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architetti tesi di laurea - retevitruvio

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12<br />

Introduzione<br />

offerta (siamo 135.000 <strong>architetti</strong> iscritti<br />

agli Or<strong>di</strong>ni), ma se la situazione <strong>di</strong><br />

recessione economica attuale cambierà,<br />

la triennale avrà molto più spazio<br />

professionale in situazioni locali.<br />

Se guar<strong>di</strong>amo ai dati occupazionali<br />

ve<strong>di</strong>amo che la preferenza dei <strong>laurea</strong>ti<br />

in architettura si orienta per il settore<br />

“costruzioni, progettazione e e<strong>di</strong>lizia”<br />

(45% del totale occupati, dati Alma<br />

Laurea 2008) confermando in tal<br />

modo l’importanza formativa delle<br />

materie progettuali; anzi a ben vedere,<br />

esse andrebbero migliorate su aspetti<br />

oggi deboli come impiantistica, costi e<br />

computi, gestione cantieri, normativa e<br />

legislazione; e poi <strong>di</strong>segno <strong>di</strong>gitale ( 2D<br />

e 3D) e Photoshop, oggi in<strong>di</strong>spensabili ,<br />

a patto che non si abbandoni il <strong>di</strong>segno<br />

manuale, lo schizzo e la costruzione<br />

<strong>di</strong> modelli, che rimangono i migliori<br />

strumenti <strong>di</strong> sempre per rappresentare le<br />

proprie idee progettuali.<br />

Mi pare evidente che la concretezza<br />

dei mestieri <strong>di</strong> cui si <strong>di</strong>ce richiede<br />

anche una nuova messa a punto del<br />

rapporto Università - professione e un<br />

aggiornamento del vecchio ritornello del<br />

rapporto ricerca- professione.<br />

E’ passato da molto tempo l’ideologismo<br />

sessantottino che vedeva nella<br />

professione, anzi nella riduzione<br />

professionalistica dell’insegnamento,<br />

come si <strong>di</strong>ceva allora, un nemico da<br />

battere. Ancora nel 1990, nel boom<br />

dell’università <strong>di</strong> massa, (a Napoli<br />

1600 iscritti al primo anno contro i<br />

400 <strong>di</strong> oggi) tale nemico era molto<br />

sentito (si veda Domus n.714/1990)<br />

ma oggi il sapere universitario sconta<br />

un’arretratezza che non è stata più<br />

colmata, mentre all’esterno viene<br />

richiesta sempre più competenza e<br />

concretezza.<br />

La fuori uscita dall’università <strong>di</strong> molti<br />

eccellenti docenti-professionisti che<br />

ne hanno segnato la storia, ha privato<br />

l’insegnamento progettuale <strong>di</strong> quella<br />

presa sul reale necessaria a evitare le<br />

secche degli infiniti processi <strong>di</strong> analisi<br />

e <strong>di</strong> teorizzazioni che hanno surrogato<br />

il progetto per troppi anni. Quasi<br />

scomparsi i docenti-professionisti, il<br />

rischio che si presenta è <strong>di</strong> avere una<br />

facoltà <strong>di</strong> docenti-ricercatori demotivati<br />

che, non avendo mai o pochissimo<br />

costruito, possono al più proporre una<br />

visione gnoseologica del fare architettura<br />

o al peggio inseguire fantasmatiche<br />

ambizioni.<br />

Non è questo ciò che sosteneva Vittorio<br />

Gregotti quando parlava <strong>di</strong> centralità del<br />

progetto critico riven<strong>di</strong>cando ad esso<br />

uno statuto intellettuale non meramente<br />

professionale. E ciò è tanto più vero oggi<br />

se solo si considera lo stato <strong>di</strong> sfascio<br />

e <strong>di</strong> cattiva modernizzazione che le<br />

nostre città hanno subito nel Novecento<br />

e contemporaneamente la richiesta <strong>di</strong><br />

futile spettacolarizzazione che viene<br />

oggi avanzata agli <strong>architetti</strong> dai gruppi<br />

politico-economici dominanti. In<br />

sostanza si tratta <strong>di</strong> riscoprire il valore <strong>di</strong><br />

una progettazione critica che s’interroga<br />

sul senso delle sue proposte, assume<br />

la concretezza del mestiere e tende al<br />

superamento dell’antinomia ricercaprofessione.<br />

Un detto americano <strong>di</strong>ce : “Who teaches<br />

doesn’t work , who works doesn’t<br />

teach”. Chi insegna non costruisce e chi<br />

costruisce non insegna: anche da noi i<br />

successi professionali non si scambiano<br />

con la carriera accademica e non<br />

provengono più da quella. Purtroppo<br />

non facciamo spazio nell’insegnamento<br />

a coloro che costruiscono, né chie<strong>di</strong>amo<br />

qualificazione progettuale ai docenti e<br />

nemmeno stanziamo congrui fon<strong>di</strong> per<br />

attrarre professionisti con contratti a<br />

tempo. Il taglio poi dei fon<strong>di</strong> finanziari<br />

per l’università crea una situazione <strong>di</strong><br />

avvitamento su se stessa che non fa ben<br />

sperare per il futuro.<br />

Sempre meno sol<strong>di</strong> da spendere e<br />

sempre più richieste <strong>di</strong> migliori <strong>laurea</strong>ti e<br />

<strong>di</strong> ricerche, è il paradosso tutto italiano,<br />

come a <strong>di</strong>re: le nozze coi fichi secchi !<br />

Il <strong>di</strong>battito su come e se è possibile<br />

un rilancio dell’università pubblica<br />

esula da queste note, ma lo stato <strong>di</strong><br />

riforma continua che da molto tempo<br />

destabilizza la struttura universitaria<br />

rende ogni cattivo pensiero<br />

possibile. Immersi in una struttura<br />

tra<strong>di</strong>zionalmente autoreferenziale,<br />

poco aperta agli scambi esterni, troppo<br />

consociativa, con docenti selezionati con<br />

meto<strong>di</strong> cooptativi, poco meritocratica<br />

e spesso nepotistica, siamo spinti a<br />

inglobare ogni trasformazione senza<br />

migliorare nulla, neutralizzando ogni<br />

moderno progetto <strong>di</strong> riforma.<br />

Ma ciò non bloccherà il futuro dei<br />

giovani <strong>laurea</strong>ti la cui formazione,<br />

fortunatamente, <strong>di</strong>pende oggi sempre<br />

meno dall’università stessa (L. Berlinguer<br />

sostiene che al massimo vale per un<br />

50%) e sempre più da altri percorsi come<br />

tirocini pratici, stage in aziende, enti o<br />

stu<strong>di</strong> professionali, e master con soli<strong>di</strong><br />

legami col mondo delle imprese.<br />

Ritornando alla domanda iniziale, se<br />

dovessi scegliere un corso <strong>di</strong> <strong>laurea</strong><br />

userei la passione e non la statistica ,<br />

sceglierei un corso fatto a maggioranza<br />

da docenti strutturati e dove insegnino<br />

vali<strong>di</strong> professionisti, preferirei quello<br />

con meno materie e niente esami<br />

“spezzatino”, cercherei <strong>di</strong> non allungare<br />

la durata prevista degli stu<strong>di</strong> (salvo che<br />

non voglia intraprendere, ahimè, la<br />

carriera accademica), e darei più spazio<br />

invece alle esperienze fuori l’università<br />

come tirocini e stage, e da ultimo,<br />

avendo tempo e denaro farei il biennio<br />

in un’altra città ( mettendo in conto che<br />

purtroppo molte facoltà ostacolano la<br />

mobilità degli studenti con richiesta <strong>di</strong><br />

esami integrativi). Gino Valle, grande<br />

architetto del secondo dopoguerra,<br />

<strong>di</strong>ceva cose semplici e sagge per<br />

migliorare l’università: meno materie e<br />

più progetti esecutivi. Sarebbe già un<br />

bell’avanzamento .<br />

(1) la norma legislativa 382/01 a proposito<br />

delle competenze progettuali degli <strong>architetti</strong><br />

iunior recita che essi possono progettare:”<br />

costruzioni semplici con metodologie<br />

standar<strong>di</strong>zzate” che non appare certo una<br />

norma molto chiara per definire chi fa che cosa<br />

tra <strong>architetti</strong> e <strong>architetti</strong> iunior , ingegneri e<br />

docenti <strong>di</strong> composizione architettonica urbana<br />

iunior e geometri.

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