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MARCO DODDIS<br />
IN CUBO<br />
www.0111e<strong>di</strong>zioni.com
www.0111e<strong>di</strong>zioni.com<br />
www.labandadelbook.it<br />
IN CUBO<br />
Copyright © 2012<br />
Zerounoun<strong>di</strong>ci E<strong>di</strong>zioni<br />
ISBN: 978-88-6578-146-3<br />
<strong>In</strong> copertina: Immagine<br />
Shutterstock.com
a papà e mamma,<br />
per tutto<br />
a Pups, per il suo sorriso<br />
alla nonna, perché sarebbe stata<br />
felice. E forse lo è.
Rivolgo un ringraziamento particolare<br />
a Gabriele Cavallaro.<br />
Il titolo <strong>di</strong> questo libro è una sua<br />
idea.
IL CAMMELLO<br />
Il pugno <strong>di</strong> Ivan fece tremare la<br />
panchina.<br />
Quella era la partita più impor-<br />
tante del campionato: non si po-<br />
teva perdere così.<br />
Un’ora <strong>di</strong> sofferenza, <strong>di</strong> sudore,<br />
<strong>di</strong> urla strozzate. Poi, all’ultimo<br />
minuto, l’arbitro con la faccia da<br />
cammello aveva deciso <strong>di</strong> fi-
schiare un rigore a favore degli<br />
altri. Gol e tutti a casa. La finale<br />
sarebbe rimasta un miraggio.<br />
Ivan, uscito dopo mezz’ora per<br />
una botta alla caviglia, <strong>di</strong>menti-<br />
cò in un amen il dolore al piede<br />
e scattò in campo con la reattivi-<br />
tà <strong>di</strong> una molla. Nonostante la<br />
trincea eretta dai compagni, riu-<br />
scì a piazzare il naso <strong>di</strong> fronte a<br />
quello dell’o<strong>di</strong>ato cammello e,
per poco, non gli eruttò addosso<br />
tutta la sua rabbia.<br />
Servirono alcuni minuti per ri-<br />
portare il vulcano alla calma.<br />
<strong>In</strong>tanto, l’arbitro era sgattaiolato<br />
via, protetto dai giocatori della<br />
squadra avversaria.<br />
Zuffa.<br />
Sulla strada <strong>di</strong> casa, ripensò con<br />
lucida rassegnazione a<br />
quell’ennesima beffa.
Ogni anno partecipava al torneo<br />
universitario <strong>di</strong> calcetto. E ogni<br />
anno, puntualmente, un arbitro<br />
incapace gli metteva i bastoni<br />
tra le ruote. Quello della stagio-<br />
ne precedente, che aveva osato<br />
espellerlo per qualche parola <strong>di</strong><br />
troppo, era stato costretto a rin-<br />
chiudersi a chiave nello spoglia-<br />
toio.<br />
Forse era arrivato il momento <strong>di</strong><br />
arrendersi, <strong>di</strong> ritirare l’annuale
tributo elargito al Cus per iscri-<br />
versi al campionato.<br />
Cento euro, i soliti cento euro<br />
buttati. Come se non bastassero<br />
i sol<strong>di</strong> che già regalava<br />
all’università con le tasse. E<br />
meno male che pagavano<br />
mamma e papà.<br />
Stavano seduti davanti al televi-<br />
sore quando lui tornò quella se-<br />
ra.
<strong>In</strong> Via delle Ortensie la scena<br />
era sempre la stessa, da anni:<br />
uno schermo puntato verso un<br />
<strong>di</strong>vano, dove papà Antonio con-<br />
sumava la propria <strong>di</strong>gestione;<br />
una se<strong>di</strong>a separata dalle compa-<br />
gne <strong>di</strong> tavolo, su cui mamma Pia<br />
transitava <strong>di</strong> tanto in tanto,<br />
prendendosi qualche pausa dalle<br />
faccende domestiche; un gatto<br />
bianco, Giondò, che vagabonda-
va senza pace da una stanza<br />
all’altra.<br />
L’unica variabile, in casa, era<br />
l’aroma: frizzante <strong>di</strong> anticalcare<br />
al limone, se tutti già avevano<br />
finito <strong>di</strong> mangiare; stantio e spe-<br />
ziato, se mancava all’appello<br />
qualcuno. <strong>In</strong> questo caso, il<br />
qualcuno non poteva che essere<br />
Ivan: sua madre, infatti, non u-<br />
sciva mai dopo il tramonto,<br />
mentre il padre si assentava dal
pasto serale solo in tre occasioni<br />
nel corso dell’anno, per aggre-<br />
garsi ai colleghi del dopolavoro<br />
ferroviario nei cenoni dei giorni<br />
<strong>di</strong> festa.<br />
Sentendo la serratura della por-<br />
ta, Pia interruppe la piegatura<br />
delle maglie appena stirate e<br />
corricchiò incontro al figlio.<br />
Ivan accettò a malincuore le<br />
smancerie materne, cercando <strong>di</strong><br />
nascondere la sua lieve zoppia.
Regalò alla donna un paio <strong>di</strong> ca-<br />
ritatevoli monosillabi e si appol-<br />
laiò davanti a un piatto <strong>di</strong> arro-<br />
sto caldo ma un po’ rinsecchito.<br />
«Allora, come è andata la parti-<br />
ta?», mormorò papà Antonio,<br />
senza staccare gli occhi dal suo<br />
film.<br />
«Abbiamo perso. Rigore<br />
all’ultimo. Aspetta un attimo...<br />
Ma’, togliti davanti!».
Nel suo viavai tra cucina e stan-<br />
za da pranzo, mamma Pia non si<br />
era resa conto <strong>di</strong> essere <strong>di</strong>venuta<br />
una sagoma troppo ingombran-<br />
te.<br />
«Sempre davanti ti metti, eh<br />
Pia!».<br />
«Mi ero solo alzata per prender-<br />
gli il pane, Anto’. Vabbe’, sai<br />
che ti <strong>di</strong>co? Pren<strong>di</strong>telo tu!».<br />
Visibilmente stizzita, la madre<br />
tornò a piegare maglie.
«Ma poi che sarà mai ‘sto film?<br />
La polizia spara e quelli scappa-<br />
no. Capirai!».<br />
Nessuno dei due rispose.<br />
Il figlio si era lanciato sul suo<br />
arrosto; il padre, immerso nello<br />
schermo, si limitò ad aggiungere<br />
un «beh, almeno l’hai finita pure<br />
quest’anno con ‘sto calcetto»,<br />
per poi tornare a occuparsi del<br />
sacchetto <strong>di</strong> noci che teneva sul-<br />
le ginocchia.
<strong>In</strong> pochi minuti, Ivan spazzolò il<br />
piatto. Rimase ancora un po’<br />
rannicchiato sulla se<strong>di</strong>a, rive-<br />
dendo il cammello e il pallone<br />
che non voleva saperne <strong>di</strong> entra-<br />
re in porta.<br />
Il dolore alla caviglia gli richia-<br />
mava alla mente il momento<br />
dell’infortunio. Il dubbio era<br />
martellante: e se fosse rimasto in<br />
campo fino alla fine? Magari lui<br />
e i suoi avrebbero vinto.
Non era un fenomeno del pallo-<br />
ne, ma la sua grinta faceva spes-<br />
so la <strong>di</strong>fferenza.<br />
Forse, il rigore decisivo non sa-<br />
rebbe stato così decisivo. Il<br />
cammello lo concedeva, ma loro<br />
erano già avanti <strong>di</strong> un paio <strong>di</strong><br />
gol: scenario più che plausibile.<br />
D’altra parte, non avevano perso<br />
nemmeno una partita in quella<br />
stagione. E Ivan era sempre sta-<br />
to presente, lì nel mezzo, a mo-
strare i denti in faccia agli av-<br />
versari <strong>di</strong> turno. Con troppo tra-<br />
sporto, a volte: sette ammoni-<br />
zioni in una decina <strong>di</strong> incontri<br />
parlavano chiaro.<br />
Calcioni, proteste, provocazioni,<br />
insulti. Alla faccia del fair play:<br />
non gli era mai interessato.<br />
Un altro che sembrava fregarse-<br />
ne, del fair play, era l’assassino.<br />
Il suo mitra non aveva pietà. Pu-<br />
re il compare ne cadeva vittima,
ma l’aveva tra<strong>di</strong>to e se lo meri-<br />
tava.<br />
L’assassino era un tizio sulla<br />
sessantina con un volto da attore<br />
e un lungo pergolato <strong>di</strong> denti<br />
marroni incastrato tra le labbra.<br />
A Ivan piacque subito, sin da<br />
quando, a otto anni, lo aveva vi-<br />
sto per la prima volta. Dopo tan-<br />
to tempo, ne conosceva a me-<br />
moria la storia. E lo infasti<strong>di</strong>va<br />
sapere che sarebbe finito in ma-
lo modo, crivellato dai colpi <strong>di</strong><br />
un poliziotto dalla faccia eterea.<br />
L’angioletto con l’immacolata<br />
<strong>di</strong>visa americana, il buon sama-<br />
ritano, avrebbe vinto sul demone<br />
dal sorriso nicotinico, per la gio-<br />
ia del Signor Lieto Fine.<br />
Viste le premesse, la graziosa<br />
modella anoressica del profumo<br />
non lo turbò più <strong>di</strong> tanto. Anzi,<br />
con l’inizio della pubblicità, tor-<br />
nò <strong>di</strong> nuovo al cammello. Que-
sta volta, però, con molta meno<br />
luci<strong>di</strong>tà.<br />
Sentiva, infatti, che i primi sin-<br />
tomi della stanchezza si stavano<br />
impadronendo dei suoi occhi.<br />
Mentre si ciondolava ritmica-<br />
mente sulla se<strong>di</strong>a, Pia gli tolse il<br />
piatto vuoto da sotto il naso.<br />
Poi, iniziò a <strong>di</strong>ffondere dalla cu-<br />
cina quelle essenze profumate<br />
che erano un po’ come i titoli <strong>di</strong><br />
coda della sua giornata.
Antonio, intanto, approfittava<br />
della pausa del film per tornare<br />
alla realtà del <strong>di</strong>vano. La sua<br />
mano destra continuava a<br />
schiacciare i tasti del teleco-<br />
mando; la sinistra accarezzava il<br />
sacchetto <strong>di</strong> noci. Per qualche<br />
secondo, perse la scintilla<br />
dell’inseguimento e posò gli oc-<br />
chi senza troppa convinzione sul<br />
figlio appollaiato.
Erano occhiate mute, senza pro-<br />
fon<strong>di</strong>tà: le sue occhiate serali,<br />
prese in ostaggio dallo spettaco-<br />
lo che il televisore passava.<br />
Ivan non ci fece caso. Il cam-<br />
mello, l’assassino, il profumo<br />
dell’anticalcare al limone, il ri-<br />
chiamo del sonno: già troppi sti-<br />
moli gli affollavano il cervello<br />
per soffermarsi pure sulla faccia<br />
del padre.
«Buonanotte!», sentenziò senza<br />
appello Pia.<br />
La voce della madre lo incorag-<br />
giò ad alzarsi e a prendere la via<br />
della camera da letto.<br />
Durante una breve sosta in ba-<br />
gno, fu raggiunto dalla <strong>di</strong>stratta<br />
replica <strong>di</strong> Antonio, mischiata al<br />
fragore <strong>di</strong> un improvviso sparo<br />
nel buio: passata la pubblicità, il<br />
grande assassino aveva fatto la
sua ultima vittima. Il prossimo<br />
morto sarebbe stato lui.<br />
«Abbassa ‘sto volume, ché vo-<br />
glio dormire!», gracchiò Pia,<br />
ormai avvolta da uno spesso<br />
strato <strong>di</strong> coperte.<br />
Come sempre, papà Antonio a-<br />
vrebbe agito in due fasi, con una<br />
meto<strong>di</strong>cità tale da far pensare a<br />
un comportamento stu<strong>di</strong>ato. <strong>In</strong><br />
realtà, non lo faceva apposta; e-<br />
rano riflessi con<strong>di</strong>zionati.
All’urlo della moglie, seguiva<br />
un imme<strong>di</strong>ato abbassamento del<br />
volume, con<strong>di</strong>to da un paio <strong>di</strong><br />
colpetti <strong>di</strong> tosse. Dopo meno <strong>di</strong><br />
un minuto, i rumori del televiso-<br />
re tornavano a crescere, costan-<br />
temente. Con cinque o sei clic<br />
decisi sul telecomando, si torna-<br />
va al fracasso che aveva prece-<br />
duto l’uscita <strong>di</strong> scena <strong>di</strong> Pia.<br />
Il copione si ripeteva inesorabile<br />
ogni sera. Preciso, scolpito.
Ivan lo conosceva meglio della<br />
storia dell’assassino tabagista e<br />
dello sbirro yankee. Quando gli<br />
capitava, provava ad accompa-<br />
gnarlo a memoria e a riascoltare<br />
le giustificazioni delle due parti,<br />
quasi sempre presentate la mat-<br />
tina successiva.<br />
Anche queste seguivano una<br />
traccia ben consolidata.<br />
Botta: «Ma perché non lo tieni<br />
basso l’au<strong>di</strong>o della televisione?
Te lo devo <strong>di</strong>re ogni volta?». Ri-<br />
sposta: «Ma io l’abbasso quando<br />
me lo chie<strong>di</strong>, Pia».<br />
Controbotta: «Sì, e poi lo rialzi<br />
subito. Io non capisco se mi<br />
pren<strong>di</strong> in giro o che altro». Con-<br />
trorisposta: «Ma che ci posso fa-<br />
re se non sento? Ho pure una<br />
certa età, io».<br />
Botta finale, sparata solo in<br />
giornate <strong>di</strong> particolare attrito:<br />
«Vabbe’ Anto’, sai che ti <strong>di</strong>co?
Lasciamo stare, va’. Tanto non<br />
cambierai mai!».<br />
Da quell’ultima constatazione,<br />
cominciava la solita tregua fino<br />
a sera, favorita pure dalla sepa-<br />
razione fisica dei due. Poi, An-<br />
tonio e Pia sarebbero tornati al<br />
punto <strong>di</strong> partenza.<br />
Ora, se un occhio esterno poteva<br />
pure guardare con un certo <strong>di</strong>-<br />
vertimento queste scenette tra
coniugi <strong>di</strong> mezza età, Ivan non<br />
riusciva più a sopportarle.<br />
Ogni mattina veniva svegliato<br />
dal fasti<strong>di</strong>oso motivetto bitona-<br />
le. I consueti ritornelli lo butta-<br />
vano giù dal letto con regolarità,<br />
nonostante una porta chiusa e<br />
svariati metri cubi <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza tra<br />
le sue orecchie e le bocche dei<br />
genitori.<br />
Non che gridassero, Antonio e<br />
Pia. Peggio: le loro voci, con
quei toni argentini, grondavano<br />
gocce <strong>di</strong> risentimento che riu-<br />
scivano a bagnare anche il letto<br />
<strong>di</strong> Ivan.<br />
Le prime parole a uscire dalla<br />
sua bocca nel nuovo giorno era-<br />
no più o meno sempre le stesse.<br />
«Che due rompicoglioni!».<br />
Se le ripeteva da solo o le rivol-<br />
geva <strong>di</strong>rettamente ai destinatari<br />
con la giusta enfasi – «Siete<br />
proprio due rompicoglioni!» –
qualora Antonio e Pia prolun-<br />
gassero più del dovuto le proprie<br />
schermaglie.<br />
<strong>In</strong>somma, anche lui ci teneva ad<br />
avere il suo nome sul copione.<br />
Entrava in scena la mattina, nel-<br />
la parte del figlio rozzo e male-<br />
ducato, per nulla a suo agio sot-<br />
to il tetto <strong>di</strong> mamma e papà.<br />
Il ruolo da recitare gli si ad<strong>di</strong>ce-<br />
va, non aveva bisogno <strong>di</strong> sforzi<br />
<strong>di</strong> immedesimazione.
Nessun problema.<br />
Un sospiro e si appoggiava sul<br />
letto, con un estemporaneo slan-<br />
cio <strong>di</strong> vitalità. Ripassava le bat-<br />
tute da gridare, me<strong>di</strong>tando, se<br />
necessario, un inasprimento dei<br />
toni.<br />
Quella sera, progettò <strong>di</strong> alzare il<br />
livello dello scontro verbale, an-<br />
che se i due non avessero ecce-<br />
duto.
La mattina dopo, avrebbe spara-<br />
to tuoni e fulmini. Tanto, ne era<br />
sicuro, le reazioni non sarebbero<br />
state <strong>di</strong>verse dal solito: occhi<br />
bassi e malcelata in<strong>di</strong>fferenza,<br />
con la possibilità <strong>di</strong> sentire Pia<br />
mortificarsi timidamente. «Scu-<br />
sa se ti abbiamo svegliato!».<br />
Mentre fissava a faccia in su la<br />
fila <strong>di</strong> poster che lo sovrastava,<br />
pensò che “rompicoglioni” era<br />
ormai inflazionato. Se non altro,
andava guarnito, integrato, rin-<br />
vigorito.<br />
“Che due rompicoglioni, caz-<br />
zo!” era meglio. Ma anche “caz-<br />
zo, siete davvero due rompico-<br />
glioni!” faceva il suo effetto.<br />
Un ulteriore miglioramento, poi,<br />
si sarebbe ottenuto con<br />
l’aggiunta <strong>di</strong> un “mi sono rotto<br />
<strong>di</strong> voi; io me ne vado da ‘sta ca-<br />
sa <strong>di</strong> pazzi, se non la finite”.
Scenografico ricatto con fuga<br />
del figlioletto.<br />
<strong>In</strong>tanto, mentre me<strong>di</strong>tava, si ac-<br />
corse che Giondò lo aveva stra-<br />
namente seguito. Si era posato<br />
accanto ai suoi pie<strong>di</strong>, rendendo<br />
insopportabile il calore già spri-<br />
gionato dal piumone. Con una<br />
pedata, Ivan lo costrinse a tro-<br />
varsi un’altra sistemazione.<br />
Il gatto gli lanciò un’occhiata<br />
in<strong>di</strong>gnata, senza riuscire a far
tornare sui suoi passi l’o<strong>di</strong>ato<br />
padroncino.<br />
«Ma che vuoi? – lo sfidò – Già è<br />
tanto che ti faccio stare qua den-<br />
tro. Non mi rompere pure tu!».<br />
Anche Giondò ci si metteva.<br />
Decise <strong>di</strong> ignorarlo e <strong>di</strong> cedere<br />
al richiamo del sonno.<br />
I rumori della strada, oltre a<br />
quelli ovattati del televisore,<br />
sembravano <strong>di</strong>ssolversi. Persino<br />
il dolore alla caviglia aveva
smesso <strong>di</strong> molestarlo, rinviando<br />
al giorno seguente le ultime fit-<br />
te.<br />
Una dormita avrebbe cancellato<br />
quella serataccia e spalancato il<br />
sipario per la sua entrata in sce-<br />
na mattutina.<br />
Nessun ghigno, nessuna conces-<br />
sione alle emozioni: si sarebbe<br />
presentato serio, incazzato, riso-<br />
luto. Forse, avrebbe corso il ri-<br />
schio <strong>di</strong> forzare la propria inter-
pretazione, tanto da perderci in<br />
cre<strong>di</strong>bilità. <strong>In</strong> quel caso, pazien-<br />
za: l’importante era andare in<br />
scena, “piantare casino”, come<br />
adorava <strong>di</strong>re lui.<br />
Si voltò su un fianco, trovando<br />
senza sforzi la posizione più ri-<br />
lassata.<br />
Era già sulla porta del mondo<br />
dei sogni quando un brusco bip-<br />
bip lo fece sussultare. Come al<br />
solito, aveva <strong>di</strong>menticato <strong>di</strong> spe-
gnere il telefonino. O, almeno,<br />
<strong>di</strong> zittirlo.<br />
Nuovo messaggio da Erica:<br />
CIAO. TT BENE? ALLORA C<br />
6 X USCIRE SABATO?<br />
FAMMI SAP. BACIO<br />
Come nulla fosse, pigiò il tasto<br />
rosso del telefono, mandando<br />
pure lui a dormire. Poi, per farlo<br />
stare più comodo, lo ripose sul
como<strong>di</strong>no con una parabolica<br />
manata.<br />
Giondò aveva trovato rifugio<br />
sopra la se<strong>di</strong>a della scrivania.<br />
Sembrava un gigantesco batuf-<br />
folo <strong>di</strong> cotone, illuminato a sten-<br />
to dai rivoli <strong>di</strong> luce esterna evasi<br />
dalla tapparella. Durante la notte<br />
avrebbe forse tentato un ulterio-<br />
re assalto al letto. <strong>In</strong> quel caso,<br />
un altro calcio non glielo avreb-<br />
be tolto nessuno.
Nella bizzarra galleria <strong>di</strong> Ivan,<br />
proprio lui, il batuffolone, era<br />
l’ultimo personaggio.<br />
Sulla sinistra, si stagliavano An-<br />
tonio e Pia; a destra, l’assassino<br />
e lo sbirro; in fondo, ecco pro-<br />
prio Giondò, in fuga a zampe<br />
levate verso l’altrove con una<br />
lama legata alla coda.<br />
Ivan camminava con affianco il<br />
cammello. Improvvisamente, si<br />
arrestò e lo guardò negli occhi.
Avrebbe voluto fargli a pezzi<br />
quella giacchetta nera e verde,<br />
tutta fosforescente. <strong>In</strong>vece, non<br />
lo toccò nemmeno. Anzi, por-<br />
tando la bocca vicino al suo o-<br />
recchio, gli chiese farfugliante:<br />
«E ora chi cazzo è sta Erica?».<br />
La voce si perse confusa nella<br />
stanza. Poi, più nulla.<br />
Silenzio totale fino al mattino.
LA STRATEGIA DELLO<br />
SCORPIONE<br />
Sopracciglia modellate. E<br />
quell’intruso?<br />
Lo specchio gli rivelava la pre-<br />
senza <strong>di</strong> un piccolo peletto nero<br />
pronto a prosperare dove non<br />
doveva. Approfittando delle te-<br />
nebre, l’ar<strong>di</strong>to era riuscito a<br />
piantarsi alla fine dell’arcata si-
nistra. E da lì lanciava la sua<br />
personale sfida alla simmetria.<br />
Davvero intollerabile la viola-<br />
zione della simmetria nelle so-<br />
pracciglia.<br />
Con cadenza quasi giornaliera,<br />
Ivan scolpiva le sue mezze lune<br />
sopra gli occhi, cercando <strong>di</strong> ren-<br />
derle perfettamente combacianti.<br />
Il <strong>di</strong>segno andava rispettato e<br />
ogni infrazione punita: nel loro<br />
spessore, le curve dovevano ri-
sultare sfumate verso l’esterno,<br />
con bor<strong>di</strong> netti e definiti. Nessu-<br />
na ricrescita al <strong>di</strong> fuori dei con-<br />
fini tracciati era accettata.<br />
Tra i nemici più sgra<strong>di</strong>ti, spic-<br />
cavano i peli affacciati sulla<br />
sommità del naso: quelli, oltre a<br />
minacciare l’armonia delle pro-<br />
porzioni, or<strong>di</strong>vano la costruzio-<br />
ne <strong>di</strong> un ponte che avrebbe potu-<br />
to collegare le due sponde. Non<br />
esisteva pietà per loro. La pin-
zetta <strong>di</strong> mamma Pia li estirpava<br />
con colpi decisi.<br />
Accennò un sorriso.<br />
Quella mattina aveva trascorso<br />
più tempo del solito con addosso<br />
i suoi profon<strong>di</strong> occhi ver<strong>di</strong>. Do-<br />
po la doccia, si era piazzato da-<br />
vanti allo specchio scrutando<br />
volto e torace con espressione<br />
ora incuriosita ora compiaciuta.<br />
Le labbra dal taglio infantile si<br />
inarcavano, rivelando
l’ammirazione per la propria<br />
immagine. Neppure quel naso<br />
lievemente pronunciato lo sco-<br />
raggiava, e la barba incolta, che<br />
<strong>di</strong> solito lo infasti<strong>di</strong>va, non con-<br />
teneva i suoi accessi <strong>di</strong> narcisi-<br />
smo.<br />
Rasatura rimandata.<br />
Sparito dalla circolazione il pelo<br />
ribelle, la sua attenzione si spo-<br />
stò dalla faccia verso il collo,<br />
per poi balzare sul petto. Al <strong>di</strong> là
<strong>di</strong> una graduale decolorazione<br />
della pelle, dovuta alle ultime<br />
lampade abbronzanti, fu un fo-<br />
runcolo paonazzo a immobiliz-<br />
zarne lo sguardo. Lo aveva già<br />
visto crescere nei giorni prece-<br />
denti: non era una scoperta nuo-<br />
va come il sopracciglio. Tuttavi-<br />
a, quel giorno, il brufolo si mo-<br />
strò al massimo del suo rossore.<br />
Stava là, pronto a esplodere,<br />
proprio sulla testa dello scorpio-
ne, che pareva una specie <strong>di</strong> Po-<br />
lifemo.<br />
Disgustoso.<br />
Lo scorpione era il tatuaggio <strong>di</strong><br />
Ivan, un bestione che strisciava<br />
giù dalla spalla destra fino<br />
all’altezza della bocca dello<br />
stomaco. Ai tempi della pale-<br />
stra, “sembrava che volasse”,<br />
come raccontava orgoglioso lui<br />
stesso quando ne ripercorreva la<br />
genesi.
«Bello! Quando l’hai fatto?».<br />
«Più o meno tre anni fa. Figo,<br />
eh? Pensa che quando l’ho fatto<br />
stava più alto, sembrava che vo-<br />
lasse … Beh sì, allora avevo an-<br />
che dei pettorali un po’ più<br />
spessi!».<br />
Questo era più o meno il ritor-<br />
nello.<br />
Senza zittire le note vanesie, fa-<br />
ceva <strong>di</strong> tutto per gonfiarsi <strong>di</strong> vi-<br />
rilità. Con poche parole, aveva
modo <strong>di</strong> raccontare la storia del-<br />
la palestra e quella del tatuaggio<br />
all’interlocutore <strong>di</strong> turno, pla-<br />
cando la propria smania <strong>di</strong> auto-<br />
celebrazione.<br />
Poco gli importava della reazio-<br />
ne: l’altro poteva ridere, sfotter-<br />
lo o essere realmente colpito. <strong>In</strong>-<br />
tanto, lui aveva messo in mostra<br />
se stesso.<br />
L’esibizione <strong>di</strong> sé era ciò che<br />
più lo sod<strong>di</strong>sfaceva. Adorava
guardarsi allo specchio, stu<strong>di</strong>ar-<br />
si, talvolta anche parlarsi. Erano<br />
momenti <strong>di</strong> rilassamento e <strong>di</strong><br />
sfogo, soprattutto perché non<br />
doveva sopportare la compagnia<br />
<strong>di</strong> nessuno.<br />
La mattina del sopracciglio e del<br />
brufolo, per esempio, era tra<br />
quelle che più lo ispiravano: si<br />
trovava solo, con il padre al la-<br />
voro e la madre rinchiusa in
qualche supermercato del quar-<br />
tiere.<br />
Se voleva un amico, lo rime<strong>di</strong>a-<br />
va in fretta. Non doveva fare al-<br />
tro che sollevare gli occhi verso<br />
lo specchio del bagno e trovare<br />
l’unica persona sulla faccia della<br />
Terra che gli andasse a genio.<br />
L’unico confidente, l’unico affi-<br />
dabile ascoltatore.
«Dobbiamo tornare in palestra,<br />
eh?», mormorò, contraendo i<br />
pettorali.<br />
Lo scorpione con l’occhio <strong>di</strong> pus<br />
si mosse minaccioso.<br />
Ivan appoggiò le mani sul la-<br />
van<strong>di</strong>no, chinandosi un poco in<br />
avanti e sfiorando la faccia<br />
dell’altro.<br />
Si accese una sigaretta, la prima<br />
della giornata, la più saporita.
<strong>In</strong> quei casi, assumeva pose non<br />
sue, prese a prestito dal ricordo<br />
<strong>di</strong> qualche attore dal fascino ma-<br />
ledetto.<br />
Si fissò e sputò fuori una nuvola<br />
<strong>di</strong> fumo, con gli occhi socchiusi<br />
e con una mano intenta ad acca-<br />
rezzare la nuca rasata.<br />
«Allora Iv, fammi capire una<br />
cosa…».<br />
Seguì un’altra profonda boccata.
«Cioè… io mi sono svegliato,<br />
sono andato a pisciare, ho fatto<br />
colazione e mi sono lavato. E<br />
ancora non ho sentito niente!<br />
Allora non si sono nascosti?<br />
Non c’è nessuno qua dentro!».<br />
L’analisi della mattinata lo tur-<br />
bava. Ma dove erano papà e<br />
mamma? Possibile che i loro<br />
schiamazzi non l’avessero sve-<br />
gliato?
«Possibile che non hanno fatto<br />
casino? È un miracolo! Eh, Iv?».<br />
Tornò ritto e incrociò le braccia.<br />
Poi spalancò gli occhi.<br />
«O forse è il prodotto della no-<br />
stra immaginazione? Tutto que-<br />
sto mondo, Iv, è il prodotto della<br />
nostra immaginazione?».<br />
Scandì la domanda, abbozzando<br />
un tono troppo plastificato per<br />
sembrare sincero e per inganna-
e l’altro. Che infatti non rispo-<br />
se, ma si limitò a ghignare.<br />
«Beato te che ri<strong>di</strong>! Qua c’è da<br />
piangere!».<br />
Continuò a inalare fumo, la-<br />
sciando cadere i granelli <strong>di</strong> ce-<br />
nere nel lavan<strong>di</strong>no.<br />
Il <strong>di</strong>rimpettaio faceva lo stesso.<br />
La recita lo <strong>di</strong>vertiva, ma non<br />
era che un surrogato dell’altra<br />
recita, quella prevista la sera<br />
precedente: aveva conservato
con cura le scorie <strong>di</strong> nervosi-<br />
smo, preservandole da un sonno<br />
profondo, e il fatto <strong>di</strong> non poter-<br />
le scaricare addosso ai genitori<br />
quasi lo frustrava.<br />
Senza dubbio, Ivan pativa le in-<br />
cazzature spezzate. C’era in lui<br />
qualcosa <strong>di</strong> geometricamente<br />
scostante: i cattivi umori pote-<br />
vano rimanergli dentro per mesi,<br />
se non ne venivano tagliate subi-
to le ra<strong>di</strong>ci, anche in mo<strong>di</strong><br />
all’apparenza eccessivi.<br />
Quanto più la gente e le circo-<br />
stanze lo costringevano a covare<br />
e a rimuginare, tanto più le sue<br />
ineluttabili reazioni rischiavano<br />
<strong>di</strong> andare sopra le righe.<br />
Una testa calda? Guai a <strong>di</strong>rglie-<br />
lo. Un brutto carattere? «Sarà<br />
bello il tuo!», replicava.
Conoscendolo, Pia non si stupì<br />
troppo del comportamento del<br />
figlio al telefono.<br />
Aveva appena spento la sigaret-<br />
ta, quando i trilli ripetuti lo por-<br />
tarono fuori dal bagno per ri-<br />
spondere.<br />
«Ivan?».<br />
«Sì? Che c’è?», fece lui, con<br />
voce un po’ te<strong>di</strong>ata e un po’<br />
supponente.
«Ma allora sei ancora a casa?<br />
Ho provato a chiamarti al cellu-<br />
lare, ma era spento».<br />
«E allora?».<br />
«Scusa, non dovevi andare a le-<br />
zione stamattina? Non pensavo<br />
<strong>di</strong> trovarti a casa».<br />
«Non ci sono andato».<br />
«Bravo… Bravo… Continua co-<br />
sì, mi raccomando. Con tutti i<br />
sol<strong>di</strong>… Vabbe’, lasciamo stare».
Ben surriscaldato dal tono pre-<br />
<strong>di</strong>catorio della madre, ci mise un<br />
attimo a raccogliere tutti gli stra-<br />
li zuppi <strong>di</strong> veleno e a lanciar-<br />
glieli addosso.<br />
«M’hai chiamato per questo?<br />
Eh?».<br />
Poi proseguì, lasciando rotolare<br />
le parole.<br />
«E se dormivo? Mi avresti sve-<br />
gliato. Come al solito… Tanto a<br />
voi non vi frega niente se fate
casino la mattina. O sbaglio?<br />
No, ma <strong>di</strong>mmi che volevi. Vole-<br />
vi controllare se ero andato al<br />
cazzo <strong>di</strong> università. Come ve<strong>di</strong>,<br />
non ci sono andato al cazzo <strong>di</strong><br />
università. Non avevo voglia».<br />
«Poi tanto gli esami non li fai»,<br />
provò a interromperlo Pia.<br />
«Gli esami, gli esami… Che<br />
palle!».
Il fatto <strong>di</strong> stare con il telefono in<br />
mano non gli impe<strong>di</strong>va <strong>di</strong> gesti-<br />
colare teatralmente.<br />
«Vabbe’, vabbe’, vabbe’, – ta-<br />
gliò corto la madre – T’ho<br />
chiamato solo per chiederti se<br />
hai bisogno <strong>di</strong> qualcosa, visto<br />
che sto facendo la spesa. Ma mi<br />
sa che non vuoi niente, vero?».<br />
«Vero!».<br />
«Ciao, allora», tranciò Pia, che<br />
interruppe la comunicazione
senza attendere ulteriori repli-<br />
che.<br />
Ivan rimase per un istante con<br />
l’orecchio attaccato a quel ritmi-<br />
co tu-tuu. Poi, sbatté giù forte il<br />
telefono e se ne tornò in bagno.<br />
Si sentì subito meglio.<br />
Certo, non era la scena che ave-<br />
va preventivato, però poteva ac-<br />
contentarsi. Mancava solo una<br />
telefonata del padre, così non<br />
avrebbe fatto <strong>di</strong>sparità. Ma quel-
la, lo sapeva bene, non sarebbe<br />
arrivata.<br />
Papà Antonio sarebbe stato sfi-<br />
dato più tar<strong>di</strong>, anche se le possi-<br />
bilità <strong>di</strong> colpirlo erano pochis-<br />
sime.<br />
Alla sera, <strong>di</strong> ritorno dal lavoro,<br />
l’uomo sprizzava abulia da tutti<br />
i pori. Non era afflitto solo da<br />
una mollezza fisica, dalla stan-<br />
chezza per la giornata trascorsa<br />
nel bailamme <strong>di</strong> una stazione.
C’era dell’altro: una sorta <strong>di</strong> mal<br />
<strong>di</strong> vivere, <strong>di</strong> progressiva per<strong>di</strong>ta<br />
<strong>di</strong> interesse per tutto e tutti. Era<br />
come se, con il passare del tem-<br />
po, si stesse chiudendo negli an-<br />
gusti confini del suo mondo e<br />
non avvertisse il bisogno <strong>di</strong> eva-<br />
derne, almeno <strong>di</strong> tanto in tanto.<br />
Un fossile.
Anni prima, quando Ivan era<br />
piccolo, il padre <strong>di</strong>sponeva <strong>di</strong><br />
molti antidoti contro la monoto-<br />
nia della propria esistenza: per<br />
sollevarsi il morale, gli bastava<br />
suonare una chitarra o vedere<br />
una partita della Juve allo sta-<br />
<strong>di</strong>o.<br />
Più <strong>di</strong> ogni altra cosa, adorava<br />
andare al cinema: <strong>di</strong>ceva che fa-<br />
re l’attore era stato un suo sogno<br />
nel cassetto e raccontava sempre
<strong>di</strong> aver recitato dei ruoli in un<br />
paio <strong>di</strong> film. Era successo da<br />
giovane, a Roma, l’anno dopo il<br />
servizio militare.<br />
<strong>In</strong>oltre, gli piaceva passare i fine<br />
settimana al mare o in campa-<br />
gna, e non <strong>di</strong>sdegnava nemmeno<br />
le cene fuori casa. A quelle, pe-<br />
rò, il figlio non veniva invitato.<br />
Mamma e papà in pizzeria con<br />
gli amici; lui a casa con una<br />
vecchia.
Il ricordo <strong>di</strong> quel periodo, sep-<br />
pur sfocato, brillava ancora fer-<br />
vido negli occhi <strong>di</strong> Zuffa.<br />
<strong>In</strong> particolare, era la figura della<br />
vecchia tata a rappresentare un<br />
punto <strong>di</strong> riferimento importante:<br />
non aveva <strong>di</strong>menticato quel per-<br />
sonaggio burbero, circondato da<br />
una sgradevole aura cipollosa,<br />
alle cui attenzioni veniva spesso<br />
affidato. Doveva essere una lon-<br />
tana parente <strong>di</strong> zia Carla.
La megera lo ingozzava con ci-<br />
barie <strong>di</strong>sgustose <strong>di</strong> sua prepara-<br />
zione. E invece <strong>di</strong> intrattenerlo<br />
con stupi<strong>di</strong>, ma gra<strong>di</strong>ti, giochetti<br />
infantili, lo piazzava davanti a<br />
un televisore su cui scorrevano<br />
le immagini <strong>di</strong> qualche sceneg-<br />
giato messicano. Tutto ciò, men-<br />
tre “mammina e paparino se la<br />
spassavano al ristorante”.<br />
Precoci amicizie con la rabbia.
Dopo circa due decenni, Ivan<br />
non poteva capacitarsi <strong>di</strong> quanto<br />
fosse cambiata la famiglia. So-<br />
prattutto, non si spiegava come<br />
quell’uomo imbolsito, tutto la-<br />
voro e <strong>di</strong>vano, potesse essere lo<br />
stesso padre.<br />
Chissà perché, poi. Chissà da<br />
cosa era procurata quella per<strong>di</strong>ta<br />
<strong>di</strong> vitalità che ne appiattiva<br />
l’umore.
Ovviamente, questa con<strong>di</strong>zione<br />
aveva smussato anche gli spigoli<br />
più tempestosi <strong>di</strong> Antonio, gli<br />
aspetti meno docili del suo ca-<br />
rattere: tutto il suo spirito pole-<br />
mico, per esempio, era venuto a<br />
mancare, tanto da consegnare ai<br />
ricor<strong>di</strong> i lunghi e chiassosi batti-<br />
becchi <strong>di</strong> cui l’uomo sapeva es-<br />
sere protagonista.<br />
Non che a Ivan mancassero le<br />
pre<strong>di</strong>che rutilanti <strong>di</strong> papà; tutta-
via, percepiva la loro assenza<br />
quasi come il venir meno <strong>di</strong> un<br />
car<strong>di</strong>ne della sua infanzia e della<br />
sua adolescenza.<br />
<strong>In</strong>somma, se aveva intrecciato<br />
un rapporto col padre, quello era<br />
stato costruito solo intorno a un<br />
consolidato gioco delle parti:<br />
lui, l’asfissiato, l’oppresso; An-<br />
tonio, l’asfissiante, l’oppressore.<br />
Senza l’oppressore, il rapporto<br />
stesso si sgretolava. E la cosa
non lo lasciava certo in<strong>di</strong>fferen-<br />
te, facendogli rimpiangere il pe-<br />
riodo in cui le sfide verbali cer-<br />
tificavano almeno l’esistenza <strong>di</strong><br />
una relazione tra padre e figlio.<br />
Ci aveva provato a ricreare si-<br />
tuazioni da duello. Ma il vec-<br />
chio pistolero non aveva abboc-<br />
cato all’amo. Se n’era rimasto<br />
seduto sul <strong>di</strong>vano, il telecoman-<br />
do in mano, la sella appesa a un<br />
chiodo e la colt nella fon<strong>di</strong>na.
Ormai, preferiva guardare gli al-<br />
tri che li facevano, i duelli. Or-<br />
mai, era <strong>di</strong>ventato impossibile<br />
pure farlo incazzare.<br />
<strong>In</strong> realtà, a pensarci bene, una<br />
possibilità c’era. Piccola, ma e-<br />
sisteva. E su quella, Ivan avreb-<br />
be potuto puntare.<br />
Non <strong>di</strong>pendeva né da lui né dal<br />
padre, ma da mamma Pia: solo<br />
lei sapeva smuovere il marito
dalla catatonia delle pantofole, a<br />
patto che si creasse una <strong>di</strong>sputa,<br />
che ci fosse un colpevole contro<br />
cui fare blocco. <strong>In</strong> quei casi, se<br />
Pia tirava fuori gli artigli, trasci-<br />
nava dalla sua parte chiunque<br />
nell’ambiente domestico, anche<br />
Giondò.<br />
Sapeva sfoderare una grinta che<br />
ricordava quella <strong>di</strong> Antonio ai<br />
bei tempi.
Quando le scenette mattutine sul<br />
televisore degeneravano, era<br />
sempre lei a esplodere l’ultima<br />
parola. E poi, si faceva talmente<br />
assillante, soffocante, assordante<br />
che si era costretti ad assecon-<br />
darla, magari per sfinimento.<br />
Se Pia si metteva d’impegno a<br />
sostenere una tesi o ad attizzare<br />
una <strong>di</strong>atriba, il marito, anche<br />
senza troppa convinzione, stava<br />
con lei. A patto che, naturalmen-
te, non fosse lui il cattivo <strong>di</strong> tur-<br />
no.<br />
Il problema era il motivo del<br />
contendere.<br />
Non bastava che la moglie al-<br />
zasse la voce: la sua accusa do-<br />
veva suscitare l’interesse <strong>di</strong> An-<br />
tonio, e la cosa non era sempli-<br />
ce. Per mobilitare il grande ca-<br />
po, la questione doveva essere<br />
seria, scavare nella scorza della<br />
sua generale in<strong>di</strong>fferenza.
Ad esempio, se Pia recitava la<br />
litania dei ritar<strong>di</strong> notturni <strong>di</strong> I-<br />
van, il pistolero non batteva ci-<br />
glio.<br />
«È possibile che torni sempre<br />
così tar<strong>di</strong> quando esci la sera?<br />
Ma io mi chiedo se è possibile.<br />
Eh? Sempre a ballare te ne vai?<br />
Eh? Fino alle sei o alle sette?<br />
Eh?».<br />
Nonostante fosse presente agli<br />
interrogatori, Antonio se ne sta-
va muto. O, al massimo, inter-<br />
veniva dalle retrovie con un<br />
«Pia, puoi parlare più piano, ché<br />
non sento niente?».<br />
Così facendo, la sgonfiava, le<br />
faceva mancare quella spalla<br />
con cui avrebbe affossato il fi-<br />
glio, costringendola a uscire <strong>di</strong><br />
scena a testa bassa.<br />
«Va bene, non parlo più… Tan-<br />
to a te che te ne frega? Basta che
hai la televisione tu! Sai che ti<br />
<strong>di</strong>co? Ma lasciamo stare».<br />
Stop. Finiva tutto là.<br />
Di una solfa così, Ivan non ave-<br />
va necessità. Era più o meno la<br />
stessa che si sorbiva ogni gior-<br />
no: madre inutilmente in trincea<br />
e padre <strong>di</strong>sertore.<br />
Risultato: con lui non parlava<br />
quasi mai.
<strong>In</strong>somma, affinché le cose cam-<br />
biassero, era necessario solleva-<br />
re la leva giusta.<br />
Quale fosse questa leva, la ma-<br />
dre glielo aveva suggerito al te-<br />
lefono, senza volerlo:<br />
l’università.<br />
Era quello l’argomento buono<br />
per smuovere il padre, per de-<br />
starlo dal torpore. Quando Pia<br />
caricava sull’università, Antonio<br />
<strong>di</strong>ventava improvvisamente in-
teressato. E se schiacciava a ri-<br />
petizione il tasto economico, il<br />
marito poteva ad<strong>di</strong>rittura spe-<br />
gnere il televisore e alzarsi dal<br />
<strong>di</strong>vano.<br />
Il denaro rimaneva uno dei po-<br />
chi catalizzatori della sua atten-<br />
zione. Le tasse per gli stu<strong>di</strong> del<br />
figlio rappresentavano una mar-<br />
tellante seccatura, soprattutto<br />
perché, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> Pia, non
lo aveva mai forzato più <strong>di</strong> tanto<br />
a starsene sui libri.<br />
Da anni, aveva infatti intuito che<br />
«il ragazzo non è portato per<br />
stu<strong>di</strong>are», che «non ha voglia»,<br />
che «è inutile fargli perdere<br />
tempo e sol<strong>di</strong>».<br />
Per sua moglie, invece, «il ra-<br />
gazzo deve stu<strong>di</strong>are, a calci, an-<br />
che se non ha voglia». Punto e a<br />
capo.
Negli ultimi tre anni e mezzo,<br />
però, da quando Ivan aveva ini-<br />
ziato l’università, anche<br />
l’intransigenza della donna si<br />
era a mano a mano ammorbi<strong>di</strong>-<br />
ta. Non aveva del tutto smarrito<br />
la speranza <strong>di</strong> appendere alla pa-<br />
rete la laurea del figlio; tuttavia,<br />
osservandone il magro ren<strong>di</strong>-<br />
mento, – in tutto sei esami so-<br />
stenuti, <strong>di</strong> cui solo tre superati –
faticava sempre più a portare<br />
avanti la propria battaglia.<br />
L’aspetto finanziario, poi, non le<br />
era certo in<strong>di</strong>fferente, anche per-<br />
ché, quelli fatti per tasse e libri,<br />
parevano degli investimenti per-<br />
duti. Gradualmente, si era spo-<br />
stata verso le tesi <strong>di</strong> Antonio,<br />
tanto che i due, negli ultimi<br />
tempi, si trovavano a pre<strong>di</strong>care<br />
lo stesso sermone.
Dunque, Ivan sapeva bene su<br />
cosa cementare l’alleanza tra<br />
papà e mamma. Non avrebbe<br />
dovuto far altro che buttare sul<br />
tavolo l’argomento “università”:<br />
Pia sarebbe partita subito a spa-<br />
da tratta e avrebbe trascinato pu-<br />
re Antonio, meno sanguigno e<br />
impietoso <strong>di</strong> lei, ma almeno par-<br />
tecipe, vispo e magari un po’ in-<br />
cazzato.
Così, finalmente, avrebbe otte-<br />
nuto il suo confronto con il pa-<br />
dre. Poco importava se pacifico<br />
o bellicoso. Almeno era un con-<br />
fronto.<br />
Mirare a una situazione esplosi-<br />
va pur <strong>di</strong> comunicare con qual-<br />
cuno: per lui, un concetto nor-<br />
male.
Il progetto era chiarito: la man-<br />
cata tempesta del mattino era so-<br />
lo rinviata alla sera. Anche il ti-<br />
zio dello specchio avallò il ra-<br />
gionamento, e lo scorpione par-<br />
ve rincuorato <strong>di</strong> aver ritrovato il<br />
padrone attaccabrighe.<br />
Ivan lo fissò, provando un po’ <strong>di</strong><br />
compassione per la sua testa<br />
vermiglia.<br />
Chissà se pensava davvero que-<br />
sto, lo scorpione. Se davvero lo
iteneva un attaccabrighe, a-<br />
vrebbe dovuto incontrarlo ai<br />
tempi della scuola: in quel peri-<br />
odo, davvero, era sempre “in<br />
cerca <strong>di</strong> risse con tutti”.<br />
Altra epoca.<br />
Quello dello specchio fu<br />
d’accordo nel non dare troppo<br />
peso alla bestia. Guardando Zuf-<br />
fa mentre si rivestiva, gli offrì la<br />
sua completa approvazione. Poi,<br />
accorgendosi che stava per usci-
e dal bagno, non poté esimersi<br />
dal ricordargli un particolare<br />
importante.<br />
Fece riferimento alla sera prece-<br />
dente, perché lui pareva esserse-<br />
ne <strong>di</strong>menticato.<br />
Il cellulare, il cammello, Erica.<br />
Ecco, appunto.<br />
«Ma ora si può sapere chi cazzo<br />
è sta Erica?».
SILVANO<br />
Un nuovo messaggio. Appena<br />
riportato in vita, il telefonino<br />
accolse così il suo proprietario.<br />
Nuovo messaggio da Manu:<br />
OH… MA DORMI? VIENI IN<br />
FACOLTÀ… CI SIAMO TUT-<br />
TI STAMATTINA. FAMMI<br />
SAP.
DAI… ORA MI VESTO E<br />
ARRIVO<br />
Manuele era stato assai più con-<br />
vincente della madre.<br />
<strong>In</strong> una manciata <strong>di</strong> minuti, Ivan<br />
si catapultò in strada e montò<br />
nella sua Punto blu.<br />
Il cielo su Torino era insolita-<br />
mente terso quella mattina. Me-<br />
rito <strong>di</strong> un venticello intermitten-
te che aveva fuso il piombo del-<br />
le nuvole. L’aria non era nem-<br />
meno molto pungente.<br />
Anticipo <strong>di</strong> primavera.<br />
Sfrecciando tra due file <strong>di</strong> alberi<br />
spogli, Zuffa osservava il lungo<br />
viale davanti a sé, <strong>di</strong>stratto dalla<br />
ra<strong>di</strong>o e da una sgradevole melo-<br />
<strong>di</strong>a orientale.<br />
Ripensava ai momenti trascorsi<br />
in bagno, a cazzeggiare <strong>di</strong> fronte<br />
allo specchio. Ripensava
all’enigma, non ancora risolto,<br />
<strong>di</strong> Erica. Gliel’aveva ricordato<br />
anche il suo sosia, ma il mes-<br />
saggio <strong>di</strong> Manuele aveva portato<br />
tutto il resto in secondo piano.<br />
Chi era, dunque, questa Erica,<br />
che lo aveva tormentato prima<br />
in sogno e poi da sveglio?<br />
Ivan continuava a lanciare oc-<br />
chiate interrogative al cellulare<br />
multicolore.
«Non rispondere. Fregatene!»,<br />
pareva suggerire quello dal suo<br />
letto sul cruscotto.<br />
Forse gli avrebbe dato retta. Ma<br />
almeno voleva <strong>di</strong>ffondere un po’<br />
<strong>di</strong> chiarore nella memoria.<br />
Per concentrarsi, spense anche<br />
la ra<strong>di</strong>o. La musichetta orientale<br />
lo in<strong>di</strong>spettiva.<br />
All’inizio, nulla. Solo i binari<br />
del tram che scivolavano sotto le<br />
ruote. Poi, dopo qualche pas-
saggio a vuoto, la mente riuscì<br />
finalmente a venir fuori dal labi-<br />
rinto.<br />
Era successo al Fisix, due o tre<br />
settimane prima. La stessa sera<br />
in cui aveva litigato con Elisa.<br />
Ubriaco fra<strong>di</strong>cio.<br />
Ecco, sì. Questa Erica era<br />
un’amica <strong>di</strong> Manuele. Era stata<br />
lei a rivolgergli la parola, men-<br />
tre lui se ne stava seduto in un<br />
angolo. Di cosa avevano parla-
to? Si rese conto <strong>di</strong> osare un po’<br />
troppo con il suo cervello. Quel-<br />
lo, proprio, non avrebbe saputo<br />
raccontarglielo.<br />
L’unica luce spargeva un vivido<br />
bagliore rosso. Il rosso sgargian-<br />
te <strong>di</strong> un paio <strong>di</strong> tacchi a spillo e<br />
<strong>di</strong> un rossetto morbido e sensua-<br />
le.<br />
Si stupì della sua capacità <strong>di</strong> ri-<br />
cordare le labbra, ma non il vol-<br />
to che stava intorno. Doveva es-
sere proprio conciato male quel-<br />
la notte.<br />
Probabilmente, i due si erano<br />
parlati a lungo, tanto da decidere<br />
<strong>di</strong> rivedersi, magari <strong>di</strong> uscire in-<br />
sieme un sabato sera.<br />
Uno scambio dei numeri <strong>di</strong> tele-<br />
fono e stop, era finita lì. Anche<br />
perché lei non si era più fatta vi-<br />
va. Non uno squillo, non un<br />
messaggio. Eppure, <strong>di</strong> giorni ne
erano passati. E tanti, a giu<strong>di</strong>ca-<br />
re dall’annebbiamento.<br />
Certo, se il resto fosse stato<br />
all’altezza della bocca… Un bel<br />
colpo.<br />
Altrimenti? Pazienza.<br />
<strong>In</strong> fondo, il contatto lo aveva ri-<br />
stabilito lei: dunque, l’interesse<br />
per Ivan esisteva. Lui, dal canto<br />
suo, non si sarebbe certo tirato<br />
in<strong>di</strong>etro. Anzi, avrebbe puntato<br />
sul fatto <strong>di</strong> tenere in pugno il
manico del coltello, <strong>di</strong> poter<br />
scegliere se concedersi o man-<br />
darla in bianco. Opzione,<br />
quest’ultima, che raramente<br />
prendeva in considerazione.<br />
“A meno che non sia proprio un<br />
mostro schifoso”.<br />
Il telefonino non sembrò ralle-<br />
grarsi per la decisione<br />
dell’uomo al volante.
CIAO. IO TT BENE… TU? È<br />
UN PO’ DI GIORNI CHE TI<br />
PENSO. MI PIACEREBBE<br />
USCIRE. TI VA BENE VE-<br />
NERDÌ? SABATO NN POSSO.<br />
MAGARI SI VA A FARE<br />
L’APERITIVO. SMACK<br />
Gli occhi furbetti ballavano il<br />
loro valzer metropolitano. Un<br />
passo sulla strada, un passo sulla
tastiera del cellulare, tenendo al<br />
guinzaglio il pollice destro.<br />
La replica giunse imme<strong>di</strong>ata,<br />
quasi che Erica si tenesse pronta<br />
a rispondere sin dalla sera pre-<br />
cedente. Come preventivato, si<br />
trattò <strong>di</strong> un SÌ, NON C’È PRO-<br />
BLEMA. A PRESTO.<br />
Figurarsi.<br />
Ivan, che intanto aveva par-<br />
cheggiato la Punto, lesse lo<br />
scarno comunicato mentre era
già in cammino verso<br />
l’università. Non seppe trattene-<br />
re una risata sonora, paro<strong>di</strong>ca-<br />
mente malvagia. Poi iniziò a far<br />
roteare a tempo le chiavi della<br />
macchina nella mano sinistra,<br />
accompagnando così il suo pas-<br />
so clau<strong>di</strong>cante.<br />
La caviglia gli dava ancora un<br />
po’ <strong>di</strong> fasti<strong>di</strong>o.<br />
Solo quando fu in vista <strong>di</strong> Pa-<br />
lazzo Nuovo, fermò il volteggio
e mise in tasca mano e chiavi.<br />
Fu un riflesso con<strong>di</strong>zionato: la<br />
sua attenzione, da Erica e la sua<br />
bocca <strong>di</strong>sponibile, fu costretta a<br />
virare bruscamente verso ciò che<br />
si trovò davanti.<br />
Sul più alto dei gradoni erano<br />
ammassati dei fiori.<br />
Si avvicinò incuriosito. C’erano<br />
gla<strong>di</strong>oli, garofani, calle e una ro-<br />
sa mezza appassita. Un pezzo <strong>di</strong>
carta liso, legato alla ringhiera,<br />
recava scritto:<br />
NON TI DIMENTICHEREMO<br />
Seguivano alcune firme incom-<br />
prensibili.<br />
Chi era morto? Ivan pensò subi-<br />
to a uno studente. D’altra parte,<br />
i gradoni erano sempre stati il<br />
più naturale ricovero della popo-<br />
lazione universitaria.
Prima delle lezioni, dopo gli e-<br />
sami o quando capitava, gruppi<br />
<strong>di</strong> ragazzi sostavano su quei<br />
grossi scaloni <strong>di</strong> pietra, che for-<br />
mavano una specie <strong>di</strong> ferro <strong>di</strong><br />
cavallo a ridosso dell’ingresso<br />
del palazzone. Un palazzone<br />
squadrato, vecchio, plumbeo,<br />
che la gente chiamava Nuovo.<br />
Ci voleva coraggio.<br />
Sui gradoni si sedevano tutti: il<br />
secchione occhialuto, per rive-
dere gli appunti stu<strong>di</strong>ati; il per-<br />
<strong>di</strong>tempo vitellone, per trascorre-<br />
re il suo pomeriggio tra una si-<br />
garetta e un tentativo <strong>di</strong> rimor-<br />
chio; il portaborse ansioso, per<br />
scambiare quattro chiacchiere<br />
telefoniche con il suo <strong>di</strong>nosauro<br />
cattedratico; le sirenette in cerca<br />
<strong>di</strong> compagnia, con i loro tranci<br />
<strong>di</strong> pizza aristocraticamente mor-<br />
<strong>di</strong>cchiati; la cricca <strong>di</strong> sballati,<br />
con sigarette dall’aroma giamai-
cano; il pusher maghrebino, in<br />
attesa del prossimo cliente faci-<br />
le.<br />
Questa era la fauna <strong>di</strong> Palazzo<br />
Nuovo, un’umanità varia che<br />
forse solo l’estate consentiva <strong>di</strong><br />
apprezzare appieno. Ai primi<br />
cal<strong>di</strong> <strong>di</strong> giugno, infatti, le varie<br />
razze uscivano tutte insieme allo<br />
scoperto, componendo un mo-<br />
saico <strong>di</strong> suoni e colori unico per<br />
Torino.
Lo spazio antistante il palazzone<br />
<strong>di</strong> metallo <strong>di</strong>veniva così una<br />
spiaggia: la Playa, per molti dei<br />
suoi frequentatori.<br />
Non c’erano mare, pedalò e fan-<br />
ciulle in bikini. Ai coatti del<br />
cemento urbano bastavano i<br />
ghiaccioli, le partite a pallone<br />
sull’asfalto e la fantasia <strong>di</strong> cre-<br />
dersi altrove. Una volta – Ivan<br />
lo rammentava, poiché era acca-<br />
duto alla sua prima estate alla
Playa – si era vista ad<strong>di</strong>rittura<br />
una se<strong>di</strong>a a sdraio con<br />
l’ombrellone.<br />
Nei paraggi <strong>di</strong> Palazzo Nuovo,<br />
tutti conoscevano gli affezionati<br />
dei gradoni. Lo studente morto<br />
doveva essere uno <strong>di</strong> questi: non<br />
si sarebbero spiegati altrimenti il<br />
ricordo pubblico, i fiori, il bi-<br />
gliettino. <strong>In</strong> ogni caso, si trattava<br />
<strong>di</strong> una scena insolita.
Ivan lanciò meccanicamente un<br />
fiotto <strong>di</strong> saliva a terra. Poi, ri-<br />
prese il cammino interrotto, vol-<br />
tandosi <strong>di</strong> tanto in tanto verso i<br />
fiori.<br />
Il gigante <strong>di</strong> metallo gli si pre-<br />
sentò davanti in tutta la sua im-<br />
ponenza, ma lo ignorò. Manuele<br />
e gli altri erano più avanti,<br />
nell’e<strong>di</strong>ficio delle aule stu<strong>di</strong>o.<br />
Con una smorfia <strong>di</strong> insofferenza,<br />
esibì il suo tesserino universita-
io alla donna dai capelli <strong>di</strong> car-<br />
tapesta sistemata all’ingresso.<br />
Quella non <strong>di</strong>sse una parola, li-<br />
mitandosi a uno stanco cenno<br />
affermativo con la testa. Era<br />
troppo concentrata nella risolu-<br />
zione <strong>di</strong> un minuscolo cruciver-<br />
ba per controllare da vicino la<br />
tessera. Per quanto la riguarda-<br />
va, l’avventore avrebbe potuto<br />
presentare anche la patente o il<br />
bancomat.
Gli intrusi avevano vita facile.<br />
Superato l’inutile mezzobusto,<br />
Ivan si <strong>di</strong>resse nel seminterrato.<br />
Era certo <strong>di</strong> trovare gli amici là,<br />
raccolti attorno al tavolino della<br />
sala ristoro. Gli schiamazzi lo<br />
accolsero in anticipo.<br />
«Ma che culo che hai!».<br />
«Bravo Manu, hai proprio ra-<br />
gione!».<br />
«Ma vaffanculo… cioè… ho in<br />
mano un full servito e questo fa
poker! Ma basta, io me ne vado<br />
a casa».<br />
Una scomposta risata corale in-<br />
corniciò il momento. Manuele<br />
fu l’unico a non prendervi parte,<br />
sbattendo sul tavolo i pugni e<br />
alzandosi <strong>di</strong> scatto. Aveva perso<br />
pochi euro, ma pareva seriamen-<br />
te incollerito. Solo l’arrivo <strong>di</strong><br />
Ivan fece ricomparire il sorriso<br />
sul suo volto.
Venne colto alle spalle, mentre<br />
giocherellava con la macchinetta<br />
del caffè.<br />
«E poi sono io che porto sfiga»,<br />
improvvisò Zuffa, con tono<br />
complice.<br />
«Ehilà! – rispose l’altro voltan-<br />
dosi <strong>di</strong> scatto – Ma lascia perde-<br />
re, guarda. Full, avevo. Full ser-<br />
vito. E Luca? Mi va a fare po-<br />
ker… ».
«Poker <strong>di</strong> Kappa!», completò<br />
Luca. La sua battuta beffarda<br />
venne corredata da una teoria <strong>di</strong><br />
ghigni, a cui fecero seguito al-<br />
cuni «Ciao Ivan. Tuttapposto?».<br />
«Sì, sì. Tuttocchei. Certo che<br />
l’avete proprio trovato un pollo,<br />
eh? Se c’ero io… Altro che sto-<br />
rie».<br />
«Ma gioca, dai! Che ci vuole?<br />
Ci facciamo un altro po’ <strong>di</strong> ma-<br />
ni».
«No, niente… Lasciatelo sta-<br />
re!», intervenne bruscamente<br />
Manuele, che quasi rischiò <strong>di</strong> ri-<br />
sputare il caffè pronto per essere<br />
ingurgitato.<br />
«Oh, non ti agitare, Manu. Poi ti<br />
va per traverso e ti strozzi!»,<br />
scherzò ancora Luca, lieto <strong>di</strong> su-<br />
scitare l’ilarità collettiva.<br />
«Ma sta’ zitto, va’! Lui adesso<br />
viene a fumare con me, ché gli<br />
devo parlare».
«Veramente, io sono venuto qua<br />
pure per giocare», sorrise Ivan.<br />
«Vabbe’, se vuoi giochi dopo.<br />
An<strong>di</strong>amo un po’ a fumare ora,<br />
ok? Te ne offro una io, dai».<br />
Manuele gli sventolò il pacchet-<br />
to azzurrino davanti al naso.<br />
Seconda sigaretta della giornata.<br />
Si rallegrò del suo modesto con-<br />
sumo nicotinico. Da qualche<br />
tempo, si era messo in testa <strong>di</strong>
smettere <strong>di</strong> fumare: prendere co-<br />
scienza che, fino a quel momen-<br />
to della mattinata, ne aveva con-<br />
sumata una soltanto, lo galva-<br />
nizzò.<br />
Peraltro, sapeva bene che rinun-<br />
ciare del tutto al tabacco sarebbe<br />
stata un’impresa improba. Al-<br />
meno in tempi brevi, era suffi-<br />
ciente abbassare il più possibile<br />
la soglia abituale delle venti si-<br />
garette quoti<strong>di</strong>ane.
Come al solito,<br />
l’autocompiacimento doveva es-<br />
sere comunicato agli altri: i<br />
complimenti se li doveva rivol-<br />
gere a voce alta, in presenza <strong>di</strong><br />
qualcuno, un qualsiasi amplifi-<br />
catore per le proprie sod<strong>di</strong>sfa-<br />
zioni personali.<br />
<strong>In</strong> quel caso, tentò <strong>di</strong> servirsi<br />
dell’amico, masticando a bocca<br />
aperta l’orgoglio per la sua resi-<br />
stenza al pacchetto. Tuttavia,
Manuele non si prestò a stare al<br />
gioco, <strong>di</strong>rottando le parole su un<br />
altro argomento.<br />
«Vabbe’, – tagliò corto – ho ca-<br />
pito che sei bravo e che smetti<br />
quando vuoi. Però comunque ti<br />
fai le canne…».<br />
Non replicò, limitandosi a sbuf-<br />
fare un nembo grigiastro a fac-<br />
cia in su.
«Comunque, a parte questo, –<br />
proseguì Manu – volevo <strong>di</strong>rti<br />
che ti ho iscritto al concorso».<br />
Un po’ infreddolito, Ivan tirò su<br />
la cerniera del giubbotto e si si-<br />
stemò la sciarpa. Pareva <strong>di</strong> nuo-<br />
vo intenzionato a non proferire<br />
parola; in realtà, stava solo at-<br />
tendendo <strong>di</strong> accumulare un buon<br />
volume <strong>di</strong> fumo nei polmoni,<br />
per poi sputarlo fuori scenogra-<br />
ficamente.
Fatto ciò, deglutì e si rivolse con<br />
aria inquisitoria a Manuele.<br />
«Che cazzo hai fatto, scusa?».<br />
«Dai… Il concorso… Quello del<br />
Fisix. Te l’avevo detto, no?», si<br />
giustificò Manuele, tenendo lo<br />
sguardo dritto sulle proprie scar-<br />
pe. Conosceva il rischio: doveva<br />
evitare che la mano <strong>di</strong> Ivan lo<br />
afferrasse nei successivi trenta<br />
secon<strong>di</strong>. Era quello, più o meno,
il tempo <strong>di</strong> reazione me<strong>di</strong>o<br />
dell’impulsività <strong>di</strong> Zuffa.<br />
Trenta secon<strong>di</strong>, mezzo minuto.<br />
Poi, avrebbe potuto spiegargli<br />
con calma.<br />
Ivan rimase <strong>di</strong> gesso,<br />
l’espressione immutata. Spruzzò<br />
dalla bocca un grumo <strong>di</strong> saliva,<br />
che si adagiò a pochi centimetri<br />
dai pie<strong>di</strong> <strong>di</strong> Manu. Poi, senza<br />
muovere le cornee, lanciò quan-
to rimaneva della sigaretta nello<br />
stagnetto appena creato.<br />
«Non pensavo che l’avresti fat-<br />
to. Almeno potevi chiedermi<br />
prima, no?».<br />
Il tono era calmo. Di una calma<br />
inquietante, adamantina. Ma<br />
calmo.<br />
Manuele attendeva almeno un<br />
insulto, uno strillo, nonostante<br />
fosse certo che l’amico non si<br />
sarebbe lamentato per
l’iniziativa in sé. Il problema, in<br />
questo caso, era un altro: Ivan<br />
o<strong>di</strong>ava che si facesse qualsiasi<br />
cosa a sua insaputa, specie se lo<br />
riguardava.<br />
Sin dai tempi della scuola me-<br />
<strong>di</strong>a, quando lo aveva conosciuto<br />
tra i banchi della Prima B, Ma-<br />
nuele aveva imparato a non agi-<br />
re senza coinvolgerlo.<br />
Zuffa voleva occupare il centro<br />
della scena, essere il padrone del
proprio destino, sempre e co-<br />
munque. Detestava che altri<br />
mettessero il naso nelle sue fac-<br />
cende, anche a fin <strong>di</strong> bene.<br />
Era ad<strong>di</strong>rittura il concetto <strong>di</strong> sor-<br />
presa a irritarlo, tanto che, non<br />
<strong>di</strong> rado, pure un regalo poteva<br />
procurargli fasti<strong>di</strong>o. E indurlo a<br />
sfoderare l’atavica arroganza.<br />
C’era poco da fare: era così, era<br />
sempre stato così. Prendere o la-
sciare. Molti l’avevano lasciato,<br />
Manu se l’era tenuto.<br />
Quella mattina, aveva anche<br />
messo in conto una piccola lite.<br />
Che non esplose mai.<br />
Ivan, infatti, si limitò a redar-<br />
guirlo. Abbozzò persino un<br />
mezzo sorriso, dopo lo sguardo<br />
<strong>di</strong> ghisa.<br />
«Però, magari, la prossima vol-<br />
ta… Cioè, poi, non lo so… ‘Sta
cosa non è che mi convince tan-<br />
to».<br />
«Ma come no? – prese coraggio<br />
Manuele, constatando lo scam-<br />
pato pericolo – Alla fine, sei tu<br />
che <strong>di</strong>ci sempre che vuoi ballare,<br />
che ti piace ballare e cose del<br />
genere».<br />
«Sì, che c’entra? Quello sì…<br />
Però c’è pure la storia dei volan-<br />
tini», si schermì Ivan.
«E allora? Mica ti vergogni? Ma<br />
poi è un gioco – tagliò corto<br />
l’amico – Non è detto che vinci.<br />
Anche se, secondo me… ».<br />
Ormai del tutto tranquillo, Manu<br />
si sbilanciò, poggiando una ma-<br />
no sulla spalla dell’altro e am-<br />
miccando vistosamente.<br />
«Che hai fatto? Hai messo delle<br />
foto strane?», chiese Ivan.<br />
«Ma va’! Quelle del mare, te<br />
l’avevo detto. Poi, ho recuperato
qualcosa dalle serate vecchie. Ti<br />
ricor<strong>di</strong> quando era venuto Ma-<br />
selli?»<br />
«Hai messo pure le foto con<br />
quel coglione?».<br />
«Vabbe’, solo un paio. Però…<br />
Iv… là sei proprio un figo! Cio-<br />
è, io ti voterei <strong>di</strong> corsa. E infatti<br />
l’ho fatto!».<br />
«Ah, mi hai votato?».<br />
«Per forza!»<br />
«E posso votarmi anch’io?».
«E certo! E poi sto spargendo la<br />
voce in giro, anche su Facebook.<br />
Cioè, ti faccio vincere io».<br />
Manu continuava a molleggiare<br />
tra una gamba e l’altra, scrutan-<br />
do le reazioni dell’amico. Non<br />
gli sembrava eccitato quanto lui.<br />
«Ma non fare ‘sta faccia, dai!<br />
Scusa, che problema c’è?».<br />
«Tu <strong>di</strong>ci che vinco?», ribaltò la<br />
domanda Ivan.
«Mah, io <strong>di</strong>co <strong>di</strong> sì… Con tutta<br />
la gente che conosci là in mez-<br />
zo. Diciamo che hai più possibi-<br />
lità <strong>di</strong> uno qualunque. Senza<br />
contare tutte le tipe che ti sei fat-<br />
to: quelle ti votano <strong>di</strong> sicuro!»,<br />
sogghignò ancora Manuele.<br />
«E quell’altro mi pagherebbe?».<br />
«Ma chi? Pichetti?».<br />
«Sì».<br />
«Ma allora non hai capito una<br />
minchia! Se vinci, lavori per un
anno al Fisix. Chiaro? Niente<br />
cazzate. E comunque…».<br />
«Comunque?».<br />
«Non lo so… Lascia stare i sol-<br />
<strong>di</strong>… Tu devi pensare a questa<br />
cosa come un’opportunità».<br />
«Io non lascio stare proprio<br />
niente. A me i sol<strong>di</strong> mi interes-<br />
sano».<br />
«E allora ti pagherà. Come fa<br />
con me. Punto. Senti, te lo devo<br />
far conoscere».
Manuele si prese una pausa per<br />
accendere un’altra sigaretta. Poi<br />
riattaccò, bloccando per un i-<br />
stante il molleggiamento per ri-<br />
condurre sulla vita dei jeans un<br />
po’ larghi.<br />
«Quello ha un sacco <strong>di</strong> ganci,<br />
con un sacco <strong>di</strong> gente… Se lo<br />
conosci, quello ti fa fare strada,<br />
fidati!».
«Io non capisco tutto questo in-<br />
teressamento tuo. Guarda che<br />
non ti do niente in cambio».<br />
«Nemmeno un po’ <strong>di</strong> fumo?»,<br />
grugnì con un sorriso Manuele.<br />
«Col cazzo! Vai dai tuoi ami-<br />
chetti. Magari, loro ti vendono<br />
pure la bonza», soggiunse Ivan,<br />
accennando pure lui una mezza<br />
risata.<br />
«Ma smettila, coglione! Te l’ho<br />
detto che quest’anno ti avrei fat-
to un regalo <strong>di</strong> compleanno figo,<br />
un po’ <strong>di</strong>verso dal solito. Sono<br />
in ritardo, ma ne è valsa la pena,<br />
dai…».<br />
«Vabbe’, vabbe’. Però, appena<br />
arrivo a casa, le vado proprio a<br />
vedere ‘ste foto».<br />
«Vai, vai! Tanto saranno solo<br />
sei o sette, non <strong>di</strong> più».<br />
Manuele posizionò la sigaretta<br />
mezza fumata tra in<strong>di</strong>ce e polli-
ce e, con un colpetto ben asse-<br />
stato, la fece decollare.<br />
I due rientrarono, lanciarono<br />
uno sguardo d’intesa alla donna<br />
del cruciverba e si avviarono <strong>di</strong><br />
nuovo verso la bisca sotterranea.<br />
«Te li potresti anche levare ‘sti<br />
occhiali qua dentro», stuzzicò<br />
Ivan.<br />
«Sono belli però, vero? Sono un<br />
po’ così… da dandy!», fece
Manuele, molleggiando anche le<br />
braccia, ma accogliendo l’invito.<br />
«Ma che dandy…».<br />
«Oh, a me piacciono».<br />
Si fermarono davanti alla mac-<br />
chinetta del caffè, indecisi su<br />
cosa scegliere. Fu allora che<br />
Manuele, come trasalendo, co-<br />
municò a Ivan la morte <strong>di</strong> Silva-<br />
no.
Zuffa faticò a collegare il <strong>di</strong>-<br />
scorso sugli occhiali a questa<br />
notizia. Non comprese subito a<br />
chi si riferisse l’amico. Fu ne-<br />
cessario qualche istante, giusto<br />
il tempo <strong>di</strong> sintonizzarsi con una<br />
mente tanto impreve<strong>di</strong>bile.<br />
Silvano era morto, dunque. Il<br />
Silvano col cane pidocchioso, il<br />
Silvano sbronzo a tutte le ore, il<br />
Silvano dall’età indefinibile –<br />
qualcuno <strong>di</strong>ceva che avesse ad-
<strong>di</strong>rittura cinquant’anni – con<br />
quell’enorme cactus <strong>di</strong> capelli<br />
incollato sulla testa.<br />
Ivan gli aveva parlato sì e no tre<br />
volte. Eppure, per un momento,<br />
rimase raggelato.<br />
Fu solo un istante, una minusco-<br />
la lacrima nel mare della sua<br />
spensieratezza. Che subito sci-<br />
volò via.<br />
Si consolò. <strong>In</strong> fondo chi era que-<br />
sto Silvano? Un vagabondo, uno
spostato, uno che non valeva<br />
nulla, che non aveva nessuno al<br />
mondo, tranne quei quattro<br />
stracci e un bastardo peloso <strong>di</strong>-<br />
vorato dalle zecche.<br />
Era stato ritrovato sotto una pan-<br />
china, ai Giar<strong>di</strong>ni Reali. Secon-<br />
do il racconto <strong>di</strong> Manuele, con<br />
la siringa ficcata nel braccio e il<br />
cane a fargli la guar<strong>di</strong>a. <strong>In</strong>som-<br />
ma, una morte brutta, come lo<br />
era stata la vita. <strong>In</strong>significante.
Ciononostante, la gente <strong>di</strong> Pa-<br />
lazzo Nuovo si era ricordata <strong>di</strong><br />
lui. I fiori sui gradoni e la lettera<br />
con le firme parlavano <strong>di</strong> un<br />
uomo che non era stato tanto in-<br />
significante.<br />
Era stato una presenza costante<br />
nei <strong>di</strong>ntorni, ma Ivan lo aveva<br />
sempre considerato in maniera<br />
particolare, quasi come parte<br />
dell’arredo urbano: un palo della<br />
luce, una panchina, un cestino
dei rifiuti, una <strong>di</strong> quelle cose <strong>di</strong><br />
cui nessuno percepisce la man-<br />
canza se vengono eliminate.<br />
<strong>In</strong>vece, quella cosa veniva trat-<br />
tata come un personaggio, come<br />
un mito plebeo degno dei più al-<br />
ti onori. Anche senza lapide,<br />
senza un eroe da celebrare, gli<br />
universitari avevano espresso il<br />
loro cordoglio.<br />
Una nullità era riuscita a lasciare<br />
un segno, senza compiere nes-
suna impresa particolare: pro-<br />
prio questo aveva per un attimo<br />
mobilitato la coscienza <strong>di</strong> Ivan.<br />
Un barbone tossico e pulcioso,<br />
senza qualità, si era imposto<br />
all’attenzione <strong>di</strong> tutti solo per il<br />
fatto <strong>di</strong> esserci, <strong>di</strong> essere sempre<br />
là a vagare mezzo avvinazzato e<br />
a blaterare frasi incomprensibili.<br />
Costui non sarebbe stato <strong>di</strong>men-<br />
ticato.
E quando il freddo, il vento e la<br />
pioggia avrebbero spazzato via<br />
quei quattro fiori, il segno <strong>di</strong> Sil-<br />
vano avrebbe faticato a cancel-<br />
larsi.<br />
Ivan non badò più <strong>di</strong> tanto al<br />
proprio breve e insolito momen-<br />
to riflessivo. Si limitò a mettere<br />
una <strong>di</strong>dascalia delle sue. Una<br />
frasetta <strong>di</strong> circostanza.<br />
«Minchia, ho visto i fiori sui<br />
gradoni! Comunque era un tos-
sico: lo sapevo che faceva ‘sta<br />
fine».<br />
Poi, tornò al suo poker. E tenne<br />
le carte in mano per l’intero<br />
pomeriggio.<br />
FINE ANTEPRIMA