Nelle - Studi Filosofici
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Da un convego, a lui dedicato, tenutosi all’Università di<br />
Firenze il 13 e il 14 maggio 1994, cogliamo l’occasione per<br />
ricordare in questo numero l’opera e l’insegnamento di vita<br />
di uno dei più importanti rappresentanti della filosofia<br />
italiana del ‘900, Cesare Luporini, scomparso il 25 aprile<br />
del 1993. Ad aprire il ricordo vorremmo chiamare un<br />
preciso momento della biografia intellettuale di Luporini;<br />
un momento a cui egli stesso era tornato poco prima della<br />
sua scomparsa, con l’intenzione di ripubblicare in versione<br />
originale gli scritti contenuti in Situazione e libertà nell’esistenza<br />
umana, opera di concezione esistenzialistica, apparsa<br />
nel 1942, che raccoglieva un decennio di studi e confronti<br />
di Luporini su Heidegger. A prepararne l’uscita avevano<br />
provveduto, nel 1941, tre significativi interventi di Luporini<br />
sulla rivista «Argomenti», prima che questa fosse soppressa<br />
dal regime fascista: Esistenza I, II e III. A testimonianza<br />
dell’impegno filosofico di Luporini in quegli anni presentiamo<br />
qui di seguito l’ “Avvertenza” del 1941 a Situazione<br />
e libertà nell’esistenza umana, di cui nel 1993 è stata<br />
pubblicata, com’era peraltro desiderio di Luporini, una<br />
nuova edizione presso gli Editori Riuniti di Roma.<br />
Questa filosofia nasce alla confluenza dei tre più vivi<br />
movimenti del pensiero contemporaneo: l’idealismo italiano,<br />
la «filosofia della vita» e la filosofia esistenziale. In<br />
questo libro non si presume propriamente di dir nulla di<br />
nuovo: chi dica la parola “nuova”, ossia il rivelatore di nuovi<br />
valori, è apparizione tanto rara quanto fondamentale nella<br />
storia umana. Ma il suo apparire e il suo esser-apparso è<br />
sempre condizionato dalla possibilità storica di accogliere<br />
la sua parola e quindi, in un’opera comune, da un indefesso<br />
travagliarsi, maturarsi e rinnovarsi della coscienza di tutti.<br />
In questo travaglio le parole già dette continuamente si<br />
rinnovano e si rinnovano per non perire, per non perdere<br />
cioè la loro pregnanza vitale e assiologica. Ma questo loro<br />
perenne rinnovarsi non è svolgimento automatico della<br />
coscienza o, come da taluni si dice, dello «spirito» - fatale<br />
e provvidenziale storia - bensì compito di tutti e di ognuno,<br />
opera singola in quanto opera comune, ma opera comune<br />
come perenne chiarificazione da parte del singolo della<br />
sempre e soltanto “propria” esperienza. In questo senso<br />
dunque iniziativa singolare e non cedibile responsabilità.<br />
Nella detta opera il filosofare s’impone come l’imporsi<br />
stesso del valore della libertà. L’esigenza sua è l’esigenza<br />
della perenne chiarificazione della situazione storica in cui<br />
ci troviamo, ed è, come tale, esigenza della ragione in<br />
quanto esigenza insieme della libertà e di libertà. La situazione<br />
storica non è meno speculativa (metafisica) che etica,<br />
non è meno politica ed economica che estetica: nella sua<br />
fattuosità sempre da superarsi, nella “naturalità” in cui, di<br />
punto in punto, la storia si rapprende e s’irrigidisce, sono<br />
implicati e coinvolti tutti i momenti umani, e da essa vanno<br />
di volta in volta sempre nuovamente liberati. Questa liberazione,<br />
il cui atto parte dall’intimo e nell’intimo rifluisce, è<br />
appunto quel compito comune come compito singolare. La<br />
situazione ci diventa, di momento in momento, “destino”,<br />
ma nell’imporsi in essa del valore la situazione stessa si<br />
scioglie e si fonde nel nostro atto: e il destino diventa<br />
SOMMARIO<br />
2<br />
assoluta, libera iniziativa. L’assolutezza dell’iniziativa è il<br />
realizzarsi della “persona”.<br />
Per questa ragione, per questa pregiudiziale irriducibile<br />
dell’iniziativa personale, se la sostanza e la spinta del<br />
presente lavoro - e non poteva esser altrimenti, per l’ambiente<br />
storico in cui sorge, per le domande a cui particolarmente<br />
risponde - è nel pensiero italiano contemporaneo,<br />
tuttavia il suo accento batte sulla componente «esistenziale».<br />
Non si tratta di un innaturale (antistorico) trapiantamento<br />
fra noi di un pensiero nato sotto altri climi, a risolvere altre<br />
esigenze e a rispondere ad altre domande, ma dell’urgere, nel<br />
modo e nel dramma stesso dei nostri problemi, di un’esigenza<br />
speculativa che crediamo comune a tutta la coscienza occidentale<br />
e il cui imporsi non è che l’espressione e il frutto, come<br />
sempre, di un particolare travaglio morale.<br />
In questo senso l’esistenzialismo si oppone ad ogni sorta di<br />
provvidenzialismo, storicismo ed automatismo spirituale e<br />
materiale, e si presenta come rivendicazione dell’incarnato<br />
individuo e nell’individuo della persona come incondizionata<br />
iniziativa. Nell’unificazione teoretica che esso costituisce e<br />
che, come tutte le unificazioni teoretiche, come tutte le filosofie,<br />
è provvisoria e storicamente condizionata, esso esprime<br />
una precisa “volontà speculativa”: porsi sul limite della finitezza<br />
e quivi mantenersi e di qui far parlare la realtà e i valori.<br />
Ma porsi e mantenersi sul limite della finitezza significa nello<br />
stesso tempo trascenderlo e con ciò ritrovare “in concreto”<br />
l’essenza stessa dell’esistente che non solo e non tanto è limite<br />
quanto trascendenza del limite, non solo e non tanto è “essere”,<br />
quanto cointeressamento all’essere, e quindi, innanzi tutto,<br />
essere il proprio essere come dischiusa possibilità. La così<br />
determinantesi possibilità è, vedremo, nell’esistente umano, la<br />
libertà, identica quindi alla sua trascendenza; la dischiusura di<br />
essa il suo imporsi come assoluto valore. L’autovalere dell’assoluto<br />
valore non ha dunque la sua realtà in un sopramondo<br />
«eterno», sia esso di «forme» o di categorie, comunque intese,<br />
o di determinati, o determinabili contenuti assiologici, ma si<br />
radica nell’autointeressamento esistenziale dell’esistente come<br />
pensante. Il dischiudersi della possibilità umana come imporsi<br />
assoluto del valore presenta l’uomo come “compito”.<br />
Tale la sua essenza: il compito dell’uomo è, vedremo, la<br />
persona stessa. Ma questo compito ha non solo una «dignità»,<br />
ma una realtà e una funzione - e quindi anche una<br />
responsabilità - “cosmica”. Ritroviamo qui, ma libero dagli<br />
impacci e dalle antinomie del deteriore razionalismo, l’immortale<br />
primato della ragione pratica. In questo senso<br />
l’esistenzialismo che presentiamo è, consapevolmente, un<br />
momento dell’odierno «ritorno a Kant», a quel Kant che<br />
tenacemente si mantenne sul limite della finitezza.<br />
Se il mantenersi ostinatamente sul limite della finitezza è il<br />
vero e unico modo di trascenderlo, se questa trascendenza,<br />
come trascendenza umana, è libertà, ogni filosofia che sia<br />
fedele a quel limite e quindi all’uomo e quindi al proprio<br />
compito, e non tradimento e svisamento di esso, è realizzazione<br />
di libertà. Come tale essa impegna l’uomo e in questo<br />
impegnarlo - al di là della sua contingente formulazione - sta<br />
l’assolutezza della sua verità. Non dunque nel suo sempre<br />
provvisorio contenuto teoretico, ma nella illuminata fede<br />
con cui questo contenuto vien accolto nell’animo e vi si fa<br />
operante valore.
5 PROFILO<br />
5 In ricordo di Cesare Luporini<br />
15 SCHEDA<br />
15 L’Istitutodi Filosofia di Palermo<br />
17 AUTORI E IDEE<br />
17 Le ‘letture’ di Ricoeur<br />
17 Le prove dell’esistenza di Dio<br />
18 Budda e il buddismo<br />
19 Il pensiero politico di Oakeshott<br />
20 Dilettanti e viandanti nel romanticismo<br />
21 Terra-Patria invece di non-luoghi<br />
22 Herzen e la sua filosofia<br />
22 In onore di Hermann Schmitz<br />
23 Rivoluzioni in geometria<br />
23 L’etica nell’età della tecnica<br />
25 La teoria della scelta razionale in Nozick<br />
26 Bergson, o la filosofia come scienza rigorosa<br />
26 Linguaggio ed evoluzione naturale<br />
27 Frank: lo stile della filosofia e la questione del mito<br />
29 TENDENZE E DIBATTITI<br />
29 Su Foucault<br />
30 La filosofia del linguaggio di Davidson<br />
32 Geofilosofia<br />
33 Su Nietzsche<br />
36 Hobbes, e oltre<br />
37 Su Marx e il marxismo<br />
38 Sul pregiudizio morale e il diritto alla vita<br />
39 PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
39 Spet: ermeneutica ed estetica<br />
41 Etica e diritto in Fichte<br />
42 Heidegger di fronte a Hegel<br />
42 Heidegger nella biografia di Safranski<br />
43 Leibniz e la teodicea<br />
44 Epistemologia ed empirismo logico<br />
45 Per una storia filosofica dell’infinito<br />
SOMMARIO<br />
3<br />
45 Detti e scritti da Foucault<br />
46 Razionalità e religione in Kant<br />
47 L’essenza del cristianesimo in Feuerbach<br />
48 Lettere di Epicuro<br />
48 Biografie nietzscheane<br />
49 NOTIZIARIO<br />
51 CONVEGNI E SEMINARI<br />
51 Augusto Guzzo nel centenario della nascita<br />
53 Rivoluzioni concettuali<br />
54 Il confronto tra le culture<br />
56 Scritture del pensiero<br />
56 Individuo e tradizione in Popper<br />
57 Su nazione e nazionalismo<br />
58 Le frontiere dell’antropologia<br />
60 ‘Philosophia naturalis’<br />
61 La riforma di Lutero<br />
64 Viaggio come esperienza religiosa<br />
65 Avventure della verità: da Hegel a Goodman<br />
66 Parmenide e dopo Parmenide<br />
68 Melantone e il suo tempo<br />
69 CALENDARIO<br />
71 DIDATTICA<br />
71 La filosofia insegnata<br />
71 Filosofia per ragazzi<br />
73 Per diventare cittadini<br />
75 STUDIO<br />
75 Filosofia anglo-sassone<br />
75 Felicità e piacere nei greci<br />
77 RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />
81 NOVITÀ IN LIBRERIA
PROFILO<br />
Cesare Luporini (foto di G. Giovannetti)<br />
4
Nei giorni 13 e<br />
Il pensiero<br />
14 maggio<br />
di<br />
1994, nell’Au-<br />
Cesare Luporini la Magna dell’Università<br />
di<br />
Firenze e in Palazzo<br />
Medici-<br />
Riccardi, si è<br />
tenuto un con-<br />
di Luca Fonnesu vegno su “Il<br />
pensiero di Cesare<br />
Luporini”, a circa un anno dalla sua<br />
scomparsa. Dei due ambiti in cui Cesare<br />
Luporini fu attivo protagonista - la filosofia<br />
e la politica - il convegno, organizzato<br />
dal Dipartimento di Filosofia, si è soffermato<br />
prevalentemente sul primo, anche se<br />
numerosi - e con ragione - sono stati i<br />
riferimenti a quell’attività politica che Luporini<br />
non abbandonò mai, nelle diverse<br />
forme e sui diversi piani che ciò ha comportato<br />
per la sua generazione.<br />
Al binomio filosofia-politica ha<br />
fatto riferimento Norberto<br />
Bobbio, in una testimonianza<br />
che è stata letta in apertura,<br />
nonostante la sua assenza (assente,<br />
per motivi di salute, anche<br />
l’altro illustre coetaneo di<br />
Luporini, Eugenio Garin). A<br />
Bobbio e Luporini, che succes-<br />
sivamente scelsero strade filosofiche<br />
e politiche diverse, è<br />
stata comune in origine, sotto<br />
la dittatura, l’adesione all’esistenzialismo<br />
come filosofia<br />
della libertà e, parallelamente,<br />
l’adesione al gruppo liberalsocialista<br />
insieme con Guido Calogero<br />
e Aldo Capitini. E’ il<br />
Luporini filosofo, dunque, che<br />
è stato al centro dell’interesse<br />
di questo convegno, nei diversi<br />
aspetti della sua riflessione: la<br />
filosofia esistenziale, gli studi<br />
di storia della filosofia, l’interpretazione<br />
di Marx e, certo non<br />
meno importanti, gli studi su Leopardi, ai<br />
quali Luporini era tornato negli ultimi anni,<br />
dopo l’importante saggio del 1947, con<br />
rinnovata intensità.<br />
La relazione di Sergio Landucci, che ha<br />
aperto i veri e propri lavori, ha mantenuto<br />
unite filosofia e politica, mostrandone le<br />
reciproche relazioni in un percorso intellettuale<br />
segnato da questa “duplice fedeltà”.<br />
L’itinerario che ne è emerso non ha<br />
offerto però un’immagine conciliatoria,<br />
un percorso non tormentato; al contrario.<br />
Dalla relazione tra filosofia e politica in<br />
Luporini si mostra una continua tensione<br />
che è stimolo intellettuale, e che segna la<br />
periodizzazione proposta da Landucci, motivandone<br />
le datazioni. Le “svolte” della<br />
biografia di Luporini sono al tempo stesso<br />
svolte dell’uomo - anche politicus - e del<br />
filosofo: il 1943-45, il 1966, con l’immersione<br />
“dentro Marx”, il 1977, con il progressivo<br />
abbandono di questa prospettiva<br />
(che non comportò, com’è noto, né l’ab-<br />
PROFILO<br />
bandono dell’orizzonte del comunismo né<br />
il disimpegno politico) ed il ritorno agli<br />
studi leopardiani. Si tratta, verrebbe da<br />
scrivere, di scansioni politico-esistenziali<br />
della stessa ricerca teorica di Luporini. Un<br />
altro allievo di Luporini, Aldo Zanardo,<br />
ha preso le mosse da un’espressione gramsciana<br />
in cui la domanda su cosa sia l’uomo<br />
si trasforma in quella su cosa l’uomo possa<br />
diventare; un tema in cui si saldano idealmente<br />
le riflessioni di filosofia esistenziale<br />
del giovane Luporini con il successivo inserimento<br />
del problema dell’uomo - e della<br />
sua emancipazione - nella prospettiva della<br />
trasformazione della società.<br />
Nel suo intervento Stefano Poggi ha preso<br />
in esame lo scritto della fine del 1941,<br />
Situazione e libertà nell’esistenza umana.<br />
Si tratta di un testo, nelle parole di Poggi,<br />
che costituisce «il documento più denso e<br />
ricco del dibattito intorno alla filosofia<br />
In ricordo<br />
di<br />
Cesare Luporini<br />
intervengono<br />
Stefano Poggi e Sergio Landucci<br />
a cura di Riccardo Ruschi<br />
dell’esistenza nel nostro paese». Libertà,<br />
temporalità, finitezza sono i concetti centrali<br />
del libro di Luporini, consapevolmente<br />
presentato come elemento di un “ritorno<br />
a Kant”, e Kant è ben presente nell’intervento<br />
di Poggi. Ma non solo. Poggi ha<br />
sottolineato più volte l’originalità della<br />
posizione luporiniana anche in relazione a<br />
quello Heidegger che dieci anni prima<br />
dell’uscita di Situazione e libertà Luporini<br />
aveva ascoltato direttamente a Friburgo,<br />
poco prima dello sciagurato discorso rettorale<br />
del 1933. Ancora più netto, il confine<br />
tracciato da Poggi, lo è stato rispetto a<br />
Bergson, che pure su altro esistenzialismo<br />
- quello di Sartre - eserciterà un’influenza<br />
decisiva; e vale la pena di ricordare, a<br />
questo proposito, il giudizio negativo sulla<br />
filosofia di Sartre, espresso e ribadito più<br />
volte da Luporini, da ultimo nel testo edito<br />
di recente nel fascicolo dedicato a Luporini<br />
in «Critica marxista» della fine del 1993.<br />
Intervenendo su “Le radici del marxismo<br />
5<br />
di Cesare Luporini”, Nicola Badaloni ha<br />
cercato di ricostruire l’unità della ricerca<br />
filosofica di Luporini attraverso i diversi<br />
momenti della sua riflessione, dall’interpretazione<br />
dello Hegel di Libertà e destino,<br />
attraverso la lettura di Leopardi, fino<br />
all’esegesi dei testi di Marx e quindi alla<br />
polemica sullo storicismo - di cui Luporini<br />
fu protagonista - che caratterizzò il dibattito<br />
teorico del marxismo italiano negli<br />
anni Sessanta. Antonio Prete, che ha affrontato<br />
il rapporto, o il confronto, di Luporini<br />
con Leopardi, ha preferito non soffermarsi<br />
troppo sul classico saggio del<br />
1947 - uno studio che contribuì ad inaugurare<br />
una nuova stagione di studi leopardiani<br />
- per prendere invece in esame il ritorno<br />
a Leopardi del Luporini degli ultimi anni,<br />
un ritorno in cui il filosofo italiano, ha<br />
detto Prete, ci ha offerto una mappa delle<br />
questioni centrali del pensiero di Leopardi:<br />
una topica del sentire, il<br />
concetto di “virtù”, il peculiare<br />
nichilismo leopardiano, l’esperienza<br />
della rappresentazione<br />
dell’infinito.<br />
La seconda patria di Luporini,<br />
almeno dal punto di vista intellettuale,<br />
fu certamente la Germania;<br />
egli fu lettore di tedesco<br />
alla Scuola Normale di Pisa,<br />
ma, ancor più, tedesco fu il suo<br />
humus intellettuale: in Germania<br />
egli fece l’importante esperienza<br />
degli anni ’30, con<br />
Heidegger e Hartmann, e tedeschi<br />
sono i filosofi i cui testi<br />
egli sottopose ad analisi e nelle<br />
lezioni e negli scritti, fin da<br />
quel volume sui Filosofi vecchi<br />
e nuovi (1947), in cui mentre<br />
proponeva un Leopardi “progressivo”,<br />
leggeva e commentava<br />
Kant, Fichte, Scheler, e<br />
presentava un testo suggestivo<br />
come il già ricordato Libertà e<br />
destino di Hegel. Uno specialista<br />
come Claudio Cesa si è assunto il non<br />
facile compito di “ricomporre” il confronto<br />
di Luporini con la filosofia classica<br />
tedesca, alternando le esegesi luporiniane<br />
alle ascendenze italiane e tedesche presenti<br />
nel bagaglio concettuale di Luporini.<br />
Al materialismo di Luporini, che fu il<br />
materialismo di Marx, ma anche quello di<br />
Leopardi, ha dedicato una puntuale analisi<br />
Sandro Nannini, che ha rilevato innanzitutto<br />
la polivalenza semantica della nozione<br />
di materialismo e in generale nei diversi<br />
contesti storici e in particolare nell’uso<br />
fattone da Luporini. Tralasciando qualche<br />
indulgenza eccessiva per il materialismo<br />
“dialettico”, al significato di “realismo” -<br />
il riconoscimento di una realtà fisica indipendente<br />
- si affianca in Luporini il significato<br />
di un “naturalismo” che però - da<br />
Situazione e libertà fino agli scritti su<br />
Marx - non è mai riduzionistico: l’uomo è<br />
sì natura, ma è anche libertà (ed anche a<br />
questo riguardo sia lecito menzionare Kant).
L’ultima relazione del convegno è stata<br />
tenuta da Furio Cerutti, che ha preso in<br />
esame il pensiero politico di Luporini,<br />
visto da Cerutti come una «sovradeterminazione<br />
della politica da parte della filosofia».<br />
Parallelamente ad una concezione<br />
standard, classicamente marxista, dei rapporti<br />
politici, Cerutti ritiene di poter rintracciare<br />
in Luporini alcuni “scarti” rispet-<br />
Situazione e libertà nell’esistenza umana,<br />
Le Monnier, Firenze 1942 (2 a ediz. Sansoni,<br />
Firenze 1945; poi col titolo Situazione e<br />
libertà nell’esistenza umana e altri scritti,<br />
Editori Riuniti, Roma 1993).<br />
Filosofi vecchi e nuovi: Scheler-Hegel-<br />
Kant-Fichte-Leopardi, Sansoni, Firenze<br />
1947 (2a ediz. Editori Riuniti, Roma 1981<br />
Tra gli interventi al convegno di Firenze su Cesare<br />
Luporini, riportiamo qui di seguito la relazione di<br />
Stefano Poggi e parte di quella di Sergio Landucci.<br />
È stato in uno dei suoi ultimissimi<br />
scritti1 che Cesare Luporini<br />
ha parlato - e, in forma pubblica,<br />
non era fino ad allora mai avvenuto<br />
- del suo incontro con la<br />
filosofia dell’esistenza, anzi con<br />
la filosofia dell’esserci, del Dasein<br />
nella sua prima e fondamentale<br />
forma, e cioè con la filosofia<br />
di Heidegger, dello Heidegger di<br />
Sein und Zeit e del Kant und das Problem der Metaphysik.<br />
E sono pagine che tutti noi - o, almeno, credo che così<br />
sia stato per tutti coloro che appartengono alla mia<br />
generazione - abbiamo letto con estremo interesse: l’autore<br />
di quello che molti di noi hanno sempre pensato<br />
essere il documento più denso e ricco del dibattito intorno<br />
alla filosofia dell’esistenza nel nostro paese ci ha voluto<br />
fornire di alcune coordinate essenziali per dare collocazione<br />
e forma a quelle impressioni, a quelle suggestioni,<br />
a quelle supposizioni che erano nate in chi aveva affrontato<br />
le analisi di Situazione e libertà nell’esistenza umana<br />
e aveva immediatamente percepito quanto fosse difficile<br />
collocare quel libro in una costellazione filosofica solo<br />
italiana, ancorché fosse ovvio che in esso si cercava di<br />
dare risposta a molti dei più gravi nodi problematici in cui<br />
il neoidealismo italiano aveva finito con l’avvilupparsi,<br />
dando prova di una impotenza che, anche di recente, si è<br />
troppo spesso voluto presentare come specifica e originale<br />
«via nazionale alla filosofia».<br />
Di tali nodi - a un tempo stimolo e oggetto delle analisi di<br />
Situazione e libertà nell’esistenza umana - quello forse<br />
più immediatamente importante ed urgente nello svolgimento<br />
di queste ultime è il problema che - così Luporini<br />
a mezzo secolo di distanza - «un po’ semplicisticamente<br />
chiamavamo la irriducibilità dell’individuo» 2 La filosofia<br />
dell’esistenza<br />
e della finitezza<br />
di Stefano Poggi<br />
. Problema<br />
dunque di ovvia e fortissima valenza anti-neoidealistica,<br />
e che è appunto posto dall’esperienza immediata, assolu-<br />
PROFILO<br />
to ad essa: il rifiuto della necessità della<br />
“transizione” e lo spazio della soggettività,<br />
il riconoscimento del problema dell’autodistruzione<br />
del genere umano, il rilievo<br />
dato al mutamento culturale.<br />
Tra i numerosi interventi, ne menzioniamo<br />
soltanto uno per il garbo con cui è stato<br />
proposto dal poeta Mario Luzi. Luzi ha<br />
ricordato un incontro con Luporini in cui i<br />
Bibliografia delle opere in volume di Cesare Luporini<br />
senza il saggio Leopardi progressivo ,ripubblicato<br />
separatamente presso lo stesso<br />
editore nel 1980, del quale si veda ora la<br />
Nuova ed. accresciuta 1993).<br />
La mente di Leonardo, Sansoni, Firenze 1953.<br />
Voltaire e le “Lettres philosophiques”,<br />
Sansoni, Firenze 1955 (2 a ediz. Einaudi,<br />
Torino 1977).<br />
6<br />
due, alla richiesta di menzionare un passo<br />
che essi considerassero rappresentativo della<br />
loro biografia intellettuale, avessero<br />
l’uno, Luzi, pensato ad un passo delle<br />
lettere paoline, e l’altro, Luporini, ad un<br />
passo del Kant morale. Si sono così accomiatati,<br />
ciascuno compiaciuto della propria<br />
scelta e della propria specifica identità.<br />
Spazio e materia in Kant. Con una introduzione<br />
al problema del criticismo, Sansoni,<br />
Firenze 1961.<br />
Dialettica e materialismo, Editori Riuniti,<br />
Roma 1974.<br />
Marx et sa critique de la politique (con E,<br />
Balibar e A. Tosel), Maspero, Paris 1979.<br />
tamente spontanea di quella che potremmo dire con<br />
termine fichtiano una «autoattività» - «gratuità», avrebbe<br />
detto Luporini - che muove dal nostro interno e che da<br />
esso, come da un nucleo non scindibile, si irraggia.<br />
L’esame del “qualunque esistere”, con cui si avviano le<br />
indagini di Situazione e libertà nell’esistenza umana,<br />
muove dal dato di fatto di una coscienza individuale che<br />
ci si presenta con i caratteri di una «centralità implicita,<br />
originaria e indistinta», nella cui «preminenza» consiste<br />
appunto il carattere dell’individuo 3 . Carattere che è peraltro<br />
afflitto da una costituzionale paradossalità, dato<br />
che l’individuo - di cui connotato fondamentale mostra<br />
l’essere atto, l’agire - è in realtà possibile nel suo nascere,<br />
nel suo cominciare ad essere tale solo a condizione di<br />
essere già un “fatto” in quanto appartenente ad una specie<br />
e da tale appartenenza stessa reso possibile : «il nostro esser<br />
di fatto (nati) s’identifica col nostro appartenere ad una<br />
specie. Questa déutera ousía è alla nostra origine e la<br />
portiamo in noi, irrimediabilmente. Siamo sintesi “a priori”<br />
di noi stessi e di specie, di spontaneità e di esser di fatto» 4 .<br />
L’esperienza dell’individualità - gravata da un’impronta<br />
di “naturalità” sulla quale bisognerà tornare - deve essere<br />
vista nella sua intima connessione con quella della soggettività<br />
- «chiave del nostro mondo» 5 . Se l’individuazione,<br />
la «preminenza del centro» e la priorità della soggettività<br />
sono inseparabili dal punto di vista del problema<br />
ontologico che esse pongono, è anche chiaro che il tratto<br />
costitutivo dinamico e produttivo (la «attuosità» del<br />
darsi, dell’esserci dell’individualità) non può ricevere<br />
una specifica accentuazione dal prendere rilievo delle<br />
operazioni della soggettività 6 . Nessuna confusione tra «attuosità»<br />
e soggettività, che altro non sarebbe che «un<br />
impacciante residuo di vecchio gnoseologismo» 7 ; ma, in<br />
ogni caso, ciò che va sottolineato è che la vita dell’individuo<br />
uomo è un esistere come «autorelazione» o «interna relazione»<br />
8 che solo con la cosciente assunzione del punto di vista<br />
della centralità (e dunque della soggettività coscienziale)<br />
può essere esaminato e compreso nella sua capacità di<br />
avvertire e nel contempo trascendere - come persona - i<br />
limiti in cui è ristretto in quanto «individuo naturale» 9 ,<br />
destinato a soccombere alla «detrazione temporale».
Muovendo dal dato di fatto del nostro esserci nel<br />
mondo, del nostro «nascere al mondo» come<br />
individui appartenenti ad una specie e contemporaneamente<br />
in grado di «farsi persona», occorre dunque<br />
ricercare e indagare i modi in cui tale condizione di<br />
finitezza non è di ostacolo al manifestarsi e all’operare<br />
della libertà. Questa era la strada da percorrere, e per farlo<br />
il giovane Luporini prendeva a confrontarsi con l’analisi<br />
dei modi in cui viene a compiersi l’esperienza della<br />
finitezza, allorché - dopo l’impatto con il «qualunque<br />
esistere» che l’individuo subisce nel suo «nascere al<br />
mondo» - è proprio l’«attuosità» dell’individuo a porsi<br />
come condizione del primo dilatarsi, nella coscienza,<br />
dell’iniziale, fondamentale istantaneità - lo hic et nunc -<br />
del proprio sentirsi esistere.<br />
Di tali modi, quello della temporalità è ovviamente il<br />
primo e fondamentale, dato che ad essa - ad una temporalità<br />
di cui Luporini teneva a sottolineare l’intreccio<br />
profondo con la spazialità, ma non certo la riduzione a<br />
quest’ultima - vanno ricondotte tutte le altre manifestazioni<br />
della finitezza. «Privazione assoluta» nella quale la<br />
percezione dell’istante è accompagnata dal delinearsi di<br />
un «orizzonte spaziale», la temporalità non può essere<br />
«trascorrimento puro». Come «privazione assoluta»,<br />
come negazione, essa ci fa avvertiti che sì l’«originario<br />
essere-di-fatto mi chiude nell’istante», ma insieme «ci fa<br />
lottare con esso» : l’istante è «centro reale di un dato<br />
orizzonte spaziale», ma al suo centro sta «il mio attuale<br />
istante», l’io 10 .<br />
Inutile soffermarsi in questa sede sulla indubbia - e<br />
impegnativa - metaforicità dell’«orizzonte spaziale», la<br />
cui esperienza ha un ruolo fondamentale in quella che -<br />
altrettanto metaforicamente - potrebbe essere detta la<br />
«dilatazione» dello hic et nunc del nostro esistere. Luporini<br />
riteneva opportuno diffondersi in proposito in una<br />
appendice dedicata al problema del nesso spazio-tempo<br />
in Gentile e Kant 11 , ma ciò che corre l’obbligo di sottolineare<br />
è soprattutto l’energia con cui egli respingeva gli<br />
esiti - opposti, ma simmetrici - cui la presa d’atto della<br />
temporalità come fattore costitutivo dell’essere e dell’operare<br />
umano aveva mostrato di condurre. Da una<br />
parte dunque la razionalizzazione - tipica di un certo<br />
hegelismo di scuola, e quindi forse anche di Croce - della<br />
temporalità sulla base della vera e propria «ontologizzazione<br />
di un determinato schema logico», quello nei cui<br />
termini si presenta la «spiegazione dialettica» 12 ; dall’altra,<br />
la convinzione che al carattere astratto di siffatta<br />
spiegazione si desse la possibilità di sfuggire grazie alla<br />
stessa «positività della vita», «positività» identificata<br />
con la «concreta temporalità» e in grado quindi di «riassorbire<br />
in sé tutto l’essere» 13 . Convinzione - bisogna<br />
aggiungere - che era stata tipica del positivismo evoluzionistico<br />
ottocentesco e quindi anche dello stesso Bergson.<br />
Ma su ciò torneremo fra un momento.<br />
La via che Luporini riteneva dovesse essere percorsa - ed<br />
è questa prova chiarissima di come egli avesse colto in<br />
profondità, aderendovi appieno, il rifiuto del carattere<br />
speculativo di tali prospettive maturato nella filosofia<br />
tedesca dei primi decenni del nuovo secolo - era invece<br />
una via che si presentava più concreta, più fenomenologicamente<br />
vicina «alle cose stesse». Era - doveva essere<br />
PROFILO<br />
7<br />
- la via del lavoro da compiere per giungere alla «comprensione<br />
del limite» prendendo atto della finitezza. La<br />
vita ha da essere colta come «affermazione di sé nel<br />
tempo», come una «successione infinita di momenti<br />
finiti» 14 . Forse, su Luporini agiva anche la suggestione di<br />
alcuni dei temi più tipici della «filosofia della vita», ma<br />
sembra proprio di potere affermare che tale suggestione<br />
era da lui accolta nella sua pars destruens, e non certo nella<br />
parte non indifferente che in essa aveva avuto e continuava<br />
ad avere la esaltazione di una sorta di irrazionalistico farsi<br />
trasportare dal flusso, dallo «slancio» della vita.<br />
Appunto, la filosofia di Bergson o, se si vuole, il<br />
bergsonismo come «figura dello spirito», forma<br />
di pensiero indispensabile per comprendere - al<br />
di là della adesione o del rifiuto della «visione del<br />
mondo» che indubbiamente essa esprime - tanta parte<br />
della filosofia europea del nostro secolo. Le poche, ma<br />
densissime pagine della Appendice dedicata al problema<br />
del nesso spazio-tempo in Gentile e in Kant sono, in<br />
proposito, illuminanti.<br />
Sia chiaro: non intendiamo sostenere in alcun modo che<br />
Luporini, il giovane Luporini mostri una qualche propensione<br />
per la filosofia di Bergson o per una qualche forma<br />
di «bergsonismo», come invece accade - e in quale ampia<br />
misura! - con Sartre. Ma è vero anche che era stato<br />
Bergson ad affrontare il problema della libertà muovendo<br />
da quella dimensione che la scienza ottocentesca - sia<br />
della natura che dello spirito - aveva voluto tornare a<br />
sondare da ogni lato: la dimensione temporale. Ed è<br />
anche vero che la proposta bergsoniana aveva segnato e<br />
avviato una discussione, postasi poi con chiarezza e<br />
drammaticità al centro non solo della filosofia, ma di tutto<br />
il movimento delle idee nel nuovo secolo. È quindi<br />
proprio tenendo conto di quanto i temi che sono al centro<br />
della riflessione dell’autore di Situazione e libertà sono<br />
temi del tempo - e, certo, sono tornati ad essere anche<br />
temi del “nostro tempo”, con tutte le sue rinascite bergsoniane<br />
e le sue incessanti «parate filosofiche» - e sono<br />
quindi temi di un’epoca segnata nel profondo dalla<br />
filosofia di Bergson, antecedente diretta della filosofia<br />
dell’esistenza made in France, che è possibile comprendere<br />
la specificità e la vigoria della linea di analisi che<br />
veniva tracciata e percorsa in quel libro di più di cinquanta<br />
anni or sono.<br />
Abbiamo già richiamato il legame che Luporini teneva a<br />
istituire tra la percezione dell’ istante e il definirsi di un<br />
«orizzonte spaziale»: nel farlo, egli aveva palesemente<br />
presenti alcune delle tesi della gentiliana Teoria generale<br />
dello spirito come atto puro, ma è anche - ci pare -<br />
altamente sintomatico il fatto che egli, tornando sulla<br />
questione nella prima delle appendici a Situazione e<br />
libertà, avesse cura di manifestare le sue perplessità circa<br />
quella che, in sostanza, emergeva come la tendenza di<br />
Gentile verso una spazializzazione del tempo. Non v’è<br />
qui modo di diffondersi con la dovuta ampiezza sulle<br />
argomentazioni di Luporini, serrate nel loro sottolineare<br />
che Gentile «non si accorge [...] che puro spazio e puro<br />
tempo si riducono alla negatività in quanto astratto l’uno<br />
dall’altro» e che quindi trascura di tenere conto di quella<br />
che è la realtà del loro «concreto incontro», la cui concre-
tezza è data dal fatto che «concreto non è né lo hic né il<br />
nunc, ma solo lo hic et nunc» e che quindi è «facile [...]<br />
vincerli uno per volta, avendoli separati, ma impossibile<br />
trionfarne in quella sintesi a priori che essi costituiscono»<br />
15 . Ma, in ogni caso, quel che deve essere sottolineato<br />
con molta chiarezza è che la posizione critica da lui<br />
assunta nei confronti della riduzione del tempo a spazialità<br />
operata da Gentile non conduceva peraltro Luporini<br />
ad abbracciare quella teoria che nella critica ad ogni<br />
spazializzazione del tempo aveva il suo nodo argomentativo<br />
centrale: appunto la concezione bergsoniana del<br />
tempo come durata.<br />
Con una attenzione tutta concentrata sul tempo come<br />
concreto, come «concreta temporalità» ovvero «istante<br />
come presenza di compresenze», Luporini, piuttosto, era<br />
incline a sottolineare tutti gli aspetti problematici della<br />
posizione bergsoniana, che a suo avviso - proprio nel<br />
momento in cui si configurava come interpretazione<br />
della concreta realtà del tempo - non riusciva in realtà a<br />
rendere conto di quest’ultima come «assoluta implicazione<br />
che si oppone, risolvendola in sé, alla spazialità<br />
come reciproca esclusione degli elementi dell’esperienza»<br />
16. Il tempo concreto deve essere qualcosa di più della<br />
semplice durata, che non si renderebbe nota altro che<br />
nella nostra interiorità: non ha senso parlare della esistenza<br />
di un «tempo interiore», posto in una posizione di<br />
assoluto primato nei confronti di un «tempo esteriore» o,<br />
comunque, con quest’ultimo assolutamente non paragonabile.<br />
Non è possibile pensare ad un rapporto di reciproca<br />
«trascendenza» tra questi due generi di tempo, «se -<br />
continuava Luporini - tempo non è che l’interiorità dell’esteriore,<br />
ossia non è concreto se non come rapporto di<br />
interiore-esteriore: la immisurabilità del tempo interiore,<br />
e quindi la sua incommensurabilità col tempo esteriore,<br />
non è che il suo continuo e immediato “commisurarsi”<br />
(lotta) con esso, che fonda anche la possibilità della<br />
misura del tempo esteriore, possibilità che, naturalmente,<br />
come ogni misura, si riferisce alla spazialità, in quanto<br />
elemento della positiva temporalità» 17 .<br />
Discendeva da ciò il riconoscimento della fondatezza<br />
delle riserve espresse da Gentile circa l’interpretazione<br />
del «tempo concreto» come durata ( durata, aveva detto<br />
Gentile, è «stato fantasticamente definito il tempo depurato<br />
dalla spazialità»). A Luporini, quindi, pareva molto<br />
più ragionevole pensare al «tempo concreto» come alla<br />
eternità, come al «principio del tempo», a patto però - e<br />
allora tornava a manifestarsi il dissenso nei confronti di<br />
Gentile - che siffatta «eternità» fosse intesa come «sovratemporalità<br />
del tempo»: il tempo non è «qualcosa nel<br />
tempo», ed in tale sua «sovratemporalità» esso «si rivela<br />
identico alla vita come autoaffermazione e nascita».<br />
La concreta esperienza della realtà del tempo non può<br />
quindi darsi altro che nei termini di una compresenza - e,<br />
ancora, Luporini riconosceva il suo debito nei confronti<br />
di Gentile 18 - dei vari momenti del tempo che si trovano<br />
a convergere verso il presente, un presente sul quale si<br />
appuntava tutta la sua attenzione perché - è chiaro - è<br />
proprio la concrezione, nella istantaneità del presente, dei<br />
vari modi di esperire il tempo che costituisce la eccezionalità<br />
del presente medesimo, che è infatti momento in<br />
cui la coscienza che l’individuo ha della propria limita-<br />
PROFILO<br />
8<br />
tezza si unisce, nell’istante, a quella del non essere più<br />
vincolato dal passato in quanto proteso al futuro, sì che in tal<br />
modo si manifesta all’opera la dimensione della libertà.<br />
È, questo, un punto di molta importanza, assolutamente<br />
centrale per comprendere le posizioni di Luporini e per<br />
scandagliarne l’itinerario di pensiero. La concezione che<br />
veniva così sviluppando era infatti quella di un presente<br />
che - diversamente da Gentile - non era concepito come<br />
«collocato tra passato e futuro», ma come un presente<br />
che, nella consapevolezza della propria istantaneità, si<br />
impone come un atto, non come un esistere, un darsi, ma<br />
un vero e proprio attivo collocarsi tra il passato e il futuro:<br />
e, «in questo collocarsi», esso «si libera dell’immediata<br />
e indistinta pressione loro [del passato e del futuro],<br />
facendosi storia (storiografia) e deliberazione» 19 . È di<br />
fronte quindi al dispiegarsi della attività della riflessione<br />
autocosciente che ci veniamo a trovare; ci veniamo cioè<br />
a trovare dinanzi a quella riflessione per la quale l’esperienza<br />
di ciò che è trascorso di niente altro è fonte se non<br />
di un approfondirsi del proprio conoscersi, mentre essa si<br />
trova dinanzi ad un futuro che ancora non si è compiuto.<br />
Se si volesse cedere all’erudizione, si potrebbe addirittura<br />
ravvisare, nella posizione di Luporini, finanche l’eco<br />
dei modi in cui Bergson - il giovane Bergson del 1889 e<br />
del 1896, il Bergson al quale era andata l’attenzione di<br />
alcune delle figure di spicco del neokantismo del tempo,<br />
e poi di Scheler - aveva prospettato sì la centralità della<br />
nozione di durata, ma nel contempo si era preoccupato di<br />
mettere in luce come l’azione (corporea) è una azione che<br />
si configura come libera nel momento in cui mostra di<br />
essere interpretabile nei termini di una «percezione pura»<br />
che, ponendosi per così dire «fuori del tempo», ci si<br />
presenta del tutto ricca di passato (ma da esso non<br />
precostituita nel suo operare) e gravida nello stesso<br />
momento - anzi, istante - di tutte le possibili opzioni di un<br />
futuro cui si appresta a porre mano.<br />
Ovviamente, non è questo il punto, ancorché fosse senza<br />
dubbio presente a Luporini che era proprio la filosofia<br />
bergsoniana a ispirare molte delle prese di posizione del<br />
dibattito dei primi decenni del secolo intorno alla individualità<br />
e alla libertà. <strong>Nelle</strong> pagine di Luporini non era<br />
dato cogliere nessun segno di simpatia - e tantomeno di<br />
convergenza - con le tesi di un qualche spiritualismo<br />
apparentato a forme più o meno spurie di «filosofia della<br />
vita». Luporini 20 poteva così affermare certo che il tempo<br />
«si rivela identico alla vita come autoaffermazione e<br />
nascita», ma nondimeno una affermazione del genere<br />
non nasceva nel contesto di una concezione propensa ad<br />
esaltazioni del «fluire della vita», o addirittura pronta a<br />
cedere allo spiritualismo, neanche poi troppo dissimulato,<br />
di una «evoluzione creatrice». Dall’analisi dell’esperienza<br />
del tempo nella sua concretezza di forma fondamentale<br />
dell’esistere - forma che d’altronde non va<br />
considerata pura e semplice datità, «qualunque esistere»,<br />
ma come dinamicità, come operare, come «attuosità» -,<br />
Luporini era condotto ad una posizione che solo apparentemente<br />
può apparire volontaristica, intrisa di un certo<br />
qual «eroismo» della «gratuità» dell’agire. Per Luporini,<br />
la possibilità di «impadronirsi del tempo, e quindi sottrarsi<br />
alla fattuosità e al meccanismo» nasceva in modo<br />
diretto dalla presa d’atto della finitezza costituzionale
dell’individuo. Era cioè una possibilità che poteva realizzarsi<br />
mettendo mano allo «strumento» del «pensiero<br />
come organo della libertà». E tale possibilità «non si<br />
compie se non come effettiva attuazione della libertà,<br />
ossia come pienezza assiologica che sovratemporalizza<br />
l’istante, contrapponendo l’assolutezza della persona alla<br />
detrazione temporale cui fatalmente (nel suo essenziale<br />
rapporto col “tutto”, in cui il tutto, realizzandosi, nega la<br />
singolarità individuale) il “naturale” individuo soccombe;<br />
onde, nella lotta col tempo, intrinseca all’individuazione,<br />
l’attuarsi della persona apparirà come effettiva<br />
vittoria sulla morte» 21 .<br />
Il passo che abbiamo appena letto è denso di molte<br />
implicazioni e apre molte prospettive, sulle quali - e<br />
ciò vale in primo luogo per quanto concerne per un<br />
verso il modo in cui ha da essere intesa l’opera di<br />
mediazione svolta dal pensiero, per un altro i termini del<br />
darsi della «pienezza assiologica» in grado di assicurare<br />
la «sovratemporalizzazione» dell’istante 22 - non vi è in<br />
questa sede di soffermarsi, ancorché si tratti di questioni di<br />
importanza essenziale per la esatta comprensione dei termini<br />
in cui la riflessione del giovane Luporini si inquadrava in<br />
quella della «filosofia dell’esistenza» dell’epoca.<br />
Possiamo tuttavia ritenere di avere stabilito un punto<br />
fermo, che vale a sgombrare il campo da ogni eventuale<br />
equivoco. Il concetto di «presente» cui Luporini perviene<br />
- egli ne parla infatti come della «concretezza e positività<br />
dell’istante (hic-nunc)» 23 - vale infatti a mettere definitivamente<br />
in chiaro qual’è l’autentico carattere della tensione<br />
che ispira l’impegno posto da Luporini nel sondaggio<br />
dei modi di fare esperienza della individualità nel suo<br />
presentarsi come atto - «attuosità». Sulla linea di tale<br />
tensione, Luporini infatti muove innanzitutto dal riconoscimento<br />
della vita come privazione - e privazione, o<br />
meglio, senso di privazione, è anche la conoscenza, come<br />
ci viene ripetutamente ricordato -, della vita come deficienza<br />
24 , della vita come gravata da un segreto, da un<br />
mistero fondamentale: quello dell’individualità, che ci<br />
investe con il suo carattere paradossale. Ma è vero anche<br />
che il riconoscimento della fondamentalità, della ineliminabilità<br />
di tale esperienza dell’individualità come tratto<br />
costitutivo di un individuo «naturale» si accompagna<br />
al nettissimo rifiuto di ogni forma di biologismo, rifiuto<br />
- e Luporini, nello scritto che abbiamo ricordato all’inizio<br />
del nostro intervento, terrà a ricordare la piena partecipazione<br />
da lui provata nel leggere il celebre § 10 (“Delimitazione<br />
dell’analitica esistenziale rispetto a antropologia,<br />
psicologia e biologia”) di Sein und Zeit -, rifiuto che non<br />
solo è segno della distanza da tutte le filosofie in varia<br />
misura eredi del positivismo evoluzionistico (e quindi<br />
anche dallo stesso Bergson), ma che è anche un rifiuto<br />
che viene ripetutamente ed esplicitamente pronunziato -<br />
ed è un altro segno della distanza nei confronti di Bergson<br />
(e, in prospettiva, verrebbe da dire, di Sartre) - non in<br />
nome di un umanesimo di maniera, retorico, ma sulla<br />
base della convinzione che al fondo d’ una concezione<br />
della individualità formulata ed articolata nei termini del<br />
biologismo sta in realtà un modo di concepire la temporalità<br />
sostanzialmente astratto. In realtà, la temporalità<br />
del biologismo è - quantomeno sul piano fenomenologi-<br />
PROFILO<br />
9<br />
co - incompatibile con quella che invece si presenta come<br />
la effettiva dinamicità, autoattività, spontaneità - «gratuità»<br />
- della libertà dell’uomo come libertà che, a quest’ultimo,<br />
assicura la possibilità di trascendere la propria<br />
costituzionale finitezza.<br />
La concezione della temporalità cui Luporini si veniva a<br />
sentire più vicino era - per sua stessa ammissione - la<br />
concezione di Kant, quella concezione cioè per la quale<br />
- essendo tutto ciò che è dato al senso esterno dato anche<br />
al senso interno ed essendo la forma di quest’ultimo<br />
costituita dal tempo - il tempo si configura come «il modo<br />
del nostro essere dati empiricamente a noi stessi» 25 .<br />
«Forma permanente dell’intuizione interna» - puntualizzava<br />
Luporini richiamandosi alla “Prima analogia” della<br />
Critica della ragion pura -, il tempo implica poi «intrinsecamente<br />
nella sua realtà la realtà dello spazio, ed è anzi,<br />
possiam dire, identico a quest’ultima, in quanto quest’ultima<br />
è condizione della possibilità della percezione del<br />
permanente che lo “esprime” e “rappresenta”» 26 .<br />
Ovviamente, la strada maestra che veniva percorsa dalle<br />
analisi di Situazione e libertà non era certo quella lungo<br />
la quale Luporini poteva essere condotto a dedicare una<br />
attenzione specifica al Kant filosofo della fisica, e di una<br />
filosofia della fisica nella cui costituzione avevano avuto<br />
ugual parte e Newton e Leibniz. In prima e fondamentale<br />
istanza, il confronto con la filosofia kantiana avveniva<br />
direttamente sul terreno della riflessione sulla questione<br />
della libertà e del suo rapporto con la natura umana.<br />
Tra la «natura dell’uomo e la sua libertà» intercorre in<br />
Kant - ci ricordava Luporini - un «segreto rapporto», un<br />
vincolo che egli riteneva coincidente con quello che egli<br />
ravvisava all’interno dell’«essere di fatto» del pensiero<br />
e della libertà come «essere di fatto» che racchiude in sé<br />
la «positività della propria negazione e quindi anche<br />
l’assolutezza della propria affermazione, non più come<br />
fatto ma atto» 27 . Tale «segreto rapporto», in Kant - e<br />
Luporini citava e traduceva una pagina dalla Religion<br />
innerhalb der Grenzen der blossen Vernunft 28 - è quindi<br />
quello che si incardina nella «natura dell’uomo», da<br />
intendersi solo come «il fondamento soggettivo dell’uso<br />
della sua libertà in generale (sotto leggi morali oggettive),<br />
che precede qualsiasi azione che appare ai sensi,<br />
ovunque poi questo principio possa trovarsi». E tale<br />
«fondamento soggettivo» - ancora Kant - «dev’esser poi<br />
a sua volta un atto della libertà», dato che altrimenti<br />
l’uomo non potrebbe essere ritenuto responsabile delle<br />
scelte da lui medesimo compiute.<br />
Se Kant dichiarava «imperscrutabile» tale fondamento<br />
proprio in quanto atto di libertà, Luporini teneva per<br />
parte sua a manifestare la convinzione che esso potesse<br />
invece essere trovato nel rapporto tra «atto e valore», in<br />
sostanza in quella «pienezza assiologica che sovratemporalizza<br />
l’istante» di cui aveva affermato l’operare,<br />
all’aprirsi dello spazio deliberativo. Nondimeno, Luporini<br />
aveva anche cura che in tal modo la «imperscrutabilità»<br />
permaneva, ancorché spostatasi ad investire «l’intensità<br />
stessa dell’operare del valore». Anche se con non<br />
poche cautele, Luporini mostrava così di inclinare per la<br />
soluzione - soluzione apparsa più concreta e meno metafisicamente<br />
impegnata - che una parte della interpretazione<br />
neokantiana di alcuni dei nodi fondamentali della
filosofia pratica kantiana era venuta proponendo.<br />
Ma, in realtà, a ben guardare, il contatto con il neokantismo<br />
- con la filosofia neokantiana dei valori, ma anche (e<br />
forse soprattutto) con la critica esercitata nei confronti di<br />
quest’ultima da Scheler - non mostrava affatto di sostituire<br />
in Luporini il confronto diretto, continuo con il dettato<br />
kantiano, e proprio come dettato di una filosofia comunque<br />
ancorata alla finitezza, anche se di tale suo ancoraggio<br />
non sempre forse completamente consapevole. Nella<br />
stessa pagina 29 in cui era venuto ricordando come per<br />
Kant avesse da essere intesa la «natura dell’uomo»,<br />
Luporini sottolineava infatti che «se liberi si fosse “necessariamente”<br />
la libertà perderebbe ogni valore, cioè<br />
ogni opposizione all’essere-di-fatto, alla naturalità, e si<br />
confonderebbe con essa. In verità - egli ribadiva -, non ci<br />
sarebbe alcuna distinzione tra la spontaneità dell’uomo e<br />
la spontaneità del vivente» 30 .<br />
Affermazioni come queste non possono non confermarci<br />
nella convinzione che il giovane Luporini - conoscitore<br />
esperto e sicuro di Kant - non potesse non trovarsi in<br />
sintonia con quanto espresso in molti luoghi celebri delle<br />
opere kantiane nei quali il conflitto tra libertà e necessità<br />
veniva affrontato, esaminato, scomposto. E, certo, fra i<br />
tanti luoghi celebri cui può andare la memoria e che<br />
Luporini non poteva non avere ben presenti, vi sono le<br />
pagine della Dilucidazione critica della analitica della<br />
ragion pura pratica 31 . In quelle pagine, Kant si era<br />
confrontato direttamente con il problema del contrasto<br />
tra la «causalità come necessità naturale» e la «causalità<br />
come libertà». Dopo avere a lungo dibattuto il problema<br />
dei modi in cui definire i caratteri distintivi della azione<br />
libera 32 , Kant era poi approdato ad inquadrare l’intera<br />
questione nella prospettiva del diverso ruolo che la temporalità<br />
si trova a svolgere nell’agire necessitato e nell’agire<br />
libero. Accade allora che lo stesso soggetto che ha<br />
agito ed agisce come un fenomeno e che ha compiuto e<br />
compie azioni i cui «motivi determinanti» si collocano<br />
«in ciò che appartiene al tempo passato, “e non è più in<br />
suo potere”», è anche quello che può benissimo trovarsi<br />
a considerare «la sua esistenza “in quanto essa non sta<br />
sotto le condizioni di tempo”», sì da considerare «se<br />
stesso soltanto come determinabile secondo le leggi che<br />
si dà mediante la ragione stessa». Una volta collocatosi in<br />
questa forma di esistenza, «niente è per lui anteriore alla<br />
determinazione della sua esistenza, la quale cambia secondo<br />
il senso interno, e anche l’intera successione della<br />
sua esistenza come essere sensibile, non è da riguardare<br />
nella coscienza della sua esistenza intelligibile se non<br />
come conseguenza, e non mai come motivo determinante<br />
della sua causalità in quanto noumeno» 33 .<br />
Se dunque la filosofia kantiana veniva a presentarsi come<br />
modello di riflessione alieno da ogni assolutizzazione<br />
speculativa della natura dell’uomo - da essa supposto<br />
infatti sempre «come ente ragionevole finito» - e si<br />
impegnava quindi a interpretare «la struttura trascendentale<br />
del pensiero e in genere tutte le forme della ragione»<br />
34 , era anche ovvio che della particolare finitezza<br />
della natura umana non poteva essere trovato documento<br />
migliore di quello fornito dai modi del darsi della coscienza<br />
della temporalità. Nell’ erigersi a tratto costitutivo<br />
fondamentale della attività del senso interno, forma<br />
PROFILO<br />
10<br />
strutturante la stessa unità autocoscienziale di cui prima<br />
- e potremmo dire istintiva - espressione è la percezione<br />
(appercezione) della propria individualità nel suo primo<br />
«naturale» livello, alla coscienza della temporalità - del<br />
tempo nella sua concretezza - si poteva - si doveva -<br />
guardare come ad una sorta di primo strumento per la<br />
affermazione di un tipo di libertà dell’ ente uomo tale da<br />
non entrare in contrasto con la costituzionale, intrinseca<br />
finitezza del medesimo, ma nello stesso tempo tale anche<br />
da non limitare l’indagine all’accertamento ed alla catalogazione<br />
dei vari ordini di motivazioni che possono<br />
precostituire l’azione.<br />
Sarebbe a questo punto senza dubbio possibile - e di<br />
grande interesse - sviluppare una linea di indagi<br />
ne che, analizzando il concetto di una «causalità<br />
della libertà» che trova il suo luogo classico innanzitutto<br />
nella analisi dei modi in cui viene a configurarsi il punto<br />
di vista teleologico nella Critica del Giudizio 35 , ci condurrebbe<br />
direttamente a quell’insieme di discussioni<br />
dell’ambito neokantiano in cui prende consistenza primaria<br />
la problematica del “valore”, e che sono discussioni<br />
di cui era vivissima - e controversa - l’eco nella<br />
filosofia tedesca con cui il giovane Luporini non poteva<br />
non essere venuto a incontrarsi.<br />
Non possiamo però spingerci tanto innanzi, anche se è fuori<br />
di dubbio questa una delle linee di ricerca cui attenersi per<br />
situare e comprendere i modi in cui - in quella che possiamo<br />
dirne la pars construens - si sviluppa la discussione di<br />
Luporini nella illustrazione dei modi del «genuino esistere».<br />
Per il momento, possiamo senz’altro arrestarci alla constatazione<br />
di quelli che sono i tratti fondamentali che connotano<br />
il livello più nettamente descrittivo-fenomenologico<br />
delle analisi - non possiamo effettivamente parlare, in<br />
proposito, di una pars destruens - che Situazione e libertà<br />
dedica al dispiegarsi della libertà come “fatto” che diviene<br />
“atto”. Analisi che abbiamo visto essere incentrate nel<br />
riconoscimento della importanza fondamentale del nesso<br />
tra la coscienza della temporalità e il prendere consistenza<br />
d’una libertà che ha come dimensione specifica quella della<br />
istantaneità, della deliberazione che riesce a sottrarsi al<br />
vincolo del passato. Nesso - abbiamo appena visto - che<br />
aveva trovato in Kant una sua chiara formulazione.<br />
L’importanza di questo nesso - che poi, a ben guardare,<br />
è il senso più concreto, più tangibilmente rilevabile di<br />
quello che, discutendo appunto di Kant 36 , Luporini aveva<br />
indicato come «il segreto rapporto che corre fra la natura<br />
dell’uomo e la sua libertà» - è dunque fuori discussione,<br />
per il suo configurarsi come condizione necessaria - e<br />
forse anche sufficiente - dell’avvio di una riflessione<br />
sulla specificità della collocazione dell’uomo nel mondo,<br />
di un uomo che è anche appartenente ad una specie<br />
animale, ma ad essa, comunque, non è riducibile. Ed è<br />
proprio in questa luce - la luce di un confronto costante,<br />
serrato e mai incline a compromessi con l’assunzione del<br />
punto di vista biologico nella interpretazione della «essenza<br />
dell’uomo» - che a questo nesso bisogna guardare,<br />
e guardarvi come via di accesso - al livello più «basso»,<br />
più concreto, più vicino «alle cose stesse» - al problema<br />
della libertà, onde accertare se e come quest’ultima è<br />
realmente possibile, stante la finitezza dell’uomo.
<strong>Nelle</strong> pagine di quel suo ultimo scritto da cui<br />
abbiamo preso le mosse per svolgere le nostre<br />
considerazioni, Cesare Luporini ricordava 37 , tra<br />
l’altro, la grande impressione che su di lui aveva esercitato<br />
la lettura del Kant und das Problem der Metaphysik<br />
di Heidegger. Una lettura che era stato lo stesso Heidegger<br />
a invitarlo a compiere, una lettura - così Luporini - fatta<br />
«senza particolari intoppi, data la confidenza che avevo<br />
acquisito con la Critica della ragion pura, nelle sue due<br />
redazioni classiche» . Una lettura che, approdata alla<br />
“Quarta sezione” del grande libro heideggeriano 38 - quella<br />
sulla «ripetizione» della «fondazione della metafisica»<br />
-, lo aveva «letteralmente rapito», e da cui, a più di mezzo<br />
secolo di distanza, dichiarava di essere stato tanto profondamente<br />
impressionato da subirne «un effetto che porto<br />
ancora in me». Alcune delle proposizioni del testo heideggeriano<br />
- non esitava ad affermare Luporini - «mi<br />
hanno accompagnato per sempre» 39 . E, prima di tutto, ciò<br />
valeva per il modo in cui Heidegger aveva posto - e<br />
appunto radicalizzato, riducendolo ai suoi minimi e fondamentali<br />
termini - la questione della «ragione». «La<br />
finitezza non è semplice accessorio della ragione umana<br />
- aveva scritto Heidegger - ; è invece un rendersi finita<br />
della ragione stessa, è la “cura” per il suo poter essere<br />
finita» 40 : l’uomo è razionale in proporzione diretta al suo<br />
accettare la propria finitezza e al suo impegnarsi nell’adesione<br />
alla medesima. Nel suo esistere - nel solo<br />
modo in cui l’uomo può essere, e cioè nell’esserci, nel<br />
Da-sein - l’uomo è appunto nel Da, in quel momento, in<br />
quell’istante in cui l’essere irrompe nell’ente e lo obbliga<br />
ad aprirsi, fornendolo della «possibilità di rivelarsi a un<br />
se-stesso», ed in un modo che mette in luce che l’uomo è<br />
in quanto è finitezza. La finitezza dell’ esserci dell’uomo -<br />
chiosava Luporini - è «più originaria dell’uomo stesso» 41 .<br />
Sono - si potrà certo dire - tesi ben note, alla cui scolastica<br />
ripetizione siamo oramai avvezzi, così come abbiamo<br />
dovuto fare l’abitudine alle molte incrostazioni che su di<br />
esse sono venute stratificandosi, fino a logorarne l’originaria<br />
struttura argomentativa, sì che può senz’altro riuscire<br />
difficile rendersi oggi conto del «sentimento di<br />
accedere a una liberazione filosofica» che - al pari di<br />
«molti studiosi tedeschi allora allievi di Heidegger» -<br />
Luporini ci dice di avere provato alla lettura delle due<br />
grandi opere heideggeriane: Sein und Zeit e Kant und das<br />
Problem der Metaphysik, quest’ultima usata come «chiave<br />
di lettura» per accedere alla prima [41]. E, certo, la<br />
possibilità di cogliere, di comprendere quel sentimento,<br />
quasi di immedesimarsi in esso è resa ancor più difficile<br />
dal fatto che le strade di molti di coloro che, allora, a<br />
Heidegger si erano volti alla ricerca di siffatta «liberazione<br />
filosofica» sono divenute assai spesso strade divergenti,<br />
segnate nello stesso momento nel profondo da<br />
quello che per molti - e per tutti i migliori - fu il vero e<br />
proprio tradimento del maestro, all’avvento del nazismo.<br />
Ma il sentimento di tale «liberazione» - che, certo, può<br />
essere ricostruita e fatta rivivere affidandosi anche alla<br />
forza delle emozioni che nascono alla lettura dei sempre<br />
più fitti documenti umani di quell’epoca che stanno in<br />
questi ultimi anni vedendo la luce - ci può forse essere più<br />
chiaro nella sua non consolatoria valenza e nel suo nucleo<br />
costitutivo se - e possiamo allora capire bene perché il<br />
PROFILO<br />
11<br />
giovane Luporini, già allora lettore appassionato di Leopardi,<br />
potesse tanto vivamente provare un sentimento del<br />
genere - ci rendiamo conto di quanto esso nascesse dal<br />
fatto che Heidegger giungeva ad additare all’attenzione<br />
del suo uditorio l’esigenza di prendere atto della finitezza<br />
dell’uomo richiamandosi innanzitutto alla decisione con<br />
cui era stato proprio nel seno della riflessione kantiana<br />
sulla possibilità di operare una nuova fondazione della<br />
metafisica che era emersa la consapevolezza dei confini<br />
- confini appunto, e non limiti - posti all’uomo dal<br />
definirsi della propria costituzionale temporalità, dall’emergere<br />
di una dimensione della vita coscienziale che<br />
ci fa cogliere, afferrare con tutta la evidente chiarezza del<br />
dato fenomenologico - e ben più di quanto non possa<br />
avvenire con la ontologizzazione delle strutture formali<br />
della dialettica - quella che è la radicale finitezza dell’uomo,<br />
liberandoci in tal modo da ogni «illusione trascendentale».<br />
Non era forse dopo una serrata analisi della Einbildugskraft<br />
trascendentale (nella quale aveva avuto posto centrale<br />
la sottolineatura dell’«intimo carattere temporale»<br />
della medesima e l’esame del «tempo come affezione<br />
pura del sé») che Heidegger - nel Kant und das Problem<br />
der Metaphysik 42 - era approdato alla «ripetizione della<br />
metafisica»?. E non datava solo di un anno prima, del<br />
1928 - e l’eco quindi nel seminario di Friburgo frequentato<br />
dal giovane Luporini non poteva non esserne stata<br />
vivissima - la pubblicazione, curata dallo stesso<br />
Heidegger 43 , delle lezioni husserliane sulla «coscienza<br />
interiore del tempo»?. Era proprio in quelle lezioni che,<br />
sulla scorta di una analisi della temporalità colta nella sua<br />
concretezza di Erlebnis, veniva tentata da Husserl una più<br />
radicale fondazione della fenomenologia, intesa a sondare<br />
le ricchezze della interiorità. Di fronte ad una prospettiva del<br />
genere, l’atteggiamento di Heidegger era durissimo. Anch’egli<br />
si richiamava ad Agostino, ma non all’Agostino<br />
del noli foras ire, ma a quello della affectio, elaborando<br />
così quel concetto di Befindlichkeit 44 - appunto l’«essersi»<br />
o il «sentirsi situati» - che a Luporini, ancora nel 1992,<br />
appariva come «una delle maggiori e più feconde scoperte<br />
di Heidegger» 45 . E quindi quella che Heidegger voleva<br />
fosse una radicale reinterpretazione della fenomenologia<br />
non poteva non respingere ogni esaltazione, ogni «mitologia»<br />
della interiorità, ogni ancorché remoto pericolo di<br />
ricadere in forme più meno solipsistiche o più o meno<br />
teologizzanti di spiritualismo. Sullo sfondo, sempre annunziato<br />
e solo in parte poi messo in atto, emergeva l’ineliminabilità<br />
del confronto - Auseinandersetzung 46 - con la filosofia<br />
di Hegel, ed in primo luogo proprio con lo Hegel della<br />
Fenomenologia dello spirito. Ed è allora anche in questa<br />
luce - pensando a quanto il lavoro di riflessione su Marx e<br />
sul marxismo di Cesare Luporini sia stato il lavoro di chi ben<br />
sapeva quale era stata la reale grandezza di quella «filosofia<br />
classica tedesca» della quale si era voluto che il proletariato<br />
fosse l’erede - che torna a confermarsi tutta l’importanza<br />
dell’intenso contatto del giovane Luporini con un modo di<br />
filosofare che, mettendo talvolta addirittura mano alle armi<br />
della provocazione, era stato comunque in grado di liberare<br />
dalle macchinosità interpretative della scolastica neocriticistica<br />
quel nucleo fondamentale e radicale di pensiero che, in<br />
Kant, prende forma nella tesi della «naturale disposizione<br />
alla metafisica» da cui l’uomo è affetto.
1C. Luporini, Con Heidegger 1931. 1933.<br />
Alcune riflessioni, oggi, tra filosofia e politica,<br />
in F. Bianco (a cura di), Heidegger in<br />
discussione, Angeli, Milano 1992, pp. 25-49.<br />
In seguito Luporini 1992.<br />
2Luporini 1992, p. 34.<br />
3C. Luporini, Situazione e libertà nell’esistenza<br />
umana, Le Monnier, Firenze 1942; n.<br />
ed. (con altri scritti): Situazione e libertà<br />
nell’esistenza umana e altri scritti, Editori<br />
Riuniti, Roma 1993. In seguito Luporini<br />
[1942] 1993. I rinvii alle pagine sono, ovviamente,<br />
a quest’ultima edizione.<br />
4Luporini [1942] 1993, pp. 13-15; 7-9, 43-44.<br />
5Luporini [1942] 1993, p. 53<br />
6Luporini [1942] 1993, p. 53, n. 1; 56.<br />
7Luporini [1942] 1993, p. 56.<br />
8Luporini [1942] 1993, pp. 93 sgg.<br />
9Luporini [1942] 1993, p. 203.<br />
10Luporini [1942] 1993, pp. 34, 37-38, 39-40.<br />
11Luporini [1942] 1993, pp. 199-206.<br />
12Luporini [1942] 1993, p. 96.<br />
13Ibidem. 14Luporini [1942] 1993, pp. 96-101<br />
15Luporini [1942] 1993, pp. 200-201.<br />
16Luporini [1942] 1993, p. 201.<br />
17Ibidem. 18Luporini [1942] 1993, p. 202.<br />
19Luporini [1942] 1993, p. 203.<br />
20 Ibidem<br />
«Quella<br />
[...] Il 1966 è l’altra data impor-<br />
duplice fedeltà»<br />
tante, nella biografia intellettuale<br />
e politica di Luporini, dopo il<br />
’43-’45.<br />
Allora, dal ’43 in avanti, s’era<br />
trattato di passare al marxismo,<br />
dal precedente esistenzialismo.<br />
E qui si pone una questione a cui<br />
di Sergio Landucci<br />
è inevitabile un cenno. In certe<br />
occasioni, Luporini stesso sembrava<br />
attratto da una considerazione retrospettiva, prevalentemente<br />
continuistica, del suo percorso di pensiero<br />
(quando se le sentiva proporre da altri); mentre in altre<br />
occasioni, e cioè quando ripensava in proprio al suo<br />
percorso, rivendicava non senza una punta d’orgoglio<br />
del tutto legittimo d’aver saputo anche cambiare, non<br />
stare fermo, e di ciò pagando tutti i costi (un giorno, ebbe<br />
a dire di considerare «umiliante per l’umanità» in generale,<br />
supporre che tutti continuino sempre a ripensare le<br />
stesse cose che abbiano pensate una volta). Ora, non c’è<br />
dubbio che, nelle persone serie, gli elementi di continuità<br />
si rintraccino anche nel caso delle rotture eventualmente<br />
le più profonde; ma non perciò può venir sottostimata la<br />
discontinuità, in Luporini, fra l’esistenzialismo ed il<br />
marxismo. E lui stesso non l’ha sottostimata, nella ricostruzione<br />
contenuta in Da «Società» alla polemica sullo<br />
storicismo, dicendovi chiaro e tondo quel che d’altronde<br />
corrisponde alla realtà, se si va a sfogliare quella prima<br />
«Società» fino a rintracciare l’intervento intitolato Rigore<br />
della cultura, al quale ha sempre tenuto moltissimo.<br />
PROFILO<br />
NOTE<br />
21Ibidem 22Ibidem 23Ibidem 24Luporini [1942] 1993, pp. 32-33.<br />
25Luporini [1942] 1993, p. 203.<br />
26Luporini [1942] 1993, p. 206. Il rinvio è a<br />
Kant, KV, B 226-227<br />
27Luporini [1942] 1993, p. 75.<br />
28Ibidem, nota 1.<br />
29Luporini [1942] 1993, p. 75.<br />
30Luporini [1942] 1993, p. 74.<br />
31I. Kant, Kritik der praktischen Vernunft<br />
[1788], hrsg von P. Natorp, in: Kants Gesammelte<br />
Schriften, hrsg von der Königlich<br />
Preußischen Akademie der Wissenschaften,<br />
Band V, Reimer, 1908, pp. 89-106 (Critica<br />
della ragion pratica, trad. di F. Capra, riv. da<br />
E. Garin, Laterza, Bari 1963, pp. 112-134).<br />
32Kant, op. cit., pp. 95-98 (trad. it. cit., p.<br />
119-122).<br />
33Kant, op. cit., pp. 97-98 (trad. it. cit., pp.<br />
122-123)<br />
34Luporini [1942] 1993, p. 68 n. 1.<br />
35I. Kant, Kritik der Urtheilskraft [1790], hrsg<br />
von Wilhelm Windelband, in: Kants Gesammelte<br />
Schriften, hrsg von der Königlich Preußischen<br />
Akademie der Wissenschaften, Band V,<br />
Reimer, 1908, p. 195-197, Anmkg (Critica del<br />
Giudizio, trad. di A. Gargiulo, riv. da V. Verra,<br />
Laterza, Bari 1960, pp. 37-39)<br />
12<br />
36Luporini [1942] 1993, p. 75 n. 1.<br />
37Luporini 1992, p. 40.<br />
38M. Heidegger, Kant und das Problem der<br />
Metaphysik [1929], Frankfurt/M, Vittorio<br />
Klostermann, 1991, pp. 204-246 (Kant e il<br />
problema della metafisica, trad. di M. E.<br />
Reina, riv. da V. Verra, con una Introduzione<br />
di V. Verra, Laterza, Roma-Bari 1981, pp.<br />
178-211).<br />
39Luporini 1992, p. 40.<br />
40Heidegger, op. cit., p. 217 (trad. it. cit., p.<br />
187).<br />
41Luporini 1992, p. 40.<br />
42Heidegger, op. cit.,pp. 188-195 (trad. it. pp.<br />
162-168)<br />
43E. Husserl, Vorlesungen zur Phänomenologie<br />
des inneren Zeitbewußtseins, hrsg<br />
von M. Heidegger [1928], Tübingen, Niemeyer,<br />
1980 ( trad. it. in E. Husserl, Per la<br />
fenomenologia della coscienza interna del<br />
tempo (1893-1917), a cura di A. Marini,<br />
Angeli, Milano 1992.<br />
44M. Heidegger, Sein und Zeit [1927], Tübingen,<br />
Niemeyer, 1963, __ 29, 30, 40, 68 b<br />
(Essere e tempo, a cura di P. Chiodi, UTET,<br />
Torino 1969). Si veda anche M. Heidegger,<br />
Der Begriff der Zeit, hrsg von H. Tietjen,<br />
Tübingen, 1989 (Il concetto di tempo, a cura<br />
di F. Volpi, Gallio, Ferrara 1990).<br />
45Luporini 1992, pp. 37-38.<br />
46Luporini 1992, p. 37.<br />
Vi si trova un attacco all’esistenzialismo (allora, nella<br />
forma sartriana, certo ben più esposta che non quella<br />
heideggeriana, ma, di fatto, allora anche quella largamente<br />
invadente), motivato proprio dal considerarlo,<br />
l’esistenzialismo, come un orientamento adeguato ad un<br />
altro tempo, ormai chiuso, come un’esperienza storica da<br />
cui ci si doveva congedare, perché ora urgeva appropriarsi<br />
degli strumenti concettuali, di concezione generale<br />
ed analitici, forniti appunto dal marxismo. E, anche<br />
a codesto proposito, egli ha esplicitato con piena lucidità<br />
autointerpretativa quanto è dato ricavare dai documenti<br />
- i suoi scritti - pertinenti. In un Convegno sulla sua opera<br />
che si tenne qui a Firenze nell’86, disse che dell’Heidegger<br />
di Essere e tempo non l’avevano convinto proprio le<br />
categorie analitiche, giudicandole selezionate arbitrariamente<br />
(perché proprio quelle, e non altre?), e, comunque,<br />
tutte prive di presa sulla società e la storia. «Mi rimaneva<br />
in mano solo la contrapposizione di “autentico” e “inautentico”,<br />
da reinterpretare...». E infatti, se si va a vedere,<br />
questa contrapposizione era bensì presente in Situazione<br />
e libertà, nell’articolazione stessa delle due Parti, “Il<br />
qualsiasi esistere” e, rispettivamente, “Il genuino esistere”;<br />
ma, questo secondo, interpretato - al contrario che<br />
l’«autentico» in Heidegger - in senso assiologico (secondo<br />
la lezione appresa da Scheler), e, nel contenuto,<br />
attorno al valore della «libertà», come raggiungimento<br />
personale e collettivo. E appunto nel vuoto analitico<br />
constatato nell’esistenzialismo, nell’86 Luporini indicava<br />
la premessa in negativo, diciamo così, per il suo<br />
passaggio al marxismo.
Per quanto lo riguardò, l’appropriazione del marxismo<br />
non fu certo un impegno di lieve entità. Basti notare che<br />
il suo primo intervento teorico, al riguardo, risalirà solo<br />
al 1954 (Marxismo e sociologia: il concetto di formazione<br />
economico-sociale). Nel contempo, s’era dato a grandi<br />
studi di storia della filosofia, consegnati ai volumi<br />
Filosofi vecchi e nuovi. Scheler, Hegel, Kant, Fichte,<br />
Leopardi (1947), La mente di Leonardo (1953), Voltaire<br />
e le ‘Lettres philosophiques’ (1955) e Spazio e materia<br />
in Kant (1961).<br />
La svolta del ’66 - dopo che, nel decennio precedente<br />
aveva proseguito con molti interventi nel quadro del<br />
marxismo (raccolti, poi, in Dialettica e materialismo) -<br />
sarà rappresentata dalla decisione di immergersi “dentro<br />
Marx”, per dissociarlo dai vari “marxismi”, come s’esprimerà<br />
per caratterizzare il lavoro a cui dedicò tutte le<br />
proprie forze nei tre lustri e più che sarebbero seguiti. La<br />
questione fondamentale era dello statuto medesimo da<br />
attribuire alla teoria del Marx maturo: di scienza, e<br />
quindi autofondantesi, per definizione, ovvero di teoria<br />
comunque fondata ancora su una base “filosofica” (in<br />
sostanza, quella antropologica, derivata da Feuerbach,<br />
dominante nei cosiddetti Manoscritti del 1844)? Per<br />
alcuni marxisti, siffatta fondazione rimaneva operante<br />
anche nel seguito (aveva pensato così pur Luporini,<br />
precedentemente); per altri, era da venir recuperata, in<br />
quanto, in ultima analisi, il marxismo sarebbe una “filosofia<br />
dell’uomo” (secondo suonava il titolo d’un noto<br />
libro, allora di Adam Schaff), ché solo ciò le fornirebbe<br />
il “senso” proprio. Per parte sua, Luporini sosteneva ora<br />
che «la rivoluzione teorica prodotta da Marx consiste,<br />
all’opposto, nell’abolizione, attraverso il materialismo<br />
storico, di quella philosophische Grundlage». Ma, naturalmente,<br />
se c’è bisogno di dirlo, il discorso di Luporini<br />
rimaneva (e sarebbe rimasto sempre, nel seguito) “filosofico”,<br />
perché era comunque un discorso “sulla” scienza,<br />
e cioè di secondo livello. Il rifiuto era d’una filosofia<br />
“speculativa”, e cioè con pretese, per l’appunto, fondative.<br />
La contrapposizione, quindi, ad una concezione<br />
arcaica della filosofia, per una concezione all’altezza del<br />
nostro secolo.<br />
Il programma del disoccultamento della «rivoluzione<br />
teorica» realizzata da Marx, in quel momento iniziale<br />
animava anche Althusser, come Luporini riconobbe apertamente.<br />
Ma ben presto Althusser avrebbe intrapreso<br />
quel gioco al massacro, sul Marx della maturità, che<br />
Luporini contrasterà fortemente. Le loro strade, quindi,<br />
si divaricheranno quasi subito. Intanto, però, proprio da<br />
sùbito, c’era un dissenso su un punto fondamentale:<br />
Althusser aveva buttato a mare tutt’insieme<br />
l’«antropologia filosofica» e il cosiddetto umanismo<br />
(marxista). Luporini, invece, distingueva nettamente fra<br />
le due cose; e, dietro la bandiera dell’ “umanismo socialista”,<br />
si rifiutava di vedere solo ideologia: c’erano<br />
problemi ben reali. Non già, s’intende, problemi del tipo<br />
“Che cos’è l’uomo?”, ché «la risposta viene ormai da<br />
particolari scienze empiriche»; bensì il plesso di questioni<br />
relative alla vita reale ed al destino storico dell’umanità,<br />
per le quali era essenziale integrare al marxismo<br />
anche altri risultati scientifici (a cominciare da quelli<br />
provenienti dalla psicoanalisi); ma, il tutto, nella pro-<br />
PROFILO<br />
13<br />
spettiva del rapporto fra i condizionamenti e<br />
l’«autodeterminazione» dei singoli, la quale ultima coinvolge,<br />
evidentemente, la loro interiorità consapevole.<br />
«Non si tratta di una problematica di lusso», diceva<br />
Luporini, non foss’altro che perché «non ha senso parlare<br />
di una coscienza di classe del proletariato e occuparsi<br />
alla sua formazione... all’infuori di siffatta problematica<br />
della interiorità». Donde l’irriducibilità del marxismo<br />
anche ad un qualche “comportamentismo”. Il che ci dice<br />
come il discorso di Luporini fosse “filosofico” perché -<br />
oltre che, comunque, “sulla” scienza di Marx - inoltre<br />
nient’affatto scientistico. Giudicava ben “timidi” quei<br />
sedicenti marxisti che rifiutavano, come pretesa ideologia<br />
borghese, la separazione tra giudizi di fatto e giudizi<br />
di valore; e a Marx rivendicava senz’altro la Wertfreiheit<br />
della scienza. Ma, giustappunto di conseguenza, s’apriva<br />
così una prospettiva - per i valori enunciabili con le<br />
note formulazioni di Marx a proposito del comunismo -<br />
ancorata sì all’analisi del reale, però libera da alcun<br />
preteso, o surrettizio, automatismo del corso storico<br />
stesso (ed era questa una scelta netta, compiuta da<br />
Luporini, fra le non univoche prospettive che, al riguardo,<br />
è dato di ritrovare in Marx).<br />
A parte poi Althusser, per Luporini s’imponeva un<br />
confronto critico con lo strutturalismo, proprio perché il<br />
suo obiettivo principale, a partire dal ’66, era quello<br />
ch’era l’avversario per eccellenza anche dello strutturalismo<br />
medesimo: lo storicismo. Evidentemente, per lui<br />
valeva la regola aurea che avere avversari in comune non<br />
giustifica di confondersi in una sorta di fronte unico,<br />
neppure nella battaglia delle idee. Bisognava dunque<br />
combattere lo storicismo senza tuttavia cedere alle ideologie<br />
strutturalistiche, che, del resto, erano allora nel loro<br />
momento di successo. Tutta l’Introduzione premessa alla<br />
raccolta Dialettica e materialismo, nel ’74, sarà percorsa<br />
da questa esigenza di un’alternativa su due fronti.<br />
Sennonché, il successo dello strutturalismo era un fenomeno<br />
congiunturale, come di fatto si sarebbe rivelato<br />
rapidamente. Invece, lo storicismo era una tendenza di<br />
lunga durata, e profondamente penetrata all’interno del<br />
marxismo (e non soltanto di quello italiano). Era pertanto<br />
da snidare fin dal suo primo affacciarsi (al di là delle<br />
etichettature filosofiche di scuola), e proprio all’interno<br />
del marxismo: precisamente nell’anno 1859, nientemeno,<br />
con la recensione di Engels al Per la critica dell’economia<br />
politica. A mostrare come ne risultasse un «completo<br />
stravolgimento», rispetto al modo di procedere di<br />
Marx sia nel Per la critica sia nel Capitale - ed il rovescio<br />
letterale di quanto quegli aveva teorizzato anche esplicitamente<br />
- Luporini si dava con puntigliosità e reiteratamente.<br />
Ma ne aveva ben donde: l’assunto di Engels s’era<br />
infatti trasformato in una communis opinio, i cui sostenitori<br />
si ritrovavano un po’ dappertutto (per esempio,<br />
dall’economista polacco Oskar Lange allo storico italiano<br />
Emilio Sereni). Certo, l’indagine di Marx era condotta<br />
sulla base di materiali storici, ma - asseriva Luporini<br />
- «non più ‘storici’ di quelli che si presentano, per<br />
esempio, al fisico, o al linguista, ecc. »; ché, in questo<br />
senso, “storico” è sinonimo di “empirico”. E una costruzione<br />
sistematica è irriducibile, per definizione, ai suoi<br />
materiali; così come, nella realtà, nessuna forma o strut-
tura è riducibile ai suoi elementi (lo sapeva bene già<br />
Aristotele).<br />
Il livello della sistematicità è, naturalmente, quanto mai<br />
vario, fra le diverse scienze. Si può giungere fino ad una<br />
neutralizzazione della storicità (avviene nelle scienze<br />
maggiormente ‘astratte’, come le si dicono); ma è soltanto<br />
illusorio il procedimento inverso - rilevava Luporini -<br />
e cioè il tentativo di «neutralizzare o obliterare il momento<br />
sistematico, allo scopo di isolare l’elemento individuale,<br />
singolare, puntuale», come sarebbe il mero evento<br />
o accadimento (pretesa - va detto - che dipoi è ridiventata<br />
semmai ancor più imperversante che non allorché egli<br />
scriveva queste parole).<br />
Quanto alla collocazione del Capitale, rispetto a quest’arco<br />
di possibilità, Luporini riconosceva senza esitazioni<br />
che, intrecciate alla costruzione sistematica astratta<br />
(«genetico-formale», la chiamava), vi si trovano inserzioni<br />
«genetico-storiche», d’altronde ben note, ma necessarie<br />
per la costruzione stessa di quel modello; e vi si<br />
trovano così anche elementi per una ricostruzione della<br />
transizione dal modo di produzione feudale. Qui, ovviamente,<br />
“storico” non è più sinonimo di “empirico” né di<br />
“evento singolare”, ma ha il senso - modernamente<br />
classico - di sviluppo dinamico, nel caso specifico affidato<br />
principalmente (secondo la tesi marxiana) all’incremento<br />
delle cosiddette forze produttive. Sennonché, se<br />
avessero ragione Engels o Sereni, il Capitale dovrebbe<br />
procedere con andamento appunto diacronico, ancorché<br />
essenzializzato, e muovere quindi dal feudalesimo. lnvece,<br />
l’avvio del Capitale non è affatto il feudalesimo,<br />
bensì (in quella la sezione che più di qualsiasi altra diede<br />
da fare a Marx) la “forma” della “merce”; e, attraverso le<br />
peripezie teoriche che ne risultano, con lo “scambio” ed<br />
il “denaro”, il modello che ne vien fuori è quello -<br />
soltanto ideale - di un’economia puramente “mercantile”,<br />
che, in quanto tale, non è mai esistita, di fatto, come<br />
«epoca» della formazione economica della società (e<br />
difatti Marx non ve la comprendeva allorché le poneva<br />
nella successione di “asiatica”, schiavistica, feudale e<br />
capitalistica). Per contrasto, vien da pensare a quegli<br />
slogans, che oggi ricorrono (Gianni Agnelli, in testa),<br />
onde questo sistema in cui viviamo non si dovrebbe<br />
denominare più neppure “capitalistico”, bensì, giustappunto,<br />
“del libero mercato”!<br />
Marx aveva sostenuto che, storicamente, la comparsa del<br />
prodotto come “merce” richiede una divisione del lavoro<br />
sviluppata al punto che sia compiuta quella separazione,<br />
fra valore d’uso e valore di scambio, che nel commercio<br />
di permuta diretta ha solo il suo embrione; ma ancora ben<br />
al di qua di quella mercificazione di tutti (o quasi) i<br />
prodotti che invece sarà propria del modo di produzione<br />
capitalistico. Commentava Marx: «Tale grado di sviluppo»,<br />
intermedio fra i due estremi indicati, «è però comune<br />
a formazioni socio- economiche storicamente diversissime».<br />
E Luporini postillava: così «è espressa in<br />
maniera lampante la necessità della componente storicogenetica<br />
per la costruzione del modello dell’economia<br />
capitalistica [“capitalistica”, si noti bene, e non semplicemente<br />
“mercantile”], e insieme il suo carattere di<br />
“variabile entro certi limiti”». Ma, a sua volta, è anche<br />
lampante perché proprio questo punto, e cioè il riferi-<br />
PROFILO<br />
14<br />
mento alla storia reale come a variabile, attraesse tanto<br />
Luporini: in alternativa a quell’evoluzionismo, o necessitarismo,<br />
nella rappresentazione del cosiddetto sviluppo<br />
storico, ch’era stato il tratto caratteristico di tutti i<br />
dogmatismi, entro il marxismo. Il nucleo, insieme teorico<br />
e politico, che si trattava di contrastare, era dunque<br />
l’assunzione d’un percorso uniforme dell’umanità, a<br />
tappe obbligate.<br />
Dei grossi saggi di Luporini «dentro Marx», solo i primi<br />
due (Realtà e storicità: economia e dialettica nel marxismo<br />
e Marx secondo Marx) fecero in tempo ad essere<br />
inclusi in Dialettica e materialismo. Verso l’80 l’editore<br />
Einaudi annunciava come prossimo un volume di <strong>Studi</strong><br />
su Marx, di Luporini, destinato a raccogliere gli altri,<br />
successivi, e che avrebbe dovuto trarre il titolo da uno di<br />
essi: Critica della politica e critica dell’economia politica<br />
(gli altri sarebbero stati, presumibilmente, La logica<br />
specifica dell’oggetto specifico e Per l’interpretazione<br />
della categoria “formazione economico-sociale”. Però,<br />
di quel volume, non ne fu di nulla.<br />
[...] L’oggi, ancora una volta diverso, che è il nostro,<br />
anche Luporini ha fatto in tempo a vederlo, assumendo<br />
- nell’89-’90 - le posizioni che sono rimaste (è da supporre)<br />
nella memoria di tutti; ed inoltre portando il segno<br />
della sua attenzione vigile sui fenomeni che dipoi si<br />
sarebbero ingigantiti. [...]. Relativamente a Marx, nell’ultimo<br />
ritorno su di lui, Luporini segnalerà soprattutto<br />
due questioni, che, negli studi precedenti, a cui s’è<br />
accennato, non comparivano ancora. Per un verso, riconoscerà<br />
pure, ora, come, sul punto del passaggio al<br />
socialismo ed al comunismo, anche Marx fosse rimasto<br />
ben più evoluzionista di quanto neanche lontanamente<br />
consenta invece tutta l’esperienza storica del nostro<br />
secolo (ciò, anche perché partecipava di quel determinismo<br />
che improntava ancora l’epistemologia corrente ai<br />
suoi tempi). Per un altro verso, la questione nuova e<br />
sempre più dirompente veniva indicata da Luporini - al<br />
di là anche dell’eventualità di catastrofi immediatamente<br />
cruente - nella questione ambientale (e demografica).<br />
Marx, dirà allora, considerava intollerabile il dominio<br />
dell’uomo sull’uomo, però, quanto al dominio dell’uomo<br />
sulla natura, partecipava alle prospettive generali del<br />
suo tempo (e, si può aggiungere, di tutta quanta quella<br />
che chiamiamo la modernità) su uno sfruttamento illimitato<br />
delle risorse naturali ed un incremento indefinito<br />
della produzione. In questi ultimi interventi, dunque,<br />
Luporini si collocava «con un piede dentro Marx, ed uno<br />
fuori». Ma, ciò, proprio per sostenere quello che chiamava<br />
l’«orizzonte del comunismo».
Diretto da Nunzio Incardona, l’Istituto di Filosofia<br />
costituisce, con l’Istituto di Storia della Filosofia e<br />
l’Istituto di Teoria e Storia delle idee, una delle tre<br />
sedi deputate all’insegnamento del pensiero filosofico nell’ateneo<br />
palermitano. Carattere principale di questo centro<br />
è il forte impegno teoretico e la fisionomia unitaria delle<br />
varie direzioni di ricerca che agiscono al suo interno.<br />
Allievo di M. F. Sciacca, Incardona, partendo dall’esperienza<br />
teorica dello spiritualismo di matrice rosminiana,<br />
ha sviluppato il proprio pensiero in direzione di un’indagine<br />
sul principio e sui fondamenti metafisici del pensiero<br />
occidentale. Una riflessione, dunque, che si muove<br />
all’interno delle grandi posizioni della metafisica classica,<br />
e che ha contribuito in modo profondo a determinare<br />
l’area di riflessione e di ricerca dell’Istituto. Questi motivi<br />
teoretici informano di sé tanto gli insegnamenti, quanto le<br />
direttrici stesse della ricerca dei differenti componenti l’Istituto.<br />
La sensazione che si ha fin dall’inizio del lavoro teorico<br />
all’Istituto è difatti quella di<br />
una vera e propria struttura<br />
di scuola, in cui la plurivocità<br />
e la molteplicità degli interessi<br />
specifici trova il proprio<br />
baricentro in un motivo<br />
filosofico comune.<br />
Utilizzando la tradizione<br />
metafisica per affrontare ab<br />
imis il problema dell’arché,<br />
Incardona rileva come il<br />
pensiero filosofico possa<br />
essere, nella sua radicalità<br />
originaria, intrinsecamente<br />
esaurito e compiuto in sé<br />
fin dalle sue prime battute.<br />
Tale prospettiva teoretica<br />
condiziona in tal modo la<br />
scelta degli autori la cui<br />
opera viene privilegiata nel<br />
curriculum degli studi; Aristotele<br />
ed Hegel, considerati<br />
come i due poli attraverso<br />
cui si articola l’intero pensiero filosofico occidentale,<br />
costituiscono in particolare l’effettivo baricentro dei<br />
programmi dei corsi. Significativa è altresì la presenza di<br />
Kant e soprattutto di Platone; assai importante è d’altra parte<br />
la presenza dell’intero pensiero greco delle origini, in cui la<br />
tematica dell’arché, sviluppata da Incardona, riconosce la<br />
fondamentalità della riflessione filosofica occidentale. Tale<br />
caratteristica, se rende talvolta l’Istituto, nella sua struttura<br />
didattica, ripiegato su se stesso e sui suoi autori privilegiati,<br />
ne costituisce al contempo la peculiare vitalità teoretica, che<br />
lo rende un significativo punto di riferimento per una vasta<br />
parte del milieu filosofico a livello non solo nazionale.<br />
Le linee filosofiche indicate da Incardona ispirano in<br />
misura decisiva le tematiche investigative dei diversi<br />
docenti dell’Istituto, che si affiancano a Incardona e che<br />
ne sono allievi. Giuseppe Nicolaci ha sviluppato la propria<br />
ricerca nel senso di una tematizzazione del contemporaneo.<br />
Rivolgendosi alla dimensione linguistica che,<br />
da Aristotele in poi, egli considera essere parte integrante<br />
della tradizione e del pensiero metafisici, Nicolaci ha orien-<br />
SCHEDA<br />
I luoghi della filosofia<br />
L’Istituto di Filosofia<br />
di Palermo<br />
di Luca M. Scarantino<br />
15<br />
tato i suoi interessi verso un’analisi della presenza di tale<br />
originaria impostazione metafisica nella riflessione etica e<br />
linguistica moderna, fino alla scuola analitica. Muovendo<br />
da una concezione del pensiero contemporaneo come una<br />
feconda crisi della tradizione della metafisica classica,<br />
Nicolaci ha così contribuito a introdurre all’interno dell’Istituto<br />
l’opera di autori come Heidegger, Wittgenstein, Hare,<br />
Austin. La sua riflessione investe dunque il rapporto tra<br />
metafisica e dimensione linguistica, mostrando come, anche<br />
alla luce dell’apporto della riflessione contemporanea,<br />
tale interazione abbia condizionato il formarsi e il determinarsi<br />
della struttura della conoscenza morale.<br />
Più legata ad un’analisi di tipo storiografico appare<br />
l’opera del medievista Alessandro Musco, i cui interessi<br />
gravitano verso la tradizione mistico-metafisica e le<br />
origini del pensiero medievale; un campo di ricerca,<br />
questo, che sembra poter coagulare attorno a sé una<br />
rinnovata tradizione di studi arabi ed ebraici. L’arabistica,<br />
presente all’Istituto con Giu-<br />
seppe Roccaro, vanta del resto<br />
una solida tradizione a<br />
Palermo, e sembra poter contribuire<br />
a consolidare e sviluppare<br />
la presenza degli studi<br />
medievali tra le direzioni<br />
di ricerca dell’Istituto.<br />
A Incardona fanno diretto<br />
riferimento anche i ricercatori<br />
dell’Istituto. L’approfondimento<br />
del pensiero di<br />
Gorgia e Aristotele si deve<br />
a E. Caramuta; l’interesse<br />
per Heidegger e Ricoeur è<br />
sviluppato invece da A. M.<br />
Treppiedi, mentre della dialettica<br />
hegeliana si occupa<br />
G. Tagliavia. La riflessione<br />
politologica è terreno di<br />
ricerca di M. Corselli; quella<br />
estetica, con particolare<br />
attenzione al momento letterario<br />
e al periodo romantico, di S. Lo Bue. L. Di<br />
Bartolo, attraverso la sua attività di ricerca presso la<br />
Sorbona, contribuisce ad un rafforzamento dei legami<br />
dell’Istituto con l’ambiente accademico francese.<br />
L’attività scientifica e convegnistica dell’Istituto si accompagna<br />
alla pubblicazione della rivista «Giornale di<br />
Metafisica», che da una decina di anni organizza gli<br />
annuali “Incontri del Giornale di Metafisica”, dedicati ad<br />
aspetti di volta in volta diversi della tradizione metafisica.<br />
Dal primo incontro, tenutosi nel 1983 a Genova,<br />
l’iniziativa ha via via assunto un’importanza sempre<br />
maggiore, divenendo occasione di confronto e di dibattito<br />
per quel versante della tradizione filosofica italiana<br />
che si riconosce in un pensiero a carattere trascendente,<br />
con una rilevante componente spiritualistica.<br />
Particolarmente significativa è pure l’attività di collaborazione<br />
con il Centro Internazionale “Giovanni Gentile”<br />
di Castelvetrano, con il quale viene annualmente organizzato<br />
un Convegno internazionale, dedicato al pensiero<br />
del fondatore dell’attualismo.
AUTORI E IDEE<br />
William Blake, The Creation of Eve (1808, particolare)<br />
16
Le ‘letture’ di Ricoeur<br />
Paul Ricoeur, oggi ottantunenne, non<br />
ha mai smesso di far dialogare il discorso<br />
filosofico con il suo altro. Ne è una<br />
testimonianza la serie dei volumi, pubblicati<br />
a partire dal 1991 con il titolo<br />
‘Lectures’ (Letture), che raccolgono suoi<br />
scritti sparsi. L’ultimo volume, LECTURES<br />
III, AUX FRONTIÈRES DE LA PHILOSOPHIE, (Letture<br />
III, Alle frontiere della filosofia, Seuil,<br />
Parigi 1994), è incentrato sul rapporto<br />
di Ricoeur con i testi che stanno a fondamento<br />
delle grandi religioni. Da segnalare<br />
anche, in questo contesto, una<br />
monografia critica di Olivier Mongin sul<br />
pensiero e l’opera di Ricoeur: PAUL RICO-<br />
EUR (Seuil, Parigi 1994), che rintraccia<br />
una linea di continuità tra le prime e le<br />
ultime opere del filosofo.<br />
Dopo Lectures I, Autour du politique (Letture<br />
I, Intorno al politico, 1991) e Lectures II,<br />
La Contrée desphilosophes (Letture II, La<br />
contrada dei filosofi, 1992), quest’ultima<br />
raccolta, Lectures III, Aux frontières de la<br />
philosophie, mostra come Paul Ricoeur,<br />
erede della filosofia husserliana e dei filosofi<br />
dell’esistenza (G. Marcel, K. Jaspers), abbia<br />
dialogato non solo con la linguistica, la psicoanalisi<br />
e la letteratura, ma anche con la fenomenologia<br />
della religione e l’esegesi biblica.<br />
L’opera si presenta divisa in tre sezioni: la<br />
prima verte sulla religione come fenomeno<br />
sociale e culturale; la seconda affronta il<br />
problema del male; la terza è dedicata all’esegesi<br />
biblica.<br />
Ricoeur parte dalla constatazione che la figura<br />
del religioso non è presente in forma<br />
universale, dal momento che vi sono una<br />
pluralità di comunità religiose e di testi fondatori.<br />
Ad esempio nel Talmud, osserva<br />
Ricoeur, la lettura ebraica del Vecchio Testamento<br />
dimostra che i modi di leggere<br />
questo testo (dove un rabbino risponde ad un<br />
altro, suscitando la discussione) sono al tempo<br />
stesso atti interpretativi. Il Cristianesimo<br />
ha poi conferito pluralità all’origine, dal<br />
momento che si hanno quattro Vangeli per<br />
raccontare e interpretare la vita e la passione<br />
di Cristo. Il pluralismo del fenomeno religioso,<br />
secondo Ricoeur, è dovuto al carattere<br />
insondabile del mistero, ovvero al fatto che<br />
c’è sempre una riserva di senso che sfugge.<br />
AUTORI E IDEE<br />
AUTORI E IDEE<br />
Fatta eccezione per l’Islam, in cui non vi è<br />
alcuna distanza tra Dio, Maometto e il Corano,<br />
poiché Dio parla in Arabo per bocca di<br />
Maometto, nelle altre grandi religioni vi è<br />
sempre uno scarto tra l’origine della parola e<br />
la sua espressione umana; ed è proprio questo<br />
iato che crea uno spazio originario di<br />
interpretazione.<br />
Ma è la problematica del male che funge da<br />
frontiera tra filosofia e religione; esso costituisce<br />
una sfida per entrambi gli ambiti. La<br />
filosofia ha fatto nei secoli vari tentativi per<br />
impossessarsene, elaborando varie teodicee;<br />
laddove però non riesce a dimostrare che il<br />
male è necessario per l’esistenza del bene, il<br />
problema del male diventa una questione di<br />
tipo etico-politico: non si tratta più di indagare<br />
da dove viene il male, ma di cercare di<br />
delimitarlo. Nella prospettiva religiosa ebraico-cristiana<br />
il problema del male rimane un<br />
mistero: non si tratta di razionalizzarlo, ma di<br />
vivere nella tensione estrema tra lo scandalo<br />
del male, da un lato, e la riconoscenza di tutto<br />
ciò che appare come dono, dall’altro. Grazie<br />
appunto a quel che Ricoeur chiama “economia<br />
del dono”, il Cristianesimo mantiene un<br />
legame stretto con l’esigenza etica. Affinché<br />
si possa parlare di responsabilità, il pensiero<br />
etico, secondo Ricoeur, postula l’esistenza<br />
di un soggetto, ma non di un soggetto automono<br />
e trasparente a se stesso: un se stesso<br />
“come un altro”. Proprio questa idea di una<br />
soggettività attraversata da una alterità si<br />
ritrova, sostiene Ricoeur, nella trascendenza<br />
del dono della Parola. «Io vedo il Cristianesimo<br />
come un “grande Codice” - afferma<br />
Ricoeur; situarmi nel cristianesimo è situarmi<br />
in un grande insieme simbolico di cui non<br />
sono l’origine». L’ermeneutica biblica permette<br />
così di articolare questo rapporto dei<br />
segni con la soggettività individuale che è<br />
alla base della polisemia del testo.<br />
Contro coloro che attuano una netta separazione<br />
tra gli scritti iniziali di Ricoeur e i<br />
lavori del periodo propriamente ermeneutico,<br />
nella sua monografia dedicata al filosofo<br />
Olivier Mongin sostiene una fondamentale<br />
continuità tra questi scritti, mostrando come<br />
gli stessi interrogativi percorrano le pur varie<br />
e differenti riflessioni del filosofo. In questo,<br />
Mongin non trascura il carattere “poliglotta”<br />
del pensiero di Ricoeur, che dopo gli anni ’60<br />
interloquisce con filosofi di formazione anglosassone<br />
e con autori tedeschi. A.M.<br />
17<br />
Le prove dell’esistenza di Dio<br />
Dimostrare l’esistenza di Dio non rappresenta<br />
uno fra i tanti problemi di cui<br />
si occupa la storia della filosofia, ma il<br />
problema fondamentale in cui si esprime<br />
la questione del rapporto tra essere<br />
e pensiero, nonché quella relativa<br />
alle modalità di quest’ultimo, in quanto<br />
procedura razionale. Questo è ciò<br />
che emerge dal terzo e ultimo volume<br />
dell’opera di Wilhelm Weischedel, IL<br />
DIO DEI FILOSOFI (trad. it. a cura di L.<br />
Mauro, Il Melangolo, Genova 1994),<br />
che conclude la ricerca dell’autore dedicata<br />
all’esprimibilità filosofica dell’esistenza<br />
di Dio, e dal saggio di Emanuela<br />
Scribano, L’ESISTENZA DI DIO. STO-<br />
RIA DELLA PROVA ONTOLOGICA DA DESCARTES<br />
A KANT (Laterza, Roma-Bari 1994), che<br />
attraverso le vicende della prova ontologica<br />
mette a fuoco l’evoluzione dello<br />
strumento razionale nel suo rapporto<br />
con le modalità temporali, cioè con le<br />
condizioni attraverso le quali viene<br />
definita l’esistenza.<br />
La ricostruzione documentata e, su molti<br />
punti, decisiva delle vicissitudini della prova<br />
ontologica, offerta da Emanuela Scribano,<br />
non si limita a un’analisi di tipo<br />
storiografico. Le tematiche che vengono<br />
messe in campo, e le stesse assunzioni che<br />
guidano la ricerca, rivestono infatti un carattere<br />
prettamente teoretico, e trascendono<br />
criteri e periodo storico qui considerati,<br />
investendo, invece, la questione ontologica<br />
e gnoseologica relativa a possibilità e<br />
modalità di espressione dell’essere da parte<br />
del pensiero, e di quella - conseguente -<br />
dello strutturarsi dei due poli nella loro<br />
relazione.<br />
Al di là di una contrapposizione tanto radicata<br />
nella tradizione quanto apparente, la<br />
relazione che è storicamente intercorsa tra<br />
prova a priori (l’argomento ontologico di<br />
origine anselmiana) e prova a posteriori<br />
(l’argomentazione causale, rintracciabile<br />
in Tommaso) mette in luce, secondo Scribano,<br />
una solidarietà che può spiegare la<br />
fortuna dell’una e dell’altra e, insieme,<br />
l’evolversi del loro rapporto in base al<br />
mutamento delle modalità logiche e temporali<br />
di determinazione del concetto di
esistenza. Dal punto di vista storiografico,<br />
sostiene Scribano, quella che per Kant è la<br />
dimostrazione ontologica dell’esistenza di<br />
Dio equivale all’argomentazione a priori<br />
esposta da Descartes nelle Meditazioni;<br />
quest’ultima, a sua volta, rinvia però alla<br />
dimostrazione causale (cioè aprioristica)<br />
di Tommaso, almeno quanto l’argomento<br />
a priori di Anselmo.<br />
Di fatto, nell’età moderna, di cui, quasi<br />
convenzionalmente, Descartes rappresenta<br />
il campione filosofico, si realizza un<br />
diverso modo di concepire la predicazione<br />
di esistenza e, con esso, una diversa concezione<br />
della sua dimostrabilità. In questo<br />
senso, ben prima di quanto non sia accaduto<br />
con l’attenzione mostrata dalla riflessione<br />
novecentesca, la questione onto-teologica<br />
si mostra come la sede più adeguata<br />
delle questioni filosofiche relative all’esprimibilità<br />
dell’esistente. Iuxta le esplicite<br />
dichiarazioni di Descartes e di Kant in<br />
proposito, l’argomento ontologico appare,<br />
in rapporto a quello cosmologico, come<br />
l’unico in grado di dimostrare l’esistenza di<br />
Dio, così come quest’ultimo viene concepito<br />
dalla tradizione cristiana: un essere<br />
dotato di identità personale, infinito e creatore,<br />
e non solo principio cosmologico<br />
dell’universo.<br />
In origine, nell’argomento ontologico di<br />
Anselmo, entrano in gioco soltanto modalità<br />
“logiche” di definizione dell’esistenza:<br />
è impossibile, in quanto contraddittorio,<br />
che un ente, di cui non si può pensare il<br />
maggiore (come nel caso di Dio), non esista<br />
nella realtà. L’argomentazione ontologica<br />
di Descartes si appropria del punto di<br />
forza dell’argomento cosmologico, ovvero<br />
del concetto temporale di necessità: è possibile<br />
ciò che si realizza almeno una volta,<br />
impossibile ciò che non si realizza mai,<br />
necessario ciò che si realizza sempre. Kant,<br />
che nella ricostruzione di Scribano rappresenta<br />
non solo il punto d’arrivo storiografico,<br />
ma la sintesi teoretica dell’evolversi<br />
della prova ontologica - e, con essa, dei<br />
tentativi di “dimostrare” in generale l’esistenza<br />
di un ente - ha il merito «di avere<br />
ricostruito la logica dell’innesto dell’argomento<br />
ontologico nel corpo dell’argomento<br />
cosmologico, e di averla per primo raccontata».<br />
La confutazione kantiana della<br />
prova cosmologica nella sua versione leibniziana,<br />
osserva Scribano, ha forza proprio<br />
e solo in quanto essa rifiuta, nel contesto<br />
della critica della prova ontologica, la possibilità<br />
di un’esistenza logicamente necessaria,<br />
cioè la possibilità di dedurre l’esistenza<br />
da un concetto. Con ciò viene però<br />
negata la legittimità non solo della teologia<br />
moderna, ma anche della metafisica; dell’una<br />
e dell’altra, conclude Scribano, a partire<br />
dall’evoluzione, in età moderna, della<br />
prova ontologica, risultano così dimostrate<br />
la contemporaneità e la solidarietà consustanziali<br />
e la comune problematicità.<br />
Dalla questione della dimostrabilità dell’esistenza<br />
di Dio prende le mosse anche<br />
Wilhelm Weischedel nell’ultimo volume,<br />
AUTORI E IDEE<br />
il terzo, della sua celebre e ponderosa opera,<br />
Il dio dei filosofi, che intende anzitutto<br />
mettere a fuoco la riflessione filosofica -<br />
nonché quella teologica, nelle sue valenze<br />
filosofiche - dedicata al “problema di Dio”<br />
nel panorama del pensiero novecentesco.<br />
Se non è possibile regredire al di là dei<br />
limiti imposti dagli esiti della riflessione<br />
kantiana, osserva Weischedel, allora dobbiamo<br />
da un lato ripensare la possibilità di<br />
dimostrare l’esistenza di un ente in quanto<br />
tale e di quello che era concepito come<br />
l’ente sommo, nonché ens entium, dall’altro<br />
sollevare l’esigenza - non intendendo<br />
rinunciare a utilizzare lo strumento razionale,<br />
ovvero quello linguistico, per avvicinarsi<br />
a Dio - di definire altre modalità di<br />
“dimostrazione”, ovvero di “prove” dell’esistenza<br />
del divino, così come la tradizione<br />
teologica cristiana lo ha concepito.<br />
Per ciò che concerne il primo aspetto, Aristotele<br />
ritorna ancora una volta in primo<br />
piano, per Weischedel, come colui che<br />
definisce la metafisica, ovvero il “sapere<br />
primo”, come scienza dell’essente in quanto<br />
tale (on he on), dell’essente in totalità<br />
(katholou) e della “parte più nobile” dell’essente<br />
medesimo (timiotaton ghenos).<br />
In tale articolazione, come ha mostrato<br />
Heidegger, la metafisica si configura come<br />
onto-teo-logia, e il problema dell’essere di<br />
Dio diventa quello dell’essere dell’ente,<br />
nonché dell’essere del mondo, in quanto<br />
totalità dell’ente.<br />
Il secondo aspetto del problema analizzato<br />
da Weischedel riguardo alla questione della<br />
dimostrazione dell’esistenza di Dio (e,<br />
conseguentemente, quella dell’esistenza del<br />
mondo) rappresenta il motivo più caratteristico<br />
all’interno del dibattito teologico novecentesco.<br />
Stando alla ricostruzione di<br />
Weischedel, esso non fa che confermare,<br />
nella molteplicità delle voci che tentano di<br />
rintracciare un’autorità razionale per la fede,<br />
i termini del problema così come lo aveva<br />
circoscritto Kant. Ogni concetto su Dio, in<br />
altri termini, presuppone un’esperienza che<br />
va al di là dei parametri in qualunque modo<br />
fissati per l’argomentazione razionale; la<br />
pretesa di dimostrare questo presupposto si<br />
configura, dunque, come una sorta di circolo<br />
vizioso, orientato all’impossibile tentativo<br />
di uscire dai limiti imposti dalla nostra<br />
condizione di esseri finiti. F.C.<br />
Budda e il buddismo<br />
In un’epoca materialista e consumistica<br />
come la nostra, la pubblicazione<br />
di scritti come BUDDA (Tea Corbaccio,<br />
Milano 1993), di Herman Oldenberg,<br />
che ripercorre la vicenda storico di<br />
Budda, e LE VIE DEL BUDDHA (Sansoni,<br />
Firenze 1994), di Chodzin Kohn, che<br />
affronta la filosofia buddista centrata<br />
sulla meditazione, rappresenta una<br />
sfida e un appello al confronto.<br />
18<br />
Nel suo studio, Herman Oldenberg propone<br />
un Budda umano, fornendo una chiave<br />
di lettura della coscienza buddista sia<br />
sul piano teorico, che su quello pratico. Il<br />
Budda descritto dall’autore è un uomo<br />
comune, non esente da dubbi, paure, conflitti;<br />
la differenza è una grande ricchezza<br />
interiore, accompagnata da un’irrefrenabile<br />
sete di sapere, che lo conducono ad<br />
abbandonare ogni bene materiale per inoltrarsi<br />
nell’arduo cammino della povertà<br />
verso una verità che coinvolge e illumina<br />
tutto il suo essere. Non il male, ma il bene;<br />
non l’egoismo, ma l’altruismo sono le<br />
qualità con cui Budda affronta se stesso,<br />
gli altri e il significato dell’esistenza.<br />
Oldenberg tratta del personaggio Budda in<br />
forma narrativa, cogliendo somiglianze tra il<br />
Dio Budda e Cristo, maestro di una francescana<br />
partecipazione al dolore degli altri, ma<br />
anche predicatore del distacco dal mondo.<br />
Chodzin Kohn approfondisce invece la<br />
religione buddista come prassi di vita,<br />
aprendo un confronto con l’Occidente. La<br />
meditazione come fonte di sapere, accompagnata<br />
dallo yoga, sono elementi che<br />
nella filosofia orientale rappresentano la<br />
via verso il sublime, la salvezza: una salvezza<br />
che si compie nella pratica costante<br />
di esercizi spirituali atti a purificare l’essere.<br />
Queste tecniche Kohn le descrive come<br />
insegnamenti base per il raggiungimento<br />
della saggezza e della moralità, che coincidono<br />
con una retta visione del mondo e<br />
un retto agire.<br />
Se per gli occidentali l’adesione alla dottrina<br />
cristiana si risolve con un atto di fede,<br />
i buddisti sono accolti dalla comunità solo<br />
in virtù di un’assoluta rinuncia a qualsiasi<br />
bene terreno, in totale armonia con la natura.<br />
Riti, esercizi sacri, penitenze si configurano<br />
in un’unità, in una fusione tra individuo<br />
e collettività, che non lascia spazio<br />
ad alcuna differenza. La diversità viene<br />
soppressa al suo sorgere; l’individuo assume<br />
significato in nome di una totalità più<br />
grande di lui e la consapevolezza di questa<br />
dimensione umana conduce a non affrontare<br />
in prima persona la vita, ma a lasciarsi<br />
guidare dalla forza della natura, del divino.<br />
L’ascolto di se stessi e della vita appartiene<br />
alla saggezza buddista, e di questo<br />
Kohn si fa testimone, interpretando l’esistenza<br />
come un lungo viaggio verso la<br />
liberazione totale.<br />
In questo contesto segnaliamo l’avvio in<br />
Italia di un programma di studi e pratica di<br />
meditazione, lo “Schambhala Training”,<br />
creato nel 1977 dal lama tibetano ven.<br />
Chögyam Trungpa Rinpoche, che ha<br />
ripreso la tradizione Shambhala della società<br />
illuminata dell’essere “guerriero” in<br />
una visione laica dello sviluppo dell’uomo,<br />
che prescinde quindi dall’appartenenza<br />
a qualsiasi religione. Nel 1968 Trungpa<br />
Rinpoche, che ha dedicato la sua vita allo<br />
studio del buddismo tibetano e alla sua<br />
diffusione in Occidente, fonda in Scozia<br />
un primo centro di buddismo tibetano, il<br />
Samye Ling. Successivamente fonda vari
altri centri nel Nord-America, tra i quali<br />
un’università, il Naropa Institute, nel 1974<br />
e, appunto, lo Shambhala Training, nel<br />
1977, che attualmente è presente negli<br />
Stati Uniti, in Canada, in Cile, in Australia<br />
e in Europa; in italiano è presentato a<br />
Lugano (Svizzera) e a Milano.<br />
Scopo di Trungpa Rinpoche è stato quello<br />
di creare nel mondo una “società illuminata”<br />
che, mediante l’unione della<br />
visione spirituale e della praticità, consentisse<br />
il “risveglio” degli uomini per<br />
indirizzarli ad una attività sociale benefica,<br />
fondata sulla compassione di tutti<br />
gli esseri sensibili, che instaura la visione<br />
Shambhala. A questo scopo ha provveduto<br />
la creazione di tre indirizzi spirituali,<br />
che rappresentando altrettante “porte”<br />
di accesso al Mandala di questa società<br />
illuminata cioè il “Vajradhatu”, la<br />
“Nalanda” e lo “Schambhala Training”. Il<br />
“Vajradhatu” riguarda la porta buddista<br />
del Mandala Schambhala e avvia allo studio<br />
della dottrina buddista e alla pratica<br />
della meditazione. La porta “Nalanda”,<br />
che ha preso questo nome da una famosa<br />
università indiana dell’XI secolo, è costituita<br />
da diverse organizzazioni che hanno<br />
lo scopo di diffondere le pratiche di discipline<br />
contemplative intese come diversi<br />
sentieri per riscoprire la”bellezza”, la “sensibilità”<br />
e l’”eleganza”. Alcune di queste<br />
organizzazioni sono Naropa Institute, Kyudo,<br />
Ikebana, Mudra Space Awareness Training,<br />
Maitri Space Awareness e il Comitato<br />
di Traduzione Nalanda. Infine, lo<br />
“Schambhala Training” presenta un programma<br />
di studio e una pratica di meditazione,<br />
dotati di un risvolto secolare,<br />
più che religioso, in quanto si propone di<br />
indicare agli uomini il sentiero del “guerriero”<br />
nella vita quotidiana, nella quale<br />
la paura non deve essere considerata<br />
solo come un grande impedimento, ma<br />
anche come un modo per conoscere più<br />
profondamente se stessi. In questa prospettiva<br />
diventa possibile affrontare con<br />
fiducia quelle paure che ostacolano la<br />
capacità di realizzare totalmente il proprio<br />
essere uomo, edificando così la società<br />
illuminata.<br />
Dopo la morte nel 1987 di Chögyam Trungpa<br />
Rinpoche il suo primogenito, Sawang<br />
Ösel Rangdröl Mukpo, ha continuato l’attività<br />
del padre, dirigendo dal 1990 il Mandala<br />
Schambhala.<br />
La diffusione della visione dello Shambhala<br />
assume una notevole importanza in quanto<br />
non si esaurisce in una pratica contemplativa<br />
di fruizione puramente individuale,<br />
isolata dal resto del mondo, ma s’impone<br />
per la sua volontà di inseririsi nel mondo<br />
con lo scopo di originare un’azione collettiva<br />
positiva che, partendo dalla espansione<br />
delle potenzialità soggettive, sfoci nell’instaurazione<br />
di una società gioiosa, “gentile”<br />
e sana. Nei primi mesi del 1995 è<br />
previsto a Milano il Livello I dello “Schambhala<br />
Training” (per informazioni: Pema<br />
Thaye, tel. 031/400112). D.M./M.Mi.<br />
AUTORI E IDEE<br />
Il pensiero politico<br />
di Oakeshott<br />
Continua la pubblicazione dell’opera<br />
omnia del politologo Michael<br />
Oakeshott. Dopo RATIONALISM IN POLI-<br />
TICS (Razionalismo in politica, 1991),<br />
è ora la volta di RELIGION, POLITICS AND<br />
THE MORAL LIFE (Religione, politica e la<br />
vita morale, a cura di T. Fuller, Yale<br />
University Press, New Haven 1993)<br />
e di MORALITY AND POLITICS IN MODERN<br />
EUROPE (Moralità e politica nell’Europa<br />
moderna, a cura di S. Robin<br />
Letwin, Yale University Press, New<br />
Haven 1993). Muovendo da una riflessione<br />
e da un’osservazione della<br />
storia intesa in senso extra-politico<br />
e comune, Oakeshott propone una<br />
visione anti-razionalista e anti-collettivista<br />
della politica. La sua concezione<br />
appare tuttavia, in vari<br />
aspetti, problematica e paradossale,<br />
se non aporetica: l’obbedienza<br />
alla legge come dovere etico si scontra<br />
con la neutralità morale della<br />
legge; l’Occidente viene considerato<br />
come depositario del valore dell’individualità<br />
e allo stesso tempo<br />
dell’etica ideologica e collettivista;<br />
la “sicurezza”, scopo del socialismo,<br />
viene rifiutata; la moralità è irrimediabilmente<br />
divisa tra normatività e<br />
spontaneità.<br />
Religion, Politics and the Moral Life<br />
raccoglie dieci saggi, redatti tra il 1925<br />
e il 1955, in cui Michael Oakeshott fa<br />
risalire la sua visione della religione e<br />
della morale agli insegnamenti di un<br />
sacerdote anglicano, ai tempi della sua<br />
infanzia, il quale sosteneva che la religione<br />
è pietas, non un insieme di credenze,<br />
e la morale un modo di comportamento.<br />
Coerente con questa concezione,<br />
nel saggio Religion and the World (La<br />
religione e il mondo, 1929), Oakeshott<br />
considera la religione autentica come<br />
pre-teoretica e non-dogmatica, cioè come<br />
religiosità. Essa è orientamento dell’anima<br />
in una dimensione dell’esperienza<br />
vissuta al suo massimo livello. Una religione<br />
intesa come assenso intellettuale a<br />
certe richieste oggettive sul mondo si<br />
rende vulnerabile non solo a confutazioni<br />
esterne ma anche ad un criticismo<br />
anti-razionalista. L’autentica religione,<br />
rileva Oakeshott, non può garantire la<br />
“salvezza”, che invece consiste nell’essere<br />
liberati “qui e ora” dall’egoismo<br />
quotidiano e dalla tirannia del successo.<br />
A questo proposito, nel saggio The Historical<br />
Element in Christianity (L’elemento<br />
storico nel Cristianesimo, 1928)<br />
Oakeshott afferma che non esiste “un<br />
cuore” dell’esperienza cristiana o un’essenza<br />
del cristianesimo, né alcuna credenza<br />
storica definitiva a cui appoggiarsi,<br />
esiste solo la fine della mutazione diacronica<br />
di ciò che chiamiamo Cristianità.<br />
19<br />
L’affermazione che la religione sia pura<br />
pratica solleva in Oakeshott la questione,<br />
presente sia in Religion, Politics and the<br />
Moral Life che in Morality and Politics in<br />
Modern Europe, se possa esistere una politica<br />
staccata dalla teoria politica. La politica<br />
in senso pratico, osserva Oakeshott,<br />
non consiste solo nella gestione di interessi<br />
pratici e immediati, ma tocca anche la<br />
vita spirituale di tutti coloro che essa riguarda,<br />
venendo a identificarsi con i valori<br />
morali più alti di una società, come “Dio”<br />
e “patria”. In The Claims of Politics (Le<br />
pretese della politica, 1939) Oakeshott afferma<br />
che i più alti valori della società, la<br />
sua più chiara consapevolezza di sé, sono<br />
dati dai poeti, dagli artisti e dai filosofi,<br />
non dai politici. Il governo, o l’attività<br />
politica in generale, che è ciò che definisce<br />
lo Stato - come vien detto in The<br />
Autority of the State (L’autorità dello<br />
Stato, 1929) -, consiste nel salvaguardare<br />
la cultura e porre le sue minime condizioni<br />
di sviluppo. Società, Stato e Nazione<br />
sono intesi da Oakeshott come<br />
realtà pre- e post-politiche, appartenenti<br />
ad un determinato mondo storico e a una<br />
cultura specifica.<br />
Dei saggi compresi in Religion, Politics<br />
and Moral Life fanno parte anche due<br />
inediti: The Customer is Never Wrong<br />
(1955), in cui Oakeshott rifiuta la proposta<br />
di Walter Lippmann di costruire una<br />
nuova filosofia basata sulla legge naturale,<br />
e “Scientific Politics” (1948), recensione<br />
del testo di Hans Morgenthau: Scientific<br />
Man versus Power Politics (Uomo scientifico<br />
versus potere politico, 1947).<br />
Morality and Politics in Modern Europe<br />
presenta otto lectures inedite, tenute da<br />
Oakeshott a Harvard nel 1958, che sviluppano<br />
le concezioni da questi elaborate a<br />
partire da The Masses in Representative<br />
Democracy (Le masse nella democrazia<br />
rappresentativa, 1957; ora incluso nella<br />
nuova edizione di Rationalism in Politics)<br />
fino alla terza parte di On Human Conduct<br />
(Sulla condotta umana, 1975), e centrate<br />
sull’importanza dell’individualità, la sua<br />
emergenza storica, la sua moralità collettiva,<br />
a cui si oppone l’anti-moralità della<br />
reazione collettivistica.<br />
Due sono i punti chiave individuati da<br />
Oakeshott nella storia della modernità. Il<br />
primo è il processo di centralizzazione e<br />
modernizzazione delle monarchie europee,<br />
che ebbe come conseguenza di liberare<br />
aspiranti “individualisti” dalle fedeltà<br />
feudali a dalle tradizioni locali. Il secondo<br />
è frutto del carattere di visibile inadeguatezza<br />
dell’individualità agli occhi di<br />
coloro che ancora non l’hanno raggiunta<br />
e la cui insicurezza diviene il mezzo per<br />
ottenerne l’obbedienza in cambio della<br />
loro redenzione in teocrazie (Calvino a<br />
Ginevra) o utopie produttivistiche (Bacon,<br />
Owen, Saint-Simon) o equalitarismi<br />
socialisti. M.G.
Dilettanti e viandanti<br />
nel romanticismo<br />
Il viaggio, inteso come quell’esperienza<br />
in cui l’individuo realizza se<br />
stesso, e il dilettantismo, quale carattere<br />
proprio di personaggi privi<br />
di regole e alla ricerca della pienezza<br />
estetica, sono tema rispettivamente<br />
dello studio di Patrizio Collini,<br />
WANDERUNG. IL VIAGGIO DEI ROMANTICI<br />
(Cafoscarina, Venezia 1993) e dello<br />
scritto di J. Wolfang Goethe e di<br />
Friedrich Schiller, IL DILETTANTE (a cura<br />
di E. De Angelis, Donzelli, Roma<br />
1993), che raccoglie anche saggi di<br />
Otto Ludwig, Rudolf Kassner, Gottfried<br />
Keller, Thomas Mann, Karl Philipp<br />
Moritz, Jean Paul, Friedrich Schlegel,<br />
Adalbert Stifter, Wilhelm Heinrich<br />
Wackenroder, Richard Wagner.<br />
Lo studio di Patrizio Collini, prendendo<br />
spunto dall’analisi de Le peregrinazioni<br />
di Franz Sternbald di Tieck e<br />
dell’Enrico di Ofterdingen di Novalis,<br />
analizza la funzione e la struttura del<br />
viaggio e del viaggiatore in epoca romantica.<br />
Secondo Collini, esistono fondamentalmente<br />
due tipologie del viaggio.<br />
Il primo, escatologico nella visione<br />
cristiana e progettuale nella visione laica,<br />
è caratterizzato nella sua ontologia<br />
dalla meta che fornisce il senso alle tap-<br />
AUTORI E IDEE<br />
pe; il viaggio assume qui il ruolo dello<br />
strumento funzionale e necessario ad uno<br />
scopo, rappresentato dal traguardo, che<br />
una volta raggiunto, negherà anche la<br />
funzione del viaggio stesso. Il secondo<br />
tipo di viaggio, la Wanderung (peregrinazione),<br />
che Collini sceglie nello specifico<br />
della sua analisi, cancella, invece,<br />
ogni tipo di meta e assume significato<br />
nel darsi degli eventi, che non esistono<br />
in funzione del traguardo, ma esclusivamente<br />
nel loro accadere. La capacità di<br />
procedere al di là dello scopo finale, rende<br />
il viandante il vero donatore di senso che<br />
esiste nei singoli accadimenti e vive il<br />
mondo come assoluta e continua novità.<br />
Collini, che colloca questa tipologia di<br />
viaggio all’interno della letteratura romantica,<br />
ad esempio nel Wilhelm Meister di<br />
Goethe, rovescia il tema della Bildung<br />
(formazione), altrettanto caro al romanticismo.<br />
In altre parole la Wanderung diventa<br />
quella capacità dell’anima di cogliere il<br />
mondo nella sua innocenza e casualità al di<br />
là di qualsiasi anticipazione di senso. D’altra<br />
parte, il tipico viaggio romantico è<br />
caratterizzato proprio dalla donazione di<br />
senso attraverso la progettualità e il finalismo.<br />
Basta pensare alla Fenomenologia<br />
dello Spirito di Hegel, in cui le tappe assumono<br />
significato grazie alla meta che, a sua<br />
volta, diventa tale grazie alle tappe. In<br />
questo tipo di viaggio la formazione dell’individuo<br />
è possibile grazie al fine ultimo<br />
Caspar David Friedrich, Viandante su un mare di nebbia (particolare, 1818)<br />
20<br />
della ragione, che si realizza durante il<br />
percorso. Una volta esclusa la meta e il<br />
progetto, conclude Collini, non ha più alcun<br />
senso, però, parlare di “senso”; per<br />
questo, una tale interpretazione del viaggio<br />
si addice anche a due pensatori che hanno<br />
superato la concezione teleologica e finalistica<br />
della conoscenza, e cioè Nietzsche e<br />
Schopenhauer.<br />
L’assenza di progettualità e di regole<br />
colloca questo modello di viaggiatore<br />
accanto a quello del dilettante, a cui J.<br />
Wolfang Goethe, con la collaborazione<br />
di Friedrich Schiller, dedicano alcune<br />
interessanti considerazioni nello scritto<br />
Il dilettante, in cui, oltre alle concezioni<br />
dei due autori, compaiono vari saggi che<br />
rappresentano altrettanti esempi concreti<br />
di dilettantismo. La figura del dilettante,<br />
caratteristica dell’età romantica, è<br />
propria dell’amante dell’arte e dell’eroe<br />
romanzesco, che vive nel mondo dell’immaginario,<br />
isolato dalla società.<br />
Goethe e Schiller descrivono il dilettantismo<br />
come quell’atteggiamento in primo<br />
luogo utile all’uomo in genere nella<br />
realizzazione dei suoi impulsi; in secondo<br />
luogo come quello stile che, da una<br />
parte fornisce all’arte l’impulso creativo<br />
e, dall’altra, in quanto godimento, costituisce<br />
una conseguenza dell’arte stessa.<br />
Nonostante questa vicinanza alla produzione<br />
artistica, il dilettantismo, secondo<br />
Goethe e Schiller, si distingue nettamente<br />
dall’arte. Quest’ultima, infatti, è<br />
caratterizzata da leggi formali ed espressive<br />
ed è finalizzata alla verità del soggetto<br />
rappresentato, mentre il dilettantismo<br />
si manifesta nella totale assenza di<br />
leggi e al di là della ricerca di una qualsiasi<br />
verità. Inoltre, mentre l’artista fa<br />
della propria passione una professione,<br />
il dilettante si limita ad un’attività saltuaria<br />
e, quindi, d’occasione. Il prototipo<br />
del dilettante, in questo modo, diventa<br />
quello di un individuo che, vivendo<br />
isolato e ai margini della società, esaspera<br />
la propria esistenza nella ricerca<br />
parossistica della realizzazione artistica.<br />
Nella totale assenza di valori sociali<br />
e di progetti da perseguire, il dilettante<br />
vive inseguendo il sogno di un appagamento<br />
estetico che esalti la propria soggettività<br />
al di sopra di tutto e di tutti.<br />
Rende bene l’idea del dilettante la figura<br />
di Anton Reiser nell’omonimo romanzo<br />
di Karl Philipp Moritz, che narra di un<br />
viaggiatore completamente proiettato nel<br />
sogno di diventare attore. Circondato da<br />
una realtà per lui completamente evanescente,<br />
il viaggiatore-dilettante vede sfumare<br />
davanti agli occhi la possibilità<br />
concreta di realizzare il suo sogno. Così,<br />
mentre, sullo sfondo, l’autore sottolinea<br />
l’impossibilità per il protagonista, che<br />
non riesce mai a dimenticare se stesso, a<br />
diventare attore, il viaggiatore si adatta a<br />
lavorare come manovale, vivendo la<br />
nuova professione, ancora una volta,<br />
come un ruolo da palcoscenico. A.S.
Terra-Patria<br />
invece di non-luoghi<br />
Una severa disamina del nostro stato<br />
di “agonia”, a livello planetario, e, nel<br />
contempo, la proposta di una “nuova<br />
religione”, caratterizzano l’ultima<br />
opera del sociologo francese Edgar<br />
Morin, TERRA-PATRIA (trad. it. di S. Lazzari,<br />
Raffaello Cortina Editore, Milano<br />
1994 ), scritta in collaborazione con<br />
Anne Brigitte Kern. Intento dell’analisi<br />
di Morin è recuperare il pianeta al<br />
ruolo di “patria”, cioè di luogo costruttore<br />
di identità per l’uomo che lo<br />
abiti. Alla decontestualizzazione, e<br />
attraverso di essa, alla definizione dei<br />
concetti produttori di identità è dedicato<br />
lo studio di Marc Augè NON LUO-<br />
GHI: INTRODUZIONE AD UNA ANTROPOLOGIA<br />
DELLA SURMODERNITÀ (trad. it. di D. Rolland,<br />
Edizioni Eleuthera, Milano 1993).<br />
Il “Vangelo della perdizione” proposto da<br />
Edgar Morin in Terra-Patria prevede<br />
una religione con finalità razionali: salvare<br />
il pianeta, nostra unica vera Patria, sia<br />
da quelle che Morin definisce “minacce<br />
damoclee”, cioè le minacce globali (degrado<br />
progressivo della biosfera, uso delle<br />
armi atomiche), sia dai disagi prodotti dallo<br />
sviluppo della tecno-scienza in tutti i<br />
settori della vita sociale.<br />
La “nuova barbarie” prodotta dal “mito<br />
AUTORI E IDEE<br />
Ralph Goings, Twin Springs Diner (1976, particolare)<br />
dello sviluppo” è propria soprattutto dell’Occidente<br />
e ha causato un nuovo, diverso<br />
sottosviluppo, quello relativo all’individuo,<br />
privato del suo tempo, costretto a<br />
vivere un tempo “precipitato e cronometrato”,<br />
compiendo un lavoro parcellizzato<br />
e deresponsabilizzato. Un individuo che,<br />
nella maggior parte dei casi, resta in tal<br />
modo escluso dalla vita politica democratica,<br />
abituato ad usare una miriade di mezzi<br />
di comunicazione senza però che si<br />
pervenga mai ad un livello di comunicazione<br />
effettiva. Il risultato complessivo,<br />
sostiene Morin, porta ad una situazione<br />
policrisica, dove incertezze, problemi,<br />
minacce si intrecciano in una rete di interretro-azioni,<br />
estremamente difficile da<br />
identificare e da risolvere.<br />
A questa condizione tragica e incerta di<br />
un’umanità ancora incapace di realizzarsi<br />
come tale - una condizione che Morin non<br />
esita a definire “agonia planetaria” - si<br />
oppone, quale «permanente contrappunto,<br />
un inno all’evoluzione, ad una sorta di<br />
epopea cosmica, che un giorno, curiosamente,<br />
è sfociata nell’Homo Sapiens».<br />
Partendo dalla comune origine della vita,<br />
Morin sottolinea, infatti, la fondamentale<br />
unità ideologica, morfologica, psicologica<br />
ed affettiva dell’Homo Sapiens,<br />
un’identità comune che è stata occultata<br />
e tradita, proprio nel cuore dell’era planetaria,<br />
dalla sviluppo compartimentato<br />
e specializzato delle scienze e da una<br />
21<br />
evoluzione politica confusa e contraddittoria.<br />
Da qui, la necessità di fondare<br />
una “antropolitica” basata sulla responsabilità<br />
planetaria, sulla presa di coscienza<br />
da parte dei “nuovi cittadini planetari”,<br />
del loro comune destino terrestre.<br />
L’antropolitica dovrà tenere conto dell’estrema<br />
incertezza della realtà, accettare<br />
la dialettica tra ideale e reale, tra<br />
sviluppo ed inviluppo, operando nella<br />
direzione di quello che Morin chiama<br />
“meta-sviluppo”, uno sviluppo meta-tecnico,<br />
meta-economico, meta-industriale,<br />
che conduca l’uomo a riappropiarsi<br />
del “passato tellurico”, nonché di quello<br />
umano, per vivere secondo imperativi<br />
etici quali comprensione, solidarietà,<br />
compassione.<br />
Morin detta anche una serie di norme<br />
strategiche per attuare quella che egli<br />
definisce una “ominizzazione della Terra”,<br />
dalla quale non può essere disgiunta<br />
una profonda riforma del pensiero, attraverso<br />
la pratica del cosiddetto “pensiero<br />
complesso”, già ampiamente teorizzata<br />
ed esemplificata nei quattro volumi della<br />
Méthode (1977-1992). Il pensiero complesso<br />
è un pensiero che abbandona i<br />
rigidi schematismi prodotti da una razionalizzazione<br />
astratta, unidimensionale,<br />
opera di un’intelligenza parcellizzata,<br />
deterministica e meccanicistica, per<br />
instaurare una razionalità autentica, che<br />
conosce i limiti della logica e del deter-
minismo, che negozia con l’irrazionale,<br />
con l’oscuro, con il caotico, che fa suo<br />
anche il disordine ed il casuale della<br />
realtà. Il pensiero complesso, sostiene<br />
Morin, è un pensiero multidimensionale<br />
e “ologrammatico”. In questa prospettiva<br />
la Terra appare come una totalità<br />
complessa, fisica, biologica, antropologica<br />
in cui la vita è un’emergenza della<br />
storia della terra e l’uomo un’emergenza<br />
della storia della vita terrestre.<br />
Alla questione del riconoscimento, da<br />
parte dell’individuo, della propria identità<br />
nei luoghi del proprio agire è dedicata<br />
l’ultima opera di Marc Augè, Non<br />
luoghi: introduzione ad una antropologia<br />
della surmodernità. Con questo studio<br />
Augè persegue “un’antropologia del<br />
quotidiano” esplorando i “non-luoghi”,<br />
cioè quegli spazi dell’anonimato, frequentati<br />
da individui tra loro simili, chiusi<br />
ciascuno nella propria singolarità. L’ipotesi<br />
che guida questa ricerca è quella<br />
secondo la quale l’epoca in cui viviamo,<br />
che Augè definisce “surmodernità”, abbia<br />
come sua modalità fondamentale l’eccesso<br />
spazio-temporale e l’accellerazione<br />
della storia.<br />
Il non-luogo si presenta come nozione<br />
opposta a quella di luogo, antropologicamente<br />
considerato come costruttore di identità,<br />
di relazioni, di storia. Il non-luogo<br />
indica, invece, due realtà complementari:<br />
è spazio destinato a determinate finalità e,<br />
al tempo stesso, indica il rapporto dell’individuo<br />
con tale spazio. Rappresentano<br />
non-luoghi, ad esempio, le infrastrutture<br />
per il trasporto veloce (autostrade, stazioni,<br />
aeroporti), i mezzi stessi di trasporto<br />
(automobili, treni, aerei); ma anche<br />
i supermercati, gli ospedali, le grandi<br />
catene alberghiere.<br />
Mentre il luogo antropologico crea relazioni,<br />
il non-luogo genera una “contrattualità<br />
solitaria”: condizione essenziale<br />
per divenirne utente appare, infatti, l’entrare<br />
in relazione con le dinamiche che<br />
lo governano. Il non-luogo si definisce<br />
proprio attraverso le prescrizioni che<br />
mettono in rapporto l’individuo con un<br />
ente astratto (lo Stato, il Comune, un’associazione)<br />
che ha la pretesa di rappresentare<br />
una sostanza reale, anche con<br />
valenza etica. Contestualmente, si assiste<br />
a una invasione dello spazio da parte<br />
di testi che si presentano come interpellanze,<br />
solo apparentemente rivolte a individualità<br />
personali, che risultano, però,<br />
intercambiabili nel loro carattere seriale.<br />
Si crea, così, una cosmologia di echi<br />
e strutture linguistiche tali da costituire<br />
un sistema di riferimento tanto universale,<br />
quanto generico e massificante.<br />
Paradossalmente, in una tale condizione<br />
l’individuo si sentirà “a casa” e ritroverà<br />
una sua “identità”, anche se fittizia, proprio<br />
nell’anonimato delle autostrade, dei<br />
grandi magazzini e delle catene alberghiere,<br />
nei quali riconoscerà il carattere prescrittivo<br />
del non-luogo. L.P.<br />
AUTORI E IDEE<br />
Herzen e la sua filosofia<br />
In BREVE STORIA DEI RUSSI (Corbaccio,<br />
Milano 1994), recentemente ristampata,<br />
Aleksandr Herzen analizza le<br />
conseguenze e la trasformazione della<br />
Russia in seguito alla rivoluzione del<br />
1948, la caduta del marxismo e il ruolo<br />
dell’euroasismo quale filosofia oggi<br />
diffusa fra gli intellettuali vicini al potere.<br />
Opinioni drastiche nei confronti<br />
di un ordine morale oggettivo opposto<br />
ad un agire di libere coscienze<br />
sono espresse da Herzen in DALL’ALTRA<br />
SPONDA (trad. it. di P. Pieri, Adelphi,<br />
Milano 1993), una riflessione critica<br />
sull’esito fallimentare delle rivoluzioni<br />
europee del 1848.<br />
Aleksandr Herzen si è interessato in modo<br />
attivo alla storia russa e al periodo del 1948,<br />
illustrandone gli aspetti populisti. Autore<br />
di vari saggi, ha rivolto particolare attenzione<br />
alla caduta del marxismo come un<br />
cambiamento globale del mondo. In Breve<br />
storia dei russi Herzen critica quelle ideologie<br />
che pur di soddisfare l’impellente<br />
bisogno di Assoluto che c’è nell’uomo<br />
esasperano i concetti di uguaglianza, di<br />
nazionalità, di democrazia, di progresso,<br />
senza in realtà difendere i veri diritti umani,<br />
affrontando i problemi più urgenti dei lavoratori.<br />
Herzen si scaglia contro ciò che sta<br />
dietro ai grandi movimenti popolari, ovvero<br />
il cinismo, la lotta per il potere...; un’intera<br />
storia umana si rivela dominata da<br />
ambiguità, da principi oscuri, non da lotte<br />
autentiche in difesa dei veri interessi dei<br />
cittadini, dei deboli.<br />
Herzen propone un’interpretazione della<br />
storia che si oppone a un finalismo predeterminato;<br />
la storia non ha altro impulso<br />
che la volontà di ogni singolo individuo,<br />
che agisce o contro il bene collettivo, o in<br />
sua difesa, spinto da motivazioni autentiche.<br />
La storia è in continua evoluzione,<br />
un’evoluzione che vede come responsabile<br />
l’umanità e la sua opera.<br />
Herzen prende in considerazione soprattutto<br />
la storia dell’Unione Sovietica e il<br />
post comunismo marxista. La rivoluzione,<br />
il crollo del marxismo e la transizione al<br />
nuovo regime anticomunista hanno avuto<br />
le loro cause in fatti, in precisi momenti, in<br />
fenomeni umani e sociali che non hanno<br />
niente a che fare con un intervento o un<br />
giudizio Divino. Storia e natura sono sfere<br />
separate, secondo Herzen, e hanno leggi<br />
completamente diverse e un orizzonte completamente<br />
diverso, terreno, il primo, ultraterreno,<br />
il secondo.<br />
Per una teoria della comprensione dei fatti<br />
storici come è la filosofia della storia, «i<br />
destini umani non sono liberi, poiché nello<br />
sviluppo storico rientrano molti principi<br />
variabili, la volontà e il potere personali<br />
prima di tutto.» Con queste parole Herzen<br />
caratterizza la sua riflessione critica sull’esito<br />
fallimentare delle rivoluzioni europee<br />
del 1848. Dall’altra sponda è una lunga<br />
22<br />
e spietata riflessione sul significato e il fine<br />
della storia, nella consapevolezza che dietro<br />
tante guerre inutili, assurde tragedie<br />
collettive, rivoluzioni e rivendicazioni combattute<br />
in nome dell’Umanità e della Libertà,<br />
si nascondono la ragion di Stato e la<br />
spregiudicatezza degli uomini politici, burocrati<br />
che dovrebbero garantire la giustizia,<br />
ma che non fanno che legittimare le<br />
peggiori scelleratezze.<br />
Herzen si scaglia contro ogni forma di<br />
dispotismo, e critica a spramente «la meschinità<br />
e il livore della borghesia, che<br />
schiaccia tutto ciò che è originale, indipendente<br />
e aperto», prevedendo quella che<br />
sarà la tirannia dei grandi sistemi altruistici<br />
del nostro secolo: il «panteismo aritmetico<br />
del suffragio universale», «fede superstiziosa<br />
nella repubblica», a cui fa riscontro la<br />
brutale arroganza della minoranza dall’altro.<br />
Per la filosofia della storia porsi il problema<br />
del “senso” significa considerare il corso<br />
storico, dalla sua origine al suo compimento,<br />
come diretto a un fine, a un telos.<br />
Ogni evento, ogni fatto, ogni episodio diventano,<br />
in tal senso, segni o indizi rivelatori<br />
di un processo, non necessariamente<br />
cosciente, verso una direzione prestabilita.<br />
Herzen rifiuta tutto ciò, nega qualsivoglia<br />
prospettiva finalistica che porta ad una<br />
storia profetica. «Guardare alla fine e non<br />
alla cosa stessa, è un errore gravissimo»<br />
secondo Herzen; la vita ama il nuovo, il<br />
corso della storia non è preordinato da<br />
“un’astuta” ragione, che armonizzi i moti<br />
disordinati degli uomini secondo un proprio<br />
disegno segreto. L’assunto principale<br />
del pensiero di Herzen è che Natura e storia<br />
non appartengono a due ordini diversi, ma<br />
formano un’unica realtà in cui le esistenze<br />
umane si trovano immerse e dalla quale<br />
sono determinate. Le riflessioni di Herzen<br />
non si presentano mai come pura speculazione<br />
filosofica, perché le esigenze di individuo<br />
e comunità ne costituiscono il presupposto<br />
e il fine. M.Ma./D.M.<br />
In onore di Hermann Schmitz<br />
Con il titolo REHABILITIERUNG DES SU-<br />
BJEKTIVEN. FESTSCHRIFT FÜR HERMANN<br />
SCHMITZ (Riabilitazione del soggettivo.<br />
Scritti in onore di Hermann Schmitz,<br />
Bouvier Verlag, Bonn 1993) è<br />
stato pubblicato un grosso volume,<br />
curato da Michael Grossheim e Hans-<br />
Joachim Waschkies, che raccoglie<br />
contributi di numerosi autori, allievi<br />
e amici, che hanno voluto così festeggiare<br />
il 65° compleanno del loro<br />
maestro, Hermann Schmitz, e il suo<br />
ritiro dall’insegnamento.<br />
Nella premessa dei curatori viene brevemente<br />
richiamata l’opera di Hermann Schmitz,<br />
il cui asse direttivo fondamentale si<br />
pone sotto il segno di una “destrutturazione
fenomenologica della tradizione”: «Il<br />
compito che mi sono posto - ha dichiarato<br />
Schmitz - è quello di non far cominciare<br />
il filosofare con costruzioni o proiezioni<br />
della nostra specifica oggettivazione<br />
culturale, ma, alla luce di una più<br />
precisa osservazione e concettualizzazione,<br />
risalire all’originario, involontario,<br />
momento dell’esser sorpreso, enuclearlo<br />
e da qui raggiungere le strade<br />
dell’oggettivazione che portano a teoria<br />
e prassi, diritto e religione, orientamento<br />
spaziale e temporale, arte e costumi».<br />
Di questo progetto filosofico Michael<br />
Grossheim e Hans-Joachim Waschkies<br />
intendono, con questo volume, saggiare<br />
il valore euristico, proponendo percorsi<br />
che toccano diversi ambiti del sapere e<br />
dell’esperire umano. Nella prima parte<br />
del volume sono riuniti contributi che si<br />
confrontano prevalentemente con la filosofia<br />
di Schmitz sotto aspetti di tipo<br />
sistematico. Dopo un breve saluto di<br />
Hans-Georg Gadamer, si succedono<br />
contributi inerenti all’idea di ragione e<br />
razionalità (Ulrich Pothast), al rapporto<br />
tra neo-fenomenologia e costruttivismo<br />
(Peter Janich), all’istanza di una<br />
nuova estetica della natura che consideri<br />
il nesso soggetto-oggetto (Gernot Böhme),<br />
alla paradoxia di Epimenide in H.<br />
Schmitz e N. Luhmann (Günther Schulte),<br />
alla problematica della conoscenza<br />
scientifica e allo statuto di “paradigma”<br />
scientifico in S. Kuhn (Hans-Jürgen<br />
Wendel), al concetto di animal rationale<br />
(Arno Baruzzi), al rapporto antitetico<br />
che ha l’idea di “principio” in Ernst<br />
Bloch e Ludwig Klages (Michael<br />
Grossheim), al concetto di responsabilità<br />
(Karl-Otto Apel) e infine al carattere che<br />
la nuova fenomenologia può rivestire per i<br />
problemi presenti in modo specifico nel<br />
pensiero europeo (Hans Werhahn).<br />
Nella seconda parte del volume vengono<br />
raccolti saggi che cercano di dimostrare<br />
come la nuova fenomenologia possa rivelarsi<br />
proficua anche in altri ambiti<br />
scientifici, come la psicosomatica (Gerhard<br />
Danzer) e la fisiologia (Hans<br />
Schäfer). Seguono poi contributi sulla<br />
fenomenologia della religione (Hermann<br />
Timm), sul significato dell’opera<br />
di Schmitz nel campo religioso della<br />
cura delle anime, sulla rilevanza della<br />
psicolinguistica nel Sistema della filosofia<br />
di Schmitz (Bernd Tischer) e sul<br />
rapporto tra filosofia della corporeità e<br />
arti figurative (Lorenz Dittmann). Tra i<br />
contributi in ambito politico-giuridico,<br />
viene affrontata la questione se il moderno<br />
Stato dei partiti definisca effettivamente il<br />
tipo di Stato oggi dominante (B. C. Vis).<br />
Nella terza parte del volume, infine, compaiono<br />
contributi a carattere storiografico,<br />
che in qualche modo sono originati<br />
dalla filosofia di Schmitz. Sono presi in<br />
considerazione la filosofia di Parmenide<br />
(Wilhelm Perpeet), quella di Empedocle<br />
(Guido Rappe), i motivi letterario-<br />
AUTORI E IDEE<br />
filosofici presenti in Lucrezio (Hartmut<br />
Böhme), l’estetica kantiana (Reinhard<br />
Brand), la teoria dell’incoscio di Freud<br />
(Siegfried Brasch), l’ontologia di Husserl<br />
(Tadashi Ogawas) ed infine il rapporto<br />
tra Heidegger e la rivoluzione conservatrice<br />
tedesca (Ernst Nolte). G.B.<br />
Rivoluzioni in geometria<br />
I principi e le ipotesi della nuova geometria,<br />
nata dalla confutazione del V<br />
Postulato di Euclide, sono l’oggetto<br />
di due opere: NUOVI PRINCIPI DELLA GEO-<br />
METRIA CON UNA TEORIA COMPLETA DELLE<br />
PARALLELE (trad. it. a cura di R. Pettoello,<br />
Bollati-Boringhieri, Torino 1994),<br />
di Nikolai Lobacevskij, e SULLE IPOTESI<br />
CHE STANNO ALLA BASE DELLA GEOMETRIA<br />
(trad. it. a cura di L. Lombardo Radice,<br />
Bollati-Boringhieri, Torino 1994), di<br />
Bernhard Riemann.<br />
Quando nel 1829 il matematico russo<br />
Nikolai Lobacevskij pubblicò, su una<br />
sconosciuta rivista di uno sperduto paesino<br />
russo, il suo lavoro sui nuovi principi<br />
della geometria, mise una conclusione<br />
originale e del tutto inaspettata al<br />
problema della inconfutabilità della verità<br />
del V Postulato di Euclide: il postulato<br />
meno intuitivo della geometria euclidea<br />
(per una retta e per un punto non<br />
appartenente ad essa passa una ed una<br />
sola parallela alla retta data) veniva fatto<br />
cadere e dalle sue ceneri nasceva una<br />
geometria del tutto nuova, una geometria<br />
dove la somma interna degli angoli<br />
di un triangolo vale sempre meno di<br />
180°, dove la curvatura dello spazio è<br />
sempre negativa e dove le parallele alla<br />
famosa retta sono in numero infinito.<br />
La convinzione che lo spazio euclideo<br />
fosse l’unico spazio assiomatizzabile e<br />
che, soprattutto, fosse la rappresentazione<br />
unica dello spazio reale, aveva profonde<br />
radici, che attingevano linfa vitale<br />
dalla formulazione filosofica di quella<br />
credenza ad opera di Kant nella Critica<br />
della ragion pura. Questa giustificazione<br />
filosofica crollava e la rivoluzione<br />
geometrica di Lobacevskij varcava i confini<br />
del mondo matematico per minare<br />
alla base la fiducia nel sistema kantiano.<br />
Questa situazione di sfiducia nella matematica,<br />
e di perplessità in filosofia, che<br />
sarà propria degli anni a venire, diviene<br />
materia di dibattito nell’Introduzione di<br />
Lucio Lombardo Radice a Nuovi principi<br />
della geometria con una teoria completa<br />
delle parallele, e nella recentissima<br />
prefazione di Evandro Agazzi al<br />
medesimo volume. Tutto ciò non trova<br />
tuttavia spazio nei saggi di Lobacevskij,<br />
in cui viene data una presentazione compiuta<br />
di quella che è stata una delle<br />
scoperte più feconde e, nello stesso tem-<br />
23<br />
po, delle più ignorate, della ricerca matematica,<br />
nonostante il matematico russo<br />
abbia cercato per tutta la vita e in ogni<br />
parte d’Europa un riconoscimento adeguato<br />
del suo lavoro.<br />
Ben altro successo ebbero conclusioni<br />
altrettanto originali del medesimo postulato.<br />
Quando la geometria senza parallele<br />
di Bernhard Riemann venne<br />
presentata nel 1854, fu sufficiente una<br />
decina di anni perché si potesse sviluppare<br />
quella catena di reazioni che Lucio<br />
Lombardo Radice descrive nella sua<br />
introduzione al volume.<br />
Sulle ipotesi che stanno alla base della<br />
geometria, che include il famoso scritto,<br />
edito postumo nel 1867, nel quale Riemann<br />
generalizza le vedute di Lobacevskij<br />
partendo da studi di Gauss sulle<br />
superfici curve, presenta anche saggi<br />
dell’autore di ordine filosofico e scientifico,<br />
in cui si profila il progetto di trovare<br />
una formulazione matematica unitaria<br />
per descrivere le leggi di propagazione<br />
dei fenomeni fisici, dalla propagazione<br />
della luce a quella gravitazionale. Mentre<br />
questi progetti sono stati vanificati<br />
dalla prematura morte dell’autore, il suo<br />
scritto sulle basi della geometria ha avuto<br />
un grande influsso, non solo sullo stesso<br />
Gauss, del quale Riemann era stato allievo<br />
ed erede brillante, ma su tutto l’ambiente<br />
matematico contemporaneo. M.P.<br />
L’etica nell’età della tecnica<br />
Poco prima della sua morte, avvenuta<br />
nel febbraio 1993, mentre era<br />
prossimo ai novant’anni, Hans Jonas<br />
aveva autorizzato la raccolta in<br />
volume di una serie di interventi<br />
(brevi scritti, discorsi, interviste), da<br />
lui effettuati dopo la pubblicazione,<br />
nel 1979, del suo fortunato ‘Das Prinzip<br />
Verantwortung’ (trad. it., Torino<br />
1990), in cui, come è noto, Jonas<br />
poneva il problema di un’etica appropriata<br />
alla condizione dell’uomo<br />
nell’età del suo dominio tecnologico.<br />
La raccolta di questi scritti esce<br />
ora in volume, a cura di Wolfgang<br />
Schneider, col titolo: DEM BÖSEN ENDE<br />
NÄHER (Più prossimi alla cattiva fine,<br />
Suhrkamp, Francoforte s.M. 1994).<br />
Una ridefinizione delle categorie etiche<br />
alla luce del problema ecologico<br />
è invece la proposta di Konrad Ott,<br />
ÖKOLOGIE UND ETHIK. EIN VERSUCH PRAK-<br />
TISCHER PHILOSOPHIE (Ecologia ed etica.<br />
Saggio di filosofia pratica, Attempto<br />
Verlag, Tubinga 1993).<br />
Il titolo di questa raccolta di scritti riprende<br />
le parole stesse pronunciate da<br />
Hans Jonas in un’intervista concessa al<br />
periodico «Der Spiegel» nel maggio<br />
1992, e qui posta ad apertura del volume.
Jonas osserva che di fronte alla domanda<br />
fondamentale sulla possibilità della sopravvivenza<br />
in questo pianeta non è stato<br />
fatto, in pratica, alcun passo avanti;<br />
anzi, la situazione è andata sempre più<br />
degenerando. L’idea centrale, a cui Jonas<br />
si richiama nei nove scritti raccolti<br />
nel volume, è che l’uomo trova il suo<br />
limite nell’accrescersi delle sue stesse<br />
potenzialità tecniche, che finiscono con<br />
l’impedirgli di usufruire di quanto è in<br />
suo potere. Una tale consapevolezza, ammonisce<br />
Jonas, richiede a sua volta una<br />
sorta di nuova rivoluzione copernicana<br />
da attuarsi nel campo dell’etica, che non<br />
può più accontentarsi di indicare all’uomo<br />
le sue responsabilità di fronte al suo<br />
prossimo, ma deve includere nel suo ordine<br />
di considerazioni il rapporto dell’uomo<br />
con il mondo vivente e le esigenze di tutti<br />
coloro che non hanno voce in capitolo,<br />
come ad esempio (e in primo luogo) le<br />
generazioni future. In tal modo l’etica si<br />
apre per la prima volta ad una dimensione<br />
quasi cosmica, tale per cui più si amplia il<br />
nostro potere sul mondo, più “noi” diveniamo<br />
responsabili della sua sorte.<br />
Ma chi è questo “noi” - si chiede ora<br />
Jonas? Si tratta della società nel suo<br />
insieme, considerata nelle forme delle<br />
sue espressioni politiche. Qui però, osserva<br />
Jonas, non vi è garanzia che la<br />
scelta operata dal “noi” sia improntata al<br />
principio responsabilità. Il soggetto etico<br />
è sempre stato un io individuale, che<br />
risponde alla propria coscienza. Istituire<br />
un insieme collettivo come soggetto etico<br />
significa responsabilizzare la struttura<br />
politica della società. In democrazia,<br />
fa notare Jonas, tutte le domande sociali<br />
sono tese alla soddisfazione dei bisogni<br />
e degli interessi immediati, senza che si<br />
tenga conto delle ricadute globali e a<br />
lunga scadenza che ciò comporta. Affinché<br />
si crei una coscienza etica allargata,<br />
non resta altro, secondo Jonas, che affidarsi<br />
ad una sorta di Erziehung durch<br />
Kastrophen (educazione attraverso catastrofi),<br />
agli shock prodotti dai piccoli e<br />
grandi eventi catastrofici che si verificano<br />
di tanto in tanto.<br />
Nonostante Jonas continui a sostenere<br />
che l’enorme potere di disposizione tecnica<br />
dell’uomo sia un prodotto della libertà<br />
umana, e che dunque tecnica e<br />
libertà crescano insieme, pure egli non<br />
rinuncia a mettere in guardia sul fatto<br />
che nel momento in cui l’uomo si afferma<br />
come soggetto tecnico, si smarrisce<br />
come soggetto etico. Tuttavia, anche<br />
ammessa la legittimità di questo interrogativo,<br />
Jonas non è affatto propenso a<br />
mettere in discussione “l’avventura tecnologica”<br />
dell’uomo, per quanto essa<br />
comporti necessariamente che «nel futuro<br />
si debba vivere all’ombra di minacciose<br />
calamità».<br />
Seguendo gli sviluppi del concetto di<br />
ecologia fin dalla sua comparsa all’interno<br />
della biologia, Konrad Ott si in-<br />
AUTORI E IDEE<br />
serisce invece nel dibattito sull’etica,<br />
richiamando l’attenzione sul fatto che<br />
l’emergere dell’istanza ecologica all’interno<br />
delle vedute scientifiche costituisce<br />
ben più di un cambio di paradigma.<br />
Introducendo un elemento di autoriflessività,<br />
di cui finora la scienza aveva fatto<br />
a meno, l’ecologia segna un momento di<br />
profonda discontinuità e di rottura radicale<br />
della scienza in rapporto alle forme<br />
da essa assunte lungo tutta l’età moderna.<br />
Spinta dalla preoccupazione ecologica,<br />
la scienza diventa consapevole di<br />
essere un sapere intorno alla vita e quindi<br />
una pratica di trasformazione delle<br />
forme vitali, che le impone di sollevarsi<br />
fino alla considerazione responsabile del<br />
suo operare. Se un tempo tutto poteva<br />
giustificarsi in nome della scienza, osserva<br />
Ott, ora invece la scienza deve<br />
procedere parallelamente alla sua capacità<br />
di giustificazione dei risultati che<br />
essa persegue. Ma poiché la scienza non<br />
può comunque trovare istanze giustificati-<br />
24<br />
Hans Jonas<br />
ve né al di fuori, né al di sopra di sé, ne<br />
consegue che per garantire alla scienza la<br />
consapevolezza del suo operare bisogna<br />
passare ad un illuminismo riflessivo o responsabile,<br />
che Ott designa semplicemente<br />
come “illuminismo ecologico”.<br />
Secondo Ott, dunque, l’ecologia non segna<br />
una negazione del progresso, del sapere<br />
e delle pratiche tecnico-scientifiche, ma<br />
una loro riformulazione all’insegna dello<br />
stesso campo problematico da essi introdotto.<br />
Tuttavia, osserva Ott, la vigilanza<br />
sul proprio operare, a cui è chiamata la<br />
scienza, non rientra nelle sue categorie<br />
costitutive ed essa deve far conto su un<br />
altro campo del sapere, quello etico, nei<br />
confronti del quale permane comunque<br />
uno iato insuperabile. Certo, l’ecologia<br />
costituisce in tal senso un tentativo di<br />
conciliazione, anche se essa risulta ora<br />
assorbita nel massimalismo etico, ora nel<br />
minimalismo scientifico. G.B.
La teoria della scelta razionale<br />
in Nozick<br />
Robert Nozick torna, per la seconda<br />
volta a distanza di anni, ad affrontare il<br />
tema della teoria della scelta razionale<br />
nel suo nuovo lavoro: THE NATURE OF<br />
RATIONALITY (La natura della razionalità,<br />
Princeton University Press, Princeton<br />
1993), in cui viene fornita una soluzione<br />
al problema dell’induzione sollevato da<br />
Hume, cioè al dilemma della reciproca<br />
consistenza del principio dominante e<br />
di quello di massima probabilità. Il saggio<br />
è ideologicamente orientato verso<br />
una visione evoluzionista della realtà<br />
per cui la teoria della scelta razionale,<br />
così come le strutture della nostra società,<br />
sono il risultato di un’evoluzione<br />
darwiniana della realtà biologica.<br />
AUTORI E IDEE<br />
The Nature of Rationality è un saggio di<br />
natura ideologica, che parte dalla soluzione<br />
del dilemma dell’induzione di Hume per<br />
giungere all’ipostatizzazione della razionalità<br />
che estende il suo dominio sull’ordine<br />
del mondo. La natura della razionalità, così<br />
come quella di tutte le altre realtà, è biologica<br />
ed è frutto dell’evoluzione; quindi è razionale,<br />
giusta, inevitabile e dotata di valore.<br />
Due sono i principi che reggono in Robert<br />
Nozick la teoria della scelta razionale. Il<br />
primo, il principio “dominante”, afferma che<br />
se un’azione ha conseguenze più desiderabili<br />
di qualunque altra, questa sarà quella da<br />
portare a termine. Il secondo, il principio<br />
della “massima prospettiva”, espresso in termini<br />
di probabilità, sostiene che è bene performare<br />
quell’azione che ha maggiori possibilità<br />
di riuscita. In passato Nozick aveva<br />
mostrato che i due principi non erano mutualmente<br />
consistenti, utilizzando un argomento<br />
del fisico William Newcomb, che<br />
osservava come in una scommessa, col variare<br />
della quantità di denaro scommesso, si<br />
modifica anche la scelta del principio della<br />
scommessa stessa. Nozick dimostrava allora<br />
che i due principi sono reciprocamente consistenti<br />
se sono intesi come un continuo che<br />
il singolo individuo, in una determinata situazione,<br />
miscela in un certo modo. L’ultimo<br />
tentativo di risolvere il problema dell’induzione<br />
con la logica delle probabilità, ricordava<br />
Nozick a questo proposito, è quello di<br />
Rudolf Carnap che in The Continuum of<br />
Inductive Methods (Il continuum del metodo<br />
induttivo, 1952) affermava che le previsioni<br />
sul futuro possono essere fatte in diversi<br />
modi: saltare alle conclusioni, prestare attenzione<br />
a qualche evidenza, ecc. L’individuo<br />
razionale, secondo Carnap, isola un punto significativo<br />
nel continuo ed agisce di conseguenza.<br />
La teoria della scelta razionale ha due scopi<br />
principali: la soluzione di conflitti interni,<br />
che rende possibile ad una congregazione di<br />
individui di raggiungere una decisione pratica,<br />
valutando le opinioni e senza provocare<br />
scismi; la soluzione di conflitti esterni, che<br />
permette l’integrazione democratica dei diversi<br />
interessi, conoscenze, obiettivi e meto- Robert Nozick<br />
25
di d’azione tra i membri o i gruppi. La<br />
teoria della scelta razionale è quindi un<br />
fenomeno culturale e come la cultura e la<br />
storia è, per Nozick, l’esito dell’evoluzione<br />
biologica degli istinti di razionalità. Il ragionamento<br />
stesso che lo ha portato alla<br />
soluzione del dilemma è considerato da<br />
Nozick come risultato dell’evoluzione biologica<br />
e dell’adattabilità delle intuizioni in<br />
conflitto, senza individuare nessun meccanismo<br />
per la selezione. La razionalità cessa di<br />
essere una caratteristica essenziale dell’umanità,<br />
di essere universale; infatti, osserva<br />
Nozick, «la nostra razionalità, sia individuale<br />
che coordinata, [che] definisce e simbolizza<br />
la distanza che ci separa dalla semplice<br />
animalità, [...] ha reso il mondo, in vari modi,<br />
inospitale ai minori livelli di razionalità»,<br />
trasformando caratteristiche co-ordinate in<br />
inferiori, fino a concludere che alcune persone<br />
sono più vicine di altre all’animalità.<br />
Il lavoro di Nozick si conclude con 35<br />
pagine di note bibliografiche sul tema della<br />
teoria della scelta razionale. Tra gli spunti<br />
di ricerca e gli approfondimenti, Nozick<br />
propone, ad esempio, utilizzando la nozione<br />
di “utilità simbolica”, di integrare la<br />
teoria della scelta razionale, che fino ad ora<br />
è stata intesa in senso calcolistico, con una<br />
rappresentazione di tutti quei valori e interessi<br />
che l’impostazione della teoria non ha<br />
ancora permesso di esprimere. M.G.<br />
Bergson, o la filosofia<br />
come scienza rigorosa<br />
Forte di una riconosciuta stima di specialista<br />
della filosofia classica tedesca<br />
e autore di volumi fondamentali su<br />
Kant e Fichte, Alexis Philonenko ha<br />
recentemente dato alle stampe un<br />
saggio critico sull’opera di Henri<br />
Bergson, BERGSON OU DE LA PHILOSOPHIE<br />
COMME SCIENCE RIGOUREUSE (Bergson o la<br />
filosofia come scienza rigorosa, Cerf,<br />
Parigi 1994), nella prospettiva di dissipare<br />
quell’aura di “vaga sentimentalità”<br />
nella quale verrebbe confinata la<br />
filosofia da una critica superficiale.<br />
Per Alexis Philonenko, l’incontro con<br />
Bergson passa attraverso la mediazione di<br />
Georges Canguilhelm, che nel 1956 tiene le<br />
sue magistrali lezioni su Bergson alla Facoltà<br />
di Lettere dell’Università di Parigi e apre<br />
la strada ad una lettura non condizionata dal<br />
pregiudizio di irrazionalismo mistico e più<br />
fedele al rigore filosofico dell’autore del<br />
noto Saggio sui dati immediati della coscienza<br />
(1889). Nella convinzione che «la<br />
filosofia di Bergson si sia andata facendo, ed<br />
è questo l’atto che bisogna seguire», Philonenko<br />
ripercorre con spirito sistematico le<br />
sue opere, esponendo un sistema aperto che<br />
ha nondimeno le caratteristiche di una scienza<br />
rigorosa: «il modo di procedere di Bergson<br />
è sempre rigoroso e, quantunque sperimen-<br />
AUTORI E IDEE<br />
tale, si considera scienza e non poesia o<br />
sentimento». È il caso della categoria di<br />
intuizione, tensione estrema nell’apprensione<br />
delle cose, momento teoretico originario<br />
di una filosofia che afferma «il primato dello<br />
spirituale sulla materia, sia che si tratti della<br />
libertà, del ricordo o della vita».<br />
È del resto un metodo, questo, che oppone<br />
a quello scientifico una nozione qualitativa<br />
di esperienza, interiore e fondata su una<br />
percezione fluida del tempo. La scienza<br />
fisico-matematica nasce dall’esigenza di<br />
ordinare logicamente gli oggetti, creando<br />
dei simboli astratti ed un concetto “spazializzato”<br />
di tempo che frammenta il flusso<br />
continuo dell’esperienza. All’omogeneità<br />
pura dello spazio matematico dove si allineano<br />
gli enti, Bergson sostituisce l’eterogeneità<br />
pura della durata, le variazioni e le<br />
trasformazioni incessanti del flusso di coscienza,<br />
riaprendo le possibilità di un concetto<br />
qualitativo di conoscenza.<br />
Su queste basi prende le mosse quello che<br />
Philonenko definisce un «attacco alla fortezza<br />
kantiana». Kant, la cui impresa critica<br />
si vuole quale compimento della metafisica,<br />
disegnando i limiti della conoscenza,<br />
poggia sul medesimo concetto spazializzato<br />
di tempo delle scienze e si risolve a<br />
«platonizzare più rigorosamente di qualsiasi<br />
altro filosofo, (...) per giungere alla<br />
desolante constatazione di quanto la scienza<br />
sia relativa». L’autentico tentativo di<br />
superamento della tradizione filosofica<br />
spetta invece, nell’ambiziosa lettura di Philonenko,<br />
a Bergson che compie «l’atto di<br />
instaurazione della filosofia (...) A differenza<br />
del kantismo che vuole portare a compimento<br />
la filosofia, il pensiero di Bergson è il<br />
balbettio di una scienza che sta nascendo».<br />
Lettura estrema e suggestiva, questa di<br />
Philonenko, ma rigorosamente motivata a<br />
partire dai testi bergsoniani, che ha il merito<br />
di riaprire la discussione su uno tra i più<br />
significativi filosofi del ‘900. E.N.<br />
Linguaggio<br />
ed evoluzione naturale<br />
Si può ipotizzare un nesso teoretico tra<br />
ricerche sui linguaggi naturali, come<br />
quello dei sordi o di altre patologie, e<br />
scienza del linguaggio? In altri termini è<br />
possibile conciliare la linguistica<br />
chomskiana con le scienze cognitive?<br />
THE LANGUAGE INSTINCT: HOW THE MIND CRE-<br />
ATES LANGUAGE (L’istinto linguistico:<br />
come la mente crea il linguaggio, Allen<br />
Lane, 1993), di Steven Pinker, e PATTER-<br />
NS IN THE MIND LANGUAGE AND HUMAN NATU-<br />
RE (Modelli mentali: linguaggio e natura<br />
umana, Harvester, 1993), di Rayè<br />
Jackendoff, indicano una positiva svolta<br />
nella polemica che ha separato, fin<br />
dalla sua fondazione, il formalismo<br />
grammaticale di Chomsky dalla psicologia<br />
e dalla neuropsicologia.<br />
26<br />
Collaboratore di prestigio, l’uno, e brillante<br />
allievo di Noam Chomsky, l’altro,<br />
Steven Pinker e Rayè Jackendoff partono<br />
dalla convinzione dell’importanza<br />
teoretica di integrare ricerche empiriche<br />
sul linguaggio con lo studio formale ed<br />
astratto della linguistica. La recente filosofia<br />
del linguaggio, di cui i presenti<br />
saggi esaminano le acquisizioni più significative,<br />
ha infatti dimostrato che il<br />
linguaggio ha una innegabile base naturale,<br />
è anzitutto un fenomeno biologico.<br />
Da questo punto di vista, osservano i due<br />
studiosi, le principali affermazioni della<br />
linguistica circa l’elaborazione mentale<br />
del linguaggio mostrano possibili implicazioni<br />
con i modelli neurologici, dato<br />
che è ormai appurato che il cervello<br />
trasforma sistematicamente in codici le<br />
rappresentazioni mentali o le strutture di<br />
dati. Nonostante i legittimi dubbi degli<br />
studiosi di neurologia riguardo l’esistenza<br />
di modelli cognitivi, i vaghi schemi di<br />
information-processing - entusiasticamente<br />
postulati - hanno ora un solido<br />
terreno. Molte ricerche hanno ormai accertato,<br />
infatti, che il cervello effettivamente<br />
si occupa di una enorme quantità<br />
di processi che possono essere descritti e<br />
previsti attraverso modelli cognitivi di<br />
rappresentazione, e solo da questi.<br />
Se tuttavia Pinker tende maggiormente a<br />
sottolineare la molteplicità dei dispositivi<br />
conoscitivi che compongono la mente,<br />
Jackendoff propende per una visione<br />
unitaria, nella preoccupazione di rispondere<br />
alle perplessità concettuali e filosofiche<br />
riguardo all’idea di sistema interno<br />
di rappresentazione. Dal suo punto di<br />
vista, i fenomeni linguistici non sono gli<br />
unici fenomeni mentali ad essere ordinati<br />
secondo tali schemi rappresentativi.<br />
Ciò che avviene nel caso del linguaggio<br />
è anzi, secondo Jackendoff, l’esempio<br />
più chiaro, quasi il modello paradigmatico,<br />
di ogni sistema di rappresentazione.<br />
Motivo di fondo dello studio di Jackendoff<br />
è che le rappresentazioni si organizzano<br />
attorno a diverse strutture (o<br />
format), che, poi, indirizzano in vario<br />
modo le specifiche richieste su quanto<br />
può essere rappresentato al loro interno,<br />
svolgendo in tal modo una funzione<br />
“grammaticale” in senso ampio. Tutto<br />
ciò è condiviso nelle sue linee essenziali<br />
anche da Pinker, che dal canto suo sottolinea<br />
come tale organizzazione mentale<br />
coincida perfettamente con le linee evolutive<br />
darwiniane.<br />
Il maggior contributo derivante da questo<br />
primo sforzo di conciliazione tra linguistica<br />
e scienze dell’apprendimento è la maggior<br />
scientificità, in senso stretto, che gli<br />
studi chomskiani acquisiscono. Una buona<br />
scienza del linguaggio risulta in grado di<br />
riunificare la linguistica con le ricerche<br />
della psicologia e della neurologia. Ciò,<br />
d’altro canto, apre nuovi, affascinanti interrogativi<br />
e prospettive speculative sull’intero<br />
sistema evolutivo umano. A.A.
Frank: lo stile della filosofia<br />
e la questione del mito<br />
Attraverso un’originale contaminazione<br />
della filosofia analitica con la riflessione<br />
ermeneutica, l’ultima opera di<br />
Manfred Frank, LO STILE IN FILOSOFIA<br />
(trad. it. di M. Nobile, con un saggio di<br />
M. Ruggenini, Il Saggiatore, Milano<br />
1994) afferma la mai completa risolubilità,<br />
in un’intuizione trasparente, del<br />
“contenuto del linguaggio”, a causa<br />
dell’ineliminabilità dell’impronta individuale<br />
che il linguaggio porta con<br />
sé nello “stile”. Di Frank è stato recentemente<br />
pubblicato un altro testo,<br />
risalente al 1982, IL DIO A VENIRE.<br />
LEZIONI SULLA NUOVA MITOLOGIA (trad. it.<br />
a cura di F. Cuniberto, prefaz. di S.<br />
Givone, Einaudi, Torino 1994), che<br />
ebbe particolare rilevanza nell’ ambito<br />
della cosiddetta “Mythos-Debatte”<br />
degli anni ’80 in Germania.<br />
Che sussista una differenza tra il linguaggio<br />
della filosofia e quello della letteratura,<br />
Manfred Frank, ne Lo stile in filosofia<br />
(testo tratto dalle lezioni tenute dall’autore<br />
a Princeton nel 1990) se ne dice convinto;<br />
egli nega, però, che la specificità della<br />
filosofia nei confronti della letteratura risieda<br />
nella cogenza del contenuto veritativo<br />
della prima in rapporto alla seconda.<br />
L’elemento comune al linguaggio delle<br />
due discipline consiste, da un lato, nell’appartenenza<br />
a una tradizione, per cui il<br />
messaggio veicolato «non si lascia mai<br />
risolvere in un’intuizione trasparente»;<br />
dall’altro, nell’impronta conferita al linguaggio<br />
dal suo “stile”, che rappresenta<br />
l’ineliminabile dimensione individuale attraverso<br />
cui si verifica, da parte del soggetto,<br />
l’accesso al mondo.<br />
Dal riconoscimento di questi due aspetti<br />
del linguaggio scaturiscono una serie di<br />
questioni: in primo luogo, quella della congruenza<br />
tra il carattere individuale e irripetibile<br />
dello stile e la pretesa di universalità,<br />
implicita nella questione veritativa posta<br />
dalla filosofia; in secondo luogo, quella del<br />
ruolo che lo stile, elemento propriamente<br />
“letterario”, riveste nell’elaborazione concettuale.<br />
A partire da tali questioni, sostiene<br />
Frank, si può infine stabilire il grado di<br />
autoriflessività che il pensiero filosofico,<br />
in quanto ermeneutica cosciente della rilevanza<br />
dei propri elementi stilistici, può<br />
acquisire nei confronti di sé medesimo.<br />
Nel suo saggio Una filosofia dello stile.<br />
Verso l’intransparenza del vero, che accompagna<br />
l’edizione italiana de Lo stile in<br />
filosofia, Mario Ruggenini mostra come<br />
la ricerca avviata da Frank giunga all’affermazione<br />
di una “intransparenza del vero”,<br />
mettendo in gioco elementi provenienti<br />
dall’ermeneutica con motivi mutuati dalla<br />
filosofia analitica. La tesi di Frank di una<br />
radice individuale dell’universale si oppone<br />
all’idea di una coscienza assoluta, che<br />
nel suo potere di autoriflessione totale si<br />
AUTORI E IDEE<br />
presenti come assolutamente monologica.<br />
Una tale coscienza, secondo Frank, risulta<br />
incrinata proprio da quell’elemento, lo stile,<br />
che nell’ironia romantica serviva a svalutare<br />
il relativo a favore dell’assoluto, ma<br />
che, considerato nella sua irripetibilità letteraria,<br />
rappresenta la traccia indelebile<br />
dell’individuale, del relativo medesimo.<br />
“Intransparenza del vero” è appunto ciò<br />
che designa quella situazione per cui la<br />
ragione non può esaurire la propria realtà<br />
nell’atto autoriflessivo.<br />
Frank vede all’opera il paradigma della<br />
coscienza assoluta e delle sue pretese di<br />
autotrasparenza anche nel tentativo, rintracciabile<br />
nel “neostrutturalismo”, di riconduzione<br />
dell’elemento individuale, di<br />
per sé incodificabile, alle regole che presiedono<br />
alla sua formazione: il modello della<br />
sussunzione. Ascendenze di questo modello<br />
sono rintracciabili, secondo Frank, già in<br />
Aristotele, dal quale la filosofia, in quanto<br />
“scienza prima”, riceve il paradigma della<br />
propria autocomprensione. A questo paradigma<br />
si mostra fedele anche Martin<br />
Heidegger: l’esigenza di considerare come<br />
preliminare, ai fini della comprensione<br />
dell’ente, quella dell’essere, viene da Frank<br />
reinterpretata come l’affermazione relativa<br />
alla possibilità, per i soggetti, di relazionarsi<br />
all’ente solo tramite la mediazione -<br />
linguistica - del senso, ovvero del significato.<br />
Contro il modello sussuntivo Frank<br />
obietta, facendo riferimento alle analisi e<br />
alle argomentazioni di Donald Davidson,<br />
che è il “fatto” linguistico che spiega le<br />
regole, e non viceversa. Nessuna regolarità<br />
può spiegare la comprensione di un’espressione;<br />
né il codice sociale può risolvere in<br />
sé (come crede l’approccio che Davidson<br />
definisce social externalism) il problema<br />
dell’accesso al senso del discorso.<br />
Sottolineando il carattere “letterario” del<br />
testo filosofico, Frank suggerisce l’ipotesi<br />
di una connotazione “estetica”, rintracciabile<br />
nell’argomentazione filosofica, rimuovendo<br />
in tal modo una consolidata distinzione<br />
di “genere” tra scrittura letteraria e<br />
scrittura filosofica. In tal senso, osserva<br />
Frank, l’uso reiterato, da parte di<br />
Wittgenstein, di “immagini” o “similitudini”<br />
riveste un significato profondamente<br />
filosofico, in quanto, nella sua difformità<br />
stilistica dal linguaggio filosofico usuale,<br />
ne persegue invece la finalità euristica più<br />
profonda: attraverso una non paradossale<br />
conformità al proprio oggetto, l’indicibile<br />
viene infatti mostrato “in quanto” indicibile,<br />
l’inesprimibile viene “detto” attraverso<br />
l’evocazione. In questo, l’analisi di Frank<br />
si oppone, da un lato, all’illusione (illuminista<br />
e positivista) di risolvere il mito nella<br />
sua spiegazione; dall’altro al misticismo di<br />
chi, insistendo sull’aspetto metaforico del<br />
linguaggio, esaurisce la spiegazione nell’evocazione,<br />
riducendo l’analisi razionale<br />
a una narrazione mitologica.<br />
All’interno della Mythos-Debatte, il dibattito<br />
sul mito sviluppatosi in Germania negli<br />
anni ’80, si colloca propriamente un’altra<br />
27<br />
opera di Frank, Il dio a venire. Lezioni sulla<br />
nuova mitologia, ora finalmente disponibile<br />
in edizione italiana. Come ricorda Sergio<br />
Givone nella sua “Prefazione” al volume,<br />
gli autori che hanno animato questo<br />
dibattito appaiono accomunati dal tentativo<br />
di rivendicare al mito un valore di verità<br />
non contrapposto, bensì connesso a quello<br />
della razionalità. Ad essa viene delegato il<br />
compito di problematizzare il mito con<br />
l’obiettivo di giungere a una “mitologia<br />
della ragione”, secondo la definizione di<br />
Schelling che, secondo Frank, rappresenta<br />
l’esordio dell’idealismo tedesco nella sua<br />
versione estetico-romantica. Il Romanticismo<br />
per primo (non certo Nietzsche), ricorda<br />
infatti Frank, intuì «il fondo oscuro di<br />
un’antichità non classica, ossia non apollinea<br />
e non omerica: l’idea di un underground<br />
culturale che solo nell’epos apollineo<br />
trova un’espressione linguistica articolata,<br />
e un’elaborazione simbolica complessiva».<br />
Solo il Romanticismo poteva<br />
dunque porsi la “questione del mito”, ovvero<br />
la questione della razionalità, e stabilire<br />
come esigenza programmatica la loro<br />
risoluzione. Presupposto di un tale programma<br />
era che la fonte di senso della<br />
ragione rimane estranea alla ragione stessa;<br />
essa la trova davanti a sé - o, più propriamente<br />
“dietro”: dietro le spalle - come un<br />
“dato”, un “dio a venire” che è, in realtà, già<br />
da sempre dato alla ragione in quanto sostrato<br />
del suo operare.<br />
Il carattere di novità della “nuova mitologia”<br />
schellinghiana, che può parimenti essere<br />
considerata come il programma del<br />
filosofo novecentesco, consiste «nel voler<br />
salvare il mito solo per la sua funzione di<br />
legittimazione trascendente, ma non per i<br />
suoi contenuti superstiziosi». A questo<br />
programma, osserva Flavio Cuniberto nel<br />
suo saggio Una mitologia trasparente?<br />
Nota su Manfred Frank, che conclude l’edizione<br />
italiana de Il dio a venire, non appare<br />
estranea una finalità politico-culturale, oltre<br />
che filosofica: sottrarre la riflessione<br />
sul mito, e la sua utilizzazione, alla pratica<br />
di pensiero e alla politica neofascista. Intento,<br />
quest’ultimo, attuato da Frank attraverso<br />
la già ricordata contaminazione fra<br />
decostruzionismo, ermeneutica e pensiero<br />
analitico, nonché attraverso il dialogo<br />
soprattutto con la cultura francese e, segnatamente,<br />
con la figura di Jacques<br />
Derrida. In questo modo, il mito viene<br />
sottratto al suo radicamento in uno specifico<br />
contesto storico ed etnico e proiettato<br />
in una dimensione archetipica, dove esso<br />
funge, nel suo rapporto con la ragione, da<br />
entità paradigmatica. Anche per questo<br />
verso, la questione dello “stile in filosofia”<br />
trova qui le sue radici: nell’esigenza -<br />
ispirata alla cultura francese - di una clarté<br />
che sappia compiere, nei confronti del<br />
mito, quella Aufklärung non totalizzante<br />
che consiste, nel contempo, nel portare la<br />
ragione a imbattersi nei propri limiti, realizzando<br />
in questo modo il programma di<br />
una “mitologia della ragione”. F.C.
TENDENZE E DIBATTITI<br />
Jean-Paul Sartre<br />
Jacques Lacan, Louis Althusser<br />
Michel Foucault<br />
28
Su Foucault<br />
In concomitanza con la pubblicazione<br />
dell’immenso lavoro di raccolta dell’opera<br />
di Michel Foucault, si moltiplicano<br />
le iniziative editoriali sull’autore<br />
scomparso dieci anni fa. Nella biografia<br />
intellettuale MICHEL FOUCAULT ET SES<br />
CONTEMPORAINS (Michel Foucault e i suoi<br />
contemporanei, Fayard, Parigi 1994),<br />
Didier Eribon si sofferma sui rapporti<br />
di Foucault con i pensatori del suo<br />
tempo, delineando un quadro del clima<br />
culturale francese di questi ultimi<br />
decenni. In MICHEL FOUCAULT, LA CLARTÉ<br />
DE LA MORT (Michel Foucault, il chiarore<br />
della morte, Odile Jacob, Parigi<br />
1994), Jeannette Colombel, dopo aver<br />
tentato una diagnosi del presente sulla<br />
base di un’attenta lettura dei testi di<br />
Foucault, individua un punto d’incontro<br />
tra questi e Jean Paul Sartre. Un<br />
testo inedito di Gilles Deleuze, DÉSIR<br />
ET PLAISIR (Desiderio e piacere, «Magazine<br />
Litteraire», n. 325, ottobre 1994)<br />
rappresenta l’ultimo dialogo tra<br />
Deleuze e Foucault. A cura di Alain<br />
Brossat appare MICHEL FOUCAULT, LES<br />
JEUX DE LA VERITÉ ET DU POUVOIR (Michel<br />
Foucault, i giochi della verità e del<br />
potere, Presses Universitaires de Nancy,<br />
Nancy 1994), da cui si può ricavare<br />
il taglio particolare con cui Foucault è<br />
recepito nei paesi dell’Est. Da segnalare<br />
infine due edizioni francesi di<br />
opere in lingua inglese: la biografia di<br />
David Macey, MICHEL FOUCAULT (Gallimard,<br />
Parigi 1994), e, in uscita entro<br />
l’anno, il lavoro critico di John Rajchmann,<br />
EROTIQUE DE LA VERITÉ, FOUCAULT,<br />
LACAN ET LA QUESTION DE L’ÉTHIQUE (Erotica<br />
della verità, Foucault, Lacan e la<br />
questione dell’etica, PUF, Parigi 1994).<br />
Risale a cinque anni fa la prima biografia<br />
su Michel Foucault ad opera di Didier<br />
Eribon. Vi si raccontava del legame di<br />
Foucault con Louis Althusser, della sua<br />
iscrizione al Partito Comunista, della sua<br />
difficoltà a vivere l’omosessualità e delle<br />
influenze che questa aveva avuto nel suo<br />
percorso intellettuale, pur senza presentarla<br />
come unica chiave interpretativa. La<br />
parte iniziale della nuova biografia che<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
Eribon dedica a Foucault è incentrata proprio<br />
sulla ricezione che ha avuto il suo<br />
precedente lavoro. Riveduto e arricchito<br />
da numerose appendici, questo nuovo volume<br />
rappresenta infatti, per Foucault, l’occasione<br />
per ribattere alle obiezioni che gli<br />
sono state rivolte da più parti. Pur senza<br />
stabilire un rapporto diretto di causa-effetto<br />
tra vita e opera, Eribon suggerisce che<br />
l’esperienza di marginalità vissuta dal pensatore<br />
francese lo avrebbe sensibilizzato a<br />
ogni forma di esclusione. A sostegno di<br />
questa tesi è riportata un’illuminante affermazione<br />
di Foucault contenuta in L’intellettuale<br />
e i poteri: «Ho sempre sostenuto<br />
che ognuno dei miei libri è in qualche<br />
modo costituito da frammenti di autobiografia:<br />
i miei libri sono sempre stati i miei<br />
problemi personali con la follia, la prigione,<br />
la sessualità».<br />
Successivamente Eribon passa in rassegna<br />
i legami che Foucault ha intrattenuto con<br />
alcuni dei maggiori intellettuali del tempo.<br />
Innanzittutto Georges Dumezil, “un vero<br />
modello intellettuale” per Foucault, nonostante<br />
l’abisso che separava le loro convinzioni<br />
politiche: Dumezil era stato in<br />
gioventù un simpatizzante di Azione francese,<br />
mentre Foucault, influenzato da<br />
Althusser, aveva aderito al Partito comunista.<br />
Il rapporto con Althusser, racconta<br />
Eribon, si instaurò nel 1946, quando tutti e<br />
due «camminavano con equilibrio instabile<br />
sulla linea di creta che separa la ragione<br />
dalla follia». All’insegna dell’omosessualità<br />
invece fu la relazione con Dumezil.<br />
Successivamente Eribon si occupa dei rapporti<br />
con la coppia Sartre e Beauvoir,<br />
della disputa tra strutturalismo e umanismo,<br />
del dibattito sul dopo ’68, dell’insegnamento<br />
della filosofia. Tra gli altri, compaiono<br />
anche Lacan e Habermas nei loro<br />
punti d’incontro-scontro con la traiettoria<br />
di Foucault, che si trova così inserita nel<br />
contesto allargato della vita intellettuale francese<br />
di questi ultimi decenni. Particolare<br />
rilievo è dato alla relazione di stima e ammirazione<br />
instaurata con Roland Barthes.<br />
In Michel Foucault. La clarté de la mort,<br />
Jeannette Colombel, senza mai abusare<br />
dell’amicizia che le fu offerta, si “limita”<br />
a interrogare le opere di Foucault così da<br />
«evitare la doppia ignominia del sapiente<br />
e del familiare», come ammonisce Jilles<br />
29<br />
Deleuze, citato in esergo al volume (e al<br />
cui dialogo con Foucault è dedicato il<br />
prologo). A partire dall’opera fucaultiana,<br />
Colombel getta uno sguardo sul presente,<br />
ovvero mette le opere di Foucault in situazione:<br />
dal flagello dell’AIDS alla Bosnia,<br />
emerge la straordinaria fecondità di queste<br />
riflessioni che, se opportunamente recepite,<br />
danno spunti per leggere la nostra epoca.<br />
L’ “attualità” era d’altronde uno dei<br />
soggetti preferiti di Foucault, tant’è che<br />
soleva definirsi uno “storico del presente”,<br />
attribuendosi il compito di rendere visibili<br />
le opacità contemporanee che si traducevano<br />
in esclusioni e marginalizzazioni.<br />
Il confronto con Sartre, avanzato da Colombel,<br />
intende mettere in luce i punti di<br />
convergenza tra due pensatori ritenuti spesso<br />
agli antipodi, soprattutto in seguito alla<br />
polemica suscitata dalla pubblicazione di<br />
Le parole e le cose, di cui Colombel fornisce<br />
un resoconto, citando la risposta di<br />
Sartre, contenuta nel numero di «Arc» del<br />
1966, dedicato a Foucault. Il punto d’incrocio<br />
tra i due, che rimangono comunque<br />
irriducibili, riguarda la questione della “costituzione<br />
del soggetto morale” e della<br />
soggettività. Sartre è presentato, più che<br />
come un sostenitore della filosofia della<br />
coscienza, come colui che per primo ha<br />
rotto con il cogito fondatore di Kant e<br />
Husserl: è da un ambito impersonale, attraverso<br />
una molteplicità di atti, di “estasi”<br />
che per Sartre si costituisce la soggettività.<br />
In Sartre troviamo un rifiuto della<br />
vita interiore analogo a quello presente in<br />
Foucault, che in Il pensiero del fuori, scritto<br />
in omaggio a Blanchot, sostiene la scomparsa<br />
del soggetto a favore del linguaggio.<br />
Se si considerano le analisi condotte a<br />
partire da Sorvegliare e punire, si potrebbe<br />
essere indotti a collocare il potere al centro<br />
dell’interesse di Foucault. Ma in un’intervista<br />
rilasciata nel 1983, egli stesso precisa:<br />
«Non è il potere, ma il soggetto che<br />
costituisce il tema generale delle mie ricerche».<br />
La delineazione della “microfisica<br />
dei poteri” si rivela così, osserva Colombel,<br />
funzionale alla messa in luce di<br />
«una “storia” dei modi di soggettivazione<br />
nella nostra cultura»: il metodo genealogico,<br />
ovvero la ricerca dell’origine di strutture<br />
divenute ormai abituali e delle soggettività<br />
a cui hanno dato luogo, consentiva di
problematizzarle e mettersi al riparo da<br />
ogni loro ipostatizzazione e passiva accettazione.<br />
Da parte sua, Sartre ritiene che la<br />
soggettività sia irriducibile alla storia pur<br />
essendo ad essa relativa, tant’è che pone la<br />
“situazione” come condizione di possibilità<br />
della libertà, come ciò a partire da cui<br />
«il soggetto crea dei valori attraverso i suoi<br />
atti e la sua condotta». A sua volta Foucault,<br />
partendo dalle strutture e dalle posizioni in<br />
esse occupate dai soggetti, fa riferimento<br />
alla libertà come scelta etica, come conquista<br />
in fieri del soggetto: «lavoro indefinito<br />
sui nostri limiti, fatica paziente che dà<br />
forma all’impazienza della libertà». Sul<br />
terreno di una morale non prescrittiva Colombel<br />
fa dunque incontrare due pensieri<br />
che prevedono l’esigenza di una libertà<br />
interna alle strutture in cui il soggetto<br />
è inserito e in cui deve costituirsi come<br />
soggetto morale.<br />
La problematica etica è anche il motivo<br />
che regge l’accostamento tra Foucault e<br />
Lacan proposto da John Rajchmann in<br />
Erotique de la verité, Foucault, Lacan et<br />
la question de l’éthique. Nonostante l’avversione<br />
di Foucault per la psicoanalisi,<br />
che fa della sessualità una questione di<br />
desiderio e del desiderio l’essenza dell’uomo,<br />
questi avrebbe in comune con<br />
Lacan la ricerca dei rapporti tra soggettività<br />
e verità.<br />
I punti di convergenza e di divergenza tra<br />
Foucault e Gilles Deleuze li si può ricavare,<br />
invece, da un testo inedito di Deleuze<br />
dedicato a Foucault, Desir et Plaisir, e ora<br />
pubblicato in «Magazine Littéraire». Più<br />
che di una critica, si tratta del tentativo di<br />
Deleuze di riprendere il dialogo con un<br />
amico di vecchia data, dialogo un tempo<br />
intenso e che si era poi interrotto in seguito<br />
alla recensione di Deleuze all’opera di<br />
Foucault, Sorvegliare e punire (1975), apparsa<br />
su «Critique».<br />
I temi trattati da Foucault in questa sua<br />
opera - la questione del potere, delle sue<br />
tecniche, dei modi di esercitarlo, dei suoi<br />
rapporti col sapere - sono al centro dell’incontro<br />
organizzato nel giugno del 1993 a<br />
Sofia e di cui sono stati pubblicati di recente<br />
gli atti con il titolo: Michel Foucault, les<br />
jeux de la verité et du pouvoir. La raccolta<br />
mostra come l’opera di Foucault sia particolarmente<br />
letta e utilizzata nell’Europa<br />
dell’Est come analisi delle forme di governabilità,<br />
che appoggiandosi su articolazioni<br />
di saperi e poteri, si esercitano sia a<br />
livello di Stato che di individuo.<br />
La biografia dedicata a Foucault da David<br />
Macey, sebbene ricca di dettagli sulla sua<br />
vita, rimane spesso a livello poco critico,<br />
poco interpretativo: Macey riporta le circostanze<br />
della nascita delle opere di<br />
Foucault, ne ricorda i temi principali e<br />
segue le trasformazioni della loro ricezione.<br />
Più che di una biografia intellettuale, si<br />
tratta qui, in realtà, di una biografia evenemenziale.<br />
Se la pratica filosofica di<br />
Foucault è indissociabile dal suo impegno<br />
militante - «Ogni volta che ho cercato di<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
fare un lavoro teorico - dichiara lo stesso<br />
Foucault - è stato a partire da elementi<br />
della mia esistenza, sempre in rapporto<br />
con dei processi che vedevo dispiegarsi<br />
intorno a me» - un’interpretazione che non<br />
si faccia carico di questa dinamica tra vita<br />
e pensiero, è destinata a rendere un Foucault<br />
monco, sfigurato. A.M.<br />
La filosofia del linguaggio<br />
di Davidson<br />
Le indagini di Donald Davidson sulla<br />
natura degli eventi, sulla teoria causale<br />
dell’azione e sulle relazioni tra<br />
mente, corpo e verità, sulle condizioni<br />
di possibilità della teoria del significato,<br />
sul rapporto tra linguaggio e<br />
interpretazione e sull’aspetto sociale<br />
del linguaggio, trovano un ampio e<br />
preciso riscontro in alcune recenti pubblicazioni.<br />
VERITÀ E INTERPRETAZIONE<br />
(trad. it. a cura di E. Picardi, il Mulino,<br />
Bologna 1994), che raccoglie i più<br />
importanti saggi di filosofia del linguaggio<br />
di Davidson, analizza temi<br />
portanti del dibattito odierno in campo<br />
analitico sui caratteri e le condizioni<br />
della teoria del significato, il rapporto<br />
tra linguaggio e interpretazione,<br />
l’aspetto sociale e pubblico del<br />
linguaggio. LINGUAGGIO E INTERPRETAZIO-<br />
NE (trad. it. a cura di L. Perissinotto,<br />
Unicopli, Milano 1993) riporta il saggio<br />
di Davidson sui malapropismi, che<br />
giunge a negare l’esistenza del linguaggio,<br />
e le risposte critiche di Ian<br />
Hacking e di Michael Dummett, che<br />
invece pongono in primo piano il ruolo<br />
dell’interpretazione, per la comprensione<br />
degli enunciati e l’esistenza<br />
e la natura del linguaggio, e il ruolo<br />
delle convenzioni. A questi scritti di<br />
Davidson fa riscontro il saggio critico<br />
di Davide Sparti, SOPPRIMERE LA LONTA-<br />
NANZA (La Nuova Italia, Firenze 1994),<br />
che pone la domanda se la teoria<br />
dell’interpretazione di Davidson possa<br />
dar conto della diversità interculturale<br />
e linguistica e della loro interpretazione.<br />
I più importanti saggi di filosofia del linguaggio<br />
di Donald Davidson sono disponibili<br />
oggi in traduzione italiana, rivisti e<br />
modificati dall’autore, nel volume: Verità<br />
ed Interpretazione (una raccolta analoga,<br />
dedicata alla filosofia dell’azione, Essays<br />
on Actions and Events, del 1980, è stata<br />
pubblicata in edizione italiana nel 1992<br />
con il titolo: Azioni ed eventi). Nella prima<br />
parte della raccolta, che riporta il titolo:<br />
“Verità e Significato”, Davidson si chiede<br />
quale tipo di teoria della verità possa costituire<br />
una teoria del significato nei termini<br />
di una nozione di interpretazione valida<br />
per tutti gli enunciati attuali e possibili del<br />
30<br />
linguaggio. Secondo Davidson l’unica nozione<br />
appropriata è quella di soddisfacimento<br />
di un enunciato, cioè quella che<br />
rende la correlazione tra realtà e linguaggio;<br />
mentre quelle di corrispondenza e<br />
coincidenza sono da rifiutare. La nozione<br />
di soddisfacimento, osserva Davidson, è<br />
correttamente formulata da Tarski per<br />
mezzo delle tabelle di verità, con il merito<br />
di mostrare anche il suo carattere composizionale.<br />
La teoria della verità costituisce<br />
la semantica formale per i linguaggi naturali,<br />
che va ad affiancarsi alla sintassi<br />
formale di Chomsky.<br />
Il progetto di Davidson intende porsi come<br />
un progetto globale; per questo, nella seconda<br />
parte del volume, denominata “Applicazioni”,<br />
egli cerca di “addomesticare”<br />
i casi idiomatici della citazione, del discorso<br />
indiretto e degli operatori per il<br />
modo verbale. La citazione e il riferimento<br />
indiretto sono risolti dall’autore come casi<br />
speciali del riferimento dimostrativo delle<br />
parole nell’immediato contesto discorsivo.<br />
Il caso degli operatori del modo verbale,<br />
invece, può essere spiegato analizzandolo<br />
separatamente dalle forze illocutorie<br />
attraverso un’analisi paratattica, nei limiti<br />
della teoria della verità tarskiana.<br />
Nella terza parte, denominata “Interpretazione<br />
radicale”, Davidson si interroga come<br />
una teoria della verità, per un parlante,<br />
possa essere verificata senza far uso della<br />
nozione di significato. Per Davidson una<br />
tale verifica può essere condotta solo indirettamente,<br />
attraverso lo studio della struttura<br />
dell’assenso, utilizzando il metodo<br />
formulato nel principio di carità. Questo ci<br />
permette di separare che cosa si vuole<br />
significare da che cosa si crede e di scegliere<br />
tra le teorie dell’interpretazione quella<br />
che permette la comprensione tra i parlanti,<br />
obiettivo della comunicazione verbale.<br />
Tuttavia, il principio di carità, osserva<br />
Davidson, è criticabile nella misura in<br />
cui dà per scontato che l’ascoltatore conosca<br />
molte delle credenze del parlante e che<br />
solo l’individuo provvisto di linguaggio<br />
possieda una struttura degli atteggiamenti<br />
proposizionali perfettamente sviluppata.<br />
Le ricadute filosofiche della sua concezione<br />
sono illustrate da Davidson nella quarta<br />
parte del volume, dal titolo: “Linguaggio e<br />
Realtà”. Ciò che emerge, in primo luogo,<br />
è l’imperscrutabilità del riferimento, dato<br />
che la teoria della verità è verificata dai<br />
suoi stessi teoremi, che stabiliscono a quali<br />
condizioni l’enunciato è vero, non per<br />
quale oggetto esso è verificato. In secondo<br />
luogo emerge la similarità dei metodi con<br />
cui ognuno di noi guarda il mondo; il che<br />
comporta anche la correttezza, nelle sue<br />
linee generali, della visione del mondo.<br />
Contro il relativismo concettuale Davidson<br />
mostra come il linguaggio non sia uno<br />
schermo o un filtro, annullando con ciò il<br />
dualismo contenuto-schema e scalzando<br />
la possibilità dell’empirismo.<br />
Infine, nella quinta parte del volume, “Limiti<br />
del letterale”, Davidson investiga i
limiti della teoria del significato, che deve<br />
essere ampia, ma allo stesso tempo ristretta,<br />
per poter essere sistematizzabile. A tale<br />
proposito Davidson si interroga sui casi<br />
linguistici limite come le metafore, i malapropismi<br />
e i lapsus linguae, nella convinzione<br />
che siano analoghi ai casi dei proferimenti<br />
incompleti o grammaticalmente<br />
confusi e delle parole inedite e che quindi<br />
non costituiscano un’eccezione, ma una<br />
realtà onnipresente e pervasiva nella nostra<br />
pratica linguistica. Il significato usato<br />
negli enunciati metaforici, afferma Davidson,<br />
non può che essere quello letterale,<br />
altrimenti le metafore risulterebbero incomprensibili.<br />
Per quanto riguarda il limite<br />
dell’adeguatezza delle teorie, Davidson<br />
sostiene che essa è stabilita sul campo,<br />
non utilizzando regole formalizzate<br />
nella teoria, ma grazie all’intuito dell’interprete,<br />
in cui si presuppone la capacità<br />
di elaborare teorie.<br />
A quest’ambito problematico del pensiero<br />
di Davidson appartiene anche il saggio<br />
Una graziosa confusione di epitaffi, che<br />
compare nel volume curato da Luigi Perissinotto,<br />
Linguaggio e interpretazione,<br />
unitamente alle risposte critiche di Ian<br />
Hacking, La parodia della conversazione,<br />
e di Michael Dummett, Una graziosa confusione<br />
di epitaffi: alcune note su Davidson<br />
e Hacking (i tre saggi costituiscono<br />
l’ultima parte della raccolta a cura di E.<br />
Lepore: Truth and Interpretation. Perspectives<br />
on the Philosophy of Donald Davidson,<br />
del 1986).<br />
Nel saggio Una graziosa confusione di<br />
epitaffi, Davidson descrive che cosa implica<br />
l’idea di avere dimestichezza con la<br />
pratica linguistica e come è possibile applicare<br />
ai singoli proferimenti questa padronanza,<br />
mostrando come ciò sia inspiegabile<br />
senza la nozione di interpretazione<br />
e senza un concetto di linguaggio come<br />
convenzione e, dal punto di vista del suo<br />
utilizzo, come applicazione meccanica di<br />
regole generali acquisite. Un tale progetto<br />
porta Davidson alla conclusione provocatoria<br />
che non esiste un qualche cosa come<br />
il linguaggio.<br />
Ponendosi in un contesto dialogico, Davidson<br />
ritiene che la conoscenza del linguaggio<br />
sia data nei termini di una teoria transitoria<br />
e di una anteriore. La prima è costituita<br />
dalla lista dei nomi usati nel discorso<br />
e dei significati letterali delle parole; la<br />
seconda può essere identificata con l’idoletto,<br />
cioè il linguaggio di un determinato<br />
parlante, spazialmente e temporalmente<br />
situato, che contiene tutte le nostre conoscenze<br />
linguistiche e non sull’interlocutore.<br />
Nella pratica comunicativa i due parlanti,<br />
che prima di dialogare possiedono la<br />
teoria anteriore, sviluppano le rispettive<br />
teorie transitorie, che interagendo con le<br />
teorie anteriori le modificano. La comprensione<br />
linguistica dei parlanti dipende, secondo<br />
Davidson, dall’abilità nel far convergere<br />
le teorie transitorie, a partire da<br />
vocabolari e grammatiche private, per mez-<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
zo di strategie non comunicabili, constatato<br />
che le regole sono irrilevanti teoricamente,<br />
ma non pragmaticamente.<br />
Nel suo saggio di risposta alla concezione<br />
di Davidson, Ian Hacking nota come la<br />
negazione dell’esistenza del linguaggio e<br />
la contemporanea esistenza di molti linguaggi<br />
formali ponga Davidson sullo stesso<br />
punto di partenza di Tarski, ma in<br />
opposizione a questi, dal momento che per<br />
Davidson è necessaria la precomprensione<br />
della verità per poter ottenere il significato,<br />
mentre per Tarski è necessaria la<br />
conoscenza del significato per giungere<br />
alla verità degli enunciati. Inoltre Hacking<br />
rileva che la sistematicità del linguaggio<br />
non richiede ricorsività, come vuole Davidson,<br />
la cui visione olistica del linguaggio<br />
è per Hacking insostenibile, non essendo<br />
confermata dall’esperienza e risultando<br />
incompatibile con la descrizione della comunicazione<br />
nei termini di teoria transitoria.<br />
Infine, osserva Hacking, se consideriamo<br />
il linguaggio come un insieme di<br />
regole unitario e monolitico e affermiamo<br />
che non esiste il linguaggio, allora non<br />
esistono nemmeno i vari linguaggi “L”<br />
che ne sono parte e i rispettivi enunciati<br />
“vero-in-L”. L’unica lettura accettabile<br />
delle conclusioni di Davidson, ribadisce<br />
Hacking, è quella di negare l’esistenza di<br />
un unico linguaggio totale, di vocabolari e<br />
linguaggi privati, e affermare l’esistenza<br />
di molteplici linguaggi debolmente connessi,<br />
provenienti dalle varie comunità<br />
linguistiche in cui viviamo; ciò permetterebbe<br />
di spiegare sia l’errore che la correttezza<br />
linguistica.<br />
Conclude la raccolta curata da Perissinotto<br />
un saggio di Michael Dummett, Una<br />
graziosa confusione di epitaffi: alcune note<br />
su Davidson e Hacking, in cui l’autore<br />
cerca di chiarire quale siano lo scopo e la<br />
natura della teoria anteriore e transitoria<br />
(ribattezzate “teoria a lungo raggio” e “teoria<br />
a breve raggio”) che determinano la<br />
nozione di significato, di linguaggio e<br />
l’obiettivo della proposta di Davidson.<br />
Questi, osserva Dummett, intende dare un<br />
resoconto totale della comprensione linguistica,<br />
estendendo le conclusioni dello<br />
studio dei casi non-standard a quelli standard,<br />
per determinare quali sono le abilità<br />
linguistiche che il parlante deve conoscere.<br />
Considerando innegabile l’esistenza<br />
del linguaggio comune come modello comunicativo,<br />
Dummett riformula la proposta<br />
di Davidson, introducendo la nozione<br />
di teoria di secondo grado - ossia di teoria<br />
di teoria. Nella pratica linguistica, osserva<br />
Dummett, le intenzioni hanno bisogno,<br />
per manifestarsi, delle convenzioni relative<br />
alle comunità linguistiche; di fatto la<br />
padronanza della pratica linguistica è una<br />
conoscenza a metà strada tra quella teorica<br />
e quella pratica, dato che non si può sapere<br />
che cosa sia in effetti una pratica fino a<br />
quando non la si padroneggia. Individuando<br />
due possibili spiegazioni del linguaggio,<br />
una schematica (teoria del significato<br />
31<br />
corredata dai principi di collegamento) e<br />
una reale (attività linguistica come padronanza<br />
di una pratica), Dummett ritiene,<br />
infine, che sia stata la tentazione di descrivere<br />
la nostra abilità linguistica come una<br />
conoscenza teoretica ciò che ha portato<br />
Davidson ad affermare l’inesistenza del<br />
linguaggio.<br />
Un ulteriore approfondimento delle concezioni<br />
di Davidson può essere tratto dalle<br />
considerazioni critiche di Davide Sparti,<br />
espresse nel saggio Sopprimere la lontananza<br />
uccide, che affronta il tema della<br />
differenza nel linguaggio, interrogandosi<br />
sulla natura della comprensione dello straniero.<br />
Lo straniero è non solo l’immigrato<br />
ma anche il nativo estraniato per situazioni<br />
di incertezza, conflitto o cambiamento, esperienze<br />
queste che si pongono fuori dall’ambito<br />
razionale analizzato da Davidson.<br />
Sparti affronta la concezione di Davidson,<br />
muovendo dalle sue considerazioni critiche<br />
sul relativismo degli schemi concettuali,<br />
in cui si esprime la non coincidenza<br />
del mondo e del linguaggio con il nostro<br />
raggio del mondo e del linguaggio. La<br />
possibilità di errori o di una interpretazione<br />
parziale richiede per Davidson l’appello<br />
al “principio di carità”, che instaura una<br />
relazione inscindibile tra semantica, razionalità<br />
e interpretazione radicale. Ma<br />
questo, rileva Sparti, porta Davidson a<br />
reintrodurre il dualismo mondo-schema,<br />
che era stato eliminato per mezzo della<br />
nozione di causa, considerata un requisito<br />
fondante del principio di carità. Tale nozione,<br />
benché sia definita come a-significante<br />
e appartenente all’ambito extra linguistico,<br />
sottopone e determina gli atteggiamenti<br />
cognitivi.<br />
In base a queste considerazioni, Sparti<br />
individua all’interno della proposta di Davidson<br />
una insanabile tensione tra la spinta<br />
olistico-emergentista e normativa, che<br />
comporta una semantica intensionale per<br />
gli atteggiamenti cognitivi e linguistici<br />
dell’uomo, e la spinta realistico-causale<br />
che, centrata sulla nozione di causalità,<br />
adotta una semantica estensionale per potersi<br />
riferire agli oggetti ed agli eventi<br />
esterni che ci caratterizzano. La filosofia<br />
di Davidson, osserva Sparti, mostra dunque<br />
di appartiene ancora all’empirismo<br />
che pretendeva di superare.<br />
Riferendosi alla nozione di interpretazione,<br />
proposta da Davidson sulla base delle<br />
idee di regola, condizione di asserzione,<br />
uso, ecc. di Wittgenstein, Sparti critica il<br />
progetto esternalista e quello olistico-cognitivo<br />
di Davidson. Per quanto riguarda il<br />
progetto esternalista, Sparti rileva che in<br />
Davidson la causa è sottodeterminata dall’interpretazione,<br />
cioè non esiste nessuna<br />
causa autoreferenziale che si applichi a se<br />
stessa, determinando il suo contenuto intenzionale;<br />
anzi, per una sola causa si<br />
possono dare molte interpretazioni. Gli<br />
enunciati stessi, continua Sparti, sono agiti<br />
secondo l’uso linguistico, non interpretati<br />
o causati. In definitiva, l’immagine
di interpretazione formulata da Davidson<br />
risulta insufficiente, e la nozione di<br />
comprensione è troppo concettuale e<br />
astratta rispetto a quella che ha luogo<br />
nelle interazioni sociali.<br />
Per quanto concerne invece il progetto olistico-cognitivo<br />
di Davidson, Sparti rileva<br />
una sottovalutazione dell’importanza dell’intenzione<br />
come motore dell’azione a favore<br />
dei desideri e delle credenze. Al modello<br />
causale o intenzionale, Sparti oppone,<br />
come più adeguato, quello del recettore,<br />
che pone nell’agire ciò che determina il<br />
significato e nelle condizioni d’uso, che<br />
ricostruiscono continuamente il principio<br />
di carità, la fonte per la recezione del significato<br />
da parte dei recettori. Il rifiuto del<br />
progetto olistico-cognitivo esternalista è<br />
da ricercare, secondo Sparti, nell’illegittimità<br />
della riduzione della comprensione<br />
alla capacità di traduzione-interpretazione;<br />
anzi è proprio la traduzione a portare a<br />
fraintendimenti e anomia. La proposta di<br />
Davidson deve essere, in tal senso, invertita,<br />
affinché si comprenda senza tradurreinterpretare,<br />
cioè senza dover ridimensionare<br />
i processi dell’interpretazione. Solo<br />
considerando contemporaneamente la proposta<br />
causalista ed esternalista di Davidson<br />
e quella contingente e serialista di<br />
Wittgenstein possiamo avere un’immagine<br />
globale della comprensione del significato.<br />
Queste valutazioni preliminari servono a<br />
Sparti per affrontare, in Davidson, il tema<br />
della differenza culturale e del possibile<br />
rapporto con essa, quindi i legami tra interpretazione,<br />
traduzione e le interruzioni<br />
della comprensione sociale, in riferimento<br />
all’esperienza dello “straniero”, cioè della<br />
diversità culturale, linguistica e della loro<br />
interpretazione. L’esperienza rara, accidentale<br />
e anomala di estraniamento dello<br />
straniero si genera, per Sparti, a seguito di<br />
un’interpretazione parziale che avviene in<br />
un ambito esterno alla zona di razionalità,<br />
in cui, per Davidson, si ha il riconoscimento<br />
della persona in quanto tale. Negando<br />
l’esistenza di forme traducibili e tuttavia<br />
nettamente alternative in termini di credenze<br />
e razionalità, che comportino un<br />
fondamentale accordo umano e comunità<br />
autoreferenziali, Davidson misconosce la<br />
specificità, la varietà e la radicale situazionalità<br />
del noi. A questo Sparti obietta che<br />
solo nel mutuo confronto tra le comunità si<br />
ha il riconoscimento e la comprensione<br />
reciproca che produce l’identità e la distinzione<br />
sociale: l’estraneo o lo straniero è<br />
necessario per la formazione e la ritenzione<br />
della nostra identità. Sparti, in altri<br />
termini, contrappone alla proposta di Davidson<br />
di una comunità cognitiva, razionale,<br />
individualista, basata sull’assunto non<br />
dimostrato di unità cognitiva dei suoi individui,<br />
quella di una comunità di comunicanti<br />
che, salvaguardando le connessioni<br />
di usi, atti, tecniche e asserzioni che gli<br />
uomini instaurano tra di loro, conserva la<br />
diversa identità dello straniero.<br />
Tra i recenti testi critici che affrontano<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
l’opera filosofica di Davidson è opportuno<br />
segnalare, in questo contesto di riflessione,<br />
il saggio di J. E. Malpas, Donald<br />
Davidson and the mirror of meaning (Donald<br />
Davidson e lo specchio del significato,<br />
Cambridge 1992). L’opera si articola<br />
su due livelli: il primo fornisce un’esegesi<br />
della riflessione più recente di Davidson<br />
riguardo l’indipendenza ontologica dei<br />
contenuti mentali dell’interpretazione, la<br />
teoria della causalità e i suoi rapporti con<br />
il significato e il principio di carità; il<br />
secondo sviluppa oltre la lettera la sua<br />
posizione olista collegandola alla tradizione<br />
fenomenologica e heideggeriana.<br />
L’opera di Malpas è articolata in sette<br />
capitoli. I primi due capitoli sono dedicati<br />
alla presentazione delle linee generali della<br />
filosofia di Davidson e di quella del suo<br />
maestro W. V. O. Quine. I tre capitoli<br />
successivi si occupano dell’olismo, dell’indeterminatezza<br />
e del principio di carità.<br />
Infine, gli ultimi due capitoli trattano<br />
delle questioni metafisiche ed epistemologiche,<br />
sollevate dall’interpretazione,<br />
come lo scetticismo, il relativismo, il<br />
realismo e la verità.<br />
In particolare, anche se non in misura così<br />
ampia quanto promette il titolo del testo,<br />
Malpas rivolge l’attenzione al rapporto di<br />
rispecchiamento tra la struttura psicologica<br />
e quella dell’interpretazione che permette<br />
a Davidson di spiegare l’indipendenza<br />
ontologica dei contenuti mentali<br />
dall’interpretazione, senza che quest’ultima<br />
debba svelare tali contenuti.<br />
Partendo dalla concezione di Davidson,<br />
Malpas sviluppa una teoria olistica che<br />
prende a prestito dalla fenomenologia e<br />
dall’ermeneutica le nozioni di “intenzione”<br />
e di “orizzonte” e vi aggiunge quella di<br />
“progetto”. In questo, tuttavia, Malpas viola<br />
oltre che la lettera, anche le intenzioni<br />
di Davidson, affermando che la corretta<br />
caratterizzazione della nozione di verità<br />
è quella di aletheia, di verità come disvelamento,<br />
proposta da Heiddeger. Tale<br />
nozione, osserva Malpas, è contenuta<br />
implicitamente nella concezione di Davidson,<br />
secondo cui la comprensione è<br />
insita nel dialogo e nell’implicazione<br />
con il mondo. M.G.<br />
Geofilosofia<br />
Con il titolo GEOFILOSOFIA viene pubblicato<br />
il primo numero di una nuova<br />
rivista, «MILLEPIANI», diretta da Tiziana<br />
Villani e promossa dall’associazione<br />
culturale “Mimesis”, il cui intento consiste<br />
nel realizzare «un progetto-laboratorio<br />
che avvii una riflessione sul<br />
Moderno, e sui principali percorsi di<br />
pensiero che lo attraversano».<br />
Il saggio di apertura, Geofilosofia, che dà<br />
il titolo a questo primo numero della rivi-<br />
32<br />
sta «Millepiani», è frutto della collaborazione<br />
fra Gilles Deleuze e Felix Guattari<br />
ed è tratto da Qu’est-ce-que la philosophie?<br />
(1991). Si tratta una riflessione che vuol<br />
porsi come topologica, “a partire dal luogo”,<br />
anziché come gnoseologica, ontologica,<br />
etica o politica, a partire dalla relazione<br />
fra soggetto e oggetto. Secondo<br />
Deleuze e Guattari, il pensiero e l’agire<br />
dell’uomo si collocano in una logica di<br />
dislocazione, di deterritorializzazione e<br />
successiva riterritorializzazione, che costituiscono<br />
l’essenza tanto della pratica<br />
politica, quanto di quella filosofica. Lo<br />
Stato, sia quello moderno, sia la polis<br />
greca, opera una deterritorializzazione,<br />
perché considera il territorio in base a<br />
finalità (economiche, politiche), a “misure”,<br />
che esorbitano da esso; ma anche la<br />
filosofia nasce da un’operazione deterritorializzante,<br />
attraverso lo straniamento semantico-concettuale<br />
di strumenti linguistici<br />
decontestualizzati rispetto alla cultura<br />
da cui provengono.<br />
D’altra parte, ogni deterritorializzazione<br />
comporta una riterritorializzazione: una<br />
nuova identità nello Stato; una nuova referenzialità<br />
semantica nel concetto. In questa<br />
prospettiva, fa notare Tiziana Villani<br />
nel suo intervento: Verità e divenire. Attualità<br />
e necessità del nomadismo, lo sradicamento<br />
diventa un atto strategico dell’esercizio<br />
di verità: in ciò consiste la “nomadologia”,<br />
la proposta di un “sapere nomadico”,<br />
che si faccia carico dell’erranza<br />
e delle verità nel loro sorgere dai “luoghi<br />
comuni”. La sortita dal luogo comune si<br />
attua attraverso una pratica dell’eccesso,<br />
che è nel contempo deterritorializzante, in<br />
quanto rottura della ritualità dei percorsi<br />
consuetudinari, e contestualizzante, in<br />
quanto richiesta di una ricollocazione in<br />
un “progetto”. A questa prospettiva si oppone<br />
ciò che Paul Virilio, nel suo Utopia<br />
o teletopia, definisce come “mediatizzazione<br />
totale dell’umanità”, quella “mondializzazione”<br />
che identifica l’u-topia, l’assenza<br />
di luogo, con la tele-topia, in quanto<br />
lontananza da ogni luogo. Tale lontananza<br />
si qualifica come indifferenza dei luoghi, e<br />
risulta essere il fondamento di quell’atteggiamento<br />
che, richiamandosi a Peter Sloterdijk,<br />
Pierre dalla Vigna, in Metamorfosi<br />
del moderno. Nomadismi e transizioni<br />
nel pensiero contemporaneo, definisce<br />
come “neocinismo”, in quanto «accoglimento<br />
di ogni cosa nell’indifferenziato»,<br />
come “adesione all’indifferenziato”. Nella<br />
sua radicalità antiteologica, questo atteggiamento,<br />
insieme trasformistico e opportunista,<br />
costituisce l’essenza della prassi<br />
politica nella modernità, e rinvia a una<br />
visione dell’essenza umana più pessimistica<br />
che disincantata.<br />
Alla possibilità di ricostruzione del soggetto<br />
agente è orientato anche il saggio di<br />
Adelino Zanini, Sottrarsi alla vista. I paradigmi<br />
dell’esodo, della fuga, dell’abbandono,<br />
del “sottrarsi a” rinviano tutti,<br />
sottolinea Zanini, all’idea di movimento:
il nomadismo si qualifica dunque, in via<br />
immediata, come un “pensiero del territorio”,<br />
nel senso che non può fare a meno di<br />
“pensare il territorio”, almeno nella forma<br />
dell’abbandono, ma anche in quella della<br />
sua ricerca. Esso si qualifica però, al contempo,<br />
come pensiero della pluralità; nella<br />
sua erranza il soggetto cambia molti luoghi,<br />
e con ciò muta esso stesso, si muove in<br />
contesti non congruenti, irriducibili l’uno<br />
all’altro, diventa altro, “straniero”; si sottrae<br />
alla presenza, alla vista, a uno sguardo,<br />
cioè, omnicomprendente ed esaustivo. F.C.<br />
Su Nietzsche<br />
Tra gli scritti che intendono analizzare<br />
l’eco di risonanza della filosofia nietzscheana<br />
nella cultura contemporanea<br />
segnaliamo l’opera di Steven Aschheim,<br />
THE NIETZSCHE LEGACY IN GERMANY (L’eredità<br />
di Nietzsche in Germania, University<br />
of California Press, Berkley 1992) e<br />
tre recenti studi di Antimo Negri, NIETZ-<br />
SCHE NELLA PIANURA. GLI UOMINI E LA CITTÀ<br />
(Spirali, Milano 1993), NIETZSCHE. LA SCIEN-<br />
ZA SUL VESUVIO (Laterza, Roma-Bari 1994)<br />
e INTERMINATI SPAZI ED ETERNO RITORNO (Le<br />
Lettere, Firenze 1994).<br />
Steven Aschheim analizza le diverse interpretazioni<br />
del pensiero nietzscheano in<br />
Germania nell’età contemporanea, individuando<br />
tre filoni interpretativi. Il primo si<br />
afferma all’inizio del Novecento e vede<br />
Nietzsche come il dissacratore delle tradizioni<br />
e delle verità precostituite, considerate<br />
come pregiudizi ideologici. Il secondo,<br />
assolutamente antitetico al primo, si manifesta<br />
tra la prima e la seconda guerra mondiale,<br />
in virtù anche alla manipolazione<br />
operata dalla sorella del filosofo, e pone la<br />
filosofia di Nietzsche come paradigma dell’antisemitismo<br />
e del nazionalsocialismo.<br />
Dopo la seconda guerra mondiale, nota<br />
Aschheim, grazie a pensatori come Derrida,<br />
prende corpo la tendenza a considerare<br />
Nietzsche padre del decostruzionismo,<br />
ambio tradizionale del pensiero liberaldemocratico,<br />
opposto al nazismo.<br />
Questa varietà di interpretazioni, osserva<br />
Ascheim, mostra come sia impossibile collocare<br />
stabilmente Nietzsche all’interno<br />
dell’origine o della derivazione di una qualche<br />
corrente ideologica. Il pensiero nietzscheano<br />
è fluido e soggetto a infinite interpretazioni<br />
ed è proprio questo, ricorda<br />
Aschheim, che costituisce l’autenticità del<br />
suo messaggio. La riduzione di questa<br />
molteplicità di interpretazioni ad una sola<br />
scuola di pensiero, conclude Aschheim,<br />
non farebbe che distorcere l’originarietà<br />
del suo pensiero in forme del tutto estranee<br />
alla sua intenzione teoretica.<br />
Per Antimo Negri, invece, rintracciare in<br />
Nietzsche un “manifesto politico” è comunque<br />
impossibile e illegittimo. Nel suo<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
studio: Nietzsche nella pianura. Gli uomini<br />
e la città, Negri oserva come la posizione<br />
nietzscheana vada innanzitutto compresa<br />
attraverso le coordinate del riferimento alla<br />
cultura antica, da un lato, e alla critica dei<br />
valori (e, dunque, delle ideologie), dall’altro.<br />
Il realismo tucidideo si coniuga, in Nietzsche,<br />
con l’antidemocraticismo di Teognide.<br />
L’aristocraticismo che ne consegue non<br />
si fonda dunque in nessun modo, secondo<br />
Negri, su un estetismo di stampo dannunziano<br />
(il culto della bellezza, che la massa non<br />
riesce a comprendere), bensì su una visione<br />
che, pretendendosi disincantata, giudica e<br />
condanna infingimenti e dissimulazioni a<br />
suo giudizio ideologici, quali le teorie egualitarie,<br />
il mito del progresso; ma anche la<br />
retorica vitalista o biologico-razziale.<br />
La pianura o la “palude”, cui Nietzsche<br />
pure guarda (e in ciò consiste la sua dimensione<br />
“politica”), va indagata con gli occhi<br />
del realista Tucidide, che sa vedere come<br />
la polis costituisca il necessario risultato<br />
delle passioni di cui gli uomini sono in<br />
balìa, piuttosto che il frutto di un loro<br />
calcolo razionale. Di qui l’infondatezza<br />
delle retoriche politiche (da D’Annunzio a<br />
Mussolini, da Rensi a Heidegger), reazionarie<br />
o progressiste che siano, superomiste<br />
o egualitarie, che si configurano, perciò,<br />
come mitologie. La prospettiva di Nietzsche,<br />
al di là (o al di qua) delle sue eredità<br />
e delle sue manipolazioni, si delinea dunque<br />
come una visione politica non ideologica,<br />
fondata sulle acquisizioni di una “volontà<br />
di potenza” che si presenta, anzitutto,<br />
come physis dell’uomo.<br />
In Nietzsche. La scienza sul Vesuvio, Negri<br />
mostra come il messaggio nietzscheano e<br />
la cultura dionisiaca siano fortemente radicati<br />
nell’età contemporanea. La scienza<br />
viene collocata sul Vesuvio in quanto ha<br />
perso quel margine di universalità che la<br />
caratterizzava nella sua fondatezza. La<br />
“gaia” scienza, al contrario, è posta alle<br />
pendici del Vesuvio, soggetta, nella sua<br />
leggerezza e fragilità, al continuo rischio di<br />
frane ed eruzioni.<br />
Negri analizza la “cultura del vulcano”<br />
nell’epistemologia e nell’estetica contemporanee,<br />
riscontrando anche in autori, normalmente<br />
non legati a Nietzsche, elementi<br />
di forte connessione. In ambito epistemologico,<br />
infatti, Popper e Mach rappresentano<br />
la caduta dell’oggettivismo, tipica della<br />
filosofia nietzscheana. Il primo per l’affermazione<br />
dell’inesistenza di una vera e propria<br />
“logica” nella scoperta scientifica (le<br />
palafitte su cui si erge la scienza popperiana<br />
ricorderebbero le pendici vesuviane),<br />
mentre il secondo per il sensualismo che,<br />
come il prospettivismo di Nietzsche aveva<br />
ridotto i fatti a interpretazioni, circoscrive<br />
gli elementi del mondo a sensazioni.<br />
In ambito estetico Negri ritrova la filosofia<br />
nietzscheana nell’incontro tra impressionismo<br />
ed espressionismo, tendenze che meglio<br />
sintetizzano il rovesciamento del rapporto<br />
tra soggetto e oggetto. La tensione<br />
del soggetto verso l’oggetto dell’espres-<br />
33<br />
sionismo e il turbamento del soggetto da<br />
parte dell’oggetto dell’impressionismo si<br />
incontrano infatti, ad esempio, ne “L’Urlo”<br />
di Munch, che rappresenta, allo stesso tempo,<br />
il grido dell’uomo verso la natura e il<br />
suo contrario. Anche la musica, prosegue<br />
Negri, reca l’impronta nietzscheana: oltre<br />
alla musica di Wagner, la “Carmen” di<br />
Bizet, in particolare, coglie il senso di quell’amore<br />
dionisiaco che sfugge a qualsiasi<br />
istituzione, come il matrimonio, che lo<br />
svuoterebbe del suo senso originario.<br />
Restando ancora in ambito estetico, in Interminati<br />
spazi ed eterno ritorno, Negri<br />
affronta il rapporto tra Nietzsche e Giacomo<br />
Leopardi. Il legame fondamentale tra<br />
i due consiste nella produzione letterariofilosofica,<br />
che scavalca i generi classici per<br />
raggiungere nuove forme di espressione. Il<br />
poetare pensante di Leopardi, infatti, viene<br />
accostato da Negri al pensare poetante di<br />
Nietzsche attraverso l’analisi di diverse<br />
opere, come lo Zibaldone di Leopardi, che<br />
contiene riflessioni filosofiche espresse in<br />
forma poetica, o lo Zarathustra di Nietzsche,<br />
dove nella pratica della “danza della<br />
penna” il verso sostituisce e accompagna il<br />
concetto. La convergenza formale dei due<br />
autori è dovuta, secondo Negri, all’impostazione<br />
post-metafisica e anti-hegeliana<br />
che accomuna i due autori in una nuova<br />
utilizzazione del linguaggio che rispecchia<br />
quella visione del mondo in cui, dopo la<br />
“morte di Dio”, ogni dimensione, tra cui<br />
quella letteraria, viene distorta e riadattata.<br />
La concezione decentrata, o post-copernicana,<br />
dell’uomo, posto alla periferia dell’universo,<br />
è ciò che accosta, secondo Negri,<br />
Nietzsche a Leopardi. Ma non solo:<br />
l’universo materialistico, privato della presenza<br />
di Dio, si muove, per i due autori, di<br />
un moto ciclico e infinito che riproduce se<br />
stesso inesorabilmente, senza lasciare alcuna<br />
libertà all’individuo. L’eterno ritorno<br />
nietzscheano viene ricondotto, così, al riprodursi<br />
meccanicistico della natura leopardiana,<br />
insensibile e indifferente all’uomo,<br />
sempre più solo.<br />
A questo proposito può essere interessante<br />
confrontare queste considerazioni con le<br />
valutazioni su Nietzsche espresse da Gabriele<br />
D’Annunzio in due recensioni e in<br />
due altri scritti dedicati al filosofo e ora<br />
raccolti nel volume: Su Nietzsche (a cura e<br />
con postfazione di D. Valenti, De Martinis,<br />
Catania 1993). D’Annunzio, che non<br />
leggeva il tedesco, venne a conoscenza del<br />
pensiero nietzscheano grazie alla mediazione<br />
della cultura (e della lingua) francese.<br />
Le problematiche del superomismo e<br />
del disprezzo per le masse, delle quali si<br />
sarebbe nutrita la poetica (se non la poesia)<br />
dannunziana, trovano qui il loro cespite.<br />
Le recensioni dannunziane appaiono<br />
significative per la ricezione non<br />
solo italiana di Nietzsche, anche perché<br />
mostrano il carattere anzitutto estetico<br />
di tematiche sulle quali, successivamente,<br />
farà leva l’interpretazione “politica”<br />
di Nietzsche da parte del nazismo. A.S.
Schmitt e Heidegger di fronte<br />
al nazismo<br />
La pubblicazione in Germania della<br />
prima biografia completa di Carl Schmitt<br />
ad opera di Paul Noack: CARL<br />
SCHMITT (Propyläen, 1993), ha suscitato<br />
sulla stampa tedesca vaste e profonde<br />
reazioni. Nell’analisi sulla vita e<br />
le opere del brillante giurista della<br />
repubblica di Weimar, considerato con<br />
Ernst Jünger il battistrada della dittatura<br />
nazista, Noack mette in dubbio<br />
non solo l’autenticità della sua conversione<br />
al regime hitleriano, ma considera<br />
il pensiero politico e giuridico<br />
di Schmitt “innocente e atemporale”.<br />
In tono di riabilitazione di un altro<br />
importante pensatore tedesco coinvolto<br />
con il nazismo, Martin<br />
Heidegger, si esprimono anche lo studio<br />
di Francois Fediér, HEIDEGGER E LA<br />
POLITICA (trad. it. di M. Borghi, Egea,<br />
Milano 1993), e quello di Ernst Nolte,<br />
MARTIN HEIDEGGER TRA POLITICA E STORIA<br />
(trad. it. di N. Curcio, Laterza, Roma-<br />
Bari 1994).<br />
«Il Führer protegge il diritto dal peggiore<br />
abuso se al momento del pericolo, in forza<br />
della sua stessa natura di Führer, crea<br />
direttamente il diritto come supremo capo<br />
giudiziario». Con queste parole inizia l’articolo<br />
tristemente famoso Der Führer<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
Martin Heidegger, Carl Schmitt<br />
schützt das Recht (Il Führer protegge il<br />
diritto), con il quale Carl Schmitt giustificava<br />
gli assassinii ordinati da Hitler il 30<br />
giugno del 1934; un articolo che dovrebbe<br />
togliere ogni dubbio sulla fede nazionalsocialistica<br />
del suo autore. Eppure sull’autenticità<br />
dell’adesione di Schmitt al regime<br />
hitleriano permangono ancor’oggi non<br />
pochi dubbi.<br />
Per Paul Noack, l’adesione di Schmitt al<br />
nazismo fu “occasionale”: «un cattivo uso<br />
delle sue teorie, uno sbandamento politico,<br />
un’iperreazione, forzata dalla crisi della<br />
repubblica di Weimar». Per questo, sostiene<br />
Noack, è giunto il momento di «riammettere<br />
Carl Schmitt al circolo delle idee»,<br />
in quanto autore di un pensiero giuridico e<br />
politico «innocente e atemporale». Fu dunque<br />
un “errore” politico quello che portò<br />
Schmitt a considerare il sistema nazionalsocialista<br />
come l’incarnazione dell’auspicato<br />
Stato totale, espressione dell’<br />
“omogeneità” sociale che aveva nel rapporto<br />
“amico-nemico” il cardine della<br />
sua politica?<br />
Negli anni della repubblica di Weimar, gli<br />
scritti di Schmitt sulla teoria del diritto<br />
erano tra i più letti e discussi, considerati<br />
unanimamente come punto di riferimento<br />
decisivo sull’attuabilità del sistema democratico<br />
in Germania. Come consigliere del<br />
governo Hindenburg, Schmitt fornì le giustificazioni<br />
teoriche e giuridiche al sistema<br />
presidenziale che governò la Germania<br />
34<br />
dal 1930 al 1933 con decreti di emergenza.<br />
Furono dunque il suo sostegno attivo al<br />
governo presidenziale, i compromessi nella<br />
prima fase del governo di Hitler e soprattutto<br />
la sua fama di Kronjurist del Terzo<br />
Reich, che per Noack hanno portato a<br />
interpretare le sue opere scritte prima del<br />
1933 come «le fondamenta giuridiche dello<br />
stato nazista» e quindi ad esporlo a<br />
«numerose e ingiustificate censure».<br />
Furono dunque la paura, l’ambizione e la<br />
vanità a determinare il modo in cui Schmitt<br />
reagì ai vari cambiamenti nei quali si<br />
trovò coinvolto. Noack sembra convinto<br />
che se ci si dimentica dell’ “uso” errato che<br />
hanno subìto le sue teorie, il pensiero di<br />
Schmitt si presenta come un modello di<br />
orientamento politico e giuridico straordinariamente<br />
attuale. È questo il caso, in<br />
particolare, della sua critica al parlamentarismo<br />
e più in generale al liberalismo,<br />
presente nello scritto del 1923, Die geistesgeschichtliche<br />
Lage des heutigen Parlamentarismus<br />
(La situazione storico-spirituale<br />
del parlamentarismo odierno), dove<br />
vengono denunciati non solo le disfunzioni<br />
della vita parlamentare di Weimar, ma<br />
gli inconvenienti “strutturali” del parlamentarismo<br />
stesso, quali l’egemonia dei<br />
partiti, la lottizzazione dei pubblici poteri,<br />
l’abuso dei privilegi, la politocrazia, le<br />
ricorrenti crisi di governo, la separazione<br />
tra elettori ed eletti. Per questi motivi Schmitt<br />
credeva che la democrazia e il parla-
mentarismo liberale non fossero la stessa<br />
cosa. Per uscire dall’empasse occorreva<br />
un’istanza decisionistica in grado di affermare<br />
la sovranità super partes dello Stato,<br />
identificata da Schmitt nel presidente del<br />
Reich quale Hüter der Verfassung (custode<br />
della costituzione).<br />
I commentatori tedeschi della biografia di<br />
Noack si sono trovati daccordo nel ritenere<br />
che se è corretto nei confronti di Schmitt<br />
leggere le sue opere scritte prima del 1933<br />
indipendentemente dall’orizzonte politico<br />
della dittatura nazista, questo atteggiamento<br />
non appare altrettanto corretto nei<br />
confronti della sua opera. Il motivo ricorrente<br />
delle critiche all’opera di Noack riguarda<br />
la stessa possibilità di pensare oggi<br />
una «dittatura sana», definita da Schmitt in<br />
Die Diktatur (La dittatura, 1921) «l’essenza<br />
dello Stato moderno», in grado di collegare<br />
l’istanza democratica con quella dello<br />
Stato forte. Tuttavia, proprio in questo<br />
testo, nella distinzione tra «dittatura commissariale»,<br />
che non abroga la costituzione<br />
vigente, e «dittatura assoluta», Noack<br />
coglie la maggiore distanza di Schmitt dal<br />
nazismo. Molte delle idee di Schmitt sul<br />
diritto costituzionale e sul governo, osserva<br />
Noack a questo proposito, sono state<br />
incorporate nella costituzione di Bonn della<br />
Repubblca Federale, in particolare le limitazioni<br />
alle modifiche costituzionali mediante<br />
emendamenti, per evitare che il<br />
sistema possa fornire gli strumenti legali<br />
per la propria distruzione. Tuttavia occorre<br />
sottolineare a questo riguardo che anche<br />
quando prima del 1933 Schmitt optò per la<br />
dittatura di von Schleicher, la sua costruzione<br />
teorica non si distingueva da quella<br />
nazista. Infatti il regime nazista restò una<br />
«dittatura commissariale» in quanto non<br />
abolì la costituzione di Weimar nel suo<br />
complesso, ma pose nello stesso tempo<br />
fuori gioco tutte le garanzie democratiche<br />
e di diritto dello Stato, lasciando inviolato<br />
solo il diritto alla proprietà. Al tempo<br />
stesso il nazismo è stato una «dittatura<br />
sovrana» perché concentrò nell’esecutivo<br />
anche la facoltà legislativa arrogandosi<br />
anche il potere costituente. Questo sistema<br />
coincideva così fin nel dettaglio con lo<br />
stato interventista e divenne, secondo le<br />
teorie di Schmitt, uno «stato di eccezione»<br />
permanente.<br />
Se uno dei motivi della recente renaissance<br />
del pensiero di Schmitt è dovuto all’indiscutibile<br />
potenziale teorico, ciò che nelle<br />
analisi di Noack resta in ombra è proprio<br />
la critica al parlamentarismo, fondata su<br />
conoscenze di teoria del diritto e di sociologia<br />
del diritto che non sono presenti nelle<br />
sue opere di primo piano.<br />
Nell’intento di riabilitare la figura di Martin<br />
Heidegger dal coinvolgimento con il<br />
nazismo, Francois Fediér imposta la sua<br />
difesa su due argomentazioni: in primo<br />
luogo lo smantellamento delle tesi di Victor<br />
Farias; in secondo luogo la dimostrazione<br />
dell’incompatibilità delle intenzioni filosofiche<br />
di Heidegger con la effettiva rea-<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
lizzazione nazista. Nella prima parte del<br />
suo studio Fediér analizza tutti gli episodi<br />
biografici che costituiscono, secondo Farias,<br />
una chiara prova di collusione tra<br />
Heidegger ed il nazismo, presentandoli<br />
come irrilevanti o addirittura come dimostrazioni<br />
dell’indipendenza del filosofo<br />
rispetto all’ideologia nazista e antisemita.<br />
Nella seconda parte Fediér affronta il legame<br />
reale tra Heidegger e la politica del suo<br />
tempo, dimostrando che in Heidegger l’intervento<br />
effettivo del pensiero filosofico<br />
sull’azione reale necessitava di un organismo<br />
in grado di farsene carico. La riabilitazione<br />
dell’università tedesca, operata da<br />
Hitler, rappresentava in tal senso l’occasione<br />
migliore. La Rede del ’33 annunciava<br />
appunto il progetto di riforma dell’università,<br />
che sarebbe dovuta diventare la<br />
guida destinale del popolo tedesco verso la<br />
propria redenzione. L’intenzione heideggeriana,<br />
infatti, era quella di una vera e<br />
propria rivoluzione nazionalsocialista che,<br />
con l’eliminazione della dialettica tra le<br />
35<br />
diverse classi sociali, avrebbe portato il<br />
lavoro di ogni individuo al servizio della<br />
nazione e lo avrebbe elevato a strumento<br />
spirituale di coesione dei popoli. Nel 1933<br />
Hitler sembrava rappresentare la possibilità<br />
concreta per questa trasformazione e<br />
Heidegger confuse il proprio progetto con<br />
il suo. Ma quando, un anno dopo, nel piano<br />
hitleriano il concetto di nazione diventava<br />
quello fanatico di razza, Heidegger prendeva<br />
le distanze dal suo incarico universitario<br />
e dal progetto di rivoluzione nazista.<br />
La mancanza di una abiura pubblica nei<br />
riguardi della scelta del ’33 è dovuta, secondo<br />
Fediér, non ad una mancata condanna<br />
verso il nazismo, bensì alla concomitanza<br />
della ricerca di un nuovo tipo di<br />
pensiero che riuscisse a pensare l’impensato<br />
e che coincideva con il silenzio.<br />
Più incisivo nell’analisi politica e filosofica<br />
è lo studio di Ernst Nolte, che non vede<br />
nelle dimissioni di Heidegger del ’34 un<br />
rifiuto dell’ideologia nazionalsocialista,<br />
quanto una posizione più complessa. Me-<br />
Manifesto per la “Giornata del Partito” a Norimberga nel 1934
diante l’analisi parallela della vita e del<br />
pensiero di Heidegger, Nolte, differenziandosi<br />
dalle tesi di Fediér, dimostra chiaramente<br />
che esiste una profonda continuità<br />
tra il periodo antecedente e quello<br />
posteriore al rettorato del ’33, testimoniata<br />
dal rifiuto del cattolicesimo, dalla<br />
paura del comunismo e dalla necessità di<br />
un destino diverso e rivoluzionario per il<br />
popolo tedesco.<br />
Il pericolo del marxismo, avvertito durante<br />
la Repubblica di Weimar e confermato<br />
più volte anche dopo la seconda guerra<br />
mondiale, spinge Heidegger a ricercare<br />
nel nazionalsocialismo quella soluzione<br />
rivoluzionaria che avrebbe salvato i tedeschi<br />
dall’appiattimento e dallo sradicamento,<br />
causati dalla tecnica, e avrebbe<br />
fornito quei valori che, al posto del cattolicesimo,<br />
avrebbero portato l’uomo ad una<br />
più alta considerazione di se stesso e del<br />
proprio popolo. Il progetto di Heidegger<br />
consisteva nella istituzione di una sorta di<br />
polis tedesca, in cui tutti i lavoratori, costituendo<br />
un’unità culturale, avrebbero oltrepassato<br />
la dicotomia metafisica di soggetto<br />
e oggetto che aveva caratterizzato,<br />
sino ad allora, il destino dell’Occidente.<br />
Lo <strong>Studi</strong>um generale dell’università da lui<br />
prospettato, infatti, istituiva quell’unità tra<br />
insegnante e studente che, sul piano spirituale,<br />
rappresentava l’unità tra lavoratore<br />
e datore di lavoro.<br />
Il vizio di fondo di tale progetto consisteva,<br />
certamente, nella presunzione che la<br />
filosofia potesse farsi carico di una tale<br />
trasformazione della realtà, e i riferimenti<br />
alla Repubblica di Platone testimoniano<br />
questa tendenza. Secondo Nolte, comunque,<br />
al momento dell’investitura di Hitler<br />
a cancelliere del Reich niente faceva presagire<br />
la profonda discrepanza tra il progetto<br />
heideggeriano e l’effettiva realizzazione<br />
del nazismo. Per questo, una volta<br />
manifestatosi, nella sua interezza, il progetto<br />
hitleriano, Heidegger si è mosso su<br />
due piani: la rivendicazione del proprio<br />
progetto nazionalsocialista, come l’unico<br />
ed autentico, e il distacco da quello di<br />
Hitler, considerato inadeguato e spesso<br />
paragonato al comunismo e all’americanismo,<br />
movimenti di massa e nichilisti.<br />
Heidegger non fece mai autocritica perché<br />
il suo progetto, non essendo mai stato<br />
nazista nel senso hitleriano del termine,<br />
era assolutamente estraneo all’antisemistismo.<br />
Per questo, sostiene Fediér, la responsabilità<br />
personale di Heidegger di fronte<br />
agli orrori del nazismo è praticamente<br />
nulla. Il suo silenzio sull’accaduto diventa,<br />
così, il risultato di «chi pensa in grande<br />
ed in grande è costretto ad errare», mentre<br />
il progetto per una soluzione diversa, anche<br />
manifestato in forme differenti, resterà<br />
sino alla morte. M.C./A.S.<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
Hobbes, e oltre<br />
Si deve in particolare all’opera di Yves<br />
Charles Zarka, direttore di un progetto<br />
di ricerca su Hobbes presso il CNRS<br />
di Parigi, la serie delle iniziative (seminari,<br />
convegni, pubblicazioni) sulla<br />
storia e sulla teoria della moderna<br />
filosofia etica e politica. Oltre alla traduzione<br />
delle opere di Hobbes, tra le<br />
recenti pubblicazioni, frutto di questo<br />
gruppo di ricerca, segnaliamo: RAISON<br />
ET DÉRAISON D’ETAT, (Ragione e sragione<br />
di Stato, a cura di Y. C. Zarka, Puf,<br />
Parigi 1994) e L’INTERPRETAZIONE NEI SE-<br />
COLI XVI E XVII (a cura di G. Canziani e<br />
Y. C. Zarka, F. Angeli, Milano 1993).<br />
Per quanto riguarda le iniziative seminariali,<br />
nell’anno 1993-1994 si è tenuto<br />
a Parigi un seminario dal titolo:<br />
“JEAN BODIN: NATURA, STORIA, DIRITTO E<br />
POLITICA”. Il seminario è stato accompagnato<br />
da due giornate di studio e<br />
un colloquio. La prima delle due giornate<br />
di studio ha avuto luogo alla<br />
Sorbona, il 30 aprile 1994, ed è stata<br />
dedicata al tema: “TEOLOGIA E POLITICA<br />
IN HOBBES”. Una seconda giornata è<br />
stata organizzata a Parigi il 21 maggio<br />
1994, sul tema: “DALLA RESISTENZA<br />
ALLA RIVOLTA: LA POLITICA DEI MONARCOMA-<br />
CHI (XVI E XVII SECOLO)”. Il colloquio,<br />
organizzato in collaborazione con il<br />
Centre de recherches politiques Raymond<br />
Aron, si è invece tenuto a Parigi,<br />
all’EHESS, il 17 e il 18 giugno 1994<br />
sul tema: “SOVRANITÀ E GOVERNO: JEAN<br />
BODIN E I TEORICI DELLA RAGION DI STATO”.<br />
Il progetto di ricerca, diretto, dal 1988, da<br />
Yves Charles Zarka, riunisce ricercatori<br />
francesi e stranieri di differenti discipline<br />
attorno a un intento iniziale di traduzione<br />
in lingua francese delle opere complete di<br />
Hobbes. Pubblicate presso le edizioni Vrin<br />
di Parigi, le opere già tradotte sono, a<br />
tutt’oggi, quattro: Béhémoth (tr. franc. di<br />
Luc Borot) e Dialogue des Common Laws<br />
(tr. franc. di Lucien e Paulette Carrive),<br />
editi nel 1990; De la liberté et de la nécessité<br />
e Hérésie et histoire (tr. franc. di F.<br />
Lessay), pubblicati nel 1993. In mancanza<br />
di un’edizione completa nella lingua originale,<br />
e a causa delle lacune della maggior<br />
parte delle edizioni parziali, tali traduzioni<br />
forniscono un strumento di lavoro<br />
indispensabile per tutti i ricercatori che<br />
s’interessano a Hobbes, grazie anche, in<br />
particolare, a un’accurato apparato critico<br />
che permette di reperire e di correggere le<br />
imperfezioni delle edizioni dei testi originali.<br />
Quanto alla presentazione, ogni volume<br />
comporta un’introduzione storica relativa<br />
all’opera e al suo contesto, un apparato<br />
critico comprensivo delle differenti lezioni<br />
delle edizioni dell’epoca e delle divergenze<br />
fra queste e i manoscritti stessi.<br />
Non mancano inoltre precise annotazioni<br />
storiche, un quadro delle corrispondenze<br />
fra la traduzione francese e altre edizioni<br />
36<br />
del testo originale, glossari e indici analitici.<br />
Quest’ampia impresa si avvale della<br />
stretta collaborazione fra filosofi, anglicisti<br />
e latinisti e proseguirà nel 1995 con la<br />
pubblicazione di Questions concernant la<br />
liberté, la nécessité et le hasard (tr. franc.<br />
di L. Foisneau e di F. Perronin) e di Eléments<br />
de la loi (tr. franc. di M. Triomphe).<br />
La traduzione delle opere di Hobbes non è<br />
un progetto isolato, bensì è accompagnato<br />
da una serie di ricerche strettamente connesse<br />
e che si aprono a compasso sul<br />
pensiero politico moderno. A questo scopo,<br />
Zarka ha costruito una rete europea di<br />
ricerche congiunte sulla filosofia moderna.<br />
Solo per L’Italia, numerose sono le<br />
collaborazioni con il Centro di studi del<br />
pensiero filosofico del XVI e del XVII del<br />
CNR di Milano (direttore: Guido Canziani),<br />
con l’Istituto Luigi Firpo di Torino<br />
(direttore: Enzo Baldini), con il Dipartimento<br />
di Filsofia - Progetto bilaterale CNR<br />
di Pisa (direttore: Onofrio Nicastro), con<br />
l’unità di ricerca su “Ragione di Stato:<br />
teoria e storiografia” del CNR di Trento<br />
(direttore: Diego Quaglioni).<br />
Uno degli interessi maggiori di questo<br />
gruppo di ricerca è lo studio dei fondamenti<br />
metafisici dell’etica e della politica del<br />
XVII secolo. L’idea iniziale di Zarka è<br />
stata quella di estendere all’insieme del<br />
secolo il metodo di ricerca utilizzato ne La<br />
décision métaphysique de Hobbes. Conditions<br />
de la politique (La decisione metafisica<br />
di Hobbes. Condizioni della politica,<br />
1987), che intendeva riattivare il senso<br />
della problematica etico-politica, inscrivendola<br />
nel contesto dottrinale in cui appare,<br />
e nel valutare gli spostamenti (o i<br />
prolungamenti) che tale problematica provoca<br />
nel preciso ambito concettuale che<br />
prende avvio con la tarda scolastica e si<br />
sviluppa pienamente nel XVII secolo. Tale<br />
approccio metodologico lasciava emergere<br />
una storia filosofica della filosofia, capace<br />
di mettere in luce i presupposti teorici<br />
di un’opera, inquadrandola nel contesto di<br />
elaborazione dei maggiori concetti dell’etica<br />
e della politica moderne e mettendo<br />
in evidenza il peso teorico degli spostamenti<br />
terminologici e concettuali, presenti<br />
in questa o in quell’opera.<br />
Tra i progetti di seminario organizzati in<br />
questi ultimi anni dal gruppo di ricerca,<br />
l’anno 1989-1990 fu consacrato alle ricerche<br />
sulla lessicografia hobbesiana, che confluirono<br />
nella pubblicazione del volume<br />
collettivo: Hobbes et son vocabulaire<br />
(Hobbes e il suo vocabolario, 1992). Nel<br />
1990-1991, l’attenzione si rivolse all’analisi<br />
delle complesse relazioni fra Locke e<br />
Hobbes (alcuni risultati furono pubblicati<br />
nel n. 37/1993 della rivista «Philosophie»).<br />
Nell’anno 1991-1992, al centro delle ricerche<br />
fu il tema della ragione di Stato, che<br />
diede origine al volume: Raison et déraison<br />
d’Etat. Nel 1992-1993, nuovo impulso<br />
è stato dato all’analisi della storia dei<br />
sistemi, attraverso un’indagine sulle fonti<br />
scolastiche della filosofia morale e politi-
ca del XVII secolo, con l’intento di ricostruire<br />
nessi teorici comuni tra tradizioni<br />
apparentemente estranee. Una parte di<br />
questo lavoro di ricerca sarà pubblicato<br />
nel 1995, nel volume: Aspects de la pensée<br />
médiévale dans la philosophie politique<br />
moderne (Aspetti del pensiero medievale<br />
nella filosofia politica moderna).<br />
Il seminario dell’anno 1993-1994, dal titolo:<br />
“Jean Bodin: natura, storia, diritto e<br />
politica”, ha inteso raccogliere i risultati<br />
più recenti della ricerca sul pensiero di<br />
Bodin. Marie-Dominique Couzinet ha<br />
proposto una ridefinizione dell’idea di<br />
metodo alla luce della cultura filosofica<br />
della fine del secolo XVI, richiamando in<br />
particolare l’attenzione sul sapere geografico<br />
nel pensiero di Bodin. John Salmon<br />
si è occupato principalmente dell’eredità<br />
di Bodin in Inghilterra e in Germania;<br />
mentre Claude-Gilbert Dubois ha messo<br />
in relazione il concetto di nazione di Bodin<br />
con la cultura dell’epoca, confrontando<br />
l’immagine “nazionalista” di Bodin con la<br />
realtà della nazione francese. Gérard<br />
Mairet si è interrogato invece sul fondamento<br />
metafisico della sovranità ne Les<br />
six livres de la république (I sei libri della<br />
repubblica). Tra le altre comunicazioni,<br />
Vincenzo Piano Mortinari si è occupato<br />
di Bodin come giureconsulto; François<br />
Berriot ha analizzato il concetto di natura<br />
in uno scritto poco conosciuto, Le Théâtre<br />
de la nature universelle (Il teatro della<br />
natura universale); Pierre Magnard ha<br />
proposto una lettura delle teorie religiose<br />
di Bodin e Nicole Jacques-Chaquin ha<br />
sottolineato l’importanza del problema<br />
della stregoneria.<br />
Due giornate di studio e un colloquio hanno<br />
arricchito e sviluppato la ricerca sviluppata<br />
nel seminario. Il colloquio: “Sovranità<br />
e governo: Jean Bodin e i teorici della<br />
ragion di Stato”, ha messo in luce i legami<br />
tra la teoria bodiniana della sovranità e le<br />
teorie della ragion di Stato, tanto francesi,<br />
quanto tedesche che italiane, che ripresero<br />
una quantità notevole di concetti e di posizioni<br />
di Bodin, considerato, al pari di Aristotele<br />
e di Machiavelli, una fonte perenne<br />
di elaborazione teorica. La distinzione bodiniana<br />
tra Stato e governo è apparsa infatti<br />
come una condizione della razionalizzazione<br />
delle pratiche di governo, sviluppata<br />
dalle dottrine della ragione di Stato, anche<br />
se una delle principali preoccupazioni di<br />
Bodin era di fondare una teoria giuridica<br />
dello Stato, mentre la corrente dottrinale<br />
della ragion di Stato considerava l’azione<br />
politica in termini di deroga alla legge<br />
comune o al diritto comune.<br />
Simone Goyard-Fabre ha richiamato l’attenzione<br />
sullo statuto giuridico del magistrato,<br />
insistendo sulle connessioni fra politica<br />
e giurisprudenza. Diego Quaglioni<br />
si è occupato dell’edizione latina de La<br />
République (1586), soffermandosi, in particolare,<br />
sull’espressione: Imperandi ratio,<br />
che nell’edizione latina traduce gouvernement<br />
et administration con il nuovo<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
significato di moyen d’exercer la souveranité.<br />
Nella teoria bodiniana della sovranità<br />
e dei suoi limiti, secondo Quaglioni, bisogna<br />
ricercare la “radice ideologica” della<br />
ragion di Stato. Marie-Dominique Couzinet<br />
ha analizzato la ripresa, da parte di<br />
Bodin, della teoria machiavellica della<br />
conservazione dello Stato, dimostrando<br />
come Bodin tenti di fare di questa teoria<br />
una scienza che, concepita sul modello<br />
della medicina, riposa sulla conoscenza<br />
del naturale dei popoli e delle cause naturali<br />
delle trasformazioni delle repubbliche<br />
(conversiones rerum publicarum).<br />
Il rapporto fra obbedienza politica e obbligazione<br />
giuridica è stato al centro dell’intervento<br />
di Gianfranco Borrelli, il quale<br />
ha affermato come i teorici della ragion di<br />
Stato, Botero in particolare, oppongano<br />
alla teoria bodiniana d’una sovranità assoluta<br />
e impersonale una teoria delle tecniche<br />
politiche in grado di disciplinare i<br />
soggetti. Silvio Suppa ha voluto mettere<br />
in rapporto la riflessione sulla sovranità di<br />
Machiavelli e di Bodin all’interno del<br />
processo più generale di formazione della<br />
ragione moderna, seguendo la linea di ricerca<br />
di Horkheimer. Alberto Tenenti ha<br />
insistito sulla diversità delle concezioni<br />
della ragion di Stato nelle differenti città<br />
italiane nella seconda metà del XVI. Enzo<br />
Baldini ha sottolineato l’importanza dei<br />
primi scritti di Bodin, De regia sapientia<br />
(1583) e Dispregio del mondo (1584), e ha<br />
attirato l’attenzione sui primi critici italiani<br />
contrari alle teorie di Bodin, come Botero,<br />
Minucci e Innocenzo IX, ricordando<br />
il ruolo del cardinale Facchinetti come<br />
ispiratore dei principali scritti anti-machiavellici<br />
e anti-bodiniani in Italia intorno<br />
al 1588. Michel Senellart, ha presentato<br />
un’analisi della ricezione di Bodin presso<br />
i teorici tedeschi della prudenza civile<br />
del XVII. Yves Charles Zarka ha concluso<br />
il colloquio con un’accurata riflessione<br />
sulle nozioni di Stato e di governo in<br />
Bodin e nei teorici della ragion di Stato,<br />
mettendo a fuoco tre livelli di rapporto:<br />
tra sovranità e deroga; tra Stato e governo;<br />
tra conservazione dello Stato e prudenza<br />
politica.<br />
Quanto alle due giornate di studio, nella<br />
prima, dal titolo: “Teologia e politica in<br />
Hobbes”, G. A. J. Rogers si è occupato del<br />
rapporto fra legge naturale e legge morale,<br />
dimostrando come la teoria delle leggi di<br />
natura sia suscettibile d’una doppia lettura,<br />
secolare e religiosa, dove quest’ultima<br />
si giustifica soprattutto per la preoccupazione,<br />
manifestata da Hobbes, di tener<br />
conto della cultura religiosa dei suoi contemporanei.<br />
Martine Pécharmann, intervenendo<br />
sui rapporti fra logica e teologia,<br />
ha messo in evidenza i fondamenti e le<br />
difficoltà in Hobbes di pensare la prova<br />
dell’esistenza di Dio. Luc Foisneau, facendo<br />
riferimento alla riflessione hobbesiana<br />
sui fondamenti dell’obbedienza civile,<br />
ha analizzato la teoria secondo cui la<br />
mortalità naturale degli uomini procede<br />
37<br />
dalla volontà divina, sottolineando come il<br />
“mortalismo”, che Hobbes condivide con<br />
lo scrittore Milton, acquista nel suo sistema<br />
un significato filosofico importante.<br />
Infine, Tom Sorell ha dimostrato che se<br />
Hobbes non elimina Dio, lo relega comunque<br />
ai confini del suo sistema.<br />
Nella seconda giornata di studio, “Dalla<br />
resistenza alla rivolta: la politica dei monarcomachi<br />
(XVI e XVII secolo)”, Arlette<br />
Jouanna ha proposto un’interpretazione<br />
storica della questione del dovere della<br />
rivolta, a partire da un’analisi della funzione<br />
del contratto, inteso come principio di<br />
legittimazione della resistenza politica.<br />
Marie-France Renoux-Zagamé ha presentato<br />
i grandi temi della teologia politica<br />
della Lega, sottolineando la difficoltà<br />
d’unificare un pensiero indissolubilmente<br />
legato al contesto polemico delle guerre di<br />
religione. Paulette Carrive si è occupata<br />
in particolare di Georges Buchanan, mentre<br />
Jean Fabien Spitz si è interessato al<br />
rapporto fra Locke e i monarcomachi, nel<br />
quadro di una storia delle origini della<br />
moderna filosofia politica in una prospettiva<br />
meno continuista di quella proposta<br />
da Skinner.<br />
I lavori del gruppo di ricerca su Hobbes<br />
proseguiranno quest’anno (1994-1995) con<br />
una riflessione sul pensiero di Grotius (per<br />
informazioni: GDR O988, “Recherches<br />
sur Hobbes et sur la philosophie éthique et<br />
politique du XVII siècle”, 7 rue Guy Mocquet,<br />
BP n°8, 94801 Villejuif cedex). L.F.<br />
Su Marx e il marxismo<br />
Il volume CARLO MARX: È TEMPO DI UN<br />
BILANCIO, a cura di Paolo Sylos Labini<br />
(introd. di G. Becattini, Laterza, Roma-<br />
Bari 1994), raccoglie scritti di autori<br />
tra economia e filosofia, che in alcuni<br />
casi tracciano un’analisi decisamente<br />
negativa della dottrina marxista, in<br />
altri la rivalutano, riconoscendo al<br />
marxismo forti meriti sia in campo<br />
ideologico, che economico. Un confronto<br />
tra Comte e Marx sul tema del<br />
progresso come fenomeno socio-politico<br />
e scientifico è sviluppato da Giovanni<br />
Magistrale in NEUTRALIZZAZIONE -<br />
SPOLITICIZZAZIONE - IPERPOLITICIZZAZIONE<br />
(Schena, Fasano di Brindisi 1994).<br />
Il volume curato da Paolo Sylos Labini,<br />
Carlo Marx: è tempo di un bilancio, è<br />
frutto del dibattito, svoltosi tra il ’91 e il<br />
’93 sulla rivista di Pietro Calamandrei, «Il<br />
Ponte», circa la validità del sistema marxista,<br />
dando adito a posizioni anche molto<br />
critiche nei confronti delle concezioni economiche<br />
e dei presupposti ideologico-culturali<br />
elaborati da Marx. Sylos Labini<br />
considera il marxismo responsabile, da un<br />
lato, dell’avanzare del fascismo, dall’altro<br />
della dittatura e dello sfruttamento di clas-
se; le responsabilità si accentuano, secondo<br />
Sylos Labini, in tema di conflitto di<br />
classe, inteso da Marx come il motore<br />
della storia. Per tali motivi Sylos Labini<br />
ritiene necessario dissociarsi dalla dottrina<br />
economica ed etica marxista, che a suo<br />
parere ha favorito l’inserimento di elementi<br />
di corruzione nei partiti comunisti,<br />
determinando il fallimento economicosociale<br />
e ideologico.<br />
Di pareri opposti sono Siro Lombardini e<br />
Giorgio Lunghini, che ritengono il Marx<br />
economista ancora un punto di riferimento<br />
utile, che non può essere ignorato, dal<br />
momento che le concezioni del marxismo<br />
restano ancora a fondamento di ideologie<br />
che rivestono un ruolo di rilievo nella<br />
dinamica politica internazionale. La grandezza<br />
di Marx, sostengono i due autori, sta<br />
nell’aver preso come oggetto di indagine<br />
non il denaro, la merce, l’alienazione, lo<br />
sfruttamento, il lavoro, ma le forme che<br />
queste categorie assumono nel modo capitalistico<br />
di produzione. Lombardini, in<br />
particolare, rivaluta l’utopia marxiana nella<br />
realizzazione di una società democratica a<br />
partire da una riflessione sul ruolo degli<br />
emarginati, attribuendo meriti, in tal senso,<br />
sia al Marx economista, che al Marx<br />
ideologo. Lunghini opera invece un confronto<br />
tra Marx e il marxismo, osservando<br />
che la rivoluzione di cui il marxismo si è<br />
fatto portavoce non coincide con quella<br />
voluta da Marx, a cui viene riconosciuto il<br />
merito di essere stato critico nei confronti<br />
di un utopismo “marxista”.<br />
Anche Bruno Jossa non condivide la<br />
critica di Marx come responsabile teorico<br />
del socialismo e dello stalinismo, sollevata<br />
da Sylos Labini. Che Marx abbia<br />
commesso grossi errori di valutazione,<br />
osserva Jossa, è innegabile; ma è altrettanto<br />
innegabile che egli abbia impostato<br />
nel giusto modo il problema di una<br />
trasformazione dei rapporti di produzione<br />
in ambito economico: da questo non<br />
si può prescindere nel fare un bilancio<br />
critico su Marx e le sue teorie.<br />
Nel contesto di riflessione sulla validità<br />
attuale della teoria marxiana, un interessante<br />
spunto è offerto da Giovanni Magistrale,<br />
che in Neutralizzazione - Spoliticizzazione<br />
- Iperpoliticizzazione mette<br />
a confronto le teorie di Comte e Marx<br />
riguardo alla questione del progresso.<br />
La teoria di Comte, osserva Magistrale,<br />
cerca di coniugare scienza (ordine) e<br />
progresso, di fondare un ordine sociale<br />
sulla base del progresso; ordine dinamico,<br />
evolutivo, che garantisce stabilità<br />
senza escludere il cambiamento. Ciò che<br />
Comte rifiuta del progresso è il riduzionismo<br />
matematico-biologico, legato ad<br />
una ragione pianificatrice; per Comte la<br />
storia della società (e quindi anche il<br />
progresso) è dominata dalla storia dello<br />
spirito umano, che non segue un processo<br />
cumulativo ma, un cammino pluralistico,<br />
evoluzionistico.<br />
Comte ritiene di poter confidare nel pro-<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
gresso; ma solo in un progresso che vada<br />
contro le leggi del potere e che difenda la<br />
consapevolezza del carattere trasformatore<br />
della realtà, che è imprevedibile e che<br />
non può essere sottoposta ad una forzata<br />
coerenza logica. Ciò che piuttosto si verifica<br />
è un’alternarsi di egoismo e di altruismo,<br />
che conduce ad un equilibrio di forze<br />
e di posizioni.<br />
Di parere più drastico è Marx che, secondo<br />
Magistrale, attacca la teoria del progresso,<br />
attribuendole inconsistenza; il progresso,<br />
come lo hanno designato i suoi<br />
sostenitori e fondatori, per Marx risulta<br />
astratto, irrealizzabile, dal momento in cui<br />
nella realtà assistiamo a continui regressi e<br />
movimenti circolari. Differentemente da<br />
Comte, osserva Magistrale, Marx critica<br />
in modo evidente la dottrina del progresso,<br />
ma non formula alcun compromesso; l’unica<br />
progresso che prospetta è la lotta contro<br />
l’alienazione, contro la società alienata,<br />
che non permette alcun progresso, né scientifico,<br />
né umano. D.M.<br />
Sul pregiudizio morale<br />
e il diritto alla vita<br />
Tra i recenti studi in ambito etico che<br />
affrontano il problema del rapporto<br />
tra necessità biologica e legge morale<br />
si segnala il saggio di Annette Baier,<br />
già presidente dell’American Philosophical<br />
Association, MORAL PREJUDI-<br />
CES: ESSAYS ON ETHICS (Pregiudizi morali:<br />
saggi sull’etica, Harvard UP, Harvard<br />
1994), che rivendica spazio alle<br />
leggi biologiche nelle norme etiche e<br />
sprona ad affermare la professionalità<br />
di una filosofia “al femminile”. Le<br />
fa eco Ronald Dworkin, che in LIFE<br />
DOMINION: AN ARGUMENT ABOUT ABORTION<br />
AND EUTHANASIA (Il dominio della vita:<br />
discutendo di aborto ed eutanasia,<br />
HarperCollins, 1993) esamina dal punto<br />
di vista formale le spinose questioni<br />
del “diritto alla vita”.<br />
La tendenza di molti studiosi di morale a<br />
sviluppare una meta-teoria etica della natura<br />
dell’obbligazione morale, definisce<br />
quella linea platonico-kantiana, secondo<br />
la quale, osserva Annette Baier, «essere<br />
persona “non” è essere nato uomo o donna,<br />
ma piuttosto non essere nati affatto; anzi,<br />
germogliare da qualche fertile campo noumenico,<br />
completamente formati ed educati».<br />
Da ciò consegue una visione antinaturalistica<br />
della ipseità umana, astratta<br />
ed astorica.<br />
Muovendo dalla critica ai due capisaldi<br />
della filosofia moderna, il cogito cartesiano<br />
e la kantiana volontà noumenica, Baier<br />
sostiene che la tanto declamata indipendenza<br />
dalle circostanze, la ricerca di incondizionalità<br />
e di rigore sono i prodotti<br />
tipici di una cultura patriarcale. Di contro,<br />
38<br />
Baier preferisce considerare il soggetto<br />
morale innanzitutto come organismo biologico,<br />
alla stregua di quanto affermato già<br />
da Darwin e sviluppato nelle loro teorie<br />
morali da Dewey e MacIntyre. Lo sforzo<br />
di Baier, tuttavia, non consiste solo nel<br />
riconoscimento della dignità della donna<br />
di fronte alla legge morale, né nella semplice<br />
difesa delle reciproche differenze<br />
sessuali. Al centro della sua argomentazione<br />
vi è la critica al concetto di obbligazione,<br />
così come viene codificato dalla<br />
tradizione. «Se il dovere di educare con<br />
amore i propri figli - afferma Baier - venisse<br />
aggiunto alla lista delle obbligazioni<br />
morali, la maggior parte delle teorie della<br />
giustificazione degli obblighi cadrebbe in<br />
contraddizione». È infatti assurdo ipotizzare<br />
“il dovere di amare”, come se si trattasse<br />
di una necessità, dato che il “dovrei”<br />
implica il “posso”. Da ciò Baier conclude<br />
che «dalla morale liberale non può discendere<br />
nessuna coerente guida», soprattutto<br />
su questioni come la guerra, l’aborto e i<br />
doveri materni.<br />
Sulla valutazione morale di problemi relativi<br />
alle cosiddette situazioni-limite della<br />
vita interviene Ronald Dworkin, nel suo<br />
Life’s Dominion, in cui il concetto di “diritto”<br />
viene invocato in difesa della vita,<br />
contro aborto ed eutanasia. A questo proprosito,<br />
Dworkin afferma che attribuire<br />
diritti a qualsiasi entità implica, da un lato,<br />
che la difesa dei diritti di un essere equivale<br />
a pronunciarsi sull’importanza di proteggere<br />
i suoi “interessi”; il che è possibile<br />
solo se si suppone l’esistenza di una forma<br />
di “coscienza”, la qual cosa, tuttavia, non<br />
sarebbe sostenibile nel caso dei feti. D’altro<br />
lato, osserva Dworkin, si possono<br />
legittimamente supporre e difendere i<br />
diritti umani anche nelle situazioni-limite<br />
solo se si riconosce l’intrinseco<br />
valore della vita.<br />
Per quanto riguarda l’argomento del valore,<br />
fa notare Dworkin, la vita umana rappresenta<br />
due differenti tipi di processi creativi.<br />
Dal punto di vista naturale, la vita<br />
stessa nasconde qualcosa di miracoloso<br />
con il suo fiorire e crescere da una dotazione<br />
genetica. D’altro canto, dal punto di<br />
vista della consapevolezza, la vita rappresenta<br />
«non solo un esempio biologico, ma<br />
un nuovo inizio per la cultura e l’individualità,<br />
un’opportunità per creare inediti<br />
significati nel mondo». In tal senso<br />
Dworkin ritiene che i disaccordi sul tema<br />
dell’aborto e dell’eutanasia possano essere<br />
riletti alla luce delle profonde divergenze<br />
circa l’importanza morale di queste due<br />
dimensioni nella valutazione intrinseca<br />
delle vite umane. A.A.
˘Spet: ermeneutica ed estetica<br />
La traduzione quasi contemporanea<br />
in lingua tedesca e italiana di due<br />
importanti testi del filosofo russo<br />
Gustav G. Spet, ˘ allievo di Husserl, che<br />
diffuse e sviluppò in modo originale la<br />
fenomenologia nel suo paese, rende<br />
per la prima volta accessibile al pubblico<br />
dell’Europa occidentale il pensiero<br />
di uno dei più interessanti filosofi<br />
russi del nostro secolo. Mentre in<br />
Germania viene pubblicato lo studio<br />
di Spet: ˘ DIE HERMENEUTIK UND IHRE PRO-<br />
BLEME (L’ermeneutica e i suoi problemi,<br />
a cura di Alexander Haardt e Roland<br />
Daube-Schackat, trad. ted. dal<br />
russo di E. Freiberger e A. Haardt,<br />
Alber, Friburgo-Monaco di Baviera<br />
1993), in Italia giunge a termine, con<br />
la pubblicazione del saggio: MOMENTI<br />
ESTETICI NELLA STRUTTURA DELLA PAROLA<br />
(trad. it. di E. Klein, in «Kamen’. Rivista<br />
di poesia e filosofia», n. 4, dicembre<br />
1993), la traduzione dei FRAMMENTI<br />
DI ESTETICA, in cui Spet ˘ sviluppa i principi<br />
della propria analisi ermeneutica<br />
e fenomenologica del segno nell’ambito<br />
dell’estetica e dello studio della<br />
letteratura.<br />
Nato a Kiev nel 1879, Gustav G. Spet ˘<br />
conclude i propri studi universitari con la<br />
dissertazione Il problema della causalità<br />
in Hume e Kant. Dopo la Rivoluzione<br />
d’Ottobre, diventa docente di Filosofia<br />
nell’Università di Mosca, ove fonda un<br />
centro di studi di “psicologia etnica”, ed<br />
entra a far parte del “Circolo linguistico di<br />
Mosca”, uno dei centri principali del formalismo<br />
russo. Escluso dall’Università per<br />
motivi politici nel 1923, Spet ˘ si concentra<br />
sulla propria attività di vicepresidente dell’Accademia<br />
di stato delle scienze dell’arte,<br />
dalla quale viene però estromesso nel<br />
1929. Da questo momento si guadagna da<br />
vivere come pubblicista e traduttore: a lui<br />
si devono le versioni russe di opere di<br />
Dickens, Byron e Shakespeare e della Fenomenologia<br />
dello spirito di Hegel, terminata<br />
nel 1937, ma pubblicata solo nel 1959.<br />
Arrestato nel 1935 con l’accusa di “attività<br />
anti-sovietiche”, viene confinato a Jenisejsk<br />
e a Tomsk. Di nuovo arrestato nel-<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
l’ottobre 1937, viene ucciso dalla polizia<br />
segreta staliniana il 16 novembre dello<br />
stesso anno.<br />
Come nel caso di altri pensatori russi di<br />
questo secolo (N. Berdjaev, S. Bulgakov,<br />
S. L. Frank), anche il pensiero di Spet ˘<br />
conosce, sotto l’influsso del neo-kantismo,<br />
una transizione “da Marx a Kant”. La<br />
svolta decisiva viene però a seguito dell’incontro<br />
di Spet ˘ con la fenomenologia di<br />
Husserl, risalente ad un viaggio di studio<br />
in Europa occidentale negli anni 1912-13,<br />
durante il quale frequenta a Gottinga le<br />
lezioni di Husserl, e in particolare un seminario<br />
su “Natura e spirito”. Sotto l’influsso<br />
della fenomenologia di Husserl, nel<br />
1914 Spet ˘ scriverà Fenomeno e senso.<br />
Nella fenomenologia Spet ˘ individua una<br />
scienza filosofica fondamentale che, riprendendo<br />
e superando il motivo gnoseologico<br />
delle correnti scettiche, empiristiche<br />
e kantiane, tematizza l’ambito ontologico<br />
della coscienza e lo pone in relazione<br />
alle altre forme dell’essere. In generale, si<br />
può dire che Spet ˘ sviluppa in modo originale<br />
la fenomenologia husserliana in due<br />
direzioni: estende l’analisi costitutiva (in<br />
senso fenomenologico) agli atti di coscienza<br />
e alle formazioni segniche in cui si<br />
realizza il fenomeno del comprendere; considera<br />
la realtà, che è oggetto della filosofia,<br />
come realtà storico-sociale. Seguendo<br />
queste due direzioni di indagine egli giunge<br />
così a un’integrazione tra fenomenologia,<br />
ermeneutica e semiotica e a sviluppare<br />
le indagini husserliane di Ideen II relative<br />
alla costituzione del mondo storico e culturale<br />
(personalistico), riprendendo la distinzione<br />
di Dilthey tra scienze della natura<br />
e scienze dello spirito e la teoria diltheyana<br />
del comprendere.<br />
Questi temi costituiscono il filo conduttore<br />
dello studio Die Hermeneutik und ihre<br />
Probleme, composto nel 1918, ma rimasto<br />
inedito e pubblicato in russo solo tra il<br />
1989 e il 1992, a cura di A. Mitjukin, nella<br />
rivista «Kontekst». Nella sua analisi dei<br />
problemi dell’ermeneutica, Spet ˘ muove<br />
dallo studio di Dilthey, Die Entstehung<br />
der Hermeneutik, ma prende in considerazione<br />
uno spettro storico e teorico più<br />
ampio, che comprende, oltre alla teoria<br />
ermeneutica dello stesso Dilthey espressa<br />
nel saggio del 1910, Der Aufbau der ge-<br />
39<br />
schichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften<br />
(La costruzione del mondo storico<br />
nelle scienze dello spirito), autori classici<br />
nella storia dell’ermeneutica come<br />
Ernesti, Ast, Schleiermacher, la teoria del<br />
comprendere di Boeckh, la metodologia<br />
della storia di Droysen, e, relativamente al<br />
rapporto tra ermeneutica, psicologia e<br />
scienze sociali, le posizioni di autori come<br />
Steinthal, Spranger, Simmel. La possibilità<br />
di superare quelli che gli sembrano i<br />
limiti psicologistici della concezione del<br />
comprendere, Spet ˘ la individua nel saggio<br />
del 1910 dello stesso Dilthey, ove la comprensione<br />
di un prodotto del mondo della<br />
cultura non consiste nella riconduzione di<br />
tale prodotto (poesia, opera d’arte, sistema<br />
filosofico) all’esperienza vissuta del soggetto<br />
creatore, ma nella comprensione di<br />
una configurazione culturale dotata di una<br />
propria legalità e struttura.<br />
In Dilthey manca però, secondo Spet, ˘ una<br />
determinazione dell’essenza del comprendere<br />
in quanto fonte specifica di conoscenza<br />
delle scienze dell’uomo. Se ci si chiede<br />
in che modo le “oggettivazioni” del mondo<br />
spirituale possano venire interpretate in<br />
modo intersoggettivo e obbligante per i<br />
membri di una stessa comunità culturale, e<br />
se si è consapevoli del carattere segnico di<br />
tali oggettivazioni (arte, lingua, diritto<br />
ecc.), si pone allora la necessità di una<br />
chiarificazione della struttura del segno<br />
come oggetto e strumento dell’interpretazione.<br />
Per questo aspetto, Spet ˘<br />
si riferisce<br />
da una parte alla “Prima” delle Ricerche<br />
logiche di Husserl (“Espressione e significato”),<br />
dall’altra si ricollega alla tradizione<br />
razionalistica del secolo XVIII (G. Fr.<br />
Meier, C. Wolff), e determina la semiotica<br />
come disciplina ontologica, che si muove<br />
cioè al livello di un’ontologia formale.<br />
Questa stessa concezione si ritrova nei<br />
Frammenti estetici, dove leggiamo: «La<br />
teoria della parola come segno è un problema<br />
dell’ontologia formale o teoria dell’oggetto,<br />
nella sezione della semiotica».<br />
In questo testo del 1922, costituito da tre<br />
parti, intitolate rispettivamente: “Ripetizioni<br />
al momento giusto - Miscellanea”,<br />
“Ammonimenti al momento giusto” (queste<br />
due parti sono state pubblicate in «Kamen’»,<br />
n. 2, ottobre 1992, e n. 3, maggio<br />
1993) e “Momenti estetici nella struttura
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
Gustav G. Spet, ˘<br />
Georg Wilhelm Friedrich Hegel<br />
Wilhelm Dilthey, Edmund Husserl<br />
40
della parola”, Spet ˘ sviluppa le proprie analisi<br />
semiotiche, fenomenologiche ed ermeneutiche<br />
negli ambiti dello studio della<br />
letteratura e dell’estetica. Di particolare<br />
interesse il tentativo di determinare l’ambito<br />
dell’estetica in quanto “scienza dell’arte”,<br />
distinguendo fenomenologicamente<br />
l’approccio dell’estetica da quello della<br />
poetica e della critica, tema caro, nell’estetica<br />
italiana, a Dino Formaggio.<br />
A temi tipici della riflessione estetica contemporanea<br />
rinviano anche le riflessioni<br />
su “L’arte e la vita”, “Poesia e filosofia”,<br />
“Segni e stili”, reperibili nelle “Ripetizioni<br />
al momento giusto”. Le parti di questi<br />
Frammenti in cui Spet ˘ sviluppa le riflessioni<br />
di maggiore impegno sistematico nel<br />
senso di un’analisi fenomenologica della<br />
parola sono i saggi “La struttura della<br />
parola in usum aestheticae” (in “Ammonimenti<br />
al momento giusto”) e “Momenti<br />
estetici nella struttura della parola”.<br />
Nel suo saggio Hermeneutische Logik im<br />
Umfeld der Phänomenologie, pubblicato<br />
nel volume Erkenntnis des Erkannten. Zur<br />
Hermeneutik des 19. und 20. Jahrhunderts<br />
(Conoscenza del conosciuto. Sull’ermeneutica<br />
del XIX e XX secolo, 1990; trad.<br />
it. di A. Marini e G. Matteucci, di prossima<br />
pubblicazione presso l’editore F. Angeli<br />
di Milano) Frithjof Rodi ha messo in luce<br />
i rapporti tra la concezione semiotico-ermeneutico-fenomenologica<br />
di Spet ˘ e la<br />
tradizione diltheyana. Questi rapporti sono<br />
particolarmente significativi per quanto<br />
riguarda il concetto di “struttura” in Dilthey<br />
e nella sua scuola, dal momento che Spet ˘<br />
considera il mondo culturale come dotato<br />
di struttura, tanto che «si può dire che lo<br />
stesso “spirito” o la cultura sono strutturati».<br />
Da qui Spet ˘ sviluppa una fenomenologia<br />
della parola che intende metterne in<br />
luce i diversi momenti strutturali, le diverse<br />
stratificazioni di senso: dalla parola<br />
come dato sensibile alla dimensione del<br />
senso o significato, dalle funzioni “naturali”<br />
della parola (percezione di una voce<br />
identificata come voce umana ed esprimente<br />
la condizione psicofisica di una<br />
persona) alla sua dimensione comunicativa<br />
nell’appartenenza al mondo sociale e<br />
culturale. Particolarmente importante per<br />
la considerazione della parola come “fatto<br />
estetico” è la sua facoltà di essere veicolo<br />
di un “tono emozionale”.<br />
Su questa base, e distinguendo ulteriormente<br />
tra la “natura oggettiva” (comunicazione<br />
di un contenuto oggettivo di pensiero)<br />
e il “ruolo espressivo” della parola, Spet ˘<br />
analizza gli “elementi estetici” nella struttura<br />
della parola, intendendo con ciò «quegli<br />
elementi di una struttura creativa e oggettiva<br />
che sono legati all’emozione estetica<br />
(all’esperienza)». Egli giunge così a una<br />
determinazione dell’ambito dell’estetico<br />
che risulta non da definizioni preliminari, e<br />
dogmatiche, dell’oggetto estetico, ma da<br />
una descrizione immanente del piano dell’esperienza<br />
e da un’analisi-descrizione<br />
dell’uso estetico del linguaggio. M.M.<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
Etica e diritto in Fichte<br />
Il diritto e l’etica, considerate da<br />
Johann Gottlieb Fichte come discipline<br />
specifiche da dedurre direttamente<br />
dai principi della scienza, trovano<br />
la loro sistematizzazione in due<br />
opere, recentemente apparse in una<br />
nuova edizione italiana: DIRITTO NA-<br />
TURALE (a cura di L. Fonnesu, Laterza,<br />
Roma-Bari 1994) e SISTEMA DI ETICA (a<br />
cura di C. De Pascale, trad. it. di R.<br />
Cantoni, Laterza, Roma-Bari 1994).<br />
Oggetto di ripetuti studi da parte di<br />
Johann Gottlieb Fichte il diritto trova,<br />
nel Diritto naturale del 1896, la sua<br />
definitiva organizzazione. La struttura<br />
della legislazione verte ora su un presupposto<br />
soggettivo ed uno oggettivo<br />
che fondano e giustificano il diritto; il<br />
primo è dato dalla libertà dell’individuo,<br />
che, grazie all’amor di sé tende a salvaguardare<br />
la propria autonomia; il secondo<br />
è costituito dalla coesistenza di uomini<br />
liberi che, necessariamente, pongono<br />
in essere il diritto. In questo modo, ribaltando<br />
la struttura delle opere precedenti,<br />
in cui la morale costituiva il fondamento<br />
ontologico del diritto, Fichte separa le<br />
due dimensioni, conferendo loro un rapporto<br />
di accordo e insieme di indipendenza.<br />
Infatti, mentre la morale è formale,<br />
assoluta e incondizionata, il diritto ne<br />
costituisce il contenuto e dipende dalla<br />
scelta degli individui di vivere in comunità.<br />
In altre parole, se la morale costituisce<br />
una dimensione esistenziale e imprescindibile<br />
per l’individuo, il diritto<br />
dipende dalla scelta di vivere in uno<br />
Stato e quindi può essere accolto, o non<br />
esserlo, senza inficiare il valore della<br />
morale. Le due discipline, in questo<br />
modo, vengono rese autonome, in quanto<br />
la libertà dell’individuo costituisce la<br />
condizione di possibilità del diritto, ma<br />
non ne esaurisce i contenuti.<br />
Il Diritto naturale è diviso in due parti,<br />
la prima si occupa della struttura dello<br />
Stato, mentre la seconda del diritto applicato.<br />
La genesi dello Stato, secondo<br />
Fichte, dipende dalla decisione degli individui<br />
di costituire delle forme di coercizione<br />
e sanzione, radicate nell’istituzione<br />
statale. Per salvaguardare la propria<br />
libertà individuale, gli uomini devono<br />
necessariamente porre limitazioni<br />
alla loro coesistenza, decidendo liberamente<br />
di organizzarsi in ordinamento<br />
statale e darsi delle leggi. La forma di<br />
governo prediletta da Fichte non contempla<br />
la tripartizione dei poteri, che,<br />
per questioni di funzionalità e responsabilità,<br />
devono essere assegnati, in toto,<br />
al potere esecutivo. La garanzia di giustizia<br />
e democrazia, secondo Fichte, è<br />
data, in primo luogo, dall’eforato, un’assemblea<br />
rappresentativa con diritto di<br />
veto, e in secondo luogo, dalla possibilità,<br />
in casi estremi, di sollevazioni popo-<br />
41<br />
lari, che metterebbero fine a qualunque<br />
tentativo di dispotismo. Nella seconda<br />
parte, Fichte tratta le questioni del diritto<br />
applicato, in particolare del diritto di<br />
proprietà, salvaguardato in ogni sua forma:<br />
il diritto-dovere di tutti i cittadini al<br />
lavoro; la divisione in classi; il dovere<br />
dello stato di assistere i cittadini più<br />
bisognosi; e, infine, la necessità di uno<br />
stato di polizia che sorvegli e protegga la<br />
totalità dei cittadini.<br />
Scritto e pubblicato nel 1798, il Sistema<br />
di etica, trattando della libertà nei suoi<br />
fondamenti ontologici e teoretici, costituisce<br />
il completamento ideale del diritto<br />
applicato, che si occupava della libertà<br />
dell’individuo all’interno della comunità.<br />
Fedele alla sua impostazione di<br />
fondo, Fichte deduce la libertà da un<br />
principio originario che lo ponga in essere.<br />
Così, se il fondamento della Dottrina<br />
della scienza consisteva nell’Egoità e<br />
quindi nell’unità originaria dell’Io, quest’ultimo<br />
necessita ora di un facoltà primitiva<br />
e superiore alla conoscenza, in<br />
grado di darle forma. L’intuizione intellettuale,<br />
infatti, determina l’Io esclusivamente<br />
come facoltà conoscitiva e, per<br />
questo, non esaurisce le sue potenzialità.<br />
Vi è allora, secondo Fichte, una spinta<br />
originaria (Urtrieb) che, prima della divisione<br />
tra conoscenza e volontà e dell’opposizione<br />
tra soggetto e oggetto,<br />
determina il porsi dell’Io come assoluta<br />
libertà morale.<br />
Seguendo il procedere dell’Io, Fichte<br />
colloca l’etica dei doveri nel momento<br />
in cui l’opposizione del Non-Io di fronte<br />
all’Io genera la corporeità e la natura.<br />
L’applicazione dei doveri nasce così con<br />
la consapevolezza, da parte dell’Io, del<br />
proprio Sé, che costituisce la volontà<br />
determinata. La morale, in tal modo, si<br />
manifesta come l’autocoscienza dell’azione<br />
che si fa legge e diventa rigore<br />
solo in rapporto a se stessi. L’etica dei<br />
doveri, in altre parole, nasce in relazione<br />
all’io empirico, inteso come opposizione<br />
tra pensiero e corporeità, tra Io e Non<br />
-Io e, ribadisce Fichte, si distingue dal<br />
diritto, relativo esclusivamente alla convivenza<br />
dei diversi Io empirici in una<br />
società.<br />
Nonostante la presenza di elementi di<br />
vicinanza con la concezione di Kant, la<br />
morale kantiana è rigidamente formale e<br />
incondizionata, mentre quella fichtiana<br />
si risolve nelle azioni morali, che riguardano<br />
più da vicino l’Io empirico. Fichte,<br />
infatti, oltre a parlare di doveri universali,<br />
vicini all’etica kantiana, descrive accuratamente<br />
quelli pratici che riguardano,<br />
tra le altre situazioni, il diritto di<br />
famiglia, che comprende quello tra coniugi<br />
e quello tra genitori e figli, il dovere<br />
del dotto, dell’educatore morale e dell’artista<br />
e il dovere di diffondere e promuovere<br />
la moralità. A.S.
Heidegger di fronte a Hegel<br />
Nella ricostruzione dell’itinerario filosofico<br />
di Martin Heidegger, la pubblicazione<br />
di due scritti inediti, ora<br />
raccolti con altri nel volume della<br />
«Gesamtausgabe» dal titolo: HEGEL<br />
(vol. 68, Klostermann, Francoforte<br />
1993), rappresenta senza dubbio una<br />
tappa importante. Nei due testi, che<br />
si presentano come una raccolta di<br />
appunti di lavoro degli anni 1938-39,<br />
Heidegger analizza minuziosamente<br />
l’intrinseca logica del sistema hegeliano,<br />
individuando nel concetto<br />
di “negatività” e di “esperienza” i<br />
momenti centrali del suo confronto<br />
con Hegel.<br />
L’itinerario del pensiero di Martin<br />
Heidegger è segnato, con accentuazioni e<br />
valenze diverse, dal confronto con Hegel.<br />
Lo stesso riferimento a Hegel, che conclude<br />
la dissertazione su Duns Scoto del 1915,<br />
è quasi un’indicazione programmatica dalla<br />
quale, pur con oscillazioni di tono e<br />
valenze diverse, Heidegger non si discosterà.<br />
Tuttavia, nei testi di Heidegger finora<br />
pubblicati, Hegel non ha mai lo spessore<br />
e la ricchezza delle articolazioni con cui,<br />
ad esempio, Heidegger fa agire nella propria<br />
costellazione speculativa l’opera di<br />
Nietzsche. Per questo motivo risulta ancor<br />
più significativo quest’ultimo volume della<br />
«Gesamtausgabe» dedicato a Hegel, in<br />
cui figurano due saggi che mostrano come<br />
Heidegger si sia di fatto direttamente confrontato<br />
con l’intrinseca logica della filosofia<br />
hegeliana.<br />
L’annotazione di Heidegger del 1938-39,<br />
che definisce il primo dei due scritti come<br />
Abhandlung, è in qualche modo fuorviante;<br />
si tratta, in realtà, di una raccolta di<br />
appunti di lavoro fortemente legati ai Beiträge<br />
zur Philosophie (Vom Ereignis)<br />
(Contributi alla filosofia (Dell’evento)).<br />
Proprio da questi appunti appare chiaramente<br />
come il confronto con Hegel sia<br />
stata sofferto e difficile e come lo stesso<br />
Heidegger ne fosse consapevole. In questo<br />
scritto, il punto di partenza di Heidegger<br />
consiste nella ricerca di un momento determinante<br />
del sistema filosofico hegeliano<br />
che sia in grado di «sottrarsi all’esigenza<br />
di integrazione del sistema in quanto lo<br />
rende possibile». La chiave del confronto<br />
Heidegger la coglie nel concetto di “negatività”<br />
(Negativität) come fondamento<br />
della dialettica costitutiva della vita dello<br />
Spirito. In sostanza Heidegger prende<br />
Hegel alla lettera quando afferma che<br />
«l’unità di pensiero e cosa appartiene alla<br />
negatività» e cioè che la realtà concreta si<br />
mostra proprio quando l’autosussistenza<br />
della cosa viene negata. Per Hegel, infatti,<br />
il pensiero e la cosa divengono concreti<br />
grazie al movimento del pensiero che si<br />
separa dalla cosa pensata solo per tornare<br />
a negare tale divisione; per Heidegger «la<br />
concreta realtà del pensiero e della cosa<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
viene dalla negatività». Che questa affermazione<br />
sia sottilmente provocatoria, risulta<br />
chiaramente dal fatto che per Hegel<br />
la realtà concreta è l’Assoluto: parlando<br />
della negatività come “energia” (Energie)<br />
dell’assoluto, Heidegger non sostiene nulla<br />
che Hegel stesso, per ragioni fondamentali,<br />
non avrebbe potuto dire; ma allo stesso<br />
tempo pone il pensiero di Hegel sotto<br />
tutt’altra luce. Se Hegel aveva inteso l’Assoluto<br />
come in sé chiuso, come motilità<br />
pacificata, per Heidegger si tratta della<br />
«vita in sé chiusa perché unitariamente<br />
plasmata dalla negatività».<br />
Nel secondo scritto, del 1938-39, il confronto<br />
con Hegel è basato sul concetto di<br />
“esperienza” e si presenta come un’anticipazione<br />
di Hegels Begriff der Erfahrung<br />
(Il concetto hegeliano di esperienza), del<br />
1942, pubblicato nella raccolta Holzwege<br />
(1950). Rispetto allo scritto del ’42, dove<br />
il tono della discussione condotta da<br />
Heidegger sull’ Introduzione alla Fenomenologia<br />
dello spirito è pacato e distaccato,<br />
in queste pagine d’appunti ci rendiamo<br />
conto fino a che punto Heidegger fosse<br />
colpito dal pensiero hegeliano. Il metodo<br />
dell’analisi è quello della Destruktion:<br />
demolire le determinazioni concettuali e<br />
gli “indurimenti” della teoria, per rendere<br />
vivo il pensiero, nella consapevolezza dei<br />
limiti intrinseci di questo metodo distruttivo<br />
(decostruttivo). Nello scritto concernente<br />
il concetti di negatività Heidegger<br />
afferma che l’esperienza originaria del<br />
pensare non può essere conservata, intendendo<br />
che ogni esperienza è più ricca della<br />
possibilità della sua stessa articolazione.<br />
Allo stesso tempo, però, il tradurre in parola<br />
l’inesplicato o l’inindagato di un pensiero<br />
ha per Heidegger il significato di un<br />
“ricominciare”, di un retrocedere verso<br />
l’inizio, che ricorda le parole di Hegel<br />
nella Wissenschaft der Logik (Scienza della<br />
logica): «l’andare innanzi è un retrocedere<br />
nel fondo, all’originario e a ciò che ha<br />
verità». Ma è forse proprio in questo che<br />
consiste la maggiore distanza di Heidegger<br />
da Hegel.<br />
Per Heidegger nuovo inizio significa oltrepassamento<br />
(Überwindung) della metafisica,<br />
un appropriarsi di ciò che ancora<br />
non è stato pensato in quello che è già stato<br />
pensato. Un tornare a ciò che è stato a<br />
partire da ciò che è a-venire. Come è noto<br />
questo ritorno del nuovo inizio nel primo<br />
comporta una rifondazione della storia della<br />
filosofia che prende le distanze da quella<br />
hegeliana che connette la storia della filosofia<br />
all’ “idea” come autocoscienza assoluta.<br />
Tuttavia al di là delle conseguenze<br />
teorico della “decostruzione”, Heidegger<br />
è d’accordo con Hegel nel considerare<br />
l’esperienza intrinseca alla coscienza, nell’affermarne<br />
cioè il carattere storico.<br />
Heidegger però vuole mostrare come Hegel<br />
abbia in un certo senso «addomesticato la<br />
rischiosa esperienza del pensare», deducendo<br />
formalmente il momento negativo<br />
più che farlo concretamente sperimentare<br />
42<br />
dalla coscienza. Nell’affermare che: «l’Assoluto<br />
è già in sé e per sé presso di noi e<br />
vuole essere presso di noi», Hegel rivelerebbe<br />
il suo intento principale di rinviarci<br />
a quel rapporto con l’Assoluto in cui già<br />
sempre ci troviamo.<br />
Malgrado l’insistenza con cui Heidegger<br />
si misura con Hegel, il confronto tra i due,<br />
come testimonia Heidegger in una lettera a<br />
Gadamer del 2 dicembre 1971, resta aperto:<br />
«Io stesso non so ancora abbastanza<br />
chiaramente come debba essere definita la<br />
mia posizione rispetto a Hegel. Come posizione<br />
opposta sarebbe troppo poco [...].<br />
Ripetutamente mi sono opposto al discorso<br />
del “crollo” del sistema hegeliano. Crollato,<br />
cioè decaduto è ciò che seguì - Nietzsche<br />
compreso». M.C.<br />
Heidegger<br />
nella biografia di Safranski<br />
Un’ampia biografia su Martin<br />
Heidegger è oggi giunta in Germania<br />
già alla sua terza edizione: si tratta<br />
dell’opera di Rüdiger Safranski, EIN<br />
MEISTER AUS DEUTSCHLAND. HEIDEGGER UND<br />
SEINE ZEIT, (Hanser, Monaco di Baviera<br />
1994). Safranski non è filosofo, né<br />
storico della filosofia, ma giornalista<br />
con spiccate attitudini filosofiche e<br />
dotato di una particolare abilità nel<br />
ricostruire gli ambienti e i quadri storici<br />
nei quali hanno vissuto e operato<br />
grandi pensatori. Tra le documentazioni<br />
a cui Safranski fa riferimento<br />
figura in particolare la monografia di<br />
Elzbieta Ettinger dal titolo: HANNAH<br />
ARENDT - MARTIN HEIDEGGER. EINE GESCHI-<br />
CHTE (München 1994) che ricostruendo<br />
la vicenda del legame tra<br />
Heidegger e Arendt, fornisce al contempo<br />
un resoconto del carteggio<br />
intercorso tra i due.<br />
«L’Università è noiosa. Gli studenti sono<br />
mediocri, senza particolari stimoli, e poiché<br />
mi occupo molto del problema della<br />
negatività, ho qui la migliore occasione<br />
per studiare il modo in cui il nulla si<br />
presenta». Così scriveva Martin<br />
Heidegger nel 1926 all’amico Karl<br />
Jaspers, al quale lo legavano un comune<br />
atteggiamento critico nei confronti della<br />
filosofia universitaria e una comune volontà<br />
di rinnovare radicalmente la pratica<br />
del domandare filosofico. Un anno dopo la<br />
noia è passata. Essere e tempo, la sua opera<br />
capitale, è apparsa. Heidegger, ormai trentottenne<br />
è diventato famoso e nel 1928<br />
viene chiamato all’Università di Friburgo<br />
quale successore del proprio maestro Edmund<br />
Husserl. Nel ’33 Heidegger diventa<br />
rettore dell’Università di Friburgo e<br />
tenta di cavalcare il movimento nazionalsocialista.<br />
A Jaspers viene invece impartito<br />
il divieto di insegnamento, es-
sendo sposato con una donna ebrea. Fu<br />
la rottura tra i due.<br />
“Heidegger e il proprio tempo”: questo<br />
potrebbe essere il titolo che meglio di ogni<br />
altro esprime lo sforzo biografico di Rüdiger<br />
Safranski: la sua biografia offre una<br />
ricostruzione plastica delle vicende storiche<br />
e dell’ambiente in cui Heidegger visse<br />
e operò. Certo, Heidegger ha sempre teso<br />
a minimizzare gli aspetti biografici della<br />
propria opera. Ma Safranski ha saputo<br />
rendere in modo esemplare tutto ciò che<br />
attualmente è possibile sapere sulla biografia<br />
di Heidegger, connettendolo in modo<br />
organico sia con la ricostruzione dell’ambiente<br />
storico, sia con l’evoluzione teorica<br />
del pensiero dell’essere. In verità Safranski,<br />
a cui si deve già una fortunata biografia<br />
su Schopenhauer (1987), non conduce<br />
in prima persona ricerche storiche, ma<br />
utilizza piuttosto materiali già disponibili,<br />
in particolare le ricerche di Hugo Ott o<br />
anche di Victor Farias. La sua incomparabile<br />
superiorità espositiva e capacità di<br />
scrittura gli consentono tuttavia di fornire<br />
un quadro molto più persuasivo, come<br />
dimostra, in particolare, il modo in cui<br />
Safranski illustra il rapporto di Heidegger<br />
con il nazionalsocialismo e il ruolo che<br />
ebbe nella sua vita la relazione d’amore<br />
con Hannah Arendt.<br />
Per quanto riguarda il primo aspetto, Safranski<br />
svolge in tutta la sua complessità<br />
l’intreccio che lega alcuni elementi del<br />
pensiero heideggeriano ad altrettante componenti<br />
dell’ideologia nazionalsocialista,<br />
mettendo in guardia, tuttavia, dall’interpretare<br />
semplicisticamente il pensiero heideggeriano<br />
in chiave esclusivamente politica.<br />
Ma è riguardo al secondo aspetto che<br />
Safranski ottiene il massimo effetto: sfruttando<br />
la descrizione del carteggio (ancora<br />
inedito) tra Heidegger e Arendt ad opera di<br />
Elzbieta Ettinger in Hannah Arendt -<br />
Martin Heidegger. Eine Geschichte, in cui<br />
si parla di una vera e propria storia d’amore<br />
durata fino alla fine, Safranski presenta<br />
tale relazione come una sorta di filo<br />
rosso che attraversa la vita di Heidegger<br />
e dal quale, a lungo, il destino di<br />
Heidegger sembrò dipendere, non sapendo<br />
egli recidere tale relazione con<br />
una autentica decisione.<br />
Da quando Heidegger fu colpito e fatalmente<br />
attratto dalla giovane Arendt che,<br />
vestita di un verde sgargiante, fece la sua<br />
comparsa nel seminario di filosofia, fu<br />
preso da una passione profonda, pienamente<br />
corrisposta, senza la quale, come<br />
egli stesso ebbe a confessare, non avrebbe<br />
mai scritto Essere e tempo. Fu la passione<br />
di una vita, che i due furono però costretti<br />
a vivere clandestinamente - come se non<br />
fosse mai esistita. Quando nel 1960 Arendt<br />
ebbe tra le mani, fresca di stampa, la<br />
versione tedesca di Vita activa, sul frontespizio<br />
della prima copia scrisse questa<br />
dedica a Heidegger: «De vita activa. Mi<br />
risparmio la dedica. Come potrei dedicare<br />
questo libro a te, mio intimo, cui sono e<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
non sono rimasta sempre fedele, e in entrambi<br />
i casi amandoti», aggiungendo, nella<br />
lettera di accompagnamento, che quel libro<br />
non sarebbe mai nato «senza quel che<br />
da te ho imparato in gioventù».<br />
Su questo punto il lavoro di Safranski<br />
presenta forse le maggiori novità e notevoli<br />
motivi di interesse, anche se la sua esposizione<br />
dei fatti non mancherà di far discutere.<br />
In ogni caso, la biografia di Safranski<br />
riesce a restituirci intensi momenti della<br />
vita e del pensiero di Heidegger, dalla<br />
prima formazione e il primo insegnamento<br />
a Friburgo, attraverso l’assiduo e produttivo<br />
periodo di Marburgo, al secondo insegnamento<br />
a Friburgo fino all’ultima fase;<br />
dall’interdizione all’insegnamento dopo<br />
la guerra fino agli anni della grande risonanza<br />
internazionale. E.C.<br />
Leibniz e la teodicea<br />
Questioni di ordine esistenziale e religioso<br />
sono al centro dei SAGGI DI TEODI-<br />
CEA (a cura di V. Mathieu, San Paolo,<br />
Cinisello Balsamo 1994) di Gottfried<br />
Wilhelm Leibniz, in cui vengono affrontate<br />
questioni relative all’esistenza<br />
del male, alla libertà dell’uomo e<br />
alla bontà di Dio.<br />
Rifacendosi, in parte, all’edizione italiana<br />
del 1973, la nuova traduzione dei Saggi di<br />
Teodicea, a cura di Vittorio Mathieu,<br />
riporta alla luce uno dei cardini essenziali<br />
del pensiero di Gottfried Wilhelm<br />
Leibniz. Il volume raccoglie tre saggi, che<br />
affrontano, come recita il sottotitolo, il<br />
problema della bontà di Dio, della libertà<br />
dell’uomo e dell’origine del male, ai quali<br />
seguono tre appendici, che trattano le principali<br />
obiezioni e difficoltà suscitate dai<br />
problemi trattati. L’occasione del volume,<br />
introdotto da una lunga prefazione di carattere<br />
religioso sulla infinità e bontà di<br />
Dio, consiste nella risposta alle questioni<br />
suscitate da Pierre Bayle, avversario di<br />
sempre di Leibniz, che pone, sistematicamente,<br />
i problemi della Teodicea.<br />
La prima questione è quella della creazione<br />
del mondo; di fronte all’infinità dei<br />
mondi possibili presenti, di fronte a Dio<br />
nel momento della genesi, la scelta è stata<br />
sempre fatta secondo un criterio eticomorale.<br />
Animato da bontà e perfezione<br />
infinite, infatti, Dio, assolutamente libero<br />
nella sua scelta, ha deciso per il migliore<br />
dei mondi possibili, che, in questo modo,<br />
passa dal piano dell’essenza dei possibili a<br />
quello dell’esistenza dei reali. Grazie a<br />
questa dicotomia tra essenza ed esistenza,<br />
Leibniz risolve le difficoltà relative alla<br />
nozione di “incompossibilità”. Se, infatti,<br />
sul piano delle essenze, gli infiniti mondi<br />
coesistono nella loro molteplicità e differenza,<br />
questo non accade sul piano fattuale,<br />
dove l’esistenza dell’uno è incompossi-<br />
43<br />
bile a quella di un altro suo contrario.<br />
Lo stesso argomento risolve anche gli altri<br />
due problemi, la libertà dell’uomo e la<br />
presenza del male. Per quanto riguarda il<br />
primo, Leibniz ricorda che la perfezione di<br />
Dio, costituito da monadi infinite, determina<br />
anche la totale conoscenza della possibilità<br />
degli eventi passati, presenti e futuri<br />
del mondo. Questo toglie, apparentemente,<br />
libertà all’uomo, che sembra appartenere<br />
ad un destino precostituito. In<br />
effetti, poiché l’imperfezione dell’essere<br />
umano si manifesta, secondo Leibniz, nella<br />
sua incapacità di conoscere totalmente<br />
gli eventi sul piano reale, l’uomo è assolutamente<br />
libero di scegliere sul piano esistenziale,<br />
e dei fatti, ma non lo è sul piano<br />
delle essenze, già disposte da Dio secondo<br />
l’armonia prestabilita. L’uomo, insomma,<br />
è libero di scegliere quello che, al momento<br />
della creazione, è già stato scelto da Dio.<br />
Analogamente si giustifica per Leibniz il<br />
problema del male. La perfezione delle<br />
essenze, presenti nella mente di Dio, decade<br />
al momento del passaggio all’esistenza.<br />
Il nostro mondo, anche se “il migliore di<br />
quelli possibili”, è pur sempre finito e il<br />
nostro sguardo su di esso è pur sempre<br />
limitato. Il male metafisico è allora giustificato<br />
dalla nostra incapacità di comprenderlo<br />
su di un piano che, per costituzione,<br />
è imperfetto. In altri scritti, tuttavia, non<br />
mancano, da parte di Leibniz, giustificazioni<br />
di tipo estetico - come quella secondo<br />
cui il male esiste solo per darci la<br />
possibilità di comprendere il bene - che qui<br />
non sono prese, però, in considerazione.<br />
Sebbene le tre soluzioni adottate da Leibniz<br />
sembrano risolvere ogni dubbio, esistono<br />
difficoltà, di ordine più esistenziale, che<br />
logico, che non trovano una soluzione. Ad<br />
esempio l’aporia di fondo, insita nel concetto<br />
di “migliore dei mondi possibili”, per<br />
cui un qualcosa di finito è posto come<br />
“migliore” in senso assoluto. Inoltre, Dio<br />
è libero di scegliere quale possibilità rendere<br />
esistente, ma non lo è altrettanto rispetto<br />
alle possibilità stesse che gli si presentano<br />
di fronte, indipendentemente dalla<br />
sua volontà. Infine, se il criterio di scelta<br />
adottato da Dio è quello morale e se ha<br />
scelto il migliore dei mondi possibili, allora<br />
la scelta non è stata fatta in assoluta<br />
libertà. In altre parole, essendo il nostro<br />
già il migliore dei mondi, Dio, nel crearlo,<br />
si è “limitato” a sceglierlo.<br />
Leibniz non risolve queste aporie che,<br />
secondo Mathieu, dipendono dalla decisione<br />
del filosofo di porre Dio sul piano<br />
della scelta e non su quello della creazione.<br />
Determinando Dio come colui che<br />
decide tra infinite alternative, Leibniz<br />
concede razionalità e rigore alla monadologia,<br />
ma le sottrae quel margine di<br />
infinità che solo la creazione avrebbe<br />
potuto concederle. A.S.
Epistemologia<br />
ed empirismo logico<br />
E‘ apparsa la nuova edizione di un<br />
classico dell’epistemologia del Novecento,<br />
IL VALORE DELLA SCIENZA (trad. it. di<br />
F. Albèrgamo, rev. e introd. di G. Polizzi,<br />
La Nuova Italia, Firenze 1994), di<br />
Henri Poincaré, in cui la figura del filosofo<br />
e matematico emerge come svincolata<br />
dall’etichetta di “convenzionalista”<br />
e si proietta in direzione di un<br />
realismo strutturale all’interno di una<br />
prospettiva semi-razionalistica. Un’opportuna<br />
integrazione di questo ambito<br />
di pensiero è la raccolta di testi dal<br />
titolo: FILOSOFIA SCIENTIFICA ED EMPIRISMO<br />
LOGICO (a cura di G. Polizzi, Unicopli,<br />
Milano 1993), che riporta le relazioni<br />
tenute al I Congresso Internazionale<br />
di Filosofia scientifica di Parigi nel 1935,<br />
da cui si può ricavare, attraverso una<br />
intensa ricognizione storico-teoretica,<br />
le linee portanti del dibattito contemporaneo<br />
sull’empirismo logico.<br />
Le Ouvres di Henri Jules Poincaré sono<br />
oggi raccolte in 10 ponderosi volumi: nella<br />
produzione dell’«ultimo grande scienziato<br />
universale» - come affermava Jules Vuillemin<br />
- la profondità delle indagini si coniuga<br />
alla stupefacente varietà dei campi<br />
sondati, indice di una personalità leonardesca<br />
difficilmente riscontrabile nel panorama<br />
attuale. Come sottolinea Gaspare Polizzi<br />
nell’ampio saggio introduttivo, Henri<br />
Poincaré, tra matematica ed epistemologia,<br />
l’indagine di Poincaré, ne Il valore<br />
della scienza, opera del 1905, appare costantemente<br />
guidata da uno “stile” e da una<br />
“mente matematica” in grado di affrontare<br />
con lo spirito dell’epistemologo problematiche<br />
fondazionali relative tanto alla questione<br />
delle geometrie non-euclidee, quanto<br />
a quella della rigorizzazione dell’analisi<br />
e della assiomatizzazione dell’aritmetica.<br />
Matematico puro e di grande valore, Poincaré<br />
lo fu per tutta la vita: pubblicò la sua<br />
ultima memoria di carattere matematico -<br />
una soluzione di un teorema topologico<br />
connesso con il problema dei tre corpi - nel<br />
1912, a quattro mesi dalla morte. D’altra<br />
parte Poincaré inizia la riflessione sulla<br />
scienza già dal 1887, considerando i postulati<br />
geometrici quali ipotesi vagliate a seconda<br />
del grado di comodità e di pregnanza<br />
logica. Nonostante la poca consuetudine<br />
con il linguaggio filosofico, rilevata anche<br />
dal nipote Pierre Boutroux, nel saggio Sur<br />
les hypothèses fondamentales de la<br />
géométrie Poincaré sostiene il carattere<br />
convenzionale degli assiomi della geometria,<br />
che viene considerata un “ponte” tra<br />
matematica e fisica. Le successive ricerche,<br />
come gli studi di meccanica celeste,<br />
vengono guidate da un apparato matematico<br />
che affronta la realtà fisica, in base al<br />
presupposto che esiste sempre un’equazione<br />
differenziale in cui inserire le interrelazioni<br />
fenomeniche. In seguito, Poincaré<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
inizia a profondere contributi notevoli in<br />
direzione degli sviluppi della fisica relativistica<br />
e quantistica.<br />
Il valore della scienza riveste un’importanza<br />
fondazionale di assoluto rilievo. Nella<br />
prima sezione vengono analizzate le scienze<br />
matematiche, delle quali è affermata<br />
l’autonomia nei confronti della psicologia;<br />
da qui il primato della deduzione logica. La<br />
seconda sezione svolge riflessioni sulle<br />
scienze fisiche e sull’astronomia. Nella<br />
storia della fisica la visione atomista si<br />
oppone a quella infinitaria e continuista;<br />
Poincaré prevederà nel 1912 l’affermarsi<br />
della prima. I due saggi della terza ed<br />
ultima sezione delineano una filosofia generale<br />
della scienza.<br />
Dopo aver riassunto le posizioni convenzionaliste<br />
di Le Roy, Poincaré sviluppa<br />
una disamina dell’anti-intellettualismo,<br />
imputando a Le Roy di considerare l’intelligenza<br />
e il “discorso” quali agenti deformanti<br />
la realtà, e le leggi scientifiche quale<br />
valore puramente strumentale e utilitaristico.<br />
Per Poincaré, invece, le “regole d’azione”<br />
posseggono valore a partire dalla loro<br />
capacità previsionale. <strong>Nelle</strong> scienze fisiche,<br />
attraverso l’esperienza, si apportano<br />
determinate correzioni agli errori “accidentali”<br />
e “sistematici”; ugualmente in<br />
matematica, per verificare l’attendibilità di<br />
postulati o di teoremi non si ricorrerà alla<br />
testimonianza dei sensi e al ricordo di questa<br />
testimonianza, bensì all’intelletto. Il<br />
fatto scientifico, dal quale deriva la scienza,<br />
non è altro che il fatto “bruto” sperimentato,<br />
tradotto nel codice di un linguaggio<br />
(donde la sua “comodità”). A partire da qui<br />
vengono posti in luce i limiti del convenzionalismo<br />
mediante l’esame di esempi<br />
tratti dalla cinematica dei corpi solidi alla<br />
geometria, dalla meccanica alla fisica. La<br />
scienza è dunque un sistema di relazioni,<br />
una classificazione in cui va cercata l’oggettività,<br />
costituita dai rapporti fra gli enti.<br />
Gaspare Polizzi è anche il curatore del<br />
volume Filosofia scientifica ed empirismo<br />
logico che riporta, suddivisi in quattro gruppi<br />
- “Razionalismo empirico ed empirismo<br />
logico”, “Enciclopedia”, “Induzione e Logica”,<br />
“Matematiche e realtà” - saggi scelti<br />
tra gli Atti del Congresso di Parigi del<br />
1935. Polizzi rileva che il principale proposito<br />
del Congresso si presenta come tentativo<br />
di conferire all’empirismo logico lo<br />
statuto di una “filosofia scientifica”, contribuendo<br />
«in modo decisivo alla fondazione<br />
dell’epistemologia come disciplina autonoma».<br />
Tra gli interventi raccolti nel<br />
volume, Federigo Enriques ci introduce<br />
nel clima del positivismo suo contemporaneo,<br />
sollevando dubbi sulla filosofia empirica,<br />
ma anche sul logicismo, chiedendosi<br />
se la logica «è un’analisi delle operazioni<br />
del pensiero esatto o al contrario mira a<br />
relazioni che sono - in qualche maniera -<br />
fuori dal nostro spirito». Partendo invece<br />
da una ridefinizione teoretica di alcune<br />
istanze della fisica contemporanea, Hans<br />
Reichenbach, esponente del Circolo di<br />
44<br />
Berlino, si adopra in direzione di un annullamento<br />
dell’a priori sintetico nei giudizi<br />
scientifici mediante una riformulazione, in<br />
termini logico-matematici, del principio di<br />
induzione. La comunicazione di Rudolf<br />
Carnap concerne la fondazione di una<br />
“logica della scienza”, ovvero una rigorosa<br />
analisi logica del linguaggio scientifico.<br />
Per Carnap «la logica è il metodo di filosofare»<br />
e «filosofare vuol dire soltanto chiarire<br />
i concetti e gli enunciati della scienza<br />
mediante l’analisi logica» nel tentativo di<br />
eliminare residui psicologici dalla teoria<br />
della conoscenza. La relazione di Charles<br />
W. Morris è incentrata su una contaminazione<br />
tra pragmatismo, empirismo e formalismo.<br />
La semiotica determina l’essenza<br />
dei segni, mentre la filosofia «si occupa<br />
del confronto della critica e della proposta<br />
delle strutture linguistiche generali»: la<br />
“semiotica filosofica” è una “metascienza”,<br />
che saprà svelare le potenzialità conoscitive<br />
del linguaggio, per giungere al progetto<br />
enciclopedico di una lingua scientifica<br />
unificata.<br />
Con l’intervento di Otto Neurath si giunge<br />
alla ricapitolazione degli interrogativi,<br />
sollevati dai precedenti interventi, intorno<br />
alla possibilità di una scienza unificante.<br />
Allontanandosi da alcune posizioni del<br />
Circolo di Vienna e rifiutando sia la teoria<br />
wittgensteiniana del significato (possibilità<br />
del confronto fatti-proposizioni), sia la<br />
distinzione tra linguaggio scientifico e ordinario,<br />
Neurath giunge fino a negare la<br />
teoria semantica della verità. Particolarmente<br />
significativa appare la sua proposta<br />
di introdurre un linguaggio “fisicalistico”,<br />
visuale e non formalizzato, l’ISOTYPE<br />
(International System of Typographic<br />
Pictorial Education) in vista della costituzione<br />
di una “scienza totale”. In posizione<br />
divergente rispetto alla svolta logica di<br />
Carnap e al fisicalismo di Neurath, per il<br />
quale l’unica versione accettabile è quella<br />
che ribadisce il valore empirico, di linguaggio<br />
oggettivo, da attribuirsi al linguaggio<br />
fisico) si muove invece Moritz<br />
Schlick. Come sottolinea anche Ludovico<br />
Geymonat, che fu suo allievo, il realismo<br />
empirico di Schlick ben si inserisce nel<br />
panorama delle acquisizioni della fisica<br />
agli inizi del Novecento, ma, ricorda Polizzi,<br />
«appare difforme e “anacronistica”<br />
rispetto agli orientamenti logico-formali e<br />
alla proposta enciclopedica», e si colloca<br />
piuttosto accanto alle discussioni wittgensteiniane<br />
e alla tradizione gnoseologica<br />
kantiana. Va ricordato, infine, che l’uso<br />
del criterio di falsificazione di Karl Popper,<br />
attivo al Congresso parigino, fu causa<br />
di fraintendimenti nelle relazioni tra il<br />
filosofo e il Circolo di Vienna. A questo<br />
proposito Polizzi ripercorre gli esiti diversi<br />
che ebbero al Congresso, e hanno avuto<br />
fino ad oggi, il Tractatus logico-philosophicus<br />
di Ludwig Wittgenstein e la<br />
Logik der Forschung di Karl Popper: non<br />
si tratta, osserva Polizzi, di dare giudizi<br />
postumi, bensì di tracciare una “storia del-
l’epistemologia” che possa rispondere (anche)<br />
alle questioni cruciali del dibattito<br />
filosofico -scientifico contemporaneo in<br />
buona parte già così autorevolmente enucleate<br />
nelle tesi parigine. M.B.<br />
Per una storia filosofica<br />
dell’infinito<br />
Benché Jonas Cohn sia stato un riferimento<br />
importante e esplicito di pensatori<br />
della taglia di Cassirer e di Koyré,<br />
e più recentemente di Lévinas e Desanti,<br />
la sua opera sulla “storia dell’infinito”,<br />
del 1896, non è stata percorsa<br />
con l’attenzione che le conviene. L’edizione<br />
francese dell’opera di Cohn, che<br />
appare con il titolo: HISTOIRE DE L’INFINI<br />
(Storia dell’infinito, a cura di J. Seidengart,<br />
Cerf, Parigi 1994), ha il duplice<br />
merito di colmare un oblio e di<br />
presentare, accompagnata da un’erudita<br />
e accurata introduzione, un’opera<br />
il cui carattere “attempato” non pregiudica<br />
affatto la pertinenza e l’oculatezza<br />
della riflessione.<br />
Nell’Introduzione all’opera di Jonas Cohn,<br />
Histoire de l’infini, Jean Seidengart, che<br />
si occupa, in particolare, del rapporto fra<br />
filosofia e storia delle scienze attraverso il<br />
filtro della cosmologia, si prende cura non<br />
solo di riassumere e presentare i punti salienti<br />
dell’opera, ma anche di segnalare i<br />
momenti critici della riflessione, il carattere<br />
“datato” dell’impostazione, gli sviluppi<br />
successivi della teoria dell’infinito (in particolare<br />
della relatività), che Cohn non poteva<br />
ancora conoscere. Impariamo così a<br />
leggere e ad apprezzare un’opera, ancora<br />
oggi non superata per lo sguardo ampio che<br />
Cohn dispiega sul fenomeno dell’esperienza<br />
dell’infinito e non solo su questa o quella<br />
concezione dell’infinito.<br />
L’originale prospettiva di Cohn consiste<br />
nel voler tenere insieme, da un lato, lo<br />
studio delle diverse concezioni dell’infinito,<br />
le cui trasformazioni dipendono tanto<br />
da implicazioni logiche (contraddizioni delle<br />
teorie precedenti, paradossi e teoremi,<br />
ecc.), quanto da motivi alogici (mutamenti<br />
assiologici, visioni del mondo, ecc.), dall’altro,<br />
la visione unitaria dell’esperienza<br />
dell’infinito, visione al contempo nutrita<br />
da un approccio trascendentale (neokantiano)<br />
e al contempo antropologico. In tal<br />
senso, le analisi storiche di Cohn, certamente<br />
incomplete, ingombrate da pregiudizi,<br />
seguono il filo di una storia che è<br />
anche genesi di un’idea, di un’esperienza<br />
costitutiva del mondo. E‘ chiaro allora come<br />
per Cohn le contraddizioni inerenti all’idea<br />
d’infinito appartengano a due attitudini<br />
antropologiche costitutive e incompatibili<br />
dell’esperienza: il finitismo, l’esigenza di<br />
dare un contorno alle cose per conoscerle e<br />
“controllarle”, e l’infinitismo, l’impulso a<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
superare i limiti, il tropismo verso la continuità.<br />
Per questo, in Cohn, i problemi teorici<br />
connessi all’idea d’infinito catalizzano<br />
altri aspetti cruciali per il pensiero filosofico<br />
e scientifico: il rapporto fra continuo e<br />
discontinuo; la concezione del tempo e<br />
dello spazio; la riflessione sul mondo e<br />
sull’universo.<br />
In questa prospettiva di riflessione, si è<br />
tenuto all’Osservatorio di Parigi, dal 12 al<br />
16 settembre 1994, un importante convegno<br />
dal titolo: “Storia e attualità della cosmologia”,<br />
organizzato da un comitato<br />
scientifico composto da Pierre Léna, Jacques<br />
Merleau-Ponty, Jim Peebles, Jean-<br />
René Roy, Alain Segonds. F.M.Z.<br />
Detti e scritti da Foucault<br />
In occasione del decimo anniversario<br />
della morte di Paul-Michel Foucault<br />
una monumentale iniziativa editoriale<br />
getta luce nuova sulla sua opera. Si<br />
tratta di quattro volumi di DITS ET ECRI-<br />
TS (Detti e Scritti, a cura di D. Defert e<br />
F. Ewald, Gallimard, Parigi 1994), che<br />
raccolgono tutto quel che Foucault<br />
ha scritto al di fuori delle sue opere:<br />
articoli, interviste, prefazioni, interventi<br />
a tavole rotonde: un gigantesco<br />
caleidoscopio che consente di cogliere<br />
la diversità dei registri con cui<br />
Foucault ha condotto la sua attività<br />
intellettuale.<br />
«Nessuna pubblicazione postuma». Questa<br />
la volontà di Foucault espressa nel suo<br />
testamento e rispettata da Daniel Defert e<br />
François Ewald, che hanno raccolto le<br />
pagine foucaultiane rimaste esclude dalle<br />
sue opere. Michel Foucault, che più volte<br />
ha diagnosticato la fine di Dio e quindi<br />
dell’uomo, la fine della filosofia, la fine<br />
dell’autore e della sua propria opera, si<br />
preoccupa tuttavia di fissare dei limiti a<br />
quel che, suo malgrado, rimane come traccia<br />
indelebile dei suoi percorsi intellettuali<br />
ed esperenziali.<br />
Così, nelle 3556 pagine che compongono<br />
i quattro volumi di Dits et ecrits compaiono<br />
solo quegli scritti pubblicati da Foucault<br />
stesso e quelli a cui aveva comunque dato<br />
il suo assenso. Niente manoscritti trovati<br />
nei cassetti, dunque, né appunti personali,<br />
ma solo pezzi autografati già pubblicati.<br />
La portata innovativa dell’opera non risulta<br />
tuttavia pregiudicata; la sua novità sta<br />
innanzitutto nell’aver reso accessibili scritti<br />
introvabili - come la Prefazione Rêve et<br />
existance di Binswanger, l’articolo La situazione<br />
di Cuvier nella storia della biologia,<br />
la prima Prefazione alla Storia della<br />
follia - o comunque difficilmente reperibili;<br />
nell’aver restituito i mille volti di<br />
Foucault all’estero, rendendo disponibili<br />
in francese i testi scritti in altre lingue -<br />
come La verità e le forme giudiziarie e le<br />
45<br />
diverse interviste rilasciate soprattutto in<br />
Italia, Giappone, USA.<br />
In secondo luogo, questa operazione di<br />
raccolta crea un innegabile effetto postumo:<br />
l’inedito è costituito dalla coesistenza<br />
spaziale di una molteplicità di scritti sparsi<br />
(sono in tutto 364, pubblicati tra il 1954 e il<br />
1988) e dagli effetti che questa produce.<br />
Per orientarsi nella miriade di temi trattati<br />
(dalla psicologia alla letteratura, dalla stregoneria<br />
alla guerra iraniana, dal liberalismo<br />
all’arte erotica e all’amicizia) i curatori<br />
forniscono tre sussidi: una bio-cronologia,<br />
dove eventi privati si intrecciano con<br />
quelli pubblici nell’intento di cogliere uno<br />
stile di vita; cinque indici (dei nomi di<br />
persona, delle nozioni, delle opere di riferimento,<br />
dei nomi di luoghi, dei periodi storici);<br />
una bibliografia, resa esaustiva da un<br />
complément. L’edizione, molto accurata,<br />
risponde a un criterio di precisione: testi<br />
annotati disposti in ordine cronologico di<br />
pubblicazione; indicazioni di tutte le varianti<br />
e le correzioni; citazioni controllate e<br />
provviste di riferimento; ogni tomo riporta<br />
il sommario degli altri tre.<br />
Qualche perplessità sulla fedeltà di questa<br />
impresa editoriale alla volontà di Foucault<br />
potrebbe sorgere se si considera l’ “effetto<br />
d’opera” che essa induce: dovremmo chiederci<br />
se l’autore di Qu’est-ce qu’ un auteur?<br />
(Che cos’è un autore, testo redatto<br />
per una conferenza del 1969) l’avrebbe<br />
autorizzata nella sua pretesa di esaustività<br />
(non una riga di Foucault pubblicata a suo<br />
nome manca all’appello nella raccolta).<br />
D’altra parte l’effetto prodotto dai quattro<br />
volumi è anche quello di un continuo movimento:<br />
Foucault cambia continuamente<br />
volto, moltiplica incessantemente la sua<br />
identità: «Foucault - osserva François Ewald<br />
- amava indubbiamente questa dispersione,<br />
questa difficoltà di totalizzarlo, questa<br />
possibilità di sfuggire a ogni identità in cui<br />
lo si voleva rinchiudere”.<br />
Alcuni interventi di Foucault, presenti nei<br />
volumi, assumono poi la funzione di metatesto,<br />
utile a scongiurare il pericolo che il<br />
lettore colga come immobile, cristallizzato<br />
il senso di un qualsiasi scritto: «Io non<br />
sottoscrivo mai senza restrizioni quello<br />
che ho detto nei miei libri»; oppure: «I<br />
miei libri sono delle configurazioni aperte».<br />
Sulla “funzione” di queste righe disperse<br />
nell’economia del suo lavoro<br />
Foucault osservava che gli interventi in<br />
articoli o riviste «sono per lo più riflessioni<br />
su un libro finito che possono aiutarmi a<br />
definire un altro lavoro possibile. Sono<br />
spazi di impalcatura che possono servire<br />
da ponte tra un lavoro che sta per essere<br />
completato e un altro». Quel che Foucault<br />
considerava utile, può risultare comodo<br />
anche per il lettore, che può essere coinvolto<br />
nel lavoro di gestazione di testi già<br />
noti per far luce sulle diverse zone d’ombra<br />
di un Foucault ancora clandestino. Una<br />
sorta di commento alle sue opere che costituisce<br />
anche un’agevole introduzione per<br />
quanti non lo conoscono. A.M.
Razionalità e religione in Kant<br />
Il “primato della ragion pratica” è il<br />
fondamento comune di due opere di<br />
Immanuel Kant, che recentemente<br />
sono state oggetto di nuove edizioni.<br />
Si tratta de LA RELIGIONE ENTRO I LIMITI<br />
DELLA SOLA RAGIONE (trad. it. di A. Poggi,<br />
Laterza, Roma-Bari 1994), che si occupa<br />
del rapporto tra religione naturale e<br />
rivelata, e de IL CONFLITTO DELLE FACOLTÀ<br />
(trad. it. di D. Venturelli, Morcelliana,<br />
Brescia 1994), che studia le relazioni<br />
esistenti tra le diverse facoltà universitarie,<br />
tra cui la teologia e la filosofia.<br />
Pubblicata originariamente nel 1794, La<br />
religione entro i limiti della sola ragione è<br />
stata caratterizzata da un iter difficile. Il<br />
testo, che, pur non essendo una “critica”<br />
vera e propria, si colloca sulla scia della<br />
Critica del giudizio per l’analisi della fede<br />
riflettente, contiene quattro saggi che si<br />
occupano del male radicale esistente nel<br />
Immanuel Kant<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
mondo, della possibilità della ragione di<br />
affrontarlo, del ruolo del male nella società<br />
e dei rapporti tra Stato e religione. Il tratto<br />
comune a tutti i saggi consiste nella teorizzazione<br />
del rapporto esistente tra religione<br />
naturale e religione rivelata.<br />
Prendendo le mosse dalla struttura della<br />
morale e dalla sua autonomia, Kant sottolinea<br />
più volte che gli imperativi categorici<br />
traggono il loro valore e la loro universalità<br />
esclusivamente da se stessi. La morale razionale<br />
non necessita di un Sommo Bene come<br />
suo fondamento, che, al contrario, toglierebbe<br />
universalità al proprio valore. Ciò non<br />
esclude, comunque, che dalla morale derivi<br />
la necessità di una fede razionale che completi<br />
e dia il senso all’etica stessa. La religione<br />
diventa così il fine, a posteriori, della<br />
morale ed è connotata da una struttura esclusivamente<br />
razionale. Da qui deriva la celebre<br />
teoria dei due cerchi concentrici, di cui la<br />
religione naturale, o razionale, costituisce il<br />
cerchio interno, e quindi prioritario, proprio<br />
perché derivato dalla morale. Si tratta di una<br />
46<br />
religione universale e necessaria che esiste,<br />
propriamente, “entro i limiti della ragione”.<br />
Il cerchio esterno, che invece esce dai confini<br />
della ragione, è costituito dalla religione<br />
rivelata, che si manifesta empiricamente nelle<br />
religioni storiche ed è, per questo, contingente.<br />
In tal modo la Chiesa e la storicizzazione<br />
della religione sono considerati insufficienti<br />
per la realizzazione completa della<br />
razionalità etico-religiosa, che non si avvale,<br />
peraltro, neanche di una filosofia della storia,<br />
imperfetta e incapace di rispettare l’ideale<br />
razionale. Da qui le numerose critiche di<br />
cui è stata bersaglio l’interpretazione kantiana<br />
del cristianesimo, che pur essendo la<br />
sintesi che meglio ha saputo schematizzare<br />
la religione naturale, rimane pur sempre una<br />
fede e quindi una costruzione empirica.<br />
Considerato una palese aggressione alla<br />
religione cristiana, lo scritto di Kant, anche a<br />
seguito dell’intervento del Re di Prussia,<br />
Federico II, fu censurato, in quanto sminuiva<br />
le fede nei confronti della ragione, concepita<br />
come l’unico fondamento, universale e necessario,<br />
di tutti i campi dell’agire umano. La<br />
censura di Federico II e la relativa risposta di<br />
Kant, che, pur difendendo la sua impostazione,<br />
si dichiara il “primo suddito” del Re,<br />
costituiscono l’apertura de Il conflitto delle<br />
facoltà, che si occupa, ancora, del rapporto<br />
tra religione e razionalità.<br />
Le facoltà di cui qui parla Kant sono gli<br />
istituti universitari, che spesso si trovano in<br />
contrasto tra loro. In particolare Kant si<br />
occupa dei conflitti tra filosofia e teologia,<br />
filosofia e giurisprudenza e filosofia e medicina,<br />
che costituiscono gli argomenti trattati<br />
nei tre saggi contenuti nel volume. Il riferimento<br />
è alla distinzione, operata nel Medio<br />
Evo, tra facoltà superiori, teologia, medicina<br />
e giurisprudenza, e inferiori, la filosofia. A<br />
questa distinzione Kant oppone quella secondo<br />
cui la filosofia, intesa come la disciplina<br />
ad uso della ragione, costituisce il<br />
fondamento comune e universale di tutte le<br />
altre scienze. Il conflitto delle facoltà, diventa,<br />
in tal modo, fittizio proprio perché vinto<br />
da una facoltà superiore in grado di superare<br />
i particolarismi delle singole discipline. Ne<br />
risulta una sorta di platonismo, per cui la<br />
filosofia si assume l’onere e l’onore di guidare<br />
e di indirizzare anche, ad esempio, la<br />
politica e la religione.<br />
Nel secondo saggio emerge, di fatto, la completa<br />
superiorità della filosofia sulla politica,<br />
cui consegue un rifiuto della tradizione e<br />
dell’autorità, visti come manifestazioni storiche<br />
dei pregiudizi. Riprendendo i toni della<br />
Risposta alla domanda: “Che cos’è l’Illuminismo?”,<br />
Kant mostra come i particolarismi<br />
delle diverse discipline siano superabili esclusivamente<br />
dalla capacità razionale e umana<br />
di trovare un fine comune e ultimo, che dia<br />
senso all’esistenza. Appare dunque evidente<br />
come per Kant l’universalità della ragione<br />
non riguardi l’ambito conoscitivo: la rivoluzione<br />
copernicana costituisce una parte determinante<br />
della razionalità, ma non ne esaurisce<br />
i fini. La conoscenza del soggetto trascendentale,<br />
infatti, perde quella connota-
zione di sintesi universale, caratteristica<br />
della Critica della ragion pura, e viene<br />
limitata all’ambito gnoseologico e fenomenico.<br />
Spetta, allora, alla ragion pratica il<br />
compito di unificare il pluriprospettivismo<br />
delle diverse scienze, che senza un’unità di<br />
fondo rivelano conflitti e aporie. Il fondamento<br />
di libertà e verità, inteso come base<br />
della ragion pratica, costituisce quell’apertura<br />
universale in grado di dare senso all’uomo<br />
e alle sue attività. A.S.<br />
L’essenza del cristianesimo<br />
in Feuerbach<br />
Ne L’ESSENZA DEL CRISTIANESIMO, di cui<br />
oggi è finalmente disponibile l’edizione<br />
integrale italiana (a cura di F. Bazzani,<br />
trad. it. di F. Bazzani e D. Haibach,<br />
Ponte alle Grazie, Firenze 1994), si<br />
esprime l’antropologia filosofica di<br />
Ludwig Feuerbach, nel suo tentativo<br />
di rintracciare il fondamento della religione,<br />
in particolar modo della religione<br />
cristiana. Posta l’origine della religione<br />
nell’alienazione dell’essenza<br />
umana in quella divina, Feuerbach delinea<br />
la sua filosofia come ricostituzione<br />
delle capacità dell’uomo di riconoscere<br />
le qualità divine della sua stessa<br />
natura. Particolare interesse assume<br />
qui la religione cristiana con le sue<br />
contraddizioni, il suo nascosto desiderio<br />
di recuperare la fisicità mediante<br />
il mistero della reincarnazione.<br />
Ne L’essenza della religione l’argomentazione<br />
teorica di Ludwig Feuerbach è suddivisa<br />
in due sezioni. Nella prima sezione, più<br />
ampia e articolata, Feuerbach presenta le sue<br />
tesi sulla base di stringenti dimostrazioni.<br />
Tutto il suo discorso ruota intorno alla riduzione<br />
della religione e della teologia ad antropologia<br />
attraverso l’esame del significato<br />
dell’alienazione umana. Con la religione<br />
l’uomo si allontana da sé, esce da sé, alienando<br />
in Dio, in una realtà estranea, la propria<br />
essenza e quindi ponendo il problema della<br />
ricostituzione della propria identità. Le potenzialità<br />
umane vengono completamente<br />
dispiegate ed attualizzate in Dio, che assume<br />
perciò sembianze umane, rivelando il suo<br />
carattere di un Dio a misura d’uomo. Infatti,<br />
osserva Feuerbach, quando l’uomo descrive<br />
Dio si avvale delle caratteristiche<br />
della sua stessa natura, ampliandole all’infinito;<br />
Dio diventa un puro oggetto di pensiero,<br />
frutto unicamente dell’intelletto umano,<br />
che pensando se stesso si illude di<br />
pensare Dio, mentre rivela solo la coscienza<br />
che ha di se stesso.<br />
Il Dio che emerge dalle pagine di Feuerbach<br />
è il risultato di un progetto esistenziale umano,<br />
che attraverso gli attributi della provvidenza,<br />
della predestinazione, del miracolo,<br />
ha un unico obiettivo: l’uomo. Questo fine<br />
peculiare si evidenzia particolarmente nel<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
tema della salvezza, che è rivolta in modo<br />
privilegiato all’uomo che attraverso la fede<br />
religiosa mostra orgogliosamente i propri<br />
privilegi rispetto agli altri esseri viventi. E<br />
quando l’uomo, in silenzio, si rivolge a Dio<br />
con la preghiera, per Feuerbach non fa altro<br />
che dialogare con il proprio cuore, confidando<br />
nell’esaudimento dei suoi desideri. In<br />
quest’ottica, la fede in Dio risulta essere la più<br />
grande celebrazione della fede nell’uomo.<br />
Nel tentativo di dimostrare la propria validità<br />
razionale, fa notare Feuerbach, la religione<br />
si involge in una spirale di argomentazioni<br />
sofistiche che sono proprie della teologia<br />
razionale e che rivelano il loro carattere<br />
contraddittorio quando venga messa in rilievo<br />
l’essenza umana della religione. Così,<br />
una dopo l’altra, sotto le sferze concettuali di<br />
Feuerbach, cadono tutte le credenze religiose.<br />
Il segreto fondamento della creazione<br />
divina del mondo è l’autocoscienza umana;<br />
ugualmente, la causa del misticismo è rintracciabile<br />
nell’essenza umana che si trasfigura<br />
nell’essenza divina mediante la separa-<br />
47<br />
Ludwig Feuerbach<br />
zione dello spirito dal corpo. Per quanto<br />
riguarda l’immortalità umana, osserva ancora<br />
Feuerbach, l’uomo con essa non solo<br />
realizza uno dei suoi maggiori desideri, ma<br />
riacquista anche quella sua parte materiale<br />
dalla quale aspirava a distaccarsi in nome<br />
della fede religiosa, spirituale. Anche il dogma<br />
della trinità ha qui una sua spiegazione:<br />
l’essenza umana, pur nella sua unicità, è<br />
differenziata a causa della particolarità irripetibile<br />
di ogni individuo; la trinità non<br />
sarebbe altro che la rappresentazione sostanzializzata<br />
di questa ricchezza e varietà proprie<br />
dell’essenza umana.<br />
Nel suo intento di cogliere l’essenza della<br />
religione Feuerbach mostra la sua predilezione<br />
per il cristianesimo, che edificando un<br />
Dio più umano rispetto a quello di altre<br />
religioni, come quello freddo e distante, quasi<br />
inumano, della religione ebraica, rivela<br />
maggiormente le contraddizioni della religione<br />
stessa. La peculiarità del cristianesimo<br />
è costituita dalla figura di Cristo, che simboleggia<br />
il cuore liberato da tutti i legami e
quindi “l’onnipotenza della soggettività”.<br />
Nella figura di Cristo è posta l’esigenza,<br />
propria del Cristianesimo, del superamento<br />
della scissione dell’uomo. Una volta<br />
separatosi dalla sua essenza, alienandola in<br />
Dio, l’uomo avverte l’esigenza di recuperarla<br />
e quindi edifica il mistero della reincarnazione,<br />
che dunque costituisce un circolo<br />
vizioso: l’uomo, fattosi Dio, ritorna ad<br />
essere uomo.<br />
La filosofia di Feuerbach è volta a valorizzare<br />
l’uomo nel suo essere sensibile, concreto,<br />
lontano dall’ingannevole cielo spirituale della<br />
religione, mediante il recupero di tutte quelle<br />
qualità che aveva perduto. Si tratta quindi di<br />
un’antropologia che fa dell’uomo il Dio di se<br />
stesso, che riafferma la divinità nell’anima<br />
umana contro un Dio mistico, lontano dalle<br />
radici terrestri umane, un Dio immensamente<br />
distante, che rende l’uomo estraneo a se<br />
stesso. Quest’antropologia si ripropone di<br />
ricondurre Dio all’essenza umana, consentendo<br />
all’uomo di riappropriarsi della sua<br />
essenza alienata e recuperare così il suo<br />
valore divino. In questo Feuerbach si inserisce<br />
in quella linea di pensiero che si<br />
oppone alla riduzione dell’esistenza all’essenza,<br />
proponendo invece una valorizzazione<br />
dell’esistenza sensibile, quella che è<br />
attestata direttamente dalla concretezza dei<br />
sensi, che non può essere ricondotta ad un<br />
astratto oggetto di pensiero.<br />
La filosofia di Feuerbach è quindi celebrazione<br />
dell’esistenza umana, di quell’esistenza<br />
che assume significato solo nel rapporto<br />
con gli altri. Per Feuerbach, l’uomo prende<br />
coscienza di se stesso nel momento in cui<br />
prende coscienza degli altri uomini. In quest’ottica<br />
Feuerbach apprezza della religione<br />
cristiana l’attributo divino dell’amore, che<br />
per lui è solo amore per gli altri uomini,<br />
l’amore per l’umanità. Se la fede religiosa<br />
separa l’individuo dagli altri, dandogli l’illusione<br />
di un destino privilegiato, l’amore invece<br />
lo ricongiunge agli altri uomini. Riportando<br />
Dio a sé, l’uomo non fa altro che<br />
riconciliarsi con se stesso. M.Mi.<br />
Biografie nietzscheane<br />
La connessione tra vita e pensiero nell’opera<br />
di Friedrich Nietzsche è al centro di<br />
due recenti biografie: si tratta dell’opera<br />
di Joachim Köhler, NIETZSCHE. IL SEGRETO DI<br />
ZARATHUSTRA (trad. it. di P. Fontana, pref. di<br />
F. Minazzi, Rusconi, Milano 1994), che<br />
affronta la vita del filosofo da un punto di<br />
vista psicologico, e della raccolta autobiografica<br />
di scritti dello stesso Nietzsche,<br />
COME SI DIVENTA CIÒ CHE SI È (trad. it. di C.<br />
Buttazzi, introd. di C. Pozzoli, Rusconi,<br />
Milano 1994).<br />
La biografia di Joachim Köhler affronta la<br />
vita del filosofo tedesco in funzione della sua<br />
sessualità e psicologia. Come osserva Fabio<br />
Minazzi nella sua Prefazione, l’identità di<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
vita e pensiero, tanto esaltata da Nietzsche,<br />
comporta un’attenzione alla corporeità dell’uomo,<br />
che intende anche, e soprattutto,<br />
superare “fisicamente” se stesso. Per tale<br />
motivo Köhler rifiuta una lettura come quella<br />
di Heidegger, che vedeva in Nietzsche<br />
“una testa senza corpo”, e, al contrario, volge<br />
la sua attenzione all’animalità corporea del<br />
filosofo. Addentrandosi nella psiche del giovane<br />
Nietzsche, Köhler riscontra un complesso<br />
di Edipo esasperato al punto da manifestarsi,<br />
anche secondo le testimonianze di<br />
amici e studenti del filosofo, in una nascosta,<br />
e drammaticamente vissuta, omosessualità.<br />
Da un tale punto di vista, Köhler può spiegare<br />
diversi elementi teoretici che, finora, non<br />
avevano trovato una reale giustificazione.<br />
Ricordiamo, in tal senso, l’importanza della<br />
lettura da parte di Nietzsche della Metafisica<br />
della sessualità di Arthur Schopenhauer,<br />
che descriveva l’amore eterosessuale come<br />
la massima manifestazione dell’arbitrio e<br />
del dominio della voluntas sull’uomo. Il<br />
rifiuto di questo tipo di amore ha, secondo<br />
Köhler, condotto Nietzsche all’esaltazione<br />
di quell’unica forma di rapporto amoroso<br />
che, alternativamente, esclude la procreazione,<br />
e cioè l’omosessualità. Da un tale<br />
punto di vista, la vera colpa di Socrate,<br />
nella filosofia nietzscheana, consisterebbe<br />
infatti, osserva Köhler, nell’aver respinto il<br />
giovane Alcibiade, come si legge nel Simposio<br />
di Platone. In altre parole la rinuncia<br />
all’amore omosessuale avrebbe in seguito<br />
portato Socrate a commettere altre colpe,<br />
come la definitiva esclusione del dionisiaco<br />
dalla cultura greca, che, una volta privata<br />
del culto della pederastia, avrebbe iniziato<br />
la sua vera decadenza.<br />
Anche la raccolta autobiografica nietzscheana<br />
dal titolo: Come si diventa ciò che si è, si<br />
caratterizza per i continui richiami a vissuti<br />
e ad elementi biologico-corporei. Il volume<br />
comprende tre gruppi di scritti autobiografici,<br />
che narrano il guardarsi dal di dentro di<br />
Nietzsche in tre diversi momenti della propria<br />
vita. Il primo gruppo, “La mia vita”,<br />
raccoglie le pagine dei diari scritti dal 1856<br />
al 1869, quando il giovane Nietzsche, profondamente<br />
segnato dalla morte del padre, si<br />
affacciava alle soglie dell’età adulta. Il secondo<br />
gruppo, che risale al 1886, contiene le<br />
prefazioni agli scritti più famosi, ricche di<br />
elementi biografici e di vissuti. Chiude la<br />
raccolta “Ecce homo”, del 1888, l’autobiografia<br />
in cui Nietzsche, pochi mesi prima<br />
della pazzia, giustifica la stesura delle sue<br />
opere in funzione della propria esistenza.<br />
Così, una volta dichiarato il proprio compito,<br />
il rovesciamento degli idoli, il filosofo<br />
racconta quegli episodi che hanno inciso la<br />
sua vita al punto da essere trascinati nella<br />
sua produzione filosofica e letteraria. Emerge<br />
tra questi il sofferto rapporto con Richard<br />
Wagner: l’iniziale passione e l’identificazione<br />
del musicista con Dioniso e<br />
Zarathustra e la definitiva rottura, seguita<br />
dopo la stesura del Parsival che, dolorosamente,<br />
porta Nietzsche a definire l’amico<br />
di un tempo “rammollito”. A.S.<br />
48<br />
Lettere di Epicuro<br />
La pubblicazione delle LETTERE SULLA<br />
FISICA, SUL CIELO E SULLA FELICITÀ (trad. it.<br />
di N. Russello, Rizzoli, Milano 1994) di<br />
Epicuro offre una sintesi essenziale,<br />
ma non schematica, di una dottrina<br />
volta a definire un metodo scientifico<br />
basato sull’esperienza. I temi maggiormente<br />
trattati sono la fisica come<br />
scienza, l’astronomia e l’etica.<br />
Per comprendere queste Lettere di Epicuro<br />
occorre fare un salto indietro nella storia e<br />
calarsi nel contesto socio-culturale in cui<br />
Epicuro è vissuto. La dottrina di Epicuro<br />
rappresenta una vera innovazione; per la<br />
prima volta la fisica viene considerata come<br />
scienza autonoma. La prima lettera che<br />
Epicuro indirizza a Erodoto verte infatti su<br />
una concezione della fisica che riprendendo<br />
i principi dell’atomismo, si contrappone<br />
radicalmente agli esiti di un tutto ordinato<br />
del pensiero platonico, così come agli sviluppi<br />
aristotelici. Per affermare l’esistenza<br />
di un universo, scrive Epicuro all’amico,<br />
non si può partire dal nulla, ma dai corpi e<br />
dallo spazio in cui essi si muovono. La<br />
materia, a sua volta, ha come elemento<br />
costituitivo gli atomi che rappresentano<br />
l’origine e la spiegazione di tutte le cose.<br />
Muovendosi, infatti, gli atomi si aggregano<br />
a formare mondi infiniti, che nascono e si<br />
dissolvono, nell’eterna durata del tempo.<br />
Nella sua ricerca scientifica Epicuro non si<br />
avvale di alcun disegno aprioristico, ma si<br />
limita a considerare la realtà tangibile, i<br />
fatti riscontrabili nell’esperienza. Anche<br />
nella seconda lettera, diretta a Pitocle, che<br />
tratta di astronomia, Epicuro pone come<br />
fondamento unico di ogni indagine sugli<br />
astri i fenomeni, ovvero quelle entità date e<br />
conoscibili mediante l’esperienza. Anche<br />
gli astri vengono visti in chiave materialista<br />
e non metafisica, pur non escludendo<br />
l’esistenza degli dei.<br />
La terza lettera, diretta a Meneceo, è una<br />
lunga riflessione sul problema etico e sulla<br />
felicità quale obiettivo di ogni individuo.<br />
La felicità di cui parla Epicuro è una felicità<br />
dell’anima, un raggiungimento di saggezza<br />
e serenità interiore per sconfiggere<br />
la paura della morte e dell’ignoto. Epicuro<br />
esorta Meneceo (e con lui i suoi discepoli)<br />
a diffidare dei piaceri effimeri della vita<br />
terrena e ad inseguire una vita semplice,<br />
dedita alla meditazione e all’autenticità<br />
dei valori umani. La lettera solleva la necessità<br />
del raggiungimento di una ricchezza<br />
interiore, considerata dall’autore premessa<br />
indispensabile per una autentica<br />
felicità, singola e collettiva. Anche in questo<br />
caso l’esperienza dell’esistere è il perno<br />
su cui poggia la fedeltà epicurea; la<br />
dottrina della felicità, in particolare, rappresenta<br />
da parte di Epicuro una difesa<br />
dell’unicità dell’esistenza, pur non essendo<br />
egli un esistenzialista. D.M.
Del fondatore del positivismo,<br />
AUGUSTE COMTE, è stata pubblicata<br />
in ambito anglosassone una dettagliata<br />
biografia intellettuale: Auguste<br />
Comte. An intellectual biography,<br />
Volume one (Auguste Comte. Una<br />
biografia intellettuale, volume uno,<br />
Cambridge University Press, Cambridge<br />
1993). L’autrice, Mary Pickering,<br />
ritiene che ripercorrendo la vita<br />
di Comte possa essere chiarita la plausibilità<br />
della sua autoproclamazione<br />
di inventore della scienza delle relazioni<br />
sociali: la sociologia. Filo conduttore<br />
dell’analisi di Pickering è<br />
costituito dalle relazioni di Comte<br />
con il mondo femminile. La prima<br />
significativa presenza femminile nella<br />
vita di Comte fu la madre, che<br />
dominava in modo opprimente la vita<br />
della famiglia e verso la quale egli<br />
nutrì sempre sentimenti ambivalenti.<br />
A tredici anni, si ribellò contro la fede<br />
cattolica e monarchica dei genitori,<br />
annunciando che non avrebbe più creduto<br />
in Dio, proclamandosi “repubblicano”.<br />
La triste esperienza dell’infanzia<br />
spinse Comte, secondo la sua<br />
stessa ammissione, a cercare nella<br />
«vita pubblica la nobile, anche se<br />
imperfetta, compensazione dell’infelicità<br />
della sua vita privata». Anche la<br />
sua relazione matrimoniale con Caroline<br />
Massin, una ex prostituta che<br />
egli voleva sottrarre alle liste di prostituzione<br />
della polizia, fu misera,<br />
tanto da essere definita da Comte<br />
«l’unico irreparabile errore» della sua<br />
vita. Il naufragio matrimoniale fu poi<br />
anche aggravato da difficoltà finanziarie.<br />
L’esperienza negativa del matrimonio,<br />
secondo quanto riferisce Pickering,<br />
portò il filosofo ad individare<br />
nell’amicizia tra uomini «il solo legame<br />
completo, veramente durevole» e<br />
a sconfessare le sue precedenti opinioni<br />
sull’emancipazione delle donne.<br />
A ventotto anni, Comte sperimenò la<br />
discesa nella follia, che descrisse come<br />
una «crisi cerebrale» dovuta alla «fatale<br />
coincidenza di grandi dolori morali<br />
e duro lavoro». Dopo la malattia,<br />
ottenuto il divorzio, incontrò Clothilde<br />
de Vaux, con la quale ebbe una<br />
relazione solo platonica, facendo di<br />
lei «l’angelico modello» del suo programma<br />
di “religione dell’umanità”.<br />
Così, paradossalmente, osserva Pickering,<br />
“il fondatore” della sociologia<br />
come scienza dei rapporti sociali<br />
si trovò a disagio proprio nell’ambito<br />
delle relazioni fondamentali della vita.<br />
La vita di Comte dimostra come il suo<br />
progetto intellettuale di riconciliare<br />
scienza e consenso morale, scienza e<br />
religione, esprima un’esperienza centrale<br />
della sua esistenza. In tal senso,<br />
Pickering si oppone con forza a quei<br />
critici che vedono nella seconda parte<br />
dell’opera di Comte, quella dedicata<br />
alla “religione dell’umanità”, un aberrante<br />
frutto della sua follia, come<br />
afferma ad esempio J. S. Mill, dimostrando<br />
invece come il programma di<br />
una “religione dell’umanità” e la riforma<br />
politica ad essa connessa siano<br />
già presenti a partire dalle prime opere<br />
di Comte. Inoltre Pickering rileva<br />
che la concezione positivistica sostenuta<br />
da Comte è una prospettiva che<br />
denuncia il “puro empirismo” e ac-<br />
cetta che il giudizio sui valori possa<br />
portare ad una conoscenza positiva,<br />
cioè una fondazione dei principi morali<br />
positivi. Lo stesso Circolo di Vienna<br />
gli rimproverò l’assenza, nella sua<br />
filosofia, di una distinzione adeguata<br />
degli aspetti rigorosi delle procedure<br />
scientifiche da quelli più speculativi<br />
morali e valoriali. In conclusione, secondo<br />
le considerazioni di Pickering,<br />
l’autoproclamazione di Comte come<br />
fondatore della sociologia, deve essere<br />
rivista,dato che egli, insieme a<br />
Saint-Simon, fu solo una delle fonti<br />
dello sviluppo della scienza sociale<br />
nel XIX secolo e l’aver posto al centro<br />
della teoria sociologica la “legge<br />
dei tre stati” e la nozione di gerarchia<br />
delle scienze non fu determinante nel<br />
successivo orientamento di questa disciplina.<br />
M.G.<br />
Nel maggio del 1994, presso l’Istituto<br />
Filosofico “Aloisianum” di Gallarate<br />
si è costituito il SEMINARIO<br />
PERMANENTE DI FILOSOFIA<br />
CONTEMPORANEA, diretto da<br />
Ubaldo Fadini e Adelino Zanini. La<br />
struttura intende dare veste formale<br />
all’attività di un gruppo di studiosi<br />
che da alcuni anni lavorano intorno<br />
alla riproposizione di un pensiero critico-affermativo,<br />
che sia in grado di<br />
articolare posizioni teoriche alternative<br />
rispetto a quelle delineate dall’approccio,<br />
comunque variegato,<br />
della riflessione filosofica incentrata<br />
sulla nozione di “postmoderno”. In<br />
questa prospettiva, i primi confronti<br />
hanno avuto per oggetto la riflessione<br />
di Gilles Deleuze (gli atti del convegno<br />
relativo, dal titolo: Gilles Deleuze:<br />
un pensiero “forte” della differenza<br />
ontologica, sono stati pubblicati nel<br />
secondo fascicolo del 1993 della rivista<br />
«Fenomenologia e società») e,<br />
successivamente, con quella di Michel<br />
Foucault, al quale è stato dedicato<br />
un seminario sul tema: “Archeologìa<br />
dei saperi. Produzione di soggettività<br />
e forme di razionalità”. Nel<br />
novembre del 1994 è stato infine organizzato<br />
un convegno dal titolo: “Essere-Nulla-Progetto.<br />
A proposito di Jean<br />
Paul Sartre e Maurice Merleau-Ponty”.<br />
Illustrando le finalità dell’iniziativa,<br />
Ubaldo Fadini ha affermato che uno<br />
degli intenti del Seminario è quello di<br />
evidenziare, e mettere alla prova, capacità<br />
di analisi in grado di produrre<br />
NOTIZIARIO<br />
NOTIZIARIO<br />
49<br />
“luoghi del sapere”, nei quali le trasformazioni<br />
e gli incontri del pensiero<br />
possano dispiegare le loro potenzialità<br />
critiche. Quest’impostazione,<br />
ha sottolineato Adelino Zanini, presuppone<br />
un’esperienza e uno stile di<br />
lavoro, nonché di scrittura, che intendono<br />
fornire elementi utili a un’indagine<br />
di tipo genealogico sugli eventi<br />
della contemporaneità, che in quanto<br />
tali hanno costituito, e devono costituire,<br />
motivo e ambito del dispiegarsi<br />
di una passione filosofica in grado di<br />
operare collegamenti non irrilevanti<br />
tra linguaggio e saperi che intendano<br />
esperire il mondo.<br />
La categoria del “possibile”, reinterpretata<br />
attraverso quella di “virtuale”,<br />
viene da Fadini accostata alla<br />
nozione di “attualità” in quanto entrambe<br />
elementi di una lettura del<br />
reale che - citando Canetti - intende<br />
istaurarsi a partire da un’esperienza<br />
di pensiero e per questo non può esaurirsi<br />
nell’ordine dell’esistente. Il tentativo<br />
filosofico si connota perciò, in<br />
via immediata, come “politico” e<br />
come “storico”; il referente ideale<br />
appare, infatti, quello di una “comunità”,<br />
linguistica e concettuale, tenuta<br />
assieme da relazioni che contengono<br />
in sé la possibilità del proprio<br />
divenire, del proprio “poter essere<br />
altrimenti” e, in ciò, del proprio essere<br />
“altre”. Un tentativo filosofico che<br />
non può dunque che porre a tema le<br />
questioni del soggetto e dell’alterità,<br />
concepite come quel rapporto tra teoria<br />
e prassi nel soggetto, che fa perno<br />
su una ridefinizione della categoria di<br />
corporeità. F.C.<br />
In una nuova edizione, a cura di Carlo<br />
Augusto Viano, è stata ripubblicata la<br />
LETTERA SULLA TOLLERANZA<br />
(Laterza, Roma-Bari 1994) di John<br />
Locke, uno dei manifesti più efficaci<br />
del liberalismo, scritto durante il tentativo<br />
di restaurazione degli Stuart. A<br />
fronte della stretta alleanza tra il potere<br />
della Corona e quello della Chiesa,<br />
con il conseguente venir meno delle<br />
libertà politiche e religiose del singolo<br />
individuo, la lettera ribadisce<br />
l’irrinunciabilità dei diritti fondamentali<br />
dell’uomo. In opposizione a<br />
una concezione utilitaristica dello<br />
Stato, così come a una concezione<br />
etica, la difesa programmatica della<br />
tolleranza presuppone, innanzitutto,<br />
la separazione tra potere politico e<br />
religioso e, in secondo luogo, il rispetto<br />
assoluto delle diversità di fede<br />
religiosa degli individui.<br />
La tolleranza religiosa, secondo<br />
Locke, ha però un limite: gli orrori<br />
compiuti dai cattolici in Inghilterra. Il<br />
magistrato, secondo Locke, deve infatti<br />
avere tolleranza illimitata per le<br />
questioni religiose puramente speculative;<br />
ma deve limitare la propria<br />
tolleranza di fronte a questioni che<br />
possono nuocere allo Stato. In questo<br />
modo, Locke intendeva porre un limite<br />
all’azione dei cattolici, che, soggetti<br />
ad un’autorità diversa da quella<br />
del Re, il Papa, potevano interferire<br />
con le vicende politiche dello Stato.<br />
Decisamente intollerante, infine, deve<br />
essere l’azione giuridica verso qualsiasi<br />
comportamento immorale. La<br />
difesa della società libera e tollerante<br />
operata da Locke auspica, in questo<br />
modo, la convivenza pacifica di diverse<br />
culture e rifiuta, aprioristicamente,<br />
qualsiasi ideologia. Una concezione<br />
di questo tipo, osserva tuttavia Viano,<br />
nasconde a sua volta un elemento ideologico,<br />
cioè la considerazione di una<br />
società minimale, in cui ogni fede o<br />
cultura può convivere con le altre al<br />
prezzo di ridimensionare i propri confini<br />
e di cancellare quegli eccessi, tipici<br />
di alcune culture, che di fatto non<br />
vengono tollerati da Locke. A.S.<br />
La nuova edizione de L’APOLOGIA<br />
DI SOCRATE di Platone (trad. di A.<br />
De Fabrizio, Sellerio Editore, Palermo<br />
1994) è preceduta da un ampio<br />
saggio di Luciano Canfora che, considerando<br />
il rapporto tra maggioranza<br />
e minoranza, mette sotto accusa la<br />
giuria che condannò Socrate. Influenzata<br />
dalle produzioni letterarie del<br />
tempo, come le commedie di Aristofane,<br />
responsabili di una forte influenza<br />
sull’opinione pubblica, la giuria<br />
appare soggetta a un condizionamento<br />
di massa che le impedisce di<br />
valutare l’appassionata difesa di<br />
Socrate. A nulla, infatti, valgono le<br />
argomentazioni del filosofo, che deve<br />
difendersi dall’accusa di empietà e di<br />
corruzione dei giovani. Nonostante<br />
le argomentazioni di Socrate, rette da<br />
una profonda coerenza formale e di<br />
contenuto, la giuria dà credito alle<br />
accuse, a volte incoerenti e spesso<br />
infondate, e decide per il verdetto di<br />
colpevolezza.<br />
Dalle parole di Platone traspare la<br />
reazione serena di Socrate che, dopo<br />
aver rifiutato la possibilità di una<br />
vita senza ricerca, riflette sul senso<br />
della morte, intesa o come dolce sonno<br />
o come luogo di incontro delle<br />
anime più sapienti. Alla ragione, a<br />
cui fa appello Socrate e la minoranza<br />
della giuria a lui favorevole, si oppone<br />
una maggioranza condizionata e<br />
parziale, che decide per la condanna<br />
a morte. A.S.<br />
Avvalendosi dell’opera e della consulenza<br />
di un qualificato gruppo di<br />
studiosi e di ricercatori nell’ambito
del goethianismo scientifico, la casa<br />
editrice Il Capitello del Sole ha avviato<br />
l’edizione integrale in lingua<br />
italiana degli SCRITTI SCIENTIFICI<br />
DI GOETHE, con l’intento di colmare<br />
una grave lacuna nel panorama<br />
culturale italiano, essendo ancora<br />
praticamente inediti i saggi, gli studi,<br />
le monografie e i frammenti, che<br />
complessivamente costituiscono il<br />
corpus dell’opera scientifica di<br />
Goethe. Le rare e sommarie edizioni<br />
antologiche e i parziali estratti monotematici<br />
risultano infatti avulsi<br />
dalla complessa organicità in cui si<br />
articola la sua indagine. Se si considera<br />
che nella grande edizione di<br />
Weimar gli scritti di scienze naturali<br />
riempiono quattordici volumi e che<br />
molti ampi passi sono presenti nei<br />
cinquanta volumi delle lettere e nei<br />
trentasette volumi dei diari, questo<br />
panorama statistico dà l’idea dell’importanza<br />
dell’opera scientifica<br />
goethiana.<br />
Iniziata negli anni universitari di Lipsia<br />
e Strasburgo con il saggio La<br />
natura, apparso sul «Tiefurter Journal»<br />
del 1782, l’opera scientifica di<br />
Goethe terminò solo poco prima della<br />
sua morte. Il costante interesse di<br />
Goethe per le più diverse manifestazioni<br />
della natura (botanica, zoologia,<br />
teoria dei colori, metereologia,<br />
geologia), e la sua contesa con<br />
Newton, non fecero però di lui un<br />
naturalista noto. I suoi scritti scientifici<br />
venivano giudicati “eterodossi”:<br />
di poco conto dal punto di vista letterario<br />
e imbarazzanti da quello<br />
scientifico. Inoltre, grandi difficoltà<br />
dovette affrontare Goethe per pubblicare<br />
i suoi studi; emblematica, in<br />
tal senso, fu la riluttanza dell’editore<br />
Göschen a pubblicare la Metamorfosi<br />
delle piante. Lo stesso importante<br />
lavoro sull’osso intramascellare fu<br />
stampato per la prima volta solo nel<br />
1830 dall’Accademia Leopoldo-Carolina<br />
di Halle.<br />
L’ordine dei volumi delle opere di<br />
Goethe, attualmente esistenti, pubblicati<br />
intorno al 1900 da R. Steiner<br />
e S. Kalischer, sarà mantenuto nell’edizione<br />
italiana. I testi saranno<br />
accompagnati da un esauriente apparato<br />
di note storico-biografiche e<br />
terminologico-scientifiche. Ai dodici<br />
volumi suddivisi per grandi aree<br />
disciplinari: la morfologia della natura<br />
organica, la filosofia della natura<br />
e la scienza, la natura minerale e la<br />
dottrina dei colori e un volume di<br />
massime e riflessioni di argomento<br />
filosofico e scientifico, seguiranno<br />
una scelta di testi e di contributi, a<br />
carattere specialistico e generale, di<br />
ricercatori e scienziati che negli ultimi<br />
decenni hanno assunto l’epistemologia<br />
di Goethe a guida delle loro<br />
ricerche. M.C.<br />
Di MARGHERITA PORETE, condannata<br />
come eretica il 1 giugno<br />
1310, appare, in prima edizione<br />
italiana,Lo specchio delle anime semplici<br />
annichilate e che dimorano soltanto<br />
in volontà e desiderio d’amore<br />
(Le mirouer des simples ames anien-<br />
ties et qui seulement demourent en<br />
vouloir et desir d’amour, trad. it. di<br />
G. Fozzer, San Paolo, Milano 1994).<br />
L’edizione presenta il testo mediofrancese<br />
a fronte e, in appendice, la<br />
versione trecentesca italiana, a cura<br />
di Romana Guarnieri.<br />
Lo specchio delle anime semplici<br />
conduce il lettore alla conoscenza<br />
non solo della tragedia di cui Porete<br />
fu vittima, ma al suo sofferto percorso<br />
mistico-spirituale che segnò tutta<br />
la sua esistenza. Nata a Valenciennes<br />
tra il 1250 e 1260, Margherita<br />
Porete, incarna i più alti valori della<br />
fede cristiana a partire dalla messa in<br />
atto dei precetti evangelici, per giungere<br />
alla piena libertà dello spirito.<br />
L’elemento che caratterizza l’opera<br />
è un linguaggio che si presenta sotto<br />
forma di dialogo espresso in lingua<br />
volgare (piccardo), con toni che in<br />
alcuni passaggi assumono un carattere<br />
simbolico, sintesi di esperienza<br />
mistica. D.M.<br />
La Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università<br />
degli <strong>Studi</strong> di Ferrara,<br />
bandisce 50 posti per la frequenza al<br />
corso annuale di perfezionamento in<br />
STUDI SUL RINASCIMENTO<br />
ITALIANO. Il corso si propone di<br />
offrire, attraverso diversi contributi<br />
disciplinari, una preparazione specifica<br />
nell’area della cultura rinascimentale.<br />
La durata del corso è di un<br />
anno accademico, e non è suscettibile<br />
di abbreviazioni. Prevede duecento<br />
ore di lezione, che saranno concentrate<br />
in due periodi (maggio-giugno<br />
e settembre-ottobre). Il corso si<br />
articola nelle seguenti aree disciplinari:<br />
letteratura e storia della lingua<br />
italiana, filologia umanistica, storia<br />
medioevale e moderna, storia delle<br />
scienze e della geografia, storia dell’arte<br />
e della critica d’arte, storia<br />
della musica e del teatro, storia della<br />
filosofia e dell’educazione, letterature<br />
comparate. Il programma completo<br />
delle discipline e l’elenco dei<br />
docenti, interni ed esterni, sarà comunicato<br />
entro il 31 dicembre 1994.<br />
Il Consiglio di Corso è formato dai<br />
docenti della Facoltà di Lettere e<br />
Filosofia dell’Università di Ferrara,<br />
che svolgono attività didattica nel<br />
Corso. I corsi inizieranno nel mese<br />
di maggio 1995. L’Università rilascerà<br />
ai partecipanti un diploma di<br />
laurea presso un’Università italiana<br />
o presso un’Università straniera, secondo<br />
la normativa vigente in materia<br />
di equipollenza.<br />
La domanda di ammissione, accolta<br />
in base alla valutazione dei titoli,<br />
dovrà essere accompagnata da due<br />
lettere di presentazione da parte di<br />
docenti o studiosi di chiara fama. Il<br />
numero massimo di partecipanti è<br />
fissato in 50, il numero minimo in<br />
35. Il termine per la presentazione<br />
delle domande di iscrizione scade il<br />
31 gennaio 1995 e la quota prevista<br />
è fissata in L. 1.000.000 da versarsi<br />
in due rate. La domanda va compilata<br />
su carta legale, indirizzata al Magnifico<br />
Rettore dell’Università degli<br />
<strong>Studi</strong> di Ferrara e presentata alla<br />
NOTIZIARIO<br />
50<br />
Segreteria centrale della Facoltà di<br />
Lettere e Filosofia, via Savonarola<br />
9, 44100 Ferrara (per ulteriori informazioni<br />
ci si può rivolgere alla Segreteria<br />
della Facoltà, tel. 0532/<br />
247506, 210929, 210007 - fax 0532/<br />
202689).<br />
Si è costituito a Oldenburg (Oldb.),<br />
in Germania, il centro di ricerca<br />
FILOSOFIA ITALIANA-STIFTUNG,<br />
il cui scopo è promuovere la ricerca<br />
scientifica sulla filosofia italiana contemporanea<br />
e avviare contatti con<br />
filosofi italiani. A tal fine sono previsti<br />
borse di studio e sovvenzioni<br />
per favorire progetti di ricerca sulla<br />
filosofia italiana contemporanea; filosofi<br />
italiani sono invitati a tenere<br />
conferenze e corsi di lezioni presso<br />
l’Università di Oldenburg; vengono<br />
finanziati convegni su tematiche inerenti<br />
all’attuale situazione della filosofia<br />
italiana con l’intento di creare<br />
condizioni proficue per uno scambio<br />
di idee tra studiosi tedeschi e italiani.<br />
L’intenzione è anche quella di creare<br />
presso l’Università di Oldenburg<br />
un centro di ricerca sulla filosofia<br />
italiana contemporanea, che attraverso<br />
monografie, traduzioni, conferenze,<br />
faccia conoscere in Germania<br />
gli sviluppi della tradizione filosofica<br />
italiana a partire dall’Illuminismo<br />
fino alle più recenti tendenze<br />
del dibattito filosofico. Attuale presidente<br />
del cento di ricerca è Wilhelm<br />
Büttemeyer, a cui si devono importanti<br />
studi sul pensiero filosofico italiano<br />
del XIX e XX secolo. Tra le<br />
prime iniziative del centro si segnala<br />
una conferenza tenuta a Oldenburg<br />
da Franco Volpi il 28 giugno 1994<br />
sul tema: “Nietzsche in Italia. Una<br />
ricezione senza confini”.<br />
Con l’inizio del 1995 prende avvio<br />
INSEGNARE FILOSOFIA, una rivista<br />
quadrimestrale di ricerca sulla<br />
didattica della filosofia, diretta da<br />
Mario Quaranta e pubblicata dalla<br />
casa editrice Pagus di Treviso. In<br />
questi anni l’attenzione ai problemi<br />
della didattica è cresciuta; sono state<br />
svolte diverse indagini sull’insegnamento<br />
della filosofia da parte della<br />
Società Filosofica Italiana e di diversi<br />
IRRSAE. Queste indagini hanno<br />
messo in evidenza un disagio<br />
diffuso e la domanda di strumenti<br />
didattici nuovi, per non ridurre lo<br />
studio della filosofia a pura e semplice<br />
memorizzazione di parti di un<br />
manuale. Nel frattempo i nuovi programmi<br />
di filosofia elaborati dalla<br />
commissione “Brocca” hanno precisato<br />
fini e metodi dell’insegnamento<br />
della filosofia nella ipotizzata riforma<br />
della scuola secondaria superiore.<br />
La novità di questi programmi sta<br />
nell’aver posto al centro della didattica<br />
la lettura dei filosofi e nell’aver<br />
relegato il manuale in una posizione<br />
marginale.<br />
«Insegnare Filosofia» vuole essere<br />
una risposta alla nuova domanda degli<br />
insegnanti. L’ambizione della ri-<br />
vista è costruire un circuito di collaborazione,<br />
di dialogo e di ricerca<br />
comune fra gli insegnanti nel presupposto<br />
che anche la didattica della<br />
filosofia sia un campo di ricerca capace<br />
di dare frutti significativi.<br />
Il primo numero apre la riflessione<br />
su: L’aggiornamento degli insegnanti<br />
di filosofia (Anna Sgherri Costantini),<br />
Possibilità e problemi di una<br />
didattica della filosofia (Armando<br />
Girotti), L’educazione alla ricerca<br />
filosofica a scuola (Giuseppe Deiana),<br />
Il ruolo della memoria e del<br />
pensiero per immagini in didattica<br />
della filosofia (Mario Trombino),<br />
Bilancio di un esperimento in filosofia<br />
(Guerrina Della Valle). Al corpo<br />
di saggi sulla “filosofia insegnata”<br />
vanno aggiunti un saggio di Karl<br />
Popper, inedito in Italia, Come la<br />
luna potrebbe gettare un po’ di luce<br />
sulle due vie di Parmenide e un testo<br />
inedito di Enzo Melandri, La precomprensione<br />
di Leibniz.<br />
Quali sono i caratteri del nuovo equilibrio<br />
mondiale che si va profilando?<br />
Quali vincoli e quali opportunità esso<br />
pone per il processo di integrazione<br />
europea? In un mondo sempre più<br />
interdipendente, ma nel quale permangono<br />
gravi disuguaglianze di sviluppo<br />
economico e sociale, qual è il<br />
significato e quale il futuro prevedibile<br />
delle comunità politiche, caratteristiche<br />
dell’epoca contemporanea:<br />
le nazioni, delle vecchie nazioni e<br />
delle nazioni nuove? Alla fine del<br />
secolo, che sarà forse chiamato il<br />
secolo delle ideologie, quali sono i<br />
connotati presenti e le prospettive<br />
future della politica ideologica?<br />
Come dobbiamo correggere la nostra<br />
interpretazione della democrazia<br />
liberale ora che essa appare quasi<br />
privata dei suoi nemici più tenaci?<br />
Come dobbiamo ripensare il caso<br />
dell’Italia? Come possiamo prospettare<br />
politiche costituzionali capaci<br />
di promuovere il consolidamento istituzionale<br />
della democrazia? A queste<br />
e ad altre domande intendono<br />
fornire una risposta i QUADERNI DI<br />
SCIENZA POLITICA, una nuova rivista<br />
quadrimestrale, diretta da Mario<br />
Stoppino, che intende prsi in costante<br />
collaborazione con tutte le<br />
discipline che studiano la politica<br />
con criteri diversi, o che studiano<br />
fenomeni sociali importanti per comprendere<br />
la politica. Nel primo numero<br />
(1/1994) compaiono articoli di<br />
Mario Stoppino, Che cos’è la politica,<br />
di Giuseppe Ieraci, Presidenzialismo<br />
e parlamentarismo nelle democrazie<br />
difficili, di Marco Clementi,<br />
La teoria dei regimi internazionali.<br />
Nel secondo numero (2/1994) sono<br />
previsti articoli di Franco Goio, Teoria<br />
della nazione, di Giampiero<br />
Cama, Istituzioni politiche, movimento<br />
operaio e crisi di partecipazione.<br />
Un confronto fra Gran Bretagna<br />
e Germania, di Alessandro Bruschi,<br />
Narrazione e teoria.
Augusto Guzzo<br />
nel centenario della nascita<br />
In occasione del centenario della nascita<br />
di Augusto Guzzo, l’Accademia<br />
delle Scienze di Torino, la Facoltà di<br />
Lettere e Filosofia, i Dipartimenti di<br />
Ermeneutica filosofica e di Filosofia<br />
dell’Università di Torino hanno organizzato<br />
il 12 e il 13 aprile 1994, presso<br />
l’Università di Torino, un convegno<br />
dal titolo: “AUGUSTO GUZZO A CENT’ANNI<br />
DALLA NASCITA”, a cui hanno partecipato,<br />
tra gli altri, Giuseppe Riconda, Pietro<br />
Rossi, Francesco Barone, Vittorio<br />
Stella, Nynfa Bosco, Vittorio Mathieu,<br />
Carlo Augusto Viano, Amalia De Maria,<br />
Corrado Rosso, Francesco Moiso e<br />
Giuseppe Cambiano.<br />
Ha aperto i lavori del convegno Francesco<br />
Barone, che ha sollevato l’esigenza di<br />
rivedere la teoria storiografica che classifica<br />
Augusto Guzzo come spiritualista.<br />
Guzzo, infatti, ha sempre cercato di distinguere<br />
il chiarimento di sé a se stessi, opera<br />
della filosofia, e il tentativo di rispondere<br />
agli interrogativi, che tale chiarimento solleva,<br />
di competenza invece della religione,<br />
intesa come «esperienza del soprannaturale,<br />
per iniziativa dello stesso soprannaturale».<br />
Secondo Barone, la speculazione<br />
guzziana, volendo chiarire l’ambiguo rapporto<br />
tra filosofia religione, delinea la possibilità<br />
di una concezione della filosofia<br />
che non sia in concorrenza con le altre<br />
attività umane, ma affermi, attraverso l’innegabile<br />
vitalità di queste, la propria vitalità.<br />
Il senso del rapporto tra filosofia e<br />
religione nella sua complessità dà luogo<br />
ad una riflessione, da intendere come una<br />
Weltanschauung distinta dalla filosofia,<br />
che è, invece, ricerca trascendentale. Di<br />
fronte al venir meno del peso della certezza<br />
nella cultura contemporanea, l’attualità<br />
di Guzzo, ha osservato Barone, risiederebbe<br />
in quella tensione tra il bisogno di<br />
certezza e le risposte sempre storiche e<br />
contingenti, che ad esso vengono date in<br />
ogni campo dell’attività umana.<br />
Per ciò che riguarda la prospettiva estetica,<br />
Vittorio Stella ha sottolineato la costante<br />
disposizione di Guzzo a riflettere sull’arte,<br />
la cui esperienza, per essere compresa nel<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
suo svolgimento spirituale, deve essere<br />
pensata come sensazione che si configura<br />
in sentimento. In particolare, Stella ha messo<br />
in evidenza la distanza tra l’estetica guzziana<br />
e quella crociana: la prima, forte di<br />
un’istanza conoscitiva, guarda alla “realtà”<br />
e intende l’arte come conoscenza e l’intuizione<br />
come un cogliere il “profondo”; la<br />
seconda si disinteressa della “realtà” e si<br />
concentra sul “motivo” o “spunto”. Così,<br />
l’arte è per Guzzo espressione di ciò che lo<br />
spirito pensa e sente in forme inventate<br />
apposta per esprimerlo. Il tema della forma<br />
formante, ha ricordato Stella, sarà sviluppato<br />
da Luigi Pareyson, la cui estetica<br />
prenderà emblematicamente il nome di “teoria<br />
della formatività”.<br />
L’aspetto morale della speculazione guzziana<br />
è stato invece analizzato da Nynfa<br />
Bosco, che ha definito la filosofia di Guzzo<br />
come un’antropologia filosofica, poiché<br />
il suo oggetto è costituito da tutta<br />
quanta l’esistenza dell’uomo. Dato che<br />
eminentemente morale è il processo per il<br />
quale l’individuo si universalizza in una<br />
nuovissima sintesi, nella quale i due opposti<br />
si trascendono l’un l’altro, si può parlare<br />
in Guzzo di un primato della coscienza<br />
morale. L’etica guzziana, ha rilevato Bosco,<br />
appare, da un lato, filocalica e platonica<br />
nella sua genesi, in quanto in essa la<br />
libertà si configura non solo come responsabilità,<br />
ma anche come disposizione a<br />
formare, ossia come arte; dall’altro, aristotelica<br />
nel suo dispiegarsi, in quanto<br />
propone un legame vitale che unisce la<br />
scelte dei singoli e le forme della civiltà,<br />
senza, tuttavia, che i due profili possano<br />
essere separati. L’etica di Guzzo risulta, in<br />
ultima analisi, essenzialmente vocazionale<br />
e naturale; ne deriva una raffigurazione<br />
della vita morale vivace, dettagliata e armonica,<br />
ma per nulla tragica e, quindi, di<br />
stile classico.<br />
Vittorio Mathieu ha illustrato la prospettiva<br />
religiosa di Guzzo, prendendo spunto<br />
da una lettera inedita a Ugo Spirito, scritta<br />
da Guzzo nei primi mesi successivi alla<br />
morte della madre, che tratta principalmente<br />
della correlazione tra immanenza e<br />
trascendenza, interpretata qui in senso idealistico.<br />
In questa lettera, Guzzo fa riferimento<br />
al suo biglietto di annunzio della<br />
morte della madre, identificata con la tra-<br />
51<br />
scendenza, che, secondo Mathieu, lascia<br />
emergere una dichiarazione esplicita di<br />
conversione al cattolicesimo, mai sentita in<br />
seguito. La religione in Guzzo appare ancorata<br />
alla speculazione agostiniana, per<br />
via della necessità dell’affidamento del singolo<br />
all’iniziativa divina: caratteristica,<br />
questa, propria della religione rispetto alla<br />
filosofia. Inoltre, ha osservato Mathieu,<br />
che l’idealismo guzziano sia di origine<br />
platonica emerge dalla sua interpretazione<br />
del trascendente come trascendentale. Guzzo<br />
nega l’immanenza del positivista, che<br />
non è immanenza vera e propria, e non<br />
nega, invece, l’immanenza dell’idealista,<br />
che è immanenza del trascendentale: Dio è<br />
il principio e la norma, e la realtà proviene<br />
da esso come l’azione dalla norma.<br />
Soffermandosi poi sulla memoria accademica:<br />
La Religione. Fenomenologia e filosofia<br />
dell’esperienza religiosa, del 1964,<br />
Mathieu ha evidenziato come essa sia in<br />
realtà un commento a Sant’Agostino, che<br />
Guzzo vuole giustificare nel suo apparente<br />
rovesciamento dall’antimanicheismo all’antipelagianesimo.<br />
Emerge qui, come ha<br />
notato Mathieu, il richiamo alla responsabilità<br />
individuale, contro Gentile, nell’interpretazione<br />
della grazia come una possibilità<br />
di libertà: essa è il dono di una norma<br />
interna, che si tratta continuamente di interpretare.<br />
Interviene allora la filosofia in<br />
aiuto della religione, dal momento che non<br />
è possibile seguire passivamente un dogma<br />
religioso, ma bisogna capire la Rivelazione<br />
e, quindi, capire noi stessi come luogo in<br />
cui questa continua ad attuarsi a noi, anche<br />
attraverso la nostra partecipazione ad essa.<br />
Nel corso della tavola rotonda, che ha concluso<br />
i lavori, Pietro Rossi ha rievocato le<br />
collocazioni storiografiche finora proposte<br />
per il pensiero di Guzzo. Una prima lo<br />
considera come un esponente dello spiritualismo<br />
cristiano, rappresentante dell’ala<br />
destra dell’idealismo gentiliano insieme a<br />
Carlini e Sciacca. Una seconda, radicata<br />
nello stesso Guzzo e poi ripresa da Pareyson,<br />
lo pone come terza via dell’idealismo rispetto<br />
a Croce e Gentile, a partire da Sebastiano<br />
Maturi. Per collocare adeguatamente<br />
il pensiero di Guzzo, ha osservato Rossi,<br />
occorre soprattutto ricordare gli autori da<br />
lui studiati, Bruno e Spinoza, da una parte,<br />
e Agostino, dall’altra, che permette di spie-
CONVEGNI E SEMINARI<br />
Augusto Guzzo<br />
52
gare l’ambiguità di formulazioni, sempre<br />
presente in lui, relative al trascendente e al<br />
trascendentale e ai loro rapporti. Sull’ambiguità<br />
di Guzzo si è soffermato anche<br />
Carlo Augusto Viano, il quale ha ricordato<br />
la sua figura di grande apologeta della<br />
filosofia pura e lo ha definito erede di una<br />
tradizione idealistica religiosa, ma non confessionale,<br />
alternativa rispetto a quella laica<br />
e a quella cattolica.<br />
Amalia De Maria ha parlato della pedagogia<br />
di Guzzo, mostrando come egli abbia<br />
sottolineato il carattere autonomo dell’educazione,<br />
che è un processo di formazione<br />
spirituale che non può essere sostituito né<br />
da tecniche metodologiche, né da ricerche<br />
psicologiche, né da sussidi didattici. I rapporti<br />
di Guzzo con l’estero sono stati analizzati<br />
da Corrado Rosso, in particolare,<br />
grazie anche all’amicizia con René Le Senne,<br />
quelli con la Francia, probabilmente<br />
frutto di una sua affinità molto forte con<br />
Pascal e con i moralisti in genere.<br />
Sulle ricerche storiografiche di Guzzo si<br />
sono invece soffermati Francesco Moiso<br />
e Giuseppe Cambiano: il primo ha evidenziato<br />
la concretezza del suo metodo; il<br />
secondo ha messo in rilievo l’interpretazione,<br />
soprattutto morale, dei dialoghi platonici.<br />
Giuseppe Riconda ha evidenziato<br />
il rifiuto di Guzzo per la gnoseologia scettica<br />
di Gentile, poiché essa concepisce<br />
l’atto del pensiero come soppressione dell’alterità<br />
dell’altro. Nel filosofare di Guzzo,<br />
invece, il momento teoretico non è mai<br />
disgiunto dal confronto storiografico. In<br />
tal senso, ha osservato Riconda, proprio<br />
l’interesse di Guzzo per Agostino e Tommaso<br />
dimostra il suo allontanamento dall’hegelismo;<br />
il che rende necessaria una<br />
revisione non solo dell’interpretazione che<br />
lo considera spiritualista, ma anche di quella<br />
che lo vede prosecutore di Maturi. La<br />
prospettiva di Guzzo si allontana, per altro,<br />
anche da Kant, perché pone al centro<br />
una religiosità non astratta, ma concreta.<br />
La sua filosofia della religione nasce da<br />
una parte da questa invocazione, che è<br />
slancio umano verso Dio, dall’altra dall’iniziativa<br />
del soprannaturale, con lo scopo<br />
di restituire pieno valore e dignità alla<br />
religione, aprendo la strada ad un’ermeneutica<br />
dell’esperienza religiosa. M.L.B.<br />
Rivoluzioni concettuali<br />
In occasione della presentazione dell’opera<br />
di Paul Thagard, RIVOLUZIONI<br />
CONCETTUALI (trad. it. a cura di E. Giorgi,<br />
introd. di L. Magnani, Guerini e<br />
Associati, Milano 1994) si è svolto alla<br />
Casa della Cultura di Milano, il 17<br />
maggio 1994, un dibattito dedicato al<br />
tema: “FILOSOFIA E INTELLIGENZA ARTIFI-<br />
CIALE”, con la partecipazione di Gianni<br />
degli Antoni, Lorenzo Magnani, Fulvio<br />
Papi, Mario Stefanini.<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
Il dibattito è stato inaugurato da Fulvio<br />
Papi, che ha sottolineato gli elementi di<br />
originalità e il carattere di novità della<br />
concezione di Paul Thagard, che propone<br />
l’utilizzo di strumenti computazionali per<br />
l’individuazione di modelli di concettualizzazione.<br />
In questo, Thagard, come ha<br />
ricordato Lorenzo Magnani, intende rendere<br />
conto di un problema epistemologico classico:<br />
individuare i criteri in base ai quali una<br />
teoria è ritenuta preferibile a un’altra.<br />
A partire dagli anni Sessanta, si è posta<br />
l’alternativa tra confrontabilità e incommensurabilità<br />
di teorie scientifiche concorrenti.<br />
Optando per la seconda tesi, come ha<br />
fatto per esempio Thomas Kuhn, si pone il<br />
problema di far ricorso, nel dar conto del<br />
prevalere di una teoria scientifica rispetto a<br />
un’altra, a motivazioni inerenti al contesto<br />
storico. Questa impostazione, ha rilevato<br />
Magnani, è stata ben accetta nella cultura<br />
italiana, grazie all’impronta storicista che<br />
l’ha permeata, mentre l’impostazione strutturale,<br />
di ascendenza neopositivista, è invece<br />
passata in secondo piano. Dalla tesi dell’incommensurabilità<br />
delle teorie scientifiche,<br />
e dalla conseguente apertura alla dimensione<br />
“storica” (non estranea neppure alla<br />
prospettiva di Popper), deriva l’impostazione<br />
di Feyerabend, che rappresenta la crisi<br />
dell’idea della razionalità nella scoperta scientifica.<br />
Alla restaurazione di una tale idea<br />
all’interno della “logica della scoperta scientifica”<br />
può essere funzionale l’utilizzazione<br />
di un programma computazionale che, nel<br />
momento della decisione fra due teorie confliggenti,<br />
consideri “olisticamente” un gran<br />
numero di possibilità esplicative, conseguenze<br />
e presupposti di ciascuna. In altri termini,<br />
il testo di Thagard tenta di restituire un<br />
contenuto razionale alla scoperta e alla capacità<br />
esplicativa delle teorie scientifiche.<br />
Nel suo intervento, Mario Stefanini ha<br />
sottolineato il valore della possibilità di<br />
analizzare problemi epistemologici attraverso<br />
strumenti computazionali. La questione<br />
filosofica verte sulla rappresentabilità<br />
del ragionamento scientifico, ovvero<br />
sull’analizzabilità dei modelli di ragionamento.<br />
Thagard opera in questa direzione,<br />
quando prende in esame il procedimento<br />
inferenziale dell’abduzione. Gianni degli<br />
Antoni ha invece sottolineato l’esigenza di<br />
collegare la riflessione epistemologica allo<br />
sviluppo della ricerca scientifica. Che lo<br />
sviluppo scientifico provochi delle rivoluzioni<br />
concettuali, non significa necessariamente<br />
mettere in “crisi” una disciplina scientifica;<br />
la “crisi” pertiene, più propriamente,<br />
alla riflessione epistemologica. Il panorama<br />
della riflessione scientifica odierna, ha osservato<br />
degli Antoni, va stravolgendosi attraverso<br />
la ridefinizione dei campi disciplinari,<br />
nonché attraverso l’irrompere di una<br />
componente “etica” nelle analisi di ciascuna<br />
disciplina. In tal senso, la novità della concezione<br />
di Thagard sta appunto nell’utilizzo<br />
dell’intelligenza artificiale per spiegare il<br />
rapporto fra la dimensione dello “scientifico”<br />
e quella del “non scientifico”. F.C.<br />
53<br />
Presso la sezione filosofico-teorica del Dipartimento<br />
di filosofia dell’Università di<br />
Pavia è stato recentemente attivato il Laboratorio<br />
di Filosofia Computazionale. Al<br />
suo direttore, Lorenzo Magnani, ha rivolto<br />
alcune domande Flavio Cassinari.<br />
D. La filosofia computazionale, che si colloca<br />
nello spazio dello studio dei sistemi<br />
intelligenti nella relazione interdisciplinare<br />
tra filosofia, logica, intelligenza artificiale<br />
e scienze cognitive, ha conosciuto,<br />
negli Stati Uniti, uno sviluppo rilevante sia<br />
per pubblicazioni che per attività universitaria.<br />
Il Laboratorio di Filosofia Computazionale<br />
di Pavia è il primo in Italia e uno dei<br />
primi in Europa. Professor Magnani, quali<br />
sono gli obiettivi che questo indirizzo di<br />
ricerca si pone?<br />
R. L’obiettivo più generale della filosofia<br />
computazionale consiste nel costruire nuovi<br />
modelli e programmi per la selezione e la<br />
valutazione delle ipotesi nell’ambito della<br />
ricerca scientifica, grazie ai metodi e ai<br />
concetti dell’intelligenza artificiale. La filosofia<br />
computazionale affronta, tra gli altri,<br />
problemi inerenti al rapporto tra scoperta<br />
e spiegazione scientifica, al ruolo dell’analogia,<br />
alla questione dell’evoluzione<br />
dei concetti. Viene in particolare presa in<br />
considerazione la struttura epistemologica<br />
delle scoperte scientifiche e del ragionamento<br />
diagnostico, attraverso l’analisi di<br />
alcuni programmi particolari, finalizzati<br />
alla diagnosi medica.<br />
Su un altro versante, la filosofia computazionale<br />
si occupa tanto dell’analisi dei sistemi<br />
esperti relativamente alla questione<br />
dell’abduzione, quanto dell’elaborazione<br />
di programmi computazionali prototipali,<br />
collegati ai problemi epistemologici e logici<br />
individuati. I metodi computazionali del<br />
problem solving e della scoperta forniscono<br />
un’alternativa, rispetto ai metodi della<br />
logica formale, nell’analisi di molti problemi<br />
epistemologici. Per quanto riguarda il<br />
problema della giustificazione e della scelta<br />
fra teorie rivali, occorre rispondere a<br />
questioni quali la possibilità dell’accadere<br />
delle “rivoluzioni concettuali” (cioè della<br />
sostituzione, in ambito scientifico, di un<br />
sistema concettuale con un altro), nonché<br />
di un eventuale loro carattere razionale. In<br />
questa prospettiva, la ricerca condotta dal<br />
Laboratorio di Filosofia Computazionale<br />
di Pavia, istituito dal Dipartimento di Filosofia<br />
dell’Università nel dicembre del 1993,<br />
si svolge parallelamente a quella del Laboratorio<br />
di Scienze Cognitive, già attivo<br />
presso l’Istituto di Psicologia della Facoltà<br />
di Lettere e Filosofia.<br />
D. C’è dunque il tentativo di ricostruzione,<br />
mediante l’utilizzo dei sistemi di intelligenza<br />
artificiale, dei processi che presiedono<br />
alla logica della scoperta scientifica?<br />
R. Non solo. L’attività si indirizza non<br />
esclusivamente all’opera di ricostruzione<br />
di processi cognitivi, che hanno già dato<br />
luogo a risultati, ma all’elaborazione di<br />
sistemi in grado di estrinsecare una capaci-
tà previsionale. In concreto, grazie alle<br />
ricerche sviluppate nell’ambito della filosofia<br />
computazionale, negli Stati Uniti sono<br />
stati messi a punto programmi finalizzati<br />
alla diagnostica internistica che, opportunamente<br />
caricati di dati sintomali, hanno<br />
dimostrato capacità previsionale pari a quella<br />
di un “medico esperto”. In effetti, fino a<br />
oggi non sembra legittimo sostenere che<br />
siano stati elaborati programmi computazionali<br />
in grado di produrre nuove teorie;<br />
questo però è l’obiettivo, dal momento che<br />
la costruzione di nuove teorie rappresenta<br />
il grado più elevato di scoperta scientifica.<br />
D. In questa prospettiva, però, l’approccio<br />
della filosofia computazionale esorbita<br />
dall’esame di casi di scoperta scientifica e<br />
sembra voler proporre una teoria generale<br />
a livello non solo epistemologico.<br />
R. Certo! La nozione stessa di explanatory<br />
coherence, sulla quale fa perno il progetto<br />
di filosofia computazionale che intendiamo<br />
sviluppare nel nostro laboratorio, implica<br />
una prospettiva olistica, in quanto la<br />
“coerenza esplicativa”, che costituisce il<br />
criterio di decisione fra teorie confliggenti,<br />
non si pone sul livello di un “evento particolare”<br />
(nozione, come si sa, già di per sé<br />
problematica in epistemologia), bensì a un<br />
livello superiore, e più globale. La teoria<br />
della explanatory coherence, proposta dallo<br />
statunitense Paul Thagard, intende illustrare<br />
la “coerenza” o “incoerenza” di<br />
un’ipotesi scientifica, in relazione a caratteristiche<br />
e proprietà “esplicative” della<br />
stessa, nei confronti di un’evidenza empirica.<br />
In tale prospettiva, una teoria scientifica<br />
(intesa come insieme di ipotesi che<br />
spiegano evidenze empiriche) viene considerata<br />
migliore di un’altra quando gode,<br />
complessivamente, di una maggiore explanatory<br />
coherence.<br />
Va sottolineato che la questione messa in<br />
gioco dalla nozione di “coerenza esplicativa”<br />
investe tanto l’accettazione o il rifiuto<br />
di ipotesi nell’ambito delle teorie scientifiche,<br />
quanto le procedure di decisione della<br />
razionalità quotidiana. L’inferenza che<br />
porta a scegliere la spiegazione più efficace<br />
nella valutazione di differenti teorie, o differenti<br />
ipotesi, coinvolge un insieme dinamico<br />
di criteri, caratterizzati in modo multidimensionale.<br />
Per esempio, se una teoria<br />
scientifica è più semplice, e spiega più dati<br />
significativi di quanto non facciano le teorie<br />
concorrenti, può essere accettata come<br />
la spiegazione più efficace. Questo tipo di<br />
inferenza è certo quella coinvolta nella<br />
procedura di tipo diagnostico, dove l’obiettivo<br />
consiste nel selezionare la spiegazione<br />
migliore (la diagnosi più efficace) nell’ambito<br />
di una gamma predeterminata di ipotesi<br />
diagnostiche. La fase preliminare del<br />
progetto relativo a un’attività di filosofia<br />
computazionale è dunque dedicata allo studio<br />
di una teoria generale della explanatory<br />
coherence nella accettazione e nella eliminazione<br />
delle ipotesi, sia nel campo delle<br />
teorie scientifiche, sia nel ragionamento<br />
comune o esperto.<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
D. Esiste una connessione fra il concetto di<br />
inferenza chiamato in causa dalla nozione<br />
di explanatory coherence e le questioni<br />
tradizionalmente trattate dalla filosofia?<br />
R. La risposta è affermativa, perché l’analisi<br />
relativa alla nozione di explanatory<br />
coherence appare strettamente collegata a<br />
quella riguardante lo status cognitivo del<br />
ragionamento e della conoscenza, nonché<br />
a quella del problema della abduzione sul<br />
piano epistemologico. A questo proposito,<br />
credo si possano individuare due concetti<br />
di abduzione. Il primo è quello individuato<br />
dal filosofo americano Charles Sanders<br />
Peirce, che interpreta l’abduzione come<br />
una procedura inferenziale, e la considera<br />
come il processo di “creazione” di nuove<br />
ipotesi scientifiche. Nell’ambito del ragionamento<br />
diagnostico ci si imbatte però in<br />
una seconda tipologia di abduzione, il cui<br />
grado di creatività appare, in certo senso,<br />
inferiore: l’ “abduzione selettiva”. Nella<br />
diagnosi è infatti sufficiente giungere a<br />
“scegliere”, tra molte altre, un’ipotesi diagnostica,<br />
selezionandola all’interno di una<br />
casistica, fornita dalla scienza medica.<br />
Il problema della scelta e della valutazione<br />
delle ipotesi riveste, in effetti, un ruolo<br />
centrale nel campo degli studi sull’utilizzo<br />
dell’intelligenza artificiale nel caso del ragionamento<br />
diagnostico; il concetto di abduzione<br />
ha comunque da sempre indicato,<br />
nella tradizione filosofica ed epistemologica,<br />
proprio la situazione di generazione<br />
e di valutazione delle ipotesi. In altri termini,<br />
il concetto di abduzione ha sempre rappresentato,<br />
nella riflessione filosofica “tradizionale”,<br />
la via dell’inferenza verso la<br />
“spiegazione più efficace”.<br />
Il confronto tra le culture<br />
Negli ultimi due anni di attività (ottobre<br />
1992- maggio 1994) il Centro<br />
Culturale della Fondazione San Carlo<br />
di Modena ha intrapreso una ricerca<br />
sul problema dell’incontro,<br />
dello scontro e del confronto fra le<br />
culture che si è articolata in giornate<br />
di studio e cicli di lezioni. In questo<br />
contesto si è svolto, dall’ottobre<br />
1993 al maggio 1994, un ciclo di<br />
lezioni dal titolo: “LA PROVA DELLO<br />
STRANIERO. FIGURE PER IL CONFRONTO TRA<br />
LE CULTURE”, con la partecipazione di<br />
Romano Màdera, Francesco Remotti,<br />
Giovanni Filoramo, Pierre Rosanvallon,<br />
Francisco Jarauta, Simonetta Tabboni,<br />
Enrico Pozzi, Alessandro Pizzorno,<br />
Mary Douglas, Franco Cassano.<br />
La ricerca sul confronto tra le culture ha<br />
preso avvio con una giornata di studio,<br />
tenutasi il 16 ottobre 1992, dal titolo: “La<br />
comprensione dell’altro. Premesse filosofiche<br />
del confronto tra le culture”, a cui<br />
hanno partecipato: Armando Rigobello,<br />
54<br />
Carlo Sini, Salvatore Natoli, Sergio Moravia.<br />
In questa giornata di studio si sono<br />
voluti ricostruire e discutere i principali<br />
orientamenti presenti nella filosofia contemporanea<br />
sul problema della comprensione<br />
dell’altro, dalla filosofia della differenza<br />
all’ermeneutica, dalla fenomenologia<br />
alla filosofia analitica, al fine di scoprire<br />
se la riflessione filosofica possa offrire<br />
qualche strumento, qualche base su cui<br />
avviare, eventualmente, un confronto fra<br />
le culture.<br />
A questa prima iniziativa ha fatto seguito<br />
un ciclo di lezioni, svoltosi tra il novembre<br />
1992 e il maggio 1993, sul tema: “Questioni<br />
del tradurre. Traducibilità e intraducibilità<br />
di linguaggi, culture e forme di vita”<br />
che ha visto la partecipazione Emilio Mattioli,<br />
Rosaria Egidi, Simona Argentieri,<br />
Diego Marconi, Davide Sparti, Goffredo<br />
Bartocci, Alessandro Simonicca, Steven<br />
Lukes, Clifford Geertz. Scopo di ciclo di<br />
lezioni è stato individuare possibili criteri<br />
coi quali commisurare il noto e l’ignoto<br />
attraverso l’analisi di alcuni grandi dibattiti<br />
che hanno investito parallelamente settori<br />
diversi del sapere contemporaneo,<br />
come l’estetica, l’epistemologia, la filosofia<br />
del linguaggio e l’etica. Dal piano teorico,<br />
su cui è avanzata questa prima fase<br />
dell’indagine sul confronto tra le culture,<br />
il ciclo si è spostato su un piano più direttamente<br />
connesso con la dimensione empirica,<br />
interrogando da una parte le scienze<br />
sociali, in particolare l’antropologia, capace<br />
di evidenziare la dimensione propriamente<br />
interpretativa dell’agire e il carattere<br />
simbolico delle pratiche umane associate,<br />
dall’altra la psicanalisi, impegnata a<br />
scoprire se la pluralità delle lingue sia una<br />
ricchezza o una tara, e l’etnopsichiatria,<br />
volta a trovare nel vissuto emotivo un<br />
nuovo canale per la comunicazione tra<br />
mondi diversi.<br />
La “prova dello straniero” è stato il tema<br />
che ha caratterizzato il secondo ciclo di<br />
lezioni. Lo “straniero”, infatti, da sempre<br />
oggetto di un atteggiamento ambivalente,<br />
insieme di fascino e repulsione, interesse e<br />
chiusura, rappresenta una sfida a tutto campo<br />
per la società in cui si inserisce. La sua<br />
presenza mette alla prova tanto il sistema<br />
della nostra convivenza civile quanto il<br />
sistema concettuale e di credenze con il<br />
quale definiamo la nostra cultura e la nostra<br />
identità, misurando tanto il grado di<br />
identificazione collettiva, quanto la capacità<br />
di trasformazione interna. All’interno<br />
di questo contesto si sono analizzati figure<br />
e concetti dello straniero attraverso l’esame<br />
di esempi provenienti dall’antichità,<br />
dalle società di interesse etnografico, dalla<br />
riflessione che la cultura occidentale ha<br />
prodotto sull’alterità, al suo interno e al<br />
suo esterno.<br />
Romano Màdera (“L’ombra dello straniero”)<br />
ha rintracciato lo straniero nell’immagine<br />
del mondo, del divino, dell’anima<br />
e della persona. In un mondo apparentemente<br />
privo di confini, il “pianeta
di tutti”, si assiste, nelle diverse società, a<br />
un ripiegamento sulle appartenenze etnico-linguistiche<br />
e religiose. Le ragioni di<br />
questo paradosso sono da cercare, secondo<br />
Màdera, nelle dinamiche del capitalismo<br />
globale. In particolare ciò si spiega<br />
come reazione alla condizione generale di<br />
straniamento che risulta da una valorizzazione<br />
della persona non come individualità<br />
concreta, ma come uomo universale<br />
astratto. Con il capitalismo globale si è<br />
anche realizzata la purificazione del sacro<br />
prevista dal programma platonico: il dominio<br />
dell’astratto ha cacciato il divino<br />
dalla vita sociale; ma esso ora si ripresenta<br />
come dio straniero (ad esempio l’islamismo).<br />
Nell’immagine dell’anima, che ci<br />
consegna la psicologia del profondo, scopriamo<br />
dentro di noi la figura dello straniero,<br />
di cui ci liberiamo o proiettandone i<br />
tratti sull’altro, l’immigrato di colore, oppure<br />
dipingendo di bianco lo straniero<br />
esterno per non riconoscere lo straniero<br />
che è in noi.<br />
Facendo un passo indietro, Giovanni<br />
Filoramo (“Pellegrino, straniero, senza<br />
patria. Figure dell’estraneità al mondo<br />
nel Cristianesimo antico”) ha descritto<br />
tre figure che, nei sec. I-V d. C., hanno<br />
incarnato l’esperienza di straniero del<br />
cristiano: il pellegrino, straniero perché<br />
ha la sua vera patria nella città celeste<br />
ma - a differenza dello gnostico e dell’anacoreta<br />
- vive nel mondo in cui è solo<br />
di passaggio e, senza lasciarsene assimilare,<br />
segue le sue leggi; lo gnostico,<br />
straniero per definizione, al di sopra del<br />
mondo perché viene da un mondo trascendente,<br />
per il quale il mondo rappresenta<br />
una prigione, ma anche qualcosa di<br />
ostile, in quanto creato da un dio malvagio,<br />
l’anacoreta, colui che, per raggiungere<br />
il suo scopo, deve scegliere continuamente<br />
di estraniarsi dal mondo e,<br />
facendo del suo esilio volontario una<br />
condizione permanente, vive da “senza<br />
patria”. Da una prospettiva opposta,<br />
un’altra tradizione religiosa, quella ebraica,<br />
è stata interrogata sul tema dello<br />
straniero: non più il punto di vista dell’uomo<br />
di fede in quanto straniero, ma<br />
dello straniero in quanto oggetto dei comportamenti<br />
e degli atteggiamenti degli<br />
uomini di fede. A questo proposito, Mary<br />
Douglas (“Immigrati e stranieri. L’idea<br />
di straniero nella Bibbia”) ha fatto notare<br />
come le prescrizioni esplicite e generose<br />
del Levitico e del libro dei Numeri<br />
(noti come “Libri Sacerdotali”) sono in<br />
contrasto con l’assunzione che la religione<br />
basata su questi libri sacri sia fondata<br />
su un’esclusione etnica. Douglas ha<br />
preso in considerazione la relazione fra<br />
le storie attribuite a Esdra e Neemia,<br />
risalenti al periodo del Secondo Tempio,<br />
quando i “Libri Sacerdotali” ricevettero<br />
la loro forma definitiva. In quell’epoca<br />
(V sec. a.C.) gli esiliati ebrei, di ritorno<br />
da Babilonia, volevano ottenere le restituzioni<br />
delle terre di famiglia. Esdra e<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
Neemia descrivono alcune brutali discriminazioni<br />
etniche commesse nel<br />
nome della religione, ma non c’è traccia<br />
nei “libri Sacerdotali” del fatto che la<br />
loro legislazione sia sostenuta da una<br />
dottrina religiosa.<br />
La prospettiva antropologica, affrontata<br />
da Francesco Remotti (“Cannibali, schiavi<br />
e sovrani. Il ricorso allo straniero in una<br />
prospettiva antropologica”), ha preso in<br />
considerazione, tra le forme di ricorso<br />
all’alterità, la figura dello schiavo, oggetto<br />
di sfruttamento culturale, oltre che economico,<br />
quella del sovrano, come nel caso<br />
dell’Africa precoloniale, e quella del cannibale,<br />
figura capace di mettere a nudo<br />
l’intreccio tra alterità e identità e dunque il<br />
carattere artificioso di qualsiasi identità. Il<br />
cannibalismo, ha osservato Remotti, dimostra<br />
che il ricorso dell’alterità si spiega<br />
non solo in base a un esigenza di identificazione,<br />
che risolve il rapporto con l’altro<br />
nell’opposizione noi-loro, ma anche in base<br />
a un’esigenza di alterazione, che trasforma<br />
il rapporto in assimilazione.<br />
Degli aspetti giuridico-politici relativi al<br />
problema dell’estensione dei diritti civili e<br />
politici agli stranieri che si inseriscono in<br />
comunità politiche fortemente strutturate<br />
si è occupato Pierre Rosanvallon (“Straniero<br />
e cittadino. I confini della politica”),<br />
facendo riferimento alla sua recente ricerca<br />
su La rivoluzione dell’uguaglianza. Storia<br />
del suffragio universale in Francia<br />
(Anabasi, Milano 1994). In particolare,<br />
Rosanvallon si è soffermato sulla questione<br />
del diritto di voto agli stranieri nelle<br />
elezioni locali, rilevando i rischi e le deficienze<br />
della distinzione tra una cittadinanza<br />
locale e una cittadinanza nazionale, e<br />
sul problema dell’inserimento degli emigranti<br />
nel sistema distributivo, che egli<br />
pensa debba essere discusso alla luce dell’avvenuto<br />
passaggio dello Stato-provvidenza<br />
da meccanismo assicurativo a Stato<br />
di solidarietà. Con Francisco Jarauta<br />
(“Abitare la frontiera. Riflessioni su meticciato<br />
e interculturalità”) la discussione<br />
si è spostata dagli assetti giuridico-politici<br />
all’assetto sociale. Jarauta ha constatato<br />
l’emergenza di una nuova situazione, caratterizzata<br />
da processi di meticciato, nomadismo<br />
e diverse forme di incrocio culturale<br />
e, in base a ciò, ha individuato i<br />
compiti dell’intellettuale nell’elaborazione<br />
di nuovi concetti per pensare l’alterità,<br />
una geofilosofia (alla Deleuze-Guattari) e<br />
una nuova cartografia.<br />
Muovendo da un’analisi delle figure dello<br />
straniero in Simmel e in Elias, Simonetta<br />
Tabboni (“Lo straniero e la modernità.<br />
Dall’uguaglianza del diritto al riconoscimento<br />
della differenza”) ha tracciato il<br />
cambiamento del rapporto tra straniero e<br />
modernità. Lo straniero è stato una figura<br />
paradigmatica della modernità: immagine<br />
dello sradicamento, mercante per eccellenza,<br />
ha minato le basi della società tradizionale,<br />
rivendicando la parità del diritto<br />
e parlando il linguaggio universalista della<br />
55<br />
ragione contro il linguaggio dell’appartenenza.<br />
Oggi lo straniero rivendica il riconoscimento<br />
della differenza parlando il<br />
linguaggio dell’etnicità, che di conseguenza,<br />
ha osservato Tabboni, può fungere, sul<br />
piano pragmatico, da mediatore delle due<br />
anime antitetiche della modernità: il richiamo<br />
alla ragione e il richiamo all’identità.<br />
Con un atteggiamento simile Alessandro<br />
Pizzorno (“Usi cognitivi e normativi<br />
della metafora dello straniero”) si è<br />
dichiarato contrario a una soluzione in<br />
astratto del problema morale dello straniero<br />
e vede in una soluzione “locale”, analoga<br />
a quella data da Quine sul piano della<br />
teoria della conoscenza, il modo per evitare<br />
i rischi di una soluzione di principio:<br />
reprimere la specifica identità dello<br />
straniero sotto il peso di regole tratte da<br />
una concezione universalistica dell’essere<br />
umano. Lo straniero come scopritore<br />
di individualità è invece ciò che ha<br />
proposto Pizzorno riguardo al problema<br />
di capire lo straniero.<br />
Enrico Pozzi (“Il traditore come straniero<br />
interno. Psicanalisi di una condizione-limite”)<br />
ha fornito una definizione<br />
formale del traditore come un terzo,<br />
che abita sul confine tra due gruppi. Da<br />
questa definizione il traditore risulta essere<br />
una delle grandi figure dello straniero<br />
interno, il viandante potenziale di<br />
Simmel, colui che, del tutto uguale al<br />
gruppo, salvo che per un aspetto, non<br />
potrebbe tradire se non fosse riconosciuto<br />
come suo membro a pieno titolo. Si<br />
tratta di una figura che svolge una propria<br />
funzione sociale: la presenza di una<br />
differenza, infatti, è lo stimolo attraverso<br />
il quale il gruppo ristabilisce la propria<br />
coesione. La nozione di confine, già<br />
chiamata in causa nella riflessione di<br />
Jarauta su meticciato e interculturalità e<br />
in quella di Pozzi sulla figura del traditore,<br />
è stata oggetto di ulteriori considerazioni<br />
da parte di Franco Cassano (“Il<br />
confine e lo straniero”). Egli, in particolare,<br />
si è domandato come è possibile<br />
che l’estraneità non si trasformi in ostilità,<br />
ma diventi occasione di conoscenza<br />
a partire dal carattere di ambivalenza<br />
che contraddistingue il confine. Infatti,<br />
se da una parte il confine è la zona in cui<br />
due comunità si separano, dall’altra la<br />
linea di confine è anche quella in cui due<br />
paesi si toccano, l’insieme dei punti che<br />
appartengono ad entrambi; dunque, un<br />
luogo d’incontro.<br />
Il complesso degli interventi verrà raccolto<br />
in forma rielaborata e pubblicato<br />
nella collana «Punti critici» della Fondazione<br />
Collegio San Carlo entro il primo<br />
semestre del 1995. F.B.
Scritture del pensiero<br />
Con il titolo: “SCRITTURE DEL PENSIERO:<br />
LINGUAGGI A CONFRONTO”, l’I.S.U. di Milano,<br />
in collaborazione con la rivista «autaut»,<br />
ha promosso, tra l’11 maggio e il<br />
1 giugno 1994, un ciclo di lezioni che fa<br />
seguito a quello svoltosi nel 1993, dedicato<br />
ai “Linguaggi della filosofia”.<br />
Attraverso gli interventi di Giancarlo<br />
Majorino, Giampiero Comolli, Giuseppe<br />
Pontiggia, Fausto Petrella, Pier Aldo<br />
Rovatti Paolo Flores d’Arcais e Alessandro<br />
Dal Lago, questo secondo ciclo<br />
ha proposto un approfondimento della<br />
ricerca sulla scrittura attraverso un<br />
confronto tra il linguaggio della poesia,<br />
della narrazione, della psicoanalisi<br />
e del discorso politico.<br />
La questione della scrittura è certamente<br />
indistinguibile da quella del pensiero, ma<br />
spesso il discorso filosofico si è costituito,<br />
in opposizione ad altri tipi di discorso, in<br />
uno scarto con il mito, il poetico, l’immaginario.<br />
Intervenendo sul “linguaggio della<br />
poesia”, Giancarlo Majorino ha parlato<br />
della struttura in sé conchiusa, autoreferente<br />
della poesia. Nel suo rimando a sé, la<br />
parola poetica vanifica il suo rapporto con<br />
l’altro, il referente, perdendo la funzione<br />
denotativa. Ciò implica una circolarità dell’atto<br />
di lettura che deve percorre a ritroso<br />
il cammino della poesia che si fa strada<br />
nelle parole, per poterne cogliere l’autoreferenzialità.<br />
Riprendendo il tema del “comunicare<br />
sé” della poesia, Giampiero<br />
Comolli ha posto l’interrogativo sul destinatario<br />
di tale “mettere in comune”, sul<br />
“tu” al quale la poesia, mentre comunica, si<br />
rivolge. Richiamando le analisi di Levinás<br />
sull’intersoggettività e sottolineando<br />
l’aspetto della “materialità” della parola<br />
poetica, Comolli ha ipotizzato che l’ “altro”,<br />
a cui la poesia comunica, sia il “tu<br />
corporeo”. A questo proposito Majorino si<br />
è trovato d’accordo nel sottolineare l’importanza<br />
della “corporeità”, propria del linguaggio<br />
poetico, presente nella sonorità<br />
della parola. Nella poesia di Dante, dove il<br />
“vedere” diviene “visione”, il suono della<br />
parola, ha osservato Majorino, esprime un<br />
“retrosenso” - in opposizione a quello denotativo<br />
dominante - che è la trascrizione<br />
della corporeità del poeta, trascrizione cioè<br />
di quell’insieme di vedere e immaginare<br />
che sono già potenzialmente uno scrivere.<br />
Per Giuseppe Pontiggia, intervenuto insieme<br />
a Carlo Sini sul “linguaggio della<br />
prosa”, un testo letterario, poetico o filosofico<br />
non può venir riassunto, parafrasato o<br />
concettualizzato senza venir anche necessariamente<br />
“tradito”. Citando il Fedro, dove<br />
Platone parla del tradimento dell’oralità<br />
da parte della scrittura, Pontiggia ha rilevato<br />
come la concettualizzazione di un qualunque<br />
testo, ogni forma di sinossi, rappresenti<br />
un tradimento di secondo grado. Non<br />
esiste insomma una scrittura neutra, denotativa:<br />
il pensiero nasce e si costruisce nelle<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
pieghe di ciascun testo e solo in esso. Sini<br />
ha invece distinto il testo poetico-letterario<br />
da quello filosofico. Le antiche “Dossografie”<br />
(manuali ante litteram), mostrano che<br />
fin dalle origini il pensiero filosofico ha<br />
potuto essere ritrascritto, schematizzato e<br />
riassunto in un testo, senza per questo venir<br />
necessariamente tradito. Il filosofo, ha fatto<br />
notare Sini, non si realizza nell’opera<br />
proprio perché scrive in un’«assenza costitutiva<br />
di opera»: l’opera non suscita interesse<br />
in sé, ma solo in quanto rappresenta la<br />
mise en scene del pensiero.<br />
Interrogandosi su come la scrittura affronta<br />
lo psichico, Fausto Petrella è intervenuto<br />
sul “linguaggio della psicoanalisi”. Il punto<br />
di riferimento obbligato è stata l’opera di<br />
Freud: undici volumi caratterizzati da uno<br />
stile analogico e ricco di metafore, in grado<br />
di rappresentare in “visioni dinamiche” la<br />
configurazione dello psichico. In particolare,<br />
Petrella ha condotto la sua indagine<br />
sulla “metafora archeologica”, come rappresentazione<br />
del lavoro di analisi che tien<br />
conto dell’assunto teorico della nuova scienza<br />
dello psichico, impedendo che la si limiti<br />
ad una «descrizione morfologica della<br />
lesione». Nel saggio sulla Gradiva di Jensen,<br />
così come ne Il disagio della civiltà,<br />
Freud utilizza, come metafora dell’inconscio,<br />
l’immagine delle rovine che “si animano<br />
e parlano”, dipendentemente dal nostro<br />
modo di interrogarle.<br />
Riprendendo da Heidegger l’affermazione:<br />
«I filosofi devono riconoscere che<br />
non sono così versati nel dire», Pier<br />
Aldo Rovatti ha sottolineato come la<br />
metafora, distanziandosi dalla letteralità<br />
e lungi dall’essere un viraggio della parola<br />
filosofica verso la parola poetica,<br />
evita al pensiero di “arrestarsi” nella<br />
parola; la metafora consente al pensiero<br />
di dirsi e di eclissarsi. La psicoanalisi, ha<br />
osservato Rovatti, suggerendo alla filosofia<br />
un “più di metafore”, può consentire<br />
al pensiero di superare la sua indigenza,<br />
anche se la metafora psicoanalitica,<br />
non avendo alcun “proprio” a cui riferirsi,<br />
è per sua stessa essenza “designificativa”.<br />
Se però la psicoanalisi dà importanza<br />
a ciò da cui il linguaggio nasce, è allora il<br />
“destino” stesso del linguaggio, in uno con<br />
quello dell’essere, il non potervi tornare.<br />
Intervenendo sul “linguaggio della politica”,<br />
a latere dal cammino di indagine<br />
seguito dai precedenti interventi, Paolo<br />
Flores d’Arcais e Alessandro Dal Lago<br />
hanno indicato nel pensiero di Albert<br />
Camus e Hannah Arendt, una possibile<br />
via d’uscita dall’attuale “crisi d’identità”<br />
della sinistra. In quanto forme di espressione<br />
di un pensiero esistenzialistico-libertario,<br />
che fa riferimento al “dover essere”<br />
e ai valori, questi autori devono essere<br />
considerati come una fonte d’ispirazione<br />
preziosa per il pensiero politico della sinistra,<br />
in alternativa a quei territori culturalmente<br />
estranei del Neo-utilitarismo o della<br />
contrapposizione “amico-nemico” proposta<br />
da Schmitt. M.C.<br />
56<br />
Individuo e tradizione<br />
in Popper<br />
Con il titolo “Individuo, critica e tradizione<br />
in Karl Popper”, Giovanni De<br />
Crescenzo ha tenuto dal 6 all’8 aprile<br />
1994, nella sede dell’Istituto Italiano<br />
per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> di Napoli, un<br />
seminario che, muovendo dall’analisi<br />
della teoria della tradizione elaborata<br />
da Popper negli anni ’30 e ’40, ha<br />
affrontato il problema del rapporto<br />
tra l’individuo, inteso come soggetto<br />
razionale titolare di un “atteggiamento<br />
critico”, e la tradizione stessa.<br />
Nell’analisi popperiana del rapporto individuo/tradizione,<br />
Giovanni De Crescenzo<br />
individua tre direttive di ricerca<br />
incompatibili fra loro. Secondo la prima,<br />
che ha il suo apice nella conferenza<br />
di Oxford del 1948, “Per una teoria razionale<br />
della tradizione”, l’ “atteggiamento<br />
critico” dell’individuo non può<br />
dar luogo ad una sua completa liberazione<br />
dalla tradizione: invero il cosiddetto<br />
“processo di liberazione”, per il Popper<br />
degli anni ’40, è soltanto un passaggio<br />
da una tradizione all’altra. Nell’interazione<br />
tra individuo e tradizione, questa<br />
prima impostazione riconosce il vincolo<br />
inevitabile che lega la critica razionale<br />
della conoscenza alla tradizione, ma interpreta<br />
questo vincolo a vantaggio dell’individuo<br />
e della sua critica, che sembra<br />
poter scegliere nella cultura e la<br />
storia ciò che più gli aggrada; il rapporto<br />
individuo/tradizione risulta essere così<br />
assurdamente squilibrato in senso decisionistico<br />
e convenzionalistico in favore<br />
dell’individuo.<br />
Ora, ha osservato De Crescenzo, dalla<br />
prima direttiva di ricerca, in cui l’individuo,<br />
come abbiamo appena visto, sopravanza<br />
sempre la tradizione, Popper passa,<br />
nel corso degli anni ’60, alla posizione<br />
esattamente opposta, dove la tradizione,<br />
intesa come “Mondo 3”, domina e addirittura<br />
forma l’individuo. Popper propone<br />
un’interpretazione interazionistica e relazionale<br />
dell’autonomia del “Mondo 3”,<br />
affermando che tale autonomia non è assoluta,<br />
ma relativa, poiché il “Mondo 3” non<br />
fa altro che retroagire sugli individui che<br />
lo hanno generato, e poiché questi ultimi<br />
continuano ad agire, a loro volta, sul “Mondo<br />
3”, sia modificando in qualche modo gli<br />
oggetti in esso già esistenti, sia generando<br />
altre teorie. Quest’ultima impostazione,<br />
ha obiettato De Crescenzo, viene tuttavia<br />
contraddetta dal fatto che se gli oggetti del<br />
“Mondo 3” esistono ed agiscono indipendentemente<br />
dagli uomini che li generano e<br />
li conoscono, questi ultimi, invece, non<br />
potrebbero esistere come soggetti razionali<br />
e come persone senza il “Mondo 3”.<br />
Dovendo infatti spiegare come e perché<br />
l’individuo si personalizza, Popper si appella<br />
all’apprendimento degli oggetti del<br />
“Mondo 3” che vede tuttavia l’individuo,
ispetto al “Mondo 3”, in una posizione<br />
contemplativa e non selettiva, ricettiva e<br />
non costruttiva.<br />
Ma se è vero, ha notato De Crescenzo, che<br />
l’individuo non può prescindere dalla cultura<br />
e dalla società per realizzarsi come<br />
persona, Popper non vede che l’individuo,<br />
personalizzandosi, non cessa di vivere; il<br />
soggetto che si personalizza è infatti vivente,<br />
biopsicologico. Inoltre, la cultura<br />
non fornisce univocità alla direttiva attraverso<br />
la quale l’individuo si personalizza,<br />
ma questi, in quanto soggetto agente, sceglie<br />
fra le varietà di immagini offerte dalla<br />
cultura e dalla tradizione.<br />
De Crescenzo ha infine individuato una<br />
“terza direttiva” nell’approccio popperiano<br />
allo studio dell’interazione individuo/<br />
tradizione, che restituisce al primo la sua<br />
iniziativa critica nei confronti della seconda,<br />
di cui viene riconosciuta però l’intrinseca<br />
storicità e problematicità. Tale direttiva<br />
esclude sia l’ipotesi che la tradizione<br />
sia un semplice campo di scelta, una cornice<br />
in cui l’individuo esercita la sua critica<br />
razionale, sia l’ipotesi per la quale la tradizione<br />
stessa è una componente essenziale<br />
del “Mondo 3”, e come tale domina l’individuo<br />
che è alle prese con essa.<br />
La “terza direttiva” è inaugurata da Popper<br />
in un importante saggio del ’76: Del mito<br />
della cornice, che è una critica del relativismo<br />
culturale e dello storicismo estremo.<br />
Polemizzando con i relativisti, anzitutto<br />
con Kuhn, ma anche con Wolff e Quine,<br />
Popper, ha rilevato De Crescenzo, non<br />
esita a riconoscere nella loro posizione un<br />
“nucleo di verità”. Egli infatti ammette<br />
che: 1) qualsiasi critica o teoria razionale<br />
del soggetto è inserita in una tradizione; il<br />
confronto fra le teorie può essere quindi,<br />
se non impossibile, certo difficile e problematico;<br />
2) la traduzione di una teoria in<br />
un’altra inserita in una diversa cornice o<br />
tradizione, una volta realizzata, risulta per<br />
lo più parziale e imprecisa, e in definitiva<br />
appena soddisfacente. Ma questo non<br />
esclude, secondo Popper, che l’esercizio<br />
della critica, la conoscenza e la discussione<br />
razionale delle tradizioni altrui, siano<br />
possibili. Popper ritiene che l’individuo<br />
possa, sia pure gradualmente, pervenire ad<br />
un punto di vista ugualmente esterno alla<br />
sua cornice e tradizione come ad una qualsiasi<br />
altra, e stabilire in tal modo quale<br />
delle due abbia conseguenze preferibili. In<br />
questo egli non si rende conto, ha commentato<br />
De Crescenzo, che proprio un’iniziativa<br />
del genere è preclusa all’individuo,<br />
che è legato alla sua tradizione da innumerevoli<br />
e inconsapevoli vincoli che egli può<br />
controllare e circoscrivere solo in parte,<br />
ma non abolire; la tradizione infatti agisce<br />
nell’individuo stesso secondo la precomprensione.<br />
La tradizione resta quindi immanente<br />
in noi, anche quando facciamo<br />
lavoro critico. Ciò che soltanto è possibile<br />
all’individuo, ha concluso De Crescenzo,<br />
è consapevolizzare alcune componenti<br />
della propria società-cultura per confron-<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
tarle con singole componenti di altre società-cultura<br />
anche lontane dalla sua e<br />
quindi niente affatto precomprese, e così<br />
pervenire ad una certa distanza critica,<br />
sempre finita e fluida, dalle prime e dalle<br />
seconde. L.M.<br />
Su nazione e nazionalismo<br />
Tra gli ultimi decenni del secolo scorso<br />
e i primi di quello attuale si è affermata<br />
una storiografia che ha imposto<br />
un’interpretazione falsata del passato<br />
con il solo scopo di allontanare indietro<br />
nel tempo le radici dei moderni<br />
Stati nazionali. Alla luce di queste considerazioni<br />
Alberto Cabella ha tenuto<br />
dal 7 al 11 marzo 1994, nella sede<br />
dell’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong><br />
di Napoli, un seminario su “L’IDEA<br />
DI NAZIONE E IL NAZIONALISMO”.<br />
Il concetto di nazione, ha rilevato Alberto<br />
Cabella, e gli altri ad esso connessi, a<br />
cominciare da quello di “nazionalismo”,<br />
nascono e acquistano il loro senso odierno<br />
solo con la Rivoluzione francese e i moti<br />
ottocenteschi. Lo Stato moderno coincide,<br />
nella sua fase iniziale, nonché sostanziale,<br />
con la costituzione di principati e monarchie<br />
assolute sulle ceneri degli imperi feudali;<br />
nasce come Stato patrimoniale, ossia<br />
come proprietà del monarca, i cui abitanti<br />
sono ancora “sudditi” che pagano imposte,<br />
combattono e muoiono per il re. la Rivoluzione<br />
del ’93 renderà questi sudditi “cittadini”,<br />
e i loro sacrifici saranno dedicati non<br />
al re, ma al Paese.<br />
Già gli intellettuali illuministi si consideravano<br />
“cittadini del mondo”, invertendo la<br />
scala di valori propria del Medioevo, che<br />
vedeva al primo posto l’essere cristiani, al<br />
secondo l’appartenenza a un microcosmo<br />
feudale, e solo all’ultimo posto l’essere<br />
nazionale. Nel ‘700, al primo posto vi è<br />
l’umanità, senza distinzioni di fede, al secondo<br />
l’Europa, al terzo la patria e, infine,<br />
la famiglia. La Rivoluzione francese, ha<br />
rilevato Cabella, mobilitando tutto il popolo,<br />
crea lo Stato nazionale con i suoi cittadini,<br />
comportando anche una sorta di rivoluzione<br />
culturale nei campi istituzionale,<br />
giuridico, politico, che portano a ulteriori<br />
nazionalizzazioni: innanzitutto quelle della<br />
scuola e dell’esercito, con l’istruzione<br />
pubblica obbligatoria gratuita e la leva di<br />
massa; poi quella della Chiesa, con la requisizione<br />
dei beni ecclesiastici. Nasce<br />
anche una religione civile, che secolarizza<br />
espressioni propriamente religiose, e la<br />
nazione viene ad acquisire connotazioni<br />
individualistiche, divendendo “persona”<br />
dotata di “anima”, di “coscienza”.<br />
Ma se si può affermare che il concetto di<br />
nazione nasce in ambito democratico, anzi<br />
rivoluzionario, bisogna poi constatare, ha<br />
osservato Cabella, come controrivoluzio-<br />
57<br />
ne e Restaurazione se ne impadroniscano<br />
attraverso la mediazione di un personaggio<br />
bifronte come Napoleone.<br />
Due sono i fondamentali referenti culturali<br />
chiamati in causa da Cabella: Rousseau e<br />
Fichte. Rousseau è il primo a rompere<br />
veramente con la concezione patrimoniale<br />
dello Stato, opponendosi all’assolutismo,<br />
al giusnaturalismo, e proponendo un nuovo<br />
contrattualismo: una condizione in cui<br />
ciascuno, unendosi a tutti, ubbidisca solo a<br />
se stesso, restando libero; la “volontà generale”<br />
sarebbe in tal senso il riflesso delle<br />
singole volontà morali. Resta tuttavia il<br />
problema, ha obiettato Cabella, di come<br />
conciliare gli interessi individuali, garantire<br />
l’umanità, evitare degenerazioni totalitarie.<br />
Il pensiero di Rousseau si può infatti<br />
considerare all’origine di molte ideologie,<br />
sia della democrazia, ma anche del totalitarismo<br />
nazionalista. Tra le opere di Rousseau,<br />
ha aggiunto Cabella, due preludono chiaramente<br />
al nazionalismo: Considerazioni sul<br />
governo di Polonia, che mostra la necessità<br />
di formare il carattere nazionale a cominciare<br />
dall’istruzione elementare, fornendo<br />
l’idea di “primato” della propria nazione; e<br />
il Saggio sulla costituzione della Corsica,<br />
che afferma un altro postulato nazionalistico,<br />
l’autarchia.<br />
Per quanto riguarda Fichte, ha proseguito<br />
Cabella, bisogna innanzitutto considerare<br />
la sua ammirazione per Rousseau e per la<br />
Rivoluzione francese; dall’iniziale cosmopolitismo<br />
passerà poi a posizioni schiettamente<br />
nazionalistiche, allorché Napoleone<br />
invaderà la Prussia, esprimendo chiaramente<br />
motivi ancora impliciti nel pensiero<br />
di Rousseau: innanzitutto, l’affermazione<br />
del primato di un Paese predestinato a fare<br />
da guida politica e culturale agli altri.<br />
Quello francese può essere dunque considerato,<br />
secondo Cabella, il primo nazionalismo,<br />
a cui fecero seguito ideologie analoghe<br />
nei Paesi che subiranno l’occupazione<br />
napoleonica, a cominciare dalla Germania,<br />
dai precursori Herder e Schiller, a Humboldt,<br />
Hegel, Novalis, Schlegel, Schelling, A.<br />
Müller, fino a Treitscke, esplicitamente<br />
imperialista, pangermanista, antisemita,<br />
riconosciuto come precursore dai nazionalisti.<br />
Intanto, gli anni ’70-’80 vedranno il<br />
trionfo del colonialismo imperialista e il<br />
fallimento del liberismo; tutte le grandi<br />
potenze europee diventano protezioniste:<br />
nasce il nazionalismo economico dei grandi<br />
imperi industriali e finanziari. Maurice<br />
Berrès e Claude Marras saranno i maggiori<br />
esponenti di questa fase più matura<br />
del nazionalismo francese.<br />
Nella società industriale di massa, ha osservato<br />
in conclusione Cabella, l’idea di<br />
nazione è stata spesso (e lo è ancora) intenzionalmente<br />
manipolata da chi ha inteso<br />
sfruttare la sfera emotiva, propria di una<br />
fase di rivolgimento sociale, a fini totalitari<br />
e monopolistici; del resto, ha fatto notare<br />
Cabella, l’idea di nazione si è dimostrata un<br />
mezzo indispensabile per la legittimazione<br />
dell’ordine costituito. M.Ga.
CONVEGNI E SEMINARI<br />
Particolare di recipiente in terra cotta grigia. Nayarit (Messico)<br />
Le frontiere dell’antropologia<br />
Organizzata dall’Associazione internazionale<br />
per l’antropologia e il mondo<br />
antico, si è tenuta nel novembre 1993,<br />
presso l’Università degli <strong>Studi</strong> di Milano,<br />
la conferenza di Maurice Godelier<br />
dedicata al tema: “LE FRONTIERE DELL’AN-<br />
TROPOLOGIA ALLE SOGLIE DEL III MILLENNIO”.<br />
Nel panorama dell’antropologia contemporanea,<br />
Maurice Godelier ha rilevato il<br />
delinearsi di una contrapposizione fra due<br />
tendenze. L’una “post-modernista”, attualmente<br />
in auge negli Stati Uniti, professa<br />
una forma di scetticismo più o meno marcato,<br />
a seconda dei suoi esponenti, nei<br />
confronti della possibilità di conoscere l’<br />
“altro”, cioè l’oggetto dell’indagine antropologica.<br />
Questa impostazione, che appare<br />
fortemente debitrice alle analisi di Michel<br />
Foucault e Jacques Derrida, concepisce<br />
l’oggetto dell’indagine come un testo<br />
da decostruire, affermando nel con-<br />
tempo che esso, in quanto testo “originario”,<br />
al di là delle mediazioni culturali, non<br />
ci è mai dato.<br />
L’altra tendenza dell’antropologia contemporanea,<br />
che può essere definita global<br />
approach, prende le mosse dall’assunto<br />
secondo il quale nessuna civiltà è isolata<br />
dalle altre, e nessuna manifestazione di<br />
ciascuna di esse è isolata dal contesto generale<br />
del pianeta. Questa tendenza si occupa<br />
soprattutto dei problemi del degrado ambientale<br />
e della sua percezione da parte<br />
dell’uomo, nonché dei conflitti interetnici.<br />
Come questione filosoficamente rilevante,<br />
Godelier si è chiesto se effettivamente l’antropologia<br />
rappresenti uno strumento di<br />
normalizzazione culturale, da parte dell’Occidente,<br />
nei confronti delle altre culture,<br />
o se, invece, la riflessione etnologica e<br />
quella antropologica siano riuscite, almeno<br />
nei loro ultimi sviluppi, a decentrare il<br />
pensiero occidentale, dal quale entrambe<br />
pure provengono. Per l’etnologia contemporanea,<br />
ha ricordato Godelier, esistono<br />
58<br />
due linee di indagine, a seconda che ci si<br />
rivolga a realtà nazionali o a realtà di cui<br />
occorra, invece, apprendere la lingua. In un<br />
caso e nell’altro, si verifica un atteggiamento<br />
di fondo che appare di tipo colonialista,<br />
dominativo, da parte del cittadino nei<br />
confronti del campagnolo, in un caso, del<br />
civile nei confronti del selvaggio, nell’altro.<br />
Il passaggio dall’antropologia alla sociologia,<br />
da questo punto di vista, consiste<br />
proprio nel ritenere, da parte del ricercatore,<br />
di rivolgersi non a un popolo colonizzato,<br />
“selvaggio”, bensì alla propria stessa<br />
realtà sociale.<br />
Si può anche leggere la nascita dell’antropologia<br />
come scienza, ha sostenuto Godelier,<br />
nel passaggio da un’antropologia “interessata”<br />
e strumentale, ma dilettantistica<br />
e narrazionale (quella di missionari e colonizzatori),<br />
a una professionale, caratterizzata<br />
dalla costruzione, mediante grafici,<br />
della struttura delle relazioni parentali delle<br />
civiltà prese in esame. A partire da questa<br />
evoluzione dell’antropologia, ha osservato<br />
Godelier, si può in concreto verificare<br />
che cosa significhi il superamento dell’eurocentrismo<br />
e il decentramento del pensiero<br />
occidentale: le circa mille culture, attualmente<br />
censite sul pianeta, vengono oggi<br />
ripartite in sette tipologie di struttura parentale,<br />
e quella occidentale appare niente<br />
più che come la variante di una di esse, la<br />
tipologia “eschimese”. F.C.<br />
Tra i più importanti antropologi viventi,<br />
Mary Douglas si inserisce nella tradizione<br />
dell’antropologia anglosassone. Sostenitrice<br />
del metodo comparativo e della ricostruzione<br />
globale della struttura sociale, ha<br />
sviluppato in modo originale l’analisi dei<br />
sistemi simbolici in rapporto alle differenti<br />
società ed ha colto con chiarezza i rischi di<br />
una impostazione eurocentrica. Su queste<br />
tematiche e sulle sue ultime ricerche Franco<br />
Sarcinelli ha intervistato Mary Douglas,<br />
in occasione di una sua recente conferenza<br />
presso la Fondazione Collegio San<br />
Carlo di Modena.<br />
D. Signora Douglas, potrebbe parlarci del<br />
concetto di simboli naturali?<br />
R. Ho scritto un libro, intitolato: I simboli<br />
naturali; sebbene il titolo sia un ossimoro<br />
paradossale, ciò che esprime resta tuttavia<br />
un concetto importante. All’interno di ogni<br />
cultura la gente cerca nella natura un’autorità<br />
di quello che dice e così accade che<br />
ogni comunità ha una sua particolare lista<br />
preferita di simboli naturali. La mia convinzione<br />
è che non esiste una simbolizzazione<br />
naturale, artificiale. Noi abbiamo<br />
uno stesso corpo e stesse esperienze fisiche,<br />
che sono espresse in modo differente<br />
in culture differenti; in tal senso il titolo<br />
del mio libro è volutamente ironico. Su<br />
questo penso la stessa cosa di Levi-Strauss,<br />
che evidenzia in ogni società una commistione<br />
e una distinzione tra natura e cultura;<br />
solo che questa stessa distinzione è<br />
sempre artificiale e differente caso per caso.
D. Per comprendere meglio che cosa significa<br />
questa distinzione “caso per caso”,<br />
diventa importante il problema della comparazione<br />
tra culture?<br />
R. La comparazione - una seria comparazione<br />
che sancisca cosa è dimostrabile e<br />
cosa è rilevante o irrilevante - è faccenda<br />
assai importante ed è molto differente dall’idea<br />
di esplicazione. C’è bisogno di solidi<br />
principi per determinare che cosa sia confrontabile;<br />
soprattutto, sono necessarie basi<br />
teoriche di comparazione, per cui quando<br />
un antropologo si trova di fronte due tribù<br />
simili, o che vivono nella stessa area, può<br />
applicare la regola del ceteris paribus, dato<br />
che in situazioni abbastanza simili gli elementi<br />
differenzianti risultano assai interessanti.<br />
Per esempio, in Zaire ho studiato un<br />
popolo che viveva su una sponda di un<br />
fiume e andava a caccia con arco e frecce e<br />
non usavano né reti, né veleno; sull’altra<br />
sponda del fiume viveva un popolo con un<br />
linguaggio molto simile e con un sistema<br />
politico molto più elaborato, poiché vi era<br />
un re. Ho pensato che fosse ovvio e del<br />
tutto necessario istituire la comparazione<br />
tra gli effetti provocati sulle tipologie di<br />
ciascun popolo dai caratteri del suolo, dal<br />
clima, dalla popolazione, dalla povertà,<br />
presente su entrambe le sponde del fiume,<br />
per capire che dove vigeva il sistema politico<br />
del re l’organizzazione del lavoro era<br />
differente e vi era meno povertà e dispersione...<br />
- questo è il tipo di comparazione<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
che ritengo che l’antropologia debba fare.<br />
Vi è poi un secondo livello di comparazione,<br />
in cui tentiamo di interpretare per<br />
noi stessi gli elementi che abbiamo a<br />
disposizione: è a questo livello che ho<br />
scritto I simboli naturali. Sono rimasta<br />
molto colpita dal fatto che nell’Africa<br />
Occidentale è presente il culto degli antenati<br />
e non genealogie di gruppi socialmente<br />
riconosciuti come discendenza;<br />
nell’Africa Orientale, invece, vi sono le<br />
classi di età e non è presente alcun culto<br />
degli antenati; infine, nell’Africa Centrale<br />
non hanno il culto degli antenati,<br />
ma la stregoneria. Per capire le differenze<br />
che vi erano tra diversi tipi di strutture<br />
sociali e la religione che le caratterizzava<br />
ho dovuto fare un’astrazione dalle strutture<br />
sociali per elaborare una teoria e con<br />
essa chiarire le relazioni tra religione e<br />
società: ciò ha implicato comparazioni che<br />
hanno richiesto molta attenzione. A questo<br />
tipo di lavoro alcuni antropologi non<br />
sono affatto interessati e altri credono che<br />
ciò non abbia alcun interesse - perciò sostengono<br />
che le comparazioni sono impossibili<br />
e non puntano a un lavoro di comparazione,<br />
ma a quello di argomentazione.<br />
D. Dunque, il problema in antropologia è<br />
quello della generalizzazione...<br />
R. Certo, questo è il problema. Ora, nessuna<br />
generalizzazione è impossibile; la generalizzazione<br />
è necessaria in ogni cosa. Se hai una<br />
gran quantità di informazioni e non possiedi<br />
Recipiente in legno. Haida (America)<br />
59<br />
una teoria, l’informazione di cui si dispone<br />
rappresenta un “caso da museo”. L’antropologo<br />
fa una ricerca molto dettagliata del<br />
modo di vivere in un’intera regione , in ogni<br />
fase storica; ma se non c’è un nesso che<br />
colleghi a noi questa ricerca, essa non è di<br />
nessun interesse e diventa un “caso da museo “.<br />
D. Nel suo studio sui simboli naturali Lei<br />
descrive la questione del rapporto metaforico<br />
tra corpo e società. Ha in seguito continuato<br />
ad approfondire questo problema?<br />
R. Non ho continuato su questa strada. Ho<br />
pensato al corpo come metafora della società,<br />
ma i miei amici e critici mi hanno<br />
fatto notare che è un problema troppo arduo<br />
spiegare la scelta di una metafora piuttosto<br />
che di un’altra, ossia il procedimento<br />
che porta a scegliere una metafora. Pertanto<br />
mi sono concentrata maggiormente sui<br />
meccanismi della vita collettiva; in particolare,<br />
il mio interesse per il corpo si è<br />
orientato sul modo di usare il corpo per<br />
accusare le persone. Se qualcuno ha il corpo<br />
malato, la cosa interessante è che a<br />
qualcun’altro viene attribuita la colpa (potrebbe<br />
essere un capo gerarchico o uno<br />
straniero). Così, il mio lavoro riguardo i<br />
simboli si è spostato in quello di rintracciare<br />
le accuse e le colpe in relazione al corpo;<br />
non il corpo come metafora, ma come locus<br />
di attacco, socialmente predisposto, in base<br />
al quale le persone esprimono come regola<br />
ciò che essi si aspettano come esigenze di<br />
altri. E’ un approccio differente rispetto al
corpo metaforico; è un approccio di tipo<br />
più sociologico.<br />
Recentemente ho scritto un saggio con un<br />
giovane medievalista in relazione al fenomeno<br />
della lebbra nel XII secolo in Inghilterra<br />
e in Francia. Siamo partiti da questo<br />
problema: chi era il lebbroso? Ora, secondo<br />
il mio approccio, la lebbra è da considerarsi<br />
un attacco: qualcuno viene accusato di<br />
aver contratto la malattia; e questa è un’accusa<br />
vera e propria, perché il suo effetto, a<br />
metà del XII secolo in Inghilterra e in<br />
Francia, è tale per cui la persona dichiarata<br />
lebbrosa doveva essere segregato dalla società;<br />
non poteva né ricevere, né lasciare in<br />
eredità del denaro; il suo status civile diveniva<br />
fortemente controllato; anzi, non aveva<br />
un suo status e, se era fortunato, poteva<br />
andare in un lebbrosario, altrimenti finiva<br />
sulla strada. La lebbra era considerata fortemente<br />
contagiosa e si pensava che fosse<br />
trasmessa sessualmente - come l’Aids -,<br />
che il lebbroso avesse impulsi sessuali spropositati<br />
e che il suo interesse fosse quello di<br />
contaminare il maggior numero di persone<br />
possibile; era quindi una terribile specie di<br />
outsider. All’epoca, sembra che ci sia stata<br />
una vera e propria epidemia: migliaia di<br />
essi vennero messi in edifici appositi; così<br />
che il tipico atto filantropico dell’epoca<br />
divenne quello di costruire nuovi lebbrosari.<br />
Tuttavia, resta il fatto che non vi era<br />
alcun mezzo per diagnosticare la lebbra.<br />
Per comprendere il fenomeno della lebbra<br />
occorre un’analisi sociologica o antropologica,<br />
che metta a confronto l’atteggiamento<br />
rispetto al corpo e alla lebbra in differenti<br />
periodi storici, in Inghilterra e in Francia,<br />
che sono espressione di differenti visioni<br />
culturali. Alla fine del X secolo, prima<br />
delle Crociate e della minaccia dell’Islam,<br />
pochissimi casi di lebbra furono registrati<br />
in Inghilterra e in Francia; la direzione<br />
dell’accusa era diretta sempre verso l’alto -<br />
un superiore accusato dai suoi subordinati<br />
- ed accadeva che la persona accusata era<br />
oggetto anche di altre accuse - per esempio<br />
di crudeltà verso i sudditi, di appropriazione<br />
indebita di denaro, di cattivo governo.<br />
Ma l’accusa principale rimaneva la lebbra<br />
e nel caso di un largo consenso contro<br />
l’accusato, seguiva la sua rimozione dall’incarico.<br />
L’accusa di lebbra era dunque<br />
un modo di correggere atti di ingiustizia in<br />
una piccola comunità. Il contrasto consiste<br />
nel fatto che alla fine del XII secolo la<br />
direzione dell’accusa cominciò ad andare<br />
in senso opposto e nessuno più della classe<br />
superiore risultò affetto dalla lebbra, ma<br />
solo le classi povere e i meno abbienti.<br />
La prima, la seconda e la terza Crociata<br />
avevano completamente ribaltato il sistema<br />
feudale, gettato i poveri sulla strada ed<br />
eliminato le barriere tra nobiltà e borghesia<br />
con un effetto di grande confusione sociale:<br />
si erano diffusi molto denaro e benessere<br />
nel paese dopo le Crociate, per cui i<br />
ricchi, invece di dare contributi in denaro ai<br />
poveri, li accusavano di lebbra in modo da<br />
non sentirsi più socialmente responsabili<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
nei loro confronti, dal momento che la<br />
lebbra era il male ed essi erano peccatori.<br />
L’accusa si era trasformata nella direzione<br />
opposta rispetto a prima e, tuttavia, nessuno<br />
sapeva nulla sulla lebbra. Ecco un esempio<br />
del mio attuale lavoro sul corpo come<br />
strumento di accusa.<br />
‘Philosophia naturalis’<br />
Nel decennale dell’A.I.S.E. (Associazione<br />
Italiana di <strong>Studi</strong> di Estetica) si è<br />
tenuto a Trento, nei giorni 11 e 12<br />
aprile 1994, il convegno: “SIGNIFICATI E<br />
VALORI DELLA NATURA NEL PENSIERO ESTETI-<br />
CO D’OCCIDENTE E ORIENTE”, organizzato e<br />
coordinato da Maria Grazia Marchianò,<br />
con la collaborazione di Renato<br />
Troncon dell’Università di Trento.<br />
Due le novità proposte al convegno: una<br />
“sezione” dedicata al pensiero orientale e<br />
una di estetica musicale, a testimonianza<br />
del carattere ramificato dell’estetica e della<br />
fecondità delle analogie fra mondi culturali<br />
diversi per lingua, disciplina, civiltà. La<br />
riflessione sull’estetica orientale ha dato<br />
prova della sua variegata geografia e della<br />
sua differenziata topica: l’oriente russo,<br />
l’oriente cinese, l’oriente giapponese...; e<br />
ancora: gli intrecci fra oriente e occidente,<br />
fra epoche e concezioni apparentemente<br />
lontani. L’estetica russa è stata al centro<br />
dell’intervento di Roberto Salizzoni, che<br />
si è occupato di A. Platonov e della sua<br />
ricezione del processo di sovietizzazione<br />
degli anni ’20 e ’30. Chiara Cantelli,<br />
invece, ha discusso il paradosso inerente al<br />
pensiero di Solov’ev: la bellezza è più<br />
diffusa negli esseri inferiori del cosmo e si<br />
presenta come deformità rispetto all’armonia<br />
assoluta di Dio.<br />
Della vitalità della riflessione estetica in<br />
civiltà ancor più remote ha testimoniato<br />
Giangiorgio Pasqualotto, che ha chiarito<br />
le differenze terminologiche e gli usi metaforici<br />
dell’idea di natura nelle grandi tradizioni<br />
del taoismo, polarizzato sul carattere<br />
fisico dell’esperienza naturale, e del buddhismo,<br />
orientato verso una comprensione<br />
intellettuale e mentale. Monica Ferrando<br />
ha invece presentato l’interpretazione metafisica<br />
della pittura, vera e propria depositaria<br />
della creazione dei “possibili” naturali,<br />
nel pensiero di Shitao. In quest’ambito<br />
di ricerca non sono mancate le analisi comparativistiche<br />
fra modelli culturali: Riccardo<br />
Franciolli ha elaborato una rete di<br />
analogie tra la polarità Terra-Mondo in<br />
Heidegger e quella Yin-Yang; Enrico<br />
Giannetto ha sviluppato i punti di convergenza<br />
e di distacco fra la metafisica occidentale<br />
contemporanea e il buddhismo di Tagore;<br />
Francesco Solitario ha seguito le tracce<br />
dell’opera novellistica indiana Pancatantra<br />
(IV-V) nella scrittura leggiadra di un noto<br />
umanista, Agnolo Fiorenzuola, analizzan-<br />
60<br />
do differenze e affinità dei due testi in merito<br />
alla concezione del mondo animale.<br />
Per la sezione di estetica musicale, Enrico<br />
Fubini si è soffermato sull’invito alla natura<br />
- nella duplice accezione di natura del<br />
linguaggio musicale e di natura percettivopsicologica<br />
dell’ascoltatore - nel linguaggio<br />
musicale del Novecento. Luciana Galliano<br />
ha sottolineato l’opposizione fra suono<br />
e rumore nella cultura occidentale e ha<br />
operato un raffronto con la musica orientale,<br />
in particolare quella giapponese. Michele<br />
Garda ha tracciato l’itinerario dell’estetica<br />
del sublime letterario e del sublime<br />
musicale nell’estetica inglese e tedesca<br />
del Settecento.<br />
Tra gli interventi caratterizzati da una correlazione<br />
tra piano storico delle ricerche e<br />
piano trasversale degli interrogativi teorici,<br />
Renato Troncon ha propugnato una<br />
riflessione estetica che sappia render conto<br />
non tanto delle ragioni, quanto dei caratteri<br />
delle cose inanimate; mentre Elio Franzini<br />
ha presentato una riflessione personale,<br />
incentrata sul tema dell’ “intenzionalità<br />
fungente”, di origine husserliana, e sull’idea<br />
di artisticità come interpretazione<br />
della natura, a partire dalle modalità qualitative<br />
della descrizione. Luisa Bonesio ha<br />
invece ribadito la necessità di restituire<br />
“verticalità” all’immagine della Terra in<br />
una dimensione cosmica, per sottrarla allo<br />
svuotamento e alla desertificazione della<br />
riflessione contemporanea; laddove Paolo<br />
D’Angelo ha vagliato motivi e paradossi<br />
dell’ “estetica ecologica” contemporanea<br />
(tedesca e americana).<br />
Non sono mancati i raffronti e gli “scorci”<br />
intesi a esemplificare le inquietudini e i<br />
motivi teorici di un’epoca o di una tradizione<br />
di pensiero. In tal senso, Stefano Benassi<br />
ha analizzato la problematica dell’armonia<br />
estetico-etica nell’età rinascimentale;<br />
Maurizio Ferraris ha analizzato il nodo<br />
fra produzione e riproduzione nell’immaginazione,<br />
individuando due grandi tradizioni<br />
moderne, l’una identificabile nella<br />
“pista” associazionistica, l’altra orientata a<br />
evidenziare il carattere innovativo dell’analogia;<br />
Annamaria Contini ha sviluppato i<br />
rapporti fra organico e meccanico in seno al<br />
positivismo francese, soffermandosi in particolare<br />
su Guyau e Séailles; Reimar Klein<br />
ha ripercorso alcuni momenti del pensiero<br />
filosofico e letterario tedesco, Goethe, i<br />
romantici, Benjamin e Adorno, individuando<br />
come motivo sotterraneo la ricerca<br />
di una lingua della natura depositata nella<br />
storia; Marco Macciantelli ha esaminato<br />
l’intreccio fra simbolo e sublime, da Burke<br />
alle poetiche simboliste; Giovanna Pinna<br />
ha affrontato il nodo fra autonomia del<br />
giudizio estetico e modello organico nella<br />
riflessione sul bello naturale nell’idealismo<br />
tedesco; Federico Vercellone, infine,<br />
ha proposto il problema cruciale quello<br />
dell’individualità attraverso le figure di<br />
Goethe e di Novalis.<br />
Alcuni interventi hanno potuto porsi in<br />
“dialogo” l’uno con l’altro: così, Elena
Tavani, Carlo Gentili, e Elio Matassi<br />
hanno presentato le loro ricerche sul pensiero<br />
di Adorno. Tavani ha insistito sull’alleanza<br />
fra “naturale” e “estetico” in Adorno<br />
come istanza critica e trascendente in<br />
vista dell’esperienza individuale e attiva<br />
nel corso del mondo; Matassi ha interpretato<br />
la “seconda natura” in Adorno come<br />
“caducità” esclusa dal movimento dialettico,<br />
affrontando il rapporto tra Hegel e Adorno;<br />
Gentili ha invece connesso le osservazioni<br />
di Adorno e di Horkheimer sui miti<br />
dell’Odissea con l’interpretazione nietzscheana<br />
del mito di Edipo.<br />
Altri oratori si sono concentrati sulla figura<br />
e l’opera di Kant, di cui Gianluca Garelli<br />
ha affrontato il tema della melanconia; di<br />
Addison, di cui Giuseppe Patella ha analizzato<br />
il rapporto fra gusto, arguzia e piacere<br />
in merito all’immaginazione; di Leopardi,<br />
di cui Franco Rella ha voluto mettere<br />
in risalto la riflessione sul carattere<br />
“silvestre” della natura tesa fra un troppo<br />
pieno e l’annientamento; di Heidegger, di<br />
cui Caterina Resta ha ripreso il tema della<br />
“physis”; di Schelling, di cui Tonino Griffero<br />
ha analizzato le due coppie proporzionali,<br />
pianeti-comete e Antichi-Moderni; di<br />
Jakob Boehme, di cui Flavio Cuniberto<br />
ha interpretato la nozione di “paesaggio<br />
primordiale”. Infine, Leonardo Amoroso<br />
ha sottolineato il ruolo di Fedro nel dialogo<br />
omonimo di Platone; Clementina Gily<br />
Reda ha ricordato il pensiero estetico di<br />
Remo Cantoni.<br />
Altri oratori si sono concentrati sul rapporto<br />
fra arti figurative, estetica e retorica.<br />
Giorgio Maragliano ha evidenziato la rottura<br />
effettuata da Winckelmann nel campo<br />
della ekphrasis, descrivendo il corpo<br />
umano come fosse un paesaggio; Roberto<br />
Diodato ha presentato, in riferimento a un<br />
quadro di Vermeer, le analogie fra il pittore<br />
e Spinoza inerenti alla comune valutazione<br />
del finito, se non del “quotidiano”; Fosca<br />
Mariani Zini ha evocato il ruolo della<br />
leggiadria nel Rinascimento italiano e ha<br />
ricordato l’importanza per l’estetica dell’opera<br />
di Francesco Colonna Hypnerotomachia<br />
Poliphili ; Fausto Testa si è soffermato<br />
sull’idea di giardino in Leonardo,<br />
analizzando il testo e l’immagine del foglio<br />
W.12591 di Windsor. F.M.Z.<br />
La riforma di Lutero<br />
Dall’11 al 15 aprile 1994, presso l’Istituto<br />
Italiano per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong><br />
di Napoli, Bruno Forte, della Pontificia<br />
facoltà Teologica dell’Italia Meridionale<br />
(Napoli), ha tenuto un Seminario<br />
dal titolo: “INITIA LUTHERI - INITIA<br />
REFORMATIONIS”.<br />
Come ha sottolineato Bruno Forte in apertura<br />
dei lavori, lo scopo del seminario è<br />
stato di sviluppare una storia della Rifor-<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
ma, della Controriforma e dell’apologia<br />
luterana, avvalendosi, oltre che dei testi<br />
tradizionalmente in uso per lo studio di<br />
Lutero, anche dei Dictata super psalterium,<br />
pressoché ignorati dalla tradizione.<br />
Nei testi sacri, ha osservato Forte, Lutero<br />
cerca la risposta alla domanda vera, quella<br />
che dia un senso alla sua vita e risponda al<br />
suo bisogno di grazia e di luce, la domanda<br />
sulla salvezza. Ciò che, secondo Forte,<br />
caratterizza i “Commenti” luterani alle<br />
Scritture è il profondo coinvolgimento esistenziale<br />
che si avverte dalla loro lettura:<br />
l’ermeneutica di Lutero, in tal senso, può<br />
essere interpretata come una riappropriazione<br />
esistenziale della parola di Dio nettamente<br />
contrapposta ad una visione legalistica<br />
della fede che il teologo tedesco rifiuta<br />
fermamente. Nell’Evangelo, Lutero scopre<br />
che la salvezza non è in se stessi, ma è<br />
piuttosto apertura all’altro.<br />
Dei quattro sensi interpretativi (letterario,<br />
allegorico, tropologico e anagogico) Lutero,<br />
nella sua interpretazione delle Scritture,<br />
privilegia quello allegorico (oggettivo) e<br />
quello tropologico-morale (soggettivo), finendo<br />
poi coll’accordare al secondo una<br />
netta preferenza. L’allegorico ha, tuttavia,<br />
valore soltanto in rapporto al tropologico:<br />
ciò che Dio dice è ciò che dice a me, e che mi<br />
dà la forza di uscire da me per ritrovarmi in<br />
Dio. Se, dunque, ha rilevato Forte, tutto sta<br />
nell’incontro con l’alterità dell’altro, la realtà<br />
vera sta nell’attesa, e quella luterana appare<br />
come nient’altro che un’ontologia dell’attesa:<br />
la vita è domanda, invocazione, dinamismo;<br />
è, in una parola, attesa della grazia.<br />
Nell’interpretazione dei testi, e in particolare<br />
nei Dictata, Lutero si rifà continuamente<br />
alla condizione esistenziale dell’uomo<br />
e l’attesa della salvezza ne appare come<br />
l’elemento caratterizzante. Secondo Forte,<br />
Lutero è il teologo del vissuto; le sue domande<br />
sono vere e le sue risposte non<br />
possono che essere vere, tratte cioè dall’esperienza<br />
reale. La verità sta nell’incontro<br />
con l’alterità e la salvezza si realizza<br />
proprio nella scoperta di questa verità. Ma<br />
la strada che conduce alla salvezza non è<br />
priva di insidie: il pericolo maggiore è<br />
rappresentato dalla negazione dell’alterità<br />
e affermazione della soggettività che conduce<br />
inevitabilmente al nulla.<br />
Esiste, si chiede Lutero, una possibilità di<br />
salvare la vita, di renderla giusta e quindi<br />
degna di essere vissuta? La risposta sta nel<br />
processo della giustificazione, che Lutero<br />
identifica proprio con la redenzione dal<br />
nulla. La giustificazione, ha osservato Forte,<br />
è un processo altamente dialettico, costituito<br />
dai tre momenti fondamentali della<br />
tesi, dell’antitesi e della sintesi. La tesi è<br />
rappresentata dal cosiddetto “naufragio”, e<br />
cioè dall’esperienza che l’uomo fa del proprio<br />
nulla, il cui risultato è la presa di<br />
coscienza della necessità di aprirsi all’altro,<br />
che Forte ha definito come la «coscienza<br />
dell’ontologia dell’attesa, del nulla che<br />
siamo», e che avviene in primo luogo attraverso<br />
l’umiltà di Dio: che si è umiliato, si è<br />
61<br />
nientificato per far sì che il mondo esistesse.<br />
La redenzione dal nulla, la salvezza,<br />
non sta dunque nel merito, che è sempre e<br />
comunque merito di Dio, dell’Altro, ma<br />
piuttosto nella grazia divina che permette<br />
all’uomo di prendere coscienza del proprio<br />
nulla e della necessità di offrirsi a Dio per<br />
la propria salvezza. Il secondo momento<br />
del processo della giustificazione, ha proseguito<br />
Forte, è il giudizio di Dio, che<br />
scopre e rivela ciò che l’uomo è, mettendo<br />
a nudo il suo essere e facendogli prendere<br />
coscienza del fatto che nulla è utile alla<br />
propria salvezza se non Dio. Terzo e ultimo<br />
momento del processo è la Iustitia Dei,<br />
per cui il nostro nulla, sperimentato nel<br />
naufragio e messo a nudo dal giudizio<br />
divino, viene sottoposto alla grazia di Dio,<br />
attraverso la quale si realizza la redenzione<br />
dell’uomo.<br />
Questo concetto della giustizia divina è<br />
ripreso da Lutero anche nel “Commento”<br />
alla Lettera ai Romani, in cui tema centrale<br />
è di nuovo l’incontro dell’umano e del<br />
divino nell’evento della giustificazione. Il<br />
peccato assume in questo “Commento”<br />
una veste del tutto nuova. In questa nuova<br />
prospettiva il nulla appare non come semplice<br />
negazione, ma piuttosto come fascino,<br />
come amore dell’errore e delle tenebre:<br />
si tratta, come ha affermato più volte Forte,<br />
di una concezione rivoluzionaria, che inaugura<br />
l’età moderna. L’uomo, di fronte al<br />
giudizio divino, ha fatto notare Forte, è<br />
esso stesso peccato, perché è esso stesso il<br />
nulla al quale tende. Sorge qui la questione<br />
della predestinazione, che Lutero, come<br />
Agostino, non risolve: ogni uomo è attratto<br />
dal peccato e può salvarsi soltanto attraverso<br />
il processo della giustificazione divina.<br />
Lutero elabora a questo proposito la dottrina<br />
del “simul iustus et peccator”, per cui il<br />
peccato diventa un momento del processo<br />
della giustificazione: non si può fare esperienza<br />
della grazia se prima non si fa esperienza<br />
del male e l’uomo giustificato resta<br />
un peccatore anche se è giusto. Con questo<br />
Lutero non nega, ha osservato Forte, che le<br />
opere prodotte dall’uomo abbiano un certo<br />
valore e una certa consistenza, ma nega<br />
fermamente che l’uomo abbia la possibilità<br />
di autoredimersi. L’unica opera umana<br />
che abbia una funzione attiva nel processo<br />
della giustificazione è il totale abbandono,<br />
la resa incondizionata a Dio, la presa di<br />
coscienza del proprio nulla e quindi il<br />
consapevole riconoscimento dell’ontologia<br />
dell’attesa.<br />
Secondo Forte, Lutero non dice nulla di<br />
nuovo; la novità sta piuttosto nel fatto che<br />
Lutero si riappropria delle Scritture in chiave<br />
esistenziale. La stessa Controriforma,<br />
che sarà avviata dal Concilio di Trento,<br />
dimostra, in realtà, secondo Forte, una sostanziale<br />
identità di vedute tra Lutero e<br />
Trento: tutta la controversia sarebbe nata,<br />
secondo Forte, da una diversità ermeneutico-linguistica<br />
che è quella su cui si è posta<br />
tutta l’incomprensione tra Lutero e il Concilio<br />
tridentino. G.M.
Nietzsche: tra filologia<br />
e filosofia<br />
Al Nietzsche dei nietzscheani e degli<br />
anti-nietzscheani, del culto deteriore,<br />
della leggenda si deve contrapporre il<br />
Nietzsche che emerge dal lavoro di ricerca<br />
storica e filologica, messo al riparo<br />
dalle semplificazioni e dalle tentazioni<br />
dell’immediatezza. Questo l’intento<br />
complessivo di un seminario dal titolo:<br />
“FRIEDRICH NIETZSCHE, A CENTOCINQUAT’ANNI<br />
DALLA NASCITA”, tenutosi a Pisa da febbraio<br />
a maggio del 1994, in occasione<br />
dei 150 anni della nascita del filosofo.<br />
La serie cadenzata dei vari incontri si è<br />
presentata come un percorso di riflessione<br />
su vari temi di più studiosi, che da<br />
diverse prospettive hanno trovato e<br />
riconosciuto nell’edizione critica dell’opera<br />
completa di Nietzsche, intrapresa<br />
da Giorgio Colli e Mazzino Montinari,<br />
uno strumento essenziale per un<br />
percorso di lavoro e per un viaggio di<br />
scoperta ancora aperto su un periodo<br />
storico e culturale molto importante.<br />
Come ha sottolineato nella sua prolusione<br />
Giuliano Campioni, uno degli organizzatori<br />
del convegno, questa serie di seminari<br />
dedicati a Nietzsche ha voluto essere anche<br />
un omaggio all’opera di Colli e Montinari,<br />
che a Pisa si sono formati e hanno operato<br />
e insegnato. La prospettiva metodologica<br />
Friedrich Nietzsche (1867)<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
di Colli e Montinari, ha osservato Campioni,<br />
non si presenta come una soluzione<br />
definitiva al problema Nietzsche, e ai problemi<br />
di Nietzsche, ma come coscienza<br />
della complessità del fenomeno Nietzsche<br />
e dell’attuale impossibilità di una sintesi<br />
del suo pensiero che si sottragga ad un<br />
totale, quanto falsante prospettivismo. Al<br />
contempo, si rendeva necessario fare chiarezza<br />
sugli effettivi contenuti di questo<br />
pensiero, che possono essere evidenziati<br />
solo da un costante e puntuale esame dei<br />
suoi scritti e da un’attenta ricostruzione<br />
della fitta rete di relazioni e di rimandi, di<br />
cui questi sono intessuti.<br />
Nel primo appuntamento, Domenico Maria<br />
Fazio ha passato in rassegna fortune e<br />
sfortune critiche dell’opera di Nietzsche in<br />
Italia, mettendo in risalto come la ricezione<br />
italiana, soprattutto agli inizi del secolo, sia<br />
stata condizionata da una scarsa e molto<br />
approssimativa conoscenza dei testi. Nonostante<br />
ciò, ha osservato Fazio, l’Italia è<br />
stato uno dei paesi in cui il dibattito nietzscheano<br />
si è acceso con maggior fervore,<br />
dal tentativo di Croce di lettura idealistica<br />
di Nietzsche in chiave estetica, al “filosofare<br />
con Nietzsche” di Papini e Prezzolini.<br />
La fine della Grande Guerra e il conseguente<br />
antigermanesimo portarono a una<br />
rivalutazione dell’aspetto letterario e stilistico<br />
delle opere di Nietzsche ad opera di<br />
Gozzano e di Campana. Solo nel 1926,<br />
grazie all’editore Monanni, si ebbe la pri-<br />
62<br />
ma edizione italiana “completa” delle opere,<br />
sulla base della Taschenausgabe del 1906,<br />
che comprendeva solo le opere principali,<br />
inclusa un’edizione filologicamente infondata<br />
e non curata della Volontà di potenza.<br />
Contrariamente a quanto si può pensare, il<br />
Fascismo dedicò a Nietzsche un’attenzione<br />
molto relativa. Per contro, verso la metà<br />
degli anni Trenta si diffuse, ad opera di A.<br />
Banfi, un’interpretazione antifascista di<br />
Nietzsche, incentrata sull’antidogmatismo<br />
e sul libertarismo del suo pensiero. Con<br />
l’arrivo in Italia delle interpretazioni di<br />
Jaspers, Heidegger e Löwith, seguite e riprese<br />
dalle letture fenomenologico-esistenzialiste<br />
di Pareyson e di Paci, finisce in<br />
Italia l’epoca delle strumentalizzazioni a<br />
sfondo sociale e politico e si apre la possibilità<br />
di una comprensione più autentica e<br />
profonda del pensiero di Nietzsche.<br />
I problemi etici e tecnici connessi al lascito<br />
letterario (Nachlass) di Nietzsche sono stati<br />
invece al centro della conferenza di David<br />
Marc Hoffman, coeditore dell’edizione<br />
completa Steiner delle opere di Nietzsche,<br />
che ha affrontato esplicitamente il<br />
problema della liceità di una sorta di voyerismo<br />
psicologico, che si esercita sulle testimonianze<br />
intime della vita di un autore e<br />
che non necessariamente aggiungono qualcosa<br />
al suo valore teorico o letterario. In<br />
questo, ha osservato Hoffman, è responsabile<br />
il curatore che deve mettere il pubblico<br />
in grado di ponderare i differenti tipi di<br />
testo e coglierne il valore specifico per la<br />
comprensione dell’autore. In questo contesto,<br />
il caso del Nachlass nietzscheano assume<br />
un valore esemplare, in particolare per<br />
quanto riguarda la Volontà di potenza, che<br />
come è noto fu costruita arbitrariamente<br />
dai suoi curatori, in primis dalla sorella<br />
Elisabeth. In direzione del tutto diversa si<br />
muove l’edizione Colli-Montinari, che usa<br />
il principio ordinatorie della cronologia,<br />
distinguendo tra frammenti e stesure preparatorie.<br />
Per quanto riguarda le lettere,<br />
Montinari ha coscientemente contravvenuto<br />
alle indicazioni di Nietzsche, ma non ha<br />
trascurato di riferirsi alle conseguenze per la<br />
ricezione e accetta la colpa dell’indiscrezione<br />
senza però mancare di mettere in guardia<br />
il lettore sul tipo di operazione compiuta.<br />
Un punto di contatto tra Nietzsche e Spencer<br />
è stato individuato da Andrea Orsucci<br />
nel suo seminario, che ha evidenziato come<br />
Nietzsche si sia servito delle nozioni etnologiche<br />
contenute nell’Etica e nei Principi<br />
di Sociologia di Spencer, per la formulazione<br />
di alcune analisi sull’origine dei concetti<br />
morali nella Genealogia della Morale.<br />
Il rapporto di Nietzsche con la filosofia<br />
preplatonica è stato al centro di un seminario<br />
a due voci, tenuto da Paolo D’Iorio e da<br />
Francesco Fronterotta. Prendendo in considerazione<br />
l’attività filologica del giovane<br />
Nietzsche, Fronterotta ha osservato, da un<br />
punto di vista metodologico, come Nietzsche<br />
invitasse a diffidare costantemente e<br />
regolarmente delle eccessive e artificiali<br />
coincidenze nelle cronologie antiche e a
valutare i dati cronologici attraverso una<br />
rigorosa verifica della tradizione dossografica;<br />
una conquista di metodo molto innovativa<br />
per quei tempi, che fu avversata ad<br />
esempio, da Diels. Da un punto di vista<br />
storico, ha aggiunto Fronterotta, Nietzsche<br />
intendeva operare un’analisi delle diverse<br />
fasi della storiografia greca per esprimere<br />
una valutazione complessiva; di qui la valutazione<br />
dei preplatonici come figure indipendenti<br />
che non intrattengono tra loro<br />
rapporti di scuola o personali.<br />
Secondo D’Iorio, le opere dedicate ai filosofi<br />
preplatonici permettono di chiarire come il<br />
periodo “mitico - wagneriano” appaia in<br />
Nietzsche come una parentesi all’interno<br />
della ricerca sul problema della conoscenza.<br />
La tensione tra questi due momenti del suo<br />
pensiero, la si può rintracciare, per D’Iorio,<br />
nel rapporto di antitesi che intercorre tra La<br />
Nascita della Tragedia e La Filosofia nel-<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
Friedrich Nietzsche tra le braccia della sorella Elisabeth Förster Nietzsche<br />
l’epoca tragica dei Greci. La prima è legata<br />
all’ideologia mitico-comunitaria di<br />
Bayreuth; la seconda, influenzata dalla<br />
lettura della Storia del Materialismo di<br />
Lange e preparata da alcuni cicli di lezioni<br />
sui Filosofi preplatonici, tenuti dal 1872 al<br />
1876, si rivela pervasa d’amore per una<br />
concezione del sapere scientifico antimetafisico<br />
ed iconoclasta, rappresentato in<br />
modo eminente nella figura di Democrito.<br />
Il tentativo di sintesi dei due punti di vista<br />
nel saggio Su verità e menzogna in senso<br />
extramorale, in cui scienza e arte vengono<br />
ricondotte alla comune radice metaforica e<br />
illusoria, si rivela, secondo D’Iorio, inefficace<br />
e Nietzsche abbandonerà i suoi studi<br />
sui presocratici, per dedicarsi a temi più<br />
utili alla causa di Bayreuth, che tuttavia, di<br />
lì a qualche anno, abbandonerà definitivamente<br />
per riprendere il filone “democriteo”<br />
e volterriano della ricerca sulla conoscenza.<br />
63<br />
Del giovane Nietzsche si sono occupati<br />
anche Roberto Venuti, che ha evidenziato<br />
i rapporti tra Nietzsche e Schiller, riguardo<br />
alla considerazione della tragedia e del<br />
mito nella classicità, quali emergono ne La<br />
Nascita della tragedia, e Luigi Alfieri, che<br />
ha invece posto l’accento sul pensiero politico<br />
giovanile di Nietzsche, delineando la<br />
possibilità di darne una lettura antiautoritaria,<br />
contrassegnata da forti accenti anarchici<br />
e religiosi.<br />
Al pensiero politico di Nietzsche si è rivolto<br />
anche Urs Marti, che ha presentato una<br />
proposta interpretativa della teoria del superuomo<br />
in senso democratico. Nell’anelito<br />
verso l’uomo superiore, elemento germinativo<br />
della teoria del superuomo, si esprime il<br />
sogno di un nuovo tipo di uomo che si elevi<br />
al disopra dei concetti morali convenzionali.<br />
Secondo Marti, il concetto nietzscheano dell’uomo<br />
superiore «tradisce effettivamente
l’influsso della letteratura francese e questa<br />
letteratura a sua volta rispecchia diverse possibilità<br />
di contrasto con la democratizzazione<br />
della società francese».<br />
Al tema del rapporto tra Nietzsche e la<br />
cultura francese si riallaccia anche Giuliano<br />
Campioni, il quale ha indicato nella<br />
cultura parigina del naturalismo e della<br />
fisiologia il terreno su cui nasce la nozione<br />
di décadence, impiegata da Nietzsche per<br />
definire l’arte di Wagner e tutta la cultura<br />
della modernità fin de siècle. Autori quali<br />
Bourget, i Goncourt, Balzac, Flaubert, Renan,<br />
forniscono a Nietzsche gli strumenti<br />
per una concezione della décadence intesa<br />
come malattia, insubordinazione delle parti<br />
al tutto, degenerazione, incapacità di<br />
dominare la contraddizione dei molti istinti<br />
e dare forma alle forze contrastanti che<br />
agiscono all’interno della personalità e della<br />
società. La malattia della modernità è il<br />
dominio del milieu, della massa priva ogni<br />
disciplina e dominio. Al tipo della décadence,<br />
prodotto necessario dell’azione plasmatrice<br />
del milieu, Nietzsche oppone i grandi<br />
uomini del passato, Cesare, Napoleone,<br />
espressione autentica della volontà di potenza,<br />
intesa come autodisciplina e volontà di<br />
dare forma al caos interiore degli istinti.<br />
Dopo un ricco e complesso excursus sulla<br />
cultura tedesca del primo novecento Franco<br />
Volpi ha analizzato l’interpretazione di<br />
Heidegger della Volontà di potenza, ricostruendo<br />
i riferimenti testuali adoperati dal<br />
filosofo di Essere e tempo e alcuni problemi<br />
critici insiti nella sua interpretazione del<br />
pensiero nietzscheano.<br />
Un preciso resoconto tecnico sul lavoro<br />
filologico svolto sul Nachlass nella ricerca<br />
delle fonti e degli influssi che hanno<br />
contribuito alla stesura dello Zarathustra<br />
è stato presentato da Marie-Luise Haase,<br />
che ha sottolineato come il lavoro filologico<br />
sui frammenti postumi e sulle fonti<br />
contribuisca a restituire l’esatto valore del<br />
pensiero di Nietzsche, eliminando le possibilità<br />
di abuso o di interpretazioni avventuristiche,<br />
e a collocarlo con sempre maggiore<br />
precisione all’interno del tessuto<br />
culturale della sua epoca.<br />
Prendendo in esame la ricezione della Nascita<br />
della tragedia nella letteratura tedesca<br />
di fine secolo, Karl Pestalozzi ha messo<br />
in luce un momento fondamentale della<br />
nascita dell’epoca moderna in Germania<br />
alla fine del XIX secolo, mostrando l’influenza<br />
di Nietzsche su alcuni artisti tedeschi<br />
“moderni”, quali Hoffmansthal, Hauptmann,<br />
Rilke. I poeti a cavallo tra il diciannovesimo<br />
ed il ventesimo secolo lessero La<br />
Nascita della Tragedia di Nietzsche come<br />
poetica, a partire dalla quale intesero e<br />
legittimarono la loro poesia, generalizzando<br />
il titolo dell’opera nietzscheana in “La<br />
nascita della poesia dallo spirito della musica”.<br />
L’origine della poesia risiedeva al di<br />
là dell’individualità della quale erano coscienti;<br />
in essa si manifestava qualcosa di<br />
immanentemente divino.<br />
L’opera giovanile di Nietzsche assegnò ai<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
poeti anche una particolare collocazione<br />
storico-filosofica e il relativo compito, cioè<br />
quello che egli aveva concepito per Wagner,<br />
che consisteva nel porre termine all’epoca<br />
socratica, esercitando una critica della letteratura<br />
e delle società vigenti in quanto socratiche,<br />
o unilateralmente apollinee. S. F.<br />
Viaggio<br />
come esperienza religiosa<br />
Nell’ambito di un ciclo di lezioni sul<br />
tema dello spazio sacro e del viaggio<br />
nell’esperienza religiosa, organizzato<br />
dal Centro <strong>Studi</strong> Religiosi della Fondazione<br />
San Carlo di Modena nell’ultimo<br />
biennio di attività (ottobre 1992-aprile<br />
1994), ha avuto luogo dal 7 ottobre<br />
1993 al 14 aprile 1994 il secondo ciclo di<br />
lezioni dal titolo: “IN CAMMINO VERSO DIO.<br />
LA METAFORA DEL VIAGGIO NELL’ESPERIENZA<br />
RELIGIOSA”, che ha visto la partecipazione<br />
di Raimon Panikkar, Filippo Gentiloni,<br />
Amalia Pezzali, Ermenegildo Manicardi,<br />
Paolo Branca, Anna Maria Leonardi,<br />
Franco Cardini, Erminia Macola,<br />
Gianni Celati, Severino Dianich.<br />
Da sempre il tema del “luogo sacro” è stato<br />
oggetto di studio, dai classici della ricerca<br />
fenomenologica - Rudolf Otto, Mircea Eliade<br />
- al semplice uomo di fede. Con questi<br />
presupposti prendeva avvio il primo ciclo<br />
di lezioni, dal titolo: “I paesaggi del sacro”,<br />
proponendo interventi di Armido Rizzi,<br />
Paolo Branca, Paolo De Benedetti, Sergio<br />
Ribichini, Giuseppe Barbaglio, Pierangelo<br />
Sequeri, Filippo Gentiloni, Aldo Natale<br />
Terrin, Franco La Cecla, Paolo Ricca.<br />
Il secondo ciclo di lezioni ha affrontato la<br />
metafora del viaggio, utilizzata nelle varie<br />
religioni, in Occidente come in Oriente, per<br />
rendere evidente la ricerca di Dio da parte<br />
dell’uomo e anche l’apertura tra l’umanità<br />
ed il sacro. Il primo incontro, di taglio<br />
metodologico, è stato condotto dal teologo<br />
e filosofo Raimon Panikkar, che ha mostrato<br />
l’ampio uso di questa metafora. Due<br />
diversi codici del viaggiare sono stati presentati<br />
da Filippo Gentiloni: quello di Ulisse,<br />
che viaggia per poi ritornare a casa e ha<br />
sempre ben presente la meta; e quello di<br />
Abramo, che rappresenta «l’uomo che se<br />
ne va; ma non sa bene dove arriverà», per il<br />
quale la fede è sempre “un camminare”,<br />
seguendo l’indicazione di un dito, secondo<br />
una concezione storica del viaggio - tutta la<br />
Bibbia, peraltro, narra esperienze di percorsi<br />
(l’uscita dall’Egitto, il vagare nel deserto,<br />
l’esilio...). Altre figure di viaggiatori<br />
prese in considerazione sono state Gautama<br />
Siddharta, Buddha e il suo cammino<br />
spirituale per il raggiungimento del nirvana,<br />
la “rottura” con il ciclo delle rinascite,<br />
di cui si è occupata Amalia Pezzali; Gesù,<br />
annunciatore itinerante del Regno, ma anche<br />
“via, verità e vita”, come ha mostrato<br />
64<br />
Ermenegildo Manicardi, mettendo in evidenza<br />
come tutto ciò che riguarda il cammino<br />
di Gesù non sia circoscrivibile solo alla<br />
sua esistenza storica, ma, abbracciando la<br />
Risurrezione, coinvolga anche ogni uomo.<br />
L’Islam, su cui si è soffermato Paolo Branca,<br />
si propone di dare, anche in senso<br />
morale, una direzione al muoversi dell’uomo,<br />
del beduino; nella Sura che apre il<br />
Corano si legge: «Indicaci la via!». Dal<br />
punto di vista fisico e geografico, La Mecca<br />
testimonia la disposizione dell’uomo a<br />
seguire Dio; e inoltre, il pellegrinaggio costituisce<br />
uno dei cinque pilastri della fede.<br />
Avvincente anche l’esempio dell’itinerario<br />
dantesco nei regni dell’oltretomba, proposto<br />
da Anna Maria Chiavacci Leonardi; così<br />
come l’immagine del pellegrino medievale,<br />
offerta da Franco Cardini, che ha fatto<br />
notare come il pellegrino vuole toccare con<br />
mano la presenza di Dio nella storia, andando<br />
da un luogo profano a un luogo sacro; in<br />
realtà, tutta la vita è un pellegrinaggio e il<br />
passaggio da uno stato all’altro è da intendersi<br />
come metanoia interiore.<br />
Alle esperienze di viaggio dei grandi mistici<br />
ha fatto riferimento Erminia Macola.<br />
Nel viaggio che avviene di notte, secondo<br />
l’esperienza di Giovanni della Croce, ci si<br />
perde per ritrovarsi in un processo profondo<br />
di identificazione: «per essere ciò che<br />
non sono, devo andare per dove non sono».<br />
La strada è oscura, buia; i pericoli sono le<br />
abitudini, che bisogna abbandonare per<br />
«correre con leggerezza verso Dio, prenderlo<br />
e stringerlo senza lasciarlo andare».<br />
Teresa d’Avila, invece, fece dell’anoressia,<br />
di cui soffrì, la risposta letterale al<br />
dettato dei testi ascetici: il cibo e il sonno<br />
non sono che una perdita di tempo; molto<br />
più proficuo è non mangiare e rimanere<br />
nell’attesa della venuta di qualcosa/qualcuno<br />
(ostia, cibo divino) che doni la vera vita.<br />
Gianni Celati ha invece parlato dell’avventura<br />
poetica di Rilke come esperienza mistica<br />
di illuminazione a partire da una sua<br />
traduzione originale delle Elegie duinesi.<br />
All’elemento di novità - indice di movimento<br />
ed ansia - introdotto da Gesù, che<br />
paragona il Regno di Dio al sale ed al<br />
lievito, ha fatto riferimento Severino Dianich,<br />
mostrando come questa espressione<br />
rimandi sempre ad un’ulteriorità, ad<br />
un’aspirazione. Il Regno è dunque un orizzonte<br />
in cui possono essere iscritte mete<br />
diverse; qualsiasi movimento sarebbe deviante<br />
se non rientrasse in questo orizzonte,<br />
che «è già, ma deve ancora venire» Sia<br />
la “fuga dal mondo” nella vita contemplativa,<br />
travalicando la storia, sia l’impegno<br />
per rendere la vita sulla terra più umana<br />
sono mete che devono essere iscritte nell’orizzonte<br />
del Regno e delle sua venuta ed<br />
il progresso terreno non fa che accelerare la<br />
discesa definitiva dal cielo della città santa,<br />
la nuova Gerusalemme.<br />
Il complesso degli interventi verrà raccolto<br />
in forma rielaborata e pubblicato nella<br />
collana «Punti critici» della Fondazione<br />
San Carlo. B.S.
Avventure delle verità:<br />
da Hegel a Goodman<br />
Il corso di aggiornamento e perfezionamento<br />
in discipline storico-filosofiche<br />
organizzato dal novembre 1993 al<br />
marzo 1994 dall’Istituto Suor Orsola<br />
Benincasa di Napoli ha avuto come<br />
tema: “LA FILOSOFIA CONTEMPORANEA. STO-<br />
RIA DELLA STORIOGRAFIA FILOSOFICA”. Il<br />
Corso, inaugurato da Vittorio Mathieu<br />
e Francesco M. De Sanctis, ha visto la<br />
partecipazione di Valerio Verra, Lucio<br />
D’Alessandro, Franco Volpi, Carlo Sini,<br />
Aldo G. Gargani, Maurizio Ferraris,<br />
Aldo Trione, Domenico A. Conci, Vincenzo<br />
Vitiello, Enrico Berti, Giuseppe<br />
Limone, Evandro Agazzi, Remo Bodei,<br />
Saverio Maffettone, Francesco Moiso,<br />
Salvatore Veca.<br />
Secondo Valerio Verra (“La dialettica nella<br />
cultura filosofica contemporanea”), è necessario<br />
smentire l’apparente “eclisse” della<br />
dialettica, mostrandone invece la presenza<br />
sotterranea in tutta la filosofia del Novecento.<br />
La dialettica fenomenologica hegeliana<br />
ha rivoluzionato la filosofia, dimostrando<br />
che tutto è da considerarsi in rapporto<br />
alla coscienza, rovesciata rispetto a<br />
se stessa. La dialettica logica, che comporta<br />
l’identità di filosofia e storia della filosofia,<br />
non è poi, secondo Verra, così lontana<br />
dall’ermeneutica, dato che Gadamer condivide<br />
con Hegel l’idea che la verità non si<br />
possa esprimere attraverso la proposizione<br />
ed entrambi presuppongono un processo<br />
necessario di integrazione delle varie posizioni<br />
concettuali o di fusione di orizzonti.<br />
Maurizio Ferraris (“Deduzione di una<br />
storia dell’ermeneutica”), ha proposto un<br />
modo di uscire da quel “miraggio della<br />
fine” che sembra accompagnare l’universalizzazione<br />
dell’ermeneutica. L’esistenza<br />
di una tradizione scritta, di una distanza<br />
temporale e di un linguaggio dimostrano<br />
che tutto è mediato, che non esiste alcuna<br />
origine semplice. Gli sviluppi della filosofia<br />
da Kant a Husserl e Heidegger indicano<br />
che l’evidenza e l’immediatezza sono sempre<br />
effetto di una costituzione, di una mediazione.<br />
Dunque, anche l’attesa del nuovo<br />
avviene sempre nell’orizzonte aperto della<br />
tradizione. All’idea della fine della storia o<br />
del senso della storia, che circola oggi con<br />
il nome di post-storia, non crede affatto<br />
Romeo Bodei (“La post-storia”). Ciò a cui<br />
si assiste, ha fatto notare Bodei, è piuttosto<br />
lo sgretolamento della congiunzione tra<br />
storia e utopia realizzatasi alla fine del<br />
Settecento, quando, con l’ “ucronia” (2440,<br />
di Louis-Sébastien Mercier, è il primo<br />
romanzo ucronico), la società perfetta viene<br />
collocata nel futuro, nella storia. Questa<br />
trasformazione dette alla storia un telos e<br />
all’utopia l’aggancio alla realtà. Oggi, che<br />
l’orizzonte storico si presenta contratto, il<br />
futuro, per Bodei, appare più come una<br />
minaccia che come una promessa.<br />
Per stabilire ciò che è rilevante, ciò che<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
conserva il suo significato nella tradizione,<br />
Francesco Moiso (“Storiografia e ermeneutica<br />
filosofica”) ha proposto una concezione<br />
“morfologica” e sistemica, in cui il<br />
concetto di “forma” indica una struttura<br />
auto-riferita in interazione con altro, che<br />
nella sua permanenza porta con sé molteplici<br />
possibilità di cambiamento. Da ciò<br />
conseguirebbe anche una risimbolizzazione<br />
della conoscenza. Del simbolo, inteso<br />
non come segno arbitrario, forma retorica o<br />
pura metafora, ma come potenza capace di<br />
strutturare un campo di forze, ha parlato<br />
anche Giuseppe Limone (“Figure del simbolo<br />
e figure della simbolica”).<br />
Aldo G. Gargani (“La revisione critica<br />
della tradizione metafisica nel neo-pragmatismo<br />
di Richard Rorty”) ha illustrato il<br />
pensiero Rorty, la sua concezione dell’uomo<br />
come intreccio di desideri e il suo<br />
concetto di razionalità in quanto partecipazione<br />
ad una comunicazione tollerante. Per<br />
il neopragmatista Rorty, ha osservato Gargani,<br />
la verità non presuppone un rispecchiamento<br />
del mondo, bensì la coerenza tra<br />
enunciati del nostro linguaggio e la scienza è<br />
ricerca di quegli enunciati veri che meglio<br />
servono a risolvere i problemi degli uomini.<br />
Come ha mostrato Salvatore Veca (“Paradigmi<br />
e versioni del mondo: da Nelson<br />
Goodman a Hilary Putnam”), Nelson Goodman<br />
(Vedere e costruire il mondo, 1988)<br />
rifiuta, da una posizione nominalista, il<br />
“mito” della riducibilità di una varietà di<br />
versioni del mondo ad una sola vera e<br />
valida, che consentirebbe di guardare al<br />
mondo così come esso si dà. Secondo tale<br />
prospettiva, ha notato Veca, la filosofia deve<br />
allora occuparsi non di “un” mondo, ma dei<br />
modi di fabbricare mondi, delle versioni del<br />
mondo (artistiche, scientifiche o morali che<br />
siano). Qui la verità diventa una sottospecie,<br />
valida per i soli sistemi enuncitivi, della<br />
rightness (correttezza, giustezza, congruenza),<br />
quale criterio per distinguere versioni<br />
reali da versioni spurie o “fallite”.<br />
A proprosito delle trasformazioni nella sfera<br />
dell’estetica, Aldo Trione (“L’estetica<br />
contemporanea come problema”) ha preso<br />
spunto dall’opera di Mallarmé, in quanto<br />
in essa si esplicita poeticamente l’assunzione<br />
del destino di finitezza dell’opera<br />
umana. Franco Volpi (“La filosofia pratica<br />
contemporanea”) ha parlato invece della<br />
riabilitazione della filosofia pratica e in<br />
particolare del modello aristotelico. Successivamente<br />
Enrico Berti (“La presenza<br />
della tradizione classica nel dibattito filosofico<br />
contemporaneo”) è tornato sulle “appropriazioni”<br />
novecentesche di Aristotele,<br />
ma ha soprattutto inquadrato il ritorno del<br />
Platone delle “dottrine non scritte”, prendendo<br />
atto della relazione con la linea neoplatonica<br />
e con l’entusiasmo per la metafisica<br />
dell’Uno, pur rilevando una certa reticenza<br />
circa i motivi teoretici che hanno<br />
spinto in tale direzione.<br />
Nel sostenere un incontro necessario tra<br />
etica e ontologia, Saverio Maffettone<br />
(“L’ontologia nel dibattito etico contem-<br />
65<br />
poraneo”) ha invitato al sospetto nei confronti<br />
del pensiero antimetafisico, che confonde<br />
nel giudizio negativo la metafisica<br />
“speculativa”, dogmatica e portatrice di<br />
una presunta autenticità ristretta a pochi, e<br />
la metafisica “pubblica”, a cui è legata la<br />
difesa del “pluralismo” dalla totale relativizzazione,<br />
facendo appello ai principi primi<br />
che uniscono le nostre conoscenze con<br />
quelle degli altri, o che governano i nostri<br />
atteggiamenti in rapporto a quelli degli<br />
altri. Evandro Agazzi (“Scienza e metafisica”)<br />
ha invece proposto una riabilitazione<br />
della metafisica in senso classico, aristotelico,<br />
alla luce del fallimento delle tesi<br />
neopositivistiche che l’avevano condannata<br />
al non-senso. L’impossibilità di eliminare<br />
dalla scienza i termini teorici, la necessità<br />
di inventare nella scienza modelli interpretativi<br />
portano a concludere che non si<br />
può negare, almeno in linea di principio, la<br />
legittimità della ricerca metafisica, il cui<br />
punto di vista è quelo dell’ “intero”.<br />
Sulle vicende della scienza e dell’epistemologia<br />
novecentesca si è soffermato anche<br />
Domenico A. Conci (“Realtà e oggettività<br />
nel pensiero cognitivo contemporaneo”),<br />
rilevando i limiti della altermativa<br />
popperiana tra epistéme e doxa. La struttura<br />
linguistica della scienza mostra come<br />
l’applicazione della matematica e della logica<br />
alla fisica sia un procedimento di traslazione<br />
con cui si veicolano semanticamente<br />
elementi astratti per enti concreti.<br />
L’oggettività è dunque una valenza traslata:<br />
non si dà il reale “in carne e ossa”, ma<br />
una affermazione di esistenza; questa situazione<br />
è propria della cultura occidentale.<br />
Infine, il problema di una ridefinizione del<br />
senso della filosofia è stato affrontato da<br />
Carlo Sini (“Il problema della pratica filosofica”)<br />
e Vincenzo Vitiello (“Filosofia e<br />
topologia”). Sini ha sottolineato come la<br />
filosofia, nell’interrogarsi su se stessa, sulla<br />
sua “soglia”, ovvero sul luogo dal quale<br />
il filosofo parla, non possa che reiterare la<br />
sua pratica. L’evento del domandare socratico<br />
instaura la filosofia, che resta strutturalmente<br />
nell’assenza di risposta: questa<br />
paradossalità è propria dell’età del trionfo<br />
moderno della scienza; né il soggetto, né il<br />
logos hanno trovato posto nell’enciclopedia<br />
del sapere, poiché essi sono un limite,<br />
un orlo. Occorre quindi ridare la parola al<br />
soggetto, che sa di non sapere, attraverso<br />
un diverso modo di atteggiarsi ed una diversa<br />
formazione del filosofo.<br />
Nel quadro delle ragioni che motivano la<br />
sua topologia filosofica, Vitiello ha chiarito<br />
che, a differenza della parola del sophos<br />
e di quella del sofista, la parola “sempre<br />
seconda” del filosofo si caratterizza originariamente<br />
come parola “della” verità, nel<br />
senso che la verità è in essa, senza però<br />
esaurirvisi. Stando in questo “frammezzo”,<br />
il problema della filosofia è di riconoscere<br />
l’ “alterità” dell’altro che essa dice;<br />
essa ripete in qualche modo, il gesto originario<br />
della nascita dell’autocoscienza, ed<br />
in questo rimane la sua dignità. C.T.
Parmenide e dopo Parmenide<br />
Il poema filosofico di Parmenide venne<br />
a costituire un punto di confronto<br />
obbligato per i pensatori che, dopo di<br />
lui, indirizzarono la loro riflessione a<br />
visioni totalizzanti del mondo o anche a<br />
temi più circoscritti. La tensione ed<br />
articolazione argomentativa del suo<br />
poema ‘Sulla natura’ ne fecero una sorta<br />
di passaggio obbligato per intellettuali<br />
che, da Zenone a Gorgia, «dovettero<br />
definire la loro identità culturale in<br />
rapporto a lui». Sul tema: “IL DIBATTITO<br />
SU PARMENIDE. ASPETTI DELLA FILOSOFIA GRE-<br />
CA TRA V E IV SECOLO”, Maurizio Migliori,<br />
dell’Università di Macerata, e Livio Rossetti,<br />
dell’Università di Perugia, hanno<br />
organizzato un convegno che si è svolto<br />
a Macerata e successivamente a Perugia<br />
dal 24 al 26 marzo 1994.<br />
Ha aperto i lavori Giovanni Casertano<br />
(“Chi è il sofista? Gorgia e il peri tou me<br />
ontos”), che ha analizzato il rapporto tra<br />
realtà e linguaggio-pensiero nello scarto<br />
che assume tra Parmenide e Gorgia. Quest’ultimo<br />
individua la difficoltà insita nella<br />
formalizzazione della realtà empirica, affermando<br />
che il discorso è altro rispetto<br />
agli oggetti di cui abbiamo esperienza, e la<br />
significazione non è semplice sovrapposizione<br />
o appiattimento del discorso sugli<br />
oggetti: c’è una dialettica sempre reversibile<br />
fra essere e logos. Per questo i discorsi<br />
sono “tutti falsi”; ma perciò stesso - in<br />
quanto esiste solo una verità dei discorsi<br />
che non è quella della realtà a cui essi si<br />
riferiscono - sono “tutti veri”. La verità del<br />
discorso è quella della coappartenza di<br />
pensiero e realtà esterna.<br />
A Zenone hanno rivolto la loro attenzione<br />
Livio Rossetti (“Sui primi detrattori di<br />
Parmenide e sulla fedeltà di Zenone all’ortodossia<br />
parmenidea”) e Rafael Ferber<br />
(“Lo ‘Stadio’ di Zenone”). Rossetti si è<br />
interrogato su quanto Zenone, da allievo di<br />
Parmenide, sia stato fedele al paradigma<br />
parmenideo e quanto invece, da apologista<br />
di Parmenide, sia stato intellettuale subalterno<br />
rispetto al maestro. Se negare spazio,<br />
tempo, molteplicità è un’ardua proposta,<br />
Zenone li avrebbe negati per “proteggere”<br />
Parmenide, nonostante l’ “anonimo antieleata”<br />
che si oppose al maestro eleata<br />
(presumibilmente in opposizione a quanto<br />
espresso nel fr. 8, 38-40), lo facesse indubbiamente<br />
in nome di un’esperienza immediata<br />
di oggetti in movimento, nello spazio<br />
e nel tempo. Zenone, ha rilevato Rossetti,<br />
cercò una contro-mossa che fosse pari alla<br />
sfida, mettendo in discussione il mondo dei<br />
fenomeni; in questo, la provocazione dell’anonimo<br />
anti-eleata si può dire sia una<br />
delle sollecitazioni che hanno “reso possibile”<br />
il pensiero zenoniano.<br />
Ferber ha proposto una nuova “difesa”<br />
filosofica del tema dello “stadio” di Zenone<br />
contro l’esposizione datane da Aristotele.<br />
Nello stadio le due masse devono muo-<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
versi in direzione differente; ma entrambe<br />
devono percorrere infiniti punti. Nell’infinito<br />
non c’è più differenza; il mezzo e<br />
l’intero sono uguali e le due masse, così,<br />
non si potranno mai incontrare. In questo<br />
IV paradosso, ha osservato Ferber, si deve<br />
riconoscere non una mechane banale, bensì<br />
il rafforzamento, e quasi il culmine, degli<br />
altri tre precedenti. Come per Achille e per<br />
la freccia, anche nello stadio lo spazio<br />
totale “non è percorribile”, e lo spostamento<br />
è sempre e solo “puntuale”; il paradosso<br />
fondamentale è che i punti infiniti di un<br />
segmento non hanno dimensione. In rapporto<br />
a Parmenide, per il quale l’essere,<br />
finito, è dappertutto uguale a se stesso e le<br />
differenze di spazio e di tempo sono solo<br />
apparenza, anche per Zenone, che pur ha<br />
introdotto nell’essere la nozione di infinito,<br />
le differenze di spazio e di tempo sono<br />
apparenti, se la metà è uguale all’intero.<br />
Per Nestor L. Cordero (“Dall’esti all’essere<br />
uno: il Parmenide ‘parmenidizzato’ di<br />
Melisso”) la “linea eleatica” procede piuttosto<br />
per fratture che per continuità. In<br />
Parmenide, il “cuore della verità” è in<br />
quell’esti, esperienza primaria, originaria,<br />
espresso senza soggetto per non minarne<br />
l’universalità. Esti ed einai convivono nel<br />
participio presente eon (“ciò che è adesso”):<br />
l’essere è la “presenza assoluta” che<br />
non viene mai meno, una realtà totale che si<br />
presenta nelle sue manifestazioni. L’unità<br />
dell’essere non è così un fantasma. Con<br />
Zenone, però, si perviene alla negazione<br />
del molteplice attraversando la paradossalità<br />
propria della “dimensione”, della “grandezza”:<br />
l’unità residua, per essere unità,<br />
dovrebbe essere “indivisibile”. Per Melisso<br />
l’essere non è negabile, perché ne abbiamo<br />
continuamente esperienza, e il vuoto<br />
non esiste; dunque l’essere è infinito e la<br />
sua comparazione a una sfera è solo un’immagine;<br />
essendo infinito è dunque “uno”.<br />
Con Mario Vegetti (“Katabasisis”), la<br />
linea del discorso si è spostata dalla scansione<br />
storico-temporale a quella storicotematica,<br />
nell’esame del senso della Katabasis,<br />
a partire dalla prima parola, kateben,<br />
presente nella Repubblica di Platone, dove<br />
il termine katabainein comporta il senso di<br />
una “discesa”: di Socrate, in un Ade sociale<br />
e ambientale, di Gige o di Er nelle viscere<br />
della terra, della dialettica dalle ipotesi. Lo<br />
spazio culturale della katabasis, ha notato<br />
Vegetti, ha una sua dimensione nella necromanzia<br />
(così con Odisseo, con Orfeo) e,<br />
fra i suoi tratti dominanti, comporta l’incontro<br />
con una figura femminile (la deamadre),<br />
legata alla conoscenza della verità:<br />
Epimenide incontra Aletheia e Dike, Pitagora<br />
trova Themis. La storia di Parmenide,<br />
nel suo poema, è quella di un’iniziazione-rivelazione<br />
corrispondente non, come<br />
spesso si crede, a una anabasis verso la<br />
luce, bensì proprio ad una katabasis. Attraverso<br />
Parmenide la katabasis raggiunge Platone:<br />
quella di Socrate nella Repubblica non<br />
è solo un viaggio agli Inferi, analogo a quello<br />
di Odisseo, ma ha a che fare con la tradizione<br />
66<br />
sciamanico-sapienziale. La Repubblica è<br />
dunque, ha concluso Vegetti, un racconto di<br />
formazione; la struttura del dialogo segna la<br />
continuità e la cesura fra la tradizione sapienziale<br />
e la conoscenza dialettica.<br />
Indagando il rapporto fra theoi e arche, e<br />
indicando in Senofane un disegno di teologia<br />
sostitutiva del pantheon olimpico con<br />
un dio-persona diverso (un dio “maschile”:<br />
ho theos), Ileana Chirassi Colombo (“Theos/thea.<br />
Il politeismo e l’indifferenza del<br />
divino nella ricerca sull’essere tra Parmenide<br />
e Platone”) ha messo a fuoco in Parmenide<br />
una riformulazione, tutta al femminile,<br />
del politeismo, ma con un uso ridottissimo<br />
del termine thea (l’unità del divino)<br />
a favore di sue manifestazioni-denominazioni<br />
particolari, come Nux, Dike, Themis,<br />
Ananke, Peitho, Aletheia, Moira, Daimon.<br />
In generale, ha sottolineato Chirassi Colombo,<br />
la divinità femminile greca si trova<br />
espressa col sostantivo maschile preceduto<br />
dall’articolo femminile: he theos.<br />
Renato Laurenti (“La componente geometrica<br />
della teologia di Empedocle”) ha<br />
richiamato l’attenzione sulla non separabilità,<br />
in Empedocle, della dimensione scientifica<br />
da quella religiosa, evidente nel fatto<br />
che nel Peri phuseos le “radici”, o elementi<br />
fondamentali, sono indicati coi nomi delle<br />
divinità dell’Olimpo e nei Katharmoi si<br />
ripresentano i medesimi elementi come<br />
costitutivi del tutto. Nella religione greca<br />
in generale, e nell’orfismo e pitagorismo in<br />
particolare, Apollo era dio dei vaticinii e<br />
della poesia, dio risanatore, dio della luce:<br />
prerogative che ritornano in Empedocle, il<br />
quale considera Apollo quasi l’espressione<br />
del divino. In Empedocle, tuttavia, il divino<br />
lo si incontra a più livelli: lo sfero,<br />
momento del divenire del tutto, è anche<br />
dio: sphairos è divino; sphaira, invece,<br />
rimanda a Parmenide (e, prima, ad Omero:<br />
la sfericità porta con sé la perfezione), così<br />
come le nozioni di uno, di tutto, di proporzione.<br />
In Empedocle, ha concluso Laurenti,<br />
la geometria aiuta a capire la perfezione:<br />
il dio supremo, che è fondamentalmente<br />
phren, abbraccia il tutto con i suoi pensieri,<br />
rispondendo alla formula più caratteristica<br />
della fisica empedoclea, l’uno-molti.<br />
Lo sviluppo scientifico dei presupposti<br />
parmenidei è stato affrontato da Filippo<br />
Mignini (“Il concetto di vuoto, e i suoi<br />
correlati, nel dibattito post-eleatico”) e da<br />
Conrado Eggers Lan (“Parmenide e la<br />
nascita della matematica scientifica”). Nel<br />
IV libro della Fisica di Aristotele, ha notato<br />
Mignini, il vuoto è inteso come luogo<br />
privo di corpi, non esiste, poiché se fosse<br />
separato dai corpi, e perciò diverso dalla<br />
materia prima, renderebbe impossibile il<br />
movimento: esso non è dunque “il luogo”<br />
in cui avviene lo spostamento, bensì “la sua<br />
materia”. In Parmenide, l’essere, assoluto,<br />
immobile, è indifferente ad ogni determinazione<br />
di estensione e di temporalità. L’essere<br />
di Melisso è invece eterno e illimitato<br />
(perché altrimenti confinerebbe con il vuoto):<br />
unico; il vuoto come intervallo non
CONVEGNI E SEMINARI<br />
Testa di filosofo identificato con Parmenide<br />
67
esiste. Così, se l’essere eleatico è principio<br />
di tutte le cose, ha osservato Mignini, esso<br />
è anche indifferente alle loro determinazioni<br />
e modificazioni, tanto che essere e vuoto<br />
(cioè l’indeterminato indifferente ad ogni<br />
determinazione) si possono identificare.<br />
Concorde con C. H. Kahn nel riconoscere<br />
come fattore decisivo per il progresso della<br />
matematica la prova deduttiva, Eggers Lan<br />
ha rilevato come il ragionamento deduttivo<br />
compaia per la prima volta in Parmenide,<br />
quando questi, per confermare che l’essere è<br />
ingenerato, utilizza una dimostrazione indiretta,<br />
per assurdo (anche se il ragionamento<br />
deduttivo del poema di Parmenide non è<br />
certo di impronta matematica). Alcuni, come<br />
Cornford, ritennero che la “dimostrazione”<br />
sia nata prima di Parmenide, con i Pitagorici;<br />
in tal senso, il primo documento sicuro per<br />
noi è probabilmente il Menone di Platone<br />
(82c ss.). Prima dell’introduzione della prova<br />
deduttiva il metodo di dimostrazione usato<br />
dai matematici consisteva nell’epharmozein,<br />
nella verifica di coincidenza (la sovrapponibilità)<br />
come criterio di uguaglianza. Ad<br />
un certo momento, l’epharmozein risultò<br />
insufficiente per la dimostrazione di problemi<br />
matematici più complessi (come, ad esempio,<br />
quello della trasformazione delle aree,<br />
affrontato nel Menone, 83a ss.), per i quali<br />
era necessario un ragionamento.<br />
Secondo Maurizio Migliori (“La filosofia<br />
dei Sofisti: un pensiero post-eleatico”), uno<br />
degli esiti del percorso aperto da Parmenide<br />
e da Melisso può essere ravvisato nel pensiero<br />
dei Sofisti, in quanto contrapposizione<br />
alla crisi dell’eleatismo. L’opera di Gorgia,<br />
Del non ente o della natura, riprende visibilmente<br />
quello della maggiore opera eleatica;<br />
il relativismo di Protagora può essere inteso<br />
come una reazione, vestita con abiti eleatici,<br />
alla scuola fisica. Anche per Platone il senso<br />
filosofico della sofistica risiede nell’eleatismo.<br />
Platone individua sei definizioni del<br />
sofista, delle quali è possibile determinare in<br />
alcuni casi il riferimento individuale: di una<br />
- il sofista cacciatore dei giovani ricchi: parla<br />
della virtù ma pensa ai soldi - è Prodico; di<br />
un’altra - le varie possibilità di commercio<br />
per conquistare l’anima - Ippia e Protagora.<br />
Protagora è considerato ancora da Platone un<br />
filosofo; mentre Gorgia, che ha messo in<br />
circolazione i peggiori argomenti, aprendo<br />
la strada alla peggiore sofistica, va subito<br />
confutato nei suoi argomenti.<br />
Ha concluso il convegno Tomás Calvo<br />
Martínez (“Il linguaggio dell’ontologia:<br />
da Parmenide a Melisso”), osservando come<br />
in Parmenide l’opposizione, entro la conoscenza,<br />
tra Aletheia (verità, che compare<br />
sempre al singolare: è un’ipostasi, una<br />
divinità) e doxa (le opinioni della gente, in<br />
rapporto a cosmologie e ontologia), non<br />
corrisponde a quella tra ragione e sensi,<br />
un’opposizione che non compare nel poema<br />
parmenideo. L’opposizione principale<br />
è fra due tipi di linguaggio, quello discorsivo,<br />
logos, e quello narrativo, epos, che<br />
sviluppando opinioni, le svolge in cosmogonie<br />
e cosmologie. In Melisso restano<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
espressioni parmenidee, ma si perde l’opposizione<br />
logos-epos, come anche quella<br />
tra Aletheia e doxa. In più, in Parmenide il<br />
verbo dokein ha sempre valore attivo, e ta<br />
dokounta sono le opinioni, non le apparenze;<br />
in Melisso il verbo dokein è costruito in<br />
forma passiva, e questo induce a pensare<br />
che il dokein sia l’esperienza sensibile, il<br />
“ci sembra” (neutro, esente da ogni attribuzione<br />
negativa o di falsità), che in rapporto<br />
alla molteplicità deriva da quello che stiamo<br />
a vedere, in rapporto all’unità, dall’argomentazione<br />
razionale. S.N.P.<br />
Melantone e il suo tempo<br />
Su invito di Stefan Rhein, custode del<br />
Melanchthonhaus di Bretten (RFT), città<br />
natale di Melantone, dal 20 al 22<br />
febbraio 1994 un folto gruppo di studiosi<br />
ha preso parte al convegno: “ME-<br />
LANTONE E LE SCIENZE DELLA NATURA DEL<br />
SUO TEMPO”, con l’intento di dare una<br />
valutazione all’opera del riformatore e<br />
filosofo alla luce delle più recenti indagini<br />
sul rapporto tra riforma e scienze<br />
della natura.<br />
Raramente si è dato pieno conto del fatto<br />
che Melantone abbia svolto un ruolo di<br />
primo piano nello stabilire il sostrato dal<br />
quale ha poi preso avvio la rivoluzione<br />
scientifica del Seicento. Assai numerose<br />
sono state invece le analisi affrettate del<br />
rifiuto - già chiaro, peraltro, negli anni tra il<br />
1539 ed il 1541 - dell’ipotesi eliocentrica,<br />
dapprima da parte di Lutero, che si oppose<br />
a Copernico per motivi di natura strettamente<br />
teologica, e poco dopo da parte di<br />
Melantone. Le più recenti ricerche hanno<br />
chiarito che l’opposizione di Melantone<br />
riguardava non solo e non tanto la portata<br />
speculativa dell’ipotesi eliocentrica, quanto<br />
la possibilità di valutarla criticamente<br />
rispetto alla sua fruibilità nell’ambito dell’insegnamento<br />
nelle università riformate<br />
della Germania protestante.<br />
Nella conferenza introduttiva, Wolfgang<br />
E. Eckart ha riferito delle numerose declamazioni<br />
di argomento medico tenute da<br />
Melantone a Wittenberg. Tra gli interventi<br />
che hanno affrontato i rapporti tra teologia<br />
e scienze della natura, Wolfgang Maaser<br />
ha particolarmente insistito sull’uso fatto<br />
da Lutero e da Melantone dell’enthymema<br />
in quanto strumento euristico comune alla<br />
teologia, alla logica ed alle scienze della<br />
natura. Günter Frank ha sostenuto invece<br />
che la scienza della natura melantoniana<br />
sarebbe il risultato in primo luogo di una<br />
disontologizzazione della scienza aristotelica<br />
e in secondo luogo di una teologizzazione<br />
della scienza profana. A Dino Bellucci<br />
è toccato misurarsi con una serie di<br />
definizioni del concetto di mens, date da<br />
Melantone, rispetto alle quali è difficile<br />
non pensare al complesso di temi che nel<br />
68<br />
Seicento sarebbe poi stato trattato sotto il<br />
titolo di theologia naturalis. Ralph Keen<br />
ha infine messo in luce una serie di punti,<br />
relativi, in particolare, alla teologia pastorale,<br />
che permettono di configurare l’intellettualismo<br />
di fondo dell’approccio melantoniano<br />
alle scienze della natura e dunque<br />
anche la plausibilità, oggi, di una sua ripresa<br />
anche da parte dei cattolici.<br />
Altri interventi si sono occupati di storia<br />
della matematica e dell’astronomia. Con<br />
riferimenti puntuali alla storia della matematica<br />
rinascimentale e con interessanti<br />
accenni sulle città di Norimberga e Wittenberg<br />
come luoghi di stampa di libri di<br />
innovazione e divulgazione scientifica, è<br />
intervenuto Karin Reich; mentre il rapporto<br />
tra Melantone e l’astrologia è stato trattato da<br />
Wolf-Dieter Müller-Jahncke, rispetto alle<br />
fonti mediche e astronomiche, e da Barbara<br />
Bauer, che ha presentato un attento studio<br />
dei carmina astrologica, individuando almeno<br />
quattro topoi attorno ai quali Melantone<br />
era solito articolare la materia.<br />
Nell’ambito della storia della medicina,<br />
Wolfgang E. Eckart è intervenuto di nuovo,<br />
mettendo in evidenza come le ricerche<br />
mediche, sviluppatesi a Wittenberg, rivelino<br />
conoscenze molto dettagliate di anatomia<br />
vesaliana; mentre Theodor Koch ha<br />
ricostruito la storia della facoltà medica di<br />
Wittenberg tra il 1455 ed il 1750. Jürgen<br />
Helm (Halle) si è infine occupato dell’elaborazione<br />
del concetto galenico di spiritus<br />
da parte di Melantone.<br />
Le scienze della terra sono state oggetto di<br />
un altro gruppo di interventi. Uta Lindgren<br />
ha ricostruito il programma di politica<br />
culturale delineato da Melantone a proposito<br />
dell’astronomia e della geofisica, mettendo<br />
in evidenza, tra l’altro, l’enorme valore<br />
didattico attribuito dal riformatore al<br />
Liber de sphaera di Giovanni di Sacrobosco.<br />
Eberhard Knobloch si è soffermato<br />
su Gerhard Mercator, con particolare riferimento<br />
all’interpretazione melantoniana<br />
dei concetti di simpatia, forza e armonia.<br />
Su aspetti della storia dell’incidenza di<br />
Melantone sono intervenuti infine Riccardo<br />
Burigana, che ha riferito sull’interpretazione<br />
estremamente difficile dei documenti<br />
contenuti nelle disputazioni melantoniane,<br />
e Riccardo Pozzo, che si è invece<br />
occupato delle fonti, della struttura e della<br />
ricezione degli Initia doctrinae physicae, il<br />
manuale melantoniano di fisica, che, ben al<br />
di là dei modelli aristotelici e platonici e pur<br />
restando fedele all’ipotesi geocentrica, ha<br />
posto le linee lungo le quali si sarebbe poi<br />
sviluppata la filosofia della natura nelle università<br />
tedesche fino al Settecento inoltrato.<br />
L’intervento conclusivo è stato tenuto da<br />
Günther Mahal, che ha parlato del nesso<br />
esistente al tempo di Melantone tra indagine<br />
scientifica e storia del territorio. Nella<br />
discussione sono intervenuti Richard Toellner,<br />
Paul-Richard Blum e Heinz Scheible.<br />
Gli atti usciranno tra breve, a cura di<br />
Stefan Rhein, per i tipi l’editore Jan Thorbeke<br />
di Sigmaringen. R.P.
Si è concluso il ciclo di conferenze<br />
seminariali, organizzato dalla Casa<br />
della Cultura di Milano nel mese di<br />
novembre 1994 con il titolo: Il pensiero<br />
della natura. Filosofie dell’Ottocento<br />
e del Novecento. Tra i<br />
relatori sono intervenuti: giovedì 3,<br />
S. Natoli: “La natura nella filosofia di<br />
Schopenhauer”; martedì 8, R. Massa:<br />
“Foucault, la formazione di sé e il<br />
sadomasochismo”; giovedì 10, Felice<br />
Mondella: “La filosofia della natura<br />
del positivismo”; giovedì 17, G.<br />
Semerari: “Heidegger: tecnica e natura”;<br />
giovedì 24, C. Sini: “Galileo,<br />
Husserl e l’immagine della natura”;<br />
martedì 29, F. Cambi e A. Granese:<br />
“Dalla ‘Paideia’ alla ‘Bildung’”.<br />
● Informazioni: Casa della Cultura,<br />
via Borgogna 3, 20122 Milano,<br />
tel. 02/795567<br />
Presso l’Istituto Suor Orsola Benincasa<br />
di Napoli e con il patrocinio<br />
dell’Ambasciata tedesca in Italia, si è<br />
tenuto, dal 10 al 12 novembre 1994,<br />
un convegno internazionale dal titolo:<br />
Max Stirner e l’individualismo<br />
moderno. Questo il calendario degli<br />
interventi: giovedì 10, C. Cesa: “Il<br />
caso Stirner”; D. Mc Lellan: “The<br />
influence of Der Einzige und sein<br />
Eigentum on Karl Marx”; C. Menghi:<br />
“La socieà civile da Hegel a Stirner”;<br />
W. J. Brazill: “Max Stirner and the<br />
Terrorism of Pure Theory”; F. Bazzani:<br />
“Stirner e Feurbach”; F. Andolfi:<br />
“La posizione di Stirner nella storia<br />
dell’individualismo”; E. Ferri: “La<br />
rivolta stirneriana contro il moderno”;<br />
A. Punzi: “Fichte-Stirner: ordine<br />
della libertà ed egoismo proprietario”;<br />
T. Hünefeldt: “Beobachtungen<br />
zu Ich und Nicht-Ich bei Stirner und<br />
Fichte”. Venerdì 11, A. Negri: “Sirner<br />
e l’anarchismo borghese”; C.<br />
RRoehrssen: “Stirner e l’anarchismo”;<br />
M. La Torre: “Stirner tra anarchismo<br />
e non cognitivismo”; M. Cossutta:<br />
“Ribellione e rivoluzione: note<br />
su un possibile confronto tra Bakunin<br />
e Stirner”: G. Berti: “Max Stirner<br />
filosofo dell’anarchismo”; J. E. Bauer;<br />
“Das Ende des Heiligen”; B. A.<br />
Laska;”Katechon und anarch, Carl<br />
Schmitts und Ernst Jüngers Reaktionen<br />
auf Stirner”; L. L. Rimbotti: “Max<br />
Stirner visto da destra”; M. Milli:<br />
“Stirner, Nietzsche e la critica dello<br />
Stato: alcune considerazioni”; E. Castana:<br />
“Aspetti del pensiero liberale<br />
in Stirner”. Sabato 12, G. Penzo: “Interpretazione<br />
esistenziale del pensiero<br />
di Stirner”; R. W. Paterson: “Der<br />
Einzige and L’Etre et le Neant”; B.<br />
Romano: “Stirner e l’esistenzialismo”;<br />
A. Signorini: “Decostruzione<br />
e differenza in Max Stirner”; P. Vandrepote:<br />
“Max Stirner et la poétique<br />
de la rupture”; G. Modica: “La dialettica<br />
della libertà in Stirner e in<br />
Kierkegaard”; C. Scilironi: “Il sacro<br />
in Dostoevskij e Stirner”.<br />
Nei giorni 1, 2, 3 dicembre 1994,<br />
l’Istituto ha organizzato, presso la<br />
sua sede di Napoli, un convegno su:<br />
Giambattista Vico. La Scienza<br />
Nuova, a 250 anni dalla “Terza<br />
impressione”, articolato in quattro<br />
CALENDARIO<br />
CALENDARIO<br />
sessioni: “Interpretazioni recenti di<br />
Vico”, “La ricezione di Vico nel primo<br />
Ottocento italiano ed europeo”,<br />
“Vico nella tradizione della filosofia<br />
pratica e della retorica”, “Vico nel<br />
pensiero italiano ed europeo del suo<br />
tempo”. Tra i relatori: M. Agrimi, A.<br />
Battistini, J. Bermudo, F. Botturi, G.<br />
Cacciatore, G. Cantelli, G. Costa, G.<br />
Crifò, B. De Giovanni, T. De Mauro,<br />
M. Fumaroli, E. Garin, A. Giuliani,<br />
T. Gregory, M. Lilla, V. Mathieu, C.<br />
Miller, M. Mooney, S. Oto, M. Papini,<br />
A. Pieretti, V. Placella, L. Pompa,<br />
A. Pons, J. M. S., G. Tagliacozzo, M.<br />
Torrrini, M. Veneziani, V. Vitiello.<br />
● Informazioni: Istituto Suor Orsola<br />
Benincasa, Via Suor Orsola 10,<br />
80135 Napoli, tel. 081 412908<br />
Prosegue il ciclo di lezioni su Tecnica<br />
e Cultura. Come le tecnologie<br />
fanno il mondo, organizzato dal<br />
Centro Culturale della Fondazione<br />
Collegio San Carlo di Modena a partire<br />
dal mese di ottobre 1994. Questo<br />
il calendario delle lezioni: venerdì 28<br />
ottobre, M. Nacci: “Immagini della<br />
tecnica nella cultura contemporanea”;<br />
venerdì 18 novembre, S. Latouche:<br />
“La ‘megamacchina’, la ragione tecnico-scientifica<br />
e la crisi del legame<br />
sociale”; venerdì 25 novembre, R.<br />
Ceserani: “I rapporti tra tecnica e<br />
letteratura. L’esempio della fotografia”;<br />
venerdì 16 dicembre, F. Bianco:<br />
“La tecnica tra disincanto del mondo<br />
e ritorno del mito”; venerdì 27 gennaio<br />
1995, P. Bozzi: “La tecnica modifica<br />
la percezione? Sull’arte di inventare<br />
esperimenti”; venerdì 24 febbraio,<br />
P. Odifreddi: “Visioni letterarie e<br />
miraggi tecnologici. Considerazioni<br />
su intelligenza artificiale, realtà virtuale<br />
e altro”; venerdì 10 marzo, M.<br />
Perniola: “Sentire naturale e sentire<br />
artificiale. Verso una teoria del corpo<br />
tecnologico”; venerdì 5 maggio , D.<br />
Noble: “La questione tecnologica e le<br />
differenze di classe, religione, genere”;<br />
venerdì 19 maggio, M. Augé: “E’<br />
possibile un’antropologia del mondo<br />
contemporaneo?”. Parallelamente alle<br />
lezioni si terrà una serie di incontri di<br />
lettura e discussione dei testi indicati<br />
dai vari relatori.<br />
Il Centro Culturale organizza anche<br />
da gennaio ad aprile 1995 un seminario<br />
di studi su: Modelli per la teoria<br />
e la storia delle culture. Norbert<br />
a cura di Luisa Santonocito<br />
69<br />
Elias e Michel Foucault. Sono previsti<br />
interventi di S. Tabboni, C. Ossola,<br />
A. Roversi, M. Vegetti, P. Pasquino,<br />
A. Ferrara, A. Honneth.<br />
Il Centro <strong>Studi</strong> Religiosi della Fondazione<br />
Collegio San Carlo di Modena<br />
ha organizzato a partire dal mese di<br />
ottobre 1994 una serie di incontri sul<br />
tema: Le Voci della Preghiera. Forme<br />
della invocazione religiosa<br />
nelle culture dell’Occidente. Questa<br />
la serie degli interventi: giovedì 6<br />
ottobre, A. Terrin: “La dimensione<br />
antropologica della preghiera”; lunedì<br />
14 novembre, G. Cova: “La Bibbia<br />
e la preghiera”; giovedì 1 dicembre,<br />
M. Cantilena: “Appunti sulla preghiera<br />
nella Grecia Antica”; giovedì 15<br />
dicembre, E. Mazza: “Preghiera e ritualità”;<br />
giovedì 12 gennaio 1995, E.<br />
Bartolini: “Il dinamismo della benedizione<br />
nello ‘Shema Israel’”; giovedì<br />
2 febbraio, P. Stefani: “Il ‘Padre<br />
Nostro’, le parole di Gesù e le parole<br />
dei credenti”; giovedì 16 febbraio, A.<br />
Scarabel: “I nomi più belli nella tradizione<br />
islamica”; giovedì 2 marzo, G.<br />
Moretto: “Preghiera e Filosofia”;<br />
marzo 1995 (data da definire), M.<br />
Luzi: “Preghiera e Poesia” e S. Natoli:<br />
“Preghiera e Modernità”.<br />
In continuità con il ciclo di lezioni su<br />
“Il grande codice” e il successivo<br />
convegno su “Le provocazioni di<br />
Giobbe”, il Centro <strong>Studi</strong> Religiosi ha<br />
anche organizzato, nei mesi di ottobre,<br />
novembre e dicembre 1994, un<br />
seminario di studi dal titolo: Il viaggio<br />
di Giona, effetti di senso di<br />
una figura biblica. Sono intervenuti:<br />
lunedì 10 ottobre, P. Lombardini:<br />
“Giona, ovvero la difficoltà di essere<br />
ebreo. Per un primo approccio al testo”;<br />
lunedì 7 novembre, A. Bodrato:<br />
“Parmenide e Giona”; mercoledì 23<br />
novembre G. Limentani: “La lettura<br />
ebraica di Giona”; lunedì 5 dicembre,<br />
M. Gay: “Il compito di Giona. Una<br />
lettura psicoanalitica”; lunedì 12 dicembre,<br />
M. E. Notari,: “Gli effetti<br />
artistici del libro di Giona”.<br />
● Informazioni: Fondazione Collegio<br />
San Carlo, Segreteria dei Centri,<br />
via San Carlo 5, 41100 Modena,<br />
tel. 059 222315.<br />
Mercoledì 19 ottobre1994, nella Sala<br />
Crociera dell’Università degli <strong>Studi</strong><br />
di Milano si è si è tenuto un seminario<br />
su: Linguaggio, Arte e Filosofia, a<br />
cui hanno partecipato: M. Cacciari,<br />
S. Givone, C. Sini e V. Vitiello. L’incontro<br />
è stato anche l’occasione per<br />
presentare l’ultimo numero della rivista<br />
«Paradosso», di cui hanno parlato<br />
M. Donà, R. Gasparotti, M. Petranzan,<br />
F. Tomatis.<br />
● Informazioni: Dipartimento di Filosofia,<br />
Via Festa del Perdono 7,<br />
20100 Milano, tel: 02 58307671.<br />
Organizzato dalla Biblioteca Fardelliana<br />
di Trapani, con il patrocinio<br />
della Provicia Regionale e del Comune<br />
di Trapani, il 22 ottobre 1994 si è<br />
svolto un convegno di studi su: Giovanni<br />
Gentile, filosofo europeo?,<br />
con la partecipazione di G. D’Aleo<br />
(“Giovanni Gentile studente del Liceo<br />
Classico Ximenes di Trapani”), J.<br />
Kelemen (“Il ruolo di Gentile nella<br />
filsofia europea”), G. Nicolaci (“Gentile<br />
e il compimento dell’idealismo”),<br />
A. Infranca (“Gentile dalla cultura<br />
siciliana alla cultura nazionale”).<br />
● Informazioni: Biblioteca Fardelliana,<br />
Largo S. Giacomo 18, Trapani.<br />
Per il ciclo: “Libri in cerca di gloria”,<br />
organizzato dall’Istituto Italiano per<br />
gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> di Napoli, in collaborazione<br />
con il Centro Culturale<br />
Polivalente di Cattolica, P. Bozzi ha<br />
tenuto il 27, 28, 29 ottobre 1994,<br />
presso la Biblioteca Comunale di<br />
Cattolica, un seminario di lettura dedicato<br />
alle Osservazioni sulla filosofia<br />
della psicologia, di L.<br />
Wittgenstein.<br />
Il ciclo prosegue, in collaborazione<br />
con l’Istituto di Scienze dell’Uomo “J.<br />
Maritain” di Rimini, con una serie di<br />
letture di testi delle religioni monoteiste<br />
e orientali dal titolo: Il libro e le<br />
sue religioni. Questo il calendario<br />
degli incontri: 23 novembre 1994: P.<br />
Stefani: “Dalla Bibbia ebraica: Dio<br />
parla la lingua degli uomini”; 24 novembre,<br />
D. Pazzini: “Dalla Bibbia cristiana:<br />
risurrezione e rivelazione”; 25<br />
novembre, K. Fouad Allam: “Dal Corano:<br />
l’ermeneutica della verità”; 30<br />
novembre, G. G. Pasqualotto: “Dhammapada:<br />
insostanzialità e impermanenza<br />
di tutte le realtà”; 1 dicembre, A.<br />
N. Terrin: “Bhagavad-Gita: praticare<br />
il vero yoga”; 2 dicembre, L. V. Arena:<br />
“Tao Te Ching: la via e i nomi,<br />
l’essere e il non-essere”.<br />
Concludono il ciclo tre seminari di<br />
lettura che avranno il seguente svolgimento:<br />
16-17 dicembre 1994, D.<br />
Mainardi: Storia del Celacanto, di<br />
K. S. Thomson; 18-20 gennaio 1995,<br />
A. Caronia: La mostra delle atrocità,<br />
ovvero Crash, di James Ballard;<br />
28 febbraio e 1-2 marzo, U. Cerroni:<br />
De Monarchia, di Dante Alighieri.<br />
● Informazioni: Centro Culturale<br />
Polivalente di Cattolica, Piazza della<br />
Repubblica 31, Cattolica (FO), 0541-<br />
967802.<br />
In occasione della pubblicazione del<br />
volume di Vincenzo Vitiello Elogio
dello Spazio. Ermeneutica e topologia<br />
(Bompiani, Milano 1994), giovedì<br />
20 ottobre 1994, presso la Sala<br />
Incontri dell’Istituto per il Diritto allo<br />
<strong>Studi</strong>o Universitario (I.S.U.) dell’Università<br />
degli <strong>Studi</strong> di Milano, si è<br />
tenuto un incontro sul tema: L’interpretazione<br />
filosofica dello spazio,<br />
a cui hanno partecipato U. Galimberti,<br />
P. A. Rovatti, C. Sini e V. Vitiello.<br />
● Informazioni: I.S.U., Ufficio Cultura,<br />
tel. 02 809431.<br />
Promosso dall’Istituto Internazionale<br />
‘Jacques Maritain’ di Roma, in<br />
collaborazione con la Fondazione<br />
Mondo Unito della Città del Vaticano<br />
e la Fondazione Konrad Adenauer di<br />
Bonn e con il patrocinio di Jacques<br />
Delors, presidente della Commissione<br />
Europea, dal 20 al 22 ottobre 1994,<br />
presso la sede dell’Istituto Filosofico<br />
Aloisianum di Gallarate, si è svolto<br />
un convegno sul tema: La pace etnica,<br />
politica, economia, cultura e<br />
religione nei Balcani. Su “Le radici<br />
della conflittualità”, sono intervenuti:<br />
R. Petrovic, R. Lovrencic, A. Biagini,<br />
V. Dimitrijevic. M. Orsolic e G.<br />
E. Rusconi sono intervenuti sul tema:<br />
“Dalla conflittualità ad un ordine di<br />
pace”. Infine, alla tavola rotonda su:<br />
“Il costo della guerra e ipotesi di<br />
ricostruzione: il ruolo della cooperazione<br />
internazionale e di quella regionale”,<br />
hanno partecipato B. Andreatta<br />
e G. Politakis.<br />
● Informazioni: Istituto Internazionale<br />
Jacques Maritain, Via Quintino<br />
Sella 33, 00187 Roma. Tel: 06<br />
4874601; fax: 06 4825188.<br />
L’Istituto di Filosofia della Facoltà<br />
di Lettere e della Facoltà di Magistero<br />
dell’Università degli <strong>Studi</strong> di Perugia<br />
hanno organizzato per il 14 e<br />
15 novembre 1994, nella Sala Convegni<br />
Pro Civitate Christiana di Assisi,<br />
il XII Incontro del «Giornale di<br />
Metafisica” sul tema: Metafisica e<br />
logica del principio. Al convegno<br />
sono intervenuti: N. Incardona, P.<br />
Faggiotto, U. Perone, E. Mirri, Università<br />
di Perugia.<br />
● Informazioni: Università degli<br />
<strong>Studi</strong> di Perugia, tel: 075 5851.<br />
In occasione della pubblicazione dei<br />
Pensieri sull’Imitazione, di Winckelmann,<br />
della Lettera sulla Scultura, di<br />
Hemsterhuis, e della Plastica, di Herder,<br />
nei giorni 9 e 10 dicembre 1994<br />
il Centro Internazionale <strong>Studi</strong> di Estetica<br />
e l’Università degli <strong>Studi</strong> di Palermo,<br />
con il patrocinio del Ministero<br />
dei Beni Culturali e dell’Assessorato<br />
ai Beni Culturali della Regione Siciliana,<br />
hanno promosso un seminario<br />
su: Il sogno di Pigmalione. La riscoperta<br />
della scultura in Winckelmann,<br />
Hemsterhuis, Herder.<br />
All’incontro hanno partecipato, in<br />
qualità di relatori: G. Cusatelli: “Winckelmann:<br />
le ombre bianche”; G.<br />
Morpurgo Tagliabue: “Hemsterhuis<br />
e la questione delle arti figurative nell’ultimo<br />
Settecento”; F. Fanizza: “Vedere<br />
e toccare: Herder e le belle arti”.<br />
Informazioni: Centro Internazionale<br />
<strong>Studi</strong> di Estetica, Viale delle Scienze,<br />
Palermo, tel. 091 6570187.<br />
Promosso dal Centre Culturel Francais<br />
di Torino, dal Dipartimento di<br />
Ermeneutica Filosofica dell’Università<br />
degli <strong>Studi</strong> di Torino e dall’Assessorato<br />
per le Risorse Culturali e la<br />
Comunicazione, venerdì 11 novembre<br />
1994 si è aperto il ciclo: Incontri<br />
con la Filosofia Francese Contemporanea.<br />
Presso la sede del Centro, J.<br />
L. Nancy ha tenuto una conferenza su:<br />
“De l’existence et de la verité”. Per<br />
giovedì 19 gennaio 1995 è previsto<br />
invece un incontro con J. Derrida presso<br />
la Sala Congressi dell’Istituto Bancario<br />
S. Paolo. Seguiranno: lunedì 23<br />
2-5 gennaio 1995<br />
Aldo Masullo<br />
Il fantasma della comunità<br />
e lo scandalo politico<br />
La «comunità», o il modello antropologico<br />
del «primitivismo» - Il neocomunitarismo<br />
e la maturità etica della<br />
teoria politica liberale - L’intersoggettività<br />
originaria tra dialettica e fenomelogia<br />
- Il «comunismo letterario»<br />
dell’ermeneutica decostruzionistica -<br />
Il fantasma della comunità: rassicurazione<br />
e terrore. La comunità paradossale<br />
e la «cura» emancipatrice.<br />
9-12 gennaio 1995<br />
Alberto Burgio<br />
Soggettività e coscienza nel<br />
pensiero politico contemporaneo<br />
Coscienza servile e storia della libertà<br />
- La coscienza e la totalità: Lenin<br />
lettore di Hegel - Coscienza, contradizione<br />
e dialettica: Gramsci lettore<br />
di Hegel - Tra libertà e necessità: il<br />
problema del senso della storia.<br />
9-13 gennaio 1995<br />
Giovanni Bonacina<br />
Storia universale<br />
e storia della filosofia in Hegel<br />
La storia della filosofia come storia<br />
del mondo in nucleo - La bella eticità<br />
greca e la Repubblica platonica - La<br />
solitudine del filosofo nel mondo romano<br />
infelice - La stagione degli scopritori<br />
e l’aurora della modernità - La<br />
rivoluzione nella forma del pensiero.<br />
16-20 gennaio 1995<br />
Saverio Ricci<br />
Filosofia e vita civile a Napoli<br />
nella seconda metà del Settecento<br />
Ultimi roghi, prime luci - Antonio<br />
Genovesi: la filosofia «tutte cose» -<br />
La scuola di Antonio Genovesi - Gaetano<br />
Filagieri - Francesco Mario Pagano<br />
e la generazione rivoluzionaria.<br />
30 gennaio - 2 febbraio 1995<br />
Girolamo Cotroneo<br />
Gli ‘Scritti sulla Storia’ di I. Kant<br />
La polemica con Herder - Le razze<br />
umane e l’origine della storia - La<br />
storia universale - L’illuminismo, il<br />
progresso, la pace.<br />
CALENDARIO<br />
70<br />
gennaio, J. Greisch: “Hermeneutique<br />
et metaphisique”; giovedì 9 febbraio,<br />
M. Henry: “Phenomenologie de la vie”;<br />
giovedì 9 marzo, J. F. Courtine: “La<br />
philosophie pratique des recherchez<br />
philosophiques de Shelling; giovedì<br />
30 marzo, P. J. Labarrière: “Hegel a<br />
l’épreuve de la deconstruction”.<br />
● Informazioni: Centre Culturel<br />
Francais, tel. 011 5623313; oppure:<br />
Segreteria del Dipartimento di Ermeneutica<br />
Filosofica, tel. 011 8125780.<br />
Organizzato dal Dipartimento di Filosofia<br />
dell’Università degli <strong>Studi</strong> di<br />
Lecce, il 15 e 16 dicembre 1994 si è<br />
tenuto all’Università di Lecce un convegno<br />
dal titolo: Gentile e la filosofia<br />
dell’Occidente. Questa la serie<br />
degli interventi: 15 dicembre, A. Negri:<br />
“L’attualismo o il destino dell’Io”;<br />
F. Fanizza: “Gentile e la filoso-<br />
Istituto Italiano<br />
per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong><br />
Via Monte di Dio 14, Napoli<br />
Genova, 5-9 febbraio 1995<br />
Xavier Tilliette<br />
Bibbia e Filosofia<br />
In collaborazione col Dipartimento<br />
di Filosofia dell’Università di Genova<br />
Genesi. I primi giorni della creazione.<br />
Creazione dell’uomo e della dona.<br />
Peccato originale e paradiso terrestre<br />
- Abramo. il sacrificio di Isacco, la<br />
lotta di Giacobbe - Mosè. La rivelazione<br />
del roveto ardente. L’esodo - Il<br />
lamento di Giobbe. La Sapienza. Il<br />
servo sofferente - Bibbia e filosofia:<br />
il Libro assoluto.<br />
13-17 febbraio 1995<br />
La costruzione dell’immagine<br />
scientifica del mondo.<br />
Mutamenti nella concezione<br />
dell’uomo e del cosmo<br />
dalla scoperta dell’America<br />
alla meccannica quantistica<br />
In collaborazione col Dipartimento<br />
di Matematica dell’Univ. di Perugia<br />
U. Bartocci: “Dal mondo capovolto<br />
di Cristoforo Colombo all’universo<br />
senza centro di Galileo Galilei” - T.<br />
Tonietti: “Verso la matematizzazione<br />
della scienza: armonia e matematica<br />
nei modelli del cosmo fra Seicento<br />
e Settecento” - G. Sermonti: “Il<br />
posto dell’uomo nell’universo: da<br />
Aristotele a Darwin a oggi” - M.<br />
Mamone Capria: “La crisi delle concezioni<br />
ordinarie di spazio e tempo:<br />
l’avvento della relatività” - E. Caccese:<br />
“La dissoluzione della realtà: irrealismo<br />
e indeterminismo nella fisica<br />
del microcosmo”.<br />
20-24 febbraio 1995<br />
Romeo De Maio<br />
Leonardo<br />
e l’Umanesimo incompiuto<br />
La caverna di Leonardo - Leonardo<br />
e la domanda umanistica - Leonardo<br />
e l’enigma della verità - Leonardo<br />
e lo Stato rinascimentale -<br />
Leonardo religioso.<br />
fia dell’arte: tentativi di dis-lettura”;<br />
S. Giametta: “Gentile e Croce”; G. A.<br />
Roggerone: “Gentile e l’oltrepassamento<br />
della democrazia nello stalinismo”;<br />
A. Signorini: “Il divenire in<br />
Gentile e Stirner; G. Invitto: “La presenza<br />
di Gentile nel dibattito italiano<br />
sull’esistenzialismo”; F. Fistetti: “La<br />
secolarizzazione dello storicismo italiano:<br />
Guido Calogero”; 16 dicembre,<br />
C. Vigna: “Attualismo, problematicismo,<br />
ontologia metafisica: una sequenza<br />
storico-speculativa”; M. Signore:<br />
“Il ‘Kant’ di Gentile”; H. A: Cavallera:<br />
“Gentile e Spinoza”; N. Emery:”<br />
L’attualismo come ‘terremoto metafisico’:<br />
l’ambivalente rapporto Rensi-<br />
Gentile”; P. Birtolo: “Un appassionato<br />
interprete di Gentile: Vito A. Bellezza”;<br />
M. Simonetta: “Un inquieto<br />
allievo di Gentile: Ernesto Grassi”.<br />
● Informazioni: Dipartimento di Filosofia,<br />
Via V. M. Stampacchia, Lecce,<br />
tel. 0832 406624.<br />
20-24 febbraio 1995<br />
Ezequiel de Olaso<br />
Leibniz y el escepticismo<br />
La tradición escéptica y Leibniz. Problemas<br />
de interpretación: el escepticismo<br />
antiguo y el moderno. Escepticismo<br />
y platonismo - Los textos polémicos<br />
de Leibniz: el arte de disputar.<br />
Leibniz y los escépticos de su tiempo<br />
- Leibniz contra la concepcion biográfica<br />
de la razón humana:<br />
Montaigne y Descartes. Conocimiento<br />
y juicio. La polémica con Foucher:<br />
el conocimiento hipotético y la existencia<br />
del mundo exterior. Un texto<br />
inédito de Leibniz contra Sexto Empirico.<br />
Las criticas a Enesidemo y a<br />
Agrippa - Leibniz y el escepticismo<br />
sobre los principios. Limitaciones de<br />
la respuesta de Leibniz y las soluciones<br />
de Kant y Hegel.<br />
13 ottobre 1994 - 10 febbraio 1995<br />
Introduzione alla filosofia greca<br />
Incontri di aggiornamento<br />
per la scuola a cura di A. Gargano<br />
Il termine «filosofia» - I problemi<br />
della filosofia - La visione del mondo<br />
dei poemi omerici e della tragedia -<br />
Talete, Anassimandro, Anassimene -<br />
Eraclito - Pitagora - Parmenide - I<br />
sofisti - Socrate - Platone.<br />
21 ottobre 1994 - 17 febbraio I995<br />
Il pensiero italiano<br />
del Quattrocento e Cinquecento<br />
Incontri di aggiornamento<br />
per la scuola a cura di A. Gargano<br />
L’Umanesimo civile - Il neoplatonismo<br />
italiano: Marsilio Ficino e Pico<br />
della Mirandola - Leonardo da Vinci -<br />
Niccolò Machiavelli - Francesco Guicciardini<br />
- Bernardino Telesio - Giordano<br />
Bruno - Tommaso Campanella.<br />
6 dicembre 1994 - 23 marzo 1995<br />
Classici della filosofia<br />
dell’età contemporanea<br />
Incontri di aggiornamento<br />
per la scuola a cura di A. Gargano<br />
Immanuel Kant - Johan Gottlieb Fichte<br />
- Georg Wilhelm Friedrich Hegel -<br />
Karl Marx.
La filosofia insegnata<br />
L’insegnamento della filosofia nella<br />
scuola è un problema complesso che<br />
non può essere lasciato all’improvvisazione<br />
e allo spontaneismo, come è<br />
avvenuto finora. Perdurando l’assenza<br />
di una soluzione istituzionale nella<br />
formazione dei docenti, che chiama<br />
in causa il ruolo strategico dell’università,<br />
Pietro Biancardi, Laura Bolognini,<br />
Lucia Marchetti e Giuseppe<br />
Deiana in una recente pubblicazione:<br />
LA FILOSOFIA INSEGNATA. ESPERIENZE<br />
E RIFLESSIONI TRA INSEGNANTI PER L’INNO-<br />
VAZIONE E LA RICERCA (Pagus Edizioni,<br />
Treviso 1994) hanno voluto proporre<br />
quattro percorsi individuali che,<br />
pur nella diversità delle persone e<br />
dei luoghi di realizzazione, si riconoscono<br />
in un’idea comune del fare<br />
filosofia a scuola.<br />
Nella sua “Introduzione” Giuseppe Deiana<br />
sottolinea come gli autori intendano<br />
presentare, in questo volume, un’ipotesi<br />
di modello di didattica della filosofia<br />
realistico, aperto e discutibile, integrabile<br />
e correggibile, ma con la valenza<br />
di proposta complessiva unitaria. Il volume<br />
intende rispondere ad alcuni degli<br />
interrogativi più ricorrenti fra i docenti<br />
delle scuole secondarie superiori e raccoglie<br />
alcuni brevi saggi sul tema della<br />
didattica della filosofia.<br />
Perdurando lo stato di relativa arretratezza<br />
in cui ancora si trova l’insegnamento della<br />
filosofia, Pietro Biancardi, Laura Bolognini,<br />
Lucia Marchetti e Giuseppe Deiana<br />
hanno tentato, dall’interno del sistema<br />
scolastico, di aprire percorsi di innovazione<br />
per una didattica intesa come ricerca.<br />
La proposta è quella di far convergere,<br />
in una nuova prospettiva progettuale, le<br />
due istanze sottese ad un’azione didattica<br />
razionale e produttiva: quella del lavoro<br />
effettivo, organizzato e attuato a scuola e<br />
in classe, e quella del dibattito teorico, che<br />
si sviluppa attraverso i libri, le riviste e i<br />
convegni. Si tratta di esperienze che obbediscono<br />
ai criteri di una programmazione<br />
didattica creativa e critica, aperta alla problematizzazione<br />
e alla valutazione pubblica,<br />
ricca sotto l’aspetto epistemologico e<br />
DIDATTICA<br />
DIDATTICA<br />
a cura di Riccardo Lazzari<br />
formativo e, come tale, trasferibile, pur<br />
senza la pretesa di presentarsi come un<br />
progetto completo, ma come un progetto<br />
praticabile secondo condizioni scolastiche<br />
possibili e una chiara idea di ricercasperimentazione<br />
e di progettazione-programmazione<br />
della filosofia nel curricolo.<br />
La proposta di questo itinerario nasce sulla<br />
scorta delle trasformazioni sociali, culturali<br />
e politiche degli anni ’70 e ’80, maturate<br />
nella società e nella scuola italiana, e<br />
nella consapevolezza della possibilità di<br />
realizzare diverse strategie didattiche, che<br />
si avventurano in quel tipo di ricerca e di<br />
sperimentazione che procede sui binari<br />
paralleli e strettamente connessi della teoria<br />
epistemologico-conoscitiva e dell’esperienza<br />
scolastico- lavorativa, coniugando<br />
teoria e pratica didattica. Il compito che gli<br />
autori si sono prefissi è determinare gli<br />
obiettivi cognitivi e socio-relazionali, i<br />
contenuti disciplinari e il metodo sotteso<br />
all’organizzazione didattica in funzione,<br />
da un lato, della specificità della disciplina,<br />
dall’altro dell’apprendimento dello studente,<br />
e fra questi, della mediazione dell’insegnante.<br />
La riflessione teorica e le<br />
esperienze sono state di volta in volta<br />
raccolte, sistemate e ripensate nel farsi del<br />
lavoro, per dar conto dei processi di pensiero<br />
e dei procedimenti che sono stati<br />
attivati nelle classi. Per questo gli autori<br />
hanno deciso di raccogliere i risultati e di<br />
ripresentarli nella forma originale.<br />
Quattro sembrano i “guadagni” - come li<br />
definisce Deiana - derivanti da tale dibattito.<br />
Il primo, relativo all’organizzazione<br />
del lavoro scolastico, consiste nella convinzione<br />
che un buon insegnamento della<br />
filosofia passa per una strutturazione didattica<br />
“forte”; il secondo, relativo agli<br />
assetti disciplinari, consiste nell’affermazione<br />
della tesi estensiva, cioè della filosofia<br />
per tutti, a seguito del riconoscimento<br />
delle sue potenzialità formative e trasversali;<br />
il terzo, presupposto dei primi due,<br />
consiste nel riconoscimento della specificità<br />
della filosofia, cioè dello statuto epistemologico<br />
della disciplina; infine il quarto<br />
consiste nello spostamento della riflessione<br />
e della sperimentazione dalla filosofia<br />
insegnata alla filosofia appresa.<br />
71<br />
Filosofia per ragazzi<br />
L’uso del gioco e di esemplificazioni<br />
concrete e semplici da comprendere<br />
sembra essere uno strumento didattico<br />
di felice riuscita. E‘ questa la struttura<br />
che regge due recenti pubblicazioni<br />
che intendono “divulgare” la<br />
filosofia ad uso di ragazzi e adolescenti.<br />
Si tratta di RITRATTINO DI KANT AD<br />
USO DI MIO FIGLIO (Mondadori, Milano<br />
1994), di Massimo Piattelli Palmarini,<br />
e de IL MONDO DI SOPHIE (trad. it. di ***,<br />
Longanesi, Milano 1994), di Jostein<br />
Gaarder.<br />
Pensato come “storia” che fosse in grado<br />
di spiegare, in termini semplici, ad un<br />
ragazzo di tredici anni la filosofia di Kant,<br />
il Ritrattino di Kant ad uso di mio figlio<br />
costituisce uno strumento piacevole ed<br />
efficace in grado di essere di aiuto anche ai<br />
meno giovani. La caratteristica portante<br />
del testo è data dall’uso frequente di esempi<br />
ispirati al mondo concreto delle cose e,<br />
per questo, di facile comprensione. L’elemento<br />
didattico si realizza, allora, non<br />
tanto nella sistematicità dell’esposizione<br />
del pensiero kantiano, quanto nel continuo<br />
richiamo ad aneddoti e a casi concreti che<br />
illustrano al giovane lettore, spesso in<br />
maniera ludica, la struttura del pensiero<br />
kantiano. L’esposizione della vita dell’autore,<br />
realizzata in base ad episodi spesso<br />
divertenti e accattivanti, accompagna l’illustrazione<br />
del pensiero kantiano,. Così,<br />
vengono citati aneddoti, come quello che<br />
vede gli abitanti di Königsberg regolare il<br />
proprio orologio in funzione delle puntualissime<br />
passeggiate di Kant, o come quello<br />
secondo cui Kant, alla morte del servitore<br />
Lampe, avrebbe appeso davanti al tavolo<br />
di lavoro un cartello con scritto “dimenticare<br />
Lampe”!<br />
L’elemento intorno al quale ruota l’intero<br />
volumetto, poco più di ottanta pagine, è<br />
l’importanza decisiva che Kant attribuisce<br />
alla ragione umana. Descritta come “il<br />
colletto bianco inamidato del padre”, in<br />
grado di insegnare al bambino a camminare<br />
da solo, la ragione kantiana e illuminista<br />
è posta come quell’elemento in grado di<br />
fornire all’uomo la capacità di trovare le<br />
proprie possibilità e i propri limiti nel
DIDATTICA<br />
campo della conoscenza, della morale e<br />
della religione. Abbandonando la tipica<br />
partizione del pensiero kantiano nelle tre<br />
critiche, Massimo Piattelli Palmarini illustra<br />
il valore della ragione nei diversi<br />
campi dell’attività umana. Così, sia la conoscenza<br />
sia la morale sono descritte come<br />
quegli ambiti in cui la capacità autonoma<br />
dell’individuo formula i giudizi sintetici a<br />
priori e gli imperativi categorici, con cui<br />
gestire razionalmente la scienza e l’etica.<br />
Sempre attraverso esempi concreti e immediati<br />
Piattelli Palmarini sottolinea più<br />
volte l’autonomia della critica razionale<br />
con cui arginare il “pericolo” dell’ideologia<br />
(molto dura la critica al marxismo),<br />
e della religione che, oltrepassati i<br />
limiti della ragione, diventa fanatismo e<br />
idolatria.<br />
L’apologia kantiana non è, comunque, priva<br />
di senso critico e di analisi. Nonostante<br />
il fervore che accompagna Palmarini durante<br />
tutto il suo excursus, infatti, non<br />
manca la consapevolezza da parte dell’autore<br />
di un limite nell’opera kantiana<br />
e cioè della totale assenza dell’esplorazione,<br />
o anche solo della presa d’atto, di<br />
quella zona della psiche, l’inconscio,<br />
dove la ragione, strutturalmente, non è<br />
in grado di arrivare.<br />
Il mondo di Sophie racconta invece, attraverso<br />
il gioco e l’esemplificazione, la storia<br />
della filosofia nella forma di una fiaba<br />
e di un romanzo epistolare. La protagonista,<br />
Sophie, riceve, ogni mattina, nella<br />
cassetta delle lettere, messaggi con domande<br />
del tipo: “Chi sei tu?”; o “Da dove<br />
viene il mondo?”, alle quali seguono le<br />
risposte formulate in filosofia dai pensatori<br />
occidentali più noti, dai presocratici fino<br />
a J. P. Sartre.<br />
L’intento di Jostein Gaarder con quest’opera<br />
è quello di presentare la filosofia<br />
non tanto come insieme di concetti<br />
seriosamente accademici, bensì come<br />
continua interrogazione e stupore di fronte<br />
ai misteri della vita. Pensato per adulti<br />
e scritto per ragazzi, il romanzo mette in<br />
gioco la filosofia con i sentimenti e l’immaginazione<br />
all’interno di quel mondo<br />
privilegiato che è l’infanzia. In questo<br />
modo, rappresentando, ad esempio, l’atomismo<br />
di Democrito attraverso il gioco<br />
del “Lego” e facendo sfilare Kant e<br />
Hegel di fianco ai personaggi di Walt<br />
Disney, Gaarder si pone due intenti realizzati<br />
entrambi attraverso l’aspetto ludico.<br />
In primo luogo riportare la filosofia<br />
in piazza; di fronte all’intellettualismo,<br />
a volte quasi esoterico, che pervade<br />
le università, infatti, Il mondo di Sophie<br />
costituisce uno strumento divertente ed<br />
efficace in grado di divulgare le domande<br />
e le risposte più frequenti nella storia<br />
dell’uomo. In secondo luogo, il romanzo<br />
si propone anche come strumento didattico<br />
che, attraverso l’intreccio tra fantasia<br />
e immagine, può realizzare il primo<br />
“assaggio” di filosofia anche per i più<br />
giovani. A.S. Charles Bell, Manikin Monkey (1972, particolare)<br />
72
Per diventare cittadini<br />
Il diritto di cittadinanza è un valore che<br />
dobbiamo acquisire se vogliamo contribuire<br />
direttamente alla costruzione<br />
di una società democratica e se vogliamo<br />
diventare soggetti politici a pieno<br />
titolo: da questa convinzione Susanna<br />
Creperio Verratti, in collaborazione con<br />
Vanna Lora, Lino Rizzi e Tommaso<br />
Arenare, ha tratto l’idea di organizzare<br />
un corso di filosofia politica, rivolto a<br />
un pubblico di giovani, che si articolerà<br />
in nove incontri a carattere seminariale<br />
sul tema: “LE FONTI DELLA LIBERAL-<br />
DEMOCRAZIA”. Scopo del corso, che si<br />
svolgerà a Milano da febbraio a maggio<br />
1995, presso l’Istituto G. Pascoli<br />
(via C. Poerio 14, Milano) è di sollecitare<br />
i giovani a riflettere intorno ai grandi<br />
problemi di natura teorica della politica<br />
e a praticare nella realtà quotidiana<br />
i loro diritti di cittadini.<br />
Il progetto è scaturito dalla convinzione<br />
della necessità, nel mondo contemporaneo,<br />
di discutere temi etico-politici di<br />
ampio respiro, che riguardano da un lato i<br />
Paesi di più solida tradizione democratica<br />
e dall’altro il passato e il presente del<br />
nostro Paese, alla ricerca di quei momenti<br />
nodali in cui il liberalismo si è aperto alle<br />
istanze democratiche, intese sia come allargamento<br />
del suffragio sia come partecipazione<br />
alla politica della società civile.<br />
Il corso è articolato in tre cicli di tre incontri<br />
ciascuno: una prima parte storico-conoscitiva,<br />
tesa a presentare i classici del pensiero<br />
liberal-democratico, quali De Tocqueville<br />
(nel contesto di un raffronto tra la<br />
democrazia americana e la realtà della<br />
Francia a lui contemporanea); e J. Stuart<br />
Mill e la sua battaglia per difendere la<br />
libertà come principio e come valore in<br />
Inghilterra; quindi una seconda parte, dedicata<br />
al ‘900, dove saranno analizzati un<br />
periodo particolarmente critico nella storia<br />
delle democrazie europee, la Repubblica<br />
di Weimar, e la risposta di Hans Kelsen,<br />
filosofo e giurista, fatta di impegno politico<br />
inteso kantianamente come imperativo<br />
categorico. Si procederà poi all’attualità<br />
del dibattito sulla democrazia liberale con<br />
lo sviluppo del tema del rapporto tra etica<br />
e politica, ovvero, tra libertà individuale e<br />
giustizia sociale, con riferimento a J.<br />
Rawls. L’ultima parte del corso si sofferma<br />
sulla situazione italiana e pone la domanda<br />
fondamentale : perché in Italia non<br />
è decollata la liberal-democrazia? Si cercherà<br />
nel passato della storia d’Italia e in<br />
particolare nel periodo dell’Unità la presenza<br />
di una tradizione liberale e democratica,<br />
ravvisandone le fonti anche poco conosciute<br />
e individuando nel federalismo<br />
una delle risposte più concrete per la realizzazione<br />
di una democrazia liberale. L’ultima<br />
parte del corso ha infatti lo scopo di<br />
aprire il dibattito sul caso italiano; la Tavola<br />
rotonda conclusiva dovrebbe costituire<br />
DIDATTICA<br />
un momento di riflessione, ma anche di<br />
apertura sulle prospettive, nel nostro Paese,<br />
di una teoria e di una pratica della<br />
democrazia liberale.<br />
Ogni incontro, in tutto nove, della durata<br />
di due ore circa ciascuno, si articola in due<br />
fasi: una prima fase espositiva, vede la<br />
presenza di uno o più relatori che si alternano;<br />
una seconda fase, interattiva, è dedicata<br />
alla lettura delle pagine più significative<br />
degli autori proposti, al dialogo, alla<br />
riflessione ed alla discussione democratica.<br />
Questa seconda fase, condotta con tecniche<br />
opportune, dovrebbe abituare il giovane<br />
corsista ad una pratica civile del confronto<br />
con gli altri: si tratta di educazione<br />
civile o, per meglio dire, del cittadino.<br />
Prima e dopo il corso, verrà messo a disposizione<br />
il materiale di lavoro: all’inizio di<br />
ciascun ciclo verrà consegnata ad ogni<br />
corsista la traccia degli argomenti che verranno<br />
sviluppati oralmente, corredata dai<br />
passi più significativi degli autori citati;<br />
questa sorta di guida conterrà la bibliografia<br />
essenziale come rimando necessario<br />
alla lettura dei testi integrali. Alla fine del<br />
corso gli argomenti, gli interventi e le<br />
proposte più significativi verranno resi<br />
pubblici come Atti.<br />
Questo il calendario degli incontri: 1 febbraio,<br />
“Finalità, obiettivi e metodo”, presentazione<br />
dei docenti e degli argomenti<br />
del corso; 8 febbraio, Lino Rizzi: “Liberalismo<br />
e democrazia in De Tocqueville”;<br />
15 febbraio, Vanna Lora: “Libertà e individualità<br />
in John Stuart Mill”; 15 marzo,<br />
Tommaso Arenare: “Libertà, mercato,<br />
istituzioni”; 22 marzo, Vanna Lora: “Libertà,<br />
uguaglianza ed impegno politico in<br />
Kelsen”; 29 marzo, Susanna Creperio<br />
Verratti: “Libertà ed equità in Rawls”; 26<br />
aprile, Lino Rizzi: “Le due vie dell’unità<br />
politica italiana”; 3 maggio, Susanna Creperio<br />
Verratti, Tommaso Arenare: “Liberismo<br />
e tradizione liberaldemocratica in<br />
Italia”; 10 maggio, Tavola rotonda: “Le<br />
prospettive di una teoria e di una pratica<br />
democratico-liberale in Italia” (per informazioni:<br />
Susanna Creperio Verratti, Istituto<br />
G. Pascoli, via Poerio 14, 20129 Milano,<br />
tel. 02/29518327). S.C.V.<br />
Interventi, proposte, ricerche<br />
Sul «Bollettino della Società Filosofica<br />
Italiana» (n. 152, maggio-agosto<br />
1994) viene pubblicata una Proposta<br />
di riordino del Corso di laurea in Filosofia,<br />
elaborata dal C.U.N. e inviata al<br />
Comitato consultivo. Alcune osservazioni<br />
sul merito di questa proposta<br />
sono avanzate, sullo stesso «Bollettino»,<br />
da Enrico Berti, del Consiglio<br />
Direttivo della S.F.I.<br />
La proposta, che si divide in cinque articoli<br />
(art. 1 - Istituzione ed accesso; art. 2 -<br />
73<br />
Durata e finalità del Corso di laurea; art. 3<br />
- Organizzazione degli studi; art. 4. - Norme<br />
generali e transitorie; art. 5 - Curriculum<br />
didattico; art. 6 - Ripartizioni disciplinari),<br />
presenta alcuni punti di novità<br />
indubbiamente positivi, fra i quali: la divisione<br />
del quadriennio in due bienni, rispettivamente<br />
propedeutico e specialistico;<br />
l’elevazione del numero complessivo degli<br />
insegnamenti, previsti nel piano di studio,<br />
dagli attuali 19 a 21, con l’inclusione tra<br />
essi di un insegnamento di lingua straniera<br />
e l’aggiunta d’una prova scritta su testi<br />
filosofici; la previsione di esercitazioni di<br />
pratica testuale coordinate dal Consiglio di<br />
corso di laurea.<br />
Altri punti suscitano invece, secondo Enrico<br />
Berti, alcune perplessità. In particolare<br />
l’individuazione del «secondo nucleo di<br />
discipline» del primo biennio tra quelle<br />
«appartenenti ad altri settori umanistici,<br />
che consentano ... il mantenimento dell’intersettorialità<br />
con gli altri corsi di laurea<br />
incardinati nelle facoltà di Lettere» (art. 2)<br />
appare ingiustificata alla luce del fatto che<br />
anche in Italia gli studi filosofici hanno<br />
sempre più sostituito il rapporto intrattenuto<br />
in passato con gli studi storico-letterari<br />
con un’attenzione rivolta in egual misura a<br />
tutti gli ambiti culturali. Ma ciò che più<br />
sconcerta, secondo Berti, è il fatto che il<br />
numero degli insegnamenti filosofici obbligatori<br />
per la laurea in Filosofia verrebbe<br />
ad essere, secondo la proposta del C.U.N.,<br />
complessivamente di 10 su 21, cioè meno<br />
della metà, per via dell’inclusione, nel secondo<br />
biennio, di ben 5 insegnamenti a<br />
scelta in un area non filosofica, individuati<br />
soprattutto nell’ambito delle Scienze umane,<br />
della Storia o delle Scienze del linguaggio<br />
e della comunicazione e da aggiungersi<br />
a quelli già previsti per il primo biennio. E’<br />
invece auspicabile, secondo Berti, che tale<br />
gruppo di insegnamenti venga ridotto, nel<br />
secondo biennio, da 5 a 3, individuabili<br />
indifferentemente in qualsiasi altra area<br />
non filosofica, compresa dunque quella<br />
delle scienze matematiche, fisiche e naturali,<br />
che finora, stante la proposta in discussione,<br />
sarebbero eleggibili solo con l’approvazione<br />
del Consiglio di corso di laurea.<br />
Altre perplessità sono poi suscitate, per<br />
Berti, dalle restrizioni che rendono estremamente<br />
rigido e poco duttile il curriculum<br />
del corso di laurea in Filosofia.<br />
Fra i recenti interventi sull’insegnamento<br />
della filosofia nelle scuole secondarie<br />
superiori si segnalano i contributi<br />
di Mario Pinotti e di Mario Trombino<br />
sul «Bollettino della Società Filosofica<br />
Italiana» (n. 152, maggio-agosto<br />
1994) e, su «Paradigmi» (n. 35,<br />
maggio-agosto 1994), una nota di<br />
Maria De Rose sul Convegno di didattica<br />
della filosofia del 1993, organizzato<br />
dalla S.F.I., e le risposte date da<br />
Giuseppe Semerari a quattro domande<br />
poste da Franca Pinto Minerva.
Nell’articolo: La filosofia tra senso comune<br />
ed argomentazione, Mario Pinotti cerca<br />
di affrontare la questione del notevole<br />
numero di studenti che «prima o poi nel<br />
corso del triennio rinunciano alla frequentazione<br />
(sia pure scolastica) della filosofia,<br />
come se ne fossero o impermeabili o<br />
rassegnati, davanti alle difficoltà che essa<br />
presenta». Questa rinuncia dipende, secondo<br />
l’autore, dalla «diffusa incomprensione<br />
del legame che intercorre tra le sue<br />
problematiche, il suo linguaggio, la sua<br />
sintassi e le problematiche, il linguaggio,<br />
la sintassi del senso comune». Partendo da<br />
questa «intuizione generale», l’autore cerca<br />
di delineare una credibile strategia didattica<br />
capace di stabilire un nesso di circolarità<br />
tra presente e passato nell’apprendimento<br />
della filosofia. In particolare l’insegnante<br />
«deve presentare la filosofia come<br />
un punto di riferimento, dal quale attingere<br />
le risposte a quelle domande che la prospettiva<br />
interna al senso comune ha necessariamente<br />
deluso». Di particolare interesse<br />
sono due esempi di materiale elaborato<br />
da studenti, come esito finale di un<br />
lavoro condotto sul Fedone di Platone.<br />
L’articolo di Mario Trombino, dal titolo:<br />
A proposito di una nuova idea per insegnare<br />
filosofia a scuola, si presenta come<br />
un’accurata recensione del libro di Mario<br />
De Pasquale, Didattica della filosofia. La<br />
funzione egoica del filosofare (Franco<br />
Angeli, Milano 1994; cfr. «Informazione<br />
Filosofica», n. 17/18, febbraio/aprile 1994).<br />
Elemento saliente della recensione di<br />
Trombino è il rilievo secondo cui «il modello<br />
proposto da De Pasquale non è compatibile<br />
con la nostra scuola, così com’è».<br />
Esso infatti, per essere attuato, esige un’organizzazione<br />
del tempo e dello spazio<br />
molto diversa da quella attualmente in<br />
vigore nella scuola. Quanto poi al problema<br />
della valutazione, osserva Trombino,<br />
tale modello «è forse troppo radicale anche<br />
per una scuola riformata, che consenta<br />
tempi e modi diversi». Per quanto riguarda<br />
poi la praticabilità complessiva del modello<br />
proposto da De Pasquale, Trombino<br />
sostiene che «se insegnare filosofia significa<br />
creare una comunità di ricerca, aderirvi<br />
o meno deve essere in ogni momento<br />
frutto di un atto di libertà. Si può fare, ma<br />
la riforma della scuola... deve recepire<br />
questo principio. Nella scuola oggi questo<br />
non è possibile».<br />
Nel suo intervento su «Paradigmi», dal<br />
titolo Un convegno nazionale sulla didattica<br />
della filosofia, Maria de Rose, oltre a<br />
svolgere alcune considerazioni iniziali, offre<br />
un bilancio del convegno “La didattica<br />
della filosofia nell’università e nella scuola<br />
secondaria superiore”, tenutosi a Treviso<br />
dal 25 al 27 novembre 1993 a cura della<br />
Società Filosofia Italiana (cfr. «Informazione<br />
Filosofica», n. 16, dicembre 1993).<br />
Secondo De Rose è nella prospettiva di<br />
realizzazione di una sempre più proficua<br />
«convergenza tra didattica ed epistemologia<br />
disciplinare» che va rivolto lo sguardo<br />
DIDATTICA<br />
innovatore dei docenti di filosofia. Vale a<br />
dire: la didattica non si connota come mera<br />
tecnica, ma come «ambito problematico<br />
complesso», che coinvolge, oltre ai problemi<br />
legati allo «specifico statuto epistemologico<br />
delle diverse discipline», molteplici<br />
questioni d’ordine psicologico-cognitivo,<br />
docimologico, interdisciplinare.<br />
Secondo De Rose il convegno organizzato<br />
dalla S.F.I. non è stato capace di rispondere<br />
in modo adeguato ai temi di ampio<br />
respiro e alle questioni che erano state<br />
annunciate. Nonostante alcuni interventi<br />
particolarmente stimolanti, i lavori del<br />
Convegno «sono stati rivolti o all’evidenziazione<br />
di problemi o all’esposizione di<br />
programmi, aspetti entrambi già noti alla<br />
maggior parte dei docenti di scuola superiore<br />
coinvolti in prima persona nel processo<br />
di rinnovamento già in atto».<br />
Ancora sullo stesso fascicolo di «Paradigmi»,<br />
Giuseppe Semerari risponde ad alcune<br />
domande di Franca Pinto Minerva<br />
sullo “stato di salute” della filosofia, sulla<br />
possibile metodologia (unica e neutrale o,<br />
viceversa, pluralistica) della ricerca filosofica,<br />
sul significato dell’allargamento<br />
dell’insegnamento filosofico agli istituti<br />
tecnici, sulla possibilità di insegnare alcuni<br />
elementi del pensiero filosofico sin dalla<br />
scuola di base.<br />
Si segnala infine un contributo di Maria<br />
Giovanna Delfino, apparso su «Sensate<br />
esperienze» (n. 23, giugno 1994), relativamente<br />
al tema: Fra Scienza e Filosofia:<br />
organizzazione e svolgimento di un progetto<br />
didattico fondato sulla Bioetica. Il<br />
progetto, articolato in senso logico-cronologico<br />
e corredato dagli itinerari di Scienza,<br />
Filosofia e Religione Cattolica, è stato<br />
introdotto nel Liceo «Pacinotti» della Spezia<br />
allo scopo di innovare il curricolo tradizionale<br />
di Scienze e Filosofia, di avviare<br />
una modularità avente come perno discipline<br />
aferenti aree diverse, di “rompere” lo<br />
schema rigido della partizione per anno<br />
dei contenuti disciplinari.<br />
Già da alcuni anni, la Società Filosofica<br />
Italiana ha condotto, con il patrocinio<br />
del Ministero della Pubblica<br />
Istruzione, un’inchiesta sull’insegnamento<br />
della filosofia nelle scuole<br />
sperimentali. Questa inchiesta, di<br />
cui abbiamo già anticipato i contenuti<br />
(cfr. «Informazione Filosofica»,<br />
n. 15, settembre/ottobre 1993), è<br />
ora apparsa nelle librerie con il volume:<br />
L’INSEGNAMENTO DELLA FILOSOFIA<br />
NELLE SCUOLE SPERIMENTALI. RAPPORTO<br />
DELLA SOCIETÀ FILOSOFICA ITALIANA (a<br />
cura di C. Lanzetti e C. Quarenghi,<br />
Laterza, Roma-Bari 1994).<br />
La ricerca su L’insegnamento della filosofia<br />
nelle scuole sperimentali, condotta<br />
Clemente Lanzetti e Cesare Quarenghi,<br />
si inserisce in un programma di lavoro<br />
promosso dalla S.F.I. alla metà degli anni<br />
74<br />
Ottanta, che prevedeva due studi di carattere<br />
empirico sull’insegnamento della filosofia<br />
in Italia: uno nei licei a ordinamento<br />
normale e uno nelle scuole secondarie<br />
superiori di tipo sperimentale. Il primo è<br />
stato effettuato negli anni 1985-86 e i<br />
risultati sono stati raccolti nel volume:<br />
L’insegnamento della filosofia. Rapporto<br />
della Società filosofica italiana (a cura di<br />
L. Vigone e C. Lanzetti, Laterza, Roma-<br />
Bari 1987); il secondo è stato realizzato tra<br />
il 1990 e il 1992 e viene presentato nel<br />
volume in questione.<br />
Lo scopo che accomuna i due lavori, come<br />
specificano i curatori del secondo rapporto,<br />
è quello di fornire dati oggettivi su<br />
come nella pratica didattica i docenti di<br />
filosofia esercitano la loro professione, sui<br />
problemi e le difficoltà che incontrano nel<br />
loro effettivo contesto di lavoro, sulle attese<br />
che hanno e i suggerimenti che propongono<br />
in ordine sia alla didattica che alla<br />
loro formazione. In particolare, per la ricerca<br />
relativa alle scuole sperimentali sono<br />
state adottate due strategie diverse di rilevazione<br />
dei dati: l’una prevalentemente<br />
qualitativa, che si rifà ai metodi dell’analisi<br />
socio-organizzativa e alla tecnica del<br />
case-study, e l’altra di tipo quantitativo<br />
che si basa sull’uso del questionario.<br />
Con la prima, che prevede un’analisi<br />
globale e longitudinale dell’esperienza,<br />
utilizzando interviste in profondità a testimoni<br />
privilegiati, è stata fatta un’analisi<br />
dettagliata di quattro esperienze<br />
esemplari di sperimentazione, realizzate<br />
in modo di avere contesti differenziati e<br />
il più possibili significativi.<br />
Le scuole prese in considerazioni sono<br />
state l’ITIS Cobianchi di Verbania, l’Ist.<br />
tecnico commerciale a indirizzo linguistico<br />
di Paderno Dugnano, l’Ist. magistrale<br />
di Mestre (a indirizzo biologico, giuridico,<br />
sociale e letterario), l’ITIS di Bollate, che<br />
prevede l’insegnamento della filosofia nell’area<br />
comune. Sulla base dell’analisi<br />
condotta in questi quattro istituti, il gruppo<br />
di ricerca ha selezionato gli aspetti<br />
che meritavano d’essere poi indagati su<br />
vasta scala, mediante l’approntamento<br />
di un questionario inviato ai docenti di<br />
filosofia e ai presidi delle scuole sperimentali<br />
di tutta Italia.<br />
Il volume riporta anche una tavola rotonda,<br />
sui risultati dell’indagine, con interventi<br />
di Enrico Berti, Carlo Lazzerini,<br />
Virgilio Melchiorre, Pietro Rossi e Carlo<br />
Sini, ed è corredato da una “Prefazione”<br />
di Girolamo Cotroneo, da una “Introduzione”<br />
di Luciana Vigone, e da una “Nota<br />
finale” di Cesare Quarenghi.
Filosofia anglo-sassone<br />
LA PHILOSOPHIE ANGLO-SAXONNE (La filosofia<br />
anglosassone, Puf, Parigi 1994),<br />
opera collettiva diretta da Michel<br />
Meyer, filosofo belga allievo e successore<br />
di Perelman all’Université Libre<br />
de Bruxelles, nonché direttore della<br />
«Revue Internationale de philosophie»,<br />
è la prima opera di lingua francese a<br />
render conto in maniera sistematica<br />
dell’insieme di problematiche, temi,<br />
autori, correnti e ambiti di ricerca che<br />
«da Locke a Rorty, da Bacone a Rawls,<br />
da Hobbes a Popper e Feyerabend,<br />
hanno consacrato l’originalità e la sostanza<br />
del pensiero anglosassone»,<br />
mettendo fine al rigetto che il pensiero<br />
francofono ha a lungo dimostrato<br />
nei confronti della filosofia analitica.<br />
Per la sua struttura, quest’opera si pone<br />
come strumento di lavoro e di riferimento<br />
anche per gli anni a venire: in seicento<br />
pagine, viene offerto il panorama di quattro<br />
secoli di filosofia inglese; ciascun saggio,<br />
redatto da un noto specialista, è seguito da<br />
una bibliografia aggiornata; note e indici<br />
sono molto ricchi. Viene così messa a disposizione<br />
del lettore una somma di conoscenze<br />
indispensabili alla comprensione di<br />
autori ancora frequentemente ignorati in<br />
area francese, malgrado il recente moltiplicarsi<br />
delle traduzioni.<br />
Il pensiero anglosassone - il cui ambito non<br />
coincide puramente e semplicemente con<br />
quello della filosofia analitica - viene definito<br />
in base a criteri “patriottici”, geografici,<br />
metodologici, addirittura stilistici. La<br />
“patria” teorica è rappresentata dall’empirismo,<br />
che trova la propria fonte remota<br />
nell’idea che «non vi è nulla nell’intelletto<br />
che prima non sia stato nei sensi», e, a<br />
partire dalla critica di Locke alla nozione<br />
cartesiana di idea innata, attraversa il pensiero<br />
di Berkeley per arrivare allo scetticismo<br />
radicale di Hume. La “regione” d’origine<br />
è la Polonia, vengono poi i paesi<br />
scandinavi, gli Stati Uniti, l’Austria e naturalmente<br />
la Gran Bretagna, terra degli «esuli<br />
delle persecuzioni tedesche, che preferirono<br />
vivere nel paese di Locke piuttosto che<br />
morire in quello di Heidegger». Ma è un<br />
certo “stile” a permettere di radunare sotto<br />
STUDIO<br />
STUDIO<br />
un’unica denominazione correnti speculative<br />
abbastanza differenti tra loro: la maniera<br />
di considerare la ricerca filosofica come<br />
un’indagine di tipo scientifico; la propensione<br />
a un minuzioso lavoro di chiarificazione;<br />
la priorità accordata ai “fatti” e all’ “argomentazione”;<br />
la volontà di porre i problemi<br />
teorici nel modo più “obbiettivo” possibile;<br />
il privilegiamento della logica e delle analisi<br />
linguistiche, sia del linguaggio formalizzato<br />
delle scienze, che di quello comune.<br />
Gli ambiti presi in esame da Michel Meyer<br />
e dai suoi collaboratori sono quelli tradizionali:<br />
filosofia morale e politica, filosofia<br />
del linguaggio, filosofia della logica,<br />
filosofia dell’azione, filosofia della scienza.<br />
Il volume si apre con un saggio sulla<br />
Nascita dell’empirismo, redatto dallo stesso<br />
Meyer e si chiude con un saggio consacrato<br />
alla Filosofia dello Spirito, a firma<br />
dello studioso e traduttore di Davidson<br />
Pascal Engel, e uno ai più recenti sviluppi<br />
di Intelligenza artificiale e scienze cognitive,<br />
illustrati da Jacques Riche. Manuel<br />
Maria Carrilho fa il quadro della filosofia<br />
della scienza (da non confondere con l’epistemologia,<br />
dato che epistemology in inglese<br />
designa piuttosto quella che sul continente<br />
viene chiamata teoria della conoscenza)<br />
da Bacone e Mill, dal Circolo di<br />
Vienna fino a Popper, Kuhn, Lakatos e<br />
Feyerabend. Jean Pierre Cometti risale<br />
alle origini del pragmatismo americano<br />
(Peirce, Dewey) per meglio mettere in luce<br />
gli apporti di Putnam e di Rorty, di cui<br />
peraltro ha da poco tradotto in francese<br />
Obbiettivismo, relativismo e verità. Simone<br />
Goyard-Fabre fornisce una visione<br />
panottica delle grandi tematiche morali e<br />
politiche elaborate in ambito anglosassone.<br />
Inizia dall’ “orribile Hobbes” - come lo<br />
chiamava Rousseau - e da Locke, passando<br />
alle filosofie che “valorizzano i percorsi<br />
della tradizione e della storia (Hume e<br />
Burke), prima di delineare i tratti della<br />
corrente utilitarista (Bentham, Mill, Sidgwick)<br />
in polemica con la quale si è formato<br />
il neocontrattualismo di Rawls, all’origine<br />
di quasi tutti i dibattiti che animano<br />
l’attuale filosofia morale e politica (Nozick,<br />
Hart, Buchanan, Nagel, Larmore,<br />
Taylor, Walzer, MacIntyre, Williams...)<br />
nonché quella del diritto.<br />
Ma, naturalmente, è la filosofia del lin-<br />
75<br />
guaggio a fare la parte del leone all’interno<br />
del volume. Che la filosofia debba consacrarsi<br />
all’analisi logica del linguaggio e<br />
abbia come compito essenziale la chiarificazione<br />
del suo senso: è questo il programma<br />
della filosofia analitica. Ma cosa significa<br />
analizzare il linguaggio? Tradurne gli<br />
enunciati in una lingua formale? <strong>Studi</strong>are il<br />
modo in cui le proposizioni hanno senso?<br />
Vedere a quali condizioni “dire è fare”? Le<br />
indagini si sviluppano in tutte le direzioni:<br />
logica, sintattica, semantica, pragmatica.<br />
François Rivenc inizia dalla teoria delle<br />
“descrizioni definite” di Russel per arrivare<br />
a Carnap; il pensiero di Wittgenstein è esposto<br />
da Jacques Bouveresse, massimo specialista<br />
francese di questo autore; Paul Gochet<br />
analizza la riflessione di Quine in un<br />
capitolo che è stato rivisto da Quine medesimo;<br />
Pascal Engel si occupa dei successori di<br />
Quine (Smart, Armstrong, Lewis, Kripke,<br />
Davidson, Dummet); Carrilho espone la<br />
teoria degli atti linguistici di Searle e Austin.<br />
A quasi un secolo dai Principia Mathematica<br />
di Russell, considerati gli importanti<br />
cambiamenti che la filosofia anglosassone<br />
ha introdotto nella speculazione, anche in<br />
ambito francese il dibattito filosofico si sposta<br />
dal tradizionale asse franco-tedesco e ci si<br />
rende conto finalmente di quanto fosse un<br />
vano sarcasmo l’affermazione comune riportata<br />
da Bouveresse: «se le questioni filosofiche<br />
fossero, come crede Wittgenstein,<br />
essenzialmente questioni linguistiche, non<br />
potrebbero che essere superficiali, prive di<br />
interesse e di conseguenze». D.F.<br />
Felicità e piacere nei greci<br />
IL PIACERE NELLA FILOSOFIA GRECA (a cura<br />
di P. Cosenza e R. Laurenti, Loffredo<br />
Editore, Napoli 1993) è il titolo di<br />
un’ampia antologia che racchiude, in<br />
uno spazio compatto e fruibile, un<br />
ambito vastissimo di posizioni, di idee,<br />
di analisi teoriche sul problema della<br />
felicità, in particolare nella sua connessione<br />
con il piacere.<br />
Sin dalle sue origini, la filosofia greca ha<br />
usato moltissimo il termine hedoné, tanto
STUDIO<br />
che sono state classificate come edonistiche<br />
filosofie che pur riponendo il télos<br />
della vita nell’hedoné, intendono per essa<br />
concetti molto diversi tra loro, sia per quanto<br />
riguarda la genesi e la natura fisica del<br />
fenomeno, sia per ciò che ne concerne il<br />
valore morale. E’ questo il caso dell’indirizzo<br />
cirenaico e del Giardino epicureo.<br />
Del resto, questo risponde pienamente ad<br />
uno degli scopi dichiarati dai curatori dell’antologia,<br />
Paolo Cosenza e Renato Laurenti:<br />
«Sarebbe segno di scarsa cautela<br />
critica credere che [formazioni concettuali]<br />
che hanno origine in correnti filosofiche<br />
caratterizzate, in linea di massima, da orientamenti<br />
diversi, siano in ogni caso, per tale<br />
loro origine, da classificare come filosoficamente<br />
incompatibili. Come l’esperienza<br />
largamente insegna, scuole diverse [...] talvolta<br />
danno luogo, a dispetto delle più<br />
accreditate etichette, a conclusioni convergenti<br />
o almeno non contrastanti».<br />
L’antologia è strutturata in modo da facilitare<br />
il più possibile il compito di reperire le<br />
necessarie fonti bibliografiche mediante<br />
indice bibliografico, nel quale compaiono<br />
le abbreviazioni con cui nelle note vengono<br />
menzionate le opere più frequentemente<br />
citate. Le traduzioni (tutte opera dei due<br />
curatori) delle testimonianze dei vari filosofi<br />
sono precise e rimandano molto spesso,<br />
in nota, alla scelta di lezioni particolari<br />
riguardo ad alcuni passi, spiegandone sempre<br />
le motivazioni; compaiono poi, sempre<br />
in nota, quando si tratta di passi di particolare<br />
importanza teoretica, le citazioni dal<br />
testo greco, e i ternini più filosoficamente<br />
significativi vengono riportati con spiegazioni<br />
etimologiche e storiche.<br />
L’antologia è articolata in dieci capitoli.<br />
Nel I si analizza la tematica del piacere da<br />
Omero ai Presocratici; si passa poi ai Sofisti,<br />
a Socrate e alle scuole socratiche minori<br />
(capp. II-III-IV); seguono Platone e i<br />
suoi successori accademici Speusippo e<br />
Eudosso, poi Aristotele, del quale si esaminano<br />
i luoghi concernenti il piacere delle<br />
due Etiche (capp. V-VI). La trattazione<br />
dell’argomento prosegue con le tre grandi<br />
scuole dell’Ellenismo: Epicuro, Stoici e<br />
Scettici, comprendendo nell’esame di questi<br />
ultimi anche gli sviluppi scettici dell’Accademia<br />
(capp. VII-VIII-IX); l’ultimo<br />
capitolo è interamente occupato dall’esposizione<br />
del tema del piacere nelle Enneadi<br />
plotiniane. Il tutto copre un arco cronologico<br />
che va dalle origini del pensiero greco al<br />
III secolo d.C.<br />
Accurate sono, all’inizio dei suddetti capitoli,<br />
le introduzioni, nelle quali, prima di<br />
riportare le testimonianze, si discutono e si<br />
puntualizzano i principali problemi su cui<br />
si sono soffermati, nell’ambito del tema del<br />
piacere, una certa scuola o un certo pensatore<br />
e le più importanti conclusioni a cui<br />
sono giunti. Ovviamente lo spazio più vasto<br />
viene offerto, da questo punto di vista, a<br />
Platone e al suo Filebo, che rappresenta la<br />
più ampia trattazione sul piacere a noi integralmente<br />
giunta dal pensiero greco. A.E. Atene. Kore 682 (particolare)<br />
76
VERIFICHE<br />
Anno XXIII, n. 1-2, gennaio-giugno 1994<br />
Verifiche, Trento<br />
Bonum e Summum Bonum nell’Etica di<br />
Spinoza, di F. Biasutti: la critica al finalismo<br />
in Spinoza si inscrive all’interno<br />
di una posizione epistemologica propria<br />
del pensiero moderno, ma se ne distingue<br />
per la radicalità delle posizioni.<br />
Tempo e storia in Hegel, di F. Chiereghin:<br />
nel sistema hegeliano il tempo raffigura,<br />
in modo emblematico, la funzione<br />
che il filosofo assegna alla natura,<br />
l’essere altro dell’idea, ma anche il presupposto<br />
per il pieno dispiegarsi dello<br />
spirito. Esso viene ad avere una funzione<br />
mediatrice tra divenire e storia.<br />
Diritto ed eticità della famiglia nella ‘Rechtsphilosophie’<br />
di Hegel, di M. Tomba.<br />
Il mondo di Galileo: l’oggetto del suo<br />
sapere fisico-matematico. Diffalcare gli<br />
impedimenti della materia (parte II) di L.<br />
Congiunti: la matematizzazione del mondo<br />
naturale; il ruolo dell’esperimento; il<br />
progetto scientifico e filosofico di Galileo.<br />
Bios politikos e bios theoretikos secondo<br />
Hannah Arendt, di J. Taminiaux.<br />
Linee interpretative per una storia del<br />
neotomismo e della neoscolastica di A.<br />
La Russa: recensione di L. Malusa: Neotomismo<br />
e intransigentismo cattolico<br />
(Milano 1986-1989).<br />
STUDI DI ESTETICA<br />
Anno XXI, n. 7-8, 1993<br />
Clueb, Bologna<br />
Il presente fascicolo ha carattere monografico<br />
ed è dedicato al tema: “Mimesis”.<br />
A completamento del tema, nel corso<br />
del 1994 usciranno altri due fascicoli<br />
dal titolo: “Ragioni della mimesis” e<br />
“Poetiche della mimesis”.<br />
RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />
RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />
a cura di Silvia Cecchi<br />
La mimesis nell’antichità, di H. Koller:<br />
l’articolo è un’antologia tratta dal fondamentale<br />
saggio di Koller del 1954, Die<br />
Mimesis in der Antike, in cui si sostiene che<br />
il centro della mimesis si trova nella danza<br />
e che questo concetto non coincide con la<br />
passiva imitazione.<br />
Filosofia e Mimesis, di J. Bompaire:<br />
vengono qui presentate le quattro diverse<br />
accezioni di mimesis: in senso generale,<br />
come riproduzione dei caratteri di<br />
qualcuno o qualcosa; in senso filosofico,<br />
come imitazione della realtà da parte di<br />
uno scrittore; in senso retorico e letterario,<br />
come reazione da parte del pubblico,<br />
quando l’oggetto dell’imitazione del letterato<br />
è la “cosa letteraria”.<br />
Interpretatio, imitatio, aemulatio, di A.<br />
Reiff: l’imitatio latina e lo sforzo terminologico<br />
compiuto dai Romani.<br />
La teoria classicistica della mimesis, di H.<br />
Flashar: una storia della nozione antica di<br />
mimesis.<br />
La mimesis nella teoria contemporanea,<br />
di M. Spariosu: nel dibattito contemporaneo<br />
questo concetto compare nelle dimensioni<br />
onto-epistemologico, bio-antropologico,<br />
psicologico, linguistico, letterario.<br />
Intertestualità e retorica delle citazioni, di<br />
V. Kapp.<br />
La mimesis in Auerbach, di G. Gebauer e<br />
C. Wulf.<br />
RIVISTA INTERNAZIONALE<br />
DI FILOSOFIA DEL DIRITTO<br />
Anno LXXI, n. 2, 1994<br />
Giuffré, Milano<br />
Uberto Scarpelli, giurista e filosofo, di<br />
M. Jori.<br />
Il significato del cuore nella filosofia giuridica<br />
di S. Agostino e di Marsilio da<br />
Padova, di E. Ancona.<br />
77<br />
Naturalità del diritto e universali giuridici,<br />
di G. Cosi: l’indagine sull’esistenza di universali<br />
del diritto attraverso il rilevamento<br />
di tempo, spazio e costanti del diritto.<br />
Montesquieu e il problema della diversité,<br />
di C. P. Courtney: l’analisi di Montesquieu<br />
della diversité anche attraverso l’illustrazione<br />
della posizione dei predecessori:<br />
Grozio, Pufendorf, Barbeyrac.<br />
Una conversione della teoria critica? Sulla<br />
teoria del diritto e dello Stato di<br />
Habermas, di O. Hoffe.<br />
Dimensione transculturale dei fenomeni<br />
giuridici nella ricerca antropologica, di L.<br />
Scillitani.<br />
IDEE<br />
Anno VIII, n. 24/1993<br />
Milella, Lecce<br />
Laudatio per F. Tenbruk, di M. Signore.<br />
Edith Stein e la rielaborazione del pensiero<br />
scolastico di G. A. Roggerone: pur<br />
avendo grandemente contribuito al movimento<br />
femminile, la filosofia della<br />
Stein non ha un contenuto diverso dalle<br />
filosofie in genere.<br />
Amore, comunità umana e giustizia nel<br />
pensiero di Paul Ricoeur, di E. Pucci.<br />
Una ricerca giuridico-politica in prospettiva<br />
fenomenologica di A. Rizzacasa:<br />
osservazioni su Una ricerca sullo<br />
Stato di E. Stein.<br />
Bernhard Welte - Sören Kierkegaard, di<br />
O. Tolone: l’interesse, comune ai due<br />
pensatori, circa la costituzione ontologica<br />
dell’uomo.
RIVISTA DI FILOSOFIA<br />
NEOSCOLASTICA<br />
Anno LXXXVI, n. 2, aprile-giugno 1994<br />
Vita e Pensiero, Milano<br />
Potere e ragione nel ‘Dialogus’ di Pietro<br />
Alfonsi (Mosè Sefardi), di M. L. Arduini:<br />
il profilo “bifronte” di Piero Alfonsi<br />
nella sua dimensione storica, biografica<br />
e geografica.<br />
L’analogia dell’ente in Domenico di Fiandra,<br />
di F. Riva: la figura di Domenico Fiandra,<br />
possibile mediatore tra il dibattito inglese<br />
e francese e il mondo universitario italiano<br />
tra XIV e XV secolo, è interessante in rapporto<br />
all’evoluzione del concetto di analogia<br />
nelle scuole post-tomistiche e post-scotistiche.<br />
Finito e infinito e l’idealismo della filosofia.<br />
La logica hegeliana dell’essere determinato<br />
(II), di G. Movia.<br />
Il predicato di dimostrabilità e la nozione<br />
di consistenza: alternative alla formulazione<br />
classica, di A. Ballarino.<br />
STUDI KANTIANI<br />
Anno VII, 1994<br />
Giardini Editori e Stampatori, Pisa<br />
Analogia, bellezza e moralità nel 59 della<br />
‘Critica del Giudizio’, di S. Marcucci: per<br />
comprendere pienamente il tema del rapporto<br />
kantiano tra bellezza e moralità, per<br />
cogliere la vera natura del concetto di analogia<br />
anche relativo al giudizio riflettente<br />
ed al giudizio determinante, vengono analizzati<br />
i primi quattro capoversi del 59,<br />
attraverso cui Kant arriva ad affermare che<br />
“il bello è il simbolo del bene morale”.<br />
Kant e le lezioni di psicologia, ovvero la<br />
scienza dell’anima, di M. Paschi: le Lezioni<br />
di psicologia, anteriori alla pubblicazione<br />
della Critica della ragion pura,<br />
rivelano non solo il rapporto tra didattica<br />
e ricerca filosofica, ma ci sono utili<br />
per capire l’origine e l’impostazione dei<br />
problemi kantiani relativi all’analisi della<br />
conoscenza umana.<br />
Canguilhem, Kant e la filosofia trascendentale,<br />
di M. Marianetti.<br />
Il Kant teoretico in Cesare Luporini, di R.<br />
Torzini.<br />
Alcune osservazioni storico-critiche sul rapporto<br />
morale felicità-religione in Kant, di S.<br />
Marcucci: una lettura delle prime tre pagine<br />
de La religione nei limiti della semplice<br />
ragione sul legame tra moralità e religione.<br />
La Cassirer Renaissance in Europa di M .<br />
Ferrari.<br />
RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />
IRIDE<br />
Anno VII, n. 11, aprile 1994<br />
Il Mulino, Bologna<br />
Postmoderno letterario. Sguardo epocale<br />
retrospettivo su una controversa “soglia<br />
epocale”, di H. R. Jauss.<br />
Razionalità deliberativa e modelli di legittimità<br />
democratica, di S. Benhabib: in linea<br />
con il “costruttivismo kantiano” di<br />
Rawls e l’idea di “ricostruzione” di<br />
Habermas, viene esaminata la relazione<br />
esistente tra i presupposti normativi della<br />
deliberazione democratica e il contenuto<br />
idealizzato della razionalità classica.<br />
L’amore di sè in Adam Smith: verso una<br />
teoria pluralistica della motivazione, di E.<br />
Lecaldano: la nozione di amore di sé è<br />
presente nella riflessione etica del XVII e<br />
XVIII secolo e la trattazione che ne fa<br />
Smith nella Teoria dei sentimenti morali,<br />
da un lato, porta a compimento le analisi<br />
precedenti, dall’altro le trasforma.<br />
L’io contro se stesso. Il soggetto moderno<br />
e l’amore di sé, di E. Pulcini.<br />
Biologia ed etica dell’amor proprio, di<br />
F. Savater.<br />
Egoismo, utilitarismo, Moore, di M. Vacatello:<br />
il ruolo, nell’utilitarismo, dei principi<br />
di prudenza e benevolenza.<br />
“Il Machiavelli del proletariato”. Violenza<br />
e solidarietà nella tradizione del marxismo,<br />
di R. Bodei: il realismo politico in<br />
Marx ed alcune interpretazioni di Marx da<br />
parte di Lenin, Brecht e del giovane Croce.<br />
Liberalismo e marxismo nella cultura anglosassone,<br />
di F. S. Trincia: antiprogressismo<br />
e socialismo in Wallerstein; pluralismo<br />
e individualismo in Berlin e Elster;<br />
libertà marxiana e libertà individuale secondo<br />
la tesi di J. Gray.<br />
Dal liberalismo al nazionalismo, di J. Haldane:<br />
la filosofia politica e il dibattito sul<br />
liberalismo in rapporto ad un nazionalismo<br />
moderato, a partire da Rawls.<br />
Crisi nazionale e consolidamento dell’ordine<br />
politico, di J. R. Recalde.<br />
Identità e interculturalità, di S. Moravia: il<br />
problema dei cosiddetti extracomunitari e<br />
della convivenza culturale a partire dalla<br />
sostituzione dell’immagine dell’uomo<br />
come identità singola all’immagine dell’uomo<br />
come identità plurima.<br />
Cattiveria come esercizio spirituale, di<br />
P. Virno.<br />
78<br />
RIVISTA DI STORIA DELLA FILOSOFIA<br />
Anno XLIX, n. 2/1994<br />
Franco Angeli, Milano<br />
Confutazione di Spinoza e pirronismo. La<br />
via al senso comune di A. M. Ramsey, di M.<br />
Baldi: la posizione di Ramsey (1686-1743)<br />
rispetto al pirronismo, posizione debitrice<br />
in parte alla reazione anticartesiana e antispinoziana<br />
nell’Inghilterra della seconda<br />
metà del Seicento.<br />
De communi vinculo: body, mind and other<br />
scottish concordances, di C. Stewart-Robertson.<br />
Il tema della crisi dell’arte nel pensiero di<br />
A. Banfi, di G. Scaramuzza: il tema della<br />
crisi dell’arte in Banfi come riflessione su<br />
aspetti di un ampio processo culturale e<br />
come presa di posizione rispetto all’arte a<br />
lui contemporanea.<br />
Una lettera ritrovata: Campanella a Peiresc,<br />
19 giugno 1636, a cura di G. Ernst e E.<br />
Canone: nella lettera Campanella rievoca i<br />
suoi trascorsi telesiani.<br />
Due lettere di Walter Benjamin a Alexander<br />
Pfänder, a cura di G. Scaramuzza.<br />
PARADIGMI<br />
Anno XII, n. 35, maggio-agosto 1994<br />
Schena, Brindisi<br />
Nichilisno e oltre..., di P. Miccoli.<br />
La filosofia contemporanea in Brasile,<br />
di A. Paim: le due tradizioni più solide,<br />
su cui si innesta il pensiero brasiliano<br />
contemporaneo, sono il tradizionalismo<br />
e lo scientismo.<br />
Persona e natura: il limite dell’etica, di<br />
M. A. La Torre: il problema del limite e<br />
l’azione di “demarcazione” all’interno<br />
della vita morale.<br />
Eredità europee: la memoria del plurale,<br />
di F. Merlini: l’articolo intende analizzare<br />
se la cultura europea disponga di una tradizione<br />
in grado di attribuire un contenuto<br />
produttivo all’esperienza della diversificazione<br />
e della pluralizzazione delle identità<br />
sociali all’interno di un’unica comunità.<br />
L’estetica del primo Wittgenstein, di M.<br />
Rinaldi.<br />
Lo schema estatico-orizzontale dell’avvenire<br />
e la ricerca di Heidegger sulla temporalità,<br />
di G. Biondi: attraverso i testi delle<br />
lezioni è possibile ripensare la nozione<br />
heideggeriana di tempo anche in relazione<br />
al senso della “svolta”.
MAN AND WORLD<br />
Vol. 27, n. 2, aprile 1994<br />
Kluwer Academic Publ., Dordrecht<br />
Silence, being and the between: Picard,<br />
Heidegger and Buber, di R. E. Wood: i tre<br />
concetti di silence, being e between, pur<br />
non coincidendo perfettamente, hanno origine<br />
dalla stessa regione di esperienza.<br />
Who owns the lie? The problem of presentation<br />
in Troilus and Cressida, di D. Price.<br />
Re-thinking ethical naturalism. Nietzsche’s<br />
open question argument, di L. F. Kerckhove:<br />
un confronto tra Nietzsche e MacIntyre<br />
sul problema etico.<br />
Space perception and the fourth dimension,<br />
di S. H. Kellert.<br />
The improvisational problem, di R. P.<br />
Crease: filosofia dell’improvvisazione e<br />
rappresentazioni artistiche.<br />
The philosophical curriculum and literature<br />
culture: a response to Rorty, di J. Stewart.<br />
J. B. S. P.<br />
Vol. 25, n. 2, maggio 1994<br />
University of Manchester, Manchester<br />
Tema della rivista: “Gadamer, Sartre e<br />
Deleuze”.<br />
Phenomenology, hermeneutics, metaphysics,<br />
di H. G. Gadamer.<br />
Yorck Von Wartenburg and the problem of<br />
historical existence, di H. Ruin: la figura<br />
di Yorck Von Wartenburg viene qui tratteggiata<br />
dal punto di vista biografico, mettendo<br />
in luce anche la sua riflessione sui<br />
problemi della comprensione storica, soprattutto<br />
in rapporto a Dilthey, e la ricezione<br />
postuma.<br />
Heidegger, Caputo and the ethical question<br />
re-visited, di R. M. Capobianco: la<br />
critica rivolta ad Heidegger da Caputo<br />
circa la povertà della sua riflessione etica.<br />
Sartre, reciprocity, sexuality and solipsism,<br />
di A. Mirvish: l’analisi sartreana<br />
dell’autentico desiderio sessuale in Essere<br />
e nulla.<br />
Metamorphic-logic: bodies and powers in<br />
a Thousand Plateaus, di P. Patton.<br />
Before the other; genesis, structure and<br />
development in Piaget, di J. Joffer.<br />
RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />
NOUS<br />
Vol. XXVII, n. 4, dicembre 1993<br />
Blackwell Publ., Oxford-Cambridge<br />
Motive and obligation in Hume’s ethics, di<br />
S. Darwall: l’articolo intende collocare<br />
Hume all’interno del dibattito relativo alla<br />
normatività della morale che si è sviluppato<br />
tra Seicento e Settecento.<br />
Empty names, di D. Braun.<br />
Logic purified, di T. Yagisawa: nell’articolo<br />
si prende posizione contro l’ortodossia<br />
logica corrente relativa alla definizione della<br />
verità come proposizioni definite.<br />
Numbers can be just what they have to, di<br />
C. Mc Larty.<br />
Partial denotations of theoretical terms, di<br />
K. Bedard: i limiti teretici secondo Lewis.<br />
REVUE INTERNATIONALE<br />
DE PHILOSOPHIE<br />
Vol. 48, n. 2, 1994<br />
Universa, Wetteren<br />
Tema della rivista: “Leibniz”. Il fascicolo<br />
si occupa della riflessione epistemologica<br />
del pensatore tedesco, pur collocando tale<br />
riflessione all’interno dell’originale meditazione<br />
metafisica.<br />
Leibniz et le problème de la “science moyenne”,<br />
di J. Bouveresse: le critiche di Leibniz<br />
all’idea di una scienza mediana.<br />
Die mathematisch-physikalische Schönheit<br />
bei Leibniz, di H. Breger.<br />
Leibniz on the principle of continuity, di F.<br />
Duchesneau: il principio di continuità come<br />
strumento di analisi dei fenomeni.<br />
From Galileo to Leibniz: motion, qualities<br />
and experience at the foundation of natural<br />
science, di A. G. Ranea: dalla scienza del<br />
moto di Galileo alla giustificazione leibniziana<br />
dei principi della dinamica.<br />
Les axiomes de l’identité et la démonstration<br />
des formules arithmétiques: 2+2 = 4,<br />
di M. Fichant.<br />
Leibniz’s Konzeption der characteristica<br />
universalis zwischen 1677 und 1690, di M.<br />
Schneider.<br />
Leibniz and the logic of life, di C. Wilson:<br />
il ruolo del pensatore tedesco nella nascita<br />
della biologia.<br />
79<br />
REVUE PHILOSOPHIQUE<br />
DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER<br />
n. 1, gennaio- marzo 1994<br />
PUF, Parigi<br />
Tema della rivista: “Spinoza, la quinta parte<br />
dell’Ethica”.<br />
Remarques sur la I proposition de la V<br />
partie de l’ ‘Éthique’ di W. Bartuschat.<br />
Sur le mode infini médiat dans l’attribut de<br />
la pensée, di J. M. Beyssade: il problema<br />
classico, nella lettera 64, di che cosa sia,<br />
all’interno dell’attributo del pensiero, il<br />
modo infinito indiretto e la soluzione proposta<br />
in Ethica V, 36.<br />
La vie éternelle et les corps selon Spinoza,<br />
di A. Matheron: analisi della proposizione<br />
39 in Ethica V.<br />
Sub specie aeternitatis. Notes sur ‘Éthique’<br />
V, 22-23, 29-31, di F. Mignini.<br />
Métaphysique de la gloire. Le scolie de la<br />
proposition 36 et le “tournant” du livre V,<br />
di P. F. Moreau.<br />
Acquiescentia dans la cinquième partie de<br />
l’ ‘Éthique’ de Spinoza, di G. Totaro: uno<br />
studio del campo semantico del termine<br />
acquiescenza.<br />
Le texte de la cinquième partie de l’ ‘Éthique’,<br />
di P Steenbakkers.<br />
ARCHIVES DE PHILOSOPHIE<br />
Vol. 57, n. 2, aprile-giugno 1994<br />
Beauchesne, Parigi<br />
Les intuitionnistes d’Oxford, di D. D.<br />
Raphael: gli intuizionisti di Oxford hanno<br />
sostenuto una teoria etica vicina, per alcuni<br />
aspetti, a quella di Kant.<br />
Sur l’universalité de la logique, di J. Largeault:<br />
la pluralità della teorie logiche dal<br />
1930 ad oggi.<br />
Du champ du sol d’une “esthétique transcendentale”,<br />
di J. Benoist: l’autore dimostra<br />
come l’avvento di un’estetica trascendentale<br />
comporti un cambiamento di senso<br />
della stessa ontologia; ciò pone anche il<br />
problema del ruolo della logica all’interno<br />
di questa nuova configurazione.<br />
Le réalisme scientifique: une métaphysique<br />
tronquée, di M. Espinoza: il solo realismo<br />
coerente è il realismo metafisico, estensione<br />
razionale del senso comune e della<br />
scienza. Il realismo scientifico è quindi una<br />
metafisica “troncata”, che conduce al realismo<br />
metafisico.
REVUE DE METAPHYSIQUE<br />
ET DE MORALE<br />
Anno 99, n. 2, aprile-giugno 1994<br />
A. Colin, Parigi<br />
Tema della rivista: “La filosofia morale in<br />
lingua inglese”.<br />
La valeur de l’inviolabilité di T. Nagel:<br />
sulla questione dell’inviolabilità, che si pone<br />
al centro delle recenti teorie morali, relative<br />
allo statuto dei diritti dell’uomo.<br />
Philosophie et conflit, di R. Hare: la funzione<br />
comunicativa della “buona filosofia”<br />
al fine di risolvere i conflitti umani più<br />
radicali.<br />
La fortune morale, di B. Williams: una<br />
riflessione sull’idea di giustificazione razionale<br />
della morale.<br />
Les multiples visages de la moralité, di A.<br />
Oksenberg Rorty.<br />
Conséquentialisme et psychologie morale,<br />
di P. Petit: sulle principali tesi psicologiche<br />
adottate contro il consequenzialismo in<br />
campo morale, ammettendo le quali questa<br />
teoria diventa moralmente verosimile.<br />
La valeur intrinsèque, di G. Harman: il<br />
concetto di valore intrinseco fondamentale,<br />
con particolare riferimento alla teoria<br />
del valore, propria dell’edonismo attuale,<br />
nell’odierno dibattito filosofico.<br />
Éthique et médiation, di M Hunyadi.<br />
REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN<br />
Tomo 92, n. 1, febbraio 1994<br />
Institut supérieur de philosophie<br />
Louvain La Neuve<br />
D’un style de la pensée, di P. J. Labarrière:<br />
la prima di una serie di dodici lezioni, in cui<br />
il proprio progetto viene posto sotto il segno<br />
di Dante, Eckhart e Hegel.<br />
L’appel infini à l’interprétation, di F. Ciaramelli:<br />
riflessioni sull’arte e sulla poesia<br />
in Levinas.<br />
Heidegger, lecteur de Husserl, di P. Kontos:<br />
l’analisi dell’opera heideggeriana<br />
Interpretazione fenomenologica della<br />
‘Critica della ragion’ pura di Kant contribuisce<br />
a chiarire la natura del rapporto<br />
con Husserl, in quanto vengono qui seguite<br />
le medesime tappe, individuabili<br />
nel percorso dell’husserliana Logica formale<br />
e logica trascendentale.<br />
Penser l’Autre. Psychanalyse lacanienne<br />
et philosophie, di S. Lofts e P. W.<br />
Rosemann.<br />
RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />
PHILOSOPHISCHES JAHRBUCH<br />
1/1994<br />
Karl Alber, Friburgo-Monaco di Baviera<br />
Die Einheit der aristotelischen Metaphysik,<br />
di F. Inciarte: l’unità dell’ontologia<br />
aristotelica sulla base dell’ontologia della<br />
sostanza.<br />
Abstraktion und Universalien bei Thomas<br />
von Aquin, di U. Meixner.<br />
Göttliches Gebot und Gutheit Gottes nach<br />
Wilhelm von Ockham, di R. Wood: la moralità<br />
in Ockham: il comando divino, e la<br />
rappresentazione di Adamo.<br />
Der Begriff der causa sui bei Spinoza und<br />
Whitehead, di R. Kather.<br />
Die paradoxale Struktur der Absoluten in<br />
Schellings Identitätssystem, di M. Bachmann:<br />
aspetti ontologici, epistemici, funzionali<br />
e strutturali dello sviluppo concettuale<br />
dell’Assoluto in Schelling.<br />
Die Transzendentale Phänomenologie und<br />
die philosophische Mystik, di E. Wolz-<br />
Gottwald: la mistica come apertura di una<br />
nuova sfera di pensiero nella tarda filosofia<br />
di Husserl.<br />
Philosophisches Sprechen über Kunst in<br />
Traditionen des Bilderverbots und der negativen<br />
Theologie, di W. Oelmüller: il dibattito<br />
sui libri di G. Steiner: Von realer<br />
Gegenwart (München 1990) e H. Belting:<br />
Bild und Kult (München 1990).<br />
ZEITSCHRIFT<br />
FÜR PHILOSOPHISCHE FORSCHUNG<br />
Vol. 48, n. 3, luglio-settembre 1994<br />
Vittorio Klostermann, Frankfurt a/M<br />
Spontaneität, di W. Vossenkuhl: indipendenza<br />
genetica, logica, cognitiva.<br />
Probleme der Wirtschaftsethik, di W.<br />
Kersting.<br />
Skepsis und Praxis, di B. Sitter-Liver: il<br />
primato della prassi nello scetticismo.<br />
Malancholie. Skizze zur epistemologischen<br />
Deutung eines Topos, di S. Krämer: il concetto<br />
di malinconia in filosofia da Aristotele<br />
a Marsilio Ficino e all’Illuminismo e in<br />
rapporto alle scienze.<br />
Was leistet die semantische Interpretation<br />
der Wahrheit, di J. Padilla-Galvez.<br />
Parfit und die Theorie C, di C. Nimtz:<br />
recensione di D. Parfit, Reasons and persons<br />
(Oxford 1989).<br />
80<br />
VERIFICHE (Anno XIX, n. 2, giugno 1994,<br />
Glossa, Milano) presenta un articolo di M.<br />
Vergottini: Un caso estremo dei rapporti<br />
filosofia/teologia in epoca contemporanea:<br />
il dibattito H. Gollwitzer-W. Weischedel.<br />
IDEE (Anno VIII, n. 22, e n. 23 , Milella,<br />
Lecce) presenta due fascicoli a carattere<br />
monografico sul tema: “Filosofia e politica”<br />
(n. 22) e “Filosofia e scienza” (n. 23).<br />
PROSPETTIVA PERSONA (Anno III, n. 8,<br />
aprile-giugno 1994, Demian Edizioni, Teramo)<br />
presenta due interventi su P. Ricoeur:<br />
Ermeneutica e liberazione. Il dialogo di<br />
Dussel con Ricoeur, di A. Savignano, e Il<br />
Kerigma della speranza in Paul Ricoeur,<br />
di P. Cugini.<br />
FEERIA (Anno II, n. 4/5, giugno 1994,<br />
Cultura nuova editrice, Firenze) presenta<br />
un intervento di S. Givone dal titolo: La<br />
bellezza salverà il mondo?, in cui viene<br />
indicata una possibile via estetica per la<br />
riscoperta del sacro attraverso la bellezza.<br />
TELLUS (n. 12, Morbegno-SO) presenta il<br />
tema: “Identità d’Europa”, con saggi di G.<br />
Simmel, L’idea di Europa, e di M.<br />
Heidegger, L’Europa e la filosofia tedesca.<br />
Il n. 13 è invece dedicato al tema “Immagini<br />
della Natura. Oriente e Occidente”.<br />
FILOSOFIA (Anno XLV, n. 1, gennaioaprile<br />
1994, Mursia, Milano) presenta gli<br />
interventi al convegno: “Augusto Guzzo a<br />
cent’anni dalla nascita”, tenutosi all’Università<br />
di Torino il 12-13 aprile 1994.<br />
LES ÉTUDES PHILOSOPHIQUES (gennaio-giugno<br />
1994, PUF, Paris) presenta un<br />
fascicolo monografico su Marin Marsenne.
AA.VV<br />
Metzler Philosophen Lexikon.<br />
Dreihundert<br />
biographisch-werkegeschichtliche<br />
Porträts von den Vorsokratikern<br />
bis zu den neuen Philosophen<br />
Metzler, agosto-settembre 1994<br />
pp. 858, DM 39,80<br />
AA.VV.<br />
Non-verbal Communication<br />
in Science prior to 1900<br />
Leo S. Olschki, ottobre 1994<br />
pp. 622, L. 98.000<br />
I numerosi contributi che il libro<br />
raccoglie ruotano intorno a un tema<br />
innovativo: il ruolo giocato, nella<br />
costruzione della scienza moderna,<br />
da una serie di mezzi comunicativi<br />
non verbali.<br />
AA.VV.<br />
Zum Naturbegriff der Gegenwart.<br />
Kongreßdokumentation zum Projekt<br />
’Natur im Kopf’, Stuttgart,<br />
Juni 1993<br />
Frommann-Holzboog<br />
agosto-settembre 1994<br />
pp. 812, DM 48<br />
La documentazione di questo congresso,<br />
tenutosi a Stoccarda nel giugno<br />
del ’93 e relativo al progetto<br />
Natur im Kopf, è suddivisa in due<br />
volumi. Nel volume I, figurano i seguenti<br />
temi: “la natura come oggetto<br />
delle scienze naturali”; “la natura<br />
come materia prima”; “la natura come<br />
paesaggio e giardino”; nel secondo<br />
volume: “la natura come avvenimento<br />
estetico”; “la natura come costruzione<br />
sociale e tecnica”.<br />
Adinolfi, Massimo<br />
La deduzione trascendentale<br />
e il problema della finitezza<br />
in Kant<br />
Ed. Scientifiche, ottobre 1994<br />
pp. 190, L. 28.000<br />
Pensata come risposta alla questione<br />
capitale della Critica della ragion<br />
pura, la deduzione trascendentale dei<br />
concetti puri dell’intelletto è in realtà<br />
uno dei luoghi più tormentati dell’opera.<br />
Le tensioni che l’attraversano<br />
non vengono qui comprese e risolte<br />
a partire dall’esito gnoseologico ed<br />
epistemologico del criticismo, ma ricondotte<br />
piuttosto alla loro radice.<br />
Albert, Hans<br />
Kritik der reinen Hermeneutik.<br />
Der Antirealismus und das Problem<br />
des Verstehens<br />
Mohr, agosto-settembre 1994<br />
pp. 272, DM 54<br />
Hans Albert difende il realismo critico<br />
contro l’ermeneutica che risale a<br />
Heidegger e Gadamer.<br />
Alberti, Antonina (a cura di)<br />
Realtà e ragione<br />
Leo S. Olschki, ottobre 1994<br />
pp. 222, L. 44.000<br />
<strong>Studi</strong> di autori vari sul problema della<br />
realtà esterna (ontologia e fisica) e<br />
della razionalità nel pensiero antico<br />
(in Platone, Aristotele, Epicuro e nello<br />
scetticismo antico).<br />
NOVITÀ IN LIBRERIA<br />
NOVITÀ IN LIBRERIA<br />
Andersson, Gunnar<br />
Criticism and the History<br />
of Science. Kuhn’s, Lakato’s<br />
and Feyerabend’s Criticism<br />
of Critical Rationalism<br />
Brill, agosto-settembre 1994<br />
pp. 160, FOL 110<br />
Bachelard, Gaston<br />
L’Intuition de l’instant<br />
LGF, settembre 1994<br />
pp. 154, F 32<br />
Secondo Bachelard, il tempo è una<br />
realtà che corrisponde all’istante e si<br />
trova sospesa tra due néants, due non<br />
essere. Il pensiero del filosofo si concentra<br />
intorno a tre idee: l’istante, il<br />
tempo discontinuo e la questione dell’abitudine;<br />
l’idea del progresso; l’intuizione<br />
del tempo discontinuo.<br />
Bacone, Francesco<br />
Saggi<br />
Tea, agosto 1994<br />
pp. 206, L. 25.000<br />
I cinquantotto saggi trattano i più<br />
disparati aspetti della morale comune<br />
e individuale, tra gli altri: l’arte del<br />
governo, le virtù e i vizi, la ricchezza,<br />
la verità, il matrimonio, l’invidia,<br />
l’amore e la morte.<br />
Balducci, Ernesto<br />
L’uomo planetario<br />
ECP, ottobre 1994<br />
pp. 176, L. 20.000<br />
Nuova edizione di un saggio di successo<br />
che esprime la tesi secondo cui<br />
o l’uomo riuscirà a farsi planetario<br />
oppure sarà destinato all’estinzione,<br />
il volume di Balducci si basa su una<br />
rassegna puntuale e aggiornata delle<br />
grandi religioni per dimostrare che si<br />
è definitivamente chiusa una fase<br />
antropologica.<br />
Balibar, E. (a cura di)<br />
Freiheit und Notwendigkeit.<br />
Ethische und politische Aspekte<br />
bei Spinoza und in der Geschichte<br />
des (Anti-)Spinozismus<br />
Königshausen & Neumann<br />
agosto-settembre 1994<br />
pp. 262, DM 48<br />
Baltzer, Ulrich<br />
Erkenntinis als Relationengeflecht.<br />
Kategorien bei Charles S. Peirce<br />
Schöningh, agosto-settembre 1994<br />
pp. 300, DM 78<br />
81<br />
Bartling, Heinz-M.<br />
Theorie der Lebenskunst<br />
Junghans, agosto-settembre 1994<br />
pp. 100, DM 28<br />
Battaglia, Luisella<br />
Il dilemma della modernità<br />
Ed. Scientifiche, ottobre 1994<br />
pp. 212, L. 28.000<br />
Il dilemma della modernità nasce dal<br />
fatto che la libertà individuale è un<br />
prodotto sociale. La cultura italiana<br />
costituisce un caso paradigmatico di<br />
tale dilemma: dai positivi, ai portatori<br />
della protesta individualista, come<br />
D’Annunzio.<br />
Baumgartner, H.M. - Becker, W.<br />
(a cura di)<br />
Grenzen der Ethik<br />
Fink/Schöningh<br />
agosto-settembre 1994<br />
DM 29,80<br />
Becchi, Paolo<br />
Il tutto e le parti<br />
Organicismo e liberalismo in Hegel<br />
Ed. Scientifiche, ottobre 1994<br />
pp. 206, L. 30.000<br />
La tesi che provocatoriamente si<br />
intende qui sostenere è che la contrapposizione<br />
tra individualismo e<br />
organicismo sia, tutto sommato, di<br />
scarsa utilità. L’organicismo moderno<br />
non comporta un puro e semplice<br />
ritorno a concezioni premoderne;<br />
al contrario, come mostra<br />
l’applicazione al campo politico<br />
che ne fa Hegel, la distanza che<br />
separa l’organicismo dal liberalismo<br />
è tutt’altro che incolmabile.<br />
Beelmann, Axel<br />
Heimat als Daseinsmetapher.<br />
Weltanschauliche Elemente im<br />
Denken<br />
des Theologiestudenten<br />
Martin Heidegger<br />
Passagen, agosto-settembre 1994<br />
pp. 80, ÖS 140<br />
Benseler, F. - Blanck, B. et al.<br />
Alternativer Umgang<br />
mit Alternativen. Aufsätze<br />
zu Philosophie<br />
und Sozialwissenschaften<br />
Westdeutscher, agosto-sett.1994<br />
pp. 287, DM 49<br />
Fino ad ora non esistono tradizioni di<br />
ricerca che considerino l’importanza<br />
delle alternative non solo rispetto alla<br />
genesi delle soluzioni, ma anche come<br />
una condizione di valore per le risoluzioni.<br />
I lavori che compaiono in questa<br />
raccolta devono essere considerati<br />
nella prospettiva di ricerca orientata<br />
alla riflessione.<br />
Bloch, Ernst<br />
La Philosophie de la Renaissance<br />
Payot, settembre 1994<br />
pp. 196, F 48<br />
Nel Rinascimento, il filosofo tedesco<br />
non vede solamente il rinascimento<br />
dell’Antichità, ma anche la nascita di<br />
un uomo nuovo e di una società nuova:<br />
la società borghese. Egli illustra<br />
questo aspetto tramite la storia della<br />
filosofia del Rinascimento, gli inizi<br />
delle scienze matematiche, la filosofia<br />
del diritto e dello Stato.<br />
Boezio, Severino<br />
La consolazione della filosofia<br />
a cura di Claudio Moreschini<br />
Laterza, ottobre 1994<br />
pp.366, L. 60.000<br />
Il tema del rovesciamento dell’umana<br />
fortuna (nel caso di Boezio, console<br />
e legato alla corte del re Teodorico,<br />
si tratta della più rovinosa caduta di<br />
un potente), è lo spunto per un itinerario<br />
alla ricerca del vero bene, cui<br />
solo la filosofia può condurre.<br />
Bösch, Michael<br />
Soeren Kierkegaard. Schicksal<br />
Angst - Freiheit<br />
Schöningh, agosto-settembre 1994<br />
pp. 424, DM 48<br />
Boss, Gilbert (a cura di)<br />
Esquisses de dialogues<br />
philosophiques<br />
Grand-Midi, settembre 1994<br />
pp. 274, FS 28,50<br />
Nel volume ci si propone di addolcire<br />
qualche brusco confronto tra il pensiero<br />
di Hobbes, di Cartesio e di altri<br />
filosofi e quello di Nietzsche e Austin,<br />
di accostarsi a questi autori secondo<br />
delle prospettive nuove e di<br />
riflettere sulla natura della filosofia.<br />
Boss, Gilbert (a cura di)<br />
La Philosophie et son histoire<br />
Grand-Midi, settembre 1994<br />
pp. 356, FS 45<br />
L’argomento di questo volume, nel<br />
quale sono contenuti contributi di<br />
Pierre Macherey, Yvon Lafrance,<br />
Michel Malherbe ed altri, viene affrontato<br />
attraverso alcune domande,<br />
come: in quale pratica viene generata<br />
la storia della filosofia? Oppure: la<br />
diversità delle filosofie porta con sé<br />
una forma di scetticismo?<br />
Bouinois, Olivier (a cura di)<br />
La Puissance et son ombre:<br />
de Pierre Lombard à Luther<br />
Aubier, settembre 1994<br />
pp. 432, F 150<br />
I testi qui riuniti sono in rapporto con<br />
la figura di Perre Lombard, vescovo<br />
di Parigi dal 1150 al 1160, autore<br />
delle Sentences, un libro che fece<br />
epoca e che diede luogo a più di 1400<br />
commenti e che fu alla base di tutta<br />
la riflessione teologica nel corso di<br />
oltre tre secoli. Il volume costituisce<br />
anche un’introduzione alla filosofia<br />
medioevale.
Brianese, Giorgio (a cura di)<br />
Meditazioni sulla filosofia prima<br />
di René Descartes<br />
Mursia, settembre 1994<br />
pp. 264, L. 13.000<br />
Quest’opera scritta in latino fra il<br />
1628 e il 1629, pubblicata nel 1641 e<br />
tradotta in francese nel 1647, è l’esposizione<br />
più ampia e complessa della<br />
dottrina di Descartes; è dedicata alla<br />
Facoltà di Teologia dell’Università di<br />
Parigi da cui sperava di ricevere l’approvazione<br />
ufficiale alla sua filosofia.<br />
Brogi, Stefano<br />
Il cerchio dell’universo<br />
Libertinismo, spinozismo,<br />
e filosofia della natura<br />
in Boulainvillers<br />
Leo S. Olschki, ottobre 1994<br />
pp. 322, L. 55.000<br />
Uno spaccato dell’età della crisi<br />
della coscienza europea attraverso<br />
il pensiero di uno dei suoi inquietanti<br />
protagonisti.<br />
Brunet, Philippe<br />
Cagliostro<br />
Rusconi, ottobre 1994<br />
pp. 400, L. 39.000<br />
Buchheim, Thomas<br />
Die Vorsokratiker.<br />
Ein philosophisches Porträt<br />
C.H. Beck, agosto-settembre 1994<br />
pp. 260, DM 48<br />
Il pensiero filosofico precedente a<br />
Socrate ha una sua forma filosofica,<br />
anche se essa non è sempre facilmente<br />
comprensibile. Chi intende spiegare<br />
questo pensiero filosofico come<br />
una precomprensione filosofica dell’epoca<br />
moderna, non può che andare<br />
incontro a dei malintesi.<br />
Casati, R. (a cura di)<br />
Philosphy and the Cognitive<br />
Sciences. Proceedings of the 16th<br />
International Wittgenstein<br />
Symposium, August 1993,<br />
Kirchberg am Wechsel (Austria)<br />
Hölder-Pichler-Tempsky<br />
agosto-settembre 1994<br />
pp. 472, ÖS 890<br />
Si tratta di una raccolta degli interventi<br />
tenuti durante il sedicesimo International<br />
Wittgenstein Symposium,<br />
tenutosi in Austria, a Kirchberg am<br />
Wechsel, nell’agosto del ’93.<br />
Casati, Roberto - Dokic Jérôme<br />
La Philosophie du son<br />
J. Chambon, settembre 1994<br />
pp. 212, F 160<br />
Il volume sviluppa una teoria originale<br />
della natura del suono e dell’orientamento<br />
del campo percettivo. Mostra<br />
anche l’interesse filosofico ad<br />
uno studio della percezione uditiva,<br />
troppo sovente trascurata dalla tradizione<br />
filosofica.<br />
Cayley, David<br />
Conversazioni con Ivan Illich<br />
Un profeta contro la modernità<br />
Eleuthera, settembre 1994<br />
pp. 220, L. 28.000<br />
Una biografia sulla vita “eretica” del<br />
vicerettore dell’università di Puerto Rico<br />
e fondatore del Centro di Documentazione<br />
Interculturale du Guernavaca.<br />
Cohen, Hermann<br />
Etica della volontà pura<br />
Esi, ottobre 1994<br />
pp.462, L. 70.000<br />
Saggio di filosofia neokantiana sui<br />
temi etico-sociali.<br />
Confucio<br />
Entretiens avec ses disciples<br />
tr. dal cinese e a cura<br />
di André Lévy<br />
Flammarion, settembre 1994<br />
pp. 258, F 31<br />
Si tratta di una raccolta di aforismi<br />
che riflettono l’insegnamento di<br />
Confucio.<br />
Conte, Domenico<br />
Catene di civiltà<br />
<strong>Studi</strong> su Spengler<br />
Ed. Scientifiche, ottobre 1994<br />
pp. 388, L. 58.000<br />
Mai prima di oggi si era tentato di<br />
collegare Il tramonto dell’Occidente<br />
con il resto della produzione<br />
spengleriana, soprattutto con le<br />
grandi opere postume pubblicate<br />
negli anni sessanta. Il libro colma<br />
questa lacuna, offrendo di Spengler<br />
un’immagine inedita.<br />
Coppieters, Bruno<br />
Kritik einer reinen Empirie.<br />
Hegels Jenaer Kommentar<br />
zu Montesquieus Theorie<br />
des Politischen<br />
Akademie, agosto-settembre 1994<br />
pp. 254, DM 98<br />
L’argomentazione e la ricerca di<br />
Coppieters si riferiscono all’interpretazione<br />
ed alla verifica del giudizio,<br />
dato da Hegel in Vom Geist<br />
der Gesetze, sul metodo empirico<br />
di Montesquieu.<br />
Cormier, Philippe<br />
Généalogie de personne<br />
pr. di Jean-Luc Marion<br />
Critérion, settembre 1994<br />
pp. 220, F 119<br />
Da filosofo, l’autore riflette sulla nozione<br />
di persona. Esplorando l’epopea<br />
di Omero, la tragedia greca, i testi<br />
di Sofocle e di Cicerone ed anche<br />
quelli dei Padri della Chiesa, Cormier<br />
decifra, analizza e racconta come si è<br />
arricchita di significati la parola greca<br />
outis, “persona”.<br />
Cotroneo, Girolamo<br />
Questioni crociane e post-crociane<br />
Ed. Scientifiche, ottobre 1994<br />
pp. 220, L. 33.000<br />
Il volume affronta alcuni aspetti del<br />
pensiero di Benedetto Croce di natura<br />
teoretica (le caratteristiche del suo<br />
“idealismo”), metodologia (il problema<br />
della storia della filosofia) ed etica<br />
(il primato di quest’ultima sulla<br />
politica) e illustra alcuni problemi di<br />
analoga natura posti dal pensiero contemporaneo<br />
e letti dall’autoe alla luce<br />
delle conclusioni a suo tempo raggiunte<br />
dal filosofo napoletano.<br />
Dami, Roberto<br />
I tropi della storia<br />
La narrazione nella teoria<br />
della storiografia di H. White<br />
FrancoAngeli, ottobre 1994<br />
pp. 192, L, 26.000<br />
NOVITÀ IN LIBRERIA<br />
82<br />
Dämmerich, Heinz P.<br />
Prekäres Selbstbewußtsein.<br />
<strong>Studi</strong>en zu Kant, Fichte und Dilthey<br />
Haag & Herchen<br />
agosto-settembre 1994<br />
pp. 156, DM 34<br />
Dastur, Françoise<br />
La Mort: essai sur la finitude<br />
Hatier, settembre 1994<br />
pp. 79, F 27<br />
La coscienza di essere mortali è alla<br />
base dell’esperienza che l’uomo ha di<br />
se stesso. Ma la morte non è oggetto<br />
di esperienza... Come è possibile concepire<br />
questo paradosso, questo limite<br />
che la realtà della morte impone<br />
alla ragione?<br />
De Deyn, P.P. (a cura di)<br />
Ethics of Animal and Human<br />
Experimentation. Proceedings<br />
of the Symposium on Ethical<br />
Considerations Concerning<br />
Biomedical Experimental Methods<br />
and Techniques<br />
John Libbey, agosto sett. 1994<br />
pp. 300, £ 40<br />
Si tratta degli atti del convegno Ethical<br />
Considerations Concerning Biomedical<br />
Experimental Methods and<br />
Techniques, tenutosi ad Anversa il 10<br />
e l’11 settembre del ’93.<br />
De Maria, Amalia<br />
Propedeutica filosofica<br />
Utet, ottobre 1994<br />
pp. 190, L. 24.000<br />
Che cos’è la filosofia? A questa e<br />
altra domande di fondo risponde il<br />
saggio in analisi che completa la trattazione<br />
con uno studio storico sullo<br />
sviluppo della filosofia occidentale.<br />
Dell’Io, Salvatore<br />
Jacques Lacan<br />
Istruzioni per l’uso<br />
Raffaello Cortina, ottobre 1994<br />
pp. 220, L. 16.000<br />
Derrida, Jacques<br />
Otobiographies<br />
L’insegnamento di Nietzsche<br />
e la politica del nome proprio<br />
Il poligrafo, ottobre 1994<br />
pp. 96, L. 22.000<br />
Questa conferenza fu tenuta da Derrida<br />
nel 1976 a Charlottesville, presso<br />
l’università della Virginia negli USA.<br />
L’occasione era data dal bicentenario<br />
della Dichiarazione d’Indipendenza,<br />
ma da questa Derrida procedeva con<br />
un commento sull’incipit di Ecce<br />
homo fino alle conferenze nietzscheane<br />
Sull’avvenire delle nostre scuole,<br />
per terminare poi sul problema della<br />
libertà accademica. Un testo che può<br />
dunque apparire stravagante nella sua<br />
eterogeneità, e pur tuttavia reso coerente<br />
da un unico filo conduttore: il<br />
rapporto tra nome e istituzione che<br />
Derrida sintetizza nel problema della<br />
firma.<br />
Descartes, René<br />
Opere filosofiche<br />
a cura di Lojacono Ettore<br />
Utet, ottobre 1994<br />
pp. 1712, L. 235.000<br />
Raccolta dei testi più importanti del<br />
filosofo e, nel secondo volume, gli<br />
scritti che ruotano intorno ai temi<br />
centrali del cosmo e dell’uomo.<br />
Desttut de Tracy, Antoine L.<br />
Traité de la volonté<br />
et de ses effets<br />
Fayard, settembre 1994<br />
s.p., F 240<br />
Il volume costituisce la quarta e la<br />
quinta parte degli Eléments d’idéologie,<br />
un’opera che si situa tra la fisiocrazia<br />
del XVIII secolo ed il liberalismo<br />
del XIX secolo.<br />
Diderot, Denis<br />
Lettre sur les aveugles<br />
à l’usage de ceux qui voient<br />
Corps 16, agosto 1994<br />
pp. 120, F 80<br />
Questa lettera, che si situa nel punto<br />
di confluenza tra filosofia, letteratura<br />
e scienza, occupa un posto centrale<br />
all’interno dell’opera dell’autore.<br />
Nella sua analisi del comportamento<br />
di due ciechi dalla nascita, Diderot<br />
conferma la sua posizione di convinto<br />
materialista.<br />
Diprose, Rosalyn<br />
The Bodies of Women. Ethics,<br />
Embodiment and Sexual Differences<br />
Routledge, agosto-settembre 1994<br />
pp. 176, £ 12<br />
L’autrice analizza criticamente sia i<br />
tentativi, da parte dell’etica femminista<br />
ed anche non femminista, di riconoscere<br />
il ruolo della differenza sessuale<br />
che le argomentazioni biomediche,<br />
le cui descrizioni mascherano<br />
una costituzione ed una regolazione<br />
del “corpo”.<br />
Dogbe, Yves-Emmanuel<br />
Réflexions sur le bien-être:<br />
essais philosophiques<br />
Akpagnon, settembre 1994<br />
pp. 68, F 40<br />
Il libro raccoglie quattro saggi sul<br />
senso della vita, l’essere interiore, il<br />
benessere e la morte.<br />
Eckhardt, Wolfgang<br />
Michail A. Bakunin (1814-1876).<br />
Bibliographie der Primärund<br />
Sekundärliteratur<br />
in deutscher Sprache<br />
Libertad, agosto-settembre 1994<br />
DM 28<br />
Elsässer, Michael<br />
Friedrich Schlegels Kritik am Ding<br />
Felix Meiner, agosto-sett. 1994<br />
DM 68<br />
Epitteto<br />
Le Manuel<br />
tr. dal greco Marcel Caster<br />
pref. Giacomo Leopardi<br />
Rivages, agosto 1993<br />
Il filosofo latino di lingua greca non<br />
ha mai scritto. E’ stato il suo discepolo,<br />
Arriano di Nicomedia, che ci ha<br />
trasmesso il suo insegnamento sulla<br />
base degli appunti da lui presi assistendo<br />
alle sue lezioni o in seguito a<br />
conversazioni con Epitteto. Il risultato<br />
è quindi lo stile naturale del Manuale,<br />
ciò che è stato chiamato il<br />
“parlare franco” di Epitteto.
Fimiani, Filippo<br />
La sovranità dell’evento<br />
Saggio su Charles Péguy<br />
Guerini, ottobre 1994<br />
pp. 144, L. 22.000<br />
Saggio su uno dei rappresentanti<br />
del pensiero francese dei primi anni<br />
del Novecento, sulla centralità dell’evento<br />
nella nascita e nella vita<br />
dell’opera d’arte.<br />
Flach, Werner<br />
Grundzüge der Erkenntnislehre.<br />
Erkenntniskritik, Logik,<br />
Methodologie<br />
Königshausen & Neumann<br />
agosto-settembre 1994<br />
pp. 780, DM 186<br />
Frederking, Volker<br />
Durchbruch von Haben zum Sein.<br />
Erich Fromm und die Mystik<br />
Meister Eckharts<br />
Schöningh, agosto-settembre 1994<br />
pp. 350, DM 78<br />
Fruchon, Pierre<br />
L’Herméneutique de Gadamer:<br />
platonisme et modernité,<br />
tradition et interprétation<br />
Cerf, agosto 1994<br />
pp. 534, F 245<br />
L’autore di questo volume, colloca<br />
deliberatamente nell’insieme del progetto<br />
filosofico di Gadamer l’ermeneutica<br />
propriamente detta. In effetti<br />
Gadamer comincia praticando<br />
l’interpretazione prima di formularne<br />
concettualmente la teoria nella<br />
sua opera fondamentale, Verità<br />
e metodo (1960).<br />
Gadamer, Hans-Georg<br />
Il movimento fenomenologico<br />
Laterza, ottobre 1994<br />
pp. 144, L. 18.000<br />
Sintesi della parabola del movimento<br />
fenomenologico: precursori, origini,<br />
storia e dibattiti.<br />
Gadamer, Hans-Georg<br />
Dove si nasconde la salute<br />
Raffaello Cortina, ottobre 1994<br />
pp. 200, L. 32.000<br />
La cura della salute è per l’uomo<br />
un “fenomeno originario”. Ma cosa<br />
comporta questo richiamo alle origini?<br />
Che cosa significa guarire e<br />
quali sono i presupposti dell’arte<br />
medica? Gadamer indaga il luogo<br />
in cui si “nasconde” la salute, condizione<br />
particolare di equilibrio e<br />
armonia, a partire dal mondo greco<br />
fino a toccare le problematiche<br />
della medicina moderna.<br />
Galimberti, Umberto<br />
Parole nomadi<br />
Feltrinelli, ottobre 1994<br />
pp. 352, L. 35.000<br />
Galimberti rielabora in questo volume<br />
i suoi articoli originariamente<br />
apparsi sul supplemento domenicale<br />
de “Il Sole 24 Ore”, ordinati alfabeticamente<br />
per argomenti. Spaziando<br />
dalla religione alla politica, dai sentimenti<br />
alla filosofia, dall’estetica alla<br />
psicologia, ci offre un modello dinamico<br />
di interpretazione della realtà.<br />
Garcia, Joseph<br />
Theologie für Atheisten.<br />
Die Überwindung des Gegensatzes<br />
zwischen Naturwissenschaft<br />
und Glauben<br />
intr. di Raimon Panikkar<br />
Lit, agosto-settembre 1994<br />
pp. 80, DM 19,80<br />
Gardner, Howard<br />
Intelligenze creative<br />
Feltrinelli, ottobre 1994<br />
pp. 576, L. 65.000<br />
Con Formae mentis Gardner ha dimostrato<br />
che esiste una molteplicità<br />
di intelligenze e che la fisionomina<br />
cognitiva degli individui è unica e<br />
irripetibile come la combinazione<br />
delle intelligenze che possiedono. Con<br />
Intelligenze creative argomenta la tesi<br />
che a ogni intelligenza corrisponde<br />
una forma particolare di creatività.<br />
Garin, Eugenio<br />
L’umanesimo italiano<br />
Laterza, ottobre 1994<br />
pp. 288, L. 13.000<br />
Saggio sul pensiero filosofico italiano<br />
tra il 1440 e il 1500.<br />
Geyer, Carl-Friedrich<br />
Einführung in die Philosophie<br />
der Kultur<br />
Wiss. Buchvlg.<br />
agosto-settembre 1994<br />
pp. 214, DM 39,80<br />
Questa introduzione informa sullo<br />
sviluppo della filosofia della cultura<br />
partendo dal XIX secolo e discute<br />
criticamente l’attuale tesi che<br />
vede la filosofia della cultura come<br />
l’unica possibilità rimasta di discorso<br />
filosofico.<br />
Gillies, Donald - Giorello, Giulio<br />
La filosofia della scienza<br />
nel XX secolo<br />
Laterza, settembre 1994<br />
pp. 432<br />
Nel delineare il percorso della filosofia<br />
della scienza nel Novecento, Gilles<br />
articola la trattazione attorno ad<br />
argomenti-chiave mentre Giorello<br />
presenta le concezioni dei maggiori<br />
filosofi della scienza dopo Popper.<br />
Goth, Christian<br />
Initation aux sciences humaines:<br />
philosophie, psychologie,<br />
psychanayse, sociologie, ethnologie<br />
C. Goth, settembre 1994<br />
pp. 128, F 240<br />
Ogni disciplina viene presentata in un<br />
capitolo del volume. Christian Gott,<br />
laureato in psicologia ha effettuato<br />
degli studi completi nel campo delle<br />
scienze umane, soprattutto in quello<br />
della sociologia, dell’etnologia e della<br />
criminologia. Egli è stato influenzato<br />
dalle teorie di Palo Alto ed è<br />
stimato per i suoi studi sulla scrittura<br />
e sulla comunicazione.<br />
Goulet, Richard (a cura di)<br />
Dictionnaire des philosophes<br />
antiques<br />
vol. 2: Babelyca d’Argos<br />
à Dyscolius<br />
pref. Pierre Hadot<br />
CNRS-Editions, agosto 1994<br />
pp. 1024, F 525<br />
NOVITÀ IN LIBRERIA<br />
83<br />
Il volume presenta più di cinquecentoquaranta<br />
filosofi antichi o testimoni<br />
importanti del movimento filosofico<br />
nell’Antichità. Si tratta del secondo<br />
volume di un’opera che consterà<br />
di sei tomi e di due o tre volumi di<br />
supplementi.<br />
Greisch, Jean<br />
Ontologie et temporalité:<br />
esquisse d’une interprétation<br />
intégrale de ‘Sein und Zeit’<br />
PUF, settembre 1994<br />
pp. 528, F 288<br />
La pubblicazione degli insegnamenti<br />
impartiti tra il 1919 e il 1928,<br />
il decennio fenomenologico di<br />
Heidegger, permette di farsi<br />
un’idea precisa della genesi delle<br />
sue concezioni in quel periodo e<br />
del libro Essere e tempo. Vengono<br />
anche forniti nuovi criteri per un<br />
moderno lavoro interpretativo.<br />
Haarscher, Guy (a cura di)<br />
Chaïm Perelman<br />
et la pensée contemporaine<br />
Bruylant, agosto 1994<br />
pp. 491, F 487<br />
A trentacinque anni di distanza<br />
dalla pubblicazione del Traité de<br />
l’argumentation, specialisti di tutti<br />
i continenti verificano le tesi di<br />
Perelman adottando il punto di vista<br />
della filosofia, del diritto e delle<br />
scienze umane in generale. Questo<br />
avviene all’alba degli anni ’90,<br />
nello spirito di un’apertura critica<br />
e del libero esame. Il volume contiene<br />
contributi in lingua francese<br />
e inglese.<br />
Hansen, Frank-Peter<br />
Hegels ‘Phänomenologie<br />
des Geistes’.<br />
’Erster Teil’ des ‘Systems<br />
der Wissenschaft’. Dargestellt<br />
an Hand der ‘System-Vorrede’<br />
von 1807<br />
Königshausen & Neumann<br />
agosto-settembre 1994<br />
pp. 360, DM 86<br />
Hastedt, Heiner<br />
Aufklärung und Technik.<br />
Grundprobleme einer Ethik<br />
der Technik<br />
Suhrkamp, agosto-settembre 1994<br />
pp. 336, DM 24,80<br />
Heaton, John - Groves, Judy<br />
Wittgenstein. Per cominciare<br />
Feltrinelli, ottobre 1994<br />
pp. 176, L. 12.000<br />
Una guida chiara e accessibile sia al<br />
lavoro principale di Wittgenstein, il<br />
Tractatus logico-philosophicus che al<br />
suo successivo Ricerche filosofiche.<br />
Heideggere, Martin<br />
Nietzsche<br />
Adelphi, ottobre 1994<br />
pp. 1100, L. 120.000<br />
Un vasto e serrato confronto che<br />
Heidegger ingaggia con Nietzsche,<br />
interrogandone insistemente i testi al<br />
fine di scoprire il filo conduttore che<br />
lega in una trama unitaria le sue dottrine<br />
fondamentali.<br />
Heinz, Marion<br />
Sensualistischer Idealismus.<br />
Untersuchungen<br />
zur Erkenntnistheorie<br />
des jungen Herder (1763-1778)<br />
Meiner; agosto-settembre 1994<br />
pp. 204, DM 88<br />
Held, Klaus<br />
Guida filosofica del Mediterraneo<br />
Guanda, ottobre 1994<br />
pp. 350, L. 35.000<br />
Viaggio attraverso il pensiero antico:<br />
la storia della filosofia antica,<br />
da Talete fino agli autori cristiani<br />
del IV-V secolo, collegata ai luoghi,<br />
alle esperienze dei singoli pensatori,<br />
alle relazioni, agli scambi,<br />
agli incroci tra diverse scuole e<br />
centri di sapere collocati nell’area<br />
del Mediterraneo.<br />
Hobbes, Thomas<br />
Léviathan: traité de la matière,<br />
de la forme et du pouvoir<br />
de la république ecclesiastique<br />
et civile<br />
trad. dall’inglese e a cura<br />
di François Tricaud<br />
Sirey, settembre 1994<br />
pp. 780, F 220<br />
Si tratta della ristampa di questa edizione<br />
ampiamente commentata, nella<br />
quale il testo inglese viene anche paragonato<br />
al testo latino.<br />
Hofmann, Johann Nepomuk<br />
Wahrheit, Perspektive,<br />
Interpretation. Nietzsche<br />
und die philosophische Hermeneutik<br />
de Gruyter, agosto-settembre 1994<br />
pp. 456, DM 242<br />
Alla base di questo studio sistematico-comparativo<br />
sulla filosofia<br />
dell’interpretazione di Nietzsche<br />
c’è la tesi tenuta da Hofmann a<br />
Tubinga nel ’93.<br />
Holz, Harald<br />
Geist in Geschichte.<br />
Idealismus-<strong>Studi</strong>en<br />
Königshausen & Neumann<br />
agosto-settembre 1994<br />
pp. 354, DM 68<br />
Il volume contiene, nella prima<br />
parte: “Immanuel Kant, l’idea centrale<br />
sistematica nella storia”; nella<br />
seconda: “Fichte, Schelling,<br />
Hegel, la forza delle idee nel monologo<br />
consistematico.”<br />
Honnefelder, L. (a cura di)<br />
Die Einheit des Menschen.<br />
Zur Grundfrage<br />
der philosophischen Anthropologie<br />
Schöningh, agosto-settembre 1994<br />
pp. 181, DM 36<br />
Horn, Hans-Jürgen<br />
<strong>Studi</strong>en zum Dritten Buch<br />
der aristotelischen Schriften<br />
’De anima’<br />
Vandenhoeck & Ruprecht<br />
agosto-settembre 1994<br />
pp. 200, DM 58
Huisman, Bruno - Ribes, François<br />
(a cura di)<br />
Les Philosophes et le pouvoir<br />
Dunod, settembre 1994<br />
pp. 368, F 168<br />
Il volume si rivolge agli allievi delle<br />
classi preparatorie della HEC, la Haute<br />
Ecole Commerciale.<br />
Hull, R.T. (a cura di)<br />
A Quarter Century of Value<br />
Inquiry. Presidential Addresses<br />
before the American Society<br />
for Value Inquiry<br />
Editions Rodopi<br />
agosto-settembre 1994<br />
pp. 400, FOL 200<br />
Questo volume contiene tutti i discorsi<br />
presidenziali tenuti alla American<br />
Society for Value Inquiry, dalla<br />
sua prima riunione, nel 1970. Si tratta<br />
di una testimonianza unica di indagine<br />
sui valori nel corso degli ultimi<br />
venticinque anni.<br />
Jäger, Christian<br />
Michel Foucault, das Ungedachte<br />
denken. Eine Untersuchung<br />
der Entwicklung und Struktur<br />
des kategorischen Zusammenhangs<br />
in Foucaults Schriften<br />
Fink, agosto-settembre 1994<br />
pp. 206, DM 48<br />
James, William<br />
Das pluralistische Universum.<br />
Vorlesungen über die gegenwärtige<br />
Lage der Philosophie<br />
Wiss. Buchvlg., agosto-sett. 1994<br />
pp. 263, DM 49,80<br />
Con la riedizione di questo lavoro<br />
riassuntivo di William James, il più<br />
importante filosofo del pluralismo,<br />
uno dei principali fondatori del pragmatismo,<br />
si può accedere ad un classico<br />
del pensiero filosofico, che colpisce<br />
per la sua lingua chiara ed estremamente<br />
viva.<br />
James, William<br />
Der Pragmatismus. Ein neuer Name<br />
für alte Denkmethoden<br />
intr. a cura di Kl. Oehler<br />
Meiner, agosto-settembre 1994<br />
pp. 200, DM 32<br />
Si tratta della seconda edizione di<br />
quest’opera, con nuove indicazioni<br />
bibliografiche.<br />
Jean, Paul<br />
Il comico, l’umorismo e l’arguzia<br />
Arte e artificio del riso<br />
in una “Propedeutica dell’estetica”<br />
del primo Ottocento<br />
a cura di Eugenio Spedicato<br />
Il poligrafo, ottobre 1994<br />
pp. 222, L. 30.000<br />
L’estetica del riso viene affrontata da<br />
Jean Paul (pseudonimo di Johann Paul<br />
Friedrich Richter, 1763-1825) in quattro<br />
capitoli della Propedeutica dell’estetica,<br />
un’opera di vasto respiro,<br />
frutto di un’attrezzatissima officina<br />
filosofica e letteraria, una summa del<br />
pensiero del suo autore, ma anche un<br />
documento essenziale della storia<br />
dell’estetica e più in generale della<br />
storia della cultura tedesca tra Sette e<br />
Ottocento.<br />
Jolivet, Pierre (a cura di)<br />
Abélard ou la Philosophie<br />
dans le langage<br />
Cerf Ed. univers. de Fribourg<br />
agosto 1994<br />
pp. 214, F 139<br />
Il volume presenta Abélard (1079-<br />
1142) ed il suo pensiero, la sua biografia<br />
e le sue principali dottrine filosofiche<br />
e teologiche, nella prima parte;<br />
mentre, nella seconda, figurano delle<br />
traduzioni di testi tratti dalle sue opere.<br />
Kämpf, H. - Schott, R. (a cura di)<br />
Der Mensch als homo pictor?<br />
Die Kunst traditioneller Kulturen<br />
aus der Sicht von Philosophie<br />
und Ethnologie<br />
Bouvier, agosto-settembre 1994<br />
pp. 256, DM 58<br />
Questo volume, che raccoglie i contributi<br />
ad un simposio, tenutosi a Münster<br />
nel ’92, dimostra che il dialogo<br />
finora interrotto tra filosofi ed antropologi<br />
può essere ripreso, nella prospettiva<br />
della domanda di tipo antropologico,<br />
posta da Hans Jonas, riguardo<br />
all’essere umano come homo pictor.<br />
Kant, Immanuel<br />
Théorie et pratique;<br />
D’un pretendu droit de mentir<br />
par l’humanité;<br />
la Fin de toute chose<br />
trad. dal tedesco e a cura<br />
di Françoise Proust<br />
Flammarion, settembre 1994<br />
pp. 196, F 28<br />
I primi due testi sono le risposte di<br />
Kant ai detrattori della sua teoria<br />
morale. Come è noto, egli rispose<br />
ai suoi detrattori: “Può essere che<br />
ciò sia giusto dal punto di vista<br />
teorico, ma in pratica non vale niente.”<br />
Il terzo testo tratta del rapporto<br />
tra la verità e l’eternità.<br />
Kant, Immanuel<br />
La religione nei limiti<br />
della ragione<br />
Rusconi, ottobre 1994<br />
pp. 450, L. 16.000<br />
Saggio sull’interpretazione della teologia<br />
cattolica e luterana da parte dell’idealismo.<br />
Kersting, Wolfgang<br />
Die politische Philosophie<br />
des Gesellschaftsvertrags.<br />
Von Hobbes bis zur Gegenwart<br />
Wiss. Buchvlg., agosto-sett. 1994<br />
pp. 380, DM 58<br />
Lo scopo del libro è di mostrare la<br />
varietà storica e concettuale e la differenziazione<br />
sistematica della filosofia<br />
politica del contratto sociale,<br />
inquadrandole all’interno della prima<br />
presentazione completa della storia<br />
del contrattualismo moderno.<br />
Kofman, Sarah<br />
Le Mépris des juifs: Nietzsche,<br />
les juifs, l’antisémitisme<br />
Galilée, settembre 1994<br />
pp. 95, F 82<br />
Nietzsche era antisemita? Oppure il<br />
suo supposto antisemitismo non sarebbe<br />
stato altro che un errore di gioventù,<br />
trasmesso dal suo ambiente, dai<br />
suoi maestri e modelli, e di cui doveva<br />
liberarsi per diventare se stesso?<br />
NOVITÀ IN LIBRERIA<br />
84<br />
Lamarra, Antonio<br />
Pimpinella, Pietro<br />
Metitationes philosophicae<br />
Leo S. Olschki, ottobre 1994<br />
pp. 228, L. 59.000<br />
Pubblicata nel 1734, questa breve<br />
dissertazione contiene la prima<br />
menzione del termine “estetica” e<br />
costituisce il primo tentativo di<br />
inserire organicamente nella riflessione<br />
filosofica la disciplina che<br />
ancor oggi porta quel nome.<br />
Larroque, Michel<br />
Volonté et involonté<br />
dans la pensée occidentale<br />
et orientale<br />
L’Harmattan, settembre 1994<br />
pp. 199, F 110<br />
Nel pensiero occidentale, l’esistenza<br />
morale realizza la volontà. Lo spirito<br />
acquista la propria autonomia imponendo<br />
la sua legge alla natura. Il pensiero<br />
orientale, invece, propone una<br />
definizione completamente diversa<br />
della vita spirituale, con la condanna<br />
della riflessione, il rifiuto di usare il<br />
pensiero per diventare padroni del<br />
corso del tempo, l’abolizione dell’io<br />
cosciente e proponendo quindi la involonté,<br />
la “non volontà”.<br />
Leibniz, Gottfried Wilhelm<br />
Le Droit de la raison<br />
a cura di René Sève<br />
Vrin, settembre 1994<br />
pp. 256, F 60<br />
L’autonomia degli individui, dei popoli<br />
e dei sovrani si basa non tanto<br />
sulla libertà nazionale o convenzionale,<br />
quanto sull’incapacità pratica<br />
della ragione di determinare ogni cosa.<br />
Tutte queste idee, compresa anche la<br />
loro espressione critica rispetto al diritto<br />
naturale, fanno di Leibniz un<br />
teorico fedele ai principi della politica<br />
classica.<br />
Leibniz, Gottfried Wilhelm<br />
Philosophische Schriften<br />
und Briefe 1663-1676<br />
a cura di U. Goldenbaum<br />
Akademie, agosto-settembre 1994<br />
pp. 480, DM 86<br />
Lescourret, Marie-Anne<br />
Emmanuel Levinas<br />
Flammarion, settembre 1994<br />
pp. 414, F 150<br />
Il volume ripercorre il cammino<br />
del filosofo e della sua opera. Emmanuel<br />
Levinas, che si situa all’incrocio<br />
tra quattro culture (ebraica,<br />
russa, tedesca, e francese), è rimasto<br />
sempre lontano dai percorsi battuti,<br />
che passano attraverso l’ENS e<br />
l’insegnamento universitario. La sua<br />
opera è composta da una parte confessionale<br />
che è distinta da quella<br />
puramente filosofica.<br />
Lévi-Strauss, Claude<br />
Guardare ascoltare leggere<br />
Il Saggiatore, settembre 1994<br />
pp. 176, L. 29.000<br />
Scritto in tono colloquiale, questo<br />
libro apre nella pittura, nella musica,<br />
nella letteratura prospettive che<br />
si intersecano giungendo a conclusioni<br />
inaspettate.<br />
Locke, John<br />
Lettera sulla tolleranza<br />
Laterza, ottobre 1994<br />
pp. 128, L. 9.000<br />
Uno dei primi scritti sulla tolleranza e<br />
la libertà di pensiero, alla base della<br />
moderna cultura europea.<br />
Loegstrup, Knud Ejler<br />
Methaphysik<br />
Vol. 3: Ursprung und Umgebung.<br />
Betrachtungen über Geschichte<br />
und Natur<br />
Mohr, agosto-settembre 1994<br />
pp. 328, DM 98<br />
Lorenz, Ulrich<br />
Das Projekt der Ideologie.<br />
<strong>Studi</strong>en zu einer<br />
’Ersten Philosophie’<br />
bei Destutt de Tracy<br />
Frommann-Holzboog<br />
agosto-settembre 1994<br />
pp. 263, DM 82<br />
La “Filosofia prima” è in realtà un<br />
insieme di questioni e di domande<br />
che aprono l’orizzonte a temi che<br />
possono essere trattati dal punto di<br />
vista scientifico. In questo contesto,<br />
l’ideologia risulta essere una filosofia<br />
della coscienza orientata in senso<br />
antropologico.<br />
Lüdeking, Karl-Heinz<br />
Einführung in die analytische<br />
Kunstphilosophie<br />
UTB (W. Fink)<br />
agosto-settembre 1994<br />
pp. 230, DM 24,80<br />
Il volume propone una pianta del labirinto<br />
argomentativo, in cui rimane<br />
intrappolato chiunque si chieda come<br />
sia possibile capire e motivare il fatto<br />
che alcune cose vengano chiamate<br />
opere d’arte e che vengano loro ascritte<br />
delle qualità estetiche.<br />
Lyotard, Jean-François<br />
Dérive à partir de Marx et Freud<br />
Galilée, settembre 1994<br />
pp. 200, F 180<br />
A distanza di ventidue anni, viene<br />
ripubblicato il diario di bordo di un<br />
veterano, come testimonianza e memoria<br />
e con una prefazione inedita<br />
dell’autore. I giovani manifestavano<br />
allora contro il lavoro, adesso<br />
manifestano in favore dell’occupazione.<br />
Allora si gridava: Liberation!<br />
Adesso noi mormoriamo “resistenza”.<br />
Il volume indaga su che<br />
cosa significhino una cosa ed il suo<br />
contrario. Marx insegnava questa<br />
contraddizione, Freud questa ambivalenza.<br />
Adesso più che mai,<br />
questi due autori la insegnano.<br />
Marchianò, Grazia<br />
Sugli orienti del pensiero<br />
La natura illuminata<br />
e la sua estetica<br />
Rubbettino, ottobre 1994<br />
pp. 160, L. 15.000<br />
Saggio sull’estetica che si apre alle<br />
tradizioni filosofiche e religiose orientali,<br />
a partire dal mondo indù, comprendendo<br />
la Cina e il Giappone.
Masullo, Aldo<br />
Struttura soggetto prassi<br />
Esi, ottobre 1994<br />
pp. 330, L. 28.000<br />
Mathisen, Steinar<br />
Transzendentalphilosophie<br />
und System. Zum Problem<br />
der Geltungsgliederung<br />
Bouvier, agosto-settembre 1994<br />
pp. 211, DM 68<br />
Il volume si occupa delle differenze<br />
tra principi scientifici, pratici ed<br />
estetici nella recente filosofia trascendentale.<br />
Meier, Heinrich<br />
Die Lehre Carl Schmitts.<br />
Vier Kapitel zur Unterscheidung<br />
Politischer Theologie<br />
und Politischer Philosophie<br />
J.B. Metzler, agosto-sett. 1994<br />
pp. 263, DM 38<br />
Minnigerode, Bernhard<br />
Reflexionen eines Zuschauers<br />
zum Thema ‘evolutionäre<br />
Erkenntnistheorie’<br />
Kramer, agosto-settembre 1994<br />
pp. 85, DM 20<br />
Misrahi, Robert<br />
Le Bonheur: essai sur la joie<br />
Hatier, settembre 1994<br />
pp. 79, F 27<br />
I filosofi giudicarono spesso la felicità<br />
come qualcosa di impensabile.<br />
Questo significava dimenticare un<br />
filone che attraversa tutto il pensiero,<br />
da Aristotele a Ernst Bloch, passando<br />
per Spinoza, per il quale la felicità<br />
deve essere realizzata partendo dalla<br />
vita terrena. Sulla base del loro esempio,<br />
è agli atti concreti della gioia che<br />
bisogna pensare, al fine di eliminare<br />
molti sofismi.<br />
Monde, Le (Paris) (a cura di)<br />
Les Grands entretiens du Monde<br />
vol. 1: Penser la philosophie,<br />
les sciences, les religions<br />
pref. di Thomas Ferenczi<br />
Le Monde éditions, settembre 1994<br />
pp. 208, F 85<br />
In questa raccolta, diversi intellettuali,<br />
invitati ad esprimersi sul quotidiano<br />
Le Monde dall’autunno del 1991,<br />
filosofi, storici, studiosi, teologi si<br />
sforzano di ricostruire un discorso<br />
che si rivolga a tutti e che, nelle differenze<br />
delle discipline e degli argomenti,<br />
cerchi di ridare un senso all’esistenza<br />
individuale e collettiva.<br />
Morin, Edgar<br />
Il paradigma perduto<br />
Feltrinelli, ottobre 1994<br />
pp. 224, L. 20.000<br />
Ormai da molti anni introvabile in<br />
italiano, questo volume è una appassionata<br />
resa dei conti con il preteso<br />
valore conoscitivo delle scienze umane.<br />
Morin si propone di capire e di<br />
spiegare l’articolazione tra biologia e<br />
antropologia. Contro l’opposizione<br />
di Natura e Cultura, mostra che le<br />
chiavi della nostra cultura sono nella<br />
nostra natura e viceversa.<br />
Müller, Max<br />
Auseinandersetzung als Versöhnung.<br />
Gespräche über ein Leben<br />
mit der Philosophie<br />
a cura di Wilhelm Vossenkuhl<br />
Akademie, agosto-settembre 1994<br />
pp. 400, DM 68<br />
Max Müller racconta e descrive la<br />
sua storia nel corso delle conversazioni<br />
con il suo allievo Wilhelm Vossenkuhl,<br />
che attualmente è il suo successore<br />
alla cattedra di Filosofia dell’Università<br />
di Monaco. In queste<br />
conversazioni, Müller rende conto<br />
della continuità e delle interruzioni<br />
nella tradizione filosofica tedesca.<br />
Müller-Tuckfeld, J. Chr. et al.<br />
(a cura di)<br />
Interventionen im Anschluß<br />
an Althusser<br />
Argument, agosto-settembre 1994<br />
pp. 240, DM 29<br />
Si tratta di una rivalutazione complessiva<br />
di Althusser. Senza la ricezione<br />
critica di questo teoreta, molti<br />
discorsi portati avanti nel segno del<br />
post-moderno restano incompresi.<br />
Munster, Arno<br />
La Pensée de Franz Rosenzweig:<br />
actes/colloque parisien organisé<br />
à l’occasion du centenaire<br />
de la naissance du philosophe<br />
PUF, agosto 1994<br />
pp. 240, F 148<br />
Il volume contiene gli atti del convegno<br />
tenutosi in occasione del centenario<br />
della nascita di Franz Rosenzweig,<br />
nel corso del quale sono stati<br />
analizzati il legame tra il filosofo e<br />
Hegel ed i suoi rapporti con altre<br />
grandi figure del pensiero contemporaneo.<br />
Nel volume vengono mostrate<br />
le ripercussioni di questo pensieroguida<br />
sull’etica e la religione, la politica<br />
e l’estetica.<br />
Nagl-Docekal, H. (a cura di)<br />
Feministiche Philosophie<br />
Oldenburg, agosto-settembre 1994<br />
pp. 284, DM 48<br />
Il volume mette in evidenza i tratti<br />
patriarcali della storia della filosofia<br />
e rivela la necessità di una trasformazione<br />
delle singole discipline, dalla<br />
teoria della scienza fino all’etica.<br />
Nancy, Jean-Luc<br />
La partizione delle voci<br />
verso una comunità<br />
senza fondamenti<br />
a cura di Alberto Folin<br />
Il poligrafo, ottobre 1994<br />
pp. 118, L. 20.000<br />
Questo breve saggio risale al 1982:<br />
quattro anni prima che uscisse La<br />
comunità inoperosa, opera tradotta<br />
in moltissime lingue, e alla quale rispose<br />
Maurice Blanchot con la La<br />
communauté inavouable. La tesi che<br />
vi veniva sostenuta, destinata a rivelare<br />
Nancy come uno dei più originali<br />
pensatori della generazione succesiva<br />
a Derrida, Faucault, Lacan, Deleuze,<br />
trova le sue radici nel testo che qui<br />
si presenta, nato per circostanze fortuite.<br />
NOVITÀ IN LIBRERIA<br />
85<br />
Negri, Antonio<br />
Spinoza subversif:<br />
variations (in)actuelles<br />
Kimé, agosto 1994<br />
pp. 160, F 130<br />
In questo saggio, A. Negri approfondisce<br />
la sua interpretazione del concetto<br />
di potenza di Spinoza e la confronta<br />
con le letture di Spinoza da<br />
parte di Deleuze, Matheron, Macherey<br />
o Balibar, soffermandosi anche<br />
sul concetto di democrazia.<br />
Nicolescu, Basarab<br />
L’Homme, la science et la nature:<br />
regards transdisciplinaires<br />
a cura di Michel Cazenave<br />
Mail, settembre 1994<br />
pp. 280, F 148<br />
Non ci possono essere, per definizione,<br />
degli esperti transdisciplinari, ma<br />
solamente dei ricercatori animati da<br />
uno spirito di transdisciplinarietà. Le<br />
ricerche qui condotte non possono far<br />
altro che poggiare sulle diverse attività<br />
dell’arte, della poesia, della filosofia<br />
e possono dar luogo ad una rinnovata<br />
visione della natura.<br />
Nietzsche, Friedrich<br />
Le Monde te prend tel que<br />
tu te donnes: écrits de jeunesse<br />
trad. dal tedesco e a cura<br />
di Jean-Louis Backes<br />
Cherche-Midi, settembre 1994<br />
pp. 216, F 110<br />
Il volume contiene i principali scritti<br />
giovanili, in particolare degli importanti<br />
testi autobiografici scritti tra il<br />
1854 ed il 1864, nel periodo che va<br />
quindi dal quattordicesimo al ventesimo<br />
anno di età di Nietzsche.<br />
Nietzsche, Friedrich<br />
L’Antéchrist<br />
trad. dal tedesco e a cura<br />
di Eric Blondel<br />
Flammarion, settembre 1994<br />
pp. 232, F 31<br />
Per Nietzsche, l’Anticristo designa<br />
l’anticristiano. In questo saggio polemico,<br />
egli denuncia il peso che nel<br />
cristianesimo viene attribuito al credere<br />
ciecamente, andando contro alla<br />
verità. Qualche mese dopo la redazione<br />
di quest’opera (1888), Nietzsche<br />
non esiterà a firmare i suoi testi<br />
con il proprio nome.<br />
Nietzsche, Friedrich<br />
Introductions aux leçons<br />
sur l’Oedipe-roi de Sophocle:<br />
été 1870, trois heures par semaine<br />
Introduction aux études<br />
de philologie classique:<br />
été 1871, trois heures par semaine<br />
pres. Michel Haar<br />
trad. dal tedesco<br />
di Françoise Dastur e Michel Haar<br />
Encre marine, settembre 1994<br />
pp. 133, F 100<br />
All’interno dei corsi che Nietzsche<br />
tenne a Bâle tra il 1869 ed il 1875,<br />
quello sull’Edipo re di Sofocle preannuncia<br />
in modo addirittura folgorante,<br />
e con quasi due anni di anticipo, la<br />
maggior parte dei temi che verranno<br />
sviluppati nella Nascita della tragedia<br />
greca. Nel secondo testo, Nietzsche<br />
traccia una sua lettura critica<br />
della modernità.<br />
Oelmüller, Willi<br />
Philosophische Aufklärung.<br />
Ein Orientierungsversuch<br />
Fink, agosto-settembre 1994<br />
pp. 172, DM 38<br />
Owen, David<br />
Maturity and Modernity.<br />
Nietzsche, Weber, Foucault<br />
and the Ambivalence of Reason<br />
Routledge, agosto-settembre 1994<br />
pp. 272, DM 40<br />
Si tratta del primo libro che analizza<br />
Nietzsche, Weber e Foucault rintracciando<br />
in essi tradizione di teorizzazione.<br />
Inoltre il volume evidenzia lo<br />
sviluppo della genealogia come parametro<br />
critico.<br />
Paul, Jean-Marie<br />
Dieu est mort en Allemagne:<br />
des Lumières a Nietzsche<br />
Payot, settembre 1994<br />
pp. 190, F 190<br />
Il pensiero tedesco mette in campo,<br />
nella battaglia contro Dio, le armi<br />
della filosofia e della teologia. La sua<br />
violenza è distruttrice e non superficialmente<br />
polemica o anticlericale. I<br />
grandi sistemi idealisti, le correnti<br />
pessimiste e i loro sviluppi nella teoria<br />
nietzschiana sono i tre momenti in<br />
cui si delinea la morte di Dio.<br />
Penco, Carlo<br />
Le vie della scrittura<br />
FrancoAngeli, ottobre 1994<br />
pp. 340, L. 40.000<br />
Il volume si propone di dare una ricostruzione<br />
della filosofia del linguaggio<br />
di Frege letta in relazione alla<br />
tradizione filosofica e agli sviluppi<br />
contemporanei. Si hanno così gli elementi<br />
essenziali per capire dove e<br />
come i nostri strumenti concettuali<br />
sono effettivamente cambiati.<br />
Perec, Georges<br />
L’infra-ordinario<br />
Bollati Boringh., ottobre 1994<br />
pp. 112, L. 15.000<br />
L’arte di sorprendere parlando delle<br />
cose comuni e del quotidiano.<br />
Pfohl, Gerhard<br />
Medicina perennis. Philosophie<br />
der Medizin und Medizin<br />
der Philosophie.<br />
Mit der Abschiedtsvorlesung<br />
Charles Lichtenthaelers<br />
Ecomed, agosto-settembre 1994<br />
pp. 180, DM 48<br />
Philonenko, Alexis<br />
Relire Descartes:<br />
le génie de la pensée française<br />
Grancher, settembre 1994<br />
pp. 472, F 119<br />
In questo saggio, l’autore si prefigge<br />
di ricostruire la figura di Cartesio,<br />
filosofo ed erudito, ma anche uomo<br />
che spera ardentemente di poter<br />
prolungare la vita. Gradualmente<br />
Cartesio vide questa speranza crollare,<br />
fino al punto di scrivere a Chanut<br />
che invece di vincere la morte<br />
egli aveva trovato, nella sua morale,<br />
il modo di non temerla.
Platone<br />
Phédon<br />
tr. dal greco antico e a cura<br />
di Mario Meunier<br />
pref. Agnès Nordman<br />
Pocket, agosto 1994<br />
F 33<br />
L’opera appartiene al gruppo di dialoghi<br />
in cui Platone sviluppa la sua dottrina<br />
per bocca di Socrate. Qui, Socrate,<br />
condannato a morte, si interroga<br />
sull’immortalità dell’anima e sulla sua<br />
destinazione dopo la morte del corpo.<br />
Popper, Karl<br />
Poscritto alla logica<br />
della scoperta scientifica<br />
Il Saggiatore, settembre 1994<br />
pp. 448, L. 16.000<br />
Con il saggio Logica della scoperta<br />
scientifica Popper muove contro le<br />
tesi principali del Circolo di Vienna,<br />
del quale egli stesso era membro: al<br />
principio di “verificabilità” oppone<br />
quello di “falsificabilità” contestando<br />
così ogni possibilità di verifica di<br />
una proposizione scientifica che sussiste<br />
perciò soltanto come ipotesi sempre<br />
confutabile da altri controlli.<br />
Popper, Karl R.<br />
Alles Leben ist Problemlösen.<br />
Über Erkenntnis, Geschichte<br />
und Politik<br />
Piper, agosto-settembre 1994<br />
pp. 256, DM 38,90<br />
In questo volume, Popper raccoglie<br />
avvenimenti e saggi che coprono un<br />
arco di più di quarant’anni, molti di<br />
questi scritti sono disponibili per la<br />
prima volta in una raccolta.<br />
Popper, Karl R.<br />
Ausgangspunkte.<br />
Meine intellektuelle Entwicklung<br />
Campe, agosto-settembre 1994<br />
pp. 384, DM 28<br />
Il “padre del razionalismo critico” ha<br />
compiuto novantadue anni nel luglio<br />
scorso. Nella sua “autobiografia intellettuale”,<br />
Popper ha illustrato il lungo<br />
percorso da apprendista falegname a<br />
Vienna, a maestro di scuola elementare<br />
a marxista nobile, fino a diventare il<br />
più grande pensatore del nostro secolo.<br />
Portales, Gonzalo<br />
Hegels frühe Idee<br />
der Philosophie<br />
Fromann-Holzboog<br />
agosto-settembre 1994<br />
pp. 220, DM 88<br />
Questo lavoro apre delle nuove prospettive<br />
per l’interpretazione filosofica,<br />
dal punto di vista storico e del<br />
suo sviluppo. Nel volume si indaga<br />
sul particolare interesse filosofico che<br />
guidò Hegel, fin dall’inizio, ad unificare<br />
religione e politica.<br />
Probst, Peter<br />
Kant - bestirnter Himmel<br />
und moralisches Gestz.<br />
Zum geschichtlichen Horizont<br />
einer These Immanuel Kants<br />
Königshause & Neumann<br />
agosto-settembre 1994<br />
pp. 160, DM 38<br />
Si tratta della tesi di abilitazione alla<br />
docenza, tenuta da Peter Probst presso<br />
l’Università di Gießen nel ’93.<br />
Puig, Jaume de<br />
Les sources de la pensée<br />
philosophique de Raimond Sebond<br />
(Ramon Sibiuda)<br />
Champon, settembre 1994<br />
pp. 324, F 270<br />
L’autore, partendo da numerosi documenti<br />
d’archivio, presenta qui uno<br />
studio che esamina l’opera di questo<br />
teologo e filosofo umanista, le sue<br />
origini, i suoi fondamenti e la sua<br />
specificità.<br />
Quillen, Jean (a cura di)<br />
La Réception de la philosophie<br />
allemande en France aux XIXe<br />
et XXe siècles<br />
Presses universitaires de Lille<br />
agosto 1994<br />
pp. 302, F 105<br />
Gli scambi, dal punto di vista culturale,<br />
tra la Germania e la Francia<br />
sono stati costanti. In ogni caso,<br />
l’influenza della filosofia tedesca<br />
sul pensiero francese è stata diversa<br />
a seconda delle epoche ed è stata<br />
esercitata con differenze e salti più<br />
o meno grandi. Questi studi, che<br />
sono i risultati di un convegno tenutosi<br />
a Lille nel ’91, hanno lo<br />
scopo di approfondire le diverse<br />
sfaccettature di questa ricezione.<br />
Rancière, Jacques<br />
Le parole della storia<br />
Il Saggiatore, settembre 1994<br />
pp. 160, L. 18.000<br />
Il rapporto tra scienza storica e narrazione<br />
e ciascuno di questi due aspetti<br />
del sapere storico e le forme della<br />
politica, sono al centro del libro di<br />
Rancière.<br />
Robinet, André<br />
G.W. Leibniz: le meilleur<br />
des mondes par la balance<br />
de l’Europe<br />
PUF, settembre 1994<br />
pp. 352, F 198<br />
Nel volume l’autore analizza le implicazioni<br />
giuridico-politiche delle posizioni<br />
metafisiche di Leibniz, mostrando<br />
come egli inaugurò un cammino<br />
teorico che portò poi al dispotismo<br />
illuminato del XVIII secolo.<br />
Rohnheimer, Martin<br />
Praktische Vernunft<br />
und Vernünftigkeit der Praxis.<br />
Handlungstheorien<br />
bei Thomas von Aquin<br />
in ihrer Entstehung<br />
aus dem Problemkontext<br />
der aristotelischen Ethik<br />
Akademie, agosto-settembre 1994<br />
pp. 611, DM 120<br />
L’autore argomenta come segue: l’etica<br />
aristotelica si limita alla condizione<br />
affettiva dell’agire ragionevole.<br />
Tommaso d’Aquino fornisce una risposta<br />
ai problemi rimasti insoluti<br />
nella teoria delle azioni di Aristotele.<br />
Rossi, Pietro<br />
Lo storicismo tedesco<br />
contemporaneo<br />
Comunità, ottobre 1994<br />
pp. 500, L. 58.000<br />
Mappa delle idee centrali dello storicismo<br />
tedesco, dei problemi che hanno<br />
portato alla nascita delle scienze sociali.<br />
NOVITÀ IN LIBRERIA<br />
86<br />
Rousseau, Jean-Jacques<br />
Sull’origine dell’ineguaglianza<br />
a cura di Gerratana Valentino<br />
Ed. Riuniti, ottobre 1994<br />
pp. 232, L. 22.000<br />
Un’appassionata condanna della proprietà<br />
privata all’origine di tutte le<br />
successive teorie socialiste e comuniste,<br />
ma anche una delle fonti maggiori<br />
della riflessione antropologica.<br />
Un’anticipazione delle più recenti<br />
suggestioni dell’ecologia.<br />
Rovatti, Pier Aldo<br />
Trasformazioni del soggetto<br />
Un itinerario filosofico<br />
Il poligrafo, ottobre 1994<br />
pp. 144, L. 26.000<br />
Il testo consente l’approfondimento<br />
di alcune delle tematiche più<br />
preganti della filosofia contemporanea.<br />
I saggi che compongono il<br />
volume hanno al loro centro la discussa<br />
proposta di un “pensiero<br />
debole”. Questa proposta, formulata<br />
nel 1983, si articolava intorno<br />
al nome di Nietzsche; ma accanto a<br />
questo nome era sottinteso quello<br />
di Husserl: si trattava del problema<br />
di un luogo diverso da dare alla<br />
soggettività, dinanzi a una modificata<br />
descrizione del potere.<br />
Schart, Franz-Friedrich<br />
Friedrich Nietzsche<br />
Das Subversive als Denkansatz<br />
in seiner Philosophie.<br />
Ein Beitrag zur Interpretation<br />
Gardez, agosto-settembre 1994<br />
pp. 240, DM 49,80<br />
Si tratta della tesi di laurea, tenuta<br />
da Schart presso l’Università di<br />
Bochum nel ’93.<br />
Schmidinger, Heinrich<br />
Der Mensch ist Person.<br />
Ein christliches Prinzip<br />
in theologischer<br />
und philosophischer Sicht<br />
Tyrolia, agosto-settembre 1994<br />
pp. 152, ÖS 248<br />
Schmidt, Hermann Joseph<br />
Nietzsches absonditus<br />
oder Spurensuche bei Nietzsche<br />
IBDK, agosto-settembre 1994<br />
pp. 2515, DM 275<br />
Quest’opera, che viene ora pubblicata<br />
interamente in quattro volumi, è la<br />
prima monografia sul giovane Nietzsche<br />
e sulle sue prime opere, la cui<br />
conoscenza è imprescindibile se si<br />
desidera comprendere adeguatamente<br />
anche le opere successive.<br />
Searle R., John<br />
La riscoperta della mente<br />
Bollati Boring., settembre 1994<br />
pp. 272, L. 40.000<br />
Contro gli eccessi del materialismo,<br />
dell’odierna “filosofia della mente” e<br />
del cognitivismo, l’autore invita a<br />
riscoprire l’esperienza irriducibile<br />
della coscienza.<br />
Severino, Emanuele<br />
Sortite. Contributi<br />
e interventi sul pensiero<br />
e la letteratura<br />
Rizzoli, ottobre 1994<br />
pp. 350, L. 38.000<br />
Raccolta di brevi saggi e articoli<br />
sulle forme del pensiero e sulle sue<br />
espressioni.<br />
Shea, William R.<br />
La magia dei numeri e del moto<br />
René Descartes e la scienza<br />
del Seicento<br />
Bollati Boringhieri, ottobre 1994<br />
pp. 432, L. 75.000<br />
Nel libro di Shea seguiamo Descartes<br />
dalla prima formazione, presso i gesuiti,<br />
fino al viaggio in Olanda, dove<br />
conobbe quell’Isaac Beechman che<br />
suscitò il suo interesse per la matematica,<br />
la musica, la caduta dei gravi e i<br />
problemi dell’idrostatica.<br />
Sladek, M. (a cura di)<br />
Östliches - Westliches.<br />
<strong>Studi</strong>en zur vergleichenden Religions<br />
und Geistesgeschichte<br />
Manutius, agosto-settembre 1994<br />
pp. 320, DM 68<br />
Steinvorth, Ulrich<br />
Warum überhaupt etwas ist.<br />
Kleine demiurgische Metaphysik<br />
Rowohlt, agosto-settembre 1994<br />
DM 18,90<br />
Hanno un senso le domande sul significato<br />
della vita e del mondo? E’<br />
possibile rispondere a queste domande?<br />
Anche la filosofia contemporanea<br />
spera di poter contribuire a far<br />
luce su queste questioni.<br />
Thurnherr, Urs<br />
Die Ästhetik der Existenz.<br />
Über den Begriff der Maxime<br />
und die Bildung von Maximen<br />
bei Kant<br />
Francke, agosto-settembre 1994<br />
pp. 182, DM 58<br />
Si tratta della tesi di laurea tenuta da<br />
Thurnherr presso l’Università di Basilea<br />
nel ’93.<br />
Titze, Hans<br />
Das philosophische Gesamtwerk<br />
vol. 7: Zur Grundlegung der Ethik<br />
Schäuble, agosto-settembre 1994<br />
pp. 160, DM 64<br />
Tommaso d’Aquino<br />
Contre Averroès<br />
trad. dal latino e a cura<br />
di Alain de Libera<br />
Flammarion, settembre 1994<br />
pp. 384, F 48<br />
Si tratta di un’opera che scatenerà<br />
una battaglia di cui il Medioevo non<br />
vedrà la fine: la lotta contro l’averroismo<br />
che invase l’università parigina<br />
e che minacciò l’egemonia del cristianesimo.<br />
Dal punto di vista filosofico,<br />
l’averroismo rimanda alla tesi<br />
della “unità dell’intelletto”.<br />
Vattuone, Giuseppe<br />
Libero pensiero<br />
e servo arbitrio<br />
Esi, ottobre 1994<br />
pp. 132, L. 18.000<br />
Il tentativo di spiegare il perché della<br />
propria esistenza e delle proprie azioni<br />
nei secoli.
Vieillard-Baron, Jean-Louis<br />
(a cura di)<br />
De saint Thomas à Hegel/journée<br />
organisée par le Centre de recherche<br />
de documentation sur Hegel et Marx<br />
PUF, agosto 1994<br />
pp. 160, F 58<br />
E’ Dio il filo conduttore delle analisi<br />
contenute in questo libro: l’essere,<br />
la fede in San Tommaso, il<br />
confronto di Hegel con Kant e Fichte<br />
su Dio, l’anima e la volontà<br />
libera, le prove dell’esistenza di<br />
Dio in Hegel, sono alcuni degli argomenti<br />
trattati nella giornata organizzata<br />
dal Centre de recherche de documentation<br />
sur Hegel et Marx.<br />
Vigna, Carmelo (a cura di)<br />
L’etica e il suo altro<br />
FrancoAngeli, ottobre 1994<br />
pp. 272, L. 38.000<br />
L’etica sembra un’esigenza assoluta<br />
del nostro tempo. Ad essa si affida un<br />
compito che gli uomini ormai dubita-<br />
no di poter eseguire: il compito di<br />
convivere intorno ad alcunché di comune.<br />
In ogni caso, la condizione<br />
generale da rispettare prima di ogni<br />
altra è che l’etica resti fermamente<br />
rapportata al proprio “altro”, ossia<br />
che non sia isolata astrattamente dalla<br />
contestualità che le compete.<br />
Vollmer, Gerhard<br />
Evolutionäre Erkenntnistheorie.<br />
Angeborene Erkenntnisstrukture<br />
im Kontext von Biologie,<br />
Psychologie, Linguistik,<br />
Philosophie<br />
und Wissenschaftstheorie<br />
S. Hirzel, agosto-settembre 1994<br />
pp. 226, DM 29<br />
Vollmer ha contribuito notevolmente<br />
allo sviluppo della teoria della conoscenza<br />
evoluzionistica. In questa sua<br />
opera classica, Vollmer spiega le prestazioni<br />
e le mancanze del nostro apparato<br />
conoscitivo.<br />
NOVITÀ IN LIBRERIA<br />
87<br />
Voltaire<br />
Zadig e altri racconti<br />
a cura di Lorenzo Bianchi<br />
Feltrinelli, settembre 1994<br />
pp. 176, L. 10.000<br />
Particolare attenzione viene data alla<br />
particolarità del linguaggio filosofico<br />
di Voltaire, ammantato da uno<br />
stile letterario degno di un grandissimo<br />
scrittore.<br />
Wilhelm, Karl Werner<br />
Zwischen Allwissenheitslehre<br />
und Verzweiflung. Der Ort<br />
der Religion in der Philosophie<br />
Schopenhauers<br />
Olms, agosto-settembre 1994<br />
pp. 184, DM 39,80<br />
Wils, Jean-Pierre<br />
Die große Erschöpfung.<br />
Kulturethische Probleme<br />
vor der Jahrhundertwende<br />
Schönigh, agosto-settembre 1994<br />
pp. 180, DM 38<br />
Wilson, Colin<br />
Rudolf Steiner<br />
Tea, ottobre 1994<br />
pp. 182, L. 13.000<br />
Saggio divulgativo sull’opera di<br />
Steiner, uno dei fondatori dell’antroposofia.<br />
Wittgenstein, Ludwig<br />
Remarques sur la philosophie<br />
de la psychologie<br />
a cura di G.E.M. Anscombe<br />
tr. dal tedesco Gérard Granel<br />
TER, agosto 1994<br />
pp. 142, F 129<br />
Questo testo del ’48 (presentato qui<br />
in edizione bilingue francese-tedesca)<br />
permette di capire l’asserzione<br />
dell’ultimo capitolo delle Investigazioni,<br />
secondo cui le ricerche di Wittgenstein<br />
sulla psicologia non sono<br />
più psicologiche di quanto le sue ricerche<br />
sulla matematica non siano<br />
matematiche.
Yakira, Ethanam<br />
La Causalité de Galilée à Kant<br />
PUF, settembre 1994<br />
pp. 128, F 45<br />
Il volume traccia la storia della nozione<br />
di causalità, come essa venne problematizzata<br />
nel momento in cui<br />
scienza e filosofia erano unite, nel<br />
XVII e nel XVIII secolo.<br />
Young-Bruehl, Elisabeth<br />
Hanna Arendt<br />
Bollati Boringhieri, ottobre 1994<br />
pp. 639, L. 40.000<br />
La vita di Hanna Arendt, che si intreccia<br />
con quelle di Heidegger, Jaspers,<br />
Anders, Benjamin e altri ancora, esigeva<br />
una “biografia filosofica” come<br />
questa, documentata e sensibile, attenta<br />
a situare il pensiero della protagonista<br />
sullo sfondo delle vicende storiche,<br />
ma anche dei rapporti personali.<br />
Zahrnt, Heinz<br />
Mutmaßungen über Gott.<br />
Die theologische Summe<br />
meines Lebens<br />
Piper, agosto-settembre 1994<br />
pp. 288, DM 39,80<br />
L’autore dichiara: “in questo libro<br />
cerco di riprodurre il mio percorso di<br />
pensiero teologico, come fede e comprensione,<br />
esperienza religiosa e riflessione<br />
teologica abbiano fatto riferimento<br />
una all’altra e si siano corrette<br />
reciprocamente per me, con<br />
molte tensioni e spesso in maniera<br />
recalcitrante.”<br />
Zarone, Giuseppe (a cura di)<br />
La città come destino dell’uomo<br />
Ed. Scientifiche, ottobre 1994<br />
pp. 166, L. 22.000<br />
Nel volume si affronta la questione<br />
dal compimento nihilistico della modernità.<br />
Attraverso un’analisi del fenomeno<br />
più vistoso del mondo storico<br />
del nostro tempo, la “grande città”<br />
NOVITÀ IN LIBRERIA<br />
88<br />
appunto, si cerca di interpretare il<br />
destino esistenziale dell’uomo contemporaneo.<br />
Zeidler, Kurt W.<br />
Kritische Dialektik<br />
und Tanszendentalontologie.<br />
Das Ende des Neukantismus<br />
und die post-neukantianische<br />
Systematik<br />
Bouvier, agosto-settembre 1994<br />
pp. 380, DM 98<br />
Il volume presenta una discussione<br />
critica delle forme di sistema postneokantiane,<br />
all’interno degli studi di<br />
R. Hönigswald, W. Cramer, B. Bauch,<br />
H. Wagner, R. Reininger, E. Heintel.<br />
Ziemke, Alex<br />
Was ist Wahrnehmung?<br />
Versuch einer Operationalisierung<br />
von Denkformen der Hegelschen<br />
’Phänomenologie’<br />
für kognitionswissenschaftliche<br />
Forschung<br />
Duncker und Humblot<br />
agosto-settembre 1994<br />
pp. 287, DM 118<br />
Zinov’ev, Aleksandr<br />
L’impero del male<br />
Bollati Boringhieri, ottobre 1994<br />
pp. 160, L. 20.000<br />
E’ un phamphlet sulla fine dell’Unione<br />
Sovietica, dell’ “impero del male”;<br />
ma è anche un’occasione per lo spietato<br />
e sarcastico autore di Cime abissali<br />
di ripensare in modo originale il<br />
tema perenne del rapporto tra Occidente<br />
e Russia, tra efficenza mercantile<br />
e tecnologia e “anima” millenaria<br />
di un popolo.<br />
(a cura di A.M.; trad. it. di L.T.)