New Tabloid n°5 - Ordine dei Giornalisti
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L’angolo<br />
della legge<br />
più debole. Un bel tour giudiziario con<br />
inevitabile aggravio di spese - basti<br />
pensare che occorre sempre un avvocato<br />
per la domiciliazione, spesso<br />
in aggunta al difensore tradizionale -<br />
preceduto ormai necessariamente nel<br />
caso di diffamazione a mezzo stampa<br />
o a mezzo radiotelevisione, dalla mediazione<br />
obbligatoria. Non bastasse,<br />
quello stesso giornalista può essere<br />
avvisato, così come il suo direttore,<br />
dal proprio Consiglio che un procedimento<br />
disciplinare è stato inviato nei<br />
suoi confronti. Se è colpevole - o solo<br />
sfortunato - potrà essere condannato<br />
in sede penale con eventuale sospensione<br />
dalla professione - pena<br />
accessoria prevista per tutti i professionisti<br />
iscritti a un Albo che abbiano<br />
commesso un reato nell’ambito della<br />
propria attività. In sede civile - in solido<br />
con il suo editore, a corrispondere le<br />
somme liquidate a titolo risarcitorio e<br />
in via esclusiva alla riparazione pecuniaria;<br />
in sede disciplinare infine con<br />
la sanzione che verrà ritenuta più adeguata.<br />
Una bella prospettiva davvero<br />
per chi sogna di vincere il Premiolino,<br />
una sorta di Pulitzer all’italiana, e finisce<br />
per passare le sue giornate in<br />
Tribunale o dall’avvocato rinunciando<br />
ad acquistare beni mobili e immobili<br />
facilmente pignorabili al pari del quinto<br />
dello stipendio o dell’intero compenso<br />
se si tratta di un freelance.<br />
Sanzioni disciplinari<br />
e tutela delle fonti<br />
Si parla, a volte a ragione, più spesso<br />
a sproposito, di “casta <strong>dei</strong> giornalisti”,<br />
eppure se c’è un organo disciplinare<br />
inflessibile è proprio quello che li giudica<br />
e, sovente, li condanna. Onore<br />
al merito per chi faticosamente persegue<br />
e sanziona condotte obiettivamente<br />
gravi. Gli artt. 2 e 48 della legge<br />
professionale n. 69 del 1963 fissano<br />
l’obbligo di rispettare le leggi poste a<br />
tutela della personalità altrui e la verità<br />
sostanziale <strong>dei</strong> fatti, oltre che i doveri di<br />
lealtà e buona fede; stabiliscono che si<br />
debbano rettificare le notizie inesatte<br />
e riparare gli eventuali errori, tutelare il<br />
segreto professionale sulla fonte delle<br />
notizie, promuovere lo spirito di collaborazione<br />
fra colleghi, la cooperazione<br />
fra giornalisti ed editori e la fiducia tra<br />
Basata unicamente su notizie ufficiali, proveniente dalle<br />
fonti istituzionali o dai diretti interessati, l’informazione<br />
sarebbe indenne da ogni rischio. Per fare<br />
davvero il proprio mestiere, il giornalista deve invece<br />
trasformarsi in un bravo segugio, che va a cercare le<br />
notizie, districandosi fra regole e limiti tesi a bilanciare<br />
il diritto di informazione con altri diritti<br />
e interessi quali la reputazione, la privacy, il buon<br />
costume. Innumerevoli casi di cronaca ci ripropongono<br />
continuamente la tensione tra ciò che può e non può<br />
essere detto o scritto, tra ciò che è insinuazione o<br />
diffamazione, tra ciò che è giornalismo e ciò che è<br />
puro gossip. Le norme in materia sono complesse e di<br />
difficile interpretazione: di fatto è sempre più difficile<br />
far bene il giornalista senza finire sotto processo.<br />
GLI AUTORI<br />
Caterina Malavenda: avvocato<br />
esperto di diritto dell’informazione<br />
e della comunicazione. Docente<br />
presso i Centri di formazione per il<br />
giornalismo di Perugia e Urbino e<br />
nei Master a Milano.<br />
Carlo Melzi d’Eril: avvocato esperto<br />
di diritto dell’informazione e di<br />
Internet. Insegna nell’istituto all’Ifg<br />
di Urbino e nei Master a Milano.<br />
Giulio Enea Vigevani: professore<br />
di diritto costituzionale e<br />
diritto dell’informazione e della<br />
comunicazione nella Facoltà di<br />
Giurisprudenza dell’Università di<br />
Milano-Bicocca.<br />
la stampa e i lettori, astenendosi da<br />
condotte non conformi alla dignità e<br />
al decoro professionali o che compromettano<br />
la reputazione dell’iscritto o la<br />
dignità dell’<strong>Ordine</strong> professionale.<br />
Vengono giustamente sanzionate,<br />
perché deontologicamente rilevanti,<br />
ad esempio, la pubblicazione di foto<br />
che ledono la dignità delle persone, in<br />
particolare di quelle che riproducono<br />
persone ammanettate, la diffusione di<br />
informazioni idonee a consentire l’identificazione<br />
di vittime di reati sessuali o<br />
di minori coinvolti in fatti di cronaca<br />
nera o giudiziaria; la pubblicazione di<br />
atti di indagini in violazione dell’art.<br />
684 c.p. ai sensi dell’art. 115, comma<br />
2, c.p.p., per fortuna una delle norme<br />
meno applicate del codice di rito: si<br />
tratta di condotte precise che nessun<br />
giornalista potrebbe sostenere di aver<br />
tenuto, perché ignorava fossero vietate.<br />
La mancata tipizzazione degli altri<br />
illeciti disciplinari espone al contrario gli<br />
iscritti all’apertura di procedimento per<br />
condotte non chiaramente individuabili<br />
e spesso neppure percepite dall’incolpato<br />
come deontologicamente scorrette.<br />
Tale lacuna non è risolta neppure<br />
dall’adozione delle numerose e complesse<br />
Carte <strong>dei</strong> doveri che complicano<br />
ulteriormente la situazione. Dalla Carta<br />
di Treviso a tutela <strong>dei</strong> minori ai Codici<br />
di autodisciplina vengono introdotte<br />
regole aggiuntive a volte poco chiare<br />
mentre è la giurisprudenza degli Ordini<br />
- fra i più attivi quelli della Lombardia e<br />
del Lazio - ad avere individuato ulteriori<br />
settori sensibili quale quello dell’indebita<br />
commistione fra pubblicità e informazione,<br />
giusto l’art. 44 del Ccng,<br />
un’area che ha cambiato non poco i<br />
problemi e causato numerose condanne<br />
nei confronti di direttori di testata.<br />
Si tratta di condotte che ove accertate<br />
possono giustificare l’irrogazione di<br />
sanzioni formali prive di conseguenze<br />
apprezzabili (avvertimento orale o scritto<br />
o censura) o di sanzioni che incidono<br />
temporaneamente o in modo definitivo<br />
(sospensione dalla professione da 2<br />
mesi a 1 anno o radiazione dall’Albo)<br />
sull’attività lavorativa. L’organo disciplinare<br />
può sanzionare anche il giornalista<br />
che rivela l’identità della fonte<br />
che aveva chiesto di rimanere riservata<br />
per violazione dell’art. 2, comma 3 della<br />
legge professionale.<br />
*Avvocato<br />
<strong>Tabloid</strong> 5 / 2012<br />
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