La regolamentazione giuridica del partito politico in Italia.pdf - Giuffre

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03.01.2015 Views

y discussion, modello che, ristretto il circuito rappresentativo entro l'àmbito omogeneo della borghesia politicamente attiva, faceva del Parlamento, attraverso il confronto di opinioni che vi si svolgeva, il fulcro del processo di formazione della volontà statale, appare evidente. Il passaggio dal partito di notabili al partito di apparato, efficacemente descritto dalla sociologia classica dei partiti, ne è una delle manifestazioni più significative: il sorgere dei partiti di massa, presenti nella società con una organizzazione stabile e capillare, saldamente coesi intorno ad un apparato con accentuati caratteri di professionismo e di burocratizzazione, e quindi capaci di una intensa azione di aggregazione e di mobilitazione collettiva e di un controllo penetrante sulle rappresentanze parlamentari, determina una spiccata valorizzazione del momento organizzativo nella considerazione del fenomeno partitico. In Italia si parla di democrazia interna ai partiti e di tutela delle minoranze già all'indomani della Liberazione e durante i lavori dell'Assemblea Costituente. Per scongiurare il rischio di una sorta di "autoritarismo partitico" che indebolisca lo Stato e trasformi il sistema politico in quella che Giuseppe Maranini avrebbe poi definito "partitocrazia", Costantino Mortati in Italia e François Goguel in Francia propongono la regolamentazione giuridica dei partiti. Il principio dal quale muovono Mortati e Goguel è che lo Stato deve riconoscere i partiti, garantirne e promuoverne l'attività, elevarli al rango di "enti" pubblici, ma deve controllarne la democraticità, nelle assemblee interne come nella scelta dei candidati. Il progetto predisposto da Goguel per l'Assemblea Costituente prevede che al partito politico sia concessa la personalità giuridica, purchè siano fatti salvi i principi di difesa del pluralismo, di adesione alla dichiarazione dei diritti dell'uomo, di garanzia della democrazia interna all'organizzazione e di trasparenza delle spese e delle risorse. Come vedremo in seguito, l'articolo 49 della Costituzione italiana, con la sua generica formulazione ("Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere

con metodo democratico a determinare la politica nazionale"), segnerà una parziale sconfitta di chi aveva avvertito l'esigenza di una disciplina più puntuale. La Carta repubblicana del 1947, infatti, sembra configurare il "metodo democratico" più come una regola di condotta nelle relazioni fra i partiti che come un principio generale che valga anche al loro interno. Fenomeni come il cd. "centralismo democratico" dimostreranno come nessuna norma giuridica abbia mai permesso alle minoranze interne ai partiti di far valere le proprie ragioni senza subire - in taluni casi - accuse di "frazionismo" ed espulsioni. Il tema della democrazia nei partiti - collegato anche a quello del "costo della politica" e ai mezzi di finanziamento - animerà il dibattito fra gli studiosi e nel Paese per quasi mezzo secolo, fino ai lavori della prima Commissione bicamerale per le riforme istituzionali nel 1985 - durante i quali il liberale Bozzi, relatore di maggioranza, si impegnerà a fondo per trovare una soluzione valida e ragionevole. Anziché avviarsi a soluzione, il problema passerà invece in secondo piano, di fronte alla prospettiva di una "Grande riforma" che non sarà realizzata; il periodo che comunemente è definito "Tangentopoli" produrrà grandi mutamenti nella classe politica e nella stesso sistema partitico italiano: tuttavia, né i referendum sulla riduzione delle preferenze (1991), sul "maggioritario" (1993) e sull'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti (1993) daranno il via ad una stagione di regole. Con la nascita della c.d. "Seconda Repubblica" il dibattito sulla regolamentazione dei partiti e sulla democrazia interna si interromperà bruscamente, anziché giungere a soluzione, per poi riprendere all’improvviso dopo le elezioni del 2013, in seguito all’ondata di contestazione nei confronti della “Casta” e dei partiti. A testimonianza dell'impegno di pochi restano gli articoli, i saggi, le rare proposte di legge, ma non di più. Il problema, tuttavia, permane, perchè se è vero che gli apparati di partito sembrano - e talvolta sono - più "leggeri" dei precedenti, è pur vero che l'accentramento del potere nei vertici aumenta - a ben vedere - proprio a causa della competizione "personalistica" imposta dal sistema maggioritario. In un panorama nel quale gli elettori finiscono per scegliere indirettamente persino il presidente del Consiglio (che è leader della

con metodo democratico a determ<strong>in</strong>are la politica nazionale"), segnerà una parziale sconfitta<br />

di chi aveva avvertito l'esigenza di una discipl<strong>in</strong>a più puntuale. <strong>La</strong> Carta repubblicana <strong>del</strong> 1947,<br />

<strong>in</strong>fatti, sembra configurare il "metodo democratico" più come una regola di condotta nelle<br />

relazioni fra i partiti che come un pr<strong>in</strong>cipio generale che valga anche al loro <strong>in</strong>terno. Fenomeni<br />

come il cd. "centralismo democratico" dimostreranno come nessuna norma <strong>giuridica</strong> abbia<br />

mai permesso alle m<strong>in</strong>oranze <strong>in</strong>terne ai partiti di far valere le proprie ragioni senza subire - <strong>in</strong><br />

taluni casi - accuse di "frazionismo" ed espulsioni.<br />

Il tema <strong>del</strong>la democrazia nei partiti - collegato anche a quello <strong>del</strong> "costo <strong>del</strong>la politica" e ai<br />

mezzi di f<strong>in</strong>anziamento - animerà il dibattito fra gli studiosi e nel Paese per quasi mezzo<br />

secolo, f<strong>in</strong>o ai lavori <strong>del</strong>la prima Commissione bicamerale per le riforme istituzionali nel 1985 -<br />

durante i quali il liberale Bozzi, relatore di maggioranza, si impegnerà a fondo per trovare una<br />

soluzione valida e ragionevole. Anziché avviarsi a soluzione, il problema passerà <strong>in</strong>vece <strong>in</strong><br />

secondo piano, di fronte alla prospettiva di una "Grande riforma" che non sarà realizzata; il<br />

periodo che comunemente è def<strong>in</strong>ito "Tangentopoli" produrrà grandi mutamenti nella classe<br />

politica e nella stesso sistema partitico italiano: tuttavia, né i referendum sulla riduzione <strong>del</strong>le<br />

preferenze (1991), sul "maggioritario" (1993) e sull'abolizione <strong>del</strong> f<strong>in</strong>anziamento pubblico ai<br />

partiti (1993) daranno il via ad una stagione di regole. Con la nascita <strong>del</strong>la c.d. "Seconda<br />

Repubblica" il dibattito sulla <strong>regolamentazione</strong> dei partiti e sulla democrazia <strong>in</strong>terna si<br />

<strong>in</strong>terromperà bruscamente, anziché giungere a soluzione, per poi riprendere all’improvviso<br />

dopo le elezioni <strong>del</strong> 2013, <strong>in</strong> seguito all’ondata di contestazione nei confronti <strong>del</strong>la “Casta” e dei<br />

partiti. A testimonianza <strong>del</strong>l'impegno di pochi restano gli articoli, i saggi, le rare proposte di<br />

legge, ma non di più. Il problema, tuttavia, permane, perchè se è vero che gli apparati di<br />

<strong>partito</strong> sembrano - e talvolta sono - più "leggeri" dei precedenti, è pur vero che l'accentramento<br />

<strong>del</strong> potere nei vertici aumenta - a ben vedere - proprio a causa <strong>del</strong>la competizione<br />

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