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Martin Heidegger: dallo gnosticismo alla gnosis ... - Politicamente.Net

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unificato d<strong>alla</strong> ragione umana. Dall’incomprensione del detto dei pensatori iniziali, nasce l’Occidente,<br />

ovvero «quella terra in cui il mondo si afferma nell’isolamento e l’uomo nella solitudine propria di chi erra<br />

senza patria, perché il senso dell’essere è smarrito» 106 .<br />

Deluso dagli eventi politici in corso e persuaso che il nazifascismo rappresenti la quintessenza del Ge-stell,<br />

del sistema impositivo e necessitante della tecnica che ormai dispiega i suoi piani di dominio su tutta la terra,<br />

<strong>Heidegger</strong> dubita che sia ancora possibile una «fondazione» politica della verità dell’essere nella polis grecotedesca.<br />

«La libertà dell’Aperto del tardo <strong>Heidegger</strong> è una libertà senza polis. Si tratta di spiegare perché la<br />

topologia dell’essere del tardo <strong>Heidegger</strong> – che assegna all’Ereignis lo statuto della dike, di un nomos che<br />

precede ogni legge, che indica ai mortali il luogo che è loro, la verità dell’essere – si ritrovi, <strong>alla</strong> fine della<br />

storia della metafisica, senza un topos che sia l’equivalente della polis antica. Si è conclusa la storia della<br />

localizzazione politica della verità dell’essere» 107 . Il concetto di «popolo» connesso a quello di «storicità», o<br />

meglio il concetto dell’Essere come «storia» che trova la sua destinazione nel popolo tedesco, nonostante le<br />

delusioni e i vari ripensamenti, aveva continuato a costituire il cuore della riflessione heideggeriana fino a<br />

questo momento. Se, a partire dai Contributi, <strong>Heidegger</strong> si convince che solo i poeti e non più i politici in<br />

senso stretto, possono istituire la polis, negli anni Quaranta neppure i poeti sono più in grado di farsi<br />

mediatori, con il loro linguaggio originario e fondativo, tra Essere e popolo: Hölderlin, in questa fase, non è<br />

più il poeta dei tedeschi che insegna ai tedeschi a prendere coscienza del proprio destino, ma il poeta dell’<br />

Occidente che indica la via per tornare verso l’Origine, non più per fondare una polis, ma per «imparare ad<br />

abitare poeticamente la terra».<br />

<strong>Heidegger</strong> si rende conto che la politica come fondazione della polis da parte di alcuni soggetti creatori (siano<br />

essi politici, poeti o filosofi) e istitutori essi stessi dell’Essere con la loro decisione e azione, comporta<br />

un’identificazione dell’Essere con la volontà e rimanda, in ultima analisi, a quella volontà di potenza, che egli<br />

– confrontandosi in questi anni con Nietzsche – ritiene ora l’espressione più compiuta di quel nichilismo e<br />

di quella metafisica della soggettività che egli intendeva superare. «Nel 1942, <strong>Heidegger</strong> è consapevole che<br />

tra la polis e lo Stato si è aperto un abisso incolmabile e che lo stato moderno ha sepolto la polis sotto le<br />

strutture della volontà di potenza» 108 .<br />

Con il Parmenide <strong>Heidegger</strong>, insomma, rinuncia definitivamente <strong>alla</strong> polis come luogo della storia in cui<br />

accade l’Essere e si realizza l’Essere come destino, neutralizzando le istanze di filosofia della storia e lo<br />

storicismo utopistico che caratterizzano la riflessione heideggeriana dal Discorso del rettorato fino al<br />

1942/45. Tuttavia, il «politico» è ancora il centro focale del pensiero heideggeriano, ma nel senso di risalire al<br />

di là del politico comunemente e modernamente inteso, al significato originario del «politico», al greco<br />

politikon. La riflessione sul politico nel corso dell’evoluzione del pensiero heideggeriano si libera dalle<br />

categorie gnostiche della modernità e dal nucleo soggettivistico e coscienziale ad esse collegato per<br />

avvicinarsi, a partire dagli anni Quaranta, attraverso la rilettura dei Presocratici, ad una <strong>gnosis</strong> autenticamente<br />

greca.<br />

In questo senso, centrali sono le riflessioni che <strong>Heidegger</strong> compie nel Parmenide su quello che egli considera<br />

l’architesto della polis greca, ossia la Repubblica di Platone. Qui <strong>Heidegger</strong>, finalmente, porta <strong>alla</strong> luce,<br />

senza più ambiguità e contraddizioni, il platonismo di fondo della sua filosofia, che innerva e costituisce la<br />

sostanza autentica del suo pensiero fin dai suoi inizi: come il Glauco marino che giace in fondo al mare, il<br />

platonismo heideggeriano viene liberato e ripulito dalle numerose incrostazioni che ne rendevano<br />

irriconoscibile l’aspetto, dalle commistioni cristiano-gnostiche ai residui coscienzialistici dell’Idealismo e del<br />

Romanticismo tedeschi. Si tratta di un percorso travagliato e complesso, al termine del quale emerge<br />

finalmente il nucleo autenticamente greco della filosofia heideggeriana, quella sua ostinata fedeltà all’idea<br />

greca del filosofare, intesa come interrogazione radicale, ossia «come esercizio rigoroso e caustico del<br />

pensiero, che lo rende refrattario all’assunzione di ogni positum e di ogni contenuto, simile all’esercizio di<br />

guardare attraverso il vetro, cercando di vedere il vetro» 109 . Platone, per <strong>Heidegger</strong>, è stato colui che in<br />

Occidente ha fondato la «politica», connettendola <strong>alla</strong> dimensione rivelativa e «cosmica» dell’aletheia. La<br />

polis, cui si riferisce <strong>Heidegger</strong>, non ha nulla di politico, nell’accezione moderna del termine. «Polis è il polo<br />

106 U. GALIMBERTI, Il tramonto dell’Occidente, op. cit., p.197.<br />

107 F. FISTETTI, <strong>Heidegger</strong> e l’utopia della polis, p. 116.<br />

108 Ibidem, p. 116.<br />

109 F. VOLPI, <strong>Heidegger</strong> e l’ascesi del pensiero, op. cit., p. 120.<br />

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