Martin Heidegger: dallo gnosticismo alla gnosis ... - Politicamente.Net
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<strong>Heidegger</strong> come Hölderlin, non ripete passivamente i miti, ma cerca di recuperare al pensiero la sapienza<br />
cui quei miti accennano. In altri termini, egli cerca di pensare autenticamente ciò che i miti hanno<br />
semplicemente nominato. Ma, per questo, sono necessarie parole nuove, «parole che parlino», non semplici<br />
«strumenti» che esprimano soltanto la dimensione dell’enunciazione-esplicitazione, in cui sembra ormai<br />
consistere il linguaggio occidentale, ma «parole», i cui segni rimandino al simbolo, che, rifiutandosi ad ogni<br />
esplicitazione e ad ogni enunciazione, «non è mai ciò che si pensa, ma ciò in cui e da cui si pensa».<br />
Lamentando la limitazione e la povertà del nostro linguaggio, <strong>Heidegger</strong> invita a percorrere lo spazio del<br />
simbolico, dove una cosa non è mai solo se stessa – secondo il principio di non contraddizione su cui si è<br />
fondato il linguaggio filosofico-scientifico occidentale, che dice questo è questo e non è altro –, ma ogni cosa<br />
ne richiama altre in un co-appartenersi che mette assieme, sumballei appunto, le differenze senza eliminarle.<br />
Nel discorso La cosa 148 , utilizzando l’esempio della cosa-brocca, Heiddegger mette a confronto la modalità<br />
descrittivo-enunciativa propria del pensiero tecno-scientifico con la modalità connotativo-evocativa propria<br />
del pensiero simbolico. Il simbolo allude, richiama, e-voca quello sfondo pre-logico in cui l’uno si specchia<br />
nei molti e i molti nell’uno, in un gioco di richiami infinito che consente <strong>alla</strong> cosa di aprirsi ad una presenza<br />
non racchiudibile nelle de-finizioni e nelle de-terminazioni della logica occidentale. Il carattere di brocca<br />
della brocca risiede nel dono del versare acqua o vino, i quali a loro volta sono frutto della terra unita al<br />
cielo. L’acqua e il vino possono essere ciò che ristora la sete dei mortali e ciò che rallegra la loro convivialità<br />
o la libagione che si consacra e si offre agli dei immortali. In tal modo, terra, cielo, mortali e dei dimorano<br />
immediatamente assieme nel dono del versare della brocca. «Questo dimorare a sua volta si appropria del<br />
Quadrato, nel senso che esso porta i quattro <strong>alla</strong> luce come appartenenti l’uno all’altro, li affida l’uno all’altro.<br />
Ed essendo al tempo stesso sposati l’uno all’altro essi sono non-occulti» 149 . Nella concezione della physis in<br />
termini di Quadrato di cielo e terra, dei e mortali, <strong>Heidegger</strong> stesso ammette esplicitamente di essersi ispirato<br />
<strong>alla</strong> concezione mitico-poetica del mondo sostenuta da Hölderlin, che attraverso la sua poesia, tentava a sua<br />
volta di far riemergere i grandi miti del passato.<br />
Anche nel discorso Costruire, Abitare, Pensare 150 la terra è ciò che pro-duce, nel senso di portare <strong>alla</strong> luce<br />
dal suo nascondimento e i suoi pro-dotti sono lo sbocciare dei fiori e il generarsi dei frutti, lo scorrere delle<br />
acque sulle sue rocce, l’innalzarsi degli alberi sul suo suolo, il dispiegarsi degli esseri nella multiformità del<br />
vivente. Su di essa i mortali contemplano il cielo, il corso del sole e della luna, la notte che approssima le<br />
stelle, le stagioni dell’anno e la loro regolare successione, la benevolenza del giorno, le nubi aeree e<br />
l’azzurra profondità dell’etere. Con i piedi ben radicati nella terra e lo sguardo rivolto al cielo, essi attendono<br />
i cenni degli dei e, nello spazio di sacro che così si apre, Dio stesso appare nella sua presenza e si ritira nel<br />
nascondimento.<br />
Quando parliamo e pensiamo uno dei quattro, terra, cielo, mortali e divini, noi stiamo già pensando, insieme<br />
con esso, gli altri tre: nel libero gioco della poesia le cose non sono semplicemente utili, ma sono lasciate<br />
essere quello che sono. «Nell’apertura poetica, infatti l’uomo abita la terra lasciandola essere quello che è, il<br />
che è molto più che impadronirsene per utilizzarla, per ridurla ad oggetto di rappresentazione e<br />
manipolazione[…] In questa libertà poetica dove ogni cosa è lasciata essere per quello che è e presso di sé è<br />
fatta dimorare, l’uomo recupera la sua patria e cessa di essere heimatlos, senza terra, senza paesaggio<br />
familiare, senza riscontro e senza corrispondenza. E non è forse l’assenza di tutte queste cose che l’uomo<br />
lamenta» 151<br />
Oggi, l’appello della relazione in-finita dei quattro nell’intero ci è negata, e, tuttavia, ciò che si nega a noi, in<br />
realtà, a suo modo, ci si avvicina. La terra è una dea antichissima, che è vicina eppure è difficile da afferrare.<br />
La terra non è vicina o lontana come gli altri enti, essa è il phyein della physis, è quel produrre incessante dal<br />
quale la molteplicità degli enti nasce, prende forma e misura. La terra è l’Essere, il grande assente nella storia<br />
del pensiero occidentale, che ha privilegiato l’ente dimenticando l’Essere.<br />
É la filosofia di Nietzsche che, per prima, annuncia ed invita l’Occidente a ritornare <strong>alla</strong> terra, ad essere fedeli<br />
<strong>alla</strong> precarietà del suo essere, a «danzare» su di essa, assecondandone l’eterno e «tragico» processo di<br />
creazione e distruzione in cui essa consiste. D<strong>alla</strong> morte di Dio risorge la terra come Grande Madre che<br />
accoglie nel suo grembo ogni «amaro morire» e ogni «cosa peritura». Nel tentativo di ritornare <strong>alla</strong> terra e di<br />
oltrepassare, con la volontà di potenza, il nichilismo occidentale, tuttavia, Nietzsche conduce il pensiero<br />
148 M. HEIDEGGER, La cosa, in Saggi e discorsi, ed. it. Milano 1991, pp.109-124.<br />
149 J. J. KOCKELMANS, op. cit., p.456.<br />
150 M. HEIDEGGER, Costruire, Abitare, Pensare, in Saggi e discorsi, op. cit.<br />
151 U. GALIMBERTI, Il tramonto dell’Occidente, op. cit., p. 648.<br />
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