New Tabloid n°5 - Ordine dei Giornalisti
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Pari<br />
opportunità<br />
combattono su più fronti, la sicurezza<br />
è un lusso che nessuno si può permettere.<br />
Ci vuole coraggio per raccontarlo.<br />
Siamo consapevoli dell’importanza di<br />
tenere gli occhi della comunità internazionale<br />
puntati sull’Afghanistan e di<br />
quanto, a tal fine, sia essenziale il lavoro<br />
<strong>dei</strong> media. Sono molti i giornalisti,<br />
anche italiani, a cui sono grata per aver<br />
ritratto con onestà il quadro politico e<br />
la condizione della popolazione. Ma<br />
abbiamo bisogno che si faccia ancora<br />
di più e meglio. Dovete dire alla<br />
società civile cosa sta succedendo,<br />
non credere ai signori del potere. La<br />
mia e le altre associazioni umanitarie<br />
sono sempre disponibili a parlare con<br />
i giornalisti e ad accompagnare quelli<br />
che vengono nel nostro Paese dove<br />
• Selay Ghaffar, punto di riferimento<br />
insostituibile per i giornalisti che<br />
fanno reportages in Afghanistan<br />
possono vedere e ascoltare la verità.”<br />
Chiediamo a Selay se ci può dire quale<br />
sia la verità che i media dovrebbero<br />
ritrarre e lei non fa mistero, con la<br />
tagliente sincerità che l’ha contraddistinta<br />
in tutti gli appuntamenti ufficiali<br />
cui ha partecipato in rappresentanza,<br />
talvolta unica, della società civile afghana,<br />
della sua mancanza di fiducia<br />
nel governo in carica. Condivide con<br />
un’altra attivista afghana, Malalai Joya<br />
(che ha raccontato la sua esperienza<br />
politica e la sua sfida alla corruzione<br />
del Governo in un romanzo tradotto<br />
anche in Italia, “Finché avrò voce”) la<br />
convinzione che un governo corrotto e<br />
in gran parte connivente con i “signori<br />
della guerra”, non possa che essere<br />
un tumore maligno che si propaga e<br />
infetta tutti gli organi politici del suo paese.<br />
Durante la Conferenza di Bonn (5<br />
dicembre 2011) ha denunciato a chiare<br />
lettere la corruzione del suo Governo.<br />
Aveva a disposizione tre minuti e li ha<br />
usati per ribadire alcuni punti che ci<br />
ricorda brevemente. “La verità è che<br />
non c’è pace e non c’è democrazia<br />
in Afghanistan. Dieci anni di presenza<br />
delle forze internazionali di pace non<br />
hanno eliminato il problema del terrorismo<br />
nel mio paese, al contrario lo<br />
hanno reso più complicato, meno definibile.<br />
I talebani e al-Qaeda non sono<br />
gli unici gruppi terroristici che spadroneggiano<br />
sul territorio violando i diritti<br />
umani fondamentali della popolazione.<br />
Le mafie e i gruppi terroristici legati<br />
al commercio di oppio, per esempio,<br />
intrecciano i loro traffici con gli interessi<br />
economici e le rotte che passano<br />
anche per l’Occidente e si sono rafforzati<br />
grazie a questi legami e grazie alle<br />
persistenti condizioni di prostrazione<br />
della popolazione, donne e bambini<br />
in primis. Non dico che prima la loro<br />
situazione fosse migliore, ma di certo<br />
non è migliorata come si tende talvolta<br />
a scrivere o a far pensare. Tutt’altro.<br />
La testimonianza di Stella Pende<br />
La tragedia di un Paese da raccontare. Tutti i giorni<br />
Stella Pende è una delle giornaliste italiane che ha<br />
incontrato di recente Selay Ghaffar in Afghanistan<br />
e che si è spinta fino agli ospedali delle province,<br />
denunciando nei suoi articoli la terribile condizione in<br />
cui versano le donne. Di una di queste piccole vittime,<br />
Sara Guli, ha scritto anche nel suo libro “Confessione<br />
Reporter” (Ponte delle Grazie, 2011) come del simbolo<br />
delle torture e delle violenze cui sono costrette le<br />
bambine vendute dalle famiglie, dietro magri compensi<br />
(a volte due caproni sono una merce di scambio<br />
giudicata più che sufficiente), a uomini anziani che ne<br />
abusano sessualmente e le trattano come schiave.<br />
“Selay è un’eroina - dice Stella Pende - e insieme<br />
a lei, c’è una generazione di giovani coraggiose<br />
che lotta per i diritti delle donne, ma la loro realtà<br />
quotidiana è fatta di terrore e violenza. D’altra parte<br />
le donne che si ribellano finiscono, se va loro bene,<br />
in prigione. A Sara è andata peggio, il suo tiranno<br />
l’ha rinchiusa in casa per due anni: quando l’ho vista<br />
non aveva un angolo di pelle intonso. Il suo corpo<br />
portava ovunque i segni delle torture e raccontava<br />
di un tentativo di addomesticarla con bruciature<br />
di sigaretta, deturpazione con l’acido, percosse.<br />
Terribile da vedere, terribile da raccontare. Per questa<br />
creatura siamo tutti, me compresa, <strong>dei</strong> mostri”.<br />
Quanto all’appello di Selay ai giornalisti, la Pende è<br />
tranchante - “sappiamo tutti come funzionano le cose<br />
nel mondo dell’informazione e non sarò di certo io a<br />
sparlare <strong>dei</strong> colleghi. Spesso abbiamo a disposizione<br />
una settimana o meno per portare a casa un’inchiesta.<br />
Spazi, tempi e costi sono già decisi prima di partire.<br />
Concordo con Selay quando fa notare che quello che<br />
accade nella capitale non è lo specchio di quanto sta<br />
succedendo in Afghanistan, ma è un’affermazione che<br />
possiamo declinare un po’ ovunque. Posso raccontare<br />
l’Italia se mi fermo solo tre giorni a Roma ospite di<br />
qualcuno Non credo proprio. Con la differenza che in<br />
Afghanistan si sta verificando una palese e gravissima<br />
violazione <strong>dei</strong> diritti umani e questo dovrebbe spingere<br />
i direttori, a cui mi rivolgo io, ad essere più attenti, vigili<br />
e coraggiosi. Anche la memoria è importante: non<br />
tutte le notizie si possono bruciare in un giorno, non<br />
sono tutte a scadenza come le mode. L’Afghanistan<br />
ha bisogno che si continui a raccontare e scrivere<br />
quello che succede, perché quello che accade là è<br />
terrificante. Tutti i giorni”.<br />
SB<br />
<strong>Tabloid</strong> 5 / 2012<br />
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