1 P. Raniero Cantalamessa, ofmcap. CON GESÃ NEL DESERTO ...
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P. <strong>Raniero</strong> <strong>Cantalamessa</strong>, <strong>ofmcap</strong>.<br />
<strong>CON</strong> GESÙ <strong>NEL</strong> <strong>DESERTO</strong><br />
Lucca, Cattedrale, 16 Marzo 2012<br />
La quaresima inizia ogni anno con il racconto di Gesù che si ritira nel deserto per quaranta<br />
giorni. L’evangelista Marco, che ci accompagna in questo anno liturgico, riferisce il fatto in<br />
maniera molto stringata: “ Subito dopo [il battesimo] lo Spirito lo sospinse nel deserto; e nel<br />
deserto rimase per quaranta giorni, tentato da Satana. Stava tra le bestie selvatiche e gli angeli<br />
lo servivano” (Mc 1,12-13).<br />
Anche la Quaresima, come tutta la vita cristiana, deve essere una imitazione di Cristo. Il suo<br />
scopo primario non è perciò di ordine morale: mortificarsi, fare rinunce, fare penitenza, ma<br />
cristologico. Il nostro scopo in questa catechesi è dunque semplice: scoprire cosa Gesù ha<br />
fatto in questo tempo, quali sono i temi presenti nel racconto, e cercare di applicarli alla nostra<br />
vita.<br />
1. “Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto”<br />
Il primo tema è quello del deserto. Gesù ha appena ricevuto, nel Giordano, l’investitura<br />
messianica per portare la buona novella ai poveri, sanare i cuori affranti, predicare il regno<br />
(cf. Lc 4, 18 s). Ma non si affretta a fare nessuna di queste cose. Al contrario, obbedendo a un<br />
impulso dello Spirito Santo, si ritira nel deserto dove rimane quaranta giorni. Il deserto in<br />
questione è il deserto di Giuda che si estende da fuori le mura di Gerusalemme fino a Gerico,<br />
nella valle del Giordano.<br />
Nella storia vi sono state schiere di uomini e donne che hanno scelto di imitare questo Gesù<br />
che si ritira nel deserto. In oriente, a cominciare da sant’Antonio Abate, si ritiravano nei<br />
deserti dell’Egitto o della Palestina; in occidente, dove non esistevano deserti di sabbia, si<br />
ritiravano in luoghi solitari, monti e valli remote.<br />
Ma l’invito a seguire Gesù nel deserto non è rivolto solo ai monaci e agli eremiti. In forma<br />
diversa, esso è rivolto a tutti. I monaci e gli eremiti hanno scelto uno spazio di deserto, noi<br />
dobbiamo scegliere almeno un tempo di deserto.<br />
La Quaresima è l’occasione che la Chiesa offre a tutti, indistintamente, per vivere un tempo di<br />
deserto senza dovere per questo abbandonare le attività quotidiane. Vissuta bene, essa è una<br />
specie di cura di disintossicazione dell’anima. Non c’è infatti sulla terra solo l’intossicazione<br />
da ossido di carbonio; esiste anche l’intossicazione per eccesso di rumori e di luci. Siamo un<br />
po’ tutti ubriachi di chiasso. Non sono solo i credenti a sentire il bisogno di tempi di<br />
raccoglimento e di solitudine, ma ogni persona consapevole di avere uno spirito, un’anima, o<br />
almeno una libertà, da custodire e difendere.<br />
La tradizione biblica e patristica ha interpretato l’idea pasquale di “passaggio” in vari modi:<br />
come “passaggio sopra” (hyperbasis), come “passaggio attraverso” (diabasis), come<br />
“passaggio verso l’alto” (anabasis), come “passaggio fuori” (exodus), come “passaggio in<br />
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avanti” (progressio) e perfino, in qualche caso, come “passaggio indietro” (reditus). La<br />
Pasqua è un passaggio “sopra”, quando indica Dio che passa e risparmia o protegge; è un<br />
passaggio “attraverso”, quando indica il popolo che passa dall’Egitto alla terra promessa,<br />
dalla schiavitù alla libertà; è un passaggio “verso l’alto”, quando l’uomo passa dalle cose di<br />
quaggiù alle cose di lassù; è un passaggio “fuori”, quando l’uomo passa fuori dal peccato o<br />
esce dalla schiavitù; è un passaggio “in avanti”, quando l’uomo progredisce nella santità e nel<br />
bene; infine, è un passaggio “indietro”, quando l’uomo passa dalla vecchiaia alla giovinezza<br />
dello spirito, quando “ritorna” alle origini e rientra nel paradiso perduto.<br />
Erano tutte “modulazioni” dell’idea di Pasqua che rispondevano a schemi e bisogni del loro<br />
tempo. Oggi credo che dobbiamo cogliere una sfumatura nuova di questo dinamismo<br />
pasquale, una nuova idea di passaggio: il “passaggio dentro”, l’introversione o<br />
interiorizzazione! Il passaggio dall’esterno all’interno, da fuori a dentro di noi.<br />
In che consiste questo “passaggio all’interno”, ce lo facciamo spiegare da sant’Agostino. Egli<br />
lancia questo appassionato appello: “Rientrate nel vostro cuore! Dove volete andare lontano<br />
da voi Rientrate dal vostro vagabondaggio che vi ha portato fuori strada; ritornate al Signore.<br />
Egli è pronto. Prima rientra nel tuo cuore, tu che sei diventato estraneo a te stesso, a forza di<br />
vagabondare fuori: non conosci te stesso, e cerchi colui che ti ha creato! Torna, torna al cuore,<br />
distaccati dal corpo... Rientra nel cuore: lì esamina quel che forse percepisci di Dio, perché lì<br />
si trova l’immagine di Dio; nell’interiorità dell’uomo abita Cristo”.<br />
L’interiorità è un valore in crisi. La “vita interiore” che un tempo era quasi sinonimo di vita<br />
spirituale, ora tende invece a essere guardata con sospetto. Alcune cause di questa crisi sono<br />
antiche e inerenti alla nostra stessa natura. La nostra “composizione”, cioè l’essere noi<br />
costituiti di carne e spirito, fa sì che siamo come un piano inclinato, inclinato però verso<br />
l’esterno, il visibile e il molteplice. Come l’universo, dopo l’esplosione iniziale (il famoso Big<br />
bang), anche noi siamo in fase di espansione e di allontanamento dal centro. Siamo<br />
perennemente “in uscita”, attraverso quelle cinque porte o finestre che sono i nostri sensi.<br />
Altre cause sono invece più specifiche e attuali. Una è l’emergenza del “sociale” che è<br />
certamente un valore positivo, dei nostri tempi, ma che, se non è riequilibrato, può accentuare<br />
la proiezione all’esterno e la spersonalizzazione dell’uomo. Nella cultura secolarizzata e laica<br />
dei nostri tempi il ruolo che svolgeva l’interiorità cristiana è stato assunto dalla psicologia e<br />
dalla psicoanalisi, le quali si fermano però all’inconscio dell’uomo e comunque alla sua<br />
soggettività, prescindendo dal suo intimo legame con Dio.<br />
Come sempre, alla crisi di un valore tradizionale, nel cristianesimo si deve rispondere<br />
attuando una ricapitolazione, cioè riprendendo le cose al loro principio per portarle a un<br />
nuovo compimento. In altre parole, si tratta di ripartire dalla parola di Dio e, alla sua luce, di<br />
ritrovare, nella stessa Tradizione, l’elemento vitale e perenne, liberandolo dagli elementi<br />
caduti di cui si è rivestito lungo i secoli.<br />
Che cosa troviamo nella Bibbia circa l’interiorità Raccogliamo alcuni dati più significativi.<br />
Già i profeti d’Israele avevano lottato per spostare l’interesse del popolo dalle pratiche<br />
esteriori di culto e dal ritualismo, all’interiorità del rapporto con Dio. “Questo popolo –<br />
leggiamo in Isaia – si avvicina a me solo a parole e mi onora con le labbra, mentre il suo<br />
cuore è lontano da me e il culto che mi rendono è un imparaticcio di usi umani” (Is 29, 13). Il<br />
motivo è che “l’uomo guarda le apparenze, ma Dio scruta il cuore” (1 Sam 16, 7). “Laceratevi<br />
il cuore, non le vesti, si legge in un altro profeta” (Gl 2, 13).<br />
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È il tipo di riforma religiosa che Gesù ha ripreso e portato a compimento. Egli non si stanca di<br />
richiamare a quell’ambito “segreto”, il “cuore”, dove si opera il vero contatto con Dio e con<br />
la sua vivente volontà e da cui dipende il valore di ogni azione (cf Mt 15, 10 ss).<br />
La motivazione che Gesù porta è che “Dio è Spirito e quelli che lo adorano devono adorarlo<br />
in spirito e verità” (Gv 4, 24). Come per entrare in contatto con il mondo, che è materia,<br />
abbiamo bisogno di passare attraverso il nostro corpo, così per entrare in contatto con Dio che<br />
è spirito abbiamo bisogno di passare attraverso il nostro cuore e la nostra anima che è spirito.<br />
C’è anche una ragione soggettiva. Quello che si fa all’esterno è esposto al pericolo quasi<br />
inevitabile dell’ipocrisia. Lo sguardo di altre persone ha il potere di far deviare la nostra<br />
intenzione, come certi campi magnetici fanno deviare le onde. L’azione perde la sua<br />
autenticità e la sua ricompensa. Il sembrare prende il sopravvento sull’essere. Per questo Gesù<br />
invita a fare l’elemosina di nascosto e a pregare il Padre “nel segreto” (cf Mt 6, 1-4).<br />
Il richiamo all’interiorità trova, infine, la sua motivazione biblica più profonda e oggettiva<br />
nella dottrina della inabitazione di Dio nell’anima e nell’affermazione secondo cui il nostro<br />
corpo è “tempio dello Spirito Santo” (1 Cor 6,19). Su questo sfondo evangelico si colloca<br />
l’idea frequente nel Nuovo Testamento dell’“uomo interiore” o dell’“uomo nascosto nel<br />
cuore” (cf Rm 7, 22; 2 Cor 4, 16; 1 Pt 3, 4).<br />
Perché è urgente tornare a parlare di interiorità e riscoprire anzi il gusto di essa Viviamo in<br />
una civiltà tutta proiettata all’esterno, fuori. L’uomo invia le sue sonde fino alla periferia del<br />
sistema solare, ma ignora il più delle volte quello che c’è nel suo stesso cuore. Evadere, cioè<br />
uscire fuori, è una specie di parola d’ordine. Esiste perfino una letteratura di evasione,<br />
spettacoli di evasione. L’evasione è, per così dire, istituzionalizzata. Il silenzio fa paura. Non<br />
si riesce a vivere, lavorare, studiare senza qualche voce o musica intorno. C’è una specie di<br />
horror vacui, di paura del vuoto, che spinge a stordirsi. Mai soli, è la parola d’ordine.<br />
I giovani sono i più esposti a questo rischio. Ho avuto occasione di mettere piede una volta in<br />
una discoteca, invitato a parlare ai giovani ivi raccolti. Mi è bastato per farmi un’idea di che<br />
cosa vi regna: l’orgia del chiasso, il rumore assordante come droga. Sono state fatte inchieste<br />
tra i giovani all’uscita della discoteca e alla domanda: “Perché vi riunite in questo luogo”,<br />
alcuni hanno risposto: “Per non pensare!”. Ma a quali manipolazioni non sono esposti dei<br />
giovani che hanno rinunciato ormai a pensare<br />
“Pesi il lavoro su questi uomini e vi si trovino impegnati, così che non diano retta alle parole<br />
di Mosè”, fu l’ordine del Faraone d’Egitto (cf Es 5, 9). L’ordine tacito, ma non meno<br />
perentorio, dei faraoni moderni è: “Pesi il chiasso su questi giovani, ne siano storditi, cosicché<br />
non pensino, non facciano delle scelte libere, ma seguano la moda che fa comodo a noi,<br />
comprino quello che diciamo noi, pensino come vogliamo noi!”. Per un settore molto<br />
influente della nostra società, quello dello spettacolo e della pubblicità, gli individui contano<br />
solo in quanto sono “spettatori”, numeri che fanno salire la “audience” dei programmi.<br />
Occorre opporsi con un risoluto “no!” a questo svuotamento. I giovani sono anche i più<br />
generosi e pronti a ribellarsi alle schiavitù e infatti vi sono schiere di giovani che reagiscono a<br />
questo assalto e, anziché fuggire, ricercano luoghi e tempi di silenzio e di contemplazione per<br />
ritrovare ogni tanto se stessi e, in se stessi, Dio. Giovani che hanno scoperto la differenza che<br />
c’è tra essere semplicemente “spettatori” e essere invece contemplativi. Essi hanno superato,<br />
all’indietro, il “muro del suono”, questa terribile barriera tra sé e Dio.<br />
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L’interiorità è la via a una vita autentica. Si parla tanto oggi di autenticità e se ne fa il criterio<br />
di riuscita o meno della vita. Ma dov’è, per il cristiano, l’autenticità Quand’è che un giovane<br />
è veramente se stesso Solo quando accoglie, come misura, Dio. “Un mandriano il quale, se<br />
questo fosse possibile, è un io di fronte alle vacche, è un io molto basso; un sovrano che è un<br />
io di fronte ai suoi servi, lo stesso. Nessuno dei due è un io; in ambedue i casi manca la<br />
misura... Ma che realtà infinita non acquista l’io, acquistando coscienza di esistere davanti a<br />
Dio, diventando un io umano, la cui misura è Dio!”. “Si parla tanto – scrive il filosofo or ora<br />
citato – di vite sprecate. Ma sprecata è soltanto la vita di quell’uomo che mai si rese conto,<br />
perché non ebbe mai, nel senso più profondo, l’impressione che esiste un Dio e che egli,<br />
proprio egli, il suo io, sta davanti a questo Dio”. Veramente è nella solitudine che siamo meno<br />
soli!<br />
Non sono però solo i giovani a essere travolti dall’ondata di esteriorità. Lo sono anche le<br />
persone più impegnate e attive nella Chiesa. Anche i religiosi! Dissipazione è il nome della<br />
malattia mortale che ci insidia tutti. Si finisce per essere come un vestito rovesciato, con<br />
l’anima esposta ai quattro venti. In un discorso tenuto ai superiori di un ordine religioso<br />
contemplativo, Paolo VI disse: “Oggi siamo in un mondo che sembra alle prese con una<br />
febbre che si infiltra perfino nel santuario e nella solitudine. Rumore e frastuono hanno invaso<br />
pressoché ogni cosa. Le persone non riescono più a raccogliersi. In preda a mille distrazioni,<br />
esse dissipano abitualmente le loro energie dietro le diverse forme della cultura moderna.<br />
Giornali, riviste, libri invadono l’intimità delle nostre case e dei nostri cuori. È più difficile di<br />
un tempo trovare l’opportunità per quel raccoglimento nel quale l’anima riesce a essere<br />
pienamente occupata in Dio”.<br />
Dell’importanza del silenzio è tornato a parlare papa Benedetto XVI nella catechesi della<br />
settimana scorsa. “ Il silenzio – diceva - è capace di scavare uno spazio interiore nel profondo<br />
di noi stessi, per farvi abitare Dio, perché la sua Parola rimanga in noi, perché l’amore per Lui<br />
si radichi nella nostra mente e nel nostro cuore, e animi la nostra vita. Quindi la prima<br />
direzione: reimparare il silenzio, l'apertura per l'ascolto, che ci apre all'altro, alla Parola di<br />
Dio”.<br />
Tutti abbiamo dunque bisogno di fare la Pasqua di cui stiamo parlando e che consiste in un<br />
“passaggio dall’esterno all’interno”. L’esatta antitesi di questa Pasqua si chiama proprio la<br />
dissipazione o l’evasione, cioè il riversarsi all’esterno. Santa Teresa d’Avila ha scritto<br />
un’opera intitolata Il castello interiore che è certamente uno dei frutti più maturi della dottrina<br />
cristiana dell’interiorità. Ma esiste, ahimè, anche un “castello esteriore” e oggi constatiamo<br />
che è possibile essere chiusi anche in questo castello. Chiusi fuori casa, incapaci di rientrarvi.<br />
Prigionieri dell’esteriorità!<br />
Quanti di noi dovrebbero fare propria l’amara costatazione che Agostino faceva a proposito<br />
della sua vita anteriore alla conversione: “Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova,<br />
tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle<br />
belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue<br />
creature, inesistenti se non esistessero in te”.<br />
Ma cerchiamo anche di vedere come fare, concretamente, per ritrovare e conservare<br />
l’abitudine all’interiorità. Mosè era un uomo attivissimo. Ma si legge che si era fatta costruire<br />
una tenda portatile e a ogni tappa dell’esodo fissava la tenda fuori dell’accampamento e<br />
regolarmente entrava in essa per consultare il Signore. Lì, il Signore parlava con Mosè “faccia<br />
a faccia, come un uomo parla con un altro” (Es 33, 11).<br />
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Ma anche questo non sempre si può fare. Non sempre ci si può ritirare in una cappella o in un<br />
luogo solitario per ritrovare il contatto con Dio. San Francesco d’Assisi suggerisce perciò un<br />
altro accorgimento più a portata di mano. Mandando i suoi frati per le strade del mondo,<br />
diceva: Noi abbiamo un eremitaggio sempre con noi dovunque andiamo e ogni volta che lo<br />
vogliamo possiamo, come eremiti, rientrare in questo eremo. “Fratello corpo è l’eremo e<br />
l’anima l’eremita che vi abita dentro per pregare Dio e meditare”. È come avere un deserto<br />
sempre “sotto casa” o meglio “dentro casa”, in cui potersi ritirare con il pensiero in ogni<br />
momento, anche andando per strada.<br />
Concludiamo questa prima parte della nostra meditazione ascoltando, come rivolta a noi,<br />
l’esortazione che Sant’Anselmo da Aosta rivolge al lettore in una sua opera:<br />
“Orsù, misero mortale, fuggi via per breve tempo dalle tue occupazioni, lascia per un po’ i<br />
tuoi pensieri tumultuosi. Allontana in questo momento i gravi affanni e metti da parte le tue<br />
faticose attività. Attendi un poco a Dio e riposa in lui. Entra nell’intimo della tua anima,<br />
escludi tutto, tranne Dio e quello che ti aiuta a cercarlo, e, richiusa la porta, di’ a Dio:<br />
Cerco il tuo volto. Il tuo volto io cerco, Signore”.<br />
2. I digiuni accetti a Dio<br />
Passiamo ora al secondo grande tema presente nel racconto di Gesù nel deserto: il digiuno.<br />
“Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame” (Mt 4, 1). In<br />
questo modo, dopo averci invitato a seguirlo nel deserto, Gesù ci suggerisce anche il cammino<br />
per raggiungerlo. Cosa significa per noi oggi imitare il digiuno di Gesù Una volta, con la<br />
parola digiuno si intendeva solo il limitarsi nei cibi e l’astenersi dalle carni. Questo digiuno<br />
alimentare conserva tuttora la sua validità ed è altamente raccomandato, quando è fatto con<br />
spirito di sacrificio, per mortificare la gola e avere qualcosa di più da condividere con chi<br />
muore di fame, e non unicamente per mantenere la linea.<br />
Tuttavia, questo non è oggi il digiuno più necessario. Nessun cibo, diceva Gesù, è, per sé,<br />
impuro, e non è quello che entra nello stomaco che inquina l’uomo. Dobbiamo inventare<br />
forme di digiuno ascetico nuove, corrispondenti alla vita di oggi che è diversa da quella di<br />
venti o dieci secoli fa. Il digiuno classico, dagli alimenti, è diventato ambiguo nella nostra<br />
società. Nell’antichità non si conosceva che il digiuno religioso; oggi esiste un digiuno<br />
politico e sociale (scioperi della fame!), un digiuno patologico (anoressia), un digiuno estetico<br />
per mantenere la linea...<br />
La forma più necessaria e significativa di digiuno per noi oggi si chiama sobrietà. Privarsi<br />
volontariamente di piccole o grandi comodità, di quanto è inutile e a volte anche dannoso alla<br />
salute. Questo digiuno è solidarietà con la povertà di tanti. Chi non ricorda le parole di Isaia<br />
che la liturgia ci fa ascoltare all’inizio di ogni Quaresima<br />
“ Il digiuno che io gradisco non è forse questo:<br />
che tu divida il tuo pane con chi ha fame,<br />
che tu conduca a casa tua gli infelici privi di riparo,<br />
che quando vedi uno nudo tu lo copra<br />
e che tu non ti nasconda a colui che è carne della tua carne” (Is 58, 6-7).<br />
Un tale digiuno è anche contestazione di una mentalità consumistica. In un mondo, che ha<br />
fatto della comodità superflua e inutile uno dei fini della propria attività, rinunciare al<br />
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superfluo, saper fare a meno di qualcosa, frenarsi dal ricorrere sempre alla soluzione più<br />
comoda, dallo scegliere la cosa più facile, l’oggetto di maggior lusso, vivere, insomma con<br />
sobrietà, è più efficace che imporsi delle penitenze artificiali. È, oltretutto, giustizia verso le<br />
generazioni che seguiranno la nostra che non devono essere ridotte a vivere delle ceneri di<br />
quello che abbiamo consumato e sprecato noi. La sobrietà un valore ecologico, di rispetto del<br />
creato.<br />
Più necessario del digiuno dai cibi è oggi il digiuno dalle immagini. Viviamo in una civiltà<br />
dell’immagine; siamo diventati divoratori di immagini. Attraverso la televisione, la stampa, la<br />
realtà stessa, lasciamo entrare a fiotti immagini dentro di noi. Molte di esse sono malsane,<br />
veicolano violenza e malizia, non fanno che aizzare i peggiori istinti che ci portiamo dentro.<br />
Sono confezionate espressamente per sedurre. Ma forse il peggio è che dànno un’idea falsa e<br />
irreale della vita, con tutte le conseguenze che ne derivano nell’impatto poi con la realtà. Si<br />
pretende che la vita offra tutto ciò che la pubblicità presenta.<br />
Se non creiamo un filtro, uno sbarramento, riduciamo in breve tempo la nostra fantasia e la<br />
nostra anima a un immondezzaio. Le immagini cattive non muoiono appena giunte dentro di<br />
noi, ma fermentano. Si trasformano in impulsi all’imitazione, condizionano terribilmente la<br />
nostra libertà. Un filosofo materialista, Feuerbach, ha detto: “L’uomo è ciò che mangia”; oggi<br />
bisognerebbe forse dire: “L’uomo è ciò che guarda”.<br />
Una volta qualcuno mi obbiettò: “Ma non è Dio che ha creato l’occhio per guardare tutto ciò<br />
che di bello c’è nel mondo”. “Sì, gli risposi, ma lo stesso Dio che ha creato l’occhio per<br />
guardare, ha anche creato la palpebra per coprirlo! Ed sapeva quello che faceva”.<br />
Un altro di questi digiuni alternativi, che possiamo fare durante la Quaresima, è quello dalle<br />
parole cattive. San Paolo raccomanda: “Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca, ma<br />
piuttosto parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli<br />
che ascoltano” (Efesini 4, 29).<br />
Un anno, all’inizio della Quaresima, si chiedeva una comunità di laici, che cosa fare, come<br />
gesto comune, per santificare questo tempo. Dovettero scartare subito il digiuno dai cibi,<br />
perché c’erano alcune mamme in attesa, o con bambini da allattare. Allora decisero di<br />
prendere come programma quelle parole dell’Apostolo e di fare insieme un digiuno dalle<br />
parole cattive. Ognuno scrisse quella frase di san Paolo e la affisse in un luogo ben visibile<br />
della casa. E fu una Quaresima benedetta.<br />
Parole cattive non sono solo le parolacce; sono anche le parole taglienti, negative che mettono<br />
in luce sistematicamente il lato debole del fratello, parole di critica, di sarcasmo. Nella vita di<br />
una famiglia o di una comunità, queste parole hanno il potere di far chiudere ognuno in se<br />
stesso, di raggelare, creando amarezza e risentimento. Alla lettera, “mortificano”, cioè dànno<br />
la morte. San Giacomo diceva che la lingua è piena di veleno mortale; con essa possiamo<br />
benedire Dio o maledirlo, risuscitare un fratello o ucciderlo. Una parola può fare più male di<br />
un pugno.<br />
C’una infine forma di digiuno che riassume tutte le altre; un detto attribuito a Gesù nelle<br />
fonti extra canoniche lo chiama il “digiunare dal mondo” (nesteuein to kosmo). San Paolo<br />
esortava i cristiani a non “seguire l’andazzo di questo mondo, seguendo il principe delle<br />
potenze dell’aria” (Ef 2,2). Mai questo accenno allo spirito “ che agisce nell’aria” è attuale<br />
come oggi, quando l’etere è attraversato da tanti messaggi. Il mondo è maestro nel creare una<br />
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mentalità, il cosiddetto “spirito del tempo”, e nel far ritenere disadattato, “out” come si dice<br />
oggi, chi non si adegua ad esso.<br />
Un’immagine efficace per descrivere questa azione del mondo è il virus dei computer. Per<br />
quel poco che ne so io, il virus è un piccolo programma malignamente predisposto, che<br />
penetra in un computer per le vie più insospettate (scambio di dischetti, di informazioni e di<br />
programmi) e che una volta penetrato in esso, ne confonde o blocca il normale<br />
funzionamento, alterando i cosiddetti “modelli operativi”. Lo spirito del mondo fa lo stesso:<br />
penetra in noi in mille modi, con l’aria stessa che respiriamo, e, una volta dentro, cambia i<br />
nostri modelli; al modello “Cristo”, sostituisce il modello “mondo”.<br />
E’ pura illusione pretendere di mantenersi immuni dallo spirito del mondo, se quello che<br />
entra a ondate in noi, dagli occhi e dalle orecchie, non è che lo sfavillio dei suoi colori, la<br />
sensualità delle sue immagini, la falsa innocenza dei suoi “nudi”, la violenza delle sue<br />
rappresentazioni. Il mondo più pericoloso non è quello che ci combatte, ma quello che ci<br />
attira; non quello che ci odia, ma quello che ci lusinga. Il mondo sa bene, purtroppo, come far<br />
circolare i suoi virus. Bisogna vigilare sui “programmi” che immettiamo nella nostra<br />
“memoria”, intendendo a volte “programmi” nel senso che il termine ha nei mass-media, per<br />
esempio, nel senso dei programmi televisivi.<br />
3. Tentato da Satana<br />
Questo ci ha già introdotti nel terzo elemento del racconto evangelico sul quale vogliamo<br />
riflettere: la lotta di Gesù contro il demonio, le tentazioni.<br />
Anzitutto una domanda: esiste il demonio Cioè, la parola demonio indica davvero una<br />
qualche realtà personale, dotata di intelligenza e volontà, o è semplicemente un simbolo, un<br />
modo di dire per indicare la somma del male morale del mondo, l’inconscio collettivo,<br />
l’alienazione collettiva e via dicendo Molti, tra gli intellettuali, non credono nel demonio<br />
inteso nel primo senso. Però si deve notare che grandi scrittori e pensatori, come Goethe,<br />
Dostoevskij hanno preso assai sul serio l’esistenza di satana. Baudelaire, che non era certo<br />
uno stinco di santo, ha detto che «la più grande astuzia del demonio è far credere che egli non<br />
esiste».<br />
La prova principale dell’esistenza del demonio nei Vangeli non è nei numerosi episodi di<br />
liberazione di ossessi, perché nell’interpretare questi fatti possono aver influito le credenze<br />
antiche sull’origine di certe malattie. Gesù che è tentato nel deserto dal demonio, questa è la<br />
prova. La prova sono anche i tanti santi che hanno lottato nella vita con il principe delle<br />
tenebre. Essi non sono dei «Don Chisciotte» che hanno lottato contro mulini a vento. Al<br />
contrario, erano uomini molto concreti e dalla psicologia sanissima. San Francesco d’Assisi<br />
una volta confidò a un compagno: “Se i frati sapessero quante e quali tribolazioni io ricevo<br />
dai demoni, non ce ne sarebbe uno che non si metterebbe a piangere per me”.<br />
Se tanti trovano assurdo credere nel demonio è perché si basano sui libri, passano la vita nelle<br />
biblioteche o a tavolino, mentre al demonio non interessano i libri, ma le persone,<br />
specialmente, appunto, i santi. Cosa può saperne su satana chi non ha mai avuto a che fare con<br />
la realtà di satana, ma solo con la sua idea, cioè con le tradizioni culturali, religiose,<br />
etnologiche su satana Costoro trattano di solito questo argomento con grande sicurezza e<br />
superiorità, liquidando tutto come «oscurantismo medievale». Ma è una falsa sicurezza. Come<br />
chi si vantasse di non aver alcuna paura del leone, adducendo come prova il fatto che lo ha<br />
visto tante volte dipinto o in fotografia è non si è mai spaventato.<br />
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È del tutto normale e coerente che non creda nel diavolo, chi non crede in Dio. Sarebbe<br />
addirittura tragico se qualcuno che non crede in Dio credesse nel diavolo! Eppure, a pensarci<br />
bene, è quello che avviene nella nostra società. Il demonio, il satanismo e altri fenomeni<br />
connessi sono oggi di grande attualità. Il nostro mondo tecnologico e industrializzato pullula<br />
di maghi, stregoni di città, occultismo, spiritismo, dicitori di oroscopi, venditori di fatture, di<br />
amuleti, nonché di sette sataniche vere e proprie. Scacciato dalla porta, il diavolo è rientrato<br />
dalla finestra. Cioè, scacciato dalla fede, è rientrato con la superstizione.<br />
La cosa più importante che la fede cristiana ha da dirci non è però che il demonio esiste, ma<br />
che Cristo ha vinto il demonio. Cristo e il demonio non sono per i cristiani due princìpi uguali<br />
e contrari, come in certe religioni dualistiche. Gesù è l’unico Signore; satana non è che una<br />
creatura «andata a male». Se gli è concesso potere sugli uomini, è perché gli uomini abbiano<br />
la possibilità di fare liberamente una scelta di campo e anche perché «non montino in<br />
superbia» (cfr. 2 Corinzi 12,7), credendosi autosufficienti e senza bisogno di alcun redentore.<br />
«Il vecchio satana è matto» dice un canto spiritual negro. «Ha sparato un colpo per<br />
distruggere la mia anima, ma ha sbagliato mira e ha distrutto invece il mio peccato.»<br />
Con Cristo non abbiamo nulla da temere. Niente e nessuno può farci del male, se noi stessi<br />
non lo vogliamo. Satana, diceva un antico padre della Chiesa, dopo la venuta di Cristo, è<br />
come un cane legato sull’aia: può latrare e avventarsi quanto vuole; ma, se non siamo noi ad<br />
andargli vicino, non può mordere. Gesù nel deserto si è liberato da satana per liberarci da<br />
satana!<br />
Il racconto delle tentazione nel Vangelo di Marco, dicevo, è quanto mai stringato. Non dice<br />
nulla del contenuto e del tenore delle tentazioni. Per questo dobbiamo ricorrere a Matteo e<br />
Luca. Entrambi ci parlano di tre tentazioni: “Se sei Figlio di Dio, di’ che questi sassi diventino<br />
pane”; “Se sei Figlio di Dio, gettati giù”; “Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi<br />
adorerai”.<br />
Esse hanno uno scopo unico e comune a tutte: distogliere Gesù dalla sua missione, distrarlo<br />
dallo scopo per cui è venuto in terra; sostituire al piano del Padre un piano diverso. Nel<br />
battesimo, il Padre aveva additato a Cristo la via del Servo obbediente che salva con l’umiltà<br />
e la sofferenza; satana gli propone una via di gloria e di trionfo, la via che tutti allora si<br />
aspettavano dal Messia.<br />
Anche oggi tutto lo sforzo del demonio è di distogliere l’uomo dallo scopo per cui è al mondo<br />
che è quello di conoscere, amare e servire Dio in questa vita per goderlo poi nell’altra. Distrarlo,<br />
cioè trarlo da una altra parte, in altra direzione.<br />
Satana però è anche astuto; non compare di persona con tanto di corna e odore di zolfo<br />
(sarebbe troppo facile riconoscerlo); si serve delle cose buone portandole all’eccesso,<br />
assolutizzandole e facendone degli idoli. Il denaro è una cosa buona, come lo sono il piacere,<br />
il sesso, il mangiare, il bere. Ma se essi diventano la cosa più importante della vita, il fine, non<br />
più dei mezzi, allora diventano distruttivi per l’anima e spesso anche per il corpo.<br />
Un esempio particolarmente attinente al tema è il divertimento, il distrarsi. Il gioco è una<br />
dimensione nobile dell’essere umano; Dio stesso ha comandato il riposo. Il male è fare del<br />
gioco lo scopo della vita, vivere la settimana come attesa del sabato notte o della partita allo<br />
stadio della domenica, per non parlare di altri passatempo assai meno innocenti. In questo<br />
caso il divertimento cambia segno e, anziché servire alla crescita umana e alleviare lo stress e<br />
la fatica, li accresce.<br />
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Un inno liturgico della Quaresima esorta a usare più parcamente, in questo tempo, di «parole,<br />
cibi, bevande, sonno e divertimenti». Questo è un tempo per riscoprire perché siamo venuti al<br />
mondo, da dove veniamo, dove andiamo, che rotta stiamo seguendo. Altrimenti ci può<br />
capitare quello che capitò al Titanic o, più civino a noi nel tempo e nello spazio, alla Costa<br />
Concordia.<br />
Se ci accorgiamo che l’avvertimento ci riguarda, che c’è qualche cambiamento da fare nelle<br />
nostre abitudini a questo riguardo, è importante farlo subito, alla prima occasione.<br />
Kierkegaard che oltre che filosofo era anche un credente, fa questa osservazione acuta. A uno<br />
– dice – la parola di Dio ha rivelato che il suo peccato è la passione del gioco; è questo ciò<br />
che Dio gli chiede di sacrificargli. (L’esempio può essere esteso ad altre abitudini<br />
peccaminose, come la droga, disordini nel bere, nel mangiare, un rancore, il dire bugie,<br />
un’ipocrisia, una relazione illecita). Quell’uomo, convinto di peccato, decide di smettere e<br />
dice: “Faccio voto solenne e sacro di non giocare mai più, mai più: questa sera sarà l’ultima<br />
volta!”.<br />
Naturalmente, non ha risolto nulla; egli continuerà a giocare come prima. Egli deve dire,<br />
semmai, a se stesso: “D’accordo, tutto il resto della tua vita e tutti i giorni tu potrai giocare,<br />
ma questa sera no!”. Se egli mantiene il suo proposito e quella sera non gioca, è salvo; non<br />
giocherà probabilmente più per il resto della vita. La prima risoluzione è un brutto scherzo<br />
che la passione gioca al peccatore; la seconda è, al contrario, un brutto scherzo che il<br />
peccatore gioca alla passione<br />
4. “Stava con le fiere e gli angeli lo servivano”<br />
Ho cercato di mettere in luce gli insegnamenti e gli esempi che ci vengono da Gesù per questo<br />
tempo di Quaresima, ma devo dire che ho omesso finora di parlare del più importante di tutti.<br />
Perché Gesù, dopo il suo battesimo, si recò nel deserto Per essere tentato da Satana No, non<br />
ci pensava nemmeno; nessuno va di proposito in cerca di tentazioni e lui stesso ci ha<br />
insegnato a pregare di non essere indotti in tentazione. Le tentazioni furono un’iniziativa del<br />
demonio, permessa dal Padre, per la gloria del suo Figlio e come insegnamento per noi. In tal<br />
modo Gesù “si libera di satana per liberarci da satana”.<br />
Andò nel deserto per digiunare Anche, ma non principalmente per questo. Vi mandò per<br />
ascoltare il Padre suo, per sintonizzarsi, come uomo, con la volontà divina, per approfondire<br />
la missione che la voce del Padre, nel battesimo, gli aveva fatto intravvedere: la missione del<br />
Servo obbediente chiamato a redimere il mondo con la sofferenza e l’umiliazione. Vi andò<br />
insomma per pregare, per stare in intimità con il Padre suo. E questo è anche lo scopo<br />
principale della nostra Quaresima.<br />
Non si va nel deserto per lasciare qualcosa –il chiasso, il mondo, le occupazioni -; ci si va per<br />
trovare qualcosa, anzi Qualcuno. Non ci si va solo per ritrovare se stessi, per mettersi in<br />
contatto con il proprio io profondo, come in tante forme di meditazione non cristiane. Essere<br />
soli con se stessi può significare trovarsi con la peggiore delle compagnie. Il credente va nel<br />
deserto, scende nel proprio cuore, per riannodare il suo contatto con Dio, perché sa che<br />
“nell’uomo interiore abita la Verità”.<br />
È il segreto della felicità e della pace in questa vita. I santi ne sono a conoscenza tanto da far<br />
esclamare a uno di essi: “Signore, basta con la gioia: il mio cuore non ne può contenere di<br />
più!” Cosa desidera di più un innamorato se non stare da solo, in intimità, con la persona<br />
amata Dio è innamorato di noi e desidera che noi ci innamoriamo di lui. Parlando del suo<br />
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popolo come di una sposa, Dio dice: “La condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” (Os 2,<br />
16).<br />
Si sa qual è l’effetto dell’innamoramento: tutte le cose e tutte le altre persone passano di colpo<br />
in secondo piano. C’è una presenza che riempie tutto. Non isola dagli altri, che anzi rende<br />
ancora più attenti e disponibili verso gli altri, ma come di riflesso, per ridondanza di amore.<br />
Oh, se i cristiani scoprissero quanto è vicina a loro, a portata di mano, la felicità e la pace che<br />
cercano in questo mondo!<br />
Il racconto di Marco termina con una frase misteriosa: “Stava tra le bestie selvatiche e gli<br />
angeli lo servivano”. Ma il suo significato è chiaro: vinte le tentazioni del serpente, Gesù è il<br />
nuovo Adamo che riapre per noi il cammino verso paradiso terrestre quando l’uomo godeva<br />
dell’armonia con tutte le creature e della familiarità con Dio (gli angeli!).<br />
Terminiamo la nostra meditazione con un inno liturgico che si recita nell’Ufficio delle letture<br />
di questo tempo di Quaresima: vi troveremo riassunti quasi tutti i temi che abbiamo evocato.<br />
È la santa Madre Chiesa che parla ai suoi figli:<br />
Protesi alla gioia pasquale,<br />
sulle orme di Cristo Signore,<br />
seguiamo l’austero cammino<br />
della santa Quaresima.<br />
La legge e i profeti annunziarono<br />
dei quaranta giorni il mistero;<br />
Gesù consacrò nel deserto<br />
questo tempo di grazia.<br />
Sia parca e frugale la mensa,<br />
sia sobria la lingua ed il cuore;<br />
fratelli, è tempo di ascoltare<br />
la voce dello Spirito.<br />
Forti nella fede vigiliamo<br />
contro le insidie del nemico:<br />
ai servi fedeli è promessa<br />
la corona di gloria.<br />
Sia lode al Padre onnipotente,<br />
al Figlio Gesù redentore,<br />
allo Spirito Santo Amore,<br />
nei secoli dei secoli. Amen.<br />
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