Martin Heidegger: dallo gnosticismo alla gnosis ... - Politicamente.Net
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già superato» 116 . Non si tratta di ritornare semplicemente <strong>alla</strong> Grecia, di ripetere l’Inizio e di tradurlo nei<br />
termini dell’epoca attuale. Si tratta, piuttosto, di imparare a pensare inizialmente, di «entrare in discussione e<br />
in dialogo con l’inizio al fine di percepire la voce della disposizione e delle destinazioni» 117 . Il viaggio che<br />
conduce <strong>alla</strong> dimensione della dea Aletheia è il pensare in direzione dell’Inizio. Il pensatore pensa l’Inizio<br />
nella misura in cui rammemora l’Aletheia. L’Aletheia è lo svelamento che salva in sé ogni apparire e<br />
scomparire. Alla presenza dell’Essere si riduce il pensare, che non è dell’uomo ma dell’Essere. Il pensare è il<br />
presentarsi, il manifestarsi, l’esporsi dell’Essere. Ma la conoscenza dell’Inizio diviene difficile ed estraniante<br />
per l’uomo moderno, che concepisce se stesso come soggetto, ossia come quel subiectum, quel fondamento<br />
sulla base del quale l’uomo interpreta, conosce ed organizza il mondo.<br />
Il concetto che afferra (cum-capere) gli enti per padroneggiarli e che risolve l’Essere nella totalità degli enti<br />
posseduti ha eliminato quell’orizzonte di mistero inattingibile e inafferrabile che c’è dietro la manifestazione<br />
di ogni ente, il cui volto enigmatico e inaccessibile generava nel pensiero aurorale un senso di religioso<br />
rispetto e di attesa. Al pensiero della rivelazione e della contemplazione è subentrato il pensiero<br />
dell’intenzione e della volontà. Ma l’Essere in quanto «storia» è destino, e perciò l’Essere destina anche<br />
quell’evento, che è il pensiero calcolante, che «tenta la soppressione del destino e dell’enigma in esso<br />
racchiuso». Bisogna pensare fino in fondo il fallimento dell’essere, il suo venir meno (fallere), le tracce che<br />
l’Essere lascia essere di sé in sua assenza e nell’assenza percepire la voce delle destinazioni future. Tale<br />
voce viene esperita soltanto là dove c’è «esperienza». Ma l’esperienza, in quanto vera esperienza, o<br />
esperienza di verità, è l’apertura, l’incontro desituante e destabilizzante in cui «l’alterità essenziale dell’ente<br />
si svela rispetto a ciò che è abituale», un’alterità che non viene affatto dominata ma che invece ci trasforma.<br />
Sarà disposta questa umanità storica, in particolare «l’umanità tedesca che, al pari dei greci è chiamata a<br />
pensare e a poetare» 118 , a sopportare quel dolore che è connesso ad ogni vera esperienza e a compiere il<br />
sacrificio «di morire di quella morte che sacrifica l’essere-uomo per la custodia della verità dell’essere»<br />
116 Ibidem, p. 292.<br />
117 Ibidem, p. 292.<br />
118 Volpi, nell’Introduzione al Parmenide, sostiene che <strong>Heidegger</strong> continua ancora, a questa altezza cronologica, ad interpretare la<br />
«germanità» in un senso ancora vicino <strong>alla</strong> concezione del pangermanesimo che aveva supportato l’ideologia nazionalsocialista e<br />
che la lettura che egli fornisce della grecità e il disprezzo per la latinità e la cultura romana rimangono ancora inficiate di<br />
hegelianismo. Cfr. M. HEIDEGGER, Parmenide, op., cit., p. 5. Tuttavia, le pagine finali del Parmenide hanno un tono concitato e<br />
drammatico, «che ha accenti quasi wagneriani, da crepuscolo degli dei». Se il nazionalismo è diventato ai suoi occhi l’espressione<br />
dell’animalitas e della brutalitas in cui è precipitato l’Occidente, ad <strong>Heidegger</strong> non rimane che la Germania dei poeti e dei<br />
pensatori. «I tedeschi sconfitti sono le vittime sacrificali della dimenticanza dell’Anfang in cui è sprofondata la storia della<br />
metafisica, ma, proprio in questa distretta, essi hanno il privilegio di esperire che tale dimenticanza non è un’omissione o una<br />
trascuratezza dell’uomo, ma un Ereignis, che appartiene all’essenza stessa dell’essere, vale a dire <strong>alla</strong> Unverborgenheit. Qui<br />
l’appello di <strong>Heidegger</strong> a ritrovare l’Anfang suona come una drammatica presa d’atto della tragedia cui il nazionalsocialismo ha<br />
condotto il popolo tedesco tradendone la vocazione di popolo di poeti e pensatori. Ma, inteso in tutta la sua profondità, quello di<br />
<strong>Heidegger</strong> è un appello a rinunziare <strong>alla</strong> polis, dal momento che la modernità dispiegata, o per adoperare il suo lessico, la storia<br />
della metafisica giunta al suo compimento, non offre alcuna possibilità di avvento di un nuovo inizio del politico». Cfr. F. FISTETTI,<br />
op. cit., p. 205.<br />
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