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ISAIA - “I Canti del servo di Jahvè” - Diocesi di Roma

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<strong>ISAIA</strong> ‐ “I <strong>Canti</strong> <strong>del</strong> <strong>servo</strong> <strong>di</strong> Jahvè”<br />

‘Servo’ è una <strong>del</strong>le traduzioni più<br />

possenti <strong>del</strong> termine <strong>di</strong>acono nel<br />

Deutero Isaia: nei quattro canti <strong>del</strong><br />

Servo <strong>di</strong> Jahvè. I <strong>Canti</strong> sono dei testi a<br />

parte nel testo <strong>di</strong> Isaia.<br />

Il corpo testuale <strong>di</strong> Isaia si è soliti<br />

<strong>di</strong>viderlo in tre parti: protoisaia,<br />

deuteroisaia e il tritoisaia. Sotto il<br />

nome <strong>di</strong> Isaia vengono raggruppate<br />

<strong>del</strong>le profezie che seguono le parti<br />

fondamentali <strong>del</strong>la storia <strong>di</strong> Israele<br />

monarchico e post ‐ monarchico.<br />

La prima parte, i capitoli da 1 a 39 sono<br />

probabilmente riferibili a Isaia, quello vero e proprio; ad es. al capitolo 7<br />

c’è una parte narrativa dove Isaia si incontra e si scontra con il Re Acaz a<br />

proposito <strong>del</strong>la guerra Siro Israelita, per cui c’è un asse<strong>di</strong>o … troviamo il<br />

famoso oracolo “ecco la Vergine concepirà e partorirà un figlio, lo<br />

chiamerà Emmanuele”: tutto un mondo particolare; poi dal capitolo 40 a<br />

55 parte un altro tipo <strong>di</strong> tematica, un linguaggio che cambia, anche se la<br />

tematica generale <strong>di</strong> Isaia rimane: anziché la gestione <strong>del</strong>la vita monarchica, Israele pre esilico c'è<br />

la tematica <strong>del</strong>l'esilio – siamo in esilio – c'è un profeta <strong>di</strong> consolazione, <strong>di</strong> annunzio, <strong>di</strong> correzione<br />

che inizia ad annunziare che l'esilio finirà. Poi c'è il tritoisaia, un profeta post esilico, parla in<br />

maniera più aperta.<br />

Tutti questi oracoli sono insieme e fanno riferimento al profeta Isaia non sappiamo per quale<br />

motivo, ma c'è una evidenza <strong>del</strong> testo e questa tripartizione è fondata sulle tematiche, sul<br />

linguaggio. La parte finale è quella più universalista, dal cap. 56 in poi è la parte più escatologica,<br />

quella che guarda al futuro in modo più concreto.<br />

Quale è la tematica soggiacente i testi <strong>del</strong> “canto <strong>del</strong> <strong>servo</strong>”, perché sono importanti: sono citati<br />

moltissimo nel Nuovo Testamento, ad es. il 1° canto <strong>del</strong> <strong>servo</strong> è citazione<br />

fondamentale <strong>del</strong> battesimo <strong>di</strong> Gesù, perché qua e la il 2° e 3° canto<br />

compaiono citati e perché il 4° canto è forse la profezia più<br />

scioccante sulla passione <strong>di</strong> Cristo.<br />

Noi cristiani abbiamo dato una importanza rilevantissima a<br />

questi testi: noi sappiamo che Cristo ‘non recitò a caso’, ma<br />

aveva uno spartito da eseguire, l'Antico Testamento: “questo<br />

avvenne perché si adempisse la scrittura ...”. Il compimento<br />

<strong>del</strong>le scritture è la chiave per capire ciò che succede.<br />

Quando Gesù sulla croce <strong>di</strong>ce “Elì, Elì, lemà sabactàni” non<br />

sta <strong>di</strong>cendo solo “Dio mio Dio mio perché mi hai abbandonato”,<br />

fondamentalmente sta citando l'inizio <strong>del</strong> salmo 22 (a quel tempo il salmo veniva<br />

citato per il primo versetto!, la pericope che inaugurava). Se uno va a leggere il salmo<br />

22 è un'altra scioccante profezia sulla passione <strong>di</strong> Cristo “hanno forato le mie mani e i<br />

miei pie<strong>di</strong> … si <strong>di</strong>vidono le mie vesti … sul mio vestito gettano la sorte”, ma anche il<br />

salmo 22 finisce nella contemplazione <strong>di</strong> una gloria che è venuta da questo dolore. Così<br />

in tutti e quattro i canti <strong>del</strong> <strong>servo</strong>, intrinseca una chiave <strong>di</strong> lettura <strong>del</strong> Nuovo Testamento.<br />

Questi canti <strong>servo</strong>no perché sono chiave <strong>di</strong> lettura per ogni cristiano, per la sua<br />

Ritiro <strong>di</strong> Sacrofano – 18 settembre 2011


caratteristica <strong>di</strong> <strong>servo</strong> <strong>di</strong> Dio (la prima cosa che viene <strong>di</strong>chiarata per uno in via <strong>di</strong> santificazione è<br />

che è un <strong>servo</strong> <strong>di</strong> Dio, valido per tutti) e centrale per l'intuizione <strong>del</strong> ministero <strong>del</strong> <strong>di</strong>aconato.<br />

I quattro canti <strong>del</strong> <strong>servo</strong> sono all'interno <strong>di</strong> questo deuteroisaia.<br />

Siamo nel momento <strong>del</strong>lo splendore <strong>del</strong>l'impero babilonese che ha oppresso e deportato la classe<br />

politica e abbiente <strong>di</strong> Gerusalemme; una speranza <strong>di</strong> poter andar via, ma un secondo giro <strong>di</strong> vite<br />

che toglie la speranza <strong>di</strong> un ritorno; giunge al fine questo personaggio Ciro, l'imperatore che<br />

prenderà una sorprendente decisione: farà tornare gli israeliti nella loro terra. Tutto<br />

accompagnato, profetizzato, preparato dalle<br />

profezie <strong>di</strong> Isaia.<br />

Il tema <strong>del</strong> deuteroisaia quin<strong>di</strong> è quello <strong>del</strong> secondo<br />

esodo.<br />

Cuore <strong>del</strong> pentateuco è il racconto pasquale,<br />

nessuno può capire l'Antico Testamento se non ha<br />

deco<strong>di</strong>ficato la pasqua ebraica: l'esodo è IL<br />

RACCONTO. Non solo la notte pasquale, ma tutto il<br />

racconto, dalla oppressione dagli egiziani, la<br />

chiamata <strong>di</strong> Mosè fino alla soglia <strong>del</strong>la terra<br />

promessa (per questo è meglio esateuco, perché<br />

comprende anche Giosuè).<br />

La genesi pone le basi per essere un popolo<br />

oppresso in Egitto, mentre il libro <strong>di</strong> Giosuè pone il<br />

racconto <strong>di</strong> come questo popolo si installi nella terra<br />

promessa. In mezzo 4 libri che narrano questa tematica: l'esodo è il tema <strong>del</strong>la fede <strong>di</strong> Israele, è il<br />

tema <strong>del</strong>l'uscita, <strong>del</strong>l'azione liberante <strong>di</strong> Dio.<br />

Isaia nella sua parte centrale tematizzerà il secondo esodo.<br />

Questo fatto è il trascendere il limite empirico dei racconti biblici: nei racconti biblici noi abbiamo<br />

un limite che sono racconti, quin<strong>di</strong> sono storia, quin<strong>di</strong> sono passato. Abbiamo già assimilato queste<br />

categorie, ma sono autori profezie o testi liturgici come quelli <strong>di</strong> Isaia che ci permettono <strong>di</strong> fare<br />

questo passo: il capire che gli eventi sono para<strong>di</strong>gmatici, cioè che ciò che è successo con il popolo<br />

<strong>di</strong> Israele si riproduce; questa è l’esperienza: Isaia con il racconto <strong>del</strong> secondo esodo –<br />

ermeneuticamente parlando – ci sottolinea questo concetto.<br />

La riproducibilità degli eventi = quello che Dio ha fatto lo rifarà!<br />

Dio ha liberato un popolo dalla schiavitù una volta, una seconda con il<br />

secondo esodo; questo lo sta rifacendo nel presente, questo si apre ad<br />

essere il modo <strong>di</strong> agire <strong>di</strong> Dio = Dio libera gli schiavi, Dio è il liberatore.<br />

Molte volte Isaia utilizza il termine Goel = “ven<strong>di</strong>catore <strong>del</strong> sangue”<br />

[l’antico sistema tribale <strong>di</strong> giustizia consisteva nell’avere ogni tribù un<br />

goel e quando qualcuno <strong>del</strong>la tribù stessa subiva un torto, il goel<br />

partiva a ven<strong>di</strong>carlo, mentre tutta la tribù sosteneva la famiglia <strong>del</strong> goel<br />

stesso; più la tribù aveva un goel forte più era protetta; non era<br />

importante che tu fossi forte!].<br />

Non è importante quanto siamo forti noi, ma quanto è forte il nostro goel; il nostro goel è Dio!<br />

L’importante non è essere forti, ma aver fatto alleanza con il goel forte, con Dio.<br />

Concetto che Dio è il riscattatore, il liberatore, unito al concetto <strong>del</strong>la ripetibilità<br />

degli eventi salvifici. Un forte simbolismo; i simboli antichi vengono presi e<br />

trasportati: i termini <strong>del</strong> primo esodo vengono ripresi e trasfigurati, il popolo che<br />

esce, Babilonia il vecchio Egitto, l’oscurità il carcere l’oppressione sono i temi <strong>del</strong>la<br />

schiavitù, il Signore è il Goel, il cammino nel deserto (“il deserto fiorirà …<br />

Ritiro <strong>di</strong> Sacrofano – 18 settembre 2011


abbassate i colli, riempite i burroni”) che <strong>di</strong>venta il para<strong>di</strong>so.<br />

In Isaia il deserto non è un luogo bello, ma <strong>di</strong> penitenza, <strong>di</strong> passaggio necessario per entrare nella<br />

terra promessa. Non si può entrare nella terra promessa senza deserto! L’entrata nella terra<br />

promessa <strong>del</strong> popolo <strong>di</strong>venta il ritorno.<br />

Si prende coscienza che<br />

si può rico<strong>di</strong>ficare<br />

qualcosa che Dio ha<br />

fatto con noi.<br />

Non c’è più Canaan ma<br />

tutto è incentrato su<br />

Gerusalemme, che <strong>di</strong>venta<br />

il punto <strong>di</strong> arrivo.<br />

La <strong>di</strong>sfatta <strong>di</strong> Babilonia è<br />

Dio opera con noi con la sua linearità, come con la Vergine Maria; accadono<br />

cose che dobbiamo ricordare perché Dio le rifà: Dio entra sempre per la<br />

stessa porta con tutti noi. Quando parliamo con qualcuno che vogliamo<br />

aiutare, dobbiamo capire la porta <strong>del</strong>la grazia che ha: Dio entra sempre per<br />

la stessa porta con lui. Cercare <strong>di</strong> capire sempre per quale porta Dio ha<br />

salvato, ha dato gioia, la fede ad una persona. Per quella porta rientrerà!<br />

Non in modo pe<strong>di</strong>ssequamente ripetitivo, in quanto Dio è creativo, ma in<br />

maniera analoga. Noi dobbiamo ricordare le nostre porte <strong>di</strong> grazia, le nostre<br />

sorgenti <strong>di</strong> bene e quin<strong>di</strong> lasciarci alimentare.<br />

una contrapposizione<br />

con la nuova città, prima<br />

era la terra ora è una città: Babilonia contro Gerusalemme. [Sarebbe interessante sviluppare il tema <strong>del</strong>la<br />

‘città’.] Dio si burla degli idoli, ma la <strong>di</strong>fficoltà più grande è il cuore degli israeliti, l’esodo più <strong>di</strong>fficile<br />

da realizzare; <strong>di</strong>ce un rabbino “ci volle una notte per togliere Israele dall’Egitto e 40 anni per<br />

togliere l’Egitto dal cuore <strong>di</strong> Israele”. Certi atti eclatanti è più facile che assimilarli.<br />

Centro <strong>di</strong> tutto è che Dio è creatore e salvatore allo stesso tempo, si osserva la fortissima unione<br />

<strong>del</strong>le due tematiche; nelle Sacre Scritture ci sono due linee: la teologia <strong>del</strong>la creazione e quella<br />

<strong>del</strong>la redenzione. Per Isaia questi due temi sono splen<strong>di</strong>damente fusi; “ … Io mando la sciagura ed<br />

Io creo il bene …”, Dio può re<strong>di</strong>mere attraverso ogni evento, è Dio che ha mandato la sciagura<br />

<strong>del</strong>l’esilio per purificare il popolo. Allora tutto serve, tutto concorre al bene <strong>di</strong> coloro che si<br />

innamorano <strong>di</strong> Dio. Dio è onnipotente, salvatore e salvatore <strong>di</strong> tutto il mondo.<br />

Questa universalità, nei canti <strong>del</strong> Servo, talvolta è latente altre volte molto esplicita.<br />

Con il deuteroisaia (ammesso che sia esistito veramente, o credo sia semplicemente un<br />

accorpamento liturgico, un saggio opportuno, pastorale accorpamento liturgico <strong>di</strong> testi che hanno<br />

una loro logica <strong>di</strong> profezia, <strong>di</strong> ricezione <strong>di</strong> Parola <strong>di</strong> Dio che viene ritenuta dal popolo e collegata ad<br />

una tra<strong>di</strong>zione profetica) il problema fondamentale è il combattimento <strong>del</strong> cuore degli israeliti<br />

esiliati che devono sentire queste profezie che gli parlano <strong>di</strong> un Dio liberatore ed aprire il cuore alla<br />

speranza. Fondamentale il problema <strong>del</strong>la speranza.<br />

La SPERANZA è una virtù teologale , non è “l’ultima a morì” come detta la nostra incultura<br />

cristiana, assimilando la speranza al semplice istinto <strong>di</strong> sopravvivenza, non è un sentimento, non è<br />

un’idea, non è una percezione o una visione, ma è un ATTO, essendo virtù. Un atto teologale,<br />

quin<strong>di</strong> donata da Dio, meglio innescata da Dio ed essendo virtù deve essere esercitata, così come<br />

la FEDE e l’ AMORE, anche loro ‘atti’ e non ‘sentimenti’.<br />

Uno ama quando fa qualcosa per l'altro realmente e non solo a parole; l'amore non è un<br />

sentimento: quando tuo figlio si sveglia per la quinta volta la stessa notte, è una settimana, tre<br />

mesi che non dorme e non ti fa riposare, tu sei stor<strong>di</strong>ta, pensi <strong>di</strong> essere in un sogno magari, e ti<br />

devi alzare per cullarlo e guadagnare qualche mezz'ora <strong>di</strong> sonno per te, quando ti alzi NON ti va <strong>di</strong><br />

farlo – sinceramente – ma lo fai: quello è amore, dei più puri, veramente per l'altro, un amore dei<br />

più autentici. L'amore è un atto. Durante una giornata facciamo tante cose che non ci risultano<br />

piacevoli, ma siamo contenti <strong>di</strong> farle, fieri <strong>di</strong> farle; questo è amore. La nostra società oggi ci<br />

propone solo un comfort che ci sta inflaccidendo, intontendo.<br />

La speranza, anche, è un atto e Isaia deve scatenare questo atto, la partenza, bisogna fare<br />

qualcosa, ma deve dare dei co<strong>di</strong>ci.<br />

In questo quadro compaiono i 4 canti <strong>del</strong> <strong>servo</strong>: cap. 42, 49, 50, 52‐53.<br />

Ritiro <strong>di</strong> Sacrofano – 18 settembre 2011


Parlano tutti <strong>di</strong> un in<strong>di</strong>viduo, non è una personificazione <strong>di</strong> una astrazione, come nel libro dei<br />

Proverbi al capito 8 troviamo la Sapienza che chiama ecc...; la Sapienza è un concetto e viene<br />

personificata.<br />

Nei canti <strong>del</strong> <strong>servo</strong> si parla <strong>di</strong> uno ben preciso che fa <strong>del</strong>le cose,<br />

gliene succedono <strong>del</strong>le altre. È un'opera <strong>di</strong> Dio, è chiamato da<br />

Dio, è una iniziativa <strong>di</strong> Dio ed ha una missione sia per Israele<br />

che per i pagani.<br />

Il tema che lega questi quattro canti è quello <strong>del</strong> trionfo<br />

attraverso il fallimento (tema pasquale, tema <strong>del</strong>la morte e<br />

resurrezione compiuto in Cristo): è porre le basi, il prototipo <strong>di</strong><br />

ciò che poi Gesù ha eseguito fino in fondo. Parole e silenzio che<br />

<strong>di</strong>ventano parte uno <strong>del</strong>l'altra, incomprensibilità dei fatti e<br />

luminosità <strong>del</strong>l'opera <strong>di</strong> Dio convivono. Fallimento come strada<br />

<strong>del</strong> successo autentico, <strong>del</strong> trionfo. Parliamo <strong>di</strong> un Israele<br />

umiliato, ha perso completamente la sua nazione, è sotto un<br />

oppressore, “sui fiumi <strong>di</strong> Babilonia, là sedevamo piangendo …<br />

ai salici … appendemmo le nostre cetre … come cantare canti <strong>di</strong><br />

Sion in terra straniera”, dolore profondo anche la <strong>di</strong>sperazione<br />

<strong>di</strong> un Dio che forse non si ricorda più <strong>di</strong> noi, i nostri Padri<br />

hanno accumulato troppi peccati, NON C'E' SPERANZA, non c'è<br />

via d'uscita.<br />

In questa tematica espressa maggiormente in tutti i canti <strong>del</strong><br />

<strong>servo</strong>, ma in genere in tutto il deuteroisaia, compare<br />

“eved”, il <strong>servo</strong>.<br />

Termine che compare 21 volte, 14 volte riferito a Giacobbe,<br />

Israele e quin<strong>di</strong> il popolo: questo ha dato agli esegeti israelitici<br />

Salmi 136<br />

1 Sui fiumi <strong>di</strong> Babilonia,<br />

là sedevamo piangendo<br />

al ricordo <strong>di</strong> Sion.<br />

2 Ai salici <strong>di</strong> quella terra<br />

appendemmo le nostre cetre.<br />

3 Là ci chiedevano parole <strong>di</strong> canto<br />

coloro che ci avevano deportato,<br />

canzoni <strong>di</strong> gioia, i nostri oppressori:<br />

«Cantateci i canti <strong>di</strong> Sion!».<br />

4 Come cantare i canti <strong>del</strong> Signore<br />

in terra straniera<br />

5 Se ti <strong>di</strong>mentico, Gerusalemme,<br />

si paralizzi la mia destra;<br />

6 mi si attacchi la lingua al palato,<br />

se lascio cadere il tuo ricordo,<br />

se non metto Gerusalemme<br />

al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> ogni mia gioia.<br />

7 Ricordati, Signore, dei figli <strong>di</strong> Edom,<br />

che nel giorno <strong>di</strong> Gerusalemme,<br />

<strong>di</strong>cevano: «Distruggete, <strong>di</strong>struggete<br />

anche le sue fondamenta».<br />

8 Figlia <strong>di</strong> Babilonia devastatrice,<br />

beato chi ti renderà quanto ci hai<br />

fatto.<br />

9 Beato chi afferrerà i tuoi piccoli<br />

la forza <strong>di</strong> portare avanti l'ipotesi che si parli <strong>di</strong> una personalità collettiva, non una, ma molte<br />

persone rappresentate in una. Tale interpretazione collettiva non è completamente estranea, ci<br />

sono <strong>del</strong>le basi ed inoltre hanno un culto <strong>del</strong>la Parola molto elevato; ad esempio non si pongono il<br />

problema <strong>del</strong> proto, deutero, trito Isaia, è importante capire il testo: la Parola non va vivisezionata,<br />

ma celebrata, <strong>di</strong>ceva un rabbino.<br />

Talvolta in effetti è una personalità collettiva, ma altre è Giacobbe, un padre <strong>di</strong> do<strong>di</strong>ci figli da cui<br />

nacque tutta la progenie <strong>di</strong> Israele, da sola è una spiegazione insufficiente: l'altra interpretazione<br />

in<strong>di</strong>viduale vede in questo uomo un mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> pazienza, <strong>di</strong> fe<strong>del</strong>tà, <strong>di</strong> innocenza e quin<strong>di</strong> non<br />

assimilabile al popolo, il quale viene rimproverato a lungo anche negli stessi testi. “La pena che ci<br />

da salvezza si è abbattuta su <strong>di</strong> lui”, “dalle sue piaghe noi tutti siamo stati redenti”; si propende per<br />

una mista interpretazione, visto che per un profeta così profondo come Isaia non si può pensare<br />

solo ad una interpretazione messianica: è successo qualcosa, ma in vista <strong>di</strong> qualcuno – il Messia –<br />

che incarna in questi quattro canti.<br />

Nel racconto <strong>di</strong> Emmaus, quando i due pellegrini <strong>di</strong>cono “solo tu sei così straniero … non sai quello<br />

che riguarda Gesù <strong>di</strong> Nazareth ...”; nella nuova traduzione si legge “sciocchi, stolti e tar<strong>di</strong> <strong>di</strong> cuore<br />

nel credere a TUTTE LE PROFEZIE”, come a <strong>di</strong>re voi avete preso solo le profezie gloriose, vittoriose,<br />

trionfanti che riguardano il Signore, ma non vi ricordate il salmo 22, i canti <strong>del</strong> <strong>servo</strong>, ecc... TUTTE<br />

LE PROFEZIE! Anche la parte dolorosa. “non bisognava che il Cristo patisse per entrare nella sua<br />

gloria” ‐ citazione quasi <strong>di</strong>retta <strong>del</strong> 4° canto <strong>del</strong> <strong>servo</strong>!.<br />

Iniziamo ora a leggere un termine che è fondamentale: <strong>servo</strong>, <strong>di</strong>acono, eved in<br />

ebraico.<br />

Ritiro <strong>di</strong> Sacrofano – 18 settembre 2011


Non è un termine da intendersi a polarità unica, è un termine relazionale sempre, <strong>servo</strong> sempre <strong>di</strong><br />

qualcuno, non è una con<strong>di</strong>zione<br />

"Shemà Israel Adonai Elohenu Adonai Ehad"<br />

Il termine Adonay è un modo per non pronunciare il<br />

intrinseca; il termine eved in<strong>di</strong>ca che c'è<br />

Tetragramma e si usa solo se lo Shema è recitato come un adon, cioè un signore (adonai = mio<br />

preghiera. Se lo shema è citato, si usa il termine Signore in ebraico); eved è colui che ha<br />

HaShem, (il nome).<br />

Il termine Adon, anche nell'ebraico moderno, significa<br />

un Signore.<br />

"signore" e quando ci si rivolge a qualcuno, gli si <strong>di</strong>ce Il termine può essere negativissimo =<br />

"Adonì", in quanto la desinenza "i" (o "y") in<strong>di</strong>ca il<br />

schiavo; positivissimo = ministro, che<br />

possessivo "mio" , riferito a chi sta parlando.<br />

amministra.<br />

Tra fratelli <strong>di</strong>re che uno è eved <strong>del</strong>l'altro, vuol <strong>di</strong>re umiliare la relazione fraterna; Cam sarà <strong>servo</strong> <strong>di</strong><br />

Sem e Jafet, Esaù servirà Giacobbe, anche se possono esserci rapporti fraterni con valenza<br />

positiva: <strong>di</strong> fatto è una formula <strong>di</strong> sottomissione, bisogna poi vedere a chi, ma la prima riflessione è<br />

che tutti sono eved, sempre e comunque. Questo dalla prospettiva relazionale.<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista <strong>del</strong> contenuto logico, il verbo ‘avad’<br />

vuol <strong>di</strong>re fare, operare; presuppone una azione, non è<br />

possibile concepirlo come una realtà intrinseca. Non è<br />

possibile concepire che il <strong>servo</strong> sia semplicemente una<br />

qualifica: è in atto, che lo si è.<br />

Un termine pragmatico, non assimilabile ad un<br />

concetto <strong>di</strong> identità: io non sono <strong>servo</strong>, ma io <strong>servo</strong>.<br />

Nota Bene:<br />

I semiti, compreso Gesù, hanno poco interesse per<br />

i sostantivi e molto per i verbi. In ebraico quasi<br />

nessun sostantivo è autoctono, è sempre una<br />

espressione verbale. Non ci sono quasi verbi<br />

denominativi, cioè che vengono da un nome,<br />

vengono sempre da una azione. Es. : il mandorlo si<br />

chiama shaked, deriva dal verbo vegliare, perché è<br />

il primo che fiorisce in primavera, annunciandola;<br />

per questo la menorah ( ), il can<strong>del</strong>abro a<br />

7 bracci che deve stare davanti al Santo dei Santi,<br />

è fatto a forma <strong>di</strong> mandorlo, con i boccioli <strong>del</strong><br />

mandorlo. La più antica immagine <strong>di</strong> oggetti <strong>di</strong><br />

culto è sul bassorilievo presente sull’arco <strong>di</strong> Tito a<br />

<strong>Roma</strong> (ve<strong>di</strong> foto sotto).<br />

Frutti “<strong>del</strong>la terra e <strong>del</strong> lavoro <strong>del</strong>l’uomo”<br />

il pane e il vino non sono solo natura ma<br />

anche cultura. Nel linguaggio biblico il<br />

verbo´avad significa “lavorare”,<br />

“coltivare”, e anche “servire” nel duplice<br />

significato <strong>di</strong> lavoro duro <strong>del</strong>lo schiavo e<br />

<strong>di</strong> servire Dio, nel senso <strong>del</strong> servizio<br />

liturgico. All’ebraico ´avad corrisponde il<br />

verbo latino colere che esprime<br />

anch’esso un primo significato, quello <strong>di</strong><br />

“coltivare” e dunque <strong>di</strong> lavoro <strong>di</strong><br />

coltivazione, <strong>di</strong> coltura, e un secondo<br />

significato, quello <strong>di</strong> culto, <strong>di</strong> atto<br />

cultuale27. Da colere deriva anche<br />

“cultura”, che e sempre al contempo<br />

opera <strong>di</strong> civilizzazione e opera <strong>di</strong><br />

umanizzazione. Tanto il lessico ebraico<br />

come quello latino esprimono dunque la<br />

relazione che unisce la coltivazione <strong>del</strong>la<br />

terra, il culto e la cultura, mostrando cosi<br />

che nell’atto <strong>di</strong> obbe<strong>di</strong>enza al comando<br />

ricevuto da Dio <strong>di</strong> coltivare la terra<br />

l’uomo fa <strong>del</strong> suo lavoro un atto al tempo<br />

stesso cultuale e culturale, ossia <strong>di</strong><br />

glorificazione <strong>di</strong> Dio e <strong>di</strong> umanizzazione<br />

<strong>del</strong>l’uomo.<br />

Goffredo Boselli, monaco <strong>di</strong> Bose<br />

I nomi <strong>del</strong>le cose sono le azioni che<br />

compiono; le azioni sono molto<br />

importanti.<br />

Ritiro <strong>di</strong> Sacrofano – 18 settembre 2011


Arco <strong>di</strong> Tito ‐ La menorah sottratta dal sacco <strong>di</strong> Gerusalemme<br />

I testi <strong>del</strong> Nuovo testamento sono in greco, e sicuramente il cristianesimo viene dall’incontro con<br />

la cultura ellenistica e dobbiamo sempre tenere in considerazione la LXX per l’analisi <strong>del</strong>l’A.T.,<br />

perché quella fu la Bibbia dei primi cristiani per dare le chiavi veterotestamentarie al Nuovo<br />

Testamento.<br />

L’azione rimane comunque la più trasferibile dei co<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> un testo: “io parlo con te”, io e te forse<br />

siamo irriproducibili, ma l’azione <strong>di</strong> parlare è riproducibile.<br />

La sintesi <strong>del</strong> termine <strong>servo</strong> è un rapporto che implica una azione!<br />

Se non c’è l’azione vuol <strong>di</strong>re che non c’è il rapporto, se non ci sarà il rapporto vuol <strong>di</strong>re che non ci<br />

sarà l’azione.<br />

Quando non ve<strong>di</strong>amo una azione da <strong>servo</strong>, da <strong>di</strong>acono, da cristiano noi sappiamo che manca il<br />

rapporto, manca il padrone, manca l’origine <strong>del</strong>la azione; il padrone è un altro o altri.<br />

Interessante è che si tratta <strong>di</strong> una formula <strong>di</strong> sottomissione: considerate che il popolo <strong>di</strong> Israele fu<br />

strappato alla schiavitù in vista <strong>di</strong> cosa quale è l’argomento <strong>di</strong> Mosè davanti al Faraone quando<br />

chiede <strong>di</strong> lasciar libero il popolo “Dice il Signore: Lascia partire il mio popolo, perché mi possa<br />

servire”nel deserto! (Es. 8, 16).<br />

La parola culto, in italiano, deriva da coltivazione, lavoro; in ebraico il servizio, il culto, avodà -<br />

servizio: sostantivato al femminile; da avodà ad avodà, da servizio a servizio, da schiavitù al ‏,עבודה<br />

in ebraico il termine non cambia perché chi cambia è il padrone, quello che cambia è la relazione;<br />

la stessa cosa si può fare per il bene e per il male, si può tacere per il bene e per il male. Non è<br />

l’atto da solo che si definisce, ma per chi lo fai.<br />

Ritiro <strong>di</strong> Sacrofano – 18 settembre 2011


Primo canto <strong>del</strong> <strong>servo</strong>.<br />

Is 42:1 Ecco il mio <strong>servo</strong> che io sostengo,<br />

il mio eletto <strong>di</strong> cui mi compiaccio.<br />

Ho posto il mio spirito su <strong>di</strong> lui;<br />

egli porterà il <strong>di</strong>ritto alle nazioni.<br />

2 Non griderà né alzerà il tono,<br />

non farà u<strong>di</strong>re in piazza la sua voce,<br />

3 non spezzerà una canna incrinata,<br />

non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta.<br />

Proclamerà il <strong>di</strong>ritto con fermezza;<br />

4 non verrà meno e non si abbatterà,<br />

finché non avrà stabilito il <strong>di</strong>ritto sulla terra;<br />

e le isole attendono il suo insegnamento.<br />

Pur essendo, il carme <strong>del</strong> Servo, nei primi quattro versetti, la tematica regge anche nei versetti<br />

successivi fino al 9, probabilmente un corollario.<br />

Nel deuteroisaia la definizione <strong>di</strong> <strong>servo</strong> è colui che ha una missione da compiere, un servizio da<br />

fare ben preciso e non un altro e importante: il <strong>servo</strong> non è una identità, ma un servizio.<br />

Dobbiamo innanzitutto <strong>di</strong>videre in due parti, andando ai verbi: una parte è quello che farà il <strong>servo</strong>,<br />

ma la base è quello che fa Dio, “Ecco il mio <strong>servo</strong> che io sostengo, il mio eletto <strong>di</strong> cui mi compiaccio.<br />

Ho posto il mio spirito su <strong>di</strong> lui;”.<br />

Sono quattro atti:<br />

lo sostengo …<br />

il mio eletto, il mio scelto, ho scelto Lui …<br />

e <strong>di</strong> Lui mi compiaccio …<br />

ho posto, ho dato il mio Spirito a Lui …<br />

poiché io ho fatto tutto questo, io sono il suo padrone; il servizio <strong>del</strong> <strong>servo</strong> non può essere<br />

compreso senza questa base!<br />

Se salta questo fondamento costruiamo la casa sulla sabbia; uno può mettersi a fare il suo servizio<br />

ovunque, ma ciò <strong>di</strong>venta evanescente, una vite ‘spanata’ che non gira ne avanti ne in<strong>di</strong>etro senza<br />

questa base. Fondamentalmente si pone pochissima attenzione a questa parte <strong>di</strong> testo, <strong>del</strong> <strong>servo</strong>.<br />

Ad una lettura superficiale viene esaltata solo la mitezza <strong>del</strong> <strong>servo</strong> e questo non è completo, ne<br />

esatto. Il testo va letto in ebraico ed allora ti ren<strong>di</strong> conto che i verbi che riguardano le azioni sul<br />

<strong>servo</strong> sono gli stessi.<br />

Is 42:1<br />

הֵן עַבְדִּי אֶתְמָכְ־בּ ‏ֹו בְּחִירִ‏ י רָ‏ צְתָה נַפְשִׁי נָתַתִּי רוּחִי עָלָיו מִשְׁפָּט לַגּ ‏ֹויִם י ‏ֹוצִיא׃<br />

2<br />

‏ֹלא יִצְעַק וְֹלא יִשָּׂא וְֹלא־יַשְׁמִיעַ‏ בַּחוּץ ק ‏ֹוֹלו׃<br />

3<br />

קָנֶה רָ‏ צוּץ ‏ֹלא יִשְׁבּ ‏ֹור וּפִשְׁתָּה כֵהָה ‏ֹלא יְכַבֶּנָּה לֶאֱמֶת י ‏ֹוצִיא מִשְׁפָּט׃<br />

4<br />

‏ֹלא יִכְהֶה וְֹלא יָרוּץ עַד־יָשִׂים בָּאָרֶ‏ ץ מִשְׁפָּט וּלְת ‏ֹורָ‏ ת ‏ֹו אִיִּים יְיַחֵילוּ׃ ף<br />

Si legge: “ecco_il_<strong>servo</strong>”, come se fosse tutto attaccato, una in<strong>di</strong>cazione, “ecco” vuole prendere la<br />

nostra attenzione; non è una semplice presentazione, ma qualcosa che deve essere centrale per la<br />

nostra intelligenza, che deve vedere “<strong>servo</strong> mio”, non uno qualsiasi. Quella ‘i’ finale [=mio] ha una<br />

forza sonora molto grande (i testi sono suono, andrebbero sempre letti; venivano imparati a memoria).<br />

Ritiro <strong>di</strong> Sacrofano – 18 settembre 2011


Perché si parla <strong>del</strong> ‘mio <strong>servo</strong>’ Il perché in quelle quattro azioni.<br />

“Ecco il mio <strong>servo</strong> che io sostengo”, non vuole sottolineare un <strong>servo</strong> che non si regge in pie<strong>di</strong> da<br />

solo; il termine qui ‘sostengo’ vuol significare “lo afferro, lo tengo forte, è mio!”<br />

“Ecco il mio <strong>servo</strong>, io lo tengo, non lo mollo; è uno che sente la mia presa, sente che è mio, il mio<br />

scelto”<br />

‘il mio <strong>servo</strong>’, ‘il mio scelto’: termini paralleli con i quali la frase comincia, sono sinonimi.<br />

Il mio scelto, colui che ho eletto: la parola deriva dal greco ec caleo = chiamar fuori da altri!<br />

“Ecco il mio <strong>servo</strong>, lo tengo, è colui che ho estratto”<br />

Estratto <strong>di</strong> tra cosa Noi non possiamo coltivare la base <strong>del</strong>le nostre azioni se non teniamo<br />

presente tutte queste annotazioni:<br />

1. sono <strong>di</strong> Dio<br />

2. che Lui mi ha afferrato strappandomi a qualcosa<br />

io devo essere afferrato, ad es. nella preghiera, lasciandomi strappare alla or<strong>di</strong>nari età: nessuno<br />

prega senza <strong>di</strong>re <strong>di</strong> no a qualcos’ altro; nessuno prega senza rinunciare ad altro; nessuno prega<br />

senza staccare i contatti con il mondo: “entra nella tua stanza e chiusa la porta …” ‐> devi essere<br />

eletto, ‘tirato fuori’.<br />

Se noi vogliamo continuare a stare nel mondo, non saremo “il mio eletto”: frutto <strong>del</strong>l’arte <strong>del</strong>la<br />

me<strong>di</strong>azione.<br />

Una volta ero con un gruppo <strong>di</strong> ragazzi in un convento <strong>di</strong> monache <strong>di</strong> clausura, un<br />

ragazzo particolarmente agitato, turbolento, dava fasti<strong>di</strong>o agli altri; nell’incontro con<br />

la madre Badessa che era al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> un ‘limite’, <strong>di</strong> un grande tavolo, per separarci. Ad<br />

un certo punto la madre Badessa chiede se ci sono domande da parte dei ragazzi, ma<br />

dopo un po’ <strong>di</strong> silenzio decide <strong>di</strong> parlare proprio questo ragazzo, che in maniera<br />

provocatoria, scanzonata e strafottente chiede alla suora il perché ci fosse quella<br />

separazione. La Badessa dopo aver preso un attimo per rispondere, gli <strong>di</strong>ce : “fra me e<br />

te passa un abisso, perché io sono <strong>di</strong> Dio, te non so <strong>di</strong> chi sei”.<br />

È importante porci la domanda “io <strong>di</strong> chi sono”; se sono <strong>di</strong> Dio allora sarò eletto, tirato fuori,<br />

sottratto.<br />

[La prima <strong>del</strong>le tre spiritualità orientali: ascesi, bisogna uscire.]<br />

Dio sta, quin<strong>di</strong>, parlando al popolo e gli sta <strong>di</strong>cendo cosa significa essere miei.<br />

“Ecco il mio <strong>servo</strong>, che io afferro,<br />

il mio eletto <strong>di</strong> cui mi compiaccio”, cioè ‘prova piacere’ (è il<br />

verbo <strong>del</strong> piacere sessuale, <strong>del</strong> gusto) la mia anima. Questa è la frase<br />

che Dio <strong>di</strong>ce al battesimo “questo è il mio figlio pre<strong>di</strong>letto, in lui<br />

mi sono compiaciuto”. Allora ‘mi compiaccio’ vuol <strong>di</strong>re che il<br />

<strong>servo</strong> è entrato nel cuore <strong>di</strong> Dio, se io sono il suo <strong>servo</strong>, sono<br />

nel cuore <strong>di</strong> Dio, nell’anima <strong>di</strong> Dio, nel suo Spirito. Noi siamo<br />

fatti a sua immagine: capiamo come è Dio attraverso il volto <strong>di</strong><br />

Cristo e il suo mistero meraviglioso ci è un po’ svelato. ‘Dio ha<br />

un’anima’: certamente è un linguaggio, un modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re<br />

umano, categorie usate per far capire a noi uomini, non<br />

dobbiamo correre il rischio <strong>di</strong> cristallizzarle, però dobbiamo<br />

guardare a Dio che ha una interiorità, una profon<strong>di</strong>tà (la<br />

profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> Dio – <strong>di</strong>ce san Paolo), una gioia che prova verso<br />

qualcuno: Dio è amore!<br />

L’eletto ha una identità a partire da quello che Dio prova per<br />

Ritiro <strong>di</strong> Sacrofano – 18 settembre 2011


lui, io ho una identità in questo senso.<br />

Una volta in un ritiro, vivemmo questa esperienza: lasciar perdere totalmente quello che<br />

pensavamo noi e concentrarci su quello che Dio pensa <strong>di</strong> noi; che <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> me Dio, cosa pensa.<br />

C’è una linea meravigliosa che collega san Benedetto da Norcia e san Francesco d’Assisi.<br />

Quest’ultimo va a Norcia ad innestare un ramo <strong>di</strong> rose senza spine, per <strong>di</strong>re che era anche un<br />

frutto <strong>di</strong> san Benedetto: c’è un inseguirsi <strong>di</strong> due forme <strong>di</strong> preghiera, quasi identiche: la<br />

contemplazione. Sant’Agostino formula meglio: “Chi sono io per Te e chi sei Tu per me” e in<br />

questa preghiera tuffarsi, davanti al crocifisso.<br />

Non ti far <strong>di</strong>re dai tuoi peccati o dal contesto che forse amaramente, ti ha consegnato cosa sei,<br />

fattelo <strong>di</strong>re da Gesù Cristo! Io solo da Gesù so chi sono, Lui ha compiacimento in me, anche se non<br />

so perché. Io non posso capire perché Dio possa amarmi, io non mi trovo amabile. Chi sei tu, te lo<br />

<strong>di</strong>ce Dio.<br />

Il <strong>servo</strong> potrà fare <strong>del</strong>le cose solo su questa base:<br />

è afferrato,<br />

è <strong>di</strong> Dio,<br />

è stato sottratto a qualcosa<br />

e che è guardato con amore, è piacere <strong>di</strong> Dio.<br />

Credo francamente <strong>di</strong> essere arrivato appena a scalfire la mia intuizione <strong>di</strong> quanto Dio mi ami e<br />

poche persone hanno davvero l’ego basato su ciò, che hanno la sorgente <strong>del</strong>l’essere non dalle<br />

proprie opere, ma dalle opere <strong>di</strong> Dio. “Riposare dalle proprie opere …” (Eb. 4), che non significa<br />

non far nulla, ma “chi sei tu”.<br />

Noi non siamo la somma dei nostri peccati – <strong>di</strong>ceva Giovanni Paolo II , a Toronto – e <strong>del</strong>le nostre<br />

debolezze, ma tutto ciò che l’amore <strong>di</strong> Dio ci porta più la nostra reale possibilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>rgli <strong>di</strong> sì. Noi<br />

non siamo il nostro peccato, il nostro peccato è menzogna, deturpazione <strong>del</strong> nostro volto; io non<br />

sono i miei errori, io sono le cose belle che Dio fa in me, quella è la mia Verità. Io sono vero<br />

quando amo, quando o<strong>di</strong>o sono ingannato.<br />

“Ho dato il mio Spirito a lui”, anzi “sopra <strong>di</strong> Lui”, un dono che viene dall’alto; lo Spirito non è<br />

possesso, è consegna. Davanti allo Spirito Santo noi siamo <strong>di</strong>scepoli, Lui è il Maestro, è il<br />

Consolatore (=con_solo; è con noi, ognuno <strong>di</strong> noi è solo)e lo Spirito spezza la nostra solitu<strong>di</strong>ne;<br />

“Egli vi insegnerà ogni cosa”, a camminare, a pensare, a tutto perché lo Spirito Santo è sopra <strong>di</strong><br />

me. “Ho dato il mio Spirito sopra <strong>di</strong> Lui” .<br />

Inizia a <strong>di</strong>re quello che farà.<br />

Per prima cosa l’annuncio <strong>di</strong> una cosa globale: “porterà il <strong>di</strong>ritto alle Nazioni”. Il termine vuol<br />

<strong>di</strong>re che farà uscire (termine pasquale). Come se il <strong>di</strong>ritto sia compresso e finalmente viene allo<br />

scoperto. La parola <strong>di</strong>ritto, in ebraico, vuol <strong>di</strong>re ‘valutare rettamente’, ‘saper giu<strong>di</strong>care’.<br />

“Perché sapete giu<strong>di</strong>care l’aspetto <strong>del</strong> tempo e non sapete giu<strong>di</strong>care questi tempi”, Gesù ci<br />

invita al giu<strong>di</strong>zio, non alla condanna, non al categorizzare le persone, ma la valutazione <strong>del</strong>la<br />

volontà <strong>di</strong> Dio, sì.<br />

L’età <strong>del</strong> giu<strong>di</strong>zio, <strong>del</strong>la <strong>di</strong>screzione, separazione e messa in or<strong>di</strong>ne <strong>del</strong>le cose. Il <strong>di</strong>ritto quin<strong>di</strong> è<br />

il sapersi far mettere in or<strong>di</strong>ne dalla Parola <strong>di</strong> Dio. Il <strong>di</strong>ritto, i giu<strong>di</strong>zi sono la legge <strong>di</strong> Dio, la sua<br />

Santa Volontà. “Porterà” ai goim, ai pagani, a quelli che per gli ebrei erano ‘i cani infe<strong>del</strong>i’, un<br />

insulto; porterà = libererà = farà <strong>di</strong>scendere la capacità <strong>di</strong> farsi mettere in or<strong>di</strong>ne da Dio. Farsi<br />

portare alla Sua Volontà, al Bene. Come lo farà <br />

“Non griderà né alzerà il tono, …”<br />

Sembra parlare <strong>di</strong> un tipo <strong>di</strong>messo, che parla a voce bassa, poco motivato. Alla lettera invece<br />

significa “non strepiterà e non alzerà, cioè non esagerare, non ‘gridare aiuto ’, non lamentarti”: il<br />

Ritiro <strong>di</strong> Sacrofano – 18 settembre 2011


<strong>servo</strong> è uno che non si lamenta, non drammatizza, non si ‘lecca le ferite’. Non è un vittimista, non<br />

si piange addosso, non ‘brontola’ in continuazione. L’uomo trova sempre facilmente un motivo per<br />

lamentarsi <strong>di</strong> qualcuno o <strong>di</strong> qualcosa. “ … non farà u<strong>di</strong>re in piazza la sua voce”, e non farà sentire al<br />

<strong>di</strong> fuori la sua voce. Questo <strong>servo</strong> ha i suoi problemi, le sue <strong>di</strong>fficoltà, ma non strepita, non<br />

drammatizza, non aumenta, non ingran<strong>di</strong>sce e tiene dentro <strong>di</strong> sé il problema. Quante volte ho<br />

peccato <strong>di</strong> parola, la lingua il timone <strong>del</strong> corpo, questo mondo <strong>di</strong> iniquità, <strong>di</strong>ce la lettera <strong>di</strong><br />

Giacomo: nessuno può essere un buon <strong>servo</strong> <strong>di</strong> Dio se non sa evitare <strong>di</strong> mettere al <strong>di</strong> fuori parole<br />

che vanno tenute dentro; se non sa contenere il silenzio, lo spazio <strong>di</strong> una parola saggia, “nelle<br />

molte parole non può mancare l’errore – <strong>di</strong>ce il Siracide”. Questo <strong>servo</strong> per estendere, portare il<br />

<strong>di</strong>ritto ai pagani deve saper tacere; per saper parlare devi<br />

saper tacere!<br />

Non straparlare, non drammatizzare, non lamentarti.<br />

“Dio ci ha dato due cerniere da aprire, le labbra e i denti;<br />

allora prima <strong>di</strong> aprire pensaci. Perché Dio ti ha dato i denti <br />

per mordere la lingua, perché non parli” (San Giovanni<br />

Crisostomo)<br />

I <strong>di</strong>aconi sono ministri <strong>del</strong>la Parola, ma <strong>di</strong> quale Servi <strong>di</strong><br />

quale parola “<strong>di</strong> ogni parola infondata sarà chiesto conto a<br />

questa generazione – <strong>di</strong>ce il Signore ‐ ”. Chi deve annunziare<br />

la Parola deve avere quella Parola e non un’altra.<br />

Dice santa Teresa d’Avila : “una goccia <strong>di</strong> inchiostro sporca<br />

una tazza intera <strong>di</strong> latte”; se metti nel frigorifero <strong>del</strong> cibo<br />

rancido insieme a quello fresco, tutto prenderà cattivo odore;<br />

c’è una legge <strong>del</strong>la misura, <strong>del</strong>lo stare zitti.<br />

Questo <strong>servo</strong> è uno che non strepita, sa economizzare le<br />

parole.<br />

“non spezzerà una canna incrinata,<br />

non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta.”<br />

Non spezzerà un bastone fessurato, un bastone <strong>di</strong> appoggio fessurato, un appoggio incerto. Non<br />

terminerà una piccola fiamma debole. Il <strong>servo</strong> non è lì a proteggere qualcuno, ma non se ne<br />

occuperà. Sono <strong>di</strong> fronte ad una persona che ha ‘appoggi incerti’ e ‘luci confuse’; cerco <strong>di</strong> riparare<br />

il bastone o lo spezzo perché se ne compri un altro Spengo la can<strong>del</strong>a perché ne prenda un’altra<br />

Devo fare altro: “farà uscire il <strong>di</strong>ritto” e con lo stesso termine “porterà il <strong>di</strong>ritto alle nazioni”. Non<br />

spezzerà una canna, ma nella fede proclamerà il <strong>di</strong>ritto, estenderà il <strong>di</strong>ritto, renderà possibile il<br />

<strong>di</strong>ritto e per mezzo <strong>di</strong> cosa A fronte <strong>del</strong>la debolezza, non si occuperà <strong>del</strong>la debolezza in sé, ma<br />

farà presente la fede.<br />

Le risposte destabilizzanti rassicurano, le risposte rassicuranti<br />

destabilizzano!<br />

Se una persona mi <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> aver saputo che ha un tumore e cerco <strong>di</strong><br />

rassicurarla (è una canna fessurata) parlandogli <strong>di</strong> possibili miracoli,<br />

stiamo affermando che il tumore è un problema; per chi ha fede però il<br />

tumore è un problema Meglio cominciando col <strong>di</strong>rgli “cre<strong>di</strong> che sei il<br />

primo ad incontrare Dio in un tumore” “cre<strong>di</strong> che Dio non sarà<br />

vicinissimo a te, nella prova ” Umanamente c’è la speranza <strong>di</strong> salvarsi dal<br />

tumore, ma Gesù che ha fatto tanti miracoli non ha salvato il mondo con<br />

un miracolo. Il tumore si può anche vincerlo, ma la morte è certezza nella<br />

nostra vita. Importante sarà che io proclami la fede, non commercio sulla<br />

Ritiro <strong>di</strong> Sacrofano – 18 settembre 2011


tenuta <strong>del</strong>la ‘canna fessurata’, ma proclamerò il ‘<strong>di</strong>ritto con fermezza’. Sottolineo che Dio non è<br />

lontano da nulla. La malattia, la ‘fessurazione <strong>del</strong>la canna’ fa parte <strong>del</strong>la avventura <strong>del</strong>la vita <strong>di</strong><br />

ognuno, <strong>del</strong>l’opera d’arte che siamo chiamati a compiere; Dio ti chiama a compiere questa<br />

missione ed abbiamo un sacramento per consacrare la malattia, l’unzione degli infermi. Un<br />

sacramento che ti unge, alter Christus: Cristo ha salvato il mondo essenzialmente con una<br />

malattia, con un dolore.<br />

Importante è proclamare la fede! Senza aggressività, senza pretesa; una offerta, non si impone. Il<br />

<strong>servo</strong> estende il sostegno che ha, quell’essere afferrato da Dio. La fede è appoggio da Dio, perché<br />

Dio ti tiene.<br />

“non verrà meno e non si abbatterà”<br />

il testo in effetti ripete i due verbi <strong>di</strong> prima, cioè non sarà fessurato e non sarà fumigante, in<br />

spegnimento, non sarà debole, non vacillerà. Non oppone sull’altro una pretesa, incarna quello <strong>di</strong><br />

cui l’altro ha bisogno. Questo <strong>servo</strong> <strong>di</strong> fronte ad una canna fessurata, propone la fede e lui non si<br />

incrina, evitando <strong>di</strong> cadere a sua volta nella debolezza altrui. Una sapienza strategica <strong>di</strong> come si<br />

porta la luce ad una persona, ad un popolo.<br />

Il semplice atteggiamento sereno – <strong>di</strong>ceva padre Mariano, da Torino – semplicemente<br />

presentandomi col mio saio e la mia tranquillità azzero molti argomenti. Professare con semplicità<br />

la fede salva la canna fessurata, riaccende lo stoppino perché, come il male, la fede è contagiosa, si<br />

estende. La gente guarderà se siete bravi, ma se avete fede!<br />

Non vi fessurate.<br />

Se vi aggrappate al sostegno <strong>di</strong> Dio,<br />

se non vi lamentate,<br />

se non strepitate,<br />

se non straparlate,<br />

se siete persone che hanno a cuore il <strong>di</strong>ritto<br />

“le isole attendono il suo insegnamento”, le isole sono quelli<br />

lontani, e non sappiamo dove sono quelli per cui Dio ci ha<br />

chiamati, non sappiamo in quale isola sono, sono isolati (isola<br />

è l’immagine <strong>del</strong>la solitu<strong>di</strong>ne, non confina con nessuno e il<br />

mare l’immagine <strong>di</strong> qualcosa da superare, instabile), c’è un<br />

mare tra noi e loro.<br />

Quando io professo la fede so che le isole sono in attesa <strong>di</strong><br />

qualcuno che le visiti per togliergli l’isolamento.<br />

Ritiro <strong>di</strong> Sacrofano – 18 settembre 2011

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