcetta<br />
Luca Sbrogiò<br />
Progetto Grafico<br />
Omar Cescut<br />
Patrizio A. De Mattio<br />
Stampa<br />
Tipografia Sartor<br />
Pordenone<br />
© Copyright<br />
Azienda per i Servizi Sanitari n. 6<br />
<strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong><br />
Booksei 2<br />
Vent’anni <strong>dalla</strong> <strong>180</strong><br />
L’esperienza del DSM di Pordenone<br />
ISBN 88 - 900235 - 2 - X
AZIENDA PER I SERVIZI SANITARI N.6<br />
FRIULI OCCIDENTALE<br />
Vent’anni <strong>dalla</strong> <strong>180</strong><br />
L’esperienza<br />
del DSM di Pordenone<br />
➋<br />
B O O K S E I
Presentazione<br />
Booksei n.2<br />
Seconda monografia<br />
della collana<br />
scientifica aziendale<br />
ing. Giulio De Antoni<br />
Direttore Generale<br />
ASS n. 6<br />
<strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong><br />
“Booksei”, la collana scientifica aziendale, è arrivata al secondo numero. La<br />
prima monografia, curata dal Dipartimento per le Dipendenze dell’Azienda,<br />
ha affrontato il problema del craving (“Craving: il desiderio incontrollabile”,<br />
Pordenone, aprile 1998). Questa seconda pubblicazione, curata dagli<br />
operatori del Dipartimento di Salute Mentale, intende ora far il punto su un<br />
argomento di particolare attualità: l’assistenza sanitaria territoriale al malato<br />
mentale nel pordenonese a vent’anni <strong>dalla</strong> legge <strong>180</strong>.<br />
Si tratta evidentemente di uno tra gli aspetti più controversi del grande<br />
mutamento in atto nel campo assistenziale. La de-istituzionalizzazione del malato psichiatrico, messa in<br />
atto <strong>dalla</strong> citata legge, ha segnato un punto irrinunciabile di crescita del mondo della sanità in particolare<br />
e della società nel suo complesso. Nello stesso tempo non possono essere misconosciuti i problemi<br />
organizzativi, assistenziali e di tipo familiare che ne sono derivati. Questa monografia si inserisce nella<br />
riflessione in atto con tutto il peso del grande lavoro svolto in questi anni dagli operatori del<br />
Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda per i Servizi Sanitari n. 6.<br />
Nei prossimi mesi la collana si arricchirà di altre pubblicazioni, attualmente in via di completamento, a partire<br />
da quelle curate dal Dipartimento di Neuro-Psichiatria Infantile e dal Dipartimento di Prevenzione.<br />
Si precisano così, in modo via via più chiaro, gli obiettivi e la fisionomia di questa iniziativa editoriale:<br />
raccogliere le esperienze più significative maturate nell’ambito aziendale evitando il rischio di una loro<br />
perdita; far conoscere il loro valore agli altri Servizi della stessa Azienda ed agli omologhi Servizi regionali<br />
e nazionali.<br />
Ci auguriamo dunque che a questo numero, frutto dell’impegno degli operatori del Dipartimento di<br />
Salute Mentale, seguano, con la stessa profondità e la stessa completezza dimostrate, ulteriori preziose<br />
monografie.<br />
B O O K S E I 5
Vent’anni <strong>dalla</strong> <strong>180</strong><br />
L’esperienza del DSM di Pordenone<br />
Comitato di Redazione<br />
Responsabile Angelo Cassin<br />
Augusto Casasola, Pietro Colussi, Sandra<br />
Conte, Bruno Forti, Giuseppe Geppini,<br />
Margherita Gobbi, Matteo Impagnatiello,<br />
Amalia Manzan, Alfredo Sigismondi,<br />
Fulvio Tesolin.<br />
Dipartimento Salute Mentale<br />
Azienda per i Servizi Sanitari n. 6<br />
<strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong><br />
Via Interna 5/A, 33170 Pordenone<br />
Tel. 0434 550817 - 550474 - 550199<br />
Fax 0434 550205<br />
2
8 B O O K S E I
Sommario<br />
Vent’anni <strong>dalla</strong> <strong>180</strong> 11<br />
L’esperienza del DSM di Pordenone<br />
I nodi del dopo riforma 15<br />
L’azione dell’operatore psichiatrico nel turbolento processo di cambiamento<br />
a cura di Angelo Cassin<br />
Intervista a Lucio Schittar 23<br />
Presente, passato e futuro della psichiatria nelle parole di un protagonista del cambiamento<br />
di Matteo Impagnatiello e Piero Colussi<br />
Complessità e integrazione: parole vuote o percorsi possibili 29<br />
Teoria e pratica vent’anni dopo la riforma psichiatrica.<br />
di Bruno Forti<br />
Attività dei servizi psichiatrici del Distretto Nord 37<br />
1° gennaio 1977 - 31 dicembre 1996<br />
di Giuseppe Geppini<br />
Il ricovero psichiatrico nel doporiforma 51<br />
Modifica delle domande e delle risposte fra bisogni di cura e controllo sociale<br />
di Alfredo Sigismonti, Bruno Forti, Giovanni Gaiatto, Amalia Manzan<br />
La domanda di salute mentale in ospedale 59<br />
Elementi per un sistema valutativo del DSM<br />
di Augusto Casasola e Fulvio Tesolin<br />
Il lavoro con le famiglie 70<br />
L’importanza del clima emotivo familiare<br />
di Danila Bortolussi, Fausto Della Bianca, Giovanni Michele Fontana<br />
Rubriche<br />
Prossimamente dal DSM 77<br />
La redazione<br />
B O O K S E I 9
1 0 B O O K S E I
Editoriale<br />
Vent’anni <strong>dalla</strong> <strong>180</strong><br />
L’esperienza<br />
del DSM di Pordenone<br />
La redazione<br />
La monografia “Vent’anni <strong>dalla</strong> <strong>180</strong>. L’esperienza del DSM di Pordenone”<br />
rappresenta per gli operatori del Dipartimeno di Salute Mentale<br />
di Pordenone un ottimo terreno di confronto tra loro, con altri colleghi,<br />
con l’Amministrazione. Questo primo numero, in particolare,<br />
fornisce l’occasione per approfondire un tema del quale si dibatte da<br />
tempo e che si articola su vari aspetti del lavoro quotidiano, un evento<br />
troppo importante per essere ignorato: il ventennale dell’entrata in<br />
vigore della legge <strong>180</strong>. Le leggi di cui vengono, per così dire, “celebrati<br />
gli anniversari” sono poche e sono quelle che hanno segnato una svolta<br />
nella storia e nella cultura di un paese. Sicuramente la <strong>180</strong> è fra queste: è una di quelle leggi<br />
con alto potenziale di trasformazione e che presenta ancora molti aspetti non realizzati; essendo<br />
una legge quadro ha visto numerose interpretazioni ed applicazioni locali spesso molto diverse<br />
da zona a zona del paese. Pazienti, operatori, familiari e politici ritengono che ci sarebbero molti<br />
aspetti da ridefinire e propongono ipotesi spesso diametralmente opposte tra loro.<br />
In questi 20 anni il DSM di Pordenone ha seguito la strada della applicazione delle norme contenute<br />
nella <strong>180</strong>, in prima fila, insieme a pochi altri Centri in Italia, esprimendo un gran numero<br />
di idee e progetti, realizzando iniziative significative attraverso la costruzione di paradigmi operativi<br />
originali e la valorizzazione della cultura locale.<br />
Vorremmo segnalare, all’interno della attuale organizzazione, alcuni progetti che maggiormente<br />
sono collegati con le indicazioni della riforma psichiatrica e che caratterizzano particolarmente<br />
l’attività del DSM. Questi nuclei di attività nascono attorno all’idea fondamentale di porre l’utente,<br />
la persona, al centro del modello operativo. I bisogni, le domande e le risorse del territorio<br />
che risultano essere il riferimento ideologico per la pratica dei nostri Servizi, riguardano nella<br />
pratica quotidiana:<br />
La centralità del lavoro: come risorsa importante per il paziente. Il DSM è stato protagonista in<br />
B O O K S E I 11
Editoriale<br />
tutti questi anni nella creazione e nello sviluppo di due significative cooperative Sociali: la Noncello<br />
e il Seme. Si è consolidata la pratica dell’inserimento lavorativo attraverso interventi diversificati:<br />
corsi di formazione, stesura di protocolli e schede per l’inserimento lavorativo, analisi di<br />
esito, collaborando anche con altre realtà occupazionali presenti nel territorio per favorire l’integrazione<br />
sociale dell’utenza.<br />
La formazione degli operatori è stata sempre all’attenzione del DSM come strumento importante<br />
di lavoro. Negli anni, in collaborazione con il Centro Studi e Ricerche sulla Salute Mentale<br />
della regione FVG, ha attivato la Scuola quadriennale di Psicoterapia e Riabilitazione, una serie<br />
ricca di programmi formativi rivolti alle equipes, di interventi specifici per ruoli e competenze.<br />
Una particolare attenzione viene rivolta alla formazione degli infermieri di nuovo accesso. Da<br />
anni il DSM promuove iniziative formative/informative rivolte alla cittadinanza ed in particolare<br />
ai familiari. Attualmente sono in corso tre programmi formativi rivolti ai familiari, ai volontari e<br />
agli attivatori di gruppi di auto-mutuo-aiuto.<br />
L’attività riabilitativa per la quale il DSM ha mantenuto negli anni la capacità di svilupparsi riuscendo<br />
spesso ad incontrare le reali necessità dei pazienti ed articolando tali attività nei luoghi di<br />
vita e non solo in spazi istituzionali (Centri diurni, strutture riabilitative, gruppi appartamento,<br />
centri sociali, ecc, ). Molte sono state le occasioni riabilitative, nel senso della riconquista di spazi<br />
di partecipazione alla vita sociale e numerosi interventi di socializzazione esterni ai Servizi.<br />
La partecipazione al progetto nazionale di accreditamento tra pari e qualità dei Servizi vede<br />
coinvolte tutte le Unità operative territoriali del Dipartimento con una serie di procedure atte al<br />
miglioramento della qualità delle prestazioni, alla costruzione di indicatori e alla identificazione<br />
delle procedure di provata efficacia. Sono stati avviati numerosi Circoli di Qualità che lavorano<br />
in stretta connessione con il progetto di accreditamento del DSM.<br />
Progetti di approfondimento specifico come l’Osservatorio delle condotte suicidarie e quello sul<br />
disagio giovanile, il Gruppo di lavoro per l’integrazione con la medicina di base e di liaison, per<br />
la razionalizzazione dei sistemi informativi.<br />
Programmi terapeutici rivolti a settori specifici ed emergenti di richieste dell’utenza, con elevato<br />
impegno ambulatoriale, come il Centro per i Disturbi Alimentari (CDA), i Gruppi di Automutuo-aiuto,<br />
Gruppi di terapia per pazienti con Disturbo da Attacchi di Panico (DAP), con<br />
patologia psicosomatica e depressiva.<br />
L’attività di rete, cioè una attività che attraverso l’integrazione e il coinvolgimento dei medici di<br />
base, dell’assistenza sociale di base, dell’Ospedale Civile, del volontariato e delle le risorse sociali<br />
disponibili mira, ad affrontare in modo complessivo i problemi del paziente.<br />
L’attività volta alla deistituzionalizzazione dei pazienti lungodegenti del’ex-Ospedale<br />
Psichiatrico Provinciale, nel 1997 sono state dimesse 19 persone, ma anche l’attenzione a limitare<br />
il crearsi di una nuova lungodegenza.<br />
L’attivita quotidiana e di “base” che è il fondamentale impegno del lavoro sulla salute mentale e<br />
che rischia di passare in secondo ordine nell’attenzione e nelle evidenze, quasi come una routine<br />
o un abitudine. Nel 1997 sono state garantite, attraverso l’attività dei 5 CSM, delle strutture riabilitative<br />
e di ricovero, assistenza e cura per 3165 utenti con un incremento del 22% rispetto al<br />
1996, pari al 1,10% della popolazione generale. Sono stati effetuati 154.503 interventi: visite specialistiche,<br />
attività di assistenza e cura della persona, colloqui individuali e familiari, interventi<br />
psicoterapeutici, azioni di prevenzione, ecc.. I due Centri 24 ore hanno ospitato 47 utenti e le<br />
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Editoriale<br />
strutture semiresidenziali 198. I ricoveri presso il Servizio Ospedaliero Psichiatrico di Diagnosi e<br />
Cura (SOPDC) sono stati 231 con una degenza media di 18 giorni.<br />
Tutte queste attività e progetti, per gli operatori di Pordenone, non rappresentano solo l’anonimo<br />
esito di un impegno lavorativo ma il frutto di una storia, del lavoro di persone reali che hanno<br />
lasciato il segno attraverso quanto hanno fatto e pensato, segno a volte leggero, a volte impronta<br />
indelebile e drammatica. Abbiamo voluto raccogliere attraverso l’intervista al dr. Schittar, che nel<br />
1972 avviò i Servizi di Salute Mentale a Pordenone e li diresse fino al 1981, una testimonianza<br />
diretta e significativa del lavoro e delle idee della psichiatria della riforma e del contributo che in<br />
particolare l’esperienza pordenonese ha dato fin dall’inizio.<br />
Essendo difficile scegliere quali aspetti privilegiare per raccontare in poche pagine il lavoro che<br />
stiamo svolgendo abbiamo compiuto una scelta particolare e sicuramente parziale: quella di focalizzare<br />
alcuni momenti dell’operatività come istantanea dello stato attuale del DSM di<br />
Pordenone, come evidenza del lavoro e dei cambiamenti avvenuti in questi anni, come sottolineatura<br />
di inadeguatezze e necessità non soddisfatte. Vorrebbe rappresentare lo sforzo di valutare,<br />
al di fuori di un ideologico preconcetto di valore positivo, il lavoro e il cambiamento partendo<br />
“<strong>dalla</strong> base”, dagli aspetti del quotidiano come i ricoveri, i rapporti con le famiglie, l’attività<br />
territoriale, le modificazioni legate all’aziendalizzazione, le linee guida dell’operatività. Questa<br />
collana ci offre la possibilità di raccogliere alcune ricerche che come operatori avevamo sviluppato<br />
in piccoli gruppi, spinti <strong>dalla</strong> necessità di verificare alcuni aspetti delle nostre pratiche e raccogliendo<br />
esperienze condivise di diverse figure professionali, non solo mediche. Abbiamo inoltre<br />
la possibilità di concretizzare un confronto tra i dati concernenti la nostra attività con quelli<br />
provenienti da altre esperienze e di dare solidità alla valutazione della capacità di tutto il DSM di<br />
Pordenone di esprimere un buon livello di operatività. A conferma di ciò stanno alcuni indici<br />
emersi dagli studi qui pubblicati, come il basso numero di ricoveri psichiatrici volontari e soprattutto<br />
obbligatori, in riferimento alla media nazionale, la pratica, quasi sconosciuta altrove di ricoveri<br />
per motivi psichici in reparti non psichiatrici, attraverso il coinvolgimento di altre strutture<br />
sanitarie, evitando così la ghettizzazione del paziente in luoghi separati e la creazione di luoghi non<br />
frequentabili. La quantificazione dell’attività territoriale svolta in 20 anni, seppure relativa ad una<br />
porzione di territorio, per esempio, il Distretto Nord, offre spunti interessanti perchè conferma<br />
il trend positivo nell’attività rispetto alle analisi del CENSIS, che indicano come l’operatività e le<br />
strutture del <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia siano complessivamente all’avanguardia e perchè ci permette di<br />
evidenziare, anche all’interno della regione stessa, degli elementi distintivi e peculiari.<br />
Gli interventi che abbiamo scelto per questo primo numero esprimono inoltre un aspetto<br />
fondamentale della visione e dell’impostazione teorica del fare psichiatria: cioè il tentativo di<br />
mantenersi legati alle persone e ai fatti senza ridurre questo e la pratica dentro rigidi modelli concettuali.<br />
Forse il timore di istituzionalizzare la pratica territoriale e di svuotarla così dal profondo<br />
significato della riforma, nata attorno al nucleo della critica istituzionale, hanno inibito quegli<br />
aspetti riguardanti la oggettivazione del “fare” come può essere una produzione scritta. Non<br />
sono state molte in questi anni le produzioni di tipo più strettamente scientifico se confrontate<br />
con la quantità e la qualità del lavoro svolto, della capacità innovativa espressa, delle sperimentazioni<br />
e delle realizzazioni. Abbiamo scelto un modo per comunicare e descrivere il nostro lavoro<br />
e le nostre riflessioni in maniera da non definire l’operatività in un modello non dialettico che<br />
rischierebbe di essere al servizio della propria autoriproduzione ed autogiustificazione, ma di<br />
descrivere uno spazio con ampie zone in cambiamento, come il modificarsi della domanda da<br />
parte dell’utenza e delle risposte dei servizi pubblici. Questa modalità può rappresentare la riconquista<br />
di un ambito per la riflessione sui modelli teorici, la clinica, gli approcci alla persona, e alla<br />
società ed agli aspetti istituzionali del fare in psichiatria. Questa attenzione a non permettere alle<br />
”parole” e cioè ai modelli teorici di assumere il ruolo di realtà è fondamentale per salvaguardare<br />
il vero centro del nostro lavoro che è il paziente con i suoi problemi, la sua sofferenza, la sua<br />
malattia ma prima di tutto soggetto ed individuo sociale.<br />
B O O K S E I 13
1 4 B O O K S E I
I nodi<br />
del dopo<br />
riforma<br />
I nodi<br />
del dopo<br />
riforma<br />
L’azione dell’operatore psichiatrico<br />
nel turbolento processo di cambiamento<br />
di<br />
Angelo Cassin<br />
Vorrei soffermarmi sul termine di “cambiamento”, che più di altri rappresenta<br />
il processo di tumultuosa trasformazione che, dal superamento<br />
della logica manicomiale e <strong>dalla</strong> fondazione dell’assistenza psichiatrica<br />
territoriale sancito <strong>dalla</strong> legge di riforma, ha visto il definitivo<br />
posizionamento della “salute mentale” tra le articolazioni delle<br />
“aziende per i servizi sanitari”, entro i dispositivi organizzativi dei<br />
dipartimenti e delle articolazioni dell’assistenza territoriale di tipo<br />
distrettuale.<br />
Il manicomio ha rappresentato per oltre un secolo l’antitesi del cambiamento,<br />
il luogo della stasi, anzi dell’ipòstasi, di scarti umani, dopo la sua ottocentesca fondazione<br />
quale strumento del “progresso” dell’assistenza sanitaria ad un problema sociale quale la<br />
follia ha da sempre innanzi tutto rappresentato. Con esso era nata la psichiatria, sulla entusiastica<br />
spinta dei lumi positivistici del nascente sviluppo scientifico e soprattutto sul contributo al<br />
“buon governo” di uno stato moderno da essa sempre consapevolmente offerto, attraverso il suo<br />
paradigmatico costituirsi nella commistione di strumento di assistenza e di salvaguardia dell’ordine<br />
pubblico.<br />
I vent’anni di pratica psichiatrica secondo i principi del dopo riforma sono stati caratterizzati da<br />
un tumultuoso processo di cambiamento, spesso caotico, ma ricco degli elementi creativi, della<br />
motivazione e dell’entusiasmo che accompagnano ogni pratica di liberazione e di fondazione del<br />
nuovo. Cercherò di mettere a fuoco alcuni nodi significativi di questo processo, rammentando<br />
che il topos del “nodo” ben si collega a quello di “rete”, metafora pertinente della nuova assistenza<br />
psichiatrica territoriale.<br />
Angelo Cassin Responsabile DSM dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> - Pordenone<br />
B O O K S E I 15
I nodi<br />
del dopo<br />
riforma<br />
Istituzione<br />
Parafrasando Sartre, Franco Basaglia ci ha insegnato che le ideologie e le istituzioni “sono libertà<br />
mentre si fanno, prigioni quando fatte”: in questa semplice espressione sta racchiusa la contraddizione<br />
connaturata all’esigenza istitutiva di ogni pratica orientata ad organizzare e definire la<br />
complessità di un bisogno, e alla deriva cui soggiace ogni organismo istituito, quando tende ad<br />
avvitarsi attorno alla “logica istituzionale”, quella del prevalere sui fini espliciti dell’istituzione (la<br />
sua “mission”), dei fini impliciti della propria sopravvivenza.<br />
“Deistituzionalizzazione” non ha significato solo smontare la “Istituzione Totale” rappresentata<br />
dal manicomio, evidenziarne la mistificazione, e liberare i soggetti in esso ancora reclusi, ma fare<br />
della lotta alla “logica istituzionale” un principio di approccio critico alla fondazione delle nuove<br />
istituzione psichiatriche, affinchè in esse possa prevalere la funzione di essere strumento di cura<br />
e di libertà, e allo stesso tempo di stimolo alle responsabilità del contesto sociale di riferimento,<br />
sempre sedotto da una psichiatria che si pone come soluzione totale al problema complesso rappresentato<br />
dalle “malattie mentali”.<br />
Anche la nostra mente, come ci ha ricordato Ochmann, può funzionare come istituzione, e far<br />
prevalere sull’emergere della soggettività dell’altro, il nostro bisogno di governo, la nostra ideologia,<br />
l’esigenza di conferma del nostro ideale salvifico, o emancipativo.<br />
Il concetto d’istituzione oggi si è allargato a coglierne la funzione di garante della dimensione<br />
gruppale dell’organizzazione curante, a partire <strong>dalla</strong> sua vita effettiva (“il campo istituzionale”,<br />
Correale; “l’istituzione tra inerzia e cambiamento”, Vigorelli).<br />
La critica all’istituzione ha dato l’avvio a quell’“esercizio critico” (rubando il titolo di una recente<br />
opera di Jervis sulla psicoanalisi) che caratterizza oggi le pratiche terapeutiche e all’approccio<br />
valutativo che permette di evitare i pericoli, sempre immanenti quando si costruisce il nuovo, di<br />
scadere nella ripetitività o di restare ancorati a modelli storicamente fondati, ma che devono<br />
sapersi modificare al modificarsi dei contesti.<br />
Una eco di quanto qui espresso si trova nei percorsi di miglioramento della qualità dei servizi,<br />
che hanno identificato nella esplicitazione della propria finalità pratica un prerequisito indispensabile.<br />
Alla rigidità dell’istituzione totale fanno poi da contrappunto sia la flessibilità organizzativa dei<br />
nuovi servizi, sia la loro capacità di adattarsi alle modifiche della domanda, sia soprattutto la maggiore<br />
contrattualità dei soggetti che ad essi si rivolgono, giustamente definiti oggi clienti piuttosto<br />
che utenti, e una maggior sensibilità rappresentata dallo sviluppo di principi etici (es. consenso<br />
informato), dei punti di ascolto (URP), dall’associazionismo e dallo sviluppo dei gruppi di<br />
autoaiuto.<br />
Certamente lo smantellamento dell’istituzione manicomiale, una istituzione forte per fronteggiare<br />
il problema forte della follia, non può in alcun modo perdere di vista il fatto che un modello<br />
istituzionale territorializzato, flessibile e reticolare comporta non un indebolimento, ma semmai<br />
un rafforzamento delle risorse investite: purtroppo spesso superare il manicomio ha significato<br />
soprattutto spendere meno, e non solo spendere meglio.<br />
Un rinnovamento istituzionale che non sia in grado di rispondere in modo completo, sia culturalmente<br />
sia innanzitutto in termini di risorse, al “bisogno psichiatrico prolungato”, costituirebbe<br />
il fallimento della riforma.<br />
Deistituzionalizzare significa infine guardare oltre i confini del servizio, aprire un dialogo e<br />
una operatività comune con la città, ma anche costruire nuove forme di scambio, nuove<br />
opportunità di vita sociale, come si è realizzato qui a Pordenone con lo sviluppo dell’imprenditorialità<br />
sociale.<br />
Fattore Umano<br />
In un approccio che non è più nè meramente custodialistico, nè meramente assistenzialistico, la<br />
1 6 B O O K S E I
I nodi<br />
del dopo<br />
riforma<br />
relazione interpersonale ha assunto un valore caratterizzante più di altri il lavoro in psichiatria.<br />
La relazione con il paziente, con i suoi peculiari problemi, con il contesto familiare e sociale,<br />
mette pesantemente in gioco l’operatore dei servizi psichiatrici come persona, prima ancora che<br />
come professionista, in modo decisamente maggiore che per qualsiasi altro servizio sanitario,<br />
paragonabile forse solo a quello dei servizi di rianimazione o per pazienti oncologici o affetti da<br />
gravi menomazioni.<br />
Il coinvolgimento emotivo messo in movimento <strong>dalla</strong> relazione tende ad accumularsi un po’<br />
come il carico di radiazioni per gli operatori dei servizi radiologici, senza poter fare riferimento<br />
ai rilevatori di cui questi ultimi sono dotati, nè al numero di giornate aggiuntive di riposo di<br />
cui godono.<br />
I movimenti identificativi e controidentificativi, proiettivi e controproiettivi, costituiscono<br />
modelli di comprensione del complesso movimento affettivo implicato nella relazione con il<br />
paziente psichiatrico, richiedono una specifica capacità nell’operatore e necessitano di uno specifico<br />
“modo di lavorare”.<br />
È all’interno di una dimensione relazionale che si declina l’approccio clinico in psichiatria:<br />
osservazione partecipe, immedesimazione e introspezione empatica, dialettica transferale-controtransferale,<br />
sono solo alcuni dei termini maggiormente evocativi di specifici campi operativi<br />
e culturali.<br />
Allo stesso tempo è peculiare della psichiatria l’importanza del dato motivazionale, esplicito e<br />
latente, nel lavoro con il paziente grave: senza motivazione si può sopravvivere in molti ambienti<br />
di lavoro, ma non in psichiatria, dove la curiosità di avvicinare l’altro, il piacere di aiutare, di<br />
mettersi in relazione, la capacità di attendere e di accogliere, la tolleranza alla frustrazione, costituiscono<br />
elementi indispensabili al lavoro, che altrimenti diventa impossibile o infernale.<br />
Il clima caratterizzato da forti spinte motivazionali, prevalentemente sul piano dell’impegno<br />
sociale e politico, che ha accomunato chi si è avvicinato a questo lavoro negli anni attorno alla<br />
riforma, si coglie meno nei nuovi operatori, per il cambiamento di contesto e dei valori di riferimento.<br />
La motivazione resta comunque un elemento che se non costituisce il motore di una scelta<br />
iniziale, deve almeno potersi sviluppare in una capacità operativa, con un particolare lavoro<br />
critico e formativo, dal momento che la spinta motivazionale e l’impegno possono tradursi in<br />
senso di delusione sino al vero e proprio “burn-out”, se il tasso di frustrazione delle proprie attese<br />
risulta eccessivo, e se non viene riconosciuto e valorizzato l’elemento dell’impegno personale<br />
nell’organizzazione del lavoro.<br />
Il rischio dei processi di trasformazione indotti <strong>dalla</strong> aziendalizzazione, dall’enfasi posta agli<br />
aspetti organizzativi del lavoro, a quelli produttivi secondo i principi dell’efficacia ed efficienza,<br />
è quello di mortificare pericolosamente l’immenso valore rappresentato dal patrimonio motivazionale,<br />
dall’impegno personale nei termini di capacità affettive, di messa in gioco e coinvolgimento<br />
che sono presenti silenziosamente in molti operatori, in modo “invisibile” per le griglie<br />
“valutative”.<br />
Quale manager o responsabile a qualsiasi livello sarebbe così sconsiderato da disperdere un patrimonio<br />
che è l’unico in grado di fornire qualità vera e “valore aggiunto” ad un lavoro che si enfatizza<br />
come necessariamente valorizzante la persona del paziente<br />
Quali sono gli strumenti di una valorizzazione del “fattore umano” come qui ho cercato sommariamente<br />
di delineare Innanzi tutto il lavoro in èquipe e la formazione.<br />
L’équipe<br />
Lavorare in équipe è sin dall’inizio risultato l’unico antidoto pratico alla trasformazione dell’elemento<br />
relazionale in un fattore nocivo per il singolo operatore ed in ultima analisi per il paziente.<br />
L’équipe rappresenta l’elemento conoscitivo (“molti occhi vedono meglio di due”) in grado di<br />
creare una immagine del paziente più ricca e complessa, permettendo una sintesi di punti di vista<br />
B O O K S E I 17
I nodi<br />
del dopo<br />
riforma<br />
e professionalità diverse, capace di fondare una operatività il meno possibile parcellizzata, il più<br />
vicina possibile alla realtà, alla soggettività del paziente.<br />
Come ogni dimensione gruppale, l’équipe è animata da una vita affettiva propria, capace di<br />
animare e “nutrire” i singoli componenti, o di esporli al malessere di un suo “cattivo” funzionamento.<br />
Nel lavoro con il paziente psicotico, l’équipe è risultata lo strumento indispensabile, sin dalle<br />
prime osservazioni di Woodbury: punto di accoglimento, riconoscimento e di aggregazione delle<br />
spinte disgregative indotte dagli elementi proiettivi dei pazienti gravi, l’équipe è in grado di restituire<br />
al paziente una immagine integrata di sè, metabolizzarne la distruttività senza controagire<br />
con la violenza che ha spesso caratterizzato il fare psichiatrico.<br />
Per esercitare la sua funzione l’équipe deve godere di una stabilità nel tempo e nello spazio dell’operatività<br />
che oggi è fortemente messa in crisi dalle caratteristiche del lavoro per obiettivi e<br />
<strong>dalla</strong> dipartimentalizzazione dei servizi, che portano ad aggregare gli operatori di diverse èquipe<br />
in gruppi centrati su compiti specifici, sempre diversi e trasversali.<br />
L’identità che l’appartenenza ad una équipe spesso garantiva al singolo operatore ora è costretta<br />
ad alimentarsi di aspetti più complessi. più frammentati e precari: ne è prova un disagio diffuso<br />
quanto poco articolato presente negli operatori, in modo inversamente proporzionale alla forza<br />
della figura professionale di appartenenza.<br />
L’organizzazione aziendale sta introducendo inoltre forme di coordinamento delle singole professionalità,<br />
al fine di una valorizzazione delle stesse, di favorire l’integrazione dei servizi e l’introduzione<br />
di possibilità di compensare, attraverso la flessibilità e l’intercambiabilità dei componenti<br />
una stessa figura professionale, eventuali necessità operative o carenze di organico di strutture<br />
di appartenenza diverse.<br />
Se questi principi rispondono alle esigenze di integrazione ed ottimizzazione delle risorse in chiave<br />
strettamente economica, certamente contribuiscono a mettere in crisi lo strumento dell’équipe,<br />
il cui effetto fondamentale nella qualità operativa dovrebbe essere valutato anche nelle sue<br />
ricadute economiche; d’altra parte ci costringono a ricercare nuovi aspetti dell’organizzazione del<br />
lavoro tali da declinare in modo differenziato il principio irrinunciabile della gruppalità.<br />
La formazione - Le tecniche<br />
L’altro fattore di valorizzazione della risorsa umana nei servizi sanitari è la formazione. Tanto<br />
maggiore è la componente umana , il fattore relazionale e motivazionale dell’azione sanitaria,<br />
tanto maggiore è la necessità di una formazione permanente: se infatti una tecnica si può acquisire<br />
una volta per tutte, e sono sufficienti periodici aggiornamenti, un modo di operare che metta<br />
prioritariamente in gioco la persona stessa dell’operatore necessita di una “forma mentis”, di un<br />
qualcosa di più personale e profondo dell’acquisizione di una tecnica: di un “saper fare”, o<br />
meglio di un “atteggiamento” che è frutto di un operare critico che privilegia il continuo confronto<br />
e lo scambio, arricchito da stimoli provenienti da saperi diversi, che solo nella pratica possono<br />
trovare legittimazione ed integrazione: ecco perchè in psichiatria è necessario lavorare in<br />
gruppo, e viene garantito un così cospicuo spazio alle “riunioni di équipe”, e allo stesso tempo è<br />
necessario garantire un continuo spazio formativo.<br />
Nessun campo del sapere si costituisce in modo così ibrido e complesso come quello cui fa riferimento<br />
l’ambito psichiatrico, così al confine tra medicina, scienze sociali e psicologia: nella sua<br />
fondazione antropologica, la psichiatria contempla una specifica dimensione clinica, dove gli<br />
aspetti del modello medico di base sono sovrastati <strong>dalla</strong> determinazione sociale e culturale sia<br />
delle sindromi, del linguaggio usato dal paziente per parlare al medico; sia dal modo di osservare<br />
che, essendo per definizione “partecipe”, fonda l’osservazione nella relazione, sia infine nelle<br />
“pratiche”, così enfatizzate dall’opera di Franco Basaglia, che sono il senso ultimo di come ogni<br />
sapere si rapporta alla realtà assistenziale, come copertura di logiche segregatrici o come stru-<br />
1 8 B O O K S E I
I nodi<br />
del dopo<br />
riforma<br />
mento di emancipazione: <strong>dalla</strong> critica ai saperi si è giunti ad un sapere sulle pratiche, come<br />
punto di partenza per la costruzione-decostruzione di ogni strumento tecnico, e in ultima analisi<br />
di ogni teoria.<br />
La giusta enfasi posta all’azione pratica del fare psichiatria spesso è scaduta in una assolutizzazione<br />
dell’agire, rispetto alla riflessione e alla conoscenza, che presuppongono una teoria di riferimento,<br />
un “apparato per pensare”; spesso si è creata una vera e propria opposizione a tutto ciò<br />
che poteva sembrare astrazione teorica, lasciando l’agire in balìa dell’assistenzialismo, della ripetitività<br />
di agiti autoreferenziali, più difensivi o “a corto circuito”, che dotati di una vera capacità<br />
trasformativa.<br />
“Fare e pensare”, utilizzando il titolo di un noto volume curato da De Martis, sono i poli imprescindibili<br />
di ogni operatività psichiatrica: un “fare” capace di allargare l’ambito del “comprendere”,<br />
un agire che sia consapevolemente caricato del significato comunicativo (Racamier parlava<br />
a buona ragione di “azioni parlanti”), presuppongono apparati concettuali di riferimento<br />
che devono essere conosciuti criticamente, resi provvisori nel continuo confronto con l’esperienza<br />
e il lavoro di contestualizzazione, attraverso una formazione attiva.<br />
A distanza di anni l’atteggiamento rissoso tra scuole o indirizzi di pensiero, la sospettosità nei<br />
confronti degli strumenti scientifici e dell’Università, ha lasciato il posto ad un atteggiamento più<br />
laico, pragmatico e in ultima analisi “integrato”: a partire dall’approccio epidemiologico, che ha<br />
introdotto la necessità delle codifiche diagnostiche e delle scale di valutazione, si è arrivati al dialogo<br />
necessario tra diversi orientamenti di pensiero, in una visione integrata della complessità<br />
rappresentata <strong>dalla</strong> patologia mentale.<br />
Parlare di “cura” oggi è meno sospetto di riduttivismo clinico di quanto non era ieri, quando si<br />
preferiva parlare di “riabilitazione”, che implicava in modo più stringente l’intervento dell’ambito<br />
sociale, e una sua minore specificità, oltre che minori presupposti teorici.<br />
Parlare di valutazione dell’operatività in termini di ricadute, costi ed esiti, di miglioramento continuo<br />
della qualità, è oggi possibile in un clima di generale consenso, anche se dietro questa unanimità<br />
si rischia di scadere nel “valutismo” (L.Frattura).<br />
Per manutentare il fattore umano nel suo aspetto di strumento terapeutico, sia a livello individuale<br />
che di gruppo, risulta di fondamentale importanza la “supervisione”, capace di arricchire<br />
le capacità critiche, nel cogliere i propri movimenti emotivi suscitati <strong>dalla</strong> relazione con il paziente<br />
quale elemento conoscitivo e terapeutico, o il loro esatto contrario.<br />
Storicamente la supervisione accompagna obbligatoriamente la pratica psicoanalitica o psicoterapeutica<br />
individuale, ma per l’implicazione del fattore relazionale e dell’“atteggiamento psicoterapeutico”<br />
( parafrasando la nota opera di Shafer) quale orientamento diffuso all’interno<br />
delle èquipe, questo strumento è divenuto un elemento irrinunciabile di una buona pratica<br />
terapeutica.<br />
Se è risultato evidente come nel decorso ed esito dei disturbi mentali assumano fondamentale<br />
importanza “fattori aspecifici”, specialmente nel processo riabilitativo che confronta il paziente<br />
con la realtà del quotidiano, risulta evidente da quanto sopra accennato come azioni di per se<br />
semplici nei confronti del paziente grave, necessitino un alto livello di competenza professionale<br />
ed esperienza orientata <strong>dalla</strong> formazione.<br />
Forse nella psichiatria convivono paradossalmente questi opposti: semplicità degli oggetti scambiati<br />
(relazioni, quotidiano, risorse materiali) e sofisticazione delle competenze necessarie a rendere<br />
produttivo lo scambio.<br />
La domanda<br />
Dagli anni del doporiforma, caratterizzati <strong>dalla</strong> lotta di smantellamento del manicomio e della sua<br />
logica, l’utenza e la domanda prevalentemente rivolta ai servizi si è trasformata sia nei modi di<br />
espressione sia nella sostanza.<br />
B O O K S E I 19
I nodi<br />
del dopo<br />
riforma<br />
In quell’epoca il paziente-tipo era caratterizzato da una lunga permanenza nell’istituzione, e presentava<br />
un prioritario bisogno di ri-acquisizione dei più elementari diritti calpestati dall’internamento,<br />
a partire dal “diritto di cittadinanza”, che si declinava nei diritti alla casa, al lavoro, alla<br />
socialità deprivata. Il paziente attuale è inserito a suo modo nel contesto sociale, ha una famiglia<br />
alle spalle che è attivamente presente nella sua interlocuzione con il servizio; al contrario dell’ex<br />
internato, gli aspetti inerenti la sua espressività clinica sono in primo piano, spesso caratterizzati<br />
da periodiche fasi di riacutizzazione espressi con contenuti di ribellione o protesta; vive il rapporto<br />
con il servizio territorializzato non come alternativa, come strumento di liberazione, ma<br />
come controparte, come realtà prevalentemente controllante o connotante la propria diversità; la<br />
dissocialità, quando è presente, è attivamente perseguita in modo difensivo, o oggetto di una<br />
domanda di socializzazione purchè non sia connotata in termini psichiatrici, come quella realizzabile<br />
nei Centri Diurni. Si tratta quindi di pazienti per i quali è prioritariamente necessario lavorare<br />
sul processo motivazionale, e quindi sulla funzione di accoglimento e sulla accessibilità del<br />
servizio, che deve giocare un ruolo attivo in un ambito più incerto e precario di un tempo, fondamentalmente<br />
più difficile.<br />
Una realtà che si accompagna spesso alla nuova domanda è il notevole carico familiare indotto<br />
da questi pazienti, turbolenti e conflittuali con le famiglie di origine, le quali a loro volta lo sono<br />
spesso con il servizio. Una particolare attenzione alle famiglie è dedicata da ogni moderno servizio<br />
attraverso la costruzione di strumenti in grado di garantire forme di residenzialità alternativa<br />
per i pazienti, quale sollievo al carico familiare.<br />
Altri aspetti delle modifiche della domanda è la diffusione, accanto allo spettro dei disturbi schizofrenici,<br />
di forme diverse di espressività del disagio, che costituiscono realtà nuove per i servizi:<br />
innanzi tutto la patologia depressiva, nei suoi aspetti di gravità episodica o di invalidante cronicità,<br />
che ha un costo sociale sovrapponibile a quello della schizofrenia; spesso si assiste ad una<br />
difficoltà di catalogazione di sindromi che sempre più spesso coinvolgono l’area dei disturbi di<br />
personalità; aspetti clinici mutevoli, da sintomi nevrotici di vario tipo, alla depressività di fondo,<br />
a deragliamenti episodici di tipo psicotico alludono a quelle che vengono definite in termini psicopatologici<br />
“strutture borderline”; nuove forme del disagio, un tempo trattate con sufficienza<br />
entro il termine di “piccola psichiatria”, sono rappresentate oggi da sindromi come il disturbo da<br />
attacchi di panico, con le sequele fobiche tipiche, e il disturbo ossessivo compulsivo, che per la<br />
gravità dell’invalidazione conseguente e la larga diffusione sono da tenere in serissima considerazione.<br />
Farei infine un cenno ai disturbi alimentari, anoressia e bulimia in testa, per dare solo un<br />
cenno della portata del mutamento con il quale si confronta la domanda.<br />
Certamente il mutato quadro sociale, con la crisi del Welfare State, e la disoccupazione attestata<br />
ad oltre il 10% fa sentire i suoi contraccolpi sul servizio, che trova maggiori difficoltà a coinvolgere<br />
gli enti pubblici o il mondo del lavoro nella risposta alla serie complessa di problemi trascinati<br />
con sè dal disagio mentale, e spesso si è fatto promotore di realtà imprenditoriali come quelle<br />
delle cooperative sociali di tipo B.<br />
Se il turbolento processo di cambiamento mette in crisi l’azione dell’operatore psichiatrico, esso<br />
è anche il segno innegabile di vitalità, di sviluppo, a patto che si voglia affrontarlo con spirito<br />
creativo, come una sfida da raccogliere.<br />
2 0 B O O K S E I
B O O K S E I 21
2 2 B O O K S E I
Intervista<br />
al dr. Lucio<br />
Schittar<br />
Intervista<br />
a<br />
Lucio Schittar<br />
Presente, passato e futuro<br />
della psichiatria nelle parole<br />
di un protagonista del cambiamento.<br />
di<br />
Matteo Impagnatiello<br />
e<br />
Piero Colussi<br />
Il 13 maggio 1978 entrava in vigore la legge di riforma psichiatrica<br />
n.<strong>180</strong> conosciuta anche come “legge Basaglia”. A vent’anni da quella<br />
importante scadenza abbiamo posto alcune domande al dott. Lucio<br />
Schittar, lo psichiatra già collaboratore di Franco Basaglia, che nel<br />
1972 avviò i Servizi di Salute Mentale della Provincia di Pordenone<br />
dirigendoli fino alla fine del 1981.<br />
Laureatosi in medicina all’Università di Padova nel 1964, Lucio<br />
Schittar si è successivamente specializzato in Pneumologia e in Clinica<br />
delle Malattie Nervose e Mentali. Dopo un breve periodo trascorso<br />
all’Ospedale Civile di Mestre nel reparto di Pneumologia, fra il 1966 e il 1967 ha preso parte attivamente<br />
all’esperienza anti-istituzionale condotta da Basaglia presso l’Ospedale Psichiatrico di<br />
Gorizia assieme ad Antonio Slavich, Domenico Casagrande, Agostino Pirella, Giovanni Jervis.<br />
Nel 1968 si è trasferito a Parma dove, diventato primario, ha lavorato per quattro anni<br />
all’Ospedale Psichiatrico di Colorno, impegnandosi nell’opera di superamento della struttura<br />
manicomiale. Dal 1982 lavora come psichiatra privato a Pordenone.<br />
D. La Comunità Terapeutica a Gorizia è nata come il rifiuto di una situazione proposta come un<br />
dato anzichè come un prodotto (Franco Basaglia).<br />
Quali culture, saperi, politiche hanno ispirato l’esperienza della Comunità Terapeutica a Gorizia,<br />
laboratorio di tutte le successive esperienze anti-istituzionali in Italia<br />
Matteo Impagnatiello, Dirigente Medico DSM dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> - Pordenone<br />
Piero Colussi, Psicologo DSM dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> - Pordenone<br />
B O O K S E I 23
Intervista<br />
al dr. Lucio<br />
Schittar<br />
R. La Comunità Terapeutica dell’Ospedale di Gorizia fu uno degli strumenti del cambiamento psichiatrico;<br />
cioè servì a modificare, evidentemente in meglio, la situazione del manicomio. Servì anche<br />
a realizzare, nell’ambito manicomiale, quegli aspetti dello scambio sociale che venivano realizzati<br />
fuori del manicomio: per esempio le riunioni, la possibilità di parlare, di essere ascoltati.<br />
La Comunità Terapeutica venne dopo molti altri cambiamenti (di cui credo sia rimasta documentazione<br />
fotografica e cinematografica), come ad esempio l’abbattimento dei muri che circondavano i<br />
cortili dei reparti. Per quanto ricordo, l’abbattimento dei muri venne realizzato con gradualità: si<br />
cominciò dai reparti più “tranquilli”, ma i muri e il loro perimetro erano ormai entrati nella mente<br />
e nel cuore di molti ricoverati che, anche in assenza di muri, continuarono per un po’ a “prendere<br />
aria” all’interno del loro antico perimetro, all’interno cioè di muri che non esistevano più. Quindi<br />
la Comunità Terapeutica non venne somministrata ai pazienti come una terapia, ma si accompagnò<br />
ad altri graduali provvedimenti, di cui il libero movimento all’interno dell’ Ospedale Psichiatrico fu<br />
forse il principale. Il libero movimento creò all’inizio qualche problema “internazionale”. Il Confine<br />
di Stato fra Italia e Jugoslavia correva lungo il confine del manicomio; era segnato verso l’interno<br />
dell’OP., da segni bianchi per terra che facilmente venivano superati, costringendo talora i medici ad<br />
andare a riprendere il loro paziente dai graniciari alla Stazione di Confine.<br />
Ispiratore della Comunità Terapeutica fu lo psichiatra anglosassone Maxwell-Jones, che vi aveva<br />
inserito una forte componente psicoanalitica, ma presupponeva che vi fossero risolti gli aspetti manicomiali,<br />
cosa, come si può pensare, non semplice.<br />
D. L’esperienza goriziana nasce come superamento della Comunità Terapeutica anglosassone di<br />
Maxwell-Jones: quali i limiti, le contraddizioni, le innovazioni più significative<br />
R. L’esperienza inglese venne conosciuta non solo dalle pubblicazioni, ma anche direttamente, rimanendo<br />
in ospedale, in Gran Bretagna, alcuni giorni (allora Maxwell-Jones era direttore<br />
dell’Ospedale di Dingleton, in Scozia). Maxwell-Jones vi aveva introdotto delle modificazioni del<br />
tradizionale metodo inglese di cura (che già normalmente era più avanzato rispetto alla situazione<br />
italiana di allora). Ricordiamo che l’Inghilterra era stata la patria, fino dall’800, del Movimento<br />
dell’Open Door (Porta Aperta), di origine religiosa, in particolare quacchera. L’Inghilterra dell’800<br />
era anche la patria di John Connoly, che, nel 1848, per primo, col così detto Moral Treatment (Cura<br />
Morale), aprì la maggioranza dei reparti dell’Ospedale di Hanwell e istituì i primi corsi di formazione<br />
per infermieri psichiatrici. I “limiti” della Comunità Terapeutica di Gorizia furono quelli di<br />
aprire un ospedale in una realtà cittadina chiusa. La realtà che circondava l’ospedale psichiatrico era<br />
allora una realtà chiusa, tranquilla, e reagiva come sapeva alla novità rappresentata dall’ospedale psichiatrico<br />
e dal suo direttore. Un segno evidente della risposta del territorio fu, al tempo della strage<br />
di Peteano, un’interrogazione parlamentare dell’Onorevole De Vidovich, che chiedeva, più o meno,<br />
se era noto che Peteano era vicino a Gorizia, dove il prof. Basaglia cambiava i pazienti in “bombe<br />
umane”.<br />
D. ”Si deve scoprire un crimine che si adatti alla punizione e ricostruire la natura dell’internato<br />
per adattarla al crimine”. Così, Ervin Goffman, l’autore del celebre Asylums definisce il significato<br />
delle istituzioni totali.<br />
R. Ervin Goffman era un sociologo statunitense. Scrisse alcuni libri importanti: “Behaviour in public<br />
places”, “Stigma”, ecc., ma il suo libro più importante e significativo è sicuramente “Asylums” in cui<br />
prende in esame quelle che lui chiama “istituzioni totali ”. La frase di Goffman, che, come si sa, va<br />
bene per ogni situazione istituzionale, per quanto riguarda il manicomio potrebbe indicare, fra l’altro,<br />
come strumento di “punizione” la diagnosi, che allora, ricordiamolo, si situava all’interno di una<br />
2 4 B O O K S E I
Intervista<br />
al dr. Lucio<br />
Schittar<br />
legislazione vecchia di molti decenni (risaliva al 1904), e che definiva il malato di mente “pericoloso<br />
a sè o agli altri o di pubblico scandalo”. Fare o non fare la diagnosi fu allora un oggetto<br />
di dibattito fra i medici, che si rendevano conto del valore non solo specialistico di una definizione<br />
di malattia.<br />
D. La sua esperienza nel doporiforma, la nascita dei servizi territoriali nella Provincia di<br />
Pordenone.<br />
R. La mia esperienza nella Provincia di Pordenone (che, come è noto, era sorta da poco) era quella<br />
di una persona che voleva, se possibile, cambiare il tipo di assistenza psichiatrica fornito. In questa<br />
esperienza ero forse favorito dall’assenza di un ospedale psichiatrico; tuttavia, anche se l’ospedale<br />
psichiatrico era quello della Provincia di Udine, esistevano nella Provincia di Pordenone due così<br />
dette Succursali Psichiatriche maschili, a Sacile (che occupavano, tutto sommato, uno spazio ridotto<br />
all’interno dell’Ospedale Civile) dalle quali i politici fuggivano tappandosi il naso e dicendo “Fate<br />
qualcosa”. Storicamente l’Ospedale a Sacile, con le sue Succursali Psichiatriche era sorto prima<br />
dell’Ospedale Psichiatrico di Udine; era sorto <strong>dalla</strong> trasformazione di un Lazzaretto, assai frequentato,<br />
dato che Sacile è sulla strada che gli europei allora percorrevano per imbarcarsi, a Venezia,<br />
anche per le Crociate. Perciò la situazione era già fortemente “inquinata” dall’immagine del malato<br />
mentale cronico (questo soprattutto a Sacile, che, fra l’altro, vedeva ogni anno un piccolo spettacolo,<br />
che cominciava appunto nei reparti psichiatrici, del gruppo benefico “I Sarlatani”). Perciò, anche<br />
se non esisteva l’Ospedale Psichiatrico della Provincia di Pordenone, le influenze negative sull’immagine<br />
pubblica dell’essere “assistito” già vi erano. In questa situazione, come si è spiegato in altre<br />
pubblicazioni, dovetti cercare di mettere in piedi un sistema di assistenza psichiatrica basato sul<br />
rispetto del paziente, e, possibilmente, sulla somministrazione di farmaci “moderni”. Mi sembrò che<br />
la miglior “cura” fosse quella territoriale, basata cioè sul curare fuori dell’ospedale psichiatrico le persone<br />
che soffrivano di disturbi psichici e che, oltre a dover superare la fase acuta del loro disturbo,<br />
avevano bisogno anche di un “intervallo” nella loro storia, cosa per le quali si apprestarono le possibili<br />
strutture intermedie, intermedie cioè fra la casa e l’ospedale. In questa azione non ci si fece guidare<br />
da criteri puramente economici (cosa che possiamo lasciare ai contabili, che certamente la sanno<br />
fare meglio di noi), che avevano già guidato l’azione di Reagan, che, quand’era Governatore della<br />
California, aveva chiuso gli ospedali psichiatrici perchè costavano troppo alla Comunità californiana,<br />
senza molto interessarsi del destino dei ricoverati. I Community Mental Health Centers erano<br />
ormai entrati nei programmi e nella pratica dei politici nordamericani. Bisogna dire che allora non<br />
ci si è fatti “irretire” dal modello familiare dei servizi. Infatti la famiglia del paziente psichiatrico è<br />
un anello debole della catena sociale, mentre di solito la famiglia è un anello forte della catena sociale.<br />
Perciò abbiamo cercato di costruire invece delle “alternative” al ritorno in famiglia: appartamenti,<br />
piccole comunità, ecc.<br />
D. Quali a suo giudizio le innovazioni prodotte <strong>dalla</strong> “legge <strong>180</strong>” nell’assistenza psichiatrica<br />
comunitaria Quali i punti critici nei modelli di assistenza territoriale<br />
R. La “legge <strong>180</strong>”, che poi fece parte della “833” che vide la riforma dell’assistenza sanitaria, apportò<br />
un cambiamento fondamentale: la cura psichiatrica in Ospedale Civile. Ci sono da fare, a questo proposito,<br />
almeno due considerazioni.<br />
Una, che l’assistenza psichiatrica si doveva svolgere, secondo la “<strong>180</strong>”, di norma nel territorio e, in<br />
casi eccezionali (T.S.O., ad esempio), in Ospedale Civile (doveva perciò sparire l’Ospedale<br />
Psichiatrico).<br />
B O O K S E I 25
Intervista<br />
al dr. Lucio<br />
Schittar<br />
La seconda considerazione riguarda l’uso che si fa della legge. La legge antica del 1904 era, a suo<br />
modo, già una legge garantista. Garantiva infatti che il ricovero in ospedale psichiatrico avvenisse a<br />
seguito di un vero processo; solo eccezionalmente si doveva ricorrere, per la legge, al ricovero d’urgenza,<br />
che in seguito divenne invece, per la sua semplicità e comodità, la norma del ricovero. Inoltre<br />
la legge del 1904 garantiva dai sistemi di contenzione fisica, che doveva essere autorizzata dal direttore.<br />
Nella pratica, il direttore o meglio il “medico di reparto” sottoscriveva il foglio delle contenzioni.<br />
Anzi, era così generoso che ne sottoscriveva più di uno, lasciando poi agli infermieri di turno<br />
il compito di segnare le ore di contenzione che si erano rese necessarie. Inoltre, la legge del 1904<br />
recepiva i più moderni (per allora) risultati positivi dell’ergoterapia, per cui indicava che i lungodegenti<br />
dovevano lavorare nell’ospedale, preferibilmente nella Colonia Agricola. Cioè, in conclusione,<br />
interessava a tutti che chi “dava i numeri” venisse allontanato <strong>dalla</strong> sua comunità; e a questo fine<br />
veniva usata la legge vigente nel suo aspetto più retrivo.<br />
Voglio dire che ogni legge è buona o cattiva secondo come viene usata. La “<strong>180</strong>” costituì una grande<br />
innovazione, ma, fra l’altro, non volle significare che la malattia mentale era una malattia come<br />
tutte le altre, volle sopratutto sottolineare che i malati mentali avevano i diritti di tutti gli altri.<br />
Talora alcune “strutture intermedie” sembrano oggi dei piccoli manicomi, dimostrando che non<br />
basta una buona legge, non basta mettere in piedi un servizio territoriale per risolvere il problema<br />
dell’assistenza psichiatrica. I “punti critici nei modelli dell’assistenza territoriale” sono parecchi.<br />
Intanto non si deve avere un tipo di servizio come modello, perchè ogni situazione è diversa dall’altra;<br />
poi tutti questi modelli (compresi quelli statunitensi dei Community Mental Health Centers)<br />
sono basati sul modello della famiglia, che talvolta è all’origine prima dei disturbi del paziente e<br />
nella quale più facilmente gioca il meccanismo delle “emozioni espresse”.<br />
Quando questi modelli non sono basati sul modello della famiglia, sono basati sul modello dell’ospedale:<br />
accolgono per esempio, ben più di 4 o 5 persone; e si preparano a diventare, aiutati dal prolungamento<br />
dell’età media, il nuovo manicomio. Sappiamo che i “manicomi” sono caratterizzati,<br />
anche nella nostra età, da alcune particolarità: la completa autonomia economica, la riduzione dello<br />
spazio a disposizione di ogni ricoverato, il fatto che si tiene conto, prima di tutto, dell’interesse dei<br />
gestori e poi dell’interesse dei gestiti (nonostante gli standard fissati dalle leggi).<br />
Perciò i manicomi ci saranno anche oggi perchè, al di là delle molte situazioni regressive, c’è la<br />
volontà ben chiara di tenere fuori dal commercio sociale alcune persone più deboli: malati, vecchi,<br />
bambini, donne.<br />
D. L’elaborazione di nuove ipotesi e modelli della malattia e quindi di una nuova cultura volta al<br />
superamento dei modelli tradizionali, sembra di grande importanza nel momento in cui si affrontano<br />
i problemi cruciali della formazione degli operatori, da un lato, e dall’altro, <strong>dalla</strong> modificazione<br />
della domanda stessa dell’utenza.<br />
R. La formazione di una nuova cultura nei servizi territoriali, ipotizzata nella domanda, costringe a<br />
fare qualche riflessione.<br />
Intanto cerchiamo di capire se è vero che nel territorio, cioè fuori dall’ospedale, si è formata una cultura<br />
diversa. Non penso che, se non ci fosse stato il lavoro psichiatrico precedente, ci sarebbe stata<br />
la possibilità di fare ogni settimana per quattro volte un’inchiesta giornalistica sul pregiudizio nei<br />
confronti dei malati di mente. Non penso nemmeno che, se non ci fosse stato il lavoro psichiatrico<br />
precedente, si sarebbe costituita a Pordenone l’Associazione che raccoglie le prostitute.<br />
Vi sembrerà strana la connessione fra le due cose: ma, credo, se c’è stata una specificità nel lavoro<br />
territoriale di Pordenone, è stata quella di non marcare le differenze fra una condizione ed un’altra.<br />
Si è, cioè, costruito un po’ alla volta un modo di vedere che ha accolto la persona differente come<br />
una persona qualsiasi. Ciò mentre i vari gruppi si rafforzavano pensando al loro “nemico”, i medici<br />
2 6 B O O K S E I
Intervista<br />
al dr. Lucio<br />
Schittar<br />
ospedalieri “contro” i medici del territorio, come era stato in passato tra gli psichiatri: gli psichiatri<br />
tradizionalisti “contro” gli psichiatri “basagliani”, quelli non di Psichiatria Democratica “contro” gli<br />
psichiatri di Psichiatria Democratica, i partiti fra loro, le squadre di calcio, di pallacanestro, di pallavolo.<br />
In una parola si è costruita in questi anni una vera cultura della tolleranza.<br />
Per quanto riguarda l’assistenza psichiatrica questa nuova cultura della tolleranza ha certamente<br />
diminuito i comportamenti violenti, ma, come ogni tolleranza, ha dimostrato nel territorio provinciale<br />
i propri limiti: gli operatori psichiatrici hanno dovuto, per formarsi, fare dei salti. Ma gli infermieri<br />
non psichiatrici su che basi si formeranno Questa resta l’incognita del futuro.<br />
D. Ricordando Franco Basaglia...<br />
R. Nella mia storia di sentimenti - anche gli psichiatri, che ascoltano di tutto, hanno un cuore - ha<br />
un posto importante Franco Basaglia, lo psichiatra italiano scomparso nel 1980 e al quale si deve la<br />
legge “<strong>180</strong>” (alla quale non seguì mai il consueto Regolamento di applicazione).<br />
Franco Basaglia ha a lungo lavorato, come fenomenologo, presso la Clinica Neurologica<br />
dell’Università di Padova e poi è andato, appena si è liberato il posto, a dirigere l’Ospedale<br />
Psichiatrico di Gorizia. Dopo aver girato l’O.P.P., Basaglia disse, semplicemente, che non voleva fare<br />
il carceriere, e cominciò a cercar di modificare in tutti i modi la situazione.<br />
Lui era un uomo che voleva curare gli altri uomini che avevano bisogno di cure; questo, naturalmente,<br />
non era possibile nel manicomio.<br />
Basaglia aveva trasferito il proprio modo di vedere la realtà anche nei confronti delle altre persone:<br />
quando andai a parlare con lui, io che venivo da un ospedale dove assistevo in silenzio agli sfoghi di<br />
un Primario, mi sorprese la sua genuinità, che alla fine tirava fuori il meglio da tutti.<br />
C’era un principio, all’Ospedale Psichiatrico di Gorizia, cui nel mio lavoro cercai subito di conformarmi:<br />
“lo sporco non se ne va da solo”. Ci sarebbe moltissimo da dire su Franco Basaglia, ma tutta<br />
questa intervista è permeata del suo spirito e perciò mi limito a questo.<br />
D. Dove va la psichiatria<br />
R. Dove va la psichiatria; ma, la psichiatria continua il suo cammino di sempre, di scienza del comportamento,<br />
di scienza trionfalmente “ortopedica”.<br />
(Cordenons, 8 aprile 1998)<br />
B O O K S E I 27
2 8 B O O K S E I
Complessità<br />
e integrazione:<br />
parole vuote<br />
o percorsi<br />
possibili<br />
Complessità<br />
e integrazione:<br />
parole vuote<br />
o percorsi possibili <br />
A che punto è la teoria applicata alla<br />
pratica vent’anni dopo l’attuazione<br />
della riforma psichiatrica<br />
di<br />
La chiusura del cerchio<br />
Bruno Forti<br />
A più di un secolo <strong>dalla</strong> nascita delle discipline psicologiche e psichiatriche<br />
la malattia mentale è stata analizzata e sviscerata nei suoi più<br />
diversi aspetti, <strong>dalla</strong> psicologia del profondo a quella del comportamento,<br />
dalle dinamiche interpersonali e familiari alla biologia molecolare.<br />
L’approccio sociale ha rappresentato, probabilmente non a caso,<br />
l’ultimo approccio di una certa importanza attraverso il quale leggere<br />
i fenomeni psicopatologici.<br />
Con questo non si vuol dire, ovviamente, che ognuno di questi modelli abbia esaurito le proprie<br />
potenzialità, tutt’altro. Tuttavia, è come se, dovendo capire come è fatta e a cosa serve una casa<br />
d’abitazione, avessimo imparato ad osservarla un pò da tutte le prospettive possibili: dal di fuori,<br />
dal di dentro, dall’alto, dalle fondamenta, in funzione dei suoi abitanti e del tessuto residenziale<br />
in cui è inserita.<br />
La riforma psichiatrica in Italia, più di qualsiasi riflessione teorica, ha contribuito a mettere a<br />
nudo l’importanza della prospettiva sociale, a svelare quella mistificazione che per decenni era<br />
stata perpetrata sull’ambivalenza fra cura e controllo sociale. Gli eventi messi in moto <strong>dalla</strong> demanicomializzazione<br />
hanno infatti messo in luce come non si trattava solo di comprendere, più o<br />
meno asetticamente, in che modo certi fattori sociali possano influire sulla sofferenza sociale, ma<br />
come i fattori più rilevanti venissero messi in atto proprio da chi aveva il compito di comprendere<br />
e curare la malattia mentale.<br />
Colpevoli o strumenti passivi di giochi che si compivano altrove, gli operatori psichiatrici erano<br />
Bruno Forti, Dirigente Medico DSM dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> - Pordenone<br />
B O O K S E I 29
Complessità<br />
e integrazione:<br />
parole vuote<br />
o percorsi possibili<br />
di fatto i primi a produrre azioni antiterapeutiche, a creare condizioni in cui nessun intervento<br />
terapeutico, anche il migliore possibile, pensiamo ad esempio alle terapie psicoanalitiche prolungate<br />
condotte all’interno degli ospedali psichiatrici, avrebbe potuto essere efficace. Anche<br />
perchè certi fattori attinenti al contesto e al ruolo sociale non sono solo elementi da considerare<br />
assieme ad altri, ma costituiscono la base, il terreno fondamentale ove qualsiasi azione<br />
psicoterapica, farmacologica o riabilitativa possa attecchire e svilupparsi.<br />
In sostanza, la chiusura dei manicomi ha rivelato come di fatto l’intervento, di gran lunga più<br />
rilevante messo in atto fino ad allora fosse un intervento preminenemente sociale. Ovviamente<br />
ispirato da un senso del sociale negativo, spesso perverso e, si spera, quanto più possibile<br />
inconsapevole. Questo dato di fatto ha in certi momenti alimentato un equivoco dello<br />
stesso genere, forse nell’illusione che il ribaltare in positivo le valenze dell’approccio sociale,<br />
fino ad allora emarginante e custodialistico, se non annichilente nei riguardi della persona,<br />
potesse a sua volta costituire l’aspetto più importante, se non l’unico, dell’intervento curativo.<br />
Ciò è stato ancor di più condizionato dal fatto che certi interventi sul terreno sociale avevano<br />
una vera e propria valenza terapeutica, come la libertà del famoso motto dei tempi della<br />
riforma. L’esempio più noto riguarda il lavoro protetto che, a differenza dell’ergoterapia, è<br />
realmente emancipativo e riabilitativo in quanto produce un significato di ruolo per il contesto<br />
sociale e culturale di appartenenza.<br />
Per un certo periodo è stato perfettamente legittimo che gli approcci che hanno prodotto o<br />
che si sono accompagnati alla riforma psichiatrica si incentrassero prevalentemente sugli<br />
interventi sociali, contribuendo a svelare le potenzialità di un ambito d’azione fino ad allora<br />
prevalentemente inesplorato. Così avevano agito, in passato, tutti i modelli che l’avevano preceduto.<br />
Tornando all’esempio iniziale, il vedere le cose secondo una nuova prospettiva ci può<br />
offrire delle conoscenze prima difficilmente immaginabili, e allora si può essere tentati di dire,<br />
ad esempio, che la casa è il posto dove abitano le persone e fa parte di una città: non è studiando<br />
i mattoni o le fondamenta che si può capirne l’essenza. Oggi, tuttavia, anche se il terreno<br />
da esplorare in ambito sociale è probabilmente ancora molto vasto, non è più possibile<br />
privilegiare esclusivamente l’approccio sociale. Altrimenti si rischia di cadere in quel medesimo<br />
riduttivismo, forse migliore di tanti altri, che tuttavia ha provocato il fallimento dei modelli<br />
precedenti.<br />
Proprio l’evidenziarsi nella maniera più netta e chiara, come è avvenuto in Italia, dell’importanza<br />
degli aspetti sociali, può aver contribuito a chiudere quel cerchio delle prospettive<br />
utili da cui osservare il problema della malattia mentale. Di conseguenza la prospettiva che<br />
ci si presenta non è quella di scegliere l’uno o l’altro modello, come per un certo tempo è<br />
stato fatto, anche nella pratica, ma di capire che l’errore principale di ogni approccio è stato<br />
probabilmente quello di ritenersi l’unica prospettiva da cui osservare utilmente i fenomeni<br />
in gioco.<br />
Questa forse, a vent’anni di distanza, è la lezione più importante che possiamo trarre <strong>dalla</strong><br />
riforma psichiatrica e dal percorso storico che ha condotto alla riforma: non tanto il distanziarsi<br />
da posizioni oggi ritenute da alcuni eccessive o ideologiche, ma un’equidistanza, almeno<br />
in linea di principio*, da qualsiasi modello che voglia proporsi come interprete unico della<br />
realtà. In altri termini, la chiusura del cerchio che l’affermarsi del modello sociale ha provocato<br />
può essere vista come la conclusione di un percorso storico e concettuale che ha visto<br />
i diversi modelli come prospettive globali sulla realtà in alternativa gli uni con gli altri. Attual-<br />
*In linea principio significa che, se in certi casi l’intervento utile si rivela quasi solo di tipo farmacologico o psicoterapico<br />
o sociale, in nessun caso possiamo deciderlo a priori, sulla base di un preconcetto che privilegi l’uno o l’altro tipo di<br />
intervento: la teoria non può in alcun caso restringere una prospettiva che deve essere, al momento della valutazione, il<br />
più ampia possibile.<br />
3 0 B O O K S E I
Complessità<br />
e integrazione:<br />
parole vuote<br />
o percorsi possibili<br />
mente questi modelli non possono che essere visti come prospettive parziali di uno stesso<br />
oggetto, non in competizione fra loro ma l’uno ad integrare l’altro rispetto ad una realtà estremamente<br />
ricca e complessa.<br />
Questo non significa che i problemi siano risolti, tutt’altro. Non basta proporre inteventi<br />
combinati, appiccicare un programma riabilitativo alla terapia farmacologica, non è sufficiente<br />
alludere con faciloneria alla globalità e alla complessità dei problemi. Parlare di complessità<br />
ha senso solo se ciò vuol dire essere consapevoli delle difficoltà e dei problemi che<br />
abbiamo di fronte, altrimenti si tratta di parole vuote e prive di significato, che possono portare<br />
soltanto a un’operatività presuntuosa e superficiale: una complessità che fossimo in grado<br />
di padroneggiare (magari solo chiamandola complessità!) non sarebbe di fatto più tale.<br />
Se la strada è l’integrazione, siamo appena all’inizio di un percorso nuovo e difficile, fatto non<br />
tanto di ideologismi e di verità assolute e risolutive, quanto di delicati equilibri, del dover scegliere<br />
e soprattutto graduare un intervento in funzione di un insieme di fattori che attingono<br />
alle dimensioni e i livelli più disparati. Non possiamo nemmeno dire di saperne poco, quantomeno<br />
in senso assoluto. Ne sappiamo più che in molte altre discipline, ma in maniera insufficiente<br />
rispetto alla complessità dell’oggetto che ci troviamo di fronte, tanto che viene a chiedersi<br />
se conosciamo davvero quella cosa che ormai riusciamo ad osservare, come la casa d’abitazione,<br />
da tante diverse prospettive e in così numerosi dettagli.<br />
Il problema principale è a livello teorico: non possediamo ancora un metamodello che comprenda<br />
tutti quelli conosciuti, e probabilmente siamo ancora lontani dal possederlo. In altri<br />
termini, non riusciamo ancora ad integrare le conoscenze a cui attingiamo negli ambiti più<br />
disparati. Ciò significa che brancoliamo nel buio, ancor più di prima, quando possedevamo<br />
delle certezze rassicuranti anche se fallaci Che le teorie di cui disponiamo, lungi dall’essere<br />
completamente vere o completamente false, presentano invece un miscuglio diabolico di<br />
verità e falsità<br />
L’unico fatto confortante è che allo stato attuale la pratica, quando è buona pratica, è molto<br />
più avanzata di ogni speculazione teorica. Dalle grandi speculazioni e dalle ideologie più<br />
o meno politicizzate siamo passati al pragmatismo più assoluto. Facciamo gli interventi che<br />
sembrano funzionare, pur nella difficoltà di avere su questo dei riscontri precisi e metodologicamente<br />
ineccepibili, ma soprattutto, quando non ci facciamo ingabbiare da preconcetti,<br />
riusciamo a combinare insieme le diverse conoscenze tecniche, i fattori contestuali ed<br />
i continui feed-back che riceviamo in una maniera che nemmeno la più raffinata teoria sulla<br />
complessità riuscirebbe a prevedere.<br />
Da un’ottica monomodellistica ad una prospettiva integrata<br />
Purtroppo la parola integrazione è già abusata prima ancora di percorrere la maggior parte<br />
della strada che porta all’integrazione. Tuttavia è importante resistere alla tentazione di affidarci<br />
soprattuto al buon senso o all’iniziativa personale, col rischio di pericolosi superficialismi,<br />
di percorrere esclusivamente le pratiche condivise, come pure di seguire la prima via<br />
alternativa che ci si presenti davanti e che comporti una negazione di quanto già conosciamo.<br />
L’integrazione è complessa prima di tutto perchè, qualunque sia la sua direzione, non può<br />
comportare il mettere da parte le evidenze, i dati empiricamente fondati e le pratiche consolidate<br />
che ormai si sono accumulate in modo rilevante.<br />
Probabilmente la cosa più importante è essere consapevoli che la strada da percorrere lungo<br />
la via dell’integrazione è lunga e difficile. Allo stato attuale si può solamente individuare gli<br />
ambiti concettuali ove si annidano le problematiche più insidiose o dove possiamo trovare<br />
delle direttive teoriche che ci orientino sulla strada da percorrere. Quelli che presentiamo di<br />
B O O K S E I 31
Complessità<br />
e integrazione:<br />
parole vuote<br />
o percorsi possibili<br />
seguito rappresentano un breve elenco, largamente incompleto, di ambiti teorico-pratici ove<br />
i problemi e le possibili soluzioni sembrano intrecciarsi più fittamente.<br />
Le diverse prospettive non vanno considerate concettualmente incompatibili<br />
Non dobbiamo considerare i diversi modelli, e soprattutto le conoscenze da essi apportate, in<br />
linea di principio incompatibili le une con le altre. La nozione di incomprensibilità della<br />
malattia non preclude la possilità di comprendere l’altro nella relazione; l’esistenza di aspetti<br />
relazionali e comunicazionali non esclude la possibilità di evidenziare degli aspetti individuali<br />
e che entrambi possano coesistere; i dati sulla tollerabilità e sulla efficacia dei farmaci non<br />
costituiscono interpretazioni alternative rispetto alle conoscenze, anch’esse ormai consolidate,<br />
sulle valenze relazionali dell’oggetto farmaco; le ipotesi biologiche, psicologiche e sociali<br />
non vanno considerate altro che diversi livelli esplicativi di una realtà complessa e multistratificata,<br />
e gli esempi potrebbero essere innumerevoli. Il problema attiene probabilmente<br />
anche alla nostra struttura cognitiva, che ci fa vedere come una prospettiva ‘o o’ quella che<br />
invece spesso si rivela come una prospettiva ‘e e’.<br />
I limiti di ogni modello sono primariamente negli altri modelli<br />
Le principali deformazioni epistemologiche di ogni modello sono da ricercarsi proprio nel<br />
fatto che ognuno di essi rappresenta una prospettiva non totale, ma parziale, rispetto alla<br />
realtà studiata. Di conseguenza, i limiti di ogni modello risiedono prima di tutto negli altri<br />
modelli. In altre parole, non è possibile sostentere nell’ambito di un modello delle posizioni<br />
che siano smentite da fatti empiricamente fondati evidenziati all’interno di altre prospettive.<br />
Ciò può apparire abbastaza ovvio, ma in realtà i presunti progressi, che hanno rappresentato<br />
solo una diversificazione delle prospettive di osservazione, non hanno quasi mai soppiantato<br />
nè tanto meno incluso al proprio interno le risposte o le domande precedenti. Di solito, una<br />
rivoluzione scientifica comporta un’allargamento della prospettiva, per cui le nuove spiegazioni<br />
riescono a fornire risposte più adeguate ed esaustive, rispetto a quelle precedenti, alle<br />
vecchie domande. Nell’ambito psichiatrico e psicologico abbiamo assistito invece a un continuo<br />
spostamento della prospettiva che, se nel migliore dei casi ha aperto nuovi orizzonti<br />
conoscitivi, non è mai riuscito a fornire quella prospettiva più allargata che consentisse delle<br />
spiegazioni migliori alle vecchie domande. Ad esempio, se la prospettiva psicoanalitica risulta<br />
oggi difficilmente sostenibile nel suo complesso, le importanti questioni aperte <strong>dalla</strong> psicoanalisi,<br />
come la collocazione teorica delle difese psichiche, la questione pulsionale, l’organizzazione<br />
dinamica della personalità, e così via, risultano nel migliore dei casi accantonate<br />
dagli altri modelli, e a tutt’oggi prive di risposte.<br />
Dalle categorie alle dimensioni dell’intervento<br />
Siamo passati <strong>dalla</strong> scelta di un intervento, di un tipo di approccio, a decidere quanto graduare<br />
qualcosa che comunque dobbiamo fare, soprattutto nella relazione. Il problema è<br />
mantenere la giusta vicinanza, il corretto livello di intensità emotiva, corretto per quella specifica<br />
situazione e per quanto conosciamo quella persona, decidere di volta in volta quanto<br />
spazio di autonomia lasciare e quale grado di dipendenza mantenere. Ma soprattutto, più<br />
che di scelte alternative, di diverse categorie di intervento, disponiamo di svariate dimensioni<br />
che non possiamo ignorare in qualsiasi situazione, e che di volta in volta dobbiamo<br />
saper quantificare nella loro importanza, tenendo presente l’importanza relativa delle altre<br />
dimensioni e dell’equilibrio complessivo che ne deriva.<br />
Dobbiamo inoltre considerare che tali dimensioni di intervento non sono separate le une<br />
dalle altre, ma assomigliano, seppur con modalità molto più complesse, a dei vasi comuni-<br />
3 2 B O O K S E I
Complessità<br />
e integrazione:<br />
parole vuote<br />
o percorsi possibili<br />
canti ove il livello dell’uno può influenzare i livelli degli altri. Qualunque ambito decidiamo<br />
di scegliere, non possiamo fare a meno di influenzarne degli altri. Se attuiamo un programma<br />
riabilitativo, ci troveremo per forza ad avere con la persona una relazione che non sarà<br />
ininfluente, e che potrebbe anche risultare più influente della riabilitazione stessa, e una psicoterapia<br />
condotta rigorosamente in un ambito duale potrà avere degli effetti riabilitativi. La<br />
relazione influisce sull’effetto del farmaco così come l’effetto del farmaco può influire sulla<br />
relazione; un intervento comportamentale potrà mettere in moto valenze identificative o<br />
dinamiche profonde imprevedibili, e così via.<br />
Unitarietà - frammentazione diagnostica<br />
Quando ci confrontiamo con una persona tendiamo a vederla come un’entità unitaria, pur<br />
nelle sfaccettature sempre presenti. Stabilito il contesto, l’altro sarà affidabile, simpatico,<br />
noioso, arrogante e così via. La stessa cosa la facciamo nel lavoro terapeutico. Gran parte dei<br />
modelli che prevedevano un intervento interpersonale, compreso il modello clinico, si sono<br />
storicamente affidati a diagnosi tendenzialmente unitarie. Abbiamo la psicosi, il disturbo<br />
ossessivo, la struttura nevrotica o borderline, il modello depressivo del mondo, e tendiamo<br />
ad affidare alla caratteristica prescelta la previsione dei comportamenti dell’altro, dei suoi<br />
atteggiamenti, delle emozioni che ci suscita, delle difficoltà incontrate nella relazione. Tendiamo<br />
addirittura a interpretare altre caratteristiche evidenti in funzione di quella che<br />
abbiamo prescelto come principale, e quindi come derivanti da, difese nei confronti di, mere<br />
apparenze o coperture di qualcosa altro, e così via.<br />
D’altra parte ipotesi come quelle sulla comorbidità, sulla coesistenza di sindromi e disturbi di<br />
personalità, addirittura i dati sulla coesistenza di più disturbi di personalità possono essere<br />
accettabili su un piano astratto o sul piano della medicina, come quando diagnostichiamo che<br />
una persona ha il diabete, l’ipertensione arteriosa e altre malattie, ma ci convincono di meno<br />
quando ci dobbiamo confrontare effettivamente con l’altro sul terreno della relazione, quando<br />
tutte queste caratteristiche dovrebbero in qualche modo appartenere all’unica persona che<br />
ci troviamo di fronte. Anche perchè la personalità, normale o patologica che sia, sembra funzionare<br />
in maniera integrata.<br />
Malattia e incomprensibilità<br />
Gli approcci che si basavano sull’incomprensibilità e sul concetto di malattia, essenzialmente<br />
quello medico-biologico e quello fenomenologico-psicopatologico, hanno avuto, salvo rare<br />
eccezioni, dei percorsi storici paralleli o divergenti da quelle discipline che ricercavano la cura<br />
attraverso la relazione e quindi, quasi inevitabilmente, la necessità di comprendere. Questo<br />
malinteso ha creato incredibili castelli in aria concettuali, che poi crollano di fronte alla più<br />
banale pratica quotidiana, come quando diciamo al depresso che è malato (e quindi che gli<br />
sta succedendo qualcosa di assolutamente incomprensibile!) e ci accorgiamo che in un certo<br />
momento quella può essere la maniera più immediata per comprenderlo.<br />
Organico - psicologico e normale - patologico<br />
Uno dei preconcetti più vecchi ma più duri a morire riguarda il fatto che la malattia psichica<br />
attiene al corpo, ha cause organiche, mentre la comprensione degli atti di noi persone cosiddette<br />
normali, va ricercata in una prospettiva psicologica. Questo vorrebbe dire che il cervello<br />
non può essere sano e l’anima non si ammala mai Sicuramente no. Sta piuttosto a indicare<br />
come una delle più grosse difficoltà risieda non nel presupporre un’origine biologica per<br />
le malattie psichiatriche, ma nell’ammettere che alla base dei nostri comportamenti, dei nostri<br />
sentimenti, di quei meravigliosi processi creativi e di pensiero di cui siamo capaci vi sono dei<br />
processi biologici. Quindi la dicotomia fondamentale non è tanto fra biologico e psicologico,<br />
B O O K S E I 33
Complessità<br />
e integrazione:<br />
parole vuote<br />
o percorsi possibili<br />
quanto fra funzionamento normale e funzionamento patologico, rispetto ai quali le prospettive<br />
biologiche, psicologiche e sociali non si differenziano fra loro se non per il diverso livello<br />
di osservazione.<br />
Questo discorso si ricollega al problema dell’integrazione, in quanto una delle sfide più ardue<br />
risiede non tanto nell’ambito patologico quanto nel funzionamento fisiologico. Al giorno<br />
d’oggi probabilmente sappiamo molto di più sui meccanismi della schizofrenia e della depressione<br />
che sul funzionamento della mente in condizioni di normalità. Qual’è il ruolo dei dispositivi<br />
che presupponiamo alterati in certe malattie psichiche nel funzionamento normale, nella<br />
vita di tutti i giorni Ciò che non funziona nella schizofrenia, che funzione ha nell’individuo<br />
normale, ha qualche attinenza col guidare una macchina, stare assieme agli altri o uscire<br />
con una ragazza, e soprattutto come si integra con tutti gli altri dispositivi che noi abbiamo<br />
In altri campi della medicina non è così. Possiamo dire di conoscere il diabete non tanto perchè<br />
sappiamo che in certi casi si può verificare una carenza funzionale di insulina, ma perchè<br />
conosciamo il ruolo dell’insulina come regolatore del metabolismo intermedio del glucosio, e<br />
come il metabolismo intermedio sia a sua volta collegato a tutta una serie di funzioni essenziali<br />
per il nostro organismo. Solo partendo da questo punto possiamo capire che cosa succede<br />
nella fisiopatologica del diabete.<br />
Rendere totale la prospettiva d’azione allentando la totalità della presa in carico<br />
È un punto estremamente delicato. Come si può tacciare di riduttivismo la psichiatria manicomiale,<br />
quando in fondo si prendeva carico in tutto e per tutto del malato mentale Per un<br />
certo periodo anche la psichiatria più avanzata e caratterizzata in senso territoriale ha sentito<br />
il peso di quella delega totale che la comunità aveva affidato all’istituzione manicomiale. Si<br />
sono create opportunità residenziali e lavorative invidiabili, ma sempre in qualche modo<br />
all’interno del circuito psichiatrico, vi sono state oscillazioni da un lato fra atteggiamenti di<br />
oblatività e un impegno che andava ben al di là del mandato istituzionale, e dall’altro il chiudersi<br />
rigidamente dietro le proprie competenze tecniche. D’altra parte la comunità non ha<br />
facilitato le cose, come quando si dice che un paziente è seguito dal CIM, alludendo in qualche<br />
modo ad una responsabilità totale dell’istituzione: nessuno farebbe affermazioni del genere<br />
su di un libero cittadino che necessita di cure odontoiatriche.<br />
La questione, come detto, è delicata, perchè il contraltare di questi atteggiamenti può essere<br />
l’abbandono quasi totale, come si è verificato in certi paesi occidentali. Probabilmente anche<br />
in questo caso la soluzione risiede, più che in scelte di campo dicotomiche, nel soppesare<br />
attentamente degli equilibri sottili che si giocano fra bisogni assistenziali, competenze specifiche,<br />
autonomie dell’individuo e responsabilità della collettività. E’ chiaro che del problema,<br />
che resta primariamente un problema sociale, se ne dovrebbe fare idealmente carico la comunità<br />
nella sua interezza, con un grado di specificità che aumenti a seconda del livello delle<br />
competenze richieste. Altrimenti l’integrazione, quella del malato mentale nella società, verrà<br />
rinviata indefinitamente. E’ anche chiaro che non si tratta solo di una questione di politiche<br />
assistenziali e sanitarie, ma eminentemente culturale, e va a toccare l’accettazione verso la<br />
diversità, o sarebbe meglio dire verso un certo tipo di diversità che evidentemente più di tante<br />
altre fatica ad inserirsi nel novero di una società pluralista e apparentemente tollerante verso<br />
tanti modi di essere minoritari.<br />
Tecnica e fattore umano<br />
Ci si rende conto sempre di più dell’importanza del cosiddetto fattore umano, dell’impossibilità<br />
di ridurre a tecnica un intervento che, sia per quanto riguarda chi lo fa che chi ne usufruisce,<br />
deve rimanere il più possibile a misura d’uomo. Ciò accade nei campi più disparati,<br />
<strong>dalla</strong> riabilitazione all’utilizzo del volontariato e di risorse non strettamente psichiatriche, al<br />
3 4 B O O K S E I
Complessità<br />
e integrazione:<br />
parole vuote<br />
o percorsi possibili<br />
coinvolgimento dei familiari e della rete sociale, e perfino al campo per definizione più tecnico,<br />
quello delle psicoterapie e della relazione terapeutica in senso specifico.<br />
È possibile, anzi probabile, che anche in futuro si consoliderà l’importanza di quell’aspetto<br />
della terapia che attiene all’interazione fra persona e persona. Questo pone degli inevitabili<br />
problemi dal punto di vista concettuale, perchè significa mettere in campo qualcosa che nè la<br />
più approfondita analisi e ricerca personale nè le più sofisticate conoscenze sul funzionamento<br />
emotivo e cognitivo possono riuscire ad incasellare in una struttura concettuale di riferimento.<br />
E’ difficile teorizzare l’intuizione, i fattori motivazionali, il famigerato e potentissimo<br />
buon senso, ed è ancor più difficile teorizzare la relazione fra buon senso e tecnica, capire<br />
come chiunque di noi riesca ad imbrigliare in una rete intricatissima ma spesso efficace le<br />
più disparate conoscenze teorice e pratiche di cui dispone.<br />
Di questo se ne occuperà forse qualcuno in un futuro lontano. Per il momento possiamo<br />
accontentarci del fatto che, come si diceva, la pratica quotidiana e quindi le nostre risorse personali<br />
e collettive, costituiscono uno dei vettori più importanti di quell’integrazione che<br />
andiamo ricercando. Perdipiù, molte volte l’integrazione si realizza nel singolo caso e nella<br />
singola relazione, ed è possibile che anche quando le nostre conoscenze saranno sensibilmente<br />
progredite ci troveremo ancora di fronte a questo problema, e non potremmo ridurre<br />
a scienza e a tecnica ciò che resterà sempre, almeno in parte, un’arte.<br />
B O O K S E I 35
3 6 B O O K S E I
Attività dei<br />
servizi<br />
psichiatrici<br />
del<br />
Distretto Nord<br />
Attività dei<br />
servizi<br />
psichiatrici<br />
del<br />
Distretto Nord<br />
1 gennaio 1977<br />
31 dicembre 1996<br />
di<br />
L’attività dei presidi psichiatrici.<br />
Giuseppe Geppini<br />
Fino al momento dell’istituzione della Provincia di Pordenone (1968)<br />
il suo territorio faceva parte integrante della Provincia di Udine.<br />
Era quindi l’O.P.P. di Udine, inaugurato nel 1904, (e per quei tempi<br />
voluto come struttura manicomiale all’avanguardia in ambito nazionale<br />
ed internazionale per l’osservazione e cura” delle malattie mentali),<br />
che costituiva il punto di riferimento cardine della psichiatria<br />
del luogo.<br />
Il ricovero psichiatrico veniva attuato pertanto presso l’O.P. di Udine. Questa circostanza di fatto<br />
è continuata fino all’entrata in vigore della Legge Nazionale di riforma <strong>180</strong>/78, poichè la nuova<br />
Provincia di Pordenone non ha inteso intraprendere l’opera di organizzare un proprio Ospedale<br />
Psichiatrico, bensì quella di orientare l’assistenza specialistica verso le forme di prevenzione,<br />
cura e riabilitazione ambulatoriale e domiciliare. Dal 1975 in tutta la Provincia di Pordenone<br />
operavano varie sedi del Centro d’Igiene Mentale, istituito nel 1972 per le finalità sopra esposte,<br />
con apertura feriale diurna alcuni giorni la settimana nelle sedi più periferiche, tutti i giorni feriali<br />
presso quella centrale. In precedenza, anni’60, a partenza dall’O.P.P. di Udine, gli operatori psichiatrici,<br />
in forza presso quel presidio, assicuravano l’apertura periodica di un dispensario psi-<br />
Giuseppe Geppini Primario Psichiatra DSM dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> - Pordenone<br />
B O O K S E I 37
Attività dei<br />
servizi<br />
psichiatrici<br />
del<br />
Distretto Nord<br />
chiatrico ambulatoriale, operante a Maniago, per il controllo, quasi esclusivamente farmacologico,<br />
degli utenti che avevano avuto ricoveri in O.P. a Udine.<br />
Questo presidio ha cessato l’attività al momento dell’istituzione del Centro d’Igiene Mentale della<br />
Provincia di Pordenone. Con la riforma sanitaria, avviata sulla base della Legge n.833, istituite<br />
le U.S.L. e comprensive, nella realtà di questo territorio, dei servizi psichiatrici a partenza dal<br />
1.10.1981, le sedi di Maniago e di Spilimbergo del Centro d’Igiene Mentale dell’Amministrazione<br />
Provinciale di Pordenone hanno costituito il Centro di Salute Mentale dell’U.S.L. n.10.<br />
L’unico Servizio ospedaliero di Diagnosi e Cura Psichiatrica provinciale, costituito in relazione<br />
all’approvazione della Legge <strong>180</strong>, nel 1978, è stato situato presso l’O.C. di Sacile, dove permane<br />
anche attualmente. In Regione non operano cliniche specialistiche private, presenti invece nella<br />
vicina Regione Veneto. Per quanto riguarda la composizione del personale in servizio presso il<br />
Centro di Salute Mentale del Distretto Nord si possono riconoscere le seguenti fasi evolutive.<br />
Inizialmente (anno 1977-78) ciascuna delle due Èquipe ambulatoriali, quella di Maniago e quella<br />
di Spilimbergo, comprendevano in servizio: un medico psichiatra, uno psicologo o un’animatrice<br />
sociale, un’assistente sociale, un’assistente sanitaria visitatrice, due infermieri psichiatrici ed<br />
un agente tecnico. Si trattava in tutti i casi di personale neoassunto, che non aveva mai operato<br />
presso un ospedale psichiatrico, se non come tirocinio di preparazione.<br />
Un significativo aumento del personale infermieristico è intervenuto alla fine del 1978, anche in<br />
questo caso costituito da operatori giovani, di nuova assunzione, senza esperienza precedente in<br />
campo psichiatrico, ma che ha permesso l’estensione del servizio alle dodici ore diurne dal lunedì<br />
al venerdì. I due gruppi così costituitisi si sono formati attraverso la partecipazione a corsi all’uopo<br />
individuati ed attraverso il continuo confronto e la discussione sull’attività quotidianamente<br />
svolta. A partire dal 1984 in ciascuna Èquipe di lavoro si è provveduto ad inserire un secondo<br />
medico psichiatra e a rinnovare gli operatori che via via stavano cessando il servizio o passavano<br />
ad altri presidi dell’U.S.L.<br />
Questo processo si è protratto per un quadriennio durante il quale tutti gli operatori cessati sono<br />
stati sostituiti con infermieri professionali neoassunti che si sono ben integrati nel lavoro.<br />
Nel 1986 è stata potenziata l’attività di day-hospital, già attiva dagli anni precedenti presso ciascuna<br />
sede ambulatoriale. Successivamente, dicembre 1993, ha preso avvio l’attività del Centro<br />
di accoglimento Diurno-Notturno (Centro 24ore) operante continuativamente nelle 24ore, dotato<br />
di due posti letto, poi divenuti otto a far data dal luglio 1996, ed ora in corso di ulteriore<br />
ampliamento.<br />
All’apertura del Centro 24ore si è affiancata la reperibilità medico-psichiatrica notturna e festiva,<br />
a completamento della presenza medica già estesa a copertura delle dodici ore diurne.<br />
L’adozione di tali provvedimenti si collega con il sensibile aumento degli operatori in forza al Servizio:<br />
vi è stato infatti un incremento del numero dei medici in organico ed è stata completata la<br />
copertura di dodici posti di infermieri che ha consentito di procedere all’apertura del Centro<br />
24ore. In questa struttura, infatti, viene assicurata una presenza continuativa, in servizio, di due<br />
unità infermieristiche, di un medico per cinque ore diurne, e di uno psicologo per tre ore die,<br />
dal lunedì al venerdì.<br />
Presso il Centro 24ore trova collocazione temporaneamente anche il Centro Diurno, in attesa di<br />
altra più conforme ubicazione, in risposta ad un bisogno di residenzialità diurna più esteso di<br />
quello attualmente soddisfacibile.<br />
Il Registro Psichiatrico dei Casi e la registrazione dell’attività del Servizio.<br />
L’attività psichiatrica svolta presso i servizi del territorio e gli accessi di utenti di questo territorio<br />
presso altre agenzie psichiatriche, sono documentati attraverso un sistema di registrazione,<br />
continuamente aggiornato, che costituisce il Registro Psichiatrico dei Casi.<br />
3 8 B O O K S E I
Attività dei<br />
servizi<br />
psichiatrici<br />
del<br />
Distretto Nord<br />
Per ciascun utente che viene in contatto con le citate agenzie specialistiche, viene redatta una<br />
Scheda Epidemiologica Individuale dove si annotano:<br />
- dati di carattere generale: nome, età, sesso, stato civile, scolarità, residenza, collocazione socioambientale,<br />
professione, esperienza di emigrazione, ecc;<br />
- dati più specifici: riguardanti l’accesso al presidio consultato: invio, medico di libera scelta,<br />
motivazione, modalità; life events, la sede dell’intervento, gli operatori di riferimento, la diagnosi<br />
formulata, la rilevazione di eventuali disturbi psichiatrici precedenti e le cure effettuate,<br />
le indicazioni terapeutiche, l’intervento di altri servizi;<br />
- dati riguardanti i contatti successivi: data, sede dell’intervento, modalità e tipologia dell’intervento,<br />
operatori intervenuti;<br />
- dati riguardanti i ricoveri in reparti specialistici: durata e forma del ricovero, accoglimento<br />
presso centri diurni o diurno-notturni.<br />
Il Registro dei Casi Psichiatrici del territorio del Distretto Nord prende avvio a partire dal<br />
1.1.1977 e da allora continuamente viene aggiornato con gli elementi sopracitati.<br />
I dati riguardanti i contatti di ogni utente, che si presenta presso le sedi del C.S.M., sono dapprima<br />
registrati nel Registro dell’Attività Giornaliera, presente presso ciascuna sede, a cura degli<br />
operatori del presidio che intervengono ad accogliere la domanda e ad attuare il programma di<br />
cura specialistico.<br />
Il Registro dell’Attività Giornaliera, aggiornato giornalmente, documenta il nome dell’utente, il<br />
luogo dove il servizio interviene in suo favore, le modalità dell’intervento, il tipo di intervento<br />
attuato, l’eventuale circostanza d’urgenza, gli operatori che intervengono; mentre nell’ambito<br />
della prima segnalazione e del primo contatto vengono registrati, su di un’apposita porzione della<br />
Cartella Clinica del paziente, i dati di carattere generale e i dati più specifici, come descritti in<br />
premessa a proposito del Registro dei Casi.<br />
Il Registro dell’Attività Giornaliera è stato concepito, inoltre, per consentire la documentazione<br />
di tutti quegli interventi non rivolti direttamente al singolo utente ma che fanno riferimento alle<br />
attività di prevenzione, formazione, ricerca, supervisione di carattere più complessivo, svolta<br />
presso le sedi del servizio ed al di fuori di esse (scuole, comunità, ecc.).<br />
Gli elementi documentali, annotati nei Registri delle Attività Giornaliere e sulle Cartelle Cliniche<br />
degli utenti, vengono riportati a cadenza settimanale sulla Scheda Epidemiologica Individuale,<br />
relativa a ciascun utente, conservata presso la sede del Registro dei Casi.<br />
Analisi dell’attività del Servizio dal 1977 al 1996.<br />
I nuovi accessi al Servizio mostrano un andamento stabile dal 1977 al 1986, in questo periodo<br />
la media annua si attesta alle 133 unità e rappresentano oltre un terzo dell’utenza totale annua.<br />
Il dato conferma come in questa fase il Servizio venga individuato come presidio sanitario specialistico<br />
dell’area territoriale su cui opera, sia dalle altre strutture sanitarie che dagli utenti, ma<br />
ritenuto deputato essenzialmente alla cura dei disturbi psichiatrici di rilevante entità nonchè<br />
cronici.<br />
Seppur esiguo per quanto riguarda il numero degli operatori, era riuscito ad essere presente nelle<br />
situazioni di maggior bisogno ed a rappresentare un livello di interlocuzione nei confronti della<br />
domanda psichiatrica prima indirizzata direttamente all’O.P.P. di Udine.<br />
Si assisteva quindi alla frequenza degli ambulatori, di molti utenti che già avevano avuto esperienza<br />
di ricovero presso l’O.P. di Udine ma avevano potuto altresì rientrare al loro domicilio ed<br />
essere sostenuti, anche con contributo di tipo economico, nella permanenza nel loro ambiente<br />
famigliare e sociale.<br />
B O O K S E I 39
Attività dei<br />
servizi<br />
psichiatrici<br />
del<br />
Distretto Nord<br />
Il C.S.M. in quegli anni operava con costanza anche presso l’O.P.P. di Udine al fine di raggiungere<br />
meglio l’utenza ivi pervenuta e favorire l’espletamento di tutte quelle azioni idonee a consentirne<br />
il rientro a casa. Peraltro, l’ambulatorio territoriale accoglieva altresì richieste d’intervento<br />
urgente di primi invii e si muoveva con tempestività a livello domiciliare.<br />
Fra i primi accessi al C.S.M., nel periodo citato (1977/1986), vi sono comprese tuttavia anche<br />
persone con disagio psichico meno rilevante e meno disturbante, che cominciavano ad individuare<br />
il Centro come servizio specialistico di secondo livello, in luogo alle Case di Cura, lontane<br />
da questo territorio, e dei Reparti di Neurologia, per prestazioni continuative ambulatoriali in<br />
condizioni di non ricovero.<br />
L’intervento della Legge di Riforma del Sistema Psichiatrico <strong>180</strong>/78 aveva contribuito a convogliare<br />
verso il Sevizio territoriale l’utenza che in precedenza afferiva direttamente all’O.P.P. (non<br />
si contano infatti che rarissimi casi di nuovi utenti indirizzati direttamente al neo costituito<br />
S.O.D.C.P. dell’Ospedale Civile di Sacile, provenienti da questo territorio), ma anche a restringere<br />
la possibilità di ricovero per patologie psichiatriche, degli Ospedali Civili Provinciali più frequentati,<br />
quello di Pordenone e quello di Udine, e presso le Divisioni di Neurologia.<br />
L’impatto, a livello culturale, del passaggio da una cura-controllo del disturbo psichiatrico, attuata<br />
di norma in condizioni di degenza ospedaliera, ad una gestione della medesima con netta predominanza<br />
del momento territoriale ambulatoriale e domiciliare, seppur preceduta dalle già citate<br />
esperienze di un C.I.M. sorto ben in anticipo (1972) rispetto ai tempi della riforma e precorritore<br />
degli stessi, connotava intensamente l’attività quotidiana. Si esprimeva in ripetuti e talora<br />
aspri dissidi fra operatori e famiglie, con estenuanti itinerari di rassicurazione, di sostegno e di<br />
spiegazioni nei confronti degli utenti e dei loro congiunti, in un continuo lavoro di proposizione<br />
di quanto poteva effettivamente essere fatto, a beneficio del malato, se si poneva attenzione alla<br />
sua essenza di persona umana sofferente, piuttosto che al timore della distruttività e pericolosità<br />
temuta nei sintomi e nei segni di non facile comprensione, anche perchè troppo a lungo relegati<br />
e sottratti alla conoscenza comune.<br />
Si fa strada l’idea di un centro specialistico per i problemi di natura psichica che vede l’affluenza<br />
di una domanda riguardante anche problematiche di natura psicologica e psichiatrica che mai<br />
avrebbero varcato la porta dell’O.P.P. Una quota considerevole di tale utenza veniva inviata al<br />
Centro dai reparti dell’Ospedale Civile zonale, dove si rilevava allora una notevole presenza ed<br />
attività dell’équipe territoriale.<br />
Ciò aveva contribuito a consolidare un rapporto di conoscenza e di fiducia reciproca.<br />
Un’altra quota d’utenza giungeva dai medici di famiglia con i quali si andava instaurando un programma<br />
di scambio continuativo.<br />
Le azioni intraprese portavano ad un netto miglioramento delle relazioni con i medici di base, la<br />
cui partecipazione nell’invio dell’utente andava via via aumentando nel tempo, avvisaglia della<br />
sostanziale evoluzione che avrebbe interessato il C.S.M., documentata anche a proposito dei nuovi<br />
accessi, col divenire parte integrante dei presidi dell’U.S.L. del territorio.<br />
La suddivisione del territorio provinciale in quattro U.S.L. data al 1981 e diviene operativa<br />
durante il 1982. Gli anni che vanno dal 1982 al 1984 si devono considerare un periodo durante<br />
il quale i diversi servizi, confluiti nell’U.S.L., riordinano le loro reciproche relazioni, improntate<br />
alla mutata dimensione spazio-temporale della loro vicinanza ed interrelazione e di quella del<br />
loro nuovo ed unico interlocutore politico-amministrativo. Si assiste, per quanto riguarda il<br />
C.S.M., al progressivo avvicinamento agli altri presidi sanitari e sociali dell’area, inserito in una<br />
pianificazione unitaria ed interdipendente con gli stessi, che il territorio assume come propria,<br />
non più delegata al capoluogo provinciale. Per quanto concerne il C.S.M. questo processo coincide<br />
con l’assunzione, da parte dell’organo di gestione, di un programma di sviluppo e che si può<br />
riassumere per brevità nei seguenti capitoli:<br />
1) dotazione di nuove e più adeguate sedi, che vengono inaugurate nel marzo 1986;<br />
4 0 B O O K S E I
Attività dei<br />
servizi<br />
psichiatrici<br />
del<br />
Distretto Nord<br />
2) ampliamento delle possibilità delle risposte terapeutiche, riabilitative con revisione dell’organizzazione<br />
dell’attività di day-hospital che diviene attività continuativa e stabilmente struttura a<br />
partire dall’agosto 1985;<br />
3) potenziamento dell’organico del Servizio sia per quanto riguarda sia le figure direttive che<br />
infermieristiche;<br />
4) estensione delle giornate prefestive e festive dell’apertura del Servizio con presenza medica ed<br />
infermieristica (febbraio 1986);<br />
5) potenziamento dell’assistenza medico psichiatrica agli utenti delle Case di Riposo del territorio<br />
(1986);<br />
6) coordinamento del Servizio con gli altri Servizi Sanitari e Sociali operanti nell’area del sociale,<br />
per l’assistenza domiciliare agli anziani ed invalidi, in particolare con il Gruppo Operativo Tossicodipendenze<br />
(1985);<br />
7) ampliamento delle possibilità di accesso ed iniziative locali di appoggio per l’utenza specie nel<br />
versante della riabilitazione lavorativa (borse di lavoro presso i Comuni, ecc,).<br />
Il processo di avvicinamento del C.S.M. agli altri presidi territoriali locali e di riconoscimento del<br />
medesimo, inserito nel contesto della programmazione sanitaria dell’area, trova riscontro nella<br />
mutata immagine che si evidenzia a partire dall’inserimento nella U.S.L.<br />
Dal 1986 a tutt’oggi, si assiste al raddoppio della quota di nuovi accessi al Servizio, che passano<br />
da una media di 133 annui nel periodo 1977/1986 ad una media di 208 annui nel periodo<br />
1987/1996, senza che peraltro si modifichi la quota dei nuovi invii dai reparti dell’Ospedale Civile<br />
zonale di Maniago e di Spilimbergo, che rimane attestata intorno alle 45 unità annue per tutto<br />
il periodo considerato (1977/1996).<br />
Con una maggiore presenza specialistica nelle strutture per anziani da parte del Servizio, si assiste,<br />
inoltre, ad un sensibile aumento dei nuovi accessi, provenienti da dette strutture. La tabella<br />
I, relativa alla descrizione dell’utenza, dimostra come i nuovi accessi rappresentino nel 1977 circa<br />
1/3 dell’intera utenza annua e da allora il dato rimanga costante fino ad ora, evidenziando che,<br />
mentre cresce il numero delle nuove ammissioni, aumenta parimenti il numero di persone<br />
annualmente in carico, numero che quasi si raddoppia nel decennio 1987-96 rispetto a quello<br />
precedente.<br />
UTENTI IN CARICO E PRIMI ACCOGLIMENTI AL C.S.M. (Tab.1)<br />
anni 1977 - 1986 anni 1987 - 1996<br />
utenti in carico<br />
numero medio/valore% 413 100% 666 100%<br />
maschi<br />
numero medio/valore% 182 44.2% 268 40.1%<br />
femmine<br />
numero medio/valore% 231 55.9% 398 59.1%<br />
prosecuzioni<br />
numero medio/valore 254 61.7% 386 57.9%<br />
recidive<br />
numero medio/valore% 26 6.2% 72 10.8%<br />
primi accoglimenti<br />
numero medio/valore% 133 32.2% 208 31.2%<br />
maschi<br />
numero medio/valore% 55 41.3% 87 41.5%<br />
femmine<br />
numero medio/valore% 78 58.7% 121 58.5%<br />
B O O K S E I 41
Attività dei<br />
servizi<br />
psichiatrici<br />
del<br />
Distretto Nord<br />
Dei nuovi accessi annui il 30% circa rimane in cura per oltre un anno, questa quota diminusce<br />
ancora sensibilmente dopo il secondo anno, per poi decrescere molto più lentamente, oltre il terzo<br />
anno, negli anni successivi.<br />
A partire dal quinto anno <strong>dalla</strong> data di primo accoglimento il 9,7 in media, dei primi accolti, resta<br />
all’attenzione del Centro e prosegue per oltre dieci anni.<br />
Le nuove ammissioni annue rappresentano lo 0,4% della popolazione residente nell’area, mentre<br />
gli utenti annualmente in carico costituiscono l’1,2% nel decennio 1986-97 ( per utenti in<br />
carico annuale si devono intendere tutte le persone che hanno avuto almeno un accesso e quindi<br />
una valutazione specialistica nell’anno).<br />
Nel decennio precedente erano lo 0,2% e lo 0,7% rispettivamente.<br />
I nuovi accessi si caratterizzano ora in modo nettamente diverso da quelli del decennio passato;<br />
non si tratta più di persone con storia istituzionale psichiatrica, ma di utenti che si presentano al<br />
C.S.M. al primo apparire dei disturbi, ovvero dopo aver consultato altri specialisti e non aver trovato<br />
risposta soddisfacente alle loro difficoltà.<br />
Parallelamente all’integrarsi del Servizio di Salute Mentale nel contesto degli altri servizi, si è consolidato<br />
nella popolazione un significativo mutamento culturale, in relazione alle problematiche<br />
connesse con il disagio psichico, mutamento promosso da molteplici fattori e circostanze.<br />
Sebbene perdurino preconcetti e fantasmi ancora grossolani, inerenti l’assistenza psichiatrica,<br />
pur tuttavia si assiste alla proposizione da parte dei pazienti e dei loro famigliari di domande di<br />
assistenza e di riabilitazione che risentono del percorso culturale, avviato in quei primi anni cruciali<br />
della costituzione del presidio territoriale, mentre tutto il Paese viveva l’esperienza della trasformazione<br />
del manicomio.<br />
Se tuttavia è scomparsa l’utenza con storia manicomiale ciò non di meno permangono situazioni<br />
connotate da gravissime condizioni di povertà nei rapporti, nelle risorse, nelle prospettive, che<br />
ripropongono costantemente e riformulano sempre aggiornate esigenze di attenzione ai bisogni<br />
primari, soprattutto affettivi, ancora largamente disattesi.<br />
Ne è conferma il dato che vede un incremento sensibile nel decennio 1987/96 rispetto al decennio<br />
precedente, degli utenti che restano in carico, senza poter uscire dal circuito psichiatrico e,<br />
parimenti, il dato relativo alle recidive, anche se quest’ultimo rimane pressochè costante, come<br />
valore assoluto, di circa 70 utenti annui, a partire dal 1990.<br />
Se per quanto riguarda la zona di residenza appare facilmente intuibile come siano favorite nell’accesso<br />
le persone che risiedono nei comuni dove il presidio stesso ha sede o in quelli più prossimi,<br />
una considerazione si impone in riferimento alle fasce d’età.<br />
L’affluenza risulta notevolmente più elevata nel decennio 1987/96 per le persone ultra sessantacinquenni<br />
e già lo era, seppur in percentuale minore, nel decennio precedente, sia per quanto<br />
riguarda i primi accoglimenti che gli utenti in carico, a differenza di quanto si osserva per le altre<br />
fasce d’età dove non si notano sostanziali differenze, nel valore percentuale, di un gruppo rispetto<br />
all’altro.<br />
Questo dato si collega con l’aspetto dell’assistenza specialistica psichiatrica assicurata alle strutture<br />
per anziani; ben il 16% dell’intera utenza annua, infatti, è costituito da ospiti delle Case di<br />
Riposo nel decennio 1987/96, contro il 3% del periodo precedente.<br />
Ha attinenza, tuttavia, anche al più generale processo di invecchiamento della popolazione dell’area.<br />
Il considerevole aumento riguarda, inoltre, prevalentemente utenti di sesso femminile anche in<br />
ragione della loro maggiore durata della vita media.<br />
Si fa più profondo il divario numerico fra assistiti vedovi (circa metà del totale degli assistiti nel<br />
decennio 1987/96) rispetto alle altre categorie, con il conseguente aumento delle persone pensionate<br />
(Tab. II).<br />
4 2 B O O K S E I
Attività dei<br />
servizi<br />
psichiatrici<br />
del<br />
Distretto Nord<br />
UTENTI IN CARICO AL C.S.M.: STATO CIVILE E ATTIVITA’ LAVORATIVA (Tab. II)<br />
anni1 977 -1986 anni 1987 - 1996<br />
utenti in carico<br />
numero medio/valore% 413 100% 666 100%<br />
non coniugati<br />
numero medio/valore% 238 57.6% 204 31.5%<br />
coniugati<br />
numero medio/valore% 98.8 23.9% 136 20.3%<br />
vedovi / separati<br />
numero medio/valore% 78.1 18.5% 319 48.2%<br />
senza occupazione<br />
numero medio/valore% 39.4 9.5% 88 14.1%<br />
occupati<br />
numero medio/valore% 148 35.8% 211 32%<br />
pensionati<br />
numero medio/valore% 227 54.7% 360 53.9%<br />
Sotto il profilo numerico annotiamo come il 60% del totale degli utenti in carico annuale sia<br />
costituito da donne; questo dato costituisce la media registrata nel decennio 1987-96 ed evidenzia<br />
un incremento del 4%, rispetto alla media del decennio precedente (1977-86), della popolazione<br />
femminile assistita. La percentuale delle donne che afferiscono per la prima volta al Centro<br />
rimane costante rispetto ai maschi nei due decenni considerati e si situa attorno al 58% del<br />
totale dei primi accoglimenti annui, mentre varia la percentuale delle donne che restano in carico<br />
da un’anno all’altro, dove si riscontra, appunto, un ulteriore lieve aumento della percentuale<br />
delle donne rispetto ai maschi.<br />
L’incremento percentuale della popolazione femminile, rispetto a quella maschile, riguarda<br />
essenzialmente la classe di età di coloro che hanno superato i 65 anni.<br />
Per tutte le altre classi di età il numero medio di utenti in carico, maschi e femmine, risulta assolutamente<br />
sovrapponibile, lo scostamento comincia ad evidenziarsi con il 56° anno di età e diventa<br />
rilevante oltre il 65°. Gli utenti maschi e femmine che hanno 18 - 25 anni costituiscono la classe<br />
meno numerosa, se confrontata con quelle degli utenti di ogni altro decennio superiore.<br />
A fronte di 45 giovani di età compresa fra i 18 e 25 anni si hanno 80 persone di 26 - 35 anni, 100<br />
di 36 - 45 anni, 120 di 46-55 anni, fino a giungere ai 56 anni, quando il numero medio di assistiti<br />
rimane di circa 110, ma il divario fra maschi e femmine si sposta a favore delle donne, per<br />
toccare livelli molto elevati nella classe di età successiva, dove il dato relativo al numero di donne<br />
assistite diviene triplo rispetto a quello degli uomini, per un valore totale della coorte di 220<br />
persone.<br />
Analogo andamento si riscontra analizzando i dati relativi ai primi accoglimenti.<br />
Si documenta una differenza netta fra utenza maschile e femminile in riferimento allo stato civile.<br />
Gli utenti maschi del servizio per il 60% sono non coniugati, per il 30% coniugati per il 10%<br />
vedovi. È possibile quindi attribuire alla circostanza del non essere coniugati un ruolo favorente<br />
per l’insorgenza di problemi psichici e per il loro perdurare.<br />
Avere accanto una donna costituisce per l’uomo elemento di realizzazione personale oltre che<br />
aiuto ed assistenza in età senile. Le utenti donne del servizio sono invece non coniugate, coniu-<br />
B O O K S E I 43
Attività dei<br />
servizi<br />
psichiatrici<br />
del<br />
Distretto Nord<br />
gate e vedove in percentuali quasi sovrapponibili. L’essere quindi sole si evidenzia come l’aspetto<br />
favorente l’insorgenza di difficoltà psicologiche, mentre l’essere o l’essere state coniugate non<br />
assicura quella maggiore protezione che si riscontra nel caso dei maschi.<br />
Il ruolo rivestito dall’attività lavorativa, conferma come la maggioranza degli utenti del servizio<br />
non svolga un’attività lavorativa, ma questa condizione è nuovamente più presente per le donne.<br />
Si osserva infatti che, a fronte del 40% degli utenti maschi che risultano occupati, solo il 25%<br />
delle donne mantiene un’occupazione e doppia è la percentuale delle donne giovani, in carico al<br />
servizio, non occupate, rispetto ai maschi.<br />
Il lavoro, quale elemento che concorre a costituire la propria identità, diviene meno accessibile<br />
alle donne fin <strong>dalla</strong> giovinezza e più oltre con la maternità, in considerazione anche del fatto che<br />
il lavoro delle casalinghe non comporta retribuzione e spesso neppure altro riconoscimento.<br />
Considerando i profili diagnostici, riassunti nella Tab. III, si rilevano altre annotazioni importanti.<br />
Sebbene le patologie che richiedono un elevato impegno assistenziale specialistico (le psicosi)<br />
colpiscono i due sessi in percentuale sovrapponibili, l’utenza in carico al servizio, affetta da<br />
tali forme, è costituita in percentuale sensibilmente più numerosa da maschi.<br />
Non appariranno prive di fondamento al riguardo le circostanze che vogliono la donna subire<br />
con maggiore rassegnazione, sia da parte dell’ammalata che del proprio ambiente, il ruolo dell’invalida,<br />
ovvero sospinta ad adattarsi a compiti umili in seno all’ambiente domestico, ovvero<br />
infine assolutamente preclusa a dimostrare il proprio disagio in forme che arrechino disturbo<br />
sociale. La stigmatizzazione di eventuali comportamenti socialmente disturbanti colpisce più<br />
profondamente la donna, ne discende che il ricovero in reparti specialistici interessa in maggiore<br />
misura utenti maschi, mentre quello presso reparti di medicina generale o cliniche private vede<br />
presenti in maggior numero le donne.<br />
La percentuale delle donne assistite dal Centro appare quasi doppia rispetto a quella degli uomini<br />
in riferimento alle patologie nevrotiche.<br />
UTENTI ANNO 1996 DISTINTI PER DIAGNOSI (Tab.III)<br />
n. assistiti % totale assistiti<br />
psicosi schizofreniche<br />
uomini/donne 52 59 6.9% 7.9%<br />
psicosi deliranti croniche<br />
uomini/donne 36 52 4.8% 6.9%<br />
depressione maggiore<br />
uomini/donne 34 57 4.5% 7.6%<br />
disturbi di personalità<br />
uomini/donne 32 21 4.3% 2.8%<br />
nevrosi d’ansia<br />
uomini/donne 14 32 1.9% 4.3%<br />
nevrosi isterica<br />
uomini/donne 5 39 0.7% 5.2%<br />
nevrosi fobica<br />
uomini/donne 16 28 2.1% 3.8%<br />
nevrosi ossessiva<br />
uomini/donne 5 5 0.7% 0.7%<br />
nevrosi depressiva<br />
uomini/donne 35 44 4.8% 5.9%<br />
altre diagnosi<br />
uomini/donne 82 99 10.8% 13.4%<br />
4 4 B O O K S E I
Attività dei<br />
servizi<br />
psichiatrici<br />
del<br />
Distretto Nord<br />
Le problematiche che rivestono la sfera del corpo, dell’aspetto esteriore, in una società che tanto<br />
lo apprezza, dell’immagine da proporre, del giudizio positivo da ricercare agli occhi degli<br />
altri, attanagliano spesso la donna in un conflitto doloroso e logorante.<br />
Ed accanto a queste, assai numerose, quelle che si collegano ai temi della paura, dell’inibizione<br />
delle possibilità di esplorazione, dove piuttosto agevolmente si intravedono le derivazioni culturali<br />
che sono sottese e che le alimentano. La comunicazione attraverso il corpo e l’aspetto esteriore,<br />
da un lato, la misura e la padronanza di sè dall’altro, come aspetti talora antitetici, difficili<br />
da modulare in armonia con i movimenti della vita interiore, si ripropongono come problema<br />
che inibisce l’agire o lo relega ad una lotta con il cibo. Se il dato relativo all’utenza ambulatoriale,<br />
in netta espansione e con notevole turnover da un anno all’altro, trova spiegazione<br />
nelle considerazioni sull’evoluzione dell’immagine del Servizio, più sopra esposte, e sullo sviluppo<br />
dell’attività specialistica e di consulenza, alcune riflessioni si impongono a proposito dell’attività<br />
domiciliare.<br />
Il numero degli utenti seguiti con interventi domiciliari, numero che rimane costante durante tutto<br />
il periodo considerato, è dato in media da circa 150 persone ogni anno. Tale popolazione costituisce,<br />
nel primo decennio, la metà dell’utenza totale annua, ma nel secondo solo un quarto di<br />
essa. Solo la metà di costoro viene tuttavia assistita con programmi di cura che prevedono la prevalenza<br />
del momento domiciliare e tale condizione viene inoltre valutata attualmente con maggiore<br />
attenzione rispetto al passato. Il numero complessivo dei programmi prevalentemente<br />
domiciliari tende quindi a decrescere sensibilmente nel secondo decennio rispetto al primo.<br />
In diverse situazioni si dimostra più incisivo l’accoglimento presso il Centro Diurno-Notturno,<br />
con possibilità di degenza anche per periodi prolungati; attuato con modalità di trattamento<br />
comunitario, protettivo per l’assistito e che riordina ritmi e modalità disturbate di relazione.<br />
L’attività del Centro Diurno vede la partecipazione media annua di 60 utenti (nel secondo decennio),<br />
per una presenza di 4000 giornate annue circa.<br />
Il Centro Diurno offre possibilità di socializzazione, di animazione, di apprendimento dell’uso<br />
di materiali diversi per la costruzione di oggetti, di partecipazione ad iniziative ricreative concordate,<br />
di espressione personale e di stimolo. La presenza di una animatrice funge da guida alle<br />
diverse opportunità, di regola ritmate nel corso della settimana, mentre gli operatori sanitari attivano<br />
il collegamento fra i membri, rilevando le difficoltà e favorendo il superamento delle tensioni.<br />
In questa accezione il Centro Diurno costituisce luogo di aggregazione, di scambio, di contatto,<br />
idoneo a prevenire la completa esclusione ed emarginazione dal contesto sociale, capace di<br />
fungere da facilitatore nelle relazioni e quindi di costituire momento di accoglienza e di riconoscimento<br />
di ogni partecipante, nelle proprie peculiarità, rilevatore di bisogni o di condizioni critiche.<br />
L’utenza è costituita da persone con storie psichiatriche importanti, spesso in età ancora<br />
relativamente giovane, sole o con scarso sostegno ambientale, inidonee a sostenere un’attività di<br />
lavoro. L’inserimento al Centro Diurno consente, per questa tipologia di assistiti, una contrazione<br />
del bisogno di ricovero psichiatrico ed anche di cure ambulatoriali e domiciliari, limitando l’uso<br />
intenso di psicofarmaci. Di significato chiaramente sanitario, invece, l’accoglimento diurnonotturno<br />
si indirizza ad utenti in condizioni di scompenso, quale modalità di trattamento sostitutivo<br />
del ricovero ospedaliero. Attualmente sono circa venti gli utenti che beneficiano del ricovero,<br />
per un totale di 2900 giornate complessive annue di degenza.<br />
Dal momento che i posti disponibili nella struttaura sono otto vi è la possibilità di prevedere<br />
all’occorrenza anche periodi di soggiorno prolungati, nella prospettiva di favorire il raggiungimento<br />
di condizioni generali e cliniche tali da evitare il ripetersi delle difficoltà e dei ricoveri.<br />
Per la maggior parte gli accolti sono gli stessi che sono stati in precedenza ripetutamente ammessi<br />
al Servizio Ospedaliero Diagnosi e Cura Psichiatrica (SODC), senza raggiungere condizioni di<br />
stabilità psichica, soprattutto in relazione a gravi perturbazioni ambientali. Il rischio che viene<br />
maggiormente temuto in questo caso riguarda il transitare da una dimensione di necessaria<br />
B O O K S E I 45
Attività dei<br />
servizi<br />
psichiatrici<br />
del<br />
Distretto Nord<br />
dipendenza dal Servizio ad una che non consenta di raggiungere nuovamente livelli adeguati di<br />
autonomia dal Servizio stesso. Questo rischio, in psichiatria, è insito in ogni relazione di cura, ma<br />
appare evidentemente più accentuato laddove al paziente viene offerto un supporto globale, che<br />
si esplica in diverse aree di funzionamento personale, alcune delle quali possono risultare poco o<br />
per nulla compromesse dal problema cui ci rivolge con priorità, attraverso l’accoglimento diurno-notturno.<br />
Il pericolo di restare entro una condizione di residenzialità assistita si confronta con un bisogno<br />
molto diffuso nella popolazione, che trova solo parziale risposta attraverso le pur numerose strutture<br />
asilari presenti nel territorio, soprattutto in considerazione della scarsa differenziazione ed<br />
articolazione delle modalità organizzative ed operative delle stesse. Venendo ora ad una riflessione<br />
inerente il ruolo svolto dalle strutture ospedaliere nell’economia complessiva del lavoro psichiatrico,<br />
si coglie innanzitutto la preponderanza dell’Ospedale Civile rispetto al SODCP.<br />
Il ricovero presso il SODCP riguarda pochi assistiti, attualmente il 3% del totale utenti annui e<br />
si mostra in sensibile flessione in questo decennio rispetto al precedente; ma già negli anni precedenti<br />
la Legge di Riforma Psichiatrica <strong>180</strong>/78 si era osservato il progressivo decremento dei<br />
ricoveri in Servizio Ospedaliero Diagnosi e Cura Psichiatric (OPP.), numero che peraltro rimaneva<br />
piuttosto elevato nel 1977 (Tab. IV).<br />
UTENTI IN CARICO AL C.S.M. RICOVERI PRESSO IL S.O.D.C.P. (Tab. IV)<br />
anni 1977 - 1986 anni 1987 - 1996<br />
totali ricoveri SODCP<br />
numero medio/valore% 55.5 100% 33 100%<br />
T.S.O.<br />
numero medio/valore% 12.7 22.8% 5.7 17.7%<br />
utenti ricoverati al SODCP<br />
numero medio/valore% 30.6 100% 20.4 100%<br />
giornate degenza<br />
numero medio 1220 737<br />
degenza media<br />
numero medio 21.9 22<br />
Spesso il ricovero riguarda il medesimo utente (lo si coglie dal numero di ricoveri che risulta quasi<br />
doppio rispetto a quello degli utenti ricoverati), utente che trova difficoltà ad essere accolto<br />
presso l’Ospedale civile zonale, stanti le modalità espressive del suo disturbo.<br />
Si assiste peraltro ad una diminuzione delle giornate di degenza al SODCP nel corso degli anni,<br />
sia per l’intervento della riorganizzazione delle attività di day-night hospital, sia in relazione al<br />
sostegno operato a livello territoriale.<br />
Scarso risulta il ricorso al TSO. a conferma delle azioni messe in atto per favorire l’accettazione<br />
delle cure e dei programmi di riabilitazione proposti.<br />
In analogia a quanto già riportato a proposito dell’utenza domiciliare, anche il numero degli<br />
utenti che ogni anno vengono ricoverati per la prima volta al SODCP risulta molto basso, rispetto<br />
al numero complessivo dei ricoverati nell’anno.<br />
La percentuale di due nuovi accolti per ogni dieci utenti ricoverati al SODCP nell’anno è molto<br />
simile al dato relativo ai nuovi utenti domiciliari annui, rapportato al numero complessivo degli<br />
utenti domiciliari.<br />
Ciò rimanda agli aspetti di povertà e della deriva sociale presenti nell’area, aspetti non compri-<br />
4 6 B O O K S E I
Attività dei<br />
servizi<br />
psichiatrici<br />
del<br />
Distretto Nord<br />
mibili per effetto del solo intervento specialistico. Considerando l’insieme dei pazienti accolti<br />
presso il SODCP ed il Centro Diurno Notturno (30 persone complessivamente) si ricava che lo<br />
0,06% della popolazione dell’area necessita in un anno di ricovero in reparti specialistici psichiatrici.<br />
Le recidive sono maggiormente presenti negli utenti che hanno avuto il primo ricovero<br />
negli anni che vanno dal 1977 al 1979, poichè trattasi di persone con importanti storie manicomiali<br />
alle spalle, per diverse delle quali vi erano stati precedenti ricoveri anche presso l’OPP.<br />
I primi accoglimenti al SODCP degli anni successivi interessano invece prevalentemente utenti<br />
mai ricoverati presso l’Ospedale Psichiatrico, fino al 1990, successivamente solo persone il cui<br />
primo ricovero psichiatrico è rappresentato da quello presso il SODCP.<br />
Di tanto in tanto si riconosce, anche negli anni seguenti il 1979, qualche caso che tende a recidivare<br />
insistentemente nel ricovero al SODCP. Le caratteristiche salienti di tali situazioni rilevano<br />
la presenza di elementi analoghi a quelli riscontrati nel gruppo degli utenti con gravi precedenti<br />
psichiatrici. Viene molto più avvertita a livello territoriale la presenza e l’influenza dell’O.C. zonale,<br />
attraverso i reparti di medicina generale. Un terzo degli utenti in carico al Servizio è ricoverato<br />
ogni anno per problemi psichiatrici nel decennio 1977/86, ma, nel decennio successivo, pur in<br />
presenza di un più elevato numero di utenti ricoverati in O.C., questa percentuale tende a passare<br />
ad un quarto ed ora ad un quinto del totale degli assistiti annui; decresce il numero degli<br />
utenti domiciliari che beneficiano del ricovero, mentre aumentano quelli il cui rapporto col Servizio<br />
ha inizio in seguito al ricovero in ospedale, per poi proseguire a livello ambulatoriale od<br />
esaurirsi nell’ambito del rapporto di consulenza.<br />
Nel corso degli ultimi due anni si assiste ad una sensibile compressione dei ricoveri ospedalieri<br />
presso l’O.C. zonale collegato alla consistente riduzione dei posti letto nei reparti di accoglienza,<br />
in ottemperanza con il piano di revisione della rete ospedaliera regionale.<br />
Un importante capitolo dell’attività del Centro riguarda l’aspetto dell’assistenza economica degli<br />
utenti. Nel primo decennio la sussidiazione a favore degli assistiti costituiva un intervento largamente<br />
applicato, quale incentivo per la permanenza a casa del paziente ed il conseguente contenimento<br />
della durata dei ricoveri in strutture psichiatriche di degenza.<br />
A partire dal 1986 datano i primi inserimenti lavorativi con borsa lavoro; negli anni successivi<br />
aumentano progressivamente fino al livello di 10 utenti inseriti con borsa lavoro, per una spesa<br />
annua di 28 milioni. Questo livello si mantiene da alcuni anni.<br />
Più di recente è stata attivata un’ulteriore articolazione dell’offerta lavorativa, più protetta della<br />
prima e spesso propedeutica a quella, vale a dire l’inserimento sotto forma di incentivo al lavoro,<br />
per un compenso economico inferiore alla borsa lavoro, attuato presso strutture del Servizio<br />
o collegate con esso, condotto da educatori professionali che istruiscono ed accompagnano gli<br />
utenti nelle attività. Attualmente cinque persone beneficiano di tale iniziativa.<br />
Attraverso di essa si intende addestrare nuovamente il paziente ad accedere autonomamente alla<br />
sede di lavoro, al rispetto degli orari di arrivo e partenza, all’esecuzione di attività che rispondano<br />
ad un progetto prestabilito, ad una corretta modalità di rapporto con i colleghi, all’autonomia<br />
operativa, ecc., modalità tutte indispensabili per un reale reinserimento nel mondo del lavoro.<br />
Prima di concludere l’analisi dei dati, prendendo in considerazione gli interventi del Servizio,<br />
giova considerare il profilo dell’utente che emerge in questi ultimi anni (vedi Tab. V).<br />
Dai dati relativi alla diagnosi si ricava che circa 1/3 degli assistiti annui è affetto da psicosi, 1/3<br />
da problemi nevrotici ed un restante terzo da quadri organici, dipendenza alcolica, disturbi di<br />
personalità. Va poi aggiunto che, mentre i programmi di assistenza domiciliare hanno nella maggioranza<br />
dei casi cadenza regolare, quelli ambulatoriali per i 4/7 sono regolari, per i 2/7 periodici<br />
e per 1/7 occasionali. Il dato relativo alle medie degli interventi per utente può assumere quindi<br />
maggiore significato in riferimento a tale popolazione di utenti piuttosto che per gli assistiti<br />
ambulatoriali.<br />
B O O K S E I 47
Attività dei<br />
servizi<br />
psichiatrici<br />
del<br />
Distretto Nord<br />
INTERVENTI ANNUALI DEL C.S.M. (Tab. V)<br />
interventi totali<br />
anni 1977 - 1986 anni 1987 - 1996 differenza<br />
numero medio/valore% 5508 100% 13946 100% +8438<br />
interventi ambiulatoriali<br />
numero medio/valore% 1368 24.8% 4006 28.7% +2638 +3.9%<br />
interventi per utente<br />
numero medio 8 10.6 +2.6<br />
interventi domiciliari<br />
numero medio/valore% 1175 21.3% 1896 13.5% +719 -7.8%<br />
interventi per utente<br />
numero medio 8.3 11.3 +3<br />
interventi brevi amb./dom.<br />
numero medio/valore% 2241 40.6% 6524 46.7% +4283 +6.1%<br />
interventi per utente<br />
numero medio 5.4 9.7 +4.3<br />
interventi in O.C.<br />
numero medio/valore% 468 8.4% 679 4.8% +211 -3.6%<br />
interventi per utente<br />
numero medio 3.9 4.2 +0.3<br />
interventi in CdR<br />
numero medio/valore% 90.6 1.6% 689 4.9% +598.4 +3.3%<br />
interventi per utente<br />
numero medio/valore% 7.6 6.2 1.4<br />
Solamente un quarto degli interventi risponde a richieste non programmate, mentre per la maggior<br />
parte viene rispettata la programmazione delle attività così come definita a cadenza settimanale,<br />
sulla base della presenza in servizio del personale. La percentuale di prestazioni urgenti<br />
risulta piuttosto contenuta, nell’ordine di una ogni 34 interventi registrati. In regime di reperibilità<br />
medico psichiatrica infine si hanno in media tre chiamate alla settimana ma la maggior parte<br />
delle richieste si concentra durante il fine settimana. Gli utenti ad alto carico di interventi ambulatoriali<br />
e domiciliari, oltre 50 interventi annui, costituiscono il 10% degli assistiti annui; il dato<br />
evidenzia un numero complessivo di assistiti ad alto carico sostanzialmente invariato nel ventennio,<br />
sebbene negli ultimi anni appaia in flessione con istituzione del Centro Diurno-Notturno e<br />
con il potenziamento delle attività diurne di animazione e socializzazione. La tavola degli interventi<br />
annuali del C.S.M. evidenzia come siano in media aumentati gli interventi per utente a favore<br />
di tutte le categorie di assistiti, in riferimento con il numero di operatori in servizio che si è<br />
modificato sia sotto il profilo quantitativo che della tipologia delle categorie professionali.<br />
Un cenno infine alla deistituzionalizzazione dei lungodegenti, presenti presso l’ex O.P. di Udine<br />
e le Divisioni Psichiatriche di S.Daniele, Sacile, Sottoselva di Palmanova e Reana del Rojale al<br />
1.1.1977, in numero di 125. Una considerevole parte di costoro, 75 unità, è deceduta ad un età<br />
(media) di 73 anni, nel corso del ventennio considerato, senza aver potuto uscire dal manicomio<br />
e dopo aver trascorso (in media) 32,6 anni di ricovero. La maggior parte dei dimessi è stata accolta<br />
presso le Case di Riposo del territorio; si è trattato di 36 persone, uscite dall’O.P. dopo 32 anni<br />
(in media), di degenza, ad un’età (media) di 66 anni; di questa quota di utenti accolti in CdR, 15<br />
sono deceduti dopo la dimissione dall’O.P. ad un’età (media) di 68,4 anni.<br />
4 8 B O O K S E I
Attività dei<br />
servizi<br />
psichiatrici<br />
del<br />
Distretto Nord<br />
Solamente sei persone sono state dimesse a casa; erano i lungodegenti più giovani, alla dimissione<br />
dall’O.P. avevano infatti 39 anni d’età (in media) ed avevano alle spalle un periodo meno prolungato<br />
trascorso in ospedale, 13,3 anni (in media). Alcuni di questi inoltre, dopo alcuni anni di<br />
dimissione, sono stati riaccolti in CdR. Una persona infine è stata accolta presso il Centro Psichiatrico<br />
Diurno-Notturno, quale tappa riabilitativa in prospettiva di un livello di maggiore autonomia<br />
dal servizio specialistico. Rimangono ancora ospiti nelle attuali R.S.A. psichiatriche ad<br />
esaurimento nove utenti, di 67 anni d’età (media), ma che hanno trascorso in ospedale ben 43<br />
anni della loro vita. Questi dati evidenziano una volta ancora come anche persone che abbiano<br />
presentato disturbi psichiatrici importanti, nel corso della loro vita, possano accedere al strutture<br />
aspecifiche, predisposte per quanti versino in condizioni di solitudine, assenza di riferimenti<br />
famigliari, impossibilità di condurre vita autonoma. Sottolineano altresì gli esiti a distanza di istituzioni<br />
e cure totalizzanti che conducono l’assistito ad una grave perdita dell’autonomia ed ad<br />
una marcata contrazione delle possibilità di espressione personale e di relazione sociale.<br />
Conclusioni<br />
L’accoglimento di una domanda molto articolata ed abbondante pone oltre che problemi di carico<br />
di lavoro anche di livelli di competenza e specializzazione da parte di tutte le figure professionali<br />
del Servizio. Il continuo interscambio con i presidi territoriali, il lavoro di indirizzo e di<br />
raccordo fra i diversi soggetti che concorrono a supportare gli utenti, l’attività di consulenza al<br />
paziente ed alle famiglie, i trattamenti in condizioni di ospitalità assistita, si basano su elementi<br />
di conoscenza e di esperienza e di organizzazione che lasciano poco spazio all’improvvisazione.<br />
La lotta al continuo riproporsi di nuove forme di disagio e di segregazione, implica capacità di<br />
riconoscimento, di decodificazione ed intervento che fondano le loro radici sulla esperienza di<br />
superamento del manicomio ma che si integrano con altre conoscenze e saperi in psichiatria.<br />
La capacità di tenere aperto il dialogo anche nelle situazioni più disperate e di dar vita a nuove<br />
storie che riportino costantemente all’attenzione la sofferenza delle persone e sollecitino iniziative<br />
di cambiamento, devono costituire elementi cardine dell’operatività quotidiana.<br />
Lo studio evidenzia come se da un lato attraverso l’assistenza territoriale sia possibile prevenire<br />
il ricovero ospedaliero e superare l’esperienza manicomiale, dall’altro riconferma la necessità di<br />
documentare più accuratamente l’efficacia del sistema e gli esiti a distanza di tempo, attraverso<br />
studi longitudinali che documentano la qualità della vita delle persone che vanno incontro a difficoltà<br />
di ordine psichiatrico, i costi personali e sociali della malattia, gli eventuali handicaps.<br />
Bibliografia<br />
Adelstein A.M., Downham D.Y. Stein Z. e Susser M.W., The Epidemiology of Mental Illness in<br />
English City, Soc. Psychiat., vol 3, 47-49 (1968).<br />
British Psychiatric Registers, Statistics from Eight Psychiatric Case Registers in Great Britain, 1976-1981, resoconto del<br />
British Registers Group, tratto dal Registro del Knowle Hospital di Southampton (1984).<br />
Cheadle A.J., Day Care Facilities in the Metropolitan Borough of Salford, resoconto del Registro psichiatrico (Salford<br />
1983).<br />
Cleverly M. e Cheadle A.J., The Case Register, the Computer and the Cohort Study, Bull. R. Coll. Psychiat., vol. 7, 218-<br />
20 (1983).<br />
Cramer M., Applications of Mental Health Statistics (World Health Organization, Ginevra 1969).<br />
Höfner H. (a cura di), Estimating Needs for Mental Health Care (Springer, Berlino, Heidelberg e New York 1979).<br />
Horn G.H. M.M. ten, Giel R., Gulbinat W. e Henderson J. (a cura di), Psychiatric Case Registers 1960-1985 (Elsevier,<br />
Amsterdam 1986).<br />
Lavik N.J., Utilization of Mental Health Services over a Given Period, Acta psychiat.scand., vol. 67, 404-13 (1983).<br />
Wing L., Bramley C., Hailey A. e Wing J.K.,<br />
Camberwell Cumulative Psychiatric Case Register, pt. 1, Aims and Methods, Soc. Psychiat., vol. 3, 116-23 (1968).<br />
B O O K S E I 49
5 0 B O O K S E I
Il ricovero<br />
psichiatrico<br />
nel dopo<br />
riforma<br />
Il ricovero<br />
psichiatrico<br />
nel doporiforma<br />
Modificazioni delle domande<br />
e delle risposte fra bisogni di cura<br />
e controllo sociale<br />
di<br />
Alfredo Sigismondi<br />
Bruno Forti<br />
Giuseppe Gaiatto<br />
Amalia Manzan<br />
La legge <strong>180</strong> ha radicalmente modificato le modalità del ricovero psichiatrico,<br />
da un lato rendendolo un ricovero con finalità di cura e, salvo<br />
casi limitati, volontario, dall’altro eliminando le motivazioni legate<br />
a questioni di ordine pubblico, nei riferimenti al pubblico scandalo,<br />
alla pericolosità sociale e alla pubblica sicurezza. Questo sicuramente<br />
è espresso nella legge, ma nella vita e nella cultura dei pazienti, degli<br />
operatori, dei familiari e della popolazione quali sono realmente le<br />
motivazioni che sottendono il ricorso al ricovero presso i reparti psichiatrici<br />
del dopo riforma Questa domanda può rivestire ancor maggior<br />
rilevanza se utilizzata per verificare lo stato di attuazione della <strong>180</strong> a 20 anni <strong>dalla</strong> sua emanazione:<br />
il problema del ricovero rappresenta sicuramente un nodo centrale sia dello spirito della<br />
legge sia della sua applicazione.<br />
In occasione del decennale della legge, proprio in un convegno tenutosi a Pordenone, fu dato<br />
ampio spazio alle problematiche istituzionali connesse al ricovero del paziente psichiatrico attraverso<br />
un dibattito serrato sui concetti di crisi ed emergenza: venivano infatti sottolineati una serie<br />
di elementi di contraddizione nell’approccio al paziente e al suo contesto, all’instaurarsi di pericolosi<br />
cortocircuiti crisi-ricovero senza mediazioni possibili, al timore del prevalere degli aspetti<br />
di controllo sociale, alla esclusiva medicalizzazione della crisi psichiatrica, al suo sequestro in<br />
forme che ripercorrevano le modalità del manicomio (Evaristo, 1988; Mezzina, 1988).<br />
Proprio perchè questi temi ci sembrano essere ancora attuali e le contraddizioni non sciolte<br />
Alfredo Sigismondi, Primario Psichiatra DSM dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> - Pordenone<br />
Bruno Forti, Dirigente Medico DSM dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> - Pordenone<br />
Giuseppe Gaiatto, Dirigente Medico DSM dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> - Pordenone<br />
Amalia Manzan, Dirigente Medico DSM dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> - Pordenone<br />
B O O K S E I 51
Il ricovero<br />
psichiatrico<br />
nel dopo<br />
riforma<br />
potrebbe risultare opportuno sottoporre ad una verifica empirica la operatività dei nostri Servizi<br />
di Salute Mentale attraverso la “fotografia” dei ricoveri effettuati, le modalità con cui avvengono,<br />
i motivi e le operatività adottate. L’esperienza pordenonese ci sembra inoltre significativa<br />
all’interno delle applicazioni della riforma, in stretto contatto con l’esperienza triestina ma tenendo<br />
conto anche di alcune peculiarità della cultura territoriale: l’assenza di un Ospedale Psichiatrico<br />
Provinciale, il medico di base come medico della “famiglia” e persona significativa, la cultura<br />
del lavoro e della produttività, il buon livello di funzionamento, in generale, dei servizi pubblici,<br />
e così via.<br />
Negli anni ’78-’80 E. Sarli e A. Righetti (1987) hanno svolto una ricerca sui ricoveri presso il Servizio<br />
Psichiatrico Ospedaliero di Diagnosi e Cura di nuova istituzione aperto a Sacile e che serve,<br />
a tuttoggi, per l’intera provincia di Pordenone. Da quello studio emegeva che circa l’11% dell’utenza<br />
dei CIM subiva dei ricoveri presso lo SPDOC. Si evidenziavano inoltre una diminuzione<br />
delle persone al primo ricovero, negli anni presi in esame, indice di una buona capacità di filtro<br />
da parte delle strutture territoriali, e una progressiva diminuzione dei TSO rispetto al totale<br />
dei ricoveri. Un dato che oggi può sorprendere è quello che riguarda le recidive dei ricoveri, dal<br />
14,3% negli ultimi 8 mesi del 1978 al 28% del ‘79 fino al 48,9% del 1980: fin da subito dunque<br />
emerge il fenomeno importante dei pazienti così detti revolving-door e delle problematiche<br />
legate alle caratteristiche di questo gruppo di utenti che, avendo delle necessità assistenziali più<br />
elevate e problemi connessi a fattori ambientali, ricevono invece principalmente una risposta<br />
riduzionistica di tipo esclusivamente medico che si dimostra inadeguata a soddisfare i veri bisogni.<br />
Abbiamo pertanto svolto una ricerca sui ricoveri presso lo SPODC di Sacile in due anni campione,<br />
il 1992 e il 1994, per vedere innanzitutto qual’è lo “stato delle cose”, come effettivamente<br />
i servizi psichiatrici territoriali in questi anni siano riusciti a seguire e praticare il senso della<br />
legge di riforma, quali siano le modificazioni rispetto agli anni precedenti e quali le necessità e le<br />
novità emergenti.<br />
Sono stati identificati alcuni indicatori “di operatività” che si richiamano a quelle contraddizioni<br />
a cui si accennava in precedenza: urgenza ed emergenza sotto il profilo psicopatologico (con criteri<br />
come quello di gravità sintomatologica), e sociale (comportamento pericoloso e di pubblico<br />
scandalo), modalità del ricovero (richiesta, interventi, obiettivi).<br />
Metodologia<br />
I dati si riferiscono a tutti i ricoveri avvenuti nel 1992 e nel 1994 presso lo SPODC di Sacile, che<br />
accoglie, per competenza territoriale, tutti i pazienti psichiatrici (esclusi quelli, peraltro scarsamente<br />
numerosi, presso strutture private) della provincia di Pordenone.<br />
Attraverso una apposita scheda, oltre ai dati socio-demografici, alla diagnosi psichiatrica secondo<br />
l’ICD-9 e ai dati sui ricoveri precedenti, sono state raccolte informazioni relative a quattro<br />
aree inerenti la situazione del soggetto al momento del ricovero, il tipo di intervento territoriale<br />
in atto, la presenza di urgenza ed emergenza e gli interventi effettuati nel corso del ricovero. In<br />
particolare si è cercato di distinguere il concetto di urgenza, in senso strettamente clinico e psicopatologico,<br />
scorporandolo nei parametri della acuzie o crisi psicopatologica e della gravità sintomatologica<br />
(acuzie/gravità) da quello di emergenza sociale e comportamentale.<br />
Per i criteri di Acuzie/Gravità è stata valutata la presenza o meno di uno dei seguenti sintomi da<br />
almeno una settimana: compromissione delle funzioni vitali (insonnia, anoressia), grave alterazione<br />
dell’umore e della psicomotricità, della coscienza, stato delirante/allucinatorio con adesione<br />
totale, due o più aree sintomatologiche caratteristiche dei disturbi schizofrenici (disturbi formali<br />
del pensiero, deliri, allucinazioni, grave alterazione dell’affettività), sintomatologia nevroti-<br />
5 2 B O O K S E I
Il ricovero<br />
psichiatrico<br />
nel dopo<br />
riforma<br />
ca con compromissione del funzionamento.<br />
I criteri di emergenza sono legati alla messa in atto di un comportamento che arreca un qualche<br />
danno effettivo o potenziale di tipo fisico, psicologico o sociale auto od eterodiretto ed identificato<br />
nelle seguenti voci:<br />
Comportamenti autodiretti<br />
- tentativi di suicidio, serie intenzioni suicidarie, gesti autolesivi<br />
- mancata cura di sè; isolamento<br />
- allontanamento da casa o altri comportamenti che possano mettere a repentaglio la<br />
sicurezza del paziente o il suo ruolo sociale.<br />
Comportamenti eterodiretti<br />
- aggressività fisica nei confronti di familiari o della comunità<br />
- attività arrecanti danno alle cose e al patrimonio, compreso lo spendere eccessivamente<br />
- trasgressione di norme sociali (comportamento deviante, trasgressivo, stravagante, che dà pubblico<br />
scandalo come girare nudi per strada)<br />
- comportamento aggressivo (aggressività verbale, litigiosità, insulti, molestie rumori e grida,<br />
lamentele e richieste con carattere di aggressività e rivendicatività)<br />
- pericolosità (minacce, guida spericolata): si ravvisa un potenziale pericolo per familiari, figli,<br />
ecc.(Forti, 1994)<br />
Risultati<br />
Le tabelle I e II riassumono il numero di ricoveri effettuati nei due anni campione, il numero di<br />
pazienti, il numero di ricoveri precedenti ed alcune caratteristiche anagrafiche.<br />
I TSO nel ’92 sono stati 17, pari all’8,6% dei ricoveri e 35 (14,5%) nel ’94.<br />
Il campione totale, considerato nei due anni, è composto di 232 pazienti che si caratterizzano<br />
sotto il profilo socio-anagrfico per essere prevalentemente persone non coniugate: 71,5% (166<br />
paz.) a fronte del 18,5% (43 paz.) di coniugate. Il 33,1% (70 paz.) ha una scolarità elementare,<br />
il 49,15 (114 paz.) ha conseguito la licenza media inferiore, il 18,5% (43 paz.) il diploma e i laureati<br />
sono solo 5 persone (2,1%).<br />
La maggior parte di questi utenti ha come fonte di reddito una pensione: 97 persone (41,8%),<br />
di cui 76 (32,7%) percepiscono la pensione di invalidità civile; gli operai sono 41 (17,6%), da<br />
segnalare la discreta percentuale (6,9%) di soci di cooperative finalizzate e di “borsisti”, risultano<br />
disoccupati il 9,4% dei pazienti.<br />
Per l’inquadramento diagnostico si veda la Tabella III. Gli agenti della richiesta di ricovero, sul<br />
totale dei 438 ricoveri effettuati nei due anni risultano essere : il CSM in 169 casi (38,5%), i familiari<br />
in 115 (26,2%), il paziente stesso in 65 occasioni (14,8%), altre strutture sanitarie in 50<br />
(11,4%), le forze dell’ordine in 25 situazioni (5,7%).<br />
Gli esordi sono stati 8 nel ’92 e 3 nel’94, le ricadute rispettivamente 100 (50,7%) e 152 (63,1%),<br />
l’assenza di una crisi psicopatologica si riscontra in 89 ricoveri (45,1%) nel ’92 e in 86 (35,7%)<br />
nel ’94. Un gruppo abbastanza numeroso, costituito prevalentemente da pazienti affetti da schizofrenia,<br />
sono giunti al ricovero presentando una sintomatologia grave ma senza caratteristiche<br />
di riacutizzazione, indicando che le condizioni psicopatologiche erano costantemente assestate su<br />
livelli elevati di gravità sintomatologica. Abbiamo anche individuato un gruppo, che rappresenta<br />
circa il 20%, in cui il ricovero non è preceduto nè da una situazione di crisi nè di emergenza,<br />
in circa la metà di questi casi non vi è neppure la presenza di un sintomatologia grave.<br />
Per quanto riguarda la gravità sintomatologica e l’emergenza sociale i dati complessivi dei due<br />
B O O K S E I 53
Il ricovero<br />
psichiatrico<br />
nel dopo<br />
riforma<br />
anni, sono presentati nelle Tabelle IV e V.<br />
Il luogo dove l’emergenza sociale si manifesta, in quasi la metà dei casi, è la famiglia seguita, nel<br />
30%, <strong>dalla</strong> comunità e dagli ambienti sanitari nel restante 20%, comprese le strutture psichiatriche<br />
territoriali e riabilitative.<br />
Gli interventi nel corso del ricovero hanno comportato il convolgimento dei familiari in 1/3 dei<br />
casi, soprattutto per pazienti ai primi ricoveri, in circa 2/3 dei casi del CSM, sopratutto per<br />
pazienti lungoassistiti , in meno del 10% dei ricoveri sono stati invitati alla partecipazione del<br />
programma terapeutico i servizi sociali di base.<br />
Gli obiettivi del ricovero sono stati principalmente l’intervento sulla sintomatologia psichica, in<br />
particolare per coloro che si presentavano con pochi ricoveri precedenti, e invece l’allontanamento<br />
dalle conflittualità per coloro che avevano subito numerosi ricoveri in precedenza. Da rilevare<br />
come per questi ultimi il Servizio di Diagnosi e Cura rappresenti un nodo nei programmi di<br />
riabilitazione (20% dei casi tra i revolving-door).<br />
Conclusioni<br />
L’analisi dei dati esposti, in particolare alcuni indici delle dinamiche e motivazioni sottese al ricovero,<br />
come il comportamento o le manifestazioni sintomatologiche, mostrano come non sia priva<br />
di influenza la presenza di elementi che in qualche modo si possono riallacciare ai vecchi concetti<br />
di pericolosità e pubblico scandalo. Ci sono però, parallelamente le valutazioni sintomatologiche<br />
e cliniche che rileggono questi comportamenti in termini di disturbo dell’umore, di<br />
disturbi dissociativi e alterazioni della percezione o del contenuto del pensiero. Questo può evidenziare<br />
come la maggior parte dei ricoveri sia legata soprattutto alla difficoltà di gestire territorialmente<br />
una sintomatologia che si esprime prevalentemente sul versante comportamentale del<br />
“disturbo sociale”, tanto più che questi ricoveri sono prevalentemene richiesti o mediati proprio<br />
dal CSM e dai familiari.<br />
Forse merita soffermarsi su questo punto: non è più la forza pubblica ma il Servizio territoriale<br />
stesso che, sopratutto per i lungoassistiti, indica il ricovero, per cui è indispensabile interrogarsi<br />
e soffermarsi sul significato di questi aspetti della pratica territoriale. Potrebbe essere facile ascoltare<br />
ed assumere le opinioni di chi tende a vedere in queste situazioni la conferma della necessità<br />
di luoghi separati, il fallimento della pratica territoriale nelle situazioni limite o croniche, legandole<br />
magari a concetti di incurabilità (Torre, 1985).<br />
Se osserviamo, attraverso la logica dei costi-benefici in termini “aziendali”, i pazienti con numerosi<br />
ricoveri e quindi più onerosi in termini di ospedalizzazioni, vediamo che sono quelli a maggior<br />
carico teritoriale ed assistenziale. Va però innanzituto osservato come questi ricoveri, seppure<br />
frequenti, siano di breve durata e spesso abbiano lo scopo dichiarato di allentare tensioni<br />
interpersonali e sociali. Più precisamente, il bisogno espresso non si risolve in una richiesta espulsiva<br />
o di ritiro sociale, ma nel raggiungimento di equilibri sociali più consoni, cercando una ridefinizione<br />
ed una nuova individuazione di bisogni, sia del paziente sia dei familiari.<br />
Sembra inoltre che chiediamo ai nostri pazienti stili di comportamento molto controllati, livelli<br />
di adattamento buoni e una remissione sintomatologica quasi completa, visto che i gesti di rottura<br />
comportamentale riscontrati sono raramente gravi o di rilevanza penale. Non è comunque<br />
escludendo la possibilità di ricovero nè rendendolo lungo in modo indeterminato che si risponde<br />
alla domanda complessa che viene posta e che presenta contemporaneamente aspetti di cura<br />
e di controllo sociale.<br />
Meno evidente rispetto a 10 anni fa si presenta il problema della crisi come rottura comportamentale<br />
forte, molto connotata socialmente (sono oggi i servizi quelli che sembrano essere più<br />
sensibili anche a piccole ”intemperanze“ e trasgressioni) mentre vi è una attenzione maggiore<br />
5 4 B O O K S E I
Il ricovero<br />
psichiatrico<br />
nel dopo<br />
riforma<br />
all’adattamento ed alla integrazione (adeguamento) sociale. Si evidenziava allora come alla crisi<br />
venisse attribuito un senso normativo: verifichiamo oggi come il problema sia quello della organizzazione<br />
di tante microcrisi, non più uno scontro critico fra due modi di essere ma la tensione<br />
continua fra modalità e bisogni solo in parte differenti. Possiamo provare ad interpretare questo<br />
elemento come il prossimo limite da superare: quello della organizzazione del quotidiano del<br />
paziente e della sua famiglia.<br />
La pratica territoriale indica che alcuni grossi nodi sono oggi meno pressanti, e che i Servizi hanno<br />
affinato una sensibilità ancora maggiore per esempio riguardo alla tutela degli esordi e dei primi<br />
ricoveri e nell’impegno a ottenere il consenso del paziente come testimoniato dal numero contenuto<br />
di ricoveri all’esordio e dei TSO se confrontato con i dati nazionali (Crepet, 1992; CENSIS,<br />
1984 ). Gli stessi Servizi territoriali dimostrano però di avere anche una tolleranza minore, una facilità<br />
al ricovero come misura cautelativa e una diminuzione delle possibili alternative soprattutto per<br />
i pazienti lungoassistiti. Si è creata inoltre col tempo una specializzazione delle strutture riabilitative<br />
che le rende meno flessibili, come sembra dimostrare il numero di ricoveri effettuati in conseguenza<br />
di rotture comportamentali che avvengono proprio nelle strutture stesse.<br />
È evidente che molti strumenti sono validi o meno in relazione al contesto e alla finalità complessiva<br />
in cui vengono collocati. Non possiamo negare che i Servizi territoriali tengano in considerazione<br />
la rottura comportamentale quale determinante il ricovero del paziente. Va tuttavia<br />
notato come questo non rappresenti uno strumento di mero controllo e normalizzazione comportamentale<br />
ma si inserisca nel tentativo, non sempre riuscito, di una presa in carico globale e<br />
come il ricovero non rappresenti più per il paziente, gli operatori, i familiari solo il luogo della<br />
esclusione. Confrontando i nostri dati con uno studio svolto in regione (Sain, 1987) emerge<br />
come nella nosrta pratica la presenza dei CSM nella conduzione del ricovero, nella sua proposta<br />
nella costruzione del progamma terapeutico, sia molto importante e rappresenti un buon<br />
esempio di continuità terapeutica. In molti casi, abbiamo potuto osservare, come il paziente stesso<br />
chieda il ricovero, questo ci ripropone una riflessione su chi è il vero cliente dei nostri ricoveri:<br />
nel manicomio l’ordine sociale era, in modo esplicito, il mandatario dell’allontanamento della<br />
persona <strong>dalla</strong> comunità, senza neppure un tentativo di riconoscere una finalità di cura. Se invece<br />
oggi il nostro cliente è veramente l’individuo con problemi di salute mentale nascono nuovi<br />
problemi per l’identificazione del soggetto, delle sue qualificazioni specifiche e soprattutto dei<br />
suoi bisogni.<br />
Confrontando i dati attuali con quelli dell’80 (Righetti, 1987) le attuali percentuali di pazienti<br />
che possiamo considerare revolving-door sono quasi sovrapponibili a quelle riscontrate subito<br />
dopo la chiusura dell’Ospedale Psichiatrico: non si può pertanto dire che il fenomeno sia in<br />
aumento e la pratica territoriale tenda ad accumulare cronicità. Ricerche svolte all’estero sui primi<br />
ricoveri (Kanna et al., 1994) e sui fattori associati alla decisione di ricoverare (Mezzich et<br />
al.1984) sono difficilmente raffrontabili con i nostri dati poichè sono sottesi da pratiche diverse,<br />
però possono indicare come alcuni aspetti siano ubiquitari (fattori demografici, disponibilità di<br />
risorse sociali alternative, una sintomatologia grave, prevalentemente psicotica, le preoccupazioni<br />
istituzionali); altri fattori possono però essere differenti, come l’intervento delle forze dell’ordine<br />
o l’interpretazione di comportamenti che possono essere letti sia sul versante della pericolosità<br />
che su quello della psicopatologia. Sicuramente la riforma psichiatrica in Italia ha contribuito<br />
a segnare un cambiamento nella pratica, ma rimangono molte questioni da affrontare,<br />
come quella della cronicità, dell’integrazione sociale e dei diritti civili. Non è stato centrato ancora<br />
completamente il problema di questi pazienti, i reali bisogni delle loro soggettività, forse a causa<br />
di una mancanza di strumenti teorici e pratici in grado di dare una ulteriore svolta alla attuale<br />
operatività. La psichiatria deve continure a sviluppare un suo ambito specifico di azione, non<br />
condizionato dall’esterno, emancipandosi dal ruolo di esecutore, più o meno passivo o benevolo,<br />
di bisogni imposti <strong>dalla</strong> società.<br />
B O O K S E I 55
Il ricovero<br />
psichiatrico<br />
nel dopo<br />
riforma<br />
In questi anni molte energie sono state indirizzate alla realizzazione di occasioni di lavoro e di<br />
reinserimento sociale, alla tutela economica; solo recentemente sono stati fatti dei tentativi di istituire<br />
strutture di accoglienza alternative che potessero dare risposte adeguate al problema della<br />
lungoassistenza. Tali pratiche sono da verificare anche attraverso ulteriori analisi della modificazione<br />
delle pratiche di ricovero.<br />
Bibliografia<br />
CENSIS: (1992). L’attuazione della riforma psichiatrica nel quadro delle politiche regionali e dell’offerta quantitativa e<br />
qualitativa dei servizi. Dossier provvedimento. La tutela della salute mentale.Camera dei Deputati, Servizio Studi ; XI<br />
Legislatura, N. 69, Novembre.<br />
Crepet P.: (1992) Per una analisi epidemiologica del ricovero psichiarico in Italia (1970/1990). In : Modelli di intervento<br />
in psichiatria d’urgenza. Atti del Convegno Internazionale della Società Italiana di Psichiatria d’Urgenza. Torino 25-26<br />
Maggio.<br />
Evaristo P.(1988) Urgenza e ricovero psichiatrico. In: I dieci anni della <strong>180</strong>. Centro Studi e Ricerche per la salute mentale<br />
del <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia.<br />
Forti B.Sigismondi A., Manzan A., Gaiatto G. (1994) SPODC e riforma psichiatrica: cura o controllo sociale Atti del<br />
XXXIX Congresso SIP. Riccione 23-28/10/1994<br />
Kanna R., Gupta N., Verma S., Kanna N., (1992)<br />
Factors related to psychiatric hospitalization for first contact patients. Int. J. Soc. Psychiatry 3, 25-30<br />
Mezzich J.E., Evanczuk K.J., Mathias R.J., Coffman G.A. (1984) Symptoms and hospitalization decisions. Am. J. Psychiatry<br />
141, 764-769<br />
Mezzina R. (1988): Sul problema della crisi: codici e nessi. In: I dieci anni della <strong>180</strong>. Centro Studi e Ricerche per la salute<br />
mentale del <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia.<br />
Munizza C. et al. (1993) Emergency psychiatry: a review of literature. Acta Psychiatrica Scandinavica, Supplementum n.<br />
374, vol. 88<br />
Righetti A., Sarli E. (1987) Il Servizio di Diagnosi e Cura nel circuito psichiatrico. L’esperienza di Pordenone. In E. Sarli:<br />
Scritti ed interventi 1973-1986. Istituto Gramsci Pordenone.<br />
Sain F., Norcio B., Malannino S. (1987) Il Trattamento Sanitario Obbligatorio. Per la salute mentale 4.<br />
Torre E., Marinoni A. (1985) Register Studies: Data from four Areas in North Italy. Acta Psychiatrica Scandinavica, 71,<br />
Suppl. 316.<br />
5 6 B O O K S E I
Il ricovero<br />
psichiatrico<br />
nel dopo<br />
riforma<br />
TABELLA I Principali caratteristiche dei ricoveri<br />
1992 1994<br />
Numero Ricoveri 197 241<br />
Numero Pazienti 114 118<br />
Numero di TSO 17 (8,6%) 35 (14,5%)<br />
N.Pazienti I° ricovero 34 (29,8%) 42 (35,6%)<br />
N. Pazienti < 4 ricoveri 34 (29,8%) 25 (21,2%)<br />
N. Pazienti > 4 ricoveri 46 (40,3%) 51 (43,2%)<br />
TABELLA II Caratteristiche anagrafiche dei pazienti ricoverati<br />
Età media anni 40 41<br />
Numero di Maschi 66 71<br />
Numero di Femmine 48 47<br />
TABELLA III Distribuzione delle diagnosi<br />
Schizofrenia 44 (38,6%) 39 (33%)<br />
Disturbi dell’umore 22 (19,3%) 16 (13,5%)<br />
Unipolari depressivi 6 (5,3%) 2 (1,6%)<br />
Bipolari maniacali 14 (12,3%) 12 (10,2%)<br />
Bipolari depressivi 1 (0,9%) 1 (0,8%)<br />
Bipolari misti 1 (0,9%) 1 (0,8%)<br />
Dis. schizzoaffettivo 6 (5,3%) 5 (4,2%)<br />
Dis. deliranti 19 (16,7%) 18 (15,3%)<br />
Dis personalità 6 (5,3%) 24 (20,3%)<br />
Altre diagnosi 17 (14,9%) 16 (13,5%)<br />
TABELLA IV Presenza di grave sintomatologia psichiatrica<br />
Sintomi schizofreniformi 142 32,4%<br />
Deliri/allucinazioni 70 15,9%<br />
Disturbi dell’umore 84 19,1%<br />
Alterazioni psicomotricità 21 4,7%<br />
Alterazioni coscienza 19 4,3%<br />
Alterazioni funzioni vitali 14 3,1%<br />
Sintomi nevrotici 10 2,2%<br />
TABELLA V Presenza di emergenza<br />
AUTODIRETTI<br />
Gesti autolesivi 48 10.9%<br />
Mancata cura di sè 11 2,5%<br />
Isolamento/inadeguatezza 65 14.8%<br />
ETERODIRETTI<br />
Aggressività 73 16,6 %<br />
Trasgressione 29 6,6%<br />
Violenza 25 5.7%<br />
Pericolosità 19 4,3%<br />
Danni materiali 17 3,8%<br />
B O O K S E I 57
5 8 B O O K S E I
La domanda<br />
di salute<br />
mentale<br />
in ospedale<br />
La domanda<br />
di salute mentale<br />
in ospedale<br />
Elementi per un sistema<br />
valutativo del DSM<br />
di<br />
Augusto Casasola<br />
Fulvio Tesolin<br />
Introduzione<br />
In generale in una popolazione definita una certa percentuale di persone<br />
presenta disturbi psicologici, costituiti per la maggior parte da<br />
disturbi d’ansia e da disturbi affettivi minori. Una parte di queste persone<br />
prende la decisione di consultare il medico e solo alcune di esse<br />
vengono riconosciute dal medico come persone affette da disturbi psicologici.<br />
Per alcuni di essi il medico decide di inviarli allo specialista,<br />
nei servizi psichiatrici. Di questi pazienti che accedono ai servizi psichiatrici<br />
solo una parte viene ricoverata.<br />
Alcuni studi epidemiologici (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11) dimostrano che:<br />
1) il livello di disagio psichico “percepito” <strong>dalla</strong> popolazione oscilla fra il 190 e 230 per 1000<br />
abitanti;<br />
2) il numero di pazienti con disturbi psicologici che si rivolge al Medico di Base è di poco superiore<br />
alla metà di quelli che percepiscono il disagio;<br />
3) il Medico di Base riconosce il disagio solo per la metà dei pazienti che a lui si rivolgono;<br />
4) la percentuale di quelli che accede allo specialista è di 11 abitanti su 1000;<br />
5) 3 abitanti su 1000 hanno esperienza di ricovero.<br />
Ne consegue che:<br />
a) solo una parte dei disturbi emotivi vengono trattati dallo psichiatra e dallo psicologo. Tale<br />
parte è più o meno grande a seconda delle attitudini e delle capacità dei medici di medicina gene-<br />
Augusto Casasola Sociologo, Dipartimento di Osservazione Epidemiologica dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> (PN)<br />
Fulvio Tesolin Dirigente Medico DSM dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> (PN)<br />
B O O K S E I 59
La domanda<br />
di salute<br />
mentale<br />
in ospedale<br />
rale e del funzionamento dei servizi esistenti “a monte” dei servizi psichiatrici;<br />
b) gli studi valutativi delle attività dei servizi specialistici ed i progetti di programmazione -<br />
ristrutturazione di tali servizi devono necessariamente tenere conto delle attività e del funzionamento<br />
dei servizi sanitari di base. Un semplice aumento di permeabilità del medico di base, di<br />
cui al punto 3, è infatti in grado di annullare e rendere insufficiente qualunque potenziamento<br />
dei servizi psichiatrici esistenti, di cui ai punto 4 e 5;<br />
c) la conoscenza dei fattori e delle variabili che influenzano il funzionamento dei diversi livelli<br />
con cui si presenta il disagio psichico permette una lettura in chiave sistemica e dinamica di come<br />
emerge la domanda di salute mentale.<br />
Da ciò deriva una indicazione metodologica: i servizi di salute mentale devono essere abbastanza<br />
elastici per adattarsi alle nuove condizioni sociali in rapida evoluzione nella nostra comunità<br />
e, soprattutto, per interrelarsi con tutto il sistema di governo della salute mentale.<br />
Ci siamo posti le seguenti domande:<br />
• partendo dallo schema di Golberg e Huxley (1), come e quali problemi emergono nella<br />
domanda di salute mentale che viene intercettata dall’ospedale<br />
• quante persone utilizzano l’ospedale generale per problemi psichici diagnosticati <br />
• che caratteristiche hanno tali utilizzatori <br />
• sono tutti seguiti dai Centri di Salute Mentale<br />
Queste domande presuppongono un sforzo per passare dal particolare al generale, da una logica<br />
tutta interna al servizio per la salute mentale ad un dialogo e un confronto con gli altri servizi,<br />
avendo però sempre davanti l’orizzonte e la domanda posta <strong>dalla</strong> sofferenza psichica.<br />
Questo studio é un primo approccio sperimentale per avviare ed implementare processi di valutazione<br />
più articolati e costanti sulla pratica svolta a tutela della salute mentale e gli elementi di<br />
valutazione emersi, dal nostro punto di vista, rappresentano solo un primo tassello all’interno di<br />
un sistema di valutazione ancora da definire.<br />
Setting<br />
Il Dipartimento di Salute Mentale di Pordenone é articolato in 5 Centri di Salute Mentale. Il presente<br />
studio si riferisce al bacino di utenza di 2 Centri di salute Mentale (Distretto Urbano e Sud),<br />
che operano sul territorio di 14 Comuni, comprendenti il capoluogo di provincia e la sua area<br />
limitrofa, con una superficie di 597.71 kmq. La popolazione residente nel 1994 è di 156.948 unità<br />
con una densità di 262 abitanti per kmq., con un indice di natalità del 8,24 %°, di mortalità 9,34<br />
%°, di immigrazione 22,67%°, di emigrazione 19,52%°, con un saldo sociale positivo del<br />
3,15%° e con un saldo naturale negativo 1,09%°.<br />
Scopo dello studio<br />
Descrivere l’insieme delle patologie psichiatriche rilevate nelle schede di dimissione dagli ospedali<br />
regionali, nell’anno 1994 da parte di cittadini residenti nei 14 comuni considerati, e incrociare<br />
tali informazioni con quelle dell’utenza dei due Centri di Salute Mentale.<br />
Disegno dello studio<br />
Attraverso l’utilizzo delle schede di dimissione ospedaliera dell’anno 1994 sono stati selezionate<br />
le dimissioni con DRG psichiatrico (vedi Nota esplicativa) di cittadini residenti nei<br />
Comuni considerati.<br />
6 0 B O O K S E I
La domanda<br />
di salute<br />
mentale<br />
in ospedale<br />
Una volta selezionate le dimissioni e individuati i dimessi, tali informazioni sono state incrociate<br />
con quelle del registro dei casi dei Centri di Salute Mentale per evidenziare due tipologie pazienti:<br />
i casi “seguiti”, cioè i soggetti che nel corso dell’anno considerato hanno avuto più di 1 intervento<br />
da parte del servizio psichiatrico, e i casi “non seguiti“ .<br />
Nell’ambito delle dimissioni con diagnosi psichiatrica sono stati quindi considerate quelle ripetute,<br />
in quanto si è ipotizzato che tale evento possa essere da un lato espressione di una domanda<br />
complessa, dall’altro evidenzi un bisogno che non trova adeguata risposta.<br />
Per i ricoveri ripetuti si è proceduto ad un approfondimento ed ad una definizione univoca della<br />
diagnosi dei pazienti - infatti nel corso dei ricoveri ripetuti la diagnosi psichiatrica di dimissione<br />
non é stata sempre la stessa - :<br />
- per i casi “seguiti” è stata verificata la diagnosi del paziente con lo psichiatra del Centri di<br />
Salute Mentale;<br />
- per i casi “non seguiti” è stata verificata la diagnosi del paziente con il medico di medicina<br />
generale scelto dall’assistito.<br />
Risultati<br />
Complessivamente nel 1994 si sono verificate 26053 dimissioni di cittadini residenti nei 14<br />
Comuni considerati, di cui 629 con diagnosi psichiatrica.<br />
Il tasso di ospedalizzazione nell’area é di 166 ricoveri per 1.000 abitanti a fronte di un tasso di<br />
ricovero psichiatrico di 4 abitanti su 1.000 (cfr. Tab.1).<br />
DIMISSIONI DISTINTE PER COMUNE E PER DIAGNOSI (Tab.1)<br />
(valori assoluti e tasso per 1000 abitanti)<br />
Dimissioni<br />
Diagnosi psichiatrica<br />
Tutte le diagnosi<br />
Comuni n. Tasso osped. per 1000 ab. n. Tasso osped. per 1000 ab.<br />
Aviano 36 4,44 1366 168,29<br />
Azzano Decimo 45 3,68 2141 174,90<br />
Brugnera 28 3,52 1219 153,37<br />
Cordenons 55 3,46 2394 150,67<br />
Fiume Veneto 27 2,74 1727 175,42<br />
Fontanafredda 28 3,05 1493 162,58<br />
Pasiano di Pn 30 4,33 1162 167,89<br />
Porcia 42 3,17 2035 153,58<br />
Pordenone 243 5,00 8664 178,38<br />
Prata di Pn 16 2,41 1073 161,47<br />
Pravisdomini 16 6,80 394 167,45<br />
Roveredo in Piano 9 1,99 583 128,75<br />
S. Quirino 13 3,43 574 151,45<br />
Zoppola 41 5,35 1228 160,17<br />
Totale 629 4,01 26053 166,00<br />
B O O K S E I 61
La domanda<br />
di salute<br />
mentale<br />
in ospedale<br />
Il tasso di ospedalizzazione per l’ età pediatrica é di 1,26 ricoveri per 1000.<br />
Il tasso di ospedalizzazione nell’età lavorativa (15-64 anni) é di 3,74 ricoveri per 1000 abitanti.<br />
Il tasso di ospedalizzazione per gli anziani con diagnosi psichiatrica é di 7,0 ricoveri per 1000 abitanti.<br />
Le dimissioni con diagnosi psichiatrica, rispetto alla differenza di genere, evidenziano una prevalenza<br />
femminile (62% femmine, 38% maschi; cfr. Tab.2).<br />
DIMISSIONI PER MALATTIE E DISTURBI MENTALI DISTINTE<br />
PER SESSO E CLASSE DI ETÀ (Tab. 2)<br />
(valori assoluti e tasso per 1000 abitanti)<br />
Dimissioni<br />
Sesso<br />
Tasso di ospedalizzazione<br />
Classi di età F M MF per 1000 abitanti<br />
0 - 14 anni 12 12 24 1,26<br />
15 - 64 anni 234 <strong>180</strong> 414 3,74<br />
65 e oltre 139 52 191 7,02<br />
Totale 385 244 629 4,01<br />
Le malattie e disturbi mentali più frequentemente diagnosticate alla dimissione (cfr. Tab.3) sono<br />
le psicosi, 30% delle dimissioni e le nevrosi depressive, con il 21%.<br />
Le reazioni acuta di adattamento e disfunzione psico-sociale con il 19%; i disturbi organici e<br />
ritardo mentale con il 18% la terza e la quarta diagnosi in ordine di numerosità.<br />
DIMISSIONI PER MALATTIE E DISTURBI MENTALI (Tab. 3)<br />
(valori assoluti e percentuali)<br />
Dimissioni<br />
Malattie e Disturbi Mentali n. %<br />
Psicosi 187 29,7<br />
Nevrosi depressive 131 20,8<br />
Reazione acuta di adattamento e disfunzione sociale 117 18,6<br />
Disturbi organici e ritardo mentale 111 17,6<br />
Nevrosi (eccetto depressive) 35 5,6<br />
Disturbi della personalità 24 3,8<br />
Disturbi mentali dell’infanzia 13 2,1<br />
Altri disturbi mentali 6 1,0<br />
Interventi chirurgici associati a malattia mentale 5 0,8<br />
Totale 629 100,0<br />
6 2 B O O K S E I
La domanda<br />
di salute<br />
mentale<br />
in ospedale<br />
Passiamo alle sedi ospedaliere dove si effettuano i ricoveri:<br />
DIMISSIONI PER MALATTIE E DISTURBI MENTALI DISTINTE PER OSPEDALE<br />
E GIORNATE DI DEGENZA (Tab.4)<br />
(valori assoluti e percentuali, somma e media)<br />
Dimissioni Giornate di degenza<br />
Ospedali n % Somma Media<br />
Pordenone (azienda ospedaliera) 287 45,6 2946 10,3<br />
Casa di cura S. Giorgio (ospedale convenzionato) 150 23,8 2173 14,4<br />
Sacile (servizio ospedaliero di diagnosi e cura) 148 23,5 2436 16,5<br />
Burlo (istituto scientifico pediatrico) 19 3,0 25 1,3<br />
S. Vito al Tagliamento 7 1,1 90 12,8<br />
Aviano (centro di riferimento oncologico) 3 0,5 6 2,0<br />
Trieste (ospedali riuniti) 3 0,5 37 12,3<br />
S. Daniele (servizio ospedaliero di diagnosi e cura) 2 0,3 36 18,0<br />
Spilimbergo 2 0,3 6 3,0<br />
Udine 2 0,3 13 6,5<br />
Policlinico Universitario 2 0,3 2 1,0<br />
Gemona 1 0,2 8 -<br />
Latisana 1 0,2 1 -<br />
Maniago 1 0,2 6 -<br />
Palmanova 1 0,2 4 -<br />
Totale 629 100,0 7789 12,4<br />
Le sedi di ricovero prevalenti sono l’ospedale civile di Pordenone e la casa di Cura policlinico<br />
San Giorgio; queste due sedi assommano il 69,4% delle dimissioni (cfr. Tab.4).<br />
Nei due Servizi Ospedalieri di Diagnosi e Cura Psichiatrica utilizzati si effettua quasi un quarto<br />
dei ricoveri.<br />
L’Istituto scientifico pediatrico di Trieste é il punto di riferimento, prevalentemente diurno, per<br />
le diagnosi psichiatriche nei bambini.<br />
Fatta eccezione per l’ospedale di S. Vito, i ricoveri negli altri ospedali sembrano determinati dal<br />
caso. La durata media della degenza é di 12,4 giorni, escludendo i due Servizi Ospedalieri di<br />
Diagnosi e Cura Psichiatrica dove la degenza “prolungata” é da considerare parte integrante del<br />
trattamento, la durata della degenza superiore ai 10 giorni sembra evidenziare un “utilizzo consapevole“<br />
del presidio ospedaliero (cfr. Tab. 4).<br />
Per poter inferire un indice di domanda psichiatrica effettivamente non accolta dai Servizi di<br />
salute mentale, é necessario passare dagli eventi ricovero all’analisi dei casi, - si precisa che da tale<br />
analisi vengono esclusi i soggetti ricoverati la cui età è compresa fra 0 e 14 anni, in quanto di competenza<br />
del servizio di neuropsichiatria infantile -.<br />
B O O K S E I 63
La domanda<br />
di salute<br />
mentale<br />
in ospedale<br />
I dimessi vengono distinti in “seguiti” e “non seguiti” dai Centri di Salute Mentale.<br />
Si evidenziano, di seguito, i dimessi - Tab 5 - e i dimessi con ricoveri ripetuti - Tab 6 - distinti per<br />
tipo di paziente, classe di età e diagnosi:<br />
DIMESSI PER CLASSE DI ETÀ, DIAGNOSI E PER TIPO DI PAZIENTE (Tab 5)<br />
(valori assoluti e percentuali)<br />
Dimessi<br />
Seguiti Non seguiti Totale<br />
n. % n. % n. %<br />
Classi di età<br />
15 - 64 anni 174 59,2 120 40,8 294 100,0<br />
65 e oltre 31 17,6 145 82,4 176 100,0<br />
Totale 205 43,6 265 56,4 470 100,0<br />
Dimessi<br />
Seguiti Non seguiti Totale<br />
n. % n. % n. %<br />
Disturbi Mentali<br />
Psicosi 87 75,0 29 25,0 116 100,0<br />
Dist. org. e rit. ment. 11 12,5 76 87,5 88 100,0<br />
Nevrosi depressive 52 49,6 54 50,4 106 100,0<br />
Reaz. adat. e disf. soc. 42 42,0 58 58,8 100 100,0<br />
Nevrosi (escl. depres.) 2 6,5 29 93,5 31 100,0<br />
Dist. della personalità 9 56,3 7 43,7 16 100,0<br />
Altri disturbi mentali 0 0,0 8 100,0 8 100,0<br />
Int.chir.e mal. ment. 1 20,0 4 80,0 5 100,0<br />
Totale 205 43,6 265 56,4 470 100,0<br />
Emerge che:<br />
• le dimissioni hanno riguardato 470 persone con età superiore ai 14 anni con un numero complessivo<br />
di 605 ricoveri.<br />
• Su 470 pazienti, 205 sono “seguiti” dai Centri di Salute Mentale (43,5% dei dimessi), mentre<br />
i rimanenti 265 sono “non seguiti” ( 56,4% dei dimessi).<br />
• I 205 pazienti “seguiti” hanno effettuato 323 ricoveri, 53,4 % dei ricoveri totali.<br />
• I 265 pazienti “non seguiti” hanno effettuato 282 ricoveri, 46,4 % del totale.<br />
6 4 B O O K S E I
La domanda<br />
di salute<br />
mentale<br />
in ospedale<br />
DIMESSI CON RICOVERI RIPETUTI DISTINTI PER CLASSE DI ETÀ,<br />
DIAGNOSI E PER TIPO DI PAZIENTE (Tab 6)<br />
(valori assoluti e percentuali)<br />
Dimessi<br />
Seguiti Non seguiti Totale<br />
n. % n. % n. %<br />
Classi di età<br />
15 - 64 anni 55 85,6 9 14,4 64 100,0<br />
65 e oltre 5 35,7 9 64,3 14 100,0<br />
Totale 60 76,9 18 24,1 78 100,0<br />
Dimessi<br />
Seguiti Non seguiti Totale<br />
n. % n. % n. %<br />
Disturbi Mentali<br />
Psicosi 42 91,3 4 8,7 46 100,0<br />
Dist. org. e rit. ment. 2 33,3 4 66,7 6 100,0<br />
Nevrosi depressive 11 73,3 4 26,7 15 100,0<br />
Reaz. adat. e disf. soc. 4 80,0 1 20,0 5 100,0<br />
Nevrosi (escl. depres.) 0 0,0 2 100,0 2 100,0<br />
Dist. della personalità 1 25,0 3 75,0 4 100,0<br />
Totale 60 76,9 18 24,1 78 100,0<br />
Poniamo in evidenza che:<br />
• 78 pazienti hanno avuto ricoveri ripetuti, quindi 392 hanno avuto un solo ricovero.<br />
• I 78 pazienti con dimissioni ripetute (60 “seguiti”, 18 “non seguiti”) hanno numero complessivo<br />
di 213 ricoveri ( 177 i “seguiti”, 83,1 % dei ricoveri ripetuti; 36 i “non seguiti”, 16,9%<br />
delle dimissioni ripetute).<br />
• I 60 pazienti “seguiti” hanno avuto un caso con 8 ricoveri, ma i pazienti con 3 o più dimissioni<br />
sono stati ricoverati esclusivamente al Servizio Ospedaliero di Diagnosi e Cura Psichiatrica<br />
di Sacile.<br />
• Gli ospedali dove si sono verificati più frequentemente i ricoveri ripetuti sono:<br />
- per i “seguiti”: il Servizio Ospedaliero di Diagnosi e Cura Psichiatrica di Sacile 23 dimessi<br />
(38,3 % )e la Casa di Cura policlinico S. Giorgio 11 dimessi (18,3 %);<br />
-per i “non seguiti”: l’ Azienda Ospedaliera di Pordenone 7 dimessi (38,9 %) e la Casa di<br />
Cura policlinico S. Giorgio con 4 dimessi (22,2%).<br />
• Per i dimessi con ricoveri ripetuti la somma e la media delle giornate di degenza sono:<br />
- per i “seguiti”: 2418 giornate di degenza, con una media di 40,3 giorni per paziente;<br />
- per i “non seguiti”: 477 giornate di degenza, con una media di 26,5 giorni per paziente.<br />
• 46 pazienti con ricoveri ripetuti hanno diagnosi di psicosi e appartengono tutti alla classe di età<br />
compresa fra 15 e 64 anni (42 “seguiti” e 4 “non seguiti).<br />
• I 4 pazienti “non seguiti” con ricoveri ripetuti e diagnosi di psicosi sono stati ricoverati solamente<br />
presso l’ Azienda Ospedaliera di Pordenone.<br />
B O O K S E I 65
La domanda<br />
di salute<br />
mentale<br />
in ospedale<br />
Discussione<br />
1. Il tasso di ospedalizzazione con diagnosi psichiatrica nell’area considerata è di 4,39 su 1000<br />
abitanti in età superiore ai 14 anni (3,74 su 1000 abitanti in età lavorativa e 7,02 su 1000 abitanti<br />
nella popolazione anziana), appare sostanzialmente adeguato ai parametri medi della<br />
popolazione residente e conforme ai dati riportati in letteratura. Rimane aperta la questione se<br />
questi pazienti debbano usufruire dell’ospedale generale o se debbano essere ospitati in luoghi<br />
più chiaramente connotati da una etichetta psichiatrica. Fermo restando che deponiamo<br />
per la prima ipotesi, è innegabile che la tendenza attuale, dettata anche <strong>dalla</strong> gestione aziendalistica,<br />
sia la seconda, in quanto viene confermata <strong>dalla</strong> difficoltà sempre crescente all’interno<br />
delle unità operative ospedaliere di reperire posti letto con tempi rapportati al progetto<br />
terapeutico. Si apre la questione se riteniamo di dover proseguire sulla strada intrapresa<br />
vent’anni fa con la riforma psichiatrica, o se riaprire il discorso della separazione e differenziazione<br />
dei luoghi di cura tra i pazienti psichiatrici e non psichiatrici.<br />
2. La quota di domanda che riguarda utenti “non seguiti” dai Centri di Salute Mentale è composta<br />
prevalentemente da anziani. Questo dato conferma quanto è emerso in altri studi effettuati<br />
sul Servizio di salute mentale di Pordenone, oltre a palesare, più in generale, una differenza<br />
nella impostazione organizzativa rispetto ad altri paesi europei, come ad esempio la<br />
Gran Bretagna dove il 50% dell’utenza è psicogeriatrica. Sulla questione, nota e documentata,<br />
delle patologie degenerative cerebrali degli anziani è necessario riflettere per individuare<br />
strategie operative e organizzative che permettano di fornire una migliore cura e supporto agli<br />
anziani affetti da demenza e ai loro familiari.<br />
3. I dati ottenuti sull’utilizzo dell’ospedale generale, in particolare della Azienda ospedaliera di<br />
Pordenone e della Casa di Cura policlinico S. Giorgio, mostrano, a nostro avviso, un utilizzo<br />
“consapevole” del ricovero. Come emerge dal dato sulla degenza media, superiore ai 10 giorni,<br />
l’utilizzo dell’ospedale generale non è praticato a solo scopo diagnostico, ma soprattutto<br />
per il trattamento del disturbo, con un approccio efficace specifico nella clinica e nella cura<br />
psichiatrica e diverso rispetto ad altre branche della medicina, dove spesso l’efficacia passa<br />
anche attraverso la riduzione dei tempi di degenza.<br />
4. Le dimissioni relative ai casi “non seguiti” possono essere considerate una base di riferimento<br />
per valutazioni sulla capacità e flessibilità nello accoglimento della domanda da parte dei<br />
Servizi di salute mentale e di organizzazione strutturale della risposta; mentre le dimissioni<br />
relative ai casi “non seguiti” nei ricoveri ripetuti, in particolare con diagnosi di psicosi, possono<br />
segnalare un limite nella risposta da parte dei servizi territoriali.<br />
5. Emergono, in conclusione, elementi che confermano e specificano evidenze già fornite dai<br />
sistemi informativi psichiatrici, soprattutto in riferimento al necessario collegamento (12, 13,<br />
14) fra Centro di Salute Mentale, Ospedale Generale e Medicina di Base.<br />
Pordenone, aprile 1998<br />
6 6 B O O K S E I
La domanda<br />
di salute<br />
mentale<br />
in ospedale<br />
Nota esplicativa<br />
DRG: Diagnosis Related Groups - Raggruppamenti Omogenei di diagnosi<br />
Una serie di studi condotti a metà degli anni 70 negli Stati Uniti ha esaminato l’effetto sull’utilizzo delle<br />
risorse ospedaliere, mettendo in evidenza l’insufficienza degli indicatori ospedalieri basati sul numero delle<br />
giornate di degenza e i limiti della classificazione internazionale della malattie (ICD), in quanto importanti<br />
caratteristiche del paziente quali l’età, la comorbilità, le complicanze non venivano considerate. In aggiunta,<br />
tale classificazione dei pazienti basata sulla diagnosi principale conduceva ad un elevato numero di gruppi<br />
difficilmente gestibili e analizzabili. L’obiettivo era quello di sviluppare un sistema che, pur individuando<br />
un insieme relativamente contenuto di gruppi isorisorse, fosse significativo dal punto di vista clinico e<br />
utilizzabile per attività di valutazione, gestione e programmazione. Lo sviluppo dei DRG avviene rapidamente<br />
nel corso degli anni 70; dal 1979 utilizza la nuova revisione dell’ICD (ICD-9-CM), e successivamente<br />
viene condotta, sempre negli USA, una indagine su larga scala (1,4 milioni di records di dimissione) per<br />
la validazione del sistema. Dal 1983 gli Stati Uniti utilizzano i DRG per il finanziamento prospettivo degli<br />
ospedali per i ricoveri dei pazienti iscritti a Medicare. Recentemente in diversi paesi europei, Italia compresa<br />
dopo la riforma della riforma sanitaria, si sono sviluppate applicazioni dei DRG soprattutto per modificare<br />
il sistema di finanziamento degli ospedali, passando dal pagamento a giornata di degenza al pagamento a<br />
prestazione, infatti ad ogni DRG corrisponde una tariffa “remunerativa” delle prestazioni effettuate. I dati<br />
vengono inizialmente sottoposti ad un controllo di qualità per la verifica anche di eventuali incongruenze<br />
tra le principali variabili, ad esempio età/diagnosi, sesso/diagnosi, diagnosi/procedure. Successivamente i<br />
pazienti vengono attribuiti ad una delle 23 categorie diagnostiche principali (MDC) sulla base della diagnosi<br />
principale di dimissione. Le MDC costituiscono la riaggregazione di aree di patologie riconducibili alle<br />
diverse specialità cliniche. Dopo l’attribuzione dei singoli casi alla MDC appropriata, vengono distinti all’interno<br />
della stessa MDC i casi chirurgici da quelli medici sulla base della presenza o meno di una procedura<br />
o intervento richiedente per la sua esecuzione la permanenza del soggetto in sala operatoria. Dopo l’attribuzione<br />
dei casi alla MDC, viene individuato il DRG specifico in base alle altre variabili disponibili. Per<br />
l’assegnazione dei pazienti ai singoli DRG la variabile demografica più utilizzata è rappresentata dall’età;<br />
questa si utilizza sia per individuare i cosiddetti DRG pediatrici (età inferiore o uguale a 17 anni) che per<br />
quelli complessi anche in assenza di complicazioni. In genere i pazienti di età uguale o maggiore a 69 anni<br />
vengono attribuiti a DRG insieme a casi di qualsiasi età in presenza di complicazioni concomitanti. Questo<br />
perchÈ le cause concomitanti e l’età risultano associate ed entrambe sembrano influenzare in modo simile<br />
la durata di degenza. Fin dai primi studi statunitensi viene segnalata la difficoltà nella applicazione di questo<br />
sistema ai ricoveri psichiatrici, per i quali la Regione <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia ha definito una tariffa ad hoc.<br />
I DRG relativi alle Malattie e Disturbi Mentali, considerati in questo studio sono la Categoria medico diagnostica<br />
(MDC 19) - denominata Malattie e Disturbi Mentali - e precisamente i DRG: 424 C Interventi chirurgici<br />
associati ad una diagnosi principale di malattia mentale; 425 M Reazione acuta di disadattamento e<br />
disfunzione sociale; 426 M Nevrosi depressiva; 427 M Altre nevrosi; 428 M Disturbi della personalità: 429<br />
M Disturbi organici e ritardo mentale; 430 M Psicosi; 431 M Disturbi mentali dell’infanzia; 432 M Altre<br />
diagnosi di disturbi mentali.<br />
B O O K S E I 67
La domanda<br />
di salute<br />
mentale<br />
in ospedale<br />
Bibliografia<br />
(1) Goldberg D.P., Huxley P.<br />
“Mental illness in the Community: the pathway to the psychiatric care”, Tavistok, Londra, 1980<br />
(2) Goldberg D. P., Blackwell B.<br />
“Psychiatric illness in general practice”, Br. Med. J., vol.2, 439-43, 1970<br />
(3) De Salvia D. et altri<br />
“Disturbi mentali e disagio psichico nei servizi psichiatrici e sanitari e nel contesto sociale” Epidem.<br />
& Prev, n°48-49, 108-116, 1991<br />
(4) Hafner H. an der Heiden W.<br />
“Registri dei casi e schizofrenia”, in M.Tansella (a cura di) L’approccio epidemiologico in Psichiatria,<br />
259-299, Boringhieri, Torino; 1985<br />
(5) Hoeper E.W., et altri .<br />
“Estimated prevalence of RDC mental disorders in primary care”,<br />
Int. J. Ment. Hlth., vol 10, 6-15, 1979<br />
(6) Skuse D., Williams P,<br />
“Screening for psychiatric disorder in general practice”,<br />
Psycol. Med., vol .14, 365-377, 1984<br />
(7) Tansella M.<br />
“L’approccio epidemiologico in psichiatria”, Boringhieri, Torino, 1985<br />
(9) Williams P.<br />
“Le ricerche epidemiologiche sui disturbi psichiatrici nella medicina di base: una rassegna della letteratura”<br />
in M Tansella (a cura di) “L’approccio epidemiologico in psichiatria”, pg 321-378, Boringhieri,<br />
Torino, 1985<br />
(10) Rizzardo R. et altri.<br />
“The General Practitioner and the Psychiatric Health service in Italy after the reform: opinions and<br />
experiences in an urban district”,<br />
Acta Psichiatrica Scandinavica, n. 73, 234-238, 1986<br />
(11) Shepherd M.<br />
“General practice, mental illness and the British National Health Service”,<br />
A. J. Publ. Hlth., vol. 64, 230-232, 1974<br />
(12) Invernizzi G., Pezzullo M.<br />
“La psichiatria di Liaison: stato dell’arte”, Psichiatria e Medicina, 45, 1988<br />
(13) Majou R. A.<br />
“Consultation-Liaison Psychiatry ”(psichiatria di consult. e collegamento), Upjohn international INC,<br />
1988<br />
(14) Rigatelli M., et altri.<br />
“La consulenza psichiatrica-psicosomatica nei 4 ospedali del USL 16 di Modena: due anni a confronto”,<br />
Riv. Sper. Freniatr., vol. CXVII, n.2, 203-220, 1993<br />
6 8 B O O K S E I
B O O K S E I 69
Il lavoro<br />
con le<br />
famiglie<br />
Il lavoro<br />
con le<br />
famiglie<br />
L’importanza del clima emotivo familiare<br />
di<br />
Daniela Bortolussi<br />
Fausto Della Bianca<br />
Giovanni M. Fontana<br />
Introduzione<br />
“Noi non possiamo plasmare i figli secondo il nostro sentimento; così<br />
come Iddio ce li diede bisogna tenerli ed amarli” (J.W. Goethe).<br />
Questa laconica e quantomeno rassegnata affermazione sembra<br />
centrare in tutta la sua gravità l’enormità del carico familiare,<br />
soprattutto nei casi in cui si affrontino problematiche inerenti alla<br />
salute mentale. A venti anni <strong>dalla</strong> Legge <strong>180</strong> una delle più recenti<br />
acquisizioni nel percorso che conduce gli operatori psichiatrici a<br />
conferire dignità ai pazienti è stata probabilmente il cambiamento<br />
di rotta nella presa in carico che, vedeva in maniera paradossale e forse strumentale la tendenza<br />
a sostituirsi ai leggittimi parenti nella “funzione famiglia”.<br />
La necessità di conferire maggiori spazi ed importanza alla famiglia è stata in questi ultimi<br />
anni una delle caratteristiche maturative, spesso stimolata proprio dagli operatori del settore,<br />
nel tentativo di cercare un ulteriore elemento di confronto, pur sapendo che esisteva la potenzialità<br />
di una trasformazione di ruolo della famiglia in spiacevole “controparte”.<br />
Gradualmente nel tempo i familiari sembra abbiano valorizzato l’importanza di condividere<br />
problematiche affini e comuni ed abbiano deposto sempre più fiducia nell’importanza di<br />
momenti d’ascolto da parte degli operatori, mirati ad affrontare il carico nelle sue caratteristiche<br />
di più o meno grave oggettività e senz’altro di diversificata soggettività.<br />
Daniela Bortolussi Infermiera psichiatrica dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> - Pordenone<br />
Fausto Della Bianca Psicologo DSM dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> - Pordenone<br />
Giovanni M. Fontana Dirigente Medico DSM dell’A.S.S. n. 6 <strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong> - Pordenone<br />
7 0 B O O K S E I
Il lavoro<br />
con le<br />
famiglie<br />
Accantonata l’aggressività e la ricerca di “capri espiatori”, la famiglia sembra infatti ricercare,<br />
quasi desiderare, un luogo di condivisione e di ascolto che le permetta di metabolizzare le<br />
incomprensioni e talvolta le aspre critiche degli stessi parenti bisognosi di cure.<br />
Ciò in sintonia con una tagliente citazione di O. Wilde che sostiene “all’inizio i figli amano i<br />
genitori, dopo un po’ li giudicano, raramente o quasi li perdonano”.<br />
Inquadramento storico<br />
Per poter comprendere e collocare l’argomento dei familiari è utile considerare i vari scenari<br />
esistenti in psichiatria, per mezzo dei quali, prendendo a prestito conoscenze e teorie o criticando<br />
postulati e operatività, ha potuto svilupparsi e trovare una sua collocazione.<br />
Un primo scenario è rappresentato <strong>dalla</strong> psichiatria biologico-organicistica (aspetti medicobiologici)<br />
che non prevede il coinvolgimento dei familiari se non in termini di committenza<br />
od economici; il rapporto con la malattia è permeato e distorto dai concetti di danno biologico<br />
(colpa) ed ereditarietà.<br />
Un secondo è scenario dato <strong>dalla</strong> psichiatria psicodinamica, dove la famiglia è sempre stata<br />
tenuta fuori dal rapporto terapeutico in nome dell’osservanza di un setting e <strong>dalla</strong> lettura del<br />
disturbo mentale in termini di conflitto intrapsichico.<br />
Un terzo scenario (anni 50-60) vede l’utilizzo delle teorie dei sistemi per la cosiddetta Terapia<br />
Familiare, in cui la “spiegazione” del disturbo psichico non va cercata nel passato ma nei<br />
parametri e nelle regole interne al sistema stesso, alla famiglia, alla società, che però pone la<br />
famiglia non in un rapporto paritario con la scienza, bensì un oggetto della terapia stessa, con<br />
il risultato di creare un vissuto di colpa spesso paralizzante.<br />
Con lo scenario della psicoanalisi, si è cominciato a pensare all’espressione della sofferenza e<br />
del disagio in termini di quantità e non di qualità, il concetto di “vulnerabilità” ha soppiantato<br />
completamente quello di ereditarietà.<br />
Attorno agli anni 60-70 è sorto il filone inglese che utilizza programmi informativi ed educazionali<br />
(Wing, Leff), tesi al controllo dell’emotività espressa (EE) e alle aspettative che hanno<br />
una notevole influenza rispetto alle ricadute. Si può presumere quindi che, sostenendo le<br />
famiglie nel supportare le iniziative, questo possa influire in modo positivo sulle ricadute.<br />
Questa forma di supporto rischia però di trasformarsi in una facile delega alla cura.<br />
Per ultimo abbiamo lo scenario delle associazioni che con la loro connotazione difensiva<br />
hanno determinato una grande separazione tra chi sa (curanti) e i familiari, creando a volte<br />
con il Servizio Istituzione un rapporto gerarchico-funzionale; tipico del rapporto della famiglia<br />
con il bambino piccolo. Lo scenario attuale in cui si colloca il rapporto con i familiari,<br />
tende a far sì che il rapporto con il servizio, paziente e famiglie sia un rapporto tra soggetti<br />
che interagiscono reciprocamente.<br />
Se recenti studi internazionali ci indicano che un terzo dei portatori di diagnosi psichiatrica<br />
nell’arco di 5-20 anni guarisce completamente (guarigione clinica), un terzo guarisce socialmente<br />
(supporto farmacologico riabilitativo), un terzo, invece, è più resistente alla cura e al<br />
cambiamento, a questa quota principalmente si riferisce ed è oggetto l’interazione familiari-<br />
Servizi. Una famiglia, di solito, ha già delle risorse anche se minime per fronteggiare il disturbo,<br />
la malattia, che percepisce attraverso le proprie credenze, i propri valori, a volte sostenuti<br />
da luoghi comuni, stereotipie, ecc. Quando uno di questi tre fattori non trova più argine, si<br />
ha la crisi della famiglia. Se invece, quando c’è il disturbo mentale, la malattia, l’agente stressogeno,<br />
siamo capaci di attivare risorse nuove accanto a quelle già esistenti, riusciamo a dare<br />
costantemente un’informazione per fare il punto della situazione, per ridimensionare le aspettative<br />
e attivare le risorse, non avremo più una situazione di crisi e quindi di rottura o paralisi<br />
della famiglia, ma avremo dato avvio ad un processo di affrontamento (coping) delle situazioni<br />
che permette così alla famiglia, al paziente e paradossalmente al Servizio di trovare un<br />
giusto grado di adattamento e cambiamento.<br />
B O O K S E I 71
Il lavoro<br />
con le<br />
famiglie<br />
Aspetti teorici<br />
La famiglia è parte determinante di quello che i teorici dello stress chiamano equipaggiamento<br />
protettivo di base. E in quanto sfera di risorse, di identità, di appartenenza,<br />
incide attivamente sia nella definizione e nella oscillazione della soglia di vulnerabilità,<br />
sia nella negoziazione sulle forme della presa in carico e della cura.<br />
La consapevolezza dell’importanza rivestita dal clima familiare, dalle attese e dalle resistenze<br />
esercitate nei confronti del paziente grave, ha stimolato l’attenzione per interventi<br />
a livello delle famiglie (da non confondersi con la terapia familiare o sistemica).<br />
Molti studi effettuati sull’esito del processo riabilitativo hanno sottolineato l’importanza<br />
esercitata dalle aspettative e dalle resistenze nel determinare i successi dell’intervento<br />
stesso. In quest’ottica dovremo valutare attentamente la qualità di queste aspettative,<br />
considerare le attese del paziente come quelle degli operatori e del gruppo di<br />
familiari. Ma l’importanza svolta dalle caratteristiche emozionali in termini di resistenze<br />
e facilitazioni, vede al primo posto come fattore programmatico positivo le aspettative<br />
dei familiari, seguite poi da quelle dei pazienti, infine dagli operatori. Queste<br />
caratteristiche vanno considerate elementi ben più significativi di una prognosi legata<br />
alla valutazione della “forza della struttura dell’Io”. Alcuni studi sottolineano l’importanza<br />
delle aspettative positive e convergenti dei soggetti della riabilitazione, come<br />
anche degli esiti negativi consolidati nell’effetto Rosenthal o “profezia autoavverantesi”<br />
in cui si assiste ad un paziente che attua tiepidi miglioramenti rispetto alla condizione<br />
della propria disabilità, quando percepisce che nei suoi confronti si nutrono<br />
scarse aspettative di successo. Il fornire alle famiglie una sufficiente informazione sulla<br />
malattia, oltre a correggere aspettative e significati attribuiti al comportamento del<br />
paziente, ridurrà anche i conflitti tra i vari membri circa le capacità reali del paziente<br />
ed il modo migliore per porsi nei suoi confronti, l’effetto ultimo, sarà quello di ridurre<br />
l’intensità emotiva della vita familiare e quindi lo stress, a cui il paziente è sottoposto.<br />
Il ruolo che svolgiamo come operatori può essere definito come di catalizzatori di processi<br />
allargati a più ambiti istituzionali e a più figure professionali senza la cui cooperazione<br />
la psichiatria nel territorio non può far nulla.<br />
La nostra esperienza territoriale sviluppata nel corso di quasi 15 anni, non poteva più<br />
prescindere dal coinvolgimento attivo ed orientato delle famiglie ed è quindi stato<br />
necessario mettere a punto strumenti educativi e di partecipazione adeguati.<br />
A questa considerazione si è giunti attraverso fasi che inevitabilmente attraversano la<br />
pratica di un Servizio nato sulla linea di demarcazione della legge <strong>180</strong> che vede, in precedenza,<br />
accanto alle resistenze dei familiari, coagulate spesso intorno alla passività,<br />
all’aggressività espulsiva e alla impenetrabilità al lavoro riabilitativo, altri elementi di<br />
difficoltà, intesi come strategie miranti al mantenimento della stabilità e dell’omeostasi,<br />
incentrato sul paziente designato e sul rifiuto del folle e della follia come pratica di<br />
esclusione.<br />
Era quindi inevitabile che inizialmente la pratica fosse connotata da eccessi di oblatività<br />
da un lato e da atteggiamenti di stigmatizzazione e ipercriticità nei confronti dei<br />
familiari dall’altro.<br />
Quindi il favorire e il mantenere la permanenza del paziente all’interno della famiglia<br />
aumentava la necessità di rivedere il rapporto tra servizio e le famiglie, individuando<br />
questi come due poli di responsabilità rispetto al paziente e alla sua condizione.<br />
Aspetti operativi<br />
La famiglia non è che la prima agenzia contro la quale ci si va ad urtare, così che essa<br />
7 2 B O O K S E I
Il lavoro<br />
con le<br />
famiglie<br />
diventa al tempo stesso banco di prova di nuove tattiche, di nuovi stili professionali e modelli<br />
di intervento allargato.<br />
Proprio l’urgenza di elaborare il passaggio della famiglia da una cultura della delega a una<br />
cultura del coinvolgimento o della responsabilità (a una nuova etica di solidarietà col proprio<br />
malato) ha permesso ad alcuni di noi di portare avanti da circa due anni un programma<br />
di lavoro con le famiglie di pazienti ad alto carico emotivo. Tale programma si articola<br />
in incontri di cadenza bimensile (I° e III° lunedi di ogni mese) che hanno lo scopo di promuovere<br />
e migliorare la conoscenza della malattia, ma anche di favorire il confronto sulle<br />
credenze, sull’immaginario, su quanto di razionale c’è a volte nella malattia mentale.<br />
Si lavora sempre su un doppio versante: da un lato “l’oggettività” della malattia (livello psicoeducativo)<br />
dall’altro la partecipazione “soggettiva” del familiare ( con la consapevolezza<br />
di lavorare per sè) cerchiamo di far emergere il contributo positivo portato dal paziente<br />
all’interno della famiglia, valorizzando anche i più piccoli progressi all’interno della loro<br />
rete sociale.<br />
In sostanza, si intacca così la rassegnazione rispetto alla visione statica della malattia e si esercitano<br />
i genitori ad una percezione di movimento, valorizzando le capacità e le abilità e non<br />
le menomazioni, le disabilita, i sintomi.<br />
L’obiettivo più generale è quello di valorizzare il ruolo della famiglia, creare un ambiente emotivo<br />
migliore all’interno della stessa e favorire soluzioni pratiche tra famiglia e Servizio.<br />
A questo punto emerge anche l’impatto che questa nuova realtà produce sul Servizio in quanto<br />
il contatto familiari/Servizio, riduce fortemente la libertà di agire operazioni manipolatorie<br />
da parte del Servizio stesso, ne aumenta la trasparenza nel suo insieme, proponendo anche<br />
alla lunga di spostare sulle famiglie alcune ben definite competenze e attivare abilità di supporto;<br />
costringendo così il Servizio ad accogliere le istanze delle famiglie con più attenzione,<br />
a rivedere i programmi riabilitativi, ad introdurre nuove risorse, diversi soggetti nel percorso<br />
terapeutico, costringendo anche il Servizio ad una maggiore e più rapida disponibilità a modificarsi,<br />
a raccogliere le richieste dei singoli e del gruppo.<br />
In questo contesto, il riconoscimento della necessità delle risorse della famiglia nella presa a<br />
carico, pone un problema di maggior equità nelle responsabilità. Diventa quindi indispensabile<br />
elaborare forme di reciprocità e di autentica alleanza fra famiglie e servizi dal momento<br />
che questi ultimi non hanno più uno statuto forte, di Istituzione autosufficiente e separata.<br />
Così sembra legittimo che la famiglia non sia coinvolta solo in negativo in termini di sola riparazione<br />
di un danno o in termini di adattamento che resta quasi coatto, forzato, ma sia messa<br />
in grado di sviluppare liberamente nel percorso con i Servizi una soggettività e un senso proprio,<br />
un cambiamento dotato di una propria intenzionalità.<br />
Non dobbiamo dimenticare che la psichiatra istituzionale attribuisce alla famiglia (nello stretto<br />
rapporto con i Servizi) un ruolo di interlocuzione forte per poter riannodare i fili spezzati<br />
tra il malato e la comunità locale, questo, per poter ricreare i legami e le alleanze, il ruolo e la<br />
soggettività stessa della persona ammalata.<br />
In altre parole crediamo che nella vicinanza e prossimità coi Servizi, con cui condivide le<br />
responsabilità della cura, la famiglia è autorizzata sempre più a chiedere vantaggi per sè in<br />
cambio degli oneri e che questi oneri possano quindi essere convertiti di volta in volta in<br />
nuove capacità acquisitive, in legami sociali, in diritto alla salute e di cittadinanza.<br />
Si assiste quindi in questi ultimi anni, al trasformarsi della famiglia in agenzia di servizi, processo<br />
che ha obbligato le famiglie a coinvolgersi direttamente nelle politiche sociali, con funzione<br />
di integrazione, sostitutive e di promozione della qualità dei servizi.<br />
Lo scenario attuale in cui si colloca il rapporto con i familiari tende a far si che il rapporto tra<br />
Servizio, paziente e famiglie sia un rapporto tra soggetti che interagiscono reciprocamente.<br />
Il favorire e mantenere la permanenza del paziente all’interno della famiglia aumenta la neces-<br />
B O O K S E I 73
sità di rivedere il rapporto tra famiglie e servizi, individuando questi due come due poli di<br />
responsabilità rispetto al paziente e alla sua condizione .<br />
Di conseguenza dopo queste brevi considerazioni possiamo dire che i bisogni dei famigliari<br />
che emergono anche dagli incontri sono:<br />
- quello di conoscere di più la malattia per saperla fronteggiare;<br />
- ricercare un aiuto nei problemi quotidiani (necessità di fare il punto per sapere sempre<br />
dove si sta);<br />
- venire informati sul sistema ed organizzazione dei Servizi;<br />
- avere contatti con altre famiglie e incrementare così il “social- network”.<br />
Si è così organizzata per l’anno 1996 una serie di incontri strutturati e monotematici rivolti<br />
alle famiglie che, possano venire incontro a questi loro bisogni, utilizzando risorse sia<br />
interne al servizio che esterne.<br />
Inoltre, una particolare attenzione verrà rivolta ai familiari di utenti che utilizzano strumenti<br />
finalizzati all’inserimento lavorativo, come borse di lavoro, incentivi, ecc. questo<br />
anche al fine di supportare un’esperienza che, senza il giusto coinvolgimento ed elaborazione<br />
anche da parte della famiglia, rischia spesso di diventare un’operazione meramente<br />
assistenziale o peggio ancora un’area di parcheggio.<br />
Da ultimo, ma non ultimo in quanto ad importanza, riteniamo che i familiari possano<br />
costituire quel fronte di opinione e perchè no, di pressione, cui le Coop sociali e gli eventuali<br />
referenti politici devono tenere in giusta considerazione.<br />
Bibliografia<br />
Anderson C.M., Hogarty, G, Reiss D.J. 1980), Family treatment of adult schizophrenic patients: a psichoeducational<br />
approach. Schizophrenia Bullettin, 6, 490.<br />
Casacchia M., Roncone R., Core L. (1990), La famiglia come risorsa terapeutica nei disturbi schizofrenici.<br />
L’Ipetro - quaderni mensili di studi antropologici.<br />
Castelfranchi C. (1992), Le frontiere della riabilitazione (II parte), in Salute Mentale, Medicina sociale, epidemiologia<br />
Centro studi e Ricerche per la salute mentale, F.V.G.<br />
Dell’Acqua G., Mezzina R. (1988), Risposta alla crisi. strategie e intenzionalità dell’intervento nel servizio<br />
psichiatrico territoriale, in Per la salute mentale, 1/88<br />
Dell’Acqua G., Cogliati M.G. (1985), The end of the mental Hospital, Acta Psichiatrica Scandinavica,<br />
suppl. 316<br />
Gallio G. (1988) Famiglie e servizi nella deistituzionalizzazione, in Per la salute mentale 2-3/88<br />
Mezzina R., Mazzuia P.P., Vidoni D., Impagnatiello M. (1992), Networking consumers’ partecipation in<br />
community mental health service: mutual support groups, citizenship coping strategies. The International<br />
Journal of Social Psychology, 30,1<br />
7 4 B O O K S E I
Sintesi delle modalità di informazione alle famiglie e di organizzazione dell’aiuto reciproco<br />
uso/attivazione delle risorse disponibili. Aiuto concreto del servizio<br />
1<br />
- Lavoro terapeutico sul<br />
gruppo<br />
- Individuazione della rete<br />
sociale<br />
- Stimolazione e sostegno di<br />
auto-organiz. self-help<br />
-Valorizzazione dei famigliari<br />
come soggetti<br />
- Confronto sull’esperienza<br />
Riduzione<br />
del carico familiare<br />
- Valorizzazione dei famigliari<br />
come soggetti<br />
- Capacità di confrontarsi sulle<br />
proprie singolari<br />
esperienze<br />
- Capacità di riorganizzare le<br />
proprie risorse (della famiglia)<br />
- Supporto rete sociale selfhelp,<br />
attività autorganizzate,<br />
rete artificiale<br />
2<br />
- Conoscenza e informazioni<br />
sulla malattia<br />
- Vissuti di colpa<br />
- Pregiudizi<br />
- Singolarizzazione<br />
- Senso<br />
Storia del paziente<br />
Nosografia del positivo<br />
Modificazione<br />
del vissuto e<br />
della cultura<br />
della malattia<br />
- Diminuzione del vissuto<br />
di colpa<br />
- Critica del pregiudizio<br />
e dell’immaginario<br />
- Capacità di singolarizzare<br />
e di attribuire significati a<br />
quella storia<br />
- Capacità di vedere gli eventi<br />
positivi, le abilità, le competenze<br />
3<br />
- Apprendimento<br />
- Abilità di affrontamento dei<br />
problemi, della crisi<br />
Modificazione<br />
del rapporto<br />
famiglie/Servizio<br />
- Modificazione della domanda<br />
- Riduzione del carico sul<br />
Servizio<br />
- Diminuzione dell’allarme<br />
- Diminuzione delle ricadute<br />
4<br />
- Partecipazione / presenza<br />
delle famiglie<br />
Modificazione<br />
dell’operatività<br />
del servizio<br />
- Ricerca costante di nuove<br />
modalità di intervento<br />
- Riduzione di spazi manipolatori<br />
- Aumento della trasparenza<br />
- Impossibilità di neutralizzare<br />
i problemi e le istanze dei<br />
familiari<br />
B O O K S E I 75
7 6 B O O K S E I
Prossimamente<br />
dal DSM<br />
La redazione<br />
Anche nei nostri prossimi interventi vorremmo riprodurre questo schema:<br />
alcune riflessioni sul versante teorico o della rielaborazione concettuale,<br />
come approfondimento culturale di alcune nostre pratiche e la proposta<br />
di ricerche che evidenzino modalità di lavoro, analizzino la qualità dei servizi,<br />
verifichino le scelte operative compiute. L’idea guida resta quella di<br />
attingere primariamente alle iniziative spontanee degli operatori del DSM,<br />
al loro sforzo, che spesso si concretizza in tempo e lavoro fuori orario, di<br />
rispondere a quesiti operativi, di aggregarsi attorno a curiosità comuni e<br />
non solo istituzionalmente commissionate.<br />
Il tema attorno a cui vogliamo dedicarci in futuro riguarda uno dei progetti più significativi sia per l’Azienda<br />
Sanitaria sia per il DSM: ci occuperemo di Accreditamento e di Valutazione di qualità dei servizi.<br />
Il DSM, in particolare, è coinvolto a livello nazionale nel progetto accreditamento d’eccellenza<br />
tra pari e, in tale logica ha istituito un Circolo di Qualità per ogni unità operativa, coinvolgendo in tal<br />
modo tutti gli operatori e le strutture in un oggettivo ed effettivo programma di miglioramento dei<br />
servizi.<br />
Alcune iniziative specifiche riguardano il miglioramento dell’accessibilità ai servizi, della qualità ed<br />
appropriatezza delle prestazioni e del clima all’interno dell’equipe, valutazione e controllo della<br />
domanda e della risposta attraverso l’identificazione di protocolli o percorsi guidati (uso dei farmaci,<br />
registrazione e rilevazione dei dati, cartelle cliniche, protocolli di intervento in collaborazione con altre<br />
strutture), Numerose iniziative nascono quindi da questi obiettivi per cui sarà interessante proporne<br />
alcune come esperienza di lavoro, sintesi di risultati, progetti futuri.<br />
B O O K S E I 77
È consentita la riproduzione e la traduzione,<br />
sia integrale che in riassunto, di articoli<br />
e di notizie soltanto a condizione<br />
che ne sia citata la fonte e per fini<br />
di sanità pubblica e non a scopo di lucro.<br />
Finito di stampare in novembre 1998<br />
500 copie
➋<br />
AZIENDA PER I SERVIZI SANITARI N.6 FRIULI OCCIDENTALI<br />
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