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Nelle - Studi Filosofici

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Da un convego, a lui dedicato, tenutosi all’Università di<br />

Firenze il 13 e il 14 maggio 1994, cogliamo l’occasione per<br />

ricordare in questo numero l’opera e l’insegnamento di vita<br />

di uno dei più importanti rappresentanti della filosofia<br />

italiana del ‘900, Cesare Luporini, scomparso il 25 aprile<br />

del 1993. Ad aprire il ricordo vorremmo chiamare un<br />

preciso momento della biografia intellettuale di Luporini;<br />

un momento a cui egli stesso era tornato poco prima della<br />

sua scomparsa, con l’intenzione di ripubblicare in versione<br />

originale gli scritti contenuti in Situazione e libertà nell’esistenza<br />

umana, opera di concezione esistenzialistica, apparsa<br />

nel 1942, che raccoglieva un decennio di studi e confronti<br />

di Luporini su Heidegger. A prepararne l’uscita avevano<br />

provveduto, nel 1941, tre significativi interventi di Luporini<br />

sulla rivista «Argomenti», prima che questa fosse soppressa<br />

dal regime fascista: Esistenza I, II e III. A testimonianza<br />

dell’impegno filosofico di Luporini in quegli anni presentiamo<br />

qui di seguito l’ “Avvertenza” del 1941 a Situazione<br />

e libertà nell’esistenza umana, di cui nel 1993 è stata<br />

pubblicata, com’era peraltro desiderio di Luporini, una<br />

nuova edizione presso gli Editori Riuniti di Roma.<br />

Questa filosofia nasce alla confluenza dei tre più vivi<br />

movimenti del pensiero contemporaneo: l’idealismo italiano,<br />

la «filosofia della vita» e la filosofia esistenziale. In<br />

questo libro non si presume propriamente di dir nulla di<br />

nuovo: chi dica la parola “nuova”, ossia il rivelatore di nuovi<br />

valori, è apparizione tanto rara quanto fondamentale nella<br />

storia umana. Ma il suo apparire e il suo esser-apparso è<br />

sempre condizionato dalla possibilità storica di accogliere<br />

la sua parola e quindi, in un’opera comune, da un indefesso<br />

travagliarsi, maturarsi e rinnovarsi della coscienza di tutti.<br />

In questo travaglio le parole già dette continuamente si<br />

rinnovano e si rinnovano per non perire, per non perdere<br />

cioè la loro pregnanza vitale e assiologica. Ma questo loro<br />

perenne rinnovarsi non è svolgimento automatico della<br />

coscienza o, come da taluni si dice, dello «spirito» - fatale<br />

e provvidenziale storia - bensì compito di tutti e di ognuno,<br />

opera singola in quanto opera comune, ma opera comune<br />

come perenne chiarificazione da parte del singolo della<br />

sempre e soltanto “propria” esperienza. In questo senso<br />

dunque iniziativa singolare e non cedibile responsabilità.<br />

Nella detta opera il filosofare s’impone come l’imporsi<br />

stesso del valore della libertà. L’esigenza sua è l’esigenza<br />

della perenne chiarificazione della situazione storica in cui<br />

ci troviamo, ed è, come tale, esigenza della ragione in<br />

quanto esigenza insieme della libertà e di libertà. La situazione<br />

storica non è meno speculativa (metafisica) che etica,<br />

non è meno politica ed economica che estetica: nella sua<br />

fattuosità sempre da superarsi, nella “naturalità” in cui, di<br />

punto in punto, la storia si rapprende e s’irrigidisce, sono<br />

implicati e coinvolti tutti i momenti umani, e da essa vanno<br />

di volta in volta sempre nuovamente liberati. Questa liberazione,<br />

il cui atto parte dall’intimo e nell’intimo rifluisce, è<br />

appunto quel compito comune come compito singolare. La<br />

situazione ci diventa, di momento in momento, “destino”,<br />

ma nell’imporsi in essa del valore la situazione stessa si<br />

scioglie e si fonde nel nostro atto: e il destino diventa<br />

SOMMARIO<br />

2<br />

assoluta, libera iniziativa. L’assolutezza dell’iniziativa è il<br />

realizzarsi della “persona”.<br />

Per questa ragione, per questa pregiudiziale irriducibile<br />

dell’iniziativa personale, se la sostanza e la spinta del<br />

presente lavoro - e non poteva esser altrimenti, per l’ambiente<br />

storico in cui sorge, per le domande a cui particolarmente<br />

risponde - è nel pensiero italiano contemporaneo,<br />

tuttavia il suo accento batte sulla componente «esistenziale».<br />

Non si tratta di un innaturale (antistorico) trapiantamento<br />

fra noi di un pensiero nato sotto altri climi, a risolvere altre<br />

esigenze e a rispondere ad altre domande, ma dell’urgere, nel<br />

modo e nel dramma stesso dei nostri problemi, di un’esigenza<br />

speculativa che crediamo comune a tutta la coscienza occidentale<br />

e il cui imporsi non è che l’espressione e il frutto, come<br />

sempre, di un particolare travaglio morale.<br />

In questo senso l’esistenzialismo si oppone ad ogni sorta di<br />

provvidenzialismo, storicismo ed automatismo spirituale e<br />

materiale, e si presenta come rivendicazione dell’incarnato<br />

individuo e nell’individuo della persona come incondizionata<br />

iniziativa. Nell’unificazione teoretica che esso costituisce e<br />

che, come tutte le unificazioni teoretiche, come tutte le filosofie,<br />

è provvisoria e storicamente condizionata, esso esprime<br />

una precisa “volontà speculativa”: porsi sul limite della finitezza<br />

e quivi mantenersi e di qui far parlare la realtà e i valori.<br />

Ma porsi e mantenersi sul limite della finitezza significa nello<br />

stesso tempo trascenderlo e con ciò ritrovare “in concreto”<br />

l’essenza stessa dell’esistente che non solo e non tanto è limite<br />

quanto trascendenza del limite, non solo e non tanto è “essere”,<br />

quanto cointeressamento all’essere, e quindi, innanzi tutto,<br />

essere il proprio essere come dischiusa possibilità. La così<br />

determinantesi possibilità è, vedremo, nell’esistente umano, la<br />

libertà, identica quindi alla sua trascendenza; la dischiusura di<br />

essa il suo imporsi come assoluto valore. L’autovalere dell’assoluto<br />

valore non ha dunque la sua realtà in un sopramondo<br />

«eterno», sia esso di «forme» o di categorie, comunque intese,<br />

o di determinati, o determinabili contenuti assiologici, ma si<br />

radica nell’autointeressamento esistenziale dell’esistente come<br />

pensante. Il dischiudersi della possibilità umana come imporsi<br />

assoluto del valore presenta l’uomo come “compito”.<br />

Tale la sua essenza: il compito dell’uomo è, vedremo, la<br />

persona stessa. Ma questo compito ha non solo una «dignità»,<br />

ma una realtà e una funzione - e quindi anche una<br />

responsabilità - “cosmica”. Ritroviamo qui, ma libero dagli<br />

impacci e dalle antinomie del deteriore razionalismo, l’immortale<br />

primato della ragione pratica. In questo senso<br />

l’esistenzialismo che presentiamo è, consapevolmente, un<br />

momento dell’odierno «ritorno a Kant», a quel Kant che<br />

tenacemente si mantenne sul limite della finitezza.<br />

Se il mantenersi ostinatamente sul limite della finitezza è il<br />

vero e unico modo di trascenderlo, se questa trascendenza,<br />

come trascendenza umana, è libertà, ogni filosofia che sia<br />

fedele a quel limite e quindi all’uomo e quindi al proprio<br />

compito, e non tradimento e svisamento di esso, è realizzazione<br />

di libertà. Come tale essa impegna l’uomo e in questo<br />

impegnarlo - al di là della sua contingente formulazione - sta<br />

l’assolutezza della sua verità. Non dunque nel suo sempre<br />

provvisorio contenuto teoretico, ma nella illuminata fede<br />

con cui questo contenuto vien accolto nell’animo e vi si fa<br />

operante valore.


5 PROFILO<br />

5 In ricordo di Cesare Luporini<br />

15 SCHEDA<br />

15 L’Istitutodi Filosofia di Palermo<br />

17 AUTORI E IDEE<br />

17 Le ‘letture’ di Ricoeur<br />

17 Le prove dell’esistenza di Dio<br />

18 Budda e il buddismo<br />

19 Il pensiero politico di Oakeshott<br />

20 Dilettanti e viandanti nel romanticismo<br />

21 Terra-Patria invece di non-luoghi<br />

22 Herzen e la sua filosofia<br />

22 In onore di Hermann Schmitz<br />

23 Rivoluzioni in geometria<br />

23 L’etica nell’età della tecnica<br />

25 La teoria della scelta razionale in Nozick<br />

26 Bergson, o la filosofia come scienza rigorosa<br />

26 Linguaggio ed evoluzione naturale<br />

27 Frank: lo stile della filosofia e la questione del mito<br />

29 TENDENZE E DIBATTITI<br />

29 Su Foucault<br />

30 La filosofia del linguaggio di Davidson<br />

32 Geofilosofia<br />

33 Su Nietzsche<br />

36 Hobbes, e oltre<br />

37 Su Marx e il marxismo<br />

38 Sul pregiudizio morale e il diritto alla vita<br />

39 PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

39 Spet: ermeneutica ed estetica<br />

41 Etica e diritto in Fichte<br />

42 Heidegger di fronte a Hegel<br />

42 Heidegger nella biografia di Safranski<br />

43 Leibniz e la teodicea<br />

44 Epistemologia ed empirismo logico<br />

45 Per una storia filosofica dell’infinito<br />

SOMMARIO<br />

3<br />

45 Detti e scritti da Foucault<br />

46 Razionalità e religione in Kant<br />

47 L’essenza del cristianesimo in Feuerbach<br />

48 Lettere di Epicuro<br />

48 Biografie nietzscheane<br />

49 NOTIZIARIO<br />

51 CONVEGNI E SEMINARI<br />

51 Augusto Guzzo nel centenario della nascita<br />

53 Rivoluzioni concettuali<br />

54 Il confronto tra le culture<br />

56 Scritture del pensiero<br />

56 Individuo e tradizione in Popper<br />

57 Su nazione e nazionalismo<br />

58 Le frontiere dell’antropologia<br />

60 ‘Philosophia naturalis’<br />

61 La riforma di Lutero<br />

64 Viaggio come esperienza religiosa<br />

65 Avventure della verità: da Hegel a Goodman<br />

66 Parmenide e dopo Parmenide<br />

68 Melantone e il suo tempo<br />

69 CALENDARIO<br />

71 DIDATTICA<br />

71 La filosofia insegnata<br />

71 Filosofia per ragazzi<br />

73 Per diventare cittadini<br />

75 STUDIO<br />

75 Filosofia anglo-sassone<br />

75 Felicità e piacere nei greci<br />

77 RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />

81 NOVITÀ IN LIBRERIA


PROFILO<br />

Cesare Luporini (foto di G. Giovannetti)<br />

4


Nei giorni 13 e<br />

Il pensiero<br />

14 maggio<br />

di<br />

1994, nell’Au-<br />

Cesare Luporini la Magna dell’Università<br />

di<br />

Firenze e in Palazzo<br />

Medici-<br />

Riccardi, si è<br />

tenuto un con-<br />

di Luca Fonnesu vegno su “Il<br />

pensiero di Cesare<br />

Luporini”, a circa un anno dalla sua<br />

scomparsa. Dei due ambiti in cui Cesare<br />

Luporini fu attivo protagonista - la filosofia<br />

e la politica - il convegno, organizzato<br />

dal Dipartimento di Filosofia, si è soffermato<br />

prevalentemente sul primo, anche se<br />

numerosi - e con ragione - sono stati i<br />

riferimenti a quell’attività politica che Luporini<br />

non abbandonò mai, nelle diverse<br />

forme e sui diversi piani che ciò ha comportato<br />

per la sua generazione.<br />

Al binomio filosofia-politica ha<br />

fatto riferimento Norberto<br />

Bobbio, in una testimonianza<br />

che è stata letta in apertura,<br />

nonostante la sua assenza (assente,<br />

per motivi di salute, anche<br />

l’altro illustre coetaneo di<br />

Luporini, Eugenio Garin). A<br />

Bobbio e Luporini, che succes-<br />

sivamente scelsero strade filosofiche<br />

e politiche diverse, è<br />

stata comune in origine, sotto<br />

la dittatura, l’adesione all’esistenzialismo<br />

come filosofia<br />

della libertà e, parallelamente,<br />

l’adesione al gruppo liberalsocialista<br />

insieme con Guido Calogero<br />

e Aldo Capitini. E’ il<br />

Luporini filosofo, dunque, che<br />

è stato al centro dell’interesse<br />

di questo convegno, nei diversi<br />

aspetti della sua riflessione: la<br />

filosofia esistenziale, gli studi<br />

di storia della filosofia, l’interpretazione<br />

di Marx e, certo non<br />

meno importanti, gli studi su Leopardi, ai<br />

quali Luporini era tornato negli ultimi anni,<br />

dopo l’importante saggio del 1947, con<br />

rinnovata intensità.<br />

La relazione di Sergio Landucci, che ha<br />

aperto i veri e propri lavori, ha mantenuto<br />

unite filosofia e politica, mostrandone le<br />

reciproche relazioni in un percorso intellettuale<br />

segnato da questa “duplice fedeltà”.<br />

L’itinerario che ne è emerso non ha<br />

offerto però un’immagine conciliatoria,<br />

un percorso non tormentato; al contrario.<br />

Dalla relazione tra filosofia e politica in<br />

Luporini si mostra una continua tensione<br />

che è stimolo intellettuale, e che segna la<br />

periodizzazione proposta da Landucci, motivandone<br />

le datazioni. Le “svolte” della<br />

biografia di Luporini sono al tempo stesso<br />

svolte dell’uomo - anche politicus - e del<br />

filosofo: il 1943-45, il 1966, con l’immersione<br />

“dentro Marx”, il 1977, con il progressivo<br />

abbandono di questa prospettiva<br />

(che non comportò, com’è noto, né l’ab-<br />

PROFILO<br />

bandono dell’orizzonte del comunismo né<br />

il disimpegno politico) ed il ritorno agli<br />

studi leopardiani. Si tratta, verrebbe da<br />

scrivere, di scansioni politico-esistenziali<br />

della stessa ricerca teorica di Luporini. Un<br />

altro allievo di Luporini, Aldo Zanardo,<br />

ha preso le mosse da un’espressione gramsciana<br />

in cui la domanda su cosa sia l’uomo<br />

si trasforma in quella su cosa l’uomo possa<br />

diventare; un tema in cui si saldano idealmente<br />

le riflessioni di filosofia esistenziale<br />

del giovane Luporini con il successivo inserimento<br />

del problema dell’uomo - e della<br />

sua emancipazione - nella prospettiva della<br />

trasformazione della società.<br />

Nel suo intervento Stefano Poggi ha preso<br />

in esame lo scritto della fine del 1941,<br />

Situazione e libertà nell’esistenza umana.<br />

Si tratta di un testo, nelle parole di Poggi,<br />

che costituisce «il documento più denso e<br />

ricco del dibattito intorno alla filosofia<br />

In ricordo<br />

di<br />

Cesare Luporini<br />

intervengono<br />

Stefano Poggi e Sergio Landucci<br />

a cura di Riccardo Ruschi<br />

dell’esistenza nel nostro paese». Libertà,<br />

temporalità, finitezza sono i concetti centrali<br />

del libro di Luporini, consapevolmente<br />

presentato come elemento di un “ritorno<br />

a Kant”, e Kant è ben presente nell’intervento<br />

di Poggi. Ma non solo. Poggi ha<br />

sottolineato più volte l’originalità della<br />

posizione luporiniana anche in relazione a<br />

quello Heidegger che dieci anni prima<br />

dell’uscita di Situazione e libertà Luporini<br />

aveva ascoltato direttamente a Friburgo,<br />

poco prima dello sciagurato discorso rettorale<br />

del 1933. Ancora più netto, il confine<br />

tracciato da Poggi, lo è stato rispetto a<br />

Bergson, che pure su altro esistenzialismo<br />

- quello di Sartre - eserciterà un’influenza<br />

decisiva; e vale la pena di ricordare, a<br />

questo proposito, il giudizio negativo sulla<br />

filosofia di Sartre, espresso e ribadito più<br />

volte da Luporini, da ultimo nel testo edito<br />

di recente nel fascicolo dedicato a Luporini<br />

in «Critica marxista» della fine del 1993.<br />

Intervenendo su “Le radici del marxismo<br />

5<br />

di Cesare Luporini”, Nicola Badaloni ha<br />

cercato di ricostruire l’unità della ricerca<br />

filosofica di Luporini attraverso i diversi<br />

momenti della sua riflessione, dall’interpretazione<br />

dello Hegel di Libertà e destino,<br />

attraverso la lettura di Leopardi, fino<br />

all’esegesi dei testi di Marx e quindi alla<br />

polemica sullo storicismo - di cui Luporini<br />

fu protagonista - che caratterizzò il dibattito<br />

teorico del marxismo italiano negli<br />

anni Sessanta. Antonio Prete, che ha affrontato<br />

il rapporto, o il confronto, di Luporini<br />

con Leopardi, ha preferito non soffermarsi<br />

troppo sul classico saggio del<br />

1947 - uno studio che contribuì ad inaugurare<br />

una nuova stagione di studi leopardiani<br />

- per prendere invece in esame il ritorno<br />

a Leopardi del Luporini degli ultimi anni,<br />

un ritorno in cui il filosofo italiano, ha<br />

detto Prete, ci ha offerto una mappa delle<br />

questioni centrali del pensiero di Leopardi:<br />

una topica del sentire, il<br />

concetto di “virtù”, il peculiare<br />

nichilismo leopardiano, l’esperienza<br />

della rappresentazione<br />

dell’infinito.<br />

La seconda patria di Luporini,<br />

almeno dal punto di vista intellettuale,<br />

fu certamente la Germania;<br />

egli fu lettore di tedesco<br />

alla Scuola Normale di Pisa,<br />

ma, ancor più, tedesco fu il suo<br />

humus intellettuale: in Germania<br />

egli fece l’importante esperienza<br />

degli anni ’30, con<br />

Heidegger e Hartmann, e tedeschi<br />

sono i filosofi i cui testi<br />

egli sottopose ad analisi e nelle<br />

lezioni e negli scritti, fin da<br />

quel volume sui Filosofi vecchi<br />

e nuovi (1947), in cui mentre<br />

proponeva un Leopardi “progressivo”,<br />

leggeva e commentava<br />

Kant, Fichte, Scheler, e<br />

presentava un testo suggestivo<br />

come il già ricordato Libertà e<br />

destino di Hegel. Uno specialista<br />

come Claudio Cesa si è assunto il non<br />

facile compito di “ricomporre” il confronto<br />

di Luporini con la filosofia classica<br />

tedesca, alternando le esegesi luporiniane<br />

alle ascendenze italiane e tedesche presenti<br />

nel bagaglio concettuale di Luporini.<br />

Al materialismo di Luporini, che fu il<br />

materialismo di Marx, ma anche quello di<br />

Leopardi, ha dedicato una puntuale analisi<br />

Sandro Nannini, che ha rilevato innanzitutto<br />

la polivalenza semantica della nozione<br />

di materialismo e in generale nei diversi<br />

contesti storici e in particolare nell’uso<br />

fattone da Luporini. Tralasciando qualche<br />

indulgenza eccessiva per il materialismo<br />

“dialettico”, al significato di “realismo” -<br />

il riconoscimento di una realtà fisica indipendente<br />

- si affianca in Luporini il significato<br />

di un “naturalismo” che però - da<br />

Situazione e libertà fino agli scritti su<br />

Marx - non è mai riduzionistico: l’uomo è<br />

sì natura, ma è anche libertà (ed anche a<br />

questo riguardo sia lecito menzionare Kant).


L’ultima relazione del convegno è stata<br />

tenuta da Furio Cerutti, che ha preso in<br />

esame il pensiero politico di Luporini,<br />

visto da Cerutti come una «sovradeterminazione<br />

della politica da parte della filosofia».<br />

Parallelamente ad una concezione<br />

standard, classicamente marxista, dei rapporti<br />

politici, Cerutti ritiene di poter rintracciare<br />

in Luporini alcuni “scarti” rispet-<br />

Situazione e libertà nell’esistenza umana,<br />

Le Monnier, Firenze 1942 (2 a ediz. Sansoni,<br />

Firenze 1945; poi col titolo Situazione e<br />

libertà nell’esistenza umana e altri scritti,<br />

Editori Riuniti, Roma 1993).<br />

Filosofi vecchi e nuovi: Scheler-Hegel-<br />

Kant-Fichte-Leopardi, Sansoni, Firenze<br />

1947 (2a ediz. Editori Riuniti, Roma 1981<br />

Tra gli interventi al convegno di Firenze su Cesare<br />

Luporini, riportiamo qui di seguito la relazione di<br />

Stefano Poggi e parte di quella di Sergio Landucci.<br />

È stato in uno dei suoi ultimissimi<br />

scritti1 che Cesare Luporini<br />

ha parlato - e, in forma pubblica,<br />

non era fino ad allora mai avvenuto<br />

- del suo incontro con la<br />

filosofia dell’esistenza, anzi con<br />

la filosofia dell’esserci, del Dasein<br />

nella sua prima e fondamentale<br />

forma, e cioè con la filosofia<br />

di Heidegger, dello Heidegger di<br />

Sein und Zeit e del Kant und das Problem der Metaphysik.<br />

E sono pagine che tutti noi - o, almeno, credo che così<br />

sia stato per tutti coloro che appartengono alla mia<br />

generazione - abbiamo letto con estremo interesse: l’autore<br />

di quello che molti di noi hanno sempre pensato<br />

essere il documento più denso e ricco del dibattito intorno<br />

alla filosofia dell’esistenza nel nostro paese ci ha voluto<br />

fornire di alcune coordinate essenziali per dare collocazione<br />

e forma a quelle impressioni, a quelle suggestioni,<br />

a quelle supposizioni che erano nate in chi aveva affrontato<br />

le analisi di Situazione e libertà nell’esistenza umana<br />

e aveva immediatamente percepito quanto fosse difficile<br />

collocare quel libro in una costellazione filosofica solo<br />

italiana, ancorché fosse ovvio che in esso si cercava di<br />

dare risposta a molti dei più gravi nodi problematici in cui<br />

il neoidealismo italiano aveva finito con l’avvilupparsi,<br />

dando prova di una impotenza che, anche di recente, si è<br />

troppo spesso voluto presentare come specifica e originale<br />

«via nazionale alla filosofia».<br />

Di tali nodi - a un tempo stimolo e oggetto delle analisi di<br />

Situazione e libertà nell’esistenza umana - quello forse<br />

più immediatamente importante ed urgente nello svolgimento<br />

di queste ultime è il problema che - così Luporini<br />

a mezzo secolo di distanza - «un po’ semplicisticamente<br />

chiamavamo la irriducibilità dell’individuo» 2 La filosofia<br />

dell’esistenza<br />

e della finitezza<br />

di Stefano Poggi<br />

. Problema<br />

dunque di ovvia e fortissima valenza anti-neoidealistica,<br />

e che è appunto posto dall’esperienza immediata, assolu-<br />

PROFILO<br />

to ad essa: il rifiuto della necessità della<br />

“transizione” e lo spazio della soggettività,<br />

il riconoscimento del problema dell’autodistruzione<br />

del genere umano, il rilievo<br />

dato al mutamento culturale.<br />

Tra i numerosi interventi, ne menzioniamo<br />

soltanto uno per il garbo con cui è stato<br />

proposto dal poeta Mario Luzi. Luzi ha<br />

ricordato un incontro con Luporini in cui i<br />

Bibliografia delle opere in volume di Cesare Luporini<br />

senza il saggio Leopardi progressivo ,ripubblicato<br />

separatamente presso lo stesso<br />

editore nel 1980, del quale si veda ora la<br />

Nuova ed. accresciuta 1993).<br />

La mente di Leonardo, Sansoni, Firenze 1953.<br />

Voltaire e le “Lettres philosophiques”,<br />

Sansoni, Firenze 1955 (2 a ediz. Einaudi,<br />

Torino 1977).<br />

6<br />

due, alla richiesta di menzionare un passo<br />

che essi considerassero rappresentativo della<br />

loro biografia intellettuale, avessero<br />

l’uno, Luzi, pensato ad un passo delle<br />

lettere paoline, e l’altro, Luporini, ad un<br />

passo del Kant morale. Si sono così accomiatati,<br />

ciascuno compiaciuto della propria<br />

scelta e della propria specifica identità.<br />

Spazio e materia in Kant. Con una introduzione<br />

al problema del criticismo, Sansoni,<br />

Firenze 1961.<br />

Dialettica e materialismo, Editori Riuniti,<br />

Roma 1974.<br />

Marx et sa critique de la politique (con E,<br />

Balibar e A. Tosel), Maspero, Paris 1979.<br />

tamente spontanea di quella che potremmo dire con<br />

termine fichtiano una «autoattività» - «gratuità», avrebbe<br />

detto Luporini - che muove dal nostro interno e che da<br />

esso, come da un nucleo non scindibile, si irraggia.<br />

L’esame del “qualunque esistere”, con cui si avviano le<br />

indagini di Situazione e libertà nell’esistenza umana,<br />

muove dal dato di fatto di una coscienza individuale che<br />

ci si presenta con i caratteri di una «centralità implicita,<br />

originaria e indistinta», nella cui «preminenza» consiste<br />

appunto il carattere dell’individuo 3 . Carattere che è peraltro<br />

afflitto da una costituzionale paradossalità, dato<br />

che l’individuo - di cui connotato fondamentale mostra<br />

l’essere atto, l’agire - è in realtà possibile nel suo nascere,<br />

nel suo cominciare ad essere tale solo a condizione di<br />

essere già un “fatto” in quanto appartenente ad una specie<br />

e da tale appartenenza stessa reso possibile : «il nostro esser<br />

di fatto (nati) s’identifica col nostro appartenere ad una<br />

specie. Questa déutera ousía è alla nostra origine e la<br />

portiamo in noi, irrimediabilmente. Siamo sintesi “a priori”<br />

di noi stessi e di specie, di spontaneità e di esser di fatto» 4 .<br />

L’esperienza dell’individualità - gravata da un’impronta<br />

di “naturalità” sulla quale bisognerà tornare - deve essere<br />

vista nella sua intima connessione con quella della soggettività<br />

- «chiave del nostro mondo» 5 . Se l’individuazione,<br />

la «preminenza del centro» e la priorità della soggettività<br />

sono inseparabili dal punto di vista del problema<br />

ontologico che esse pongono, è anche chiaro che il tratto<br />

costitutivo dinamico e produttivo (la «attuosità» del<br />

darsi, dell’esserci dell’individualità) non può ricevere<br />

una specifica accentuazione dal prendere rilievo delle<br />

operazioni della soggettività 6 . Nessuna confusione tra «attuosità»<br />

e soggettività, che altro non sarebbe che «un<br />

impacciante residuo di vecchio gnoseologismo» 7 ; ma, in<br />

ogni caso, ciò che va sottolineato è che la vita dell’individuo<br />

uomo è un esistere come «autorelazione» o «interna relazione»<br />

8 che solo con la cosciente assunzione del punto di vista<br />

della centralità (e dunque della soggettività coscienziale)<br />

può essere esaminato e compreso nella sua capacità di<br />

avvertire e nel contempo trascendere - come persona - i<br />

limiti in cui è ristretto in quanto «individuo naturale» 9 ,<br />

destinato a soccombere alla «detrazione temporale».


Muovendo dal dato di fatto del nostro esserci nel<br />

mondo, del nostro «nascere al mondo» come<br />

individui appartenenti ad una specie e contemporaneamente<br />

in grado di «farsi persona», occorre dunque<br />

ricercare e indagare i modi in cui tale condizione di<br />

finitezza non è di ostacolo al manifestarsi e all’operare<br />

della libertà. Questa era la strada da percorrere, e per farlo<br />

il giovane Luporini prendeva a confrontarsi con l’analisi<br />

dei modi in cui viene a compiersi l’esperienza della<br />

finitezza, allorché - dopo l’impatto con il «qualunque<br />

esistere» che l’individuo subisce nel suo «nascere al<br />

mondo» - è proprio l’«attuosità» dell’individuo a porsi<br />

come condizione del primo dilatarsi, nella coscienza,<br />

dell’iniziale, fondamentale istantaneità - lo hic et nunc -<br />

del proprio sentirsi esistere.<br />

Di tali modi, quello della temporalità è ovviamente il<br />

primo e fondamentale, dato che ad essa - ad una temporalità<br />

di cui Luporini teneva a sottolineare l’intreccio<br />

profondo con la spazialità, ma non certo la riduzione a<br />

quest’ultima - vanno ricondotte tutte le altre manifestazioni<br />

della finitezza. «Privazione assoluta» nella quale la<br />

percezione dell’istante è accompagnata dal delinearsi di<br />

un «orizzonte spaziale», la temporalità non può essere<br />

«trascorrimento puro». Come «privazione assoluta»,<br />

come negazione, essa ci fa avvertiti che sì l’«originario<br />

essere-di-fatto mi chiude nell’istante», ma insieme «ci fa<br />

lottare con esso» : l’istante è «centro reale di un dato<br />

orizzonte spaziale», ma al suo centro sta «il mio attuale<br />

istante», l’io 10 .<br />

Inutile soffermarsi in questa sede sulla indubbia - e<br />

impegnativa - metaforicità dell’«orizzonte spaziale», la<br />

cui esperienza ha un ruolo fondamentale in quella che -<br />

altrettanto metaforicamente - potrebbe essere detta la<br />

«dilatazione» dello hic et nunc del nostro esistere. Luporini<br />

riteneva opportuno diffondersi in proposito in una<br />

appendice dedicata al problema del nesso spazio-tempo<br />

in Gentile e Kant 11 , ma ciò che corre l’obbligo di sottolineare<br />

è soprattutto l’energia con cui egli respingeva gli<br />

esiti - opposti, ma simmetrici - cui la presa d’atto della<br />

temporalità come fattore costitutivo dell’essere e dell’operare<br />

umano aveva mostrato di condurre. Da una<br />

parte dunque la razionalizzazione - tipica di un certo<br />

hegelismo di scuola, e quindi forse anche di Croce - della<br />

temporalità sulla base della vera e propria «ontologizzazione<br />

di un determinato schema logico», quello nei cui<br />

termini si presenta la «spiegazione dialettica» 12 ; dall’altra,<br />

la convinzione che al carattere astratto di siffatta<br />

spiegazione si desse la possibilità di sfuggire grazie alla<br />

stessa «positività della vita», «positività» identificata<br />

con la «concreta temporalità» e in grado quindi di «riassorbire<br />

in sé tutto l’essere» 13 . Convinzione - bisogna<br />

aggiungere - che era stata tipica del positivismo evoluzionistico<br />

ottocentesco e quindi anche dello stesso Bergson.<br />

Ma su ciò torneremo fra un momento.<br />

La via che Luporini riteneva dovesse essere percorsa - ed<br />

è questa prova chiarissima di come egli avesse colto in<br />

profondità, aderendovi appieno, il rifiuto del carattere<br />

speculativo di tali prospettive maturato nella filosofia<br />

tedesca dei primi decenni del nuovo secolo - era invece<br />

una via che si presentava più concreta, più fenomenologicamente<br />

vicina «alle cose stesse». Era - doveva essere<br />

PROFILO<br />

7<br />

- la via del lavoro da compiere per giungere alla «comprensione<br />

del limite» prendendo atto della finitezza. La<br />

vita ha da essere colta come «affermazione di sé nel<br />

tempo», come una «successione infinita di momenti<br />

finiti» 14 . Forse, su Luporini agiva anche la suggestione di<br />

alcuni dei temi più tipici della «filosofia della vita», ma<br />

sembra proprio di potere affermare che tale suggestione<br />

era da lui accolta nella sua pars destruens, e non certo nella<br />

parte non indifferente che in essa aveva avuto e continuava<br />

ad avere la esaltazione di una sorta di irrazionalistico farsi<br />

trasportare dal flusso, dallo «slancio» della vita.<br />

Appunto, la filosofia di Bergson o, se si vuole, il<br />

bergsonismo come «figura dello spirito», forma<br />

di pensiero indispensabile per comprendere - al<br />

di là della adesione o del rifiuto della «visione del<br />

mondo» che indubbiamente essa esprime - tanta parte<br />

della filosofia europea del nostro secolo. Le poche, ma<br />

densissime pagine della Appendice dedicata al problema<br />

del nesso spazio-tempo in Gentile e in Kant sono, in<br />

proposito, illuminanti.<br />

Sia chiaro: non intendiamo sostenere in alcun modo che<br />

Luporini, il giovane Luporini mostri una qualche propensione<br />

per la filosofia di Bergson o per una qualche forma<br />

di «bergsonismo», come invece accade - e in quale ampia<br />

misura! - con Sartre. Ma è vero anche che era stato<br />

Bergson ad affrontare il problema della libertà muovendo<br />

da quella dimensione che la scienza ottocentesca - sia<br />

della natura che dello spirito - aveva voluto tornare a<br />

sondare da ogni lato: la dimensione temporale. Ed è<br />

anche vero che la proposta bergsoniana aveva segnato e<br />

avviato una discussione, postasi poi con chiarezza e<br />

drammaticità al centro non solo della filosofia, ma di tutto<br />

il movimento delle idee nel nuovo secolo. È quindi<br />

proprio tenendo conto di quanto i temi che sono al centro<br />

della riflessione dell’autore di Situazione e libertà sono<br />

temi del tempo - e, certo, sono tornati ad essere anche<br />

temi del “nostro tempo”, con tutte le sue rinascite bergsoniane<br />

e le sue incessanti «parate filosofiche» - e sono<br />

quindi temi di un’epoca segnata nel profondo dalla<br />

filosofia di Bergson, antecedente diretta della filosofia<br />

dell’esistenza made in France, che è possibile comprendere<br />

la specificità e la vigoria della linea di analisi che<br />

veniva tracciata e percorsa in quel libro di più di cinquanta<br />

anni or sono.<br />

Abbiamo già richiamato il legame che Luporini teneva a<br />

istituire tra la percezione dell’ istante e il definirsi di un<br />

«orizzonte spaziale»: nel farlo, egli aveva palesemente<br />

presenti alcune delle tesi della gentiliana Teoria generale<br />

dello spirito come atto puro, ma è anche - ci pare -<br />

altamente sintomatico il fatto che egli, tornando sulla<br />

questione nella prima delle appendici a Situazione e<br />

libertà, avesse cura di manifestare le sue perplessità circa<br />

quella che, in sostanza, emergeva come la tendenza di<br />

Gentile verso una spazializzazione del tempo. Non v’è<br />

qui modo di diffondersi con la dovuta ampiezza sulle<br />

argomentazioni di Luporini, serrate nel loro sottolineare<br />

che Gentile «non si accorge [...] che puro spazio e puro<br />

tempo si riducono alla negatività in quanto astratto l’uno<br />

dall’altro» e che quindi trascura di tenere conto di quella<br />

che è la realtà del loro «concreto incontro», la cui concre-


tezza è data dal fatto che «concreto non è né lo hic né il<br />

nunc, ma solo lo hic et nunc» e che quindi è «facile [...]<br />

vincerli uno per volta, avendoli separati, ma impossibile<br />

trionfarne in quella sintesi a priori che essi costituiscono»<br />

15 . Ma, in ogni caso, quel che deve essere sottolineato<br />

con molta chiarezza è che la posizione critica da lui<br />

assunta nei confronti della riduzione del tempo a spazialità<br />

operata da Gentile non conduceva peraltro Luporini<br />

ad abbracciare quella teoria che nella critica ad ogni<br />

spazializzazione del tempo aveva il suo nodo argomentativo<br />

centrale: appunto la concezione bergsoniana del<br />

tempo come durata.<br />

Con una attenzione tutta concentrata sul tempo come<br />

concreto, come «concreta temporalità» ovvero «istante<br />

come presenza di compresenze», Luporini, piuttosto, era<br />

incline a sottolineare tutti gli aspetti problematici della<br />

posizione bergsoniana, che a suo avviso - proprio nel<br />

momento in cui si configurava come interpretazione<br />

della concreta realtà del tempo - non riusciva in realtà a<br />

rendere conto di quest’ultima come «assoluta implicazione<br />

che si oppone, risolvendola in sé, alla spazialità<br />

come reciproca esclusione degli elementi dell’esperienza»<br />

16. Il tempo concreto deve essere qualcosa di più della<br />

semplice durata, che non si renderebbe nota altro che<br />

nella nostra interiorità: non ha senso parlare della esistenza<br />

di un «tempo interiore», posto in una posizione di<br />

assoluto primato nei confronti di un «tempo esteriore» o,<br />

comunque, con quest’ultimo assolutamente non paragonabile.<br />

Non è possibile pensare ad un rapporto di reciproca<br />

«trascendenza» tra questi due generi di tempo, «se -<br />

continuava Luporini - tempo non è che l’interiorità dell’esteriore,<br />

ossia non è concreto se non come rapporto di<br />

interiore-esteriore: la immisurabilità del tempo interiore,<br />

e quindi la sua incommensurabilità col tempo esteriore,<br />

non è che il suo continuo e immediato “commisurarsi”<br />

(lotta) con esso, che fonda anche la possibilità della<br />

misura del tempo esteriore, possibilità che, naturalmente,<br />

come ogni misura, si riferisce alla spazialità, in quanto<br />

elemento della positiva temporalità» 17 .<br />

Discendeva da ciò il riconoscimento della fondatezza<br />

delle riserve espresse da Gentile circa l’interpretazione<br />

del «tempo concreto» come durata ( durata, aveva detto<br />

Gentile, è «stato fantasticamente definito il tempo depurato<br />

dalla spazialità»). A Luporini, quindi, pareva molto<br />

più ragionevole pensare al «tempo concreto» come alla<br />

eternità, come al «principio del tempo», a patto però - e<br />

allora tornava a manifestarsi il dissenso nei confronti di<br />

Gentile - che siffatta «eternità» fosse intesa come «sovratemporalità<br />

del tempo»: il tempo non è «qualcosa nel<br />

tempo», ed in tale sua «sovratemporalità» esso «si rivela<br />

identico alla vita come autoaffermazione e nascita».<br />

La concreta esperienza della realtà del tempo non può<br />

quindi darsi altro che nei termini di una compresenza - e,<br />

ancora, Luporini riconosceva il suo debito nei confronti<br />

di Gentile 18 - dei vari momenti del tempo che si trovano<br />

a convergere verso il presente, un presente sul quale si<br />

appuntava tutta la sua attenzione perché - è chiaro - è<br />

proprio la concrezione, nella istantaneità del presente, dei<br />

vari modi di esperire il tempo che costituisce la eccezionalità<br />

del presente medesimo, che è infatti momento in<br />

cui la coscienza che l’individuo ha della propria limita-<br />

PROFILO<br />

8<br />

tezza si unisce, nell’istante, a quella del non essere più<br />

vincolato dal passato in quanto proteso al futuro, sì che in tal<br />

modo si manifesta all’opera la dimensione della libertà.<br />

È, questo, un punto di molta importanza, assolutamente<br />

centrale per comprendere le posizioni di Luporini e per<br />

scandagliarne l’itinerario di pensiero. La concezione che<br />

veniva così sviluppando era infatti quella di un presente<br />

che - diversamente da Gentile - non era concepito come<br />

«collocato tra passato e futuro», ma come un presente<br />

che, nella consapevolezza della propria istantaneità, si<br />

impone come un atto, non come un esistere, un darsi, ma<br />

un vero e proprio attivo collocarsi tra il passato e il futuro:<br />

e, «in questo collocarsi», esso «si libera dell’immediata<br />

e indistinta pressione loro [del passato e del futuro],<br />

facendosi storia (storiografia) e deliberazione» 19 . È di<br />

fronte quindi al dispiegarsi della attività della riflessione<br />

autocosciente che ci veniamo a trovare; ci veniamo cioè<br />

a trovare dinanzi a quella riflessione per la quale l’esperienza<br />

di ciò che è trascorso di niente altro è fonte se non<br />

di un approfondirsi del proprio conoscersi, mentre essa si<br />

trova dinanzi ad un futuro che ancora non si è compiuto.<br />

Se si volesse cedere all’erudizione, si potrebbe addirittura<br />

ravvisare, nella posizione di Luporini, finanche l’eco<br />

dei modi in cui Bergson - il giovane Bergson del 1889 e<br />

del 1896, il Bergson al quale era andata l’attenzione di<br />

alcune delle figure di spicco del neokantismo del tempo,<br />

e poi di Scheler - aveva prospettato sì la centralità della<br />

nozione di durata, ma nel contempo si era preoccupato di<br />

mettere in luce come l’azione (corporea) è una azione che<br />

si configura come libera nel momento in cui mostra di<br />

essere interpretabile nei termini di una «percezione pura»<br />

che, ponendosi per così dire «fuori del tempo», ci si<br />

presenta del tutto ricca di passato (ma da esso non<br />

precostituita nel suo operare) e gravida nello stesso<br />

momento - anzi, istante - di tutte le possibili opzioni di un<br />

futuro cui si appresta a porre mano.<br />

Ovviamente, non è questo il punto, ancorché fosse senza<br />

dubbio presente a Luporini che era proprio la filosofia<br />

bergsoniana a ispirare molte delle prese di posizione del<br />

dibattito dei primi decenni del secolo intorno alla individualità<br />

e alla libertà. <strong>Nelle</strong> pagine di Luporini non era<br />

dato cogliere nessun segno di simpatia - e tantomeno di<br />

convergenza - con le tesi di un qualche spiritualismo<br />

apparentato a forme più o meno spurie di «filosofia della<br />

vita». Luporini 20 poteva così affermare certo che il tempo<br />

«si rivela identico alla vita come autoaffermazione e<br />

nascita», ma nondimeno una affermazione del genere<br />

non nasceva nel contesto di una concezione propensa ad<br />

esaltazioni del «fluire della vita», o addirittura pronta a<br />

cedere allo spiritualismo, neanche poi troppo dissimulato,<br />

di una «evoluzione creatrice». Dall’analisi dell’esperienza<br />

del tempo nella sua concretezza di forma fondamentale<br />

dell’esistere - forma che d’altronde non va<br />

considerata pura e semplice datità, «qualunque esistere»,<br />

ma come dinamicità, come operare, come «attuosità» -,<br />

Luporini era condotto ad una posizione che solo apparentemente<br />

può apparire volontaristica, intrisa di un certo<br />

qual «eroismo» della «gratuità» dell’agire. Per Luporini,<br />

la possibilità di «impadronirsi del tempo, e quindi sottrarsi<br />

alla fattuosità e al meccanismo» nasceva in modo<br />

diretto dalla presa d’atto della finitezza costituzionale


dell’individuo. Era cioè una possibilità che poteva realizzarsi<br />

mettendo mano allo «strumento» del «pensiero<br />

come organo della libertà». E tale possibilità «non si<br />

compie se non come effettiva attuazione della libertà,<br />

ossia come pienezza assiologica che sovratemporalizza<br />

l’istante, contrapponendo l’assolutezza della persona alla<br />

detrazione temporale cui fatalmente (nel suo essenziale<br />

rapporto col “tutto”, in cui il tutto, realizzandosi, nega la<br />

singolarità individuale) il “naturale” individuo soccombe;<br />

onde, nella lotta col tempo, intrinseca all’individuazione,<br />

l’attuarsi della persona apparirà come effettiva<br />

vittoria sulla morte» 21 .<br />

Il passo che abbiamo appena letto è denso di molte<br />

implicazioni e apre molte prospettive, sulle quali - e<br />

ciò vale in primo luogo per quanto concerne per un<br />

verso il modo in cui ha da essere intesa l’opera di<br />

mediazione svolta dal pensiero, per un altro i termini del<br />

darsi della «pienezza assiologica» in grado di assicurare<br />

la «sovratemporalizzazione» dell’istante 22 - non vi è in<br />

questa sede di soffermarsi, ancorché si tratti di questioni di<br />

importanza essenziale per la esatta comprensione dei termini<br />

in cui la riflessione del giovane Luporini si inquadrava in<br />

quella della «filosofia dell’esistenza» dell’epoca.<br />

Possiamo tuttavia ritenere di avere stabilito un punto<br />

fermo, che vale a sgombrare il campo da ogni eventuale<br />

equivoco. Il concetto di «presente» cui Luporini perviene<br />

- egli ne parla infatti come della «concretezza e positività<br />

dell’istante (hic-nunc)» 23 - vale infatti a mettere definitivamente<br />

in chiaro qual’è l’autentico carattere della tensione<br />

che ispira l’impegno posto da Luporini nel sondaggio<br />

dei modi di fare esperienza della individualità nel suo<br />

presentarsi come atto - «attuosità». Sulla linea di tale<br />

tensione, Luporini infatti muove innanzitutto dal riconoscimento<br />

della vita come privazione - e privazione, o<br />

meglio, senso di privazione, è anche la conoscenza, come<br />

ci viene ripetutamente ricordato -, della vita come deficienza<br />

24 , della vita come gravata da un segreto, da un<br />

mistero fondamentale: quello dell’individualità, che ci<br />

investe con il suo carattere paradossale. Ma è vero anche<br />

che il riconoscimento della fondamentalità, della ineliminabilità<br />

di tale esperienza dell’individualità come tratto<br />

costitutivo di un individuo «naturale» si accompagna<br />

al nettissimo rifiuto di ogni forma di biologismo, rifiuto<br />

- e Luporini, nello scritto che abbiamo ricordato all’inizio<br />

del nostro intervento, terrà a ricordare la piena partecipazione<br />

da lui provata nel leggere il celebre § 10 (“Delimitazione<br />

dell’analitica esistenziale rispetto a antropologia,<br />

psicologia e biologia”) di Sein und Zeit -, rifiuto che non<br />

solo è segno della distanza da tutte le filosofie in varia<br />

misura eredi del positivismo evoluzionistico (e quindi<br />

anche dallo stesso Bergson), ma che è anche un rifiuto<br />

che viene ripetutamente ed esplicitamente pronunziato -<br />

ed è un altro segno della distanza nei confronti di Bergson<br />

(e, in prospettiva, verrebbe da dire, di Sartre) - non in<br />

nome di un umanesimo di maniera, retorico, ma sulla<br />

base della convinzione che al fondo d’ una concezione<br />

della individualità formulata ed articolata nei termini del<br />

biologismo sta in realtà un modo di concepire la temporalità<br />

sostanzialmente astratto. In realtà, la temporalità<br />

del biologismo è - quantomeno sul piano fenomenologi-<br />

PROFILO<br />

9<br />

co - incompatibile con quella che invece si presenta come<br />

la effettiva dinamicità, autoattività, spontaneità - «gratuità»<br />

- della libertà dell’uomo come libertà che, a quest’ultimo,<br />

assicura la possibilità di trascendere la propria<br />

costituzionale finitezza.<br />

La concezione della temporalità cui Luporini si veniva a<br />

sentire più vicino era - per sua stessa ammissione - la<br />

concezione di Kant, quella concezione cioè per la quale<br />

- essendo tutto ciò che è dato al senso esterno dato anche<br />

al senso interno ed essendo la forma di quest’ultimo<br />

costituita dal tempo - il tempo si configura come «il modo<br />

del nostro essere dati empiricamente a noi stessi» 25 .<br />

«Forma permanente dell’intuizione interna» - puntualizzava<br />

Luporini richiamandosi alla “Prima analogia” della<br />

Critica della ragion pura -, il tempo implica poi «intrinsecamente<br />

nella sua realtà la realtà dello spazio, ed è anzi,<br />

possiam dire, identico a quest’ultima, in quanto quest’ultima<br />

è condizione della possibilità della percezione del<br />

permanente che lo “esprime” e “rappresenta”» 26 .<br />

Ovviamente, la strada maestra che veniva percorsa dalle<br />

analisi di Situazione e libertà non era certo quella lungo<br />

la quale Luporini poteva essere condotto a dedicare una<br />

attenzione specifica al Kant filosofo della fisica, e di una<br />

filosofia della fisica nella cui costituzione avevano avuto<br />

ugual parte e Newton e Leibniz. In prima e fondamentale<br />

istanza, il confronto con la filosofia kantiana avveniva<br />

direttamente sul terreno della riflessione sulla questione<br />

della libertà e del suo rapporto con la natura umana.<br />

Tra la «natura dell’uomo e la sua libertà» intercorre in<br />

Kant - ci ricordava Luporini - un «segreto rapporto», un<br />

vincolo che egli riteneva coincidente con quello che egli<br />

ravvisava all’interno dell’«essere di fatto» del pensiero<br />

e della libertà come «essere di fatto» che racchiude in sé<br />

la «positività della propria negazione e quindi anche<br />

l’assolutezza della propria affermazione, non più come<br />

fatto ma atto» 27 . Tale «segreto rapporto», in Kant - e<br />

Luporini citava e traduceva una pagina dalla Religion<br />

innerhalb der Grenzen der blossen Vernunft 28 - è quindi<br />

quello che si incardina nella «natura dell’uomo», da<br />

intendersi solo come «il fondamento soggettivo dell’uso<br />

della sua libertà in generale (sotto leggi morali oggettive),<br />

che precede qualsiasi azione che appare ai sensi,<br />

ovunque poi questo principio possa trovarsi». E tale<br />

«fondamento soggettivo» - ancora Kant - «dev’esser poi<br />

a sua volta un atto della libertà», dato che altrimenti<br />

l’uomo non potrebbe essere ritenuto responsabile delle<br />

scelte da lui medesimo compiute.<br />

Se Kant dichiarava «imperscrutabile» tale fondamento<br />

proprio in quanto atto di libertà, Luporini teneva per<br />

parte sua a manifestare la convinzione che esso potesse<br />

invece essere trovato nel rapporto tra «atto e valore», in<br />

sostanza in quella «pienezza assiologica che sovratemporalizza<br />

l’istante» di cui aveva affermato l’operare,<br />

all’aprirsi dello spazio deliberativo. Nondimeno, Luporini<br />

aveva anche cura che in tal modo la «imperscrutabilità»<br />

permaneva, ancorché spostatasi ad investire «l’intensità<br />

stessa dell’operare del valore». Anche se con non<br />

poche cautele, Luporini mostrava così di inclinare per la<br />

soluzione - soluzione apparsa più concreta e meno metafisicamente<br />

impegnata - che una parte della interpretazione<br />

neokantiana di alcuni dei nodi fondamentali della


filosofia pratica kantiana era venuta proponendo.<br />

Ma, in realtà, a ben guardare, il contatto con il neokantismo<br />

- con la filosofia neokantiana dei valori, ma anche (e<br />

forse soprattutto) con la critica esercitata nei confronti di<br />

quest’ultima da Scheler - non mostrava affatto di sostituire<br />

in Luporini il confronto diretto, continuo con il dettato<br />

kantiano, e proprio come dettato di una filosofia comunque<br />

ancorata alla finitezza, anche se di tale suo ancoraggio<br />

non sempre forse completamente consapevole. Nella<br />

stessa pagina 29 in cui era venuto ricordando come per<br />

Kant avesse da essere intesa la «natura dell’uomo»,<br />

Luporini sottolineava infatti che «se liberi si fosse “necessariamente”<br />

la libertà perderebbe ogni valore, cioè<br />

ogni opposizione all’essere-di-fatto, alla naturalità, e si<br />

confonderebbe con essa. In verità - egli ribadiva -, non ci<br />

sarebbe alcuna distinzione tra la spontaneità dell’uomo e<br />

la spontaneità del vivente» 30 .<br />

Affermazioni come queste non possono non confermarci<br />

nella convinzione che il giovane Luporini - conoscitore<br />

esperto e sicuro di Kant - non potesse non trovarsi in<br />

sintonia con quanto espresso in molti luoghi celebri delle<br />

opere kantiane nei quali il conflitto tra libertà e necessità<br />

veniva affrontato, esaminato, scomposto. E, certo, fra i<br />

tanti luoghi celebri cui può andare la memoria e che<br />

Luporini non poteva non avere ben presenti, vi sono le<br />

pagine della Dilucidazione critica della analitica della<br />

ragion pura pratica 31 . In quelle pagine, Kant si era<br />

confrontato direttamente con il problema del contrasto<br />

tra la «causalità come necessità naturale» e la «causalità<br />

come libertà». Dopo avere a lungo dibattuto il problema<br />

dei modi in cui definire i caratteri distintivi della azione<br />

libera 32 , Kant era poi approdato ad inquadrare l’intera<br />

questione nella prospettiva del diverso ruolo che la temporalità<br />

si trova a svolgere nell’agire necessitato e nell’agire<br />

libero. Accade allora che lo stesso soggetto che ha<br />

agito ed agisce come un fenomeno e che ha compiuto e<br />

compie azioni i cui «motivi determinanti» si collocano<br />

«in ciò che appartiene al tempo passato, “e non è più in<br />

suo potere”», è anche quello che può benissimo trovarsi<br />

a considerare «la sua esistenza “in quanto essa non sta<br />

sotto le condizioni di tempo”», sì da considerare «se<br />

stesso soltanto come determinabile secondo le leggi che<br />

si dà mediante la ragione stessa». Una volta collocatosi in<br />

questa forma di esistenza, «niente è per lui anteriore alla<br />

determinazione della sua esistenza, la quale cambia secondo<br />

il senso interno, e anche l’intera successione della<br />

sua esistenza come essere sensibile, non è da riguardare<br />

nella coscienza della sua esistenza intelligibile se non<br />

come conseguenza, e non mai come motivo determinante<br />

della sua causalità in quanto noumeno» 33 .<br />

Se dunque la filosofia kantiana veniva a presentarsi come<br />

modello di riflessione alieno da ogni assolutizzazione<br />

speculativa della natura dell’uomo - da essa supposto<br />

infatti sempre «come ente ragionevole finito» - e si<br />

impegnava quindi a interpretare «la struttura trascendentale<br />

del pensiero e in genere tutte le forme della ragione»<br />

34 , era anche ovvio che della particolare finitezza<br />

della natura umana non poteva essere trovato documento<br />

migliore di quello fornito dai modi del darsi della coscienza<br />

della temporalità. Nell’ erigersi a tratto costitutivo<br />

fondamentale della attività del senso interno, forma<br />

PROFILO<br />

10<br />

strutturante la stessa unità autocoscienziale di cui prima<br />

- e potremmo dire istintiva - espressione è la percezione<br />

(appercezione) della propria individualità nel suo primo<br />

«naturale» livello, alla coscienza della temporalità - del<br />

tempo nella sua concretezza - si poteva - si doveva -<br />

guardare come ad una sorta di primo strumento per la<br />

affermazione di un tipo di libertà dell’ ente uomo tale da<br />

non entrare in contrasto con la costituzionale, intrinseca<br />

finitezza del medesimo, ma nello stesso tempo tale anche<br />

da non limitare l’indagine all’accertamento ed alla catalogazione<br />

dei vari ordini di motivazioni che possono<br />

precostituire l’azione.<br />

Sarebbe a questo punto senza dubbio possibile - e di<br />

grande interesse - sviluppare una linea di indagi<br />

ne che, analizzando il concetto di una «causalità<br />

della libertà» che trova il suo luogo classico innanzitutto<br />

nella analisi dei modi in cui viene a configurarsi il punto<br />

di vista teleologico nella Critica del Giudizio 35 , ci condurrebbe<br />

direttamente a quell’insieme di discussioni<br />

dell’ambito neokantiano in cui prende consistenza primaria<br />

la problematica del “valore”, e che sono discussioni<br />

di cui era vivissima - e controversa - l’eco nella<br />

filosofia tedesca con cui il giovane Luporini non poteva<br />

non essere venuto a incontrarsi.<br />

Non possiamo però spingerci tanto innanzi, anche se è fuori<br />

di dubbio questa una delle linee di ricerca cui attenersi per<br />

situare e comprendere i modi in cui - in quella che possiamo<br />

dirne la pars construens - si sviluppa la discussione di<br />

Luporini nella illustrazione dei modi del «genuino esistere».<br />

Per il momento, possiamo senz’altro arrestarci alla constatazione<br />

di quelli che sono i tratti fondamentali che connotano<br />

il livello più nettamente descrittivo-fenomenologico<br />

delle analisi - non possiamo effettivamente parlare, in<br />

proposito, di una pars destruens - che Situazione e libertà<br />

dedica al dispiegarsi della libertà come “fatto” che diviene<br />

“atto”. Analisi che abbiamo visto essere incentrate nel<br />

riconoscimento della importanza fondamentale del nesso<br />

tra la coscienza della temporalità e il prendere consistenza<br />

d’una libertà che ha come dimensione specifica quella della<br />

istantaneità, della deliberazione che riesce a sottrarsi al<br />

vincolo del passato. Nesso - abbiamo appena visto - che<br />

aveva trovato in Kant una sua chiara formulazione.<br />

L’importanza di questo nesso - che poi, a ben guardare,<br />

è il senso più concreto, più tangibilmente rilevabile di<br />

quello che, discutendo appunto di Kant 36 , Luporini aveva<br />

indicato come «il segreto rapporto che corre fra la natura<br />

dell’uomo e la sua libertà» - è dunque fuori discussione,<br />

per il suo configurarsi come condizione necessaria - e<br />

forse anche sufficiente - dell’avvio di una riflessione<br />

sulla specificità della collocazione dell’uomo nel mondo,<br />

di un uomo che è anche appartenente ad una specie<br />

animale, ma ad essa, comunque, non è riducibile. Ed è<br />

proprio in questa luce - la luce di un confronto costante,<br />

serrato e mai incline a compromessi con l’assunzione del<br />

punto di vista biologico nella interpretazione della «essenza<br />

dell’uomo» - che a questo nesso bisogna guardare,<br />

e guardarvi come via di accesso - al livello più «basso»,<br />

più concreto, più vicino «alle cose stesse» - al problema<br />

della libertà, onde accertare se e come quest’ultima è<br />

realmente possibile, stante la finitezza dell’uomo.


<strong>Nelle</strong> pagine di quel suo ultimo scritto da cui<br />

abbiamo preso le mosse per svolgere le nostre<br />

considerazioni, Cesare Luporini ricordava 37 , tra<br />

l’altro, la grande impressione che su di lui aveva esercitato<br />

la lettura del Kant und das Problem der Metaphysik<br />

di Heidegger. Una lettura che era stato lo stesso Heidegger<br />

a invitarlo a compiere, una lettura - così Luporini - fatta<br />

«senza particolari intoppi, data la confidenza che avevo<br />

acquisito con la Critica della ragion pura, nelle sue due<br />

redazioni classiche» . Una lettura che, approdata alla<br />

“Quarta sezione” del grande libro heideggeriano 38 - quella<br />

sulla «ripetizione» della «fondazione della metafisica»<br />

-, lo aveva «letteralmente rapito», e da cui, a più di mezzo<br />

secolo di distanza, dichiarava di essere stato tanto profondamente<br />

impressionato da subirne «un effetto che porto<br />

ancora in me». Alcune delle proposizioni del testo heideggeriano<br />

- non esitava ad affermare Luporini - «mi<br />

hanno accompagnato per sempre» 39 . E, prima di tutto, ciò<br />

valeva per il modo in cui Heidegger aveva posto - e<br />

appunto radicalizzato, riducendolo ai suoi minimi e fondamentali<br />

termini - la questione della «ragione». «La<br />

finitezza non è semplice accessorio della ragione umana<br />

- aveva scritto Heidegger - ; è invece un rendersi finita<br />

della ragione stessa, è la “cura” per il suo poter essere<br />

finita» 40 : l’uomo è razionale in proporzione diretta al suo<br />

accettare la propria finitezza e al suo impegnarsi nell’adesione<br />

alla medesima. Nel suo esistere - nel solo<br />

modo in cui l’uomo può essere, e cioè nell’esserci, nel<br />

Da-sein - l’uomo è appunto nel Da, in quel momento, in<br />

quell’istante in cui l’essere irrompe nell’ente e lo obbliga<br />

ad aprirsi, fornendolo della «possibilità di rivelarsi a un<br />

se-stesso», ed in un modo che mette in luce che l’uomo è<br />

in quanto è finitezza. La finitezza dell’ esserci dell’uomo -<br />

chiosava Luporini - è «più originaria dell’uomo stesso» 41 .<br />

Sono - si potrà certo dire - tesi ben note, alla cui scolastica<br />

ripetizione siamo oramai avvezzi, così come abbiamo<br />

dovuto fare l’abitudine alle molte incrostazioni che su di<br />

esse sono venute stratificandosi, fino a logorarne l’originaria<br />

struttura argomentativa, sì che può senz’altro riuscire<br />

difficile rendersi oggi conto del «sentimento di<br />

accedere a una liberazione filosofica» che - al pari di<br />

«molti studiosi tedeschi allora allievi di Heidegger» -<br />

Luporini ci dice di avere provato alla lettura delle due<br />

grandi opere heideggeriane: Sein und Zeit e Kant und das<br />

Problem der Metaphysik, quest’ultima usata come «chiave<br />

di lettura» per accedere alla prima [41]. E, certo, la<br />

possibilità di cogliere, di comprendere quel sentimento,<br />

quasi di immedesimarsi in esso è resa ancor più difficile<br />

dal fatto che le strade di molti di coloro che, allora, a<br />

Heidegger si erano volti alla ricerca di siffatta «liberazione<br />

filosofica» sono divenute assai spesso strade divergenti,<br />

segnate nello stesso momento nel profondo da<br />

quello che per molti - e per tutti i migliori - fu il vero e<br />

proprio tradimento del maestro, all’avvento del nazismo.<br />

Ma il sentimento di tale «liberazione» - che, certo, può<br />

essere ricostruita e fatta rivivere affidandosi anche alla<br />

forza delle emozioni che nascono alla lettura dei sempre<br />

più fitti documenti umani di quell’epoca che stanno in<br />

questi ultimi anni vedendo la luce - ci può forse essere più<br />

chiaro nella sua non consolatoria valenza e nel suo nucleo<br />

costitutivo se - e possiamo allora capire bene perché il<br />

PROFILO<br />

11<br />

giovane Luporini, già allora lettore appassionato di Leopardi,<br />

potesse tanto vivamente provare un sentimento del<br />

genere - ci rendiamo conto di quanto esso nascesse dal<br />

fatto che Heidegger giungeva ad additare all’attenzione<br />

del suo uditorio l’esigenza di prendere atto della finitezza<br />

dell’uomo richiamandosi innanzitutto alla decisione con<br />

cui era stato proprio nel seno della riflessione kantiana<br />

sulla possibilità di operare una nuova fondazione della<br />

metafisica che era emersa la consapevolezza dei confini<br />

- confini appunto, e non limiti - posti all’uomo dal<br />

definirsi della propria costituzionale temporalità, dall’emergere<br />

di una dimensione della vita coscienziale che<br />

ci fa cogliere, afferrare con tutta la evidente chiarezza del<br />

dato fenomenologico - e ben più di quanto non possa<br />

avvenire con la ontologizzazione delle strutture formali<br />

della dialettica - quella che è la radicale finitezza dell’uomo,<br />

liberandoci in tal modo da ogni «illusione trascendentale».<br />

Non era forse dopo una serrata analisi della Einbildugskraft<br />

trascendentale (nella quale aveva avuto posto centrale<br />

la sottolineatura dell’«intimo carattere temporale»<br />

della medesima e l’esame del «tempo come affezione<br />

pura del sé») che Heidegger - nel Kant und das Problem<br />

der Metaphysik 42 - era approdato alla «ripetizione della<br />

metafisica»?. E non datava solo di un anno prima, del<br />

1928 - e l’eco quindi nel seminario di Friburgo frequentato<br />

dal giovane Luporini non poteva non esserne stata<br />

vivissima - la pubblicazione, curata dallo stesso<br />

Heidegger 43 , delle lezioni husserliane sulla «coscienza<br />

interiore del tempo»?. Era proprio in quelle lezioni che,<br />

sulla scorta di una analisi della temporalità colta nella sua<br />

concretezza di Erlebnis, veniva tentata da Husserl una più<br />

radicale fondazione della fenomenologia, intesa a sondare<br />

le ricchezze della interiorità. Di fronte ad una prospettiva del<br />

genere, l’atteggiamento di Heidegger era durissimo. Anch’egli<br />

si richiamava ad Agostino, ma non all’Agostino<br />

del noli foras ire, ma a quello della affectio, elaborando<br />

così quel concetto di Befindlichkeit 44 - appunto l’«essersi»<br />

o il «sentirsi situati» - che a Luporini, ancora nel 1992,<br />

appariva come «una delle maggiori e più feconde scoperte<br />

di Heidegger» 45 . E quindi quella che Heidegger voleva<br />

fosse una radicale reinterpretazione della fenomenologia<br />

non poteva non respingere ogni esaltazione, ogni «mitologia»<br />

della interiorità, ogni ancorché remoto pericolo di<br />

ricadere in forme più meno solipsistiche o più o meno<br />

teologizzanti di spiritualismo. Sullo sfondo, sempre annunziato<br />

e solo in parte poi messo in atto, emergeva l’ineliminabilità<br />

del confronto - Auseinandersetzung 46 - con la filosofia<br />

di Hegel, ed in primo luogo proprio con lo Hegel della<br />

Fenomenologia dello spirito. Ed è allora anche in questa<br />

luce - pensando a quanto il lavoro di riflessione su Marx e<br />

sul marxismo di Cesare Luporini sia stato il lavoro di chi ben<br />

sapeva quale era stata la reale grandezza di quella «filosofia<br />

classica tedesca» della quale si era voluto che il proletariato<br />

fosse l’erede - che torna a confermarsi tutta l’importanza<br />

dell’intenso contatto del giovane Luporini con un modo di<br />

filosofare che, mettendo talvolta addirittura mano alle armi<br />

della provocazione, era stato comunque in grado di liberare<br />

dalle macchinosità interpretative della scolastica neocriticistica<br />

quel nucleo fondamentale e radicale di pensiero che, in<br />

Kant, prende forma nella tesi della «naturale disposizione<br />

alla metafisica» da cui l’uomo è affetto.


1C. Luporini, Con Heidegger 1931. 1933.<br />

Alcune riflessioni, oggi, tra filosofia e politica,<br />

in F. Bianco (a cura di), Heidegger in<br />

discussione, Angeli, Milano 1992, pp. 25-49.<br />

In seguito Luporini 1992.<br />

2Luporini 1992, p. 34.<br />

3C. Luporini, Situazione e libertà nell’esistenza<br />

umana, Le Monnier, Firenze 1942; n.<br />

ed. (con altri scritti): Situazione e libertà<br />

nell’esistenza umana e altri scritti, Editori<br />

Riuniti, Roma 1993. In seguito Luporini<br />

[1942] 1993. I rinvii alle pagine sono, ovviamente,<br />

a quest’ultima edizione.<br />

4Luporini [1942] 1993, pp. 13-15; 7-9, 43-44.<br />

5Luporini [1942] 1993, p. 53<br />

6Luporini [1942] 1993, p. 53, n. 1; 56.<br />

7Luporini [1942] 1993, p. 56.<br />

8Luporini [1942] 1993, pp. 93 sgg.<br />

9Luporini [1942] 1993, p. 203.<br />

10Luporini [1942] 1993, pp. 34, 37-38, 39-40.<br />

11Luporini [1942] 1993, pp. 199-206.<br />

12Luporini [1942] 1993, p. 96.<br />

13Ibidem. 14Luporini [1942] 1993, pp. 96-101<br />

15Luporini [1942] 1993, pp. 200-201.<br />

16Luporini [1942] 1993, p. 201.<br />

17Ibidem. 18Luporini [1942] 1993, p. 202.<br />

19Luporini [1942] 1993, p. 203.<br />

20 Ibidem<br />

«Quella<br />

[...] Il 1966 è l’altra data impor-<br />

duplice fedeltà»<br />

tante, nella biografia intellettuale<br />

e politica di Luporini, dopo il<br />

’43-’45.<br />

Allora, dal ’43 in avanti, s’era<br />

trattato di passare al marxismo,<br />

dal precedente esistenzialismo.<br />

E qui si pone una questione a cui<br />

di Sergio Landucci<br />

è inevitabile un cenno. In certe<br />

occasioni, Luporini stesso sembrava<br />

attratto da una considerazione retrospettiva, prevalentemente<br />

continuistica, del suo percorso di pensiero<br />

(quando se le sentiva proporre da altri); mentre in altre<br />

occasioni, e cioè quando ripensava in proprio al suo<br />

percorso, rivendicava non senza una punta d’orgoglio<br />

del tutto legittimo d’aver saputo anche cambiare, non<br />

stare fermo, e di ciò pagando tutti i costi (un giorno, ebbe<br />

a dire di considerare «umiliante per l’umanità» in generale,<br />

supporre che tutti continuino sempre a ripensare le<br />

stesse cose che abbiano pensate una volta). Ora, non c’è<br />

dubbio che, nelle persone serie, gli elementi di continuità<br />

si rintraccino anche nel caso delle rotture eventualmente<br />

le più profonde; ma non perciò può venir sottostimata la<br />

discontinuità, in Luporini, fra l’esistenzialismo ed il<br />

marxismo. E lui stesso non l’ha sottostimata, nella ricostruzione<br />

contenuta in Da «Società» alla polemica sullo<br />

storicismo, dicendovi chiaro e tondo quel che d’altronde<br />

corrisponde alla realtà, se si va a sfogliare quella prima<br />

«Società» fino a rintracciare l’intervento intitolato Rigore<br />

della cultura, al quale ha sempre tenuto moltissimo.<br />

PROFILO<br />

NOTE<br />

21Ibidem 22Ibidem 23Ibidem 24Luporini [1942] 1993, pp. 32-33.<br />

25Luporini [1942] 1993, p. 203.<br />

26Luporini [1942] 1993, p. 206. Il rinvio è a<br />

Kant, KV, B 226-227<br />

27Luporini [1942] 1993, p. 75.<br />

28Ibidem, nota 1.<br />

29Luporini [1942] 1993, p. 75.<br />

30Luporini [1942] 1993, p. 74.<br />

31I. Kant, Kritik der praktischen Vernunft<br />

[1788], hrsg von P. Natorp, in: Kants Gesammelte<br />

Schriften, hrsg von der Königlich<br />

Preußischen Akademie der Wissenschaften,<br />

Band V, Reimer, 1908, pp. 89-106 (Critica<br />

della ragion pratica, trad. di F. Capra, riv. da<br />

E. Garin, Laterza, Bari 1963, pp. 112-134).<br />

32Kant, op. cit., pp. 95-98 (trad. it. cit., p.<br />

119-122).<br />

33Kant, op. cit., pp. 97-98 (trad. it. cit., pp.<br />

122-123)<br />

34Luporini [1942] 1993, p. 68 n. 1.<br />

35I. Kant, Kritik der Urtheilskraft [1790], hrsg<br />

von Wilhelm Windelband, in: Kants Gesammelte<br />

Schriften, hrsg von der Königlich Preußischen<br />

Akademie der Wissenschaften, Band V,<br />

Reimer, 1908, p. 195-197, Anmkg (Critica del<br />

Giudizio, trad. di A. Gargiulo, riv. da V. Verra,<br />

Laterza, Bari 1960, pp. 37-39)<br />

12<br />

36Luporini [1942] 1993, p. 75 n. 1.<br />

37Luporini 1992, p. 40.<br />

38M. Heidegger, Kant und das Problem der<br />

Metaphysik [1929], Frankfurt/M, Vittorio<br />

Klostermann, 1991, pp. 204-246 (Kant e il<br />

problema della metafisica, trad. di M. E.<br />

Reina, riv. da V. Verra, con una Introduzione<br />

di V. Verra, Laterza, Roma-Bari 1981, pp.<br />

178-211).<br />

39Luporini 1992, p. 40.<br />

40Heidegger, op. cit., p. 217 (trad. it. cit., p.<br />

187).<br />

41Luporini 1992, p. 40.<br />

42Heidegger, op. cit.,pp. 188-195 (trad. it. pp.<br />

162-168)<br />

43E. Husserl, Vorlesungen zur Phänomenologie<br />

des inneren Zeitbewußtseins, hrsg<br />

von M. Heidegger [1928], Tübingen, Niemeyer,<br />

1980 ( trad. it. in E. Husserl, Per la<br />

fenomenologia della coscienza interna del<br />

tempo (1893-1917), a cura di A. Marini,<br />

Angeli, Milano 1992.<br />

44M. Heidegger, Sein und Zeit [1927], Tübingen,<br />

Niemeyer, 1963, __ 29, 30, 40, 68 b<br />

(Essere e tempo, a cura di P. Chiodi, UTET,<br />

Torino 1969). Si veda anche M. Heidegger,<br />

Der Begriff der Zeit, hrsg von H. Tietjen,<br />

Tübingen, 1989 (Il concetto di tempo, a cura<br />

di F. Volpi, Gallio, Ferrara 1990).<br />

45Luporini 1992, pp. 37-38.<br />

46Luporini 1992, p. 37.<br />

Vi si trova un attacco all’esistenzialismo (allora, nella<br />

forma sartriana, certo ben più esposta che non quella<br />

heideggeriana, ma, di fatto, allora anche quella largamente<br />

invadente), motivato proprio dal considerarlo,<br />

l’esistenzialismo, come un orientamento adeguato ad un<br />

altro tempo, ormai chiuso, come un’esperienza storica da<br />

cui ci si doveva congedare, perché ora urgeva appropriarsi<br />

degli strumenti concettuali, di concezione generale<br />

ed analitici, forniti appunto dal marxismo. E, anche<br />

a codesto proposito, egli ha esplicitato con piena lucidità<br />

autointerpretativa quanto è dato ricavare dai documenti<br />

- i suoi scritti - pertinenti. In un Convegno sulla sua opera<br />

che si tenne qui a Firenze nell’86, disse che dell’Heidegger<br />

di Essere e tempo non l’avevano convinto proprio le<br />

categorie analitiche, giudicandole selezionate arbitrariamente<br />

(perché proprio quelle, e non altre?), e, comunque,<br />

tutte prive di presa sulla società e la storia. «Mi rimaneva<br />

in mano solo la contrapposizione di “autentico” e “inautentico”,<br />

da reinterpretare...». E infatti, se si va a vedere,<br />

questa contrapposizione era bensì presente in Situazione<br />

e libertà, nell’articolazione stessa delle due Parti, “Il<br />

qualsiasi esistere” e, rispettivamente, “Il genuino esistere”;<br />

ma, questo secondo, interpretato - al contrario che<br />

l’«autentico» in Heidegger - in senso assiologico (secondo<br />

la lezione appresa da Scheler), e, nel contenuto,<br />

attorno al valore della «libertà», come raggiungimento<br />

personale e collettivo. E appunto nel vuoto analitico<br />

constatato nell’esistenzialismo, nell’86 Luporini indicava<br />

la premessa in negativo, diciamo così, per il suo<br />

passaggio al marxismo.


Per quanto lo riguardò, l’appropriazione del marxismo<br />

non fu certo un impegno di lieve entità. Basti notare che<br />

il suo primo intervento teorico, al riguardo, risalirà solo<br />

al 1954 (Marxismo e sociologia: il concetto di formazione<br />

economico-sociale). Nel contempo, s’era dato a grandi<br />

studi di storia della filosofia, consegnati ai volumi<br />

Filosofi vecchi e nuovi. Scheler, Hegel, Kant, Fichte,<br />

Leopardi (1947), La mente di Leonardo (1953), Voltaire<br />

e le ‘Lettres philosophiques’ (1955) e Spazio e materia<br />

in Kant (1961).<br />

La svolta del ’66 - dopo che, nel decennio precedente<br />

aveva proseguito con molti interventi nel quadro del<br />

marxismo (raccolti, poi, in Dialettica e materialismo) -<br />

sarà rappresentata dalla decisione di immergersi “dentro<br />

Marx”, per dissociarlo dai vari “marxismi”, come s’esprimerà<br />

per caratterizzare il lavoro a cui dedicò tutte le<br />

proprie forze nei tre lustri e più che sarebbero seguiti. La<br />

questione fondamentale era dello statuto medesimo da<br />

attribuire alla teoria del Marx maturo: di scienza, e<br />

quindi autofondantesi, per definizione, ovvero di teoria<br />

comunque fondata ancora su una base “filosofica” (in<br />

sostanza, quella antropologica, derivata da Feuerbach,<br />

dominante nei cosiddetti Manoscritti del 1844)? Per<br />

alcuni marxisti, siffatta fondazione rimaneva operante<br />

anche nel seguito (aveva pensato così pur Luporini,<br />

precedentemente); per altri, era da venir recuperata, in<br />

quanto, in ultima analisi, il marxismo sarebbe una “filosofia<br />

dell’uomo” (secondo suonava il titolo d’un noto<br />

libro, allora di Adam Schaff), ché solo ciò le fornirebbe<br />

il “senso” proprio. Per parte sua, Luporini sosteneva ora<br />

che «la rivoluzione teorica prodotta da Marx consiste,<br />

all’opposto, nell’abolizione, attraverso il materialismo<br />

storico, di quella philosophische Grundlage». Ma, naturalmente,<br />

se c’è bisogno di dirlo, il discorso di Luporini<br />

rimaneva (e sarebbe rimasto sempre, nel seguito) “filosofico”,<br />

perché era comunque un discorso “sulla” scienza,<br />

e cioè di secondo livello. Il rifiuto era d’una filosofia<br />

“speculativa”, e cioè con pretese, per l’appunto, fondative.<br />

La contrapposizione, quindi, ad una concezione<br />

arcaica della filosofia, per una concezione all’altezza del<br />

nostro secolo.<br />

Il programma del disoccultamento della «rivoluzione<br />

teorica» realizzata da Marx, in quel momento iniziale<br />

animava anche Althusser, come Luporini riconobbe apertamente.<br />

Ma ben presto Althusser avrebbe intrapreso<br />

quel gioco al massacro, sul Marx della maturità, che<br />

Luporini contrasterà fortemente. Le loro strade, quindi,<br />

si divaricheranno quasi subito. Intanto, però, proprio da<br />

sùbito, c’era un dissenso su un punto fondamentale:<br />

Althusser aveva buttato a mare tutt’insieme<br />

l’«antropologia filosofica» e il cosiddetto umanismo<br />

(marxista). Luporini, invece, distingueva nettamente fra<br />

le due cose; e, dietro la bandiera dell’ “umanismo socialista”,<br />

si rifiutava di vedere solo ideologia: c’erano<br />

problemi ben reali. Non già, s’intende, problemi del tipo<br />

“Che cos’è l’uomo?”, ché «la risposta viene ormai da<br />

particolari scienze empiriche»; bensì il plesso di questioni<br />

relative alla vita reale ed al destino storico dell’umanità,<br />

per le quali era essenziale integrare al marxismo<br />

anche altri risultati scientifici (a cominciare da quelli<br />

provenienti dalla psicoanalisi); ma, il tutto, nella pro-<br />

PROFILO<br />

13<br />

spettiva del rapporto fra i condizionamenti e<br />

l’«autodeterminazione» dei singoli, la quale ultima coinvolge,<br />

evidentemente, la loro interiorità consapevole.<br />

«Non si tratta di una problematica di lusso», diceva<br />

Luporini, non foss’altro che perché «non ha senso parlare<br />

di una coscienza di classe del proletariato e occuparsi<br />

alla sua formazione... all’infuori di siffatta problematica<br />

della interiorità». Donde l’irriducibilità del marxismo<br />

anche ad un qualche “comportamentismo”. Il che ci dice<br />

come il discorso di Luporini fosse “filosofico” perché -<br />

oltre che, comunque, “sulla” scienza di Marx - inoltre<br />

nient’affatto scientistico. Giudicava ben “timidi” quei<br />

sedicenti marxisti che rifiutavano, come pretesa ideologia<br />

borghese, la separazione tra giudizi di fatto e giudizi<br />

di valore; e a Marx rivendicava senz’altro la Wertfreiheit<br />

della scienza. Ma, giustappunto di conseguenza, s’apriva<br />

così una prospettiva - per i valori enunciabili con le<br />

note formulazioni di Marx a proposito del comunismo -<br />

ancorata sì all’analisi del reale, però libera da alcun<br />

preteso, o surrettizio, automatismo del corso storico<br />

stesso (ed era questa una scelta netta, compiuta da<br />

Luporini, fra le non univoche prospettive che, al riguardo,<br />

è dato di ritrovare in Marx).<br />

A parte poi Althusser, per Luporini s’imponeva un<br />

confronto critico con lo strutturalismo, proprio perché il<br />

suo obiettivo principale, a partire dal ’66, era quello<br />

ch’era l’avversario per eccellenza anche dello strutturalismo<br />

medesimo: lo storicismo. Evidentemente, per lui<br />

valeva la regola aurea che avere avversari in comune non<br />

giustifica di confondersi in una sorta di fronte unico,<br />

neppure nella battaglia delle idee. Bisognava dunque<br />

combattere lo storicismo senza tuttavia cedere alle ideologie<br />

strutturalistiche, che, del resto, erano allora nel loro<br />

momento di successo. Tutta l’Introduzione premessa alla<br />

raccolta Dialettica e materialismo, nel ’74, sarà percorsa<br />

da questa esigenza di un’alternativa su due fronti.<br />

Sennonché, il successo dello strutturalismo era un fenomeno<br />

congiunturale, come di fatto si sarebbe rivelato<br />

rapidamente. Invece, lo storicismo era una tendenza di<br />

lunga durata, e profondamente penetrata all’interno del<br />

marxismo (e non soltanto di quello italiano). Era pertanto<br />

da snidare fin dal suo primo affacciarsi (al di là delle<br />

etichettature filosofiche di scuola), e proprio all’interno<br />

del marxismo: precisamente nell’anno 1859, nientemeno,<br />

con la recensione di Engels al Per la critica dell’economia<br />

politica. A mostrare come ne risultasse un «completo<br />

stravolgimento», rispetto al modo di procedere di<br />

Marx sia nel Per la critica sia nel Capitale - ed il rovescio<br />

letterale di quanto quegli aveva teorizzato anche esplicitamente<br />

- Luporini si dava con puntigliosità e reiteratamente.<br />

Ma ne aveva ben donde: l’assunto di Engels s’era<br />

infatti trasformato in una communis opinio, i cui sostenitori<br />

si ritrovavano un po’ dappertutto (per esempio,<br />

dall’economista polacco Oskar Lange allo storico italiano<br />

Emilio Sereni). Certo, l’indagine di Marx era condotta<br />

sulla base di materiali storici, ma - asseriva Luporini<br />

- «non più ‘storici’ di quelli che si presentano, per<br />

esempio, al fisico, o al linguista, ecc. »; ché, in questo<br />

senso, “storico” è sinonimo di “empirico”. E una costruzione<br />

sistematica è irriducibile, per definizione, ai suoi<br />

materiali; così come, nella realtà, nessuna forma o strut-


tura è riducibile ai suoi elementi (lo sapeva bene già<br />

Aristotele).<br />

Il livello della sistematicità è, naturalmente, quanto mai<br />

vario, fra le diverse scienze. Si può giungere fino ad una<br />

neutralizzazione della storicità (avviene nelle scienze<br />

maggiormente ‘astratte’, come le si dicono); ma è soltanto<br />

illusorio il procedimento inverso - rilevava Luporini -<br />

e cioè il tentativo di «neutralizzare o obliterare il momento<br />

sistematico, allo scopo di isolare l’elemento individuale,<br />

singolare, puntuale», come sarebbe il mero evento<br />

o accadimento (pretesa - va detto - che dipoi è ridiventata<br />

semmai ancor più imperversante che non allorché egli<br />

scriveva queste parole).<br />

Quanto alla collocazione del Capitale, rispetto a quest’arco<br />

di possibilità, Luporini riconosceva senza esitazioni<br />

che, intrecciate alla costruzione sistematica astratta<br />

(«genetico-formale», la chiamava), vi si trovano inserzioni<br />

«genetico-storiche», d’altronde ben note, ma necessarie<br />

per la costruzione stessa di quel modello; e vi si<br />

trovano così anche elementi per una ricostruzione della<br />

transizione dal modo di produzione feudale. Qui, ovviamente,<br />

“storico” non è più sinonimo di “empirico” né di<br />

“evento singolare”, ma ha il senso - modernamente<br />

classico - di sviluppo dinamico, nel caso specifico affidato<br />

principalmente (secondo la tesi marxiana) all’incremento<br />

delle cosiddette forze produttive. Sennonché, se<br />

avessero ragione Engels o Sereni, il Capitale dovrebbe<br />

procedere con andamento appunto diacronico, ancorché<br />

essenzializzato, e muovere quindi dal feudalesimo. lnvece,<br />

l’avvio del Capitale non è affatto il feudalesimo,<br />

bensì (in quella la sezione che più di qualsiasi altra diede<br />

da fare a Marx) la “forma” della “merce”; e, attraverso le<br />

peripezie teoriche che ne risultano, con lo “scambio” ed<br />

il “denaro”, il modello che ne vien fuori è quello -<br />

soltanto ideale - di un’economia puramente “mercantile”,<br />

che, in quanto tale, non è mai esistita, di fatto, come<br />

«epoca» della formazione economica della società (e<br />

difatti Marx non ve la comprendeva allorché le poneva<br />

nella successione di “asiatica”, schiavistica, feudale e<br />

capitalistica). Per contrasto, vien da pensare a quegli<br />

slogans, che oggi ricorrono (Gianni Agnelli, in testa),<br />

onde questo sistema in cui viviamo non si dovrebbe<br />

denominare più neppure “capitalistico”, bensì, giustappunto,<br />

“del libero mercato”!<br />

Marx aveva sostenuto che, storicamente, la comparsa del<br />

prodotto come “merce” richiede una divisione del lavoro<br />

sviluppata al punto che sia compiuta quella separazione,<br />

fra valore d’uso e valore di scambio, che nel commercio<br />

di permuta diretta ha solo il suo embrione; ma ancora ben<br />

al di qua di quella mercificazione di tutti (o quasi) i<br />

prodotti che invece sarà propria del modo di produzione<br />

capitalistico. Commentava Marx: «Tale grado di sviluppo»,<br />

intermedio fra i due estremi indicati, «è però comune<br />

a formazioni socio- economiche storicamente diversissime».<br />

E Luporini postillava: così «è espressa in<br />

maniera lampante la necessità della componente storicogenetica<br />

per la costruzione del modello dell’economia<br />

capitalistica [“capitalistica”, si noti bene, e non semplicemente<br />

“mercantile”], e insieme il suo carattere di<br />

“variabile entro certi limiti”». Ma, a sua volta, è anche<br />

lampante perché proprio questo punto, e cioè il riferi-<br />

PROFILO<br />

14<br />

mento alla storia reale come a variabile, attraesse tanto<br />

Luporini: in alternativa a quell’evoluzionismo, o necessitarismo,<br />

nella rappresentazione del cosiddetto sviluppo<br />

storico, ch’era stato il tratto caratteristico di tutti i<br />

dogmatismi, entro il marxismo. Il nucleo, insieme teorico<br />

e politico, che si trattava di contrastare, era dunque<br />

l’assunzione d’un percorso uniforme dell’umanità, a<br />

tappe obbligate.<br />

Dei grossi saggi di Luporini «dentro Marx», solo i primi<br />

due (Realtà e storicità: economia e dialettica nel marxismo<br />

e Marx secondo Marx) fecero in tempo ad essere<br />

inclusi in Dialettica e materialismo. Verso l’80 l’editore<br />

Einaudi annunciava come prossimo un volume di <strong>Studi</strong><br />

su Marx, di Luporini, destinato a raccogliere gli altri,<br />

successivi, e che avrebbe dovuto trarre il titolo da uno di<br />

essi: Critica della politica e critica dell’economia politica<br />

(gli altri sarebbero stati, presumibilmente, La logica<br />

specifica dell’oggetto specifico e Per l’interpretazione<br />

della categoria “formazione economico-sociale”. Però,<br />

di quel volume, non ne fu di nulla.<br />

[...] L’oggi, ancora una volta diverso, che è il nostro,<br />

anche Luporini ha fatto in tempo a vederlo, assumendo<br />

- nell’89-’90 - le posizioni che sono rimaste (è da supporre)<br />

nella memoria di tutti; ed inoltre portando il segno<br />

della sua attenzione vigile sui fenomeni che dipoi si<br />

sarebbero ingigantiti. [...]. Relativamente a Marx, nell’ultimo<br />

ritorno su di lui, Luporini segnalerà soprattutto<br />

due questioni, che, negli studi precedenti, a cui s’è<br />

accennato, non comparivano ancora. Per un verso, riconoscerà<br />

pure, ora, come, sul punto del passaggio al<br />

socialismo ed al comunismo, anche Marx fosse rimasto<br />

ben più evoluzionista di quanto neanche lontanamente<br />

consenta invece tutta l’esperienza storica del nostro<br />

secolo (ciò, anche perché partecipava di quel determinismo<br />

che improntava ancora l’epistemologia corrente ai<br />

suoi tempi). Per un altro verso, la questione nuova e<br />

sempre più dirompente veniva indicata da Luporini - al<br />

di là anche dell’eventualità di catastrofi immediatamente<br />

cruente - nella questione ambientale (e demografica).<br />

Marx, dirà allora, considerava intollerabile il dominio<br />

dell’uomo sull’uomo, però, quanto al dominio dell’uomo<br />

sulla natura, partecipava alle prospettive generali del<br />

suo tempo (e, si può aggiungere, di tutta quanta quella<br />

che chiamiamo la modernità) su uno sfruttamento illimitato<br />

delle risorse naturali ed un incremento indefinito<br />

della produzione. In questi ultimi interventi, dunque,<br />

Luporini si collocava «con un piede dentro Marx, ed uno<br />

fuori». Ma, ciò, proprio per sostenere quello che chiamava<br />

l’«orizzonte del comunismo».


Diretto da Nunzio Incardona, l’Istituto di Filosofia<br />

costituisce, con l’Istituto di Storia della Filosofia e<br />

l’Istituto di Teoria e Storia delle idee, una delle tre<br />

sedi deputate all’insegnamento del pensiero filosofico nell’ateneo<br />

palermitano. Carattere principale di questo centro<br />

è il forte impegno teoretico e la fisionomia unitaria delle<br />

varie direzioni di ricerca che agiscono al suo interno.<br />

Allievo di M. F. Sciacca, Incardona, partendo dall’esperienza<br />

teorica dello spiritualismo di matrice rosminiana,<br />

ha sviluppato il proprio pensiero in direzione di un’indagine<br />

sul principio e sui fondamenti metafisici del pensiero<br />

occidentale. Una riflessione, dunque, che si muove<br />

all’interno delle grandi posizioni della metafisica classica,<br />

e che ha contribuito in modo profondo a determinare<br />

l’area di riflessione e di ricerca dell’Istituto. Questi motivi<br />

teoretici informano di sé tanto gli insegnamenti, quanto le<br />

direttrici stesse della ricerca dei differenti componenti l’Istituto.<br />

La sensazione che si ha fin dall’inizio del lavoro teorico<br />

all’Istituto è difatti quella di<br />

una vera e propria struttura<br />

di scuola, in cui la plurivocità<br />

e la molteplicità degli interessi<br />

specifici trova il proprio<br />

baricentro in un motivo<br />

filosofico comune.<br />

Utilizzando la tradizione<br />

metafisica per affrontare ab<br />

imis il problema dell’arché,<br />

Incardona rileva come il<br />

pensiero filosofico possa<br />

essere, nella sua radicalità<br />

originaria, intrinsecamente<br />

esaurito e compiuto in sé<br />

fin dalle sue prime battute.<br />

Tale prospettiva teoretica<br />

condiziona in tal modo la<br />

scelta degli autori la cui<br />

opera viene privilegiata nel<br />

curriculum degli studi; Aristotele<br />

ed Hegel, considerati<br />

come i due poli attraverso<br />

cui si articola l’intero pensiero filosofico occidentale,<br />

costituiscono in particolare l’effettivo baricentro dei<br />

programmi dei corsi. Significativa è altresì la presenza di<br />

Kant e soprattutto di Platone; assai importante è d’altra parte<br />

la presenza dell’intero pensiero greco delle origini, in cui la<br />

tematica dell’arché, sviluppata da Incardona, riconosce la<br />

fondamentalità della riflessione filosofica occidentale. Tale<br />

caratteristica, se rende talvolta l’Istituto, nella sua struttura<br />

didattica, ripiegato su se stesso e sui suoi autori privilegiati,<br />

ne costituisce al contempo la peculiare vitalità teoretica, che<br />

lo rende un significativo punto di riferimento per una vasta<br />

parte del milieu filosofico a livello non solo nazionale.<br />

Le linee filosofiche indicate da Incardona ispirano in<br />

misura decisiva le tematiche investigative dei diversi<br />

docenti dell’Istituto, che si affiancano a Incardona e che<br />

ne sono allievi. Giuseppe Nicolaci ha sviluppato la propria<br />

ricerca nel senso di una tematizzazione del contemporaneo.<br />

Rivolgendosi alla dimensione linguistica che,<br />

da Aristotele in poi, egli considera essere parte integrante<br />

della tradizione e del pensiero metafisici, Nicolaci ha orien-<br />

SCHEDA<br />

I luoghi della filosofia<br />

L’Istituto di Filosofia<br />

di Palermo<br />

di Luca M. Scarantino<br />

15<br />

tato i suoi interessi verso un’analisi della presenza di tale<br />

originaria impostazione metafisica nella riflessione etica e<br />

linguistica moderna, fino alla scuola analitica. Muovendo<br />

da una concezione del pensiero contemporaneo come una<br />

feconda crisi della tradizione della metafisica classica,<br />

Nicolaci ha così contribuito a introdurre all’interno dell’Istituto<br />

l’opera di autori come Heidegger, Wittgenstein, Hare,<br />

Austin. La sua riflessione investe dunque il rapporto tra<br />

metafisica e dimensione linguistica, mostrando come, anche<br />

alla luce dell’apporto della riflessione contemporanea,<br />

tale interazione abbia condizionato il formarsi e il determinarsi<br />

della struttura della conoscenza morale.<br />

Più legata ad un’analisi di tipo storiografico appare<br />

l’opera del medievista Alessandro Musco, i cui interessi<br />

gravitano verso la tradizione mistico-metafisica e le<br />

origini del pensiero medievale; un campo di ricerca,<br />

questo, che sembra poter coagulare attorno a sé una<br />

rinnovata tradizione di studi arabi ed ebraici. L’arabistica,<br />

presente all’Istituto con Giu-<br />

seppe Roccaro, vanta del resto<br />

una solida tradizione a<br />

Palermo, e sembra poter contribuire<br />

a consolidare e sviluppare<br />

la presenza degli studi<br />

medievali tra le direzioni<br />

di ricerca dell’Istituto.<br />

A Incardona fanno diretto<br />

riferimento anche i ricercatori<br />

dell’Istituto. L’approfondimento<br />

del pensiero di<br />

Gorgia e Aristotele si deve<br />

a E. Caramuta; l’interesse<br />

per Heidegger e Ricoeur è<br />

sviluppato invece da A. M.<br />

Treppiedi, mentre della dialettica<br />

hegeliana si occupa<br />

G. Tagliavia. La riflessione<br />

politologica è terreno di<br />

ricerca di M. Corselli; quella<br />

estetica, con particolare<br />

attenzione al momento letterario<br />

e al periodo romantico, di S. Lo Bue. L. Di<br />

Bartolo, attraverso la sua attività di ricerca presso la<br />

Sorbona, contribuisce ad un rafforzamento dei legami<br />

dell’Istituto con l’ambiente accademico francese.<br />

L’attività scientifica e convegnistica dell’Istituto si accompagna<br />

alla pubblicazione della rivista «Giornale di<br />

Metafisica», che da una decina di anni organizza gli<br />

annuali “Incontri del Giornale di Metafisica”, dedicati ad<br />

aspetti di volta in volta diversi della tradizione metafisica.<br />

Dal primo incontro, tenutosi nel 1983 a Genova,<br />

l’iniziativa ha via via assunto un’importanza sempre<br />

maggiore, divenendo occasione di confronto e di dibattito<br />

per quel versante della tradizione filosofica italiana<br />

che si riconosce in un pensiero a carattere trascendente,<br />

con una rilevante componente spiritualistica.<br />

Particolarmente significativa è pure l’attività di collaborazione<br />

con il Centro Internazionale “Giovanni Gentile”<br />

di Castelvetrano, con il quale viene annualmente organizzato<br />

un Convegno internazionale, dedicato al pensiero<br />

del fondatore dell’attualismo.


AUTORI E IDEE<br />

William Blake, The Creation of Eve (1808, particolare)<br />

16


Le ‘letture’ di Ricoeur<br />

Paul Ricoeur, oggi ottantunenne, non<br />

ha mai smesso di far dialogare il discorso<br />

filosofico con il suo altro. Ne è una<br />

testimonianza la serie dei volumi, pubblicati<br />

a partire dal 1991 con il titolo<br />

‘Lectures’ (Letture), che raccolgono suoi<br />

scritti sparsi. L’ultimo volume, LECTURES<br />

III, AUX FRONTIÈRES DE LA PHILOSOPHIE, (Letture<br />

III, Alle frontiere della filosofia, Seuil,<br />

Parigi 1994), è incentrato sul rapporto<br />

di Ricoeur con i testi che stanno a fondamento<br />

delle grandi religioni. Da segnalare<br />

anche, in questo contesto, una<br />

monografia critica di Olivier Mongin sul<br />

pensiero e l’opera di Ricoeur: PAUL RICO-<br />

EUR (Seuil, Parigi 1994), che rintraccia<br />

una linea di continuità tra le prime e le<br />

ultime opere del filosofo.<br />

Dopo Lectures I, Autour du politique (Letture<br />

I, Intorno al politico, 1991) e Lectures II,<br />

La Contrée desphilosophes (Letture II, La<br />

contrada dei filosofi, 1992), quest’ultima<br />

raccolta, Lectures III, Aux frontières de la<br />

philosophie, mostra come Paul Ricoeur,<br />

erede della filosofia husserliana e dei filosofi<br />

dell’esistenza (G. Marcel, K. Jaspers), abbia<br />

dialogato non solo con la linguistica, la psicoanalisi<br />

e la letteratura, ma anche con la fenomenologia<br />

della religione e l’esegesi biblica.<br />

L’opera si presenta divisa in tre sezioni: la<br />

prima verte sulla religione come fenomeno<br />

sociale e culturale; la seconda affronta il<br />

problema del male; la terza è dedicata all’esegesi<br />

biblica.<br />

Ricoeur parte dalla constatazione che la figura<br />

del religioso non è presente in forma<br />

universale, dal momento che vi sono una<br />

pluralità di comunità religiose e di testi fondatori.<br />

Ad esempio nel Talmud, osserva<br />

Ricoeur, la lettura ebraica del Vecchio Testamento<br />

dimostra che i modi di leggere<br />

questo testo (dove un rabbino risponde ad un<br />

altro, suscitando la discussione) sono al tempo<br />

stesso atti interpretativi. Il Cristianesimo<br />

ha poi conferito pluralità all’origine, dal<br />

momento che si hanno quattro Vangeli per<br />

raccontare e interpretare la vita e la passione<br />

di Cristo. Il pluralismo del fenomeno religioso,<br />

secondo Ricoeur, è dovuto al carattere<br />

insondabile del mistero, ovvero al fatto che<br />

c’è sempre una riserva di senso che sfugge.<br />

AUTORI E IDEE<br />

AUTORI E IDEE<br />

Fatta eccezione per l’Islam, in cui non vi è<br />

alcuna distanza tra Dio, Maometto e il Corano,<br />

poiché Dio parla in Arabo per bocca di<br />

Maometto, nelle altre grandi religioni vi è<br />

sempre uno scarto tra l’origine della parola e<br />

la sua espressione umana; ed è proprio questo<br />

iato che crea uno spazio originario di<br />

interpretazione.<br />

Ma è la problematica del male che funge da<br />

frontiera tra filosofia e religione; esso costituisce<br />

una sfida per entrambi gli ambiti. La<br />

filosofia ha fatto nei secoli vari tentativi per<br />

impossessarsene, elaborando varie teodicee;<br />

laddove però non riesce a dimostrare che il<br />

male è necessario per l’esistenza del bene, il<br />

problema del male diventa una questione di<br />

tipo etico-politico: non si tratta più di indagare<br />

da dove viene il male, ma di cercare di<br />

delimitarlo. Nella prospettiva religiosa ebraico-cristiana<br />

il problema del male rimane un<br />

mistero: non si tratta di razionalizzarlo, ma di<br />

vivere nella tensione estrema tra lo scandalo<br />

del male, da un lato, e la riconoscenza di tutto<br />

ciò che appare come dono, dall’altro. Grazie<br />

appunto a quel che Ricoeur chiama “economia<br />

del dono”, il Cristianesimo mantiene un<br />

legame stretto con l’esigenza etica. Affinché<br />

si possa parlare di responsabilità, il pensiero<br />

etico, secondo Ricoeur, postula l’esistenza<br />

di un soggetto, ma non di un soggetto automono<br />

e trasparente a se stesso: un se stesso<br />

“come un altro”. Proprio questa idea di una<br />

soggettività attraversata da una alterità si<br />

ritrova, sostiene Ricoeur, nella trascendenza<br />

del dono della Parola. «Io vedo il Cristianesimo<br />

come un “grande Codice” - afferma<br />

Ricoeur; situarmi nel cristianesimo è situarmi<br />

in un grande insieme simbolico di cui non<br />

sono l’origine». L’ermeneutica biblica permette<br />

così di articolare questo rapporto dei<br />

segni con la soggettività individuale che è<br />

alla base della polisemia del testo.<br />

Contro coloro che attuano una netta separazione<br />

tra gli scritti iniziali di Ricoeur e i<br />

lavori del periodo propriamente ermeneutico,<br />

nella sua monografia dedicata al filosofo<br />

Olivier Mongin sostiene una fondamentale<br />

continuità tra questi scritti, mostrando come<br />

gli stessi interrogativi percorrano le pur varie<br />

e differenti riflessioni del filosofo. In questo,<br />

Mongin non trascura il carattere “poliglotta”<br />

del pensiero di Ricoeur, che dopo gli anni ’60<br />

interloquisce con filosofi di formazione anglosassone<br />

e con autori tedeschi. A.M.<br />

17<br />

Le prove dell’esistenza di Dio<br />

Dimostrare l’esistenza di Dio non rappresenta<br />

uno fra i tanti problemi di cui<br />

si occupa la storia della filosofia, ma il<br />

problema fondamentale in cui si esprime<br />

la questione del rapporto tra essere<br />

e pensiero, nonché quella relativa<br />

alle modalità di quest’ultimo, in quanto<br />

procedura razionale. Questo è ciò<br />

che emerge dal terzo e ultimo volume<br />

dell’opera di Wilhelm Weischedel, IL<br />

DIO DEI FILOSOFI (trad. it. a cura di L.<br />

Mauro, Il Melangolo, Genova 1994),<br />

che conclude la ricerca dell’autore dedicata<br />

all’esprimibilità filosofica dell’esistenza<br />

di Dio, e dal saggio di Emanuela<br />

Scribano, L’ESISTENZA DI DIO. STO-<br />

RIA DELLA PROVA ONTOLOGICA DA DESCARTES<br />

A KANT (Laterza, Roma-Bari 1994), che<br />

attraverso le vicende della prova ontologica<br />

mette a fuoco l’evoluzione dello<br />

strumento razionale nel suo rapporto<br />

con le modalità temporali, cioè con le<br />

condizioni attraverso le quali viene<br />

definita l’esistenza.<br />

La ricostruzione documentata e, su molti<br />

punti, decisiva delle vicissitudini della prova<br />

ontologica, offerta da Emanuela Scribano,<br />

non si limita a un’analisi di tipo<br />

storiografico. Le tematiche che vengono<br />

messe in campo, e le stesse assunzioni che<br />

guidano la ricerca, rivestono infatti un carattere<br />

prettamente teoretico, e trascendono<br />

criteri e periodo storico qui considerati,<br />

investendo, invece, la questione ontologica<br />

e gnoseologica relativa a possibilità e<br />

modalità di espressione dell’essere da parte<br />

del pensiero, e di quella - conseguente -<br />

dello strutturarsi dei due poli nella loro<br />

relazione.<br />

Al di là di una contrapposizione tanto radicata<br />

nella tradizione quanto apparente, la<br />

relazione che è storicamente intercorsa tra<br />

prova a priori (l’argomento ontologico di<br />

origine anselmiana) e prova a posteriori<br />

(l’argomentazione causale, rintracciabile<br />

in Tommaso) mette in luce, secondo Scribano,<br />

una solidarietà che può spiegare la<br />

fortuna dell’una e dell’altra e, insieme,<br />

l’evolversi del loro rapporto in base al<br />

mutamento delle modalità logiche e temporali<br />

di determinazione del concetto di


esistenza. Dal punto di vista storiografico,<br />

sostiene Scribano, quella che per Kant è la<br />

dimostrazione ontologica dell’esistenza di<br />

Dio equivale all’argomentazione a priori<br />

esposta da Descartes nelle Meditazioni;<br />

quest’ultima, a sua volta, rinvia però alla<br />

dimostrazione causale (cioè aprioristica)<br />

di Tommaso, almeno quanto l’argomento<br />

a priori di Anselmo.<br />

Di fatto, nell’età moderna, di cui, quasi<br />

convenzionalmente, Descartes rappresenta<br />

il campione filosofico, si realizza un<br />

diverso modo di concepire la predicazione<br />

di esistenza e, con esso, una diversa concezione<br />

della sua dimostrabilità. In questo<br />

senso, ben prima di quanto non sia accaduto<br />

con l’attenzione mostrata dalla riflessione<br />

novecentesca, la questione onto-teologica<br />

si mostra come la sede più adeguata<br />

delle questioni filosofiche relative all’esprimibilità<br />

dell’esistente. Iuxta le esplicite<br />

dichiarazioni di Descartes e di Kant in<br />

proposito, l’argomento ontologico appare,<br />

in rapporto a quello cosmologico, come<br />

l’unico in grado di dimostrare l’esistenza di<br />

Dio, così come quest’ultimo viene concepito<br />

dalla tradizione cristiana: un essere<br />

dotato di identità personale, infinito e creatore,<br />

e non solo principio cosmologico<br />

dell’universo.<br />

In origine, nell’argomento ontologico di<br />

Anselmo, entrano in gioco soltanto modalità<br />

“logiche” di definizione dell’esistenza:<br />

è impossibile, in quanto contraddittorio,<br />

che un ente, di cui non si può pensare il<br />

maggiore (come nel caso di Dio), non esista<br />

nella realtà. L’argomentazione ontologica<br />

di Descartes si appropria del punto di<br />

forza dell’argomento cosmologico, ovvero<br />

del concetto temporale di necessità: è possibile<br />

ciò che si realizza almeno una volta,<br />

impossibile ciò che non si realizza mai,<br />

necessario ciò che si realizza sempre. Kant,<br />

che nella ricostruzione di Scribano rappresenta<br />

non solo il punto d’arrivo storiografico,<br />

ma la sintesi teoretica dell’evolversi<br />

della prova ontologica - e, con essa, dei<br />

tentativi di “dimostrare” in generale l’esistenza<br />

di un ente - ha il merito «di avere<br />

ricostruito la logica dell’innesto dell’argomento<br />

ontologico nel corpo dell’argomento<br />

cosmologico, e di averla per primo raccontata».<br />

La confutazione kantiana della<br />

prova cosmologica nella sua versione leibniziana,<br />

osserva Scribano, ha forza proprio<br />

e solo in quanto essa rifiuta, nel contesto<br />

della critica della prova ontologica, la possibilità<br />

di un’esistenza logicamente necessaria,<br />

cioè la possibilità di dedurre l’esistenza<br />

da un concetto. Con ciò viene però<br />

negata la legittimità non solo della teologia<br />

moderna, ma anche della metafisica; dell’una<br />

e dell’altra, conclude Scribano, a partire<br />

dall’evoluzione, in età moderna, della<br />

prova ontologica, risultano così dimostrate<br />

la contemporaneità e la solidarietà consustanziali<br />

e la comune problematicità.<br />

Dalla questione della dimostrabilità dell’esistenza<br />

di Dio prende le mosse anche<br />

Wilhelm Weischedel nell’ultimo volume,<br />

AUTORI E IDEE<br />

il terzo, della sua celebre e ponderosa opera,<br />

Il dio dei filosofi, che intende anzitutto<br />

mettere a fuoco la riflessione filosofica -<br />

nonché quella teologica, nelle sue valenze<br />

filosofiche - dedicata al “problema di Dio”<br />

nel panorama del pensiero novecentesco.<br />

Se non è possibile regredire al di là dei<br />

limiti imposti dagli esiti della riflessione<br />

kantiana, osserva Weischedel, allora dobbiamo<br />

da un lato ripensare la possibilità di<br />

dimostrare l’esistenza di un ente in quanto<br />

tale e di quello che era concepito come<br />

l’ente sommo, nonché ens entium, dall’altro<br />

sollevare l’esigenza - non intendendo<br />

rinunciare a utilizzare lo strumento razionale,<br />

ovvero quello linguistico, per avvicinarsi<br />

a Dio - di definire altre modalità di<br />

“dimostrazione”, ovvero di “prove” dell’esistenza<br />

del divino, così come la tradizione<br />

teologica cristiana lo ha concepito.<br />

Per ciò che concerne il primo aspetto, Aristotele<br />

ritorna ancora una volta in primo<br />

piano, per Weischedel, come colui che<br />

definisce la metafisica, ovvero il “sapere<br />

primo”, come scienza dell’essente in quanto<br />

tale (on he on), dell’essente in totalità<br />

(katholou) e della “parte più nobile” dell’essente<br />

medesimo (timiotaton ghenos).<br />

In tale articolazione, come ha mostrato<br />

Heidegger, la metafisica si configura come<br />

onto-teo-logia, e il problema dell’essere di<br />

Dio diventa quello dell’essere dell’ente,<br />

nonché dell’essere del mondo, in quanto<br />

totalità dell’ente.<br />

Il secondo aspetto del problema analizzato<br />

da Weischedel riguardo alla questione della<br />

dimostrazione dell’esistenza di Dio (e,<br />

conseguentemente, quella dell’esistenza del<br />

mondo) rappresenta il motivo più caratteristico<br />

all’interno del dibattito teologico novecentesco.<br />

Stando alla ricostruzione di<br />

Weischedel, esso non fa che confermare,<br />

nella molteplicità delle voci che tentano di<br />

rintracciare un’autorità razionale per la fede,<br />

i termini del problema così come lo aveva<br />

circoscritto Kant. Ogni concetto su Dio, in<br />

altri termini, presuppone un’esperienza che<br />

va al di là dei parametri in qualunque modo<br />

fissati per l’argomentazione razionale; la<br />

pretesa di dimostrare questo presupposto si<br />

configura, dunque, come una sorta di circolo<br />

vizioso, orientato all’impossibile tentativo<br />

di uscire dai limiti imposti dalla nostra<br />

condizione di esseri finiti. F.C.<br />

Budda e il buddismo<br />

In un’epoca materialista e consumistica<br />

come la nostra, la pubblicazione<br />

di scritti come BUDDA (Tea Corbaccio,<br />

Milano 1993), di Herman Oldenberg,<br />

che ripercorre la vicenda storico di<br />

Budda, e LE VIE DEL BUDDHA (Sansoni,<br />

Firenze 1994), di Chodzin Kohn, che<br />

affronta la filosofia buddista centrata<br />

sulla meditazione, rappresenta una<br />

sfida e un appello al confronto.<br />

18<br />

Nel suo studio, Herman Oldenberg propone<br />

un Budda umano, fornendo una chiave<br />

di lettura della coscienza buddista sia<br />

sul piano teorico, che su quello pratico. Il<br />

Budda descritto dall’autore è un uomo<br />

comune, non esente da dubbi, paure, conflitti;<br />

la differenza è una grande ricchezza<br />

interiore, accompagnata da un’irrefrenabile<br />

sete di sapere, che lo conducono ad<br />

abbandonare ogni bene materiale per inoltrarsi<br />

nell’arduo cammino della povertà<br />

verso una verità che coinvolge e illumina<br />

tutto il suo essere. Non il male, ma il bene;<br />

non l’egoismo, ma l’altruismo sono le<br />

qualità con cui Budda affronta se stesso,<br />

gli altri e il significato dell’esistenza.<br />

Oldenberg tratta del personaggio Budda in<br />

forma narrativa, cogliendo somiglianze tra il<br />

Dio Budda e Cristo, maestro di una francescana<br />

partecipazione al dolore degli altri, ma<br />

anche predicatore del distacco dal mondo.<br />

Chodzin Kohn approfondisce invece la<br />

religione buddista come prassi di vita,<br />

aprendo un confronto con l’Occidente. La<br />

meditazione come fonte di sapere, accompagnata<br />

dallo yoga, sono elementi che<br />

nella filosofia orientale rappresentano la<br />

via verso il sublime, la salvezza: una salvezza<br />

che si compie nella pratica costante<br />

di esercizi spirituali atti a purificare l’essere.<br />

Queste tecniche Kohn le descrive come<br />

insegnamenti base per il raggiungimento<br />

della saggezza e della moralità, che coincidono<br />

con una retta visione del mondo e<br />

un retto agire.<br />

Se per gli occidentali l’adesione alla dottrina<br />

cristiana si risolve con un atto di fede,<br />

i buddisti sono accolti dalla comunità solo<br />

in virtù di un’assoluta rinuncia a qualsiasi<br />

bene terreno, in totale armonia con la natura.<br />

Riti, esercizi sacri, penitenze si configurano<br />

in un’unità, in una fusione tra individuo<br />

e collettività, che non lascia spazio<br />

ad alcuna differenza. La diversità viene<br />

soppressa al suo sorgere; l’individuo assume<br />

significato in nome di una totalità più<br />

grande di lui e la consapevolezza di questa<br />

dimensione umana conduce a non affrontare<br />

in prima persona la vita, ma a lasciarsi<br />

guidare dalla forza della natura, del divino.<br />

L’ascolto di se stessi e della vita appartiene<br />

alla saggezza buddista, e di questo<br />

Kohn si fa testimone, interpretando l’esistenza<br />

come un lungo viaggio verso la<br />

liberazione totale.<br />

In questo contesto segnaliamo l’avvio in<br />

Italia di un programma di studi e pratica di<br />

meditazione, lo “Schambhala Training”,<br />

creato nel 1977 dal lama tibetano ven.<br />

Chögyam Trungpa Rinpoche, che ha<br />

ripreso la tradizione Shambhala della società<br />

illuminata dell’essere “guerriero” in<br />

una visione laica dello sviluppo dell’uomo,<br />

che prescinde quindi dall’appartenenza<br />

a qualsiasi religione. Nel 1968 Trungpa<br />

Rinpoche, che ha dedicato la sua vita allo<br />

studio del buddismo tibetano e alla sua<br />

diffusione in Occidente, fonda in Scozia<br />

un primo centro di buddismo tibetano, il<br />

Samye Ling. Successivamente fonda vari


altri centri nel Nord-America, tra i quali<br />

un’università, il Naropa Institute, nel 1974<br />

e, appunto, lo Shambhala Training, nel<br />

1977, che attualmente è presente negli<br />

Stati Uniti, in Canada, in Cile, in Australia<br />

e in Europa; in italiano è presentato a<br />

Lugano (Svizzera) e a Milano.<br />

Scopo di Trungpa Rinpoche è stato quello<br />

di creare nel mondo una “società illuminata”<br />

che, mediante l’unione della<br />

visione spirituale e della praticità, consentisse<br />

il “risveglio” degli uomini per<br />

indirizzarli ad una attività sociale benefica,<br />

fondata sulla compassione di tutti<br />

gli esseri sensibili, che instaura la visione<br />

Shambhala. A questo scopo ha provveduto<br />

la creazione di tre indirizzi spirituali,<br />

che rappresentando altrettante “porte”<br />

di accesso al Mandala di questa società<br />

illuminata cioè il “Vajradhatu”, la<br />

“Nalanda” e lo “Schambhala Training”. Il<br />

“Vajradhatu” riguarda la porta buddista<br />

del Mandala Schambhala e avvia allo studio<br />

della dottrina buddista e alla pratica<br />

della meditazione. La porta “Nalanda”,<br />

che ha preso questo nome da una famosa<br />

università indiana dell’XI secolo, è costituita<br />

da diverse organizzazioni che hanno<br />

lo scopo di diffondere le pratiche di discipline<br />

contemplative intese come diversi<br />

sentieri per riscoprire la”bellezza”, la “sensibilità”<br />

e l’”eleganza”. Alcune di queste<br />

organizzazioni sono Naropa Institute, Kyudo,<br />

Ikebana, Mudra Space Awareness Training,<br />

Maitri Space Awareness e il Comitato<br />

di Traduzione Nalanda. Infine, lo<br />

“Schambhala Training” presenta un programma<br />

di studio e una pratica di meditazione,<br />

dotati di un risvolto secolare,<br />

più che religioso, in quanto si propone di<br />

indicare agli uomini il sentiero del “guerriero”<br />

nella vita quotidiana, nella quale<br />

la paura non deve essere considerata<br />

solo come un grande impedimento, ma<br />

anche come un modo per conoscere più<br />

profondamente se stessi. In questa prospettiva<br />

diventa possibile affrontare con<br />

fiducia quelle paure che ostacolano la<br />

capacità di realizzare totalmente il proprio<br />

essere uomo, edificando così la società<br />

illuminata.<br />

Dopo la morte nel 1987 di Chögyam Trungpa<br />

Rinpoche il suo primogenito, Sawang<br />

Ösel Rangdröl Mukpo, ha continuato l’attività<br />

del padre, dirigendo dal 1990 il Mandala<br />

Schambhala.<br />

La diffusione della visione dello Shambhala<br />

assume una notevole importanza in quanto<br />

non si esaurisce in una pratica contemplativa<br />

di fruizione puramente individuale,<br />

isolata dal resto del mondo, ma s’impone<br />

per la sua volontà di inseririsi nel mondo<br />

con lo scopo di originare un’azione collettiva<br />

positiva che, partendo dalla espansione<br />

delle potenzialità soggettive, sfoci nell’instaurazione<br />

di una società gioiosa, “gentile”<br />

e sana. Nei primi mesi del 1995 è<br />

previsto a Milano il Livello I dello “Schambhala<br />

Training” (per informazioni: Pema<br />

Thaye, tel. 031/400112). D.M./M.Mi.<br />

AUTORI E IDEE<br />

Il pensiero politico<br />

di Oakeshott<br />

Continua la pubblicazione dell’opera<br />

omnia del politologo Michael<br />

Oakeshott. Dopo RATIONALISM IN POLI-<br />

TICS (Razionalismo in politica, 1991),<br />

è ora la volta di RELIGION, POLITICS AND<br />

THE MORAL LIFE (Religione, politica e la<br />

vita morale, a cura di T. Fuller, Yale<br />

University Press, New Haven 1993)<br />

e di MORALITY AND POLITICS IN MODERN<br />

EUROPE (Moralità e politica nell’Europa<br />

moderna, a cura di S. Robin<br />

Letwin, Yale University Press, New<br />

Haven 1993). Muovendo da una riflessione<br />

e da un’osservazione della<br />

storia intesa in senso extra-politico<br />

e comune, Oakeshott propone una<br />

visione anti-razionalista e anti-collettivista<br />

della politica. La sua concezione<br />

appare tuttavia, in vari<br />

aspetti, problematica e paradossale,<br />

se non aporetica: l’obbedienza<br />

alla legge come dovere etico si scontra<br />

con la neutralità morale della<br />

legge; l’Occidente viene considerato<br />

come depositario del valore dell’individualità<br />

e allo stesso tempo<br />

dell’etica ideologica e collettivista;<br />

la “sicurezza”, scopo del socialismo,<br />

viene rifiutata; la moralità è irrimediabilmente<br />

divisa tra normatività e<br />

spontaneità.<br />

Religion, Politics and the Moral Life<br />

raccoglie dieci saggi, redatti tra il 1925<br />

e il 1955, in cui Michael Oakeshott fa<br />

risalire la sua visione della religione e<br />

della morale agli insegnamenti di un<br />

sacerdote anglicano, ai tempi della sua<br />

infanzia, il quale sosteneva che la religione<br />

è pietas, non un insieme di credenze,<br />

e la morale un modo di comportamento.<br />

Coerente con questa concezione,<br />

nel saggio Religion and the World (La<br />

religione e il mondo, 1929), Oakeshott<br />

considera la religione autentica come<br />

pre-teoretica e non-dogmatica, cioè come<br />

religiosità. Essa è orientamento dell’anima<br />

in una dimensione dell’esperienza<br />

vissuta al suo massimo livello. Una religione<br />

intesa come assenso intellettuale a<br />

certe richieste oggettive sul mondo si<br />

rende vulnerabile non solo a confutazioni<br />

esterne ma anche ad un criticismo<br />

anti-razionalista. L’autentica religione,<br />

rileva Oakeshott, non può garantire la<br />

“salvezza”, che invece consiste nell’essere<br />

liberati “qui e ora” dall’egoismo<br />

quotidiano e dalla tirannia del successo.<br />

A questo proposito, nel saggio The Historical<br />

Element in Christianity (L’elemento<br />

storico nel Cristianesimo, 1928)<br />

Oakeshott afferma che non esiste “un<br />

cuore” dell’esperienza cristiana o un’essenza<br />

del cristianesimo, né alcuna credenza<br />

storica definitiva a cui appoggiarsi,<br />

esiste solo la fine della mutazione diacronica<br />

di ciò che chiamiamo Cristianità.<br />

19<br />

L’affermazione che la religione sia pura<br />

pratica solleva in Oakeshott la questione,<br />

presente sia in Religion, Politics and the<br />

Moral Life che in Morality and Politics in<br />

Modern Europe, se possa esistere una politica<br />

staccata dalla teoria politica. La politica<br />

in senso pratico, osserva Oakeshott,<br />

non consiste solo nella gestione di interessi<br />

pratici e immediati, ma tocca anche la<br />

vita spirituale di tutti coloro che essa riguarda,<br />

venendo a identificarsi con i valori<br />

morali più alti di una società, come “Dio”<br />

e “patria”. In The Claims of Politics (Le<br />

pretese della politica, 1939) Oakeshott afferma<br />

che i più alti valori della società, la<br />

sua più chiara consapevolezza di sé, sono<br />

dati dai poeti, dagli artisti e dai filosofi,<br />

non dai politici. Il governo, o l’attività<br />

politica in generale, che è ciò che definisce<br />

lo Stato - come vien detto in The<br />

Autority of the State (L’autorità dello<br />

Stato, 1929) -, consiste nel salvaguardare<br />

la cultura e porre le sue minime condizioni<br />

di sviluppo. Società, Stato e Nazione<br />

sono intesi da Oakeshott come<br />

realtà pre- e post-politiche, appartenenti<br />

ad un determinato mondo storico e a una<br />

cultura specifica.<br />

Dei saggi compresi in Religion, Politics<br />

and Moral Life fanno parte anche due<br />

inediti: The Customer is Never Wrong<br />

(1955), in cui Oakeshott rifiuta la proposta<br />

di Walter Lippmann di costruire una<br />

nuova filosofia basata sulla legge naturale,<br />

e “Scientific Politics” (1948), recensione<br />

del testo di Hans Morgenthau: Scientific<br />

Man versus Power Politics (Uomo scientifico<br />

versus potere politico, 1947).<br />

Morality and Politics in Modern Europe<br />

presenta otto lectures inedite, tenute da<br />

Oakeshott a Harvard nel 1958, che sviluppano<br />

le concezioni da questi elaborate a<br />

partire da The Masses in Representative<br />

Democracy (Le masse nella democrazia<br />

rappresentativa, 1957; ora incluso nella<br />

nuova edizione di Rationalism in Politics)<br />

fino alla terza parte di On Human Conduct<br />

(Sulla condotta umana, 1975), e centrate<br />

sull’importanza dell’individualità, la sua<br />

emergenza storica, la sua moralità collettiva,<br />

a cui si oppone l’anti-moralità della<br />

reazione collettivistica.<br />

Due sono i punti chiave individuati da<br />

Oakeshott nella storia della modernità. Il<br />

primo è il processo di centralizzazione e<br />

modernizzazione delle monarchie europee,<br />

che ebbe come conseguenza di liberare<br />

aspiranti “individualisti” dalle fedeltà<br />

feudali a dalle tradizioni locali. Il secondo<br />

è frutto del carattere di visibile inadeguatezza<br />

dell’individualità agli occhi di<br />

coloro che ancora non l’hanno raggiunta<br />

e la cui insicurezza diviene il mezzo per<br />

ottenerne l’obbedienza in cambio della<br />

loro redenzione in teocrazie (Calvino a<br />

Ginevra) o utopie produttivistiche (Bacon,<br />

Owen, Saint-Simon) o equalitarismi<br />

socialisti. M.G.


Dilettanti e viandanti<br />

nel romanticismo<br />

Il viaggio, inteso come quell’esperienza<br />

in cui l’individuo realizza se<br />

stesso, e il dilettantismo, quale carattere<br />

proprio di personaggi privi<br />

di regole e alla ricerca della pienezza<br />

estetica, sono tema rispettivamente<br />

dello studio di Patrizio Collini,<br />

WANDERUNG. IL VIAGGIO DEI ROMANTICI<br />

(Cafoscarina, Venezia 1993) e dello<br />

scritto di J. Wolfang Goethe e di<br />

Friedrich Schiller, IL DILETTANTE (a cura<br />

di E. De Angelis, Donzelli, Roma<br />

1993), che raccoglie anche saggi di<br />

Otto Ludwig, Rudolf Kassner, Gottfried<br />

Keller, Thomas Mann, Karl Philipp<br />

Moritz, Jean Paul, Friedrich Schlegel,<br />

Adalbert Stifter, Wilhelm Heinrich<br />

Wackenroder, Richard Wagner.<br />

Lo studio di Patrizio Collini, prendendo<br />

spunto dall’analisi de Le peregrinazioni<br />

di Franz Sternbald di Tieck e<br />

dell’Enrico di Ofterdingen di Novalis,<br />

analizza la funzione e la struttura del<br />

viaggio e del viaggiatore in epoca romantica.<br />

Secondo Collini, esistono fondamentalmente<br />

due tipologie del viaggio.<br />

Il primo, escatologico nella visione<br />

cristiana e progettuale nella visione laica,<br />

è caratterizzato nella sua ontologia<br />

dalla meta che fornisce il senso alle tap-<br />

AUTORI E IDEE<br />

pe; il viaggio assume qui il ruolo dello<br />

strumento funzionale e necessario ad uno<br />

scopo, rappresentato dal traguardo, che<br />

una volta raggiunto, negherà anche la<br />

funzione del viaggio stesso. Il secondo<br />

tipo di viaggio, la Wanderung (peregrinazione),<br />

che Collini sceglie nello specifico<br />

della sua analisi, cancella, invece,<br />

ogni tipo di meta e assume significato<br />

nel darsi degli eventi, che non esistono<br />

in funzione del traguardo, ma esclusivamente<br />

nel loro accadere. La capacità di<br />

procedere al di là dello scopo finale, rende<br />

il viandante il vero donatore di senso che<br />

esiste nei singoli accadimenti e vive il<br />

mondo come assoluta e continua novità.<br />

Collini, che colloca questa tipologia di<br />

viaggio all’interno della letteratura romantica,<br />

ad esempio nel Wilhelm Meister di<br />

Goethe, rovescia il tema della Bildung<br />

(formazione), altrettanto caro al romanticismo.<br />

In altre parole la Wanderung diventa<br />

quella capacità dell’anima di cogliere il<br />

mondo nella sua innocenza e casualità al di<br />

là di qualsiasi anticipazione di senso. D’altra<br />

parte, il tipico viaggio romantico è<br />

caratterizzato proprio dalla donazione di<br />

senso attraverso la progettualità e il finalismo.<br />

Basta pensare alla Fenomenologia<br />

dello Spirito di Hegel, in cui le tappe assumono<br />

significato grazie alla meta che, a sua<br />

volta, diventa tale grazie alle tappe. In<br />

questo tipo di viaggio la formazione dell’individuo<br />

è possibile grazie al fine ultimo<br />

Caspar David Friedrich, Viandante su un mare di nebbia (particolare, 1818)<br />

20<br />

della ragione, che si realizza durante il<br />

percorso. Una volta esclusa la meta e il<br />

progetto, conclude Collini, non ha più alcun<br />

senso, però, parlare di “senso”; per<br />

questo, una tale interpretazione del viaggio<br />

si addice anche a due pensatori che hanno<br />

superato la concezione teleologica e finalistica<br />

della conoscenza, e cioè Nietzsche e<br />

Schopenhauer.<br />

L’assenza di progettualità e di regole<br />

colloca questo modello di viaggiatore<br />

accanto a quello del dilettante, a cui J.<br />

Wolfang Goethe, con la collaborazione<br />

di Friedrich Schiller, dedicano alcune<br />

interessanti considerazioni nello scritto<br />

Il dilettante, in cui, oltre alle concezioni<br />

dei due autori, compaiono vari saggi che<br />

rappresentano altrettanti esempi concreti<br />

di dilettantismo. La figura del dilettante,<br />

caratteristica dell’età romantica, è<br />

propria dell’amante dell’arte e dell’eroe<br />

romanzesco, che vive nel mondo dell’immaginario,<br />

isolato dalla società.<br />

Goethe e Schiller descrivono il dilettantismo<br />

come quell’atteggiamento in primo<br />

luogo utile all’uomo in genere nella<br />

realizzazione dei suoi impulsi; in secondo<br />

luogo come quello stile che, da una<br />

parte fornisce all’arte l’impulso creativo<br />

e, dall’altra, in quanto godimento, costituisce<br />

una conseguenza dell’arte stessa.<br />

Nonostante questa vicinanza alla produzione<br />

artistica, il dilettantismo, secondo<br />

Goethe e Schiller, si distingue nettamente<br />

dall’arte. Quest’ultima, infatti, è<br />

caratterizzata da leggi formali ed espressive<br />

ed è finalizzata alla verità del soggetto<br />

rappresentato, mentre il dilettantismo<br />

si manifesta nella totale assenza di<br />

leggi e al di là della ricerca di una qualsiasi<br />

verità. Inoltre, mentre l’artista fa<br />

della propria passione una professione,<br />

il dilettante si limita ad un’attività saltuaria<br />

e, quindi, d’occasione. Il prototipo<br />

del dilettante, in questo modo, diventa<br />

quello di un individuo che, vivendo<br />

isolato e ai margini della società, esaspera<br />

la propria esistenza nella ricerca<br />

parossistica della realizzazione artistica.<br />

Nella totale assenza di valori sociali<br />

e di progetti da perseguire, il dilettante<br />

vive inseguendo il sogno di un appagamento<br />

estetico che esalti la propria soggettività<br />

al di sopra di tutto e di tutti.<br />

Rende bene l’idea del dilettante la figura<br />

di Anton Reiser nell’omonimo romanzo<br />

di Karl Philipp Moritz, che narra di un<br />

viaggiatore completamente proiettato nel<br />

sogno di diventare attore. Circondato da<br />

una realtà per lui completamente evanescente,<br />

il viaggiatore-dilettante vede sfumare<br />

davanti agli occhi la possibilità<br />

concreta di realizzare il suo sogno. Così,<br />

mentre, sullo sfondo, l’autore sottolinea<br />

l’impossibilità per il protagonista, che<br />

non riesce mai a dimenticare se stesso, a<br />

diventare attore, il viaggiatore si adatta a<br />

lavorare come manovale, vivendo la<br />

nuova professione, ancora una volta,<br />

come un ruolo da palcoscenico. A.S.


Terra-Patria<br />

invece di non-luoghi<br />

Una severa disamina del nostro stato<br />

di “agonia”, a livello planetario, e, nel<br />

contempo, la proposta di una “nuova<br />

religione”, caratterizzano l’ultima<br />

opera del sociologo francese Edgar<br />

Morin, TERRA-PATRIA (trad. it. di S. Lazzari,<br />

Raffaello Cortina Editore, Milano<br />

1994 ), scritta in collaborazione con<br />

Anne Brigitte Kern. Intento dell’analisi<br />

di Morin è recuperare il pianeta al<br />

ruolo di “patria”, cioè di luogo costruttore<br />

di identità per l’uomo che lo<br />

abiti. Alla decontestualizzazione, e<br />

attraverso di essa, alla definizione dei<br />

concetti produttori di identità è dedicato<br />

lo studio di Marc Augè NON LUO-<br />

GHI: INTRODUZIONE AD UNA ANTROPOLOGIA<br />

DELLA SURMODERNITÀ (trad. it. di D. Rolland,<br />

Edizioni Eleuthera, Milano 1993).<br />

Il “Vangelo della perdizione” proposto da<br />

Edgar Morin in Terra-Patria prevede<br />

una religione con finalità razionali: salvare<br />

il pianeta, nostra unica vera Patria, sia<br />

da quelle che Morin definisce “minacce<br />

damoclee”, cioè le minacce globali (degrado<br />

progressivo della biosfera, uso delle<br />

armi atomiche), sia dai disagi prodotti dallo<br />

sviluppo della tecno-scienza in tutti i<br />

settori della vita sociale.<br />

La “nuova barbarie” prodotta dal “mito<br />

AUTORI E IDEE<br />

Ralph Goings, Twin Springs Diner (1976, particolare)<br />

dello sviluppo” è propria soprattutto dell’Occidente<br />

e ha causato un nuovo, diverso<br />

sottosviluppo, quello relativo all’individuo,<br />

privato del suo tempo, costretto a<br />

vivere un tempo “precipitato e cronometrato”,<br />

compiendo un lavoro parcellizzato<br />

e deresponsabilizzato. Un individuo che,<br />

nella maggior parte dei casi, resta in tal<br />

modo escluso dalla vita politica democratica,<br />

abituato ad usare una miriade di mezzi<br />

di comunicazione senza però che si<br />

pervenga mai ad un livello di comunicazione<br />

effettiva. Il risultato complessivo,<br />

sostiene Morin, porta ad una situazione<br />

policrisica, dove incertezze, problemi,<br />

minacce si intrecciano in una rete di interretro-azioni,<br />

estremamente difficile da<br />

identificare e da risolvere.<br />

A questa condizione tragica e incerta di<br />

un’umanità ancora incapace di realizzarsi<br />

come tale - una condizione che Morin non<br />

esita a definire “agonia planetaria” - si<br />

oppone, quale «permanente contrappunto,<br />

un inno all’evoluzione, ad una sorta di<br />

epopea cosmica, che un giorno, curiosamente,<br />

è sfociata nell’Homo Sapiens».<br />

Partendo dalla comune origine della vita,<br />

Morin sottolinea, infatti, la fondamentale<br />

unità ideologica, morfologica, psicologica<br />

ed affettiva dell’Homo Sapiens,<br />

un’identità comune che è stata occultata<br />

e tradita, proprio nel cuore dell’era planetaria,<br />

dalla sviluppo compartimentato<br />

e specializzato delle scienze e da una<br />

21<br />

evoluzione politica confusa e contraddittoria.<br />

Da qui, la necessità di fondare<br />

una “antropolitica” basata sulla responsabilità<br />

planetaria, sulla presa di coscienza<br />

da parte dei “nuovi cittadini planetari”,<br />

del loro comune destino terrestre.<br />

L’antropolitica dovrà tenere conto dell’estrema<br />

incertezza della realtà, accettare<br />

la dialettica tra ideale e reale, tra<br />

sviluppo ed inviluppo, operando nella<br />

direzione di quello che Morin chiama<br />

“meta-sviluppo”, uno sviluppo meta-tecnico,<br />

meta-economico, meta-industriale,<br />

che conduca l’uomo a riappropiarsi<br />

del “passato tellurico”, nonché di quello<br />

umano, per vivere secondo imperativi<br />

etici quali comprensione, solidarietà,<br />

compassione.<br />

Morin detta anche una serie di norme<br />

strategiche per attuare quella che egli<br />

definisce una “ominizzazione della Terra”,<br />

dalla quale non può essere disgiunta<br />

una profonda riforma del pensiero, attraverso<br />

la pratica del cosiddetto “pensiero<br />

complesso”, già ampiamente teorizzata<br />

ed esemplificata nei quattro volumi della<br />

Méthode (1977-1992). Il pensiero complesso<br />

è un pensiero che abbandona i<br />

rigidi schematismi prodotti da una razionalizzazione<br />

astratta, unidimensionale,<br />

opera di un’intelligenza parcellizzata,<br />

deterministica e meccanicistica, per<br />

instaurare una razionalità autentica, che<br />

conosce i limiti della logica e del deter-


minismo, che negozia con l’irrazionale,<br />

con l’oscuro, con il caotico, che fa suo<br />

anche il disordine ed il casuale della<br />

realtà. Il pensiero complesso, sostiene<br />

Morin, è un pensiero multidimensionale<br />

e “ologrammatico”. In questa prospettiva<br />

la Terra appare come una totalità<br />

complessa, fisica, biologica, antropologica<br />

in cui la vita è un’emergenza della<br />

storia della terra e l’uomo un’emergenza<br />

della storia della vita terrestre.<br />

Alla questione del riconoscimento, da<br />

parte dell’individuo, della propria identità<br />

nei luoghi del proprio agire è dedicata<br />

l’ultima opera di Marc Augè, Non<br />

luoghi: introduzione ad una antropologia<br />

della surmodernità. Con questo studio<br />

Augè persegue “un’antropologia del<br />

quotidiano” esplorando i “non-luoghi”,<br />

cioè quegli spazi dell’anonimato, frequentati<br />

da individui tra loro simili, chiusi<br />

ciascuno nella propria singolarità. L’ipotesi<br />

che guida questa ricerca è quella<br />

secondo la quale l’epoca in cui viviamo,<br />

che Augè definisce “surmodernità”, abbia<br />

come sua modalità fondamentale l’eccesso<br />

spazio-temporale e l’accellerazione<br />

della storia.<br />

Il non-luogo si presenta come nozione<br />

opposta a quella di luogo, antropologicamente<br />

considerato come costruttore di identità,<br />

di relazioni, di storia. Il non-luogo<br />

indica, invece, due realtà complementari:<br />

è spazio destinato a determinate finalità e,<br />

al tempo stesso, indica il rapporto dell’individuo<br />

con tale spazio. Rappresentano<br />

non-luoghi, ad esempio, le infrastrutture<br />

per il trasporto veloce (autostrade, stazioni,<br />

aeroporti), i mezzi stessi di trasporto<br />

(automobili, treni, aerei); ma anche<br />

i supermercati, gli ospedali, le grandi<br />

catene alberghiere.<br />

Mentre il luogo antropologico crea relazioni,<br />

il non-luogo genera una “contrattualità<br />

solitaria”: condizione essenziale<br />

per divenirne utente appare, infatti, l’entrare<br />

in relazione con le dinamiche che<br />

lo governano. Il non-luogo si definisce<br />

proprio attraverso le prescrizioni che<br />

mettono in rapporto l’individuo con un<br />

ente astratto (lo Stato, il Comune, un’associazione)<br />

che ha la pretesa di rappresentare<br />

una sostanza reale, anche con<br />

valenza etica. Contestualmente, si assiste<br />

a una invasione dello spazio da parte<br />

di testi che si presentano come interpellanze,<br />

solo apparentemente rivolte a individualità<br />

personali, che risultano, però,<br />

intercambiabili nel loro carattere seriale.<br />

Si crea, così, una cosmologia di echi<br />

e strutture linguistiche tali da costituire<br />

un sistema di riferimento tanto universale,<br />

quanto generico e massificante.<br />

Paradossalmente, in una tale condizione<br />

l’individuo si sentirà “a casa” e ritroverà<br />

una sua “identità”, anche se fittizia, proprio<br />

nell’anonimato delle autostrade, dei<br />

grandi magazzini e delle catene alberghiere,<br />

nei quali riconoscerà il carattere prescrittivo<br />

del non-luogo. L.P.<br />

AUTORI E IDEE<br />

Herzen e la sua filosofia<br />

In BREVE STORIA DEI RUSSI (Corbaccio,<br />

Milano 1994), recentemente ristampata,<br />

Aleksandr Herzen analizza le<br />

conseguenze e la trasformazione della<br />

Russia in seguito alla rivoluzione del<br />

1948, la caduta del marxismo e il ruolo<br />

dell’euroasismo quale filosofia oggi<br />

diffusa fra gli intellettuali vicini al potere.<br />

Opinioni drastiche nei confronti<br />

di un ordine morale oggettivo opposto<br />

ad un agire di libere coscienze<br />

sono espresse da Herzen in DALL’ALTRA<br />

SPONDA (trad. it. di P. Pieri, Adelphi,<br />

Milano 1993), una riflessione critica<br />

sull’esito fallimentare delle rivoluzioni<br />

europee del 1848.<br />

Aleksandr Herzen si è interessato in modo<br />

attivo alla storia russa e al periodo del 1948,<br />

illustrandone gli aspetti populisti. Autore<br />

di vari saggi, ha rivolto particolare attenzione<br />

alla caduta del marxismo come un<br />

cambiamento globale del mondo. In Breve<br />

storia dei russi Herzen critica quelle ideologie<br />

che pur di soddisfare l’impellente<br />

bisogno di Assoluto che c’è nell’uomo<br />

esasperano i concetti di uguaglianza, di<br />

nazionalità, di democrazia, di progresso,<br />

senza in realtà difendere i veri diritti umani,<br />

affrontando i problemi più urgenti dei lavoratori.<br />

Herzen si scaglia contro ciò che sta<br />

dietro ai grandi movimenti popolari, ovvero<br />

il cinismo, la lotta per il potere...; un’intera<br />

storia umana si rivela dominata da<br />

ambiguità, da principi oscuri, non da lotte<br />

autentiche in difesa dei veri interessi dei<br />

cittadini, dei deboli.<br />

Herzen propone un’interpretazione della<br />

storia che si oppone a un finalismo predeterminato;<br />

la storia non ha altro impulso<br />

che la volontà di ogni singolo individuo,<br />

che agisce o contro il bene collettivo, o in<br />

sua difesa, spinto da motivazioni autentiche.<br />

La storia è in continua evoluzione,<br />

un’evoluzione che vede come responsabile<br />

l’umanità e la sua opera.<br />

Herzen prende in considerazione soprattutto<br />

la storia dell’Unione Sovietica e il<br />

post comunismo marxista. La rivoluzione,<br />

il crollo del marxismo e la transizione al<br />

nuovo regime anticomunista hanno avuto<br />

le loro cause in fatti, in precisi momenti, in<br />

fenomeni umani e sociali che non hanno<br />

niente a che fare con un intervento o un<br />

giudizio Divino. Storia e natura sono sfere<br />

separate, secondo Herzen, e hanno leggi<br />

completamente diverse e un orizzonte completamente<br />

diverso, terreno, il primo, ultraterreno,<br />

il secondo.<br />

Per una teoria della comprensione dei fatti<br />

storici come è la filosofia della storia, «i<br />

destini umani non sono liberi, poiché nello<br />

sviluppo storico rientrano molti principi<br />

variabili, la volontà e il potere personali<br />

prima di tutto.» Con queste parole Herzen<br />

caratterizza la sua riflessione critica sull’esito<br />

fallimentare delle rivoluzioni europee<br />

del 1848. Dall’altra sponda è una lunga<br />

22<br />

e spietata riflessione sul significato e il fine<br />

della storia, nella consapevolezza che dietro<br />

tante guerre inutili, assurde tragedie<br />

collettive, rivoluzioni e rivendicazioni combattute<br />

in nome dell’Umanità e della Libertà,<br />

si nascondono la ragion di Stato e la<br />

spregiudicatezza degli uomini politici, burocrati<br />

che dovrebbero garantire la giustizia,<br />

ma che non fanno che legittimare le<br />

peggiori scelleratezze.<br />

Herzen si scaglia contro ogni forma di<br />

dispotismo, e critica a spramente «la meschinità<br />

e il livore della borghesia, che<br />

schiaccia tutto ciò che è originale, indipendente<br />

e aperto», prevedendo quella che<br />

sarà la tirannia dei grandi sistemi altruistici<br />

del nostro secolo: il «panteismo aritmetico<br />

del suffragio universale», «fede superstiziosa<br />

nella repubblica», a cui fa riscontro la<br />

brutale arroganza della minoranza dall’altro.<br />

Per la filosofia della storia porsi il problema<br />

del “senso” significa considerare il corso<br />

storico, dalla sua origine al suo compimento,<br />

come diretto a un fine, a un telos.<br />

Ogni evento, ogni fatto, ogni episodio diventano,<br />

in tal senso, segni o indizi rivelatori<br />

di un processo, non necessariamente<br />

cosciente, verso una direzione prestabilita.<br />

Herzen rifiuta tutto ciò, nega qualsivoglia<br />

prospettiva finalistica che porta ad una<br />

storia profetica. «Guardare alla fine e non<br />

alla cosa stessa, è un errore gravissimo»<br />

secondo Herzen; la vita ama il nuovo, il<br />

corso della storia non è preordinato da<br />

“un’astuta” ragione, che armonizzi i moti<br />

disordinati degli uomini secondo un proprio<br />

disegno segreto. L’assunto principale<br />

del pensiero di Herzen è che Natura e storia<br />

non appartengono a due ordini diversi, ma<br />

formano un’unica realtà in cui le esistenze<br />

umane si trovano immerse e dalla quale<br />

sono determinate. Le riflessioni di Herzen<br />

non si presentano mai come pura speculazione<br />

filosofica, perché le esigenze di individuo<br />

e comunità ne costituiscono il presupposto<br />

e il fine. M.Ma./D.M.<br />

In onore di Hermann Schmitz<br />

Con il titolo REHABILITIERUNG DES SU-<br />

BJEKTIVEN. FESTSCHRIFT FÜR HERMANN<br />

SCHMITZ (Riabilitazione del soggettivo.<br />

Scritti in onore di Hermann Schmitz,<br />

Bouvier Verlag, Bonn 1993) è<br />

stato pubblicato un grosso volume,<br />

curato da Michael Grossheim e Hans-<br />

Joachim Waschkies, che raccoglie<br />

contributi di numerosi autori, allievi<br />

e amici, che hanno voluto così festeggiare<br />

il 65° compleanno del loro<br />

maestro, Hermann Schmitz, e il suo<br />

ritiro dall’insegnamento.<br />

Nella premessa dei curatori viene brevemente<br />

richiamata l’opera di Hermann Schmitz,<br />

il cui asse direttivo fondamentale si<br />

pone sotto il segno di una “destrutturazione


fenomenologica della tradizione”: «Il<br />

compito che mi sono posto - ha dichiarato<br />

Schmitz - è quello di non far cominciare<br />

il filosofare con costruzioni o proiezioni<br />

della nostra specifica oggettivazione<br />

culturale, ma, alla luce di una più<br />

precisa osservazione e concettualizzazione,<br />

risalire all’originario, involontario,<br />

momento dell’esser sorpreso, enuclearlo<br />

e da qui raggiungere le strade<br />

dell’oggettivazione che portano a teoria<br />

e prassi, diritto e religione, orientamento<br />

spaziale e temporale, arte e costumi».<br />

Di questo progetto filosofico Michael<br />

Grossheim e Hans-Joachim Waschkies<br />

intendono, con questo volume, saggiare<br />

il valore euristico, proponendo percorsi<br />

che toccano diversi ambiti del sapere e<br />

dell’esperire umano. Nella prima parte<br />

del volume sono riuniti contributi che si<br />

confrontano prevalentemente con la filosofia<br />

di Schmitz sotto aspetti di tipo<br />

sistematico. Dopo un breve saluto di<br />

Hans-Georg Gadamer, si succedono<br />

contributi inerenti all’idea di ragione e<br />

razionalità (Ulrich Pothast), al rapporto<br />

tra neo-fenomenologia e costruttivismo<br />

(Peter Janich), all’istanza di una<br />

nuova estetica della natura che consideri<br />

il nesso soggetto-oggetto (Gernot Böhme),<br />

alla paradoxia di Epimenide in H.<br />

Schmitz e N. Luhmann (Günther Schulte),<br />

alla problematica della conoscenza<br />

scientifica e allo statuto di “paradigma”<br />

scientifico in S. Kuhn (Hans-Jürgen<br />

Wendel), al concetto di animal rationale<br />

(Arno Baruzzi), al rapporto antitetico<br />

che ha l’idea di “principio” in Ernst<br />

Bloch e Ludwig Klages (Michael<br />

Grossheim), al concetto di responsabilità<br />

(Karl-Otto Apel) e infine al carattere che<br />

la nuova fenomenologia può rivestire per i<br />

problemi presenti in modo specifico nel<br />

pensiero europeo (Hans Werhahn).<br />

Nella seconda parte del volume vengono<br />

raccolti saggi che cercano di dimostrare<br />

come la nuova fenomenologia possa rivelarsi<br />

proficua anche in altri ambiti<br />

scientifici, come la psicosomatica (Gerhard<br />

Danzer) e la fisiologia (Hans<br />

Schäfer). Seguono poi contributi sulla<br />

fenomenologia della religione (Hermann<br />

Timm), sul significato dell’opera<br />

di Schmitz nel campo religioso della<br />

cura delle anime, sulla rilevanza della<br />

psicolinguistica nel Sistema della filosofia<br />

di Schmitz (Bernd Tischer) e sul<br />

rapporto tra filosofia della corporeità e<br />

arti figurative (Lorenz Dittmann). Tra i<br />

contributi in ambito politico-giuridico,<br />

viene affrontata la questione se il moderno<br />

Stato dei partiti definisca effettivamente il<br />

tipo di Stato oggi dominante (B. C. Vis).<br />

Nella terza parte del volume, infine, compaiono<br />

contributi a carattere storiografico,<br />

che in qualche modo sono originati<br />

dalla filosofia di Schmitz. Sono presi in<br />

considerazione la filosofia di Parmenide<br />

(Wilhelm Perpeet), quella di Empedocle<br />

(Guido Rappe), i motivi letterario-<br />

AUTORI E IDEE<br />

filosofici presenti in Lucrezio (Hartmut<br />

Böhme), l’estetica kantiana (Reinhard<br />

Brand), la teoria dell’incoscio di Freud<br />

(Siegfried Brasch), l’ontologia di Husserl<br />

(Tadashi Ogawas) ed infine il rapporto<br />

tra Heidegger e la rivoluzione conservatrice<br />

tedesca (Ernst Nolte). G.B.<br />

Rivoluzioni in geometria<br />

I principi e le ipotesi della nuova geometria,<br />

nata dalla confutazione del V<br />

Postulato di Euclide, sono l’oggetto<br />

di due opere: NUOVI PRINCIPI DELLA GEO-<br />

METRIA CON UNA TEORIA COMPLETA DELLE<br />

PARALLELE (trad. it. a cura di R. Pettoello,<br />

Bollati-Boringhieri, Torino 1994),<br />

di Nikolai Lobacevskij, e SULLE IPOTESI<br />

CHE STANNO ALLA BASE DELLA GEOMETRIA<br />

(trad. it. a cura di L. Lombardo Radice,<br />

Bollati-Boringhieri, Torino 1994), di<br />

Bernhard Riemann.<br />

Quando nel 1829 il matematico russo<br />

Nikolai Lobacevskij pubblicò, su una<br />

sconosciuta rivista di uno sperduto paesino<br />

russo, il suo lavoro sui nuovi principi<br />

della geometria, mise una conclusione<br />

originale e del tutto inaspettata al<br />

problema della inconfutabilità della verità<br />

del V Postulato di Euclide: il postulato<br />

meno intuitivo della geometria euclidea<br />

(per una retta e per un punto non<br />

appartenente ad essa passa una ed una<br />

sola parallela alla retta data) veniva fatto<br />

cadere e dalle sue ceneri nasceva una<br />

geometria del tutto nuova, una geometria<br />

dove la somma interna degli angoli<br />

di un triangolo vale sempre meno di<br />

180°, dove la curvatura dello spazio è<br />

sempre negativa e dove le parallele alla<br />

famosa retta sono in numero infinito.<br />

La convinzione che lo spazio euclideo<br />

fosse l’unico spazio assiomatizzabile e<br />

che, soprattutto, fosse la rappresentazione<br />

unica dello spazio reale, aveva profonde<br />

radici, che attingevano linfa vitale<br />

dalla formulazione filosofica di quella<br />

credenza ad opera di Kant nella Critica<br />

della ragion pura. Questa giustificazione<br />

filosofica crollava e la rivoluzione<br />

geometrica di Lobacevskij varcava i confini<br />

del mondo matematico per minare<br />

alla base la fiducia nel sistema kantiano.<br />

Questa situazione di sfiducia nella matematica,<br />

e di perplessità in filosofia, che<br />

sarà propria degli anni a venire, diviene<br />

materia di dibattito nell’Introduzione di<br />

Lucio Lombardo Radice a Nuovi principi<br />

della geometria con una teoria completa<br />

delle parallele, e nella recentissima<br />

prefazione di Evandro Agazzi al<br />

medesimo volume. Tutto ciò non trova<br />

tuttavia spazio nei saggi di Lobacevskij,<br />

in cui viene data una presentazione compiuta<br />

di quella che è stata una delle<br />

scoperte più feconde e, nello stesso tem-<br />

23<br />

po, delle più ignorate, della ricerca matematica,<br />

nonostante il matematico russo<br />

abbia cercato per tutta la vita e in ogni<br />

parte d’Europa un riconoscimento adeguato<br />

del suo lavoro.<br />

Ben altro successo ebbero conclusioni<br />

altrettanto originali del medesimo postulato.<br />

Quando la geometria senza parallele<br />

di Bernhard Riemann venne<br />

presentata nel 1854, fu sufficiente una<br />

decina di anni perché si potesse sviluppare<br />

quella catena di reazioni che Lucio<br />

Lombardo Radice descrive nella sua<br />

introduzione al volume.<br />

Sulle ipotesi che stanno alla base della<br />

geometria, che include il famoso scritto,<br />

edito postumo nel 1867, nel quale Riemann<br />

generalizza le vedute di Lobacevskij<br />

partendo da studi di Gauss sulle<br />

superfici curve, presenta anche saggi<br />

dell’autore di ordine filosofico e scientifico,<br />

in cui si profila il progetto di trovare<br />

una formulazione matematica unitaria<br />

per descrivere le leggi di propagazione<br />

dei fenomeni fisici, dalla propagazione<br />

della luce a quella gravitazionale. Mentre<br />

questi progetti sono stati vanificati<br />

dalla prematura morte dell’autore, il suo<br />

scritto sulle basi della geometria ha avuto<br />

un grande influsso, non solo sullo stesso<br />

Gauss, del quale Riemann era stato allievo<br />

ed erede brillante, ma su tutto l’ambiente<br />

matematico contemporaneo. M.P.<br />

L’etica nell’età della tecnica<br />

Poco prima della sua morte, avvenuta<br />

nel febbraio 1993, mentre era<br />

prossimo ai novant’anni, Hans Jonas<br />

aveva autorizzato la raccolta in<br />

volume di una serie di interventi<br />

(brevi scritti, discorsi, interviste), da<br />

lui effettuati dopo la pubblicazione,<br />

nel 1979, del suo fortunato ‘Das Prinzip<br />

Verantwortung’ (trad. it., Torino<br />

1990), in cui, come è noto, Jonas<br />

poneva il problema di un’etica appropriata<br />

alla condizione dell’uomo<br />

nell’età del suo dominio tecnologico.<br />

La raccolta di questi scritti esce<br />

ora in volume, a cura di Wolfgang<br />

Schneider, col titolo: DEM BÖSEN ENDE<br />

NÄHER (Più prossimi alla cattiva fine,<br />

Suhrkamp, Francoforte s.M. 1994).<br />

Una ridefinizione delle categorie etiche<br />

alla luce del problema ecologico<br />

è invece la proposta di Konrad Ott,<br />

ÖKOLOGIE UND ETHIK. EIN VERSUCH PRAK-<br />

TISCHER PHILOSOPHIE (Ecologia ed etica.<br />

Saggio di filosofia pratica, Attempto<br />

Verlag, Tubinga 1993).<br />

Il titolo di questa raccolta di scritti riprende<br />

le parole stesse pronunciate da<br />

Hans Jonas in un’intervista concessa al<br />

periodico «Der Spiegel» nel maggio<br />

1992, e qui posta ad apertura del volume.


Jonas osserva che di fronte alla domanda<br />

fondamentale sulla possibilità della sopravvivenza<br />

in questo pianeta non è stato<br />

fatto, in pratica, alcun passo avanti;<br />

anzi, la situazione è andata sempre più<br />

degenerando. L’idea centrale, a cui Jonas<br />

si richiama nei nove scritti raccolti<br />

nel volume, è che l’uomo trova il suo<br />

limite nell’accrescersi delle sue stesse<br />

potenzialità tecniche, che finiscono con<br />

l’impedirgli di usufruire di quanto è in<br />

suo potere. Una tale consapevolezza, ammonisce<br />

Jonas, richiede a sua volta una<br />

sorta di nuova rivoluzione copernicana<br />

da attuarsi nel campo dell’etica, che non<br />

può più accontentarsi di indicare all’uomo<br />

le sue responsabilità di fronte al suo<br />

prossimo, ma deve includere nel suo ordine<br />

di considerazioni il rapporto dell’uomo<br />

con il mondo vivente e le esigenze di tutti<br />

coloro che non hanno voce in capitolo,<br />

come ad esempio (e in primo luogo) le<br />

generazioni future. In tal modo l’etica si<br />

apre per la prima volta ad una dimensione<br />

quasi cosmica, tale per cui più si amplia il<br />

nostro potere sul mondo, più “noi” diveniamo<br />

responsabili della sua sorte.<br />

Ma chi è questo “noi” - si chiede ora<br />

Jonas? Si tratta della società nel suo<br />

insieme, considerata nelle forme delle<br />

sue espressioni politiche. Qui però, osserva<br />

Jonas, non vi è garanzia che la<br />

scelta operata dal “noi” sia improntata al<br />

principio responsabilità. Il soggetto etico<br />

è sempre stato un io individuale, che<br />

risponde alla propria coscienza. Istituire<br />

un insieme collettivo come soggetto etico<br />

significa responsabilizzare la struttura<br />

politica della società. In democrazia,<br />

fa notare Jonas, tutte le domande sociali<br />

sono tese alla soddisfazione dei bisogni<br />

e degli interessi immediati, senza che si<br />

tenga conto delle ricadute globali e a<br />

lunga scadenza che ciò comporta. Affinché<br />

si crei una coscienza etica allargata,<br />

non resta altro, secondo Jonas, che affidarsi<br />

ad una sorta di Erziehung durch<br />

Kastrophen (educazione attraverso catastrofi),<br />

agli shock prodotti dai piccoli e<br />

grandi eventi catastrofici che si verificano<br />

di tanto in tanto.<br />

Nonostante Jonas continui a sostenere<br />

che l’enorme potere di disposizione tecnica<br />

dell’uomo sia un prodotto della libertà<br />

umana, e che dunque tecnica e<br />

libertà crescano insieme, pure egli non<br />

rinuncia a mettere in guardia sul fatto<br />

che nel momento in cui l’uomo si afferma<br />

come soggetto tecnico, si smarrisce<br />

come soggetto etico. Tuttavia, anche<br />

ammessa la legittimità di questo interrogativo,<br />

Jonas non è affatto propenso a<br />

mettere in discussione “l’avventura tecnologica”<br />

dell’uomo, per quanto essa<br />

comporti necessariamente che «nel futuro<br />

si debba vivere all’ombra di minacciose<br />

calamità».<br />

Seguendo gli sviluppi del concetto di<br />

ecologia fin dalla sua comparsa all’interno<br />

della biologia, Konrad Ott si in-<br />

AUTORI E IDEE<br />

serisce invece nel dibattito sull’etica,<br />

richiamando l’attenzione sul fatto che<br />

l’emergere dell’istanza ecologica all’interno<br />

delle vedute scientifiche costituisce<br />

ben più di un cambio di paradigma.<br />

Introducendo un elemento di autoriflessività,<br />

di cui finora la scienza aveva fatto<br />

a meno, l’ecologia segna un momento di<br />

profonda discontinuità e di rottura radicale<br />

della scienza in rapporto alle forme<br />

da essa assunte lungo tutta l’età moderna.<br />

Spinta dalla preoccupazione ecologica,<br />

la scienza diventa consapevole di<br />

essere un sapere intorno alla vita e quindi<br />

una pratica di trasformazione delle<br />

forme vitali, che le impone di sollevarsi<br />

fino alla considerazione responsabile del<br />

suo operare. Se un tempo tutto poteva<br />

giustificarsi in nome della scienza, osserva<br />

Ott, ora invece la scienza deve<br />

procedere parallelamente alla sua capacità<br />

di giustificazione dei risultati che<br />

essa persegue. Ma poiché la scienza non<br />

può comunque trovare istanze giustificati-<br />

24<br />

Hans Jonas<br />

ve né al di fuori, né al di sopra di sé, ne<br />

consegue che per garantire alla scienza la<br />

consapevolezza del suo operare bisogna<br />

passare ad un illuminismo riflessivo o responsabile,<br />

che Ott designa semplicemente<br />

come “illuminismo ecologico”.<br />

Secondo Ott, dunque, l’ecologia non segna<br />

una negazione del progresso, del sapere<br />

e delle pratiche tecnico-scientifiche, ma<br />

una loro riformulazione all’insegna dello<br />

stesso campo problematico da essi introdotto.<br />

Tuttavia, osserva Ott, la vigilanza<br />

sul proprio operare, a cui è chiamata la<br />

scienza, non rientra nelle sue categorie<br />

costitutive ed essa deve far conto su un<br />

altro campo del sapere, quello etico, nei<br />

confronti del quale permane comunque<br />

uno iato insuperabile. Certo, l’ecologia<br />

costituisce in tal senso un tentativo di<br />

conciliazione, anche se essa risulta ora<br />

assorbita nel massimalismo etico, ora nel<br />

minimalismo scientifico. G.B.


La teoria della scelta razionale<br />

in Nozick<br />

Robert Nozick torna, per la seconda<br />

volta a distanza di anni, ad affrontare il<br />

tema della teoria della scelta razionale<br />

nel suo nuovo lavoro: THE NATURE OF<br />

RATIONALITY (La natura della razionalità,<br />

Princeton University Press, Princeton<br />

1993), in cui viene fornita una soluzione<br />

al problema dell’induzione sollevato da<br />

Hume, cioè al dilemma della reciproca<br />

consistenza del principio dominante e<br />

di quello di massima probabilità. Il saggio<br />

è ideologicamente orientato verso<br />

una visione evoluzionista della realtà<br />

per cui la teoria della scelta razionale,<br />

così come le strutture della nostra società,<br />

sono il risultato di un’evoluzione<br />

darwiniana della realtà biologica.<br />

AUTORI E IDEE<br />

The Nature of Rationality è un saggio di<br />

natura ideologica, che parte dalla soluzione<br />

del dilemma dell’induzione di Hume per<br />

giungere all’ipostatizzazione della razionalità<br />

che estende il suo dominio sull’ordine<br />

del mondo. La natura della razionalità, così<br />

come quella di tutte le altre realtà, è biologica<br />

ed è frutto dell’evoluzione; quindi è razionale,<br />

giusta, inevitabile e dotata di valore.<br />

Due sono i principi che reggono in Robert<br />

Nozick la teoria della scelta razionale. Il<br />

primo, il principio “dominante”, afferma che<br />

se un’azione ha conseguenze più desiderabili<br />

di qualunque altra, questa sarà quella da<br />

portare a termine. Il secondo, il principio<br />

della “massima prospettiva”, espresso in termini<br />

di probabilità, sostiene che è bene performare<br />

quell’azione che ha maggiori possibilità<br />

di riuscita. In passato Nozick aveva<br />

mostrato che i due principi non erano mutualmente<br />

consistenti, utilizzando un argomento<br />

del fisico William Newcomb, che<br />

osservava come in una scommessa, col variare<br />

della quantità di denaro scommesso, si<br />

modifica anche la scelta del principio della<br />

scommessa stessa. Nozick dimostrava allora<br />

che i due principi sono reciprocamente consistenti<br />

se sono intesi come un continuo che<br />

il singolo individuo, in una determinata situazione,<br />

miscela in un certo modo. L’ultimo<br />

tentativo di risolvere il problema dell’induzione<br />

con la logica delle probabilità, ricordava<br />

Nozick a questo proposito, è quello di<br />

Rudolf Carnap che in The Continuum of<br />

Inductive Methods (Il continuum del metodo<br />

induttivo, 1952) affermava che le previsioni<br />

sul futuro possono essere fatte in diversi<br />

modi: saltare alle conclusioni, prestare attenzione<br />

a qualche evidenza, ecc. L’individuo<br />

razionale, secondo Carnap, isola un punto significativo<br />

nel continuo ed agisce di conseguenza.<br />

La teoria della scelta razionale ha due scopi<br />

principali: la soluzione di conflitti interni,<br />

che rende possibile ad una congregazione di<br />

individui di raggiungere una decisione pratica,<br />

valutando le opinioni e senza provocare<br />

scismi; la soluzione di conflitti esterni, che<br />

permette l’integrazione democratica dei diversi<br />

interessi, conoscenze, obiettivi e meto- Robert Nozick<br />

25


di d’azione tra i membri o i gruppi. La<br />

teoria della scelta razionale è quindi un<br />

fenomeno culturale e come la cultura e la<br />

storia è, per Nozick, l’esito dell’evoluzione<br />

biologica degli istinti di razionalità. Il ragionamento<br />

stesso che lo ha portato alla<br />

soluzione del dilemma è considerato da<br />

Nozick come risultato dell’evoluzione biologica<br />

e dell’adattabilità delle intuizioni in<br />

conflitto, senza individuare nessun meccanismo<br />

per la selezione. La razionalità cessa di<br />

essere una caratteristica essenziale dell’umanità,<br />

di essere universale; infatti, osserva<br />

Nozick, «la nostra razionalità, sia individuale<br />

che coordinata, [che] definisce e simbolizza<br />

la distanza che ci separa dalla semplice<br />

animalità, [...] ha reso il mondo, in vari modi,<br />

inospitale ai minori livelli di razionalità»,<br />

trasformando caratteristiche co-ordinate in<br />

inferiori, fino a concludere che alcune persone<br />

sono più vicine di altre all’animalità.<br />

Il lavoro di Nozick si conclude con 35<br />

pagine di note bibliografiche sul tema della<br />

teoria della scelta razionale. Tra gli spunti<br />

di ricerca e gli approfondimenti, Nozick<br />

propone, ad esempio, utilizzando la nozione<br />

di “utilità simbolica”, di integrare la<br />

teoria della scelta razionale, che fino ad ora<br />

è stata intesa in senso calcolistico, con una<br />

rappresentazione di tutti quei valori e interessi<br />

che l’impostazione della teoria non ha<br />

ancora permesso di esprimere. M.G.<br />

Bergson, o la filosofia<br />

come scienza rigorosa<br />

Forte di una riconosciuta stima di specialista<br />

della filosofia classica tedesca<br />

e autore di volumi fondamentali su<br />

Kant e Fichte, Alexis Philonenko ha<br />

recentemente dato alle stampe un<br />

saggio critico sull’opera di Henri<br />

Bergson, BERGSON OU DE LA PHILOSOPHIE<br />

COMME SCIENCE RIGOUREUSE (Bergson o la<br />

filosofia come scienza rigorosa, Cerf,<br />

Parigi 1994), nella prospettiva di dissipare<br />

quell’aura di “vaga sentimentalità”<br />

nella quale verrebbe confinata la<br />

filosofia da una critica superficiale.<br />

Per Alexis Philonenko, l’incontro con<br />

Bergson passa attraverso la mediazione di<br />

Georges Canguilhelm, che nel 1956 tiene le<br />

sue magistrali lezioni su Bergson alla Facoltà<br />

di Lettere dell’Università di Parigi e apre<br />

la strada ad una lettura non condizionata dal<br />

pregiudizio di irrazionalismo mistico e più<br />

fedele al rigore filosofico dell’autore del<br />

noto Saggio sui dati immediati della coscienza<br />

(1889). Nella convinzione che «la<br />

filosofia di Bergson si sia andata facendo, ed<br />

è questo l’atto che bisogna seguire», Philonenko<br />

ripercorre con spirito sistematico le<br />

sue opere, esponendo un sistema aperto che<br />

ha nondimeno le caratteristiche di una scienza<br />

rigorosa: «il modo di procedere di Bergson<br />

è sempre rigoroso e, quantunque sperimen-<br />

AUTORI E IDEE<br />

tale, si considera scienza e non poesia o<br />

sentimento». È il caso della categoria di<br />

intuizione, tensione estrema nell’apprensione<br />

delle cose, momento teoretico originario<br />

di una filosofia che afferma «il primato dello<br />

spirituale sulla materia, sia che si tratti della<br />

libertà, del ricordo o della vita».<br />

È del resto un metodo, questo, che oppone<br />

a quello scientifico una nozione qualitativa<br />

di esperienza, interiore e fondata su una<br />

percezione fluida del tempo. La scienza<br />

fisico-matematica nasce dall’esigenza di<br />

ordinare logicamente gli oggetti, creando<br />

dei simboli astratti ed un concetto “spazializzato”<br />

di tempo che frammenta il flusso<br />

continuo dell’esperienza. All’omogeneità<br />

pura dello spazio matematico dove si allineano<br />

gli enti, Bergson sostituisce l’eterogeneità<br />

pura della durata, le variazioni e le<br />

trasformazioni incessanti del flusso di coscienza,<br />

riaprendo le possibilità di un concetto<br />

qualitativo di conoscenza.<br />

Su queste basi prende le mosse quello che<br />

Philonenko definisce un «attacco alla fortezza<br />

kantiana». Kant, la cui impresa critica<br />

si vuole quale compimento della metafisica,<br />

disegnando i limiti della conoscenza,<br />

poggia sul medesimo concetto spazializzato<br />

di tempo delle scienze e si risolve a<br />

«platonizzare più rigorosamente di qualsiasi<br />

altro filosofo, (...) per giungere alla<br />

desolante constatazione di quanto la scienza<br />

sia relativa». L’autentico tentativo di<br />

superamento della tradizione filosofica<br />

spetta invece, nell’ambiziosa lettura di Philonenko,<br />

a Bergson che compie «l’atto di<br />

instaurazione della filosofia (...) A differenza<br />

del kantismo che vuole portare a compimento<br />

la filosofia, il pensiero di Bergson è il<br />

balbettio di una scienza che sta nascendo».<br />

Lettura estrema e suggestiva, questa di<br />

Philonenko, ma rigorosamente motivata a<br />

partire dai testi bergsoniani, che ha il merito<br />

di riaprire la discussione su uno tra i più<br />

significativi filosofi del ‘900. E.N.<br />

Linguaggio<br />

ed evoluzione naturale<br />

Si può ipotizzare un nesso teoretico tra<br />

ricerche sui linguaggi naturali, come<br />

quello dei sordi o di altre patologie, e<br />

scienza del linguaggio? In altri termini è<br />

possibile conciliare la linguistica<br />

chomskiana con le scienze cognitive?<br />

THE LANGUAGE INSTINCT: HOW THE MIND CRE-<br />

ATES LANGUAGE (L’istinto linguistico:<br />

come la mente crea il linguaggio, Allen<br />

Lane, 1993), di Steven Pinker, e PATTER-<br />

NS IN THE MIND LANGUAGE AND HUMAN NATU-<br />

RE (Modelli mentali: linguaggio e natura<br />

umana, Harvester, 1993), di Rayè<br />

Jackendoff, indicano una positiva svolta<br />

nella polemica che ha separato, fin<br />

dalla sua fondazione, il formalismo<br />

grammaticale di Chomsky dalla psicologia<br />

e dalla neuropsicologia.<br />

26<br />

Collaboratore di prestigio, l’uno, e brillante<br />

allievo di Noam Chomsky, l’altro,<br />

Steven Pinker e Rayè Jackendoff partono<br />

dalla convinzione dell’importanza<br />

teoretica di integrare ricerche empiriche<br />

sul linguaggio con lo studio formale ed<br />

astratto della linguistica. La recente filosofia<br />

del linguaggio, di cui i presenti<br />

saggi esaminano le acquisizioni più significative,<br />

ha infatti dimostrato che il<br />

linguaggio ha una innegabile base naturale,<br />

è anzitutto un fenomeno biologico.<br />

Da questo punto di vista, osservano i due<br />

studiosi, le principali affermazioni della<br />

linguistica circa l’elaborazione mentale<br />

del linguaggio mostrano possibili implicazioni<br />

con i modelli neurologici, dato<br />

che è ormai appurato che il cervello<br />

trasforma sistematicamente in codici le<br />

rappresentazioni mentali o le strutture di<br />

dati. Nonostante i legittimi dubbi degli<br />

studiosi di neurologia riguardo l’esistenza<br />

di modelli cognitivi, i vaghi schemi di<br />

information-processing - entusiasticamente<br />

postulati - hanno ora un solido<br />

terreno. Molte ricerche hanno ormai accertato,<br />

infatti, che il cervello effettivamente<br />

si occupa di una enorme quantità<br />

di processi che possono essere descritti e<br />

previsti attraverso modelli cognitivi di<br />

rappresentazione, e solo da questi.<br />

Se tuttavia Pinker tende maggiormente a<br />

sottolineare la molteplicità dei dispositivi<br />

conoscitivi che compongono la mente,<br />

Jackendoff propende per una visione<br />

unitaria, nella preoccupazione di rispondere<br />

alle perplessità concettuali e filosofiche<br />

riguardo all’idea di sistema interno<br />

di rappresentazione. Dal suo punto di<br />

vista, i fenomeni linguistici non sono gli<br />

unici fenomeni mentali ad essere ordinati<br />

secondo tali schemi rappresentativi.<br />

Ciò che avviene nel caso del linguaggio<br />

è anzi, secondo Jackendoff, l’esempio<br />

più chiaro, quasi il modello paradigmatico,<br />

di ogni sistema di rappresentazione.<br />

Motivo di fondo dello studio di Jackendoff<br />

è che le rappresentazioni si organizzano<br />

attorno a diverse strutture (o<br />

format), che, poi, indirizzano in vario<br />

modo le specifiche richieste su quanto<br />

può essere rappresentato al loro interno,<br />

svolgendo in tal modo una funzione<br />

“grammaticale” in senso ampio. Tutto<br />

ciò è condiviso nelle sue linee essenziali<br />

anche da Pinker, che dal canto suo sottolinea<br />

come tale organizzazione mentale<br />

coincida perfettamente con le linee evolutive<br />

darwiniane.<br />

Il maggior contributo derivante da questo<br />

primo sforzo di conciliazione tra linguistica<br />

e scienze dell’apprendimento è la maggior<br />

scientificità, in senso stretto, che gli<br />

studi chomskiani acquisiscono. Una buona<br />

scienza del linguaggio risulta in grado di<br />

riunificare la linguistica con le ricerche<br />

della psicologia e della neurologia. Ciò,<br />

d’altro canto, apre nuovi, affascinanti interrogativi<br />

e prospettive speculative sull’intero<br />

sistema evolutivo umano. A.A.


Frank: lo stile della filosofia<br />

e la questione del mito<br />

Attraverso un’originale contaminazione<br />

della filosofia analitica con la riflessione<br />

ermeneutica, l’ultima opera di<br />

Manfred Frank, LO STILE IN FILOSOFIA<br />

(trad. it. di M. Nobile, con un saggio di<br />

M. Ruggenini, Il Saggiatore, Milano<br />

1994) afferma la mai completa risolubilità,<br />

in un’intuizione trasparente, del<br />

“contenuto del linguaggio”, a causa<br />

dell’ineliminabilità dell’impronta individuale<br />

che il linguaggio porta con<br />

sé nello “stile”. Di Frank è stato recentemente<br />

pubblicato un altro testo,<br />

risalente al 1982, IL DIO A VENIRE.<br />

LEZIONI SULLA NUOVA MITOLOGIA (trad. it.<br />

a cura di F. Cuniberto, prefaz. di S.<br />

Givone, Einaudi, Torino 1994), che<br />

ebbe particolare rilevanza nell’ ambito<br />

della cosiddetta “Mythos-Debatte”<br />

degli anni ’80 in Germania.<br />

Che sussista una differenza tra il linguaggio<br />

della filosofia e quello della letteratura,<br />

Manfred Frank, ne Lo stile in filosofia<br />

(testo tratto dalle lezioni tenute dall’autore<br />

a Princeton nel 1990) se ne dice convinto;<br />

egli nega, però, che la specificità della<br />

filosofia nei confronti della letteratura risieda<br />

nella cogenza del contenuto veritativo<br />

della prima in rapporto alla seconda.<br />

L’elemento comune al linguaggio delle<br />

due discipline consiste, da un lato, nell’appartenenza<br />

a una tradizione, per cui il<br />

messaggio veicolato «non si lascia mai<br />

risolvere in un’intuizione trasparente»;<br />

dall’altro, nell’impronta conferita al linguaggio<br />

dal suo “stile”, che rappresenta<br />

l’ineliminabile dimensione individuale attraverso<br />

cui si verifica, da parte del soggetto,<br />

l’accesso al mondo.<br />

Dal riconoscimento di questi due aspetti<br />

del linguaggio scaturiscono una serie di<br />

questioni: in primo luogo, quella della congruenza<br />

tra il carattere individuale e irripetibile<br />

dello stile e la pretesa di universalità,<br />

implicita nella questione veritativa posta<br />

dalla filosofia; in secondo luogo, quella del<br />

ruolo che lo stile, elemento propriamente<br />

“letterario”, riveste nell’elaborazione concettuale.<br />

A partire da tali questioni, sostiene<br />

Frank, si può infine stabilire il grado di<br />

autoriflessività che il pensiero filosofico,<br />

in quanto ermeneutica cosciente della rilevanza<br />

dei propri elementi stilistici, può<br />

acquisire nei confronti di sé medesimo.<br />

Nel suo saggio Una filosofia dello stile.<br />

Verso l’intransparenza del vero, che accompagna<br />

l’edizione italiana de Lo stile in<br />

filosofia, Mario Ruggenini mostra come<br />

la ricerca avviata da Frank giunga all’affermazione<br />

di una “intransparenza del vero”,<br />

mettendo in gioco elementi provenienti<br />

dall’ermeneutica con motivi mutuati dalla<br />

filosofia analitica. La tesi di Frank di una<br />

radice individuale dell’universale si oppone<br />

all’idea di una coscienza assoluta, che<br />

nel suo potere di autoriflessione totale si<br />

AUTORI E IDEE<br />

presenti come assolutamente monologica.<br />

Una tale coscienza, secondo Frank, risulta<br />

incrinata proprio da quell’elemento, lo stile,<br />

che nell’ironia romantica serviva a svalutare<br />

il relativo a favore dell’assoluto, ma<br />

che, considerato nella sua irripetibilità letteraria,<br />

rappresenta la traccia indelebile<br />

dell’individuale, del relativo medesimo.<br />

“Intransparenza del vero” è appunto ciò<br />

che designa quella situazione per cui la<br />

ragione non può esaurire la propria realtà<br />

nell’atto autoriflessivo.<br />

Frank vede all’opera il paradigma della<br />

coscienza assoluta e delle sue pretese di<br />

autotrasparenza anche nel tentativo, rintracciabile<br />

nel “neostrutturalismo”, di riconduzione<br />

dell’elemento individuale, di<br />

per sé incodificabile, alle regole che presiedono<br />

alla sua formazione: il modello della<br />

sussunzione. Ascendenze di questo modello<br />

sono rintracciabili, secondo Frank, già in<br />

Aristotele, dal quale la filosofia, in quanto<br />

“scienza prima”, riceve il paradigma della<br />

propria autocomprensione. A questo paradigma<br />

si mostra fedele anche Martin<br />

Heidegger: l’esigenza di considerare come<br />

preliminare, ai fini della comprensione<br />

dell’ente, quella dell’essere, viene da Frank<br />

reinterpretata come l’affermazione relativa<br />

alla possibilità, per i soggetti, di relazionarsi<br />

all’ente solo tramite la mediazione -<br />

linguistica - del senso, ovvero del significato.<br />

Contro il modello sussuntivo Frank<br />

obietta, facendo riferimento alle analisi e<br />

alle argomentazioni di Donald Davidson,<br />

che è il “fatto” linguistico che spiega le<br />

regole, e non viceversa. Nessuna regolarità<br />

può spiegare la comprensione di un’espressione;<br />

né il codice sociale può risolvere in<br />

sé (come crede l’approccio che Davidson<br />

definisce social externalism) il problema<br />

dell’accesso al senso del discorso.<br />

Sottolineando il carattere “letterario” del<br />

testo filosofico, Frank suggerisce l’ipotesi<br />

di una connotazione “estetica”, rintracciabile<br />

nell’argomentazione filosofica, rimuovendo<br />

in tal modo una consolidata distinzione<br />

di “genere” tra scrittura letteraria e<br />

scrittura filosofica. In tal senso, osserva<br />

Frank, l’uso reiterato, da parte di<br />

Wittgenstein, di “immagini” o “similitudini”<br />

riveste un significato profondamente<br />

filosofico, in quanto, nella sua difformità<br />

stilistica dal linguaggio filosofico usuale,<br />

ne persegue invece la finalità euristica più<br />

profonda: attraverso una non paradossale<br />

conformità al proprio oggetto, l’indicibile<br />

viene infatti mostrato “in quanto” indicibile,<br />

l’inesprimibile viene “detto” attraverso<br />

l’evocazione. In questo, l’analisi di Frank<br />

si oppone, da un lato, all’illusione (illuminista<br />

e positivista) di risolvere il mito nella<br />

sua spiegazione; dall’altro al misticismo di<br />

chi, insistendo sull’aspetto metaforico del<br />

linguaggio, esaurisce la spiegazione nell’evocazione,<br />

riducendo l’analisi razionale<br />

a una narrazione mitologica.<br />

All’interno della Mythos-Debatte, il dibattito<br />

sul mito sviluppatosi in Germania negli<br />

anni ’80, si colloca propriamente un’altra<br />

27<br />

opera di Frank, Il dio a venire. Lezioni sulla<br />

nuova mitologia, ora finalmente disponibile<br />

in edizione italiana. Come ricorda Sergio<br />

Givone nella sua “Prefazione” al volume,<br />

gli autori che hanno animato questo<br />

dibattito appaiono accomunati dal tentativo<br />

di rivendicare al mito un valore di verità<br />

non contrapposto, bensì connesso a quello<br />

della razionalità. Ad essa viene delegato il<br />

compito di problematizzare il mito con<br />

l’obiettivo di giungere a una “mitologia<br />

della ragione”, secondo la definizione di<br />

Schelling che, secondo Frank, rappresenta<br />

l’esordio dell’idealismo tedesco nella sua<br />

versione estetico-romantica. Il Romanticismo<br />

per primo (non certo Nietzsche), ricorda<br />

infatti Frank, intuì «il fondo oscuro di<br />

un’antichità non classica, ossia non apollinea<br />

e non omerica: l’idea di un underground<br />

culturale che solo nell’epos apollineo<br />

trova un’espressione linguistica articolata,<br />

e un’elaborazione simbolica complessiva».<br />

Solo il Romanticismo poteva<br />

dunque porsi la “questione del mito”, ovvero<br />

la questione della razionalità, e stabilire<br />

come esigenza programmatica la loro<br />

risoluzione. Presupposto di un tale programma<br />

era che la fonte di senso della<br />

ragione rimane estranea alla ragione stessa;<br />

essa la trova davanti a sé - o, più propriamente<br />

“dietro”: dietro le spalle - come un<br />

“dato”, un “dio a venire” che è, in realtà, già<br />

da sempre dato alla ragione in quanto sostrato<br />

del suo operare.<br />

Il carattere di novità della “nuova mitologia”<br />

schellinghiana, che può parimenti essere<br />

considerata come il programma del<br />

filosofo novecentesco, consiste «nel voler<br />

salvare il mito solo per la sua funzione di<br />

legittimazione trascendente, ma non per i<br />

suoi contenuti superstiziosi». A questo<br />

programma, osserva Flavio Cuniberto nel<br />

suo saggio Una mitologia trasparente?<br />

Nota su Manfred Frank, che conclude l’edizione<br />

italiana de Il dio a venire, non appare<br />

estranea una finalità politico-culturale, oltre<br />

che filosofica: sottrarre la riflessione<br />

sul mito, e la sua utilizzazione, alla pratica<br />

di pensiero e alla politica neofascista. Intento,<br />

quest’ultimo, attuato da Frank attraverso<br />

la già ricordata contaminazione fra<br />

decostruzionismo, ermeneutica e pensiero<br />

analitico, nonché attraverso il dialogo<br />

soprattutto con la cultura francese e, segnatamente,<br />

con la figura di Jacques<br />

Derrida. In questo modo, il mito viene<br />

sottratto al suo radicamento in uno specifico<br />

contesto storico ed etnico e proiettato<br />

in una dimensione archetipica, dove esso<br />

funge, nel suo rapporto con la ragione, da<br />

entità paradigmatica. Anche per questo<br />

verso, la questione dello “stile in filosofia”<br />

trova qui le sue radici: nell’esigenza -<br />

ispirata alla cultura francese - di una clarté<br />

che sappia compiere, nei confronti del<br />

mito, quella Aufklärung non totalizzante<br />

che consiste, nel contempo, nel portare la<br />

ragione a imbattersi nei propri limiti, realizzando<br />

in questo modo il programma di<br />

una “mitologia della ragione”. F.C.


TENDENZE E DIBATTITI<br />

Jean-Paul Sartre<br />

Jacques Lacan, Louis Althusser<br />

Michel Foucault<br />

28


Su Foucault<br />

In concomitanza con la pubblicazione<br />

dell’immenso lavoro di raccolta dell’opera<br />

di Michel Foucault, si moltiplicano<br />

le iniziative editoriali sull’autore<br />

scomparso dieci anni fa. Nella biografia<br />

intellettuale MICHEL FOUCAULT ET SES<br />

CONTEMPORAINS (Michel Foucault e i suoi<br />

contemporanei, Fayard, Parigi 1994),<br />

Didier Eribon si sofferma sui rapporti<br />

di Foucault con i pensatori del suo<br />

tempo, delineando un quadro del clima<br />

culturale francese di questi ultimi<br />

decenni. In MICHEL FOUCAULT, LA CLARTÉ<br />

DE LA MORT (Michel Foucault, il chiarore<br />

della morte, Odile Jacob, Parigi<br />

1994), Jeannette Colombel, dopo aver<br />

tentato una diagnosi del presente sulla<br />

base di un’attenta lettura dei testi di<br />

Foucault, individua un punto d’incontro<br />

tra questi e Jean Paul Sartre. Un<br />

testo inedito di Gilles Deleuze, DÉSIR<br />

ET PLAISIR (Desiderio e piacere, «Magazine<br />

Litteraire», n. 325, ottobre 1994)<br />

rappresenta l’ultimo dialogo tra<br />

Deleuze e Foucault. A cura di Alain<br />

Brossat appare MICHEL FOUCAULT, LES<br />

JEUX DE LA VERITÉ ET DU POUVOIR (Michel<br />

Foucault, i giochi della verità e del<br />

potere, Presses Universitaires de Nancy,<br />

Nancy 1994), da cui si può ricavare<br />

il taglio particolare con cui Foucault è<br />

recepito nei paesi dell’Est. Da segnalare<br />

infine due edizioni francesi di<br />

opere in lingua inglese: la biografia di<br />

David Macey, MICHEL FOUCAULT (Gallimard,<br />

Parigi 1994), e, in uscita entro<br />

l’anno, il lavoro critico di John Rajchmann,<br />

EROTIQUE DE LA VERITÉ, FOUCAULT,<br />

LACAN ET LA QUESTION DE L’ÉTHIQUE (Erotica<br />

della verità, Foucault, Lacan e la<br />

questione dell’etica, PUF, Parigi 1994).<br />

Risale a cinque anni fa la prima biografia<br />

su Michel Foucault ad opera di Didier<br />

Eribon. Vi si raccontava del legame di<br />

Foucault con Louis Althusser, della sua<br />

iscrizione al Partito Comunista, della sua<br />

difficoltà a vivere l’omosessualità e delle<br />

influenze che questa aveva avuto nel suo<br />

percorso intellettuale, pur senza presentarla<br />

come unica chiave interpretativa. La<br />

parte iniziale della nuova biografia che<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

Eribon dedica a Foucault è incentrata proprio<br />

sulla ricezione che ha avuto il suo<br />

precedente lavoro. Riveduto e arricchito<br />

da numerose appendici, questo nuovo volume<br />

rappresenta infatti, per Foucault, l’occasione<br />

per ribattere alle obiezioni che gli<br />

sono state rivolte da più parti. Pur senza<br />

stabilire un rapporto diretto di causa-effetto<br />

tra vita e opera, Eribon suggerisce che<br />

l’esperienza di marginalità vissuta dal pensatore<br />

francese lo avrebbe sensibilizzato a<br />

ogni forma di esclusione. A sostegno di<br />

questa tesi è riportata un’illuminante affermazione<br />

di Foucault contenuta in L’intellettuale<br />

e i poteri: «Ho sempre sostenuto<br />

che ognuno dei miei libri è in qualche<br />

modo costituito da frammenti di autobiografia:<br />

i miei libri sono sempre stati i miei<br />

problemi personali con la follia, la prigione,<br />

la sessualità».<br />

Successivamente Eribon passa in rassegna<br />

i legami che Foucault ha intrattenuto con<br />

alcuni dei maggiori intellettuali del tempo.<br />

Innanzittutto Georges Dumezil, “un vero<br />

modello intellettuale” per Foucault, nonostante<br />

l’abisso che separava le loro convinzioni<br />

politiche: Dumezil era stato in<br />

gioventù un simpatizzante di Azione francese,<br />

mentre Foucault, influenzato da<br />

Althusser, aveva aderito al Partito comunista.<br />

Il rapporto con Althusser, racconta<br />

Eribon, si instaurò nel 1946, quando tutti e<br />

due «camminavano con equilibrio instabile<br />

sulla linea di creta che separa la ragione<br />

dalla follia». All’insegna dell’omosessualità<br />

invece fu la relazione con Dumezil.<br />

Successivamente Eribon si occupa dei rapporti<br />

con la coppia Sartre e Beauvoir,<br />

della disputa tra strutturalismo e umanismo,<br />

del dibattito sul dopo ’68, dell’insegnamento<br />

della filosofia. Tra gli altri, compaiono<br />

anche Lacan e Habermas nei loro<br />

punti d’incontro-scontro con la traiettoria<br />

di Foucault, che si trova così inserita nel<br />

contesto allargato della vita intellettuale francese<br />

di questi ultimi decenni. Particolare<br />

rilievo è dato alla relazione di stima e ammirazione<br />

instaurata con Roland Barthes.<br />

In Michel Foucault. La clarté de la mort,<br />

Jeannette Colombel, senza mai abusare<br />

dell’amicizia che le fu offerta, si “limita”<br />

a interrogare le opere di Foucault così da<br />

«evitare la doppia ignominia del sapiente<br />

e del familiare», come ammonisce Jilles<br />

29<br />

Deleuze, citato in esergo al volume (e al<br />

cui dialogo con Foucault è dedicato il<br />

prologo). A partire dall’opera fucaultiana,<br />

Colombel getta uno sguardo sul presente,<br />

ovvero mette le opere di Foucault in situazione:<br />

dal flagello dell’AIDS alla Bosnia,<br />

emerge la straordinaria fecondità di queste<br />

riflessioni che, se opportunamente recepite,<br />

danno spunti per leggere la nostra epoca.<br />

L’ “attualità” era d’altronde uno dei<br />

soggetti preferiti di Foucault, tant’è che<br />

soleva definirsi uno “storico del presente”,<br />

attribuendosi il compito di rendere visibili<br />

le opacità contemporanee che si traducevano<br />

in esclusioni e marginalizzazioni.<br />

Il confronto con Sartre, avanzato da Colombel,<br />

intende mettere in luce i punti di<br />

convergenza tra due pensatori ritenuti spesso<br />

agli antipodi, soprattutto in seguito alla<br />

polemica suscitata dalla pubblicazione di<br />

Le parole e le cose, di cui Colombel fornisce<br />

un resoconto, citando la risposta di<br />

Sartre, contenuta nel numero di «Arc» del<br />

1966, dedicato a Foucault. Il punto d’incrocio<br />

tra i due, che rimangono comunque<br />

irriducibili, riguarda la questione della “costituzione<br />

del soggetto morale” e della<br />

soggettività. Sartre è presentato, più che<br />

come un sostenitore della filosofia della<br />

coscienza, come colui che per primo ha<br />

rotto con il cogito fondatore di Kant e<br />

Husserl: è da un ambito impersonale, attraverso<br />

una molteplicità di atti, di “estasi”<br />

che per Sartre si costituisce la soggettività.<br />

In Sartre troviamo un rifiuto della<br />

vita interiore analogo a quello presente in<br />

Foucault, che in Il pensiero del fuori, scritto<br />

in omaggio a Blanchot, sostiene la scomparsa<br />

del soggetto a favore del linguaggio.<br />

Se si considerano le analisi condotte a<br />

partire da Sorvegliare e punire, si potrebbe<br />

essere indotti a collocare il potere al centro<br />

dell’interesse di Foucault. Ma in un’intervista<br />

rilasciata nel 1983, egli stesso precisa:<br />

«Non è il potere, ma il soggetto che<br />

costituisce il tema generale delle mie ricerche».<br />

La delineazione della “microfisica<br />

dei poteri” si rivela così, osserva Colombel,<br />

funzionale alla messa in luce di<br />

«una “storia” dei modi di soggettivazione<br />

nella nostra cultura»: il metodo genealogico,<br />

ovvero la ricerca dell’origine di strutture<br />

divenute ormai abituali e delle soggettività<br />

a cui hanno dato luogo, consentiva di


problematizzarle e mettersi al riparo da<br />

ogni loro ipostatizzazione e passiva accettazione.<br />

Da parte sua, Sartre ritiene che la<br />

soggettività sia irriducibile alla storia pur<br />

essendo ad essa relativa, tant’è che pone la<br />

“situazione” come condizione di possibilità<br />

della libertà, come ciò a partire da cui<br />

«il soggetto crea dei valori attraverso i suoi<br />

atti e la sua condotta». A sua volta Foucault,<br />

partendo dalle strutture e dalle posizioni in<br />

esse occupate dai soggetti, fa riferimento<br />

alla libertà come scelta etica, come conquista<br />

in fieri del soggetto: «lavoro indefinito<br />

sui nostri limiti, fatica paziente che dà<br />

forma all’impazienza della libertà». Sul<br />

terreno di una morale non prescrittiva Colombel<br />

fa dunque incontrare due pensieri<br />

che prevedono l’esigenza di una libertà<br />

interna alle strutture in cui il soggetto<br />

è inserito e in cui deve costituirsi come<br />

soggetto morale.<br />

La problematica etica è anche il motivo<br />

che regge l’accostamento tra Foucault e<br />

Lacan proposto da John Rajchmann in<br />

Erotique de la verité, Foucault, Lacan et<br />

la question de l’éthique. Nonostante l’avversione<br />

di Foucault per la psicoanalisi,<br />

che fa della sessualità una questione di<br />

desiderio e del desiderio l’essenza dell’uomo,<br />

questi avrebbe in comune con<br />

Lacan la ricerca dei rapporti tra soggettività<br />

e verità.<br />

I punti di convergenza e di divergenza tra<br />

Foucault e Gilles Deleuze li si può ricavare,<br />

invece, da un testo inedito di Deleuze<br />

dedicato a Foucault, Desir et Plaisir, e ora<br />

pubblicato in «Magazine Littéraire». Più<br />

che di una critica, si tratta del tentativo di<br />

Deleuze di riprendere il dialogo con un<br />

amico di vecchia data, dialogo un tempo<br />

intenso e che si era poi interrotto in seguito<br />

alla recensione di Deleuze all’opera di<br />

Foucault, Sorvegliare e punire (1975), apparsa<br />

su «Critique».<br />

I temi trattati da Foucault in questa sua<br />

opera - la questione del potere, delle sue<br />

tecniche, dei modi di esercitarlo, dei suoi<br />

rapporti col sapere - sono al centro dell’incontro<br />

organizzato nel giugno del 1993 a<br />

Sofia e di cui sono stati pubblicati di recente<br />

gli atti con il titolo: Michel Foucault, les<br />

jeux de la verité et du pouvoir. La raccolta<br />

mostra come l’opera di Foucault sia particolarmente<br />

letta e utilizzata nell’Europa<br />

dell’Est come analisi delle forme di governabilità,<br />

che appoggiandosi su articolazioni<br />

di saperi e poteri, si esercitano sia a<br />

livello di Stato che di individuo.<br />

La biografia dedicata a Foucault da David<br />

Macey, sebbene ricca di dettagli sulla sua<br />

vita, rimane spesso a livello poco critico,<br />

poco interpretativo: Macey riporta le circostanze<br />

della nascita delle opere di<br />

Foucault, ne ricorda i temi principali e<br />

segue le trasformazioni della loro ricezione.<br />

Più che di una biografia intellettuale, si<br />

tratta qui, in realtà, di una biografia evenemenziale.<br />

Se la pratica filosofica di<br />

Foucault è indissociabile dal suo impegno<br />

militante - «Ogni volta che ho cercato di<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

fare un lavoro teorico - dichiara lo stesso<br />

Foucault - è stato a partire da elementi<br />

della mia esistenza, sempre in rapporto<br />

con dei processi che vedevo dispiegarsi<br />

intorno a me» - un’interpretazione che non<br />

si faccia carico di questa dinamica tra vita<br />

e pensiero, è destinata a rendere un Foucault<br />

monco, sfigurato. A.M.<br />

La filosofia del linguaggio<br />

di Davidson<br />

Le indagini di Donald Davidson sulla<br />

natura degli eventi, sulla teoria causale<br />

dell’azione e sulle relazioni tra<br />

mente, corpo e verità, sulle condizioni<br />

di possibilità della teoria del significato,<br />

sul rapporto tra linguaggio e<br />

interpretazione e sull’aspetto sociale<br />

del linguaggio, trovano un ampio e<br />

preciso riscontro in alcune recenti pubblicazioni.<br />

VERITÀ E INTERPRETAZIONE<br />

(trad. it. a cura di E. Picardi, il Mulino,<br />

Bologna 1994), che raccoglie i più<br />

importanti saggi di filosofia del linguaggio<br />

di Davidson, analizza temi<br />

portanti del dibattito odierno in campo<br />

analitico sui caratteri e le condizioni<br />

della teoria del significato, il rapporto<br />

tra linguaggio e interpretazione,<br />

l’aspetto sociale e pubblico del<br />

linguaggio. LINGUAGGIO E INTERPRETAZIO-<br />

NE (trad. it. a cura di L. Perissinotto,<br />

Unicopli, Milano 1993) riporta il saggio<br />

di Davidson sui malapropismi, che<br />

giunge a negare l’esistenza del linguaggio,<br />

e le risposte critiche di Ian<br />

Hacking e di Michael Dummett, che<br />

invece pongono in primo piano il ruolo<br />

dell’interpretazione, per la comprensione<br />

degli enunciati e l’esistenza<br />

e la natura del linguaggio, e il ruolo<br />

delle convenzioni. A questi scritti di<br />

Davidson fa riscontro il saggio critico<br />

di Davide Sparti, SOPPRIMERE LA LONTA-<br />

NANZA (La Nuova Italia, Firenze 1994),<br />

che pone la domanda se la teoria<br />

dell’interpretazione di Davidson possa<br />

dar conto della diversità interculturale<br />

e linguistica e della loro interpretazione.<br />

I più importanti saggi di filosofia del linguaggio<br />

di Donald Davidson sono disponibili<br />

oggi in traduzione italiana, rivisti e<br />

modificati dall’autore, nel volume: Verità<br />

ed Interpretazione (una raccolta analoga,<br />

dedicata alla filosofia dell’azione, Essays<br />

on Actions and Events, del 1980, è stata<br />

pubblicata in edizione italiana nel 1992<br />

con il titolo: Azioni ed eventi). Nella prima<br />

parte della raccolta, che riporta il titolo:<br />

“Verità e Significato”, Davidson si chiede<br />

quale tipo di teoria della verità possa costituire<br />

una teoria del significato nei termini<br />

di una nozione di interpretazione valida<br />

per tutti gli enunciati attuali e possibili del<br />

30<br />

linguaggio. Secondo Davidson l’unica nozione<br />

appropriata è quella di soddisfacimento<br />

di un enunciato, cioè quella che<br />

rende la correlazione tra realtà e linguaggio;<br />

mentre quelle di corrispondenza e<br />

coincidenza sono da rifiutare. La nozione<br />

di soddisfacimento, osserva Davidson, è<br />

correttamente formulata da Tarski per<br />

mezzo delle tabelle di verità, con il merito<br />

di mostrare anche il suo carattere composizionale.<br />

La teoria della verità costituisce<br />

la semantica formale per i linguaggi naturali,<br />

che va ad affiancarsi alla sintassi<br />

formale di Chomsky.<br />

Il progetto di Davidson intende porsi come<br />

un progetto globale; per questo, nella seconda<br />

parte del volume, denominata “Applicazioni”,<br />

egli cerca di “addomesticare”<br />

i casi idiomatici della citazione, del discorso<br />

indiretto e degli operatori per il<br />

modo verbale. La citazione e il riferimento<br />

indiretto sono risolti dall’autore come casi<br />

speciali del riferimento dimostrativo delle<br />

parole nell’immediato contesto discorsivo.<br />

Il caso degli operatori del modo verbale,<br />

invece, può essere spiegato analizzandolo<br />

separatamente dalle forze illocutorie<br />

attraverso un’analisi paratattica, nei limiti<br />

della teoria della verità tarskiana.<br />

Nella terza parte, denominata “Interpretazione<br />

radicale”, Davidson si interroga come<br />

una teoria della verità, per un parlante,<br />

possa essere verificata senza far uso della<br />

nozione di significato. Per Davidson una<br />

tale verifica può essere condotta solo indirettamente,<br />

attraverso lo studio della struttura<br />

dell’assenso, utilizzando il metodo<br />

formulato nel principio di carità. Questo ci<br />

permette di separare che cosa si vuole<br />

significare da che cosa si crede e di scegliere<br />

tra le teorie dell’interpretazione quella<br />

che permette la comprensione tra i parlanti,<br />

obiettivo della comunicazione verbale.<br />

Tuttavia, il principio di carità, osserva<br />

Davidson, è criticabile nella misura in<br />

cui dà per scontato che l’ascoltatore conosca<br />

molte delle credenze del parlante e che<br />

solo l’individuo provvisto di linguaggio<br />

possieda una struttura degli atteggiamenti<br />

proposizionali perfettamente sviluppata.<br />

Le ricadute filosofiche della sua concezione<br />

sono illustrate da Davidson nella quarta<br />

parte del volume, dal titolo: “Linguaggio e<br />

Realtà”. Ciò che emerge, in primo luogo,<br />

è l’imperscrutabilità del riferimento, dato<br />

che la teoria della verità è verificata dai<br />

suoi stessi teoremi, che stabiliscono a quali<br />

condizioni l’enunciato è vero, non per<br />

quale oggetto esso è verificato. In secondo<br />

luogo emerge la similarità dei metodi con<br />

cui ognuno di noi guarda il mondo; il che<br />

comporta anche la correttezza, nelle sue<br />

linee generali, della visione del mondo.<br />

Contro il relativismo concettuale Davidson<br />

mostra come il linguaggio non sia uno<br />

schermo o un filtro, annullando con ciò il<br />

dualismo contenuto-schema e scalzando<br />

la possibilità dell’empirismo.<br />

Infine, nella quinta parte del volume, “Limiti<br />

del letterale”, Davidson investiga i


limiti della teoria del significato, che deve<br />

essere ampia, ma allo stesso tempo ristretta,<br />

per poter essere sistematizzabile. A tale<br />

proposito Davidson si interroga sui casi<br />

linguistici limite come le metafore, i malapropismi<br />

e i lapsus linguae, nella convinzione<br />

che siano analoghi ai casi dei proferimenti<br />

incompleti o grammaticalmente<br />

confusi e delle parole inedite e che quindi<br />

non costituiscano un’eccezione, ma una<br />

realtà onnipresente e pervasiva nella nostra<br />

pratica linguistica. Il significato usato<br />

negli enunciati metaforici, afferma Davidson,<br />

non può che essere quello letterale,<br />

altrimenti le metafore risulterebbero incomprensibili.<br />

Per quanto riguarda il limite<br />

dell’adeguatezza delle teorie, Davidson<br />

sostiene che essa è stabilita sul campo,<br />

non utilizzando regole formalizzate<br />

nella teoria, ma grazie all’intuito dell’interprete,<br />

in cui si presuppone la capacità<br />

di elaborare teorie.<br />

A quest’ambito problematico del pensiero<br />

di Davidson appartiene anche il saggio<br />

Una graziosa confusione di epitaffi, che<br />

compare nel volume curato da Luigi Perissinotto,<br />

Linguaggio e interpretazione,<br />

unitamente alle risposte critiche di Ian<br />

Hacking, La parodia della conversazione,<br />

e di Michael Dummett, Una graziosa confusione<br />

di epitaffi: alcune note su Davidson<br />

e Hacking (i tre saggi costituiscono<br />

l’ultima parte della raccolta a cura di E.<br />

Lepore: Truth and Interpretation. Perspectives<br />

on the Philosophy of Donald Davidson,<br />

del 1986).<br />

Nel saggio Una graziosa confusione di<br />

epitaffi, Davidson descrive che cosa implica<br />

l’idea di avere dimestichezza con la<br />

pratica linguistica e come è possibile applicare<br />

ai singoli proferimenti questa padronanza,<br />

mostrando come ciò sia inspiegabile<br />

senza la nozione di interpretazione<br />

e senza un concetto di linguaggio come<br />

convenzione e, dal punto di vista del suo<br />

utilizzo, come applicazione meccanica di<br />

regole generali acquisite. Un tale progetto<br />

porta Davidson alla conclusione provocatoria<br />

che non esiste un qualche cosa come<br />

il linguaggio.<br />

Ponendosi in un contesto dialogico, Davidson<br />

ritiene che la conoscenza del linguaggio<br />

sia data nei termini di una teoria transitoria<br />

e di una anteriore. La prima è costituita<br />

dalla lista dei nomi usati nel discorso<br />

e dei significati letterali delle parole; la<br />

seconda può essere identificata con l’idoletto,<br />

cioè il linguaggio di un determinato<br />

parlante, spazialmente e temporalmente<br />

situato, che contiene tutte le nostre conoscenze<br />

linguistiche e non sull’interlocutore.<br />

Nella pratica comunicativa i due parlanti,<br />

che prima di dialogare possiedono la<br />

teoria anteriore, sviluppano le rispettive<br />

teorie transitorie, che interagendo con le<br />

teorie anteriori le modificano. La comprensione<br />

linguistica dei parlanti dipende, secondo<br />

Davidson, dall’abilità nel far convergere<br />

le teorie transitorie, a partire da<br />

vocabolari e grammatiche private, per mez-<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

zo di strategie non comunicabili, constatato<br />

che le regole sono irrilevanti teoricamente,<br />

ma non pragmaticamente.<br />

Nel suo saggio di risposta alla concezione<br />

di Davidson, Ian Hacking nota come la<br />

negazione dell’esistenza del linguaggio e<br />

la contemporanea esistenza di molti linguaggi<br />

formali ponga Davidson sullo stesso<br />

punto di partenza di Tarski, ma in<br />

opposizione a questi, dal momento che per<br />

Davidson è necessaria la precomprensione<br />

della verità per poter ottenere il significato,<br />

mentre per Tarski è necessaria la<br />

conoscenza del significato per giungere<br />

alla verità degli enunciati. Inoltre Hacking<br />

rileva che la sistematicità del linguaggio<br />

non richiede ricorsività, come vuole Davidson,<br />

la cui visione olistica del linguaggio<br />

è per Hacking insostenibile, non essendo<br />

confermata dall’esperienza e risultando<br />

incompatibile con la descrizione della comunicazione<br />

nei termini di teoria transitoria.<br />

Infine, osserva Hacking, se consideriamo<br />

il linguaggio come un insieme di<br />

regole unitario e monolitico e affermiamo<br />

che non esiste il linguaggio, allora non<br />

esistono nemmeno i vari linguaggi “L”<br />

che ne sono parte e i rispettivi enunciati<br />

“vero-in-L”. L’unica lettura accettabile<br />

delle conclusioni di Davidson, ribadisce<br />

Hacking, è quella di negare l’esistenza di<br />

un unico linguaggio totale, di vocabolari e<br />

linguaggi privati, e affermare l’esistenza<br />

di molteplici linguaggi debolmente connessi,<br />

provenienti dalle varie comunità<br />

linguistiche in cui viviamo; ciò permetterebbe<br />

di spiegare sia l’errore che la correttezza<br />

linguistica.<br />

Conclude la raccolta curata da Perissinotto<br />

un saggio di Michael Dummett, Una<br />

graziosa confusione di epitaffi: alcune note<br />

su Davidson e Hacking, in cui l’autore<br />

cerca di chiarire quale siano lo scopo e la<br />

natura della teoria anteriore e transitoria<br />

(ribattezzate “teoria a lungo raggio” e “teoria<br />

a breve raggio”) che determinano la<br />

nozione di significato, di linguaggio e<br />

l’obiettivo della proposta di Davidson.<br />

Questi, osserva Dummett, intende dare un<br />

resoconto totale della comprensione linguistica,<br />

estendendo le conclusioni dello<br />

studio dei casi non-standard a quelli standard,<br />

per determinare quali sono le abilità<br />

linguistiche che il parlante deve conoscere.<br />

Considerando innegabile l’esistenza<br />

del linguaggio comune come modello comunicativo,<br />

Dummett riformula la proposta<br />

di Davidson, introducendo la nozione<br />

di teoria di secondo grado - ossia di teoria<br />

di teoria. Nella pratica linguistica, osserva<br />

Dummett, le intenzioni hanno bisogno,<br />

per manifestarsi, delle convenzioni relative<br />

alle comunità linguistiche; di fatto la<br />

padronanza della pratica linguistica è una<br />

conoscenza a metà strada tra quella teorica<br />

e quella pratica, dato che non si può sapere<br />

che cosa sia in effetti una pratica fino a<br />

quando non la si padroneggia. Individuando<br />

due possibili spiegazioni del linguaggio,<br />

una schematica (teoria del significato<br />

31<br />

corredata dai principi di collegamento) e<br />

una reale (attività linguistica come padronanza<br />

di una pratica), Dummett ritiene,<br />

infine, che sia stata la tentazione di descrivere<br />

la nostra abilità linguistica come una<br />

conoscenza teoretica ciò che ha portato<br />

Davidson ad affermare l’inesistenza del<br />

linguaggio.<br />

Un ulteriore approfondimento delle concezioni<br />

di Davidson può essere tratto dalle<br />

considerazioni critiche di Davide Sparti,<br />

espresse nel saggio Sopprimere la lontananza<br />

uccide, che affronta il tema della<br />

differenza nel linguaggio, interrogandosi<br />

sulla natura della comprensione dello straniero.<br />

Lo straniero è non solo l’immigrato<br />

ma anche il nativo estraniato per situazioni<br />

di incertezza, conflitto o cambiamento, esperienze<br />

queste che si pongono fuori dall’ambito<br />

razionale analizzato da Davidson.<br />

Sparti affronta la concezione di Davidson,<br />

muovendo dalle sue considerazioni critiche<br />

sul relativismo degli schemi concettuali,<br />

in cui si esprime la non coincidenza<br />

del mondo e del linguaggio con il nostro<br />

raggio del mondo e del linguaggio. La<br />

possibilità di errori o di una interpretazione<br />

parziale richiede per Davidson l’appello<br />

al “principio di carità”, che instaura una<br />

relazione inscindibile tra semantica, razionalità<br />

e interpretazione radicale. Ma<br />

questo, rileva Sparti, porta Davidson a<br />

reintrodurre il dualismo mondo-schema,<br />

che era stato eliminato per mezzo della<br />

nozione di causa, considerata un requisito<br />

fondante del principio di carità. Tale nozione,<br />

benché sia definita come a-significante<br />

e appartenente all’ambito extra linguistico,<br />

sottopone e determina gli atteggiamenti<br />

cognitivi.<br />

In base a queste considerazioni, Sparti<br />

individua all’interno della proposta di Davidson<br />

una insanabile tensione tra la spinta<br />

olistico-emergentista e normativa, che<br />

comporta una semantica intensionale per<br />

gli atteggiamenti cognitivi e linguistici<br />

dell’uomo, e la spinta realistico-causale<br />

che, centrata sulla nozione di causalità,<br />

adotta una semantica estensionale per potersi<br />

riferire agli oggetti ed agli eventi<br />

esterni che ci caratterizzano. La filosofia<br />

di Davidson, osserva Sparti, mostra dunque<br />

di appartiene ancora all’empirismo<br />

che pretendeva di superare.<br />

Riferendosi alla nozione di interpretazione,<br />

proposta da Davidson sulla base delle<br />

idee di regola, condizione di asserzione,<br />

uso, ecc. di Wittgenstein, Sparti critica il<br />

progetto esternalista e quello olistico-cognitivo<br />

di Davidson. Per quanto riguarda il<br />

progetto esternalista, Sparti rileva che in<br />

Davidson la causa è sottodeterminata dall’interpretazione,<br />

cioè non esiste nessuna<br />

causa autoreferenziale che si applichi a se<br />

stessa, determinando il suo contenuto intenzionale;<br />

anzi, per una sola causa si<br />

possono dare molte interpretazioni. Gli<br />

enunciati stessi, continua Sparti, sono agiti<br />

secondo l’uso linguistico, non interpretati<br />

o causati. In definitiva, l’immagine


di interpretazione formulata da Davidson<br />

risulta insufficiente, e la nozione di<br />

comprensione è troppo concettuale e<br />

astratta rispetto a quella che ha luogo<br />

nelle interazioni sociali.<br />

Per quanto concerne invece il progetto olistico-cognitivo<br />

di Davidson, Sparti rileva<br />

una sottovalutazione dell’importanza dell’intenzione<br />

come motore dell’azione a favore<br />

dei desideri e delle credenze. Al modello<br />

causale o intenzionale, Sparti oppone,<br />

come più adeguato, quello del recettore,<br />

che pone nell’agire ciò che determina il<br />

significato e nelle condizioni d’uso, che<br />

ricostruiscono continuamente il principio<br />

di carità, la fonte per la recezione del significato<br />

da parte dei recettori. Il rifiuto del<br />

progetto olistico-cognitivo esternalista è<br />

da ricercare, secondo Sparti, nell’illegittimità<br />

della riduzione della comprensione<br />

alla capacità di traduzione-interpretazione;<br />

anzi è proprio la traduzione a portare a<br />

fraintendimenti e anomia. La proposta di<br />

Davidson deve essere, in tal senso, invertita,<br />

affinché si comprenda senza tradurreinterpretare,<br />

cioè senza dover ridimensionare<br />

i processi dell’interpretazione. Solo<br />

considerando contemporaneamente la proposta<br />

causalista ed esternalista di Davidson<br />

e quella contingente e serialista di<br />

Wittgenstein possiamo avere un’immagine<br />

globale della comprensione del significato.<br />

Queste valutazioni preliminari servono a<br />

Sparti per affrontare, in Davidson, il tema<br />

della differenza culturale e del possibile<br />

rapporto con essa, quindi i legami tra interpretazione,<br />

traduzione e le interruzioni<br />

della comprensione sociale, in riferimento<br />

all’esperienza dello “straniero”, cioè della<br />

diversità culturale, linguistica e della loro<br />

interpretazione. L’esperienza rara, accidentale<br />

e anomala di estraniamento dello<br />

straniero si genera, per Sparti, a seguito di<br />

un’interpretazione parziale che avviene in<br />

un ambito esterno alla zona di razionalità,<br />

in cui, per Davidson, si ha il riconoscimento<br />

della persona in quanto tale. Negando<br />

l’esistenza di forme traducibili e tuttavia<br />

nettamente alternative in termini di credenze<br />

e razionalità, che comportino un<br />

fondamentale accordo umano e comunità<br />

autoreferenziali, Davidson misconosce la<br />

specificità, la varietà e la radicale situazionalità<br />

del noi. A questo Sparti obietta che<br />

solo nel mutuo confronto tra le comunità si<br />

ha il riconoscimento e la comprensione<br />

reciproca che produce l’identità e la distinzione<br />

sociale: l’estraneo o lo straniero è<br />

necessario per la formazione e la ritenzione<br />

della nostra identità. Sparti, in altri<br />

termini, contrappone alla proposta di Davidson<br />

di una comunità cognitiva, razionale,<br />

individualista, basata sull’assunto non<br />

dimostrato di unità cognitiva dei suoi individui,<br />

quella di una comunità di comunicanti<br />

che, salvaguardando le connessioni<br />

di usi, atti, tecniche e asserzioni che gli<br />

uomini instaurano tra di loro, conserva la<br />

diversa identità dello straniero.<br />

Tra i recenti testi critici che affrontano<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

l’opera filosofica di Davidson è opportuno<br />

segnalare, in questo contesto di riflessione,<br />

il saggio di J. E. Malpas, Donald<br />

Davidson and the mirror of meaning (Donald<br />

Davidson e lo specchio del significato,<br />

Cambridge 1992). L’opera si articola<br />

su due livelli: il primo fornisce un’esegesi<br />

della riflessione più recente di Davidson<br />

riguardo l’indipendenza ontologica dei<br />

contenuti mentali dell’interpretazione, la<br />

teoria della causalità e i suoi rapporti con<br />

il significato e il principio di carità; il<br />

secondo sviluppa oltre la lettera la sua<br />

posizione olista collegandola alla tradizione<br />

fenomenologica e heideggeriana.<br />

L’opera di Malpas è articolata in sette<br />

capitoli. I primi due capitoli sono dedicati<br />

alla presentazione delle linee generali della<br />

filosofia di Davidson e di quella del suo<br />

maestro W. V. O. Quine. I tre capitoli<br />

successivi si occupano dell’olismo, dell’indeterminatezza<br />

e del principio di carità.<br />

Infine, gli ultimi due capitoli trattano<br />

delle questioni metafisiche ed epistemologiche,<br />

sollevate dall’interpretazione,<br />

come lo scetticismo, il relativismo, il<br />

realismo e la verità.<br />

In particolare, anche se non in misura così<br />

ampia quanto promette il titolo del testo,<br />

Malpas rivolge l’attenzione al rapporto di<br />

rispecchiamento tra la struttura psicologica<br />

e quella dell’interpretazione che permette<br />

a Davidson di spiegare l’indipendenza<br />

ontologica dei contenuti mentali<br />

dall’interpretazione, senza che quest’ultima<br />

debba svelare tali contenuti.<br />

Partendo dalla concezione di Davidson,<br />

Malpas sviluppa una teoria olistica che<br />

prende a prestito dalla fenomenologia e<br />

dall’ermeneutica le nozioni di “intenzione”<br />

e di “orizzonte” e vi aggiunge quella di<br />

“progetto”. In questo, tuttavia, Malpas viola<br />

oltre che la lettera, anche le intenzioni<br />

di Davidson, affermando che la corretta<br />

caratterizzazione della nozione di verità<br />

è quella di aletheia, di verità come disvelamento,<br />

proposta da Heiddeger. Tale<br />

nozione, osserva Malpas, è contenuta<br />

implicitamente nella concezione di Davidson,<br />

secondo cui la comprensione è<br />

insita nel dialogo e nell’implicazione<br />

con il mondo. M.G.<br />

Geofilosofia<br />

Con il titolo GEOFILOSOFIA viene pubblicato<br />

il primo numero di una nuova<br />

rivista, «MILLEPIANI», diretta da Tiziana<br />

Villani e promossa dall’associazione<br />

culturale “Mimesis”, il cui intento consiste<br />

nel realizzare «un progetto-laboratorio<br />

che avvii una riflessione sul<br />

Moderno, e sui principali percorsi di<br />

pensiero che lo attraversano».<br />

Il saggio di apertura, Geofilosofia, che dà<br />

il titolo a questo primo numero della rivi-<br />

32<br />

sta «Millepiani», è frutto della collaborazione<br />

fra Gilles Deleuze e Felix Guattari<br />

ed è tratto da Qu’est-ce-que la philosophie?<br />

(1991). Si tratta una riflessione che vuol<br />

porsi come topologica, “a partire dal luogo”,<br />

anziché come gnoseologica, ontologica,<br />

etica o politica, a partire dalla relazione<br />

fra soggetto e oggetto. Secondo<br />

Deleuze e Guattari, il pensiero e l’agire<br />

dell’uomo si collocano in una logica di<br />

dislocazione, di deterritorializzazione e<br />

successiva riterritorializzazione, che costituiscono<br />

l’essenza tanto della pratica<br />

politica, quanto di quella filosofica. Lo<br />

Stato, sia quello moderno, sia la polis<br />

greca, opera una deterritorializzazione,<br />

perché considera il territorio in base a<br />

finalità (economiche, politiche), a “misure”,<br />

che esorbitano da esso; ma anche la<br />

filosofia nasce da un’operazione deterritorializzante,<br />

attraverso lo straniamento semantico-concettuale<br />

di strumenti linguistici<br />

decontestualizzati rispetto alla cultura<br />

da cui provengono.<br />

D’altra parte, ogni deterritorializzazione<br />

comporta una riterritorializzazione: una<br />

nuova identità nello Stato; una nuova referenzialità<br />

semantica nel concetto. In questa<br />

prospettiva, fa notare Tiziana Villani<br />

nel suo intervento: Verità e divenire. Attualità<br />

e necessità del nomadismo, lo sradicamento<br />

diventa un atto strategico dell’esercizio<br />

di verità: in ciò consiste la “nomadologia”,<br />

la proposta di un “sapere nomadico”,<br />

che si faccia carico dell’erranza<br />

e delle verità nel loro sorgere dai “luoghi<br />

comuni”. La sortita dal luogo comune si<br />

attua attraverso una pratica dell’eccesso,<br />

che è nel contempo deterritorializzante, in<br />

quanto rottura della ritualità dei percorsi<br />

consuetudinari, e contestualizzante, in<br />

quanto richiesta di una ricollocazione in<br />

un “progetto”. A questa prospettiva si oppone<br />

ciò che Paul Virilio, nel suo Utopia<br />

o teletopia, definisce come “mediatizzazione<br />

totale dell’umanità”, quella “mondializzazione”<br />

che identifica l’u-topia, l’assenza<br />

di luogo, con la tele-topia, in quanto<br />

lontananza da ogni luogo. Tale lontananza<br />

si qualifica come indifferenza dei luoghi, e<br />

risulta essere il fondamento di quell’atteggiamento<br />

che, richiamandosi a Peter Sloterdijk,<br />

Pierre dalla Vigna, in Metamorfosi<br />

del moderno. Nomadismi e transizioni<br />

nel pensiero contemporaneo, definisce<br />

come “neocinismo”, in quanto «accoglimento<br />

di ogni cosa nell’indifferenziato»,<br />

come “adesione all’indifferenziato”. Nella<br />

sua radicalità antiteologica, questo atteggiamento,<br />

insieme trasformistico e opportunista,<br />

costituisce l’essenza della prassi<br />

politica nella modernità, e rinvia a una<br />

visione dell’essenza umana più pessimistica<br />

che disincantata.<br />

Alla possibilità di ricostruzione del soggetto<br />

agente è orientato anche il saggio di<br />

Adelino Zanini, Sottrarsi alla vista. I paradigmi<br />

dell’esodo, della fuga, dell’abbandono,<br />

del “sottrarsi a” rinviano tutti,<br />

sottolinea Zanini, all’idea di movimento:


il nomadismo si qualifica dunque, in via<br />

immediata, come un “pensiero del territorio”,<br />

nel senso che non può fare a meno di<br />

“pensare il territorio”, almeno nella forma<br />

dell’abbandono, ma anche in quella della<br />

sua ricerca. Esso si qualifica però, al contempo,<br />

come pensiero della pluralità; nella<br />

sua erranza il soggetto cambia molti luoghi,<br />

e con ciò muta esso stesso, si muove in<br />

contesti non congruenti, irriducibili l’uno<br />

all’altro, diventa altro, “straniero”; si sottrae<br />

alla presenza, alla vista, a uno sguardo,<br />

cioè, omnicomprendente ed esaustivo. F.C.<br />

Su Nietzsche<br />

Tra gli scritti che intendono analizzare<br />

l’eco di risonanza della filosofia nietzscheana<br />

nella cultura contemporanea<br />

segnaliamo l’opera di Steven Aschheim,<br />

THE NIETZSCHE LEGACY IN GERMANY (L’eredità<br />

di Nietzsche in Germania, University<br />

of California Press, Berkley 1992) e<br />

tre recenti studi di Antimo Negri, NIETZ-<br />

SCHE NELLA PIANURA. GLI UOMINI E LA CITTÀ<br />

(Spirali, Milano 1993), NIETZSCHE. LA SCIEN-<br />

ZA SUL VESUVIO (Laterza, Roma-Bari 1994)<br />

e INTERMINATI SPAZI ED ETERNO RITORNO (Le<br />

Lettere, Firenze 1994).<br />

Steven Aschheim analizza le diverse interpretazioni<br />

del pensiero nietzscheano in<br />

Germania nell’età contemporanea, individuando<br />

tre filoni interpretativi. Il primo si<br />

afferma all’inizio del Novecento e vede<br />

Nietzsche come il dissacratore delle tradizioni<br />

e delle verità precostituite, considerate<br />

come pregiudizi ideologici. Il secondo,<br />

assolutamente antitetico al primo, si manifesta<br />

tra la prima e la seconda guerra mondiale,<br />

in virtù anche alla manipolazione<br />

operata dalla sorella del filosofo, e pone la<br />

filosofia di Nietzsche come paradigma dell’antisemitismo<br />

e del nazionalsocialismo.<br />

Dopo la seconda guerra mondiale, nota<br />

Aschheim, grazie a pensatori come Derrida,<br />

prende corpo la tendenza a considerare<br />

Nietzsche padre del decostruzionismo,<br />

ambio tradizionale del pensiero liberaldemocratico,<br />

opposto al nazismo.<br />

Questa varietà di interpretazioni, osserva<br />

Ascheim, mostra come sia impossibile collocare<br />

stabilmente Nietzsche all’interno<br />

dell’origine o della derivazione di una qualche<br />

corrente ideologica. Il pensiero nietzscheano<br />

è fluido e soggetto a infinite interpretazioni<br />

ed è proprio questo, ricorda<br />

Aschheim, che costituisce l’autenticità del<br />

suo messaggio. La riduzione di questa<br />

molteplicità di interpretazioni ad una sola<br />

scuola di pensiero, conclude Aschheim,<br />

non farebbe che distorcere l’originarietà<br />

del suo pensiero in forme del tutto estranee<br />

alla sua intenzione teoretica.<br />

Per Antimo Negri, invece, rintracciare in<br />

Nietzsche un “manifesto politico” è comunque<br />

impossibile e illegittimo. Nel suo<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

studio: Nietzsche nella pianura. Gli uomini<br />

e la città, Negri oserva come la posizione<br />

nietzscheana vada innanzitutto compresa<br />

attraverso le coordinate del riferimento alla<br />

cultura antica, da un lato, e alla critica dei<br />

valori (e, dunque, delle ideologie), dall’altro.<br />

Il realismo tucidideo si coniuga, in Nietzsche,<br />

con l’antidemocraticismo di Teognide.<br />

L’aristocraticismo che ne consegue non<br />

si fonda dunque in nessun modo, secondo<br />

Negri, su un estetismo di stampo dannunziano<br />

(il culto della bellezza, che la massa non<br />

riesce a comprendere), bensì su una visione<br />

che, pretendendosi disincantata, giudica e<br />

condanna infingimenti e dissimulazioni a<br />

suo giudizio ideologici, quali le teorie egualitarie,<br />

il mito del progresso; ma anche la<br />

retorica vitalista o biologico-razziale.<br />

La pianura o la “palude”, cui Nietzsche<br />

pure guarda (e in ciò consiste la sua dimensione<br />

“politica”), va indagata con gli occhi<br />

del realista Tucidide, che sa vedere come<br />

la polis costituisca il necessario risultato<br />

delle passioni di cui gli uomini sono in<br />

balìa, piuttosto che il frutto di un loro<br />

calcolo razionale. Di qui l’infondatezza<br />

delle retoriche politiche (da D’Annunzio a<br />

Mussolini, da Rensi a Heidegger), reazionarie<br />

o progressiste che siano, superomiste<br />

o egualitarie, che si configurano, perciò,<br />

come mitologie. La prospettiva di Nietzsche,<br />

al di là (o al di qua) delle sue eredità<br />

e delle sue manipolazioni, si delinea dunque<br />

come una visione politica non ideologica,<br />

fondata sulle acquisizioni di una “volontà<br />

di potenza” che si presenta, anzitutto,<br />

come physis dell’uomo.<br />

In Nietzsche. La scienza sul Vesuvio, Negri<br />

mostra come il messaggio nietzscheano e<br />

la cultura dionisiaca siano fortemente radicati<br />

nell’età contemporanea. La scienza<br />

viene collocata sul Vesuvio in quanto ha<br />

perso quel margine di universalità che la<br />

caratterizzava nella sua fondatezza. La<br />

“gaia” scienza, al contrario, è posta alle<br />

pendici del Vesuvio, soggetta, nella sua<br />

leggerezza e fragilità, al continuo rischio di<br />

frane ed eruzioni.<br />

Negri analizza la “cultura del vulcano”<br />

nell’epistemologia e nell’estetica contemporanee,<br />

riscontrando anche in autori, normalmente<br />

non legati a Nietzsche, elementi<br />

di forte connessione. In ambito epistemologico,<br />

infatti, Popper e Mach rappresentano<br />

la caduta dell’oggettivismo, tipica della<br />

filosofia nietzscheana. Il primo per l’affermazione<br />

dell’inesistenza di una vera e propria<br />

“logica” nella scoperta scientifica (le<br />

palafitte su cui si erge la scienza popperiana<br />

ricorderebbero le pendici vesuviane),<br />

mentre il secondo per il sensualismo che,<br />

come il prospettivismo di Nietzsche aveva<br />

ridotto i fatti a interpretazioni, circoscrive<br />

gli elementi del mondo a sensazioni.<br />

In ambito estetico Negri ritrova la filosofia<br />

nietzscheana nell’incontro tra impressionismo<br />

ed espressionismo, tendenze che meglio<br />

sintetizzano il rovesciamento del rapporto<br />

tra soggetto e oggetto. La tensione<br />

del soggetto verso l’oggetto dell’espres-<br />

33<br />

sionismo e il turbamento del soggetto da<br />

parte dell’oggetto dell’impressionismo si<br />

incontrano infatti, ad esempio, ne “L’Urlo”<br />

di Munch, che rappresenta, allo stesso tempo,<br />

il grido dell’uomo verso la natura e il<br />

suo contrario. Anche la musica, prosegue<br />

Negri, reca l’impronta nietzscheana: oltre<br />

alla musica di Wagner, la “Carmen” di<br />

Bizet, in particolare, coglie il senso di quell’amore<br />

dionisiaco che sfugge a qualsiasi<br />

istituzione, come il matrimonio, che lo<br />

svuoterebbe del suo senso originario.<br />

Restando ancora in ambito estetico, in Interminati<br />

spazi ed eterno ritorno, Negri<br />

affronta il rapporto tra Nietzsche e Giacomo<br />

Leopardi. Il legame fondamentale tra<br />

i due consiste nella produzione letterariofilosofica,<br />

che scavalca i generi classici per<br />

raggiungere nuove forme di espressione. Il<br />

poetare pensante di Leopardi, infatti, viene<br />

accostato da Negri al pensare poetante di<br />

Nietzsche attraverso l’analisi di diverse<br />

opere, come lo Zibaldone di Leopardi, che<br />

contiene riflessioni filosofiche espresse in<br />

forma poetica, o lo Zarathustra di Nietzsche,<br />

dove nella pratica della “danza della<br />

penna” il verso sostituisce e accompagna il<br />

concetto. La convergenza formale dei due<br />

autori è dovuta, secondo Negri, all’impostazione<br />

post-metafisica e anti-hegeliana<br />

che accomuna i due autori in una nuova<br />

utilizzazione del linguaggio che rispecchia<br />

quella visione del mondo in cui, dopo la<br />

“morte di Dio”, ogni dimensione, tra cui<br />

quella letteraria, viene distorta e riadattata.<br />

La concezione decentrata, o post-copernicana,<br />

dell’uomo, posto alla periferia dell’universo,<br />

è ciò che accosta, secondo Negri,<br />

Nietzsche a Leopardi. Ma non solo:<br />

l’universo materialistico, privato della presenza<br />

di Dio, si muove, per i due autori, di<br />

un moto ciclico e infinito che riproduce se<br />

stesso inesorabilmente, senza lasciare alcuna<br />

libertà all’individuo. L’eterno ritorno<br />

nietzscheano viene ricondotto, così, al riprodursi<br />

meccanicistico della natura leopardiana,<br />

insensibile e indifferente all’uomo,<br />

sempre più solo.<br />

A questo proposito può essere interessante<br />

confrontare queste considerazioni con le<br />

valutazioni su Nietzsche espresse da Gabriele<br />

D’Annunzio in due recensioni e in<br />

due altri scritti dedicati al filosofo e ora<br />

raccolti nel volume: Su Nietzsche (a cura e<br />

con postfazione di D. Valenti, De Martinis,<br />

Catania 1993). D’Annunzio, che non<br />

leggeva il tedesco, venne a conoscenza del<br />

pensiero nietzscheano grazie alla mediazione<br />

della cultura (e della lingua) francese.<br />

Le problematiche del superomismo e<br />

del disprezzo per le masse, delle quali si<br />

sarebbe nutrita la poetica (se non la poesia)<br />

dannunziana, trovano qui il loro cespite.<br />

Le recensioni dannunziane appaiono<br />

significative per la ricezione non<br />

solo italiana di Nietzsche, anche perché<br />

mostrano il carattere anzitutto estetico<br />

di tematiche sulle quali, successivamente,<br />

farà leva l’interpretazione “politica”<br />

di Nietzsche da parte del nazismo. A.S.


Schmitt e Heidegger di fronte<br />

al nazismo<br />

La pubblicazione in Germania della<br />

prima biografia completa di Carl Schmitt<br />

ad opera di Paul Noack: CARL<br />

SCHMITT (Propyläen, 1993), ha suscitato<br />

sulla stampa tedesca vaste e profonde<br />

reazioni. Nell’analisi sulla vita e<br />

le opere del brillante giurista della<br />

repubblica di Weimar, considerato con<br />

Ernst Jünger il battistrada della dittatura<br />

nazista, Noack mette in dubbio<br />

non solo l’autenticità della sua conversione<br />

al regime hitleriano, ma considera<br />

il pensiero politico e giuridico<br />

di Schmitt “innocente e atemporale”.<br />

In tono di riabilitazione di un altro<br />

importante pensatore tedesco coinvolto<br />

con il nazismo, Martin<br />

Heidegger, si esprimono anche lo studio<br />

di Francois Fediér, HEIDEGGER E LA<br />

POLITICA (trad. it. di M. Borghi, Egea,<br />

Milano 1993), e quello di Ernst Nolte,<br />

MARTIN HEIDEGGER TRA POLITICA E STORIA<br />

(trad. it. di N. Curcio, Laterza, Roma-<br />

Bari 1994).<br />

«Il Führer protegge il diritto dal peggiore<br />

abuso se al momento del pericolo, in forza<br />

della sua stessa natura di Führer, crea<br />

direttamente il diritto come supremo capo<br />

giudiziario». Con queste parole inizia l’articolo<br />

tristemente famoso Der Führer<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

Martin Heidegger, Carl Schmitt<br />

schützt das Recht (Il Führer protegge il<br />

diritto), con il quale Carl Schmitt giustificava<br />

gli assassinii ordinati da Hitler il 30<br />

giugno del 1934; un articolo che dovrebbe<br />

togliere ogni dubbio sulla fede nazionalsocialistica<br />

del suo autore. Eppure sull’autenticità<br />

dell’adesione di Schmitt al regime<br />

hitleriano permangono ancor’oggi non<br />

pochi dubbi.<br />

Per Paul Noack, l’adesione di Schmitt al<br />

nazismo fu “occasionale”: «un cattivo uso<br />

delle sue teorie, uno sbandamento politico,<br />

un’iperreazione, forzata dalla crisi della<br />

repubblica di Weimar». Per questo, sostiene<br />

Noack, è giunto il momento di «riammettere<br />

Carl Schmitt al circolo delle idee»,<br />

in quanto autore di un pensiero giuridico e<br />

politico «innocente e atemporale». Fu dunque<br />

un “errore” politico quello che portò<br />

Schmitt a considerare il sistema nazionalsocialista<br />

come l’incarnazione dell’auspicato<br />

Stato totale, espressione dell’<br />

“omogeneità” sociale che aveva nel rapporto<br />

“amico-nemico” il cardine della<br />

sua politica?<br />

Negli anni della repubblica di Weimar, gli<br />

scritti di Schmitt sulla teoria del diritto<br />

erano tra i più letti e discussi, considerati<br />

unanimamente come punto di riferimento<br />

decisivo sull’attuabilità del sistema democratico<br />

in Germania. Come consigliere del<br />

governo Hindenburg, Schmitt fornì le giustificazioni<br />

teoriche e giuridiche al sistema<br />

presidenziale che governò la Germania<br />

34<br />

dal 1930 al 1933 con decreti di emergenza.<br />

Furono dunque il suo sostegno attivo al<br />

governo presidenziale, i compromessi nella<br />

prima fase del governo di Hitler e soprattutto<br />

la sua fama di Kronjurist del Terzo<br />

Reich, che per Noack hanno portato a<br />

interpretare le sue opere scritte prima del<br />

1933 come «le fondamenta giuridiche dello<br />

stato nazista» e quindi ad esporlo a<br />

«numerose e ingiustificate censure».<br />

Furono dunque la paura, l’ambizione e la<br />

vanità a determinare il modo in cui Schmitt<br />

reagì ai vari cambiamenti nei quali si<br />

trovò coinvolto. Noack sembra convinto<br />

che se ci si dimentica dell’ “uso” errato che<br />

hanno subìto le sue teorie, il pensiero di<br />

Schmitt si presenta come un modello di<br />

orientamento politico e giuridico straordinariamente<br />

attuale. È questo il caso, in<br />

particolare, della sua critica al parlamentarismo<br />

e più in generale al liberalismo,<br />

presente nello scritto del 1923, Die geistesgeschichtliche<br />

Lage des heutigen Parlamentarismus<br />

(La situazione storico-spirituale<br />

del parlamentarismo odierno), dove<br />

vengono denunciati non solo le disfunzioni<br />

della vita parlamentare di Weimar, ma<br />

gli inconvenienti “strutturali” del parlamentarismo<br />

stesso, quali l’egemonia dei<br />

partiti, la lottizzazione dei pubblici poteri,<br />

l’abuso dei privilegi, la politocrazia, le<br />

ricorrenti crisi di governo, la separazione<br />

tra elettori ed eletti. Per questi motivi Schmitt<br />

credeva che la democrazia e il parla-


mentarismo liberale non fossero la stessa<br />

cosa. Per uscire dall’empasse occorreva<br />

un’istanza decisionistica in grado di affermare<br />

la sovranità super partes dello Stato,<br />

identificata da Schmitt nel presidente del<br />

Reich quale Hüter der Verfassung (custode<br />

della costituzione).<br />

I commentatori tedeschi della biografia di<br />

Noack si sono trovati daccordo nel ritenere<br />

che se è corretto nei confronti di Schmitt<br />

leggere le sue opere scritte prima del 1933<br />

indipendentemente dall’orizzonte politico<br />

della dittatura nazista, questo atteggiamento<br />

non appare altrettanto corretto nei<br />

confronti della sua opera. Il motivo ricorrente<br />

delle critiche all’opera di Noack riguarda<br />

la stessa possibilità di pensare oggi<br />

una «dittatura sana», definita da Schmitt in<br />

Die Diktatur (La dittatura, 1921) «l’essenza<br />

dello Stato moderno», in grado di collegare<br />

l’istanza democratica con quella dello<br />

Stato forte. Tuttavia, proprio in questo<br />

testo, nella distinzione tra «dittatura commissariale»,<br />

che non abroga la costituzione<br />

vigente, e «dittatura assoluta», Noack<br />

coglie la maggiore distanza di Schmitt dal<br />

nazismo. Molte delle idee di Schmitt sul<br />

diritto costituzionale e sul governo, osserva<br />

Noack a questo proposito, sono state<br />

incorporate nella costituzione di Bonn della<br />

Repubblca Federale, in particolare le limitazioni<br />

alle modifiche costituzionali mediante<br />

emendamenti, per evitare che il<br />

sistema possa fornire gli strumenti legali<br />

per la propria distruzione. Tuttavia occorre<br />

sottolineare a questo riguardo che anche<br />

quando prima del 1933 Schmitt optò per la<br />

dittatura di von Schleicher, la sua costruzione<br />

teorica non si distingueva da quella<br />

nazista. Infatti il regime nazista restò una<br />

«dittatura commissariale» in quanto non<br />

abolì la costituzione di Weimar nel suo<br />

complesso, ma pose nello stesso tempo<br />

fuori gioco tutte le garanzie democratiche<br />

e di diritto dello Stato, lasciando inviolato<br />

solo il diritto alla proprietà. Al tempo<br />

stesso il nazismo è stato una «dittatura<br />

sovrana» perché concentrò nell’esecutivo<br />

anche la facoltà legislativa arrogandosi<br />

anche il potere costituente. Questo sistema<br />

coincideva così fin nel dettaglio con lo<br />

stato interventista e divenne, secondo le<br />

teorie di Schmitt, uno «stato di eccezione»<br />

permanente.<br />

Se uno dei motivi della recente renaissance<br />

del pensiero di Schmitt è dovuto all’indiscutibile<br />

potenziale teorico, ciò che nelle<br />

analisi di Noack resta in ombra è proprio<br />

la critica al parlamentarismo, fondata su<br />

conoscenze di teoria del diritto e di sociologia<br />

del diritto che non sono presenti nelle<br />

sue opere di primo piano.<br />

Nell’intento di riabilitare la figura di Martin<br />

Heidegger dal coinvolgimento con il<br />

nazismo, Francois Fediér imposta la sua<br />

difesa su due argomentazioni: in primo<br />

luogo lo smantellamento delle tesi di Victor<br />

Farias; in secondo luogo la dimostrazione<br />

dell’incompatibilità delle intenzioni filosofiche<br />

di Heidegger con la effettiva rea-<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

lizzazione nazista. Nella prima parte del<br />

suo studio Fediér analizza tutti gli episodi<br />

biografici che costituiscono, secondo Farias,<br />

una chiara prova di collusione tra<br />

Heidegger ed il nazismo, presentandoli<br />

come irrilevanti o addirittura come dimostrazioni<br />

dell’indipendenza del filosofo<br />

rispetto all’ideologia nazista e antisemita.<br />

Nella seconda parte Fediér affronta il legame<br />

reale tra Heidegger e la politica del suo<br />

tempo, dimostrando che in Heidegger l’intervento<br />

effettivo del pensiero filosofico<br />

sull’azione reale necessitava di un organismo<br />

in grado di farsene carico. La riabilitazione<br />

dell’università tedesca, operata da<br />

Hitler, rappresentava in tal senso l’occasione<br />

migliore. La Rede del ’33 annunciava<br />

appunto il progetto di riforma dell’università,<br />

che sarebbe dovuta diventare la<br />

guida destinale del popolo tedesco verso la<br />

propria redenzione. L’intenzione heideggeriana,<br />

infatti, era quella di una vera e<br />

propria rivoluzione nazionalsocialista che,<br />

con l’eliminazione della dialettica tra le<br />

35<br />

diverse classi sociali, avrebbe portato il<br />

lavoro di ogni individuo al servizio della<br />

nazione e lo avrebbe elevato a strumento<br />

spirituale di coesione dei popoli. Nel 1933<br />

Hitler sembrava rappresentare la possibilità<br />

concreta per questa trasformazione e<br />

Heidegger confuse il proprio progetto con<br />

il suo. Ma quando, un anno dopo, nel piano<br />

hitleriano il concetto di nazione diventava<br />

quello fanatico di razza, Heidegger prendeva<br />

le distanze dal suo incarico universitario<br />

e dal progetto di rivoluzione nazista.<br />

La mancanza di una abiura pubblica nei<br />

riguardi della scelta del ’33 è dovuta, secondo<br />

Fediér, non ad una mancata condanna<br />

verso il nazismo, bensì alla concomitanza<br />

della ricerca di un nuovo tipo di<br />

pensiero che riuscisse a pensare l’impensato<br />

e che coincideva con il silenzio.<br />

Più incisivo nell’analisi politica e filosofica<br />

è lo studio di Ernst Nolte, che non vede<br />

nelle dimissioni di Heidegger del ’34 un<br />

rifiuto dell’ideologia nazionalsocialista,<br />

quanto una posizione più complessa. Me-<br />

Manifesto per la “Giornata del Partito” a Norimberga nel 1934


diante l’analisi parallela della vita e del<br />

pensiero di Heidegger, Nolte, differenziandosi<br />

dalle tesi di Fediér, dimostra chiaramente<br />

che esiste una profonda continuità<br />

tra il periodo antecedente e quello<br />

posteriore al rettorato del ’33, testimoniata<br />

dal rifiuto del cattolicesimo, dalla<br />

paura del comunismo e dalla necessità di<br />

un destino diverso e rivoluzionario per il<br />

popolo tedesco.<br />

Il pericolo del marxismo, avvertito durante<br />

la Repubblica di Weimar e confermato<br />

più volte anche dopo la seconda guerra<br />

mondiale, spinge Heidegger a ricercare<br />

nel nazionalsocialismo quella soluzione<br />

rivoluzionaria che avrebbe salvato i tedeschi<br />

dall’appiattimento e dallo sradicamento,<br />

causati dalla tecnica, e avrebbe<br />

fornito quei valori che, al posto del cattolicesimo,<br />

avrebbero portato l’uomo ad una<br />

più alta considerazione di se stesso e del<br />

proprio popolo. Il progetto di Heidegger<br />

consisteva nella istituzione di una sorta di<br />

polis tedesca, in cui tutti i lavoratori, costituendo<br />

un’unità culturale, avrebbero oltrepassato<br />

la dicotomia metafisica di soggetto<br />

e oggetto che aveva caratterizzato,<br />

sino ad allora, il destino dell’Occidente.<br />

Lo <strong>Studi</strong>um generale dell’università da lui<br />

prospettato, infatti, istituiva quell’unità tra<br />

insegnante e studente che, sul piano spirituale,<br />

rappresentava l’unità tra lavoratore<br />

e datore di lavoro.<br />

Il vizio di fondo di tale progetto consisteva,<br />

certamente, nella presunzione che la<br />

filosofia potesse farsi carico di una tale<br />

trasformazione della realtà, e i riferimenti<br />

alla Repubblica di Platone testimoniano<br />

questa tendenza. Secondo Nolte, comunque,<br />

al momento dell’investitura di Hitler<br />

a cancelliere del Reich niente faceva presagire<br />

la profonda discrepanza tra il progetto<br />

heideggeriano e l’effettiva realizzazione<br />

del nazismo. Per questo, una volta<br />

manifestatosi, nella sua interezza, il progetto<br />

hitleriano, Heidegger si è mosso su<br />

due piani: la rivendicazione del proprio<br />

progetto nazionalsocialista, come l’unico<br />

ed autentico, e il distacco da quello di<br />

Hitler, considerato inadeguato e spesso<br />

paragonato al comunismo e all’americanismo,<br />

movimenti di massa e nichilisti.<br />

Heidegger non fece mai autocritica perché<br />

il suo progetto, non essendo mai stato<br />

nazista nel senso hitleriano del termine,<br />

era assolutamente estraneo all’antisemistismo.<br />

Per questo, sostiene Fediér, la responsabilità<br />

personale di Heidegger di fronte<br />

agli orrori del nazismo è praticamente<br />

nulla. Il suo silenzio sull’accaduto diventa,<br />

così, il risultato di «chi pensa in grande<br />

ed in grande è costretto ad errare», mentre<br />

il progetto per una soluzione diversa, anche<br />

manifestato in forme differenti, resterà<br />

sino alla morte. M.C./A.S.<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

Hobbes, e oltre<br />

Si deve in particolare all’opera di Yves<br />

Charles Zarka, direttore di un progetto<br />

di ricerca su Hobbes presso il CNRS<br />

di Parigi, la serie delle iniziative (seminari,<br />

convegni, pubblicazioni) sulla<br />

storia e sulla teoria della moderna<br />

filosofia etica e politica. Oltre alla traduzione<br />

delle opere di Hobbes, tra le<br />

recenti pubblicazioni, frutto di questo<br />

gruppo di ricerca, segnaliamo: RAISON<br />

ET DÉRAISON D’ETAT, (Ragione e sragione<br />

di Stato, a cura di Y. C. Zarka, Puf,<br />

Parigi 1994) e L’INTERPRETAZIONE NEI SE-<br />

COLI XVI E XVII (a cura di G. Canziani e<br />

Y. C. Zarka, F. Angeli, Milano 1993).<br />

Per quanto riguarda le iniziative seminariali,<br />

nell’anno 1993-1994 si è tenuto<br />

a Parigi un seminario dal titolo:<br />

“JEAN BODIN: NATURA, STORIA, DIRITTO E<br />

POLITICA”. Il seminario è stato accompagnato<br />

da due giornate di studio e<br />

un colloquio. La prima delle due giornate<br />

di studio ha avuto luogo alla<br />

Sorbona, il 30 aprile 1994, ed è stata<br />

dedicata al tema: “TEOLOGIA E POLITICA<br />

IN HOBBES”. Una seconda giornata è<br />

stata organizzata a Parigi il 21 maggio<br />

1994, sul tema: “DALLA RESISTENZA<br />

ALLA RIVOLTA: LA POLITICA DEI MONARCOMA-<br />

CHI (XVI E XVII SECOLO)”. Il colloquio,<br />

organizzato in collaborazione con il<br />

Centre de recherches politiques Raymond<br />

Aron, si è invece tenuto a Parigi,<br />

all’EHESS, il 17 e il 18 giugno 1994<br />

sul tema: “SOVRANITÀ E GOVERNO: JEAN<br />

BODIN E I TEORICI DELLA RAGION DI STATO”.<br />

Il progetto di ricerca, diretto, dal 1988, da<br />

Yves Charles Zarka, riunisce ricercatori<br />

francesi e stranieri di differenti discipline<br />

attorno a un intento iniziale di traduzione<br />

in lingua francese delle opere complete di<br />

Hobbes. Pubblicate presso le edizioni Vrin<br />

di Parigi, le opere già tradotte sono, a<br />

tutt’oggi, quattro: Béhémoth (tr. franc. di<br />

Luc Borot) e Dialogue des Common Laws<br />

(tr. franc. di Lucien e Paulette Carrive),<br />

editi nel 1990; De la liberté et de la nécessité<br />

e Hérésie et histoire (tr. franc. di F.<br />

Lessay), pubblicati nel 1993. In mancanza<br />

di un’edizione completa nella lingua originale,<br />

e a causa delle lacune della maggior<br />

parte delle edizioni parziali, tali traduzioni<br />

forniscono un strumento di lavoro<br />

indispensabile per tutti i ricercatori che<br />

s’interessano a Hobbes, grazie anche, in<br />

particolare, a un’accurato apparato critico<br />

che permette di reperire e di correggere le<br />

imperfezioni delle edizioni dei testi originali.<br />

Quanto alla presentazione, ogni volume<br />

comporta un’introduzione storica relativa<br />

all’opera e al suo contesto, un apparato<br />

critico comprensivo delle differenti lezioni<br />

delle edizioni dell’epoca e delle divergenze<br />

fra queste e i manoscritti stessi.<br />

Non mancano inoltre precise annotazioni<br />

storiche, un quadro delle corrispondenze<br />

fra la traduzione francese e altre edizioni<br />

36<br />

del testo originale, glossari e indici analitici.<br />

Quest’ampia impresa si avvale della<br />

stretta collaborazione fra filosofi, anglicisti<br />

e latinisti e proseguirà nel 1995 con la<br />

pubblicazione di Questions concernant la<br />

liberté, la nécessité et le hasard (tr. franc.<br />

di L. Foisneau e di F. Perronin) e di Eléments<br />

de la loi (tr. franc. di M. Triomphe).<br />

La traduzione delle opere di Hobbes non è<br />

un progetto isolato, bensì è accompagnato<br />

da una serie di ricerche strettamente connesse<br />

e che si aprono a compasso sul<br />

pensiero politico moderno. A questo scopo,<br />

Zarka ha costruito una rete europea di<br />

ricerche congiunte sulla filosofia moderna.<br />

Solo per L’Italia, numerose sono le<br />

collaborazioni con il Centro di studi del<br />

pensiero filosofico del XVI e del XVII del<br />

CNR di Milano (direttore: Guido Canziani),<br />

con l’Istituto Luigi Firpo di Torino<br />

(direttore: Enzo Baldini), con il Dipartimento<br />

di Filsofia - Progetto bilaterale CNR<br />

di Pisa (direttore: Onofrio Nicastro), con<br />

l’unità di ricerca su “Ragione di Stato:<br />

teoria e storiografia” del CNR di Trento<br />

(direttore: Diego Quaglioni).<br />

Uno degli interessi maggiori di questo<br />

gruppo di ricerca è lo studio dei fondamenti<br />

metafisici dell’etica e della politica del<br />

XVII secolo. L’idea iniziale di Zarka è<br />

stata quella di estendere all’insieme del<br />

secolo il metodo di ricerca utilizzato ne La<br />

décision métaphysique de Hobbes. Conditions<br />

de la politique (La decisione metafisica<br />

di Hobbes. Condizioni della politica,<br />

1987), che intendeva riattivare il senso<br />

della problematica etico-politica, inscrivendola<br />

nel contesto dottrinale in cui appare,<br />

e nel valutare gli spostamenti (o i<br />

prolungamenti) che tale problematica provoca<br />

nel preciso ambito concettuale che<br />

prende avvio con la tarda scolastica e si<br />

sviluppa pienamente nel XVII secolo. Tale<br />

approccio metodologico lasciava emergere<br />

una storia filosofica della filosofia, capace<br />

di mettere in luce i presupposti teorici<br />

di un’opera, inquadrandola nel contesto di<br />

elaborazione dei maggiori concetti dell’etica<br />

e della politica moderne e mettendo<br />

in evidenza il peso teorico degli spostamenti<br />

terminologici e concettuali, presenti<br />

in questa o in quell’opera.<br />

Tra i progetti di seminario organizzati in<br />

questi ultimi anni dal gruppo di ricerca,<br />

l’anno 1989-1990 fu consacrato alle ricerche<br />

sulla lessicografia hobbesiana, che confluirono<br />

nella pubblicazione del volume<br />

collettivo: Hobbes et son vocabulaire<br />

(Hobbes e il suo vocabolario, 1992). Nel<br />

1990-1991, l’attenzione si rivolse all’analisi<br />

delle complesse relazioni fra Locke e<br />

Hobbes (alcuni risultati furono pubblicati<br />

nel n. 37/1993 della rivista «Philosophie»).<br />

Nell’anno 1991-1992, al centro delle ricerche<br />

fu il tema della ragione di Stato, che<br />

diede origine al volume: Raison et déraison<br />

d’Etat. Nel 1992-1993, nuovo impulso<br />

è stato dato all’analisi della storia dei<br />

sistemi, attraverso un’indagine sulle fonti<br />

scolastiche della filosofia morale e politi-


ca del XVII secolo, con l’intento di ricostruire<br />

nessi teorici comuni tra tradizioni<br />

apparentemente estranee. Una parte di<br />

questo lavoro di ricerca sarà pubblicato<br />

nel 1995, nel volume: Aspects de la pensée<br />

médiévale dans la philosophie politique<br />

moderne (Aspetti del pensiero medievale<br />

nella filosofia politica moderna).<br />

Il seminario dell’anno 1993-1994, dal titolo:<br />

“Jean Bodin: natura, storia, diritto e<br />

politica”, ha inteso raccogliere i risultati<br />

più recenti della ricerca sul pensiero di<br />

Bodin. Marie-Dominique Couzinet ha<br />

proposto una ridefinizione dell’idea di<br />

metodo alla luce della cultura filosofica<br />

della fine del secolo XVI, richiamando in<br />

particolare l’attenzione sul sapere geografico<br />

nel pensiero di Bodin. John Salmon<br />

si è occupato principalmente dell’eredità<br />

di Bodin in Inghilterra e in Germania;<br />

mentre Claude-Gilbert Dubois ha messo<br />

in relazione il concetto di nazione di Bodin<br />

con la cultura dell’epoca, confrontando<br />

l’immagine “nazionalista” di Bodin con la<br />

realtà della nazione francese. Gérard<br />

Mairet si è interrogato invece sul fondamento<br />

metafisico della sovranità ne Les<br />

six livres de la république (I sei libri della<br />

repubblica). Tra le altre comunicazioni,<br />

Vincenzo Piano Mortinari si è occupato<br />

di Bodin come giureconsulto; François<br />

Berriot ha analizzato il concetto di natura<br />

in uno scritto poco conosciuto, Le Théâtre<br />

de la nature universelle (Il teatro della<br />

natura universale); Pierre Magnard ha<br />

proposto una lettura delle teorie religiose<br />

di Bodin e Nicole Jacques-Chaquin ha<br />

sottolineato l’importanza del problema<br />

della stregoneria.<br />

Due giornate di studio e un colloquio hanno<br />

arricchito e sviluppato la ricerca sviluppata<br />

nel seminario. Il colloquio: “Sovranità<br />

e governo: Jean Bodin e i teorici della<br />

ragion di Stato”, ha messo in luce i legami<br />

tra la teoria bodiniana della sovranità e le<br />

teorie della ragion di Stato, tanto francesi,<br />

quanto tedesche che italiane, che ripresero<br />

una quantità notevole di concetti e di posizioni<br />

di Bodin, considerato, al pari di Aristotele<br />

e di Machiavelli, una fonte perenne<br />

di elaborazione teorica. La distinzione bodiniana<br />

tra Stato e governo è apparsa infatti<br />

come una condizione della razionalizzazione<br />

delle pratiche di governo, sviluppata<br />

dalle dottrine della ragione di Stato, anche<br />

se una delle principali preoccupazioni di<br />

Bodin era di fondare una teoria giuridica<br />

dello Stato, mentre la corrente dottrinale<br />

della ragion di Stato considerava l’azione<br />

politica in termini di deroga alla legge<br />

comune o al diritto comune.<br />

Simone Goyard-Fabre ha richiamato l’attenzione<br />

sullo statuto giuridico del magistrato,<br />

insistendo sulle connessioni fra politica<br />

e giurisprudenza. Diego Quaglioni<br />

si è occupato dell’edizione latina de La<br />

République (1586), soffermandosi, in particolare,<br />

sull’espressione: Imperandi ratio,<br />

che nell’edizione latina traduce gouvernement<br />

et administration con il nuovo<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

significato di moyen d’exercer la souveranité.<br />

Nella teoria bodiniana della sovranità<br />

e dei suoi limiti, secondo Quaglioni, bisogna<br />

ricercare la “radice ideologica” della<br />

ragion di Stato. Marie-Dominique Couzinet<br />

ha analizzato la ripresa, da parte di<br />

Bodin, della teoria machiavellica della<br />

conservazione dello Stato, dimostrando<br />

come Bodin tenti di fare di questa teoria<br />

una scienza che, concepita sul modello<br />

della medicina, riposa sulla conoscenza<br />

del naturale dei popoli e delle cause naturali<br />

delle trasformazioni delle repubbliche<br />

(conversiones rerum publicarum).<br />

Il rapporto fra obbedienza politica e obbligazione<br />

giuridica è stato al centro dell’intervento<br />

di Gianfranco Borrelli, il quale<br />

ha affermato come i teorici della ragion di<br />

Stato, Botero in particolare, oppongano<br />

alla teoria bodiniana d’una sovranità assoluta<br />

e impersonale una teoria delle tecniche<br />

politiche in grado di disciplinare i<br />

soggetti. Silvio Suppa ha voluto mettere<br />

in rapporto la riflessione sulla sovranità di<br />

Machiavelli e di Bodin all’interno del<br />

processo più generale di formazione della<br />

ragione moderna, seguendo la linea di ricerca<br />

di Horkheimer. Alberto Tenenti ha<br />

insistito sulla diversità delle concezioni<br />

della ragion di Stato nelle differenti città<br />

italiane nella seconda metà del XVI. Enzo<br />

Baldini ha sottolineato l’importanza dei<br />

primi scritti di Bodin, De regia sapientia<br />

(1583) e Dispregio del mondo (1584), e ha<br />

attirato l’attenzione sui primi critici italiani<br />

contrari alle teorie di Bodin, come Botero,<br />

Minucci e Innocenzo IX, ricordando<br />

il ruolo del cardinale Facchinetti come<br />

ispiratore dei principali scritti anti-machiavellici<br />

e anti-bodiniani in Italia intorno<br />

al 1588. Michel Senellart, ha presentato<br />

un’analisi della ricezione di Bodin presso<br />

i teorici tedeschi della prudenza civile<br />

del XVII. Yves Charles Zarka ha concluso<br />

il colloquio con un’accurata riflessione<br />

sulle nozioni di Stato e di governo in<br />

Bodin e nei teorici della ragion di Stato,<br />

mettendo a fuoco tre livelli di rapporto:<br />

tra sovranità e deroga; tra Stato e governo;<br />

tra conservazione dello Stato e prudenza<br />

politica.<br />

Quanto alle due giornate di studio, nella<br />

prima, dal titolo: “Teologia e politica in<br />

Hobbes”, G. A. J. Rogers si è occupato del<br />

rapporto fra legge naturale e legge morale,<br />

dimostrando come la teoria delle leggi di<br />

natura sia suscettibile d’una doppia lettura,<br />

secolare e religiosa, dove quest’ultima<br />

si giustifica soprattutto per la preoccupazione,<br />

manifestata da Hobbes, di tener<br />

conto della cultura religiosa dei suoi contemporanei.<br />

Martine Pécharmann, intervenendo<br />

sui rapporti fra logica e teologia,<br />

ha messo in evidenza i fondamenti e le<br />

difficoltà in Hobbes di pensare la prova<br />

dell’esistenza di Dio. Luc Foisneau, facendo<br />

riferimento alla riflessione hobbesiana<br />

sui fondamenti dell’obbedienza civile,<br />

ha analizzato la teoria secondo cui la<br />

mortalità naturale degli uomini procede<br />

37<br />

dalla volontà divina, sottolineando come il<br />

“mortalismo”, che Hobbes condivide con<br />

lo scrittore Milton, acquista nel suo sistema<br />

un significato filosofico importante.<br />

Infine, Tom Sorell ha dimostrato che se<br />

Hobbes non elimina Dio, lo relega comunque<br />

ai confini del suo sistema.<br />

Nella seconda giornata di studio, “Dalla<br />

resistenza alla rivolta: la politica dei monarcomachi<br />

(XVI e XVII secolo)”, Arlette<br />

Jouanna ha proposto un’interpretazione<br />

storica della questione del dovere della<br />

rivolta, a partire da un’analisi della funzione<br />

del contratto, inteso come principio di<br />

legittimazione della resistenza politica.<br />

Marie-France Renoux-Zagamé ha presentato<br />

i grandi temi della teologia politica<br />

della Lega, sottolineando la difficoltà<br />

d’unificare un pensiero indissolubilmente<br />

legato al contesto polemico delle guerre di<br />

religione. Paulette Carrive si è occupata<br />

in particolare di Georges Buchanan, mentre<br />

Jean Fabien Spitz si è interessato al<br />

rapporto fra Locke e i monarcomachi, nel<br />

quadro di una storia delle origini della<br />

moderna filosofia politica in una prospettiva<br />

meno continuista di quella proposta<br />

da Skinner.<br />

I lavori del gruppo di ricerca su Hobbes<br />

proseguiranno quest’anno (1994-1995) con<br />

una riflessione sul pensiero di Grotius (per<br />

informazioni: GDR O988, “Recherches<br />

sur Hobbes et sur la philosophie éthique et<br />

politique du XVII siècle”, 7 rue Guy Mocquet,<br />

BP n°8, 94801 Villejuif cedex). L.F.<br />

Su Marx e il marxismo<br />

Il volume CARLO MARX: È TEMPO DI UN<br />

BILANCIO, a cura di Paolo Sylos Labini<br />

(introd. di G. Becattini, Laterza, Roma-<br />

Bari 1994), raccoglie scritti di autori<br />

tra economia e filosofia, che in alcuni<br />

casi tracciano un’analisi decisamente<br />

negativa della dottrina marxista, in<br />

altri la rivalutano, riconoscendo al<br />

marxismo forti meriti sia in campo<br />

ideologico, che economico. Un confronto<br />

tra Comte e Marx sul tema del<br />

progresso come fenomeno socio-politico<br />

e scientifico è sviluppato da Giovanni<br />

Magistrale in NEUTRALIZZAZIONE -<br />

SPOLITICIZZAZIONE - IPERPOLITICIZZAZIONE<br />

(Schena, Fasano di Brindisi 1994).<br />

Il volume curato da Paolo Sylos Labini,<br />

Carlo Marx: è tempo di un bilancio, è<br />

frutto del dibattito, svoltosi tra il ’91 e il<br />

’93 sulla rivista di Pietro Calamandrei, «Il<br />

Ponte», circa la validità del sistema marxista,<br />

dando adito a posizioni anche molto<br />

critiche nei confronti delle concezioni economiche<br />

e dei presupposti ideologico-culturali<br />

elaborati da Marx. Sylos Labini<br />

considera il marxismo responsabile, da un<br />

lato, dell’avanzare del fascismo, dall’altro<br />

della dittatura e dello sfruttamento di clas-


se; le responsabilità si accentuano, secondo<br />

Sylos Labini, in tema di conflitto di<br />

classe, inteso da Marx come il motore<br />

della storia. Per tali motivi Sylos Labini<br />

ritiene necessario dissociarsi dalla dottrina<br />

economica ed etica marxista, che a suo<br />

parere ha favorito l’inserimento di elementi<br />

di corruzione nei partiti comunisti,<br />

determinando il fallimento economicosociale<br />

e ideologico.<br />

Di pareri opposti sono Siro Lombardini e<br />

Giorgio Lunghini, che ritengono il Marx<br />

economista ancora un punto di riferimento<br />

utile, che non può essere ignorato, dal<br />

momento che le concezioni del marxismo<br />

restano ancora a fondamento di ideologie<br />

che rivestono un ruolo di rilievo nella<br />

dinamica politica internazionale. La grandezza<br />

di Marx, sostengono i due autori, sta<br />

nell’aver preso come oggetto di indagine<br />

non il denaro, la merce, l’alienazione, lo<br />

sfruttamento, il lavoro, ma le forme che<br />

queste categorie assumono nel modo capitalistico<br />

di produzione. Lombardini, in<br />

particolare, rivaluta l’utopia marxiana nella<br />

realizzazione di una società democratica a<br />

partire da una riflessione sul ruolo degli<br />

emarginati, attribuendo meriti, in tal senso,<br />

sia al Marx economista, che al Marx<br />

ideologo. Lunghini opera invece un confronto<br />

tra Marx e il marxismo, osservando<br />

che la rivoluzione di cui il marxismo si è<br />

fatto portavoce non coincide con quella<br />

voluta da Marx, a cui viene riconosciuto il<br />

merito di essere stato critico nei confronti<br />

di un utopismo “marxista”.<br />

Anche Bruno Jossa non condivide la<br />

critica di Marx come responsabile teorico<br />

del socialismo e dello stalinismo, sollevata<br />

da Sylos Labini. Che Marx abbia<br />

commesso grossi errori di valutazione,<br />

osserva Jossa, è innegabile; ma è altrettanto<br />

innegabile che egli abbia impostato<br />

nel giusto modo il problema di una<br />

trasformazione dei rapporti di produzione<br />

in ambito economico: da questo non<br />

si può prescindere nel fare un bilancio<br />

critico su Marx e le sue teorie.<br />

Nel contesto di riflessione sulla validità<br />

attuale della teoria marxiana, un interessante<br />

spunto è offerto da Giovanni Magistrale,<br />

che in Neutralizzazione - Spoliticizzazione<br />

- Iperpoliticizzazione mette<br />

a confronto le teorie di Comte e Marx<br />

riguardo alla questione del progresso.<br />

La teoria di Comte, osserva Magistrale,<br />

cerca di coniugare scienza (ordine) e<br />

progresso, di fondare un ordine sociale<br />

sulla base del progresso; ordine dinamico,<br />

evolutivo, che garantisce stabilità<br />

senza escludere il cambiamento. Ciò che<br />

Comte rifiuta del progresso è il riduzionismo<br />

matematico-biologico, legato ad<br />

una ragione pianificatrice; per Comte la<br />

storia della società (e quindi anche il<br />

progresso) è dominata dalla storia dello<br />

spirito umano, che non segue un processo<br />

cumulativo ma, un cammino pluralistico,<br />

evoluzionistico.<br />

Comte ritiene di poter confidare nel pro-<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

gresso; ma solo in un progresso che vada<br />

contro le leggi del potere e che difenda la<br />

consapevolezza del carattere trasformatore<br />

della realtà, che è imprevedibile e che<br />

non può essere sottoposta ad una forzata<br />

coerenza logica. Ciò che piuttosto si verifica<br />

è un’alternarsi di egoismo e di altruismo,<br />

che conduce ad un equilibrio di forze<br />

e di posizioni.<br />

Di parere più drastico è Marx che, secondo<br />

Magistrale, attacca la teoria del progresso,<br />

attribuendole inconsistenza; il progresso,<br />

come lo hanno designato i suoi<br />

sostenitori e fondatori, per Marx risulta<br />

astratto, irrealizzabile, dal momento in cui<br />

nella realtà assistiamo a continui regressi e<br />

movimenti circolari. Differentemente da<br />

Comte, osserva Magistrale, Marx critica<br />

in modo evidente la dottrina del progresso,<br />

ma non formula alcun compromesso; l’unica<br />

progresso che prospetta è la lotta contro<br />

l’alienazione, contro la società alienata,<br />

che non permette alcun progresso, né scientifico,<br />

né umano. D.M.<br />

Sul pregiudizio morale<br />

e il diritto alla vita<br />

Tra i recenti studi in ambito etico che<br />

affrontano il problema del rapporto<br />

tra necessità biologica e legge morale<br />

si segnala il saggio di Annette Baier,<br />

già presidente dell’American Philosophical<br />

Association, MORAL PREJUDI-<br />

CES: ESSAYS ON ETHICS (Pregiudizi morali:<br />

saggi sull’etica, Harvard UP, Harvard<br />

1994), che rivendica spazio alle<br />

leggi biologiche nelle norme etiche e<br />

sprona ad affermare la professionalità<br />

di una filosofia “al femminile”. Le<br />

fa eco Ronald Dworkin, che in LIFE<br />

DOMINION: AN ARGUMENT ABOUT ABORTION<br />

AND EUTHANASIA (Il dominio della vita:<br />

discutendo di aborto ed eutanasia,<br />

HarperCollins, 1993) esamina dal punto<br />

di vista formale le spinose questioni<br />

del “diritto alla vita”.<br />

La tendenza di molti studiosi di morale a<br />

sviluppare una meta-teoria etica della natura<br />

dell’obbligazione morale, definisce<br />

quella linea platonico-kantiana, secondo<br />

la quale, osserva Annette Baier, «essere<br />

persona “non” è essere nato uomo o donna,<br />

ma piuttosto non essere nati affatto; anzi,<br />

germogliare da qualche fertile campo noumenico,<br />

completamente formati ed educati».<br />

Da ciò consegue una visione antinaturalistica<br />

della ipseità umana, astratta<br />

ed astorica.<br />

Muovendo dalla critica ai due capisaldi<br />

della filosofia moderna, il cogito cartesiano<br />

e la kantiana volontà noumenica, Baier<br />

sostiene che la tanto declamata indipendenza<br />

dalle circostanze, la ricerca di incondizionalità<br />

e di rigore sono i prodotti<br />

tipici di una cultura patriarcale. Di contro,<br />

38<br />

Baier preferisce considerare il soggetto<br />

morale innanzitutto come organismo biologico,<br />

alla stregua di quanto affermato già<br />

da Darwin e sviluppato nelle loro teorie<br />

morali da Dewey e MacIntyre. Lo sforzo<br />

di Baier, tuttavia, non consiste solo nel<br />

riconoscimento della dignità della donna<br />

di fronte alla legge morale, né nella semplice<br />

difesa delle reciproche differenze<br />

sessuali. Al centro della sua argomentazione<br />

vi è la critica al concetto di obbligazione,<br />

così come viene codificato dalla<br />

tradizione. «Se il dovere di educare con<br />

amore i propri figli - afferma Baier - venisse<br />

aggiunto alla lista delle obbligazioni<br />

morali, la maggior parte delle teorie della<br />

giustificazione degli obblighi cadrebbe in<br />

contraddizione». È infatti assurdo ipotizzare<br />

“il dovere di amare”, come se si trattasse<br />

di una necessità, dato che il “dovrei”<br />

implica il “posso”. Da ciò Baier conclude<br />

che «dalla morale liberale non può discendere<br />

nessuna coerente guida», soprattutto<br />

su questioni come la guerra, l’aborto e i<br />

doveri materni.<br />

Sulla valutazione morale di problemi relativi<br />

alle cosiddette situazioni-limite della<br />

vita interviene Ronald Dworkin, nel suo<br />

Life’s Dominion, in cui il concetto di “diritto”<br />

viene invocato in difesa della vita,<br />

contro aborto ed eutanasia. A questo proprosito,<br />

Dworkin afferma che attribuire<br />

diritti a qualsiasi entità implica, da un lato,<br />

che la difesa dei diritti di un essere equivale<br />

a pronunciarsi sull’importanza di proteggere<br />

i suoi “interessi”; il che è possibile<br />

solo se si suppone l’esistenza di una forma<br />

di “coscienza”, la qual cosa, tuttavia, non<br />

sarebbe sostenibile nel caso dei feti. D’altro<br />

lato, osserva Dworkin, si possono<br />

legittimamente supporre e difendere i<br />

diritti umani anche nelle situazioni-limite<br />

solo se si riconosce l’intrinseco<br />

valore della vita.<br />

Per quanto riguarda l’argomento del valore,<br />

fa notare Dworkin, la vita umana rappresenta<br />

due differenti tipi di processi creativi.<br />

Dal punto di vista naturale, la vita<br />

stessa nasconde qualcosa di miracoloso<br />

con il suo fiorire e crescere da una dotazione<br />

genetica. D’altro canto, dal punto di<br />

vista della consapevolezza, la vita rappresenta<br />

«non solo un esempio biologico, ma<br />

un nuovo inizio per la cultura e l’individualità,<br />

un’opportunità per creare inediti<br />

significati nel mondo». In tal senso<br />

Dworkin ritiene che i disaccordi sul tema<br />

dell’aborto e dell’eutanasia possano essere<br />

riletti alla luce delle profonde divergenze<br />

circa l’importanza morale di queste due<br />

dimensioni nella valutazione intrinseca<br />

delle vite umane. A.A.


˘Spet: ermeneutica ed estetica<br />

La traduzione quasi contemporanea<br />

in lingua tedesca e italiana di due<br />

importanti testi del filosofo russo<br />

Gustav G. Spet, ˘ allievo di Husserl, che<br />

diffuse e sviluppò in modo originale la<br />

fenomenologia nel suo paese, rende<br />

per la prima volta accessibile al pubblico<br />

dell’Europa occidentale il pensiero<br />

di uno dei più interessanti filosofi<br />

russi del nostro secolo. Mentre in<br />

Germania viene pubblicato lo studio<br />

di Spet: ˘ DIE HERMENEUTIK UND IHRE PRO-<br />

BLEME (L’ermeneutica e i suoi problemi,<br />

a cura di Alexander Haardt e Roland<br />

Daube-Schackat, trad. ted. dal<br />

russo di E. Freiberger e A. Haardt,<br />

Alber, Friburgo-Monaco di Baviera<br />

1993), in Italia giunge a termine, con<br />

la pubblicazione del saggio: MOMENTI<br />

ESTETICI NELLA STRUTTURA DELLA PAROLA<br />

(trad. it. di E. Klein, in «Kamen’. Rivista<br />

di poesia e filosofia», n. 4, dicembre<br />

1993), la traduzione dei FRAMMENTI<br />

DI ESTETICA, in cui Spet ˘ sviluppa i principi<br />

della propria analisi ermeneutica<br />

e fenomenologica del segno nell’ambito<br />

dell’estetica e dello studio della<br />

letteratura.<br />

Nato a Kiev nel 1879, Gustav G. Spet ˘<br />

conclude i propri studi universitari con la<br />

dissertazione Il problema della causalità<br />

in Hume e Kant. Dopo la Rivoluzione<br />

d’Ottobre, diventa docente di Filosofia<br />

nell’Università di Mosca, ove fonda un<br />

centro di studi di “psicologia etnica”, ed<br />

entra a far parte del “Circolo linguistico di<br />

Mosca”, uno dei centri principali del formalismo<br />

russo. Escluso dall’Università per<br />

motivi politici nel 1923, Spet ˘ si concentra<br />

sulla propria attività di vicepresidente dell’Accademia<br />

di stato delle scienze dell’arte,<br />

dalla quale viene però estromesso nel<br />

1929. Da questo momento si guadagna da<br />

vivere come pubblicista e traduttore: a lui<br />

si devono le versioni russe di opere di<br />

Dickens, Byron e Shakespeare e della Fenomenologia<br />

dello spirito di Hegel, terminata<br />

nel 1937, ma pubblicata solo nel 1959.<br />

Arrestato nel 1935 con l’accusa di “attività<br />

anti-sovietiche”, viene confinato a Jenisejsk<br />

e a Tomsk. Di nuovo arrestato nel-<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

l’ottobre 1937, viene ucciso dalla polizia<br />

segreta staliniana il 16 novembre dello<br />

stesso anno.<br />

Come nel caso di altri pensatori russi di<br />

questo secolo (N. Berdjaev, S. Bulgakov,<br />

S. L. Frank), anche il pensiero di Spet ˘<br />

conosce, sotto l’influsso del neo-kantismo,<br />

una transizione “da Marx a Kant”. La<br />

svolta decisiva viene però a seguito dell’incontro<br />

di Spet ˘ con la fenomenologia di<br />

Husserl, risalente ad un viaggio di studio<br />

in Europa occidentale negli anni 1912-13,<br />

durante il quale frequenta a Gottinga le<br />

lezioni di Husserl, e in particolare un seminario<br />

su “Natura e spirito”. Sotto l’influsso<br />

della fenomenologia di Husserl, nel<br />

1914 Spet ˘ scriverà Fenomeno e senso.<br />

Nella fenomenologia Spet ˘ individua una<br />

scienza filosofica fondamentale che, riprendendo<br />

e superando il motivo gnoseologico<br />

delle correnti scettiche, empiristiche<br />

e kantiane, tematizza l’ambito ontologico<br />

della coscienza e lo pone in relazione<br />

alle altre forme dell’essere. In generale, si<br />

può dire che Spet ˘ sviluppa in modo originale<br />

la fenomenologia husserliana in due<br />

direzioni: estende l’analisi costitutiva (in<br />

senso fenomenologico) agli atti di coscienza<br />

e alle formazioni segniche in cui si<br />

realizza il fenomeno del comprendere; considera<br />

la realtà, che è oggetto della filosofia,<br />

come realtà storico-sociale. Seguendo<br />

queste due direzioni di indagine egli giunge<br />

così a un’integrazione tra fenomenologia,<br />

ermeneutica e semiotica e a sviluppare<br />

le indagini husserliane di Ideen II relative<br />

alla costituzione del mondo storico e culturale<br />

(personalistico), riprendendo la distinzione<br />

di Dilthey tra scienze della natura<br />

e scienze dello spirito e la teoria diltheyana<br />

del comprendere.<br />

Questi temi costituiscono il filo conduttore<br />

dello studio Die Hermeneutik und ihre<br />

Probleme, composto nel 1918, ma rimasto<br />

inedito e pubblicato in russo solo tra il<br />

1989 e il 1992, a cura di A. Mitjukin, nella<br />

rivista «Kontekst». Nella sua analisi dei<br />

problemi dell’ermeneutica, Spet ˘ muove<br />

dallo studio di Dilthey, Die Entstehung<br />

der Hermeneutik, ma prende in considerazione<br />

uno spettro storico e teorico più<br />

ampio, che comprende, oltre alla teoria<br />

ermeneutica dello stesso Dilthey espressa<br />

nel saggio del 1910, Der Aufbau der ge-<br />

39<br />

schichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften<br />

(La costruzione del mondo storico<br />

nelle scienze dello spirito), autori classici<br />

nella storia dell’ermeneutica come<br />

Ernesti, Ast, Schleiermacher, la teoria del<br />

comprendere di Boeckh, la metodologia<br />

della storia di Droysen, e, relativamente al<br />

rapporto tra ermeneutica, psicologia e<br />

scienze sociali, le posizioni di autori come<br />

Steinthal, Spranger, Simmel. La possibilità<br />

di superare quelli che gli sembrano i<br />

limiti psicologistici della concezione del<br />

comprendere, Spet ˘ la individua nel saggio<br />

del 1910 dello stesso Dilthey, ove la comprensione<br />

di un prodotto del mondo della<br />

cultura non consiste nella riconduzione di<br />

tale prodotto (poesia, opera d’arte, sistema<br />

filosofico) all’esperienza vissuta del soggetto<br />

creatore, ma nella comprensione di<br />

una configurazione culturale dotata di una<br />

propria legalità e struttura.<br />

In Dilthey manca però, secondo Spet, ˘ una<br />

determinazione dell’essenza del comprendere<br />

in quanto fonte specifica di conoscenza<br />

delle scienze dell’uomo. Se ci si chiede<br />

in che modo le “oggettivazioni” del mondo<br />

spirituale possano venire interpretate in<br />

modo intersoggettivo e obbligante per i<br />

membri di una stessa comunità culturale, e<br />

se si è consapevoli del carattere segnico di<br />

tali oggettivazioni (arte, lingua, diritto<br />

ecc.), si pone allora la necessità di una<br />

chiarificazione della struttura del segno<br />

come oggetto e strumento dell’interpretazione.<br />

Per questo aspetto, Spet ˘<br />

si riferisce<br />

da una parte alla “Prima” delle Ricerche<br />

logiche di Husserl (“Espressione e significato”),<br />

dall’altra si ricollega alla tradizione<br />

razionalistica del secolo XVIII (G. Fr.<br />

Meier, C. Wolff), e determina la semiotica<br />

come disciplina ontologica, che si muove<br />

cioè al livello di un’ontologia formale.<br />

Questa stessa concezione si ritrova nei<br />

Frammenti estetici, dove leggiamo: «La<br />

teoria della parola come segno è un problema<br />

dell’ontologia formale o teoria dell’oggetto,<br />

nella sezione della semiotica».<br />

In questo testo del 1922, costituito da tre<br />

parti, intitolate rispettivamente: “Ripetizioni<br />

al momento giusto - Miscellanea”,<br />

“Ammonimenti al momento giusto” (queste<br />

due parti sono state pubblicate in «Kamen’»,<br />

n. 2, ottobre 1992, e n. 3, maggio<br />

1993) e “Momenti estetici nella struttura


PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

Gustav G. Spet, ˘<br />

Georg Wilhelm Friedrich Hegel<br />

Wilhelm Dilthey, Edmund Husserl<br />

40


della parola”, Spet ˘ sviluppa le proprie analisi<br />

semiotiche, fenomenologiche ed ermeneutiche<br />

negli ambiti dello studio della<br />

letteratura e dell’estetica. Di particolare<br />

interesse il tentativo di determinare l’ambito<br />

dell’estetica in quanto “scienza dell’arte”,<br />

distinguendo fenomenologicamente<br />

l’approccio dell’estetica da quello della<br />

poetica e della critica, tema caro, nell’estetica<br />

italiana, a Dino Formaggio.<br />

A temi tipici della riflessione estetica contemporanea<br />

rinviano anche le riflessioni<br />

su “L’arte e la vita”, “Poesia e filosofia”,<br />

“Segni e stili”, reperibili nelle “Ripetizioni<br />

al momento giusto”. Le parti di questi<br />

Frammenti in cui Spet ˘ sviluppa le riflessioni<br />

di maggiore impegno sistematico nel<br />

senso di un’analisi fenomenologica della<br />

parola sono i saggi “La struttura della<br />

parola in usum aestheticae” (in “Ammonimenti<br />

al momento giusto”) e “Momenti<br />

estetici nella struttura della parola”.<br />

Nel suo saggio Hermeneutische Logik im<br />

Umfeld der Phänomenologie, pubblicato<br />

nel volume Erkenntnis des Erkannten. Zur<br />

Hermeneutik des 19. und 20. Jahrhunderts<br />

(Conoscenza del conosciuto. Sull’ermeneutica<br />

del XIX e XX secolo, 1990; trad.<br />

it. di A. Marini e G. Matteucci, di prossima<br />

pubblicazione presso l’editore F. Angeli<br />

di Milano) Frithjof Rodi ha messo in luce<br />

i rapporti tra la concezione semiotico-ermeneutico-fenomenologica<br />

di Spet ˘ e la<br />

tradizione diltheyana. Questi rapporti sono<br />

particolarmente significativi per quanto<br />

riguarda il concetto di “struttura” in Dilthey<br />

e nella sua scuola, dal momento che Spet ˘<br />

considera il mondo culturale come dotato<br />

di struttura, tanto che «si può dire che lo<br />

stesso “spirito” o la cultura sono strutturati».<br />

Da qui Spet ˘ sviluppa una fenomenologia<br />

della parola che intende metterne in<br />

luce i diversi momenti strutturali, le diverse<br />

stratificazioni di senso: dalla parola<br />

come dato sensibile alla dimensione del<br />

senso o significato, dalle funzioni “naturali”<br />

della parola (percezione di una voce<br />

identificata come voce umana ed esprimente<br />

la condizione psicofisica di una<br />

persona) alla sua dimensione comunicativa<br />

nell’appartenenza al mondo sociale e<br />

culturale. Particolarmente importante per<br />

la considerazione della parola come “fatto<br />

estetico” è la sua facoltà di essere veicolo<br />

di un “tono emozionale”.<br />

Su questa base, e distinguendo ulteriormente<br />

tra la “natura oggettiva” (comunicazione<br />

di un contenuto oggettivo di pensiero)<br />

e il “ruolo espressivo” della parola, Spet ˘<br />

analizza gli “elementi estetici” nella struttura<br />

della parola, intendendo con ciò «quegli<br />

elementi di una struttura creativa e oggettiva<br />

che sono legati all’emozione estetica<br />

(all’esperienza)». Egli giunge così a una<br />

determinazione dell’ambito dell’estetico<br />

che risulta non da definizioni preliminari, e<br />

dogmatiche, dell’oggetto estetico, ma da<br />

una descrizione immanente del piano dell’esperienza<br />

e da un’analisi-descrizione<br />

dell’uso estetico del linguaggio. M.M.<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

Etica e diritto in Fichte<br />

Il diritto e l’etica, considerate da<br />

Johann Gottlieb Fichte come discipline<br />

specifiche da dedurre direttamente<br />

dai principi della scienza, trovano<br />

la loro sistematizzazione in due<br />

opere, recentemente apparse in una<br />

nuova edizione italiana: DIRITTO NA-<br />

TURALE (a cura di L. Fonnesu, Laterza,<br />

Roma-Bari 1994) e SISTEMA DI ETICA (a<br />

cura di C. De Pascale, trad. it. di R.<br />

Cantoni, Laterza, Roma-Bari 1994).<br />

Oggetto di ripetuti studi da parte di<br />

Johann Gottlieb Fichte il diritto trova,<br />

nel Diritto naturale del 1896, la sua<br />

definitiva organizzazione. La struttura<br />

della legislazione verte ora su un presupposto<br />

soggettivo ed uno oggettivo<br />

che fondano e giustificano il diritto; il<br />

primo è dato dalla libertà dell’individuo,<br />

che, grazie all’amor di sé tende a salvaguardare<br />

la propria autonomia; il secondo<br />

è costituito dalla coesistenza di uomini<br />

liberi che, necessariamente, pongono<br />

in essere il diritto. In questo modo, ribaltando<br />

la struttura delle opere precedenti,<br />

in cui la morale costituiva il fondamento<br />

ontologico del diritto, Fichte separa le<br />

due dimensioni, conferendo loro un rapporto<br />

di accordo e insieme di indipendenza.<br />

Infatti, mentre la morale è formale,<br />

assoluta e incondizionata, il diritto ne<br />

costituisce il contenuto e dipende dalla<br />

scelta degli individui di vivere in comunità.<br />

In altre parole, se la morale costituisce<br />

una dimensione esistenziale e imprescindibile<br />

per l’individuo, il diritto<br />

dipende dalla scelta di vivere in uno<br />

Stato e quindi può essere accolto, o non<br />

esserlo, senza inficiare il valore della<br />

morale. Le due discipline, in questo<br />

modo, vengono rese autonome, in quanto<br />

la libertà dell’individuo costituisce la<br />

condizione di possibilità del diritto, ma<br />

non ne esaurisce i contenuti.<br />

Il Diritto naturale è diviso in due parti,<br />

la prima si occupa della struttura dello<br />

Stato, mentre la seconda del diritto applicato.<br />

La genesi dello Stato, secondo<br />

Fichte, dipende dalla decisione degli individui<br />

di costituire delle forme di coercizione<br />

e sanzione, radicate nell’istituzione<br />

statale. Per salvaguardare la propria<br />

libertà individuale, gli uomini devono<br />

necessariamente porre limitazioni<br />

alla loro coesistenza, decidendo liberamente<br />

di organizzarsi in ordinamento<br />

statale e darsi delle leggi. La forma di<br />

governo prediletta da Fichte non contempla<br />

la tripartizione dei poteri, che,<br />

per questioni di funzionalità e responsabilità,<br />

devono essere assegnati, in toto,<br />

al potere esecutivo. La garanzia di giustizia<br />

e democrazia, secondo Fichte, è<br />

data, in primo luogo, dall’eforato, un’assemblea<br />

rappresentativa con diritto di<br />

veto, e in secondo luogo, dalla possibilità,<br />

in casi estremi, di sollevazioni popo-<br />

41<br />

lari, che metterebbero fine a qualunque<br />

tentativo di dispotismo. Nella seconda<br />

parte, Fichte tratta le questioni del diritto<br />

applicato, in particolare del diritto di<br />

proprietà, salvaguardato in ogni sua forma:<br />

il diritto-dovere di tutti i cittadini al<br />

lavoro; la divisione in classi; il dovere<br />

dello stato di assistere i cittadini più<br />

bisognosi; e, infine, la necessità di uno<br />

stato di polizia che sorvegli e protegga la<br />

totalità dei cittadini.<br />

Scritto e pubblicato nel 1798, il Sistema<br />

di etica, trattando della libertà nei suoi<br />

fondamenti ontologici e teoretici, costituisce<br />

il completamento ideale del diritto<br />

applicato, che si occupava della libertà<br />

dell’individuo all’interno della comunità.<br />

Fedele alla sua impostazione di<br />

fondo, Fichte deduce la libertà da un<br />

principio originario che lo ponga in essere.<br />

Così, se il fondamento della Dottrina<br />

della scienza consisteva nell’Egoità e<br />

quindi nell’unità originaria dell’Io, quest’ultimo<br />

necessita ora di un facoltà primitiva<br />

e superiore alla conoscenza, in<br />

grado di darle forma. L’intuizione intellettuale,<br />

infatti, determina l’Io esclusivamente<br />

come facoltà conoscitiva e, per<br />

questo, non esaurisce le sue potenzialità.<br />

Vi è allora, secondo Fichte, una spinta<br />

originaria (Urtrieb) che, prima della divisione<br />

tra conoscenza e volontà e dell’opposizione<br />

tra soggetto e oggetto,<br />

determina il porsi dell’Io come assoluta<br />

libertà morale.<br />

Seguendo il procedere dell’Io, Fichte<br />

colloca l’etica dei doveri nel momento<br />

in cui l’opposizione del Non-Io di fronte<br />

all’Io genera la corporeità e la natura.<br />

L’applicazione dei doveri nasce così con<br />

la consapevolezza, da parte dell’Io, del<br />

proprio Sé, che costituisce la volontà<br />

determinata. La morale, in tal modo, si<br />

manifesta come l’autocoscienza dell’azione<br />

che si fa legge e diventa rigore<br />

solo in rapporto a se stessi. L’etica dei<br />

doveri, in altre parole, nasce in relazione<br />

all’io empirico, inteso come opposizione<br />

tra pensiero e corporeità, tra Io e Non<br />

-Io e, ribadisce Fichte, si distingue dal<br />

diritto, relativo esclusivamente alla convivenza<br />

dei diversi Io empirici in una<br />

società.<br />

Nonostante la presenza di elementi di<br />

vicinanza con la concezione di Kant, la<br />

morale kantiana è rigidamente formale e<br />

incondizionata, mentre quella fichtiana<br />

si risolve nelle azioni morali, che riguardano<br />

più da vicino l’Io empirico. Fichte,<br />

infatti, oltre a parlare di doveri universali,<br />

vicini all’etica kantiana, descrive accuratamente<br />

quelli pratici che riguardano,<br />

tra le altre situazioni, il diritto di<br />

famiglia, che comprende quello tra coniugi<br />

e quello tra genitori e figli, il dovere<br />

del dotto, dell’educatore morale e dell’artista<br />

e il dovere di diffondere e promuovere<br />

la moralità. A.S.


Heidegger di fronte a Hegel<br />

Nella ricostruzione dell’itinerario filosofico<br />

di Martin Heidegger, la pubblicazione<br />

di due scritti inediti, ora<br />

raccolti con altri nel volume della<br />

«Gesamtausgabe» dal titolo: HEGEL<br />

(vol. 68, Klostermann, Francoforte<br />

1993), rappresenta senza dubbio una<br />

tappa importante. Nei due testi, che<br />

si presentano come una raccolta di<br />

appunti di lavoro degli anni 1938-39,<br />

Heidegger analizza minuziosamente<br />

l’intrinseca logica del sistema hegeliano,<br />

individuando nel concetto<br />

di “negatività” e di “esperienza” i<br />

momenti centrali del suo confronto<br />

con Hegel.<br />

L’itinerario del pensiero di Martin<br />

Heidegger è segnato, con accentuazioni e<br />

valenze diverse, dal confronto con Hegel.<br />

Lo stesso riferimento a Hegel, che conclude<br />

la dissertazione su Duns Scoto del 1915,<br />

è quasi un’indicazione programmatica dalla<br />

quale, pur con oscillazioni di tono e<br />

valenze diverse, Heidegger non si discosterà.<br />

Tuttavia, nei testi di Heidegger finora<br />

pubblicati, Hegel non ha mai lo spessore<br />

e la ricchezza delle articolazioni con cui,<br />

ad esempio, Heidegger fa agire nella propria<br />

costellazione speculativa l’opera di<br />

Nietzsche. Per questo motivo risulta ancor<br />

più significativo quest’ultimo volume della<br />

«Gesamtausgabe» dedicato a Hegel, in<br />

cui figurano due saggi che mostrano come<br />

Heidegger si sia di fatto direttamente confrontato<br />

con l’intrinseca logica della filosofia<br />

hegeliana.<br />

L’annotazione di Heidegger del 1938-39,<br />

che definisce il primo dei due scritti come<br />

Abhandlung, è in qualche modo fuorviante;<br />

si tratta, in realtà, di una raccolta di<br />

appunti di lavoro fortemente legati ai Beiträge<br />

zur Philosophie (Vom Ereignis)<br />

(Contributi alla filosofia (Dell’evento)).<br />

Proprio da questi appunti appare chiaramente<br />

come il confronto con Hegel sia<br />

stata sofferto e difficile e come lo stesso<br />

Heidegger ne fosse consapevole. In questo<br />

scritto, il punto di partenza di Heidegger<br />

consiste nella ricerca di un momento determinante<br />

del sistema filosofico hegeliano<br />

che sia in grado di «sottrarsi all’esigenza<br />

di integrazione del sistema in quanto lo<br />

rende possibile». La chiave del confronto<br />

Heidegger la coglie nel concetto di “negatività”<br />

(Negativität) come fondamento<br />

della dialettica costitutiva della vita dello<br />

Spirito. In sostanza Heidegger prende<br />

Hegel alla lettera quando afferma che<br />

«l’unità di pensiero e cosa appartiene alla<br />

negatività» e cioè che la realtà concreta si<br />

mostra proprio quando l’autosussistenza<br />

della cosa viene negata. Per Hegel, infatti,<br />

il pensiero e la cosa divengono concreti<br />

grazie al movimento del pensiero che si<br />

separa dalla cosa pensata solo per tornare<br />

a negare tale divisione; per Heidegger «la<br />

concreta realtà del pensiero e della cosa<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

viene dalla negatività». Che questa affermazione<br />

sia sottilmente provocatoria, risulta<br />

chiaramente dal fatto che per Hegel<br />

la realtà concreta è l’Assoluto: parlando<br />

della negatività come “energia” (Energie)<br />

dell’assoluto, Heidegger non sostiene nulla<br />

che Hegel stesso, per ragioni fondamentali,<br />

non avrebbe potuto dire; ma allo stesso<br />

tempo pone il pensiero di Hegel sotto<br />

tutt’altra luce. Se Hegel aveva inteso l’Assoluto<br />

come in sé chiuso, come motilità<br />

pacificata, per Heidegger si tratta della<br />

«vita in sé chiusa perché unitariamente<br />

plasmata dalla negatività».<br />

Nel secondo scritto, del 1938-39, il confronto<br />

con Hegel è basato sul concetto di<br />

“esperienza” e si presenta come un’anticipazione<br />

di Hegels Begriff der Erfahrung<br />

(Il concetto hegeliano di esperienza), del<br />

1942, pubblicato nella raccolta Holzwege<br />

(1950). Rispetto allo scritto del ’42, dove<br />

il tono della discussione condotta da<br />

Heidegger sull’ Introduzione alla Fenomenologia<br />

dello spirito è pacato e distaccato,<br />

in queste pagine d’appunti ci rendiamo<br />

conto fino a che punto Heidegger fosse<br />

colpito dal pensiero hegeliano. Il metodo<br />

dell’analisi è quello della Destruktion:<br />

demolire le determinazioni concettuali e<br />

gli “indurimenti” della teoria, per rendere<br />

vivo il pensiero, nella consapevolezza dei<br />

limiti intrinseci di questo metodo distruttivo<br />

(decostruttivo). Nello scritto concernente<br />

il concetti di negatività Heidegger<br />

afferma che l’esperienza originaria del<br />

pensare non può essere conservata, intendendo<br />

che ogni esperienza è più ricca della<br />

possibilità della sua stessa articolazione.<br />

Allo stesso tempo, però, il tradurre in parola<br />

l’inesplicato o l’inindagato di un pensiero<br />

ha per Heidegger il significato di un<br />

“ricominciare”, di un retrocedere verso<br />

l’inizio, che ricorda le parole di Hegel<br />

nella Wissenschaft der Logik (Scienza della<br />

logica): «l’andare innanzi è un retrocedere<br />

nel fondo, all’originario e a ciò che ha<br />

verità». Ma è forse proprio in questo che<br />

consiste la maggiore distanza di Heidegger<br />

da Hegel.<br />

Per Heidegger nuovo inizio significa oltrepassamento<br />

(Überwindung) della metafisica,<br />

un appropriarsi di ciò che ancora<br />

non è stato pensato in quello che è già stato<br />

pensato. Un tornare a ciò che è stato a<br />

partire da ciò che è a-venire. Come è noto<br />

questo ritorno del nuovo inizio nel primo<br />

comporta una rifondazione della storia della<br />

filosofia che prende le distanze da quella<br />

hegeliana che connette la storia della filosofia<br />

all’ “idea” come autocoscienza assoluta.<br />

Tuttavia al di là delle conseguenze<br />

teorico della “decostruzione”, Heidegger<br />

è d’accordo con Hegel nel considerare<br />

l’esperienza intrinseca alla coscienza, nell’affermarne<br />

cioè il carattere storico.<br />

Heidegger però vuole mostrare come Hegel<br />

abbia in un certo senso «addomesticato la<br />

rischiosa esperienza del pensare», deducendo<br />

formalmente il momento negativo<br />

più che farlo concretamente sperimentare<br />

42<br />

dalla coscienza. Nell’affermare che: «l’Assoluto<br />

è già in sé e per sé presso di noi e<br />

vuole essere presso di noi», Hegel rivelerebbe<br />

il suo intento principale di rinviarci<br />

a quel rapporto con l’Assoluto in cui già<br />

sempre ci troviamo.<br />

Malgrado l’insistenza con cui Heidegger<br />

si misura con Hegel, il confronto tra i due,<br />

come testimonia Heidegger in una lettera a<br />

Gadamer del 2 dicembre 1971, resta aperto:<br />

«Io stesso non so ancora abbastanza<br />

chiaramente come debba essere definita la<br />

mia posizione rispetto a Hegel. Come posizione<br />

opposta sarebbe troppo poco [...].<br />

Ripetutamente mi sono opposto al discorso<br />

del “crollo” del sistema hegeliano. Crollato,<br />

cioè decaduto è ciò che seguì - Nietzsche<br />

compreso». M.C.<br />

Heidegger<br />

nella biografia di Safranski<br />

Un’ampia biografia su Martin<br />

Heidegger è oggi giunta in Germania<br />

già alla sua terza edizione: si tratta<br />

dell’opera di Rüdiger Safranski, EIN<br />

MEISTER AUS DEUTSCHLAND. HEIDEGGER UND<br />

SEINE ZEIT, (Hanser, Monaco di Baviera<br />

1994). Safranski non è filosofo, né<br />

storico della filosofia, ma giornalista<br />

con spiccate attitudini filosofiche e<br />

dotato di una particolare abilità nel<br />

ricostruire gli ambienti e i quadri storici<br />

nei quali hanno vissuto e operato<br />

grandi pensatori. Tra le documentazioni<br />

a cui Safranski fa riferimento<br />

figura in particolare la monografia di<br />

Elzbieta Ettinger dal titolo: HANNAH<br />

ARENDT - MARTIN HEIDEGGER. EINE GESCHI-<br />

CHTE (München 1994) che ricostruendo<br />

la vicenda del legame tra<br />

Heidegger e Arendt, fornisce al contempo<br />

un resoconto del carteggio<br />

intercorso tra i due.<br />

«L’Università è noiosa. Gli studenti sono<br />

mediocri, senza particolari stimoli, e poiché<br />

mi occupo molto del problema della<br />

negatività, ho qui la migliore occasione<br />

per studiare il modo in cui il nulla si<br />

presenta». Così scriveva Martin<br />

Heidegger nel 1926 all’amico Karl<br />

Jaspers, al quale lo legavano un comune<br />

atteggiamento critico nei confronti della<br />

filosofia universitaria e una comune volontà<br />

di rinnovare radicalmente la pratica<br />

del domandare filosofico. Un anno dopo la<br />

noia è passata. Essere e tempo, la sua opera<br />

capitale, è apparsa. Heidegger, ormai trentottenne<br />

è diventato famoso e nel 1928<br />

viene chiamato all’Università di Friburgo<br />

quale successore del proprio maestro Edmund<br />

Husserl. Nel ’33 Heidegger diventa<br />

rettore dell’Università di Friburgo e<br />

tenta di cavalcare il movimento nazionalsocialista.<br />

A Jaspers viene invece impartito<br />

il divieto di insegnamento, es-


sendo sposato con una donna ebrea. Fu<br />

la rottura tra i due.<br />

“Heidegger e il proprio tempo”: questo<br />

potrebbe essere il titolo che meglio di ogni<br />

altro esprime lo sforzo biografico di Rüdiger<br />

Safranski: la sua biografia offre una<br />

ricostruzione plastica delle vicende storiche<br />

e dell’ambiente in cui Heidegger visse<br />

e operò. Certo, Heidegger ha sempre teso<br />

a minimizzare gli aspetti biografici della<br />

propria opera. Ma Safranski ha saputo<br />

rendere in modo esemplare tutto ciò che<br />

attualmente è possibile sapere sulla biografia<br />

di Heidegger, connettendolo in modo<br />

organico sia con la ricostruzione dell’ambiente<br />

storico, sia con l’evoluzione teorica<br />

del pensiero dell’essere. In verità Safranski,<br />

a cui si deve già una fortunata biografia<br />

su Schopenhauer (1987), non conduce<br />

in prima persona ricerche storiche, ma<br />

utilizza piuttosto materiali già disponibili,<br />

in particolare le ricerche di Hugo Ott o<br />

anche di Victor Farias. La sua incomparabile<br />

superiorità espositiva e capacità di<br />

scrittura gli consentono tuttavia di fornire<br />

un quadro molto più persuasivo, come<br />

dimostra, in particolare, il modo in cui<br />

Safranski illustra il rapporto di Heidegger<br />

con il nazionalsocialismo e il ruolo che<br />

ebbe nella sua vita la relazione d’amore<br />

con Hannah Arendt.<br />

Per quanto riguarda il primo aspetto, Safranski<br />

svolge in tutta la sua complessità<br />

l’intreccio che lega alcuni elementi del<br />

pensiero heideggeriano ad altrettante componenti<br />

dell’ideologia nazionalsocialista,<br />

mettendo in guardia, tuttavia, dall’interpretare<br />

semplicisticamente il pensiero heideggeriano<br />

in chiave esclusivamente politica.<br />

Ma è riguardo al secondo aspetto che<br />

Safranski ottiene il massimo effetto: sfruttando<br />

la descrizione del carteggio (ancora<br />

inedito) tra Heidegger e Arendt ad opera di<br />

Elzbieta Ettinger in Hannah Arendt -<br />

Martin Heidegger. Eine Geschichte, in cui<br />

si parla di una vera e propria storia d’amore<br />

durata fino alla fine, Safranski presenta<br />

tale relazione come una sorta di filo<br />

rosso che attraversa la vita di Heidegger<br />

e dal quale, a lungo, il destino di<br />

Heidegger sembrò dipendere, non sapendo<br />

egli recidere tale relazione con<br />

una autentica decisione.<br />

Da quando Heidegger fu colpito e fatalmente<br />

attratto dalla giovane Arendt che,<br />

vestita di un verde sgargiante, fece la sua<br />

comparsa nel seminario di filosofia, fu<br />

preso da una passione profonda, pienamente<br />

corrisposta, senza la quale, come<br />

egli stesso ebbe a confessare, non avrebbe<br />

mai scritto Essere e tempo. Fu la passione<br />

di una vita, che i due furono però costretti<br />

a vivere clandestinamente - come se non<br />

fosse mai esistita. Quando nel 1960 Arendt<br />

ebbe tra le mani, fresca di stampa, la<br />

versione tedesca di Vita activa, sul frontespizio<br />

della prima copia scrisse questa<br />

dedica a Heidegger: «De vita activa. Mi<br />

risparmio la dedica. Come potrei dedicare<br />

questo libro a te, mio intimo, cui sono e<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

non sono rimasta sempre fedele, e in entrambi<br />

i casi amandoti», aggiungendo, nella<br />

lettera di accompagnamento, che quel libro<br />

non sarebbe mai nato «senza quel che<br />

da te ho imparato in gioventù».<br />

Su questo punto il lavoro di Safranski<br />

presenta forse le maggiori novità e notevoli<br />

motivi di interesse, anche se la sua esposizione<br />

dei fatti non mancherà di far discutere.<br />

In ogni caso, la biografia di Safranski<br />

riesce a restituirci intensi momenti della<br />

vita e del pensiero di Heidegger, dalla<br />

prima formazione e il primo insegnamento<br />

a Friburgo, attraverso l’assiduo e produttivo<br />

periodo di Marburgo, al secondo insegnamento<br />

a Friburgo fino all’ultima fase;<br />

dall’interdizione all’insegnamento dopo<br />

la guerra fino agli anni della grande risonanza<br />

internazionale. E.C.<br />

Leibniz e la teodicea<br />

Questioni di ordine esistenziale e religioso<br />

sono al centro dei SAGGI DI TEODI-<br />

CEA (a cura di V. Mathieu, San Paolo,<br />

Cinisello Balsamo 1994) di Gottfried<br />

Wilhelm Leibniz, in cui vengono affrontate<br />

questioni relative all’esistenza<br />

del male, alla libertà dell’uomo e<br />

alla bontà di Dio.<br />

Rifacendosi, in parte, all’edizione italiana<br />

del 1973, la nuova traduzione dei Saggi di<br />

Teodicea, a cura di Vittorio Mathieu,<br />

riporta alla luce uno dei cardini essenziali<br />

del pensiero di Gottfried Wilhelm<br />

Leibniz. Il volume raccoglie tre saggi, che<br />

affrontano, come recita il sottotitolo, il<br />

problema della bontà di Dio, della libertà<br />

dell’uomo e dell’origine del male, ai quali<br />

seguono tre appendici, che trattano le principali<br />

obiezioni e difficoltà suscitate dai<br />

problemi trattati. L’occasione del volume,<br />

introdotto da una lunga prefazione di carattere<br />

religioso sulla infinità e bontà di<br />

Dio, consiste nella risposta alle questioni<br />

suscitate da Pierre Bayle, avversario di<br />

sempre di Leibniz, che pone, sistematicamente,<br />

i problemi della Teodicea.<br />

La prima questione è quella della creazione<br />

del mondo; di fronte all’infinità dei<br />

mondi possibili presenti, di fronte a Dio<br />

nel momento della genesi, la scelta è stata<br />

sempre fatta secondo un criterio eticomorale.<br />

Animato da bontà e perfezione<br />

infinite, infatti, Dio, assolutamente libero<br />

nella sua scelta, ha deciso per il migliore<br />

dei mondi possibili, che, in questo modo,<br />

passa dal piano dell’essenza dei possibili a<br />

quello dell’esistenza dei reali. Grazie a<br />

questa dicotomia tra essenza ed esistenza,<br />

Leibniz risolve le difficoltà relative alla<br />

nozione di “incompossibilità”. Se, infatti,<br />

sul piano delle essenze, gli infiniti mondi<br />

coesistono nella loro molteplicità e differenza,<br />

questo non accade sul piano fattuale,<br />

dove l’esistenza dell’uno è incompossi-<br />

43<br />

bile a quella di un altro suo contrario.<br />

Lo stesso argomento risolve anche gli altri<br />

due problemi, la libertà dell’uomo e la<br />

presenza del male. Per quanto riguarda il<br />

primo, Leibniz ricorda che la perfezione di<br />

Dio, costituito da monadi infinite, determina<br />

anche la totale conoscenza della possibilità<br />

degli eventi passati, presenti e futuri<br />

del mondo. Questo toglie, apparentemente,<br />

libertà all’uomo, che sembra appartenere<br />

ad un destino precostituito. In<br />

effetti, poiché l’imperfezione dell’essere<br />

umano si manifesta, secondo Leibniz, nella<br />

sua incapacità di conoscere totalmente<br />

gli eventi sul piano reale, l’uomo è assolutamente<br />

libero di scegliere sul piano esistenziale,<br />

e dei fatti, ma non lo è sul piano<br />

delle essenze, già disposte da Dio secondo<br />

l’armonia prestabilita. L’uomo, insomma,<br />

è libero di scegliere quello che, al momento<br />

della creazione, è già stato scelto da Dio.<br />

Analogamente si giustifica per Leibniz il<br />

problema del male. La perfezione delle<br />

essenze, presenti nella mente di Dio, decade<br />

al momento del passaggio all’esistenza.<br />

Il nostro mondo, anche se “il migliore di<br />

quelli possibili”, è pur sempre finito e il<br />

nostro sguardo su di esso è pur sempre<br />

limitato. Il male metafisico è allora giustificato<br />

dalla nostra incapacità di comprenderlo<br />

su di un piano che, per costituzione,<br />

è imperfetto. In altri scritti, tuttavia, non<br />

mancano, da parte di Leibniz, giustificazioni<br />

di tipo estetico - come quella secondo<br />

cui il male esiste solo per darci la<br />

possibilità di comprendere il bene - che qui<br />

non sono prese, però, in considerazione.<br />

Sebbene le tre soluzioni adottate da Leibniz<br />

sembrano risolvere ogni dubbio, esistono<br />

difficoltà, di ordine più esistenziale, che<br />

logico, che non trovano una soluzione. Ad<br />

esempio l’aporia di fondo, insita nel concetto<br />

di “migliore dei mondi possibili”, per<br />

cui un qualcosa di finito è posto come<br />

“migliore” in senso assoluto. Inoltre, Dio<br />

è libero di scegliere quale possibilità rendere<br />

esistente, ma non lo è altrettanto rispetto<br />

alle possibilità stesse che gli si presentano<br />

di fronte, indipendentemente dalla<br />

sua volontà. Infine, se il criterio di scelta<br />

adottato da Dio è quello morale e se ha<br />

scelto il migliore dei mondi possibili, allora<br />

la scelta non è stata fatta in assoluta<br />

libertà. In altre parole, essendo il nostro<br />

già il migliore dei mondi, Dio, nel crearlo,<br />

si è “limitato” a sceglierlo.<br />

Leibniz non risolve queste aporie che,<br />

secondo Mathieu, dipendono dalla decisione<br />

del filosofo di porre Dio sul piano<br />

della scelta e non su quello della creazione.<br />

Determinando Dio come colui che<br />

decide tra infinite alternative, Leibniz<br />

concede razionalità e rigore alla monadologia,<br />

ma le sottrae quel margine di<br />

infinità che solo la creazione avrebbe<br />

potuto concederle. A.S.


Epistemologia<br />

ed empirismo logico<br />

E‘ apparsa la nuova edizione di un<br />

classico dell’epistemologia del Novecento,<br />

IL VALORE DELLA SCIENZA (trad. it. di<br />

F. Albèrgamo, rev. e introd. di G. Polizzi,<br />

La Nuova Italia, Firenze 1994), di<br />

Henri Poincaré, in cui la figura del filosofo<br />

e matematico emerge come svincolata<br />

dall’etichetta di “convenzionalista”<br />

e si proietta in direzione di un<br />

realismo strutturale all’interno di una<br />

prospettiva semi-razionalistica. Un’opportuna<br />

integrazione di questo ambito<br />

di pensiero è la raccolta di testi dal<br />

titolo: FILOSOFIA SCIENTIFICA ED EMPIRISMO<br />

LOGICO (a cura di G. Polizzi, Unicopli,<br />

Milano 1993), che riporta le relazioni<br />

tenute al I Congresso Internazionale<br />

di Filosofia scientifica di Parigi nel 1935,<br />

da cui si può ricavare, attraverso una<br />

intensa ricognizione storico-teoretica,<br />

le linee portanti del dibattito contemporaneo<br />

sull’empirismo logico.<br />

Le Ouvres di Henri Jules Poincaré sono<br />

oggi raccolte in 10 ponderosi volumi: nella<br />

produzione dell’«ultimo grande scienziato<br />

universale» - come affermava Jules Vuillemin<br />

- la profondità delle indagini si coniuga<br />

alla stupefacente varietà dei campi<br />

sondati, indice di una personalità leonardesca<br />

difficilmente riscontrabile nel panorama<br />

attuale. Come sottolinea Gaspare Polizzi<br />

nell’ampio saggio introduttivo, Henri<br />

Poincaré, tra matematica ed epistemologia,<br />

l’indagine di Poincaré, ne Il valore<br />

della scienza, opera del 1905, appare costantemente<br />

guidata da uno “stile” e da una<br />

“mente matematica” in grado di affrontare<br />

con lo spirito dell’epistemologo problematiche<br />

fondazionali relative tanto alla questione<br />

delle geometrie non-euclidee, quanto<br />

a quella della rigorizzazione dell’analisi<br />

e della assiomatizzazione dell’aritmetica.<br />

Matematico puro e di grande valore, Poincaré<br />

lo fu per tutta la vita: pubblicò la sua<br />

ultima memoria di carattere matematico -<br />

una soluzione di un teorema topologico<br />

connesso con il problema dei tre corpi - nel<br />

1912, a quattro mesi dalla morte. D’altra<br />

parte Poincaré inizia la riflessione sulla<br />

scienza già dal 1887, considerando i postulati<br />

geometrici quali ipotesi vagliate a seconda<br />

del grado di comodità e di pregnanza<br />

logica. Nonostante la poca consuetudine<br />

con il linguaggio filosofico, rilevata anche<br />

dal nipote Pierre Boutroux, nel saggio Sur<br />

les hypothèses fondamentales de la<br />

géométrie Poincaré sostiene il carattere<br />

convenzionale degli assiomi della geometria,<br />

che viene considerata un “ponte” tra<br />

matematica e fisica. Le successive ricerche,<br />

come gli studi di meccanica celeste,<br />

vengono guidate da un apparato matematico<br />

che affronta la realtà fisica, in base al<br />

presupposto che esiste sempre un’equazione<br />

differenziale in cui inserire le interrelazioni<br />

fenomeniche. In seguito, Poincaré<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

inizia a profondere contributi notevoli in<br />

direzione degli sviluppi della fisica relativistica<br />

e quantistica.<br />

Il valore della scienza riveste un’importanza<br />

fondazionale di assoluto rilievo. Nella<br />

prima sezione vengono analizzate le scienze<br />

matematiche, delle quali è affermata<br />

l’autonomia nei confronti della psicologia;<br />

da qui il primato della deduzione logica. La<br />

seconda sezione svolge riflessioni sulle<br />

scienze fisiche e sull’astronomia. Nella<br />

storia della fisica la visione atomista si<br />

oppone a quella infinitaria e continuista;<br />

Poincaré prevederà nel 1912 l’affermarsi<br />

della prima. I due saggi della terza ed<br />

ultima sezione delineano una filosofia generale<br />

della scienza.<br />

Dopo aver riassunto le posizioni convenzionaliste<br />

di Le Roy, Poincaré sviluppa<br />

una disamina dell’anti-intellettualismo,<br />

imputando a Le Roy di considerare l’intelligenza<br />

e il “discorso” quali agenti deformanti<br />

la realtà, e le leggi scientifiche quale<br />

valore puramente strumentale e utilitaristico.<br />

Per Poincaré, invece, le “regole d’azione”<br />

posseggono valore a partire dalla loro<br />

capacità previsionale. <strong>Nelle</strong> scienze fisiche,<br />

attraverso l’esperienza, si apportano<br />

determinate correzioni agli errori “accidentali”<br />

e “sistematici”; ugualmente in<br />

matematica, per verificare l’attendibilità di<br />

postulati o di teoremi non si ricorrerà alla<br />

testimonianza dei sensi e al ricordo di questa<br />

testimonianza, bensì all’intelletto. Il<br />

fatto scientifico, dal quale deriva la scienza,<br />

non è altro che il fatto “bruto” sperimentato,<br />

tradotto nel codice di un linguaggio<br />

(donde la sua “comodità”). A partire da qui<br />

vengono posti in luce i limiti del convenzionalismo<br />

mediante l’esame di esempi<br />

tratti dalla cinematica dei corpi solidi alla<br />

geometria, dalla meccanica alla fisica. La<br />

scienza è dunque un sistema di relazioni,<br />

una classificazione in cui va cercata l’oggettività,<br />

costituita dai rapporti fra gli enti.<br />

Gaspare Polizzi è anche il curatore del<br />

volume Filosofia scientifica ed empirismo<br />

logico che riporta, suddivisi in quattro gruppi<br />

- “Razionalismo empirico ed empirismo<br />

logico”, “Enciclopedia”, “Induzione e Logica”,<br />

“Matematiche e realtà” - saggi scelti<br />

tra gli Atti del Congresso di Parigi del<br />

1935. Polizzi rileva che il principale proposito<br />

del Congresso si presenta come tentativo<br />

di conferire all’empirismo logico lo<br />

statuto di una “filosofia scientifica”, contribuendo<br />

«in modo decisivo alla fondazione<br />

dell’epistemologia come disciplina autonoma».<br />

Tra gli interventi raccolti nel<br />

volume, Federigo Enriques ci introduce<br />

nel clima del positivismo suo contemporaneo,<br />

sollevando dubbi sulla filosofia empirica,<br />

ma anche sul logicismo, chiedendosi<br />

se la logica «è un’analisi delle operazioni<br />

del pensiero esatto o al contrario mira a<br />

relazioni che sono - in qualche maniera -<br />

fuori dal nostro spirito». Partendo invece<br />

da una ridefinizione teoretica di alcune<br />

istanze della fisica contemporanea, Hans<br />

Reichenbach, esponente del Circolo di<br />

44<br />

Berlino, si adopra in direzione di un annullamento<br />

dell’a priori sintetico nei giudizi<br />

scientifici mediante una riformulazione, in<br />

termini logico-matematici, del principio di<br />

induzione. La comunicazione di Rudolf<br />

Carnap concerne la fondazione di una<br />

“logica della scienza”, ovvero una rigorosa<br />

analisi logica del linguaggio scientifico.<br />

Per Carnap «la logica è il metodo di filosofare»<br />

e «filosofare vuol dire soltanto chiarire<br />

i concetti e gli enunciati della scienza<br />

mediante l’analisi logica» nel tentativo di<br />

eliminare residui psicologici dalla teoria<br />

della conoscenza. La relazione di Charles<br />

W. Morris è incentrata su una contaminazione<br />

tra pragmatismo, empirismo e formalismo.<br />

La semiotica determina l’essenza<br />

dei segni, mentre la filosofia «si occupa<br />

del confronto della critica e della proposta<br />

delle strutture linguistiche generali»: la<br />

“semiotica filosofica” è una “metascienza”,<br />

che saprà svelare le potenzialità conoscitive<br />

del linguaggio, per giungere al progetto<br />

enciclopedico di una lingua scientifica<br />

unificata.<br />

Con l’intervento di Otto Neurath si giunge<br />

alla ricapitolazione degli interrogativi,<br />

sollevati dai precedenti interventi, intorno<br />

alla possibilità di una scienza unificante.<br />

Allontanandosi da alcune posizioni del<br />

Circolo di Vienna e rifiutando sia la teoria<br />

wittgensteiniana del significato (possibilità<br />

del confronto fatti-proposizioni), sia la<br />

distinzione tra linguaggio scientifico e ordinario,<br />

Neurath giunge fino a negare la<br />

teoria semantica della verità. Particolarmente<br />

significativa appare la sua proposta<br />

di introdurre un linguaggio “fisicalistico”,<br />

visuale e non formalizzato, l’ISOTYPE<br />

(International System of Typographic<br />

Pictorial Education) in vista della costituzione<br />

di una “scienza totale”. In posizione<br />

divergente rispetto alla svolta logica di<br />

Carnap e al fisicalismo di Neurath, per il<br />

quale l’unica versione accettabile è quella<br />

che ribadisce il valore empirico, di linguaggio<br />

oggettivo, da attribuirsi al linguaggio<br />

fisico) si muove invece Moritz<br />

Schlick. Come sottolinea anche Ludovico<br />

Geymonat, che fu suo allievo, il realismo<br />

empirico di Schlick ben si inserisce nel<br />

panorama delle acquisizioni della fisica<br />

agli inizi del Novecento, ma, ricorda Polizzi,<br />

«appare difforme e “anacronistica”<br />

rispetto agli orientamenti logico-formali e<br />

alla proposta enciclopedica», e si colloca<br />

piuttosto accanto alle discussioni wittgensteiniane<br />

e alla tradizione gnoseologica<br />

kantiana. Va ricordato, infine, che l’uso<br />

del criterio di falsificazione di Karl Popper,<br />

attivo al Congresso parigino, fu causa<br />

di fraintendimenti nelle relazioni tra il<br />

filosofo e il Circolo di Vienna. A questo<br />

proposito Polizzi ripercorre gli esiti diversi<br />

che ebbero al Congresso, e hanno avuto<br />

fino ad oggi, il Tractatus logico-philosophicus<br />

di Ludwig Wittgenstein e la<br />

Logik der Forschung di Karl Popper: non<br />

si tratta, osserva Polizzi, di dare giudizi<br />

postumi, bensì di tracciare una “storia del-


l’epistemologia” che possa rispondere (anche)<br />

alle questioni cruciali del dibattito<br />

filosofico -scientifico contemporaneo in<br />

buona parte già così autorevolmente enucleate<br />

nelle tesi parigine. M.B.<br />

Per una storia filosofica<br />

dell’infinito<br />

Benché Jonas Cohn sia stato un riferimento<br />

importante e esplicito di pensatori<br />

della taglia di Cassirer e di Koyré,<br />

e più recentemente di Lévinas e Desanti,<br />

la sua opera sulla “storia dell’infinito”,<br />

del 1896, non è stata percorsa<br />

con l’attenzione che le conviene. L’edizione<br />

francese dell’opera di Cohn, che<br />

appare con il titolo: HISTOIRE DE L’INFINI<br />

(Storia dell’infinito, a cura di J. Seidengart,<br />

Cerf, Parigi 1994), ha il duplice<br />

merito di colmare un oblio e di<br />

presentare, accompagnata da un’erudita<br />

e accurata introduzione, un’opera<br />

il cui carattere “attempato” non pregiudica<br />

affatto la pertinenza e l’oculatezza<br />

della riflessione.<br />

Nell’Introduzione all’opera di Jonas Cohn,<br />

Histoire de l’infini, Jean Seidengart, che<br />

si occupa, in particolare, del rapporto fra<br />

filosofia e storia delle scienze attraverso il<br />

filtro della cosmologia, si prende cura non<br />

solo di riassumere e presentare i punti salienti<br />

dell’opera, ma anche di segnalare i<br />

momenti critici della riflessione, il carattere<br />

“datato” dell’impostazione, gli sviluppi<br />

successivi della teoria dell’infinito (in particolare<br />

della relatività), che Cohn non poteva<br />

ancora conoscere. Impariamo così a<br />

leggere e ad apprezzare un’opera, ancora<br />

oggi non superata per lo sguardo ampio che<br />

Cohn dispiega sul fenomeno dell’esperienza<br />

dell’infinito e non solo su questa o quella<br />

concezione dell’infinito.<br />

L’originale prospettiva di Cohn consiste<br />

nel voler tenere insieme, da un lato, lo<br />

studio delle diverse concezioni dell’infinito,<br />

le cui trasformazioni dipendono tanto<br />

da implicazioni logiche (contraddizioni delle<br />

teorie precedenti, paradossi e teoremi,<br />

ecc.), quanto da motivi alogici (mutamenti<br />

assiologici, visioni del mondo, ecc.), dall’altro,<br />

la visione unitaria dell’esperienza<br />

dell’infinito, visione al contempo nutrita<br />

da un approccio trascendentale (neokantiano)<br />

e al contempo antropologico. In tal<br />

senso, le analisi storiche di Cohn, certamente<br />

incomplete, ingombrate da pregiudizi,<br />

seguono il filo di una storia che è<br />

anche genesi di un’idea, di un’esperienza<br />

costitutiva del mondo. E‘ chiaro allora come<br />

per Cohn le contraddizioni inerenti all’idea<br />

d’infinito appartengano a due attitudini<br />

antropologiche costitutive e incompatibili<br />

dell’esperienza: il finitismo, l’esigenza di<br />

dare un contorno alle cose per conoscerle e<br />

“controllarle”, e l’infinitismo, l’impulso a<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

superare i limiti, il tropismo verso la continuità.<br />

Per questo, in Cohn, i problemi teorici<br />

connessi all’idea d’infinito catalizzano<br />

altri aspetti cruciali per il pensiero filosofico<br />

e scientifico: il rapporto fra continuo e<br />

discontinuo; la concezione del tempo e<br />

dello spazio; la riflessione sul mondo e<br />

sull’universo.<br />

In questa prospettiva di riflessione, si è<br />

tenuto all’Osservatorio di Parigi, dal 12 al<br />

16 settembre 1994, un importante convegno<br />

dal titolo: “Storia e attualità della cosmologia”,<br />

organizzato da un comitato<br />

scientifico composto da Pierre Léna, Jacques<br />

Merleau-Ponty, Jim Peebles, Jean-<br />

René Roy, Alain Segonds. F.M.Z.<br />

Detti e scritti da Foucault<br />

In occasione del decimo anniversario<br />

della morte di Paul-Michel Foucault<br />

una monumentale iniziativa editoriale<br />

getta luce nuova sulla sua opera. Si<br />

tratta di quattro volumi di DITS ET ECRI-<br />

TS (Detti e Scritti, a cura di D. Defert e<br />

F. Ewald, Gallimard, Parigi 1994), che<br />

raccolgono tutto quel che Foucault<br />

ha scritto al di fuori delle sue opere:<br />

articoli, interviste, prefazioni, interventi<br />

a tavole rotonde: un gigantesco<br />

caleidoscopio che consente di cogliere<br />

la diversità dei registri con cui<br />

Foucault ha condotto la sua attività<br />

intellettuale.<br />

«Nessuna pubblicazione postuma». Questa<br />

la volontà di Foucault espressa nel suo<br />

testamento e rispettata da Daniel Defert e<br />

François Ewald, che hanno raccolto le<br />

pagine foucaultiane rimaste esclude dalle<br />

sue opere. Michel Foucault, che più volte<br />

ha diagnosticato la fine di Dio e quindi<br />

dell’uomo, la fine della filosofia, la fine<br />

dell’autore e della sua propria opera, si<br />

preoccupa tuttavia di fissare dei limiti a<br />

quel che, suo malgrado, rimane come traccia<br />

indelebile dei suoi percorsi intellettuali<br />

ed esperenziali.<br />

Così, nelle 3556 pagine che compongono<br />

i quattro volumi di Dits et ecrits compaiono<br />

solo quegli scritti pubblicati da Foucault<br />

stesso e quelli a cui aveva comunque dato<br />

il suo assenso. Niente manoscritti trovati<br />

nei cassetti, dunque, né appunti personali,<br />

ma solo pezzi autografati già pubblicati.<br />

La portata innovativa dell’opera non risulta<br />

tuttavia pregiudicata; la sua novità sta<br />

innanzitutto nell’aver reso accessibili scritti<br />

introvabili - come la Prefazione Rêve et<br />

existance di Binswanger, l’articolo La situazione<br />

di Cuvier nella storia della biologia,<br />

la prima Prefazione alla Storia della<br />

follia - o comunque difficilmente reperibili;<br />

nell’aver restituito i mille volti di<br />

Foucault all’estero, rendendo disponibili<br />

in francese i testi scritti in altre lingue -<br />

come La verità e le forme giudiziarie e le<br />

45<br />

diverse interviste rilasciate soprattutto in<br />

Italia, Giappone, USA.<br />

In secondo luogo, questa operazione di<br />

raccolta crea un innegabile effetto postumo:<br />

l’inedito è costituito dalla coesistenza<br />

spaziale di una molteplicità di scritti sparsi<br />

(sono in tutto 364, pubblicati tra il 1954 e il<br />

1988) e dagli effetti che questa produce.<br />

Per orientarsi nella miriade di temi trattati<br />

(dalla psicologia alla letteratura, dalla stregoneria<br />

alla guerra iraniana, dal liberalismo<br />

all’arte erotica e all’amicizia) i curatori<br />

forniscono tre sussidi: una bio-cronologia,<br />

dove eventi privati si intrecciano con<br />

quelli pubblici nell’intento di cogliere uno<br />

stile di vita; cinque indici (dei nomi di<br />

persona, delle nozioni, delle opere di riferimento,<br />

dei nomi di luoghi, dei periodi storici);<br />

una bibliografia, resa esaustiva da un<br />

complément. L’edizione, molto accurata,<br />

risponde a un criterio di precisione: testi<br />

annotati disposti in ordine cronologico di<br />

pubblicazione; indicazioni di tutte le varianti<br />

e le correzioni; citazioni controllate e<br />

provviste di riferimento; ogni tomo riporta<br />

il sommario degli altri tre.<br />

Qualche perplessità sulla fedeltà di questa<br />

impresa editoriale alla volontà di Foucault<br />

potrebbe sorgere se si considera l’ “effetto<br />

d’opera” che essa induce: dovremmo chiederci<br />

se l’autore di Qu’est-ce qu’ un auteur?<br />

(Che cos’è un autore, testo redatto<br />

per una conferenza del 1969) l’avrebbe<br />

autorizzata nella sua pretesa di esaustività<br />

(non una riga di Foucault pubblicata a suo<br />

nome manca all’appello nella raccolta).<br />

D’altra parte l’effetto prodotto dai quattro<br />

volumi è anche quello di un continuo movimento:<br />

Foucault cambia continuamente<br />

volto, moltiplica incessantemente la sua<br />

identità: «Foucault - osserva François Ewald<br />

- amava indubbiamente questa dispersione,<br />

questa difficoltà di totalizzarlo, questa<br />

possibilità di sfuggire a ogni identità in cui<br />

lo si voleva rinchiudere”.<br />

Alcuni interventi di Foucault, presenti nei<br />

volumi, assumono poi la funzione di metatesto,<br />

utile a scongiurare il pericolo che il<br />

lettore colga come immobile, cristallizzato<br />

il senso di un qualsiasi scritto: «Io non<br />

sottoscrivo mai senza restrizioni quello<br />

che ho detto nei miei libri»; oppure: «I<br />

miei libri sono delle configurazioni aperte».<br />

Sulla “funzione” di queste righe disperse<br />

nell’economia del suo lavoro<br />

Foucault osservava che gli interventi in<br />

articoli o riviste «sono per lo più riflessioni<br />

su un libro finito che possono aiutarmi a<br />

definire un altro lavoro possibile. Sono<br />

spazi di impalcatura che possono servire<br />

da ponte tra un lavoro che sta per essere<br />

completato e un altro». Quel che Foucault<br />

considerava utile, può risultare comodo<br />

anche per il lettore, che può essere coinvolto<br />

nel lavoro di gestazione di testi già<br />

noti per far luce sulle diverse zone d’ombra<br />

di un Foucault ancora clandestino. Una<br />

sorta di commento alle sue opere che costituisce<br />

anche un’agevole introduzione per<br />

quanti non lo conoscono. A.M.


Razionalità e religione in Kant<br />

Il “primato della ragion pratica” è il<br />

fondamento comune di due opere di<br />

Immanuel Kant, che recentemente<br />

sono state oggetto di nuove edizioni.<br />

Si tratta de LA RELIGIONE ENTRO I LIMITI<br />

DELLA SOLA RAGIONE (trad. it. di A. Poggi,<br />

Laterza, Roma-Bari 1994), che si occupa<br />

del rapporto tra religione naturale e<br />

rivelata, e de IL CONFLITTO DELLE FACOLTÀ<br />

(trad. it. di D. Venturelli, Morcelliana,<br />

Brescia 1994), che studia le relazioni<br />

esistenti tra le diverse facoltà universitarie,<br />

tra cui la teologia e la filosofia.<br />

Pubblicata originariamente nel 1794, La<br />

religione entro i limiti della sola ragione è<br />

stata caratterizzata da un iter difficile. Il<br />

testo, che, pur non essendo una “critica”<br />

vera e propria, si colloca sulla scia della<br />

Critica del giudizio per l’analisi della fede<br />

riflettente, contiene quattro saggi che si<br />

occupano del male radicale esistente nel<br />

Immanuel Kant<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

mondo, della possibilità della ragione di<br />

affrontarlo, del ruolo del male nella società<br />

e dei rapporti tra Stato e religione. Il tratto<br />

comune a tutti i saggi consiste nella teorizzazione<br />

del rapporto esistente tra religione<br />

naturale e religione rivelata.<br />

Prendendo le mosse dalla struttura della<br />

morale e dalla sua autonomia, Kant sottolinea<br />

più volte che gli imperativi categorici<br />

traggono il loro valore e la loro universalità<br />

esclusivamente da se stessi. La morale razionale<br />

non necessita di un Sommo Bene come<br />

suo fondamento, che, al contrario, toglierebbe<br />

universalità al proprio valore. Ciò non<br />

esclude, comunque, che dalla morale derivi<br />

la necessità di una fede razionale che completi<br />

e dia il senso all’etica stessa. La religione<br />

diventa così il fine, a posteriori, della<br />

morale ed è connotata da una struttura esclusivamente<br />

razionale. Da qui deriva la celebre<br />

teoria dei due cerchi concentrici, di cui la<br />

religione naturale, o razionale, costituisce il<br />

cerchio interno, e quindi prioritario, proprio<br />

perché derivato dalla morale. Si tratta di una<br />

46<br />

religione universale e necessaria che esiste,<br />

propriamente, “entro i limiti della ragione”.<br />

Il cerchio esterno, che invece esce dai confini<br />

della ragione, è costituito dalla religione<br />

rivelata, che si manifesta empiricamente nelle<br />

religioni storiche ed è, per questo, contingente.<br />

In tal modo la Chiesa e la storicizzazione<br />

della religione sono considerati insufficienti<br />

per la realizzazione completa della<br />

razionalità etico-religiosa, che non si avvale,<br />

peraltro, neanche di una filosofia della storia,<br />

imperfetta e incapace di rispettare l’ideale<br />

razionale. Da qui le numerose critiche di<br />

cui è stata bersaglio l’interpretazione kantiana<br />

del cristianesimo, che pur essendo la<br />

sintesi che meglio ha saputo schematizzare<br />

la religione naturale, rimane pur sempre una<br />

fede e quindi una costruzione empirica.<br />

Considerato una palese aggressione alla<br />

religione cristiana, lo scritto di Kant, anche a<br />

seguito dell’intervento del Re di Prussia,<br />

Federico II, fu censurato, in quanto sminuiva<br />

le fede nei confronti della ragione, concepita<br />

come l’unico fondamento, universale e necessario,<br />

di tutti i campi dell’agire umano. La<br />

censura di Federico II e la relativa risposta di<br />

Kant, che, pur difendendo la sua impostazione,<br />

si dichiara il “primo suddito” del Re,<br />

costituiscono l’apertura de Il conflitto delle<br />

facoltà, che si occupa, ancora, del rapporto<br />

tra religione e razionalità.<br />

Le facoltà di cui qui parla Kant sono gli<br />

istituti universitari, che spesso si trovano in<br />

contrasto tra loro. In particolare Kant si<br />

occupa dei conflitti tra filosofia e teologia,<br />

filosofia e giurisprudenza e filosofia e medicina,<br />

che costituiscono gli argomenti trattati<br />

nei tre saggi contenuti nel volume. Il riferimento<br />

è alla distinzione, operata nel Medio<br />

Evo, tra facoltà superiori, teologia, medicina<br />

e giurisprudenza, e inferiori, la filosofia. A<br />

questa distinzione Kant oppone quella secondo<br />

cui la filosofia, intesa come la disciplina<br />

ad uso della ragione, costituisce il<br />

fondamento comune e universale di tutte le<br />

altre scienze. Il conflitto delle facoltà, diventa,<br />

in tal modo, fittizio proprio perché vinto<br />

da una facoltà superiore in grado di superare<br />

i particolarismi delle singole discipline. Ne<br />

risulta una sorta di platonismo, per cui la<br />

filosofia si assume l’onere e l’onore di guidare<br />

e di indirizzare anche, ad esempio, la<br />

politica e la religione.<br />

Nel secondo saggio emerge, di fatto, la completa<br />

superiorità della filosofia sulla politica,<br />

cui consegue un rifiuto della tradizione e<br />

dell’autorità, visti come manifestazioni storiche<br />

dei pregiudizi. Riprendendo i toni della<br />

Risposta alla domanda: “Che cos’è l’Illuminismo?”,<br />

Kant mostra come i particolarismi<br />

delle diverse discipline siano superabili esclusivamente<br />

dalla capacità razionale e umana<br />

di trovare un fine comune e ultimo, che dia<br />

senso all’esistenza. Appare dunque evidente<br />

come per Kant l’universalità della ragione<br />

non riguardi l’ambito conoscitivo: la rivoluzione<br />

copernicana costituisce una parte determinante<br />

della razionalità, ma non ne esaurisce<br />

i fini. La conoscenza del soggetto trascendentale,<br />

infatti, perde quella connota-


zione di sintesi universale, caratteristica<br />

della Critica della ragion pura, e viene<br />

limitata all’ambito gnoseologico e fenomenico.<br />

Spetta, allora, alla ragion pratica il<br />

compito di unificare il pluriprospettivismo<br />

delle diverse scienze, che senza un’unità di<br />

fondo rivelano conflitti e aporie. Il fondamento<br />

di libertà e verità, inteso come base<br />

della ragion pratica, costituisce quell’apertura<br />

universale in grado di dare senso all’uomo<br />

e alle sue attività. A.S.<br />

L’essenza del cristianesimo<br />

in Feuerbach<br />

Ne L’ESSENZA DEL CRISTIANESIMO, di cui<br />

oggi è finalmente disponibile l’edizione<br />

integrale italiana (a cura di F. Bazzani,<br />

trad. it. di F. Bazzani e D. Haibach,<br />

Ponte alle Grazie, Firenze 1994), si<br />

esprime l’antropologia filosofica di<br />

Ludwig Feuerbach, nel suo tentativo<br />

di rintracciare il fondamento della religione,<br />

in particolar modo della religione<br />

cristiana. Posta l’origine della religione<br />

nell’alienazione dell’essenza<br />

umana in quella divina, Feuerbach delinea<br />

la sua filosofia come ricostituzione<br />

delle capacità dell’uomo di riconoscere<br />

le qualità divine della sua stessa<br />

natura. Particolare interesse assume<br />

qui la religione cristiana con le sue<br />

contraddizioni, il suo nascosto desiderio<br />

di recuperare la fisicità mediante<br />

il mistero della reincarnazione.<br />

Ne L’essenza della religione l’argomentazione<br />

teorica di Ludwig Feuerbach è suddivisa<br />

in due sezioni. Nella prima sezione, più<br />

ampia e articolata, Feuerbach presenta le sue<br />

tesi sulla base di stringenti dimostrazioni.<br />

Tutto il suo discorso ruota intorno alla riduzione<br />

della religione e della teologia ad antropologia<br />

attraverso l’esame del significato<br />

dell’alienazione umana. Con la religione<br />

l’uomo si allontana da sé, esce da sé, alienando<br />

in Dio, in una realtà estranea, la propria<br />

essenza e quindi ponendo il problema della<br />

ricostituzione della propria identità. Le potenzialità<br />

umane vengono completamente<br />

dispiegate ed attualizzate in Dio, che assume<br />

perciò sembianze umane, rivelando il suo<br />

carattere di un Dio a misura d’uomo. Infatti,<br />

osserva Feuerbach, quando l’uomo descrive<br />

Dio si avvale delle caratteristiche<br />

della sua stessa natura, ampliandole all’infinito;<br />

Dio diventa un puro oggetto di pensiero,<br />

frutto unicamente dell’intelletto umano,<br />

che pensando se stesso si illude di<br />

pensare Dio, mentre rivela solo la coscienza<br />

che ha di se stesso.<br />

Il Dio che emerge dalle pagine di Feuerbach<br />

è il risultato di un progetto esistenziale umano,<br />

che attraverso gli attributi della provvidenza,<br />

della predestinazione, del miracolo,<br />

ha un unico obiettivo: l’uomo. Questo fine<br />

peculiare si evidenzia particolarmente nel<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

tema della salvezza, che è rivolta in modo<br />

privilegiato all’uomo che attraverso la fede<br />

religiosa mostra orgogliosamente i propri<br />

privilegi rispetto agli altri esseri viventi. E<br />

quando l’uomo, in silenzio, si rivolge a Dio<br />

con la preghiera, per Feuerbach non fa altro<br />

che dialogare con il proprio cuore, confidando<br />

nell’esaudimento dei suoi desideri. In<br />

quest’ottica, la fede in Dio risulta essere la più<br />

grande celebrazione della fede nell’uomo.<br />

Nel tentativo di dimostrare la propria validità<br />

razionale, fa notare Feuerbach, la religione<br />

si involge in una spirale di argomentazioni<br />

sofistiche che sono proprie della teologia<br />

razionale e che rivelano il loro carattere<br />

contraddittorio quando venga messa in rilievo<br />

l’essenza umana della religione. Così,<br />

una dopo l’altra, sotto le sferze concettuali di<br />

Feuerbach, cadono tutte le credenze religiose.<br />

Il segreto fondamento della creazione<br />

divina del mondo è l’autocoscienza umana;<br />

ugualmente, la causa del misticismo è rintracciabile<br />

nell’essenza umana che si trasfigura<br />

nell’essenza divina mediante la separa-<br />

47<br />

Ludwig Feuerbach<br />

zione dello spirito dal corpo. Per quanto<br />

riguarda l’immortalità umana, osserva ancora<br />

Feuerbach, l’uomo con essa non solo<br />

realizza uno dei suoi maggiori desideri, ma<br />

riacquista anche quella sua parte materiale<br />

dalla quale aspirava a distaccarsi in nome<br />

della fede religiosa, spirituale. Anche il dogma<br />

della trinità ha qui una sua spiegazione:<br />

l’essenza umana, pur nella sua unicità, è<br />

differenziata a causa della particolarità irripetibile<br />

di ogni individuo; la trinità non<br />

sarebbe altro che la rappresentazione sostanzializzata<br />

di questa ricchezza e varietà proprie<br />

dell’essenza umana.<br />

Nel suo intento di cogliere l’essenza della<br />

religione Feuerbach mostra la sua predilezione<br />

per il cristianesimo, che edificando un<br />

Dio più umano rispetto a quello di altre<br />

religioni, come quello freddo e distante, quasi<br />

inumano, della religione ebraica, rivela<br />

maggiormente le contraddizioni della religione<br />

stessa. La peculiarità del cristianesimo<br />

è costituita dalla figura di Cristo, che simboleggia<br />

il cuore liberato da tutti i legami e


quindi “l’onnipotenza della soggettività”.<br />

Nella figura di Cristo è posta l’esigenza,<br />

propria del Cristianesimo, del superamento<br />

della scissione dell’uomo. Una volta<br />

separatosi dalla sua essenza, alienandola in<br />

Dio, l’uomo avverte l’esigenza di recuperarla<br />

e quindi edifica il mistero della reincarnazione,<br />

che dunque costituisce un circolo<br />

vizioso: l’uomo, fattosi Dio, ritorna ad<br />

essere uomo.<br />

La filosofia di Feuerbach è volta a valorizzare<br />

l’uomo nel suo essere sensibile, concreto,<br />

lontano dall’ingannevole cielo spirituale della<br />

religione, mediante il recupero di tutte quelle<br />

qualità che aveva perduto. Si tratta quindi di<br />

un’antropologia che fa dell’uomo il Dio di se<br />

stesso, che riafferma la divinità nell’anima<br />

umana contro un Dio mistico, lontano dalle<br />

radici terrestri umane, un Dio immensamente<br />

distante, che rende l’uomo estraneo a se<br />

stesso. Quest’antropologia si ripropone di<br />

ricondurre Dio all’essenza umana, consentendo<br />

all’uomo di riappropriarsi della sua<br />

essenza alienata e recuperare così il suo<br />

valore divino. In questo Feuerbach si inserisce<br />

in quella linea di pensiero che si<br />

oppone alla riduzione dell’esistenza all’essenza,<br />

proponendo invece una valorizzazione<br />

dell’esistenza sensibile, quella che è<br />

attestata direttamente dalla concretezza dei<br />

sensi, che non può essere ricondotta ad un<br />

astratto oggetto di pensiero.<br />

La filosofia di Feuerbach è quindi celebrazione<br />

dell’esistenza umana, di quell’esistenza<br />

che assume significato solo nel rapporto<br />

con gli altri. Per Feuerbach, l’uomo prende<br />

coscienza di se stesso nel momento in cui<br />

prende coscienza degli altri uomini. In quest’ottica<br />

Feuerbach apprezza della religione<br />

cristiana l’attributo divino dell’amore, che<br />

per lui è solo amore per gli altri uomini,<br />

l’amore per l’umanità. Se la fede religiosa<br />

separa l’individuo dagli altri, dandogli l’illusione<br />

di un destino privilegiato, l’amore invece<br />

lo ricongiunge agli altri uomini. Riportando<br />

Dio a sé, l’uomo non fa altro che<br />

riconciliarsi con se stesso. M.Mi.<br />

Biografie nietzscheane<br />

La connessione tra vita e pensiero nell’opera<br />

di Friedrich Nietzsche è al centro di<br />

due recenti biografie: si tratta dell’opera<br />

di Joachim Köhler, NIETZSCHE. IL SEGRETO DI<br />

ZARATHUSTRA (trad. it. di P. Fontana, pref. di<br />

F. Minazzi, Rusconi, Milano 1994), che<br />

affronta la vita del filosofo da un punto di<br />

vista psicologico, e della raccolta autobiografica<br />

di scritti dello stesso Nietzsche,<br />

COME SI DIVENTA CIÒ CHE SI È (trad. it. di C.<br />

Buttazzi, introd. di C. Pozzoli, Rusconi,<br />

Milano 1994).<br />

La biografia di Joachim Köhler affronta la<br />

vita del filosofo tedesco in funzione della sua<br />

sessualità e psicologia. Come osserva Fabio<br />

Minazzi nella sua Prefazione, l’identità di<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

vita e pensiero, tanto esaltata da Nietzsche,<br />

comporta un’attenzione alla corporeità dell’uomo,<br />

che intende anche, e soprattutto,<br />

superare “fisicamente” se stesso. Per tale<br />

motivo Köhler rifiuta una lettura come quella<br />

di Heidegger, che vedeva in Nietzsche<br />

“una testa senza corpo”, e, al contrario, volge<br />

la sua attenzione all’animalità corporea del<br />

filosofo. Addentrandosi nella psiche del giovane<br />

Nietzsche, Köhler riscontra un complesso<br />

di Edipo esasperato al punto da manifestarsi,<br />

anche secondo le testimonianze di<br />

amici e studenti del filosofo, in una nascosta,<br />

e drammaticamente vissuta, omosessualità.<br />

Da un tale punto di vista, Köhler può spiegare<br />

diversi elementi teoretici che, finora, non<br />

avevano trovato una reale giustificazione.<br />

Ricordiamo, in tal senso, l’importanza della<br />

lettura da parte di Nietzsche della Metafisica<br />

della sessualità di Arthur Schopenhauer,<br />

che descriveva l’amore eterosessuale come<br />

la massima manifestazione dell’arbitrio e<br />

del dominio della voluntas sull’uomo. Il<br />

rifiuto di questo tipo di amore ha, secondo<br />

Köhler, condotto Nietzsche all’esaltazione<br />

di quell’unica forma di rapporto amoroso<br />

che, alternativamente, esclude la procreazione,<br />

e cioè l’omosessualità. Da un tale<br />

punto di vista, la vera colpa di Socrate,<br />

nella filosofia nietzscheana, consisterebbe<br />

infatti, osserva Köhler, nell’aver respinto il<br />

giovane Alcibiade, come si legge nel Simposio<br />

di Platone. In altre parole la rinuncia<br />

all’amore omosessuale avrebbe in seguito<br />

portato Socrate a commettere altre colpe,<br />

come la definitiva esclusione del dionisiaco<br />

dalla cultura greca, che, una volta privata<br />

del culto della pederastia, avrebbe iniziato<br />

la sua vera decadenza.<br />

Anche la raccolta autobiografica nietzscheana<br />

dal titolo: Come si diventa ciò che si è, si<br />

caratterizza per i continui richiami a vissuti<br />

e ad elementi biologico-corporei. Il volume<br />

comprende tre gruppi di scritti autobiografici,<br />

che narrano il guardarsi dal di dentro di<br />

Nietzsche in tre diversi momenti della propria<br />

vita. Il primo gruppo, “La mia vita”,<br />

raccoglie le pagine dei diari scritti dal 1856<br />

al 1869, quando il giovane Nietzsche, profondamente<br />

segnato dalla morte del padre, si<br />

affacciava alle soglie dell’età adulta. Il secondo<br />

gruppo, che risale al 1886, contiene le<br />

prefazioni agli scritti più famosi, ricche di<br />

elementi biografici e di vissuti. Chiude la<br />

raccolta “Ecce homo”, del 1888, l’autobiografia<br />

in cui Nietzsche, pochi mesi prima<br />

della pazzia, giustifica la stesura delle sue<br />

opere in funzione della propria esistenza.<br />

Così, una volta dichiarato il proprio compito,<br />

il rovesciamento degli idoli, il filosofo<br />

racconta quegli episodi che hanno inciso la<br />

sua vita al punto da essere trascinati nella<br />

sua produzione filosofica e letteraria. Emerge<br />

tra questi il sofferto rapporto con Richard<br />

Wagner: l’iniziale passione e l’identificazione<br />

del musicista con Dioniso e<br />

Zarathustra e la definitiva rottura, seguita<br />

dopo la stesura del Parsival che, dolorosamente,<br />

porta Nietzsche a definire l’amico<br />

di un tempo “rammollito”. A.S.<br />

48<br />

Lettere di Epicuro<br />

La pubblicazione delle LETTERE SULLA<br />

FISICA, SUL CIELO E SULLA FELICITÀ (trad. it.<br />

di N. Russello, Rizzoli, Milano 1994) di<br />

Epicuro offre una sintesi essenziale,<br />

ma non schematica, di una dottrina<br />

volta a definire un metodo scientifico<br />

basato sull’esperienza. I temi maggiormente<br />

trattati sono la fisica come<br />

scienza, l’astronomia e l’etica.<br />

Per comprendere queste Lettere di Epicuro<br />

occorre fare un salto indietro nella storia e<br />

calarsi nel contesto socio-culturale in cui<br />

Epicuro è vissuto. La dottrina di Epicuro<br />

rappresenta una vera innovazione; per la<br />

prima volta la fisica viene considerata come<br />

scienza autonoma. La prima lettera che<br />

Epicuro indirizza a Erodoto verte infatti su<br />

una concezione della fisica che riprendendo<br />

i principi dell’atomismo, si contrappone<br />

radicalmente agli esiti di un tutto ordinato<br />

del pensiero platonico, così come agli sviluppi<br />

aristotelici. Per affermare l’esistenza<br />

di un universo, scrive Epicuro all’amico,<br />

non si può partire dal nulla, ma dai corpi e<br />

dallo spazio in cui essi si muovono. La<br />

materia, a sua volta, ha come elemento<br />

costituitivo gli atomi che rappresentano<br />

l’origine e la spiegazione di tutte le cose.<br />

Muovendosi, infatti, gli atomi si aggregano<br />

a formare mondi infiniti, che nascono e si<br />

dissolvono, nell’eterna durata del tempo.<br />

Nella sua ricerca scientifica Epicuro non si<br />

avvale di alcun disegno aprioristico, ma si<br />

limita a considerare la realtà tangibile, i<br />

fatti riscontrabili nell’esperienza. Anche<br />

nella seconda lettera, diretta a Pitocle, che<br />

tratta di astronomia, Epicuro pone come<br />

fondamento unico di ogni indagine sugli<br />

astri i fenomeni, ovvero quelle entità date e<br />

conoscibili mediante l’esperienza. Anche<br />

gli astri vengono visti in chiave materialista<br />

e non metafisica, pur non escludendo<br />

l’esistenza degli dei.<br />

La terza lettera, diretta a Meneceo, è una<br />

lunga riflessione sul problema etico e sulla<br />

felicità quale obiettivo di ogni individuo.<br />

La felicità di cui parla Epicuro è una felicità<br />

dell’anima, un raggiungimento di saggezza<br />

e serenità interiore per sconfiggere<br />

la paura della morte e dell’ignoto. Epicuro<br />

esorta Meneceo (e con lui i suoi discepoli)<br />

a diffidare dei piaceri effimeri della vita<br />

terrena e ad inseguire una vita semplice,<br />

dedita alla meditazione e all’autenticità<br />

dei valori umani. La lettera solleva la necessità<br />

del raggiungimento di una ricchezza<br />

interiore, considerata dall’autore premessa<br />

indispensabile per una autentica<br />

felicità, singola e collettiva. Anche in questo<br />

caso l’esperienza dell’esistere è il perno<br />

su cui poggia la fedeltà epicurea; la<br />

dottrina della felicità, in particolare, rappresenta<br />

da parte di Epicuro una difesa<br />

dell’unicità dell’esistenza, pur non essendo<br />

egli un esistenzialista. D.M.


Del fondatore del positivismo,<br />

AUGUSTE COMTE, è stata pubblicata<br />

in ambito anglosassone una dettagliata<br />

biografia intellettuale: Auguste<br />

Comte. An intellectual biography,<br />

Volume one (Auguste Comte. Una<br />

biografia intellettuale, volume uno,<br />

Cambridge University Press, Cambridge<br />

1993). L’autrice, Mary Pickering,<br />

ritiene che ripercorrendo la vita<br />

di Comte possa essere chiarita la plausibilità<br />

della sua autoproclamazione<br />

di inventore della scienza delle relazioni<br />

sociali: la sociologia. Filo conduttore<br />

dell’analisi di Pickering è<br />

costituito dalle relazioni di Comte<br />

con il mondo femminile. La prima<br />

significativa presenza femminile nella<br />

vita di Comte fu la madre, che<br />

dominava in modo opprimente la vita<br />

della famiglia e verso la quale egli<br />

nutrì sempre sentimenti ambivalenti.<br />

A tredici anni, si ribellò contro la fede<br />

cattolica e monarchica dei genitori,<br />

annunciando che non avrebbe più creduto<br />

in Dio, proclamandosi “repubblicano”.<br />

La triste esperienza dell’infanzia<br />

spinse Comte, secondo la sua<br />

stessa ammissione, a cercare nella<br />

«vita pubblica la nobile, anche se<br />

imperfetta, compensazione dell’infelicità<br />

della sua vita privata». Anche la<br />

sua relazione matrimoniale con Caroline<br />

Massin, una ex prostituta che<br />

egli voleva sottrarre alle liste di prostituzione<br />

della polizia, fu misera,<br />

tanto da essere definita da Comte<br />

«l’unico irreparabile errore» della sua<br />

vita. Il naufragio matrimoniale fu poi<br />

anche aggravato da difficoltà finanziarie.<br />

L’esperienza negativa del matrimonio,<br />

secondo quanto riferisce Pickering,<br />

portò il filosofo ad individare<br />

nell’amicizia tra uomini «il solo legame<br />

completo, veramente durevole» e<br />

a sconfessare le sue precedenti opinioni<br />

sull’emancipazione delle donne.<br />

A ventotto anni, Comte sperimenò la<br />

discesa nella follia, che descrisse come<br />

una «crisi cerebrale» dovuta alla «fatale<br />

coincidenza di grandi dolori morali<br />

e duro lavoro». Dopo la malattia,<br />

ottenuto il divorzio, incontrò Clothilde<br />

de Vaux, con la quale ebbe una<br />

relazione solo platonica, facendo di<br />

lei «l’angelico modello» del suo programma<br />

di “religione dell’umanità”.<br />

Così, paradossalmente, osserva Pickering,<br />

“il fondatore” della sociologia<br />

come scienza dei rapporti sociali<br />

si trovò a disagio proprio nell’ambito<br />

delle relazioni fondamentali della vita.<br />

La vita di Comte dimostra come il suo<br />

progetto intellettuale di riconciliare<br />

scienza e consenso morale, scienza e<br />

religione, esprima un’esperienza centrale<br />

della sua esistenza. In tal senso,<br />

Pickering si oppone con forza a quei<br />

critici che vedono nella seconda parte<br />

dell’opera di Comte, quella dedicata<br />

alla “religione dell’umanità”, un aberrante<br />

frutto della sua follia, come<br />

afferma ad esempio J. S. Mill, dimostrando<br />

invece come il programma di<br />

una “religione dell’umanità” e la riforma<br />

politica ad essa connessa siano<br />

già presenti a partire dalle prime opere<br />

di Comte. Inoltre Pickering rileva<br />

che la concezione positivistica sostenuta<br />

da Comte è una prospettiva che<br />

denuncia il “puro empirismo” e ac-<br />

cetta che il giudizio sui valori possa<br />

portare ad una conoscenza positiva,<br />

cioè una fondazione dei principi morali<br />

positivi. Lo stesso Circolo di Vienna<br />

gli rimproverò l’assenza, nella sua<br />

filosofia, di una distinzione adeguata<br />

degli aspetti rigorosi delle procedure<br />

scientifiche da quelli più speculativi<br />

morali e valoriali. In conclusione, secondo<br />

le considerazioni di Pickering,<br />

l’autoproclamazione di Comte come<br />

fondatore della sociologia, deve essere<br />

rivista,dato che egli, insieme a<br />

Saint-Simon, fu solo una delle fonti<br />

dello sviluppo della scienza sociale<br />

nel XIX secolo e l’aver posto al centro<br />

della teoria sociologica la “legge<br />

dei tre stati” e la nozione di gerarchia<br />

delle scienze non fu determinante nel<br />

successivo orientamento di questa disciplina.<br />

M.G.<br />

Nel maggio del 1994, presso l’Istituto<br />

Filosofico “Aloisianum” di Gallarate<br />

si è costituito il SEMINARIO<br />

PERMANENTE DI FILOSOFIA<br />

CONTEMPORANEA, diretto da<br />

Ubaldo Fadini e Adelino Zanini. La<br />

struttura intende dare veste formale<br />

all’attività di un gruppo di studiosi<br />

che da alcuni anni lavorano intorno<br />

alla riproposizione di un pensiero critico-affermativo,<br />

che sia in grado di<br />

articolare posizioni teoriche alternative<br />

rispetto a quelle delineate dall’approccio,<br />

comunque variegato,<br />

della riflessione filosofica incentrata<br />

sulla nozione di “postmoderno”. In<br />

questa prospettiva, i primi confronti<br />

hanno avuto per oggetto la riflessione<br />

di Gilles Deleuze (gli atti del convegno<br />

relativo, dal titolo: Gilles Deleuze:<br />

un pensiero “forte” della differenza<br />

ontologica, sono stati pubblicati nel<br />

secondo fascicolo del 1993 della rivista<br />

«Fenomenologia e società») e,<br />

successivamente, con quella di Michel<br />

Foucault, al quale è stato dedicato<br />

un seminario sul tema: “Archeologìa<br />

dei saperi. Produzione di soggettività<br />

e forme di razionalità”. Nel<br />

novembre del 1994 è stato infine organizzato<br />

un convegno dal titolo: “Essere-Nulla-Progetto.<br />

A proposito di Jean<br />

Paul Sartre e Maurice Merleau-Ponty”.<br />

Illustrando le finalità dell’iniziativa,<br />

Ubaldo Fadini ha affermato che uno<br />

degli intenti del Seminario è quello di<br />

evidenziare, e mettere alla prova, capacità<br />

di analisi in grado di produrre<br />

NOTIZIARIO<br />

NOTIZIARIO<br />

49<br />

“luoghi del sapere”, nei quali le trasformazioni<br />

e gli incontri del pensiero<br />

possano dispiegare le loro potenzialità<br />

critiche. Quest’impostazione,<br />

ha sottolineato Adelino Zanini, presuppone<br />

un’esperienza e uno stile di<br />

lavoro, nonché di scrittura, che intendono<br />

fornire elementi utili a un’indagine<br />

di tipo genealogico sugli eventi<br />

della contemporaneità, che in quanto<br />

tali hanno costituito, e devono costituire,<br />

motivo e ambito del dispiegarsi<br />

di una passione filosofica in grado di<br />

operare collegamenti non irrilevanti<br />

tra linguaggio e saperi che intendano<br />

esperire il mondo.<br />

La categoria del “possibile”, reinterpretata<br />

attraverso quella di “virtuale”,<br />

viene da Fadini accostata alla<br />

nozione di “attualità” in quanto entrambe<br />

elementi di una lettura del<br />

reale che - citando Canetti - intende<br />

istaurarsi a partire da un’esperienza<br />

di pensiero e per questo non può esaurirsi<br />

nell’ordine dell’esistente. Il tentativo<br />

filosofico si connota perciò, in<br />

via immediata, come “politico” e<br />

come “storico”; il referente ideale<br />

appare, infatti, quello di una “comunità”,<br />

linguistica e concettuale, tenuta<br />

assieme da relazioni che contengono<br />

in sé la possibilità del proprio<br />

divenire, del proprio “poter essere<br />

altrimenti” e, in ciò, del proprio essere<br />

“altre”. Un tentativo filosofico che<br />

non può dunque che porre a tema le<br />

questioni del soggetto e dell’alterità,<br />

concepite come quel rapporto tra teoria<br />

e prassi nel soggetto, che fa perno<br />

su una ridefinizione della categoria di<br />

corporeità. F.C.<br />

In una nuova edizione, a cura di Carlo<br />

Augusto Viano, è stata ripubblicata la<br />

LETTERA SULLA TOLLERANZA<br />

(Laterza, Roma-Bari 1994) di John<br />

Locke, uno dei manifesti più efficaci<br />

del liberalismo, scritto durante il tentativo<br />

di restaurazione degli Stuart. A<br />

fronte della stretta alleanza tra il potere<br />

della Corona e quello della Chiesa,<br />

con il conseguente venir meno delle<br />

libertà politiche e religiose del singolo<br />

individuo, la lettera ribadisce<br />

l’irrinunciabilità dei diritti fondamentali<br />

dell’uomo. In opposizione a<br />

una concezione utilitaristica dello<br />

Stato, così come a una concezione<br />

etica, la difesa programmatica della<br />

tolleranza presuppone, innanzitutto,<br />

la separazione tra potere politico e<br />

religioso e, in secondo luogo, il rispetto<br />

assoluto delle diversità di fede<br />

religiosa degli individui.<br />

La tolleranza religiosa, secondo<br />

Locke, ha però un limite: gli orrori<br />

compiuti dai cattolici in Inghilterra. Il<br />

magistrato, secondo Locke, deve infatti<br />

avere tolleranza illimitata per le<br />

questioni religiose puramente speculative;<br />

ma deve limitare la propria<br />

tolleranza di fronte a questioni che<br />

possono nuocere allo Stato. In questo<br />

modo, Locke intendeva porre un limite<br />

all’azione dei cattolici, che, soggetti<br />

ad un’autorità diversa da quella<br />

del Re, il Papa, potevano interferire<br />

con le vicende politiche dello Stato.<br />

Decisamente intollerante, infine, deve<br />

essere l’azione giuridica verso qualsiasi<br />

comportamento immorale. La<br />

difesa della società libera e tollerante<br />

operata da Locke auspica, in questo<br />

modo, la convivenza pacifica di diverse<br />

culture e rifiuta, aprioristicamente,<br />

qualsiasi ideologia. Una concezione<br />

di questo tipo, osserva tuttavia Viano,<br />

nasconde a sua volta un elemento ideologico,<br />

cioè la considerazione di una<br />

società minimale, in cui ogni fede o<br />

cultura può convivere con le altre al<br />

prezzo di ridimensionare i propri confini<br />

e di cancellare quegli eccessi, tipici<br />

di alcune culture, che di fatto non<br />

vengono tollerati da Locke. A.S.<br />

La nuova edizione de L’APOLOGIA<br />

DI SOCRATE di Platone (trad. di A.<br />

De Fabrizio, Sellerio Editore, Palermo<br />

1994) è preceduta da un ampio<br />

saggio di Luciano Canfora che, considerando<br />

il rapporto tra maggioranza<br />

e minoranza, mette sotto accusa la<br />

giuria che condannò Socrate. Influenzata<br />

dalle produzioni letterarie del<br />

tempo, come le commedie di Aristofane,<br />

responsabili di una forte influenza<br />

sull’opinione pubblica, la giuria<br />

appare soggetta a un condizionamento<br />

di massa che le impedisce di<br />

valutare l’appassionata difesa di<br />

Socrate. A nulla, infatti, valgono le<br />

argomentazioni del filosofo, che deve<br />

difendersi dall’accusa di empietà e di<br />

corruzione dei giovani. Nonostante<br />

le argomentazioni di Socrate, rette da<br />

una profonda coerenza formale e di<br />

contenuto, la giuria dà credito alle<br />

accuse, a volte incoerenti e spesso<br />

infondate, e decide per il verdetto di<br />

colpevolezza.<br />

Dalle parole di Platone traspare la<br />

reazione serena di Socrate che, dopo<br />

aver rifiutato la possibilità di una<br />

vita senza ricerca, riflette sul senso<br />

della morte, intesa o come dolce sonno<br />

o come luogo di incontro delle<br />

anime più sapienti. Alla ragione, a<br />

cui fa appello Socrate e la minoranza<br />

della giuria a lui favorevole, si oppone<br />

una maggioranza condizionata e<br />

parziale, che decide per la condanna<br />

a morte. A.S.<br />

Avvalendosi dell’opera e della consulenza<br />

di un qualificato gruppo di<br />

studiosi e di ricercatori nell’ambito


del goethianismo scientifico, la casa<br />

editrice Il Capitello del Sole ha avviato<br />

l’edizione integrale in lingua<br />

italiana degli SCRITTI SCIENTIFICI<br />

DI GOETHE, con l’intento di colmare<br />

una grave lacuna nel panorama<br />

culturale italiano, essendo ancora<br />

praticamente inediti i saggi, gli studi,<br />

le monografie e i frammenti, che<br />

complessivamente costituiscono il<br />

corpus dell’opera scientifica di<br />

Goethe. Le rare e sommarie edizioni<br />

antologiche e i parziali estratti monotematici<br />

risultano infatti avulsi<br />

dalla complessa organicità in cui si<br />

articola la sua indagine. Se si considera<br />

che nella grande edizione di<br />

Weimar gli scritti di scienze naturali<br />

riempiono quattordici volumi e che<br />

molti ampi passi sono presenti nei<br />

cinquanta volumi delle lettere e nei<br />

trentasette volumi dei diari, questo<br />

panorama statistico dà l’idea dell’importanza<br />

dell’opera scientifica<br />

goethiana.<br />

Iniziata negli anni universitari di Lipsia<br />

e Strasburgo con il saggio La<br />

natura, apparso sul «Tiefurter Journal»<br />

del 1782, l’opera scientifica di<br />

Goethe terminò solo poco prima della<br />

sua morte. Il costante interesse di<br />

Goethe per le più diverse manifestazioni<br />

della natura (botanica, zoologia,<br />

teoria dei colori, metereologia,<br />

geologia), e la sua contesa con<br />

Newton, non fecero però di lui un<br />

naturalista noto. I suoi scritti scientifici<br />

venivano giudicati “eterodossi”:<br />

di poco conto dal punto di vista letterario<br />

e imbarazzanti da quello<br />

scientifico. Inoltre, grandi difficoltà<br />

dovette affrontare Goethe per pubblicare<br />

i suoi studi; emblematica, in<br />

tal senso, fu la riluttanza dell’editore<br />

Göschen a pubblicare la Metamorfosi<br />

delle piante. Lo stesso importante<br />

lavoro sull’osso intramascellare fu<br />

stampato per la prima volta solo nel<br />

1830 dall’Accademia Leopoldo-Carolina<br />

di Halle.<br />

L’ordine dei volumi delle opere di<br />

Goethe, attualmente esistenti, pubblicati<br />

intorno al 1900 da R. Steiner<br />

e S. Kalischer, sarà mantenuto nell’edizione<br />

italiana. I testi saranno<br />

accompagnati da un esauriente apparato<br />

di note storico-biografiche e<br />

terminologico-scientifiche. Ai dodici<br />

volumi suddivisi per grandi aree<br />

disciplinari: la morfologia della natura<br />

organica, la filosofia della natura<br />

e la scienza, la natura minerale e la<br />

dottrina dei colori e un volume di<br />

massime e riflessioni di argomento<br />

filosofico e scientifico, seguiranno<br />

una scelta di testi e di contributi, a<br />

carattere specialistico e generale, di<br />

ricercatori e scienziati che negli ultimi<br />

decenni hanno assunto l’epistemologia<br />

di Goethe a guida delle loro<br />

ricerche. M.C.<br />

Di MARGHERITA PORETE, condannata<br />

come eretica il 1 giugno<br />

1310, appare, in prima edizione<br />

italiana,Lo specchio delle anime semplici<br />

annichilate e che dimorano soltanto<br />

in volontà e desiderio d’amore<br />

(Le mirouer des simples ames anien-<br />

ties et qui seulement demourent en<br />

vouloir et desir d’amour, trad. it. di<br />

G. Fozzer, San Paolo, Milano 1994).<br />

L’edizione presenta il testo mediofrancese<br />

a fronte e, in appendice, la<br />

versione trecentesca italiana, a cura<br />

di Romana Guarnieri.<br />

Lo specchio delle anime semplici<br />

conduce il lettore alla conoscenza<br />

non solo della tragedia di cui Porete<br />

fu vittima, ma al suo sofferto percorso<br />

mistico-spirituale che segnò tutta<br />

la sua esistenza. Nata a Valenciennes<br />

tra il 1250 e 1260, Margherita<br />

Porete, incarna i più alti valori della<br />

fede cristiana a partire dalla messa in<br />

atto dei precetti evangelici, per giungere<br />

alla piena libertà dello spirito.<br />

L’elemento che caratterizza l’opera<br />

è un linguaggio che si presenta sotto<br />

forma di dialogo espresso in lingua<br />

volgare (piccardo), con toni che in<br />

alcuni passaggi assumono un carattere<br />

simbolico, sintesi di esperienza<br />

mistica. D.M.<br />

La Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università<br />

degli <strong>Studi</strong> di Ferrara,<br />

bandisce 50 posti per la frequenza al<br />

corso annuale di perfezionamento in<br />

STUDI SUL RINASCIMENTO<br />

ITALIANO. Il corso si propone di<br />

offrire, attraverso diversi contributi<br />

disciplinari, una preparazione specifica<br />

nell’area della cultura rinascimentale.<br />

La durata del corso è di un<br />

anno accademico, e non è suscettibile<br />

di abbreviazioni. Prevede duecento<br />

ore di lezione, che saranno concentrate<br />

in due periodi (maggio-giugno<br />

e settembre-ottobre). Il corso si<br />

articola nelle seguenti aree disciplinari:<br />

letteratura e storia della lingua<br />

italiana, filologia umanistica, storia<br />

medioevale e moderna, storia delle<br />

scienze e della geografia, storia dell’arte<br />

e della critica d’arte, storia<br />

della musica e del teatro, storia della<br />

filosofia e dell’educazione, letterature<br />

comparate. Il programma completo<br />

delle discipline e l’elenco dei<br />

docenti, interni ed esterni, sarà comunicato<br />

entro il 31 dicembre 1994.<br />

Il Consiglio di Corso è formato dai<br />

docenti della Facoltà di Lettere e<br />

Filosofia dell’Università di Ferrara,<br />

che svolgono attività didattica nel<br />

Corso. I corsi inizieranno nel mese<br />

di maggio 1995. L’Università rilascerà<br />

ai partecipanti un diploma di<br />

laurea presso un’Università italiana<br />

o presso un’Università straniera, secondo<br />

la normativa vigente in materia<br />

di equipollenza.<br />

La domanda di ammissione, accolta<br />

in base alla valutazione dei titoli,<br />

dovrà essere accompagnata da due<br />

lettere di presentazione da parte di<br />

docenti o studiosi di chiara fama. Il<br />

numero massimo di partecipanti è<br />

fissato in 50, il numero minimo in<br />

35. Il termine per la presentazione<br />

delle domande di iscrizione scade il<br />

31 gennaio 1995 e la quota prevista<br />

è fissata in L. 1.000.000 da versarsi<br />

in due rate. La domanda va compilata<br />

su carta legale, indirizzata al Magnifico<br />

Rettore dell’Università degli<br />

<strong>Studi</strong> di Ferrara e presentata alla<br />

NOTIZIARIO<br />

50<br />

Segreteria centrale della Facoltà di<br />

Lettere e Filosofia, via Savonarola<br />

9, 44100 Ferrara (per ulteriori informazioni<br />

ci si può rivolgere alla Segreteria<br />

della Facoltà, tel. 0532/<br />

247506, 210929, 210007 - fax 0532/<br />

202689).<br />

Si è costituito a Oldenburg (Oldb.),<br />

in Germania, il centro di ricerca<br />

FILOSOFIA ITALIANA-STIFTUNG,<br />

il cui scopo è promuovere la ricerca<br />

scientifica sulla filosofia italiana contemporanea<br />

e avviare contatti con<br />

filosofi italiani. A tal fine sono previsti<br />

borse di studio e sovvenzioni<br />

per favorire progetti di ricerca sulla<br />

filosofia italiana contemporanea; filosofi<br />

italiani sono invitati a tenere<br />

conferenze e corsi di lezioni presso<br />

l’Università di Oldenburg; vengono<br />

finanziati convegni su tematiche inerenti<br />

all’attuale situazione della filosofia<br />

italiana con l’intento di creare<br />

condizioni proficue per uno scambio<br />

di idee tra studiosi tedeschi e italiani.<br />

L’intenzione è anche quella di creare<br />

presso l’Università di Oldenburg<br />

un centro di ricerca sulla filosofia<br />

italiana contemporanea, che attraverso<br />

monografie, traduzioni, conferenze,<br />

faccia conoscere in Germania<br />

gli sviluppi della tradizione filosofica<br />

italiana a partire dall’Illuminismo<br />

fino alle più recenti tendenze<br />

del dibattito filosofico. Attuale presidente<br />

del cento di ricerca è Wilhelm<br />

Büttemeyer, a cui si devono importanti<br />

studi sul pensiero filosofico italiano<br />

del XIX e XX secolo. Tra le<br />

prime iniziative del centro si segnala<br />

una conferenza tenuta a Oldenburg<br />

da Franco Volpi il 28 giugno 1994<br />

sul tema: “Nietzsche in Italia. Una<br />

ricezione senza confini”.<br />

Con l’inizio del 1995 prende avvio<br />

INSEGNARE FILOSOFIA, una rivista<br />

quadrimestrale di ricerca sulla<br />

didattica della filosofia, diretta da<br />

Mario Quaranta e pubblicata dalla<br />

casa editrice Pagus di Treviso. In<br />

questi anni l’attenzione ai problemi<br />

della didattica è cresciuta; sono state<br />

svolte diverse indagini sull’insegnamento<br />

della filosofia da parte della<br />

Società Filosofica Italiana e di diversi<br />

IRRSAE. Queste indagini hanno<br />

messo in evidenza un disagio<br />

diffuso e la domanda di strumenti<br />

didattici nuovi, per non ridurre lo<br />

studio della filosofia a pura e semplice<br />

memorizzazione di parti di un<br />

manuale. Nel frattempo i nuovi programmi<br />

di filosofia elaborati dalla<br />

commissione “Brocca” hanno precisato<br />

fini e metodi dell’insegnamento<br />

della filosofia nella ipotizzata riforma<br />

della scuola secondaria superiore.<br />

La novità di questi programmi sta<br />

nell’aver posto al centro della didattica<br />

la lettura dei filosofi e nell’aver<br />

relegato il manuale in una posizione<br />

marginale.<br />

«Insegnare Filosofia» vuole essere<br />

una risposta alla nuova domanda degli<br />

insegnanti. L’ambizione della ri-<br />

vista è costruire un circuito di collaborazione,<br />

di dialogo e di ricerca<br />

comune fra gli insegnanti nel presupposto<br />

che anche la didattica della<br />

filosofia sia un campo di ricerca capace<br />

di dare frutti significativi.<br />

Il primo numero apre la riflessione<br />

su: L’aggiornamento degli insegnanti<br />

di filosofia (Anna Sgherri Costantini),<br />

Possibilità e problemi di una<br />

didattica della filosofia (Armando<br />

Girotti), L’educazione alla ricerca<br />

filosofica a scuola (Giuseppe Deiana),<br />

Il ruolo della memoria e del<br />

pensiero per immagini in didattica<br />

della filosofia (Mario Trombino),<br />

Bilancio di un esperimento in filosofia<br />

(Guerrina Della Valle). Al corpo<br />

di saggi sulla “filosofia insegnata”<br />

vanno aggiunti un saggio di Karl<br />

Popper, inedito in Italia, Come la<br />

luna potrebbe gettare un po’ di luce<br />

sulle due vie di Parmenide e un testo<br />

inedito di Enzo Melandri, La precomprensione<br />

di Leibniz.<br />

Quali sono i caratteri del nuovo equilibrio<br />

mondiale che si va profilando?<br />

Quali vincoli e quali opportunità esso<br />

pone per il processo di integrazione<br />

europea? In un mondo sempre più<br />

interdipendente, ma nel quale permangono<br />

gravi disuguaglianze di sviluppo<br />

economico e sociale, qual è il<br />

significato e quale il futuro prevedibile<br />

delle comunità politiche, caratteristiche<br />

dell’epoca contemporanea:<br />

le nazioni, delle vecchie nazioni e<br />

delle nazioni nuove? Alla fine del<br />

secolo, che sarà forse chiamato il<br />

secolo delle ideologie, quali sono i<br />

connotati presenti e le prospettive<br />

future della politica ideologica?<br />

Come dobbiamo correggere la nostra<br />

interpretazione della democrazia<br />

liberale ora che essa appare quasi<br />

privata dei suoi nemici più tenaci?<br />

Come dobbiamo ripensare il caso<br />

dell’Italia? Come possiamo prospettare<br />

politiche costituzionali capaci<br />

di promuovere il consolidamento istituzionale<br />

della democrazia? A queste<br />

e ad altre domande intendono<br />

fornire una risposta i QUADERNI DI<br />

SCIENZA POLITICA, una nuova rivista<br />

quadrimestrale, diretta da Mario<br />

Stoppino, che intende prsi in costante<br />

collaborazione con tutte le<br />

discipline che studiano la politica<br />

con criteri diversi, o che studiano<br />

fenomeni sociali importanti per comprendere<br />

la politica. Nel primo numero<br />

(1/1994) compaiono articoli di<br />

Mario Stoppino, Che cos’è la politica,<br />

di Giuseppe Ieraci, Presidenzialismo<br />

e parlamentarismo nelle democrazie<br />

difficili, di Marco Clementi,<br />

La teoria dei regimi internazionali.<br />

Nel secondo numero (2/1994) sono<br />

previsti articoli di Franco Goio, Teoria<br />

della nazione, di Giampiero<br />

Cama, Istituzioni politiche, movimento<br />

operaio e crisi di partecipazione.<br />

Un confronto fra Gran Bretagna<br />

e Germania, di Alessandro Bruschi,<br />

Narrazione e teoria.


Augusto Guzzo<br />

nel centenario della nascita<br />

In occasione del centenario della nascita<br />

di Augusto Guzzo, l’Accademia<br />

delle Scienze di Torino, la Facoltà di<br />

Lettere e Filosofia, i Dipartimenti di<br />

Ermeneutica filosofica e di Filosofia<br />

dell’Università di Torino hanno organizzato<br />

il 12 e il 13 aprile 1994, presso<br />

l’Università di Torino, un convegno<br />

dal titolo: “AUGUSTO GUZZO A CENT’ANNI<br />

DALLA NASCITA”, a cui hanno partecipato,<br />

tra gli altri, Giuseppe Riconda, Pietro<br />

Rossi, Francesco Barone, Vittorio<br />

Stella, Nynfa Bosco, Vittorio Mathieu,<br />

Carlo Augusto Viano, Amalia De Maria,<br />

Corrado Rosso, Francesco Moiso e<br />

Giuseppe Cambiano.<br />

Ha aperto i lavori del convegno Francesco<br />

Barone, che ha sollevato l’esigenza di<br />

rivedere la teoria storiografica che classifica<br />

Augusto Guzzo come spiritualista.<br />

Guzzo, infatti, ha sempre cercato di distinguere<br />

il chiarimento di sé a se stessi, opera<br />

della filosofia, e il tentativo di rispondere<br />

agli interrogativi, che tale chiarimento solleva,<br />

di competenza invece della religione,<br />

intesa come «esperienza del soprannaturale,<br />

per iniziativa dello stesso soprannaturale».<br />

Secondo Barone, la speculazione<br />

guzziana, volendo chiarire l’ambiguo rapporto<br />

tra filosofia religione, delinea la possibilità<br />

di una concezione della filosofia<br />

che non sia in concorrenza con le altre<br />

attività umane, ma affermi, attraverso l’innegabile<br />

vitalità di queste, la propria vitalità.<br />

Il senso del rapporto tra filosofia e<br />

religione nella sua complessità dà luogo<br />

ad una riflessione, da intendere come una<br />

Weltanschauung distinta dalla filosofia,<br />

che è, invece, ricerca trascendentale. Di<br />

fronte al venir meno del peso della certezza<br />

nella cultura contemporanea, l’attualità<br />

di Guzzo, ha osservato Barone, risiederebbe<br />

in quella tensione tra il bisogno di<br />

certezza e le risposte sempre storiche e<br />

contingenti, che ad esso vengono date in<br />

ogni campo dell’attività umana.<br />

Per ciò che riguarda la prospettiva estetica,<br />

Vittorio Stella ha sottolineato la costante<br />

disposizione di Guzzo a riflettere sull’arte,<br />

la cui esperienza, per essere compresa nel<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

suo svolgimento spirituale, deve essere<br />

pensata come sensazione che si configura<br />

in sentimento. In particolare, Stella ha messo<br />

in evidenza la distanza tra l’estetica guzziana<br />

e quella crociana: la prima, forte di<br />

un’istanza conoscitiva, guarda alla “realtà”<br />

e intende l’arte come conoscenza e l’intuizione<br />

come un cogliere il “profondo”; la<br />

seconda si disinteressa della “realtà” e si<br />

concentra sul “motivo” o “spunto”. Così,<br />

l’arte è per Guzzo espressione di ciò che lo<br />

spirito pensa e sente in forme inventate<br />

apposta per esprimerlo. Il tema della forma<br />

formante, ha ricordato Stella, sarà sviluppato<br />

da Luigi Pareyson, la cui estetica<br />

prenderà emblematicamente il nome di “teoria<br />

della formatività”.<br />

L’aspetto morale della speculazione guzziana<br />

è stato invece analizzato da Nynfa<br />

Bosco, che ha definito la filosofia di Guzzo<br />

come un’antropologia filosofica, poiché<br />

il suo oggetto è costituito da tutta<br />

quanta l’esistenza dell’uomo. Dato che<br />

eminentemente morale è il processo per il<br />

quale l’individuo si universalizza in una<br />

nuovissima sintesi, nella quale i due opposti<br />

si trascendono l’un l’altro, si può parlare<br />

in Guzzo di un primato della coscienza<br />

morale. L’etica guzziana, ha rilevato Bosco,<br />

appare, da un lato, filocalica e platonica<br />

nella sua genesi, in quanto in essa la<br />

libertà si configura non solo come responsabilità,<br />

ma anche come disposizione a<br />

formare, ossia come arte; dall’altro, aristotelica<br />

nel suo dispiegarsi, in quanto<br />

propone un legame vitale che unisce la<br />

scelte dei singoli e le forme della civiltà,<br />

senza, tuttavia, che i due profili possano<br />

essere separati. L’etica di Guzzo risulta, in<br />

ultima analisi, essenzialmente vocazionale<br />

e naturale; ne deriva una raffigurazione<br />

della vita morale vivace, dettagliata e armonica,<br />

ma per nulla tragica e, quindi, di<br />

stile classico.<br />

Vittorio Mathieu ha illustrato la prospettiva<br />

religiosa di Guzzo, prendendo spunto<br />

da una lettera inedita a Ugo Spirito, scritta<br />

da Guzzo nei primi mesi successivi alla<br />

morte della madre, che tratta principalmente<br />

della correlazione tra immanenza e<br />

trascendenza, interpretata qui in senso idealistico.<br />

In questa lettera, Guzzo fa riferimento<br />

al suo biglietto di annunzio della<br />

morte della madre, identificata con la tra-<br />

51<br />

scendenza, che, secondo Mathieu, lascia<br />

emergere una dichiarazione esplicita di<br />

conversione al cattolicesimo, mai sentita in<br />

seguito. La religione in Guzzo appare ancorata<br />

alla speculazione agostiniana, per<br />

via della necessità dell’affidamento del singolo<br />

all’iniziativa divina: caratteristica,<br />

questa, propria della religione rispetto alla<br />

filosofia. Inoltre, ha osservato Mathieu,<br />

che l’idealismo guzziano sia di origine<br />

platonica emerge dalla sua interpretazione<br />

del trascendente come trascendentale. Guzzo<br />

nega l’immanenza del positivista, che<br />

non è immanenza vera e propria, e non<br />

nega, invece, l’immanenza dell’idealista,<br />

che è immanenza del trascendentale: Dio è<br />

il principio e la norma, e la realtà proviene<br />

da esso come l’azione dalla norma.<br />

Soffermandosi poi sulla memoria accademica:<br />

La Religione. Fenomenologia e filosofia<br />

dell’esperienza religiosa, del 1964,<br />

Mathieu ha evidenziato come essa sia in<br />

realtà un commento a Sant’Agostino, che<br />

Guzzo vuole giustificare nel suo apparente<br />

rovesciamento dall’antimanicheismo all’antipelagianesimo.<br />

Emerge qui, come ha<br />

notato Mathieu, il richiamo alla responsabilità<br />

individuale, contro Gentile, nell’interpretazione<br />

della grazia come una possibilità<br />

di libertà: essa è il dono di una norma<br />

interna, che si tratta continuamente di interpretare.<br />

Interviene allora la filosofia in<br />

aiuto della religione, dal momento che non<br />

è possibile seguire passivamente un dogma<br />

religioso, ma bisogna capire la Rivelazione<br />

e, quindi, capire noi stessi come luogo in<br />

cui questa continua ad attuarsi a noi, anche<br />

attraverso la nostra partecipazione ad essa.<br />

Nel corso della tavola rotonda, che ha concluso<br />

i lavori, Pietro Rossi ha rievocato le<br />

collocazioni storiografiche finora proposte<br />

per il pensiero di Guzzo. Una prima lo<br />

considera come un esponente dello spiritualismo<br />

cristiano, rappresentante dell’ala<br />

destra dell’idealismo gentiliano insieme a<br />

Carlini e Sciacca. Una seconda, radicata<br />

nello stesso Guzzo e poi ripresa da Pareyson,<br />

lo pone come terza via dell’idealismo rispetto<br />

a Croce e Gentile, a partire da Sebastiano<br />

Maturi. Per collocare adeguatamente<br />

il pensiero di Guzzo, ha osservato Rossi,<br />

occorre soprattutto ricordare gli autori da<br />

lui studiati, Bruno e Spinoza, da una parte,<br />

e Agostino, dall’altra, che permette di spie-


CONVEGNI E SEMINARI<br />

Augusto Guzzo<br />

52


gare l’ambiguità di formulazioni, sempre<br />

presente in lui, relative al trascendente e al<br />

trascendentale e ai loro rapporti. Sull’ambiguità<br />

di Guzzo si è soffermato anche<br />

Carlo Augusto Viano, il quale ha ricordato<br />

la sua figura di grande apologeta della<br />

filosofia pura e lo ha definito erede di una<br />

tradizione idealistica religiosa, ma non confessionale,<br />

alternativa rispetto a quella laica<br />

e a quella cattolica.<br />

Amalia De Maria ha parlato della pedagogia<br />

di Guzzo, mostrando come egli abbia<br />

sottolineato il carattere autonomo dell’educazione,<br />

che è un processo di formazione<br />

spirituale che non può essere sostituito né<br />

da tecniche metodologiche, né da ricerche<br />

psicologiche, né da sussidi didattici. I rapporti<br />

di Guzzo con l’estero sono stati analizzati<br />

da Corrado Rosso, in particolare,<br />

grazie anche all’amicizia con René Le Senne,<br />

quelli con la Francia, probabilmente<br />

frutto di una sua affinità molto forte con<br />

Pascal e con i moralisti in genere.<br />

Sulle ricerche storiografiche di Guzzo si<br />

sono invece soffermati Francesco Moiso<br />

e Giuseppe Cambiano: il primo ha evidenziato<br />

la concretezza del suo metodo; il<br />

secondo ha messo in rilievo l’interpretazione,<br />

soprattutto morale, dei dialoghi platonici.<br />

Giuseppe Riconda ha evidenziato<br />

il rifiuto di Guzzo per la gnoseologia scettica<br />

di Gentile, poiché essa concepisce<br />

l’atto del pensiero come soppressione dell’alterità<br />

dell’altro. Nel filosofare di Guzzo,<br />

invece, il momento teoretico non è mai<br />

disgiunto dal confronto storiografico. In<br />

tal senso, ha osservato Riconda, proprio<br />

l’interesse di Guzzo per Agostino e Tommaso<br />

dimostra il suo allontanamento dall’hegelismo;<br />

il che rende necessaria una<br />

revisione non solo dell’interpretazione che<br />

lo considera spiritualista, ma anche di quella<br />

che lo vede prosecutore di Maturi. La<br />

prospettiva di Guzzo si allontana, per altro,<br />

anche da Kant, perché pone al centro<br />

una religiosità non astratta, ma concreta.<br />

La sua filosofia della religione nasce da<br />

una parte da questa invocazione, che è<br />

slancio umano verso Dio, dall’altra dall’iniziativa<br />

del soprannaturale, con lo scopo<br />

di restituire pieno valore e dignità alla<br />

religione, aprendo la strada ad un’ermeneutica<br />

dell’esperienza religiosa. M.L.B.<br />

Rivoluzioni concettuali<br />

In occasione della presentazione dell’opera<br />

di Paul Thagard, RIVOLUZIONI<br />

CONCETTUALI (trad. it. a cura di E. Giorgi,<br />

introd. di L. Magnani, Guerini e<br />

Associati, Milano 1994) si è svolto alla<br />

Casa della Cultura di Milano, il 17<br />

maggio 1994, un dibattito dedicato al<br />

tema: “FILOSOFIA E INTELLIGENZA ARTIFI-<br />

CIALE”, con la partecipazione di Gianni<br />

degli Antoni, Lorenzo Magnani, Fulvio<br />

Papi, Mario Stefanini.<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

Il dibattito è stato inaugurato da Fulvio<br />

Papi, che ha sottolineato gli elementi di<br />

originalità e il carattere di novità della<br />

concezione di Paul Thagard, che propone<br />

l’utilizzo di strumenti computazionali per<br />

l’individuazione di modelli di concettualizzazione.<br />

In questo, Thagard, come ha<br />

ricordato Lorenzo Magnani, intende rendere<br />

conto di un problema epistemologico classico:<br />

individuare i criteri in base ai quali una<br />

teoria è ritenuta preferibile a un’altra.<br />

A partire dagli anni Sessanta, si è posta<br />

l’alternativa tra confrontabilità e incommensurabilità<br />

di teorie scientifiche concorrenti.<br />

Optando per la seconda tesi, come ha<br />

fatto per esempio Thomas Kuhn, si pone il<br />

problema di far ricorso, nel dar conto del<br />

prevalere di una teoria scientifica rispetto a<br />

un’altra, a motivazioni inerenti al contesto<br />

storico. Questa impostazione, ha rilevato<br />

Magnani, è stata ben accetta nella cultura<br />

italiana, grazie all’impronta storicista che<br />

l’ha permeata, mentre l’impostazione strutturale,<br />

di ascendenza neopositivista, è invece<br />

passata in secondo piano. Dalla tesi dell’incommensurabilità<br />

delle teorie scientifiche,<br />

e dalla conseguente apertura alla dimensione<br />

“storica” (non estranea neppure alla<br />

prospettiva di Popper), deriva l’impostazione<br />

di Feyerabend, che rappresenta la crisi<br />

dell’idea della razionalità nella scoperta scientifica.<br />

Alla restaurazione di una tale idea<br />

all’interno della “logica della scoperta scientifica”<br />

può essere funzionale l’utilizzazione<br />

di un programma computazionale che, nel<br />

momento della decisione fra due teorie confliggenti,<br />

consideri “olisticamente” un gran<br />

numero di possibilità esplicative, conseguenze<br />

e presupposti di ciascuna. In altri termini,<br />

il testo di Thagard tenta di restituire un<br />

contenuto razionale alla scoperta e alla capacità<br />

esplicativa delle teorie scientifiche.<br />

Nel suo intervento, Mario Stefanini ha<br />

sottolineato il valore della possibilità di<br />

analizzare problemi epistemologici attraverso<br />

strumenti computazionali. La questione<br />

filosofica verte sulla rappresentabilità<br />

del ragionamento scientifico, ovvero<br />

sull’analizzabilità dei modelli di ragionamento.<br />

Thagard opera in questa direzione,<br />

quando prende in esame il procedimento<br />

inferenziale dell’abduzione. Gianni degli<br />

Antoni ha invece sottolineato l’esigenza di<br />

collegare la riflessione epistemologica allo<br />

sviluppo della ricerca scientifica. Che lo<br />

sviluppo scientifico provochi delle rivoluzioni<br />

concettuali, non significa necessariamente<br />

mettere in “crisi” una disciplina scientifica;<br />

la “crisi” pertiene, più propriamente,<br />

alla riflessione epistemologica. Il panorama<br />

della riflessione scientifica odierna, ha osservato<br />

degli Antoni, va stravolgendosi attraverso<br />

la ridefinizione dei campi disciplinari,<br />

nonché attraverso l’irrompere di una<br />

componente “etica” nelle analisi di ciascuna<br />

disciplina. In tal senso, la novità della concezione<br />

di Thagard sta appunto nell’utilizzo<br />

dell’intelligenza artificiale per spiegare il<br />

rapporto fra la dimensione dello “scientifico”<br />

e quella del “non scientifico”. F.C.<br />

53<br />

Presso la sezione filosofico-teorica del Dipartimento<br />

di filosofia dell’Università di<br />

Pavia è stato recentemente attivato il Laboratorio<br />

di Filosofia Computazionale. Al<br />

suo direttore, Lorenzo Magnani, ha rivolto<br />

alcune domande Flavio Cassinari.<br />

D. La filosofia computazionale, che si colloca<br />

nello spazio dello studio dei sistemi<br />

intelligenti nella relazione interdisciplinare<br />

tra filosofia, logica, intelligenza artificiale<br />

e scienze cognitive, ha conosciuto,<br />

negli Stati Uniti, uno sviluppo rilevante sia<br />

per pubblicazioni che per attività universitaria.<br />

Il Laboratorio di Filosofia Computazionale<br />

di Pavia è il primo in Italia e uno dei<br />

primi in Europa. Professor Magnani, quali<br />

sono gli obiettivi che questo indirizzo di<br />

ricerca si pone?<br />

R. L’obiettivo più generale della filosofia<br />

computazionale consiste nel costruire nuovi<br />

modelli e programmi per la selezione e la<br />

valutazione delle ipotesi nell’ambito della<br />

ricerca scientifica, grazie ai metodi e ai<br />

concetti dell’intelligenza artificiale. La filosofia<br />

computazionale affronta, tra gli altri,<br />

problemi inerenti al rapporto tra scoperta<br />

e spiegazione scientifica, al ruolo dell’analogia,<br />

alla questione dell’evoluzione<br />

dei concetti. Viene in particolare presa in<br />

considerazione la struttura epistemologica<br />

delle scoperte scientifiche e del ragionamento<br />

diagnostico, attraverso l’analisi di<br />

alcuni programmi particolari, finalizzati<br />

alla diagnosi medica.<br />

Su un altro versante, la filosofia computazionale<br />

si occupa tanto dell’analisi dei sistemi<br />

esperti relativamente alla questione<br />

dell’abduzione, quanto dell’elaborazione<br />

di programmi computazionali prototipali,<br />

collegati ai problemi epistemologici e logici<br />

individuati. I metodi computazionali del<br />

problem solving e della scoperta forniscono<br />

un’alternativa, rispetto ai metodi della<br />

logica formale, nell’analisi di molti problemi<br />

epistemologici. Per quanto riguarda il<br />

problema della giustificazione e della scelta<br />

fra teorie rivali, occorre rispondere a<br />

questioni quali la possibilità dell’accadere<br />

delle “rivoluzioni concettuali” (cioè della<br />

sostituzione, in ambito scientifico, di un<br />

sistema concettuale con un altro), nonché<br />

di un eventuale loro carattere razionale. In<br />

questa prospettiva, la ricerca condotta dal<br />

Laboratorio di Filosofia Computazionale<br />

di Pavia, istituito dal Dipartimento di Filosofia<br />

dell’Università nel dicembre del 1993,<br />

si svolge parallelamente a quella del Laboratorio<br />

di Scienze Cognitive, già attivo<br />

presso l’Istituto di Psicologia della Facoltà<br />

di Lettere e Filosofia.<br />

D. C’è dunque il tentativo di ricostruzione,<br />

mediante l’utilizzo dei sistemi di intelligenza<br />

artificiale, dei processi che presiedono<br />

alla logica della scoperta scientifica?<br />

R. Non solo. L’attività si indirizza non<br />

esclusivamente all’opera di ricostruzione<br />

di processi cognitivi, che hanno già dato<br />

luogo a risultati, ma all’elaborazione di<br />

sistemi in grado di estrinsecare una capaci-


tà previsionale. In concreto, grazie alle<br />

ricerche sviluppate nell’ambito della filosofia<br />

computazionale, negli Stati Uniti sono<br />

stati messi a punto programmi finalizzati<br />

alla diagnostica internistica che, opportunamente<br />

caricati di dati sintomali, hanno<br />

dimostrato capacità previsionale pari a quella<br />

di un “medico esperto”. In effetti, fino a<br />

oggi non sembra legittimo sostenere che<br />

siano stati elaborati programmi computazionali<br />

in grado di produrre nuove teorie;<br />

questo però è l’obiettivo, dal momento che<br />

la costruzione di nuove teorie rappresenta<br />

il grado più elevato di scoperta scientifica.<br />

D. In questa prospettiva, però, l’approccio<br />

della filosofia computazionale esorbita<br />

dall’esame di casi di scoperta scientifica e<br />

sembra voler proporre una teoria generale<br />

a livello non solo epistemologico.<br />

R. Certo! La nozione stessa di explanatory<br />

coherence, sulla quale fa perno il progetto<br />

di filosofia computazionale che intendiamo<br />

sviluppare nel nostro laboratorio, implica<br />

una prospettiva olistica, in quanto la<br />

“coerenza esplicativa”, che costituisce il<br />

criterio di decisione fra teorie confliggenti,<br />

non si pone sul livello di un “evento particolare”<br />

(nozione, come si sa, già di per sé<br />

problematica in epistemologia), bensì a un<br />

livello superiore, e più globale. La teoria<br />

della explanatory coherence, proposta dallo<br />

statunitense Paul Thagard, intende illustrare<br />

la “coerenza” o “incoerenza” di<br />

un’ipotesi scientifica, in relazione a caratteristiche<br />

e proprietà “esplicative” della<br />

stessa, nei confronti di un’evidenza empirica.<br />

In tale prospettiva, una teoria scientifica<br />

(intesa come insieme di ipotesi che<br />

spiegano evidenze empiriche) viene considerata<br />

migliore di un’altra quando gode,<br />

complessivamente, di una maggiore explanatory<br />

coherence.<br />

Va sottolineato che la questione messa in<br />

gioco dalla nozione di “coerenza esplicativa”<br />

investe tanto l’accettazione o il rifiuto<br />

di ipotesi nell’ambito delle teorie scientifiche,<br />

quanto le procedure di decisione della<br />

razionalità quotidiana. L’inferenza che<br />

porta a scegliere la spiegazione più efficace<br />

nella valutazione di differenti teorie, o differenti<br />

ipotesi, coinvolge un insieme dinamico<br />

di criteri, caratterizzati in modo multidimensionale.<br />

Per esempio, se una teoria<br />

scientifica è più semplice, e spiega più dati<br />

significativi di quanto non facciano le teorie<br />

concorrenti, può essere accettata come<br />

la spiegazione più efficace. Questo tipo di<br />

inferenza è certo quella coinvolta nella<br />

procedura di tipo diagnostico, dove l’obiettivo<br />

consiste nel selezionare la spiegazione<br />

migliore (la diagnosi più efficace) nell’ambito<br />

di una gamma predeterminata di ipotesi<br />

diagnostiche. La fase preliminare del<br />

progetto relativo a un’attività di filosofia<br />

computazionale è dunque dedicata allo studio<br />

di una teoria generale della explanatory<br />

coherence nella accettazione e nella eliminazione<br />

delle ipotesi, sia nel campo delle<br />

teorie scientifiche, sia nel ragionamento<br />

comune o esperto.<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

D. Esiste una connessione fra il concetto di<br />

inferenza chiamato in causa dalla nozione<br />

di explanatory coherence e le questioni<br />

tradizionalmente trattate dalla filosofia?<br />

R. La risposta è affermativa, perché l’analisi<br />

relativa alla nozione di explanatory<br />

coherence appare strettamente collegata a<br />

quella riguardante lo status cognitivo del<br />

ragionamento e della conoscenza, nonché<br />

a quella del problema della abduzione sul<br />

piano epistemologico. A questo proposito,<br />

credo si possano individuare due concetti<br />

di abduzione. Il primo è quello individuato<br />

dal filosofo americano Charles Sanders<br />

Peirce, che interpreta l’abduzione come<br />

una procedura inferenziale, e la considera<br />

come il processo di “creazione” di nuove<br />

ipotesi scientifiche. Nell’ambito del ragionamento<br />

diagnostico ci si imbatte però in<br />

una seconda tipologia di abduzione, il cui<br />

grado di creatività appare, in certo senso,<br />

inferiore: l’ “abduzione selettiva”. Nella<br />

diagnosi è infatti sufficiente giungere a<br />

“scegliere”, tra molte altre, un’ipotesi diagnostica,<br />

selezionandola all’interno di una<br />

casistica, fornita dalla scienza medica.<br />

Il problema della scelta e della valutazione<br />

delle ipotesi riveste, in effetti, un ruolo<br />

centrale nel campo degli studi sull’utilizzo<br />

dell’intelligenza artificiale nel caso del ragionamento<br />

diagnostico; il concetto di abduzione<br />

ha comunque da sempre indicato,<br />

nella tradizione filosofica ed epistemologica,<br />

proprio la situazione di generazione<br />

e di valutazione delle ipotesi. In altri termini,<br />

il concetto di abduzione ha sempre rappresentato,<br />

nella riflessione filosofica “tradizionale”,<br />

la via dell’inferenza verso la<br />

“spiegazione più efficace”.<br />

Il confronto tra le culture<br />

Negli ultimi due anni di attività (ottobre<br />

1992- maggio 1994) il Centro<br />

Culturale della Fondazione San Carlo<br />

di Modena ha intrapreso una ricerca<br />

sul problema dell’incontro,<br />

dello scontro e del confronto fra le<br />

culture che si è articolata in giornate<br />

di studio e cicli di lezioni. In questo<br />

contesto si è svolto, dall’ottobre<br />

1993 al maggio 1994, un ciclo di<br />

lezioni dal titolo: “LA PROVA DELLO<br />

STRANIERO. FIGURE PER IL CONFRONTO TRA<br />

LE CULTURE”, con la partecipazione di<br />

Romano Màdera, Francesco Remotti,<br />

Giovanni Filoramo, Pierre Rosanvallon,<br />

Francisco Jarauta, Simonetta Tabboni,<br />

Enrico Pozzi, Alessandro Pizzorno,<br />

Mary Douglas, Franco Cassano.<br />

La ricerca sul confronto tra le culture ha<br />

preso avvio con una giornata di studio,<br />

tenutasi il 16 ottobre 1992, dal titolo: “La<br />

comprensione dell’altro. Premesse filosofiche<br />

del confronto tra le culture”, a cui<br />

hanno partecipato: Armando Rigobello,<br />

54<br />

Carlo Sini, Salvatore Natoli, Sergio Moravia.<br />

In questa giornata di studio si sono<br />

voluti ricostruire e discutere i principali<br />

orientamenti presenti nella filosofia contemporanea<br />

sul problema della comprensione<br />

dell’altro, dalla filosofia della differenza<br />

all’ermeneutica, dalla fenomenologia<br />

alla filosofia analitica, al fine di scoprire<br />

se la riflessione filosofica possa offrire<br />

qualche strumento, qualche base su cui<br />

avviare, eventualmente, un confronto fra<br />

le culture.<br />

A questa prima iniziativa ha fatto seguito<br />

un ciclo di lezioni, svoltosi tra il novembre<br />

1992 e il maggio 1993, sul tema: “Questioni<br />

del tradurre. Traducibilità e intraducibilità<br />

di linguaggi, culture e forme di vita”<br />

che ha visto la partecipazione Emilio Mattioli,<br />

Rosaria Egidi, Simona Argentieri,<br />

Diego Marconi, Davide Sparti, Goffredo<br />

Bartocci, Alessandro Simonicca, Steven<br />

Lukes, Clifford Geertz. Scopo di ciclo di<br />

lezioni è stato individuare possibili criteri<br />

coi quali commisurare il noto e l’ignoto<br />

attraverso l’analisi di alcuni grandi dibattiti<br />

che hanno investito parallelamente settori<br />

diversi del sapere contemporaneo,<br />

come l’estetica, l’epistemologia, la filosofia<br />

del linguaggio e l’etica. Dal piano teorico,<br />

su cui è avanzata questa prima fase<br />

dell’indagine sul confronto tra le culture,<br />

il ciclo si è spostato su un piano più direttamente<br />

connesso con la dimensione empirica,<br />

interrogando da una parte le scienze<br />

sociali, in particolare l’antropologia, capace<br />

di evidenziare la dimensione propriamente<br />

interpretativa dell’agire e il carattere<br />

simbolico delle pratiche umane associate,<br />

dall’altra la psicanalisi, impegnata a<br />

scoprire se la pluralità delle lingue sia una<br />

ricchezza o una tara, e l’etnopsichiatria,<br />

volta a trovare nel vissuto emotivo un<br />

nuovo canale per la comunicazione tra<br />

mondi diversi.<br />

La “prova dello straniero” è stato il tema<br />

che ha caratterizzato il secondo ciclo di<br />

lezioni. Lo “straniero”, infatti, da sempre<br />

oggetto di un atteggiamento ambivalente,<br />

insieme di fascino e repulsione, interesse e<br />

chiusura, rappresenta una sfida a tutto campo<br />

per la società in cui si inserisce. La sua<br />

presenza mette alla prova tanto il sistema<br />

della nostra convivenza civile quanto il<br />

sistema concettuale e di credenze con il<br />

quale definiamo la nostra cultura e la nostra<br />

identità, misurando tanto il grado di<br />

identificazione collettiva, quanto la capacità<br />

di trasformazione interna. All’interno<br />

di questo contesto si sono analizzati figure<br />

e concetti dello straniero attraverso l’esame<br />

di esempi provenienti dall’antichità,<br />

dalle società di interesse etnografico, dalla<br />

riflessione che la cultura occidentale ha<br />

prodotto sull’alterità, al suo interno e al<br />

suo esterno.<br />

Romano Màdera (“L’ombra dello straniero”)<br />

ha rintracciato lo straniero nell’immagine<br />

del mondo, del divino, dell’anima<br />

e della persona. In un mondo apparentemente<br />

privo di confini, il “pianeta


di tutti”, si assiste, nelle diverse società, a<br />

un ripiegamento sulle appartenenze etnico-linguistiche<br />

e religiose. Le ragioni di<br />

questo paradosso sono da cercare, secondo<br />

Màdera, nelle dinamiche del capitalismo<br />

globale. In particolare ciò si spiega<br />

come reazione alla condizione generale di<br />

straniamento che risulta da una valorizzazione<br />

della persona non come individualità<br />

concreta, ma come uomo universale<br />

astratto. Con il capitalismo globale si è<br />

anche realizzata la purificazione del sacro<br />

prevista dal programma platonico: il dominio<br />

dell’astratto ha cacciato il divino<br />

dalla vita sociale; ma esso ora si ripresenta<br />

come dio straniero (ad esempio l’islamismo).<br />

Nell’immagine dell’anima, che ci<br />

consegna la psicologia del profondo, scopriamo<br />

dentro di noi la figura dello straniero,<br />

di cui ci liberiamo o proiettandone i<br />

tratti sull’altro, l’immigrato di colore, oppure<br />

dipingendo di bianco lo straniero<br />

esterno per non riconoscere lo straniero<br />

che è in noi.<br />

Facendo un passo indietro, Giovanni<br />

Filoramo (“Pellegrino, straniero, senza<br />

patria. Figure dell’estraneità al mondo<br />

nel Cristianesimo antico”) ha descritto<br />

tre figure che, nei sec. I-V d. C., hanno<br />

incarnato l’esperienza di straniero del<br />

cristiano: il pellegrino, straniero perché<br />

ha la sua vera patria nella città celeste<br />

ma - a differenza dello gnostico e dell’anacoreta<br />

- vive nel mondo in cui è solo<br />

di passaggio e, senza lasciarsene assimilare,<br />

segue le sue leggi; lo gnostico,<br />

straniero per definizione, al di sopra del<br />

mondo perché viene da un mondo trascendente,<br />

per il quale il mondo rappresenta<br />

una prigione, ma anche qualcosa di<br />

ostile, in quanto creato da un dio malvagio,<br />

l’anacoreta, colui che, per raggiungere<br />

il suo scopo, deve scegliere continuamente<br />

di estraniarsi dal mondo e,<br />

facendo del suo esilio volontario una<br />

condizione permanente, vive da “senza<br />

patria”. Da una prospettiva opposta,<br />

un’altra tradizione religiosa, quella ebraica,<br />

è stata interrogata sul tema dello<br />

straniero: non più il punto di vista dell’uomo<br />

di fede in quanto straniero, ma<br />

dello straniero in quanto oggetto dei comportamenti<br />

e degli atteggiamenti degli<br />

uomini di fede. A questo proposito, Mary<br />

Douglas (“Immigrati e stranieri. L’idea<br />

di straniero nella Bibbia”) ha fatto notare<br />

come le prescrizioni esplicite e generose<br />

del Levitico e del libro dei Numeri<br />

(noti come “Libri Sacerdotali”) sono in<br />

contrasto con l’assunzione che la religione<br />

basata su questi libri sacri sia fondata<br />

su un’esclusione etnica. Douglas ha<br />

preso in considerazione la relazione fra<br />

le storie attribuite a Esdra e Neemia,<br />

risalenti al periodo del Secondo Tempio,<br />

quando i “Libri Sacerdotali” ricevettero<br />

la loro forma definitiva. In quell’epoca<br />

(V sec. a.C.) gli esiliati ebrei, di ritorno<br />

da Babilonia, volevano ottenere le restituzioni<br />

delle terre di famiglia. Esdra e<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

Neemia descrivono alcune brutali discriminazioni<br />

etniche commesse nel<br />

nome della religione, ma non c’è traccia<br />

nei “libri Sacerdotali” del fatto che la<br />

loro legislazione sia sostenuta da una<br />

dottrina religiosa.<br />

La prospettiva antropologica, affrontata<br />

da Francesco Remotti (“Cannibali, schiavi<br />

e sovrani. Il ricorso allo straniero in una<br />

prospettiva antropologica”), ha preso in<br />

considerazione, tra le forme di ricorso<br />

all’alterità, la figura dello schiavo, oggetto<br />

di sfruttamento culturale, oltre che economico,<br />

quella del sovrano, come nel caso<br />

dell’Africa precoloniale, e quella del cannibale,<br />

figura capace di mettere a nudo<br />

l’intreccio tra alterità e identità e dunque il<br />

carattere artificioso di qualsiasi identità. Il<br />

cannibalismo, ha osservato Remotti, dimostra<br />

che il ricorso dell’alterità si spiega<br />

non solo in base a un esigenza di identificazione,<br />

che risolve il rapporto con l’altro<br />

nell’opposizione noi-loro, ma anche in base<br />

a un’esigenza di alterazione, che trasforma<br />

il rapporto in assimilazione.<br />

Degli aspetti giuridico-politici relativi al<br />

problema dell’estensione dei diritti civili e<br />

politici agli stranieri che si inseriscono in<br />

comunità politiche fortemente strutturate<br />

si è occupato Pierre Rosanvallon (“Straniero<br />

e cittadino. I confini della politica”),<br />

facendo riferimento alla sua recente ricerca<br />

su La rivoluzione dell’uguaglianza. Storia<br />

del suffragio universale in Francia<br />

(Anabasi, Milano 1994). In particolare,<br />

Rosanvallon si è soffermato sulla questione<br />

del diritto di voto agli stranieri nelle<br />

elezioni locali, rilevando i rischi e le deficienze<br />

della distinzione tra una cittadinanza<br />

locale e una cittadinanza nazionale, e<br />

sul problema dell’inserimento degli emigranti<br />

nel sistema distributivo, che egli<br />

pensa debba essere discusso alla luce dell’avvenuto<br />

passaggio dello Stato-provvidenza<br />

da meccanismo assicurativo a Stato<br />

di solidarietà. Con Francisco Jarauta<br />

(“Abitare la frontiera. Riflessioni su meticciato<br />

e interculturalità”) la discussione<br />

si è spostata dagli assetti giuridico-politici<br />

all’assetto sociale. Jarauta ha constatato<br />

l’emergenza di una nuova situazione, caratterizzata<br />

da processi di meticciato, nomadismo<br />

e diverse forme di incrocio culturale<br />

e, in base a ciò, ha individuato i<br />

compiti dell’intellettuale nell’elaborazione<br />

di nuovi concetti per pensare l’alterità,<br />

una geofilosofia (alla Deleuze-Guattari) e<br />

una nuova cartografia.<br />

Muovendo da un’analisi delle figure dello<br />

straniero in Simmel e in Elias, Simonetta<br />

Tabboni (“Lo straniero e la modernità.<br />

Dall’uguaglianza del diritto al riconoscimento<br />

della differenza”) ha tracciato il<br />

cambiamento del rapporto tra straniero e<br />

modernità. Lo straniero è stato una figura<br />

paradigmatica della modernità: immagine<br />

dello sradicamento, mercante per eccellenza,<br />

ha minato le basi della società tradizionale,<br />

rivendicando la parità del diritto<br />

e parlando il linguaggio universalista della<br />

55<br />

ragione contro il linguaggio dell’appartenenza.<br />

Oggi lo straniero rivendica il riconoscimento<br />

della differenza parlando il<br />

linguaggio dell’etnicità, che di conseguenza,<br />

ha osservato Tabboni, può fungere, sul<br />

piano pragmatico, da mediatore delle due<br />

anime antitetiche della modernità: il richiamo<br />

alla ragione e il richiamo all’identità.<br />

Con un atteggiamento simile Alessandro<br />

Pizzorno (“Usi cognitivi e normativi<br />

della metafora dello straniero”) si è<br />

dichiarato contrario a una soluzione in<br />

astratto del problema morale dello straniero<br />

e vede in una soluzione “locale”, analoga<br />

a quella data da Quine sul piano della<br />

teoria della conoscenza, il modo per evitare<br />

i rischi di una soluzione di principio:<br />

reprimere la specifica identità dello<br />

straniero sotto il peso di regole tratte da<br />

una concezione universalistica dell’essere<br />

umano. Lo straniero come scopritore<br />

di individualità è invece ciò che ha<br />

proposto Pizzorno riguardo al problema<br />

di capire lo straniero.<br />

Enrico Pozzi (“Il traditore come straniero<br />

interno. Psicanalisi di una condizione-limite”)<br />

ha fornito una definizione<br />

formale del traditore come un terzo,<br />

che abita sul confine tra due gruppi. Da<br />

questa definizione il traditore risulta essere<br />

una delle grandi figure dello straniero<br />

interno, il viandante potenziale di<br />

Simmel, colui che, del tutto uguale al<br />

gruppo, salvo che per un aspetto, non<br />

potrebbe tradire se non fosse riconosciuto<br />

come suo membro a pieno titolo. Si<br />

tratta di una figura che svolge una propria<br />

funzione sociale: la presenza di una<br />

differenza, infatti, è lo stimolo attraverso<br />

il quale il gruppo ristabilisce la propria<br />

coesione. La nozione di confine, già<br />

chiamata in causa nella riflessione di<br />

Jarauta su meticciato e interculturalità e<br />

in quella di Pozzi sulla figura del traditore,<br />

è stata oggetto di ulteriori considerazioni<br />

da parte di Franco Cassano (“Il<br />

confine e lo straniero”). Egli, in particolare,<br />

si è domandato come è possibile<br />

che l’estraneità non si trasformi in ostilità,<br />

ma diventi occasione di conoscenza<br />

a partire dal carattere di ambivalenza<br />

che contraddistingue il confine. Infatti,<br />

se da una parte il confine è la zona in cui<br />

due comunità si separano, dall’altra la<br />

linea di confine è anche quella in cui due<br />

paesi si toccano, l’insieme dei punti che<br />

appartengono ad entrambi; dunque, un<br />

luogo d’incontro.<br />

Il complesso degli interventi verrà raccolto<br />

in forma rielaborata e pubblicato<br />

nella collana «Punti critici» della Fondazione<br />

Collegio San Carlo entro il primo<br />

semestre del 1995. F.B.


Scritture del pensiero<br />

Con il titolo: “SCRITTURE DEL PENSIERO:<br />

LINGUAGGI A CONFRONTO”, l’I.S.U. di Milano,<br />

in collaborazione con la rivista «autaut»,<br />

ha promosso, tra l’11 maggio e il<br />

1 giugno 1994, un ciclo di lezioni che fa<br />

seguito a quello svoltosi nel 1993, dedicato<br />

ai “Linguaggi della filosofia”.<br />

Attraverso gli interventi di Giancarlo<br />

Majorino, Giampiero Comolli, Giuseppe<br />

Pontiggia, Fausto Petrella, Pier Aldo<br />

Rovatti Paolo Flores d’Arcais e Alessandro<br />

Dal Lago, questo secondo ciclo<br />

ha proposto un approfondimento della<br />

ricerca sulla scrittura attraverso un<br />

confronto tra il linguaggio della poesia,<br />

della narrazione, della psicoanalisi<br />

e del discorso politico.<br />

La questione della scrittura è certamente<br />

indistinguibile da quella del pensiero, ma<br />

spesso il discorso filosofico si è costituito,<br />

in opposizione ad altri tipi di discorso, in<br />

uno scarto con il mito, il poetico, l’immaginario.<br />

Intervenendo sul “linguaggio della<br />

poesia”, Giancarlo Majorino ha parlato<br />

della struttura in sé conchiusa, autoreferente<br />

della poesia. Nel suo rimando a sé, la<br />

parola poetica vanifica il suo rapporto con<br />

l’altro, il referente, perdendo la funzione<br />

denotativa. Ciò implica una circolarità dell’atto<br />

di lettura che deve percorre a ritroso<br />

il cammino della poesia che si fa strada<br />

nelle parole, per poterne cogliere l’autoreferenzialità.<br />

Riprendendo il tema del “comunicare<br />

sé” della poesia, Giampiero<br />

Comolli ha posto l’interrogativo sul destinatario<br />

di tale “mettere in comune”, sul<br />

“tu” al quale la poesia, mentre comunica, si<br />

rivolge. Richiamando le analisi di Levinás<br />

sull’intersoggettività e sottolineando<br />

l’aspetto della “materialità” della parola<br />

poetica, Comolli ha ipotizzato che l’ “altro”,<br />

a cui la poesia comunica, sia il “tu<br />

corporeo”. A questo proposito Majorino si<br />

è trovato d’accordo nel sottolineare l’importanza<br />

della “corporeità”, propria del linguaggio<br />

poetico, presente nella sonorità<br />

della parola. Nella poesia di Dante, dove il<br />

“vedere” diviene “visione”, il suono della<br />

parola, ha osservato Majorino, esprime un<br />

“retrosenso” - in opposizione a quello denotativo<br />

dominante - che è la trascrizione<br />

della corporeità del poeta, trascrizione cioè<br />

di quell’insieme di vedere e immaginare<br />

che sono già potenzialmente uno scrivere.<br />

Per Giuseppe Pontiggia, intervenuto insieme<br />

a Carlo Sini sul “linguaggio della<br />

prosa”, un testo letterario, poetico o filosofico<br />

non può venir riassunto, parafrasato o<br />

concettualizzato senza venir anche necessariamente<br />

“tradito”. Citando il Fedro, dove<br />

Platone parla del tradimento dell’oralità<br />

da parte della scrittura, Pontiggia ha rilevato<br />

come la concettualizzazione di un qualunque<br />

testo, ogni forma di sinossi, rappresenti<br />

un tradimento di secondo grado. Non<br />

esiste insomma una scrittura neutra, denotativa:<br />

il pensiero nasce e si costruisce nelle<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

pieghe di ciascun testo e solo in esso. Sini<br />

ha invece distinto il testo poetico-letterario<br />

da quello filosofico. Le antiche “Dossografie”<br />

(manuali ante litteram), mostrano che<br />

fin dalle origini il pensiero filosofico ha<br />

potuto essere ritrascritto, schematizzato e<br />

riassunto in un testo, senza per questo venir<br />

necessariamente tradito. Il filosofo, ha fatto<br />

notare Sini, non si realizza nell’opera<br />

proprio perché scrive in un’«assenza costitutiva<br />

di opera»: l’opera non suscita interesse<br />

in sé, ma solo in quanto rappresenta la<br />

mise en scene del pensiero.<br />

Interrogandosi su come la scrittura affronta<br />

lo psichico, Fausto Petrella è intervenuto<br />

sul “linguaggio della psicoanalisi”. Il punto<br />

di riferimento obbligato è stata l’opera di<br />

Freud: undici volumi caratterizzati da uno<br />

stile analogico e ricco di metafore, in grado<br />

di rappresentare in “visioni dinamiche” la<br />

configurazione dello psichico. In particolare,<br />

Petrella ha condotto la sua indagine<br />

sulla “metafora archeologica”, come rappresentazione<br />

del lavoro di analisi che tien<br />

conto dell’assunto teorico della nuova scienza<br />

dello psichico, impedendo che la si limiti<br />

ad una «descrizione morfologica della<br />

lesione». Nel saggio sulla Gradiva di Jensen,<br />

così come ne Il disagio della civiltà,<br />

Freud utilizza, come metafora dell’inconscio,<br />

l’immagine delle rovine che “si animano<br />

e parlano”, dipendentemente dal nostro<br />

modo di interrogarle.<br />

Riprendendo da Heidegger l’affermazione:<br />

«I filosofi devono riconoscere che<br />

non sono così versati nel dire», Pier<br />

Aldo Rovatti ha sottolineato come la<br />

metafora, distanziandosi dalla letteralità<br />

e lungi dall’essere un viraggio della parola<br />

filosofica verso la parola poetica,<br />

evita al pensiero di “arrestarsi” nella<br />

parola; la metafora consente al pensiero<br />

di dirsi e di eclissarsi. La psicoanalisi, ha<br />

osservato Rovatti, suggerendo alla filosofia<br />

un “più di metafore”, può consentire<br />

al pensiero di superare la sua indigenza,<br />

anche se la metafora psicoanalitica,<br />

non avendo alcun “proprio” a cui riferirsi,<br />

è per sua stessa essenza “designificativa”.<br />

Se però la psicoanalisi dà importanza<br />

a ciò da cui il linguaggio nasce, è allora il<br />

“destino” stesso del linguaggio, in uno con<br />

quello dell’essere, il non potervi tornare.<br />

Intervenendo sul “linguaggio della politica”,<br />

a latere dal cammino di indagine<br />

seguito dai precedenti interventi, Paolo<br />

Flores d’Arcais e Alessandro Dal Lago<br />

hanno indicato nel pensiero di Albert<br />

Camus e Hannah Arendt, una possibile<br />

via d’uscita dall’attuale “crisi d’identità”<br />

della sinistra. In quanto forme di espressione<br />

di un pensiero esistenzialistico-libertario,<br />

che fa riferimento al “dover essere”<br />

e ai valori, questi autori devono essere<br />

considerati come una fonte d’ispirazione<br />

preziosa per il pensiero politico della sinistra,<br />

in alternativa a quei territori culturalmente<br />

estranei del Neo-utilitarismo o della<br />

contrapposizione “amico-nemico” proposta<br />

da Schmitt. M.C.<br />

56<br />

Individuo e tradizione<br />

in Popper<br />

Con il titolo “Individuo, critica e tradizione<br />

in Karl Popper”, Giovanni De<br />

Crescenzo ha tenuto dal 6 all’8 aprile<br />

1994, nella sede dell’Istituto Italiano<br />

per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> di Napoli, un<br />

seminario che, muovendo dall’analisi<br />

della teoria della tradizione elaborata<br />

da Popper negli anni ’30 e ’40, ha<br />

affrontato il problema del rapporto<br />

tra l’individuo, inteso come soggetto<br />

razionale titolare di un “atteggiamento<br />

critico”, e la tradizione stessa.<br />

Nell’analisi popperiana del rapporto individuo/tradizione,<br />

Giovanni De Crescenzo<br />

individua tre direttive di ricerca<br />

incompatibili fra loro. Secondo la prima,<br />

che ha il suo apice nella conferenza<br />

di Oxford del 1948, “Per una teoria razionale<br />

della tradizione”, l’ “atteggiamento<br />

critico” dell’individuo non può<br />

dar luogo ad una sua completa liberazione<br />

dalla tradizione: invero il cosiddetto<br />

“processo di liberazione”, per il Popper<br />

degli anni ’40, è soltanto un passaggio<br />

da una tradizione all’altra. Nell’interazione<br />

tra individuo e tradizione, questa<br />

prima impostazione riconosce il vincolo<br />

inevitabile che lega la critica razionale<br />

della conoscenza alla tradizione, ma interpreta<br />

questo vincolo a vantaggio dell’individuo<br />

e della sua critica, che sembra<br />

poter scegliere nella cultura e la<br />

storia ciò che più gli aggrada; il rapporto<br />

individuo/tradizione risulta essere così<br />

assurdamente squilibrato in senso decisionistico<br />

e convenzionalistico in favore<br />

dell’individuo.<br />

Ora, ha osservato De Crescenzo, dalla<br />

prima direttiva di ricerca, in cui l’individuo,<br />

come abbiamo appena visto, sopravanza<br />

sempre la tradizione, Popper passa,<br />

nel corso degli anni ’60, alla posizione<br />

esattamente opposta, dove la tradizione,<br />

intesa come “Mondo 3”, domina e addirittura<br />

forma l’individuo. Popper propone<br />

un’interpretazione interazionistica e relazionale<br />

dell’autonomia del “Mondo 3”,<br />

affermando che tale autonomia non è assoluta,<br />

ma relativa, poiché il “Mondo 3” non<br />

fa altro che retroagire sugli individui che<br />

lo hanno generato, e poiché questi ultimi<br />

continuano ad agire, a loro volta, sul “Mondo<br />

3”, sia modificando in qualche modo gli<br />

oggetti in esso già esistenti, sia generando<br />

altre teorie. Quest’ultima impostazione,<br />

ha obiettato De Crescenzo, viene tuttavia<br />

contraddetta dal fatto che se gli oggetti del<br />

“Mondo 3” esistono ed agiscono indipendentemente<br />

dagli uomini che li generano e<br />

li conoscono, questi ultimi, invece, non<br />

potrebbero esistere come soggetti razionali<br />

e come persone senza il “Mondo 3”.<br />

Dovendo infatti spiegare come e perché<br />

l’individuo si personalizza, Popper si appella<br />

all’apprendimento degli oggetti del<br />

“Mondo 3” che vede tuttavia l’individuo,


ispetto al “Mondo 3”, in una posizione<br />

contemplativa e non selettiva, ricettiva e<br />

non costruttiva.<br />

Ma se è vero, ha notato De Crescenzo, che<br />

l’individuo non può prescindere dalla cultura<br />

e dalla società per realizzarsi come<br />

persona, Popper non vede che l’individuo,<br />

personalizzandosi, non cessa di vivere; il<br />

soggetto che si personalizza è infatti vivente,<br />

biopsicologico. Inoltre, la cultura<br />

non fornisce univocità alla direttiva attraverso<br />

la quale l’individuo si personalizza,<br />

ma questi, in quanto soggetto agente, sceglie<br />

fra le varietà di immagini offerte dalla<br />

cultura e dalla tradizione.<br />

De Crescenzo ha infine individuato una<br />

“terza direttiva” nell’approccio popperiano<br />

allo studio dell’interazione individuo/<br />

tradizione, che restituisce al primo la sua<br />

iniziativa critica nei confronti della seconda,<br />

di cui viene riconosciuta però l’intrinseca<br />

storicità e problematicità. Tale direttiva<br />

esclude sia l’ipotesi che la tradizione<br />

sia un semplice campo di scelta, una cornice<br />

in cui l’individuo esercita la sua critica<br />

razionale, sia l’ipotesi per la quale la tradizione<br />

stessa è una componente essenziale<br />

del “Mondo 3”, e come tale domina l’individuo<br />

che è alle prese con essa.<br />

La “terza direttiva” è inaugurata da Popper<br />

in un importante saggio del ’76: Del mito<br />

della cornice, che è una critica del relativismo<br />

culturale e dello storicismo estremo.<br />

Polemizzando con i relativisti, anzitutto<br />

con Kuhn, ma anche con Wolff e Quine,<br />

Popper, ha rilevato De Crescenzo, non<br />

esita a riconoscere nella loro posizione un<br />

“nucleo di verità”. Egli infatti ammette<br />

che: 1) qualsiasi critica o teoria razionale<br />

del soggetto è inserita in una tradizione; il<br />

confronto fra le teorie può essere quindi,<br />

se non impossibile, certo difficile e problematico;<br />

2) la traduzione di una teoria in<br />

un’altra inserita in una diversa cornice o<br />

tradizione, una volta realizzata, risulta per<br />

lo più parziale e imprecisa, e in definitiva<br />

appena soddisfacente. Ma questo non<br />

esclude, secondo Popper, che l’esercizio<br />

della critica, la conoscenza e la discussione<br />

razionale delle tradizioni altrui, siano<br />

possibili. Popper ritiene che l’individuo<br />

possa, sia pure gradualmente, pervenire ad<br />

un punto di vista ugualmente esterno alla<br />

sua cornice e tradizione come ad una qualsiasi<br />

altra, e stabilire in tal modo quale<br />

delle due abbia conseguenze preferibili. In<br />

questo egli non si rende conto, ha commentato<br />

De Crescenzo, che proprio un’iniziativa<br />

del genere è preclusa all’individuo,<br />

che è legato alla sua tradizione da innumerevoli<br />

e inconsapevoli vincoli che egli può<br />

controllare e circoscrivere solo in parte,<br />

ma non abolire; la tradizione infatti agisce<br />

nell’individuo stesso secondo la precomprensione.<br />

La tradizione resta quindi immanente<br />

in noi, anche quando facciamo<br />

lavoro critico. Ciò che soltanto è possibile<br />

all’individuo, ha concluso De Crescenzo,<br />

è consapevolizzare alcune componenti<br />

della propria società-cultura per confron-<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

tarle con singole componenti di altre società-cultura<br />

anche lontane dalla sua e<br />

quindi niente affatto precomprese, e così<br />

pervenire ad una certa distanza critica,<br />

sempre finita e fluida, dalle prime e dalle<br />

seconde. L.M.<br />

Su nazione e nazionalismo<br />

Tra gli ultimi decenni del secolo scorso<br />

e i primi di quello attuale si è affermata<br />

una storiografia che ha imposto<br />

un’interpretazione falsata del passato<br />

con il solo scopo di allontanare indietro<br />

nel tempo le radici dei moderni<br />

Stati nazionali. Alla luce di queste considerazioni<br />

Alberto Cabella ha tenuto<br />

dal 7 al 11 marzo 1994, nella sede<br />

dell’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong><br />

di Napoli, un seminario su “L’IDEA<br />

DI NAZIONE E IL NAZIONALISMO”.<br />

Il concetto di nazione, ha rilevato Alberto<br />

Cabella, e gli altri ad esso connessi, a<br />

cominciare da quello di “nazionalismo”,<br />

nascono e acquistano il loro senso odierno<br />

solo con la Rivoluzione francese e i moti<br />

ottocenteschi. Lo Stato moderno coincide,<br />

nella sua fase iniziale, nonché sostanziale,<br />

con la costituzione di principati e monarchie<br />

assolute sulle ceneri degli imperi feudali;<br />

nasce come Stato patrimoniale, ossia<br />

come proprietà del monarca, i cui abitanti<br />

sono ancora “sudditi” che pagano imposte,<br />

combattono e muoiono per il re. la Rivoluzione<br />

del ’93 renderà questi sudditi “cittadini”,<br />

e i loro sacrifici saranno dedicati non<br />

al re, ma al Paese.<br />

Già gli intellettuali illuministi si consideravano<br />

“cittadini del mondo”, invertendo la<br />

scala di valori propria del Medioevo, che<br />

vedeva al primo posto l’essere cristiani, al<br />

secondo l’appartenenza a un microcosmo<br />

feudale, e solo all’ultimo posto l’essere<br />

nazionale. Nel ‘700, al primo posto vi è<br />

l’umanità, senza distinzioni di fede, al secondo<br />

l’Europa, al terzo la patria e, infine,<br />

la famiglia. La Rivoluzione francese, ha<br />

rilevato Cabella, mobilitando tutto il popolo,<br />

crea lo Stato nazionale con i suoi cittadini,<br />

comportando anche una sorta di rivoluzione<br />

culturale nei campi istituzionale,<br />

giuridico, politico, che portano a ulteriori<br />

nazionalizzazioni: innanzitutto quelle della<br />

scuola e dell’esercito, con l’istruzione<br />

pubblica obbligatoria gratuita e la leva di<br />

massa; poi quella della Chiesa, con la requisizione<br />

dei beni ecclesiastici. Nasce<br />

anche una religione civile, che secolarizza<br />

espressioni propriamente religiose, e la<br />

nazione viene ad acquisire connotazioni<br />

individualistiche, divendendo “persona”<br />

dotata di “anima”, di “coscienza”.<br />

Ma se si può affermare che il concetto di<br />

nazione nasce in ambito democratico, anzi<br />

rivoluzionario, bisogna poi constatare, ha<br />

osservato Cabella, come controrivoluzio-<br />

57<br />

ne e Restaurazione se ne impadroniscano<br />

attraverso la mediazione di un personaggio<br />

bifronte come Napoleone.<br />

Due sono i fondamentali referenti culturali<br />

chiamati in causa da Cabella: Rousseau e<br />

Fichte. Rousseau è il primo a rompere<br />

veramente con la concezione patrimoniale<br />

dello Stato, opponendosi all’assolutismo,<br />

al giusnaturalismo, e proponendo un nuovo<br />

contrattualismo: una condizione in cui<br />

ciascuno, unendosi a tutti, ubbidisca solo a<br />

se stesso, restando libero; la “volontà generale”<br />

sarebbe in tal senso il riflesso delle<br />

singole volontà morali. Resta tuttavia il<br />

problema, ha obiettato Cabella, di come<br />

conciliare gli interessi individuali, garantire<br />

l’umanità, evitare degenerazioni totalitarie.<br />

Il pensiero di Rousseau si può infatti<br />

considerare all’origine di molte ideologie,<br />

sia della democrazia, ma anche del totalitarismo<br />

nazionalista. Tra le opere di Rousseau,<br />

ha aggiunto Cabella, due preludono chiaramente<br />

al nazionalismo: Considerazioni sul<br />

governo di Polonia, che mostra la necessità<br />

di formare il carattere nazionale a cominciare<br />

dall’istruzione elementare, fornendo<br />

l’idea di “primato” della propria nazione; e<br />

il Saggio sulla costituzione della Corsica,<br />

che afferma un altro postulato nazionalistico,<br />

l’autarchia.<br />

Per quanto riguarda Fichte, ha proseguito<br />

Cabella, bisogna innanzitutto considerare<br />

la sua ammirazione per Rousseau e per la<br />

Rivoluzione francese; dall’iniziale cosmopolitismo<br />

passerà poi a posizioni schiettamente<br />

nazionalistiche, allorché Napoleone<br />

invaderà la Prussia, esprimendo chiaramente<br />

motivi ancora impliciti nel pensiero<br />

di Rousseau: innanzitutto, l’affermazione<br />

del primato di un Paese predestinato a fare<br />

da guida politica e culturale agli altri.<br />

Quello francese può essere dunque considerato,<br />

secondo Cabella, il primo nazionalismo,<br />

a cui fecero seguito ideologie analoghe<br />

nei Paesi che subiranno l’occupazione<br />

napoleonica, a cominciare dalla Germania,<br />

dai precursori Herder e Schiller, a Humboldt,<br />

Hegel, Novalis, Schlegel, Schelling, A.<br />

Müller, fino a Treitscke, esplicitamente<br />

imperialista, pangermanista, antisemita,<br />

riconosciuto come precursore dai nazionalisti.<br />

Intanto, gli anni ’70-’80 vedranno il<br />

trionfo del colonialismo imperialista e il<br />

fallimento del liberismo; tutte le grandi<br />

potenze europee diventano protezioniste:<br />

nasce il nazionalismo economico dei grandi<br />

imperi industriali e finanziari. Maurice<br />

Berrès e Claude Marras saranno i maggiori<br />

esponenti di questa fase più matura<br />

del nazionalismo francese.<br />

Nella società industriale di massa, ha osservato<br />

in conclusione Cabella, l’idea di<br />

nazione è stata spesso (e lo è ancora) intenzionalmente<br />

manipolata da chi ha inteso<br />

sfruttare la sfera emotiva, propria di una<br />

fase di rivolgimento sociale, a fini totalitari<br />

e monopolistici; del resto, ha fatto notare<br />

Cabella, l’idea di nazione si è dimostrata un<br />

mezzo indispensabile per la legittimazione<br />

dell’ordine costituito. M.Ga.


CONVEGNI E SEMINARI<br />

Particolare di recipiente in terra cotta grigia. Nayarit (Messico)<br />

Le frontiere dell’antropologia<br />

Organizzata dall’Associazione internazionale<br />

per l’antropologia e il mondo<br />

antico, si è tenuta nel novembre 1993,<br />

presso l’Università degli <strong>Studi</strong> di Milano,<br />

la conferenza di Maurice Godelier<br />

dedicata al tema: “LE FRONTIERE DELL’AN-<br />

TROPOLOGIA ALLE SOGLIE DEL III MILLENNIO”.<br />

Nel panorama dell’antropologia contemporanea,<br />

Maurice Godelier ha rilevato il<br />

delinearsi di una contrapposizione fra due<br />

tendenze. L’una “post-modernista”, attualmente<br />

in auge negli Stati Uniti, professa<br />

una forma di scetticismo più o meno marcato,<br />

a seconda dei suoi esponenti, nei<br />

confronti della possibilità di conoscere l’<br />

“altro”, cioè l’oggetto dell’indagine antropologica.<br />

Questa impostazione, che appare<br />

fortemente debitrice alle analisi di Michel<br />

Foucault e Jacques Derrida, concepisce<br />

l’oggetto dell’indagine come un testo<br />

da decostruire, affermando nel con-<br />

tempo che esso, in quanto testo “originario”,<br />

al di là delle mediazioni culturali, non<br />

ci è mai dato.<br />

L’altra tendenza dell’antropologia contemporanea,<br />

che può essere definita global<br />

approach, prende le mosse dall’assunto<br />

secondo il quale nessuna civiltà è isolata<br />

dalle altre, e nessuna manifestazione di<br />

ciascuna di esse è isolata dal contesto generale<br />

del pianeta. Questa tendenza si occupa<br />

soprattutto dei problemi del degrado ambientale<br />

e della sua percezione da parte<br />

dell’uomo, nonché dei conflitti interetnici.<br />

Come questione filosoficamente rilevante,<br />

Godelier si è chiesto se effettivamente l’antropologia<br />

rappresenti uno strumento di<br />

normalizzazione culturale, da parte dell’Occidente,<br />

nei confronti delle altre culture,<br />

o se, invece, la riflessione etnologica e<br />

quella antropologica siano riuscite, almeno<br />

nei loro ultimi sviluppi, a decentrare il<br />

pensiero occidentale, dal quale entrambe<br />

pure provengono. Per l’etnologia contemporanea,<br />

ha ricordato Godelier, esistono<br />

58<br />

due linee di indagine, a seconda che ci si<br />

rivolga a realtà nazionali o a realtà di cui<br />

occorra, invece, apprendere la lingua. In un<br />

caso e nell’altro, si verifica un atteggiamento<br />

di fondo che appare di tipo colonialista,<br />

dominativo, da parte del cittadino nei<br />

confronti del campagnolo, in un caso, del<br />

civile nei confronti del selvaggio, nell’altro.<br />

Il passaggio dall’antropologia alla sociologia,<br />

da questo punto di vista, consiste<br />

proprio nel ritenere, da parte del ricercatore,<br />

di rivolgersi non a un popolo colonizzato,<br />

“selvaggio”, bensì alla propria stessa<br />

realtà sociale.<br />

Si può anche leggere la nascita dell’antropologia<br />

come scienza, ha sostenuto Godelier,<br />

nel passaggio da un’antropologia “interessata”<br />

e strumentale, ma dilettantistica<br />

e narrazionale (quella di missionari e colonizzatori),<br />

a una professionale, caratterizzata<br />

dalla costruzione, mediante grafici,<br />

della struttura delle relazioni parentali delle<br />

civiltà prese in esame. A partire da questa<br />

evoluzione dell’antropologia, ha osservato<br />

Godelier, si può in concreto verificare<br />

che cosa significhi il superamento dell’eurocentrismo<br />

e il decentramento del pensiero<br />

occidentale: le circa mille culture, attualmente<br />

censite sul pianeta, vengono oggi<br />

ripartite in sette tipologie di struttura parentale,<br />

e quella occidentale appare niente<br />

più che come la variante di una di esse, la<br />

tipologia “eschimese”. F.C.<br />

Tra i più importanti antropologi viventi,<br />

Mary Douglas si inserisce nella tradizione<br />

dell’antropologia anglosassone. Sostenitrice<br />

del metodo comparativo e della ricostruzione<br />

globale della struttura sociale, ha<br />

sviluppato in modo originale l’analisi dei<br />

sistemi simbolici in rapporto alle differenti<br />

società ed ha colto con chiarezza i rischi di<br />

una impostazione eurocentrica. Su queste<br />

tematiche e sulle sue ultime ricerche Franco<br />

Sarcinelli ha intervistato Mary Douglas,<br />

in occasione di una sua recente conferenza<br />

presso la Fondazione Collegio San<br />

Carlo di Modena.<br />

D. Signora Douglas, potrebbe parlarci del<br />

concetto di simboli naturali?<br />

R. Ho scritto un libro, intitolato: I simboli<br />

naturali; sebbene il titolo sia un ossimoro<br />

paradossale, ciò che esprime resta tuttavia<br />

un concetto importante. All’interno di ogni<br />

cultura la gente cerca nella natura un’autorità<br />

di quello che dice e così accade che<br />

ogni comunità ha una sua particolare lista<br />

preferita di simboli naturali. La mia convinzione<br />

è che non esiste una simbolizzazione<br />

naturale, artificiale. Noi abbiamo<br />

uno stesso corpo e stesse esperienze fisiche,<br />

che sono espresse in modo differente<br />

in culture differenti; in tal senso il titolo<br />

del mio libro è volutamente ironico. Su<br />

questo penso la stessa cosa di Levi-Strauss,<br />

che evidenzia in ogni società una commistione<br />

e una distinzione tra natura e cultura;<br />

solo che questa stessa distinzione è<br />

sempre artificiale e differente caso per caso.


D. Per comprendere meglio che cosa significa<br />

questa distinzione “caso per caso”,<br />

diventa importante il problema della comparazione<br />

tra culture?<br />

R. La comparazione - una seria comparazione<br />

che sancisca cosa è dimostrabile e<br />

cosa è rilevante o irrilevante - è faccenda<br />

assai importante ed è molto differente dall’idea<br />

di esplicazione. C’è bisogno di solidi<br />

principi per determinare che cosa sia confrontabile;<br />

soprattutto, sono necessarie basi<br />

teoriche di comparazione, per cui quando<br />

un antropologo si trova di fronte due tribù<br />

simili, o che vivono nella stessa area, può<br />

applicare la regola del ceteris paribus, dato<br />

che in situazioni abbastanza simili gli elementi<br />

differenzianti risultano assai interessanti.<br />

Per esempio, in Zaire ho studiato un<br />

popolo che viveva su una sponda di un<br />

fiume e andava a caccia con arco e frecce e<br />

non usavano né reti, né veleno; sull’altra<br />

sponda del fiume viveva un popolo con un<br />

linguaggio molto simile e con un sistema<br />

politico molto più elaborato, poiché vi era<br />

un re. Ho pensato che fosse ovvio e del<br />

tutto necessario istituire la comparazione<br />

tra gli effetti provocati sulle tipologie di<br />

ciascun popolo dai caratteri del suolo, dal<br />

clima, dalla popolazione, dalla povertà,<br />

presente su entrambe le sponde del fiume,<br />

per capire che dove vigeva il sistema politico<br />

del re l’organizzazione del lavoro era<br />

differente e vi era meno povertà e dispersione...<br />

- questo è il tipo di comparazione<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

che ritengo che l’antropologia debba fare.<br />

Vi è poi un secondo livello di comparazione,<br />

in cui tentiamo di interpretare per<br />

noi stessi gli elementi che abbiamo a<br />

disposizione: è a questo livello che ho<br />

scritto I simboli naturali. Sono rimasta<br />

molto colpita dal fatto che nell’Africa<br />

Occidentale è presente il culto degli antenati<br />

e non genealogie di gruppi socialmente<br />

riconosciuti come discendenza;<br />

nell’Africa Orientale, invece, vi sono le<br />

classi di età e non è presente alcun culto<br />

degli antenati; infine, nell’Africa Centrale<br />

non hanno il culto degli antenati,<br />

ma la stregoneria. Per capire le differenze<br />

che vi erano tra diversi tipi di strutture<br />

sociali e la religione che le caratterizzava<br />

ho dovuto fare un’astrazione dalle strutture<br />

sociali per elaborare una teoria e con<br />

essa chiarire le relazioni tra religione e<br />

società: ciò ha implicato comparazioni che<br />

hanno richiesto molta attenzione. A questo<br />

tipo di lavoro alcuni antropologi non<br />

sono affatto interessati e altri credono che<br />

ciò non abbia alcun interesse - perciò sostengono<br />

che le comparazioni sono impossibili<br />

e non puntano a un lavoro di comparazione,<br />

ma a quello di argomentazione.<br />

D. Dunque, il problema in antropologia è<br />

quello della generalizzazione...<br />

R. Certo, questo è il problema. Ora, nessuna<br />

generalizzazione è impossibile; la generalizzazione<br />

è necessaria in ogni cosa. Se hai una<br />

gran quantità di informazioni e non possiedi<br />

Recipiente in legno. Haida (America)<br />

59<br />

una teoria, l’informazione di cui si dispone<br />

rappresenta un “caso da museo”. L’antropologo<br />

fa una ricerca molto dettagliata del<br />

modo di vivere in un’intera regione , in ogni<br />

fase storica; ma se non c’è un nesso che<br />

colleghi a noi questa ricerca, essa non è di<br />

nessun interesse e diventa un “caso da museo “.<br />

D. Nel suo studio sui simboli naturali Lei<br />

descrive la questione del rapporto metaforico<br />

tra corpo e società. Ha in seguito continuato<br />

ad approfondire questo problema?<br />

R. Non ho continuato su questa strada. Ho<br />

pensato al corpo come metafora della società,<br />

ma i miei amici e critici mi hanno<br />

fatto notare che è un problema troppo arduo<br />

spiegare la scelta di una metafora piuttosto<br />

che di un’altra, ossia il procedimento<br />

che porta a scegliere una metafora. Pertanto<br />

mi sono concentrata maggiormente sui<br />

meccanismi della vita collettiva; in particolare,<br />

il mio interesse per il corpo si è<br />

orientato sul modo di usare il corpo per<br />

accusare le persone. Se qualcuno ha il corpo<br />

malato, la cosa interessante è che a<br />

qualcun’altro viene attribuita la colpa (potrebbe<br />

essere un capo gerarchico o uno<br />

straniero). Così, il mio lavoro riguardo i<br />

simboli si è spostato in quello di rintracciare<br />

le accuse e le colpe in relazione al corpo;<br />

non il corpo come metafora, ma come locus<br />

di attacco, socialmente predisposto, in base<br />

al quale le persone esprimono come regola<br />

ciò che essi si aspettano come esigenze di<br />

altri. E’ un approccio differente rispetto al


corpo metaforico; è un approccio di tipo<br />

più sociologico.<br />

Recentemente ho scritto un saggio con un<br />

giovane medievalista in relazione al fenomeno<br />

della lebbra nel XII secolo in Inghilterra<br />

e in Francia. Siamo partiti da questo<br />

problema: chi era il lebbroso? Ora, secondo<br />

il mio approccio, la lebbra è da considerarsi<br />

un attacco: qualcuno viene accusato di<br />

aver contratto la malattia; e questa è un’accusa<br />

vera e propria, perché il suo effetto, a<br />

metà del XII secolo in Inghilterra e in<br />

Francia, è tale per cui la persona dichiarata<br />

lebbrosa doveva essere segregato dalla società;<br />

non poteva né ricevere, né lasciare in<br />

eredità del denaro; il suo status civile diveniva<br />

fortemente controllato; anzi, non aveva<br />

un suo status e, se era fortunato, poteva<br />

andare in un lebbrosario, altrimenti finiva<br />

sulla strada. La lebbra era considerata fortemente<br />

contagiosa e si pensava che fosse<br />

trasmessa sessualmente - come l’Aids -,<br />

che il lebbroso avesse impulsi sessuali spropositati<br />

e che il suo interesse fosse quello di<br />

contaminare il maggior numero di persone<br />

possibile; era quindi una terribile specie di<br />

outsider. All’epoca, sembra che ci sia stata<br />

una vera e propria epidemia: migliaia di<br />

essi vennero messi in edifici appositi; così<br />

che il tipico atto filantropico dell’epoca<br />

divenne quello di costruire nuovi lebbrosari.<br />

Tuttavia, resta il fatto che non vi era<br />

alcun mezzo per diagnosticare la lebbra.<br />

Per comprendere il fenomeno della lebbra<br />

occorre un’analisi sociologica o antropologica,<br />

che metta a confronto l’atteggiamento<br />

rispetto al corpo e alla lebbra in differenti<br />

periodi storici, in Inghilterra e in Francia,<br />

che sono espressione di differenti visioni<br />

culturali. Alla fine del X secolo, prima<br />

delle Crociate e della minaccia dell’Islam,<br />

pochissimi casi di lebbra furono registrati<br />

in Inghilterra e in Francia; la direzione<br />

dell’accusa era diretta sempre verso l’alto -<br />

un superiore accusato dai suoi subordinati<br />

- ed accadeva che la persona accusata era<br />

oggetto anche di altre accuse - per esempio<br />

di crudeltà verso i sudditi, di appropriazione<br />

indebita di denaro, di cattivo governo.<br />

Ma l’accusa principale rimaneva la lebbra<br />

e nel caso di un largo consenso contro<br />

l’accusato, seguiva la sua rimozione dall’incarico.<br />

L’accusa di lebbra era dunque<br />

un modo di correggere atti di ingiustizia in<br />

una piccola comunità. Il contrasto consiste<br />

nel fatto che alla fine del XII secolo la<br />

direzione dell’accusa cominciò ad andare<br />

in senso opposto e nessuno più della classe<br />

superiore risultò affetto dalla lebbra, ma<br />

solo le classi povere e i meno abbienti.<br />

La prima, la seconda e la terza Crociata<br />

avevano completamente ribaltato il sistema<br />

feudale, gettato i poveri sulla strada ed<br />

eliminato le barriere tra nobiltà e borghesia<br />

con un effetto di grande confusione sociale:<br />

si erano diffusi molto denaro e benessere<br />

nel paese dopo le Crociate, per cui i<br />

ricchi, invece di dare contributi in denaro ai<br />

poveri, li accusavano di lebbra in modo da<br />

non sentirsi più socialmente responsabili<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

nei loro confronti, dal momento che la<br />

lebbra era il male ed essi erano peccatori.<br />

L’accusa si era trasformata nella direzione<br />

opposta rispetto a prima e, tuttavia, nessuno<br />

sapeva nulla sulla lebbra. Ecco un esempio<br />

del mio attuale lavoro sul corpo come<br />

strumento di accusa.<br />

‘Philosophia naturalis’<br />

Nel decennale dell’A.I.S.E. (Associazione<br />

Italiana di <strong>Studi</strong> di Estetica) si è<br />

tenuto a Trento, nei giorni 11 e 12<br />

aprile 1994, il convegno: “SIGNIFICATI E<br />

VALORI DELLA NATURA NEL PENSIERO ESTETI-<br />

CO D’OCCIDENTE E ORIENTE”, organizzato e<br />

coordinato da Maria Grazia Marchianò,<br />

con la collaborazione di Renato<br />

Troncon dell’Università di Trento.<br />

Due le novità proposte al convegno: una<br />

“sezione” dedicata al pensiero orientale e<br />

una di estetica musicale, a testimonianza<br />

del carattere ramificato dell’estetica e della<br />

fecondità delle analogie fra mondi culturali<br />

diversi per lingua, disciplina, civiltà. La<br />

riflessione sull’estetica orientale ha dato<br />

prova della sua variegata geografia e della<br />

sua differenziata topica: l’oriente russo,<br />

l’oriente cinese, l’oriente giapponese...; e<br />

ancora: gli intrecci fra oriente e occidente,<br />

fra epoche e concezioni apparentemente<br />

lontani. L’estetica russa è stata al centro<br />

dell’intervento di Roberto Salizzoni, che<br />

si è occupato di A. Platonov e della sua<br />

ricezione del processo di sovietizzazione<br />

degli anni ’20 e ’30. Chiara Cantelli,<br />

invece, ha discusso il paradosso inerente al<br />

pensiero di Solov’ev: la bellezza è più<br />

diffusa negli esseri inferiori del cosmo e si<br />

presenta come deformità rispetto all’armonia<br />

assoluta di Dio.<br />

Della vitalità della riflessione estetica in<br />

civiltà ancor più remote ha testimoniato<br />

Giangiorgio Pasqualotto, che ha chiarito<br />

le differenze terminologiche e gli usi metaforici<br />

dell’idea di natura nelle grandi tradizioni<br />

del taoismo, polarizzato sul carattere<br />

fisico dell’esperienza naturale, e del buddhismo,<br />

orientato verso una comprensione<br />

intellettuale e mentale. Monica Ferrando<br />

ha invece presentato l’interpretazione metafisica<br />

della pittura, vera e propria depositaria<br />

della creazione dei “possibili” naturali,<br />

nel pensiero di Shitao. In quest’ambito<br />

di ricerca non sono mancate le analisi comparativistiche<br />

fra modelli culturali: Riccardo<br />

Franciolli ha elaborato una rete di<br />

analogie tra la polarità Terra-Mondo in<br />

Heidegger e quella Yin-Yang; Enrico<br />

Giannetto ha sviluppato i punti di convergenza<br />

e di distacco fra la metafisica occidentale<br />

contemporanea e il buddhismo di Tagore;<br />

Francesco Solitario ha seguito le tracce<br />

dell’opera novellistica indiana Pancatantra<br />

(IV-V) nella scrittura leggiadra di un noto<br />

umanista, Agnolo Fiorenzuola, analizzan-<br />

60<br />

do differenze e affinità dei due testi in merito<br />

alla concezione del mondo animale.<br />

Per la sezione di estetica musicale, Enrico<br />

Fubini si è soffermato sull’invito alla natura<br />

- nella duplice accezione di natura del<br />

linguaggio musicale e di natura percettivopsicologica<br />

dell’ascoltatore - nel linguaggio<br />

musicale del Novecento. Luciana Galliano<br />

ha sottolineato l’opposizione fra suono<br />

e rumore nella cultura occidentale e ha<br />

operato un raffronto con la musica orientale,<br />

in particolare quella giapponese. Michele<br />

Garda ha tracciato l’itinerario dell’estetica<br />

del sublime letterario e del sublime<br />

musicale nell’estetica inglese e tedesca<br />

del Settecento.<br />

Tra gli interventi caratterizzati da una correlazione<br />

tra piano storico delle ricerche e<br />

piano trasversale degli interrogativi teorici,<br />

Renato Troncon ha propugnato una<br />

riflessione estetica che sappia render conto<br />

non tanto delle ragioni, quanto dei caratteri<br />

delle cose inanimate; mentre Elio Franzini<br />

ha presentato una riflessione personale,<br />

incentrata sul tema dell’ “intenzionalità<br />

fungente”, di origine husserliana, e sull’idea<br />

di artisticità come interpretazione<br />

della natura, a partire dalle modalità qualitative<br />

della descrizione. Luisa Bonesio ha<br />

invece ribadito la necessità di restituire<br />

“verticalità” all’immagine della Terra in<br />

una dimensione cosmica, per sottrarla allo<br />

svuotamento e alla desertificazione della<br />

riflessione contemporanea; laddove Paolo<br />

D’Angelo ha vagliato motivi e paradossi<br />

dell’ “estetica ecologica” contemporanea<br />

(tedesca e americana).<br />

Non sono mancati i raffronti e gli “scorci”<br />

intesi a esemplificare le inquietudini e i<br />

motivi teorici di un’epoca o di una tradizione<br />

di pensiero. In tal senso, Stefano Benassi<br />

ha analizzato la problematica dell’armonia<br />

estetico-etica nell’età rinascimentale;<br />

Maurizio Ferraris ha analizzato il nodo<br />

fra produzione e riproduzione nell’immaginazione,<br />

individuando due grandi tradizioni<br />

moderne, l’una identificabile nella<br />

“pista” associazionistica, l’altra orientata a<br />

evidenziare il carattere innovativo dell’analogia;<br />

Annamaria Contini ha sviluppato i<br />

rapporti fra organico e meccanico in seno al<br />

positivismo francese, soffermandosi in particolare<br />

su Guyau e Séailles; Reimar Klein<br />

ha ripercorso alcuni momenti del pensiero<br />

filosofico e letterario tedesco, Goethe, i<br />

romantici, Benjamin e Adorno, individuando<br />

come motivo sotterraneo la ricerca<br />

di una lingua della natura depositata nella<br />

storia; Marco Macciantelli ha esaminato<br />

l’intreccio fra simbolo e sublime, da Burke<br />

alle poetiche simboliste; Giovanna Pinna<br />

ha affrontato il nodo fra autonomia del<br />

giudizio estetico e modello organico nella<br />

riflessione sul bello naturale nell’idealismo<br />

tedesco; Federico Vercellone, infine,<br />

ha proposto il problema cruciale quello<br />

dell’individualità attraverso le figure di<br />

Goethe e di Novalis.<br />

Alcuni interventi hanno potuto porsi in<br />

“dialogo” l’uno con l’altro: così, Elena


Tavani, Carlo Gentili, e Elio Matassi<br />

hanno presentato le loro ricerche sul pensiero<br />

di Adorno. Tavani ha insistito sull’alleanza<br />

fra “naturale” e “estetico” in Adorno<br />

come istanza critica e trascendente in<br />

vista dell’esperienza individuale e attiva<br />

nel corso del mondo; Matassi ha interpretato<br />

la “seconda natura” in Adorno come<br />

“caducità” esclusa dal movimento dialettico,<br />

affrontando il rapporto tra Hegel e Adorno;<br />

Gentili ha invece connesso le osservazioni<br />

di Adorno e di Horkheimer sui miti<br />

dell’Odissea con l’interpretazione nietzscheana<br />

del mito di Edipo.<br />

Altri oratori si sono concentrati sulla figura<br />

e l’opera di Kant, di cui Gianluca Garelli<br />

ha affrontato il tema della melanconia; di<br />

Addison, di cui Giuseppe Patella ha analizzato<br />

il rapporto fra gusto, arguzia e piacere<br />

in merito all’immaginazione; di Leopardi,<br />

di cui Franco Rella ha voluto mettere<br />

in risalto la riflessione sul carattere<br />

“silvestre” della natura tesa fra un troppo<br />

pieno e l’annientamento; di Heidegger, di<br />

cui Caterina Resta ha ripreso il tema della<br />

“physis”; di Schelling, di cui Tonino Griffero<br />

ha analizzato le due coppie proporzionali,<br />

pianeti-comete e Antichi-Moderni; di<br />

Jakob Boehme, di cui Flavio Cuniberto<br />

ha interpretato la nozione di “paesaggio<br />

primordiale”. Infine, Leonardo Amoroso<br />

ha sottolineato il ruolo di Fedro nel dialogo<br />

omonimo di Platone; Clementina Gily<br />

Reda ha ricordato il pensiero estetico di<br />

Remo Cantoni.<br />

Altri oratori si sono concentrati sul rapporto<br />

fra arti figurative, estetica e retorica.<br />

Giorgio Maragliano ha evidenziato la rottura<br />

effettuata da Winckelmann nel campo<br />

della ekphrasis, descrivendo il corpo<br />

umano come fosse un paesaggio; Roberto<br />

Diodato ha presentato, in riferimento a un<br />

quadro di Vermeer, le analogie fra il pittore<br />

e Spinoza inerenti alla comune valutazione<br />

del finito, se non del “quotidiano”; Fosca<br />

Mariani Zini ha evocato il ruolo della<br />

leggiadria nel Rinascimento italiano e ha<br />

ricordato l’importanza per l’estetica dell’opera<br />

di Francesco Colonna Hypnerotomachia<br />

Poliphili ; Fausto Testa si è soffermato<br />

sull’idea di giardino in Leonardo,<br />

analizzando il testo e l’immagine del foglio<br />

W.12591 di Windsor. F.M.Z.<br />

La riforma di Lutero<br />

Dall’11 al 15 aprile 1994, presso l’Istituto<br />

Italiano per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong><br />

di Napoli, Bruno Forte, della Pontificia<br />

facoltà Teologica dell’Italia Meridionale<br />

(Napoli), ha tenuto un Seminario<br />

dal titolo: “INITIA LUTHERI - INITIA<br />

REFORMATIONIS”.<br />

Come ha sottolineato Bruno Forte in apertura<br />

dei lavori, lo scopo del seminario è<br />

stato di sviluppare una storia della Rifor-<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

ma, della Controriforma e dell’apologia<br />

luterana, avvalendosi, oltre che dei testi<br />

tradizionalmente in uso per lo studio di<br />

Lutero, anche dei Dictata super psalterium,<br />

pressoché ignorati dalla tradizione.<br />

Nei testi sacri, ha osservato Forte, Lutero<br />

cerca la risposta alla domanda vera, quella<br />

che dia un senso alla sua vita e risponda al<br />

suo bisogno di grazia e di luce, la domanda<br />

sulla salvezza. Ciò che, secondo Forte,<br />

caratterizza i “Commenti” luterani alle<br />

Scritture è il profondo coinvolgimento esistenziale<br />

che si avverte dalla loro lettura:<br />

l’ermeneutica di Lutero, in tal senso, può<br />

essere interpretata come una riappropriazione<br />

esistenziale della parola di Dio nettamente<br />

contrapposta ad una visione legalistica<br />

della fede che il teologo tedesco rifiuta<br />

fermamente. Nell’Evangelo, Lutero scopre<br />

che la salvezza non è in se stessi, ma è<br />

piuttosto apertura all’altro.<br />

Dei quattro sensi interpretativi (letterario,<br />

allegorico, tropologico e anagogico) Lutero,<br />

nella sua interpretazione delle Scritture,<br />

privilegia quello allegorico (oggettivo) e<br />

quello tropologico-morale (soggettivo), finendo<br />

poi coll’accordare al secondo una<br />

netta preferenza. L’allegorico ha, tuttavia,<br />

valore soltanto in rapporto al tropologico:<br />

ciò che Dio dice è ciò che dice a me, e che mi<br />

dà la forza di uscire da me per ritrovarmi in<br />

Dio. Se, dunque, ha rilevato Forte, tutto sta<br />

nell’incontro con l’alterità dell’altro, la realtà<br />

vera sta nell’attesa, e quella luterana appare<br />

come nient’altro che un’ontologia dell’attesa:<br />

la vita è domanda, invocazione, dinamismo;<br />

è, in una parola, attesa della grazia.<br />

Nell’interpretazione dei testi, e in particolare<br />

nei Dictata, Lutero si rifà continuamente<br />

alla condizione esistenziale dell’uomo<br />

e l’attesa della salvezza ne appare come<br />

l’elemento caratterizzante. Secondo Forte,<br />

Lutero è il teologo del vissuto; le sue domande<br />

sono vere e le sue risposte non<br />

possono che essere vere, tratte cioè dall’esperienza<br />

reale. La verità sta nell’incontro<br />

con l’alterità e la salvezza si realizza<br />

proprio nella scoperta di questa verità. Ma<br />

la strada che conduce alla salvezza non è<br />

priva di insidie: il pericolo maggiore è<br />

rappresentato dalla negazione dell’alterità<br />

e affermazione della soggettività che conduce<br />

inevitabilmente al nulla.<br />

Esiste, si chiede Lutero, una possibilità di<br />

salvare la vita, di renderla giusta e quindi<br />

degna di essere vissuta? La risposta sta nel<br />

processo della giustificazione, che Lutero<br />

identifica proprio con la redenzione dal<br />

nulla. La giustificazione, ha osservato Forte,<br />

è un processo altamente dialettico, costituito<br />

dai tre momenti fondamentali della<br />

tesi, dell’antitesi e della sintesi. La tesi è<br />

rappresentata dal cosiddetto “naufragio”, e<br />

cioè dall’esperienza che l’uomo fa del proprio<br />

nulla, il cui risultato è la presa di<br />

coscienza della necessità di aprirsi all’altro,<br />

che Forte ha definito come la «coscienza<br />

dell’ontologia dell’attesa, del nulla che<br />

siamo», e che avviene in primo luogo attraverso<br />

l’umiltà di Dio: che si è umiliato, si è<br />

61<br />

nientificato per far sì che il mondo esistesse.<br />

La redenzione dal nulla, la salvezza,<br />

non sta dunque nel merito, che è sempre e<br />

comunque merito di Dio, dell’Altro, ma<br />

piuttosto nella grazia divina che permette<br />

all’uomo di prendere coscienza del proprio<br />

nulla e della necessità di offrirsi a Dio per<br />

la propria salvezza. Il secondo momento<br />

del processo della giustificazione, ha proseguito<br />

Forte, è il giudizio di Dio, che<br />

scopre e rivela ciò che l’uomo è, mettendo<br />

a nudo il suo essere e facendogli prendere<br />

coscienza del fatto che nulla è utile alla<br />

propria salvezza se non Dio. Terzo e ultimo<br />

momento del processo è la Iustitia Dei,<br />

per cui il nostro nulla, sperimentato nel<br />

naufragio e messo a nudo dal giudizio<br />

divino, viene sottoposto alla grazia di Dio,<br />

attraverso la quale si realizza la redenzione<br />

dell’uomo.<br />

Questo concetto della giustizia divina è<br />

ripreso da Lutero anche nel “Commento”<br />

alla Lettera ai Romani, in cui tema centrale<br />

è di nuovo l’incontro dell’umano e del<br />

divino nell’evento della giustificazione. Il<br />

peccato assume in questo “Commento”<br />

una veste del tutto nuova. In questa nuova<br />

prospettiva il nulla appare non come semplice<br />

negazione, ma piuttosto come fascino,<br />

come amore dell’errore e delle tenebre:<br />

si tratta, come ha affermato più volte Forte,<br />

di una concezione rivoluzionaria, che inaugura<br />

l’età moderna. L’uomo, di fronte al<br />

giudizio divino, ha fatto notare Forte, è<br />

esso stesso peccato, perché è esso stesso il<br />

nulla al quale tende. Sorge qui la questione<br />

della predestinazione, che Lutero, come<br />

Agostino, non risolve: ogni uomo è attratto<br />

dal peccato e può salvarsi soltanto attraverso<br />

il processo della giustificazione divina.<br />

Lutero elabora a questo proposito la dottrina<br />

del “simul iustus et peccator”, per cui il<br />

peccato diventa un momento del processo<br />

della giustificazione: non si può fare esperienza<br />

della grazia se prima non si fa esperienza<br />

del male e l’uomo giustificato resta<br />

un peccatore anche se è giusto. Con questo<br />

Lutero non nega, ha osservato Forte, che le<br />

opere prodotte dall’uomo abbiano un certo<br />

valore e una certa consistenza, ma nega<br />

fermamente che l’uomo abbia la possibilità<br />

di autoredimersi. L’unica opera umana<br />

che abbia una funzione attiva nel processo<br />

della giustificazione è il totale abbandono,<br />

la resa incondizionata a Dio, la presa di<br />

coscienza del proprio nulla e quindi il<br />

consapevole riconoscimento dell’ontologia<br />

dell’attesa.<br />

Secondo Forte, Lutero non dice nulla di<br />

nuovo; la novità sta piuttosto nel fatto che<br />

Lutero si riappropria delle Scritture in chiave<br />

esistenziale. La stessa Controriforma,<br />

che sarà avviata dal Concilio di Trento,<br />

dimostra, in realtà, secondo Forte, una sostanziale<br />

identità di vedute tra Lutero e<br />

Trento: tutta la controversia sarebbe nata,<br />

secondo Forte, da una diversità ermeneutico-linguistica<br />

che è quella su cui si è posta<br />

tutta l’incomprensione tra Lutero e il Concilio<br />

tridentino. G.M.


Nietzsche: tra filologia<br />

e filosofia<br />

Al Nietzsche dei nietzscheani e degli<br />

anti-nietzscheani, del culto deteriore,<br />

della leggenda si deve contrapporre il<br />

Nietzsche che emerge dal lavoro di ricerca<br />

storica e filologica, messo al riparo<br />

dalle semplificazioni e dalle tentazioni<br />

dell’immediatezza. Questo l’intento<br />

complessivo di un seminario dal titolo:<br />

“FRIEDRICH NIETZSCHE, A CENTOCINQUAT’ANNI<br />

DALLA NASCITA”, tenutosi a Pisa da febbraio<br />

a maggio del 1994, in occasione<br />

dei 150 anni della nascita del filosofo.<br />

La serie cadenzata dei vari incontri si è<br />

presentata come un percorso di riflessione<br />

su vari temi di più studiosi, che da<br />

diverse prospettive hanno trovato e<br />

riconosciuto nell’edizione critica dell’opera<br />

completa di Nietzsche, intrapresa<br />

da Giorgio Colli e Mazzino Montinari,<br />

uno strumento essenziale per un<br />

percorso di lavoro e per un viaggio di<br />

scoperta ancora aperto su un periodo<br />

storico e culturale molto importante.<br />

Come ha sottolineato nella sua prolusione<br />

Giuliano Campioni, uno degli organizzatori<br />

del convegno, questa serie di seminari<br />

dedicati a Nietzsche ha voluto essere anche<br />

un omaggio all’opera di Colli e Montinari,<br />

che a Pisa si sono formati e hanno operato<br />

e insegnato. La prospettiva metodologica<br />

Friedrich Nietzsche (1867)<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

di Colli e Montinari, ha osservato Campioni,<br />

non si presenta come una soluzione<br />

definitiva al problema Nietzsche, e ai problemi<br />

di Nietzsche, ma come coscienza<br />

della complessità del fenomeno Nietzsche<br />

e dell’attuale impossibilità di una sintesi<br />

del suo pensiero che si sottragga ad un<br />

totale, quanto falsante prospettivismo. Al<br />

contempo, si rendeva necessario fare chiarezza<br />

sugli effettivi contenuti di questo<br />

pensiero, che possono essere evidenziati<br />

solo da un costante e puntuale esame dei<br />

suoi scritti e da un’attenta ricostruzione<br />

della fitta rete di relazioni e di rimandi, di<br />

cui questi sono intessuti.<br />

Nel primo appuntamento, Domenico Maria<br />

Fazio ha passato in rassegna fortune e<br />

sfortune critiche dell’opera di Nietzsche in<br />

Italia, mettendo in risalto come la ricezione<br />

italiana, soprattutto agli inizi del secolo, sia<br />

stata condizionata da una scarsa e molto<br />

approssimativa conoscenza dei testi. Nonostante<br />

ciò, ha osservato Fazio, l’Italia è<br />

stato uno dei paesi in cui il dibattito nietzscheano<br />

si è acceso con maggior fervore,<br />

dal tentativo di Croce di lettura idealistica<br />

di Nietzsche in chiave estetica, al “filosofare<br />

con Nietzsche” di Papini e Prezzolini.<br />

La fine della Grande Guerra e il conseguente<br />

antigermanesimo portarono a una<br />

rivalutazione dell’aspetto letterario e stilistico<br />

delle opere di Nietzsche ad opera di<br />

Gozzano e di Campana. Solo nel 1926,<br />

grazie all’editore Monanni, si ebbe la pri-<br />

62<br />

ma edizione italiana “completa” delle opere,<br />

sulla base della Taschenausgabe del 1906,<br />

che comprendeva solo le opere principali,<br />

inclusa un’edizione filologicamente infondata<br />

e non curata della Volontà di potenza.<br />

Contrariamente a quanto si può pensare, il<br />

Fascismo dedicò a Nietzsche un’attenzione<br />

molto relativa. Per contro, verso la metà<br />

degli anni Trenta si diffuse, ad opera di A.<br />

Banfi, un’interpretazione antifascista di<br />

Nietzsche, incentrata sull’antidogmatismo<br />

e sul libertarismo del suo pensiero. Con<br />

l’arrivo in Italia delle interpretazioni di<br />

Jaspers, Heidegger e Löwith, seguite e riprese<br />

dalle letture fenomenologico-esistenzialiste<br />

di Pareyson e di Paci, finisce in<br />

Italia l’epoca delle strumentalizzazioni a<br />

sfondo sociale e politico e si apre la possibilità<br />

di una comprensione più autentica e<br />

profonda del pensiero di Nietzsche.<br />

I problemi etici e tecnici connessi al lascito<br />

letterario (Nachlass) di Nietzsche sono stati<br />

invece al centro della conferenza di David<br />

Marc Hoffman, coeditore dell’edizione<br />

completa Steiner delle opere di Nietzsche,<br />

che ha affrontato esplicitamente il<br />

problema della liceità di una sorta di voyerismo<br />

psicologico, che si esercita sulle testimonianze<br />

intime della vita di un autore e<br />

che non necessariamente aggiungono qualcosa<br />

al suo valore teorico o letterario. In<br />

questo, ha osservato Hoffman, è responsabile<br />

il curatore che deve mettere il pubblico<br />

in grado di ponderare i differenti tipi di<br />

testo e coglierne il valore specifico per la<br />

comprensione dell’autore. In questo contesto,<br />

il caso del Nachlass nietzscheano assume<br />

un valore esemplare, in particolare per<br />

quanto riguarda la Volontà di potenza, che<br />

come è noto fu costruita arbitrariamente<br />

dai suoi curatori, in primis dalla sorella<br />

Elisabeth. In direzione del tutto diversa si<br />

muove l’edizione Colli-Montinari, che usa<br />

il principio ordinatorie della cronologia,<br />

distinguendo tra frammenti e stesure preparatorie.<br />

Per quanto riguarda le lettere,<br />

Montinari ha coscientemente contravvenuto<br />

alle indicazioni di Nietzsche, ma non ha<br />

trascurato di riferirsi alle conseguenze per la<br />

ricezione e accetta la colpa dell’indiscrezione<br />

senza però mancare di mettere in guardia<br />

il lettore sul tipo di operazione compiuta.<br />

Un punto di contatto tra Nietzsche e Spencer<br />

è stato individuato da Andrea Orsucci<br />

nel suo seminario, che ha evidenziato come<br />

Nietzsche si sia servito delle nozioni etnologiche<br />

contenute nell’Etica e nei Principi<br />

di Sociologia di Spencer, per la formulazione<br />

di alcune analisi sull’origine dei concetti<br />

morali nella Genealogia della Morale.<br />

Il rapporto di Nietzsche con la filosofia<br />

preplatonica è stato al centro di un seminario<br />

a due voci, tenuto da Paolo D’Iorio e da<br />

Francesco Fronterotta. Prendendo in considerazione<br />

l’attività filologica del giovane<br />

Nietzsche, Fronterotta ha osservato, da un<br />

punto di vista metodologico, come Nietzsche<br />

invitasse a diffidare costantemente e<br />

regolarmente delle eccessive e artificiali<br />

coincidenze nelle cronologie antiche e a


valutare i dati cronologici attraverso una<br />

rigorosa verifica della tradizione dossografica;<br />

una conquista di metodo molto innovativa<br />

per quei tempi, che fu avversata ad<br />

esempio, da Diels. Da un punto di vista<br />

storico, ha aggiunto Fronterotta, Nietzsche<br />

intendeva operare un’analisi delle diverse<br />

fasi della storiografia greca per esprimere<br />

una valutazione complessiva; di qui la valutazione<br />

dei preplatonici come figure indipendenti<br />

che non intrattengono tra loro<br />

rapporti di scuola o personali.<br />

Secondo D’Iorio, le opere dedicate ai filosofi<br />

preplatonici permettono di chiarire come il<br />

periodo “mitico - wagneriano” appaia in<br />

Nietzsche come una parentesi all’interno<br />

della ricerca sul problema della conoscenza.<br />

La tensione tra questi due momenti del suo<br />

pensiero, la si può rintracciare, per D’Iorio,<br />

nel rapporto di antitesi che intercorre tra La<br />

Nascita della Tragedia e La Filosofia nel-<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

Friedrich Nietzsche tra le braccia della sorella Elisabeth Förster Nietzsche<br />

l’epoca tragica dei Greci. La prima è legata<br />

all’ideologia mitico-comunitaria di<br />

Bayreuth; la seconda, influenzata dalla<br />

lettura della Storia del Materialismo di<br />

Lange e preparata da alcuni cicli di lezioni<br />

sui Filosofi preplatonici, tenuti dal 1872 al<br />

1876, si rivela pervasa d’amore per una<br />

concezione del sapere scientifico antimetafisico<br />

ed iconoclasta, rappresentato in<br />

modo eminente nella figura di Democrito.<br />

Il tentativo di sintesi dei due punti di vista<br />

nel saggio Su verità e menzogna in senso<br />

extramorale, in cui scienza e arte vengono<br />

ricondotte alla comune radice metaforica e<br />

illusoria, si rivela, secondo D’Iorio, inefficace<br />

e Nietzsche abbandonerà i suoi studi<br />

sui presocratici, per dedicarsi a temi più<br />

utili alla causa di Bayreuth, che tuttavia, di<br />

lì a qualche anno, abbandonerà definitivamente<br />

per riprendere il filone “democriteo”<br />

e volterriano della ricerca sulla conoscenza.<br />

63<br />

Del giovane Nietzsche si sono occupati<br />

anche Roberto Venuti, che ha evidenziato<br />

i rapporti tra Nietzsche e Schiller, riguardo<br />

alla considerazione della tragedia e del<br />

mito nella classicità, quali emergono ne La<br />

Nascita della tragedia, e Luigi Alfieri, che<br />

ha invece posto l’accento sul pensiero politico<br />

giovanile di Nietzsche, delineando la<br />

possibilità di darne una lettura antiautoritaria,<br />

contrassegnata da forti accenti anarchici<br />

e religiosi.<br />

Al pensiero politico di Nietzsche si è rivolto<br />

anche Urs Marti, che ha presentato una<br />

proposta interpretativa della teoria del superuomo<br />

in senso democratico. Nell’anelito<br />

verso l’uomo superiore, elemento germinativo<br />

della teoria del superuomo, si esprime il<br />

sogno di un nuovo tipo di uomo che si elevi<br />

al disopra dei concetti morali convenzionali.<br />

Secondo Marti, il concetto nietzscheano dell’uomo<br />

superiore «tradisce effettivamente


l’influsso della letteratura francese e questa<br />

letteratura a sua volta rispecchia diverse possibilità<br />

di contrasto con la democratizzazione<br />

della società francese».<br />

Al tema del rapporto tra Nietzsche e la<br />

cultura francese si riallaccia anche Giuliano<br />

Campioni, il quale ha indicato nella<br />

cultura parigina del naturalismo e della<br />

fisiologia il terreno su cui nasce la nozione<br />

di décadence, impiegata da Nietzsche per<br />

definire l’arte di Wagner e tutta la cultura<br />

della modernità fin de siècle. Autori quali<br />

Bourget, i Goncourt, Balzac, Flaubert, Renan,<br />

forniscono a Nietzsche gli strumenti<br />

per una concezione della décadence intesa<br />

come malattia, insubordinazione delle parti<br />

al tutto, degenerazione, incapacità di<br />

dominare la contraddizione dei molti istinti<br />

e dare forma alle forze contrastanti che<br />

agiscono all’interno della personalità e della<br />

società. La malattia della modernità è il<br />

dominio del milieu, della massa priva ogni<br />

disciplina e dominio. Al tipo della décadence,<br />

prodotto necessario dell’azione plasmatrice<br />

del milieu, Nietzsche oppone i grandi<br />

uomini del passato, Cesare, Napoleone,<br />

espressione autentica della volontà di potenza,<br />

intesa come autodisciplina e volontà di<br />

dare forma al caos interiore degli istinti.<br />

Dopo un ricco e complesso excursus sulla<br />

cultura tedesca del primo novecento Franco<br />

Volpi ha analizzato l’interpretazione di<br />

Heidegger della Volontà di potenza, ricostruendo<br />

i riferimenti testuali adoperati dal<br />

filosofo di Essere e tempo e alcuni problemi<br />

critici insiti nella sua interpretazione del<br />

pensiero nietzscheano.<br />

Un preciso resoconto tecnico sul lavoro<br />

filologico svolto sul Nachlass nella ricerca<br />

delle fonti e degli influssi che hanno<br />

contribuito alla stesura dello Zarathustra<br />

è stato presentato da Marie-Luise Haase,<br />

che ha sottolineato come il lavoro filologico<br />

sui frammenti postumi e sulle fonti<br />

contribuisca a restituire l’esatto valore del<br />

pensiero di Nietzsche, eliminando le possibilità<br />

di abuso o di interpretazioni avventuristiche,<br />

e a collocarlo con sempre maggiore<br />

precisione all’interno del tessuto<br />

culturale della sua epoca.<br />

Prendendo in esame la ricezione della Nascita<br />

della tragedia nella letteratura tedesca<br />

di fine secolo, Karl Pestalozzi ha messo<br />

in luce un momento fondamentale della<br />

nascita dell’epoca moderna in Germania<br />

alla fine del XIX secolo, mostrando l’influenza<br />

di Nietzsche su alcuni artisti tedeschi<br />

“moderni”, quali Hoffmansthal, Hauptmann,<br />

Rilke. I poeti a cavallo tra il diciannovesimo<br />

ed il ventesimo secolo lessero La<br />

Nascita della Tragedia di Nietzsche come<br />

poetica, a partire dalla quale intesero e<br />

legittimarono la loro poesia, generalizzando<br />

il titolo dell’opera nietzscheana in “La<br />

nascita della poesia dallo spirito della musica”.<br />

L’origine della poesia risiedeva al di<br />

là dell’individualità della quale erano coscienti;<br />

in essa si manifestava qualcosa di<br />

immanentemente divino.<br />

L’opera giovanile di Nietzsche assegnò ai<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

poeti anche una particolare collocazione<br />

storico-filosofica e il relativo compito, cioè<br />

quello che egli aveva concepito per Wagner,<br />

che consisteva nel porre termine all’epoca<br />

socratica, esercitando una critica della letteratura<br />

e delle società vigenti in quanto socratiche,<br />

o unilateralmente apollinee. S. F.<br />

Viaggio<br />

come esperienza religiosa<br />

Nell’ambito di un ciclo di lezioni sul<br />

tema dello spazio sacro e del viaggio<br />

nell’esperienza religiosa, organizzato<br />

dal Centro <strong>Studi</strong> Religiosi della Fondazione<br />

San Carlo di Modena nell’ultimo<br />

biennio di attività (ottobre 1992-aprile<br />

1994), ha avuto luogo dal 7 ottobre<br />

1993 al 14 aprile 1994 il secondo ciclo di<br />

lezioni dal titolo: “IN CAMMINO VERSO DIO.<br />

LA METAFORA DEL VIAGGIO NELL’ESPERIENZA<br />

RELIGIOSA”, che ha visto la partecipazione<br />

di Raimon Panikkar, Filippo Gentiloni,<br />

Amalia Pezzali, Ermenegildo Manicardi,<br />

Paolo Branca, Anna Maria Leonardi,<br />

Franco Cardini, Erminia Macola,<br />

Gianni Celati, Severino Dianich.<br />

Da sempre il tema del “luogo sacro” è stato<br />

oggetto di studio, dai classici della ricerca<br />

fenomenologica - Rudolf Otto, Mircea Eliade<br />

- al semplice uomo di fede. Con questi<br />

presupposti prendeva avvio il primo ciclo<br />

di lezioni, dal titolo: “I paesaggi del sacro”,<br />

proponendo interventi di Armido Rizzi,<br />

Paolo Branca, Paolo De Benedetti, Sergio<br />

Ribichini, Giuseppe Barbaglio, Pierangelo<br />

Sequeri, Filippo Gentiloni, Aldo Natale<br />

Terrin, Franco La Cecla, Paolo Ricca.<br />

Il secondo ciclo di lezioni ha affrontato la<br />

metafora del viaggio, utilizzata nelle varie<br />

religioni, in Occidente come in Oriente, per<br />

rendere evidente la ricerca di Dio da parte<br />

dell’uomo e anche l’apertura tra l’umanità<br />

ed il sacro. Il primo incontro, di taglio<br />

metodologico, è stato condotto dal teologo<br />

e filosofo Raimon Panikkar, che ha mostrato<br />

l’ampio uso di questa metafora. Due<br />

diversi codici del viaggiare sono stati presentati<br />

da Filippo Gentiloni: quello di Ulisse,<br />

che viaggia per poi ritornare a casa e ha<br />

sempre ben presente la meta; e quello di<br />

Abramo, che rappresenta «l’uomo che se<br />

ne va; ma non sa bene dove arriverà», per il<br />

quale la fede è sempre “un camminare”,<br />

seguendo l’indicazione di un dito, secondo<br />

una concezione storica del viaggio - tutta la<br />

Bibbia, peraltro, narra esperienze di percorsi<br />

(l’uscita dall’Egitto, il vagare nel deserto,<br />

l’esilio...). Altre figure di viaggiatori<br />

prese in considerazione sono state Gautama<br />

Siddharta, Buddha e il suo cammino<br />

spirituale per il raggiungimento del nirvana,<br />

la “rottura” con il ciclo delle rinascite,<br />

di cui si è occupata Amalia Pezzali; Gesù,<br />

annunciatore itinerante del Regno, ma anche<br />

“via, verità e vita”, come ha mostrato<br />

64<br />

Ermenegildo Manicardi, mettendo in evidenza<br />

come tutto ciò che riguarda il cammino<br />

di Gesù non sia circoscrivibile solo alla<br />

sua esistenza storica, ma, abbracciando la<br />

Risurrezione, coinvolga anche ogni uomo.<br />

L’Islam, su cui si è soffermato Paolo Branca,<br />

si propone di dare, anche in senso<br />

morale, una direzione al muoversi dell’uomo,<br />

del beduino; nella Sura che apre il<br />

Corano si legge: «Indicaci la via!». Dal<br />

punto di vista fisico e geografico, La Mecca<br />

testimonia la disposizione dell’uomo a<br />

seguire Dio; e inoltre, il pellegrinaggio costituisce<br />

uno dei cinque pilastri della fede.<br />

Avvincente anche l’esempio dell’itinerario<br />

dantesco nei regni dell’oltretomba, proposto<br />

da Anna Maria Chiavacci Leonardi; così<br />

come l’immagine del pellegrino medievale,<br />

offerta da Franco Cardini, che ha fatto<br />

notare come il pellegrino vuole toccare con<br />

mano la presenza di Dio nella storia, andando<br />

da un luogo profano a un luogo sacro; in<br />

realtà, tutta la vita è un pellegrinaggio e il<br />

passaggio da uno stato all’altro è da intendersi<br />

come metanoia interiore.<br />

Alle esperienze di viaggio dei grandi mistici<br />

ha fatto riferimento Erminia Macola.<br />

Nel viaggio che avviene di notte, secondo<br />

l’esperienza di Giovanni della Croce, ci si<br />

perde per ritrovarsi in un processo profondo<br />

di identificazione: «per essere ciò che<br />

non sono, devo andare per dove non sono».<br />

La strada è oscura, buia; i pericoli sono le<br />

abitudini, che bisogna abbandonare per<br />

«correre con leggerezza verso Dio, prenderlo<br />

e stringerlo senza lasciarlo andare».<br />

Teresa d’Avila, invece, fece dell’anoressia,<br />

di cui soffrì, la risposta letterale al<br />

dettato dei testi ascetici: il cibo e il sonno<br />

non sono che una perdita di tempo; molto<br />

più proficuo è non mangiare e rimanere<br />

nell’attesa della venuta di qualcosa/qualcuno<br />

(ostia, cibo divino) che doni la vera vita.<br />

Gianni Celati ha invece parlato dell’avventura<br />

poetica di Rilke come esperienza mistica<br />

di illuminazione a partire da una sua<br />

traduzione originale delle Elegie duinesi.<br />

All’elemento di novità - indice di movimento<br />

ed ansia - introdotto da Gesù, che<br />

paragona il Regno di Dio al sale ed al<br />

lievito, ha fatto riferimento Severino Dianich,<br />

mostrando come questa espressione<br />

rimandi sempre ad un’ulteriorità, ad<br />

un’aspirazione. Il Regno è dunque un orizzonte<br />

in cui possono essere iscritte mete<br />

diverse; qualsiasi movimento sarebbe deviante<br />

se non rientrasse in questo orizzonte,<br />

che «è già, ma deve ancora venire» Sia<br />

la “fuga dal mondo” nella vita contemplativa,<br />

travalicando la storia, sia l’impegno<br />

per rendere la vita sulla terra più umana<br />

sono mete che devono essere iscritte nell’orizzonte<br />

del Regno e delle sua venuta ed<br />

il progresso terreno non fa che accelerare la<br />

discesa definitiva dal cielo della città santa,<br />

la nuova Gerusalemme.<br />

Il complesso degli interventi verrà raccolto<br />

in forma rielaborata e pubblicato nella<br />

collana «Punti critici» della Fondazione<br />

San Carlo. B.S.


Avventure delle verità:<br />

da Hegel a Goodman<br />

Il corso di aggiornamento e perfezionamento<br />

in discipline storico-filosofiche<br />

organizzato dal novembre 1993 al<br />

marzo 1994 dall’Istituto Suor Orsola<br />

Benincasa di Napoli ha avuto come<br />

tema: “LA FILOSOFIA CONTEMPORANEA. STO-<br />

RIA DELLA STORIOGRAFIA FILOSOFICA”. Il<br />

Corso, inaugurato da Vittorio Mathieu<br />

e Francesco M. De Sanctis, ha visto la<br />

partecipazione di Valerio Verra, Lucio<br />

D’Alessandro, Franco Volpi, Carlo Sini,<br />

Aldo G. Gargani, Maurizio Ferraris,<br />

Aldo Trione, Domenico A. Conci, Vincenzo<br />

Vitiello, Enrico Berti, Giuseppe<br />

Limone, Evandro Agazzi, Remo Bodei,<br />

Saverio Maffettone, Francesco Moiso,<br />

Salvatore Veca.<br />

Secondo Valerio Verra (“La dialettica nella<br />

cultura filosofica contemporanea”), è necessario<br />

smentire l’apparente “eclisse” della<br />

dialettica, mostrandone invece la presenza<br />

sotterranea in tutta la filosofia del Novecento.<br />

La dialettica fenomenologica hegeliana<br />

ha rivoluzionato la filosofia, dimostrando<br />

che tutto è da considerarsi in rapporto<br />

alla coscienza, rovesciata rispetto a<br />

se stessa. La dialettica logica, che comporta<br />

l’identità di filosofia e storia della filosofia,<br />

non è poi, secondo Verra, così lontana<br />

dall’ermeneutica, dato che Gadamer condivide<br />

con Hegel l’idea che la verità non si<br />

possa esprimere attraverso la proposizione<br />

ed entrambi presuppongono un processo<br />

necessario di integrazione delle varie posizioni<br />

concettuali o di fusione di orizzonti.<br />

Maurizio Ferraris (“Deduzione di una<br />

storia dell’ermeneutica”), ha proposto un<br />

modo di uscire da quel “miraggio della<br />

fine” che sembra accompagnare l’universalizzazione<br />

dell’ermeneutica. L’esistenza<br />

di una tradizione scritta, di una distanza<br />

temporale e di un linguaggio dimostrano<br />

che tutto è mediato, che non esiste alcuna<br />

origine semplice. Gli sviluppi della filosofia<br />

da Kant a Husserl e Heidegger indicano<br />

che l’evidenza e l’immediatezza sono sempre<br />

effetto di una costituzione, di una mediazione.<br />

Dunque, anche l’attesa del nuovo<br />

avviene sempre nell’orizzonte aperto della<br />

tradizione. All’idea della fine della storia o<br />

del senso della storia, che circola oggi con<br />

il nome di post-storia, non crede affatto<br />

Romeo Bodei (“La post-storia”). Ciò a cui<br />

si assiste, ha fatto notare Bodei, è piuttosto<br />

lo sgretolamento della congiunzione tra<br />

storia e utopia realizzatasi alla fine del<br />

Settecento, quando, con l’ “ucronia” (2440,<br />

di Louis-Sébastien Mercier, è il primo<br />

romanzo ucronico), la società perfetta viene<br />

collocata nel futuro, nella storia. Questa<br />

trasformazione dette alla storia un telos e<br />

all’utopia l’aggancio alla realtà. Oggi, che<br />

l’orizzonte storico si presenta contratto, il<br />

futuro, per Bodei, appare più come una<br />

minaccia che come una promessa.<br />

Per stabilire ciò che è rilevante, ciò che<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

conserva il suo significato nella tradizione,<br />

Francesco Moiso (“Storiografia e ermeneutica<br />

filosofica”) ha proposto una concezione<br />

“morfologica” e sistemica, in cui il<br />

concetto di “forma” indica una struttura<br />

auto-riferita in interazione con altro, che<br />

nella sua permanenza porta con sé molteplici<br />

possibilità di cambiamento. Da ciò<br />

conseguirebbe anche una risimbolizzazione<br />

della conoscenza. Del simbolo, inteso<br />

non come segno arbitrario, forma retorica o<br />

pura metafora, ma come potenza capace di<br />

strutturare un campo di forze, ha parlato<br />

anche Giuseppe Limone (“Figure del simbolo<br />

e figure della simbolica”).<br />

Aldo G. Gargani (“La revisione critica<br />

della tradizione metafisica nel neo-pragmatismo<br />

di Richard Rorty”) ha illustrato il<br />

pensiero Rorty, la sua concezione dell’uomo<br />

come intreccio di desideri e il suo<br />

concetto di razionalità in quanto partecipazione<br />

ad una comunicazione tollerante. Per<br />

il neopragmatista Rorty, ha osservato Gargani,<br />

la verità non presuppone un rispecchiamento<br />

del mondo, bensì la coerenza tra<br />

enunciati del nostro linguaggio e la scienza è<br />

ricerca di quegli enunciati veri che meglio<br />

servono a risolvere i problemi degli uomini.<br />

Come ha mostrato Salvatore Veca (“Paradigmi<br />

e versioni del mondo: da Nelson<br />

Goodman a Hilary Putnam”), Nelson Goodman<br />

(Vedere e costruire il mondo, 1988)<br />

rifiuta, da una posizione nominalista, il<br />

“mito” della riducibilità di una varietà di<br />

versioni del mondo ad una sola vera e<br />

valida, che consentirebbe di guardare al<br />

mondo così come esso si dà. Secondo tale<br />

prospettiva, ha notato Veca, la filosofia deve<br />

allora occuparsi non di “un” mondo, ma dei<br />

modi di fabbricare mondi, delle versioni del<br />

mondo (artistiche, scientifiche o morali che<br />

siano). Qui la verità diventa una sottospecie,<br />

valida per i soli sistemi enuncitivi, della<br />

rightness (correttezza, giustezza, congruenza),<br />

quale criterio per distinguere versioni<br />

reali da versioni spurie o “fallite”.<br />

A proprosito delle trasformazioni nella sfera<br />

dell’estetica, Aldo Trione (“L’estetica<br />

contemporanea come problema”) ha preso<br />

spunto dall’opera di Mallarmé, in quanto<br />

in essa si esplicita poeticamente l’assunzione<br />

del destino di finitezza dell’opera<br />

umana. Franco Volpi (“La filosofia pratica<br />

contemporanea”) ha parlato invece della<br />

riabilitazione della filosofia pratica e in<br />

particolare del modello aristotelico. Successivamente<br />

Enrico Berti (“La presenza<br />

della tradizione classica nel dibattito filosofico<br />

contemporaneo”) è tornato sulle “appropriazioni”<br />

novecentesche di Aristotele,<br />

ma ha soprattutto inquadrato il ritorno del<br />

Platone delle “dottrine non scritte”, prendendo<br />

atto della relazione con la linea neoplatonica<br />

e con l’entusiasmo per la metafisica<br />

dell’Uno, pur rilevando una certa reticenza<br />

circa i motivi teoretici che hanno<br />

spinto in tale direzione.<br />

Nel sostenere un incontro necessario tra<br />

etica e ontologia, Saverio Maffettone<br />

(“L’ontologia nel dibattito etico contem-<br />

65<br />

poraneo”) ha invitato al sospetto nei confronti<br />

del pensiero antimetafisico, che confonde<br />

nel giudizio negativo la metafisica<br />

“speculativa”, dogmatica e portatrice di<br />

una presunta autenticità ristretta a pochi, e<br />

la metafisica “pubblica”, a cui è legata la<br />

difesa del “pluralismo” dalla totale relativizzazione,<br />

facendo appello ai principi primi<br />

che uniscono le nostre conoscenze con<br />

quelle degli altri, o che governano i nostri<br />

atteggiamenti in rapporto a quelli degli<br />

altri. Evandro Agazzi (“Scienza e metafisica”)<br />

ha invece proposto una riabilitazione<br />

della metafisica in senso classico, aristotelico,<br />

alla luce del fallimento delle tesi<br />

neopositivistiche che l’avevano condannata<br />

al non-senso. L’impossibilità di eliminare<br />

dalla scienza i termini teorici, la necessità<br />

di inventare nella scienza modelli interpretativi<br />

portano a concludere che non si<br />

può negare, almeno in linea di principio, la<br />

legittimità della ricerca metafisica, il cui<br />

punto di vista è quelo dell’ “intero”.<br />

Sulle vicende della scienza e dell’epistemologia<br />

novecentesca si è soffermato anche<br />

Domenico A. Conci (“Realtà e oggettività<br />

nel pensiero cognitivo contemporaneo”),<br />

rilevando i limiti della altermativa<br />

popperiana tra epistéme e doxa. La struttura<br />

linguistica della scienza mostra come<br />

l’applicazione della matematica e della logica<br />

alla fisica sia un procedimento di traslazione<br />

con cui si veicolano semanticamente<br />

elementi astratti per enti concreti.<br />

L’oggettività è dunque una valenza traslata:<br />

non si dà il reale “in carne e ossa”, ma<br />

una affermazione di esistenza; questa situazione<br />

è propria della cultura occidentale.<br />

Infine, il problema di una ridefinizione del<br />

senso della filosofia è stato affrontato da<br />

Carlo Sini (“Il problema della pratica filosofica”)<br />

e Vincenzo Vitiello (“Filosofia e<br />

topologia”). Sini ha sottolineato come la<br />

filosofia, nell’interrogarsi su se stessa, sulla<br />

sua “soglia”, ovvero sul luogo dal quale<br />

il filosofo parla, non possa che reiterare la<br />

sua pratica. L’evento del domandare socratico<br />

instaura la filosofia, che resta strutturalmente<br />

nell’assenza di risposta: questa<br />

paradossalità è propria dell’età del trionfo<br />

moderno della scienza; né il soggetto, né il<br />

logos hanno trovato posto nell’enciclopedia<br />

del sapere, poiché essi sono un limite,<br />

un orlo. Occorre quindi ridare la parola al<br />

soggetto, che sa di non sapere, attraverso<br />

un diverso modo di atteggiarsi ed una diversa<br />

formazione del filosofo.<br />

Nel quadro delle ragioni che motivano la<br />

sua topologia filosofica, Vitiello ha chiarito<br />

che, a differenza della parola del sophos<br />

e di quella del sofista, la parola “sempre<br />

seconda” del filosofo si caratterizza originariamente<br />

come parola “della” verità, nel<br />

senso che la verità è in essa, senza però<br />

esaurirvisi. Stando in questo “frammezzo”,<br />

il problema della filosofia è di riconoscere<br />

l’ “alterità” dell’altro che essa dice;<br />

essa ripete in qualche modo, il gesto originario<br />

della nascita dell’autocoscienza, ed<br />

in questo rimane la sua dignità. C.T.


Parmenide e dopo Parmenide<br />

Il poema filosofico di Parmenide venne<br />

a costituire un punto di confronto<br />

obbligato per i pensatori che, dopo di<br />

lui, indirizzarono la loro riflessione a<br />

visioni totalizzanti del mondo o anche a<br />

temi più circoscritti. La tensione ed<br />

articolazione argomentativa del suo<br />

poema ‘Sulla natura’ ne fecero una sorta<br />

di passaggio obbligato per intellettuali<br />

che, da Zenone a Gorgia, «dovettero<br />

definire la loro identità culturale in<br />

rapporto a lui». Sul tema: “IL DIBATTITO<br />

SU PARMENIDE. ASPETTI DELLA FILOSOFIA GRE-<br />

CA TRA V E IV SECOLO”, Maurizio Migliori,<br />

dell’Università di Macerata, e Livio Rossetti,<br />

dell’Università di Perugia, hanno<br />

organizzato un convegno che si è svolto<br />

a Macerata e successivamente a Perugia<br />

dal 24 al 26 marzo 1994.<br />

Ha aperto i lavori Giovanni Casertano<br />

(“Chi è il sofista? Gorgia e il peri tou me<br />

ontos”), che ha analizzato il rapporto tra<br />

realtà e linguaggio-pensiero nello scarto<br />

che assume tra Parmenide e Gorgia. Quest’ultimo<br />

individua la difficoltà insita nella<br />

formalizzazione della realtà empirica, affermando<br />

che il discorso è altro rispetto<br />

agli oggetti di cui abbiamo esperienza, e la<br />

significazione non è semplice sovrapposizione<br />

o appiattimento del discorso sugli<br />

oggetti: c’è una dialettica sempre reversibile<br />

fra essere e logos. Per questo i discorsi<br />

sono “tutti falsi”; ma perciò stesso - in<br />

quanto esiste solo una verità dei discorsi<br />

che non è quella della realtà a cui essi si<br />

riferiscono - sono “tutti veri”. La verità del<br />

discorso è quella della coappartenza di<br />

pensiero e realtà esterna.<br />

A Zenone hanno rivolto la loro attenzione<br />

Livio Rossetti (“Sui primi detrattori di<br />

Parmenide e sulla fedeltà di Zenone all’ortodossia<br />

parmenidea”) e Rafael Ferber<br />

(“Lo ‘Stadio’ di Zenone”). Rossetti si è<br />

interrogato su quanto Zenone, da allievo di<br />

Parmenide, sia stato fedele al paradigma<br />

parmenideo e quanto invece, da apologista<br />

di Parmenide, sia stato intellettuale subalterno<br />

rispetto al maestro. Se negare spazio,<br />

tempo, molteplicità è un’ardua proposta,<br />

Zenone li avrebbe negati per “proteggere”<br />

Parmenide, nonostante l’ “anonimo antieleata”<br />

che si oppose al maestro eleata<br />

(presumibilmente in opposizione a quanto<br />

espresso nel fr. 8, 38-40), lo facesse indubbiamente<br />

in nome di un’esperienza immediata<br />

di oggetti in movimento, nello spazio<br />

e nel tempo. Zenone, ha rilevato Rossetti,<br />

cercò una contro-mossa che fosse pari alla<br />

sfida, mettendo in discussione il mondo dei<br />

fenomeni; in questo, la provocazione dell’anonimo<br />

anti-eleata si può dire sia una<br />

delle sollecitazioni che hanno “reso possibile”<br />

il pensiero zenoniano.<br />

Ferber ha proposto una nuova “difesa”<br />

filosofica del tema dello “stadio” di Zenone<br />

contro l’esposizione datane da Aristotele.<br />

Nello stadio le due masse devono muo-<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

versi in direzione differente; ma entrambe<br />

devono percorrere infiniti punti. Nell’infinito<br />

non c’è più differenza; il mezzo e<br />

l’intero sono uguali e le due masse, così,<br />

non si potranno mai incontrare. In questo<br />

IV paradosso, ha osservato Ferber, si deve<br />

riconoscere non una mechane banale, bensì<br />

il rafforzamento, e quasi il culmine, degli<br />

altri tre precedenti. Come per Achille e per<br />

la freccia, anche nello stadio lo spazio<br />

totale “non è percorribile”, e lo spostamento<br />

è sempre e solo “puntuale”; il paradosso<br />

fondamentale è che i punti infiniti di un<br />

segmento non hanno dimensione. In rapporto<br />

a Parmenide, per il quale l’essere,<br />

finito, è dappertutto uguale a se stesso e le<br />

differenze di spazio e di tempo sono solo<br />

apparenza, anche per Zenone, che pur ha<br />

introdotto nell’essere la nozione di infinito,<br />

le differenze di spazio e di tempo sono<br />

apparenti, se la metà è uguale all’intero.<br />

Per Nestor L. Cordero (“Dall’esti all’essere<br />

uno: il Parmenide ‘parmenidizzato’ di<br />

Melisso”) la “linea eleatica” procede piuttosto<br />

per fratture che per continuità. In<br />

Parmenide, il “cuore della verità” è in<br />

quell’esti, esperienza primaria, originaria,<br />

espresso senza soggetto per non minarne<br />

l’universalità. Esti ed einai convivono nel<br />

participio presente eon (“ciò che è adesso”):<br />

l’essere è la “presenza assoluta” che<br />

non viene mai meno, una realtà totale che si<br />

presenta nelle sue manifestazioni. L’unità<br />

dell’essere non è così un fantasma. Con<br />

Zenone, però, si perviene alla negazione<br />

del molteplice attraversando la paradossalità<br />

propria della “dimensione”, della “grandezza”:<br />

l’unità residua, per essere unità,<br />

dovrebbe essere “indivisibile”. Per Melisso<br />

l’essere non è negabile, perché ne abbiamo<br />

continuamente esperienza, e il vuoto<br />

non esiste; dunque l’essere è infinito e la<br />

sua comparazione a una sfera è solo un’immagine;<br />

essendo infinito è dunque “uno”.<br />

Con Mario Vegetti (“Katabasisis”), la<br />

linea del discorso si è spostata dalla scansione<br />

storico-temporale a quella storicotematica,<br />

nell’esame del senso della Katabasis,<br />

a partire dalla prima parola, kateben,<br />

presente nella Repubblica di Platone, dove<br />

il termine katabainein comporta il senso di<br />

una “discesa”: di Socrate, in un Ade sociale<br />

e ambientale, di Gige o di Er nelle viscere<br />

della terra, della dialettica dalle ipotesi. Lo<br />

spazio culturale della katabasis, ha notato<br />

Vegetti, ha una sua dimensione nella necromanzia<br />

(così con Odisseo, con Orfeo) e,<br />

fra i suoi tratti dominanti, comporta l’incontro<br />

con una figura femminile (la deamadre),<br />

legata alla conoscenza della verità:<br />

Epimenide incontra Aletheia e Dike, Pitagora<br />

trova Themis. La storia di Parmenide,<br />

nel suo poema, è quella di un’iniziazione-rivelazione<br />

corrispondente non, come<br />

spesso si crede, a una anabasis verso la<br />

luce, bensì proprio ad una katabasis. Attraverso<br />

Parmenide la katabasis raggiunge Platone:<br />

quella di Socrate nella Repubblica non<br />

è solo un viaggio agli Inferi, analogo a quello<br />

di Odisseo, ma ha a che fare con la tradizione<br />

66<br />

sciamanico-sapienziale. La Repubblica è<br />

dunque, ha concluso Vegetti, un racconto di<br />

formazione; la struttura del dialogo segna la<br />

continuità e la cesura fra la tradizione sapienziale<br />

e la conoscenza dialettica.<br />

Indagando il rapporto fra theoi e arche, e<br />

indicando in Senofane un disegno di teologia<br />

sostitutiva del pantheon olimpico con<br />

un dio-persona diverso (un dio “maschile”:<br />

ho theos), Ileana Chirassi Colombo (“Theos/thea.<br />

Il politeismo e l’indifferenza del<br />

divino nella ricerca sull’essere tra Parmenide<br />

e Platone”) ha messo a fuoco in Parmenide<br />

una riformulazione, tutta al femminile,<br />

del politeismo, ma con un uso ridottissimo<br />

del termine thea (l’unità del divino)<br />

a favore di sue manifestazioni-denominazioni<br />

particolari, come Nux, Dike, Themis,<br />

Ananke, Peitho, Aletheia, Moira, Daimon.<br />

In generale, ha sottolineato Chirassi Colombo,<br />

la divinità femminile greca si trova<br />

espressa col sostantivo maschile preceduto<br />

dall’articolo femminile: he theos.<br />

Renato Laurenti (“La componente geometrica<br />

della teologia di Empedocle”) ha<br />

richiamato l’attenzione sulla non separabilità,<br />

in Empedocle, della dimensione scientifica<br />

da quella religiosa, evidente nel fatto<br />

che nel Peri phuseos le “radici”, o elementi<br />

fondamentali, sono indicati coi nomi delle<br />

divinità dell’Olimpo e nei Katharmoi si<br />

ripresentano i medesimi elementi come<br />

costitutivi del tutto. Nella religione greca<br />

in generale, e nell’orfismo e pitagorismo in<br />

particolare, Apollo era dio dei vaticinii e<br />

della poesia, dio risanatore, dio della luce:<br />

prerogative che ritornano in Empedocle, il<br />

quale considera Apollo quasi l’espressione<br />

del divino. In Empedocle, tuttavia, il divino<br />

lo si incontra a più livelli: lo sfero,<br />

momento del divenire del tutto, è anche<br />

dio: sphairos è divino; sphaira, invece,<br />

rimanda a Parmenide (e, prima, ad Omero:<br />

la sfericità porta con sé la perfezione), così<br />

come le nozioni di uno, di tutto, di proporzione.<br />

In Empedocle, ha concluso Laurenti,<br />

la geometria aiuta a capire la perfezione:<br />

il dio supremo, che è fondamentalmente<br />

phren, abbraccia il tutto con i suoi pensieri,<br />

rispondendo alla formula più caratteristica<br />

della fisica empedoclea, l’uno-molti.<br />

Lo sviluppo scientifico dei presupposti<br />

parmenidei è stato affrontato da Filippo<br />

Mignini (“Il concetto di vuoto, e i suoi<br />

correlati, nel dibattito post-eleatico”) e da<br />

Conrado Eggers Lan (“Parmenide e la<br />

nascita della matematica scientifica”). Nel<br />

IV libro della Fisica di Aristotele, ha notato<br />

Mignini, il vuoto è inteso come luogo<br />

privo di corpi, non esiste, poiché se fosse<br />

separato dai corpi, e perciò diverso dalla<br />

materia prima, renderebbe impossibile il<br />

movimento: esso non è dunque “il luogo”<br />

in cui avviene lo spostamento, bensì “la sua<br />

materia”. In Parmenide, l’essere, assoluto,<br />

immobile, è indifferente ad ogni determinazione<br />

di estensione e di temporalità. L’essere<br />

di Melisso è invece eterno e illimitato<br />

(perché altrimenti confinerebbe con il vuoto):<br />

unico; il vuoto come intervallo non


CONVEGNI E SEMINARI<br />

Testa di filosofo identificato con Parmenide<br />

67


esiste. Così, se l’essere eleatico è principio<br />

di tutte le cose, ha osservato Mignini, esso<br />

è anche indifferente alle loro determinazioni<br />

e modificazioni, tanto che essere e vuoto<br />

(cioè l’indeterminato indifferente ad ogni<br />

determinazione) si possono identificare.<br />

Concorde con C. H. Kahn nel riconoscere<br />

come fattore decisivo per il progresso della<br />

matematica la prova deduttiva, Eggers Lan<br />

ha rilevato come il ragionamento deduttivo<br />

compaia per la prima volta in Parmenide,<br />

quando questi, per confermare che l’essere è<br />

ingenerato, utilizza una dimostrazione indiretta,<br />

per assurdo (anche se il ragionamento<br />

deduttivo del poema di Parmenide non è<br />

certo di impronta matematica). Alcuni, come<br />

Cornford, ritennero che la “dimostrazione”<br />

sia nata prima di Parmenide, con i Pitagorici;<br />

in tal senso, il primo documento sicuro per<br />

noi è probabilmente il Menone di Platone<br />

(82c ss.). Prima dell’introduzione della prova<br />

deduttiva il metodo di dimostrazione usato<br />

dai matematici consisteva nell’epharmozein,<br />

nella verifica di coincidenza (la sovrapponibilità)<br />

come criterio di uguaglianza. Ad<br />

un certo momento, l’epharmozein risultò<br />

insufficiente per la dimostrazione di problemi<br />

matematici più complessi (come, ad esempio,<br />

quello della trasformazione delle aree,<br />

affrontato nel Menone, 83a ss.), per i quali<br />

era necessario un ragionamento.<br />

Secondo Maurizio Migliori (“La filosofia<br />

dei Sofisti: un pensiero post-eleatico”), uno<br />

degli esiti del percorso aperto da Parmenide<br />

e da Melisso può essere ravvisato nel pensiero<br />

dei Sofisti, in quanto contrapposizione<br />

alla crisi dell’eleatismo. L’opera di Gorgia,<br />

Del non ente o della natura, riprende visibilmente<br />

quello della maggiore opera eleatica;<br />

il relativismo di Protagora può essere inteso<br />

come una reazione, vestita con abiti eleatici,<br />

alla scuola fisica. Anche per Platone il senso<br />

filosofico della sofistica risiede nell’eleatismo.<br />

Platone individua sei definizioni del<br />

sofista, delle quali è possibile determinare in<br />

alcuni casi il riferimento individuale: di una<br />

- il sofista cacciatore dei giovani ricchi: parla<br />

della virtù ma pensa ai soldi - è Prodico; di<br />

un’altra - le varie possibilità di commercio<br />

per conquistare l’anima - Ippia e Protagora.<br />

Protagora è considerato ancora da Platone un<br />

filosofo; mentre Gorgia, che ha messo in<br />

circolazione i peggiori argomenti, aprendo<br />

la strada alla peggiore sofistica, va subito<br />

confutato nei suoi argomenti.<br />

Ha concluso il convegno Tomás Calvo<br />

Martínez (“Il linguaggio dell’ontologia:<br />

da Parmenide a Melisso”), osservando come<br />

in Parmenide l’opposizione, entro la conoscenza,<br />

tra Aletheia (verità, che compare<br />

sempre al singolare: è un’ipostasi, una<br />

divinità) e doxa (le opinioni della gente, in<br />

rapporto a cosmologie e ontologia), non<br />

corrisponde a quella tra ragione e sensi,<br />

un’opposizione che non compare nel poema<br />

parmenideo. L’opposizione principale<br />

è fra due tipi di linguaggio, quello discorsivo,<br />

logos, e quello narrativo, epos, che<br />

sviluppando opinioni, le svolge in cosmogonie<br />

e cosmologie. In Melisso restano<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

espressioni parmenidee, ma si perde l’opposizione<br />

logos-epos, come anche quella<br />

tra Aletheia e doxa. In più, in Parmenide il<br />

verbo dokein ha sempre valore attivo, e ta<br />

dokounta sono le opinioni, non le apparenze;<br />

in Melisso il verbo dokein è costruito in<br />

forma passiva, e questo induce a pensare<br />

che il dokein sia l’esperienza sensibile, il<br />

“ci sembra” (neutro, esente da ogni attribuzione<br />

negativa o di falsità), che in rapporto<br />

alla molteplicità deriva da quello che stiamo<br />

a vedere, in rapporto all’unità, dall’argomentazione<br />

razionale. S.N.P.<br />

Melantone e il suo tempo<br />

Su invito di Stefan Rhein, custode del<br />

Melanchthonhaus di Bretten (RFT), città<br />

natale di Melantone, dal 20 al 22<br />

febbraio 1994 un folto gruppo di studiosi<br />

ha preso parte al convegno: “ME-<br />

LANTONE E LE SCIENZE DELLA NATURA DEL<br />

SUO TEMPO”, con l’intento di dare una<br />

valutazione all’opera del riformatore e<br />

filosofo alla luce delle più recenti indagini<br />

sul rapporto tra riforma e scienze<br />

della natura.<br />

Raramente si è dato pieno conto del fatto<br />

che Melantone abbia svolto un ruolo di<br />

primo piano nello stabilire il sostrato dal<br />

quale ha poi preso avvio la rivoluzione<br />

scientifica del Seicento. Assai numerose<br />

sono state invece le analisi affrettate del<br />

rifiuto - già chiaro, peraltro, negli anni tra il<br />

1539 ed il 1541 - dell’ipotesi eliocentrica,<br />

dapprima da parte di Lutero, che si oppose<br />

a Copernico per motivi di natura strettamente<br />

teologica, e poco dopo da parte di<br />

Melantone. Le più recenti ricerche hanno<br />

chiarito che l’opposizione di Melantone<br />

riguardava non solo e non tanto la portata<br />

speculativa dell’ipotesi eliocentrica, quanto<br />

la possibilità di valutarla criticamente<br />

rispetto alla sua fruibilità nell’ambito dell’insegnamento<br />

nelle università riformate<br />

della Germania protestante.<br />

Nella conferenza introduttiva, Wolfgang<br />

E. Eckart ha riferito delle numerose declamazioni<br />

di argomento medico tenute da<br />

Melantone a Wittenberg. Tra gli interventi<br />

che hanno affrontato i rapporti tra teologia<br />

e scienze della natura, Wolfgang Maaser<br />

ha particolarmente insistito sull’uso fatto<br />

da Lutero e da Melantone dell’enthymema<br />

in quanto strumento euristico comune alla<br />

teologia, alla logica ed alle scienze della<br />

natura. Günter Frank ha sostenuto invece<br />

che la scienza della natura melantoniana<br />

sarebbe il risultato in primo luogo di una<br />

disontologizzazione della scienza aristotelica<br />

e in secondo luogo di una teologizzazione<br />

della scienza profana. A Dino Bellucci<br />

è toccato misurarsi con una serie di<br />

definizioni del concetto di mens, date da<br />

Melantone, rispetto alle quali è difficile<br />

non pensare al complesso di temi che nel<br />

68<br />

Seicento sarebbe poi stato trattato sotto il<br />

titolo di theologia naturalis. Ralph Keen<br />

ha infine messo in luce una serie di punti,<br />

relativi, in particolare, alla teologia pastorale,<br />

che permettono di configurare l’intellettualismo<br />

di fondo dell’approccio melantoniano<br />

alle scienze della natura e dunque<br />

anche la plausibilità, oggi, di una sua ripresa<br />

anche da parte dei cattolici.<br />

Altri interventi si sono occupati di storia<br />

della matematica e dell’astronomia. Con<br />

riferimenti puntuali alla storia della matematica<br />

rinascimentale e con interessanti<br />

accenni sulle città di Norimberga e Wittenberg<br />

come luoghi di stampa di libri di<br />

innovazione e divulgazione scientifica, è<br />

intervenuto Karin Reich; mentre il rapporto<br />

tra Melantone e l’astrologia è stato trattato da<br />

Wolf-Dieter Müller-Jahncke, rispetto alle<br />

fonti mediche e astronomiche, e da Barbara<br />

Bauer, che ha presentato un attento studio<br />

dei carmina astrologica, individuando almeno<br />

quattro topoi attorno ai quali Melantone<br />

era solito articolare la materia.<br />

Nell’ambito della storia della medicina,<br />

Wolfgang E. Eckart è intervenuto di nuovo,<br />

mettendo in evidenza come le ricerche<br />

mediche, sviluppatesi a Wittenberg, rivelino<br />

conoscenze molto dettagliate di anatomia<br />

vesaliana; mentre Theodor Koch ha<br />

ricostruito la storia della facoltà medica di<br />

Wittenberg tra il 1455 ed il 1750. Jürgen<br />

Helm (Halle) si è infine occupato dell’elaborazione<br />

del concetto galenico di spiritus<br />

da parte di Melantone.<br />

Le scienze della terra sono state oggetto di<br />

un altro gruppo di interventi. Uta Lindgren<br />

ha ricostruito il programma di politica<br />

culturale delineato da Melantone a proposito<br />

dell’astronomia e della geofisica, mettendo<br />

in evidenza, tra l’altro, l’enorme valore<br />

didattico attribuito dal riformatore al<br />

Liber de sphaera di Giovanni di Sacrobosco.<br />

Eberhard Knobloch si è soffermato<br />

su Gerhard Mercator, con particolare riferimento<br />

all’interpretazione melantoniana<br />

dei concetti di simpatia, forza e armonia.<br />

Su aspetti della storia dell’incidenza di<br />

Melantone sono intervenuti infine Riccardo<br />

Burigana, che ha riferito sull’interpretazione<br />

estremamente difficile dei documenti<br />

contenuti nelle disputazioni melantoniane,<br />

e Riccardo Pozzo, che si è invece<br />

occupato delle fonti, della struttura e della<br />

ricezione degli Initia doctrinae physicae, il<br />

manuale melantoniano di fisica, che, ben al<br />

di là dei modelli aristotelici e platonici e pur<br />

restando fedele all’ipotesi geocentrica, ha<br />

posto le linee lungo le quali si sarebbe poi<br />

sviluppata la filosofia della natura nelle università<br />

tedesche fino al Settecento inoltrato.<br />

L’intervento conclusivo è stato tenuto da<br />

Günther Mahal, che ha parlato del nesso<br />

esistente al tempo di Melantone tra indagine<br />

scientifica e storia del territorio. Nella<br />

discussione sono intervenuti Richard Toellner,<br />

Paul-Richard Blum e Heinz Scheible.<br />

Gli atti usciranno tra breve, a cura di<br />

Stefan Rhein, per i tipi l’editore Jan Thorbeke<br />

di Sigmaringen. R.P.


Si è concluso il ciclo di conferenze<br />

seminariali, organizzato dalla Casa<br />

della Cultura di Milano nel mese di<br />

novembre 1994 con il titolo: Il pensiero<br />

della natura. Filosofie dell’Ottocento<br />

e del Novecento. Tra i<br />

relatori sono intervenuti: giovedì 3,<br />

S. Natoli: “La natura nella filosofia di<br />

Schopenhauer”; martedì 8, R. Massa:<br />

“Foucault, la formazione di sé e il<br />

sadomasochismo”; giovedì 10, Felice<br />

Mondella: “La filosofia della natura<br />

del positivismo”; giovedì 17, G.<br />

Semerari: “Heidegger: tecnica e natura”;<br />

giovedì 24, C. Sini: “Galileo,<br />

Husserl e l’immagine della natura”;<br />

martedì 29, F. Cambi e A. Granese:<br />

“Dalla ‘Paideia’ alla ‘Bildung’”.<br />

● Informazioni: Casa della Cultura,<br />

via Borgogna 3, 20122 Milano,<br />

tel. 02/795567<br />

Presso l’Istituto Suor Orsola Benincasa<br />

di Napoli e con il patrocinio<br />

dell’Ambasciata tedesca in Italia, si è<br />

tenuto, dal 10 al 12 novembre 1994,<br />

un convegno internazionale dal titolo:<br />

Max Stirner e l’individualismo<br />

moderno. Questo il calendario degli<br />

interventi: giovedì 10, C. Cesa: “Il<br />

caso Stirner”; D. Mc Lellan: “The<br />

influence of Der Einzige und sein<br />

Eigentum on Karl Marx”; C. Menghi:<br />

“La socieà civile da Hegel a Stirner”;<br />

W. J. Brazill: “Max Stirner and the<br />

Terrorism of Pure Theory”; F. Bazzani:<br />

“Stirner e Feurbach”; F. Andolfi:<br />

“La posizione di Stirner nella storia<br />

dell’individualismo”; E. Ferri: “La<br />

rivolta stirneriana contro il moderno”;<br />

A. Punzi: “Fichte-Stirner: ordine<br />

della libertà ed egoismo proprietario”;<br />

T. Hünefeldt: “Beobachtungen<br />

zu Ich und Nicht-Ich bei Stirner und<br />

Fichte”. Venerdì 11, A. Negri: “Sirner<br />

e l’anarchismo borghese”; C.<br />

RRoehrssen: “Stirner e l’anarchismo”;<br />

M. La Torre: “Stirner tra anarchismo<br />

e non cognitivismo”; M. Cossutta:<br />

“Ribellione e rivoluzione: note<br />

su un possibile confronto tra Bakunin<br />

e Stirner”: G. Berti: “Max Stirner<br />

filosofo dell’anarchismo”; J. E. Bauer;<br />

“Das Ende des Heiligen”; B. A.<br />

Laska;”Katechon und anarch, Carl<br />

Schmitts und Ernst Jüngers Reaktionen<br />

auf Stirner”; L. L. Rimbotti: “Max<br />

Stirner visto da destra”; M. Milli:<br />

“Stirner, Nietzsche e la critica dello<br />

Stato: alcune considerazioni”; E. Castana:<br />

“Aspetti del pensiero liberale<br />

in Stirner”. Sabato 12, G. Penzo: “Interpretazione<br />

esistenziale del pensiero<br />

di Stirner”; R. W. Paterson: “Der<br />

Einzige and L’Etre et le Neant”; B.<br />

Romano: “Stirner e l’esistenzialismo”;<br />

A. Signorini: “Decostruzione<br />

e differenza in Max Stirner”; P. Vandrepote:<br />

“Max Stirner et la poétique<br />

de la rupture”; G. Modica: “La dialettica<br />

della libertà in Stirner e in<br />

Kierkegaard”; C. Scilironi: “Il sacro<br />

in Dostoevskij e Stirner”.<br />

Nei giorni 1, 2, 3 dicembre 1994,<br />

l’Istituto ha organizzato, presso la<br />

sua sede di Napoli, un convegno su:<br />

Giambattista Vico. La Scienza<br />

Nuova, a 250 anni dalla “Terza<br />

impressione”, articolato in quattro<br />

CALENDARIO<br />

CALENDARIO<br />

sessioni: “Interpretazioni recenti di<br />

Vico”, “La ricezione di Vico nel primo<br />

Ottocento italiano ed europeo”,<br />

“Vico nella tradizione della filosofia<br />

pratica e della retorica”, “Vico nel<br />

pensiero italiano ed europeo del suo<br />

tempo”. Tra i relatori: M. Agrimi, A.<br />

Battistini, J. Bermudo, F. Botturi, G.<br />

Cacciatore, G. Cantelli, G. Costa, G.<br />

Crifò, B. De Giovanni, T. De Mauro,<br />

M. Fumaroli, E. Garin, A. Giuliani,<br />

T. Gregory, M. Lilla, V. Mathieu, C.<br />

Miller, M. Mooney, S. Oto, M. Papini,<br />

A. Pieretti, V. Placella, L. Pompa,<br />

A. Pons, J. M. S., G. Tagliacozzo, M.<br />

Torrrini, M. Veneziani, V. Vitiello.<br />

● Informazioni: Istituto Suor Orsola<br />

Benincasa, Via Suor Orsola 10,<br />

80135 Napoli, tel. 081 412908<br />

Prosegue il ciclo di lezioni su Tecnica<br />

e Cultura. Come le tecnologie<br />

fanno il mondo, organizzato dal<br />

Centro Culturale della Fondazione<br />

Collegio San Carlo di Modena a partire<br />

dal mese di ottobre 1994. Questo<br />

il calendario delle lezioni: venerdì 28<br />

ottobre, M. Nacci: “Immagini della<br />

tecnica nella cultura contemporanea”;<br />

venerdì 18 novembre, S. Latouche:<br />

“La ‘megamacchina’, la ragione tecnico-scientifica<br />

e la crisi del legame<br />

sociale”; venerdì 25 novembre, R.<br />

Ceserani: “I rapporti tra tecnica e<br />

letteratura. L’esempio della fotografia”;<br />

venerdì 16 dicembre, F. Bianco:<br />

“La tecnica tra disincanto del mondo<br />

e ritorno del mito”; venerdì 27 gennaio<br />

1995, P. Bozzi: “La tecnica modifica<br />

la percezione? Sull’arte di inventare<br />

esperimenti”; venerdì 24 febbraio,<br />

P. Odifreddi: “Visioni letterarie e<br />

miraggi tecnologici. Considerazioni<br />

su intelligenza artificiale, realtà virtuale<br />

e altro”; venerdì 10 marzo, M.<br />

Perniola: “Sentire naturale e sentire<br />

artificiale. Verso una teoria del corpo<br />

tecnologico”; venerdì 5 maggio , D.<br />

Noble: “La questione tecnologica e le<br />

differenze di classe, religione, genere”;<br />

venerdì 19 maggio, M. Augé: “E’<br />

possibile un’antropologia del mondo<br />

contemporaneo?”. Parallelamente alle<br />

lezioni si terrà una serie di incontri di<br />

lettura e discussione dei testi indicati<br />

dai vari relatori.<br />

Il Centro Culturale organizza anche<br />

da gennaio ad aprile 1995 un seminario<br />

di studi su: Modelli per la teoria<br />

e la storia delle culture. Norbert<br />

a cura di Luisa Santonocito<br />

69<br />

Elias e Michel Foucault. Sono previsti<br />

interventi di S. Tabboni, C. Ossola,<br />

A. Roversi, M. Vegetti, P. Pasquino,<br />

A. Ferrara, A. Honneth.<br />

Il Centro <strong>Studi</strong> Religiosi della Fondazione<br />

Collegio San Carlo di Modena<br />

ha organizzato a partire dal mese di<br />

ottobre 1994 una serie di incontri sul<br />

tema: Le Voci della Preghiera. Forme<br />

della invocazione religiosa<br />

nelle culture dell’Occidente. Questa<br />

la serie degli interventi: giovedì 6<br />

ottobre, A. Terrin: “La dimensione<br />

antropologica della preghiera”; lunedì<br />

14 novembre, G. Cova: “La Bibbia<br />

e la preghiera”; giovedì 1 dicembre,<br />

M. Cantilena: “Appunti sulla preghiera<br />

nella Grecia Antica”; giovedì 15<br />

dicembre, E. Mazza: “Preghiera e ritualità”;<br />

giovedì 12 gennaio 1995, E.<br />

Bartolini: “Il dinamismo della benedizione<br />

nello ‘Shema Israel’”; giovedì<br />

2 febbraio, P. Stefani: “Il ‘Padre<br />

Nostro’, le parole di Gesù e le parole<br />

dei credenti”; giovedì 16 febbraio, A.<br />

Scarabel: “I nomi più belli nella tradizione<br />

islamica”; giovedì 2 marzo, G.<br />

Moretto: “Preghiera e Filosofia”;<br />

marzo 1995 (data da definire), M.<br />

Luzi: “Preghiera e Poesia” e S. Natoli:<br />

“Preghiera e Modernità”.<br />

In continuità con il ciclo di lezioni su<br />

“Il grande codice” e il successivo<br />

convegno su “Le provocazioni di<br />

Giobbe”, il Centro <strong>Studi</strong> Religiosi ha<br />

anche organizzato, nei mesi di ottobre,<br />

novembre e dicembre 1994, un<br />

seminario di studi dal titolo: Il viaggio<br />

di Giona, effetti di senso di<br />

una figura biblica. Sono intervenuti:<br />

lunedì 10 ottobre, P. Lombardini:<br />

“Giona, ovvero la difficoltà di essere<br />

ebreo. Per un primo approccio al testo”;<br />

lunedì 7 novembre, A. Bodrato:<br />

“Parmenide e Giona”; mercoledì 23<br />

novembre G. Limentani: “La lettura<br />

ebraica di Giona”; lunedì 5 dicembre,<br />

M. Gay: “Il compito di Giona. Una<br />

lettura psicoanalitica”; lunedì 12 dicembre,<br />

M. E. Notari,: “Gli effetti<br />

artistici del libro di Giona”.<br />

● Informazioni: Fondazione Collegio<br />

San Carlo, Segreteria dei Centri,<br />

via San Carlo 5, 41100 Modena,<br />

tel. 059 222315.<br />

Mercoledì 19 ottobre1994, nella Sala<br />

Crociera dell’Università degli <strong>Studi</strong><br />

di Milano si è si è tenuto un seminario<br />

su: Linguaggio, Arte e Filosofia, a<br />

cui hanno partecipato: M. Cacciari,<br />

S. Givone, C. Sini e V. Vitiello. L’incontro<br />

è stato anche l’occasione per<br />

presentare l’ultimo numero della rivista<br />

«Paradosso», di cui hanno parlato<br />

M. Donà, R. Gasparotti, M. Petranzan,<br />

F. Tomatis.<br />

● Informazioni: Dipartimento di Filosofia,<br />

Via Festa del Perdono 7,<br />

20100 Milano, tel: 02 58307671.<br />

Organizzato dalla Biblioteca Fardelliana<br />

di Trapani, con il patrocinio<br />

della Provicia Regionale e del Comune<br />

di Trapani, il 22 ottobre 1994 si è<br />

svolto un convegno di studi su: Giovanni<br />

Gentile, filosofo europeo?,<br />

con la partecipazione di G. D’Aleo<br />

(“Giovanni Gentile studente del Liceo<br />

Classico Ximenes di Trapani”), J.<br />

Kelemen (“Il ruolo di Gentile nella<br />

filsofia europea”), G. Nicolaci (“Gentile<br />

e il compimento dell’idealismo”),<br />

A. Infranca (“Gentile dalla cultura<br />

siciliana alla cultura nazionale”).<br />

● Informazioni: Biblioteca Fardelliana,<br />

Largo S. Giacomo 18, Trapani.<br />

Per il ciclo: “Libri in cerca di gloria”,<br />

organizzato dall’Istituto Italiano per<br />

gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> di Napoli, in collaborazione<br />

con il Centro Culturale<br />

Polivalente di Cattolica, P. Bozzi ha<br />

tenuto il 27, 28, 29 ottobre 1994,<br />

presso la Biblioteca Comunale di<br />

Cattolica, un seminario di lettura dedicato<br />

alle Osservazioni sulla filosofia<br />

della psicologia, di L.<br />

Wittgenstein.<br />

Il ciclo prosegue, in collaborazione<br />

con l’Istituto di Scienze dell’Uomo “J.<br />

Maritain” di Rimini, con una serie di<br />

letture di testi delle religioni monoteiste<br />

e orientali dal titolo: Il libro e le<br />

sue religioni. Questo il calendario<br />

degli incontri: 23 novembre 1994: P.<br />

Stefani: “Dalla Bibbia ebraica: Dio<br />

parla la lingua degli uomini”; 24 novembre,<br />

D. Pazzini: “Dalla Bibbia cristiana:<br />

risurrezione e rivelazione”; 25<br />

novembre, K. Fouad Allam: “Dal Corano:<br />

l’ermeneutica della verità”; 30<br />

novembre, G. G. Pasqualotto: “Dhammapada:<br />

insostanzialità e impermanenza<br />

di tutte le realtà”; 1 dicembre, A.<br />

N. Terrin: “Bhagavad-Gita: praticare<br />

il vero yoga”; 2 dicembre, L. V. Arena:<br />

“Tao Te Ching: la via e i nomi,<br />

l’essere e il non-essere”.<br />

Concludono il ciclo tre seminari di<br />

lettura che avranno il seguente svolgimento:<br />

16-17 dicembre 1994, D.<br />

Mainardi: Storia del Celacanto, di<br />

K. S. Thomson; 18-20 gennaio 1995,<br />

A. Caronia: La mostra delle atrocità,<br />

ovvero Crash, di James Ballard;<br />

28 febbraio e 1-2 marzo, U. Cerroni:<br />

De Monarchia, di Dante Alighieri.<br />

● Informazioni: Centro Culturale<br />

Polivalente di Cattolica, Piazza della<br />

Repubblica 31, Cattolica (FO), 0541-<br />

967802.<br />

In occasione della pubblicazione del<br />

volume di Vincenzo Vitiello Elogio


dello Spazio. Ermeneutica e topologia<br />

(Bompiani, Milano 1994), giovedì<br />

20 ottobre 1994, presso la Sala<br />

Incontri dell’Istituto per il Diritto allo<br />

<strong>Studi</strong>o Universitario (I.S.U.) dell’Università<br />

degli <strong>Studi</strong> di Milano, si è<br />

tenuto un incontro sul tema: L’interpretazione<br />

filosofica dello spazio,<br />

a cui hanno partecipato U. Galimberti,<br />

P. A. Rovatti, C. Sini e V. Vitiello.<br />

● Informazioni: I.S.U., Ufficio Cultura,<br />

tel. 02 809431.<br />

Promosso dall’Istituto Internazionale<br />

‘Jacques Maritain’ di Roma, in<br />

collaborazione con la Fondazione<br />

Mondo Unito della Città del Vaticano<br />

e la Fondazione Konrad Adenauer di<br />

Bonn e con il patrocinio di Jacques<br />

Delors, presidente della Commissione<br />

Europea, dal 20 al 22 ottobre 1994,<br />

presso la sede dell’Istituto Filosofico<br />

Aloisianum di Gallarate, si è svolto<br />

un convegno sul tema: La pace etnica,<br />

politica, economia, cultura e<br />

religione nei Balcani. Su “Le radici<br />

della conflittualità”, sono intervenuti:<br />

R. Petrovic, R. Lovrencic, A. Biagini,<br />

V. Dimitrijevic. M. Orsolic e G.<br />

E. Rusconi sono intervenuti sul tema:<br />

“Dalla conflittualità ad un ordine di<br />

pace”. Infine, alla tavola rotonda su:<br />

“Il costo della guerra e ipotesi di<br />

ricostruzione: il ruolo della cooperazione<br />

internazionale e di quella regionale”,<br />

hanno partecipato B. Andreatta<br />

e G. Politakis.<br />

● Informazioni: Istituto Internazionale<br />

Jacques Maritain, Via Quintino<br />

Sella 33, 00187 Roma. Tel: 06<br />

4874601; fax: 06 4825188.<br />

L’Istituto di Filosofia della Facoltà<br />

di Lettere e della Facoltà di Magistero<br />

dell’Università degli <strong>Studi</strong> di Perugia<br />

hanno organizzato per il 14 e<br />

15 novembre 1994, nella Sala Convegni<br />

Pro Civitate Christiana di Assisi,<br />

il XII Incontro del «Giornale di<br />

Metafisica” sul tema: Metafisica e<br />

logica del principio. Al convegno<br />

sono intervenuti: N. Incardona, P.<br />

Faggiotto, U. Perone, E. Mirri, Università<br />

di Perugia.<br />

● Informazioni: Università degli<br />

<strong>Studi</strong> di Perugia, tel: 075 5851.<br />

In occasione della pubblicazione dei<br />

Pensieri sull’Imitazione, di Winckelmann,<br />

della Lettera sulla Scultura, di<br />

Hemsterhuis, e della Plastica, di Herder,<br />

nei giorni 9 e 10 dicembre 1994<br />

il Centro Internazionale <strong>Studi</strong> di Estetica<br />

e l’Università degli <strong>Studi</strong> di Palermo,<br />

con il patrocinio del Ministero<br />

dei Beni Culturali e dell’Assessorato<br />

ai Beni Culturali della Regione Siciliana,<br />

hanno promosso un seminario<br />

su: Il sogno di Pigmalione. La riscoperta<br />

della scultura in Winckelmann,<br />

Hemsterhuis, Herder.<br />

All’incontro hanno partecipato, in<br />

qualità di relatori: G. Cusatelli: “Winckelmann:<br />

le ombre bianche”; G.<br />

Morpurgo Tagliabue: “Hemsterhuis<br />

e la questione delle arti figurative nell’ultimo<br />

Settecento”; F. Fanizza: “Vedere<br />

e toccare: Herder e le belle arti”.<br />

Informazioni: Centro Internazionale<br />

<strong>Studi</strong> di Estetica, Viale delle Scienze,<br />

Palermo, tel. 091 6570187.<br />

Promosso dal Centre Culturel Francais<br />

di Torino, dal Dipartimento di<br />

Ermeneutica Filosofica dell’Università<br />

degli <strong>Studi</strong> di Torino e dall’Assessorato<br />

per le Risorse Culturali e la<br />

Comunicazione, venerdì 11 novembre<br />

1994 si è aperto il ciclo: Incontri<br />

con la Filosofia Francese Contemporanea.<br />

Presso la sede del Centro, J.<br />

L. Nancy ha tenuto una conferenza su:<br />

“De l’existence et de la verité”. Per<br />

giovedì 19 gennaio 1995 è previsto<br />

invece un incontro con J. Derrida presso<br />

la Sala Congressi dell’Istituto Bancario<br />

S. Paolo. Seguiranno: lunedì 23<br />

2-5 gennaio 1995<br />

Aldo Masullo<br />

Il fantasma della comunità<br />

e lo scandalo politico<br />

La «comunità», o il modello antropologico<br />

del «primitivismo» - Il neocomunitarismo<br />

e la maturità etica della<br />

teoria politica liberale - L’intersoggettività<br />

originaria tra dialettica e fenomelogia<br />

- Il «comunismo letterario»<br />

dell’ermeneutica decostruzionistica -<br />

Il fantasma della comunità: rassicurazione<br />

e terrore. La comunità paradossale<br />

e la «cura» emancipatrice.<br />

9-12 gennaio 1995<br />

Alberto Burgio<br />

Soggettività e coscienza nel<br />

pensiero politico contemporaneo<br />

Coscienza servile e storia della libertà<br />

- La coscienza e la totalità: Lenin<br />

lettore di Hegel - Coscienza, contradizione<br />

e dialettica: Gramsci lettore<br />

di Hegel - Tra libertà e necessità: il<br />

problema del senso della storia.<br />

9-13 gennaio 1995<br />

Giovanni Bonacina<br />

Storia universale<br />

e storia della filosofia in Hegel<br />

La storia della filosofia come storia<br />

del mondo in nucleo - La bella eticità<br />

greca e la Repubblica platonica - La<br />

solitudine del filosofo nel mondo romano<br />

infelice - La stagione degli scopritori<br />

e l’aurora della modernità - La<br />

rivoluzione nella forma del pensiero.<br />

16-20 gennaio 1995<br />

Saverio Ricci<br />

Filosofia e vita civile a Napoli<br />

nella seconda metà del Settecento<br />

Ultimi roghi, prime luci - Antonio<br />

Genovesi: la filosofia «tutte cose» -<br />

La scuola di Antonio Genovesi - Gaetano<br />

Filagieri - Francesco Mario Pagano<br />

e la generazione rivoluzionaria.<br />

30 gennaio - 2 febbraio 1995<br />

Girolamo Cotroneo<br />

Gli ‘Scritti sulla Storia’ di I. Kant<br />

La polemica con Herder - Le razze<br />

umane e l’origine della storia - La<br />

storia universale - L’illuminismo, il<br />

progresso, la pace.<br />

CALENDARIO<br />

70<br />

gennaio, J. Greisch: “Hermeneutique<br />

et metaphisique”; giovedì 9 febbraio,<br />

M. Henry: “Phenomenologie de la vie”;<br />

giovedì 9 marzo, J. F. Courtine: “La<br />

philosophie pratique des recherchez<br />

philosophiques de Shelling; giovedì<br />

30 marzo, P. J. Labarrière: “Hegel a<br />

l’épreuve de la deconstruction”.<br />

● Informazioni: Centre Culturel<br />

Francais, tel. 011 5623313; oppure:<br />

Segreteria del Dipartimento di Ermeneutica<br />

Filosofica, tel. 011 8125780.<br />

Organizzato dal Dipartimento di Filosofia<br />

dell’Università degli <strong>Studi</strong> di<br />

Lecce, il 15 e 16 dicembre 1994 si è<br />

tenuto all’Università di Lecce un convegno<br />

dal titolo: Gentile e la filosofia<br />

dell’Occidente. Questa la serie<br />

degli interventi: 15 dicembre, A. Negri:<br />

“L’attualismo o il destino dell’Io”;<br />

F. Fanizza: “Gentile e la filoso-<br />

Istituto Italiano<br />

per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong><br />

Via Monte di Dio 14, Napoli<br />

Genova, 5-9 febbraio 1995<br />

Xavier Tilliette<br />

Bibbia e Filosofia<br />

In collaborazione col Dipartimento<br />

di Filosofia dell’Università di Genova<br />

Genesi. I primi giorni della creazione.<br />

Creazione dell’uomo e della dona.<br />

Peccato originale e paradiso terrestre<br />

- Abramo. il sacrificio di Isacco, la<br />

lotta di Giacobbe - Mosè. La rivelazione<br />

del roveto ardente. L’esodo - Il<br />

lamento di Giobbe. La Sapienza. Il<br />

servo sofferente - Bibbia e filosofia:<br />

il Libro assoluto.<br />

13-17 febbraio 1995<br />

La costruzione dell’immagine<br />

scientifica del mondo.<br />

Mutamenti nella concezione<br />

dell’uomo e del cosmo<br />

dalla scoperta dell’America<br />

alla meccannica quantistica<br />

In collaborazione col Dipartimento<br />

di Matematica dell’Univ. di Perugia<br />

U. Bartocci: “Dal mondo capovolto<br />

di Cristoforo Colombo all’universo<br />

senza centro di Galileo Galilei” - T.<br />

Tonietti: “Verso la matematizzazione<br />

della scienza: armonia e matematica<br />

nei modelli del cosmo fra Seicento<br />

e Settecento” - G. Sermonti: “Il<br />

posto dell’uomo nell’universo: da<br />

Aristotele a Darwin a oggi” - M.<br />

Mamone Capria: “La crisi delle concezioni<br />

ordinarie di spazio e tempo:<br />

l’avvento della relatività” - E. Caccese:<br />

“La dissoluzione della realtà: irrealismo<br />

e indeterminismo nella fisica<br />

del microcosmo”.<br />

20-24 febbraio 1995<br />

Romeo De Maio<br />

Leonardo<br />

e l’Umanesimo incompiuto<br />

La caverna di Leonardo - Leonardo<br />

e la domanda umanistica - Leonardo<br />

e l’enigma della verità - Leonardo<br />

e lo Stato rinascimentale -<br />

Leonardo religioso.<br />

fia dell’arte: tentativi di dis-lettura”;<br />

S. Giametta: “Gentile e Croce”; G. A.<br />

Roggerone: “Gentile e l’oltrepassamento<br />

della democrazia nello stalinismo”;<br />

A. Signorini: “Il divenire in<br />

Gentile e Stirner; G. Invitto: “La presenza<br />

di Gentile nel dibattito italiano<br />

sull’esistenzialismo”; F. Fistetti: “La<br />

secolarizzazione dello storicismo italiano:<br />

Guido Calogero”; 16 dicembre,<br />

C. Vigna: “Attualismo, problematicismo,<br />

ontologia metafisica: una sequenza<br />

storico-speculativa”; M. Signore:<br />

“Il ‘Kant’ di Gentile”; H. A: Cavallera:<br />

“Gentile e Spinoza”; N. Emery:”<br />

L’attualismo come ‘terremoto metafisico’:<br />

l’ambivalente rapporto Rensi-<br />

Gentile”; P. Birtolo: “Un appassionato<br />

interprete di Gentile: Vito A. Bellezza”;<br />

M. Simonetta: “Un inquieto<br />

allievo di Gentile: Ernesto Grassi”.<br />

● Informazioni: Dipartimento di Filosofia,<br />

Via V. M. Stampacchia, Lecce,<br />

tel. 0832 406624.<br />

20-24 febbraio 1995<br />

Ezequiel de Olaso<br />

Leibniz y el escepticismo<br />

La tradición escéptica y Leibniz. Problemas<br />

de interpretación: el escepticismo<br />

antiguo y el moderno. Escepticismo<br />

y platonismo - Los textos polémicos<br />

de Leibniz: el arte de disputar.<br />

Leibniz y los escépticos de su tiempo<br />

- Leibniz contra la concepcion biográfica<br />

de la razón humana:<br />

Montaigne y Descartes. Conocimiento<br />

y juicio. La polémica con Foucher:<br />

el conocimiento hipotético y la existencia<br />

del mundo exterior. Un texto<br />

inédito de Leibniz contra Sexto Empirico.<br />

Las criticas a Enesidemo y a<br />

Agrippa - Leibniz y el escepticismo<br />

sobre los principios. Limitaciones de<br />

la respuesta de Leibniz y las soluciones<br />

de Kant y Hegel.<br />

13 ottobre 1994 - 10 febbraio 1995<br />

Introduzione alla filosofia greca<br />

Incontri di aggiornamento<br />

per la scuola a cura di A. Gargano<br />

Il termine «filosofia» - I problemi<br />

della filosofia - La visione del mondo<br />

dei poemi omerici e della tragedia -<br />

Talete, Anassimandro, Anassimene -<br />

Eraclito - Pitagora - Parmenide - I<br />

sofisti - Socrate - Platone.<br />

21 ottobre 1994 - 17 febbraio I995<br />

Il pensiero italiano<br />

del Quattrocento e Cinquecento<br />

Incontri di aggiornamento<br />

per la scuola a cura di A. Gargano<br />

L’Umanesimo civile - Il neoplatonismo<br />

italiano: Marsilio Ficino e Pico<br />

della Mirandola - Leonardo da Vinci -<br />

Niccolò Machiavelli - Francesco Guicciardini<br />

- Bernardino Telesio - Giordano<br />

Bruno - Tommaso Campanella.<br />

6 dicembre 1994 - 23 marzo 1995<br />

Classici della filosofia<br />

dell’età contemporanea<br />

Incontri di aggiornamento<br />

per la scuola a cura di A. Gargano<br />

Immanuel Kant - Johan Gottlieb Fichte<br />

- Georg Wilhelm Friedrich Hegel -<br />

Karl Marx.


La filosofia insegnata<br />

L’insegnamento della filosofia nella<br />

scuola è un problema complesso che<br />

non può essere lasciato all’improvvisazione<br />

e allo spontaneismo, come è<br />

avvenuto finora. Perdurando l’assenza<br />

di una soluzione istituzionale nella<br />

formazione dei docenti, che chiama<br />

in causa il ruolo strategico dell’università,<br />

Pietro Biancardi, Laura Bolognini,<br />

Lucia Marchetti e Giuseppe<br />

Deiana in una recente pubblicazione:<br />

LA FILOSOFIA INSEGNATA. ESPERIENZE<br />

E RIFLESSIONI TRA INSEGNANTI PER L’INNO-<br />

VAZIONE E LA RICERCA (Pagus Edizioni,<br />

Treviso 1994) hanno voluto proporre<br />

quattro percorsi individuali che,<br />

pur nella diversità delle persone e<br />

dei luoghi di realizzazione, si riconoscono<br />

in un’idea comune del fare<br />

filosofia a scuola.<br />

Nella sua “Introduzione” Giuseppe Deiana<br />

sottolinea come gli autori intendano<br />

presentare, in questo volume, un’ipotesi<br />

di modello di didattica della filosofia<br />

realistico, aperto e discutibile, integrabile<br />

e correggibile, ma con la valenza<br />

di proposta complessiva unitaria. Il volume<br />

intende rispondere ad alcuni degli<br />

interrogativi più ricorrenti fra i docenti<br />

delle scuole secondarie superiori e raccoglie<br />

alcuni brevi saggi sul tema della<br />

didattica della filosofia.<br />

Perdurando lo stato di relativa arretratezza<br />

in cui ancora si trova l’insegnamento della<br />

filosofia, Pietro Biancardi, Laura Bolognini,<br />

Lucia Marchetti e Giuseppe Deiana<br />

hanno tentato, dall’interno del sistema<br />

scolastico, di aprire percorsi di innovazione<br />

per una didattica intesa come ricerca.<br />

La proposta è quella di far convergere,<br />

in una nuova prospettiva progettuale, le<br />

due istanze sottese ad un’azione didattica<br />

razionale e produttiva: quella del lavoro<br />

effettivo, organizzato e attuato a scuola e<br />

in classe, e quella del dibattito teorico, che<br />

si sviluppa attraverso i libri, le riviste e i<br />

convegni. Si tratta di esperienze che obbediscono<br />

ai criteri di una programmazione<br />

didattica creativa e critica, aperta alla problematizzazione<br />

e alla valutazione pubblica,<br />

ricca sotto l’aspetto epistemologico e<br />

DIDATTICA<br />

DIDATTICA<br />

a cura di Riccardo Lazzari<br />

formativo e, come tale, trasferibile, pur<br />

senza la pretesa di presentarsi come un<br />

progetto completo, ma come un progetto<br />

praticabile secondo condizioni scolastiche<br />

possibili e una chiara idea di ricercasperimentazione<br />

e di progettazione-programmazione<br />

della filosofia nel curricolo.<br />

La proposta di questo itinerario nasce sulla<br />

scorta delle trasformazioni sociali, culturali<br />

e politiche degli anni ’70 e ’80, maturate<br />

nella società e nella scuola italiana, e<br />

nella consapevolezza della possibilità di<br />

realizzare diverse strategie didattiche, che<br />

si avventurano in quel tipo di ricerca e di<br />

sperimentazione che procede sui binari<br />

paralleli e strettamente connessi della teoria<br />

epistemologico-conoscitiva e dell’esperienza<br />

scolastico- lavorativa, coniugando<br />

teoria e pratica didattica. Il compito che gli<br />

autori si sono prefissi è determinare gli<br />

obiettivi cognitivi e socio-relazionali, i<br />

contenuti disciplinari e il metodo sotteso<br />

all’organizzazione didattica in funzione,<br />

da un lato, della specificità della disciplina,<br />

dall’altro dell’apprendimento dello studente,<br />

e fra questi, della mediazione dell’insegnante.<br />

La riflessione teorica e le<br />

esperienze sono state di volta in volta<br />

raccolte, sistemate e ripensate nel farsi del<br />

lavoro, per dar conto dei processi di pensiero<br />

e dei procedimenti che sono stati<br />

attivati nelle classi. Per questo gli autori<br />

hanno deciso di raccogliere i risultati e di<br />

ripresentarli nella forma originale.<br />

Quattro sembrano i “guadagni” - come li<br />

definisce Deiana - derivanti da tale dibattito.<br />

Il primo, relativo all’organizzazione<br />

del lavoro scolastico, consiste nella convinzione<br />

che un buon insegnamento della<br />

filosofia passa per una strutturazione didattica<br />

“forte”; il secondo, relativo agli<br />

assetti disciplinari, consiste nell’affermazione<br />

della tesi estensiva, cioè della filosofia<br />

per tutti, a seguito del riconoscimento<br />

delle sue potenzialità formative e trasversali;<br />

il terzo, presupposto dei primi due,<br />

consiste nel riconoscimento della specificità<br />

della filosofia, cioè dello statuto epistemologico<br />

della disciplina; infine il quarto<br />

consiste nello spostamento della riflessione<br />

e della sperimentazione dalla filosofia<br />

insegnata alla filosofia appresa.<br />

71<br />

Filosofia per ragazzi<br />

L’uso del gioco e di esemplificazioni<br />

concrete e semplici da comprendere<br />

sembra essere uno strumento didattico<br />

di felice riuscita. E‘ questa la struttura<br />

che regge due recenti pubblicazioni<br />

che intendono “divulgare” la<br />

filosofia ad uso di ragazzi e adolescenti.<br />

Si tratta di RITRATTINO DI KANT AD<br />

USO DI MIO FIGLIO (Mondadori, Milano<br />

1994), di Massimo Piattelli Palmarini,<br />

e de IL MONDO DI SOPHIE (trad. it. di ***,<br />

Longanesi, Milano 1994), di Jostein<br />

Gaarder.<br />

Pensato come “storia” che fosse in grado<br />

di spiegare, in termini semplici, ad un<br />

ragazzo di tredici anni la filosofia di Kant,<br />

il Ritrattino di Kant ad uso di mio figlio<br />

costituisce uno strumento piacevole ed<br />

efficace in grado di essere di aiuto anche ai<br />

meno giovani. La caratteristica portante<br />

del testo è data dall’uso frequente di esempi<br />

ispirati al mondo concreto delle cose e,<br />

per questo, di facile comprensione. L’elemento<br />

didattico si realizza, allora, non<br />

tanto nella sistematicità dell’esposizione<br />

del pensiero kantiano, quanto nel continuo<br />

richiamo ad aneddoti e a casi concreti che<br />

illustrano al giovane lettore, spesso in<br />

maniera ludica, la struttura del pensiero<br />

kantiano. L’esposizione della vita dell’autore,<br />

realizzata in base ad episodi spesso<br />

divertenti e accattivanti, accompagna l’illustrazione<br />

del pensiero kantiano,. Così,<br />

vengono citati aneddoti, come quello che<br />

vede gli abitanti di Königsberg regolare il<br />

proprio orologio in funzione delle puntualissime<br />

passeggiate di Kant, o come quello<br />

secondo cui Kant, alla morte del servitore<br />

Lampe, avrebbe appeso davanti al tavolo<br />

di lavoro un cartello con scritto “dimenticare<br />

Lampe”!<br />

L’elemento intorno al quale ruota l’intero<br />

volumetto, poco più di ottanta pagine, è<br />

l’importanza decisiva che Kant attribuisce<br />

alla ragione umana. Descritta come “il<br />

colletto bianco inamidato del padre”, in<br />

grado di insegnare al bambino a camminare<br />

da solo, la ragione kantiana e illuminista<br />

è posta come quell’elemento in grado di<br />

fornire all’uomo la capacità di trovare le<br />

proprie possibilità e i propri limiti nel


DIDATTICA<br />

campo della conoscenza, della morale e<br />

della religione. Abbandonando la tipica<br />

partizione del pensiero kantiano nelle tre<br />

critiche, Massimo Piattelli Palmarini illustra<br />

il valore della ragione nei diversi<br />

campi dell’attività umana. Così, sia la conoscenza<br />

sia la morale sono descritte come<br />

quegli ambiti in cui la capacità autonoma<br />

dell’individuo formula i giudizi sintetici a<br />

priori e gli imperativi categorici, con cui<br />

gestire razionalmente la scienza e l’etica.<br />

Sempre attraverso esempi concreti e immediati<br />

Piattelli Palmarini sottolinea più<br />

volte l’autonomia della critica razionale<br />

con cui arginare il “pericolo” dell’ideologia<br />

(molto dura la critica al marxismo),<br />

e della religione che, oltrepassati i<br />

limiti della ragione, diventa fanatismo e<br />

idolatria.<br />

L’apologia kantiana non è, comunque, priva<br />

di senso critico e di analisi. Nonostante<br />

il fervore che accompagna Palmarini durante<br />

tutto il suo excursus, infatti, non<br />

manca la consapevolezza da parte dell’autore<br />

di un limite nell’opera kantiana<br />

e cioè della totale assenza dell’esplorazione,<br />

o anche solo della presa d’atto, di<br />

quella zona della psiche, l’inconscio,<br />

dove la ragione, strutturalmente, non è<br />

in grado di arrivare.<br />

Il mondo di Sophie racconta invece, attraverso<br />

il gioco e l’esemplificazione, la storia<br />

della filosofia nella forma di una fiaba<br />

e di un romanzo epistolare. La protagonista,<br />

Sophie, riceve, ogni mattina, nella<br />

cassetta delle lettere, messaggi con domande<br />

del tipo: “Chi sei tu?”; o “Da dove<br />

viene il mondo?”, alle quali seguono le<br />

risposte formulate in filosofia dai pensatori<br />

occidentali più noti, dai presocratici fino<br />

a J. P. Sartre.<br />

L’intento di Jostein Gaarder con quest’opera<br />

è quello di presentare la filosofia<br />

non tanto come insieme di concetti<br />

seriosamente accademici, bensì come<br />

continua interrogazione e stupore di fronte<br />

ai misteri della vita. Pensato per adulti<br />

e scritto per ragazzi, il romanzo mette in<br />

gioco la filosofia con i sentimenti e l’immaginazione<br />

all’interno di quel mondo<br />

privilegiato che è l’infanzia. In questo<br />

modo, rappresentando, ad esempio, l’atomismo<br />

di Democrito attraverso il gioco<br />

del “Lego” e facendo sfilare Kant e<br />

Hegel di fianco ai personaggi di Walt<br />

Disney, Gaarder si pone due intenti realizzati<br />

entrambi attraverso l’aspetto ludico.<br />

In primo luogo riportare la filosofia<br />

in piazza; di fronte all’intellettualismo,<br />

a volte quasi esoterico, che pervade<br />

le università, infatti, Il mondo di Sophie<br />

costituisce uno strumento divertente ed<br />

efficace in grado di divulgare le domande<br />

e le risposte più frequenti nella storia<br />

dell’uomo. In secondo luogo, il romanzo<br />

si propone anche come strumento didattico<br />

che, attraverso l’intreccio tra fantasia<br />

e immagine, può realizzare il primo<br />

“assaggio” di filosofia anche per i più<br />

giovani. A.S. Charles Bell, Manikin Monkey (1972, particolare)<br />

72


Per diventare cittadini<br />

Il diritto di cittadinanza è un valore che<br />

dobbiamo acquisire se vogliamo contribuire<br />

direttamente alla costruzione<br />

di una società democratica e se vogliamo<br />

diventare soggetti politici a pieno<br />

titolo: da questa convinzione Susanna<br />

Creperio Verratti, in collaborazione con<br />

Vanna Lora, Lino Rizzi e Tommaso<br />

Arenare, ha tratto l’idea di organizzare<br />

un corso di filosofia politica, rivolto a<br />

un pubblico di giovani, che si articolerà<br />

in nove incontri a carattere seminariale<br />

sul tema: “LE FONTI DELLA LIBERAL-<br />

DEMOCRAZIA”. Scopo del corso, che si<br />

svolgerà a Milano da febbraio a maggio<br />

1995, presso l’Istituto G. Pascoli<br />

(via C. Poerio 14, Milano) è di sollecitare<br />

i giovani a riflettere intorno ai grandi<br />

problemi di natura teorica della politica<br />

e a praticare nella realtà quotidiana<br />

i loro diritti di cittadini.<br />

Il progetto è scaturito dalla convinzione<br />

della necessità, nel mondo contemporaneo,<br />

di discutere temi etico-politici di<br />

ampio respiro, che riguardano da un lato i<br />

Paesi di più solida tradizione democratica<br />

e dall’altro il passato e il presente del<br />

nostro Paese, alla ricerca di quei momenti<br />

nodali in cui il liberalismo si è aperto alle<br />

istanze democratiche, intese sia come allargamento<br />

del suffragio sia come partecipazione<br />

alla politica della società civile.<br />

Il corso è articolato in tre cicli di tre incontri<br />

ciascuno: una prima parte storico-conoscitiva,<br />

tesa a presentare i classici del pensiero<br />

liberal-democratico, quali De Tocqueville<br />

(nel contesto di un raffronto tra la<br />

democrazia americana e la realtà della<br />

Francia a lui contemporanea); e J. Stuart<br />

Mill e la sua battaglia per difendere la<br />

libertà come principio e come valore in<br />

Inghilterra; quindi una seconda parte, dedicata<br />

al ‘900, dove saranno analizzati un<br />

periodo particolarmente critico nella storia<br />

delle democrazie europee, la Repubblica<br />

di Weimar, e la risposta di Hans Kelsen,<br />

filosofo e giurista, fatta di impegno politico<br />

inteso kantianamente come imperativo<br />

categorico. Si procederà poi all’attualità<br />

del dibattito sulla democrazia liberale con<br />

lo sviluppo del tema del rapporto tra etica<br />

e politica, ovvero, tra libertà individuale e<br />

giustizia sociale, con riferimento a J.<br />

Rawls. L’ultima parte del corso si sofferma<br />

sulla situazione italiana e pone la domanda<br />

fondamentale : perché in Italia non<br />

è decollata la liberal-democrazia? Si cercherà<br />

nel passato della storia d’Italia e in<br />

particolare nel periodo dell’Unità la presenza<br />

di una tradizione liberale e democratica,<br />

ravvisandone le fonti anche poco conosciute<br />

e individuando nel federalismo<br />

una delle risposte più concrete per la realizzazione<br />

di una democrazia liberale. L’ultima<br />

parte del corso ha infatti lo scopo di<br />

aprire il dibattito sul caso italiano; la Tavola<br />

rotonda conclusiva dovrebbe costituire<br />

DIDATTICA<br />

un momento di riflessione, ma anche di<br />

apertura sulle prospettive, nel nostro Paese,<br />

di una teoria e di una pratica della<br />

democrazia liberale.<br />

Ogni incontro, in tutto nove, della durata<br />

di due ore circa ciascuno, si articola in due<br />

fasi: una prima fase espositiva, vede la<br />

presenza di uno o più relatori che si alternano;<br />

una seconda fase, interattiva, è dedicata<br />

alla lettura delle pagine più significative<br />

degli autori proposti, al dialogo, alla<br />

riflessione ed alla discussione democratica.<br />

Questa seconda fase, condotta con tecniche<br />

opportune, dovrebbe abituare il giovane<br />

corsista ad una pratica civile del confronto<br />

con gli altri: si tratta di educazione<br />

civile o, per meglio dire, del cittadino.<br />

Prima e dopo il corso, verrà messo a disposizione<br />

il materiale di lavoro: all’inizio di<br />

ciascun ciclo verrà consegnata ad ogni<br />

corsista la traccia degli argomenti che verranno<br />

sviluppati oralmente, corredata dai<br />

passi più significativi degli autori citati;<br />

questa sorta di guida conterrà la bibliografia<br />

essenziale come rimando necessario<br />

alla lettura dei testi integrali. Alla fine del<br />

corso gli argomenti, gli interventi e le<br />

proposte più significativi verranno resi<br />

pubblici come Atti.<br />

Questo il calendario degli incontri: 1 febbraio,<br />

“Finalità, obiettivi e metodo”, presentazione<br />

dei docenti e degli argomenti<br />

del corso; 8 febbraio, Lino Rizzi: “Liberalismo<br />

e democrazia in De Tocqueville”;<br />

15 febbraio, Vanna Lora: “Libertà e individualità<br />

in John Stuart Mill”; 15 marzo,<br />

Tommaso Arenare: “Libertà, mercato,<br />

istituzioni”; 22 marzo, Vanna Lora: “Libertà,<br />

uguaglianza ed impegno politico in<br />

Kelsen”; 29 marzo, Susanna Creperio<br />

Verratti: “Libertà ed equità in Rawls”; 26<br />

aprile, Lino Rizzi: “Le due vie dell’unità<br />

politica italiana”; 3 maggio, Susanna Creperio<br />

Verratti, Tommaso Arenare: “Liberismo<br />

e tradizione liberaldemocratica in<br />

Italia”; 10 maggio, Tavola rotonda: “Le<br />

prospettive di una teoria e di una pratica<br />

democratico-liberale in Italia” (per informazioni:<br />

Susanna Creperio Verratti, Istituto<br />

G. Pascoli, via Poerio 14, 20129 Milano,<br />

tel. 02/29518327). S.C.V.<br />

Interventi, proposte, ricerche<br />

Sul «Bollettino della Società Filosofica<br />

Italiana» (n. 152, maggio-agosto<br />

1994) viene pubblicata una Proposta<br />

di riordino del Corso di laurea in Filosofia,<br />

elaborata dal C.U.N. e inviata al<br />

Comitato consultivo. Alcune osservazioni<br />

sul merito di questa proposta<br />

sono avanzate, sullo stesso «Bollettino»,<br />

da Enrico Berti, del Consiglio<br />

Direttivo della S.F.I.<br />

La proposta, che si divide in cinque articoli<br />

(art. 1 - Istituzione ed accesso; art. 2 -<br />

73<br />

Durata e finalità del Corso di laurea; art. 3<br />

- Organizzazione degli studi; art. 4. - Norme<br />

generali e transitorie; art. 5 - Curriculum<br />

didattico; art. 6 - Ripartizioni disciplinari),<br />

presenta alcuni punti di novità<br />

indubbiamente positivi, fra i quali: la divisione<br />

del quadriennio in due bienni, rispettivamente<br />

propedeutico e specialistico;<br />

l’elevazione del numero complessivo degli<br />

insegnamenti, previsti nel piano di studio,<br />

dagli attuali 19 a 21, con l’inclusione tra<br />

essi di un insegnamento di lingua straniera<br />

e l’aggiunta d’una prova scritta su testi<br />

filosofici; la previsione di esercitazioni di<br />

pratica testuale coordinate dal Consiglio di<br />

corso di laurea.<br />

Altri punti suscitano invece, secondo Enrico<br />

Berti, alcune perplessità. In particolare<br />

l’individuazione del «secondo nucleo di<br />

discipline» del primo biennio tra quelle<br />

«appartenenti ad altri settori umanistici,<br />

che consentano ... il mantenimento dell’intersettorialità<br />

con gli altri corsi di laurea<br />

incardinati nelle facoltà di Lettere» (art. 2)<br />

appare ingiustificata alla luce del fatto che<br />

anche in Italia gli studi filosofici hanno<br />

sempre più sostituito il rapporto intrattenuto<br />

in passato con gli studi storico-letterari<br />

con un’attenzione rivolta in egual misura a<br />

tutti gli ambiti culturali. Ma ciò che più<br />

sconcerta, secondo Berti, è il fatto che il<br />

numero degli insegnamenti filosofici obbligatori<br />

per la laurea in Filosofia verrebbe<br />

ad essere, secondo la proposta del C.U.N.,<br />

complessivamente di 10 su 21, cioè meno<br />

della metà, per via dell’inclusione, nel secondo<br />

biennio, di ben 5 insegnamenti a<br />

scelta in un area non filosofica, individuati<br />

soprattutto nell’ambito delle Scienze umane,<br />

della Storia o delle Scienze del linguaggio<br />

e della comunicazione e da aggiungersi<br />

a quelli già previsti per il primo biennio. E’<br />

invece auspicabile, secondo Berti, che tale<br />

gruppo di insegnamenti venga ridotto, nel<br />

secondo biennio, da 5 a 3, individuabili<br />

indifferentemente in qualsiasi altra area<br />

non filosofica, compresa dunque quella<br />

delle scienze matematiche, fisiche e naturali,<br />

che finora, stante la proposta in discussione,<br />

sarebbero eleggibili solo con l’approvazione<br />

del Consiglio di corso di laurea.<br />

Altre perplessità sono poi suscitate, per<br />

Berti, dalle restrizioni che rendono estremamente<br />

rigido e poco duttile il curriculum<br />

del corso di laurea in Filosofia.<br />

Fra i recenti interventi sull’insegnamento<br />

della filosofia nelle scuole secondarie<br />

superiori si segnalano i contributi<br />

di Mario Pinotti e di Mario Trombino<br />

sul «Bollettino della Società Filosofica<br />

Italiana» (n. 152, maggio-agosto<br />

1994) e, su «Paradigmi» (n. 35,<br />

maggio-agosto 1994), una nota di<br />

Maria De Rose sul Convegno di didattica<br />

della filosofia del 1993, organizzato<br />

dalla S.F.I., e le risposte date da<br />

Giuseppe Semerari a quattro domande<br />

poste da Franca Pinto Minerva.


Nell’articolo: La filosofia tra senso comune<br />

ed argomentazione, Mario Pinotti cerca<br />

di affrontare la questione del notevole<br />

numero di studenti che «prima o poi nel<br />

corso del triennio rinunciano alla frequentazione<br />

(sia pure scolastica) della filosofia,<br />

come se ne fossero o impermeabili o<br />

rassegnati, davanti alle difficoltà che essa<br />

presenta». Questa rinuncia dipende, secondo<br />

l’autore, dalla «diffusa incomprensione<br />

del legame che intercorre tra le sue<br />

problematiche, il suo linguaggio, la sua<br />

sintassi e le problematiche, il linguaggio,<br />

la sintassi del senso comune». Partendo da<br />

questa «intuizione generale», l’autore cerca<br />

di delineare una credibile strategia didattica<br />

capace di stabilire un nesso di circolarità<br />

tra presente e passato nell’apprendimento<br />

della filosofia. In particolare l’insegnante<br />

«deve presentare la filosofia come<br />

un punto di riferimento, dal quale attingere<br />

le risposte a quelle domande che la prospettiva<br />

interna al senso comune ha necessariamente<br />

deluso». Di particolare interesse<br />

sono due esempi di materiale elaborato<br />

da studenti, come esito finale di un<br />

lavoro condotto sul Fedone di Platone.<br />

L’articolo di Mario Trombino, dal titolo:<br />

A proposito di una nuova idea per insegnare<br />

filosofia a scuola, si presenta come<br />

un’accurata recensione del libro di Mario<br />

De Pasquale, Didattica della filosofia. La<br />

funzione egoica del filosofare (Franco<br />

Angeli, Milano 1994; cfr. «Informazione<br />

Filosofica», n. 17/18, febbraio/aprile 1994).<br />

Elemento saliente della recensione di<br />

Trombino è il rilievo secondo cui «il modello<br />

proposto da De Pasquale non è compatibile<br />

con la nostra scuola, così com’è».<br />

Esso infatti, per essere attuato, esige un’organizzazione<br />

del tempo e dello spazio<br />

molto diversa da quella attualmente in<br />

vigore nella scuola. Quanto poi al problema<br />

della valutazione, osserva Trombino,<br />

tale modello «è forse troppo radicale anche<br />

per una scuola riformata, che consenta<br />

tempi e modi diversi». Per quanto riguarda<br />

poi la praticabilità complessiva del modello<br />

proposto da De Pasquale, Trombino<br />

sostiene che «se insegnare filosofia significa<br />

creare una comunità di ricerca, aderirvi<br />

o meno deve essere in ogni momento<br />

frutto di un atto di libertà. Si può fare, ma<br />

la riforma della scuola... deve recepire<br />

questo principio. Nella scuola oggi questo<br />

non è possibile».<br />

Nel suo intervento su «Paradigmi», dal<br />

titolo Un convegno nazionale sulla didattica<br />

della filosofia, Maria de Rose, oltre a<br />

svolgere alcune considerazioni iniziali, offre<br />

un bilancio del convegno “La didattica<br />

della filosofia nell’università e nella scuola<br />

secondaria superiore”, tenutosi a Treviso<br />

dal 25 al 27 novembre 1993 a cura della<br />

Società Filosofia Italiana (cfr. «Informazione<br />

Filosofica», n. 16, dicembre 1993).<br />

Secondo De Rose è nella prospettiva di<br />

realizzazione di una sempre più proficua<br />

«convergenza tra didattica ed epistemologia<br />

disciplinare» che va rivolto lo sguardo<br />

DIDATTICA<br />

innovatore dei docenti di filosofia. Vale a<br />

dire: la didattica non si connota come mera<br />

tecnica, ma come «ambito problematico<br />

complesso», che coinvolge, oltre ai problemi<br />

legati allo «specifico statuto epistemologico<br />

delle diverse discipline», molteplici<br />

questioni d’ordine psicologico-cognitivo,<br />

docimologico, interdisciplinare.<br />

Secondo De Rose il convegno organizzato<br />

dalla S.F.I. non è stato capace di rispondere<br />

in modo adeguato ai temi di ampio<br />

respiro e alle questioni che erano state<br />

annunciate. Nonostante alcuni interventi<br />

particolarmente stimolanti, i lavori del<br />

Convegno «sono stati rivolti o all’evidenziazione<br />

di problemi o all’esposizione di<br />

programmi, aspetti entrambi già noti alla<br />

maggior parte dei docenti di scuola superiore<br />

coinvolti in prima persona nel processo<br />

di rinnovamento già in atto».<br />

Ancora sullo stesso fascicolo di «Paradigmi»,<br />

Giuseppe Semerari risponde ad alcune<br />

domande di Franca Pinto Minerva<br />

sullo “stato di salute” della filosofia, sulla<br />

possibile metodologia (unica e neutrale o,<br />

viceversa, pluralistica) della ricerca filosofica,<br />

sul significato dell’allargamento<br />

dell’insegnamento filosofico agli istituti<br />

tecnici, sulla possibilità di insegnare alcuni<br />

elementi del pensiero filosofico sin dalla<br />

scuola di base.<br />

Si segnala infine un contributo di Maria<br />

Giovanna Delfino, apparso su «Sensate<br />

esperienze» (n. 23, giugno 1994), relativamente<br />

al tema: Fra Scienza e Filosofia:<br />

organizzazione e svolgimento di un progetto<br />

didattico fondato sulla Bioetica. Il<br />

progetto, articolato in senso logico-cronologico<br />

e corredato dagli itinerari di Scienza,<br />

Filosofia e Religione Cattolica, è stato<br />

introdotto nel Liceo «Pacinotti» della Spezia<br />

allo scopo di innovare il curricolo tradizionale<br />

di Scienze e Filosofia, di avviare<br />

una modularità avente come perno discipline<br />

aferenti aree diverse, di “rompere” lo<br />

schema rigido della partizione per anno<br />

dei contenuti disciplinari.<br />

Già da alcuni anni, la Società Filosofica<br />

Italiana ha condotto, con il patrocinio<br />

del Ministero della Pubblica<br />

Istruzione, un’inchiesta sull’insegnamento<br />

della filosofia nelle scuole<br />

sperimentali. Questa inchiesta, di<br />

cui abbiamo già anticipato i contenuti<br />

(cfr. «Informazione Filosofica»,<br />

n. 15, settembre/ottobre 1993), è<br />

ora apparsa nelle librerie con il volume:<br />

L’INSEGNAMENTO DELLA FILOSOFIA<br />

NELLE SCUOLE SPERIMENTALI. RAPPORTO<br />

DELLA SOCIETÀ FILOSOFICA ITALIANA (a<br />

cura di C. Lanzetti e C. Quarenghi,<br />

Laterza, Roma-Bari 1994).<br />

La ricerca su L’insegnamento della filosofia<br />

nelle scuole sperimentali, condotta<br />

Clemente Lanzetti e Cesare Quarenghi,<br />

si inserisce in un programma di lavoro<br />

promosso dalla S.F.I. alla metà degli anni<br />

74<br />

Ottanta, che prevedeva due studi di carattere<br />

empirico sull’insegnamento della filosofia<br />

in Italia: uno nei licei a ordinamento<br />

normale e uno nelle scuole secondarie<br />

superiori di tipo sperimentale. Il primo è<br />

stato effettuato negli anni 1985-86 e i<br />

risultati sono stati raccolti nel volume:<br />

L’insegnamento della filosofia. Rapporto<br />

della Società filosofica italiana (a cura di<br />

L. Vigone e C. Lanzetti, Laterza, Roma-<br />

Bari 1987); il secondo è stato realizzato tra<br />

il 1990 e il 1992 e viene presentato nel<br />

volume in questione.<br />

Lo scopo che accomuna i due lavori, come<br />

specificano i curatori del secondo rapporto,<br />

è quello di fornire dati oggettivi su<br />

come nella pratica didattica i docenti di<br />

filosofia esercitano la loro professione, sui<br />

problemi e le difficoltà che incontrano nel<br />

loro effettivo contesto di lavoro, sulle attese<br />

che hanno e i suggerimenti che propongono<br />

in ordine sia alla didattica che alla<br />

loro formazione. In particolare, per la ricerca<br />

relativa alle scuole sperimentali sono<br />

state adottate due strategie diverse di rilevazione<br />

dei dati: l’una prevalentemente<br />

qualitativa, che si rifà ai metodi dell’analisi<br />

socio-organizzativa e alla tecnica del<br />

case-study, e l’altra di tipo quantitativo<br />

che si basa sull’uso del questionario.<br />

Con la prima, che prevede un’analisi<br />

globale e longitudinale dell’esperienza,<br />

utilizzando interviste in profondità a testimoni<br />

privilegiati, è stata fatta un’analisi<br />

dettagliata di quattro esperienze<br />

esemplari di sperimentazione, realizzate<br />

in modo di avere contesti differenziati e<br />

il più possibili significativi.<br />

Le scuole prese in considerazioni sono<br />

state l’ITIS Cobianchi di Verbania, l’Ist.<br />

tecnico commerciale a indirizzo linguistico<br />

di Paderno Dugnano, l’Ist. magistrale<br />

di Mestre (a indirizzo biologico, giuridico,<br />

sociale e letterario), l’ITIS di Bollate, che<br />

prevede l’insegnamento della filosofia nell’area<br />

comune. Sulla base dell’analisi<br />

condotta in questi quattro istituti, il gruppo<br />

di ricerca ha selezionato gli aspetti<br />

che meritavano d’essere poi indagati su<br />

vasta scala, mediante l’approntamento<br />

di un questionario inviato ai docenti di<br />

filosofia e ai presidi delle scuole sperimentali<br />

di tutta Italia.<br />

Il volume riporta anche una tavola rotonda,<br />

sui risultati dell’indagine, con interventi<br />

di Enrico Berti, Carlo Lazzerini,<br />

Virgilio Melchiorre, Pietro Rossi e Carlo<br />

Sini, ed è corredato da una “Prefazione”<br />

di Girolamo Cotroneo, da una “Introduzione”<br />

di Luciana Vigone, e da una “Nota<br />

finale” di Cesare Quarenghi.


Filosofia anglo-sassone<br />

LA PHILOSOPHIE ANGLO-SAXONNE (La filosofia<br />

anglosassone, Puf, Parigi 1994),<br />

opera collettiva diretta da Michel<br />

Meyer, filosofo belga allievo e successore<br />

di Perelman all’Université Libre<br />

de Bruxelles, nonché direttore della<br />

«Revue Internationale de philosophie»,<br />

è la prima opera di lingua francese a<br />

render conto in maniera sistematica<br />

dell’insieme di problematiche, temi,<br />

autori, correnti e ambiti di ricerca che<br />

«da Locke a Rorty, da Bacone a Rawls,<br />

da Hobbes a Popper e Feyerabend,<br />

hanno consacrato l’originalità e la sostanza<br />

del pensiero anglosassone»,<br />

mettendo fine al rigetto che il pensiero<br />

francofono ha a lungo dimostrato<br />

nei confronti della filosofia analitica.<br />

Per la sua struttura, quest’opera si pone<br />

come strumento di lavoro e di riferimento<br />

anche per gli anni a venire: in seicento<br />

pagine, viene offerto il panorama di quattro<br />

secoli di filosofia inglese; ciascun saggio,<br />

redatto da un noto specialista, è seguito da<br />

una bibliografia aggiornata; note e indici<br />

sono molto ricchi. Viene così messa a disposizione<br />

del lettore una somma di conoscenze<br />

indispensabili alla comprensione di<br />

autori ancora frequentemente ignorati in<br />

area francese, malgrado il recente moltiplicarsi<br />

delle traduzioni.<br />

Il pensiero anglosassone - il cui ambito non<br />

coincide puramente e semplicemente con<br />

quello della filosofia analitica - viene definito<br />

in base a criteri “patriottici”, geografici,<br />

metodologici, addirittura stilistici. La<br />

“patria” teorica è rappresentata dall’empirismo,<br />

che trova la propria fonte remota<br />

nell’idea che «non vi è nulla nell’intelletto<br />

che prima non sia stato nei sensi», e, a<br />

partire dalla critica di Locke alla nozione<br />

cartesiana di idea innata, attraversa il pensiero<br />

di Berkeley per arrivare allo scetticismo<br />

radicale di Hume. La “regione” d’origine<br />

è la Polonia, vengono poi i paesi<br />

scandinavi, gli Stati Uniti, l’Austria e naturalmente<br />

la Gran Bretagna, terra degli «esuli<br />

delle persecuzioni tedesche, che preferirono<br />

vivere nel paese di Locke piuttosto che<br />

morire in quello di Heidegger». Ma è un<br />

certo “stile” a permettere di radunare sotto<br />

STUDIO<br />

STUDIO<br />

un’unica denominazione correnti speculative<br />

abbastanza differenti tra loro: la maniera<br />

di considerare la ricerca filosofica come<br />

un’indagine di tipo scientifico; la propensione<br />

a un minuzioso lavoro di chiarificazione;<br />

la priorità accordata ai “fatti” e all’ “argomentazione”;<br />

la volontà di porre i problemi<br />

teorici nel modo più “obbiettivo” possibile;<br />

il privilegiamento della logica e delle analisi<br />

linguistiche, sia del linguaggio formalizzato<br />

delle scienze, che di quello comune.<br />

Gli ambiti presi in esame da Michel Meyer<br />

e dai suoi collaboratori sono quelli tradizionali:<br />

filosofia morale e politica, filosofia<br />

del linguaggio, filosofia della logica,<br />

filosofia dell’azione, filosofia della scienza.<br />

Il volume si apre con un saggio sulla<br />

Nascita dell’empirismo, redatto dallo stesso<br />

Meyer e si chiude con un saggio consacrato<br />

alla Filosofia dello Spirito, a firma<br />

dello studioso e traduttore di Davidson<br />

Pascal Engel, e uno ai più recenti sviluppi<br />

di Intelligenza artificiale e scienze cognitive,<br />

illustrati da Jacques Riche. Manuel<br />

Maria Carrilho fa il quadro della filosofia<br />

della scienza (da non confondere con l’epistemologia,<br />

dato che epistemology in inglese<br />

designa piuttosto quella che sul continente<br />

viene chiamata teoria della conoscenza)<br />

da Bacone e Mill, dal Circolo di<br />

Vienna fino a Popper, Kuhn, Lakatos e<br />

Feyerabend. Jean Pierre Cometti risale<br />

alle origini del pragmatismo americano<br />

(Peirce, Dewey) per meglio mettere in luce<br />

gli apporti di Putnam e di Rorty, di cui<br />

peraltro ha da poco tradotto in francese<br />

Obbiettivismo, relativismo e verità. Simone<br />

Goyard-Fabre fornisce una visione<br />

panottica delle grandi tematiche morali e<br />

politiche elaborate in ambito anglosassone.<br />

Inizia dall’ “orribile Hobbes” - come lo<br />

chiamava Rousseau - e da Locke, passando<br />

alle filosofie che “valorizzano i percorsi<br />

della tradizione e della storia (Hume e<br />

Burke), prima di delineare i tratti della<br />

corrente utilitarista (Bentham, Mill, Sidgwick)<br />

in polemica con la quale si è formato<br />

il neocontrattualismo di Rawls, all’origine<br />

di quasi tutti i dibattiti che animano<br />

l’attuale filosofia morale e politica (Nozick,<br />

Hart, Buchanan, Nagel, Larmore,<br />

Taylor, Walzer, MacIntyre, Williams...)<br />

nonché quella del diritto.<br />

Ma, naturalmente, è la filosofia del lin-<br />

75<br />

guaggio a fare la parte del leone all’interno<br />

del volume. Che la filosofia debba consacrarsi<br />

all’analisi logica del linguaggio e<br />

abbia come compito essenziale la chiarificazione<br />

del suo senso: è questo il programma<br />

della filosofia analitica. Ma cosa significa<br />

analizzare il linguaggio? Tradurne gli<br />

enunciati in una lingua formale? <strong>Studi</strong>are il<br />

modo in cui le proposizioni hanno senso?<br />

Vedere a quali condizioni “dire è fare”? Le<br />

indagini si sviluppano in tutte le direzioni:<br />

logica, sintattica, semantica, pragmatica.<br />

François Rivenc inizia dalla teoria delle<br />

“descrizioni definite” di Russel per arrivare<br />

a Carnap; il pensiero di Wittgenstein è esposto<br />

da Jacques Bouveresse, massimo specialista<br />

francese di questo autore; Paul Gochet<br />

analizza la riflessione di Quine in un<br />

capitolo che è stato rivisto da Quine medesimo;<br />

Pascal Engel si occupa dei successori di<br />

Quine (Smart, Armstrong, Lewis, Kripke,<br />

Davidson, Dummet); Carrilho espone la<br />

teoria degli atti linguistici di Searle e Austin.<br />

A quasi un secolo dai Principia Mathematica<br />

di Russell, considerati gli importanti<br />

cambiamenti che la filosofia anglosassone<br />

ha introdotto nella speculazione, anche in<br />

ambito francese il dibattito filosofico si sposta<br />

dal tradizionale asse franco-tedesco e ci si<br />

rende conto finalmente di quanto fosse un<br />

vano sarcasmo l’affermazione comune riportata<br />

da Bouveresse: «se le questioni filosofiche<br />

fossero, come crede Wittgenstein,<br />

essenzialmente questioni linguistiche, non<br />

potrebbero che essere superficiali, prive di<br />

interesse e di conseguenze». D.F.<br />

Felicità e piacere nei greci<br />

IL PIACERE NELLA FILOSOFIA GRECA (a cura<br />

di P. Cosenza e R. Laurenti, Loffredo<br />

Editore, Napoli 1993) è il titolo di<br />

un’ampia antologia che racchiude, in<br />

uno spazio compatto e fruibile, un<br />

ambito vastissimo di posizioni, di idee,<br />

di analisi teoriche sul problema della<br />

felicità, in particolare nella sua connessione<br />

con il piacere.<br />

Sin dalle sue origini, la filosofia greca ha<br />

usato moltissimo il termine hedoné, tanto


STUDIO<br />

che sono state classificate come edonistiche<br />

filosofie che pur riponendo il télos<br />

della vita nell’hedoné, intendono per essa<br />

concetti molto diversi tra loro, sia per quanto<br />

riguarda la genesi e la natura fisica del<br />

fenomeno, sia per ciò che ne concerne il<br />

valore morale. E’ questo il caso dell’indirizzo<br />

cirenaico e del Giardino epicureo.<br />

Del resto, questo risponde pienamente ad<br />

uno degli scopi dichiarati dai curatori dell’antologia,<br />

Paolo Cosenza e Renato Laurenti:<br />

«Sarebbe segno di scarsa cautela<br />

critica credere che [formazioni concettuali]<br />

che hanno origine in correnti filosofiche<br />

caratterizzate, in linea di massima, da orientamenti<br />

diversi, siano in ogni caso, per tale<br />

loro origine, da classificare come filosoficamente<br />

incompatibili. Come l’esperienza<br />

largamente insegna, scuole diverse [...] talvolta<br />

danno luogo, a dispetto delle più<br />

accreditate etichette, a conclusioni convergenti<br />

o almeno non contrastanti».<br />

L’antologia è strutturata in modo da facilitare<br />

il più possibile il compito di reperire le<br />

necessarie fonti bibliografiche mediante<br />

indice bibliografico, nel quale compaiono<br />

le abbreviazioni con cui nelle note vengono<br />

menzionate le opere più frequentemente<br />

citate. Le traduzioni (tutte opera dei due<br />

curatori) delle testimonianze dei vari filosofi<br />

sono precise e rimandano molto spesso,<br />

in nota, alla scelta di lezioni particolari<br />

riguardo ad alcuni passi, spiegandone sempre<br />

le motivazioni; compaiono poi, sempre<br />

in nota, quando si tratta di passi di particolare<br />

importanza teoretica, le citazioni dal<br />

testo greco, e i ternini più filosoficamente<br />

significativi vengono riportati con spiegazioni<br />

etimologiche e storiche.<br />

L’antologia è articolata in dieci capitoli.<br />

Nel I si analizza la tematica del piacere da<br />

Omero ai Presocratici; si passa poi ai Sofisti,<br />

a Socrate e alle scuole socratiche minori<br />

(capp. II-III-IV); seguono Platone e i<br />

suoi successori accademici Speusippo e<br />

Eudosso, poi Aristotele, del quale si esaminano<br />

i luoghi concernenti il piacere delle<br />

due Etiche (capp. V-VI). La trattazione<br />

dell’argomento prosegue con le tre grandi<br />

scuole dell’Ellenismo: Epicuro, Stoici e<br />

Scettici, comprendendo nell’esame di questi<br />

ultimi anche gli sviluppi scettici dell’Accademia<br />

(capp. VII-VIII-IX); l’ultimo<br />

capitolo è interamente occupato dall’esposizione<br />

del tema del piacere nelle Enneadi<br />

plotiniane. Il tutto copre un arco cronologico<br />

che va dalle origini del pensiero greco al<br />

III secolo d.C.<br />

Accurate sono, all’inizio dei suddetti capitoli,<br />

le introduzioni, nelle quali, prima di<br />

riportare le testimonianze, si discutono e si<br />

puntualizzano i principali problemi su cui<br />

si sono soffermati, nell’ambito del tema del<br />

piacere, una certa scuola o un certo pensatore<br />

e le più importanti conclusioni a cui<br />

sono giunti. Ovviamente lo spazio più vasto<br />

viene offerto, da questo punto di vista, a<br />

Platone e al suo Filebo, che rappresenta la<br />

più ampia trattazione sul piacere a noi integralmente<br />

giunta dal pensiero greco. A.E. Atene. Kore 682 (particolare)<br />

76


VERIFICHE<br />

Anno XXIII, n. 1-2, gennaio-giugno 1994<br />

Verifiche, Trento<br />

Bonum e Summum Bonum nell’Etica di<br />

Spinoza, di F. Biasutti: la critica al finalismo<br />

in Spinoza si inscrive all’interno<br />

di una posizione epistemologica propria<br />

del pensiero moderno, ma se ne distingue<br />

per la radicalità delle posizioni.<br />

Tempo e storia in Hegel, di F. Chiereghin:<br />

nel sistema hegeliano il tempo raffigura,<br />

in modo emblematico, la funzione<br />

che il filosofo assegna alla natura,<br />

l’essere altro dell’idea, ma anche il presupposto<br />

per il pieno dispiegarsi dello<br />

spirito. Esso viene ad avere una funzione<br />

mediatrice tra divenire e storia.<br />

Diritto ed eticità della famiglia nella ‘Rechtsphilosophie’<br />

di Hegel, di M. Tomba.<br />

Il mondo di Galileo: l’oggetto del suo<br />

sapere fisico-matematico. Diffalcare gli<br />

impedimenti della materia (parte II) di L.<br />

Congiunti: la matematizzazione del mondo<br />

naturale; il ruolo dell’esperimento; il<br />

progetto scientifico e filosofico di Galileo.<br />

Bios politikos e bios theoretikos secondo<br />

Hannah Arendt, di J. Taminiaux.<br />

Linee interpretative per una storia del<br />

neotomismo e della neoscolastica di A.<br />

La Russa: recensione di L. Malusa: Neotomismo<br />

e intransigentismo cattolico<br />

(Milano 1986-1989).<br />

STUDI DI ESTETICA<br />

Anno XXI, n. 7-8, 1993<br />

Clueb, Bologna<br />

Il presente fascicolo ha carattere monografico<br />

ed è dedicato al tema: “Mimesis”.<br />

A completamento del tema, nel corso<br />

del 1994 usciranno altri due fascicoli<br />

dal titolo: “Ragioni della mimesis” e<br />

“Poetiche della mimesis”.<br />

RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />

RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />

a cura di Silvia Cecchi<br />

La mimesis nell’antichità, di H. Koller:<br />

l’articolo è un’antologia tratta dal fondamentale<br />

saggio di Koller del 1954, Die<br />

Mimesis in der Antike, in cui si sostiene che<br />

il centro della mimesis si trova nella danza<br />

e che questo concetto non coincide con la<br />

passiva imitazione.<br />

Filosofia e Mimesis, di J. Bompaire:<br />

vengono qui presentate le quattro diverse<br />

accezioni di mimesis: in senso generale,<br />

come riproduzione dei caratteri di<br />

qualcuno o qualcosa; in senso filosofico,<br />

come imitazione della realtà da parte di<br />

uno scrittore; in senso retorico e letterario,<br />

come reazione da parte del pubblico,<br />

quando l’oggetto dell’imitazione del letterato<br />

è la “cosa letteraria”.<br />

Interpretatio, imitatio, aemulatio, di A.<br />

Reiff: l’imitatio latina e lo sforzo terminologico<br />

compiuto dai Romani.<br />

La teoria classicistica della mimesis, di H.<br />

Flashar: una storia della nozione antica di<br />

mimesis.<br />

La mimesis nella teoria contemporanea,<br />

di M. Spariosu: nel dibattito contemporaneo<br />

questo concetto compare nelle dimensioni<br />

onto-epistemologico, bio-antropologico,<br />

psicologico, linguistico, letterario.<br />

Intertestualità e retorica delle citazioni, di<br />

V. Kapp.<br />

La mimesis in Auerbach, di G. Gebauer e<br />

C. Wulf.<br />

RIVISTA INTERNAZIONALE<br />

DI FILOSOFIA DEL DIRITTO<br />

Anno LXXI, n. 2, 1994<br />

Giuffré, Milano<br />

Uberto Scarpelli, giurista e filosofo, di<br />

M. Jori.<br />

Il significato del cuore nella filosofia giuridica<br />

di S. Agostino e di Marsilio da<br />

Padova, di E. Ancona.<br />

77<br />

Naturalità del diritto e universali giuridici,<br />

di G. Cosi: l’indagine sull’esistenza di universali<br />

del diritto attraverso il rilevamento<br />

di tempo, spazio e costanti del diritto.<br />

Montesquieu e il problema della diversité,<br />

di C. P. Courtney: l’analisi di Montesquieu<br />

della diversité anche attraverso l’illustrazione<br />

della posizione dei predecessori:<br />

Grozio, Pufendorf, Barbeyrac.<br />

Una conversione della teoria critica? Sulla<br />

teoria del diritto e dello Stato di<br />

Habermas, di O. Hoffe.<br />

Dimensione transculturale dei fenomeni<br />

giuridici nella ricerca antropologica, di L.<br />

Scillitani.<br />

IDEE<br />

Anno VIII, n. 24/1993<br />

Milella, Lecce<br />

Laudatio per F. Tenbruk, di M. Signore.<br />

Edith Stein e la rielaborazione del pensiero<br />

scolastico di G. A. Roggerone: pur<br />

avendo grandemente contribuito al movimento<br />

femminile, la filosofia della<br />

Stein non ha un contenuto diverso dalle<br />

filosofie in genere.<br />

Amore, comunità umana e giustizia nel<br />

pensiero di Paul Ricoeur, di E. Pucci.<br />

Una ricerca giuridico-politica in prospettiva<br />

fenomenologica di A. Rizzacasa:<br />

osservazioni su Una ricerca sullo<br />

Stato di E. Stein.<br />

Bernhard Welte - Sören Kierkegaard, di<br />

O. Tolone: l’interesse, comune ai due<br />

pensatori, circa la costituzione ontologica<br />

dell’uomo.


RIVISTA DI FILOSOFIA<br />

NEOSCOLASTICA<br />

Anno LXXXVI, n. 2, aprile-giugno 1994<br />

Vita e Pensiero, Milano<br />

Potere e ragione nel ‘Dialogus’ di Pietro<br />

Alfonsi (Mosè Sefardi), di M. L. Arduini:<br />

il profilo “bifronte” di Piero Alfonsi<br />

nella sua dimensione storica, biografica<br />

e geografica.<br />

L’analogia dell’ente in Domenico di Fiandra,<br />

di F. Riva: la figura di Domenico Fiandra,<br />

possibile mediatore tra il dibattito inglese<br />

e francese e il mondo universitario italiano<br />

tra XIV e XV secolo, è interessante in rapporto<br />

all’evoluzione del concetto di analogia<br />

nelle scuole post-tomistiche e post-scotistiche.<br />

Finito e infinito e l’idealismo della filosofia.<br />

La logica hegeliana dell’essere determinato<br />

(II), di G. Movia.<br />

Il predicato di dimostrabilità e la nozione<br />

di consistenza: alternative alla formulazione<br />

classica, di A. Ballarino.<br />

STUDI KANTIANI<br />

Anno VII, 1994<br />

Giardini Editori e Stampatori, Pisa<br />

Analogia, bellezza e moralità nel 59 della<br />

‘Critica del Giudizio’, di S. Marcucci: per<br />

comprendere pienamente il tema del rapporto<br />

kantiano tra bellezza e moralità, per<br />

cogliere la vera natura del concetto di analogia<br />

anche relativo al giudizio riflettente<br />

ed al giudizio determinante, vengono analizzati<br />

i primi quattro capoversi del 59,<br />

attraverso cui Kant arriva ad affermare che<br />

“il bello è il simbolo del bene morale”.<br />

Kant e le lezioni di psicologia, ovvero la<br />

scienza dell’anima, di M. Paschi: le Lezioni<br />

di psicologia, anteriori alla pubblicazione<br />

della Critica della ragion pura,<br />

rivelano non solo il rapporto tra didattica<br />

e ricerca filosofica, ma ci sono utili<br />

per capire l’origine e l’impostazione dei<br />

problemi kantiani relativi all’analisi della<br />

conoscenza umana.<br />

Canguilhem, Kant e la filosofia trascendentale,<br />

di M. Marianetti.<br />

Il Kant teoretico in Cesare Luporini, di R.<br />

Torzini.<br />

Alcune osservazioni storico-critiche sul rapporto<br />

morale felicità-religione in Kant, di S.<br />

Marcucci: una lettura delle prime tre pagine<br />

de La religione nei limiti della semplice<br />

ragione sul legame tra moralità e religione.<br />

La Cassirer Renaissance in Europa di M .<br />

Ferrari.<br />

RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />

IRIDE<br />

Anno VII, n. 11, aprile 1994<br />

Il Mulino, Bologna<br />

Postmoderno letterario. Sguardo epocale<br />

retrospettivo su una controversa “soglia<br />

epocale”, di H. R. Jauss.<br />

Razionalità deliberativa e modelli di legittimità<br />

democratica, di S. Benhabib: in linea<br />

con il “costruttivismo kantiano” di<br />

Rawls e l’idea di “ricostruzione” di<br />

Habermas, viene esaminata la relazione<br />

esistente tra i presupposti normativi della<br />

deliberazione democratica e il contenuto<br />

idealizzato della razionalità classica.<br />

L’amore di sè in Adam Smith: verso una<br />

teoria pluralistica della motivazione, di E.<br />

Lecaldano: la nozione di amore di sé è<br />

presente nella riflessione etica del XVII e<br />

XVIII secolo e la trattazione che ne fa<br />

Smith nella Teoria dei sentimenti morali,<br />

da un lato, porta a compimento le analisi<br />

precedenti, dall’altro le trasforma.<br />

L’io contro se stesso. Il soggetto moderno<br />

e l’amore di sé, di E. Pulcini.<br />

Biologia ed etica dell’amor proprio, di<br />

F. Savater.<br />

Egoismo, utilitarismo, Moore, di M. Vacatello:<br />

il ruolo, nell’utilitarismo, dei principi<br />

di prudenza e benevolenza.<br />

“Il Machiavelli del proletariato”. Violenza<br />

e solidarietà nella tradizione del marxismo,<br />

di R. Bodei: il realismo politico in<br />

Marx ed alcune interpretazioni di Marx da<br />

parte di Lenin, Brecht e del giovane Croce.<br />

Liberalismo e marxismo nella cultura anglosassone,<br />

di F. S. Trincia: antiprogressismo<br />

e socialismo in Wallerstein; pluralismo<br />

e individualismo in Berlin e Elster;<br />

libertà marxiana e libertà individuale secondo<br />

la tesi di J. Gray.<br />

Dal liberalismo al nazionalismo, di J. Haldane:<br />

la filosofia politica e il dibattito sul<br />

liberalismo in rapporto ad un nazionalismo<br />

moderato, a partire da Rawls.<br />

Crisi nazionale e consolidamento dell’ordine<br />

politico, di J. R. Recalde.<br />

Identità e interculturalità, di S. Moravia: il<br />

problema dei cosiddetti extracomunitari e<br />

della convivenza culturale a partire dalla<br />

sostituzione dell’immagine dell’uomo<br />

come identità singola all’immagine dell’uomo<br />

come identità plurima.<br />

Cattiveria come esercizio spirituale, di<br />

P. Virno.<br />

78<br />

RIVISTA DI STORIA DELLA FILOSOFIA<br />

Anno XLIX, n. 2/1994<br />

Franco Angeli, Milano<br />

Confutazione di Spinoza e pirronismo. La<br />

via al senso comune di A. M. Ramsey, di M.<br />

Baldi: la posizione di Ramsey (1686-1743)<br />

rispetto al pirronismo, posizione debitrice<br />

in parte alla reazione anticartesiana e antispinoziana<br />

nell’Inghilterra della seconda<br />

metà del Seicento.<br />

De communi vinculo: body, mind and other<br />

scottish concordances, di C. Stewart-Robertson.<br />

Il tema della crisi dell’arte nel pensiero di<br />

A. Banfi, di G. Scaramuzza: il tema della<br />

crisi dell’arte in Banfi come riflessione su<br />

aspetti di un ampio processo culturale e<br />

come presa di posizione rispetto all’arte a<br />

lui contemporanea.<br />

Una lettera ritrovata: Campanella a Peiresc,<br />

19 giugno 1636, a cura di G. Ernst e E.<br />

Canone: nella lettera Campanella rievoca i<br />

suoi trascorsi telesiani.<br />

Due lettere di Walter Benjamin a Alexander<br />

Pfänder, a cura di G. Scaramuzza.<br />

PARADIGMI<br />

Anno XII, n. 35, maggio-agosto 1994<br />

Schena, Brindisi<br />

Nichilisno e oltre..., di P. Miccoli.<br />

La filosofia contemporanea in Brasile,<br />

di A. Paim: le due tradizioni più solide,<br />

su cui si innesta il pensiero brasiliano<br />

contemporaneo, sono il tradizionalismo<br />

e lo scientismo.<br />

Persona e natura: il limite dell’etica, di<br />

M. A. La Torre: il problema del limite e<br />

l’azione di “demarcazione” all’interno<br />

della vita morale.<br />

Eredità europee: la memoria del plurale,<br />

di F. Merlini: l’articolo intende analizzare<br />

se la cultura europea disponga di una tradizione<br />

in grado di attribuire un contenuto<br />

produttivo all’esperienza della diversificazione<br />

e della pluralizzazione delle identità<br />

sociali all’interno di un’unica comunità.<br />

L’estetica del primo Wittgenstein, di M.<br />

Rinaldi.<br />

Lo schema estatico-orizzontale dell’avvenire<br />

e la ricerca di Heidegger sulla temporalità,<br />

di G. Biondi: attraverso i testi delle<br />

lezioni è possibile ripensare la nozione<br />

heideggeriana di tempo anche in relazione<br />

al senso della “svolta”.


MAN AND WORLD<br />

Vol. 27, n. 2, aprile 1994<br />

Kluwer Academic Publ., Dordrecht<br />

Silence, being and the between: Picard,<br />

Heidegger and Buber, di R. E. Wood: i tre<br />

concetti di silence, being e between, pur<br />

non coincidendo perfettamente, hanno origine<br />

dalla stessa regione di esperienza.<br />

Who owns the lie? The problem of presentation<br />

in Troilus and Cressida, di D. Price.<br />

Re-thinking ethical naturalism. Nietzsche’s<br />

open question argument, di L. F. Kerckhove:<br />

un confronto tra Nietzsche e MacIntyre<br />

sul problema etico.<br />

Space perception and the fourth dimension,<br />

di S. H. Kellert.<br />

The improvisational problem, di R. P.<br />

Crease: filosofia dell’improvvisazione e<br />

rappresentazioni artistiche.<br />

The philosophical curriculum and literature<br />

culture: a response to Rorty, di J. Stewart.<br />

J. B. S. P.<br />

Vol. 25, n. 2, maggio 1994<br />

University of Manchester, Manchester<br />

Tema della rivista: “Gadamer, Sartre e<br />

Deleuze”.<br />

Phenomenology, hermeneutics, metaphysics,<br />

di H. G. Gadamer.<br />

Yorck Von Wartenburg and the problem of<br />

historical existence, di H. Ruin: la figura<br />

di Yorck Von Wartenburg viene qui tratteggiata<br />

dal punto di vista biografico, mettendo<br />

in luce anche la sua riflessione sui<br />

problemi della comprensione storica, soprattutto<br />

in rapporto a Dilthey, e la ricezione<br />

postuma.<br />

Heidegger, Caputo and the ethical question<br />

re-visited, di R. M. Capobianco: la<br />

critica rivolta ad Heidegger da Caputo<br />

circa la povertà della sua riflessione etica.<br />

Sartre, reciprocity, sexuality and solipsism,<br />

di A. Mirvish: l’analisi sartreana<br />

dell’autentico desiderio sessuale in Essere<br />

e nulla.<br />

Metamorphic-logic: bodies and powers in<br />

a Thousand Plateaus, di P. Patton.<br />

Before the other; genesis, structure and<br />

development in Piaget, di J. Joffer.<br />

RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />

NOUS<br />

Vol. XXVII, n. 4, dicembre 1993<br />

Blackwell Publ., Oxford-Cambridge<br />

Motive and obligation in Hume’s ethics, di<br />

S. Darwall: l’articolo intende collocare<br />

Hume all’interno del dibattito relativo alla<br />

normatività della morale che si è sviluppato<br />

tra Seicento e Settecento.<br />

Empty names, di D. Braun.<br />

Logic purified, di T. Yagisawa: nell’articolo<br />

si prende posizione contro l’ortodossia<br />

logica corrente relativa alla definizione della<br />

verità come proposizioni definite.<br />

Numbers can be just what they have to, di<br />

C. Mc Larty.<br />

Partial denotations of theoretical terms, di<br />

K. Bedard: i limiti teretici secondo Lewis.<br />

REVUE INTERNATIONALE<br />

DE PHILOSOPHIE<br />

Vol. 48, n. 2, 1994<br />

Universa, Wetteren<br />

Tema della rivista: “Leibniz”. Il fascicolo<br />

si occupa della riflessione epistemologica<br />

del pensatore tedesco, pur collocando tale<br />

riflessione all’interno dell’originale meditazione<br />

metafisica.<br />

Leibniz et le problème de la “science moyenne”,<br />

di J. Bouveresse: le critiche di Leibniz<br />

all’idea di una scienza mediana.<br />

Die mathematisch-physikalische Schönheit<br />

bei Leibniz, di H. Breger.<br />

Leibniz on the principle of continuity, di F.<br />

Duchesneau: il principio di continuità come<br />

strumento di analisi dei fenomeni.<br />

From Galileo to Leibniz: motion, qualities<br />

and experience at the foundation of natural<br />

science, di A. G. Ranea: dalla scienza del<br />

moto di Galileo alla giustificazione leibniziana<br />

dei principi della dinamica.<br />

Les axiomes de l’identité et la démonstration<br />

des formules arithmétiques: 2+2 = 4,<br />

di M. Fichant.<br />

Leibniz’s Konzeption der characteristica<br />

universalis zwischen 1677 und 1690, di M.<br />

Schneider.<br />

Leibniz and the logic of life, di C. Wilson:<br />

il ruolo del pensatore tedesco nella nascita<br />

della biologia.<br />

79<br />

REVUE PHILOSOPHIQUE<br />

DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER<br />

n. 1, gennaio- marzo 1994<br />

PUF, Parigi<br />

Tema della rivista: “Spinoza, la quinta parte<br />

dell’Ethica”.<br />

Remarques sur la I proposition de la V<br />

partie de l’ ‘Éthique’ di W. Bartuschat.<br />

Sur le mode infini médiat dans l’attribut de<br />

la pensée, di J. M. Beyssade: il problema<br />

classico, nella lettera 64, di che cosa sia,<br />

all’interno dell’attributo del pensiero, il<br />

modo infinito indiretto e la soluzione proposta<br />

in Ethica V, 36.<br />

La vie éternelle et les corps selon Spinoza,<br />

di A. Matheron: analisi della proposizione<br />

39 in Ethica V.<br />

Sub specie aeternitatis. Notes sur ‘Éthique’<br />

V, 22-23, 29-31, di F. Mignini.<br />

Métaphysique de la gloire. Le scolie de la<br />

proposition 36 et le “tournant” du livre V,<br />

di P. F. Moreau.<br />

Acquiescentia dans la cinquième partie de<br />

l’ ‘Éthique’ de Spinoza, di G. Totaro: uno<br />

studio del campo semantico del termine<br />

acquiescenza.<br />

Le texte de la cinquième partie de l’ ‘Éthique’,<br />

di P Steenbakkers.<br />

ARCHIVES DE PHILOSOPHIE<br />

Vol. 57, n. 2, aprile-giugno 1994<br />

Beauchesne, Parigi<br />

Les intuitionnistes d’Oxford, di D. D.<br />

Raphael: gli intuizionisti di Oxford hanno<br />

sostenuto una teoria etica vicina, per alcuni<br />

aspetti, a quella di Kant.<br />

Sur l’universalité de la logique, di J. Largeault:<br />

la pluralità della teorie logiche dal<br />

1930 ad oggi.<br />

Du champ du sol d’une “esthétique transcendentale”,<br />

di J. Benoist: l’autore dimostra<br />

come l’avvento di un’estetica trascendentale<br />

comporti un cambiamento di senso<br />

della stessa ontologia; ciò pone anche il<br />

problema del ruolo della logica all’interno<br />

di questa nuova configurazione.<br />

Le réalisme scientifique: une métaphysique<br />

tronquée, di M. Espinoza: il solo realismo<br />

coerente è il realismo metafisico, estensione<br />

razionale del senso comune e della<br />

scienza. Il realismo scientifico è quindi una<br />

metafisica “troncata”, che conduce al realismo<br />

metafisico.


REVUE DE METAPHYSIQUE<br />

ET DE MORALE<br />

Anno 99, n. 2, aprile-giugno 1994<br />

A. Colin, Parigi<br />

Tema della rivista: “La filosofia morale in<br />

lingua inglese”.<br />

La valeur de l’inviolabilité di T. Nagel:<br />

sulla questione dell’inviolabilità, che si pone<br />

al centro delle recenti teorie morali, relative<br />

allo statuto dei diritti dell’uomo.<br />

Philosophie et conflit, di R. Hare: la funzione<br />

comunicativa della “buona filosofia”<br />

al fine di risolvere i conflitti umani più<br />

radicali.<br />

La fortune morale, di B. Williams: una<br />

riflessione sull’idea di giustificazione razionale<br />

della morale.<br />

Les multiples visages de la moralité, di A.<br />

Oksenberg Rorty.<br />

Conséquentialisme et psychologie morale,<br />

di P. Petit: sulle principali tesi psicologiche<br />

adottate contro il consequenzialismo in<br />

campo morale, ammettendo le quali questa<br />

teoria diventa moralmente verosimile.<br />

La valeur intrinsèque, di G. Harman: il<br />

concetto di valore intrinseco fondamentale,<br />

con particolare riferimento alla teoria<br />

del valore, propria dell’edonismo attuale,<br />

nell’odierno dibattito filosofico.<br />

Éthique et médiation, di M Hunyadi.<br />

REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN<br />

Tomo 92, n. 1, febbraio 1994<br />

Institut supérieur de philosophie<br />

Louvain La Neuve<br />

D’un style de la pensée, di P. J. Labarrière:<br />

la prima di una serie di dodici lezioni, in cui<br />

il proprio progetto viene posto sotto il segno<br />

di Dante, Eckhart e Hegel.<br />

L’appel infini à l’interprétation, di F. Ciaramelli:<br />

riflessioni sull’arte e sulla poesia<br />

in Levinas.<br />

Heidegger, lecteur de Husserl, di P. Kontos:<br />

l’analisi dell’opera heideggeriana<br />

Interpretazione fenomenologica della<br />

‘Critica della ragion’ pura di Kant contribuisce<br />

a chiarire la natura del rapporto<br />

con Husserl, in quanto vengono qui seguite<br />

le medesime tappe, individuabili<br />

nel percorso dell’husserliana Logica formale<br />

e logica trascendentale.<br />

Penser l’Autre. Psychanalyse lacanienne<br />

et philosophie, di S. Lofts e P. W.<br />

Rosemann.<br />

RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />

PHILOSOPHISCHES JAHRBUCH<br />

1/1994<br />

Karl Alber, Friburgo-Monaco di Baviera<br />

Die Einheit der aristotelischen Metaphysik,<br />

di F. Inciarte: l’unità dell’ontologia<br />

aristotelica sulla base dell’ontologia della<br />

sostanza.<br />

Abstraktion und Universalien bei Thomas<br />

von Aquin, di U. Meixner.<br />

Göttliches Gebot und Gutheit Gottes nach<br />

Wilhelm von Ockham, di R. Wood: la moralità<br />

in Ockham: il comando divino, e la<br />

rappresentazione di Adamo.<br />

Der Begriff der causa sui bei Spinoza und<br />

Whitehead, di R. Kather.<br />

Die paradoxale Struktur der Absoluten in<br />

Schellings Identitätssystem, di M. Bachmann:<br />

aspetti ontologici, epistemici, funzionali<br />

e strutturali dello sviluppo concettuale<br />

dell’Assoluto in Schelling.<br />

Die Transzendentale Phänomenologie und<br />

die philosophische Mystik, di E. Wolz-<br />

Gottwald: la mistica come apertura di una<br />

nuova sfera di pensiero nella tarda filosofia<br />

di Husserl.<br />

Philosophisches Sprechen über Kunst in<br />

Traditionen des Bilderverbots und der negativen<br />

Theologie, di W. Oelmüller: il dibattito<br />

sui libri di G. Steiner: Von realer<br />

Gegenwart (München 1990) e H. Belting:<br />

Bild und Kult (München 1990).<br />

ZEITSCHRIFT<br />

FÜR PHILOSOPHISCHE FORSCHUNG<br />

Vol. 48, n. 3, luglio-settembre 1994<br />

Vittorio Klostermann, Frankfurt a/M<br />

Spontaneität, di W. Vossenkuhl: indipendenza<br />

genetica, logica, cognitiva.<br />

Probleme der Wirtschaftsethik, di W.<br />

Kersting.<br />

Skepsis und Praxis, di B. Sitter-Liver: il<br />

primato della prassi nello scetticismo.<br />

Malancholie. Skizze zur epistemologischen<br />

Deutung eines Topos, di S. Krämer: il concetto<br />

di malinconia in filosofia da Aristotele<br />

a Marsilio Ficino e all’Illuminismo e in<br />

rapporto alle scienze.<br />

Was leistet die semantische Interpretation<br />

der Wahrheit, di J. Padilla-Galvez.<br />

Parfit und die Theorie C, di C. Nimtz:<br />

recensione di D. Parfit, Reasons and persons<br />

(Oxford 1989).<br />

80<br />

VERIFICHE (Anno XIX, n. 2, giugno 1994,<br />

Glossa, Milano) presenta un articolo di M.<br />

Vergottini: Un caso estremo dei rapporti<br />

filosofia/teologia in epoca contemporanea:<br />

il dibattito H. Gollwitzer-W. Weischedel.<br />

IDEE (Anno VIII, n. 22, e n. 23 , Milella,<br />

Lecce) presenta due fascicoli a carattere<br />

monografico sul tema: “Filosofia e politica”<br />

(n. 22) e “Filosofia e scienza” (n. 23).<br />

PROSPETTIVA PERSONA (Anno III, n. 8,<br />

aprile-giugno 1994, Demian Edizioni, Teramo)<br />

presenta due interventi su P. Ricoeur:<br />

Ermeneutica e liberazione. Il dialogo di<br />

Dussel con Ricoeur, di A. Savignano, e Il<br />

Kerigma della speranza in Paul Ricoeur,<br />

di P. Cugini.<br />

FEERIA (Anno II, n. 4/5, giugno 1994,<br />

Cultura nuova editrice, Firenze) presenta<br />

un intervento di S. Givone dal titolo: La<br />

bellezza salverà il mondo?, in cui viene<br />

indicata una possibile via estetica per la<br />

riscoperta del sacro attraverso la bellezza.<br />

TELLUS (n. 12, Morbegno-SO) presenta il<br />

tema: “Identità d’Europa”, con saggi di G.<br />

Simmel, L’idea di Europa, e di M.<br />

Heidegger, L’Europa e la filosofia tedesca.<br />

Il n. 13 è invece dedicato al tema “Immagini<br />

della Natura. Oriente e Occidente”.<br />

FILOSOFIA (Anno XLV, n. 1, gennaioaprile<br />

1994, Mursia, Milano) presenta gli<br />

interventi al convegno: “Augusto Guzzo a<br />

cent’anni dalla nascita”, tenutosi all’Università<br />

di Torino il 12-13 aprile 1994.<br />

LES ÉTUDES PHILOSOPHIQUES (gennaio-giugno<br />

1994, PUF, Paris) presenta un<br />

fascicolo monografico su Marin Marsenne.


AA.VV<br />

Metzler Philosophen Lexikon.<br />

Dreihundert<br />

biographisch-werkegeschichtliche<br />

Porträts von den Vorsokratikern<br />

bis zu den neuen Philosophen<br />

Metzler, agosto-settembre 1994<br />

pp. 858, DM 39,80<br />

AA.VV.<br />

Non-verbal Communication<br />

in Science prior to 1900<br />

Leo S. Olschki, ottobre 1994<br />

pp. 622, L. 98.000<br />

I numerosi contributi che il libro<br />

raccoglie ruotano intorno a un tema<br />

innovativo: il ruolo giocato, nella<br />

costruzione della scienza moderna,<br />

da una serie di mezzi comunicativi<br />

non verbali.<br />

AA.VV.<br />

Zum Naturbegriff der Gegenwart.<br />

Kongreßdokumentation zum Projekt<br />

’Natur im Kopf’, Stuttgart,<br />

Juni 1993<br />

Frommann-Holzboog<br />

agosto-settembre 1994<br />

pp. 812, DM 48<br />

La documentazione di questo congresso,<br />

tenutosi a Stoccarda nel giugno<br />

del ’93 e relativo al progetto<br />

Natur im Kopf, è suddivisa in due<br />

volumi. Nel volume I, figurano i seguenti<br />

temi: “la natura come oggetto<br />

delle scienze naturali”; “la natura<br />

come materia prima”; “la natura come<br />

paesaggio e giardino”; nel secondo<br />

volume: “la natura come avvenimento<br />

estetico”; “la natura come costruzione<br />

sociale e tecnica”.<br />

Adinolfi, Massimo<br />

La deduzione trascendentale<br />

e il problema della finitezza<br />

in Kant<br />

Ed. Scientifiche, ottobre 1994<br />

pp. 190, L. 28.000<br />

Pensata come risposta alla questione<br />

capitale della Critica della ragion<br />

pura, la deduzione trascendentale dei<br />

concetti puri dell’intelletto è in realtà<br />

uno dei luoghi più tormentati dell’opera.<br />

Le tensioni che l’attraversano<br />

non vengono qui comprese e risolte<br />

a partire dall’esito gnoseologico ed<br />

epistemologico del criticismo, ma ricondotte<br />

piuttosto alla loro radice.<br />

Albert, Hans<br />

Kritik der reinen Hermeneutik.<br />

Der Antirealismus und das Problem<br />

des Verstehens<br />

Mohr, agosto-settembre 1994<br />

pp. 272, DM 54<br />

Hans Albert difende il realismo critico<br />

contro l’ermeneutica che risale a<br />

Heidegger e Gadamer.<br />

Alberti, Antonina (a cura di)<br />

Realtà e ragione<br />

Leo S. Olschki, ottobre 1994<br />

pp. 222, L. 44.000<br />

<strong>Studi</strong> di autori vari sul problema della<br />

realtà esterna (ontologia e fisica) e<br />

della razionalità nel pensiero antico<br />

(in Platone, Aristotele, Epicuro e nello<br />

scetticismo antico).<br />

NOVITÀ IN LIBRERIA<br />

NOVITÀ IN LIBRERIA<br />

Andersson, Gunnar<br />

Criticism and the History<br />

of Science. Kuhn’s, Lakato’s<br />

and Feyerabend’s Criticism<br />

of Critical Rationalism<br />

Brill, agosto-settembre 1994<br />

pp. 160, FOL 110<br />

Bachelard, Gaston<br />

L’Intuition de l’instant<br />

LGF, settembre 1994<br />

pp. 154, F 32<br />

Secondo Bachelard, il tempo è una<br />

realtà che corrisponde all’istante e si<br />

trova sospesa tra due néants, due non<br />

essere. Il pensiero del filosofo si concentra<br />

intorno a tre idee: l’istante, il<br />

tempo discontinuo e la questione dell’abitudine;<br />

l’idea del progresso; l’intuizione<br />

del tempo discontinuo.<br />

Bacone, Francesco<br />

Saggi<br />

Tea, agosto 1994<br />

pp. 206, L. 25.000<br />

I cinquantotto saggi trattano i più<br />

disparati aspetti della morale comune<br />

e individuale, tra gli altri: l’arte del<br />

governo, le virtù e i vizi, la ricchezza,<br />

la verità, il matrimonio, l’invidia,<br />

l’amore e la morte.<br />

Balducci, Ernesto<br />

L’uomo planetario<br />

ECP, ottobre 1994<br />

pp. 176, L. 20.000<br />

Nuova edizione di un saggio di successo<br />

che esprime la tesi secondo cui<br />

o l’uomo riuscirà a farsi planetario<br />

oppure sarà destinato all’estinzione,<br />

il volume di Balducci si basa su una<br />

rassegna puntuale e aggiornata delle<br />

grandi religioni per dimostrare che si<br />

è definitivamente chiusa una fase<br />

antropologica.<br />

Balibar, E. (a cura di)<br />

Freiheit und Notwendigkeit.<br />

Ethische und politische Aspekte<br />

bei Spinoza und in der Geschichte<br />

des (Anti-)Spinozismus<br />

Königshausen & Neumann<br />

agosto-settembre 1994<br />

pp. 262, DM 48<br />

Baltzer, Ulrich<br />

Erkenntinis als Relationengeflecht.<br />

Kategorien bei Charles S. Peirce<br />

Schöningh, agosto-settembre 1994<br />

pp. 300, DM 78<br />

81<br />

Bartling, Heinz-M.<br />

Theorie der Lebenskunst<br />

Junghans, agosto-settembre 1994<br />

pp. 100, DM 28<br />

Battaglia, Luisella<br />

Il dilemma della modernità<br />

Ed. Scientifiche, ottobre 1994<br />

pp. 212, L. 28.000<br />

Il dilemma della modernità nasce dal<br />

fatto che la libertà individuale è un<br />

prodotto sociale. La cultura italiana<br />

costituisce un caso paradigmatico di<br />

tale dilemma: dai positivi, ai portatori<br />

della protesta individualista, come<br />

D’Annunzio.<br />

Baumgartner, H.M. - Becker, W.<br />

(a cura di)<br />

Grenzen der Ethik<br />

Fink/Schöningh<br />

agosto-settembre 1994<br />

DM 29,80<br />

Becchi, Paolo<br />

Il tutto e le parti<br />

Organicismo e liberalismo in Hegel<br />

Ed. Scientifiche, ottobre 1994<br />

pp. 206, L. 30.000<br />

La tesi che provocatoriamente si<br />

intende qui sostenere è che la contrapposizione<br />

tra individualismo e<br />

organicismo sia, tutto sommato, di<br />

scarsa utilità. L’organicismo moderno<br />

non comporta un puro e semplice<br />

ritorno a concezioni premoderne;<br />

al contrario, come mostra<br />

l’applicazione al campo politico<br />

che ne fa Hegel, la distanza che<br />

separa l’organicismo dal liberalismo<br />

è tutt’altro che incolmabile.<br />

Beelmann, Axel<br />

Heimat als Daseinsmetapher.<br />

Weltanschauliche Elemente im<br />

Denken<br />

des Theologiestudenten<br />

Martin Heidegger<br />

Passagen, agosto-settembre 1994<br />

pp. 80, ÖS 140<br />

Benseler, F. - Blanck, B. et al.<br />

Alternativer Umgang<br />

mit Alternativen. Aufsätze<br />

zu Philosophie<br />

und Sozialwissenschaften<br />

Westdeutscher, agosto-sett.1994<br />

pp. 287, DM 49<br />

Fino ad ora non esistono tradizioni di<br />

ricerca che considerino l’importanza<br />

delle alternative non solo rispetto alla<br />

genesi delle soluzioni, ma anche come<br />

una condizione di valore per le risoluzioni.<br />

I lavori che compaiono in questa<br />

raccolta devono essere considerati<br />

nella prospettiva di ricerca orientata<br />

alla riflessione.<br />

Bloch, Ernst<br />

La Philosophie de la Renaissance<br />

Payot, settembre 1994<br />

pp. 196, F 48<br />

Nel Rinascimento, il filosofo tedesco<br />

non vede solamente il rinascimento<br />

dell’Antichità, ma anche la nascita di<br />

un uomo nuovo e di una società nuova:<br />

la società borghese. Egli illustra<br />

questo aspetto tramite la storia della<br />

filosofia del Rinascimento, gli inizi<br />

delle scienze matematiche, la filosofia<br />

del diritto e dello Stato.<br />

Boezio, Severino<br />

La consolazione della filosofia<br />

a cura di Claudio Moreschini<br />

Laterza, ottobre 1994<br />

pp.366, L. 60.000<br />

Il tema del rovesciamento dell’umana<br />

fortuna (nel caso di Boezio, console<br />

e legato alla corte del re Teodorico,<br />

si tratta della più rovinosa caduta di<br />

un potente), è lo spunto per un itinerario<br />

alla ricerca del vero bene, cui<br />

solo la filosofia può condurre.<br />

Bösch, Michael<br />

Soeren Kierkegaard. Schicksal<br />

Angst - Freiheit<br />

Schöningh, agosto-settembre 1994<br />

pp. 424, DM 48<br />

Boss, Gilbert (a cura di)<br />

Esquisses de dialogues<br />

philosophiques<br />

Grand-Midi, settembre 1994<br />

pp. 274, FS 28,50<br />

Nel volume ci si propone di addolcire<br />

qualche brusco confronto tra il pensiero<br />

di Hobbes, di Cartesio e di altri<br />

filosofi e quello di Nietzsche e Austin,<br />

di accostarsi a questi autori secondo<br />

delle prospettive nuove e di<br />

riflettere sulla natura della filosofia.<br />

Boss, Gilbert (a cura di)<br />

La Philosophie et son histoire<br />

Grand-Midi, settembre 1994<br />

pp. 356, FS 45<br />

L’argomento di questo volume, nel<br />

quale sono contenuti contributi di<br />

Pierre Macherey, Yvon Lafrance,<br />

Michel Malherbe ed altri, viene affrontato<br />

attraverso alcune domande,<br />

come: in quale pratica viene generata<br />

la storia della filosofia? Oppure: la<br />

diversità delle filosofie porta con sé<br />

una forma di scetticismo?<br />

Bouinois, Olivier (a cura di)<br />

La Puissance et son ombre:<br />

de Pierre Lombard à Luther<br />

Aubier, settembre 1994<br />

pp. 432, F 150<br />

I testi qui riuniti sono in rapporto con<br />

la figura di Perre Lombard, vescovo<br />

di Parigi dal 1150 al 1160, autore<br />

delle Sentences, un libro che fece<br />

epoca e che diede luogo a più di 1400<br />

commenti e che fu alla base di tutta<br />

la riflessione teologica nel corso di<br />

oltre tre secoli. Il volume costituisce<br />

anche un’introduzione alla filosofia<br />

medioevale.


Brianese, Giorgio (a cura di)<br />

Meditazioni sulla filosofia prima<br />

di René Descartes<br />

Mursia, settembre 1994<br />

pp. 264, L. 13.000<br />

Quest’opera scritta in latino fra il<br />

1628 e il 1629, pubblicata nel 1641 e<br />

tradotta in francese nel 1647, è l’esposizione<br />

più ampia e complessa della<br />

dottrina di Descartes; è dedicata alla<br />

Facoltà di Teologia dell’Università di<br />

Parigi da cui sperava di ricevere l’approvazione<br />

ufficiale alla sua filosofia.<br />

Brogi, Stefano<br />

Il cerchio dell’universo<br />

Libertinismo, spinozismo,<br />

e filosofia della natura<br />

in Boulainvillers<br />

Leo S. Olschki, ottobre 1994<br />

pp. 322, L. 55.000<br />

Uno spaccato dell’età della crisi<br />

della coscienza europea attraverso<br />

il pensiero di uno dei suoi inquietanti<br />

protagonisti.<br />

Brunet, Philippe<br />

Cagliostro<br />

Rusconi, ottobre 1994<br />

pp. 400, L. 39.000<br />

Buchheim, Thomas<br />

Die Vorsokratiker.<br />

Ein philosophisches Porträt<br />

C.H. Beck, agosto-settembre 1994<br />

pp. 260, DM 48<br />

Il pensiero filosofico precedente a<br />

Socrate ha una sua forma filosofica,<br />

anche se essa non è sempre facilmente<br />

comprensibile. Chi intende spiegare<br />

questo pensiero filosofico come<br />

una precomprensione filosofica dell’epoca<br />

moderna, non può che andare<br />

incontro a dei malintesi.<br />

Casati, R. (a cura di)<br />

Philosphy and the Cognitive<br />

Sciences. Proceedings of the 16th<br />

International Wittgenstein<br />

Symposium, August 1993,<br />

Kirchberg am Wechsel (Austria)<br />

Hölder-Pichler-Tempsky<br />

agosto-settembre 1994<br />

pp. 472, ÖS 890<br />

Si tratta di una raccolta degli interventi<br />

tenuti durante il sedicesimo International<br />

Wittgenstein Symposium,<br />

tenutosi in Austria, a Kirchberg am<br />

Wechsel, nell’agosto del ’93.<br />

Casati, Roberto - Dokic Jérôme<br />

La Philosophie du son<br />

J. Chambon, settembre 1994<br />

pp. 212, F 160<br />

Il volume sviluppa una teoria originale<br />

della natura del suono e dell’orientamento<br />

del campo percettivo. Mostra<br />

anche l’interesse filosofico ad<br />

uno studio della percezione uditiva,<br />

troppo sovente trascurata dalla tradizione<br />

filosofica.<br />

Cayley, David<br />

Conversazioni con Ivan Illich<br />

Un profeta contro la modernità<br />

Eleuthera, settembre 1994<br />

pp. 220, L. 28.000<br />

Una biografia sulla vita “eretica” del<br />

vicerettore dell’università di Puerto Rico<br />

e fondatore del Centro di Documentazione<br />

Interculturale du Guernavaca.<br />

Cohen, Hermann<br />

Etica della volontà pura<br />

Esi, ottobre 1994<br />

pp.462, L. 70.000<br />

Saggio di filosofia neokantiana sui<br />

temi etico-sociali.<br />

Confucio<br />

Entretiens avec ses disciples<br />

tr. dal cinese e a cura<br />

di André Lévy<br />

Flammarion, settembre 1994<br />

pp. 258, F 31<br />

Si tratta di una raccolta di aforismi<br />

che riflettono l’insegnamento di<br />

Confucio.<br />

Conte, Domenico<br />

Catene di civiltà<br />

<strong>Studi</strong> su Spengler<br />

Ed. Scientifiche, ottobre 1994<br />

pp. 388, L. 58.000<br />

Mai prima di oggi si era tentato di<br />

collegare Il tramonto dell’Occidente<br />

con il resto della produzione<br />

spengleriana, soprattutto con le<br />

grandi opere postume pubblicate<br />

negli anni sessanta. Il libro colma<br />

questa lacuna, offrendo di Spengler<br />

un’immagine inedita.<br />

Coppieters, Bruno<br />

Kritik einer reinen Empirie.<br />

Hegels Jenaer Kommentar<br />

zu Montesquieus Theorie<br />

des Politischen<br />

Akademie, agosto-settembre 1994<br />

pp. 254, DM 98<br />

L’argomentazione e la ricerca di<br />

Coppieters si riferiscono all’interpretazione<br />

ed alla verifica del giudizio,<br />

dato da Hegel in Vom Geist<br />

der Gesetze, sul metodo empirico<br />

di Montesquieu.<br />

Cormier, Philippe<br />

Généalogie de personne<br />

pr. di Jean-Luc Marion<br />

Critérion, settembre 1994<br />

pp. 220, F 119<br />

Da filosofo, l’autore riflette sulla nozione<br />

di persona. Esplorando l’epopea<br />

di Omero, la tragedia greca, i testi<br />

di Sofocle e di Cicerone ed anche<br />

quelli dei Padri della Chiesa, Cormier<br />

decifra, analizza e racconta come si è<br />

arricchita di significati la parola greca<br />

outis, “persona”.<br />

Cotroneo, Girolamo<br />

Questioni crociane e post-crociane<br />

Ed. Scientifiche, ottobre 1994<br />

pp. 220, L. 33.000<br />

Il volume affronta alcuni aspetti del<br />

pensiero di Benedetto Croce di natura<br />

teoretica (le caratteristiche del suo<br />

“idealismo”), metodologia (il problema<br />

della storia della filosofia) ed etica<br />

(il primato di quest’ultima sulla<br />

politica) e illustra alcuni problemi di<br />

analoga natura posti dal pensiero contemporaneo<br />

e letti dall’autoe alla luce<br />

delle conclusioni a suo tempo raggiunte<br />

dal filosofo napoletano.<br />

Dami, Roberto<br />

I tropi della storia<br />

La narrazione nella teoria<br />

della storiografia di H. White<br />

FrancoAngeli, ottobre 1994<br />

pp. 192, L, 26.000<br />

NOVITÀ IN LIBRERIA<br />

82<br />

Dämmerich, Heinz P.<br />

Prekäres Selbstbewußtsein.<br />

<strong>Studi</strong>en zu Kant, Fichte und Dilthey<br />

Haag & Herchen<br />

agosto-settembre 1994<br />

pp. 156, DM 34<br />

Dastur, Françoise<br />

La Mort: essai sur la finitude<br />

Hatier, settembre 1994<br />

pp. 79, F 27<br />

La coscienza di essere mortali è alla<br />

base dell’esperienza che l’uomo ha di<br />

se stesso. Ma la morte non è oggetto<br />

di esperienza... Come è possibile concepire<br />

questo paradosso, questo limite<br />

che la realtà della morte impone<br />

alla ragione?<br />

De Deyn, P.P. (a cura di)<br />

Ethics of Animal and Human<br />

Experimentation. Proceedings<br />

of the Symposium on Ethical<br />

Considerations Concerning<br />

Biomedical Experimental Methods<br />

and Techniques<br />

John Libbey, agosto sett. 1994<br />

pp. 300, £ 40<br />

Si tratta degli atti del convegno Ethical<br />

Considerations Concerning Biomedical<br />

Experimental Methods and<br />

Techniques, tenutosi ad Anversa il 10<br />

e l’11 settembre del ’93.<br />

De Maria, Amalia<br />

Propedeutica filosofica<br />

Utet, ottobre 1994<br />

pp. 190, L. 24.000<br />

Che cos’è la filosofia? A questa e<br />

altra domande di fondo risponde il<br />

saggio in analisi che completa la trattazione<br />

con uno studio storico sullo<br />

sviluppo della filosofia occidentale.<br />

Dell’Io, Salvatore<br />

Jacques Lacan<br />

Istruzioni per l’uso<br />

Raffaello Cortina, ottobre 1994<br />

pp. 220, L. 16.000<br />

Derrida, Jacques<br />

Otobiographies<br />

L’insegnamento di Nietzsche<br />

e la politica del nome proprio<br />

Il poligrafo, ottobre 1994<br />

pp. 96, L. 22.000<br />

Questa conferenza fu tenuta da Derrida<br />

nel 1976 a Charlottesville, presso<br />

l’università della Virginia negli USA.<br />

L’occasione era data dal bicentenario<br />

della Dichiarazione d’Indipendenza,<br />

ma da questa Derrida procedeva con<br />

un commento sull’incipit di Ecce<br />

homo fino alle conferenze nietzscheane<br />

Sull’avvenire delle nostre scuole,<br />

per terminare poi sul problema della<br />

libertà accademica. Un testo che può<br />

dunque apparire stravagante nella sua<br />

eterogeneità, e pur tuttavia reso coerente<br />

da un unico filo conduttore: il<br />

rapporto tra nome e istituzione che<br />

Derrida sintetizza nel problema della<br />

firma.<br />

Descartes, René<br />

Opere filosofiche<br />

a cura di Lojacono Ettore<br />

Utet, ottobre 1994<br />

pp. 1712, L. 235.000<br />

Raccolta dei testi più importanti del<br />

filosofo e, nel secondo volume, gli<br />

scritti che ruotano intorno ai temi<br />

centrali del cosmo e dell’uomo.<br />

Desttut de Tracy, Antoine L.<br />

Traité de la volonté<br />

et de ses effets<br />

Fayard, settembre 1994<br />

s.p., F 240<br />

Il volume costituisce la quarta e la<br />

quinta parte degli Eléments d’idéologie,<br />

un’opera che si situa tra la fisiocrazia<br />

del XVIII secolo ed il liberalismo<br />

del XIX secolo.<br />

Diderot, Denis<br />

Lettre sur les aveugles<br />

à l’usage de ceux qui voient<br />

Corps 16, agosto 1994<br />

pp. 120, F 80<br />

Questa lettera, che si situa nel punto<br />

di confluenza tra filosofia, letteratura<br />

e scienza, occupa un posto centrale<br />

all’interno dell’opera dell’autore.<br />

Nella sua analisi del comportamento<br />

di due ciechi dalla nascita, Diderot<br />

conferma la sua posizione di convinto<br />

materialista.<br />

Diprose, Rosalyn<br />

The Bodies of Women. Ethics,<br />

Embodiment and Sexual Differences<br />

Routledge, agosto-settembre 1994<br />

pp. 176, £ 12<br />

L’autrice analizza criticamente sia i<br />

tentativi, da parte dell’etica femminista<br />

ed anche non femminista, di riconoscere<br />

il ruolo della differenza sessuale<br />

che le argomentazioni biomediche,<br />

le cui descrizioni mascherano<br />

una costituzione ed una regolazione<br />

del “corpo”.<br />

Dogbe, Yves-Emmanuel<br />

Réflexions sur le bien-être:<br />

essais philosophiques<br />

Akpagnon, settembre 1994<br />

pp. 68, F 40<br />

Il libro raccoglie quattro saggi sul<br />

senso della vita, l’essere interiore, il<br />

benessere e la morte.<br />

Eckhardt, Wolfgang<br />

Michail A. Bakunin (1814-1876).<br />

Bibliographie der Primärund<br />

Sekundärliteratur<br />

in deutscher Sprache<br />

Libertad, agosto-settembre 1994<br />

DM 28<br />

Elsässer, Michael<br />

Friedrich Schlegels Kritik am Ding<br />

Felix Meiner, agosto-sett. 1994<br />

DM 68<br />

Epitteto<br />

Le Manuel<br />

tr. dal greco Marcel Caster<br />

pref. Giacomo Leopardi<br />

Rivages, agosto 1993<br />

Il filosofo latino di lingua greca non<br />

ha mai scritto. E’ stato il suo discepolo,<br />

Arriano di Nicomedia, che ci ha<br />

trasmesso il suo insegnamento sulla<br />

base degli appunti da lui presi assistendo<br />

alle sue lezioni o in seguito a<br />

conversazioni con Epitteto. Il risultato<br />

è quindi lo stile naturale del Manuale,<br />

ciò che è stato chiamato il<br />

“parlare franco” di Epitteto.


Fimiani, Filippo<br />

La sovranità dell’evento<br />

Saggio su Charles Péguy<br />

Guerini, ottobre 1994<br />

pp. 144, L. 22.000<br />

Saggio su uno dei rappresentanti<br />

del pensiero francese dei primi anni<br />

del Novecento, sulla centralità dell’evento<br />

nella nascita e nella vita<br />

dell’opera d’arte.<br />

Flach, Werner<br />

Grundzüge der Erkenntnislehre.<br />

Erkenntniskritik, Logik,<br />

Methodologie<br />

Königshausen & Neumann<br />

agosto-settembre 1994<br />

pp. 780, DM 186<br />

Frederking, Volker<br />

Durchbruch von Haben zum Sein.<br />

Erich Fromm und die Mystik<br />

Meister Eckharts<br />

Schöningh, agosto-settembre 1994<br />

pp. 350, DM 78<br />

Fruchon, Pierre<br />

L’Herméneutique de Gadamer:<br />

platonisme et modernité,<br />

tradition et interprétation<br />

Cerf, agosto 1994<br />

pp. 534, F 245<br />

L’autore di questo volume, colloca<br />

deliberatamente nell’insieme del progetto<br />

filosofico di Gadamer l’ermeneutica<br />

propriamente detta. In effetti<br />

Gadamer comincia praticando<br />

l’interpretazione prima di formularne<br />

concettualmente la teoria nella<br />

sua opera fondamentale, Verità<br />

e metodo (1960).<br />

Gadamer, Hans-Georg<br />

Il movimento fenomenologico<br />

Laterza, ottobre 1994<br />

pp. 144, L. 18.000<br />

Sintesi della parabola del movimento<br />

fenomenologico: precursori, origini,<br />

storia e dibattiti.<br />

Gadamer, Hans-Georg<br />

Dove si nasconde la salute<br />

Raffaello Cortina, ottobre 1994<br />

pp. 200, L. 32.000<br />

La cura della salute è per l’uomo<br />

un “fenomeno originario”. Ma cosa<br />

comporta questo richiamo alle origini?<br />

Che cosa significa guarire e<br />

quali sono i presupposti dell’arte<br />

medica? Gadamer indaga il luogo<br />

in cui si “nasconde” la salute, condizione<br />

particolare di equilibrio e<br />

armonia, a partire dal mondo greco<br />

fino a toccare le problematiche<br />

della medicina moderna.<br />

Galimberti, Umberto<br />

Parole nomadi<br />

Feltrinelli, ottobre 1994<br />

pp. 352, L. 35.000<br />

Galimberti rielabora in questo volume<br />

i suoi articoli originariamente<br />

apparsi sul supplemento domenicale<br />

de “Il Sole 24 Ore”, ordinati alfabeticamente<br />

per argomenti. Spaziando<br />

dalla religione alla politica, dai sentimenti<br />

alla filosofia, dall’estetica alla<br />

psicologia, ci offre un modello dinamico<br />

di interpretazione della realtà.<br />

Garcia, Joseph<br />

Theologie für Atheisten.<br />

Die Überwindung des Gegensatzes<br />

zwischen Naturwissenschaft<br />

und Glauben<br />

intr. di Raimon Panikkar<br />

Lit, agosto-settembre 1994<br />

pp. 80, DM 19,80<br />

Gardner, Howard<br />

Intelligenze creative<br />

Feltrinelli, ottobre 1994<br />

pp. 576, L. 65.000<br />

Con Formae mentis Gardner ha dimostrato<br />

che esiste una molteplicità<br />

di intelligenze e che la fisionomina<br />

cognitiva degli individui è unica e<br />

irripetibile come la combinazione<br />

delle intelligenze che possiedono. Con<br />

Intelligenze creative argomenta la tesi<br />

che a ogni intelligenza corrisponde<br />

una forma particolare di creatività.<br />

Garin, Eugenio<br />

L’umanesimo italiano<br />

Laterza, ottobre 1994<br />

pp. 288, L. 13.000<br />

Saggio sul pensiero filosofico italiano<br />

tra il 1440 e il 1500.<br />

Geyer, Carl-Friedrich<br />

Einführung in die Philosophie<br />

der Kultur<br />

Wiss. Buchvlg.<br />

agosto-settembre 1994<br />

pp. 214, DM 39,80<br />

Questa introduzione informa sullo<br />

sviluppo della filosofia della cultura<br />

partendo dal XIX secolo e discute<br />

criticamente l’attuale tesi che<br />

vede la filosofia della cultura come<br />

l’unica possibilità rimasta di discorso<br />

filosofico.<br />

Gillies, Donald - Giorello, Giulio<br />

La filosofia della scienza<br />

nel XX secolo<br />

Laterza, settembre 1994<br />

pp. 432<br />

Nel delineare il percorso della filosofia<br />

della scienza nel Novecento, Gilles<br />

articola la trattazione attorno ad<br />

argomenti-chiave mentre Giorello<br />

presenta le concezioni dei maggiori<br />

filosofi della scienza dopo Popper.<br />

Goth, Christian<br />

Initation aux sciences humaines:<br />

philosophie, psychologie,<br />

psychanayse, sociologie, ethnologie<br />

C. Goth, settembre 1994<br />

pp. 128, F 240<br />

Ogni disciplina viene presentata in un<br />

capitolo del volume. Christian Gott,<br />

laureato in psicologia ha effettuato<br />

degli studi completi nel campo delle<br />

scienze umane, soprattutto in quello<br />

della sociologia, dell’etnologia e della<br />

criminologia. Egli è stato influenzato<br />

dalle teorie di Palo Alto ed è<br />

stimato per i suoi studi sulla scrittura<br />

e sulla comunicazione.<br />

Goulet, Richard (a cura di)<br />

Dictionnaire des philosophes<br />

antiques<br />

vol. 2: Babelyca d’Argos<br />

à Dyscolius<br />

pref. Pierre Hadot<br />

CNRS-Editions, agosto 1994<br />

pp. 1024, F 525<br />

NOVITÀ IN LIBRERIA<br />

83<br />

Il volume presenta più di cinquecentoquaranta<br />

filosofi antichi o testimoni<br />

importanti del movimento filosofico<br />

nell’Antichità. Si tratta del secondo<br />

volume di un’opera che consterà<br />

di sei tomi e di due o tre volumi di<br />

supplementi.<br />

Greisch, Jean<br />

Ontologie et temporalité:<br />

esquisse d’une interprétation<br />

intégrale de ‘Sein und Zeit’<br />

PUF, settembre 1994<br />

pp. 528, F 288<br />

La pubblicazione degli insegnamenti<br />

impartiti tra il 1919 e il 1928,<br />

il decennio fenomenologico di<br />

Heidegger, permette di farsi<br />

un’idea precisa della genesi delle<br />

sue concezioni in quel periodo e<br />

del libro Essere e tempo. Vengono<br />

anche forniti nuovi criteri per un<br />

moderno lavoro interpretativo.<br />

Haarscher, Guy (a cura di)<br />

Chaïm Perelman<br />

et la pensée contemporaine<br />

Bruylant, agosto 1994<br />

pp. 491, F 487<br />

A trentacinque anni di distanza<br />

dalla pubblicazione del Traité de<br />

l’argumentation, specialisti di tutti<br />

i continenti verificano le tesi di<br />

Perelman adottando il punto di vista<br />

della filosofia, del diritto e delle<br />

scienze umane in generale. Questo<br />

avviene all’alba degli anni ’90,<br />

nello spirito di un’apertura critica<br />

e del libero esame. Il volume contiene<br />

contributi in lingua francese<br />

e inglese.<br />

Hansen, Frank-Peter<br />

Hegels ‘Phänomenologie<br />

des Geistes’.<br />

’Erster Teil’ des ‘Systems<br />

der Wissenschaft’. Dargestellt<br />

an Hand der ‘System-Vorrede’<br />

von 1807<br />

Königshausen & Neumann<br />

agosto-settembre 1994<br />

pp. 360, DM 86<br />

Hastedt, Heiner<br />

Aufklärung und Technik.<br />

Grundprobleme einer Ethik<br />

der Technik<br />

Suhrkamp, agosto-settembre 1994<br />

pp. 336, DM 24,80<br />

Heaton, John - Groves, Judy<br />

Wittgenstein. Per cominciare<br />

Feltrinelli, ottobre 1994<br />

pp. 176, L. 12.000<br />

Una guida chiara e accessibile sia al<br />

lavoro principale di Wittgenstein, il<br />

Tractatus logico-philosophicus che al<br />

suo successivo Ricerche filosofiche.<br />

Heideggere, Martin<br />

Nietzsche<br />

Adelphi, ottobre 1994<br />

pp. 1100, L. 120.000<br />

Un vasto e serrato confronto che<br />

Heidegger ingaggia con Nietzsche,<br />

interrogandone insistemente i testi al<br />

fine di scoprire il filo conduttore che<br />

lega in una trama unitaria le sue dottrine<br />

fondamentali.<br />

Heinz, Marion<br />

Sensualistischer Idealismus.<br />

Untersuchungen<br />

zur Erkenntnistheorie<br />

des jungen Herder (1763-1778)<br />

Meiner; agosto-settembre 1994<br />

pp. 204, DM 88<br />

Held, Klaus<br />

Guida filosofica del Mediterraneo<br />

Guanda, ottobre 1994<br />

pp. 350, L. 35.000<br />

Viaggio attraverso il pensiero antico:<br />

la storia della filosofia antica,<br />

da Talete fino agli autori cristiani<br />

del IV-V secolo, collegata ai luoghi,<br />

alle esperienze dei singoli pensatori,<br />

alle relazioni, agli scambi,<br />

agli incroci tra diverse scuole e<br />

centri di sapere collocati nell’area<br />

del Mediterraneo.<br />

Hobbes, Thomas<br />

Léviathan: traité de la matière,<br />

de la forme et du pouvoir<br />

de la république ecclesiastique<br />

et civile<br />

trad. dall’inglese e a cura<br />

di François Tricaud<br />

Sirey, settembre 1994<br />

pp. 780, F 220<br />

Si tratta della ristampa di questa edizione<br />

ampiamente commentata, nella<br />

quale il testo inglese viene anche paragonato<br />

al testo latino.<br />

Hofmann, Johann Nepomuk<br />

Wahrheit, Perspektive,<br />

Interpretation. Nietzsche<br />

und die philosophische Hermeneutik<br />

de Gruyter, agosto-settembre 1994<br />

pp. 456, DM 242<br />

Alla base di questo studio sistematico-comparativo<br />

sulla filosofia<br />

dell’interpretazione di Nietzsche<br />

c’è la tesi tenuta da Hofmann a<br />

Tubinga nel ’93.<br />

Holz, Harald<br />

Geist in Geschichte.<br />

Idealismus-<strong>Studi</strong>en<br />

Königshausen & Neumann<br />

agosto-settembre 1994<br />

pp. 354, DM 68<br />

Il volume contiene, nella prima<br />

parte: “Immanuel Kant, l’idea centrale<br />

sistematica nella storia”; nella<br />

seconda: “Fichte, Schelling,<br />

Hegel, la forza delle idee nel monologo<br />

consistematico.”<br />

Honnefelder, L. (a cura di)<br />

Die Einheit des Menschen.<br />

Zur Grundfrage<br />

der philosophischen Anthropologie<br />

Schöningh, agosto-settembre 1994<br />

pp. 181, DM 36<br />

Horn, Hans-Jürgen<br />

<strong>Studi</strong>en zum Dritten Buch<br />

der aristotelischen Schriften<br />

’De anima’<br />

Vandenhoeck & Ruprecht<br />

agosto-settembre 1994<br />

pp. 200, DM 58


Huisman, Bruno - Ribes, François<br />

(a cura di)<br />

Les Philosophes et le pouvoir<br />

Dunod, settembre 1994<br />

pp. 368, F 168<br />

Il volume si rivolge agli allievi delle<br />

classi preparatorie della HEC, la Haute<br />

Ecole Commerciale.<br />

Hull, R.T. (a cura di)<br />

A Quarter Century of Value<br />

Inquiry. Presidential Addresses<br />

before the American Society<br />

for Value Inquiry<br />

Editions Rodopi<br />

agosto-settembre 1994<br />

pp. 400, FOL 200<br />

Questo volume contiene tutti i discorsi<br />

presidenziali tenuti alla American<br />

Society for Value Inquiry, dalla<br />

sua prima riunione, nel 1970. Si tratta<br />

di una testimonianza unica di indagine<br />

sui valori nel corso degli ultimi<br />

venticinque anni.<br />

Jäger, Christian<br />

Michel Foucault, das Ungedachte<br />

denken. Eine Untersuchung<br />

der Entwicklung und Struktur<br />

des kategorischen Zusammenhangs<br />

in Foucaults Schriften<br />

Fink, agosto-settembre 1994<br />

pp. 206, DM 48<br />

James, William<br />

Das pluralistische Universum.<br />

Vorlesungen über die gegenwärtige<br />

Lage der Philosophie<br />

Wiss. Buchvlg., agosto-sett. 1994<br />

pp. 263, DM 49,80<br />

Con la riedizione di questo lavoro<br />

riassuntivo di William James, il più<br />

importante filosofo del pluralismo,<br />

uno dei principali fondatori del pragmatismo,<br />

si può accedere ad un classico<br />

del pensiero filosofico, che colpisce<br />

per la sua lingua chiara ed estremamente<br />

viva.<br />

James, William<br />

Der Pragmatismus. Ein neuer Name<br />

für alte Denkmethoden<br />

intr. a cura di Kl. Oehler<br />

Meiner, agosto-settembre 1994<br />

pp. 200, DM 32<br />

Si tratta della seconda edizione di<br />

quest’opera, con nuove indicazioni<br />

bibliografiche.<br />

Jean, Paul<br />

Il comico, l’umorismo e l’arguzia<br />

Arte e artificio del riso<br />

in una “Propedeutica dell’estetica”<br />

del primo Ottocento<br />

a cura di Eugenio Spedicato<br />

Il poligrafo, ottobre 1994<br />

pp. 222, L. 30.000<br />

L’estetica del riso viene affrontata da<br />

Jean Paul (pseudonimo di Johann Paul<br />

Friedrich Richter, 1763-1825) in quattro<br />

capitoli della Propedeutica dell’estetica,<br />

un’opera di vasto respiro,<br />

frutto di un’attrezzatissima officina<br />

filosofica e letteraria, una summa del<br />

pensiero del suo autore, ma anche un<br />

documento essenziale della storia<br />

dell’estetica e più in generale della<br />

storia della cultura tedesca tra Sette e<br />

Ottocento.<br />

Jolivet, Pierre (a cura di)<br />

Abélard ou la Philosophie<br />

dans le langage<br />

Cerf Ed. univers. de Fribourg<br />

agosto 1994<br />

pp. 214, F 139<br />

Il volume presenta Abélard (1079-<br />

1142) ed il suo pensiero, la sua biografia<br />

e le sue principali dottrine filosofiche<br />

e teologiche, nella prima parte;<br />

mentre, nella seconda, figurano delle<br />

traduzioni di testi tratti dalle sue opere.<br />

Kämpf, H. - Schott, R. (a cura di)<br />

Der Mensch als homo pictor?<br />

Die Kunst traditioneller Kulturen<br />

aus der Sicht von Philosophie<br />

und Ethnologie<br />

Bouvier, agosto-settembre 1994<br />

pp. 256, DM 58<br />

Questo volume, che raccoglie i contributi<br />

ad un simposio, tenutosi a Münster<br />

nel ’92, dimostra che il dialogo<br />

finora interrotto tra filosofi ed antropologi<br />

può essere ripreso, nella prospettiva<br />

della domanda di tipo antropologico,<br />

posta da Hans Jonas, riguardo<br />

all’essere umano come homo pictor.<br />

Kant, Immanuel<br />

Théorie et pratique;<br />

D’un pretendu droit de mentir<br />

par l’humanité;<br />

la Fin de toute chose<br />

trad. dal tedesco e a cura<br />

di Françoise Proust<br />

Flammarion, settembre 1994<br />

pp. 196, F 28<br />

I primi due testi sono le risposte di<br />

Kant ai detrattori della sua teoria<br />

morale. Come è noto, egli rispose<br />

ai suoi detrattori: “Può essere che<br />

ciò sia giusto dal punto di vista<br />

teorico, ma in pratica non vale niente.”<br />

Il terzo testo tratta del rapporto<br />

tra la verità e l’eternità.<br />

Kant, Immanuel<br />

La religione nei limiti<br />

della ragione<br />

Rusconi, ottobre 1994<br />

pp. 450, L. 16.000<br />

Saggio sull’interpretazione della teologia<br />

cattolica e luterana da parte dell’idealismo.<br />

Kersting, Wolfgang<br />

Die politische Philosophie<br />

des Gesellschaftsvertrags.<br />

Von Hobbes bis zur Gegenwart<br />

Wiss. Buchvlg., agosto-sett. 1994<br />

pp. 380, DM 58<br />

Lo scopo del libro è di mostrare la<br />

varietà storica e concettuale e la differenziazione<br />

sistematica della filosofia<br />

politica del contratto sociale,<br />

inquadrandole all’interno della prima<br />

presentazione completa della storia<br />

del contrattualismo moderno.<br />

Kofman, Sarah<br />

Le Mépris des juifs: Nietzsche,<br />

les juifs, l’antisémitisme<br />

Galilée, settembre 1994<br />

pp. 95, F 82<br />

Nietzsche era antisemita? Oppure il<br />

suo supposto antisemitismo non sarebbe<br />

stato altro che un errore di gioventù,<br />

trasmesso dal suo ambiente, dai<br />

suoi maestri e modelli, e di cui doveva<br />

liberarsi per diventare se stesso?<br />

NOVITÀ IN LIBRERIA<br />

84<br />

Lamarra, Antonio<br />

Pimpinella, Pietro<br />

Metitationes philosophicae<br />

Leo S. Olschki, ottobre 1994<br />

pp. 228, L. 59.000<br />

Pubblicata nel 1734, questa breve<br />

dissertazione contiene la prima<br />

menzione del termine “estetica” e<br />

costituisce il primo tentativo di<br />

inserire organicamente nella riflessione<br />

filosofica la disciplina che<br />

ancor oggi porta quel nome.<br />

Larroque, Michel<br />

Volonté et involonté<br />

dans la pensée occidentale<br />

et orientale<br />

L’Harmattan, settembre 1994<br />

pp. 199, F 110<br />

Nel pensiero occidentale, l’esistenza<br />

morale realizza la volontà. Lo spirito<br />

acquista la propria autonomia imponendo<br />

la sua legge alla natura. Il pensiero<br />

orientale, invece, propone una<br />

definizione completamente diversa<br />

della vita spirituale, con la condanna<br />

della riflessione, il rifiuto di usare il<br />

pensiero per diventare padroni del<br />

corso del tempo, l’abolizione dell’io<br />

cosciente e proponendo quindi la involonté,<br />

la “non volontà”.<br />

Leibniz, Gottfried Wilhelm<br />

Le Droit de la raison<br />

a cura di René Sève<br />

Vrin, settembre 1994<br />

pp. 256, F 60<br />

L’autonomia degli individui, dei popoli<br />

e dei sovrani si basa non tanto<br />

sulla libertà nazionale o convenzionale,<br />

quanto sull’incapacità pratica<br />

della ragione di determinare ogni cosa.<br />

Tutte queste idee, compresa anche la<br />

loro espressione critica rispetto al diritto<br />

naturale, fanno di Leibniz un<br />

teorico fedele ai principi della politica<br />

classica.<br />

Leibniz, Gottfried Wilhelm<br />

Philosophische Schriften<br />

und Briefe 1663-1676<br />

a cura di U. Goldenbaum<br />

Akademie, agosto-settembre 1994<br />

pp. 480, DM 86<br />

Lescourret, Marie-Anne<br />

Emmanuel Levinas<br />

Flammarion, settembre 1994<br />

pp. 414, F 150<br />

Il volume ripercorre il cammino<br />

del filosofo e della sua opera. Emmanuel<br />

Levinas, che si situa all’incrocio<br />

tra quattro culture (ebraica,<br />

russa, tedesca, e francese), è rimasto<br />

sempre lontano dai percorsi battuti,<br />

che passano attraverso l’ENS e<br />

l’insegnamento universitario. La sua<br />

opera è composta da una parte confessionale<br />

che è distinta da quella<br />

puramente filosofica.<br />

Lévi-Strauss, Claude<br />

Guardare ascoltare leggere<br />

Il Saggiatore, settembre 1994<br />

pp. 176, L. 29.000<br />

Scritto in tono colloquiale, questo<br />

libro apre nella pittura, nella musica,<br />

nella letteratura prospettive che<br />

si intersecano giungendo a conclusioni<br />

inaspettate.<br />

Locke, John<br />

Lettera sulla tolleranza<br />

Laterza, ottobre 1994<br />

pp. 128, L. 9.000<br />

Uno dei primi scritti sulla tolleranza e<br />

la libertà di pensiero, alla base della<br />

moderna cultura europea.<br />

Loegstrup, Knud Ejler<br />

Methaphysik<br />

Vol. 3: Ursprung und Umgebung.<br />

Betrachtungen über Geschichte<br />

und Natur<br />

Mohr, agosto-settembre 1994<br />

pp. 328, DM 98<br />

Lorenz, Ulrich<br />

Das Projekt der Ideologie.<br />

<strong>Studi</strong>en zu einer<br />

’Ersten Philosophie’<br />

bei Destutt de Tracy<br />

Frommann-Holzboog<br />

agosto-settembre 1994<br />

pp. 263, DM 82<br />

La “Filosofia prima” è in realtà un<br />

insieme di questioni e di domande<br />

che aprono l’orizzonte a temi che<br />

possono essere trattati dal punto di<br />

vista scientifico. In questo contesto,<br />

l’ideologia risulta essere una filosofia<br />

della coscienza orientata in senso<br />

antropologico.<br />

Lüdeking, Karl-Heinz<br />

Einführung in die analytische<br />

Kunstphilosophie<br />

UTB (W. Fink)<br />

agosto-settembre 1994<br />

pp. 230, DM 24,80<br />

Il volume propone una pianta del labirinto<br />

argomentativo, in cui rimane<br />

intrappolato chiunque si chieda come<br />

sia possibile capire e motivare il fatto<br />

che alcune cose vengano chiamate<br />

opere d’arte e che vengano loro ascritte<br />

delle qualità estetiche.<br />

Lyotard, Jean-François<br />

Dérive à partir de Marx et Freud<br />

Galilée, settembre 1994<br />

pp. 200, F 180<br />

A distanza di ventidue anni, viene<br />

ripubblicato il diario di bordo di un<br />

veterano, come testimonianza e memoria<br />

e con una prefazione inedita<br />

dell’autore. I giovani manifestavano<br />

allora contro il lavoro, adesso<br />

manifestano in favore dell’occupazione.<br />

Allora si gridava: Liberation!<br />

Adesso noi mormoriamo “resistenza”.<br />

Il volume indaga su che<br />

cosa significhino una cosa ed il suo<br />

contrario. Marx insegnava questa<br />

contraddizione, Freud questa ambivalenza.<br />

Adesso più che mai,<br />

questi due autori la insegnano.<br />

Marchianò, Grazia<br />

Sugli orienti del pensiero<br />

La natura illuminata<br />

e la sua estetica<br />

Rubbettino, ottobre 1994<br />

pp. 160, L. 15.000<br />

Saggio sull’estetica che si apre alle<br />

tradizioni filosofiche e religiose orientali,<br />

a partire dal mondo indù, comprendendo<br />

la Cina e il Giappone.


Masullo, Aldo<br />

Struttura soggetto prassi<br />

Esi, ottobre 1994<br />

pp. 330, L. 28.000<br />

Mathisen, Steinar<br />

Transzendentalphilosophie<br />

und System. Zum Problem<br />

der Geltungsgliederung<br />

Bouvier, agosto-settembre 1994<br />

pp. 211, DM 68<br />

Il volume si occupa delle differenze<br />

tra principi scientifici, pratici ed<br />

estetici nella recente filosofia trascendentale.<br />

Meier, Heinrich<br />

Die Lehre Carl Schmitts.<br />

Vier Kapitel zur Unterscheidung<br />

Politischer Theologie<br />

und Politischer Philosophie<br />

J.B. Metzler, agosto-sett. 1994<br />

pp. 263, DM 38<br />

Minnigerode, Bernhard<br />

Reflexionen eines Zuschauers<br />

zum Thema ‘evolutionäre<br />

Erkenntnistheorie’<br />

Kramer, agosto-settembre 1994<br />

pp. 85, DM 20<br />

Misrahi, Robert<br />

Le Bonheur: essai sur la joie<br />

Hatier, settembre 1994<br />

pp. 79, F 27<br />

I filosofi giudicarono spesso la felicità<br />

come qualcosa di impensabile.<br />

Questo significava dimenticare un<br />

filone che attraversa tutto il pensiero,<br />

da Aristotele a Ernst Bloch, passando<br />

per Spinoza, per il quale la felicità<br />

deve essere realizzata partendo dalla<br />

vita terrena. Sulla base del loro esempio,<br />

è agli atti concreti della gioia che<br />

bisogna pensare, al fine di eliminare<br />

molti sofismi.<br />

Monde, Le (Paris) (a cura di)<br />

Les Grands entretiens du Monde<br />

vol. 1: Penser la philosophie,<br />

les sciences, les religions<br />

pref. di Thomas Ferenczi<br />

Le Monde éditions, settembre 1994<br />

pp. 208, F 85<br />

In questa raccolta, diversi intellettuali,<br />

invitati ad esprimersi sul quotidiano<br />

Le Monde dall’autunno del 1991,<br />

filosofi, storici, studiosi, teologi si<br />

sforzano di ricostruire un discorso<br />

che si rivolga a tutti e che, nelle differenze<br />

delle discipline e degli argomenti,<br />

cerchi di ridare un senso all’esistenza<br />

individuale e collettiva.<br />

Morin, Edgar<br />

Il paradigma perduto<br />

Feltrinelli, ottobre 1994<br />

pp. 224, L. 20.000<br />

Ormai da molti anni introvabile in<br />

italiano, questo volume è una appassionata<br />

resa dei conti con il preteso<br />

valore conoscitivo delle scienze umane.<br />

Morin si propone di capire e di<br />

spiegare l’articolazione tra biologia e<br />

antropologia. Contro l’opposizione<br />

di Natura e Cultura, mostra che le<br />

chiavi della nostra cultura sono nella<br />

nostra natura e viceversa.<br />

Müller, Max<br />

Auseinandersetzung als Versöhnung.<br />

Gespräche über ein Leben<br />

mit der Philosophie<br />

a cura di Wilhelm Vossenkuhl<br />

Akademie, agosto-settembre 1994<br />

pp. 400, DM 68<br />

Max Müller racconta e descrive la<br />

sua storia nel corso delle conversazioni<br />

con il suo allievo Wilhelm Vossenkuhl,<br />

che attualmente è il suo successore<br />

alla cattedra di Filosofia dell’Università<br />

di Monaco. In queste<br />

conversazioni, Müller rende conto<br />

della continuità e delle interruzioni<br />

nella tradizione filosofica tedesca.<br />

Müller-Tuckfeld, J. Chr. et al.<br />

(a cura di)<br />

Interventionen im Anschluß<br />

an Althusser<br />

Argument, agosto-settembre 1994<br />

pp. 240, DM 29<br />

Si tratta di una rivalutazione complessiva<br />

di Althusser. Senza la ricezione<br />

critica di questo teoreta, molti<br />

discorsi portati avanti nel segno del<br />

post-moderno restano incompresi.<br />

Munster, Arno<br />

La Pensée de Franz Rosenzweig:<br />

actes/colloque parisien organisé<br />

à l’occasion du centenaire<br />

de la naissance du philosophe<br />

PUF, agosto 1994<br />

pp. 240, F 148<br />

Il volume contiene gli atti del convegno<br />

tenutosi in occasione del centenario<br />

della nascita di Franz Rosenzweig,<br />

nel corso del quale sono stati<br />

analizzati il legame tra il filosofo e<br />

Hegel ed i suoi rapporti con altre<br />

grandi figure del pensiero contemporaneo.<br />

Nel volume vengono mostrate<br />

le ripercussioni di questo pensieroguida<br />

sull’etica e la religione, la politica<br />

e l’estetica.<br />

Nagl-Docekal, H. (a cura di)<br />

Feministiche Philosophie<br />

Oldenburg, agosto-settembre 1994<br />

pp. 284, DM 48<br />

Il volume mette in evidenza i tratti<br />

patriarcali della storia della filosofia<br />

e rivela la necessità di una trasformazione<br />

delle singole discipline, dalla<br />

teoria della scienza fino all’etica.<br />

Nancy, Jean-Luc<br />

La partizione delle voci<br />

verso una comunità<br />

senza fondamenti<br />

a cura di Alberto Folin<br />

Il poligrafo, ottobre 1994<br />

pp. 118, L. 20.000<br />

Questo breve saggio risale al 1982:<br />

quattro anni prima che uscisse La<br />

comunità inoperosa, opera tradotta<br />

in moltissime lingue, e alla quale rispose<br />

Maurice Blanchot con la La<br />

communauté inavouable. La tesi che<br />

vi veniva sostenuta, destinata a rivelare<br />

Nancy come uno dei più originali<br />

pensatori della generazione succesiva<br />

a Derrida, Faucault, Lacan, Deleuze,<br />

trova le sue radici nel testo che qui<br />

si presenta, nato per circostanze fortuite.<br />

NOVITÀ IN LIBRERIA<br />

85<br />

Negri, Antonio<br />

Spinoza subversif:<br />

variations (in)actuelles<br />

Kimé, agosto 1994<br />

pp. 160, F 130<br />

In questo saggio, A. Negri approfondisce<br />

la sua interpretazione del concetto<br />

di potenza di Spinoza e la confronta<br />

con le letture di Spinoza da<br />

parte di Deleuze, Matheron, Macherey<br />

o Balibar, soffermandosi anche<br />

sul concetto di democrazia.<br />

Nicolescu, Basarab<br />

L’Homme, la science et la nature:<br />

regards transdisciplinaires<br />

a cura di Michel Cazenave<br />

Mail, settembre 1994<br />

pp. 280, F 148<br />

Non ci possono essere, per definizione,<br />

degli esperti transdisciplinari, ma<br />

solamente dei ricercatori animati da<br />

uno spirito di transdisciplinarietà. Le<br />

ricerche qui condotte non possono far<br />

altro che poggiare sulle diverse attività<br />

dell’arte, della poesia, della filosofia<br />

e possono dar luogo ad una rinnovata<br />

visione della natura.<br />

Nietzsche, Friedrich<br />

Le Monde te prend tel que<br />

tu te donnes: écrits de jeunesse<br />

trad. dal tedesco e a cura<br />

di Jean-Louis Backes<br />

Cherche-Midi, settembre 1994<br />

pp. 216, F 110<br />

Il volume contiene i principali scritti<br />

giovanili, in particolare degli importanti<br />

testi autobiografici scritti tra il<br />

1854 ed il 1864, nel periodo che va<br />

quindi dal quattordicesimo al ventesimo<br />

anno di età di Nietzsche.<br />

Nietzsche, Friedrich<br />

L’Antéchrist<br />

trad. dal tedesco e a cura<br />

di Eric Blondel<br />

Flammarion, settembre 1994<br />

pp. 232, F 31<br />

Per Nietzsche, l’Anticristo designa<br />

l’anticristiano. In questo saggio polemico,<br />

egli denuncia il peso che nel<br />

cristianesimo viene attribuito al credere<br />

ciecamente, andando contro alla<br />

verità. Qualche mese dopo la redazione<br />

di quest’opera (1888), Nietzsche<br />

non esiterà a firmare i suoi testi<br />

con il proprio nome.<br />

Nietzsche, Friedrich<br />

Introductions aux leçons<br />

sur l’Oedipe-roi de Sophocle:<br />

été 1870, trois heures par semaine<br />

Introduction aux études<br />

de philologie classique:<br />

été 1871, trois heures par semaine<br />

pres. Michel Haar<br />

trad. dal tedesco<br />

di Françoise Dastur e Michel Haar<br />

Encre marine, settembre 1994<br />

pp. 133, F 100<br />

All’interno dei corsi che Nietzsche<br />

tenne a Bâle tra il 1869 ed il 1875,<br />

quello sull’Edipo re di Sofocle preannuncia<br />

in modo addirittura folgorante,<br />

e con quasi due anni di anticipo, la<br />

maggior parte dei temi che verranno<br />

sviluppati nella Nascita della tragedia<br />

greca. Nel secondo testo, Nietzsche<br />

traccia una sua lettura critica<br />

della modernità.<br />

Oelmüller, Willi<br />

Philosophische Aufklärung.<br />

Ein Orientierungsversuch<br />

Fink, agosto-settembre 1994<br />

pp. 172, DM 38<br />

Owen, David<br />

Maturity and Modernity.<br />

Nietzsche, Weber, Foucault<br />

and the Ambivalence of Reason<br />

Routledge, agosto-settembre 1994<br />

pp. 272, DM 40<br />

Si tratta del primo libro che analizza<br />

Nietzsche, Weber e Foucault rintracciando<br />

in essi tradizione di teorizzazione.<br />

Inoltre il volume evidenzia lo<br />

sviluppo della genealogia come parametro<br />

critico.<br />

Paul, Jean-Marie<br />

Dieu est mort en Allemagne:<br />

des Lumières a Nietzsche<br />

Payot, settembre 1994<br />

pp. 190, F 190<br />

Il pensiero tedesco mette in campo,<br />

nella battaglia contro Dio, le armi<br />

della filosofia e della teologia. La sua<br />

violenza è distruttrice e non superficialmente<br />

polemica o anticlericale. I<br />

grandi sistemi idealisti, le correnti<br />

pessimiste e i loro sviluppi nella teoria<br />

nietzschiana sono i tre momenti in<br />

cui si delinea la morte di Dio.<br />

Penco, Carlo<br />

Le vie della scrittura<br />

FrancoAngeli, ottobre 1994<br />

pp. 340, L. 40.000<br />

Il volume si propone di dare una ricostruzione<br />

della filosofia del linguaggio<br />

di Frege letta in relazione alla<br />

tradizione filosofica e agli sviluppi<br />

contemporanei. Si hanno così gli elementi<br />

essenziali per capire dove e<br />

come i nostri strumenti concettuali<br />

sono effettivamente cambiati.<br />

Perec, Georges<br />

L’infra-ordinario<br />

Bollati Boringh., ottobre 1994<br />

pp. 112, L. 15.000<br />

L’arte di sorprendere parlando delle<br />

cose comuni e del quotidiano.<br />

Pfohl, Gerhard<br />

Medicina perennis. Philosophie<br />

der Medizin und Medizin<br />

der Philosophie.<br />

Mit der Abschiedtsvorlesung<br />

Charles Lichtenthaelers<br />

Ecomed, agosto-settembre 1994<br />

pp. 180, DM 48<br />

Philonenko, Alexis<br />

Relire Descartes:<br />

le génie de la pensée française<br />

Grancher, settembre 1994<br />

pp. 472, F 119<br />

In questo saggio, l’autore si prefigge<br />

di ricostruire la figura di Cartesio,<br />

filosofo ed erudito, ma anche uomo<br />

che spera ardentemente di poter<br />

prolungare la vita. Gradualmente<br />

Cartesio vide questa speranza crollare,<br />

fino al punto di scrivere a Chanut<br />

che invece di vincere la morte<br />

egli aveva trovato, nella sua morale,<br />

il modo di non temerla.


Platone<br />

Phédon<br />

tr. dal greco antico e a cura<br />

di Mario Meunier<br />

pref. Agnès Nordman<br />

Pocket, agosto 1994<br />

F 33<br />

L’opera appartiene al gruppo di dialoghi<br />

in cui Platone sviluppa la sua dottrina<br />

per bocca di Socrate. Qui, Socrate,<br />

condannato a morte, si interroga<br />

sull’immortalità dell’anima e sulla sua<br />

destinazione dopo la morte del corpo.<br />

Popper, Karl<br />

Poscritto alla logica<br />

della scoperta scientifica<br />

Il Saggiatore, settembre 1994<br />

pp. 448, L. 16.000<br />

Con il saggio Logica della scoperta<br />

scientifica Popper muove contro le<br />

tesi principali del Circolo di Vienna,<br />

del quale egli stesso era membro: al<br />

principio di “verificabilità” oppone<br />

quello di “falsificabilità” contestando<br />

così ogni possibilità di verifica di<br />

una proposizione scientifica che sussiste<br />

perciò soltanto come ipotesi sempre<br />

confutabile da altri controlli.<br />

Popper, Karl R.<br />

Alles Leben ist Problemlösen.<br />

Über Erkenntnis, Geschichte<br />

und Politik<br />

Piper, agosto-settembre 1994<br />

pp. 256, DM 38,90<br />

In questo volume, Popper raccoglie<br />

avvenimenti e saggi che coprono un<br />

arco di più di quarant’anni, molti di<br />

questi scritti sono disponibili per la<br />

prima volta in una raccolta.<br />

Popper, Karl R.<br />

Ausgangspunkte.<br />

Meine intellektuelle Entwicklung<br />

Campe, agosto-settembre 1994<br />

pp. 384, DM 28<br />

Il “padre del razionalismo critico” ha<br />

compiuto novantadue anni nel luglio<br />

scorso. Nella sua “autobiografia intellettuale”,<br />

Popper ha illustrato il lungo<br />

percorso da apprendista falegname a<br />

Vienna, a maestro di scuola elementare<br />

a marxista nobile, fino a diventare il<br />

più grande pensatore del nostro secolo.<br />

Portales, Gonzalo<br />

Hegels frühe Idee<br />

der Philosophie<br />

Fromann-Holzboog<br />

agosto-settembre 1994<br />

pp. 220, DM 88<br />

Questo lavoro apre delle nuove prospettive<br />

per l’interpretazione filosofica,<br />

dal punto di vista storico e del<br />

suo sviluppo. Nel volume si indaga<br />

sul particolare interesse filosofico che<br />

guidò Hegel, fin dall’inizio, ad unificare<br />

religione e politica.<br />

Probst, Peter<br />

Kant - bestirnter Himmel<br />

und moralisches Gestz.<br />

Zum geschichtlichen Horizont<br />

einer These Immanuel Kants<br />

Königshause & Neumann<br />

agosto-settembre 1994<br />

pp. 160, DM 38<br />

Si tratta della tesi di abilitazione alla<br />

docenza, tenuta da Peter Probst presso<br />

l’Università di Gießen nel ’93.<br />

Puig, Jaume de<br />

Les sources de la pensée<br />

philosophique de Raimond Sebond<br />

(Ramon Sibiuda)<br />

Champon, settembre 1994<br />

pp. 324, F 270<br />

L’autore, partendo da numerosi documenti<br />

d’archivio, presenta qui uno<br />

studio che esamina l’opera di questo<br />

teologo e filosofo umanista, le sue<br />

origini, i suoi fondamenti e la sua<br />

specificità.<br />

Quillen, Jean (a cura di)<br />

La Réception de la philosophie<br />

allemande en France aux XIXe<br />

et XXe siècles<br />

Presses universitaires de Lille<br />

agosto 1994<br />

pp. 302, F 105<br />

Gli scambi, dal punto di vista culturale,<br />

tra la Germania e la Francia<br />

sono stati costanti. In ogni caso,<br />

l’influenza della filosofia tedesca<br />

sul pensiero francese è stata diversa<br />

a seconda delle epoche ed è stata<br />

esercitata con differenze e salti più<br />

o meno grandi. Questi studi, che<br />

sono i risultati di un convegno tenutosi<br />

a Lille nel ’91, hanno lo<br />

scopo di approfondire le diverse<br />

sfaccettature di questa ricezione.<br />

Rancière, Jacques<br />

Le parole della storia<br />

Il Saggiatore, settembre 1994<br />

pp. 160, L. 18.000<br />

Il rapporto tra scienza storica e narrazione<br />

e ciascuno di questi due aspetti<br />

del sapere storico e le forme della<br />

politica, sono al centro del libro di<br />

Rancière.<br />

Robinet, André<br />

G.W. Leibniz: le meilleur<br />

des mondes par la balance<br />

de l’Europe<br />

PUF, settembre 1994<br />

pp. 352, F 198<br />

Nel volume l’autore analizza le implicazioni<br />

giuridico-politiche delle posizioni<br />

metafisiche di Leibniz, mostrando<br />

come egli inaugurò un cammino<br />

teorico che portò poi al dispotismo<br />

illuminato del XVIII secolo.<br />

Rohnheimer, Martin<br />

Praktische Vernunft<br />

und Vernünftigkeit der Praxis.<br />

Handlungstheorien<br />

bei Thomas von Aquin<br />

in ihrer Entstehung<br />

aus dem Problemkontext<br />

der aristotelischen Ethik<br />

Akademie, agosto-settembre 1994<br />

pp. 611, DM 120<br />

L’autore argomenta come segue: l’etica<br />

aristotelica si limita alla condizione<br />

affettiva dell’agire ragionevole.<br />

Tommaso d’Aquino fornisce una risposta<br />

ai problemi rimasti insoluti<br />

nella teoria delle azioni di Aristotele.<br />

Rossi, Pietro<br />

Lo storicismo tedesco<br />

contemporaneo<br />

Comunità, ottobre 1994<br />

pp. 500, L. 58.000<br />

Mappa delle idee centrali dello storicismo<br />

tedesco, dei problemi che hanno<br />

portato alla nascita delle scienze sociali.<br />

NOVITÀ IN LIBRERIA<br />

86<br />

Rousseau, Jean-Jacques<br />

Sull’origine dell’ineguaglianza<br />

a cura di Gerratana Valentino<br />

Ed. Riuniti, ottobre 1994<br />

pp. 232, L. 22.000<br />

Un’appassionata condanna della proprietà<br />

privata all’origine di tutte le<br />

successive teorie socialiste e comuniste,<br />

ma anche una delle fonti maggiori<br />

della riflessione antropologica.<br />

Un’anticipazione delle più recenti<br />

suggestioni dell’ecologia.<br />

Rovatti, Pier Aldo<br />

Trasformazioni del soggetto<br />

Un itinerario filosofico<br />

Il poligrafo, ottobre 1994<br />

pp. 144, L. 26.000<br />

Il testo consente l’approfondimento<br />

di alcune delle tematiche più<br />

preganti della filosofia contemporanea.<br />

I saggi che compongono il<br />

volume hanno al loro centro la discussa<br />

proposta di un “pensiero<br />

debole”. Questa proposta, formulata<br />

nel 1983, si articolava intorno<br />

al nome di Nietzsche; ma accanto a<br />

questo nome era sottinteso quello<br />

di Husserl: si trattava del problema<br />

di un luogo diverso da dare alla<br />

soggettività, dinanzi a una modificata<br />

descrizione del potere.<br />

Schart, Franz-Friedrich<br />

Friedrich Nietzsche<br />

Das Subversive als Denkansatz<br />

in seiner Philosophie.<br />

Ein Beitrag zur Interpretation<br />

Gardez, agosto-settembre 1994<br />

pp. 240, DM 49,80<br />

Si tratta della tesi di laurea, tenuta<br />

da Schart presso l’Università di<br />

Bochum nel ’93.<br />

Schmidinger, Heinrich<br />

Der Mensch ist Person.<br />

Ein christliches Prinzip<br />

in theologischer<br />

und philosophischer Sicht<br />

Tyrolia, agosto-settembre 1994<br />

pp. 152, ÖS 248<br />

Schmidt, Hermann Joseph<br />

Nietzsches absonditus<br />

oder Spurensuche bei Nietzsche<br />

IBDK, agosto-settembre 1994<br />

pp. 2515, DM 275<br />

Quest’opera, che viene ora pubblicata<br />

interamente in quattro volumi, è la<br />

prima monografia sul giovane Nietzsche<br />

e sulle sue prime opere, la cui<br />

conoscenza è imprescindibile se si<br />

desidera comprendere adeguatamente<br />

anche le opere successive.<br />

Searle R., John<br />

La riscoperta della mente<br />

Bollati Boring., settembre 1994<br />

pp. 272, L. 40.000<br />

Contro gli eccessi del materialismo,<br />

dell’odierna “filosofia della mente” e<br />

del cognitivismo, l’autore invita a<br />

riscoprire l’esperienza irriducibile<br />

della coscienza.<br />

Severino, Emanuele<br />

Sortite. Contributi<br />

e interventi sul pensiero<br />

e la letteratura<br />

Rizzoli, ottobre 1994<br />

pp. 350, L. 38.000<br />

Raccolta di brevi saggi e articoli<br />

sulle forme del pensiero e sulle sue<br />

espressioni.<br />

Shea, William R.<br />

La magia dei numeri e del moto<br />

René Descartes e la scienza<br />

del Seicento<br />

Bollati Boringhieri, ottobre 1994<br />

pp. 432, L. 75.000<br />

Nel libro di Shea seguiamo Descartes<br />

dalla prima formazione, presso i gesuiti,<br />

fino al viaggio in Olanda, dove<br />

conobbe quell’Isaac Beechman che<br />

suscitò il suo interesse per la matematica,<br />

la musica, la caduta dei gravi e i<br />

problemi dell’idrostatica.<br />

Sladek, M. (a cura di)<br />

Östliches - Westliches.<br />

<strong>Studi</strong>en zur vergleichenden Religions<br />

und Geistesgeschichte<br />

Manutius, agosto-settembre 1994<br />

pp. 320, DM 68<br />

Steinvorth, Ulrich<br />

Warum überhaupt etwas ist.<br />

Kleine demiurgische Metaphysik<br />

Rowohlt, agosto-settembre 1994<br />

DM 18,90<br />

Hanno un senso le domande sul significato<br />

della vita e del mondo? E’<br />

possibile rispondere a queste domande?<br />

Anche la filosofia contemporanea<br />

spera di poter contribuire a far<br />

luce su queste questioni.<br />

Thurnherr, Urs<br />

Die Ästhetik der Existenz.<br />

Über den Begriff der Maxime<br />

und die Bildung von Maximen<br />

bei Kant<br />

Francke, agosto-settembre 1994<br />

pp. 182, DM 58<br />

Si tratta della tesi di laurea tenuta da<br />

Thurnherr presso l’Università di Basilea<br />

nel ’93.<br />

Titze, Hans<br />

Das philosophische Gesamtwerk<br />

vol. 7: Zur Grundlegung der Ethik<br />

Schäuble, agosto-settembre 1994<br />

pp. 160, DM 64<br />

Tommaso d’Aquino<br />

Contre Averroès<br />

trad. dal latino e a cura<br />

di Alain de Libera<br />

Flammarion, settembre 1994<br />

pp. 384, F 48<br />

Si tratta di un’opera che scatenerà<br />

una battaglia di cui il Medioevo non<br />

vedrà la fine: la lotta contro l’averroismo<br />

che invase l’università parigina<br />

e che minacciò l’egemonia del cristianesimo.<br />

Dal punto di vista filosofico,<br />

l’averroismo rimanda alla tesi<br />

della “unità dell’intelletto”.<br />

Vattuone, Giuseppe<br />

Libero pensiero<br />

e servo arbitrio<br />

Esi, ottobre 1994<br />

pp. 132, L. 18.000<br />

Il tentativo di spiegare il perché della<br />

propria esistenza e delle proprie azioni<br />

nei secoli.


Vieillard-Baron, Jean-Louis<br />

(a cura di)<br />

De saint Thomas à Hegel/journée<br />

organisée par le Centre de recherche<br />

de documentation sur Hegel et Marx<br />

PUF, agosto 1994<br />

pp. 160, F 58<br />

E’ Dio il filo conduttore delle analisi<br />

contenute in questo libro: l’essere,<br />

la fede in San Tommaso, il<br />

confronto di Hegel con Kant e Fichte<br />

su Dio, l’anima e la volontà<br />

libera, le prove dell’esistenza di<br />

Dio in Hegel, sono alcuni degli argomenti<br />

trattati nella giornata organizzata<br />

dal Centre de recherche de documentation<br />

sur Hegel et Marx.<br />

Vigna, Carmelo (a cura di)<br />

L’etica e il suo altro<br />

FrancoAngeli, ottobre 1994<br />

pp. 272, L. 38.000<br />

L’etica sembra un’esigenza assoluta<br />

del nostro tempo. Ad essa si affida un<br />

compito che gli uomini ormai dubita-<br />

no di poter eseguire: il compito di<br />

convivere intorno ad alcunché di comune.<br />

In ogni caso, la condizione<br />

generale da rispettare prima di ogni<br />

altra è che l’etica resti fermamente<br />

rapportata al proprio “altro”, ossia<br />

che non sia isolata astrattamente dalla<br />

contestualità che le compete.<br />

Vollmer, Gerhard<br />

Evolutionäre Erkenntnistheorie.<br />

Angeborene Erkenntnisstrukture<br />

im Kontext von Biologie,<br />

Psychologie, Linguistik,<br />

Philosophie<br />

und Wissenschaftstheorie<br />

S. Hirzel, agosto-settembre 1994<br />

pp. 226, DM 29<br />

Vollmer ha contribuito notevolmente<br />

allo sviluppo della teoria della conoscenza<br />

evoluzionistica. In questa sua<br />

opera classica, Vollmer spiega le prestazioni<br />

e le mancanze del nostro apparato<br />

conoscitivo.<br />

NOVITÀ IN LIBRERIA<br />

87<br />

Voltaire<br />

Zadig e altri racconti<br />

a cura di Lorenzo Bianchi<br />

Feltrinelli, settembre 1994<br />

pp. 176, L. 10.000<br />

Particolare attenzione viene data alla<br />

particolarità del linguaggio filosofico<br />

di Voltaire, ammantato da uno<br />

stile letterario degno di un grandissimo<br />

scrittore.<br />

Wilhelm, Karl Werner<br />

Zwischen Allwissenheitslehre<br />

und Verzweiflung. Der Ort<br />

der Religion in der Philosophie<br />

Schopenhauers<br />

Olms, agosto-settembre 1994<br />

pp. 184, DM 39,80<br />

Wils, Jean-Pierre<br />

Die große Erschöpfung.<br />

Kulturethische Probleme<br />

vor der Jahrhundertwende<br />

Schönigh, agosto-settembre 1994<br />

pp. 180, DM 38<br />

Wilson, Colin<br />

Rudolf Steiner<br />

Tea, ottobre 1994<br />

pp. 182, L. 13.000<br />

Saggio divulgativo sull’opera di<br />

Steiner, uno dei fondatori dell’antroposofia.<br />

Wittgenstein, Ludwig<br />

Remarques sur la philosophie<br />

de la psychologie<br />

a cura di G.E.M. Anscombe<br />

tr. dal tedesco Gérard Granel<br />

TER, agosto 1994<br />

pp. 142, F 129<br />

Questo testo del ’48 (presentato qui<br />

in edizione bilingue francese-tedesca)<br />

permette di capire l’asserzione<br />

dell’ultimo capitolo delle Investigazioni,<br />

secondo cui le ricerche di Wittgenstein<br />

sulla psicologia non sono<br />

più psicologiche di quanto le sue ricerche<br />

sulla matematica non siano<br />

matematiche.


Yakira, Ethanam<br />

La Causalité de Galilée à Kant<br />

PUF, settembre 1994<br />

pp. 128, F 45<br />

Il volume traccia la storia della nozione<br />

di causalità, come essa venne problematizzata<br />

nel momento in cui<br />

scienza e filosofia erano unite, nel<br />

XVII e nel XVIII secolo.<br />

Young-Bruehl, Elisabeth<br />

Hanna Arendt<br />

Bollati Boringhieri, ottobre 1994<br />

pp. 639, L. 40.000<br />

La vita di Hanna Arendt, che si intreccia<br />

con quelle di Heidegger, Jaspers,<br />

Anders, Benjamin e altri ancora, esigeva<br />

una “biografia filosofica” come<br />

questa, documentata e sensibile, attenta<br />

a situare il pensiero della protagonista<br />

sullo sfondo delle vicende storiche,<br />

ma anche dei rapporti personali.<br />

Zahrnt, Heinz<br />

Mutmaßungen über Gott.<br />

Die theologische Summe<br />

meines Lebens<br />

Piper, agosto-settembre 1994<br />

pp. 288, DM 39,80<br />

L’autore dichiara: “in questo libro<br />

cerco di riprodurre il mio percorso di<br />

pensiero teologico, come fede e comprensione,<br />

esperienza religiosa e riflessione<br />

teologica abbiano fatto riferimento<br />

una all’altra e si siano corrette<br />

reciprocamente per me, con<br />

molte tensioni e spesso in maniera<br />

recalcitrante.”<br />

Zarone, Giuseppe (a cura di)<br />

La città come destino dell’uomo<br />

Ed. Scientifiche, ottobre 1994<br />

pp. 166, L. 22.000<br />

Nel volume si affronta la questione<br />

dal compimento nihilistico della modernità.<br />

Attraverso un’analisi del fenomeno<br />

più vistoso del mondo storico<br />

del nostro tempo, la “grande città”<br />

NOVITÀ IN LIBRERIA<br />

88<br />

appunto, si cerca di interpretare il<br />

destino esistenziale dell’uomo contemporaneo.<br />

Zeidler, Kurt W.<br />

Kritische Dialektik<br />

und Tanszendentalontologie.<br />

Das Ende des Neukantismus<br />

und die post-neukantianische<br />

Systematik<br />

Bouvier, agosto-settembre 1994<br />

pp. 380, DM 98<br />

Il volume presenta una discussione<br />

critica delle forme di sistema postneokantiane,<br />

all’interno degli studi di<br />

R. Hönigswald, W. Cramer, B. Bauch,<br />

H. Wagner, R. Reininger, E. Heintel.<br />

Ziemke, Alex<br />

Was ist Wahrnehmung?<br />

Versuch einer Operationalisierung<br />

von Denkformen der Hegelschen<br />

’Phänomenologie’<br />

für kognitionswissenschaftliche<br />

Forschung<br />

Duncker und Humblot<br />

agosto-settembre 1994<br />

pp. 287, DM 118<br />

Zinov’ev, Aleksandr<br />

L’impero del male<br />

Bollati Boringhieri, ottobre 1994<br />

pp. 160, L. 20.000<br />

E’ un phamphlet sulla fine dell’Unione<br />

Sovietica, dell’ “impero del male”;<br />

ma è anche un’occasione per lo spietato<br />

e sarcastico autore di Cime abissali<br />

di ripensare in modo originale il<br />

tema perenne del rapporto tra Occidente<br />

e Russia, tra efficenza mercantile<br />

e tecnologia e “anima” millenaria<br />

di un popolo.<br />

(a cura di A.M.; trad. it. di L.T.)

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