New Tabloid n°5 - Ordine dei Giornalisti
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Colleghi<br />
alla ribalta<br />
il fotoreporter sequestrato dai talebani nel 2006<br />
In ‘camera oscura’<br />
con le catene alle caviglie<br />
Gabriele Kash Torsello, indiano tra gli indiani, kashmiro tra i Tamil, mujaideen tra gli afghani,<br />
scambiato per afghano al momento del suo rapimento, racconta come ha iniziato a<br />
lavorare con una macchina fotografica, su consiglio dello zio collezionista, comprata a rate<br />
di Grazia Fallucchi<br />
Quali i pensieri, quali gli incubi in una<br />
camera oscura dove a stento filtra la<br />
luce, dove si è prigionieri, le catene alle<br />
caviglie “Si pensa alla morte, si immaginano<br />
le modalità con cui avverrà,<br />
nei sogni si vive ossessivamente ogni<br />
minimo particolare, e paradossalmente<br />
si trova la tranquillità”.<br />
A parlare è il fotoreporter Gabriele<br />
Torsello. Nel 2006 il suo sequestro<br />
in Afghanistan conquistò le prime<br />
pagine <strong>dei</strong> media non solo italiani,<br />
mentre la sua prigione veniva cercata<br />
sia dai Talebani che dalle autorità<br />
ufficiali di Kabul.<br />
Un sequestro per il quale, si dice - ma<br />
Gabriele Torsello non l’ha mai saputo<br />
ufficialmente - sarebbero stati pagati<br />
2 milioni di dollari (la stessa cifra che<br />
spende quotidianamente lo stato<br />
per mantenere la missione italiana<br />
in Afghanistan). Cinque anni dopo,<br />
nel 2011, Torsello pubblica un reportage<br />
fotogiornalistico di 320 pagine<br />
dal titolo doppiamente metaforico:<br />
“Afghanistan. Camera Oscura”, presentato<br />
da Reporters sans frontières<br />
all’ultimo festival di Locarno e in maggio<br />
al Salone del libro di Torino dalla<br />
Regione Puglia, che a questo libro -<br />
dall’andamento di un docudrama, in<br />
cui si intrecciano foto e racconto - ha<br />
dato il patrocinio.<br />
I 23 ‘lunghi’ giorni di prigionia<br />
Il libro ripercorre non soltanto i 23<br />
giorni di prigionia, dal 12 ottobre al<br />
3 novembre del 2006, ma anche gli<br />
avvenimenti che li hanno preceduti.<br />
Fotogiornalista indipendente, nel<br />
solco <strong>dei</strong> reporter che vanno a cercare<br />
la notizia nelle zone di guerra<br />
e dove non esiste libertà di stampa,<br />
Gabriele Torsello a.k.a Kash (più che<br />
uno pseudonimo, Kash è la firma <strong>dei</strong><br />
suoi lavori, coniata con il primo reportage<br />
in Kashmir nel ’94,) è membro<br />
della National Union of Journalists<br />
del Regno Unito e della International<br />
Federation of Journalists.<br />
Le origini pugliesi<br />
La fotografia lo spinge a lasciare a 19<br />
anni Alessano, la cittadina pugliese<br />
dove è cresciuto, il lavoro nella piantagione<br />
di tabacco di famiglia: suo<br />
nonno è stato il primo ad importare<br />
una rara varietà di nicotiana, suo<br />
padre ha brevettato un particolare<br />
tabacco da masticare. Dapprima è<br />
Roma, il cinema, le foto del popolo<br />
della notte, gli emarginati che incontra<br />
quando esce dal ristorante dove<br />
lavora per mantenersi, ma soprattutto<br />
i primi contatti con organizzazioni<br />
come la Fao; poi la Francia e infine<br />
l’Inghilterra, dove sceglie di vivere e<br />
dove trova editori che lo ascoltano.<br />
Saranno gli inglesi The Observer, The<br />
Guardian, BBC a pubblicare i suoi<br />
primi reportage, a seguire verranno i<br />
francesi come Liberation e infine gli<br />
italiani Corriere della Sera, Repubblica,<br />
Resto del Carlino, Rai, Canale 5,<br />
La7, Il Manifesto.<br />
Fa il fotoreporter da 20 anni, “la bellezza<br />
della diversità e l’arricchimento<br />
che viene da culture diverse sono<br />
la molla” che lo ha spinto in luoghi<br />
che è un eufemismo definire impervi.<br />
Kash è un nome conosciuto nel<br />
mondo dell’editoria internazionale,<br />
le sue sono fotografie prive di enfasi,<br />
asciutte nel raccontare, reportage<br />
che tengono a bada le emozioni.<br />
Il fotoreporter, grazie alla sua fisicità,<br />
è noto per la camaleontesca attitudine<br />
a confondersi tra la gente, a<br />
diventarne parte. “Era un modo per<br />
38 <strong>Tabloid</strong> 5 / 2012