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ISSN 1127-2872<br />
PUBBLICAZIONE SEMESTRALE ANNO XVI<br />
N. 1 GENNAIO - GIUGNO 2011<br />
Tariffa R.O.C.: Poste <strong>Italia</strong>ne s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. I, comma I, DCB Milano<br />
<strong>Contratto</strong> e <strong>impresa</strong> / <strong>Europa</strong><br />
a cura di F. Galgano e M. Bin<br />
• Class action in <strong>Europa</strong><br />
• Mediazione e ADR<br />
• Incoterms e vendita internazionale<br />
• Diritto contrattuale europeo<br />
• Scelta del foro; accordo sul luogo di consegna e foro<br />
comunitario; competenza giurisdizionale e contratti<br />
on line; proposte della Commissione europea sulla<br />
competenza giurisdizionale<br />
• Contratti di distribuzione tra <strong>Italia</strong> e Francia<br />
• La nuova direttiva sui ritardi di pagamento<br />
• Concetto di sovvenzione in diritto comunitario<br />
e nazionale<br />
• Il registro mercantil in Spagna; novità normative<br />
in Germania<br />
• Il Regolamento sulla legge applicabile a separazione<br />
e divorzio<br />
• La legge comunitaria (2010)<br />
2011
<strong>Contratto</strong> e <strong>impresa</strong> / <strong>Europa</strong><br />
1<br />
anno sedicesimo<br />
a cura di<br />
F. Galgano e M. Bin<br />
• Class action in <strong>Europa</strong><br />
• Mediazione e ADR<br />
• Incoterms e vendita internazionale<br />
• Diritto contrattuale europeo<br />
• Scelta del foro; accordo sul luogo di consegna e foro<br />
comunitario; competenza giurisdizionale e contratti<br />
on line; proposte della Commissione europea sulla<br />
competenza giurisdizionale<br />
• Contratti di distribuzione tra <strong>Italia</strong> e Francia<br />
• La nuova direttiva sui ritardi di pagamento<br />
• Concetto di sovvenzione in diritto comunitario<br />
e nazionale<br />
• Il registro mercantil in Spagna; novità normative<br />
in Germania<br />
• Il Regolamento sulla legge applicabile a separazione<br />
e divorzio<br />
• La legge comunitaria (2010)<br />
2011
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA<br />
Copyright 2011 <strong>Wolters</strong> <strong>Kluwer</strong> <strong>Italia</strong> Srl<br />
A norma della legge sul diritto d’autore e del codice civile è vietata la<br />
riproduzione di questo libro o di parte di esso con qualsiasi mezzo, elettronico,<br />
meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro.<br />
Editore: <strong>Wolters</strong> <strong>Kluwer</strong> <strong>Italia</strong> Srl - Centro Direzionale Milanofiori -<br />
Strada 1, Pal. F6 - 20090 Assago (MI)<br />
Autorizzazione del Tribunale di Padova del 31 gennaio 2006 n. 2000<br />
Direttore responsabile: Francesco Galgano<br />
Composizione: Bertoncello Artigrafiche - Cittadella (PD)<br />
Stampa: Geca Industrie Grafiche - Via Magellano, 11 - 20090 Cesano Boscone (MI)<br />
Stampato in <strong>Italia</strong> - Printed in Italy
<strong>Contratto</strong> e <strong>impresa</strong> / <strong>Europa</strong> 1-2011<br />
anno sedicesimo<br />
a cura di<br />
F. Galgano e M. Bin<br />
INDICE SOMMARIO<br />
DIBATTITI<br />
INTERROGATIVI SULLA “CLASS ACTION”:<br />
LE RISPOSTE DI ALCUNI GIURISTI EUROPEI<br />
La nuova “azione di classe” in <strong>Italia</strong> di Edoardo Ferrante . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1<br />
La tutela collettiva nel diritto processuale tedesco di Marina Tamm . . » 30<br />
Class actions: l’esperienza spagnola di Amaya Arnaiz Serrano-Manuel Ignacio<br />
Feliu Rey . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 43<br />
Class actions in Portogallo: alcuni aspetti di Afonso D’Oliveira Martins . . » 58<br />
Dutch Treat: the Dutch Collective Settlement of Mass Damage Act<br />
(WCAM 2005) di Franziska Weber-Willem H. van Boom . . . . . . . . . . . . . . . . » 69<br />
SAGGI<br />
Vincenzo Vigoriti, <strong>Europa</strong> e mediazione. Problemi e soluzioni . . . . . . . . . . . . . . . . » 81<br />
Sommario: 1. Introduzione. Il quadro di riferimento. L’oggetto della consultazione.<br />
– 2. Le lacune nell’informazione (quesiti 1-4). – 3. Coinvolgimento<br />
di commercianti e fornitori: l’ADR obbligatoria (quesiti 5-8). – 4. Diffusione<br />
sul territorio e specializzazione (quesiti 9-13). – 5. Le risorse finanziarie (quesiti<br />
14-16).<br />
Ermenegildo Mario Appiano, Contributo al dibattito sulla mediazione civile e<br />
commerciale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 97<br />
Sommario: 1. Premessa. – 2. Come opera il mediatore – 3. Che cosa intende<br />
il legislatore per mediazione – 4. La condizione di procedibilità alla luce
VI CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
del principio dell’equo processo. – 5. La rilevanza delle questioni giuridiche<br />
in mediazione. – 6. Perché è opportuno che le parti partecipino personalmente<br />
alla mediazione – 7. L’utilità della mediazione. – 8. In conclusione.<br />
Ernesto Capobianco, Mediazione obbligatoria e Arbitro Bancario Finanziario . . pag. 134<br />
Sommario: 1. La disciplina della mediazione obbligatoria e i contratti bancari<br />
e finanziari: l’alternativa nella scelta del meccanismo di soluzione stragiudiziale<br />
delle controversie. – 2. L’Arbitro Bancario Finanziario e la sua « ibrida<br />
» natura: conseguenze sulla qualificazione della « decisione » dell’organismo.<br />
– 3. Verifica delle condizioni di « alternatività ». Il carattere non assoluto<br />
dell’alternativa: limitazioni di tipo soggettivo, oggettivo, convenzionale e<br />
territoriale. – 4. Il possibile rapporto tra procedimento dinanzi all’Arbitro<br />
Bancario Finanziario e la disciplina della mediazione. Le relazioni col processo.<br />
– 5. Rilievi conclusivi, pronostici e proposte.<br />
Leonardo Graffi, Incoterms e UCP 600 quali usi dei contratti di vendita internazionale<br />
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 147<br />
Sommario: 1. Premessa. – 2. La sfera di applicazione dell’art. 9 della Convenzione:<br />
gli usi commerciali. – 3. Segue: prassi e abitudini contrattuali. – 4.<br />
L’applicazione degli Incoterms ai contratti di compravendita internazionale<br />
disciplinati dalla Convenzione: questioni interpretative. Gli Incoterms nella<br />
disciplina della compravendita internazionale. – 5. Segue: l’efficacia degli Incoterms<br />
nella giurisprudenza internazionale. – 6. Gli UCP nella disciplina<br />
della compravendita internazionale. – 7. Conclusioni.<br />
Olga Trombetti, I tentativi di uniformazione del diritto contrattuale a livello europeo.<br />
Prime riflessioni per un confronto tra il Draft of Common Frame of Reference<br />
ed il progetto preliminare del Code européen des contrats . . . . . . . . . . . . » 168<br />
Sommario: 1. La logica della sistematica organizzazione del diritto contrattuale<br />
europeo. – 2. L’acquis comunitario quale piattaforma di partenza nel<br />
processo di armonizzazione: il Draft of Common Frame of Reference. – 3. La<br />
logica protezionistica del consumatore nella disciplina del contratto di vendita<br />
prevista dal Code e dal DCFR: a) gli obblighi di informazione. – 4. Segue:<br />
b) il sistema dei rimedi azionabili dal compratore. – 5. Conclusioni.<br />
Giacomo Pailli, Commercio internazionale e giurisdizione consensuale: le “proposte”<br />
della Convenzione dell’Aja del 30 giugno 2005 sulle clausole di scelta del<br />
foro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 192<br />
Sommario: 1. Introduzione. – 2. Ambito di applicazione. – 2.1. Internazionalità<br />
della controversia. – 2.2. Clausole esclusive. – 2.3. Materia civile e commerciale.<br />
– 3. I tre principi fondamentali. – 3.1. Il giudice eletto deve esercitare<br />
la propria giurisdizione. – 3.2. Il giudice non scelto deve astenersi. – 3.3.<br />
Tutti i giudici devono riconoscere e dare esecuzione alla decisione. – 4. Il regime<br />
delle dichiarazioni. – 5. Conclusioni.
INDICE SOMMARIO<br />
VII<br />
Christian Notdurfter - Silvia Petruzzino, Luogo di consegna e relativo<br />
accordo delle parti nell’ambito del foro comunitario del contratto . . . . . . . . . . . . pag. 223<br />
Sommario: 1. Premessa. – 2. La nozione di « luogo di consegna »: dal criterio<br />
di individuazione « conflittuale-analitico » a quello « pragmatico-fattuale<br />
». – 3. Il luogo di consegna in assenza di accordo. – 4. L’accordo sul luogo<br />
di consegna: la rilevanza della volontà delle parti. – 5. Segue: la dizione<br />
« salvo diversa convenzione » ed il concetto di « accordo astratto » quale limite<br />
alla volontà delle parti. – 6. L’accordo espresso ed il valore degli Incoterms<br />
e delle clausole simili. – 7. L’accordo implicito ed i dubbi sulla relativa<br />
ammissibilità. – 8. Conclusioni.<br />
Silvia Marino, I contratti di consumo on line e la competenza giurisdizionale in<br />
ambito comunitario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 247<br />
Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il sito internet interattivo. – 3. La sentenza<br />
della Corte di giustizia. – 4. Conclusioni.<br />
Andrea Costa, La nuova disciplina del credito ai consumatori . . . . . . . . . . . . . . . . . » 262<br />
Sommario: 1. Le ragioni di una normativa sul credito al consumo e l’intervento<br />
del legislatore europeo. – 2. Le prospettive di armonizzazione: la direttiva<br />
08/48/CE sui contratti di credito ai consumatori. – 3. La nuova disciplina italiana:<br />
fattispecie negoziale e ambito d’applicazione. – 3.1. Le norme a tutela del<br />
consumatore. – 3.2. Gli obblighi informativi. – 3.3. La valutazione del merito<br />
creditizio. – 3.4. Le norme di protezione sostanziale. – 4. Conclusioni.<br />
Giovanni Gargiulo, Il passaggio dal marchio celebre al marchio che gode di rinomanza,<br />
attraverso il riconoscimento legislativo della forza comunicativa e suggestiva<br />
del segno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 301<br />
Sommario: 1. Il progressivo riconoscimento delle diverse funzioni del marchio.<br />
– 2. Il marchio celebre. – 3. Le ragioni della novella del 1992. – 4. La Direttiva<br />
89/104/CEE: prime perplessità interpretative. – 5. Il marchio che gode<br />
di rinomanza. – 6. Le due ipotesi dell’approfittamento e del pregiudizio. –<br />
7. Il giusto motivo ed i problemi di diritto intertemporale – 8. Conclusioni.<br />
Olivier Delgrange-Aurora Visentin, Disciplina applicabile al recesso di un<br />
fabbricante italiano da un contratto di distribuzione con una parte francese . . . » 319<br />
Sommario: 1. Premessa. – 2. Qual è il foro competente per le controversie<br />
concernenti un contratto di distribuzione con un fabbricante italiano – 3.<br />
Le norme di diritto francese relative allo scioglimento del vincolo contrattuale<br />
e la loro cogenza. – 4. Il recesso dai contratti di distribuzione.<br />
Roberto Cippitani, Il concetto giuridico di sovvenzione nel diritto dell’Unione europea<br />
e nel diritto nazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 335<br />
Sommario: 1. Individuazione del concetto di sovvenzione. – 2. Profili struttu-
VIII CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
rali. – 3. La clausola di scopo. – 4. Distinzione tra sovvenzioni e appalti in base<br />
alle categorie civilistiche. – 5. Critica all’utilizzo dei concetti civilistici: interesse,<br />
obbligazioni e contratti. – 6. L’assenza di corrispettività. —7. La gratuità.<br />
– 8. L’iniziativa nella domanda di sovvenzione. – 9. Il procedimento nella scelta<br />
del beneficiario. – 10. La modalità di erogazione del contributo. – 11. Il carattere<br />
associativo del rapporto di sovvenzione. – 12. Funzione delle sovvenzioni.<br />
María Ascensión Martín Huertas, El espacio registral europeo. El modelo<br />
español del Registro Mercantil . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 370<br />
Sommario: 1. Introducción. – 2. Razones para la creación de un espacio registral<br />
europeo. – 3. El Registro Mercantil en el ordenamiento jurídico<br />
español. – 3.1. Origen y evolución. – 3.2. Concepto, funciones y normativa. –<br />
3.3. Organización del Registro Mercantil. – 3.4. Objeto de la inscripción. –<br />
3.5. Inscripción. – 3.6. Calificación registral. – 3.7. Efectos de la inscripción. –<br />
3.8. Principio de publicidad.<br />
OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO<br />
Presa di posizione sul futuro del CFR di Alessio Zaccaria . . . . . . . . . . . . . . . . » 397<br />
Novità normative in Germania (anni 2008-2011) di Arne Alberts e Edoardo Ferrante<br />
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 400<br />
Vendita di lenti a contatto on line e prospettive di sviluppo dell’e-commerce<br />
nell’Unione europea di Maria Giovanna Fanelli . . . . . . . . . . . . . . . . . » 407<br />
Competenza giurisdizionale: le proposte della Commissione europea di<br />
Sara Amerio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 423<br />
Separazione e divorzio: il Regolamento UE 1259/2010 del 20 dicembre<br />
2010, per una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile<br />
di Elisabetta Malagoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 436<br />
OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO<br />
La nuova direttiva 2011/7 in tema di lotta contro i ritardi di pagamento<br />
nelle transazioni commerciali: prospettive di recepimento di Andrea<br />
Canavesio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 447<br />
La legge comunitaria 2010 di Rossana Pennazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 464
Hanno collaborato a questo numero:<br />
Arne Alberts, Diplomjurist e collaboratore scientifico presso il Centrum für Europäisches<br />
Privatrecht della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Münster, Germania (arne.alberts@uni-muenster.de);<br />
Sara Amerio, magistrato ordinario in tirocinio (sara.amerio@giustizia.it);<br />
Ermenegildo Mario Appiano, avvocato in Torino (avv.appiano@appiano.info);<br />
Amaya Arnaiz Serrano, professore titular interina di Diritto Processuale, membro dell’Instituto<br />
de Justicia y Litigación Alonso Martinez, Università Carlos III di Madrid (aarnaiz@der-pu.uc3m.es);<br />
Andrea Canavesio, avvocato in Torino (andrea.canavesio@libero.it);<br />
Ernesto Capobianco, ordinario di Istituzioni di Diritto Privato nell’Università del Salento<br />
(prof. capobianco@libero.it)<br />
Roberto Cippitani, dottore commercialista e revisore legale (roberto.cippitani<br />
@gmail.com);<br />
Andrea Costa, dottore di ricerca in Diritto dei Consumatori e Mercato; avvocato in Roma<br />
(acosta@studiolegalealpa.it);<br />
Afonso D’Oliveira Martins, professore catedrático, Facoltà di Diritto, Università Lusíada<br />
di Lisbona;<br />
Olivier Delgrange, avvocato in Milano e Parigi (olivier.delgrange@wenner.eu);<br />
Maria Giovanna Fanelli, avvocato in Torino (mg.fanelli@studiofanelli.it);<br />
Manuel Ignacio Feliu Rey, professore titular di Diritto Civile, Direttore Catedra Asgeco<br />
Università Carlos III di Madrid (manuelignacio.feliu@gmail.com);<br />
Edoardo Ferrante, ricercatore di Diritto Privato nell’Università di Torino (edoardo.ferrante@unito.it);<br />
Giovanni Gargiulo, avvocato in Napoli (studiolegalegargiulo@yahoo.it)<br />
Leonardo Graffi, avvocato in Roma e New York (leonardograffi@hotmail.com);<br />
Elisabetta Malagoli, avvocato in Torino (elismagi.studiopoliti@virgilio.it);<br />
Silvia Marino, dottore di ricerca in Diritto dell’Unione Europea (silvia.marino@uninsubria.it);<br />
María Ascensión Martín Huertas, professore asociada di Diritto Civile nell’Università<br />
di Siviglia (martinh@us.es);<br />
Christian Notdurfter, dottore in giurisprudenza e Magister der Rechtswissenschaften<br />
(c.notdurfter@gmail.com);<br />
Giacomo Pailli, dottorando di ricerca in Diritto Comparato nell’Università di Firenze<br />
(giacomo.pailli@unifi.it);<br />
Rossana Pennazio, dottore di ricerca in Diritto Civile (rossana.pennazio@eco. unipmn.it);<br />
Silvia Petruzzino, avvocato in Milano (Silvia.Petruzzino@mcalex.it);<br />
Marina Tamm, Privatdozentin presso la Humboldt Universität di Berlino (marina.tamm<br />
@uni-rostock.de);<br />
Olga Trombetti, dottoranda di ricerca in Diritto Privato Comparato nell’Università di<br />
Milano; avvocato in Santa Maria Capua Vetere (olga.trombetti@unimi.it);
X<br />
COLLABORATORI<br />
Willem H. van Boom, professore nell’Erasmus University di Rotterdam (vanboom@<br />
frg.eur.nl);<br />
Vincenzo Vigoriti, ordinario di Diritto Privato Comparato nell’Università di Firenze<br />
(vvigoriti@vigoriti.it);<br />
Aurora Visentin, avvocato in Milano e Parigi (aurora.visentin@wenner.eu);<br />
Franziska Weber, dottoranda in Law and Economics nell’Erasmus University di Rotterdam<br />
(f.weber@frg.eur.nl);<br />
Alessio Zaccaria, ordinario di Diritto Civile nell’Università di Verona.
Dibattiti<br />
INTERROGATIVI SULLA “CLASS ACTION”:<br />
LE RISPOSTE DI ALCUNI GIURISTI EUROPEI<br />
Questo dibattito è stato promosso dalla Rivista<br />
sottoponendo a sette studiosi europei della<br />
“class action” una selezione di specifici quesiti.<br />
La nuova “azione di classe” in <strong>Italia</strong><br />
1. – Le ragioni di un dibattito<br />
L’iniziativa editoriale è tempestiva, perché il dibattito ospitato dalla<br />
Rivista anticipa – ed accompagnerà – il sondaggio avviato dalla Commissione<br />
UE sul tema “Towards a Coherent European Approach to Collective<br />
Redress” ( 1 ). Dopo il “Libro verde sui mezzi di ricorso collettivo dei consumatori”<br />
( 2 ), che rappresentò una prima presa di coscienza, la Commissione<br />
mostra ora di perseguire con più decisione l’obiettivo dell’azione di<br />
classe europea. Quest’ultima, nel rimettere all’iniziativa privata l’attuazione<br />
dei diritti e degli interessi del cittadino europeo, si candida a divenire<br />
il maggior fattore di effettività del diritto comunitario, riempiendo di<br />
contenuto il programma di cittadinanza europea promosso dalle istituzioni<br />
dell’Unione.<br />
La consultazione, per come disegnata dall’ultimo consultation paper, attraverserà<br />
i punti nodali del processo collettivo, sviluppando quesiti e problemi<br />
ormai noti a quei paesi membri che hanno introdotto – o stanno per<br />
introdurre – meccanismi di tutela seriale o collettiva o di classe. La premes-<br />
( 1 ) Il Consultation paper (Commission Staff Working Document. Public Consultation:<br />
Towards a Coherent European Approach to Collective Redress) è stato pubblicato in lingua inglese<br />
il 4 febbraio 2011, sotto SEC(2011) 173 def.<br />
( 2 ) Il Libro verde sui mezzi di ricorso collettivo dei consumatori fu presentato il 27 novembre<br />
2008 sotto COM(2008) 794 def. (cfr. in tema, fra i molti, Vigoriti, L’azione risarcitoria<br />
di classe: sollecitazioni europee, resistenze italiane, in questa rivista, 2009, p. 680 ss.).
2 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
sa è nitida: “Essentially, every national system of compensatory redress is unique<br />
and there are no two national systems that are alike in this area” ( 3 ); ma<br />
d’altra parte questa molteplicità di soluzioni nazionali, che emergerà certamente<br />
anche dal presente dibattito, è figlia di politiche non omogenee fra<br />
loro e sottende una ben più radicale disparità di scopi: qualsiasi opera armonizzatrice,<br />
che voglia promuovere un’azione di classe europea, non potrà<br />
prescindere da un chiarimento di fondo sulle finalità e sulla ratio dell’istituto,<br />
e su queste “cucire” la veste più appropriata. Per quanto ovvia s’impone<br />
– qui più che mai – l’esigenza che la politica fissi innanzi tutto la mèta,<br />
ed a questa siano orientate scelte tecnico-giuridiche conseguenti ( 4 ).<br />
Da questo punto di vista l’azione vigente in <strong>Italia</strong> è purtroppo coerente:<br />
l’obiettivo sembra essere stato quello d’introdurre uno strumento vuoto, di<br />
facciata, se possibile inoperante; ed il legislatore ha centrato quell’obiettivo<br />
con maestrìa, scrivendo un nuovo art. 140-bis c.cons. che delude o quantomeno<br />
comprime ogni prospettiva di funzionamento dell’istituto.<br />
2. – L’ambito materiale della “class action” italiana<br />
La scelta di codificare l’azione all’interno del codice del consumo è già<br />
di per sé riduttiva: in <strong>Italia</strong> la classe beneficiaria della tutela aggregata può<br />
essere composta soltanto da consumatori, mentre l’accesso è negato a qualsiasi<br />
altro soggetto “debole” (magari più “debole” dello stesso consumatore,<br />
visto che questi vanta ormai normative di protezione nel complesso più<br />
avanzate rispetto a quelle concesse ad altre categorie). Si pensi alla piccola e<br />
media <strong>impresa</strong>, ma ancor più a quella che potrebbe denominarsi “micro<strong>impresa</strong>”<br />
e per la quale manca persino una definizione legislativa, che sopperisca<br />
all’ampiezza (ormai) eccessiva della nozione di piccolo imprenditore<br />
ex art. 2083 c.c. La protezione dell’<strong>impresa</strong> debole non è più estranea al<br />
diritto positivo ( 5 ), ma rimanendo estranea al codice del consumo, non può<br />
assumere le forme del processo di classe ( 6 ).<br />
( 3 ) Cfr. par. 9 SEC(2011) 173 def. (citato nella versione inglese attualmente disponibile).<br />
( 4 ) I termini del dibattito sono ben rappresentati dai contributi raccolti in Casper, Janssen,<br />
Pohlmann e Schulze (cur.), Auf dem Weg zu einer europäischen Sammelklage, München,<br />
2009; e in v. Boom e Loos (cur.), Collective Enforcement of Consumer Law, Groningen,<br />
2007; più in breve Janssen, <strong>Europa</strong> e class action: « stato dell’arte » e delimitazioni di campo, in<br />
questa rivista, 2009, p. 694 ss.<br />
( 5 ) Un’ampia ricognizione del tema è data da Gitti eVilla (cur.), Il terzo contratto, Bologna,<br />
2008.<br />
( 6 ) Lo ha confermato anche Trib. Torino, ord., 4 giugno 2010, in Nuova giur. civ., 2010, p.<br />
869 ss. con nota di Libertini e Maugeri; e in Danno e resp., 2011, p. 67 ss. con nota di Frata (la
DIBATTITI 3<br />
Segregare il diritto dei consumi entro le maglie di un codice speciale significa<br />
accentuarne l’isolamento e deprimerne la portata sistematica. Creato<br />
il codice di settore, spezzoni consistenti del codice civile generale – si<br />
pensi ai previgenti artt. 1469-bis ss. c.c. in materia di clausole vessatorie (ora<br />
artt. 33 ss. c.cons.), o agli artt. 1519-bis ss. c.c. sulle garanzie nella vendita al<br />
consumo (ora artt. 128 ss. c.cons.) – vi sono stati velocemente riversati senza<br />
ponderazione delle conseguenze: malgrado l’ambito d’applicazione non<br />
sia di per sé mutato, la ricollocazione settoriale delle norme ne rende ancor<br />
più precari i nessi con la parte generale, impendendo la congiunzione fra regole<br />
di settore e linee di principio.<br />
Altre volte la ricollocazione settoriale ha obbedito a finalità ancor più<br />
drastiche, cioè a contenere entro gli schemi del rapporto di consumo fattispecie<br />
prima dotate di maggiore ampiezza: così, abrogato il D.P.R. 24 maggio<br />
1988, n. 224 (ad opera dell’art. 146, lett. “a”, c.cons.), la responsabilità per<br />
danno da prodotti difettosi è divenuta parte integrante del codice di settore<br />
grazie agli artt. 114-127 c.cons., ma con ciò ha visto restringersi i suoi orizzonti<br />
applicativi, non potendosi dubitare che all’esito della ricollocazione<br />
l’acquirente tutelato dalla normativa in commento è soltanto il consumatore.<br />
All’isolamento sistematico si unisce persino un arretramento del fronte<br />
di tutela, che lascia sguarnito chi prima era protetto.<br />
Il duplice effetto riduttivo, sistematico e sostanziale, si ripercuote ora<br />
sull’azione di classe, non appena – e non a caso – situata entro il codice di<br />
settore: essa costituisce un rito speciale che non può fuoriuscire dagli schemi<br />
del rapporto di consumo, né prestarsi ad interpretazioni espansive o sistematicamente<br />
orientate; la sua stessa ubicazione la rende distante dal diritto<br />
civile comune.<br />
Sennonché le limitazioni non finiscono qui: la class action italiana ha<br />
margini d’applicazione più ristretti di quelli tracciati dagli artt. 1 ss. c.cons.<br />
per i diritti dei consumatori in generale. All’interno della normativa settoriale,<br />
l’art. 140-bis, comma 2, lett. “a)”, “b)” e “c)”, c.cons. definisce un ulteriore<br />
sotto-settore, non comprendendo neppure la totalità dei rapporti, dei<br />
diritti e degli interessi qua e là difesi, in maniera disorganica e farraginosa,<br />
dal codice del consumo ( 7 ).<br />
La citata lett. “a)” menziona i diritti contrattuali, ivi compresi quelli “relativi<br />
a contratti stipulati ai sensi degli artt. 1341 e 1342 del codice civile”: qui<br />
data del 27 maggio 2010, riportata nelle edizioni a stampa, è quella della deliberazione e non<br />
del deposito).<br />
( 7 ) Cfr. sul punto Alpa, L’art. 140-bis del codice del consumo nella prospettiva del diritto privato,<br />
in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2010, pp. 384-386.
4 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
la formula di legge è per fortuna ampia (anche se le restrizioni proverranno<br />
dalle considerazioni che seguono).<br />
La lett. “b)” cita “i diritti (. . .) spettanti ai consumatori finali di un determinato<br />
prodotto nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere<br />
da un diretto rapporto contrattuale”: la lettera di legge, malgrado l’apparente<br />
vastità, è volta a demarcare un preciso raggruppamento di illeciti, aquiliani<br />
o contrattuali – ad esempio quando il produttore sia stato anche venditore<br />
del prodotto – assicurando l’impunità a tutti gli altri; l’operazione è alfine<br />
restrittiva, perché nell’ammettere l’azione per gli illeciti (o gli inadempimenti)<br />
enunciati, la norma finisce con l’escluderla, in termini più generali,<br />
per tutte le altre ipotesi ricadenti nell’art. 2043 c.c. ( 8 ).<br />
Sorprende ad esempio che il diritto alla salute, solennemente riconosciuto<br />
dall’art. 2, comma 2, lett. “a)”, c.cons. come diritto fondamentale dei consumatori<br />
e degli utenti, ed anzi come diritto posto al vertice del loro bill of rights<br />
– in piena sintonìa non solo con l’art. 32, comma 1, Cost., ma anche con<br />
l’art. 3, comma 1, della Carta di Nizza-Strasburgo (fonte primaria del diritto<br />
dell’Unione ex art. 6, comma 1, nuovo testo, TUE) – non rientri nelle materie<br />
coperte dal nuovo rito, per lo meno quando la sua violazione sia perpetrata attraverso<br />
l’illecito aquiliano: la prolungata emissione di agenti tossici nello<br />
smaltimento di scorie e resti inquinanti, tipica di talune prassi produttive ben<br />
note alla nostra storia industriale, anche laddove abbia provocato malattie letali,<br />
non si presterebbe all’azione in commento, non ricadendovi l’illecito<br />
plurioffensivo come tale, ma solo quello riconducibile ai gruppi di fattispecie<br />
indicati alle lett. “a)”, “b)” e “c)” dell’art. 140-bis, comma 2, c. cons. ( 9 ).<br />
Tuttavia, quand’anche la lettera dell’art. 140-bis, comma 2, lett. “b)”, abbia<br />
portata tassativa – e valga a restringere, anziché allargare – neppure potrebbe<br />
essere sottoposta ad un’interpretazione tanto rigorosa da far coincidere<br />
il suo ambito con quello della responsabilità del produttore per danno<br />
( 8 ) Cfr. fra gli altri, Porreca, Ambito soggettivo e oggettivo dell’azione di classe, in Eur. dir.<br />
priv., 2010, p. 559 ss.; ed in breve Caponi, Il nuovo volto della class action, in Foro it., 2009, V,<br />
c. 383.<br />
( 9 ) Né si dica che in casi così gravi l’azione individuale conserva intatta la sua redditività;<br />
al contrario è noto che sfugge al processo tradizionale non solo l’intero “bagatellare” – con<br />
enorme ed illecito profitto del danneggiante – ma anche larga parte di quel contenzioso che<br />
bagatellare non è: le incertezze, le pastoie e le lungaggini del processo a base individuale rendono<br />
inappetibile l’azione civile anche a chi razionalmente dovrebbe esperirla, e nondimeno<br />
preferisca rinunciare consapevolmente a far valere i suoi diritti (s’interroga, ancora di recente,<br />
sul comportamento del consumatore medio, così come di quello “vulnerabile”, Zorzi<br />
Galgano, Il consumatore medio ed il consumatore vulnerabile nel diritto comunitario, in questa<br />
rivista, 2010, p. 549 ss.).
DIBATTITI 5<br />
da prodotti difettosi: quale che sia stata l’intenzione del legislatore, non<br />
emergono indici testuali che lascino subordinare l’esperimento dell’azione<br />
ex art. 140-bis, comma 2, lett. “b)”, c.cons. ai presupposti di difettosità disciplinati<br />
dagli artt. 114 ss. c.cons. (e già dal D.P.R. 24 maggio 1988, n. 224), tanto<br />
più che l’art. 115 c.cons., nel definire “prodotto” e “produttore”, chiarisce<br />
che dette definizioni varranno solo “ai fini del presente titolo”, e dunque<br />
non necessariamente dovranno essere osservate altrove, magari in sede di<br />
accesso al nuovo rito di classe.<br />
Si potrebbe citare il caso, sempre più attuale, del danno da fumo ( 10 ): l’illecito<br />
del produttore di sigarette, sempreché riscontrabile, non dipende dalla<br />
produzione e messa in commercio di prodotti “difettosi” ai sensi degli<br />
artt. 114 ss. c.cons. – la sigaretta nuoce per il solo fatto della sua combustione<br />
ed assunzione, anche quando prodotta a perfetta regola d’arte ( 11 )– ma<br />
non si potrà negare, per ciò solo, l’esperibilità dell’azione di gruppo per danno<br />
da fumo, non trovando questa alcuna controindicazione nella lettera<br />
dell’art. 140-bis, comma 2, lett. “b)”, c.cons.<br />
Infine la lett. “c)” ha riguardo al danno da pratiche commerciali scorrette<br />
e da comportamenti anticoncorrenziali dell’imprenditore, fattispecie virtualmente<br />
estese, e che potrebbero rappresentare una fonte di protezione<br />
significativa per i consumatori danneggiati, ma che al momento patiscono<br />
un certo ritardo nell’elaborazione teorica e nell’applicazione pratica, sicché<br />
non è agevole prevedere una gran mole d’azioni fondate su illeciti antitrust<br />
o su condotte commerciali improprie praticate su larga scala ( 12 ).<br />
Non può essere questo il diametro della class action europea, a meno<br />
che la finalità ultima del legislatore comunitario non sia quella di varare uno<br />
strumento di rara e difficile applicazione concreta, a salvaguardia di posizioni<br />
soggettive persino più ristrette di quelle che abitualmente si riconoscono<br />
al consumatore in generale.<br />
( 10 ) Cfr. in tema, da ultimo, Cascione, La responsabilità per danni da fumo, in Danno e resp.,<br />
2010, p. 869 ss.; più ampiamente Baldini, Il danno da fumo, Napoli, 2008.<br />
( 11 ) Lo pone in rilievo, molto chiaramente, l’importante Cass., 17 dicembre 2009, n. 26516,<br />
in Corr. giur., 2010, p. 482 ss., con nota di Ponzanelli, in La resp. civ., 2010, p. 334 ss., con nota<br />
di Fantetti, in Danno e resp., 2010, p. 569 ss., con nota di D’Antonio.<br />
( 12 ) Il private enforcement del diritto antitrust è ormai un luogo comune delle ricerche in<br />
tema di azioni collettive: cfr. fra i molti, Rossi dal Pozzo e Nascimbene (cur.), Il private<br />
enforcement delle norme sulla concorrenza, Milano, 2009, passim; e sulle implicazioni connesse<br />
al nuovo rimedio collettivo, in breve, Spada, Dalla concorrenza sleale alle pratiche commerciali<br />
scorrette nella prospettiva rimediale, in Dir. ind., 2011, p. 45 ss.; Guernelli, Class action<br />
e competenza antitrust, in Dir. ind., 2010, p. 249 ss.; ed Hess, “Private law enforcement” und<br />
Kollektivklagen, in JZ, 2011, p. 66 ss.
6 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Aggiungasi un’osservazione di carattere pratico. Specializzare un istituto,<br />
riducendone progressivamente l’ambito d’operatività, significa alimentare,<br />
anziché spegnere il contenzioso sui suoi presupposti: quanto più sono<br />
“stretti”, tanto più si discuterà della loro ricorrenza, e dunque dell’ammissibilità<br />
stessa dell’azione di gruppo. Prova ne sia che nella poca giurisprudenza<br />
finora formatasi sull’art. 140-bis c.cons. un tema ricorrente, e sul quale<br />
s’è sprigionato un acceso confronto, è stato proprio la qualità di consumatore<br />
del proponente, sistematicamente negata dall’<strong>impresa</strong> convenuta, ed<br />
in ogni caso giudicata bisognosa di piena dimostrazione a cura ed onere del<br />
proponente medesimo ( 13 ). Il confronto s’inasprirebbe ancor più laddove si<br />
controvertesse dell’ambito applicativo dell’azione, essendo contestato il rispetto<br />
dei limiti materiali segnati dall’art. 140-bis, comma 2, c.cons. È chiaro<br />
che una fitta rete di costrizioni e delimitazioni invita a dibattere persino<br />
dei presupposti iniziali del processo collettivo, ritardando o impedendo una<br />
pronta e fruttuosa trattazione del merito; viceversa propendere per requisiti<br />
“larghi”, oltre ad estendere il raggio della tutela collettiva, ne favorisce<br />
l’effettività, scongiurando il rischio che il processo sia ostacolo, anziché veicolo<br />
di quella tutela.<br />
Presso taluna stampa non specialistica s’era momentaneamente diffusa<br />
l’idea che il nuovo rito, già costretto nella sua orbita consumeristica, non<br />
fosse invocabile per l’attuazione di pretese concernenti l’esecuzione di contratti<br />
bancari, di assicurazione o di intermediazione mobiliare. Poiché la disciplina<br />
del mercato finanziario consta di leggi organiche e tendenzialmente<br />
esaustive, soltanto da queste si sarebbero dovuti trarre i rimedi del caso,<br />
quasi che il correntista, l’assicurato o l’investitore non professionale, per il<br />
fatto solo d’agire nell’area del mercato finanziario, perdano la loro veste di<br />
consumatori e non possano più valersi della tutela accordata loro dal codice<br />
di categoria ( 14 ).<br />
La tesi, che voleva garantire l’immunità a talune attività d’<strong>impresa</strong>, non<br />
ha alcun fondamento, e rende sovrabbondante una replica puntuale ( 15 ): es-<br />
( 13 ) Cfr. Trib. Torino, ord., 4 giugno 2010, cit.; e Trib. Milano, ord., 20 dicembre 2010, al<br />
momento inedita.<br />
( 14 ) Ne tratta ampiamente Cavallini, Azione collettiva risarcitoria e controversie finanziarie,<br />
in Riv. soc., 2010, p. 1115 ss.; cfr. anche Sangiovanni, Class action e tutela contrattuale degli<br />
investitori, in Obbl. contr., 2010, p. 611 ss.<br />
( 15 ) Non a caso in Germania il c.d. Musterverfahren, una sorta di procedimento-pilota a carattere<br />
seriale, è stato introdotto proprio per deflazionare un galoppante contenzioso finanziario;<br />
lo illustra all’interno del presente dibattito Tamm, La tutela collettiva nel diritto processuale<br />
tedesco, in questo numero della rivista, infra; più ampiamente Id., Das Kapitalanleger-<br />
Musterverfahrensgesetz, in ZHR, 2010, p. 525 ss.
DIBATTITI 7<br />
sa è smentita dalla giurisprudenza consolidata, che in presenza dei requisiti<br />
di legge non esita a qualificare consumatore anche chi stipuli contratti bancari,<br />
assicurativi o d’intermediazione finanziaria, e non ha trovato riscontro<br />
nelle ordinanze finora pronunciate sull’art. 140-bis c. cons. ( 16 ). L’immunità<br />
dunque non c’è, ed i consumatori danneggiati da banche o assicurazioni potranno<br />
certamente valersi del nuovo rito, come peraltro già accaduto.<br />
3. – L’ambito temporale<br />
Esiste però una formidabile immunità per il passato: l’art. 49 Legge 23<br />
luglio 2009, n. 99, nell’introdurre al comma 1 la nuova disciplina dell’azione<br />
di classe risarcitoria – il vigente art. 140-bis c. cons. – prevede al comma 2<br />
che tale disciplina si applichi soltanto « agli illeciti compiuti successivamente<br />
alla data di entrata in vigore della presente legge »; e poiché la pubblicazione<br />
della legge è avvenuta il 31 luglio 2009, ne discende che l’azione è applicabile<br />
soltanto « agli illeciti compiuti » a partire dal 16 agosto 2009.<br />
Per prevenire discussioni già apertesi sul testo previgente dell’art. 140-<br />
bis c. cons. ( 17 )– mai divenuto “efficace” – l’art. 49, comma 2, L. 99/2009 appone<br />
dunque una pesante limitazione temporale alla fruibilità del nuovo rito:<br />
esso non potrà valere per i grandi scandali finanziari del nostro recente<br />
passato, che sono messi definitivamente al riparo.<br />
La norma, benché scritta col linguaggio delle disposizioni transitorie ed<br />
intertemporali, è una vera anomalìa, e a quanto consta non ha precedenti.<br />
Bisogna innanzi tutto premettere che l’art. 140-bis c. cons., anche dopo la<br />
riformulazione offertane dall’art. 49, comma 1, L. 99/2009, istituisce e regola<br />
un rito speciale di cognizione. L’innovazione legislativa, se finalizzata a<br />
rendere concreta ed effettiva la tutela di pretese altrimenti destinate all’inattuazione<br />
– questa dovrebbe esserne la ratio – non ha però alcuna portata<br />
sostanziale. Essa non incide sulla quantità e qualità dei diritti e degli interessi<br />
meritevoli di protezione che la legge riconosce al consumatore, ed anzi<br />
vi fa rinvio in modo del tutto neutrale e passivo, come emerge dal mede-<br />
( 16 ) Le due ordinanze Trib. Torino, ord., 4 giugno 2010, cit., e App. Torino, ord., 27 ottobre<br />
2010, in Danno e resp., 2011, p. 71 ss. con nota di Frata, pronunciate nel medesimo procedimento,<br />
hanno avuto ad oggetto l’illiceità di commissioni bancarie addebitate a correntisti<br />
consumatori; s’è trattato dunque di controversia sicuramente “bancaria”, e sicuramente rientrante<br />
nell’ambito del nuovo rito di classe; lo stesso dicasi per la più recente Trib. Torino, ord.,<br />
7 aprile 2011, al momento inedita.<br />
( 17 ) Cfr. fra gli altri, Caponi, Azioni collettive: interessi protetti e modelli processuali di tutela,<br />
in Riv. dir. proc., 2008, pp. 1208-1209.
8 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
simo art. 140-bis, comma 1, c.cons., che semplicemente menziona « i diritti<br />
individuali omogenei dei consumatori e degli utenti » ( 18 ).<br />
A dispetto di ciò l’art. 49, comma 2, L. 99/2009, anziché regolare nel<br />
tempo l’accesso al nuovo rito – come sarebbe proprio delle norme processuali<br />
transitorie – e prevedere che esso si applichi a procedimenti futuri (o a<br />
fasi future di procedimenti in corso), discrimina i diritti che attraverso quel<br />
rito potranno essere fatti valere. Se l’applicazione del procedimento fosse<br />
circoscritta a liti future non vi sarebbe nulla da obiettare, ed anzi si darebbe<br />
l’usuale applicazione dell’art. 11 disp. legge in gen.: è invece arbitrario sottrarre<br />
l’azione a chi patì l’illecito il giorno 15 agosto 2009, concedendola invece<br />
a chi lo patì il giorno successivo, quando né l’uno né l’altro abbiano ancora<br />
proposto una domanda giudiziaria e si trovino pertanto in una posizione<br />
processualmente pari ( 19 ). Si ha dunque ragione di ritenere violati non<br />
solo l’art. 3 Cost. (per irrazionalità ed irragionevolezza dell’agire legislativo),<br />
ma anche l’art. 24, commi 1 e 2, Cost. (per inosservanza del diritto costituzionale<br />
di difesa), a scapito di tutti coloro che si vedano pregiudicati<br />
dalla descritta barriera temporale, a fronte di un rito ufficialmente introdotto<br />
per sopperire a lacune ed inefficienze di quello ordinario ( 20 ).<br />
( 18 ) Secondo Trib. Torino, ord., 4 giugno 2010, cit., “(. . .) va sottolineato che l’art. 140-bis<br />
non crea nuovi diritti, ma disciplina soltanto un nuovo mezzo di tutela, l’azione di classe<br />
(. . .)”; e App. Torino, ord., 27 ottobre 2010, cit., conferma che il nuovo istituto “non crea diritti,<br />
ma si limita ad estendere la tutela giudiziale”; contra il solo Punzi, L’« azione di classe » a tutela<br />
dei consumatori e degli utenti, in Riv. dir. proc., 2010, pp. 268-269.<br />
( 19 ) Prova ne sia la circostanza che il legislatore, pur quando in passato ha voluto introdurre<br />
riti speciali, mai ha pensato di circoscriverne nel tempo, oltre all’applicazione processuale,<br />
anche l’ambito delle situazioni sostanziali tutelabili (cfr. sul punto, in estrema sintesi,<br />
Caponi, Il nuovo volto della class action, cit., c. 383).<br />
( 20 ) Cfr. in questa direzione, Pace, Interrogativi sulla legittimità costituzionale della nuova<br />
« class action », in Riv. dir. proc., 2011, in particolare p. 25 ss.; e Porreca, Ambito soggettivo e oggettivo,<br />
cit., pp. 558-559; dubbiosi Menchini e Motto, L’azione di classe dell’art. 140 bis c.<br />
cons. (legge 23 luglio 2009, n. 99), in Nuove leggi civ., 2010, pp. 1416-1417. Inoltre, per ricostruire<br />
un più vasto “blocco di costituzionalità” offerto dalle norme comunitarie e convenzionali, appare<br />
manifesto che l’art. 49, comma 2, L. 99/2009, con la sua portata arbitrariamente limitatrice<br />
dell’accesso alla nuova forma processuale, lascia emergere una profonda contraddittorietà<br />
rispetto al principio, comunitario e convenzionale, del “ricorso effettivo” alla giustizia: tanto<br />
l’art. 47 Carta Eur. Nizza-Strasburgo, quanto l’art. 13, comma 1, CEDU impongono non solo<br />
la libera ed inviolabile difesa in giudizio dei diritti e degli interessi dei cittadini, ma anche la<br />
sua “effettività”. È dunque irrazionale introdurre un rito alternativo per rendere più concrete<br />
le possibilità di tutela dei consumatori, e poi – con la norma denunciata – rendere non “effettivo”<br />
il ricorso alla giustizia per tutti quei consumatori che abbiano patito un pregiudizio in<br />
data anteriore al 16 agosto 2009.
DIBATTITI 9<br />
Quest’ultimo profilo contribuisce a porre in luce un’ulteriore anomalìa,<br />
che svela un nuovo profilo d’illegittimità costituzionale. Il legislatore aveva<br />
introdotto il nuovo rito già con l’art. 2, comma 446, Legge 24 dicembre 2007,<br />
n. 244 (finanziaria 2008), entrato in vigore il 1° gennaio 2008, ma con la medesima<br />
legge (art. 2, comma 447) ne aveva posticipato l’“efficacia” al 29 giugno<br />
2008. Seguirono poi altre tre proroghe, con le quali l“efficacia” dell’art.<br />
140-bis, testo iniziale, c.cons. è stata posticipata fino al 1° gennaio 2010. Nel<br />
frattempo, e prima ancora che la norma divenisse “efficace”, l’art. 49, comma<br />
1, L. 99/2009, l’ha abrogata e sostituita, salvo disporre con il comma 2<br />
che essa potesse trovare applicazione soltanto “agli illeciti compiuti” a partire<br />
dal 16 agosto 2009.<br />
Sennonché la previsione di una norma che esclude dal rito di classe<br />
(persino) i fatti commessi dopo il 1° gennaio 2008 – quando il rito era entrato<br />
in vigore, malgrado la temporanea “inefficacia” – oltre ad esporsi alle più<br />
generali ed assorbenti censure appena illustrate, risulta manifestamente incostituzionale<br />
anche sotto il seguente profilo: è irrazionale ed irragionevole<br />
discriminare quei consumatori che, per lo meno a partire dal 1° gennaio<br />
2008, riposero il loro affidamento nella futura e sopravveniente “efficacia”<br />
del nuovo modello processuale, ed acquisirono il diritto di valersene, salvo<br />
scoprire – a posteriori – che esso sarebbe stato applicabile solo per illeciti patiti<br />
a partire dal 16 agosto 2009. La discrezionalità del legislatore abbraccia sì<br />
il potere di prorogare l’inapplicabilità di norme già in vigore – ad esempio<br />
perché divengano “efficaci” con gradualità, o comunque a distanza di tempo<br />
dalla loro approvazione – ma anche questo potere non è privo di limiti, e<br />
deve resistere al controllo di razionalità e ragionevolezza ìnsito nell’art. 3<br />
Cost., in modo tale che non divenga il mezzo per frustrare diritti e interessi<br />
che quelle norme hanno fatto maturare nella sfera dei loro destinatari.<br />
Invero nel caso di specie non s’è trattato di una posticipazione una tantum<br />
dell’entrata in vigore – fenomeno sporadico, ma noto – bensì di un autentico<br />
stillicidio di proroghe a catena: per ben quattro volte il legislatore ha<br />
spostato in avanti il tempo dell’“efficacia” prima che questa venisse a decorrere,<br />
quasi a voler ripetutamente allontanare il nuovo rito dai suoi destinatari,<br />
e senza mai porre in discussione la sua entrata in vigore. Ad un tratto<br />
invece il legislatore, anziché disporre l’ennesima proroga, ha preferito abrogare<br />
l’art. 140-bis testo iniziale c.cons. per sostituirlo con la sua versione attuale,<br />
ma ne ha fatto decorrere l’“efficacia” ex nunc, anziché da quando la<br />
prima versione era entrata a far parte del sistema. Ne deriva che i consumatori<br />
i quali patirono danno dopo l’entrata in vigore della legge del 2008, per<br />
circa due anni si sono visti spogliati dell’azione di classe subito prima che<br />
giungesse la data della sua applicazione, salvo scoprire poi che essa, rifor-
10 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
mata e perfezionata, non sarebbe servita a riparare il loro danno, ma quello<br />
patito da altri a partire dal 16 agosto 2009 ( 21 ).<br />
Nella vicenda legislativa che ha condotto dal vecchio al nuovo art. 140-<br />
bis c.cons. si può dunque scorgere anche un abuso del potere legislativo di<br />
proroga, che segna un’aperta violazione non solo dell’art. 3, ma anche dell’art.<br />
73, comma 3, Cost. ( 22 ).<br />
4. – Azione di classe e legittimazione ad agire: la rappresentatività del proponente<br />
Illustrato l’ambito materiale e temporale dell’azione, occorre dedicare<br />
alcune considerazioni alla legittimazione attiva prevista dal nuovo art. 140-<br />
bis c.cons.: l’azione spetta a “ciascun componente della classe”, vale a dire a<br />
ciascun consumatore che affermi lesa una situazione soggettiva rientrante<br />
nell’ambito materiale e temporale tracciato dall’art. 140-bis, comma 2,<br />
c.cons. e dall’art. 49, comma 2, L. 99/2009. In questo significato minimale<br />
non è improprio discorrere di “azione di classe”, come fa la rubrìca del nuovo<br />
art. 140-bis c.cons., ma l’espressione sarebbe invece fuorviante se inducesse<br />
ad illusori parallelismi con l’esperienza statunitense, punto sul quale<br />
si farà ritorno a breve ( 23 ).<br />
Dunque il legislatore italiano ha abbandonato la sua predilezione per gli<br />
enti esponenziali e per l’istituto della legittimazione straordinaria, predilezione<br />
testimoniata non solo dalla vigente disciplina dell’inibitoria collettiva<br />
ex artt. 139-140 c.cons., ma anche dalla prima versione dell’art. 140-bis<br />
c.cons. (mai divenuto “efficace”) ( 24 ); s’è ripiegato sulla legittimazione ordinaria<br />
dell’appartenente alla classe, che agisce per far valere un diritto pro-<br />
( 21 ) Diversa, ma convergente sui presupposti, la soluzione cui accede Giussani, Il nuovo<br />
art. 140 bis c.cons., in Riv. dir. proc., 2010, pp. 614-615 (già prima Gitti e Giussani, La conciliazione<br />
collettiva nell’art. 140 bis c.cons., dalla L. n. 244 del 24 dicembre 2007 alla L. n. 99 del 23 luglio<br />
2009, alla luce della disciplina transitoria, in Riv. dir. civ., 2009, II, in particolare p. 642 ss.).<br />
( 22 ) Del pari inammissibile deve giudicarsi la circostanza per cui il legislatore, nel prorogare<br />
ripetutamente l’“inefficacia” del nuovo rito e nel sottrarlo poi a tutti i consumatori lesi<br />
prima del 16 agosto 2009, ha operato in direzione esattamente contraria a quanto stabilito non<br />
solo dall’art. 169 TFUE, ma anche dall’art. 38 Carta Eur. Nizza-Strasburgo, l’uno e l’altra fermi<br />
nel proposito di garantire “un livello elevato di protezione dei consumatori”.<br />
( 23 ) Cfr. infra, par. 6; ma fin d’ora, Punzi, L’« azione di classe », cit., in particolare pp. 256-<br />
257.<br />
( 24 ) Cfr. sul vecchio art. 140-bis c. cons., fra i molti, Costantino, Legittimazione e profili<br />
processuali, in Bellelli (cur.), Dall’azione inibitoria all’azione risarcitoria collettiva, ne I quaderni<br />
della Rivista di diritto civile, Padova, 2009, p. 19 ss.; e Porreca, Ambito soggettivo e oggettivo,<br />
cit., p. 544 ss.
DIBATTITI 11<br />
prio, seppur potenzialmente omogeneo o identico a quello facente capo ad<br />
una più vasta cerchia di consumatori ( 25 ).<br />
La scelta apparirebbe dettata, in sé, dalla volontà di allargare e facilitare<br />
l’accesso al nuovo rito, rimettendolo alla libera e personale iniziativa di chi<br />
vi abbia interesse: questi è infatti il miglior arbitro della sua posizione, e può<br />
decidere in prima persona se e come far valere i suoi diritti, senza la necessaria<br />
intermediazione di enti o istituzioni che, operando da introduttori dell’azione,<br />
potrebbero perseguire interessi distanti (o persino divergenti) da<br />
quelli del singolo danneggiato. Sopprimere qualsiasi filtro appare funzionale<br />
alla maggiore effettività dello strumento.<br />
Ci sono però (almeno) tre fattori, che rendono l’impressione ingannevole.<br />
In primo luogo l’art. 140-bis, comma 6, c.cons. eleva a requisito di ammissibilità<br />
dell’azione la rappresentatività del proponente: “La domanda è<br />
dichiarata inammissibile (. . .) quando il proponente non appare in grado di<br />
curare adeguatamente l’interesse della classe”. La norma è misteriosa, non<br />
lasciando trasparire alcun indice tangibile di rappresentatività, ma la sola<br />
esigenza che una qualche rappresentatività vi sia sembra contraddire la regola<br />
che vorrebbe legittimato “ciascun componente della classe”: si deve<br />
trattare di un soggetto reputato idoneo a farsi portatore di interessi che travalicano<br />
la sua sfera, di un soggetto che pertanto riacquista, malgrado gli annunci,<br />
un ruolo (indirettamente) esponenziale.<br />
Certamente molto dipenderà da come la giurisprudenza vorrà intendere<br />
questa rappresentatività del proponente, se la vorrà legare al censo, all’esperienza<br />
professionale del difensore o ad altri elementi che si potrebbero<br />
immaginare: in ogni caso appare fin d’ora manifesto che questo requisito<br />
impone al giudice valutazioni del tutto inedite nella nostra dialettica – si potrebbe<br />
dire nel nostro “costume” – processuale; può il giudice respingere<br />
l’azione perché l’attore è “povero” ( 26 ) Può il giudice esaminare la dichiara-<br />
( 25 ) Trib. Torino, ord., 4 giugno 2010, cit., ha statuito che, se l’art. 140-bis, comma 6,<br />
c.cons. impone al giudice un controllo preliminare sull’ammissibilità dell’azione di classe, ciò<br />
non toglie che in capo al proponente debbano ricorrere anche le comuni condizioni dell’azione<br />
individuale, ed in particolare l’interesse ad agire; non sarebbe dunque bastevole un interesse<br />
di classe, prospettivo ed inattuale, se faccia difetto l’interesse concreto ed immediato di<br />
chi pro-pone la domanda collettiva; nondimeno App. Torino, ord., 27 ottobre 2010, cit., nel<br />
correggere sul punto la motivazione dell’ordinanza di prime cure, ha precisato che pure l’interesse<br />
ad agire, come tutte le condizioni dell’azione, deve essere vagliato in chiave d’allegazione<br />
(ed è giunta ad escludere l’ammissibilità dell’azione non già per carenza d’interesse,<br />
pur sempre allegato dal proponente, ma per manifesta infondatezza, essendo pacifica in causa<br />
l’assenza di qualsiasi danno individualmente patito dal proponente medesimo).<br />
( 26 ) In senso affermativo Trib. Torino, ord., 7 aprile 2011, cit., il quale ha dedotto la non-rap-
12 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
zione dei redditi del suo difensore o magari spingersi ad apprezzarne la<br />
competenza professionale ( 27 ) Tutte valutazioni consuete oltreoceano, ma<br />
difficilmente conciliabili con principi e valori radicati nel nostro ordinamento<br />
fino al più alto livello delle fonti ( 28 ).<br />
5. – Segue: la pubblicità dell’ordinanza come condizione di procedibilità<br />
Un secondo fattore dissuasivo, che rende fittizia la “democraticità” della<br />
legittimazione ad agire, è implicitamente recato dall’art. 140-bis, comma<br />
9, prima e seconda proposizione, c.cons.: « Con l’ordinanza con cui ammette<br />
l’azione il tribunale fissa termini e modalità della più opportuna pubblicità,<br />
ai fini della tempestiva adesione degli appartenenti alla classe. L’esecuzione<br />
della pubblicità è condizione di procedibilità della domanda »( 29 ).<br />
L’ordinanza di ammissibilità, nel segnare i criteri dell’opt-in e il tempo<br />
delle adesioni, non esaurisce i suoi effetti fra le parti, ma è destinata a<br />
proiettarsi su tutti gli appartenenti alla classe: è dunque coessenziale alle<br />
finalità del nuovo rito che l’ordinanza sia sottoposta a pubblicità e che il<br />
giudice ne fissi discrezionalmente termini e modalità più adeguati, in modo<br />
che la notizia dell’azione raggiunga il maggior numero di consumatori;<br />
non si tratterà di una pubblicità meramente legale, dedita all’osservanza<br />
formale delle prescrizioni di legge, ma di una pubblicità che dovrebbe veramente<br />
divulgare l’azione presso tutti gli appartenenti alla classe, e nelle<br />
forme più utili, facendo sì che il processo aggregato raggiunga appieno i<br />
suoi scopi.<br />
Quegli scopi sono invece contraddetti dalla scelta, quasi sanzionatoria<br />
per l’attore, di rendere l’esecuzione della pubblicità « condizione di procedibilità<br />
della domanda ». È ben vero che il giudice potrebbe porre l’onere di<br />
anticiparne le spese a carico dell’attore, a carico del convenuto od anche a<br />
presentatività dal fatto che l’attore fosse – come non poteva che essere – un mero “consumatore”<br />
(nella fattispecie per giunta un pensionato) ed avesse eccepito l’illegittimità costituzionale<br />
dell’art. 140-bis, comma 9, seconda proposizione, c.cons. (ove la procedibilità della domanda è<br />
subordinata alla pubblicità dell’ordinanza ammissiva; cfr. subito, nel testo, par. 5): se il consumatore<br />
lamenti irrazionalità, irragionevolezza ed ingiustizia della norma che finisce col porgli a<br />
carico l’intero “finanziamento” del processo collettivo, questa doglianza sarebbe la prova evidente<br />
della sua indigenza, e dunque dell’inettitudine a rappresentare la classe.<br />
( 27 ) Lo ammette – ma senza nascondere le perplessità cui queste valutazioni darebbero<br />
luogo nel nostro ambiente – Giussani, Il nuovo art. 140 bis c.cons., cit., pp. 596-597.<br />
( 28 ) Cfr. fra gli altri, Cavallini, Azione collettiva risarcitoria, cit., pp. 1137-1138; viceversa<br />
non ravvedono difficoltà alcuna Menchini - Motto, L’azione di classe, cit., p. 1456.<br />
( 29 ) Corsivo fra virgolette di chi scrive.
DIBATTITI 13<br />
carico di entrambi in via solidale, salva l’applicazione della regola della soccombenza<br />
all’esito della lite (si tratta infatti di un atto prescritto ex lege per<br />
ragioni di funzionalità generale del processo, e non, a rigore, di un atto richiesto<br />
da parte attrice); è altrettanto vero però che la parte interessata alla<br />
prosecuzione del giudizio è l’attore, e non il convenuto, e se la pubblicità<br />
non fosse eseguita secondo tempi e modi prescritti dall’ordinanza, la conseguente<br />
improcedibilità della domanda penalizzerebbe il primo e non certo<br />
il secondo. Subordinare l’apertura delle adesioni e la trattazione del merito<br />
all’esecuzione della pubblicità significa, per lo meno in fatto, far ricadere<br />
sistematicamente sull’attore l’anticipazione delle spese occorrenti, pena<br />
l’immediato arresto dell’iter ( 30 ).<br />
Se così è, la norma in commento, malgrado l’apparente neutralità, finisce<br />
col rappresentare un ostacolo molto arduo all’intrapresa di azioni di<br />
classe: non si comprende perché mai un comune consumatore, che già sarebbe<br />
restìo ad esperire un’azione individuale, dovrebbe ora intraprenderne<br />
una di classe, sapendo d’incorrere persino in costi aggiuntivi e non facilmente<br />
prevedibili ( 31 ).<br />
Un’obiezione potrebbe essere che la capacità patrimoniale dell’attore,<br />
nell’assetto voluto dalla legge, è essa stessa un requisito di rappresentatività,<br />
sicché dovrebbe stimarsi inidoneo a “curare adeguatamente l’interesse<br />
della classe” (ex art. 140-bis, comma 6, c.cons.) chi non sia in grado di anticipare<br />
il pagamento delle spese processuali ( 32 ): vera la replica, si dovrebbe<br />
però anche concludere che la legittimazione attiva – solo apparentemente<br />
diffusa – è in realtà fondata sul censo, fa capo ad un’élite di consumatori<br />
possidenti, e non testimonia alfine alcuna “democratizzazione” del nuovo<br />
rito. A tanto è valso sopprimere l’intercessione degli enti esponenziali, la<br />
cui funzione torna in auge attraverso l’esponenzialità (indiretta) del consumatore<br />
rappresentativo.<br />
Ancora una volta la disciplina di legge sembra pensata non per promuovere,<br />
ma per impedire il raggiungimento dei risultati annunciati. Con previsioni<br />
altisonanti s’illude il consumatore con la prospettiva dell’azione di<br />
classe; poco dopo però s’introduce un subdolo correttivo ammantato di tecnicismo<br />
processuale, che segnerà di fatto l’inconsistenza dello strumento:<br />
la pretesa che il consumatore finanzi “di tasca propria” il processo collettivo,<br />
( 30 ) Lo riconosce anche Trib. Torino, ord., 7 aprile 2011, cit.; cfr. sul punto, condivisibilmente,<br />
Menchini e Motto, L’azione di classe, cit., p. 1463.<br />
( 31 )Rilievo diffuso, ma cfr. fra gli altri, Giussani, Il nuovo art. 140 bis c.cons., cit., pp. 595-<br />
596.<br />
( 32 ) In questo senso si esprime Trib. Torino, ord., 7 aprile 2011, cit.
14 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
pubblicizzandone l’ordinanza d’ammissibilità e garantendone la prosecuzione,<br />
nell’auspicio di riottenere le somme nel caso (mai certo) di vittoria.<br />
È palesemente contraddittorio introdurre nel sistema un nuovo istituto per<br />
poi svuotarlo nei fatti di qualsiasi rilievo pratico, come peraltro testimonia<br />
la sostanziale paralisi dell’istituto in <strong>Italia</strong>.<br />
La paralisi sarebbe altrettanto certa, se al consumatore si chiedesse di finanziare<br />
persino un processo transfrontaliero, nel corso del quale pubblicizzare<br />
gli atti di causa all’interno di ciascun paese membro. Se il legislatore<br />
europeo, imitando quello italiano, volesse sabotare la sua stessa opera,<br />
non avrebbe che da subordinare la procedibilità dell’azione a questa o quella<br />
costosa formalità processuale, ed avrebbe la certezza matematica che<br />
nessun consumatore europeo – e forse nessuna associazione di categoria,<br />
benché sovranazionale – vorrà azzardarsi ad invocare una tutela di classe.<br />
6. – Segue: perché mai un consumatore dovrebbe agire in forma collettiva<br />
Occorre tuttavia meditare anche su un terzo fattore dissuasivo, legato ai<br />
precedenti, ma persino più grave nell’ostacolare l’accesso alla tutela di classe.<br />
Come noto quest’ultima, affermatasi in ordinamenti lontani dal nostro,<br />
vi è stata fatta penetrare ex abrupto, senza raccordo ed accomodamento rispetto<br />
alle trame complessive del sistema ( 33 ): eccettuate quelle poche norme<br />
che vi dedica l’art. 140-bis c.cons., essa dovrà convivere con forme e procedure<br />
pensate per un rito individuale, impostato sul contraddittorio fra un<br />
attore ed un convenuto singoli, anziché per un confronto allargato ove l’attore<br />
è chiamato a svolgere compiti latamente esponenziali ( 34 ). Poiché questi<br />
è destinato a calarsi in un sistema che non gli attribuisce alcuna posizione<br />
di favore rispetto a quella del comune attore di una lite individuale, sorge<br />
spontanea la domanda: perché mai egli dovrebbe intraprendere l’azione<br />
di classe Se all’esito di un processo che impone persino costi aggiuntivi<br />
(per lo meno in via d’anticipazione), egli conseguirebbe al più quanto spettantegli<br />
al termine di una causa individuale – e già sarebbe restìo ad intrapredere<br />
quest’ultima – non si vede perché dovrebbe avventurarsi nella conduzione<br />
di un rito collettivo.<br />
( 33 ) Si tratta, a suo modo, di un legal transplant: cfr. sui profili di metodo, per tutti, Janssen<br />
e Schulze, Legal Cultures and Legal Transplants in Germany, in Eur. Rev. Priv. Law, 2011,<br />
p. 225 ss.<br />
( 34 ) Mostra consapevolezza di queste difficoltà, che chiamano il giudice ad un ruolo spiccatamente<br />
propositivo nella lettura ed applicazione dell’istituto, App. Torino, ord., 27 ottobre<br />
2010, cit.
DIBATTITI 15<br />
Una possibile replica è che queste controindicazioni varrebbero pure<br />
per gli ordinamenti nei quali l’istituto fiorisce (più o meno) indisturbato da<br />
decenni, ed allora non si spiegherebbero le sue fortune d’oltreoceano, pur<br />
sempre legate all’iniziativa del quisque de populo. Fatto è però che in quelle<br />
esperienze il processo di classe è capace di destare ben altri stimoli, difficilmente<br />
riproducibili altrove ( 35 ).<br />
Come noto nella class action statunitense – per citare l’esperienza paradigmatica<br />
– il ruolo propulsivo è svolto dall’avvocato, che con attitudine imprenditoriale<br />
assume tutti i rischi dell’azione ed in caso di vittoria fa propria<br />
larga parte dei “profitti” ( 36 ): è anzi l’avvocato a selezionare i casi, valutando<br />
le prospettive di successo dell’azione, acquisendo a proprie spese le informazioni<br />
specialistiche occorrenti, assicurandosi per l’eventualità della soccombenza,<br />
e soltanto dopo, investiti tempo e denaro nella preparazione del<br />
processo, andando alla ricerca dell’attore più congeniale; ma in caso di successo<br />
nel merito o di conciliazione della lite dopo la certificazione della classe,<br />
egli ottiene a compenso dell’attività svolta somme ingentissime, che<br />
possono superare il 50% di quelle al cui pagamento è condannato il convenuto<br />
(a favore dell’intera classe rappresentata in giudizio).<br />
Il rischio è altrettanto elevato, sotto molteplici profili. Negli Stati Uniti<br />
vale come noto la c.d. american rule, in forza della quale le spese legali restano<br />
a carico di chi le affronta, e non sono oggetto di rifusione neppure in<br />
caso di vittoria piena: se dunque l’avvocato ha speso troppo per istruire il<br />
processo – ad esempio per consulenze tecniche o per pubblicizzare l’azione<br />
presso i media – l’onorario potrebbe non bastare a compensarlo; egli, dopo<br />
la certificazione della classe, è nominato dal giudice, che ne valuta non solo<br />
la solidità patrimoniale, ma anche la competenza, l’attitudine a gestire gli<br />
aspetti mediatici e lobbistici dell’azione – dei quali non si fa mistero – e persino<br />
il “nome”: può anche capitare che l’avvocato, dopo aver sostenuto spese<br />
elevate per lo studio della class action, non venga nominato difensore<br />
( 35 ) La dottrina in materia è vasta: per una lettura europea della class action statunitense<br />
cfr., fra i molti, Michailidou, Prozessuale Fragen des Kollektivrechtsschutzes im europäischen<br />
Justizraum, Baden-Baden, 2007, in particolare p. 165 ss. (e quivi amplia bibliografia); Trocker,<br />
Class action negli USA – e in <strong>Europa</strong>, in questa rivista, 2009, p. 178 ss.; da ultimo Mäsch,<br />
Abwehrstrategien gegen unerwünschte Rezeptionen im Internationalen Prozessrecht: Die class action,<br />
in Ebke, Elsing, Großfeld e Kühne, Das deutsche Wirtschaftsrecht unter dem Einfluss<br />
des US-amerikanischen Rechts, Frankfurt, 2011, p. 151 ss.<br />
( 36 ) Cfr. fra gli altri Trocker, Class action negli USA, cit., in particolare p. 220 ss.; Frignani<br />
e Virano, La class action nel diritto statunitense: tentativi (non sempre riusciti) di trapianto<br />
in altri ordinamenti, in Dir. econ. assic., 2009, p. 18 ss.; ed in breve Porreca, Ambito soggettivo<br />
e oggettivo, cit., pp. 543-544.
16 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
della classe, ed il giudice gli preferisca altro professionista nel frattempo<br />
candidatosi, come è suo potere, a difendere quella stessa classe; e per giungere<br />
al rischio maggiore è evidente che egli, se avrà stretto con l’attore un<br />
patto di quota-lite, in caso di soccombenza non conseguirà onorario alcuno.<br />
Tutto ciò ha condotto al fallimento talune law firms, un fallimento letteralmente<br />
inteso, visto che l’esercizio della professione forense è per questi<br />
aspetti parificato ad una vera e propria <strong>impresa</strong> commerciale.<br />
Le chances d’arricchimento dipendono non solo dalla descritta larghezza<br />
della quota-lite, ma anche da un altro fattore, oggetto di vibranti discussioni<br />
dentro e fuori gli Stati Uniti: i punitive damages. Il risarcimento spettante<br />
alla classe può oltrepassare – e normalmente oltrepassa – l’ammontare<br />
del danno allegato e provato in giudizio, con funzione sanzionatoria per<br />
il convenuto che abbia agito con dolo o colpa inescusabile. Questo supplemento<br />
risarcitorio è alfine decisivo nelle dinamiche della class action: nella<br />
previa scelta dei casi le law firms ricercano, e tentano di perseguire, non solo<br />
comportamenti plurioffensivi di larga scala, ma preferibilmente quelli<br />
dolosi, che possano aprire le porte ai risarcimenti punitivi, con apprezzabili<br />
– quanto discusse – ricadute sociali, economiche e politiche ( 37 ).<br />
Questo contesto ambientale, nel quale è sorto e prospera il modello statunitense<br />
– quel paradigma cui guardano (ora con ammirazione, ora con sospetto)<br />
tutti gli addetti ai lavori ( 38 )– è talmente lontano dal nostro da rendere<br />
superfluo qualsiasi commento. Il successo della class action è legato a<br />
meccanismi “endo” ed “extra-processuali” che non trovano alcun risconto<br />
né in <strong>Italia</strong>, né negli altri paesi europei ( 39 ). Sarebbe dunque fuorviante caldeggiare<br />
un modello senza coglierlo nella sua interezza, e riprodurre in sede<br />
comunitaria un’azione di gruppo che non può funzionare senza quel bilanciamento<br />
di forze, di pesi e contrappesi, che è tipico dello strumento<br />
d’oltreoceano; sarebbe non meno controproducente chiudersi in quell’“orgoglio<br />
autolesionistico”, che vede molti europei respingere con sdegno<br />
qualsiasi suggestione nord-americana ( 40 ).<br />
( 37 ) Per un riepilogo dei principali problemi che ruotano attorno ai danni punitivi nella<br />
prospettiva di civil law cfr., per tutti, Busnelli, Deterrenza, responsabilità civile, fatto illecito,<br />
danni punitivi, in Eur. dir. priv., 2009, p. 909 ss.; con più mirato riferimento alla class action nordamericana,<br />
Frignani e Virano, La class action nel diritto statunitense, cit., p. 26 ss.<br />
( 38 ) Cfr. Trocker, Class action negli USA, cit., p. 178 ss.; e Consolo, Class actions fuori<br />
dagli USA, in Riv. dir. civ., 1993, I, p. 609 ss.<br />
( 39 ) Cfr. in tema, di recente, Kagan, La giustizia americana, ed. it., Bologna, 2009.<br />
( 40 ) Queste le parole di Giussani, Azioni collettive risarcitorie nel processo civile, Bologna,<br />
2008, p. 145.
DIBATTITI 17<br />
Quanto all’art. 140-bis c.cons. – e con ciò si fa ritorno al quesito iniziale<br />
– appare chiara l’assenza di qualsiasi incentivo che possa motivare l’attore<br />
ad esperire l’azione. In caso di soccombenza egli sarà tenuto a rimborsare le<br />
spese legali sostenute dal convenuto, essendo divenuta residuale la stessa<br />
eventualità della compensazione ( 41 ); ancor prima potrebbe essere condannato<br />
alla pubblicità dell’ordinanza negativa ai sensi dell’art. 140-bis, comma<br />
8, c.cons., per il caso d’inammissibilità dell’azione, salvo l’ulteriore aggravamento,<br />
testualmente richiamato, per l’ipotesi di lite temeraria ( 42 ); sempre<br />
in caso di soccombenza la parte attrice si vedrebbe addebitate in via definitiva<br />
le spese di pubblicità dell’ordinanza ammissiva, spese che avrà anticipato<br />
per garantire la procedibilità ai sensi dell’art. 140-bis, comma 9, seconda<br />
proposizione, c.cons.<br />
In caso di vittoria, le spese legali dell’attore sarebbero generalmente<br />
addebitate al convenuto, salva l’ipotesi residuale della compensazione,<br />
ma il loro ammontare dipenderà da come il giudice vorrà quantificare il<br />
valore di causa (se commisurato alla sola posizione dell’attore o, come<br />
più probabile, anche a quella di ciascun aderente); se è stato stipulato un<br />
patto di quota-lite, può darsi che il difensore consegua qualche incremento<br />
d’onorario, ma non essendo prevista alcuna liquidazione di danni punitivi<br />
sulla falsariga del sistema statunitense, una lite bagatellare rimarrebbe<br />
tale anche quando molti fossero gli aderenti – prova della gravità<br />
plurioffensiva dell’illecito – e doloso il comportamento del convenuto.<br />
L’avvocato dell’attore non avrà neppure la sicurezza di assumere la difesa<br />
degli aderenti, giacché questi si costituiscono per legge “senza ministero<br />
di difensore” – così l’art. 140-bis, comma 3, c.cons. – e quand’anche prefe-<br />
( 41 ) La compensazione integrale delle spese di lite è stata però statuita, all’interno del<br />
medesimo procedimento, sia da Trib. Torino, ord., 4 giugno 2010, cit., sia da App. Torino,<br />
ord., 27 ottobre 2010, cit.; e in altro procedimento da Trib. Torino, ord., 7 aprile 2011, cit.<br />
( 42 ) La condanna a curare la pubblicità dell’ordinanza negativa (o a risarcire i danni conseguenti<br />
a lite temeraria) presuppone che l’attentato all’immagine dell’<strong>impresa</strong> convenuta<br />
non solo sussista, ma sia anche imputabile al proponente: la condanna non avrebbe fondamento<br />
alcuno laddove questi, nella fase di scrutinio dell’ammissibilità, abbia mantenuto il<br />
più stretto riserbo, non svolgendo in proprio alcuna comunicazione dell’iniziativa, né tantomeno<br />
prodigandosi nel raccogliere adesioni presso il pubblico dei consumatori e degli utenti<br />
(cfr. in questo senso Menchini e Motto, L’azione di classe, cit., p. 1465). In altri termini non<br />
vi può essere alcun automatismo fra pronuncia d’inammissibilità e condanna a pubblicizzare<br />
l’ordinanza negativa, come invece è parso sia a Trib. Torino, ord., 4 giugno 2010, cit., sia alla<br />
più recente Trib. Torino, ord., 7 aprile 2011, cit.; App. Torino, ord., 27 ottobre 2010, cit. ha persino<br />
ordinato la pubblicità dell’ordinanza di rigetto del reclamo, quando nessuna previsione<br />
in tal senso è dato scorgere nell’art. 140-bis c.cons.
18 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
riscano valersi di quel ministero, non avranno diritto a vedersi liquidate<br />
spese legali da addebitare al convenuto soccombente.<br />
Insomma: un sistema che non incentiva né l’attore di classe, né il suo<br />
avvocato, rendendo per lo più simbolica la legittimazione attiva del quisque<br />
de populo.<br />
7. – Segue: la legittimazione del consumatore “anche mediante associazioni<br />
cui dà mandato”<br />
D’altra parte è lo stesso legislatore a prefigurare un altro percorso, per<br />
così dire intermedio fra i poli della legittimazione diffusa e di quella esponenziale,<br />
ed è proprio questo percorso ad essere stato battuto finora nelle<br />
poche azioni di classe esperite in <strong>Italia</strong>: ai sensi dell’art. 140-bis, comma 1,<br />
c.cons. il consumatore può agire “anche mediante associazioni cui dà mandato<br />
o comitati cui partecipa”. Il proponente, unico titolare della situazione<br />
soggettiva fatta valere, può nominare quale suo rappresentante processuale<br />
un’associazione di consumatori ( 43 ).<br />
Il meccanismo contrasta l’incidenza dei molteplici fattori dissuasivi che<br />
possono allontanare il consumatore dal rito di classe. Come già osservato,<br />
questi è legittimato in proprio, ma ai sensi dell’art. 140-bis, comma 6,<br />
c.cons. la sua domanda non è ammissibile se egli “non appare in grado di<br />
curare adeguatamente l’interesse della classe”: ebbene, la rappresentatività<br />
del proponente non può che aumentare, qualora agisca a suo nome un’associazione<br />
di consumatori, magari ben insediata sul territorio nazionale e<br />
capace di comprovare un buon volume di iscritti. Se l’azione è giudicata<br />
ammissibile, l’ordinanza dev’essere pubblicizzata ex art. 140-bis, comma 9,<br />
seconda proposizione, c.cons.: nondimeno il problema dell’anticipazione<br />
delle spese, per nulla secondario, potrebbe essere superato con l’apporto<br />
dell’associazione che condivida natura e scopi dell’azione, e decida di sopportarne<br />
i costi. Anche il terzo fattore dissuasivo sopra descritto, l’assenza<br />
di stimoli che possano davvero indurre il consumatore all’avvio del proce-<br />
( 43 ) A rigore l’art. 140-bis, comma 1, c.cons. non richiede testualmente che si tratti di<br />
un’associazione di consumatori: perché non potrebbe essere mandataria, ai sensi e per gli effetti<br />
della norma in commento, un’associazione di medici “anti-fumo” od ecologista od anche<br />
una che sorga spontaneamente fra le vittime di un medesimo disservizio D’altra parte se il<br />
consumatore può agire “anche mediante (. . .) comitati cui partecipa” – formula sibillina, sulla<br />
quale non occorre soffermarsi – non si vede perché non possa conferire quello stesso mandato<br />
ad associazioni preesistenti e purtuttavia diverse dalle “classiche” associazioni di consumatori.
DIBATTITI 19<br />
dimento, può trovare nel meccanismo in oggetto un qualche contenimento:<br />
è ben vero infatti che il proponente continuerebbe a non ottenere, all’esito<br />
del processo collettivo, nulla più di quanto non otterrebbe all’esito di<br />
una lite individuale, ma l’organizzazione che lo rappresenti – e che lo sollevi<br />
dagli esborsi aggiuntivi tipici di una class action – potrebbe nel frattempo<br />
perseguire con successo i suoi scopi associativi, impegnandosi a fondo nella<br />
campagna delle adesioni con ritorno d’immagine e di nuove quote associative.<br />
Si creerebbe cioè un sodalizio di private enforcement fra proponente<br />
ed associazione mandataria, un sodalizio nel quale l’uno fa valere in qualità<br />
di rappresentato un diritto soggettivo (pur sempre) individuale e proprio,<br />
ancorché identico od omogeneo a quello degli aderenti, e l’altra persegue<br />
(anche) i suoi scopi statutari ( 44 ).<br />
Se così è, il mandato conferito all’associazione ex art. 140-bis, comma 1,<br />
c.cons. dev’essere inteso come mandato anche nell’interesse del mandatario,<br />
il quale agisce – non a caso – sia per tutelare in forma collettiva la posizione<br />
del mandante, sia per promuovere l’adesione dei consumatori portatori<br />
di posizioni identiche od omogenee, il che è perfettamente conforme al<br />
suo statuto ed alla ratio del processo di classe. Un buon compromesso fra<br />
“democraticità” e rappresentatività della legittimazione ad agire in forma<br />
collettiva, un compromesso che potrebbe raccogliere consenso anche in<br />
chiave europea.<br />
8. – La nostra piccola “class action” per adesione<br />
Il legislatore italiano ha scelto il modello dell’opting-in. Tutti i consumatori<br />
che vantino un diritto identico od omogeneo a quello fatto valere<br />
dall’attore possono aderire all’azione di classe: si suole affermare che essi<br />
acquisiscono, in questo modo, la qualità di parti (solo) sostanziali del processo<br />
aggregato, mentre è da escludersi che spetti loro la qualità di parti processuali,<br />
riservata ad attore e convenuto ( 45 ).<br />
( 44 ) Cfr. in questa direzione Libertini e Maugeri, Il giudizio di ammissibilità dell’azione<br />
di classe (nota a Trib. Torino, ord., 4 giugno 2010, cit.), in Nuova giur. civ., 2010, p. 884; e similmente<br />
Frata, Il commento (nota a Trib. Torino, ord., 4 giugno 2010, cit., e ad App. Torino, 27<br />
ottobre 2010, cit.), in Danno e resp., 2011, pp. 81-82.<br />
( 45 ) Osservazione pacifica, e confermata da Trib. Torino, ord., 4 giugno 2010, cit.: “(. . .) l’azione<br />
di classe tutela i diritti individuali omogenei dei consumatori ed utenti ed a tal fine può<br />
agire ciascun componente. Solo il soggetto che assume tale iniziativa processuale assume la<br />
qualità di parte processuale, mentre coloro che aderiscono all’azione ai sensi del comma 3 ne<br />
subiscono gli effetti, ma non assumono la qualità di parte”.
20 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
S’impone al riguardo un primo, non marginale rilievo. Poiché è risaputo<br />
che l’inerzia del consumatore è molto difficile da vincere – è<br />
quell’“apatia razionale”, che lo tiene lontano non solo dalle liti individuali,<br />
ma anche da quelle collettive – i due modelli, opting-out ed opting-in, si<br />
differenziano sensibilmente già sul piano quantitativo: l’uno dà vita a<br />
“grandi” azioni di classe, perché tutti gli appartenenti a quella stessa cerchia<br />
di danneggiati, per il fatto di vantare posizioni conformi a quella impersonata<br />
dall’attore, attraggono automaticamente gli effetti del giudicato<br />
collettivo; l’altro dà vita a “piccole” azioni di classe, perché l’estensione<br />
soggettiva del giudicato è tale da coprire solo gli aderenti, i quali saranno<br />
sempre una frazione minimale dell’intero volume degli appartenenti<br />
alla classe.<br />
Già solo questo scarto quantitativo rende palese la preferibilità dell’opting-out:<br />
solo un “grande” processo di classe restituisce davvero all’azione<br />
civile tutta la sua efficacia riparatoria e deterrente, tutelando appieno la<br />
massa dei danneggiati, anziché quei pochi che decidano scientemente di<br />
parteciparvi. Se dunque l’obiettivo è quello di scoprire il sommerso, facendo<br />
sì che pure il bagatellare raggiunga le aule di giustizia e si riducano i profitti<br />
illeciti dei danneggianti abituali – ma fu questo l’obiettivo del legislatore<br />
italiano – allora non può che preferirsi una “grande” azione di classe, improntata<br />
all’opting-out.<br />
Sennonché l’opting-out pare consigliabile anche nell’ottica del convenuto:<br />
a ben vedere questi si giova di un giudicato soggettivamente vasto, magari<br />
gravoso, ma esaustivo; certamente in caso di soccombenza egli può subire<br />
una condanna dalle dimensioni ragguardevoli, dovendo risarcire anche<br />
i danni patiti da chi mai avrebbe aderito; in caso di vittoria, tuttavia, egli sarà<br />
sollevato da ogni responsabilità nei confronti di chiunque possa (o voglia)<br />
rientrare nella classe, chiudendo definitivamente la partita. Il modello<br />
dell’opting-in resta per così dire a metà strada, perché il convenuto, se soccombe,<br />
risarcisce solo alcuni (normalmente pochi) aderenti, ma l’indomani<br />
può essere convenuto in sede individuale da tutti gli altri appartenenti alla<br />
classe, magari incoraggiati dal precedente favorevole appena formatosi in<br />
sede collettiva; se vince, non risarcisce alcuno, ma la pronuncia che lo manda<br />
indenne da responsabilità fa stato solo nei confronti dell’attore e degli<br />
aderenti, sicché nulla esclude che di lì a poco altri appartenenti alla classe,<br />
( 46 ) Cfr. per tutti Mulheron, The case for an opt-out class action for european member states:<br />
a legal and empirical analysis, in Col. Jour. Eur. Law, 2009, p. 409 ss.
DIBATTITI 21<br />
magari sulla base di argomentazioni giuridiche ulteriori, lo convengano<br />
nuovamente in sede individuale. La sconfitta è solo apparentemente più<br />
lieve, perché la soccombenza in sede collettiva può scatenare altro contenzioso,<br />
mentre la vittoria è certamente meno piena, perché opponibile solo<br />
all’attore ed ai pochi aderenti.<br />
Se la ratio di qualsiasi azione di gruppo è duplice, incrementare l’effettività<br />
della tutela giudiziaria deflazionando ed armonizzando il contenzioso,<br />
l’opting-out centra meglio l’uno e l’altro obiettivo ( 46 ). Il legislatore ha invece<br />
scelto il modello dell’opting-in, reputandolo meno dirompente rispetto<br />
alla nostra tradizione processuale, pur sempre incardinata sull’impulso di<br />
parte e sul convincimento che il giudicato non possa scendere su chi non abbia<br />
preventivamente deciso di sottomettervisi. L’idea che un’intera classe di<br />
consumatori sia vincolata ad una sentenza resa inter alios, all’esito di un<br />
giudizio nel quale essi sono rappresentati da un attore cui nessuno diede<br />
mandato, è piuttosto lontana dai nostri schemi di pensiero, e tuttavia resta<br />
l’unica vincente ( 47 ).<br />
Il legislatore italiano rifiuta quest’idea ripiegando sulla più rassicurante<br />
e “piccola” class action per adesione, ma non appena si addentra meglio nelle<br />
pieghe del processo aggregato, finisce per costruire un congegno partecipativo<br />
comunque ardito, ma in compenso assai meno efficace ( 48 ).<br />
A ben vedere lo status di aderente – quella parte solo sostanziale del<br />
processo di classe – è non meno abnorme rispetto alla nostra tradizione: è<br />
sufficiente una breve scorsa all’art. 140-bis, in particolare commi 3, 9, 11, 14,<br />
15, c.cons. per apprendere che in un procedimento (pur sempre) votato all’attuazione<br />
contenziosa di diritti soggettivi il consumatore che intenda<br />
aderire deve redigere e depositare un atto giudiziario complesso senza ministero<br />
di difensore; è privato di qualsiasi potere processuale, ma soggiace<br />
alle eccezioni del convenuto; è sottoposto agli effetti del giudicato quale<br />
che sia l’esito della lite, ma non può impugnare la sentenza che lo veda soccombente,<br />
né esercitare o proseguire azioni individuali. Le caratteristiche<br />
di questo status, se esaminate una ad una e comparate con i principi fondamentali<br />
dell’ordinamento, interno e comunitario, lasciano emergere persino<br />
molteplici vizi d’illegittimità costituzionale.<br />
( 47 ) Ne discutono, fra i molti, Donati, Azione collettiva e diritto soggettivo collettivo, in<br />
<strong>Contratto</strong> e <strong>impresa</strong>, 2010, in particolare pp. 948-949; Porreca, Ambito soggettivo e oggettivo,<br />
cit., p. 549; e Vigoriti, Giustizia e futuro: conciliazione e class action, in <strong>Contratto</strong> e <strong>impresa</strong>,<br />
2010, in particolare pp. 6-7.<br />
( 48 ) Così, per tutti, Trocker, Class action negli USA, cit., in particolare p. 217 ss.
22 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
9. – Lo status abnorme dell’aderente “italiano”: la facoltatività della difesa<br />
tecnica<br />
Innanzi tutto l’aderente partecipa al giudizio allargato “senza ministero<br />
di difensore”, come dispone l’art. 140-bis, comma 3, prima proposizione,<br />
c.cons. In dottrina s’è ben presto asserita la natura facoltativa della formula<br />
di legge, che autorizzerebbe, senza tuttavia imporre, l’assenza di rappresentanza<br />
tecnica: quel “senza ministero di difensore” equivarrebbe ad “anche<br />
senza”, e non precluderebbe la possibilità del patrocinio; e nondimeno pure<br />
questa facoltatività desta grosse riserve.<br />
Si consideri infatti che ai sensi dell’art. 140-bis, comma 3, terza proposizione,<br />
c.cons., l’atto d’adesione deve contenere « oltre all’elezione di domicilio,<br />
l’indicazione degli elementi costitutivi del diritto fatto valere con la relativa<br />
documentazione probatoria »; esso ricalca, a ben vedere, i consueti<br />
contenuti dell’atto di citazione – d’altra parte anche l’adesione è volta a formulare<br />
una domanda di tutela giudiziaria – ma con due fattori di complicazione:<br />
da un lato, « gli elementi costitutivi del diritto » e la « documentazione<br />
probatoria » sono largamente prefigurati e segnati dall’ordinanza di ammissione,<br />
sicché l’aderente dovrà previamente soppesare l’omogeneità o<br />
identità della sua posizione rispetto a quella fatta valere dall’attore, nonché<br />
la stessa omogeneità delle prove documentali da produrre; dall’altro lato,<br />
l’adesione è l’unico atto che il consumatore può compiere con riguardo al<br />
processo di classe, e quindi non vi sarà altro luogo (atto o udienza) dove i<br />
contenuti di quella possano essere sviluppati ed affinati.<br />
Si tratta dunque di un atto processuale complesso ed esclusivo, ma soprattutto<br />
“preclusivo”, giacché ai sensi dell’art. 140-bis, comma 3, seconda<br />
proposizione, c.cons. “l’adesione comporta rinuncia a ogni azione restitutoria<br />
o risarcitoria individuale fondata sul medesimo titolo”: l’aderente, dopo<br />
aver rinunciato ex lege all’azione individuale, partecipa ad un processo<br />
allargato all’esito del quale si ritroverà sottoposto agli effetti della sentenza<br />
collettiva, anche quando sfavorevole, e senza poterla neppure impugnare.<br />
Che tutto ciò possa avvenire senza l’ausilio di un difensore rasenta l’assurdo,<br />
ma ancor prima confligge con fondamentali principi dell’ordinamento<br />
costituzionale, comunitario ed internazionale ( 49 ).<br />
( 49 ) Il sospetto d’incostituzionalità deriva dalla violazione del parametro, interno e sovrastatuale,<br />
posto a presidio del libero, equo ed effettivo ricorso alla giustizia, e risultante dagli<br />
artt. 24 e 111, commi 1 e 2, nonché 11 e 117, comma 1, Cost. in relazione agli artt. 47 della Carta<br />
Eur. Nizza-Strasburgo, 6, comma 1, e 13 CEDU; non può stimarsi né libero, né equo, né effettivo<br />
un ricorso alla giustizia privo delle garanzie minime di salvaguardia processuale che<br />
solo la difesa tecnica può offrire.
DIBATTITI 23<br />
Laddove il legislatore europeo intendesse accogliere il sistema dell’opting-in,<br />
assegnare all’adesione portata preclusiva dell’azione individuale, e<br />
tenere vincolato l’aderente al giudicato di classe anche quando sfavorevole,<br />
non potrebbe né proibire, né rendere facoltativa la rappresentanza tecnica<br />
dell’aderente. Al più si potrebbero snellire le attività difensive ed alleggerire<br />
i costi del patrocinio, ma sarebbe più risolutiva la scelta di adottare l’opting-out.<br />
10. – Segue: il problema delle eccezioni personali del convenuto nei confronti<br />
dell’aderente<br />
Alla luce della normativa in commento appare chiaro che l’aderente è<br />
privo di poteri processuali. La sua attività si riduce all’atto di adesione, che<br />
deve riprodurre “i caratteri dei diritti individuali oggetto del giudizio” e soddisfare<br />
“i criteri in base ai quali i soggetti che chiedono di aderire sono inclusi<br />
nella classe”, come risulta dall’art. 140-bis, comma 9, in particolare lett.<br />
“a)”, c.cons. Quei caratteri e questi criteri sono suggeriti in primo luogo dalla<br />
domanda dell’attore, ma si elevano a requisiti dell’opting-in solo a seguito<br />
della loro recezione nell’ordinanza ammissiva, che fissa e circoscrive in<br />
maniera definitiva l’oggetto sostanziale del processo.<br />
Appare lapalissiano che l’aderente, privo della qualità di parte processuale,<br />
non può in alcun modo incidere sull’oggetto del giudizio, allargandolo<br />
o comunque modificandolo con l’allegazione di fatti diversi da quelli<br />
addotti dall’attore e recepiti dall’ordinanza ammissiva. Ciò sarebbe contraddittorio<br />
rispetto alla natura ed alla ratio del rito, e peraltro lo renderebbe<br />
del tutto ingestibile, venendosi a creare tante sotto-classi quanti fossero<br />
gli aderenti.<br />
Nondimeno, se l’adesione è pur sempre una domanda di tutela giurisdizionale,<br />
ancorché omogenea o identica a quella proposta dall’attore, neppure<br />
si potrebbe impedire al convenuto di contrastarla, eccependo ed offrendo di<br />
provare fatti impeditivi, modificativi od estintivi non riferibili, di per sé, alla<br />
posizione dell’attore; se il convenuto, a differenza dell’aderente, è parte pleno<br />
jure del processo, non gli si può certo impedire d’allegare e provare fatti suscettibili<br />
di condurre al rigetto della pretesa di questo o quell’aderente,<br />
quand’anche non dell’attore ( 50 ). Si giungerebbe allora ad un paradosso, nuo-<br />
( 50 ) In senso contrario Menchini e Motto, L’azione di classe, cit., p. 1421, secondo cui,<br />
qualora il convenuto sollevi contro l’aderente eccezioni personali, la posizione di quest’ultimo<br />
dovrebbe essere stralciata dal processo di classe: presupposto irrinunciabile del nuovo ri-
24 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
vamente sospetto d’illegittimità costituzionale: l’oggetto del processo potrebbe<br />
essere alterato dal convenuto che sollevi eccezioni personali a questo o<br />
quell’aderente, ma costoro, già privi della facoltà d’allegare e provare fatti diversi<br />
da quelli indicati nell’ordinanza, non potrebbero in alcun modo replicare<br />
a quelle eccezioni e si ritroverebbero automaticamente soccombenti. Al<br />
convenuto basterebbe eccepire che l’aderente non è consumatore – o comunque<br />
non l’ha provato con l’atto d’adesione – o che la documentazione prodotta<br />
non è attendibile, e l’aderente non avrebbe alcuna chance di replica ( 51 ).<br />
Appare evidente che se il legislatore europeo volesse introdurre un’azione<br />
di gruppo fondata sull’opting-in, potrebbe sì impedire all’aderente di<br />
modificare l’oggetto dell’azione, ma non di replicare alle eccezioni personali<br />
del convenuto, pena un paradossale ed illegittimo disequilibrio nel contraddittorio<br />
fra le parti. Però ne scaturirebbe un rito ingestibile, una sommatoria<br />
di cause individuali raggruppate nella forma ma non nella sostanza:<br />
sarebbe ben più risolutivo adottare il sistema dell’opting-out.<br />
11. – Segue: la denegata facoltà d’impugnare la sentenza di classe<br />
Il vigente art. 140-bis c.cons. pone l’aderente al di fuori del processo di<br />
classe: compiuta l’adesione, e preclusa con ciò l’azione individuale, egli non<br />
ha che da attendere la sentenza collettiva, la quale farà stato nei suoi conto<br />
sarebbe infatti l’omogeneità, la commonality, non solo delle domande, ma anche delle eccezioni<br />
di parte convenuta; vera l’opinione, il convenuto che volesse rendere innocua l’azione<br />
non avrebbe che da eccepire fatti personali a ciascuno degli aderenti, i quali ne sarebbero<br />
automaticamente estromessi e potrebbero allora ripiegare sulla sola azione individuale (che<br />
mai avrebbero esperito, e mai esperiranno in futuro).<br />
( 51 ) L’esito è senz’altro illegittimo, per violazione degli artt. 24, in particolare comma 2, e<br />
111, comma 2, Cost., nella cui direzione si muovono peraltro anche gli artt. 47 della Carta Eur.<br />
Nizza-Strasburgo e 6, comma 1, CEDU. Un’interpretazione costituzionalmente orientata – e<br />
tale da sottrarre le norme in oggetto alle principali censure – fa dell’attore di classe una sorta<br />
di rappresentante processuale ex lege degli aderenti: essi, privi della qualità di parte, potrebbero<br />
contraddire in giudizio attraverso l’attore, che ne assumerebbe le difese (senza aver ricevuto<br />
alcun mandato o procura alle liti; in questo senso, Giussani, Il nuovo art. 140 bis<br />
c.cons., cit., in particolare pp. 599-600); la tesi è suggestiva, ma, oltre a non trovare nel testo di<br />
legge un fondamento immediato, causerebbe non pochi inconvenienti pratici: si pensi innanzitutto<br />
alle difficoltà logistiche cui andrebbe incontro l’attore, consumatore medio, che si<br />
trovi costretto a coordinare ed organizzare in proprio la massa delle adesioni; si pensi inoltre<br />
alle questioni deontologiche che verrebbero a gravare sul difensore: in che modo patrocinerà<br />
aderenti che mai gli diedero mandato E quale sarebbe la condotta da tenere, se egli si convinca<br />
dell’infondatezza di questa o quell’adesione Non pare si possa giungere a tanto, senza<br />
una completa e radicale rivisitazione del sistema, che lo renda compatibile con i meccanismi<br />
di funzionamento di un processo allargato.
DIBATTITI 25<br />
fronti a prescindere dal suo tenore, e dunque anche in caso di rigetto della<br />
domanda formulata con l’adesione. Poiché l’art. 140-bis, comma 14, c.cons.<br />
non dispone alcunché, l’efficacia preclusiva del giudicato nei riguardi dell’aderente<br />
deve stimarsi incondizionata e non già secundum eventum litis (ciò<br />
che avrebbe assicurato maggiore equilibrio al suo status).<br />
A fronte di tutto ciò – rinuncia ex lege all’azione individuale e sottoposizione<br />
integrale agli effetti del giudicato, quand’anche sfavorevole – risulta<br />
apertamente incostituzionale la norma che, per implicito, sottrae all’aderente<br />
la facoltà di proporre impugnazione ( 52 ).<br />
In sede europea, qualora si desse preferenza al modello d’opting-in non si<br />
potrebbe negare all’aderente la facoltà d’impugnare la sentenza di primo grado<br />
– ciò che invece pare escluso nella vigente class action italiana – ma questo<br />
causerebbe una nuova frammentazione del contenzioso, che potrebbe riesplodere<br />
nella proliferazione delle impugnazioni individuali; ne risulterebbe<br />
compromessa l’aspirazione all’unitarietà, perché ciascun aderente potrebbe<br />
rimettere in discussione il verdetto di primo grado sulla base di motivi di gravame<br />
non comuni agli altri, né (per ipotesi) all’attore, costringendo il convenuto<br />
ad una laboriosa attività difensiva individuale. Essa non si svolgerebbe in<br />
primo grado, ma sarebbe semplicemente posticipata al giudizio d’appello. Si<br />
esce facilmente dall’impasse preferendo il sistema d’opting-out.<br />
12. – Segue: transigibilità della lite collettiva e collusione ai danni degli aderenti<br />
Un ultimo aspetto concorre a testimoniare l’abnormità dello status di<br />
aderente. L’art. 140-bis, comma 14, terza proposizione, c.cons. prevede:<br />
( 52 ) L’esposta normativa è manifestamente contrastante con gli artt. 24 e 111, commi 1 e 2,<br />
Cost., nonché con gli artt. 11 e 117, comma 1, Cost. in relazione all’art. 47 Carta Eur. Nizza-<br />
Strasburgo, ed agli artt. 6, comma 1, e 13 CEDU. Senza dubbio è violato il diritto di difesa sancito<br />
dall’art. 24 Cost., tanto nel comma 1 (impugnare è certamente facoltà compresa nell’“agire<br />
in giudizio per la tutela dei propri diritti”), quanto – e persino testualmente – nel comma 2<br />
(“la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”); parimenti è violato il<br />
diritto al giusto processo di cui all’art. 111, comma 1, Cost., non potendosi stimare tale un rito<br />
che inibisce all’aderente, privo d’ogni potere di influire sulla decisione, anche la facoltà d’impugnarla;<br />
altrettanto negletto è il principio del contraddittorio e della parità di condizioni di<br />
cui all’art. 111, comma 2, Cost., non potendo giudicarsi equo e davvero contenzioso un processo<br />
nel quale l’aderente, vincolato in toto agli effetti del giudicato (esattamente al pari delle<br />
parti), non può però impedire che questo si formi a suo danno, impugnando la sentenza; infine<br />
pare negato pure il principio scaturente dall’art. 47 Carta Eur. Nizza-Strasburgo e dagli artt.<br />
6, comma 1, e 13 CEDU del ricorso effettivo ed equo alla giustizia, essendo palesemente non
26 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
“Non sono proponibili ulteriori azioni di classe per i medesimi fatti e nei<br />
confronti della stessa <strong>impresa</strong> dopo la scadenza del termine per l’adesione<br />
assegnato dal giudice”; ed ai sensi del comma 9 l’ordinanza, oltre ai “caratteri<br />
dei diritti individuali oggetto del giudizio” ed ai “criteri” dell’opting-in,<br />
definisce pure il termine ultimo entro cui le adesioni dovranno avvenire.<br />
Decorso quest’ultimo, è improponibile qualsiasi ulteriore azione di classe<br />
“per i medesimi fatti e nei confronti della stessa <strong>impresa</strong>”.<br />
Apertasi dunque la fase di merito, l’azione di gruppo è ormai una ed irripetibile,<br />
e potranno concorrervi soltanto quelle individuali dei non-aderenti.<br />
Se in questa fase, nella quale nessuna adesione è più consentita, né<br />
sarebbe proponibile altra azione omologa a quella pendente, il processo si<br />
chiuda anticipatamente per rinuncia agli atti, transazione, estinzione o decisione<br />
di puro rito, ai sensi dell’art. 140-bis, comma 15, c.cons., “i diritti degli<br />
aderenti” (che non abbiano espressamente consentito alla rinuncia od<br />
alla transazione) “sono fatti salvi”. Essi infatti propongono con l’adesione<br />
una domanda finalizzata (pur sempre) ad una pronuncia sul merito, esattamente<br />
come accade per tutte le domande di tutela giurisdizionale, e non<br />
possono essere pregiudicati da condotte altrui impeditive di quella pronuncia<br />
(rinuncia agli atti, conciliazione o mera inattività), ovvero da fatti comunque<br />
estranei al loro dominio, come un’ipotetica cessazione della materia<br />
del contendere per cause riferibili alla posizione del solo attore: comprensibile<br />
dunque che siano “fatti salvi” i loro diritti ( 53 ).<br />
Sennonché, non appena ci si chieda in che cosa consista questa salvezza,<br />
apparirà evidente che, scaduto il termine per le adesioni e divenute improponibili<br />
azioni di classe omologhe a quella pendente, la salvezza consiste<br />
soltanto nella perdurante facoltà d’esperire l’azione individuale. Il consumatore<br />
si ritrova nella stessa posizione in cui versava prima di partecipare al<br />
processo allargato, ma con la novità di non potersi più valere della tutela di<br />
effettivo ed iniquo un sistema che preclude qualsiasi revisione del giudizio di prima istanza a<br />
colui che pure vi è integralmente soggetto.<br />
( 53 ) Le norme denunciate mantengono invece il più stretto riserbo a proposito di un’ulteriore,<br />
possibile vicenda del processo collettivo: giunti alla fase del merito, non si comprende<br />
che cosa accada qualora la domanda dell’attore sia respinta per ragioni di merito, ma non altrettanto<br />
debba statuirsi circa l’adesione di questo o quel consumatore, la quale risulti viceversa<br />
fondata ed accoglibile. Nel caso in cui il rigetto nel merito della domanda dell’attore dovesse<br />
essere equiparato alla rinuncia, alla transazione, all’estinzione o alle altre ipotesi di<br />
chiusura anticipata del giudizio di classe (così l’art. 140-bis, comma 15, c.cons.), l’aderente<br />
verrebbe nuovamente a trovarsi nella situazione deteriore e paradossale più volte evocata:<br />
egli potrebbe ancora esperire l’azione individuale, ma non più quella di classe, e senza aver<br />
ottenuto una pronuncia collettiva che decida il merito della sua domanda.
DIBATTITI 27<br />
classe, né come attore, né come nuovo aderente. È dunque non meno evidente<br />
lo scacco in cui si trova: è sufficiente che attore e convenuto, uniche<br />
parti in senso tecnico, rinuncino o transigano nella fase di merito, e l’aderente<br />
viene automaticamente spogliato del nuovo rito, anche quando ritenga<br />
di non aderire alla rinuncia od alla transazione inter alios ( 54 ). Potrà infatti<br />
esperire la sola azione individuale, che però mai avrebbe esperito e mai<br />
esperirà; ed anzi la sostanziale inutilità di questa lo indurrà ad accettare la<br />
transazione intervenuta nel processo di classe, anche quando non del tutto<br />
gradita ( 55 ).<br />
Bisogna ammettere però che il sistema d’opting-in non è ideale sotto il<br />
profilo della transigibilità della lite ( 56 ). Si ponga mente a quanto può accadere<br />
laddove emerga uno spiraglio conciliativo dopo che siano già state depositate<br />
numerose adesioni: poiché l’accordo transattivo non vincola gli aderenti che<br />
non vi consentano espressamente, attore e convenuto dovrebbero intessere<br />
trattative con ciascuno, pena il fallimento dell’operazione, che difficilmente<br />
centrerebbe i suoi scopi in mancanza di largo consenso (e soprattutto non gio-<br />
( 54 ) In questa direzione guadagna senso quanto prescritto dall’art. 140-bis, comma 6,<br />
c.cons., nella parte in cui eleva a causa d’inammissibilità dell’azione il conflitto d’interessi:<br />
una delle ipotesi – magari non l’unica – è certamente il conflitto d’interessi fra attore e convenuto,<br />
che possano inscenare azioni “gialle” studiate, o piegate in corso di causa, per sottrarre<br />
agli aderenti il rito di classe (cfr. sul punto, fra gli altri, Menchini e Motto, L’azione di classe,<br />
cit., pp. 1456-1457).<br />
( 55 ) Anche le norme da ultimo citate si espongono ad una censura d’illegittimità costituzionale:<br />
si ci dovrebbe infatti chiedere se il combinato disposto dell’art. 140-bis, comma<br />
15, prima e seconda proposizione, e comma 14, terza proposizione, c.cons. non violi<br />
l’art. 3 Cost. sotto il profilo dell’irrazionalità (e persino dell’ingiustizia), nonché gli artt. 11<br />
e 117, comma 1, Cost. in relazione all’art. 47 Carta Eur. Nizza-Strasburgo ed all’art. 13 CE-<br />
DU, nella parte in cui esclude la proponibilità di ulteriori azioni di classe per i medesimi<br />
fatti e nei confronti della stessa <strong>impresa</strong> dopo la scadenza del termine per le adesioni, nell’ipotesi<br />
di rinunce e transazioni intervenute tra le parti e cui l’aderente non abbia espressamente<br />
consentito, così come di estinzione e chiusura anticipata del processo di classe,<br />
ovvero di rigetto della domanda dell’attore nel merito: infatti quel combinato disposto dà<br />
luogo ad una norma che rende nuovamente non “effettiva” la tutela dei diritti e degli interessi<br />
dei consumatori, in contrasto con le finalità dichiarate dell’istituto e con insopprimibili<br />
esigenze di giustizia sostanziale. Il rito di classe, pensato per completare – ma a rigore<br />
per instaurare ex novo – la tutela dei diritti e degli interessi di consumatori e utenti, è loro<br />
clamorosamente sottratto, con la magra (e quasi irridente) consolazione di non perdere<br />
l’azione individuale.<br />
( 56 ) Così anche Cavallini, Azione collettiva risarcitoria, cit., p. 1126 ss.; e M. De cristofaro,<br />
L’azione collettiva risarcitoria « di classe »: profili sistematici e processuali, in Resp. civ.<br />
prev., 2010, p. 1947.
28 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
verebbe al convenuto, che dopo essere sceso a patti con l’attore e taluni aderenti,<br />
potrebbe essere nuovamente convenuto in sede individuale dagli altri,<br />
forti delle concessioni da lui fatte in sede collettiva). Si ricreerebbe l’ennesima<br />
impasse: gli aderenti dovrebbero consentire uno ad uno, ciò che rende imprevedibile<br />
l’esito della consultazione, ma d’altra parte sarebbero pressati dall’interesse<br />
a non perdere i frutti dell’azione collettiva, giacchè l’alternativa sarebbe<br />
intraprendere di lì a poco una lunga e costosa azione individuale.<br />
Se il legislatore europeo volesse accogliere un modello d’opting-in, dovrebbe<br />
anche introdurre meccanismi che facilitino la transigibilità della lite in<br />
corso di causa, tanto prima quando dopo l’apertura delle adesioni, apparendo<br />
poco praticabile ed efficace un sistema, come quello italiano, che richiede un<br />
consenso singolare ed espresso di ciascun aderente perché la conciliazione<br />
abbia effetto nei suoi confronti. Aggiungasi che le difficoltà aumenterebbero<br />
in misura esponenziale se l’azione assumesse veramente una dimensione<br />
transfrontaliera, con incremento non solo del numero dei soggetti coinvolti,<br />
ma anche della loro eterogeneità geografica, economica e sociale.<br />
Si potrebbe prevedere, ad esempio, l’efficacia generale dell’accordo transattivo<br />
in capo a tutti gli aderenti che non vi s’oppongano espressamente, anziché<br />
in capo a quei soli che espressamente vi consentano, con inversione quantomeno<br />
dell’onere dichiarativo; oppure, con soluzione più drastica, l’efficacia<br />
generale della transazione in capo a tutti gli aderenti che non provino la manifesta<br />
iniquità dell’accordo o la collusione ai loro danni fra le parti del processo.<br />
La difficoltosa transigibilità della lite verrebbe meno, ancora una volta,<br />
preferendo il sistema d’opting-out. Quest’ultimo non scongiurerebbe invece<br />
il rischio di collusione fra le parti: anzi, l’assenza di aderenti potrebbe<br />
rendere persino più agevole la conclusione di accordi frodatori o comunque<br />
non vantaggiosi per gli appartenenti alla classe. La risposta potrebbe consistere<br />
tuttavia nell’ampliamento ed approfondimento dei poteri istruttori ed<br />
officiosi del giudice, chiamato a controllare che l’accordo transattivo non sia<br />
gravemente iniquo per gli appartenenti alla classe o frutto tout court di collusione<br />
ai loro danni ( 57 ); ma se questa soluzione, del tutto consolidata nell’esperienza<br />
statunitense, apparisse lontana dai nostri schemi, si potrebbe<br />
anche rinforzare la partecipazione al giudizio del pubblico ministero ( 58 ). Con<br />
disposizione apprezzabile l’art. 140-bis, comma 5, c.cons. stabilisce che la ci-<br />
( 57 ) Cfr. sul punto, per la class action statunitense, Frignani e Virano, La class action nel<br />
diritto statunitense, cit., pp. 16-18.<br />
( 58 ) Cfr. nello stesso senso Menchini e Motto, L’azione di classe, cit., p. 1446; viceversa<br />
scettico Giussani, Il nuovo art. 140 bis c.cons., cit., p. 606.
DIBATTITI 29<br />
tazione di classe sia notificata anche al p.m., “il quale può intervenire limitatamente<br />
al giudizio di ammissibilità”: perché non prevedere che l’intervento<br />
del p.m. sia più duraturo e possa esprimersi anche in un controllo di<br />
merito sugli accordi transattivi<br />
La breve ricognizione conferma che lo status dell’aderente “italiano” è<br />
tanto passivo quanto quello del class member “americano” – ed anch’esso<br />
impone di riconsiderare principi e valori radicati nella cultura europea – ma<br />
la class action americana, per lo meno, funziona.<br />
Edoardo Ferrante
La tutela collettiva nel diritto processuale tedesco (*)<br />
1. – Normalità del processo a “due”<br />
Scopo del presente contributo è illustrare in maniera sintetica le opportunità<br />
di tutela collettiva offerte dal diritto processuale tedesco. Ci si propone<br />
d’indagare se gli strumenti già presenti in Germania per la riunificazione<br />
processuale d’interessi singolari siano tanto efficienti da escludere la necessità<br />
di nuove azioni di gruppo o collettive, o se al contrario una tale necessità<br />
sia senz’altro prospettabile.<br />
Per diritto tedesco, accanto all’opportunità di svolgere un giudizio individuale<br />
– su impulso di una persona (fisica o giuridica) dotata di capacità generale<br />
e processuale, e contro altra consimile persona – sussistono margini molto<br />
ridotti per rendere il processo davvero “collettivo”. La regola è il processo<br />
“a due”. Così, anche i tradizionali strumenti processualistici dell’azione congiunta<br />
ex §§ 59-60 ZPO, nonché della connessione e della sospensione ex §§<br />
147-148 ZPO non sono adatti a concentrare i micro-danni in veri procedimenti<br />
di massa ( 1 ). La ragione principale consiste in ciò, che questi strumenti, da<br />
un lato, presuppongono un alto grado d’organizzazione dei soggetti coinvolti,<br />
e dall’altro richiedono la confluenza delle liti presso un unico giudice ( 2 ).<br />
Vero è che il pooling delle pretese è possibile pure in forma preventiva, con la<br />
costituzione di una società di diritto civile disciplinata dal BGB (la c.d. “BGB-<br />
Gesellschaft”); vero è anche però che questo collegamento presuppone pur<br />
sempre un certo grado di organizzazione dei danneggiati.<br />
Lo stesso vale per il finanziamento dei processi ad opera di privati sovventori,<br />
finanziamento che di regola riguarda cause di valore non inferiore<br />
ad euro 5.000, ma non raramente cause per le quali la “soglia d’interesse” è<br />
ben più alta ( 3 ). Ne deriva che quella prassi non offre alcuna opportunità effettiva<br />
di finanziamento per cause relative a danni modesti. Per quanto attiene<br />
infine all’idea della “conciliazione-modello”, manca alle parti il potere<br />
di disporre validamente dell’efficacia di giudicato sostanziale.<br />
(*) Traduzione dall’originale tedesco a cura di Edoardo Ferrante.<br />
( 1 ) Plaßmeier, in NZG, 2005, pp. 609-610; Tamm, in ZHR, 2010, pp. 527-529.<br />
( 2 ) Cfr. BT-Drucks. 15/5091, p. 13; Reuschle, in WM, 2004, pp. 966-967; Haß, Die Gruppenklage,<br />
1996, p. 141.<br />
( 3 ) Frechen, Kochheim, in NJW, 2004, p. 1213 ss.; Gleußner, in FS M. Vollkommer,<br />
2006, pp. 25 e 30. La partecipazione ai “profitti” ammonta al 30% per valori di causa bassi, al<br />
20% per valori di causa alti (vale a dire superiori a 500.000 euro).
DIBATTITI 31<br />
2. – La mancanza di strumenti per l’esperimento di vere azioni collettive o di<br />
gruppo<br />
Il diritto processuale tedesco non conosce al momento regole per lo<br />
svolgimento collettivo del processo attraverso plurimi attori consorziati,<br />
che riunifichino le rispettive azioni in un’azione unica (c.d. azione di gruppo<br />
o collettiva). Proposte isolate volte ad insediare siffatte azioni ( 4 ), e rendere<br />
più effettiva l’attuazione delle pretese individuali degli attori – ciò che<br />
sarebbe cruciale, ad esempio, per i danni di massa e per le vittime di cartelli<br />
anticoncorrenziali o di trattamenti discriminatori – sono largamente respinte,<br />
in Germania, sia dalla politica sia dalla scienza del diritto ( 5 ), quasi<br />
per consapevole reazione al Libro Verde della Commissione UE sulla tutela<br />
collettiva dei consumatori ( 6 ). Le ragioni sono molteplici.<br />
In primo luogo si osserva che l’azione collettiva o di gruppo impone una<br />
considerevole attività di coordinamento. Quest’attività è tipicamente svolta<br />
dagli avvocati, ma se si concedesse loro la facoltà d’esperire azioni collettive<br />
o di gruppo, ne aumenterebbe anche la potenzialità abusiva, dal momento<br />
che l’onorario forense dipende dal valore di causa, e con l’unificazione<br />
di più azioni non si farebbe altro che alimentare le ambizioni economiche<br />
degli avvocati ( 7 ). Potrebbe crescere allora l’interesse a convogliare nell’azione<br />
anche pretese infondate ( 8 ), con le quali fabbricare un “esplosivo”<br />
ad alto potenziale economico, tanto alto che per il convenuto diverrebbe<br />
più sensato porre termine fin da subito al processo per mezzo di una conciliazione<br />
(frequente nella class action statunitense), che non confidare nella<br />
sua chiusura vantaggiosa con sentenza.<br />
Negli Stati Uniti, quando viene esperita un’azione collettiva – la così<br />
detta class action – è prassi scegliere dal gruppo dei potenziali attori un danneggiato<br />
che assuma il ruolo di esponente della classe. Poiché s’impone,<br />
evidentemente, la ricerca di un consenso sul nome dell’attore che assumerà<br />
il ruolo esponenziale, e dovrà rappresentare gli interessi di tutti i parteci-<br />
( 4 ) Stadler, in Brönneke (cur.), Kollektiver Rechtsschutz im Zivilprozeßrecht, 2001, in particolare<br />
p. 21; e Tamm, Bamberger Verbraucherrechtstage, 2009, p. 76 ss.<br />
( 5 ) Cfr. Bettermann, in ZZP, 1975, p. 133 ss.; Calliess, in NJW, 2003, p. 97 ss., ed in particolare<br />
p. 100; Schwarz, in Umbach, Dettling (cur.), Vom individuellen zum kollektiven Verbraucherschutz,<br />
2005, in particolare p. 14; Hirte, in Festschrift für Leser, 1998, pp. 335-339; e sul<br />
tema del finanziamento, Koch, Verbraucherprozeßrecht, 1990, p. 48.<br />
( 6 ) Cfr. in tema la quarta opzione di cui tratta COM (2008), 794 def., p. 15, par. 48 ss.<br />
( 7 ) Così Coffee, Class Wars: The Dilemma of the Mass Tort Actions, in Col. Law Rev., 1995,<br />
p. 2134 ss.; Koch, Kollektiver Rechtsschutz im Zivilprozeß, 1976, p. 95; Schack, Einführung in<br />
das US-amerikanische Zivilprozessrecht, 2003, p. 81; e Hirte, in VersR, 2000, p. 148 ss.<br />
( 8 ) Bergmeister, Kapitalanlegermusterverfahrensgesetz, 2010, p. 5.
32 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
panti, si giunge per forza di cose ad una previa selezione delle persone e degli<br />
interessi coinvolti; e poiché questa selezione è sempre molto ardua, ne<br />
deriva un ulteriore argomento contro l’azione di gruppo o collettiva, atteso<br />
che persino fra gli attori – non v’è da stupirsi – possono sussistere conflitti<br />
d’interesse ( 9 ).<br />
Per il resto l’introduzione di un’azione di gruppo o collettiva è giudicata<br />
negativamente anche sotto un ulteriore aspetto: l’abituale formazione del<br />
gruppo degli attori secondo il modello statunitense dell’opting-out nell’ottica<br />
tedesca violerebbe il principio costituzionale del contraddittorio ex art.<br />
103 Grundgesetz (abbr. GG) ( 10 ). Secondo questo principio, infatti, occorre<br />
sempre un atto (consapevole e volontario) della persona perché questa possa<br />
assumere la veste di attore in un processo, e l’oggetto sostanziale del giudizio<br />
rimane sempre all’interno del suo potere dispositivo. Soltanto la persona<br />
decide se, quando ed in che ambito un processo debba essere svolto.<br />
Un automatismo regolato da terze parti, nel senso dell’automatico refluire<br />
della pretesa in un procedimento condotto da terzi e magari non evitabile<br />
da chi vi sia coinvolto, è proibito dal principio di autonomia privata; e resta<br />
troppo astratta la possibilità di far salva l’autonomìa decisionale della persona<br />
consentendole di fuoriuscire dal processo per mezzo della dichiarazione<br />
d’opting-out ( 11 ). Infatti, per lo meno sulla base delle attuali cognizioni in<br />
materia, non può aversi alcuna certezza che l’informazione dell’avvenuto<br />
esperimento del rimedio collettivo – e con ciò della necessità, per chi lo desideri,<br />
di dichiarare l’opting-out – raggiunga davvero tutti gli aventi diritto.<br />
Viceversa contro la variante, ulteriormente ipotizzabile, dell’opt-in (che<br />
è poi la “vera” azione di gruppo) non ci sono controindicazioni di carattere<br />
costituzionale legate all’art. 103 GG ed al principio intangibile del contraddittorio:<br />
in questo caso sono partecipi dell’azione solo quegli attori che dichiarino<br />
espressamente la loro adesione; tuttavia non è sempre chiaro come<br />
quest’azione debba essere organizzata, per soddisfare non solo l’obiettivo<br />
della migliore attuazione dei diritti facenti capo a chi agisca in forma aggre-<br />
( 9 ) Questo argomento giocò un ruolo significativo nell’itinerario legislativo che condusse<br />
al KapMuG; certamente la legge vuole che sia innanzitutto l’attore-pilota ad essere designato,<br />
ma gli altri attori mantengono lo status di partecipanti, così da poter intervenire all’occorrenza.<br />
( 10 ) Cfr. Baetge, Eichholtz, in Basedow, Hopt, Kötz, Baetge (cur.), Die Bündelung<br />
gleichgerichteter Interessen im Prozess, Verbandsklage und Gruppenklage, 1999, p. 299; e Koch,<br />
Kollektiver Rechtsschutz, cit., p. 53.<br />
( 11 ) Ne riferisce Stadler, in Brönneke (cur.), Kollektiver Rechtsschutz, cit., in particolare<br />
p. 18.
DIBATTITI 33<br />
gata, ma anche l’ulteriore scopo di deflazionare la giustizia civile. Infatti<br />
l’effetto di razionalizzazione processuale raggiunto attraverso l’aggregazione<br />
delle pretese rimarrebbe vano, se all’avvio del processo allargato s’imponesse<br />
un dispendioso iter d’iscrizione e verifica delle adesioni, per accertarne<br />
la classificabilità entro il gruppo di parte attrice (vale a dire entro lo schema<br />
degli interessi omogenei facenti capo a più attori contro un unico convenuto)<br />
( 12 ).<br />
Per l’allestimento del processo occorrerebbe allora un soggetto od ente<br />
a ciò dedicato, che ne amministri la divulgazione e l’iscrizione nel registro<br />
delle azioni, così come l’esame delle questioni relative all’ammissibilità<br />
delle future adesioni. Potrebbe certamente trattarsi di un’associazione riconosciuta<br />
di consumatori, in ordine alla quale neppure si potrebbe temere il<br />
perseguimento di azioni abusive, operando essa per finalità eminentemente<br />
altruistiche. Nondimeno una tale istituzione, incaricata del coordinamento<br />
di un ipotetico procedimento di massa, destinato ad essere svolto<br />
nella forma tipica dell’azione collettiva, dovrebbe essere strutturata in maniera<br />
ottimale sotto il profilo del personale, della competenza tecnica e della<br />
solidità finanziaria; e non è questo il caso delle associazioni di consumatori<br />
attualmente attive in Germania.<br />
Inoltre l’azione dovrebbe essere finanziata, per lo meno in via di anticipazione<br />
delle spese di giustizia e di patrocinio – anche quando l’avvocato sia<br />
pluri-mandatario – dall’attore. L’associazione di consumatori che semplicemente<br />
coordini l’azione collettiva, associazione che già sarà “sopraffatta”<br />
dall’attività di coordinamento, normalmente non potrà procurare essa stessa<br />
i mezzi occorrenti per l’avvio dell’azione altrui, coltivata in proprio dagli<br />
attori di gruppo, per la semplice ragione che essa, di regola, non disporrà di<br />
mezzo alcuno; e se mai ne disponesse, verrebbe gravata da un rischio processuale<br />
del quale non potrebbe comunque rispondere, come d’altra parte<br />
non sarebbe beneficiaria dell’eventuale esito positivo della lite. Pertanto gli<br />
attori dovrebbero essere finanziariamente coinvolti pro quota già nell’instaurazione<br />
dell’azione collettiva, e proprio attraverso il pagamento degli<br />
anticipi per la copertura delle spese legali e di giustizia.<br />
Invero la stessa opera di direzione e gestione delle incombenze nella fase<br />
che anticipa l’esperimento dell’azione rappresenta per l’associazione uno<br />
sforzo molto gravoso, e neppure è certo che tutti gli attori possano conferire<br />
l’importo loro toccante pro quota per l’instaurazione della lite. La non-<br />
( 12 ) Cfr. Tamm, Bamberger Verbraucherrechtstage, cit., p. 84 ss.; e sul problema dell’impegno<br />
organizzativo nella class action statunitense, fra gli altri, Schack, Einführung, cit., p. 83.
34 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
esposizione di costi processuali, che fu isolatamente proposta per azioni<br />
d’interesse sovraindividuale e per la quale depongono buoni argomenti, al<br />
momento non trova nel diritto tedesco alcun fondamento positivo. Prevedibilmente<br />
la proposta non sarà neppure presa in considerazione dalla politica:<br />
nell’ordinamento tedesco i costi del processo nella fase della sua instaurazione<br />
sono fatti gravare appositamente sull’attore – col rischio che<br />
non recuperi alcunché per il caso di soccombenza, e debba inoltre sostenere<br />
le spese legali di controparte – perché proprio così vogliono prevenirsi<br />
iniziative giudiziarie meramente persecutorie. Poi, quando un risarcimento<br />
sia finalmente ottenuto, non è neppure chiaro chi debba provvedere alla distribuzione<br />
dell’importo ( 13 ).<br />
Per tutti questi motivi in Germania non esiste al momento alcuna azione<br />
collettiva o di gruppo. È stato però introdotto uno strumento che vi si avvicina,<br />
vale a dire il “procedimento-modello” o “pilota” (Musterverfahren)<br />
secondo il c.d. KapMuG; e proprio di questo occorre ora trattare.<br />
3. – L’azione-modello secondo il Kapitalanleger-Musterverfahrensgesetz (Kap-<br />
MuG)<br />
Il 1° ottobre 2005 il legislatore tedesco, con il Kapitalanleger-Musterverfahrensgesetz<br />
(abbr. KapMuG) ( 14 ) ha licenziato una legge che per specifiche<br />
pretese connesse al mercato finanziario ed al fine di deflazionare la giustizia<br />
permette “in certo modo” (vale a dire per un determinato segmento della<br />
procedura) un collegamento fra più azioni individuali conseguenti a danni<br />
di massa.<br />
Storicamente il KapMuG è nato come “legge-Telekom” ( 15 ). Infatti a partire<br />
dal 2001, in una procedura di massa dinanzi al Tribunale di Francoforte<br />
sul Meno ( 16 ), circa 17.000 azionisti hanno convenuto la Deutsche Telekom<br />
AG per il risarcimento dei danni patiti; gli attori hanno fatto valere in giudizio<br />
la circostanza che nel 2000 la società, all’atto del suo terzo aumento di<br />
capitale, aveva presentato un prospetto informativo di borsa non corretto;<br />
la ragione della non correttezza sarebbe consistìta, fra l’altro, nel compi-<br />
( 13 ) Ha trattato il problema già in merito alla class action, Hohl, Die US-amerikanische<br />
Sammelklage im Wandel, 2008, p. 50 ss.; cfr. anche Koch, Kollektiver Rechtsschutz, cit., p. 81 ss.<br />
( 14 ) Cfr. BGBl. I 2005, p. 2437 ss.<br />
( 15 ) Cfr. il Manager-Magazin dell’8 agosto 2006, p. 218.<br />
( 16 ) Per tutte le procedure emerse a norma del § 48, vecchio testo, BörsG (e del connesso<br />
piano di ripartizione dei carichi giudiziari) la competenza è di una sola sezione, deputata agli<br />
affari di diritto commerciale.
DIBATTITI 35<br />
mento di una falsa stima immobiliare ( 17 ). Nel complesso furono esperite<br />
più di 2.500 azioni individuali, per mezzo di centinaia di avvocati ( 18 ). La<br />
procedura scatenò nei fatti un collasso della giustizia tedesca, poiché la sezione<br />
del Tribunale di Francoforte assegnataria delle cause in parola avrebbe<br />
dovuto fronteggiare, con le sole azioni-Telekom, un carico tale da gravare<br />
il collegio per almeno dieci anni. Il legislatore reagì a quest’ondata di cause<br />
scegliendo, col varo del KapMuG, una soluzione sistematicamente intermedia<br />
fra l’azione-modello e quella di gruppo ( 19 ).<br />
Ad uno sguardo più accurato emerge innanzi tutto che l’ambito d’applicazione<br />
del KapMuG comprende solo pretese risarcitorie conseguenti a falsa<br />
informazione pubblica nel mercato dei capitali (ai sensi del § 1, comma 1,<br />
n. 1, KapMuG), così come pretese all’esatto adempimento secondo il Wertpapiererwerbs-und<br />
Übernahmegesetz (abbr. WpÜG). Pertanto il procedimento<br />
del KapMuG è fruibile solo per pretese molto circoscritte, vale a dire per<br />
danni di massa verificatisi nel mercato dei valori mobiliari. Un’estensione<br />
del suo ambito applicativo non è da attendersi neppure in futuro.<br />
La procedura per le pretese incluse nel KapMuG è suddivisa in quattro<br />
fasi, che si susseguono in maniera scalare: nella prima fase uno dei giudici<br />
adìti in primo grado decide circa l’ammissibilità del procedimento-modello<br />
e circa il suo oggetto; successivamente il sovraordinato Oberlandesgericht<br />
determina quale sarà la “parte-modello”; subito dopo il medesimo giudice<br />
di secondo grado svolge il procedimento-modello; e infine, nell’ultima fase,<br />
il risultato decisorio conseguito all’esito della procedura, nella misura in<br />
cui sia rilevante per la definizione del merito, è fatto ricadere sulle procedure<br />
parallele pendenti dinanzi ai singoli giudici a quibus.<br />
Dal 1° novembre 2005 per le liti ricadenti sotto il KapMuG è competente<br />
per materia, in prima istanza, esclusivamente il Landgericht (a norma del<br />
§ 71, comma 2, n. 3, GVG) ( 20 ). La competenza sussiste indipendentemente<br />
dal valore di causa. Competente per territorio è il Landgericht del luogo in<br />
cui ha sede il convenuto emittente i titoli ovvero la convenuta società-target,<br />
se questa sede si trova in Germania; lo si ricava dal § 32b, comma 1,<br />
ZPO. Il procedimento-modello ai sensi del KapMuG non può essere disposto<br />
d’ufficio. Ciascuna parte – tanto l’attore quanto il convenuto, per il tramite<br />
del rispettivo difensore ex § 78 ZPO – ogniqualvolta la lite rientri nel-<br />
( 17 ) Cfr. sul punto l’ordinanza-quadro della 7 a sezione per gli affari commerciali del Landgericht<br />
Frankfurt/Main, 11 luglio 2006 (Az.: 3/7 OH 1/06, pp. 149-162).<br />
( 18 ) Così Koch, in BRAK-Mitt., 2005, p. 159; e Gansel, Gängel, in NJ, 2006, p. 13.<br />
( 19 ) Per i motivi cfr. BT-Drucks. 15/5091, p. 14 ss.<br />
( 20 ) Introdotto nel GVG dall’art. 3 EG-KapMuG (del 16 agosto 2005, in BGBl. I, p. 2437).
36 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
l’ambito materiale del KapMuG, può domandare al giudice con apposita<br />
istanza che sia instaurato il processo allargato, come previsto dal § 1, comma<br />
1, prima proposizione, KapMuG.<br />
Sennonché possono assurgere ad oggetto dell’istanza di “certificazione”<br />
del procedimento-modello, ai sensi del § 1, comma 2, terza proposizione,<br />
KapMuG, soltanto quei quesiti cui spetti un significato trascendente, anche<br />
solo in astratto, il giudizio dell’istante ( 21 ). Con ciò sono escluse questioni di<br />
portata strettamente individuale, come l’ammontare del danno singolarmente<br />
patito dall’investitore ed il nesso di causalità concreta. Se è proposta<br />
la descritta istanza di certificazione – i cui contenuti sono indicati dal § 2,<br />
comma 1, terza proposizione, KapMuG – l’adìto Landgericht, dopo averne<br />
delibato i requisiti d’ammissibilità ex § 1, comma 3, prima proposizione,<br />
KapMuG, ne dà pubblica notizia in apposito registro (Klageregister) costituito<br />
presso il Bundesanzeiger elettronico ( 22 ), ai sensi del § 2, comma 1, prima<br />
proposizione, KapMuG ( 23 ).<br />
Eseguita questa forma d’iscrizione pubblicitaria il giudizio nel corso del<br />
quale fu sollevata l’istanza è sospeso a norma del § 3 KapMuG. La sospensione<br />
è importante, perché a partire da questo momento decorre un termine<br />
per raccogliere ulteriori istanze di certificazione della procedura-modello.<br />
Ora, se entro il termine di quattro mesi dall’iscrizione della prima istanza<br />
dovessero essere presentate al registro almeno nove ulteriori istanze indirizzate<br />
nello stesso senso ( 24 ), il giudice che abbia pubblicato la prima ottiene<br />
dall’Oberlandesgericht a lui sovraordinato un attestato di procedimento-modello.<br />
Ai sensi del § 4, comma 2, nn. 1-2, KapMuG detto Oberlandesgericht<br />
formula pure un’ordinanza-quadro, che riassume lo scopo cognitivo<br />
e l’oggetto del contendere, a partire dalle singole istanze presentate per<br />
la certificazione della procedura aggregata.<br />
Pronunciata l’ordinanza-quadro l’Oberlandesgericht adìto, ai sensi del §<br />
8, comma 2, KapMuG, determina d’ufficio, con provvedimento non impugnabile<br />
e secondo prudente apprezzamento, tanto l’“attore-” quanto il<br />
( 21 ) Sul concetto cfr. BT-Drucks. 15/5091, pp. 1, 15, 18 e 20 ss.; nonché BT-Drucks. 15/5695,<br />
p. 2.<br />
( 22 ) Cfr. il sito www.ebundesanzeiger.de.<br />
( 23 ) Cfr. il Klageregister secondo il KapMuG (c.d. KlagRegV) del 26 ottobre 2005, in BGBl.<br />
I, p. 3092.<br />
( 24 ) Si discute se sia sufficiente che pervengano congiuntamente dieci istanze di certificazione<br />
della causa-pilota o debbano viceversa ricorrere dieci procedure separate, all’interno<br />
delle quali siano proposte le relative istanze; nel primo senso si è espresso il BGH, in ZIP,<br />
2008, p. 1197 ss.; nel secondo invece l’OLG München, in ZIP, 2007, p. 649 ss.
DIBATTITI 37<br />
“convenuto-tipo” ( 25 ). Nel prescegliere l’“attore-tipo” ( 26 ) il giudice, ai sensi<br />
del § 8, comma 2, seconda proposizione, nn. 1-2, KapMuG, deve prendere in<br />
considerazione l’ammontare della sua pretesa e l’eventuale consenso di più<br />
attori sulla sua rappresentatività. Individuate le parti l’Oberlandesgericht, ai<br />
sensi del § 6 KapMuG, rende pubblicamente nota nel registro elettronico<br />
l’instaurazione del procedimento, con l’indicazione delle parti, della materia<br />
del contendere e dell’ulteriore contenuto dell’ordinanza-quadro.<br />
Questa divulgazione pubblica è significativa, perché con essa, ai sensi<br />
del § 7, comma 1, prima proposizione, KapMuG, tutte le procedure parallele<br />
già pendenti e quelle che verranno successivamente a pendere fino alla data<br />
della decisione presso il rispettivo giudice a quo sono automaticamente<br />
sospese. Ai sensi del § 7, comma 1, seconda proposizione, KapMuG, la sospensione<br />
di diritto delle procedure parallele si attua per ragioni di pura<br />
economìa processuale, ed indipendentemente dalla circostanza che nella<br />
singola procedura sia stata proposta un’istanza di certificazione. L’incardinamento<br />
del procedimento-pilota, che importa l’accorpamento forzoso di<br />
tutte le procedure parallele pendenti, guadagna così una sorta di “forza assorbente”.<br />
L’inclusione nella procedura anche di quegli attori che non sono<br />
divenuti “attori-modello” avviene attraverso una chiamata in causa ( 27 ). Per<br />
velocizzare la procedura il provvedimento sospensivo di ciascun giudice a<br />
quo, provvedimento che interviene dopo la pubblicità della procedura aggregata,<br />
reca anche il necessario ordine di chiamata, ai sensi del § 8, comma<br />
3, seconda proposizione, KapMuG.<br />
Il procedimento-pilota dinanzi all’Oberlandesgericht è condotto dalle<br />
“parti-tipo”, ed ai sensi del § 9, comma 1, prima proposizione, KapMuG soggiace<br />
alle norme della ZPO vigenti per la prima istanza di giudizio davanti al<br />
Landgericht ( 28 ). In forza del § 12 KapMuG ai chiamati è assegnata nella procedura<br />
una posizione subordinata: essa corrisponde a quella di un mero interveniente<br />
dipendente, ai sensi dei §§ 67 e 68 ZPO ( 29 ). Caratteristico dello<br />
status del chiamato ex KapMuG è che egli può supportare la parte-modello<br />
( 25 ) I convenuti-pilota possono essere anche molti; ma fra questi non ricade l’intermediario<br />
finanziario, perché il suo inadempimento concernerebbe il contratto individuale d’investimento<br />
(e segnatamente gli obblighi contrattuali di consulenza), e non risiederebbe certo<br />
nella (falsa) informazione pubblica sul mercato dei capitali: cfr. BGH, 30 gennaio 2007 (Az. X<br />
AZR 381/06); e nello stesso senso anche Stöber, in NJW, 2006, p. 3724; OLG Koblenz, in<br />
NJW, 2006, p. 3723; OLG Nürnberg, in BB, 2006, p. 2212.<br />
( 26 ) Il convenuto-pilota è necessariamente la controparte nel giudizio a quo dell’attore-pilota.<br />
( 27 ) La chiamata impedisce il “filtro” degli attori paralleli.<br />
( 28 ) L’applicabilità della ZPO discende già dall’art. 3, comma 1, EGZPO.
38 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
adducendo autonomi strumenti d’azione e di difesa, e assumendo ulteriori<br />
iniziative processuali nella conduzione del processo, ma non può porsi in<br />
contrapposizione alle allegazioni della rispettiva parte-modello.<br />
L’Oberlandesgericht decide in via definitiva con ordinanza, la c.d. “decisione-modello”.<br />
Contro di essa spetta alle parti-tipo (attore e convenuto) ed<br />
ai chiamati il mezzo d’impugnazione della Rechtsbeschwerde presso il BGH,<br />
a norma del § 15, comma 1, prima proposizione, KapMuG (ove il giudizio sul<br />
fatto mantiene fondamentale importanza nel senso recepito dal § 574, comma<br />
2, n. 1, ZPO, in relazione al § 15, comma 1, seconda proposizione, Kap-<br />
MuG).<br />
Dopo la pronuncia della decisione-modello ad opera dell’Oberlandesgericht<br />
inizia per i giudizi a quibus dinanzi ai Landgerichte, fino ad allora sospesi,<br />
la c.d. Nachverfahrensphase (o fase “post-procedimentale”) ( 30 ). La<br />
particolarità è data dal fatto che la decisione-modello vincola ciascun giudizio<br />
a quo, ai sensi del § 16, comma 1, proposizioni prima e terza, KapMuG.<br />
Qualora i chiamati intendano sottrarsi a questo vincolo, essi dovranno, ai<br />
sensi del § 16, comma 2, KapMuG, sollevare contro la decisione aggregata<br />
l’eccezione di negligente conduzione della lite ad opera della parte-tipo ( 31 ).<br />
Ciò può argomentarsi soprattutto in tre casi: in primo luogo, se il chiamato,<br />
all’atto del suo ingresso nella procedura-pilota, non sarebbe stato più in grado<br />
di proporre in proprio mezzi d’azione o d’eccezione; in secondo luogo,<br />
se a causa della condotta tenuta dalle parti-modello gli era stato impedito di<br />
apportare alla procedura mezzi d’azione o d’eccezione; ed in terzo luogo, se<br />
la parte-modello non abbia addotto per dolo o colpa grave mezzi d’azione o<br />
d’eccezione ignoti al chiamato.<br />
Chiariti i quesiti bisognosi di risposta individuale all’interno di ciascun<br />
procedimento, come ad esempio l’ammontare del danno patito in concreto<br />
da ciascun attore, il giudice a quo decide ogni singolo punto controverso<br />
mediante sentenza definitiva.<br />
Circa le spese occorse durante il procedimento-modello, ed in particolare<br />
quelle che attengono all’istruzione probatoria, la decisione è presa, ai<br />
sensi del § 14, comma 2, KapMuG, solo nell’apposito capo di ciascuna sen-<br />
( 29 ) Cfr. BT-Drucks. 15/5091, p. 28; Möllers, Weichert, in NJW, 2005, pp. 2737-2740; e<br />
Maier - Reimer, Wilsing, in ZGR, 2006, p. 79 ss., ed in particolare p. 109.<br />
( 30 ) La denominazione di questa fase del procedimento come “Nachverfahren” è molto<br />
diffusa nell’ambito della procedura-modello del processo amministrativo ex § 93a VwGO (cfr.<br />
in tema, Eyermann, Geiger, VwGO, sub § 93a, 2006, par. 13).<br />
( 31 ) Quest’eccezione è mutuata dalla posizione all’interveniente dipendente, come previsto<br />
dal § 68 ZPO (cfr. BT-Drucks. 15/5091, p. 31).
DIBATTITI 39<br />
tenza definitiva; dette spese sono quantificate come le spese del primo grado<br />
di ogni giudizio a quo, e sono ripartite fra tutti gli attori e tutti i convenuti.<br />
Il rischio processuale individuale della condanna alle spese è reso solidale<br />
dal KapMuG in questo modo: se l’attore è soccombente, egli sopporta i<br />
costi processuali solo nel rapporto fra l’ammontare della pretesa da lui esercitata<br />
e la somma delle pretese fatte valere da tutti gli attori individuali, secondo<br />
i §§ 17 e 14, comma 2, KapMuG. Le sentenze definitive pronunciate<br />
nelle procedure individuali sono impugnabili col mezzo dell’appello ai sensi<br />
del § 511, comma 1, ZPO.<br />
4. – L’azione delle associazioni: i rimedi inibitori previsti dall’Unterlassungsklagengesetz<br />
(o UKlaG)<br />
Al momento il diritto tedesco conosce una sola opportunità ad ampio<br />
spettro per riunificare processualmente pretese singole: l’azione delle associazioni<br />
(Verbandsklage). Nondimeno, a differenza dell’azione di gruppo (o<br />
collettiva) e dell’azione-modello prevista dal KapMuG, nell’azione associativa<br />
l’attore e titolare della pretesa azionata non è un “collettivo” di più attori<br />
individuali, ma l’associazione stessa, che secondo la visione tedesca fa valere<br />
una pretesa propria, ed assume la qualità di parte processuale non solo<br />
per altri, ma anche per sé ( 32 ). Del pari accade che le decisioni pronunciate<br />
su impulso dell’associazione nel corso della procedura allargata abbiano effetti<br />
positivi riflessi sulle omologhe azioni individuali dei consumatori.<br />
In Germania le azioni associazionistiche hanno portata non solo inibitoria<br />
e revocatoria, ma anche, se del caso, restitutoria del profitto illecito. Al<br />
contrario col mezzo dell’azione associativa non possono essere fatte valere<br />
pretese risarcitorie, poiché manca al riguardo qualsiasi basamento normativo<br />
( 33 ). V’è sotteso il problema che l’associazione raramente è danneggiata<br />
in proprio, né le è riconosciuta la legittimazione a domandare in giudizio un<br />
risarcimento dei danni (in sostituzione di altri), a meno che eventuali danneggiati<br />
non le cedano espressamente i rispettivi crediti risarcitori ai sensi<br />
del § 79 ZPO, ciò che accade raramente.<br />
L’esperimento dell’azione associativa è ammesso dall’Unterlassungsklagengesetz<br />
(abbr. UKlaG) ( 34 ) per diverse materie concernenti la tutela del<br />
consumatore. Oggetto tipico dell’azione è secondo il § 1 UklaG l’osservanza<br />
delle regole in materia di controllo contenutistico sulle condizioni gene-<br />
( 32 ) Così Stadler, in Brönneke (cur.), Kollektiver Rechtsschutz, cit., p. 8.<br />
( 33 ) Halfmeier, in Brönneke (cur.), Kollektiver Rechtsschutz, cit., pp. 137-139.<br />
( 34 ) Cfr. BGBl. I 2002, p. 3422.
40 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
rali di contratto. Le linee-guida per le clausole unilateralmente predisposte<br />
si trovano nei §§ 307-309 BGB: qualora le condizioni del predisponente violino<br />
queste direttive, l’associazione può domandare la cessazione dell’impiego<br />
di tali condizioni e la loro revoca. Legittimate ai sensi della direttiva<br />
98/27/CE sono le “istituzioni qualificate”, per le quali più puntuali requisiti<br />
si trovano nel § 4 UklaG. Vi si annoverano in particolare le associazioni dei<br />
consumatori registrate.<br />
Nondimeno, al di là della materia delle condizioni generali, il legislatore<br />
ha esteso l’ambito dell’azione fino a ricomprendervi, ai sensi del § 2 UklaG,<br />
qualsiasi legge di tutela del consumatore, se e nella misura in cui l’associazione<br />
intenda agire contro un’<strong>impresa</strong> che, pur senza utilizzare condizioni<br />
contrattuali illegittime, violi norme esplicitamente deputate alla protezione<br />
del consumatore ( 35 ). Questa previsione, al pari del § 1 UklaG, soddisfa<br />
dunque in misura rafforzata l’attuazione in forma collettiva dei diritti<br />
e degli interessi del consumatore ( 36 ).<br />
Per le azioni associative di cui ai §§ 1 e 2 UklaG, dirette all’inibitoria (od<br />
alla revoca) di condizioni generali vietate, perché confliggenti con i §§ 307-<br />
309 BGB, o di pratiche comunque contrarie alla tutela dei consumatori, è<br />
competente ai sensi del § 6, comma 1, UklaG esclusivamente il Landgericht<br />
nel cui circondario ha sede il convenuto. Per la procedura sono applicabili le<br />
regole generali della ZPO (§ 5 UklaG). Ne deriva che valgono in particolare<br />
il principio dispositivo e quello della trattazione in udienza. Se il giudice, all’esito<br />
del processo associativo, accerta l’invalidità delle clausole fisse, l’imprenditore<br />
deve astenersi dalla pratica anti-consumeristica oggetto del giudizio,<br />
e le clausole devono essere revocate.<br />
Una pretesa inibitoria sussiste anche in merito alle pratiche anti-consumeristiche<br />
disciplinate dal § 2 UklaG. Nondimeno quando si tratti dell’azione<br />
associativa di cui al § 1 UklaG (in materia di condizioni generali di contratto)<br />
sussiste la particolarità aggiuntiva che la sentenza inibitoria acquisisce<br />
un’efficacia allargata: grazie al § 11, prima proposizione, UklaG, ciascun<br />
attore in un processo successivo o parallelo, di pari oggetto, può invocare<br />
l’invalidità delle clausole quale già accertata nel processo collettivo. Inoltre<br />
la sentenza d’accoglimento resa all’esito dell’azione associativa (dell’una e<br />
dell’altra variante, vale a dire di cui al § 1 ovvero al § 2 UklaG) ( 37 ), ai sensi del<br />
§ 7 UklaG può essere pubblicata, su ordine del giudice e domanda dell’atto-<br />
( 35 ) Così Micklitz, in Brönneke (cur.), Kollektiver Rechtsschutz, cit., pp. 87 e 106.<br />
( 36 ) Cfr. Palandt, Bassenge, sub § 2 UklaG, 2007, par. 1.<br />
( 37 ) Cfr. Palandt, Bassenge, sub § 7 UklaG, 2007, par. 1.
DIBATTITI 41<br />
re, nel Bundesanzeiger (eventualmente per il solo dispositivo, ma con indicazione<br />
del convenuto).<br />
Ai sensi del § 48, comma 1, seconda proposizione, Gerichtskostengesetz<br />
(GKG), il valore di causa per l’azione associativa è fissato nei suoi limiti<br />
massimi in euro 250.000. Poiché però i reali valori di causa sono di fatto più<br />
bassi, almeno di regola ( 38 ), questo “calmiere” delle spese di giustizia è generalmente<br />
ineffettivo, perché troppo alto. Vero è che in linea di principio il<br />
giudice può accertare un valore di causa più basso, per contenere il rischio<br />
delle spese processuali a carico della parte economicamente debole (come<br />
emerge dai §§ 5 e 12, comma 4, UWG); vero è anche però che di questa possibilità<br />
viene fatto un uso sporadico nei confronti delle associazioni, sicché<br />
di fatto le azioni associative sono raramente esperite, proprio a causa dei rischi<br />
legati alle spese giudiziarie e delle cattive condizioni finanziarie in cui<br />
versano, di regola, le associazioni dei consumatori ( 39 ).<br />
5. – Segue: l’azione associativa contro le pratiche anticoncorrenziali secondo<br />
il Gesetz gegen den unlauteren Wettbewerb (abbr. UWG)<br />
Accanto all’esperimento delle azioni previste nell’UklaG, anche il vigente<br />
Gesetz gegen den unlauteren Wettbewerb (abbr. UWG) mette a disposizione<br />
un rimedio di carattere collettivo e associazionistico. Così il § 8, comma<br />
1, UWG assicura una pretesa alla rimozione ed all’inibizione di quello<br />
che i §§ 1 ss. UWG qualificano “comportamento anticoncorrenziale” dell’imprenditore.<br />
Una siffatta azione associativa secondo l’UWG può essere<br />
esperita, ai sensi del § 8, comma 3, nn. 2 e 4, UWG, dalle associazioni provviste<br />
di capacità giuridica e finalizzate alla salvaguardia d’interessi professionali<br />
e di categoria, dalle camere di commercio e dell’industria, ed inoltre,<br />
ai sensi del § 8, comma 3, n. 3, UWG dalle “istituzioni qualificate” legittimate<br />
ai sensi del § 4 UklaG, vale a dire dalle associazioni dei consumatori. Accanto<br />
a questa forma d’azione collettiva l’UWG non prevede alcuna possibilità<br />
per i consumatori di agire individualmente; nell’ambito della concorrenza<br />
sleale i consumatori necessitano dunque dell’interposizione giudiziale<br />
delle associazioni, chiamate a tutelarne gli interessi. Nondimeno l’UWG<br />
non ha riconosciuto alle associazioni soltanto una pretesa ablatoria ed inibitoria:<br />
ai sensi del § 10 UWG il legislatore ha assegnato loro anche una pretesa<br />
alla restituzione del profitto illecito.<br />
( 38 ) In tal senso Gilles, in ZZP, 1985, p. 1 ss., ed in particolare p. 21 ss.; Einhaus, Kollektiver<br />
Rechtsschutz im englischen und deutschen Zivilprozess, 2008, p. 441.<br />
( 39 ) Così Einhaus, Kollektiver Rechtsschutz, cit., p. 441.
42 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Sennonché tutte queste pretese non sono fatte valere pressoché mai<br />
nella pratica. Il motivo è da ricercarsi, da un lato, nella circostanza per cui<br />
l’intrapresa di azioni associative previste dall’UWG è ostacolata dagli stessi<br />
problemi economici, concernenti il finanziamento dell’azione, che si pongono<br />
in materia di azione per le condizioni generali (le associazioni sono<br />
sotto-finanziate e non possono correre i rischi delle spese processuali); dall’altro<br />
lato occorre rilevare che nella pretesa alla restituzione del profitto illecito<br />
è ardua la quantificazione del lucro illegittimo, l’azione colpisce i soli<br />
comportamenti intenzionali del danneggiante, e non mancano cospicui<br />
problemi di prova dell’illecito. La disciplina dell’azione associativa prevista<br />
dall’UWG non è dunque sufficientemente effettiva per le esigenze di protezione<br />
dei consumatori ( 40 ).<br />
6. – Bilancio<br />
In Germania non ricorre al momento alcun fondamento legislativo per<br />
azioni di gruppo o collettive. Forme di accorpamento processuale delle cause<br />
individuali esistono tradizionalmente nel settore delle azioni associative<br />
dirette al controllo sull’uso delle condizioni generali ed alla lotta contro i<br />
comportamenti anticoncorrenziali delle imprese. Nel 2005 ha fatto però la<br />
sua comparsa la possibilità d’esperire un’azione-modello, che secondo lo<br />
schema dell’opting-in prevede l’efficacia allargata della decisione-pilota in<br />
capo a tutti i soggetti partecipanti all’azione. Tuttavia questa possibilità al<br />
momento è ristretta alle sole liti concernenti il mercato dei capitali. Un allargamento<br />
dell’azione disciplinata dal KapMuG ad altre branche dell’ordinamento<br />
non è prevedibile, perché contro le tendenze alla “collettivizzazione”<br />
del processo civile, al di là delle poco effettive azioni associazionistiche,<br />
sussistono perplessità troppo grandi, riepilogate all’inizio del presente<br />
contributo. La tutela del consumatore, che si dispiega largamente sul terreno<br />
del diritto sostanziale, “zoppica” invece vistosamente su quello dell’attuazione<br />
giudiziaria. Poiché il legislatore tedesco non è intenzionato a<br />
“muoversi”, l’introduzione di un’azione di gruppo consumeristica ad opera<br />
dell’Unione Europea sarebbe da salutarsi con favore ( 41 ).<br />
Marina Tamm<br />
( 40 ) Cfr. ancora Einhaus, Kollektiver Rechtsschutz, cit., p. 454.<br />
( 41 ) Nella stessa direzione Stadler, in Brönneke (cur.), Kollektiver Rechtsschutz, cit., in<br />
particolare p. 31.
Class actions: l’esperienza spagnola (*)<br />
1. – La legittimazione attiva e passiva nelle azioni collettive: la necessaria distinzione<br />
tra “interesse collettivo” e “interesse diffuso”<br />
1. – La Legge di Istruzione del Processo Civile (di seguito LECiv) prevede,<br />
per l’esercizio dell’azione collettiva, una forma di legittimazione straordinaria<br />
attribuita ai soggetti sulla base degli interessi tutelati (da una parte, i<br />
cosiddetti “interessi collettivi”; dall’altra, quelli definiti “interessi diffusi”).<br />
Non avendo tuttavia il legislatore fornito con la citata legge una definizione<br />
di tali interessi, è comunemente accolta l’opinione secondo cui si è in presenza<br />
di una posizione di interesse collettivo quando i soggetti lesi risultano<br />
determinati ovvero sono facilmente determinabili. Mentre saremo di fronte<br />
ad un interesse diffuso quando i soggetti lesi non siano determinati nè risultino<br />
facilmente determinabili.<br />
In questo senso, la legge prevede che quando i soggetti lesi appartengano<br />
ad una classe di consumatori o di utenti prefettamente determinati o di<br />
agevole determinazione, la legittimazione ad agire a tutela degli interessi<br />
definiti dalla norma come “collettivi” spetti alle associazioni di consumatori<br />
o utenti, ovvero alle “entidades legalmente constituidas que tengan por<br />
objeto la defensa o protección de éstos” ed ai gruppi di danneggati (art. 11.2<br />
LECiv). Di contro, la legittimazione per l’esercizio dell’azione collettiva,<br />
sul presupposto per cui i soggetti lesi dall’evento dannoso rappresentino<br />
una pluralità di consumatori o di utenti indeterminati o di non facile determinazione,<br />
spetta esclusivamente alle associazioni di consumatori o utenti<br />
che, conformemente alle disposizioni di legge, saranno ritenute rappresentative<br />
(art. 11.3 LECiv).<br />
Con riguardo, in particolare, agli “interessi collettivi”, il riferimento fatto<br />
dalla norma agli “organismi legalmente costituiti che abbiano ad oggetto la<br />
difesa ovvero la protezione di questi interessi ” comporta l’estensione della legittimazione<br />
ad altri enti o organizzazioni che, pur non avendo per loro natura<br />
ovvero quale oggetto esclusivo la difesa dei consumatori e degli utenti,<br />
possano essere utili a questo fine.<br />
Così, per esempio, possono ritenersi ricomprese in questa definizione<br />
le associazioni di vicini di casa o di genitori, ovvero gli ordini professionali,<br />
ovvero ancora le cooperative di consumatori ed utenti secondo quanto previsto<br />
dall’art. 24.1 del Real Decreto Legislativo n. 1, del 16 novembre 2007,<br />
(*) Traduzione dall’originale spagnolo a cura di Ilaria Zorino.
44 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
con il quale è stato approvato il testo riformato della Ley General para la Defensa<br />
de los Consumidores y Usuarios y otras leyes complementarias (di seguito,<br />
LGDCU).<br />
In tale testo normativo, vengono specificati i requisiti e le condizioni per<br />
l’esercizio delle azioni collettive, stabilendo che le associazioni e le cooperative<br />
che non siano in possesso dei requisiti stabiliti dalla citata legge ovvero<br />
dalla normativa delle Comunità Autonome applicabile al singolo caso,<br />
potranno unicamente rappresentare gli interessi dei propri iscritti o dell’associazione<br />
stessa, mentre non potranno agire a tutela dell’interesse generale,<br />
collettivo o diffuso, dei consumatori.<br />
Di contro, ai sensi dell’art. 11.3 della LECiv (relativo agli interessi diffusi),<br />
devono considerarsi rappresentative quelle associazioni di consumatori<br />
o di utenti che formano parte del Consejo de Consumidores y Usuarios, salvo<br />
che l’ambito territoriale del conflitto sia relativo ad una singola Comunità<br />
Autonoma, nel qual caso esso verrà assoggettato alla legislazione speciale<br />
di quest’ultima (art. 24.2 LGDCU).<br />
La legittimazione per l’esercizio dell’azione inibitoria a tutela tanto degli<br />
interessi collettivi quanto degli interessi diffusi di consumatori e di utenti<br />
(volta ad ottenere una sentenza che condanni la parte convenuta a rimuovere<br />
dalle proprie condizioni generali di contratto quelle che vengano ritenute<br />
nulle e ad astenersi da utilizzare le stesse in futuro, determinando ovvero<br />
chiarendo contestualmente, se necessario, il contenuto del contratto<br />
da considerarsi valido ed efficace), è attribuita sia al Ministerio Fiscal sia agli<br />
organismi abilitati a questo fine dalla normativa comunitaria europea (art.<br />
11.4 LECiv). Questi principi, contemplati dalla LECiv con finalità sistematiche,<br />
trovano pari riscontro all’interno della legislazione speciale. Così, la<br />
possibilità di esercitare l’azione inibitoria da parte del Ministero era già prevista<br />
dall’art. 16.6 della Legge n. 7, del 13 aprile 1998, recante Condiciones<br />
Generales de la Contratación (di seguito LCGC) e nell’art. 54.1.c) della<br />
LGDCU. Di fatto, l’art. 16.2, 4 e 5 della LCGC amplia la legittimazione all’esercizio<br />
delle azioni collettive alle Cámaras de Comercio, Industria y Navegación;<br />
al Instituto Nacional del Consumo e agli organismi ed enti corrispondenti<br />
delle Comunità Autonome e delle Corporazioni Locali competenti<br />
in materia di tutela dei consumatori, nonchè agli ordini professionali<br />
legalmente costituiti. Il riferimento agli organismi legalmente abilitati dalla<br />
normativa comunitaria, oltre a comparire nelle leggi citate, può altresì ritenersi<br />
incluso nell’espressione “entidades legalmente constituidas que tengan<br />
por objeto la defensa o protección de consumidores y usuarios”.<br />
Il legislatore ha dunque cercato di contemplare nella normativa processuale<br />
tutti i presupposti previsti dalla Direttiva 1998/27/CE senza tenere
DIBATTITI 45<br />
presente che la legittimazione per l’esercizio delle azioni collettive tende ad<br />
essere regolata dalle leggi speciali. Prova ne sia, per esempio, l’attribuzione<br />
della legittimazione all’esercizio dell’azione collettiva in materia di tutela<br />
dell’ambiente contenuta nella Legge n. 27 del 18 luglio 2006 con la quale sono<br />
stati disciplinati i diritti di accesso alle informazioni, di partecipazione<br />
pubblica e di accesso alla giustizia in materia ambientale, che ha recepito<br />
nell’ordinamento spagnolo le Direttive 2003/4/CE e 2003/35/CE. Nella citata<br />
legge è previsto che le azioni e, in alcuni casi, le omissioni imputabili alle<br />
autorità pubbliche che ledono le norme in materia ambientale possono<br />
essere sanzionate attraverso il ricorso all’acción popular, la cui legittimazione<br />
è attribuita a qualunque persona giuridica senza scopo di lucro in possesso<br />
dei seguenti requisiti: a) che abbia fra gli scopi accreditati nello statuto<br />
la protezione dell’ambiente in generale o di alcuno dei suoi elementi in<br />
particolare; b) che sia legalmente costituita da almeno due anni prima dell’esercizio<br />
dell’azione e che eserciti continuativamente le attività elencate<br />
per il raggiungimento dello scopo statutario; infine, c) che per proprio statuto,<br />
eserciti l’attività nell’ambito territoriale colpito dalla condotta dell’amministrazione<br />
pubblica ovvero, se del caso, dall’omissione amministrativa<br />
(artt. 22 e 23 Legge 27/2006).<br />
Sotto il profilo contenzioso-amministrativo, oltre all’acción popular prevista<br />
a tutela dell’ambiente, è altresì prevista la possibilità di esercizio delle<br />
azioni collettive nell’art. 19.1.b) della Legge n. 29, del 13 luglio 1998, disciplinante<br />
la Jurisdicción Contencioso-Administrativa (LJCA). In tale normativa<br />
si prevede la possibilità di esercizio delle azioni di classe da parte delle<br />
corporazioni, associazioni, sindacati, gruppi ed organismi capaci di essere<br />
titolari di diritti e di obbligazioni nei limiti derivanti dalle strutture formali<br />
della persona giuridica, che risultino danneggiate o siano comunque legalmente<br />
abilitate a difendere i diritti e gli interessi legittimi collettivi.<br />
Altro presupposto per l’esercizio delle azioni collettive si trova nella difesa<br />
della parità di trattamento tra donne e uomini come conseguenza dell’approvazione<br />
della Legge Orgánica n. 3, del 22 marzo 2007, per l’uguaglianza<br />
effettiva di uomini e donne (art. 12.2). In questi casi, si prevde che<br />
per la difesa del diritto di parità di trattamento tra uomo e donna, oltre ai<br />
danneggiati e sempre con la loro autorizzazione, siano legittimati i sindacati<br />
e le associazioni legalmente costituite, il cui fine primario sia la difesa della<br />
parità di trattamento tra uomini e donne, con riguardo ai propri iscritti ed<br />
associati. Parimenti, quando danneggiata sia una pluralità di persone indeterminata<br />
ovvero di difficile determinazione, la legittimazione ad agire in<br />
giudizio per la difesa di questi interessi diffusi spetterà agli organismi pubblici<br />
competenti in materia, ai sindacati maggiormente rappresentativi ed
46 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
alle associazioni di matrice statale, il cui fine primario sia l’uguaglianza fra<br />
uomini e donne, senza pregiudizio della legittimazione processuale dei singoli<br />
danneggati, qualora determinati. È soltanto esclusa la possibilità di<br />
esercizio dell’azione collettiva in questa materia nelle ipotesi di molestie<br />
sessuali e di disciminazioni legate al sesso. In questi casi, la legittimazione<br />
è unicamente ordinaria, spettando dunque alla sola persona danneggiata<br />
(artt. 11 bis 3 LECiv e 19.1.i) LJCA).<br />
La stessa LGDCU, oltre alla già menzionata legittimazione straordinaria<br />
per l’esercizio delle azioni collettive contenuta nell’art. 54.1, al punto 3<br />
del medesimo articolo amplia la legittimazione collettiva in relazione alle<br />
inibitorie. È previsto infatti che la legittimazione per l’esercizio delle azioni<br />
inibitorie a fronte della condotta degli imprenditori, contraria alla normativa<br />
consumeristica, che leda interessi collettivi o interessi diffusi dei consumatori<br />
e degli utenti, oltre a fondarsi sul disposto dell’art. 11.2 e 3 della LE-<br />
Civ, spetti anche all’Instituto Nacional del Consumo nonchè agli organismi o<br />
agli enti corrispondenti delle Comunità Autonome e delle corporazioni locali<br />
competenti in materia di tutela dei consumatori, così come al Ministerio<br />
Fiscal. Nell’art. 19 della Legge n. 51 del 2 dicembre 2003 su pari opportunità,<br />
non discriminazione e superamento delle barriere per le persone con disabilità<br />
si prevede inoltre la possibilità di esercitare azioni collettive, senza<br />
pregiudizio della legittimazione individuale delle persone danneggiate dagli<br />
atti di discriminazione da parte delle persone giuridiche legalmente abilitate<br />
alla tutela dei diritti e interessi legittimi collettivi, le quali potranno<br />
agire in nome e per conto delle persone che le autorizzino con la finalità di<br />
rendere effettivo il diritto di parità di trattamento, difendendo dunque i diritti<br />
individuali e facendo ricadere su dette persone gli effetti dell’azione. In<br />
questo stesso senso si colloca altresì l’art. 31 della Legge n. 62 del 30 dicembre<br />
2003 contenente misure fiscali, amministrative e di ordine pubblico, che<br />
prevede che le persone giuridiche che siano legalmente abilitate per la tutela<br />
dei diritti ed interessi legittimi collettivi possanno agire nel processo in<br />
nome del richiedente che le autorizzi a perseguire la finalità di rendere effettivo<br />
il principio di parità di trattamento delle persone indipendentemente<br />
dalle loro origini etniche ovvero razziali. Con riferimento agli atti di concorrenza<br />
sleale, l’art. 33.3 della Legge n. 3 del 10 gennaio 1991 de Competencia<br />
Desleal (LCD) prevede che dispongano della legittimazione attiva per<br />
l’esercizio dell’azione declaratoria della concorrenza sleale; della azione<br />
inibitoria della condotta sleale o di impedimento della sua reiterazione futura;<br />
della azione proibitiva (de prohibición), se la condotta non è ancora stata<br />
posta in essere; dell’azione di rimozione degli effetti pregiudizievoli della<br />
concorrenza sleale e dell’azione di rettifica delle informazioni inganne-
DIBATTITI 47<br />
voli, scorrette o false, a tutela degli interessi generali, collettivi o diffusi, dei<br />
consumatori o utenti: l’Instituto Nacional del Consumo e gli organi o gli enti<br />
corrispondenti delle Comunità Autonome e delle corporazioni locali<br />
competenti in materia di difesa dei consumatori e utenti; le associazioni di<br />
consumatori e utenti che possiedano i requisiti stabiliti dalla LGDCU ovvero,<br />
se del caso, dalla legislazione delle Comunità Autonome; gli enti di altri<br />
Stati Membri della Comunità Europea costituiti per la protezione degli<br />
interessi collettivi e degli interessi diffusi dei consumatori e utenti in<br />
conformità con la legislazione europea. La LCD prevede anche la possibilità<br />
che il Ministerio Fiscal eserciti l’azione inibitoria in difesa di interessi generali,<br />
collettivi o diffusi, dei consumatori e utenti nelle ipotesi di concorrenza<br />
sleale (art. 33.4 LCD). Nessun ulteriore ampliamento si attua quanto<br />
all’attribuzione della legittimazione per l’esercizio delle azioni collettive<br />
con riferimento alla pubblicità ingannevole. La Legge n. 34 dell’11 novembre<br />
1988 di General de Publicidad (LGP), si richiama con carattere generale<br />
per l’esercizio delle azioni alla disciplina prevista dall’art. 333 della LCD<br />
(art. 6.1), pur chiarendo all’art. 6.2 che, a fronte della pubblicità ingannevole<br />
per l’utilizzo in maniera discriminatoria o vessatoria dell’immagine della<br />
donna, legittima per l’esercizio delle azioni previste dall’art. 32.1, commi da<br />
1 a 4 della LCD, a difesa degli interessi diffusi la Delegación del Gobierno para<br />
la Violencia de Género; l’Instituto de la Mujer o il suo equivalente nell’ambito<br />
delle Comunità Autonome; le associazioni legalmente costituite che<br />
abbiano quale unico obiettivo la difesa degli interessi della donna e non includano<br />
come associati le persone giuridiche con scopo di lucro; infine, il<br />
Ministerio Fiscal.<br />
Altri presupposti dell’ampliamento della legittimazione per l’esercizio<br />
delle azioni collettive in materia di azione inibitoria si rinvengono nell’art.<br />
106.2 della Legge n. 29 del 26 luglio 2006 de garantías y uso racional de los<br />
medicamentos y productos sanitarios; nell’art 20 della Legge n. 7 del 23 marzo<br />
1995 de Crédito al consumo; nell’art. 16 bis della Legge n. 42 del 15 dicembre<br />
1998 sobre derechos de aprovechamiento por turno de bienes inmuebles<br />
de uso turístico y normas tributarias; nell’art. 31 della Legge n. 34 dell’11<br />
luglio 2002 de servicios de la sociedad de la información y de comercio electrónico;<br />
nell’art. 11.3 della Legge n. 2 del 31 marzo 2009, por la que se regula la<br />
contratación con los consumidores de préstamos o créditos hipotecarios y de<br />
servicios de intermediación para la celebración de contratos de préstamo o crédito.<br />
La legittimazione straordinaria all’esercizio delle azioni collettive riconosciuta<br />
a favore dei gruppi, delle associazioni e degli enti non costituisce<br />
impedimento alcuno all’esercizio individuale dell’azione risarcitoria da
48 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
parte del soggetto privato che ha sofferto i danni ovvero da parte di coloro<br />
che, unendosi, scelgano di formulare le rispettive richieste di indennizzo<br />
nello stesso processo. Ciò si ricava dall’art. 11.1. LECiv, il quale legittima le<br />
associazioni dei consumatori e degli utenti ad agire in giudizio a tutela dei<br />
diritti e degli interessi dei propri associati e di quelli dell’associazione, così<br />
come degli interessi generali dei consumatori ed utenti, “sin perjuicio de la<br />
legitimación individual de los perjudicados”. L’esercizio di un’azione di classe<br />
non può in nessun caso impedire o escludere l’esercizio dell’azione individuale<br />
di natura risarcitoria da parte del singolo, giacchè ciò risulterebbe in<br />
contrasto con l’art. 24.1. della Costituzione spagnola (CE), che contempla il<br />
diritto fondamentale alla tutela giuridica effettiva.<br />
Quanto alla legittimazione passiva, l’ordinamento giuridico spagnolo<br />
non contempla alcuna limitazione, nè è prevista alcuna norma speciale al riguardo.<br />
Parimenti risulta interessante segnalare la possibilità di promuovere<br />
un’azione collettiva, a livello stragiudiziale, delineata dal Real Decreto n.<br />
231, del 15 febbraio 2008, con il quale è stato disciplinato il Sistema Arbitral<br />
de Consumo, essendo per la prima volta regolate nella Sezione II del citato<br />
testo normativo, agli articoli da 56 a 58, le azioni a tutela di interessi collettivi<br />
nel sistema stragiudiziale.<br />
2. – Il contenuto specifico delle azioni collettive<br />
Quanto al contenuto specifico dell’azione collettiva, la legge prevede la<br />
possibilità di instaurare azioni sia di carattere risarcitorio, sia di carattere<br />
inibitorio. Azioni che potranno essere esercitate anche congiuntamente,<br />
qualora sussistano i requisiti previsti dalla legge (artt. 71 e ss. LECiv).<br />
Ciononostante, con riferimento alle sentenze rese nei procedimenti<br />
promossi da consumatori o utenti, l’art. 221 della LECiv dispone che le pronunce<br />
conseguenti a domande formulate da associazioni di consumatori o<br />
utenti nell’esercizio di azioni collettive siano soggette a concrete regole circa<br />
il loro contenuto. Pertanto, qualora sia stata richiesta una condanna pecuniaria,<br />
ovvero una condanna all’obbligo di fare, di non fare o di dare una<br />
cosa specifica o generica, la sentenza determinerà individualmente i consumatori<br />
e utenti che, conformemente alle leggi a loro tutela, devono ritenersi<br />
beneficiari della condanna. Quando la determinazione individuale non<br />
sia possibile, la sentenza stabilirà i dati, le caratteristiche ed i requisiti necessari<br />
per poter ottenere il pagamento e, in tal caso, avviare l’esecuzione o<br />
intervenire in essa, qualora instaurata dall’associazione richiedente. Qualora,<br />
come presupposto della condanna o come unico profilo della pronuncia,
DIBATTITI 49<br />
una determinata attività o condotta venga dichiarata illecita ovvero non<br />
conforme alla legge, la sentenza determinerà se, in conformità alla legislazione<br />
in materia di protezione dei consumatori e degli utenti, la dichiarazione<br />
è idonea a produrre effetti processuali anche nei confronti di chi non<br />
sia stato parte del corrispondente processo. Qualora invece abbiano partecipato<br />
all’azione consumatori o utenti determinati, la sentenza dovrà pronunciarsi<br />
espressamente sulle loro rispettive pretese.<br />
In ogni caso, nelle sentenze rese in un’azione inibitoria promossa a tutela<br />
degli interessi collettivi e degli interessi diffusi dei consumatori e utenti,<br />
il Tribunale, qualora lo reputi ragionevole, potrà disporre la pubblicazione<br />
totale o parziale della sentenza a carico del convenuto ovvero, quando<br />
gli effetti dell’infrazione sanzionata possano perdurare a lungo nel tempo,<br />
una dichiarazione rettificatrice.<br />
3. – Alcune considerazioni sul “costo económico” del processo: una lettura economica<br />
di un’azione (tendenzialmente) di contenuto economico<br />
L’ordinamento giuridico non contempla incentivi all’esercizio dell’azione<br />
collettiva di carattere generale. Tuttavia, esso contempla la possibilità<br />
per le associazioni di consumatori e utenti, senza necessità di addurre l’insufficienza<br />
di mezzi per promuovere l’azione, di esercitare il diritto all’assistenza<br />
giuridica gratuita (Disposición Adicional Segunda della Legge n. 1, del<br />
10 gennaio 1996, de Asistencia Jurídica Gratuita [LAJG]). Ciò presuppone la<br />
possibilità di ottenere assistenza giuridica e pareri gratuiti preventivamente<br />
al processo; difesa e rappresentanza gratuite attraverso avvocati e procuratori<br />
nel procedimento giudiziario; inserzione gratuita di annunci, nel corso<br />
del processo, che tassativamente debbano pubblicarsi su riviste ufficiali;<br />
esenzione dal pagamento dei contributi necessari per la proposizione di ricorsi;<br />
consulenza tecnica gratuita nel processo mediante consulenti tecnici<br />
iscritti nei registri degli organi giudiziari ovvero, in difetto, mediante funzionari,<br />
organi o servizi tecnici dipendenti dalle Pubbliche Amministrazioni;<br />
rilascio gratuito di copie, attestati, strumenti e carte notarili; riduzione<br />
dell’80% dei diritti che vadano corrisposti per l’autenticazione di scritture e<br />
per il rilascio di copie ed atti notarili non contemplati nel punto precedente,<br />
quando siano relazionati direttamente con il processo; riduzione dell’80%<br />
dei diritti necessari per il rilascio di annotazioni, certificazioni, trascrizioni<br />
presso i Registros de la Propiedad y Mercantil, quando siano in relazione diretta<br />
con il processo e siano richiesti dall’organo giudiziario (art. 6 LAJG).<br />
Questi stessi benefici spetteranno a chi, esercitando l’azione collettiva, possa<br />
dimostrare l’insufficienza di mezzi per avviare la lite, dovendosi intende-
50 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
re compreso nella categoria delle associazioni di pubblica utilità in conformità<br />
con quanto disposto dall’art. 32 de la Legge Orgánica n. 1 del 22 marzo<br />
2002 disciplinante il Derecho de Asociación (art. 2.c.1 LAJG).<br />
Nell’apartado segundo de Disposición Segunda de la LAJG si riconosce,<br />
inoltre, il diritto all’assistenza giuridica gratuita, senza che sia necessario<br />
addurre l’insufficienza di mezzi per promuovere l’azione, alle associazioni<br />
di pubblica utilità che abbiano quale fine la promozione e la difesa dei diritti<br />
delle persone con disabilità, di cui all’art. 1.2 della Legge n. 51 del 2 dicembre<br />
2003 sulle pari opportunità, la non discriminazione e il superamento<br />
delle barriere per le persone disabili.<br />
Pari riconoscimento viene riscontrato all’interno della legislazione speciale,<br />
e così per esempio nella Legge n. 27 del 18 luglio 2006 disciplinante il<br />
diritto di accesso alle informazioni, di partecipazione pubblica e di accesso<br />
alla giustizia in materia ambientale, la quale prevede che le persone giuridiche<br />
senza scopo di lucro che pretendano di esercitare l’acción popular in<br />
queste ipotesi abbiano il diritto all’assistenza giuridica gratuita nei termini<br />
previsti dalla Legge n. 1 del 10 gennaio 1996 di Asistencia Jurídica Gratuita<br />
(art. 23.2).<br />
A prescindere da quanto detto, ciò che è certo è che i costi del processo<br />
possono in concreto eccedere il contenuto materiale del diritto sancito dalla<br />
LAJG, giacchè, a titolo esemplificativo, non è incluso nel diritto all’assistenza<br />
giuridica gratuita il costo di pubblicazione degli avvisi sulla stampa<br />
periodica o su di una pagina web, qualora necessari per individuare o provare<br />
a determinare i soggetti danneggiati da una condotta imprenditoriale che<br />
vogliano aderire al procedimento collettivo. Parimenti, l’assistenza tecnica<br />
gratuita è circoscritta ai consulenti tecnici iscritti presso gli organi giudiziari,<br />
ovvero, in mancanza, ai funzionari, organismi o servizi tecnici dipendenti<br />
presso le Pubbliche Ammistrazioni.<br />
Ciononostante, il vero ostacolo che potrebbe pregiudicare l’esercizio<br />
delle azioni collettive da parte delle associazioni di consumatori e utenti, in<br />
modo particolare quando si controverta della lesione di interessi diffusi, è<br />
l’eventuale condanna alle spese di lite che vige nel processo spagnolo sulla<br />
base del principio della soccombenza. Questione che, almeno in linea teorica,<br />
può essere superata dall’attribuzione della legittimazione all’esercizio<br />
di tali azioni, effettuata dalla legge, al Ministerio Fiscal, esente dal pagamento<br />
delle spese processuali.<br />
Sotto un profilo più pratico, l’esercizio delle azioni collettive presuppone<br />
un riparto di spese processuali tra tutti i membri della classe e, conseguentemente,<br />
una riduzione individuale dei costi del processo. In ogni caso,<br />
la possibilità che l’esercizio delle azioni collettive possa essere effettua-
DIBATTITI 51<br />
to dal Ministerio Fiscal presuppone la possibilità di evitare le spese di lite.<br />
Ciò, di fatto, anche nei casi in cui l’azione promossa dal Ministero non conduca<br />
all’accoglimento della domanda.<br />
Con riguardo all’avvocato, il vantaggio è, senza dubbio, un migliore e<br />
maggior controllo del processo, nonostante – con riguardo al risultato finale<br />
– si assumano i rischi ed i benefici di una soluzione completamente favorevole<br />
ovvero sfavorevole. In ogni caso, risulta realmente conveniente la limitazione<br />
di onorari.<br />
4. – Una nuova crítica: l’assenza di una norma specifica in materia di condanna<br />
alle spese<br />
In materia di azioni collettive, la Legge non prevede disposizioni specifiche,<br />
così che deve farsi ricorso al principio generale secondo cui, salvo il<br />
disposto della Ley de Asistencia Jurídica Gratuita, ogni parte pagherà le spese<br />
ed i costi del processo determinati dalla propria istanza man mano che essi<br />
si producono (art. 241 LECiv). Inoltre, secondo la legge, spetta a chi intenda<br />
avviare un processo per la tutela degli interessi collettivi dei consumatori<br />
e degli utenti l’attuazione delle misure necessarie al fine di individuare<br />
i membri della classe di soggetti lesi quando, non essendo determinati,<br />
siano facilmente determinabili, in conformità alle circostanze del caso<br />
concreto e ai dati forniti dal proponente, inclusa la diffida al soggetto convenuto<br />
affinchè collabori in questa determinazione (art. 256.1.6 LECiv.) Rispetto<br />
al pagamento delle spese di lite vige il principio generale della soccombenza,<br />
così che i costi della prima istanza ricadranno sulla parte che<br />
avrà visto rigettare le proprie pretese, salvo che il tribunale non ritenga che<br />
il caso presentasse ampi margini di dubbio sia in fatto che in diritto. In ogni<br />
caso, se chi esercita l’azione collettiva è condannato alle spese ed era titolare<br />
del diritto all’assistenza giuridica gratuita, egli sarà unicamente tenuto a<br />
pagare le spese di difesa della controparte nei casi espressamente indicati<br />
nella Ley de Asistencia Jurídica Gratuita.<br />
5. – L’intervento processuale nelle cause pendenti da parte di chi vanta la lesione<br />
di un interesse legittimo<br />
5.1. – Il differente risutato della chiamata in funzione dell’interesse (collettivo<br />
o diffuso) leso<br />
L’ordinamento giuridico prevede un periodo di pubblicità per consentire<br />
l’intervento nella causa instaurata a tutela dei diritti ed interessi collettivi<br />
e diffusi dei consumatori e utenti. Pertanto, è previsto che vengano chiama-
52 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
ti nel processo promosso da associazioni o organismi costituti per la tutela<br />
di diritti ed interessi dei consumatori ed utenti, o per gruppi di soggetti lesi,<br />
coloro che rivestano la qualifica di “pregiudicati” per essere stati consumatori<br />
del prodotto o utenti del servizio oggetto del procedimento, affinchè essi<br />
possano far valere il loro diritto o interesse individuale. Chiamata che<br />
verrà effettuata per il tramite del cancelliere attraverso la pubblicazione del<br />
provvedimento di ammissibilità della domanda con i mezzi di comunicazione<br />
aventi diffusione nell’ambito territoriale interessato dalla lesione di<br />
quel diritto o di quell’interesse. Quando si tratti di un procedimento instaurato<br />
a tutela di interessi collettivi, il proponente ovvero i proponenti dovranno<br />
aver comunicato preventivamente l’intenzione di promuovere la domanda<br />
presso tutti gli interessati. In questo caso, a seguito della chiamata, il<br />
consumatore o l’utente potrà intervenire nel processo in qualunque momento,<br />
ma non potrà realizzare tutti quegli atti processuali per i quali si siano<br />
già maturate le preclusioni di rito (art. 15.2 LECiv). In cambio, quando si<br />
tratti di un procedimento instaurato a tutela di interessi diffusi, la chiamata<br />
sospenderà il corso del processo per un periodo che non potrà superare i due<br />
mesi. Dopodiché, il processo proseguirà con l’intervento di tutti quei consumatori<br />
che abbiano aderito alla chiamata, non ammettendosi la partecipazione<br />
dei consumatori ed utenti in un momento successivo (senza tuttavia<br />
che ciò pregiudichi la possibilità di costoro di far valere i propri diritti ed interessi<br />
privatamente attraverso l’esercizio dell’azione esecutiva fondata sulla<br />
sentenza di condanna (art. 519 con riferimento all’art. 221 LECiv).<br />
L’intervenuto sarà considerato parte del processo a tutti gli effetti e potrà<br />
tutelare le pretese formulate dal proprio litisconsorte o da sé medesimo,<br />
nel caso in cui ne abbia avuto l’opportunità processuale, e ciò anche qualora<br />
il litisconsorte rinunci, desista o abbandoni il procedimento per qualunque<br />
altra ragione. Saranno altresì consentite all’interveniente le produzioni<br />
documentali necessarie per la sua difesa, ancorché riferite ad un precedente<br />
momento processuale. Di queste produzioni, il cancelliere darà comunicazione<br />
alle altre parti entro il termine di cinque giorni.<br />
Oltre alla facoltà che l’ordinamento spagnolo riconosce ai soggetti di intervenire<br />
individualmente nei processi pendenti (artt. 13.1, 14.1 e 15.1) e di<br />
chiedere la riunione dei processi (art. 76.2), l’art. 519 della LECiv prevede la<br />
possibilità di esercitare l’azione esecutiva nei casi in cui si sia giunti a sentenza<br />
in processi promossi dall’associazione dei consumatori, questione non<br />
esente tuttavia da problemi pratici. Trattandosi di interessi collettivi non vi<br />
saranno particolari problemi a rendere effettiva la prestazione economica riconosciuta<br />
in sentenza attraverso l’azione ejecutiva, ogni qual volta l’art.<br />
221.1.1 a della LECiv disponga che qualora fosse stata richiesta una condan-
DIBATTITI 53<br />
na pecuniaria, la sentenza determini individualmente i consumatori ed<br />
utenti che, in conformità alle leggi a loro tutela, devono intendersi beneficiari<br />
della condanna. Pertanto, trattandosi di individui identificati, a costoro<br />
offrirà congruo ristoro la decisione giudiziale. Più complesso il caso di<br />
soggetti lesi non determinati ma determinabili, per cui il dettato dell’art.<br />
221.1.1 LECiv dispone che quando la determinazione individuale non sia<br />
possibile, la sentenza stabilirà i dati, le caratteristiche ed i requisiti necessari<br />
per poter esigere il pagamento ovvero, in tal caso, intraprendere l’esecuzione<br />
ovvero intervenire in essa, qualora venga instaurata dall’associazione<br />
ricorrente. Ciò significa che il Giudice dovrà stabilire le caratteristiche ed il<br />
profilo del soggetto leso, subordinando tuttavia la soddisfazione dell’interesse<br />
di quest’ultimo all’esercizio dell’azione ejecutiva (salva l’ipotesi dell’adempimento<br />
spontaneo della parte condannata); circostanza che farà sì che<br />
per ottenere somme di denaro molto esigue gli utenti non abbiano nella<br />
pratica interesse a far valere il loro diritto. In questo senso, risulta illuminante<br />
la sentenza della Audiencia Provincial de Madrid (Sezione 11 a ), del 30<br />
gennaio 2007, con la quale la società di telefonia mobile Vodafone è stata<br />
condannata a risarcire tutti i suoi clienti per un’interruzione del servizio di<br />
8 ore avvenuta in data 20 febbraio 2003.<br />
5.2. – Altri profili<br />
Come abbiamo detto, il singolo soggetto può intervenire nel processo,<br />
salvo che non sia decorso il termine stabilito per l’intervento: in tal caso, la<br />
sua posizione risulta uguale a quella del soggetto prinicipale. Il soggetto intervenuto,<br />
data la sua condizione di parte nel processo a tutti gli effetti, può<br />
dunque difendere le pretese fatte valere dal suo litisconsorte o le sue proprie,<br />
sempre che al momento dell’intervento non gli fossero precluse tali facoltà<br />
processuali, e ciò anche quando il suo litisconsorte rinuncia, desista o<br />
abbandoni il processo per qualunque ragione (art. 13 LECiv).<br />
Inoltre, essendo parte del processo, il soggetto intervenuto, i suoi eredi<br />
e aventi causa, subiranno al pari del proponente gli effetti della cosa giudicata.<br />
Di fatto, gli effetti della cosa giudicata ricadranno altresì su quei soggetti<br />
che, benchè non parti in causa, siano titolari di diritti uguali a quelli sui<br />
quali si fonda la legittimazione delle parti, conformememte a quanto previsto<br />
dall’11 della Ley de Enjuiciamiento Civil (art. 222.3 LECiv).<br />
Infine, il soggetto individuale interveniente, vantando a tutti gli effetti la<br />
posizione di parte del processo, potrà promuovere le impugnazioni contro<br />
le decisioni che ritenga pregiudizievoli del proprio interesse, anche se accettate<br />
dal suo litisconsorte (art. 13.3 in fine LECiv).
54 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
6. – L’intervento degli avvocati e la determinazione degli onorari professionali<br />
L’importo degli onorari non è soggetto in Spagna a controllo, cosicchè la<br />
sua determinazione è rimessa alla libera volontà delle parti contraenti (avvocato-cliente).<br />
Se non vi è un mandato di conferimento dell’incarico, esiste<br />
un procedimento di impugnazione degli onorari (art. 35 LECiv), attuabile<br />
quando essi risultino eccessivi alla luce di un parere precettivo rilasciato<br />
dall’Ordine professionale.<br />
Ciononostante, la determinazione degli stessi è soggetta a regole specifiche<br />
quando una delle parti è condannata alle spese ed è tenuta a corrispondere<br />
i diritti e gli onorari all’avvocato ed al procuratore della controparte<br />
(art. 394.3 LECiv), e ciò parimenti avviene quando il soggetto gode del<br />
beneficio del gratuito patrocinio, per cui gli onorari ed i diritti vengono posti<br />
a carico dello Stato e con regole specifiche nel caso di condanna alle spese<br />
(art. 36 LAJG).<br />
7. – Azioni collettive dichiarative e di condanna<br />
Nei procedimenti collettivi vige la regola generale secondo la quale<br />
quando si richiede in giudizio il pagamento di una quantità di denaro o la<br />
consegna di beni, utilità o prodotti appartenenti ad una determinata classe,<br />
non potrà semplicemente proporsi una domanda volta ad ottenere una sentenza<br />
dichiarativa del diritto a percepire il bene, se non congiuntamente alla<br />
proposizione di una domanda di condanna al pagamento, quantificando<br />
esattamente l’importo preteso (senza che possa richiedersi la sua determinazione<br />
nel corso della fase di esecuzione della sentenza) ovvero fissando<br />
chiaramente i criteri sulla base dei quali procedere alla liquidazione, così<br />
che essa consista in una mera operazione aritmetica (art. 219 LECiv). Tutto<br />
ciò senza pregiudizio della possibilità prevista dalla legge secondo cui, nelle<br />
sentenze rese nei procedimenti promossi da associazioni di consumatori<br />
o utenti nei quali si sia richiesta una condanna pecuniaria, ovvero di fare,<br />
non fare o dare una cosa specifica o generica, il Giudice determini individualmente<br />
i consumatori e gli utenti che, conformemente a quanto disposto<br />
dalle leggi a loro tutela, debbano intendersi beneficiari della pronuncia<br />
di condanna. Quando la determinazione individuale non sia possibile, la<br />
sentenza stabilità i dati, le caratteristiche ed i requisiti necessari per poter<br />
esigere il pagamento e, in quel caso, intraprendere l’esecuzione o intervenire<br />
in essa, qualora instaurata dall’associazione ricorrente (art. 221 LECiv);<br />
di modo che i soggetti lesi possano autonomamente esercitare l’azione esecutiva<br />
fondata sulla sentenza di condanna (art. 519 LEC).
DIBATTITI 55<br />
Se quanto ora detto costituisce la regola generale, ciò non osta a che, in<br />
alcuni casi, possano essere instaurate azioni meramente dichiarative, quali<br />
quelle conclusive di procedimenti promossi per ottenere l’annullamento<br />
dei contratti conclusi alla luce della Legge n. 43 del 13 dicembre 2007 de protección<br />
de los consumidores en la contratación de bienes con oferta de restitución<br />
del precio (art. 6).<br />
8. – I limiti al risarcimento del danno prodotto<br />
In Spagna non esistono danni punitivi. Il risarcimento del danno si determina<br />
dunque sulla base del pregiudizio effettivamente subito (responsabilità<br />
extracontrattuale e/o responsabilità contrattuale, artt. 1.902 e 1.101<br />
con riferimento all’art. 1.106 del Código Civil), ovvero più dettagliatamente<br />
nella configurazione del danno morale.<br />
9. – Cumulo di azioni: diversità di procedimento e soggetti ed identità dell’oggetto<br />
In questi casi, si procederà al cumulo di procedimenti, alla luce della regola<br />
speciale secondo la quale sono suscettibili di cumulo i processi incardinati<br />
per la tutela dei diritti e degli interessi collettivi e diffusi che le Leggi<br />
riconoscono a favore di consumatori ed utenti; ciò avviene quando non sia<br />
stato possibile evitare la differenziazione dei processi mediante il cumulo di<br />
azioni ovvero attraverso gli interventi previsti dall’art. 15 LECiv (art. 76 con<br />
riferimento all’art. 72.2 LECiv).<br />
10. – Azione collettiva e normativa ancora non in vigore: un caso importante<br />
nella storia giuridica spagnola<br />
Prima ancora della previsione delle azioni collettive nella Ley de Enjuiciamiento<br />
civil del 2000, è stata riconosciuta almeno in un caso in Spagna la<br />
possibilità di esercitare l’azione collettiva.<br />
Con riferimento alla singolarità del caso ed alla sua importanza, il Tribunal<br />
Supremo spagnolo, nella sua sentenza del 26 settembre 1997, decretò che<br />
la OCU (Organización de Consumidores y Usuarios), nel processo noto come il<br />
caso della “colza”, esercitasse azioni collettive a vantaggio di soggetti lesi, pur<br />
non rappresentandoli. La OCU, un’associazione di consumatori e utenti, intervenne<br />
nel processo penale in rappresentanza di un elevato numero di soggetti<br />
danneggiati. La Sala Segunda del Tribunal Supremo, accogliendo il ricorso<br />
formulato dalla citata associazione, riconobbe il diritto al risarcimento del
56 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
danno ai soggetti lesi identificati in quel processo, anche se non direttamente<br />
rappresentati nel processo stesso. Il Supremo Tribunale spagnolo, dunque,<br />
spinto dalla particolarità e gravità del caso, riconobbe l’indennizzo ai soggetti<br />
lesi la cui identità risultava ricavabile dagli atti, benchè costoro non avessero<br />
attribuito alla OCU il potere di esercitare l’azione risarcitoria in loro nome e<br />
per loro conto (e dunque, formalmente la OCU non li rappresentasse) e che<br />
neppure erano intervenuti a titolo individuale nel processo penale sollecitando<br />
un indennizzo. In questo modo, e senza alcun supporto legaslativo, si<br />
comprese che la OCU esercitava nel processo penale un’azione collettiva a favore<br />
di tutti i consumatori pregiudicati dai fatti di causa.<br />
Come aneddoto, occorre citare la sentenza del Tribunal Constitucional<br />
n. 214, dell’11 novembre 1991, relativa alla tutela dell’onore di Violeta Friedman<br />
e del popolo ebraico (interesse diffuso), a protezione sia dell’attrice<br />
(Violeta Friedman), sia della popolazione ebraica. La signora Violeta Friedmann<br />
propose infatti dinanzi al Tribunale Costituzionale un ricorso a tutela<br />
del proprio diritto all’onore “y el honor de todo el pueblo judío” a fronte<br />
delle dichiarazioni ingiuriose ed offensive del Dr. Negrelle (un ex membro<br />
del partito nazista tedesco ed ex ufficiale delle S.S.), apparse su di una rivista<br />
spagnola. Il Tribunale Costituzionale accolse il ricorso e lo ritenne fondato,<br />
offrendo tutela tanto all’onore della signora Friedman, quanto a quello<br />
di “tutto il popolo ebraico”: esiste forse interesse più diffuso di quello all’<br />
“honor de todo el pueblo judío”<br />
11. – Azione collettiva e transazione. Il regime giuridico spagnolo dell’azione<br />
collettiva è favorevole alla transazione<br />
Può pertanto dirsi che l’ordinamento giuridico spagnolo si sia limitato a<br />
contemplare le particolarità dell’esercizio dell’azione collettiva nel processo<br />
civile. Se è dunque vero che ha riconociuto il diritto all’assistenza giuridica<br />
gratuita a chi è legittimato per questo tipo di azioni, è altrettanto vero<br />
che non ha predisposto in maniera decisiva un sistema che favorisca e incentivi<br />
il ricorso all’azione di classe. Può pertanto dirsi che il sistema resti<br />
neutrale di fronte a tale tipologia di azione, giacchè la legge non prevede nè<br />
un regime disicentivante, nè allo stesso tempo un sistema di incentivi che<br />
favorisca l’esercizio dell’azione stessa.<br />
12. – Altre osservazioni<br />
Tre questioni possono porsi con carattere generale.<br />
La prima questione è rappresentata dal confronto tra l’acción popular e
DIBATTITI 57<br />
l’azione collettiva. In Spagna è discutibile se la presenza di un rimedio, anziché<br />
dell’altro, favorisca o contrasti l’accesso ai tribunali. Ciò con riguardo<br />
alla nascita di operatori giuridici specializzati nell’esercizio delle azioni collettive<br />
e situazioni di oligopolio per quanto riguarda l’acceso ai tribunali.<br />
In secondo luogo, potrà studiarsi la possibilità di costituire un fondo per<br />
il finanziamento delle azioni collettive, a livello nazionale e/o comunitario.<br />
Per lo stabilimento di un sistema agevole di risoluzione dei conflitti di massa<br />
per un numero elevato di consumatori colpiti, sarebbe interessante la<br />
possibilità di obbligare gli Stati a creare, come già esiste in altri Paesi confinanti,<br />
un fondo statale che sostenga le associazioni di consumatori nell’ottenere<br />
la tutela sovraindividuale, senza necessità di rimanere in balia dei<br />
differenti giudici e tribunali i quali, nella pratica, rendono difficile ed ostacolano<br />
l’accesso a questo tipo di procedimenti (che risultano assai efficaci<br />
per i consumatori consentendo la risoluzione di identiche questioni con un<br />
unico processo). In Québec, per esempio, con una riforma dell’anno 2002<br />
della Legge del 1979 sui ricorsi collettivi, è stata creata la figura di un “fondo<br />
de ayuda a las acciones colectivas”, che come entità pubblica ha la finalità di<br />
anticipare le spese del processo, con la sola previsione di un rimborso delle<br />
spese anticipate nel caso di condanna a favore della controparte. Questo<br />
istituto assolve altresì ad una funzione informativa circa la proposizione di<br />
azioni collettive e di verifica dell’eventuale ammissibilità delle stesse. Il<br />
fondo si finanzia con la quota di profitto illecito residuante a seguito del risarcimento<br />
dei danni concretamente patiti dal ricorrente, quota che non è<br />
stata oggetto di reclamo e che rimane a disposizione del Giudice, senza tenere<br />
in considerazione la soccombenza nell’esercizio di azioni giudiziarie.<br />
Infine, crediamo realmente interessante la possibilità di stabilire nuovi,<br />
moderni e uniformi parametri e criteri all’interno dell’UE per la determinazione<br />
dei danni nel caso concreto di esercizio dell’azione collettiva (in alternativa<br />
ai criteri propri applicabili all’azione individuale di responsabilità).<br />
Di fatto, non soltanto sono differenti le vie giuridiche percorribili<br />
(azione individuale versus azione collettiva), ma anche gli interessi tutelati<br />
risultano distinti (interessi esclusivamente individuali contro interessi collettivi,<br />
anche se suscettibili di individualizzazione – e di non sempre perfetta<br />
ed esatta determinazione).<br />
Amaya Arnaiz Serrano - Manuel Ignacio Feliu Rey
Class actions in Portogallo: alcuni aspetti (*)<br />
1. – L’acção popular ed i suoi soggetti<br />
L’istituto processuale della class action è ammesso all’interno dell’ordinamento<br />
giuridico portoghese ed è denominato acção popular.<br />
Tale istituto è previsto, in relazione alla tutela di diritti fondamentali,<br />
nella Costituzione portoghese, precisamente all’art. 52, comma 3, nel quale<br />
viene attribuito il diritto di azionare un’acção popular “a tutti, personalmente<br />
o attraverso associazioni a difesa degli interessi in causa”. In altre parole,<br />
la Costituzione riconosce ai soggetti di diritto la possibilità di agire sia<br />
personalmente (singolarmente o insieme ad altri), sia attraverso una determinata<br />
associazione.<br />
Lo stesso articolo della carta costituzionale portoghese rimette, però, alla<br />
legge ordinaria l’individuazione dei casi, e delle condizioni necessarie,<br />
per poter agire in tal modo.<br />
Nella legislazione ordinaria che dà attuazione a tale previsione costituzionale,<br />
nello specifico l’art. 2 della Lei n. 83/95, del 31 agosto 1995 (legge regolatrice<br />
dell’acção popular), sono stati identificati i titolari del diritto di<br />
acção popular come segue: “qualunque cittadino nel godimento dei suoi diritti<br />
civili e politici e le associazioni e fondazioni a difesa dei loro interessi”<br />
in causa, così come gli enti pubblici locali (autarquias locais) in relazione<br />
agli interessi di cui siano titolari i residenti della rispettiva area di pertinenza<br />
di ciascun ente pubblico locale.<br />
In sintonia con tale definizione, risulta chiaro ed evidente che il menzionato<br />
diritto viene riconosciuto certamente ai cittadini, attribuendosi poi<br />
la sua titolarità non solo ad associazioni, ma anche a fondazioni ed enti pubblici<br />
locali.<br />
Sempre in sintonia con quanto disposto dalla Costituzione, all’art. 15,<br />
trattandosi di un diritto politico (consacrato nella Costituzione nel capitolo<br />
corrispondente a diritti, libertà e garanzie di partecipazione politica), agli<br />
stranieri e agli apolidi che si trovino in Portogallo o che vi risiedano non viene<br />
riconosciuta la possibilità di attivare un’acção popular, fatta eccezione<br />
per i cittadini di paesi di lingua portoghese e con residenza permanente in<br />
Portogallo, a condizione che analogo trattamento sia riconosciuto e riservato<br />
ai cittadini portoghesi residenti negli Stati di provenienza di tali cittadini<br />
(reciprocità).<br />
(*) Traduzione dall’originale spagnolo di Claudio Ghigi.
DIBATTITI 59<br />
Per quanto concerne la posizione del soggetto contro cui può essere<br />
promossa un’acção popular, bisogna tenere poi presente una distinzione<br />
operata dalla legge – all’art. 12 della citata Lei n. 83/95 – tra due tipi di acção<br />
popular: l’acção popular administrativa e la acção popular civil. L’acção popular<br />
administrativa, che ricade sotto l’ambito della giurisdizione amministrativa,<br />
deve essere rivolta, principalmente, nei confronti di enti pubblici<br />
(cfr. art. 4, comma 1, lett. f), del Estatuto dos Tribunais Administrativos e Fiscais,<br />
approvato dalla Lei n. 13/2002, del 19 febbraio 2002), potendo anche<br />
essere rivolta contro enti privati che rivestano la posizione di soggetti contro-interessati<br />
(ossia le persone o entità titolari di interessi contrapposti a<br />
quelli di chi agisce, art. 10, comma 1, del CPTA) e che abbiano concorso nel<br />
mettere in pericolo o nel pregiudicare l’interesse violato. La acção popular<br />
civil, a sua volta, deve essere rivolta contro enti privati (o comunque contro<br />
soggetti che non siano qualificati come enti pubblici).<br />
2. – L’oggetto della tutela giurisdizionale dell’acção popular<br />
In linea con quanto previsto dall’art. 52, comma 3, della Costituzione, il<br />
diritto di acção popular è concepito, da un parte, per favorire “la prevenzione,<br />
la cessazione o la tutela giudiziale delle violazioni della salute pubblica,<br />
dei diritti dei consumatori, della qualità della vita, della tutela dell’ambiente<br />
e del patrimonio culturale”. Sotto tale profilo, quindi, è concepito come<br />
un mezzo di garanzia dei diritti fondamentali (anche in relazione ad alcuni<br />
doveri fondamentali) quali: il diritto alla tutela della salute (ed il dovere di<br />
difenderla e promuoverla), consacrato nell’art. 64 della Costituzione; i diritti<br />
dei consumatori, consacrati nell’art. 60 della stessa Costituzione; il diritto<br />
ad un’abitazione degna, consacrato nell’art. 65 della Costituzione; il<br />
diritto ad un ambiente di vita umano, sano ed ecologicamente equilibrato<br />
(ed il dovere di difenderlo), consacrato nell’art. 66 della Costituzione; il diritto<br />
alla fruizione dei beni culturali ed alle creazioni culturali (ed il dovere<br />
di preservare, difendere e valorizzare il patrimonio culturale), consacrato<br />
nell’art. 78 della Costituzione.<br />
Ancora, si deve sottolineare che il collegamento effettuato dalla Costituzione<br />
tra il diritto di acção popular e tali interessi, diritti e doveri fondamentali,<br />
non ne esclude altri; infatti, la Costituzione consente l’estensione<br />
di tale garanzia anche a qualunque altro diritto ritenuto meritevole di tutela<br />
da parte del legislatore ordinario.<br />
Così, per esempio, nell’Estatuto dos Tribunais Administrativos e Fiscais<br />
(art. 4, n. 1, lett. l) e nel Código de Processo nos Tribunais Administrativos<br />
(art. 9, comma 2), si ammette che il diritto all’acção popular possa essere ri-
60 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
conosciuto pure in materia di urbanistica e di organizzazione del territorio.<br />
Inoltre, nella logica della Costituzione, il diritto di acção popular è concepito<br />
per dare tutela ai beni dello Stato, delle Regioni autonome e degli enti<br />
pubblici locali (autarquías locais).<br />
3. – La posizione dell’attore nell’acção popular<br />
a) La legittimazione processuale attiva (legitimidad procesal activa) nell’ambito<br />
dell’acção popular non dipende dal fatto che il reclamante abbia un<br />
interesse diretto collegato alla presentazione della sua domanda.<br />
In ogni caso, da una parte, affinchè i cittadini possano ritenersi titolari<br />
ed esercitare il diritto di acção popular, è necessario che si trovino nel godimento<br />
dei loro diritti civili e politici (cfr. art. 2, comma 1, della citata Lei n.<br />
83/95; art. 26, a) del Código de Processo Civil).<br />
Dall’altra parte, sono requisiti e condizioni necessari per riconoscere la<br />
legittimazione processuale attiva delle associazioni e delle fondazioni: (i) la<br />
personalità giuridica; (ii) la previsione espressa, tra le attribuzioni dell’organizzazione<br />
o nell’ambito del suo oggetto sociale, della tutela degli interessi<br />
coinvolti nella specifica causa per la quale si decide di azionare un’acção popular;<br />
(iii) il non esercitare un’attività di tipo professionale in concorrenza<br />
con imprese o liberi professionisti (cfr. art. 2 della citata Lei n. 83/95).<br />
Da un altro punto di vista, è necessario poi tenere presente che il diritto<br />
di acção popular include il diritto dell’attore di richiedere per il soggetto leso,<br />
o i soggetti lesi, un adeguato indennizzo (cfr. art. 52, comma 3, della Costituzione),<br />
in particolare quando vi siano da parte del convenuto (nell’ambito<br />
della sua responsabilità civile soggettiva) violazioni dolose o colpose<br />
degli interessi in causa dalle quali derivino conseguentemente dei danni<br />
(cfr. art. 22, comma 1, della citata Lei n. 83/95), così come quando, dalle<br />
azioni o dalle omissioni poste in essere dal convenuto (nell’ambito della<br />
sua responsabilità oggettiva), derivino offese ai diritti o agli interessi in causa,<br />
venendo così a configurarsi un’ipotesi di attività oggettivamente pericolosa<br />
(cfr. art. 23 della citata Lei n. 83/95). In tale contesto, l’attore di<br />
un’acção popular, quando richiede che sia accertata la responsabilità del<br />
convenuto per i danni occasionati dalla sua condotta – ed in particolare<br />
quando lo chieda in relazione alla violazione di diritti riferibili alla sua situazione<br />
personale individuale – può anche beneficiare di un indennizzo,<br />
ricevendo così ristoro patrimoniale a seguito della sua iniziativa giudiziale.<br />
Per quanto riguarda la posizione dell’avvocato dell’attore di un’acção<br />
popular, va evidenziato che questi riceve il pagamento degli onorari per l’at-
DIBATTITI 61<br />
tività professionale prestata nel corso del processo, dovendo però essere il<br />
Giudice a determinarne l’ammontare, in ragione della complessità e del valore<br />
della causa (cfr. art. 21 de la citata Lei n. 83/95).<br />
b) In relazione al tema delle spese processuali, si sottolinea che l’attore<br />
di un’acção popular è esentato dal pagamento delle stesse, che sono: taxa de<br />
justiça, encargos processuais y custas de parte (cfr. art. 4, comma 1, lett. b) del<br />
Regulamento de Custas Processuais, approvato tramite il Decreto-Lei n.<br />
34/2008, del 26 febbraio 2008).<br />
Pertanto, per l’esercizio del diritto di acção popular non è possibile richiedere<br />
anticipatamente all’attore il pagamento di qualunque spesa giudiziale,<br />
incluse quelle di pubblicità della sua iniziativa e quelle attinenti alle<br />
produzioni necessarie in relazione alla fase istruttoria del giudizio. Tali spese<br />
sono infatti anticipate dall’Instituto de Gestão Financeira e das Infra-<br />
Estruturas da Justiça, con possibilità di rimborso (cfr. art. 19 del citato Regulamento<br />
de Custas Processuais).<br />
Tuttavia, l’attore di un’acção popular, all’esito del processo, è ritenuto<br />
responsabile del pagamento della custas processuais, secondo le regole generali,<br />
allorquando il processo si concluda per manifesta improcedibilità<br />
della sua richiesta, così come per tutti gli oneri che siano stati sostenuti nel<br />
corso del processo, allorquando la sua pretesa sia stata totalmente disattesa<br />
e respinta (cfr. art. 4, commi 5 e 6, del citato Regulamento de Custas Processuais).<br />
Nel caso in cui ci siano più attori, tale eventuale responsabilità sarà<br />
solidale, secondo le regole generali.<br />
Ancora, va considerato che le pronunce giudiziali devono essere pubblicate<br />
(in due periodici che si ritiene, presumibilmente, siano letti dai soggetti<br />
interessati dalla relativa acção popular) a carico della parte che sia risultata<br />
soccombente (cfr. art. 19, comma 2, della citata Lei n. 83/95).<br />
4. – La posizione degli altri soggetti interessati da un’acção popular<br />
a) Nei processi in cui sia azionata un’acção popular, l’attore rappresenta<br />
per sua iniziativa personale, senza alcun mandato o autorizzazione espressa,<br />
tutti coloro i quali, titolari di diritti o interessi in causa – dopo aver ricevuto ufficialmente<br />
notizia della pendenza dell’azione (attraverso un annuncio pubblicato<br />
su qualunque mezzo di comunicazione sociale o attraverso un pubblico<br />
avviso) – dichiarino nel processo che accettano tale rappresentanza o che,<br />
rimanendo passivi, non dichiarino alcun proposito nel termine assegnato loro<br />
dal giudice a tale scopo (cfr. artt. 14 e 15, commi 1–3 della citata Lei n. 83/95).<br />
Costoro, dopo aver effettuato tale accettazione (espressa o tacita), intervengono<br />
nel processo come parti dello stesso nello stato in cui si viene a trovare il
62 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
processo al momento della loro accettazione (cfr. art. 15, comma 1, della citata<br />
Lei n. 83/95). Tuttavia, il loro intervento nel processo si realizza attraverso<br />
la rappresentanza processuale del primo attore (e beneficiando del patrocinio<br />
dell’avvocato nominato dal primo attore). Pertanto, il primo attore dell’acção<br />
popular inizia a partecipare al processo sia per sé, che nel nome e nell’interesse<br />
dei soggetti da lui rappresentati, i quali possono interagire nel processo solo<br />
attraverso il loro rappresentante. Ciononostante, i soggetti così rappresentati<br />
dal primo attore, nel caso in cui non ritengano adeguato il modo di agire<br />
del loro rappresentante, colpevole di non seguire le loro istruzioni o comunque<br />
di pregiudicare i loro interessi, possono anche “ricusarlo”, fintanto che<br />
non sia terminata la fase istruttoria del processo (produzione di documenti o<br />
altre attività istruttorie) – cfr. art. 15, comma 4, della citata Lei n. 83/95.<br />
b) In considerazione di quanto sopra esposto, risulta quindi evidente<br />
che i soggetti rappresentati dal primo attore di un’acção popular non possono<br />
influire direttamente sull’oggetto della causa, non potendo in alcun modo<br />
allegare fatti nuovi, nè formulare richieste distinte da quelle presentate<br />
all’inizio della causa dal primo attore. Allo stesso modo, i soggetti rappresentati<br />
dal primo attore non possono nemmeno replicare, direttamente, alle<br />
eccezioni sollevate dal convenuto.<br />
c) Nella legge – nello specifico all’art. 16, comma 3, della citata Lei n.<br />
83/95 – è previsto che il Pubblico Ministero possa sostituirsi all’attore in caso<br />
di sua rinuncia, così come in caso di transazione o di comportamenti lesivi<br />
degli interessi coinvolti nella causa e, in tali casi, il Pubblico Ministero<br />
assume la posizione di rappresentante processuale.<br />
Tuttavia, i poteri di rappresentanza processuale attribuiti dalla legge ai<br />
primi attori di un’acção popular includono semplicemente i poteri generali<br />
di rappresentanza, non quelli speciali, quali quelli di rinunciare o transigere<br />
l’azione.<br />
Al riguardo, si rileva che tali poteri speciali non si presumono. Se il legislatore<br />
avesse invece voluto attribuirli ai primi attori, avrebbe infatti dovuto<br />
inserire un’apposita ed espressa previsione normativa, cosa che non ha ritenuto<br />
opportuno fare. Per tale motivo, la rinuncia o la transazione non<br />
possono produrre alcun effetto per i soggetti rappresentati dal primo attore.<br />
Se il Pubblico Ministero non esercita il potere di sostituzione, in caso di<br />
rinuncia o di transazione del primo attore, i soggetti rappresentati possono<br />
attivarsi per fare continuare il processo o, se non precluso, iniziare una nuova<br />
acção popular con lo stesso oggetto.<br />
d) Le sentenze definitive, passate in giudicato, pronunciate all’esito di<br />
processi instaurati tramite la proposizione di acções populares civis o administrativas,<br />
hanno effetto erga omnes, salvo che per quei soggetti, titolari di
DIBATTITI 63<br />
diritti o interessi coinvolti nella causa, che abbiano esercitato l’opzione di<br />
autoesclusione sopra descritta.<br />
Pertanto, coloro i quali, invece, abbiano accettato di essere rappresentati<br />
nel processo dal primo attore, vengono automaticamente assoggettati al<br />
rispetto di tali sentenze (definitive).<br />
La legge – nello specifico all’art. 19, comma 1, della citata Lei n. 83/95 –<br />
prevede, tuttavia, che tali sentenze non abbiano effetto erga omnes in determinate<br />
ipotesi: (i) quando una acção popular sia considerata improcedibile<br />
per mancanza di prove sufficienti o (ii) quando il Giudice “debba decidere<br />
in un determinato modo per effetto di circostanze specifiche del singolo caso<br />
concreto”. In tali situazioni, infatti, le sentenze hanno effetto solo per i<br />
primi attori ed i convenuti. Non hanno invece effetto per coloro i quali siano<br />
rappresentati nel processo dai primi attori, ciò per non impedire loro di<br />
iniziare una nuova acção popular, così da consentire di presentare prove più<br />
consistenti e di non vedersi comunque “pregiudicati” da circostanze riguardanti<br />
lo specifico caso che possono risultare loro totalmente estranee.<br />
e) Nei casi in cui una sentenza pronunciata in un processo iniziato a seguito<br />
dell’esercizio di un’acção popular sia efficace anche per coloro i quali<br />
siano rappresentati dal primo attore, costoro possono impugnare la sentenza,<br />
qualora siano effettivamente e direttamente pregiudicati da essa o risultino<br />
soccombenti nella decisione. E così è, infatti, in relazione all’acção popular<br />
civil, in base ad una disposizione generale del Código de Processo Civil<br />
– art. 680, comma 2 – secondo cui “le persone direttamente ed effettivamente<br />
pregiudicate da una decisione giudiziale possono impugnarla anche<br />
se non siano state parti del processo in cui sia stata dettata tale pronuncia o<br />
qualora non rivestano la posizione di attore principale”. A sua volta, per<br />
quanto concerne l’acção popular administrativa, bisogna considerare una<br />
norma generale del Código de Processo nos Tribunais Administrativos – art.<br />
141, comma 1 – secondo cui “chi sia soccombente in tale processo può impugnare<br />
una sentenza emessa da un tribunal administrativo”.<br />
A tale proposito, si può anche aggiungere che, una volta emessa la sentenza<br />
nel corso di un processo iniziato per esercizio di un’acção popular, la<br />
posizione di rappresentanza processuale sopra descritta viene meno, potendo<br />
così i soggetti prima rappresentati, direttamente esercitare il potere di<br />
impugnazione della sentenza.<br />
f) Coloro i quali sono rappresentati dal primo attore, nel processo conseguente<br />
all’esercizio di un’acção popular, beneficiano poi del patrocinio<br />
dell’avvocato nominato dal primo attore, come già sopra evidenziato. Pertanto,<br />
non hanno un avvocato proprio che li rappresenti in causa. La legge –<br />
art. 21 della citata Lei n. 83/95 – prevede sì il pagamento degli onorari spet-
64 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
tanti all’avvocato nominato dal primo attore, ma non, di per sé, la liquidazione<br />
di spese legali per il patrocinio di chi sia stato semplicemente “rappresentato”.<br />
5. – Il contenuto decisorio delle sentenze emesse a seguito di un’acção popular<br />
ed il suo limite<br />
a) In termini generali, ed in sintonia con quanto già precedentemente<br />
esposto, le acções populares sono volte a promuovere la prevenzione, cessazione<br />
e tutela giudiziale o riparazione di situazioni pregiudicate dalla violazione<br />
di valori e beni tutelati dalla Costituzione. Pertanto, non è detto che<br />
tali azioni debbano necessariamente avere natura di azioni di condanna.<br />
Da tale punto di vista, le acções populares civis, in sintonia con la loro finalità,<br />
possono essere: (i) declarativas de simples apreciación, ossia volte ad<br />
ottenere solo ed esclusivamente la dichiarazione dell’esistenza o dell’inesistenza<br />
di un diritto o di un fatto; (ii) declarativas de condenación, ossia volte<br />
ad ottenere dal convenuto la prestazione di una determinata cosa o di un<br />
determinato comportamento, come conseguenza della violazione di uno<br />
specifico diritto; (iii) declarativas constitutivas, ossia volte ad ottenere una<br />
modificazione di una determinata situazione all’interno dell’ordinamento<br />
giuridico esistente; (iv) executivas, ossia volte ad ottenere una riparazione<br />
adeguata in considerazione della violazione di un determinato diritto (cfr.<br />
art. 4, comma 2, del Código de Processo Civil).<br />
Invece, per quanto concerne le acções populares administrativas, queste<br />
ultime possono essere rivolte ad ottenere: (i) il riconoscimento di situazioni<br />
giuridiche soggettive direttamente derivanti da norme giuridiche amministrative<br />
o da atti giuridici posti in essere nell’ambito di disposizioni di diritto<br />
amministrativo; (ii) il riconoscimento della titolarità di qualità o del verificarsi<br />
di determinate condizioni; (iii) il riconoscimento del diritto ad astenersi<br />
da comportamenti e, nello specifico, ad astenersi dal compimento di<br />
atti amministrativi, quando vi sia la minaccia di una futura lesione; (iv) la<br />
pronuncia di annullamento o di nullità o di inesistenza di atti amministrativi;<br />
(v) la condanna del convenuto al pagamento di un importo alla consegna<br />
di cose o alla prestazione di determinati comportamenti; (vi) la condanna<br />
del convenuto alla reintegrazione in natura dei danni ed al pagamento di un<br />
indennizzo; (vii) la risoluzione di liti relative ad interpretazione, validità o<br />
esecuzione di contratti pubblici; (viii) la dichiarazione di illegalità di norme<br />
prodotte nell’ambito del diritto amministrativo; (ix) la condanna del convenuto<br />
a porre in essere atti amministrativi imposti dalla legge; (x) la condanna<br />
del convenuto al compimento di atti e di operazioni necessarie a ristabi-
DIBATTITI 65<br />
lire determinate situazioni giuridiche (cfr. art. 2, comma 2, del Código de<br />
Processo nos Tribunais Administrativos).<br />
Ancora, nell’ambito delle acções populares (civis e administrativas) vi<br />
sono anche ipotesi di providencias cautelares, anticipatorias o conservatorias<br />
(ossia di procedimenti instaurati per ottenere una tutela cautelare ed urgente).<br />
Infine, le acções populares possono essere utilizzate per far dichiarare la<br />
sussistenza della violazione di valori e beni costituzionalmente protetti, lasciando<br />
così agli interessati la facoltà di agire, anche posteriormente ed in<br />
modo autonomo, per ottenere l’indennizzo delle perdite e dei danni eventualmente<br />
subiti.<br />
b) Si segnala che, nelle acções populares in cui si discute di responsabilità<br />
civile soggettiva per “violazioni di interessi non individualmente identificati”,<br />
l’indennizzo dovuto dal convenuto è fissato dal giudice (cfr. art. 22,<br />
comma 2, della citata Lei n. 83/95) senza alcun vincolo a quanto richiesto<br />
dall’attore ed indipendentemente da eventuali accordi che l’attore concluda<br />
con il convenuto.<br />
Tale indennizzo può essere fissato in un importo superiore a quanto richiesto<br />
dall’attore o a quanto concordato tra attore e convenuto. Ciò, in<br />
quanto gli importi di indennizzo devono essere qualificati come fondi pubblici<br />
indisponibili, non già come fondi disponibili per i privati. Si preclude<br />
così ai privati la possibilità di porre in essere accordi che possano pregiudicare<br />
l’interesse pubblico.<br />
Una soluzione diversa si segue nel caso in cui l’attore richieda la condanna<br />
del convenuto all’indennizzo “per la violazione di interessi individualmente<br />
identificati” che siano propri dell’attore medesimo. In tal caso,<br />
infatti, la sentenza non può condannare il convenuto al pagamento di un<br />
importo superiore a quanto richiesto dall’attore (cfr. art. 661, comma 1, del<br />
Código de Processo Civil).<br />
6. – Il problema derivante dalla coesistenza di diversi processi a seguito dell’esercizio<br />
di acção popular<br />
Quando siano separatamente iniziate diverse acções populares che possono<br />
essere riunite in un unico processo (perchè riguardano lo stesso convenuto<br />
ed hanno medesima causa petendi e petitum), può esserne ordinata<br />
dal giudice la riunione, anche se i diversi processi siano pendenti davanti a<br />
giudici diversi, salvo che non sia conveniente la riunione per lo stato del<br />
processo o per altre ragioni. Tra i diversi processi la riunione opera a favore<br />
di quello che sia stato promosso per primo.
66 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
L’istanza di riunione può quindi essere presentata davanti al giudice<br />
presso il quale pende il primo processo. Inoltre, quando vi siano diversi processi<br />
pendenti davanti allo stesso giudice, la riunione può essere disposta<br />
anche d’ufficio sentite le altre parti (cfr. art. 28 del Código de Processo nos<br />
Tribunais Administrativos approvato con la Lei n. 15/2002, del 22 febbraio<br />
2002; art. 275 del Código de Processo Civil).<br />
In relazione alla riunione dei processi, si evidenzia l’esigenza di dare<br />
l’opportunità a ciascun attore di acções populares di dichiarare se intende accettare<br />
o meno di essere rappresentato dall’attore dell’acção popular promossa<br />
per prima, dovendosi comunque ammettere il diritto di autoesclusione<br />
da tale rappresentanza da parte di ciascun attore. In quest’ultimo caso,<br />
le acções populares che siano già state intentate devono essere quindi<br />
proseguite autonomamente da ciascun attore.<br />
Una situazione diversa si verifica nei cd. processos em massa, ossia<br />
quando siano promosse davanti ad uno stesso giudice (Tribunal administrativo)<br />
più di venti acções populares administrativas che siano suscettibili di essere<br />
decise in base all’applicazione delle stesse norme, trattandosi di situazioni<br />
di fatto identiche. In tale contesto, il Presidente del Tribunale può stabilire,<br />
sentite le parti, che sia dato corso ad uno solo dei processi instaurati<br />
con le diverse acções populares administrativas, sospendendo gli altri.<br />
Quando, poi, nel processo che è proseguito viene pronunciata una sentenza<br />
definitiva, nel caso in cui la stessa debba ritenersi valida ed efficace<br />
anche per i processi sospesi, le parti di tali processi ricevono la notifica di tale<br />
sentenza e, ciascun attore può: (i) desistere dal processo da lui iniziato;<br />
(ii) chiedere al Tribunale di estendere al suo caso gli effetti della sentenza<br />
pronunciata nell’altro processo; (iii) chiedere di continuare il processo da<br />
lui promosso; (iv) impugnare la sentenza pronunciata nell’altro processo<br />
(cfr. art. 48, comma 1 e 5, del Código de Processo nos Tribunais Administrativos).<br />
7. – Altre questioni<br />
a) Una questione interessante è quella di stabilire se possa essere proposta<br />
un’acção popular fondata su fatti occorsi prima dell’entrata in vigore<br />
della disciplina regolatrice della rispettiva acção popular.<br />
A tale proposito, considerato che l’istituto qui esaminato è un mezzo di<br />
garanzia di diritti fondamentali e di salvaguardia di valori e beni costituzionalmente<br />
garantiti, se ne deve ammettere l’utilizzo per reagire contro eventuali<br />
illeciti non continuati (ed anche contro illeciti continuati, come è ovvio)<br />
commessi (o il cui compimento sia iniziato) prima dell’entrata in vigo-
DIBATTITI 67<br />
re delle norme di disciplina della relativa azione, a condizione che il diritto<br />
di agire non sia prescritto o che il fatto illecito non sia stato validamente<br />
consentito dal danneggiato, il tutto secondo le regole generali.<br />
b) Un’altra questione, tra le molte altre che si possono discutere, è quella<br />
inerente la posizione dell’acção popular in relazione all’istituto della transazione.<br />
In merito, va evidenziato che il regime applicabile all’acção popular ammette<br />
– salvo che in alcuni casi – la possibilità di porre fine ai rispettivi processi<br />
attraverso una transazione, senza però che la disciplina in esame la incentivi.<br />
Non è comunque ammissibile una transazione quando questa implichi<br />
diritti o interessi indisponibili (cfr. art. 299, comma 1, del Código de Processo<br />
Civil).<br />
Si deve anche tenere presente che nel corso di un processo, il Pubblico<br />
Ministero, fino alla pronuncia della sentenza, nel caso in cui venga in considerazione<br />
una transazione (così come negli altri casi in cui l’attore desista<br />
dal proseguire l’azione o commetta comportamenti lesivi per gli interessi in<br />
causa), ha il potere di sostituirsi all’attore e di dare corso al processo, come<br />
già evidenziato nei precedenti paragrafi (cfr. art. 16, comma 3, della citata<br />
Lei n. 83/95; art. 62 del Código de Processo nos Tribunais Administrativos; v.<br />
anche sopra in relazione a quanto esposto in tema di posizione dei soggetti<br />
rappresentati dal primo attore in caso di sua rinuncia all’azione o di transazione).<br />
8. – Note finali<br />
La class action deve essere quindi considerata – secondo quanto confermato<br />
dall’esperienza portoghese – un importante mezzo di salvaguardia dei<br />
valori e dei beni che meritano una tutela speciale all’interno dell’ordinamento<br />
giuridico e una garanzia di diritti, interessi e doveri fondamentali.<br />
Ancora, la sua importanza è sottolineata dal fatto che costituisce uno<br />
strumento giuridico-processuale al servizio dei cittadini e a garanzia della<br />
responsabilità sociale – responsabilità di una società civile che deve sempre<br />
più essere attenta agli interessi collettivi a tutela del bene comune.<br />
Inoltre, tale figura, oggi, non deve essere considerata semplicemente in<br />
relazione al singolo ambito nazionale: è infatti necessario considerarla nell’ambito<br />
dei fenomeni di globalizzazione e di regionalización internacional.<br />
In particolare, nell’ottica della europeización de la class action è fondamentale<br />
l’iniziativa recentemente adottata dalla Commissione europea finalizzata<br />
ad aprire un dibattito che coinvolga tutta la Comunità, anche in
68 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
considerazione di una possibile definizione, all’interno dell’ordinamento<br />
comunitario, di tale mezzo di garanzia, rivolto espressamente alla tutela dei<br />
diritti e degli interessi dei consumatori europei e alle vicende ambientali e a<br />
quelle relative ai mercati finanziari.<br />
Nell’ambito di tale discussione pubblica è compito degli studi accademici<br />
e giuridici europei sviluppare, a partire dalle singole esperienze nazionali,<br />
le migliori soluzioni da adottare. E ciò è quello che, con la presente iniziativa<br />
editoriale, si cerca di realizzare. Anche per iniziative di questo tipo si<br />
afferma la cittadinanza europea.<br />
Afonso D’Oliveira Martins
Dutch Treat: the Dutch Collective Settlement<br />
of Mass Damage Act (WCAM 2005)<br />
1. – Introduction<br />
In the ambit of adding to the discussion on the design of a possible class<br />
action procedure for Europe, this contribution shall lay out certain main aspects<br />
of the Dutch Collective Settlement of Mass Damage Act (Wet Collectieve<br />
Afwikkeling Massaschade [WCAM]) of 2005 ( 1 ). The act originated out<br />
of the deadlock in negotiations on a compensation scheme resulting from a<br />
mass of cases of cervical and breast cancer caused by DES, and is regarded as<br />
operating on the crossroads of tort law, substantive contract law, and civil procedure<br />
( 2 ). In terms of design, it is a composite of a voluntary settlement contract<br />
sealed with a ‘judicial trust mark’ attached to the contract. Thus, the<br />
foundation of the WCAM is a contract between the alleged tortfeasor and an<br />
organisation representing the interests of the injured individuals ( 3 ).<br />
As it is a very special design, we outline the procedure briefly before<br />
going into the specific questions. Basically, this is how the WCAM works:<br />
- First, an amicable settlement agreement concerning payment of compensation<br />
is concluded between the allegedly liable party or parties on the<br />
one hand, and a foundation or association acting in the aligned common interest<br />
of individuals involved (and injured) on the other;<br />
- The parties to the agreement then jointly petition the Amsterdam<br />
Court of Appeals to declare the settlement binding on all persons to whom<br />
damage was caused ( 4 ); these interested persons are not summoned in this<br />
procedure but are notified by post or by newspaper announcement ( 5 );<br />
( 1 ) Cf. Arts. 7:907 – 910 Civil Code (CC) and for some specific procedural law aspects Title<br />
14 of Book 3 Code of Civil Procedure (CCP).<br />
( 2 ) Van Boom, Collective Settlement of Mass Claims in The Netherlands, in Auf dem Weg zu<br />
einer europäischen Sammelklage,ed. M. Casper, et al., Muenchen, 2009, 171-192, p. 178.<br />
( 3 ) Apart from these two parties, in practice there is a third party to the contract: the administrator.<br />
This is usually a foundation that was incorporated especially for the purpose of<br />
distributing the settlement sum or fund, and that will execute the settlement and act as trustee<br />
of the settlement fund. It is the ‘legal entity’ referred to in Art. 7:907 (3) (h) CC, and it therefore<br />
needs to be party to the settlement for the Amsterdam Court to declare the settlement<br />
binding upon the injured individuals.<br />
( 4 ) See Art. 1013 (3) CCP for the exclusive competence of the Amsterdam Court in<br />
WCAM cases.<br />
( 5 ) In normal petition procedures, the interested parties are given notice by registered let-
70 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
- The Amsterdam Court hears the arguments of all interested parties;<br />
- The Court considers several points concerning the substantive and<br />
procedural fairness and efficiency of the settlement (e.g. amount of compensation,<br />
adequate representation of interested parties);<br />
- If the Court rules in favour of the settlement, it declares the settlement<br />
binding upon all persons to whom damage was caused and who are accommodated<br />
by the settlement, leaving non-willing parties with the opportunity<br />
to opt out within a certain period, after which the opt-out option lapses. Generally<br />
speaking, the procedure will end with one of two possible outcomes:<br />
the requested declaration is either denied or granted.<br />
2. – Collective settlement (WCAM procedure) and representative action<br />
a. The parties involved<br />
Under the WCAM, the settlement agreement is concluded between the<br />
allegedly liable party or parties and a foundation or association acting in the<br />
aligned common interest of individuals involved (and injured). It is a requirement<br />
for the representing party to have full legal capacity to act in court,<br />
and its articles have to set out the protection of the victims’ interest as a<br />
main aim ( 6 ). Individuals, groups of victims, or only one contracting party<br />
have no power to initiate the WCAM procedure.<br />
The defendant can be one or several parties that have agreed to pay<br />
compensation (Art. 7:907(1) CC). Note that other foundations or associations<br />
that meet the description in the previous paragraph may file a defence (Art.<br />
1014 CCP) ( 7 ).<br />
The Dutch Consumer Authority is also included among possible representative<br />
bodies (see Art. 2.6. Wet handhaving consumentenbescherming – Law<br />
on Consumer Law Enforcement). If the Authority wanted to initiate this procedure,<br />
it would have to write a request to the Secretary of State, as his consent<br />
is required for this action. The Consumer Authority has the official duty to restrain<br />
itself with regard to this option, as it is designed primarily for private<br />
associations ( 8 ). To date, there has been no case, nor has one been planned.<br />
ter (Art. 272 CCP). However, this was considered too burdensome a requirement in WCAM<br />
petitions.<br />
( 6 ) Stuyck et al., Netherlands National Report, 2006, p. 9.<br />
( 7 ) M. B. M. Loos, Evaluation of the effectiveness and efficiency of collective redress mechanisms<br />
in the European Union – country report Netherlands, 2008, p. 3.<br />
( 8 )M. J. pro facto (Schol, J. Nagtegaal, and H. B. Winter), Evaluatie Wet handhaving
DIBATTITI 71<br />
b. What rights can be enforced through collective action<br />
Basically, the WCAM entails having a voluntary settlement contract on<br />
mass damage compensation declared binding by the court. However, the<br />
WCAM is not the only instrument available for collective redress. In addition<br />
to the WCAM, there is a general rule on representative action in the<br />
Dutch Civil Code (Arts. 3:305a-c), which authorises representative organisations<br />
to initiate a collective representative action in the civil courts. There<br />
are no special procedural requirements that such organisations need to<br />
meet other than the general requirement that they should aim at representing<br />
a specified group of persons or specific and commonly shared interests<br />
pursuant to their articles of incorporation.<br />
In the representative action procedure, the foundation or association<br />
may:<br />
– seek a declaratory judgment to the benefit of interested parties that are<br />
alleging the defendant has acted wrongfully against these parties, and<br />
is thus legally obliged to do something or to abstain from doing something<br />
towards them;<br />
– seek injunctive relief in the form of either a positive mandatory injunction<br />
or a prohibitory injunction;<br />
– seek performance of a contractual duty of the defendant owed to various<br />
interested parties;<br />
– seek the termination or rescission of a contract between the defendant<br />
and various interested parties ( 9 ).<br />
In fact, the possibility of the representative action had already been acknowledged<br />
in case law in the 1970s. What the representative action did not<br />
– and still does not – allow is monetary relief as a remedy. Recently, the<br />
Dutch Supreme Court made clear that there is no direct possibility to<br />
declare that there is an obligation to pay damages towards all individuals<br />
concerned ( 10 ). The reason is that courts are supposed to assess damages in<br />
tort individually, and therefore the collective ex parte assessment is deemed<br />
impossible. This is exactly why the WCAM was introduced in 2005 – to retain<br />
the restrictions on representative action and at the same time to stimulate<br />
collective out-of-court settlements.<br />
consumentenbescherming Ervaringen met het duale handhavingsstelsel en de handhavingsbevoegdheid<br />
inzake massaschade, 2010, p. 28, referring to Memorie van Toelichting Whc, Kamerstukken<br />
II 2005/06, 30 411, nr. 3, p. 38-39.<br />
( 9 ) Frenk, Kollektieve akties in het privaatrecht (diss. Utrecht), Deventer 1994, 355.<br />
( 10 )Cf. M. B. M. Loos and W.H. Van Boom, Handhaving van het consumentenrecht –<br />
Preadviezen Nederlandse Vereniging voor Burgerlijk Recht 2009, Deventer, 2010, p. 156.
72 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
This does not mean that representative action as laid down in Art.<br />
3:305a-c CC has become obsolete. Representative action can and actually<br />
does serve as a precursor to collective settlement: the representative action<br />
can be used to decide on points of law common to all individual claims. Although<br />
the outcome of such a declaratory judgement procedure does not officially<br />
constitute a binding precedent for individual claims, in practice the<br />
power of such a judgement is convincing. Thus, the successful use of the<br />
representative action can in fact further negotiations for a mass settlement.<br />
The Amsterdam Court will have to judge the settlement and what benefits<br />
it confers on individual claimants. In doing so, it will assess<br />
whether the settlement is a ‘fair deal’ for all parties concerned, especially<br />
for the victims. For example, the Court will reject the settlement if (inter<br />
alia) ( 11 ):<br />
– the amount of the compensation awarded is not reasonable, having<br />
regard to, inter alia, the extent of the damage, the ease and speed with<br />
which the compensation can be obtained, and the possible causes of<br />
the damage ( 12 );<br />
– the interests of the persons on whose behalf the agreement was concluded<br />
are otherwise not adequately safeguarded;<br />
– the foundation or association does not sufficiently represent the interests<br />
of persons on whose behalf the agreement was concluded.<br />
The method and procedure for calculating damages, the amounts, the<br />
forms, standards, protocols, and so forth, are deliberately not provided for<br />
in the Act ( 13 ). The need for damage scheduling and categorising the injured<br />
individuals obviously depends on the nature of the mass damage event ( 14 ).<br />
Parties can and will agree on some form of abstract damage scheduling that<br />
diverges from the restitutio in integrum ideals of the law of damages ( 15 ). In<br />
practice, individual claimants may receive less compensation than they<br />
would have obtained individually – the settlement may be a trade-off between<br />
a certain sum and the uncertainty of litigating individual claims. In<br />
( 11 ) Art. 7:907 CC.<br />
( 12 ) Note that the Court should also prevent the compensation scheme forwarded by the<br />
settlement from overcompensating the injured individuals; see Art. 7:909 (4) CC.<br />
( 13 ) As said, Art. 7:909 (4) CC indicates that the injured individuals may not be evidently<br />
overcompensated, but undercompensation as such seems possible, especially in light of the<br />
uncertainty that the tortfeasor is actually liable.<br />
( 14 ) Van Boom, pp. 171-92, p. 186.<br />
( 15 ) Van Boom, pp. 171-92, p. 180.
DIBATTITI 73<br />
theory, it may be possible that certain claimants receive more compensation<br />
than they would be entitled to individually, a situation that is inherent to<br />
the nature of a settlement: some may gain, others may lose.<br />
c. Advantages of collective action<br />
Among the advantages of this type of procedure is that there are no direct<br />
costs for individual claimants and the work is undertaken by the representative<br />
organisation ( 16 ). Moreover, there are easy options to opt-out if<br />
victims do not want to be bound by the contract that led to very low procedural<br />
risks. Note that victims who are unknown to the organisation at the<br />
time of settlement can possibly also benefit from the settlement. Furthermore,<br />
once a settlement is reached, the WCAM procedure offers a speedier redress<br />
for multiple parties than individual court claims would ( 17 ).<br />
It has also been said that there is an advantage in terms of bargaining power,<br />
as the tortfeasor will be more willing to reach a collective settlement ( 18 ).<br />
In addition, It is regarded as highly likely that the tortfeasor will correctly<br />
execute the damage settlement ( 19 ). The alleged tortfeasor benefits from the<br />
settlement if and to the extent that individual claimants do not opt out of<br />
the mass settlement; therefore, there is some pressure on the tortfeasor to<br />
propose a settlement that is optimally beneficial to the individual claimants<br />
so that they do not feel the need to opt out and pursue their claims individually.<br />
For this reason, the settlement can be expected to be reached ‘in the<br />
shadow of the law’. The main benefit for the tortfeasor in dealing with all cases<br />
in one go is to achieve efficient closure of the entire episode; therefore,<br />
the tortfeasor will have to weigh the uncertainties in terms of the number of<br />
outstanding and dormant claims, the expected number of claimants opting<br />
out, and thus the expected net costs of the settlement ( 20 ). However, if the<br />
tortfeasor does not expect that individual claims will go to court independently<br />
– for example, because the claims are for individually insignificant<br />
small sums – the chances that a settlement is actually reached voluntarily<br />
may be slim.<br />
As far as attorney remuneration is concerned, the Dutch model is a far<br />
( 16 ) Stuyck, p. 11.<br />
( 17 ) Loos, p. 41. However, procedures at the Dutch ADR body, the Geschillencommissie<br />
(Complaints Board) are generally even faster.<br />
( 18 ) Loos, p. 2.<br />
( 19 ) Stuyck, p. 11.<br />
( 20 )From the number of people opting out, he can calculate the remaining risk of further<br />
claims.
74 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
cry from the USA-type class action. Dutch attorneys do not gain excessively<br />
from the mass settlement; currently, members of the Dutch bar are not<br />
allowed to operate under a contingency fee arrangement, and therefore the<br />
hourly fee model is used.<br />
d. Costs of the procedure<br />
Among the procedural costs are those of notifying interested parties,<br />
the costs of professional support, and the costs of publishing the Court<br />
declaration ( 21 ). The Court decides who bears the procedural costs (Art.<br />
1016(2) CC). This can be any of the contracting parties ( 22 ). While consumer<br />
associations generally bear the costs for the individual consumers, it stands<br />
out that in fact consumer organisations are regularly created ad hoc to negotiate<br />
the settlement, and are then financed by a low membership fee ( 23 ).<br />
As to the costs before the court proceedings, it is up to the parties to<br />
agree upon arrangements concerning these. Details for the execution of the<br />
settlement and the procedure as to awarding damages are set out in the contract<br />
itself (Art. 7:907(2)(e) and (3)(b) and [c]). Generally, the tortfeasor will<br />
be charged with the costs of this phase. All in all, the negotiation phase that<br />
precedes the court procedure will be used to reach consensus on who will<br />
bear what costs.<br />
Note that initially the costs of negotiations have to be borne by the parties<br />
themselves. Unlike in certain other countries, Dutch consumer associations<br />
are not lavishly supported by state subsidies. Hence, their resources<br />
to initiate representative actions and to negotiate mass settlements are<br />
limited. These consumer associations may be wrung dry in the negotiations<br />
process itself, and any strategy aimed at litigating their way towards a settlement<br />
will fail. Associations are hardly ever eligible for public legal aid;<br />
therefore, the expenses are financed by membership fees ( 24 ). Moreover,<br />
Dutch rules on cost shifting are such that the prevailing party can only partially<br />
shift court fees and attorney fees to the losing opponent ( 25 ). Consequently,<br />
( 21 ) Loos, p. 6.<br />
( 22 ) Stuyck, p. 11.<br />
( 23 ) Consumers who are not members of the consumer organization, and who benefit<br />
from the settlement that is declared binding on all consumers, do not really bear any costs. In<br />
the Dexia case, for instance, Dexia had to pay the costs of notifying interested parties and of<br />
the appointed expert, cf. Loos, p. 7.<br />
( 24 ) Loos, p. 38.<br />
( 25 ) Tuil M. L., The Netherlands’ in Vogenauer; Tulibacka M. and Hodges C., Funding<br />
and Costs of Civil Litigation: A Comparative Perspective (Civil Justice Systems), pp. 401-420.
DIBATTITI 75<br />
the financial incentives for consumer associations are geared towards responsive<br />
amicable settlement.<br />
e. Position of individual claimants<br />
Individuals can be heard during the court hearing. They can also oppose<br />
the settlement. While the Court can give parties the opportunity to modify<br />
the settlement during the procedure, it has no powers to oblige them to make<br />
certain modifications (Art. 7:907 (4) CC) ( 26 ). During the petition procedure,<br />
interested third parties will also be given notice to appear at the hearing.<br />
While the individual has the opportunity to oppose – at his own expense<br />
– the settlement, the position of individual claimants during the court procedure<br />
seems to be weak. Should individuals want to intervene in the procedure,<br />
they would have to be responsible for their own costs ( 27 ).<br />
If the court decides that the settlement is of general benefit, and it thus<br />
declares the settlement binding, the only solution for individuals who do<br />
not want to be bound to the settlement is to opt out. The interested persons<br />
entitled to compensation under the settlement automatically become party<br />
to a contract without their explicit consent (Art. 7:908 (1) CC). Instead, the<br />
initiative is on them to opt out of the contract if they deem it unfavourable<br />
(Art. 7:908 (2) CC) ( 28 ). By opting out, they basically withdraw from the contract.<br />
This must be done individually and in writing ( 29 ).<br />
Naturally, if the settlement is unfavourable for the injured individuals,<br />
they may choose to opt out ( 30 ). This may affect the alleged tortfeasor, in the<br />
sense that he experiences that too few individuals are still ‘on board’. To ca-<br />
( 26 ) Stuyck, p. 10.<br />
( 27 ) Stuyck, p. 11.<br />
( 28 ) Van Boom, pp. 171-92, p. 184.<br />
( 29 )The parties to the settlement shall specify in their petition and the Amsterdam Court<br />
will confirm in its decision the addressee of the opt-out notification (Art. 7:907 (2) (f); Art.<br />
7:908 (2) CC). Note that the possibility to opt out only exists once the settlement has been declared<br />
within a period set by the court of at least three months as of the date of publication.<br />
( 30 ) In Art. 7:908 (3) CC, it is provided that the Court’s declaration that the agreement is<br />
binding shall have no consequences for an injured individual who could not have known of<br />
his loss at the time of the public announcement if, after becoming aware of the loss, he has<br />
notified the administrator of his wish not to be bound. This allows for an extension of the opt<br />
out-period, although the administrator of the fund has the power to provoke a decision on the<br />
part of the injured individual by giving notice in writing of a period of at least six months, during<br />
which that person can state he does not wish to be bound. After this period has lapsed,<br />
the right to opt out expires.
76 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
ter for this eventuality, the joint power to cancel the settlement was conferred<br />
on the parties to the contract. Under specific circumstances set out in Art.<br />
7:904 (4) CC, parties to the settlement have the power to cancel the contract<br />
for lack of a substantial number of participants.<br />
It stems from the design of the WCAM procedure that if the representative<br />
stops the negotiations, an individual can still individually sue the tortfeasor,<br />
or even initiate new settlement negotiations with a new representative<br />
body. The individual does not have any right of appeal against the<br />
declaration by the Amsterdam Court; if he disagrees, he should exercise his<br />
opt-out right. Joint petitioners can appeal in cassation against the decision<br />
by the Amsterdam Court (Art. 1018 (1) CCP). The Supreme Court may then<br />
quash or affirm the Amsterdam Court decision on points of law ( 31 ).<br />
f. Potential conflict with other procedures<br />
It stems from the design of this mechanism that negotiations take place<br />
between one representative association or foundation or a joint group of associations<br />
on the one hand and the tortfeasor(s) on the other. Furthermore,<br />
any foundation or association that was not party to the settlement – but that<br />
does represent the interests of the injured individuals involved and has full<br />
legal capacity – can join the procedure to give its opinion on the petition and<br />
to file a defence against it (Art. 1014 CCP) ( 32 ). In this instance, they can express<br />
why the Court should not declare the contract binding. Typically, it<br />
will be plaintiffs that cannot enjoy compensation for not being recognised<br />
as victims ( 33 ). The Court has the possibility to refuse to declare the settlement<br />
binding due to a lack of representativity. It is, however, not among its<br />
powers to declare the contract binding on them as well.<br />
A different type of conflict exists between the collective procedure pursuant<br />
to the WCAM 2005 and individual settlements. The special design of<br />
the WCAM is concerned with the collective settlement process. The contractual<br />
nature of the settlement is emphasised by the fact that the WCAM<br />
2005 is part of Book 7 (special contracts) of the Civil Code. Theoretically,<br />
the settlement contract can be concluded at any stage of the conflict, and,<br />
strictly speaking, there is no need for a preliminary court procedure in<br />
which the tortfeasor is considered liable in tort. He may well enter the settlement<br />
precisely with the purpose of avoiding being held liable. The settle-<br />
( 31 ) See further details at Van Boom, pp. 171-92, p. 186.<br />
( 32 ) See Art. 1014 CCP; See further details at Van Boom, pp. 171-92, p. 182; Loos, p. 3.<br />
( 33 ) Stuyck, p. 10.
DIBATTITI 77<br />
ment contract can thus serve the purpose of avoiding court procedure on<br />
the liability issue. Indeed, the very nature of a settlement is that it aims at<br />
ending or preventing uncertainty or dispute regarding the legal relationship<br />
between the alleged tortfeasor and the injured individuals ( 34 ).<br />
The contractual form of the settlement allows the parties to include<br />
specific clauses in the settlement that are not covered by the Act, such as<br />
clauses on choice of law and forum, on board approval condition, on confidentiality<br />
issues, and on dispute settlement, as well as on modification or<br />
termination – for example, if the Amsterdam Court denies or the Supreme<br />
Court voids the binding declaration ( 35 ).<br />
3. – Some remarks on strengths and weaknesses of the WCAM model<br />
In order to contribute to a discussion of the possible design of a class action,<br />
it can be helpful to identify some of the strengths, weaknesses, and<br />
gaps relating to the WCAM. While the WCAM 2005 is certainly not perfect,<br />
it is overly described as a ’meaningful step forward’ when it comes to improving<br />
legal responses with regard to compensating victims of mass damage<br />
cases ( 36 ). The Act in practice is of high relevance for securities litigation,<br />
even though the intention of the legislator was primarily to design a mechanism<br />
for the settlement of events causing mass personal injury (particularly<br />
the DES case) ( 37 ).<br />
In one of the WCAM-approved settlements, the grapes were especially<br />
sour for individuals who did not opt out but who later turned out to have been<br />
entitled – had they opted out – to more compensation than they obtained<br />
through the settlement. A specific group of claimants who opted out of the<br />
settlement were in fact granted higher compensation in their subsequent<br />
individual court cases ( 38 ). This unintended effect is a disincentive for associations<br />
to engage in settlement negotiations, and must be avoided at any<br />
cost. Therefore, the legal position, validity, and extent of individual claims<br />
needs to be charted meticulously before any collective settlement is agreed.<br />
The Dutch legislature is considering amendment of the law to ensure that<br />
( 34 ) Art. 7:900 CC.<br />
( 35 ) Van Boom, pp. 171-92, p. 180.<br />
( 36 ) See e.g. Croiset van Uchelen, Handhaven of bijschaven De effectiviteit van de<br />
WCAM, Weekblad voor Privaatrecht, Notariaat en Registratie (WPNR) 2008, 805.<br />
( 37 )T. Arons and W. H. Van Boom, Beyond Tulips and Cheese: Exporting Mass Securities<br />
Claim Settlements from The Netherlands, in Eur. Business Law Rev., 2010, pp. 857-883, p. 866.<br />
( 38 ) Van Boom, pp. 171-92, p. 190.
78 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
issues of law are brought before the Supreme Court in a special procedure<br />
on preliminary rulings. This new procedure – if enacted – would improve<br />
the basis of any subsequent settlement.<br />
If we look at the current situation under the WCAM, the behavioural<br />
incentives of three main players are at stake: first, there are the incentives<br />
for the individual to opt out; second, the incentives for the consumer association<br />
to take up negotiations in the first place; third, the incentives for the<br />
tortfeasor to cooperate in the settlement negotiations. The current design<br />
shows inherent limitations. Individuals might be inclined to opt out if they<br />
realise that they will be granted more compensation in an individual case.<br />
In fact, if the majority of claimants choose to opt out, the entire settlement<br />
will collapse. Apparently, by not opting out of the settlement, the injured<br />
individuals prefer a certain and comparatively swift payout to an uncertain<br />
procedure ( 39 ).<br />
For consumer associations, it is clear that to engage in this type of proceedings<br />
is very costly in the negotiation phase, particularly because many<br />
expenses have to be advanced. Only if they obtain a positive settlement<br />
outcome will associations have the opportunity of recouping these costs ( 40 ).<br />
The success of the voluntary negotiations depends strongly on the tortfeasor’s<br />
incentives to engage in them: no one can force him to agree to a<br />
settlement. If the best alternative to a negotiated collective settlement is to<br />
advance with all individual claims in individual court cases, the willingness<br />
to settle may depend on the tortfeasor’s assessment of the number of<br />
claims, the likelihood of success of such claims, the legal cost, and the expected<br />
losses involved. Moreover, it seems that less easily observable factors<br />
can come into play as well, such as political pressure and risks to repu-<br />
( 39 ) Van Boom, pp. 171-92, p. 189 mentions a related matter. Another issue is a serious risk<br />
of free rider behavior on the part of consumers. The law does not require consumers to become<br />
a member of a representative association in order to profit from settlements negotiated<br />
by such associations. Thus, rational choice theory predicts that informed consumers will wait<br />
for the negotiations by the tortfeasor and the representative organization to result in an advantageous<br />
settlement, and then decide whether to obtain the compensation offered by the<br />
settlement or to opt out. Such behavior would not cost the consumer anything and might<br />
only benefit him. It would render the representative activities of consumer foundations and<br />
associations a ‘public good’, leaving these organizations without private funding. In practice,<br />
however, it seems that most Dutch consumers (are they perhaps not fully informed) are more<br />
than willing to donate contributions voluntarily to associations and foundations that negotiate<br />
a settlement in the interest of all injured consumers.<br />
( 40 ) Cf. Loos, p. 35.
DIBATTITI 79<br />
tation ( 41 ). Furthermore, the cases that have come up so far have involved<br />
large-scale damage at the individual level. Successful cases involving trifling<br />
damages are unlikely to occur, as there is no underlying threat that individual<br />
consumers would start a lawsuit that could convince the tortfeasor<br />
to negotiate ( 42 ). The gap this mechanism leaves is thus to be found<br />
mainly where the tortfeasor has no incentives to arrive at a settlement.<br />
Hence, the WCAM does not explicitly address the issue of widespread<br />
scattered losses ( 43 ).<br />
Franziska Weber -Willem H. van Boom<br />
( 41 ) Van Boom, 171-92, p. 180.<br />
( 42 )Cf. Loos, p. 16.<br />
( 43 )On this type of damage, see, e.g., Van Boom, De minimis curat praetor: redress for dispersed<br />
trifle losses, in Journal Comp. Law, 2009, pp. 171-185.
Saggi<br />
VINCENZO VIGORITI<br />
<strong>Europa</strong> e mediazione. Problemi e soluzioni (*)<br />
Sommario: 1. Introduzione. Il quadro di riferimento. L’oggetto della consultazione. – 2. Le<br />
lacune nell’informazione (quesiti 1-4). – 3. Coinvolgimento di commercianti e fornitori:<br />
l’ADR obbligatoria (quesiti 5-8). – 4. Diffusione sul territorio e specializzazione<br />
(quesiti 9-13). – 5. Le risorse finanziarie (quesiti 14-16).<br />
1. – Il 18 gennaio 2011 la Commissione europea, e per essa la DG Sanco,<br />
ha pubblicato un consultation paper sull’uso degli strumenti di ADR in materia<br />
commerciale in <strong>Europa</strong>. È l’ultimo di una serie di documenti di varia<br />
provenienza: dalle raccomandazioni fondamentali del 1998 (98/257/CE) e<br />
del 2001 (2001/310/CE) alla Direttiva 21 maggio 2008 del Parlamento europeo<br />
e del Consiglio ( 1 ), fino alle Direttive di settore (e-commerce, servizi postali,<br />
servizi finanziari, energia) che talvolta semplicemente sollecitano l’adozione<br />
di programmi ADR, e talvolta invece ne impongono la realizzazione<br />
( 2 ).<br />
Infine, nell’ottobre 2009 è stato pubblicato un volume che riferisce di<br />
un’indagine importante promossa dalla Commissione, DG Sanco, e svolta<br />
da un ente specializzato, il Civic Consulting di Berlino. Questo ente era stato<br />
incaricato di verificare l’esistenza e controllare il funzionamento delle<br />
procedure di ADR negli Stati membri dell’Unione e ha quindi diffuso i risultati<br />
dell’indagine: 163 pagine che descrivono la situazione nei vari siste-<br />
(*) Parere redatto per conto del Conseil des barreaux européens – Council of Bars and Law<br />
Societies of Europe – CCBE, che è organo consultivo dell’Unione europea per la professione<br />
forense. Sono aggiunti i riferimenti al diritto italiano con le relative note.<br />
( 1 ) Su cui Vigoriti, La direttiva europea sulla mediation. Quale attuazione, in Riv. arb.,<br />
2009, p. 1.<br />
( 2 ) Gli scritti in tema sono ormai innumerevoli: per tutti ved. Galletto, Il modello italiano<br />
di conciliazione stragiudiziale in materia civile, Milano, 2010, p. 10 ss., ed ivi la menzione<br />
delle ipotesi di mediation obbligatoria in <strong>Italia</strong>.
82 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
mi e che concludono nel senso che, pur nella diversità delle esperienze, i<br />
principi fondamentali scanditi nelle raccomandazioni del 1998 e del 2001<br />
sono rispettati e attuati e che ormai non si discute più sull’an, ma solo sul<br />
quomodo ( 3 ).<br />
Il consultation paper muove dalle esperienze finora maturate e sollecita<br />
contributi per la migliore attuazione dei programmi. L’ottica è quella tradizionale:<br />
si tratta del contenzioso che coinvolge i consumatori nei rapporti<br />
aventi caratteri cross border, tendenzialmente in rete, rapporti che sono<br />
quantitativamente importanti, ma certo meno numerosi di quelli che si instaurano<br />
abitualmente all’interno dei singoli Stati. Il quadro di riferimento<br />
è quello dell’accesso alla giustizia, che è uno dei problemi centrali dell’Unione<br />
(art. 81 Trattato), a cui il CCBE (e al suo interno la commissione Access<br />
to Justice) dedicano particolare attenzione.<br />
Com’è noto, da sempre e fino a pochi anni fa, la giustizia in <strong>Europa</strong> è<br />
stata problema d’élite e non di massa. In tutti i Paesi, il numero delle controversie<br />
era ragionevolmente limitato, con costi modesti e durata dei processi<br />
tutto sommato accettabile, erano spesso previsti più gradi di giudizio,<br />
erano ammessi nuovi accertamenti di fatto anche in grado di appello,<br />
e veniva garantito l’accesso alle giurisdizioni superiori. Quel modello è<br />
stato travolto in modo irreversibile, e da anni si registra una vera e propria<br />
law explosion, nel senso dell’emergere e del riconoscimento di una moltitudine<br />
di nuovi diritti (consumatori, minoranze, diritti di genere, ecc.)<br />
fonte di un numero illimitato di controversie, di tipo radicalmente diverso<br />
da quello conosciuto. Il costo è rimasto praticamente invariato, ma la durata<br />
è diventata incontrollabile, ed è per di più utilizzata come deterrente<br />
all’accesso alla giustizia. Il numero e l’impegno dei giudicanti non può essere<br />
incrementato più di tanto, né si possono aumentare le risorse, che<br />
concorrono con quelle destinate a soddisfare altre non meno importanti<br />
esigenze.<br />
Più che nuove risorse occorrono nuove idee: l’ADR è la più importante<br />
di queste. In brevissimo tempo, la ricerca e la diffusione di strumenti di<br />
composizione delle controversie alternativi a quelli strettamente giudiziali<br />
è diventato impegno prioritario in tutta <strong>Europa</strong>, con un mutamento di prospettiva<br />
radicale. Il contenzioso dei consumatori, protagonisti della scena<br />
commerciale, non può essere convogliato verso le Corti, magari nella speranza<br />
utilitaristica, ma non certo nobile che in quella rete di adempimenti,<br />
( 3 ) Vigoriti, Nodo dell’organizzazione e “limature” tecniche ma l’istituto resta un’opportunità<br />
per i legali, in Guida al dir., 2010, n. 17, p. 23.
SAGGI 83<br />
rinvii, impugnazioni, perda ogni spinta propulsiva, ma va gestito in sedi e<br />
con modalità diverse. Appunto alternative, di ADR: l’arbitrato e la mediation.<br />
Il consultation paper propone una trattazione unitaria dei due istituti,<br />
accomunati sì dal fatto che la definizione delle controversie avviene fuori<br />
dal giudizio statale con l’intervento di un terzo, ma nettamente distinti in<br />
questo: in un caso, il terzo può emettere provvedimenti autoritativi e vincolanti<br />
per le parti (arbitrato), mentre nell’altro può solo, suggerire e favorire<br />
il raggiungimento di un accordo di carattere contrattuale fra le parti (mediation).<br />
Anche il consenso delle parti sulla devoluzione a terzi, tratto essenziale<br />
condiviso, ha portata diversa: nell’arbitrato, riguarda soprattutto il momento<br />
iniziale e la gestione del procedimento, ma non quello finale di emanazione<br />
del lodo. Il provvedimento è infatti “sentence”, sia pure “arbitrale”<br />
(formula efficace anche di recente ribadita dall’ordinamento francesce), e si<br />
impone alle parti, anche se queste non lo vogliono. Nella mediation, il consenso<br />
ha rilevanza soprattutto nel momento finale, perché non ci sono vincitori<br />
e vinti, ma solo accordi con valenza contrattuale. Se non c’è accordo, il<br />
tentativo di definizione fallisce e la controversia non si compone.<br />
Ecco il punto 6 del paper:<br />
“The present document refers to dispute resolution procedures which are designed<br />
as an alternative to resolving a dispute in a court. These procedures enable<br />
the consumer to obtain compensation for harm suffered as a consequence of<br />
an illegal practice by a trader. It covers out-of-court mechanisms that lead to<br />
the settling of a dispute through the intervention of a third party. The third party<br />
can propose or impose a solution, or merely bring parties to assist them in finding<br />
a solution”.<br />
La DG Sanco sollecita dunque pareri su un’ipotesi di contenzioso tutto<br />
sommato limitata: quella che vede i consumatori instaurare un rapporto diretto<br />
con un trader avente sede in uno Stato diverso, sempre nell’Unione.<br />
Dai dati statistici emerge che il numero di questi rapporti non è grande,<br />
e ancor più ridotto è quello dei rapporti che sfociano in un contenzioso. La<br />
grandezza “limitata” è valutazione solo quantitativa in confronto ai rapporti<br />
strettamente nazionali, infinitamente più numerosi con percentuali di<br />
contenzioso assai più significative. Il metodo è quello di sollecitare risposta<br />
ai quesiti che il paper solleva.<br />
2. – Quesito 1 – What are the most efficient ways to raise the awareness of national<br />
consumers and consumers from other Member States about ADR schemes<br />
Il quesito postula che il consumatore che assume di aver subìto una le-
84 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
sione in un rapporto cross border abbia interesse a trovare un programma di<br />
ADR (arbitrato o mediation) nello Stato di provenienza del trader professionista.<br />
Se così fosse, e se quindi il consumatore fosse costretto ad attivarsi all’estero,<br />
sarebbe facile anticipare l’insuccesso dell’ADR perché il consumatore<br />
dovrà superare più o meno gli stessi ostacoli che incontrerebbe se decidesse<br />
di agire in giudizio (spese, lingua, incertezza dell’esito), ostacoli evidenziati<br />
nel consultation paper.<br />
Occorre dunque che anche in materia di ADR venga stabilita una regola<br />
analoga a quella valida per i processi di fronte al giudice, in forza della<br />
quale il consumatore agisce o viene convenuto nello Stato di sua residenza<br />
e non in quello in cui opera il trader (art. 16 ss., Reg. 44/01) ( 4 ). Ne deriva che<br />
l’informazione interessante per i consumatori dovrebbe essere, soprattutto,<br />
quella che riguarda i programmi interni nazionali e non tanto quella sui<br />
programmi degli altri Stati. Per l’<strong>impresa</strong> varrà la regola contraria, per cui se<br />
il trader intende prendere lui l’iniziativa, dovrà rivolgersi all’ADR esistente<br />
negli Stati in cui risiede il consumatore, ma in questo caso, data la diversità<br />
di mezzi e capacità, l’informazione sarà più facilmente ottenibile.<br />
Precisato il diverso interesse delle parti, si deve comunque auspicare la<br />
massima diffusione dei programmi di settore, a livello interno e cross border,<br />
in via telematica (che è il canale meno costoso), ed eventualmente tramite<br />
altri media, nella lingua nazionale e in altra presumibilmente conosciuta<br />
nella zona di diffusione. Il contenuto può essere limitato all’essenziale<br />
con il rinvio ai siti menzionati.<br />
Quesito 2 – What should be the role of the European Consumer Centres<br />
Network, National authorities (including regulators) and NGOs in raising consumer<br />
and business awareness of ADR<br />
Trattandosi di diffondere l’informazione, sarebbe improprio vietare a<br />
qualcuno di contribuire, per cui va visto con favore il fatto che notizie possano<br />
essere fornite dai Networks delle associazioni di consumatori, dalle<br />
NGO e dalle autorità degli Stati. Naturalmente è necessario un coordinamento<br />
per evitare duplicazioni e dispersioni e il compito potrebbe venire affidato<br />
alle autorità competenti dei vari Stati. Altrimenti ciascuna organizzazione<br />
potrà rivolgersi al proprio bacino di utenza, nello Stato in cui ha sede<br />
e/o negli Stati in cui è presente.<br />
Quesito 3 – Should businesses be required to inform consumers when they<br />
are part of an ADR scheme If so, what would be the most efficient ways<br />
( 4 ) Nel senso che le regole sulla competenza garantiscono l’effettività della tutela giurisdizionale<br />
ved. Corte UE, 29 ottobre 2009, causa C-63/08, Pontin c. T-Comalux S.A.
SAGGI 85<br />
La risposta deve essere positiva. Non è eccessivo imporre al trader di informare<br />
il consumatore sul fatto che, in caso di controversia, esiste la possibilità<br />
di usufruire di un servizio di ADR. Tale obbligo è già previsto, in vari Paesi, in<br />
vari settori. Ad esempio, in <strong>Italia</strong> per le controversie in materia di comunicazioni<br />
e di servizi finanziari di controllo della borsa (Consob) sono previsti reclami,<br />
ricorsi interni e altro prima dell’accesso al giudice ( 5 ). Naturalmente,<br />
tutto senza preclusioni sulla residenza o sulla cittadinanza dei consumatori.<br />
L’informazione può accompagnare l’offerta commerciale oppure, in alternativa,<br />
può comparire nel sito del trader, nella pubblicità informativa o in<br />
qualsiasi altro luogo funzionale a far sapere al consumatore che in caso di<br />
conflitto esiste una possibilità di definire lo stesso senza ricorrere necessariamente<br />
ai giudici di uno Stato.<br />
Si noti tuttavia che l’informazione riguarderà probabilmente i programmi<br />
di ADR stabiliti nel Paese in cui il trader ha la sede, e non in tutti quelli<br />
in cui opera, per cui l’aiuto al cross border consumer risulterà limitato. Di<br />
nuovo, risulta essenziale stabilire una regola di competenza territoriale analoga<br />
a quella prevista per i processi statali, regola che consenta ai consumatori<br />
di chiamare il trader di fronte alle organizzazioni di ADR stabilite nel<br />
loro Stato di appartenenza.<br />
Quesito 4 – How should ADR schemes inform their users about their main<br />
features<br />
( 5 ) Di recente, Telepass s.p.a. ha proposto di modificare il contratto con gli utenti inserendo<br />
la seguente clausola: “TLP aderisce all’Accordo tra Autostrade per l’<strong>Italia</strong> S.p.A. e le<br />
Associazioni dei Consumatori Adoc, Adusbef, Codacons e Federconsumatori, attuali firmatarie<br />
del Protocollo di Conciliazione che prevede la costituzione di un Ufficio di Conciliazione<br />
per la risoluzione extragiudiziale delle controversie mediante la Procedura di conciliazione.<br />
I Clienti di Telepass S.p.A., rappresentati dalle predette Associazioni, se insoddisfatti per<br />
la risposta ad una contestazione, possono risolvere in modo semplice e rapido le controversie<br />
inerenti l’errata gestione dei contratti Telepass.<br />
La procedura è gratuita per il Cliente, salve le spese relative alla corrispondenza inviata.<br />
La domanda di conciliazione – presentata mediante apposito modulo disponibile sul sito<br />
www.telepass.it ovvero presso i Punto Blu e le sedi territoriali delle Associazioni dei Consumatori<br />
– va inoltrata, con Raccomandata A/R, all’indirizzo indicato al precedente art. 7.2 o via<br />
fax al numero 06.4363.2180 o via e-mail all’indirizzo conciliazione@autostrade.it. La domanda<br />
sarà esaminata da una Commissione di Conciliazione composta da un conciliatore di TLP e<br />
da un conciliatore di una delle Associazioni dei Consumatori.<br />
In caso di accordo tra le Parti la conciliazione si conclude con la definizione della pratica.<br />
Il cliente è libero di accettare o di rifiutare la soluzione proposta. La Procedura si conclude comunque<br />
non oltre 120 giorni dalla data di ricezione della domanda. Il ricorso all’Ufficio di<br />
Conciliazione non priva il Cliente del diritto di adire, in qualunque momento, l’Autorità giudiziaria<br />
competente”.
86 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Se l’informazione non è già fornita in altro modo, occorre che tutti i dettagli<br />
dell’accesso al programma siano disponibili in rete, sul sito pertinente,<br />
tendenzialmente in più lingue.<br />
I tratti essenziali da riportare devono riguardare: 1) le modalità di accesso<br />
(application forms prestampate che il consumatore può scaricare facilmente<br />
dal computer); 2) modalità di gestione (orale, scritta) e tempi per la<br />
presa in carico (settimane o mesi dalla domanda); 3) costo e durata della<br />
procedura; 4) notizie sul contenuto del provvedimento (risarcimento del<br />
danno; restituzione della cosa); 5) possibilità di esecuzione forzata di una<br />
decisione favorevole; 6) nel caso di mediation, efficacia dell’accordo raggiunto<br />
o conseguenze e preclusioni del mancato accordo.<br />
3. – Quesito 5 – What means could be effective in persuading consumers<br />
and traders to use ADR for individual or multiple claims and to comply with<br />
ADR decisions<br />
Occorre distinguere le due ipotesi di ADR.<br />
1) Arbitrato – La decisione con cui gli arbitri decidono una controversia<br />
(sentence arbitrale, award, lodo) è efficace fra le parti come una sentenza dei<br />
giudici ed è quindi suscettibile di esecuzione forzata. Per stimolare l’adempimento<br />
spontaneo ed evitare le formalità del processo esecutivo, si potranno<br />
fissare delle astreintes da imporre in caso di ritardo ( 6 ).<br />
2) Mediation – Qui non ci sono decisioni, ma solo accordi contrattuali<br />
stipulati dalle parti, per cui l’esecuzione spontanea dovrebbe essere la regola.<br />
Può accadere tuttavia che una delle parti cambi opinione e si rifiuti di rispettare<br />
quanto già pattuito.<br />
Per forzare l’adempimento, si può pensare ancora alle astreintes oppure<br />
a dotare il contratto o comunque il verbale di conciliazione stipulato in sede<br />
di ADR di una particolare efficacia esecutiva, tale da consentire l’esecuzione<br />
forzata del titolo, pur se non giudiziario. Nella stessa ottica, si potrebbe<br />
stabilire che il titolo valga anche per iscrivere ipoteca ( 7 ).<br />
Quesito 6 – Should adherence by the industry to an ADR scheme be made<br />
mandatory If so, under what conditions In which sectors<br />
La risposta può essere positiva. Le organizzazioni che raccolgono le in-<br />
( 6 )L’ordinamento italiano conosce diverse ipotesi di astreintes (ad esempio nella disciplina<br />
sulla proprietà intellettuale) e nel 2009 ha introdotto una norma specifica (art. 614 bis, c.p.c.<br />
concernente l’attuazione degli obblighi di fare infungibile, o di non fare). Nello stesso senso<br />
è l’art. 11 d.lgs. n. 28/10.<br />
( 7 )Ved. l’art. 12, d.lgs. n. 28/10, una disposizione, questa, che dà il senso dell’irrevocabile<br />
e quindi può suscitare timori.
SAGGI 87<br />
dustrie di un certo settore potrebbero elaborare programmi di ADR (arbitrato<br />
e mediazione) vincolanti per tutte le imprese affiliate, con l’ulteriore<br />
impegno che in caso di controversia esse dovranno prima cercare una sistemazione<br />
in ADR e solo poi, nel caso di rifiuto o insuccesso del tentativo,<br />
eventualmente agire in altre sedi.<br />
Si dubita, tuttavia, che la cosa possa essere utile ai consumatori cross<br />
border. I programmi di ADR saranno infatti organizzati all’interno dello<br />
Stato in cui una certa industria opera, ma per essere veramente utili ai consumatori<br />
cross border occorrerebbe che essi fossero presenti anche negli altri<br />
Stati membri, quelli nei quali si è instaurato o ha avuto esecuzione il rapporto<br />
contenzioso. Altrimenti, resterà il problema già menzionato: i consumatori<br />
che non possono agire nel loro Stato non se la sentiranno di attivarsi<br />
all’estero, pur sapendo che la controparte si è impegnata a partecipare ad<br />
un programma di ADR.<br />
Quesito 7 – Should an attempt to resolve a dispute via individual or collective<br />
ADR be a mandatory first step before going to court If so, under what conditions<br />
In which sectors<br />
La risposta deve distinguere le due ipotesi di ADR.<br />
1) Arbitrato – Nei Paesi dell’Unione sarebbe illegittimo imporre alle parti<br />
di instaurare un procedimento arbitrale in luogo dell’azione. Per due ragioni:<br />
a) perché il ricorso agli arbitri è espressione di autonomia privata e<br />
non può essere imposto ai singoli, e b) perché il diritto di agire in giudizio è<br />
costituzionalmente garantito a livello comunitario, come a livello degli ordinamenti<br />
statali. Va dunque escluso che l’arbitrato possa essere un mandatory<br />
first step, il cui esito pregiudica l’accesso alla giustizia.<br />
Per la verità, la tentazione di imporre una qualche forma di arbitrato ex<br />
lege è risalente anche in <strong>Italia</strong>. Si ricorderà che si era pensato di attenuare il<br />
vincolo disponendo che la parte potesse semplicemente rifiutarlo, agendo<br />
quindi in giudizio senza condizionamenti; si era proposto che il consumatore<br />
fosse vincolato all’esito del procedimento solo se a lui favorevole (secundum<br />
eventum litis); si era detto infine che l’arbitrato ex lege sarebbe stato<br />
tollerabile, se la tutela fosse stata sostanzialmente “equivalente” a quella ottenibile<br />
in giudizio. Tutto inutile: l’arbitrato è legittimo solo se la sua fonte<br />
è la concorde volontà delle parti.<br />
2) Mediation – Qui il discorso è diverso, non essendovi ostacoli alla previsione<br />
di un ricorso facoltativo oppure obbligatorio, naturalmente sia nel<br />
contenzioso cross border che in quello interno.<br />
In astratto, nulla impedirebbe scelte diverse nelle due ipotesi, ma probabilmente<br />
se uno Stato impone una certa regola per i rapporti interni il<br />
medesimo comando varrà quando il rapporto ha carattere cross border. È al-
88 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
tresì ragionevole pensare che le controversie transfrontaliere verranno gestite<br />
dagli stessi organi e con le stesse procedure che si adottano per quelle<br />
nazionali, immaginandosi al massimo che gli enti in concreto officiati potranno<br />
valersi di mediatori specializzati nel diritto comunitario e internazionale.<br />
Il carattere facoltativo della mediation rispetta l’autonomia del consumatore,<br />
perché lascia quest’ultimo libero di agire subito in giudizio contro<br />
il trader, se così preferisce. È anche pensabile che il numero degli accessi sia<br />
limitato, e che le sopravvenienze vengano smaltite in tempi brevi. Vi saranno<br />
sempre problemi di organizzazione, perché almeno nella fase iniziale<br />
sarà impossibile organizzare una rete permanente di enti ragionevolmente<br />
numerosi, e dislocati sul territorio nazionale, come sarà impossibile prevedere<br />
l’entità dell’impegno finanziario e di quello logistico (immobili, segreteria,<br />
supporto tecnico, archivi, ecc.). Le singole entità potrebbero essere<br />
sottodimensionate rispetto alla domanda oppure, viceversa, sovradimensionate,<br />
con spreco di risorse.<br />
Ma il modo con cui il quesito è proposto e il linguaggio con cui è presentato<br />
fanno pensare che la Commissione preferirebbe una risposta orientata<br />
nel senso dell’obbligatorietà del tentativo di mediazione. Che è tuttavia<br />
opzione non condivisa generalmente, e comunque non lo è dall’avvocatura<br />
di diversi Stati membri dell’Unione.<br />
I termini del problema sono ormai notissimi. A favore dell’obbligatorietà,<br />
si rileva che l’esperimento di un tentativo preventivo non impedisce<br />
l’accesso alla giustizia che viene soltanto posticipato nell’interesse delle<br />
parti ad una sistemazione più rapida e meno costosa, e anche nell’interesse<br />
generale all’amministrazione della giustizia. Naturalmente l’obbligatorietà<br />
comporta che il tentativo sia considerato condizione di procedibilità dell’azione<br />
in giudizio, che è requisito generalmente tollerato a patto che l’accesso<br />
non sia reso eccessivamente difficile o non risulti dilazionato in misura<br />
troppo sensibile.<br />
Sul piano operativo, si osserva che solo l’obbligatorietà consente di prevedere<br />
l’entità dell’afflusso e quindi permette di organizzare una rete sufficientemente<br />
fitta di enti capaci di fronteggiarlo acquisendo le risorse necessarie<br />
a soddisfare la richiesta (finanziamenti, immobili, supporti logistici,<br />
personale). Si aggiunge che la mediazione obbligatoria offre occasioni di lavoro<br />
agli avvocati, la cui attività potrebbe essere svolta anche nella fase preprocessuale<br />
prevista dalla legge. Il d.lgs. n. 28/10 non prevede però il patrocinio<br />
obbligatorio pur imponendo all’avvocato l’obbligo di informare (art.<br />
4, comma 3, d.lgs. n. 28/10) il cliente delle possibilità di avvalersi del procedimento<br />
di mediazione e dei casi in cui essa è condizione di procedibilità.
SAGGI 89<br />
Militano in senso contrario vari argomenti, anche questi notissimi. Limitandosi<br />
a quelli dibattuti in <strong>Italia</strong>, con riferimento al d.lgs. n. 28/10 e al<br />
d.m. 10 ottobre 2010 n. 180, si osserva che l’obbligatorietà è ostacolo costituzionalmente<br />
illegittimo all’accesso alla giustizia, che viene eccessivamente<br />
ritardata dai quattro mesi concessi per l’esperimento del tentativo. Si rileva<br />
che l’attività del mediatore ha natura giuridica con ricadute, da ritenere<br />
illegittime, anche sull’eventuale successivo processo civile, come si deduce<br />
dalle norme sull’acquisizione delle prove, su un’eventuale CTU, sulle spese,<br />
sulla proposta finale del mediatore. Ci si duole che il tentativo finisca con<br />
l’essere un vero e proprio grado di giudizio, svolto in totale approssimazione<br />
(un surrogato di processo), magari da non tecnici, tale da pregiudicare la<br />
tutela dei diritti dei singoli. E mentre si capisce che la mediazione vada incentivata<br />
(con facilitazioni diverse), non si vede il motivo delle molte “ritorsioni”<br />
a carico degli avvocati, di cui il legislatore aprioristicamente teme<br />
la mancanza di collaborazione. Infine, vari settori della professione forense,<br />
non solo in <strong>Italia</strong>, hanno espresso il timore che la mediazione obbligatoria<br />
riduca le occasioni di lavoro, specie per le controversie minori.<br />
Il TAR Lazio ha ritenuto fondati i dubbi di costituzionalità sollevati con<br />
un ricorso promosso da varie associazioni contro il Ministero della Giustizia<br />
e contro il Ministero dello sviluppo economico, ed ha quindi rinviato alla<br />
Corte costituzionale la relativa questione ( 8 ). In attesa della pronuncia<br />
della Consulta, si può dire che seppure molti Stati europei conoscono ipotesi<br />
più o meno numerose di mediazione obbligatoria, in nessuno ci sono<br />
disposizioni ampie ed invasive come le nostre. Significativo l’art. 13 d.lgs n.<br />
28/10 che dispone per l’inversione del principio della soccombenza nel caso<br />
in cui la sentenza coincida integralmente con il contenuto della proposta rifiutata<br />
dalla parte, vincitrice nel successivo giudizio. La norma tradisce una<br />
valenza intimidatoria nei confronti dell’avvocato e sembra caratterizzare la<br />
mediazione in senso strettamente valutativo preprocessuale e non meramente<br />
facilitativo di un accordo delle parti, più aderente alla natura prettamente<br />
volontaristica della mediazione, che ne avalla la legittimità ancorché<br />
prevista come condizione obbligatoria di procedibilità.<br />
Ora, l’obbligatorietà del tentativo limita l’autonomia delle parti, ma non<br />
è soltanto per questo imposizione incostituzionale, perché si colloca su un<br />
piano strettamente negoziale, avente per contenuto l’invito a trattare seguì-<br />
( 8 )Tar Lazio, sez. I, ord., 12 aprile 2011. Nel senso dell’incostituzionalità si erano espressi<br />
molti autori: fra gli altri Scarselli, L’incostituzionalità della mediazione di cui al d.lgs. n.<br />
28/11, in Foro it., 2011, V, c. 54.
90 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
to dall’accettazione di un’eventuale proposta. Manca pertanto l’elemento<br />
(sgradevole) dell’atto di forza e precisamente del terzo diverso dal giudice o<br />
da un arbitro concordemente scelto. Il che però non basta, dovendo comunque<br />
l’istituto rispondere a canoni di correttezza ed efficienza assolutamente<br />
irrinunciabili. In parte valendosi dei suggerimenti della Corte di giustizia<br />
europea e della Cassazione italiana, si può pensare ad un catalogo di<br />
requisiti che comprenda quanto segue ( 9 ).<br />
1) Il tentativo deve essere esperito in una sede ragionevole e conveniente<br />
per entrambe le parti. Nei rapporti cross-border in cui sono coinvolti i consumatori<br />
detta regola dovrà essere simile a quella prevista dall’art. 16 Reg.<br />
44/01, perché sarebbe vessatorio imporre loro un tentativo, e per di più in<br />
una sede disagevole.<br />
2) L’esperimento dell’ADR può anche essere posto come condizione di<br />
procedibilità della domanda giudiziale, che a rigore dovrebbe essere proposta<br />
solo dopo l’esito negativo del tentativo. Però se la domanda fosse proposta<br />
quando il tentativo non è ancora iniziato, oppure non è ancora concluso,<br />
deve ritenersi ammissibile che il giudice fissi la trattazione ad epoca<br />
successiva all’espletamento dell’incombenza (così l’art. 5, comma 1, d.lgs.<br />
n. 10/08).<br />
3) Controparte non può essere obbligata a partecipare al tentativo di sistemazione,<br />
potendo semplicemente dichiarare di non voler alcuna mediation,<br />
nel qual caso si dovrebbe poter procedere senza indugi. Resta ferma la<br />
soggezione per i costi fissi della procedura. Di nuovo l’art. 8 d.lgs. n. 28/10<br />
introduce un elemento ritorsivo a detrimento della natura volontaristica<br />
della mediazione. La disposizione è particolarmente audace e il giudice potrebbe<br />
desumere ex art. 116 c.p.c argomenti di prova dalla mancata partecipazione<br />
senza giustificato motivo al procedimento di mediazione. Dunque<br />
una valutazione discrezionale legata a un non facere collocato prima o fuori<br />
dal giudizio;<br />
4) La proposta di ADR è atta a provocare la sospensione-interruzione<br />
dei termini per l’esercizio dell’azione in giudizio; non bastando però a questo<br />
fine un generico invito a partecipare al tentativo, occorrendo invece indicazioni<br />
precise sul diritto dedotto, quello che sarà poi l’oggetto del processo.<br />
5) Deve essere assicurata la facoltà di attivarsi in sede cautelare di fronte<br />
al giudice se questo fosse necessario ad assicurare l’utilità dell’eventuale,<br />
( 9 )V. le indicazioni contenute in Corte U.E., 18 marzo 2010, cause riunite C-317/08, C-<br />
318/08, C-319/08, C-320/08, in cui era coinvolta Telecom <strong>Italia</strong>.
SAGGI 91<br />
futura pronuncia giurisdizionale. L’art. 5, nn. 3 e 4, d.lgs. n. 28/10 sembra<br />
coerente con detta esigenza.<br />
6) Il tentativo dovrà essere necessariamente esperito entro un lasso di<br />
tempo ragionevolmente limitato da rapportare alla durata media del processo.<br />
Il d.lgs. n. 28/10 prevede una durata non superiore ai quattro mesi<br />
(art. 6) magari accettabile in <strong>Italia</strong>, ma che certo troverebbe ferma opposizione<br />
in altri Paesi dove tutto il processo dura meno di un anno. Decorso il<br />
termine l’interessato può agire in giudizio, anche interrompendo la mediation<br />
in corso. L’elemento temporale è assolutamente fondamentale, dovendosi<br />
ribadire che se per l’ente prescelto l’afflusso fosse troppo consistente, o<br />
le risorse non sussistessero, o sorgesse un qualunque impedimento, anche<br />
giustificato, in ogni caso il tentativo andrebbe interrotto.<br />
Andranno considerati vari altri fattori. Se ne elencano due:<br />
1) Gli enti gestori dell’ADR possono essere pubblici, come, ad esempio, le<br />
Camere di commercio, oppure quelli organizzati dagli Ordini degli Avvocati e<br />
altri ancora, comunque appoggiati a struttura pubbliche utilizzate senza costi,<br />
oppure a costi ridotti (solo il personale, i servizi), oppure privati. Questi dovranno<br />
dimostrare di avere la capacità finanziaria e organizzativa necessaria, di<br />
avere a disposizione una sede e un numero di mediatori adeguato a gestire un<br />
contenzioso di cui ancora non si conosce la consistenza. Gli enti privati si porranno<br />
in concorrenza con quelli pubblici, i quali saranno avvantaggiati dai minori<br />
costi di impianto, ma meno flessibili, di quelli privati e quindi tendenzialmente<br />
meno efficienti. Nel caso di mediation obbligatoria, i costi dovrebbero<br />
essere ridotti, e uguali in tutti gli enti di ADR, pubblici o privati che siano ( 10 ).<br />
2) C’è un’ambiguità di fondo, assolutamente eclatante nel sistema italiano.<br />
Da un lato, si dice che il tentativo è un esperimento negoziale, e non<br />
un grado di giudizio surrettiziamente inserito, e che per questo è improprio<br />
parlare di limiti all’accesso alla giustizia.<br />
Dall’altro, si moltiplicano le pretese, con una pericolosa deriva verso un<br />
inaccettabile “simil processo”. I mediatori si impegnano a lavorare per compensi<br />
ridotti, ma ovviamente sono tenuti a garantire disponibilità, serietà ed<br />
efficienza. Si pretendono anche conoscenze sulla gestione delle trattative,<br />
( 10 )L’art. 16, comma 4, Tabella A del D.M. 18 ottobre 2010, n. 180 dispone: “Valore della lite<br />
– Spesa (per ciascuna parte). Fino a euro 1.000: euro 65; da euro 1.001 a euro 5.000: euro 130;<br />
da euro 5.001 a euro 10.000: euro 240; dal euro 10.001 a euro 25.000: euro 360; da euro 25.001 a<br />
euro 50.000: euro 600; da euro 50.001 a euro 250.000: euro 1.000; da euro 250.001 a euro 500.000:<br />
euro 2.000; da euro 500.001 a euro 2.500.000: euro 3.800; da euro 2.500.001 a euro 5.000.000: euro<br />
5.200; oltre 5.000.000: euro 9.200”. È anche prevista la possibilità di aumentare fino a 1/5<br />
l’importo dovuto o diminuirlo di 1/3, in presenza di certe circostanze.
92 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
sulle tecniche di comunicazione, nonché conoscenze giuridiche a vario livello:<br />
meno approfondite per i mediatori “generalisti”, più professionali per<br />
quelli esperti di diritto internazionale privato, di diritto dei consumatori, in<br />
rapporti interni o cross border, e altro.<br />
Anche i problemi del rito andranno ben conosciuti, tanto che sono ormai<br />
trattati a livello manualistico, con l’esasperazione tipica delle questioni<br />
processuali.<br />
Almeno in questa prima fase, in cui neppure si sa se la mediazione sarà<br />
obbligatoria o facoltativa, sarebbe meglio ridurre le pretese di formazione<br />
specifica, e affidarsi alla classe forense, vale a dire agli avvocati che sono i<br />
soggetti istituzionalmente preposti alla gestione delle controversie. È contraddittorio<br />
parlare di un’attività meramente negoziale, ma poi impiantare<br />
una disciplina processuale; come lo è liberalizzare l’attività, ma poi pretendere<br />
stringenti requisiti giuridici, con problemi di formazione, con dispendio<br />
di risorse, e risultati da verificare.<br />
Di più. Il successo di qualunque sistema di ADR dipende dalla collaborazione<br />
della classe forense, e non avrebbe senso che un legislatore pensasse<br />
di costruire l’alternativa in contrasto con gli avvocati del proprio Paese.<br />
In nessun Stato dell’Unione europea, la mediazione è stata accolta con ostilità,<br />
ritenendosi, in genere, che essa giovi all’amministrazione della giustizia<br />
statale, e che costituisca un’opportunità per tutti, ma è altrettanto vero<br />
che nessuno Stato ha una disciplina così palesemente ostile all’avvocatura,<br />
ritenuta ostacolo e non protagonista necessaria dell’ADR.<br />
Infine, per completare la risposta al paper, il settore nel quale l’ADR può<br />
essere imposta come obbligatoria, ma non è detto che debba necessariamente<br />
esserlo, è naturalmente quello contrattuale. E quindi della compravendita,<br />
anche on line, di servizi (turismo, assicurazioni, comunicazioni<br />
elettroniche, subfornitura) e di beni di consumo, compresi i medicinali, i<br />
prodotti bancari e finanziari, senza limitazioni di carattere oggettivo, ed anzi<br />
con possibilità di estensione a tutti i rapporti fra il trader e il consumer<br />
cross border. Ad esempio, includendo il franchising, il diritto d’autore, e altre<br />
materie come risulta dalle esperienze degli Stati dell’Unione ( 11 ).<br />
( 11 )L’art. 5, d.lgs. n. 28/10 prevede l’obbligatorietà della mediazione in un numero di ipotesi<br />
assai consistente. Al momento non esiste un apparato, pubblico o privato, tale da poter<br />
garantire lo smaltimento dell’afflusso dei procedimenti che dovessero venire instaurati in forza<br />
di tale norma. Il 17 febbraio 2011 il Senato ha confermato che la mediazione è obbligatoria<br />
per tutte le controversie di cui all’art. 5 cit., ad esclusione di quelle condominiali e di quelle instaurate<br />
per il risarcimento dei danni da incidenti stradali. Per queste il tentativo diventerà obbligatorio<br />
a partire dal 20 marzo 2012.
SAGGI 93<br />
Quesito 8 – Should ADR decisions be binding on the trader On both parties<br />
If so, under what conditions In which sectors<br />
Il problema prospettato non si pone nel caso di arbitrato facoltativo,<br />
perché in tal caso la decisione non può che essere vincolante per entrambe<br />
le parti.<br />
Nel caso di arbitrato obbligatorio, per aggirare il divieto, si è proposto di<br />
assoggettare alla decisione sfavorevole solo il trader e non il consumatore,<br />
libero di rifiutare la decisione e agire in giudizio. Soluzione accettabile in<br />
teoria, ma in pratica difficile risultando improbabile che il consumatore, già<br />
soccombente una volta, decida di continuare nel contenzioso, addirittura<br />
in giudizio. Da qui deriva che, in questa come in altre forme, l’arbitrato obbligatorio<br />
va rifiutato.<br />
Nella mediazione il problema non si pone perché qui non ci sono decisioni<br />
di terzi imposte alle parti, ma solo accordi liberamente stipulati, per<br />
cui il vincolo è conseguenza naturale del contratto.<br />
4. – Quesito 9 – What are the most efficient ways of improving consumer<br />
ADR coverage Would it be feasible to run an ADR scheme which is open for<br />
consumer disputes as well as for disputes of SMEs<br />
Il consultation paper mette in evidenza che vi sono lacune sia in punto di<br />
diffusione territoriale dei programmi, sia in punto di specializzazione degli<br />
stessi. In questa fase, si ritiene praticamente impossibile predisporre un apparato<br />
distribuito in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, con<br />
enti capaci di gestire arbitrati, o un numero ragionevole di procedimenti di<br />
mediation. È ancora più arduo che si riesca a costituire organismi di ADR<br />
specializzati nel contenzioso sui trasporti, sulle telecomunicazioni, sugli<br />
strumenti finanziari, e via dicendo.<br />
Adesso l’obiettivo primario dovrebbe essere quello di stabilire una rete<br />
di centri ADR ragionevolmente diffusa sul territorio, trascurando per il momento<br />
specializzazioni. In futuro, quando sarà più chiara l’entità dell’afflusso<br />
e saranno sicuri i finanziamenti si potrà migliorare l’offerta alternativa.<br />
Quesito 10 – How could ADR coverage for e-commerce transactions be improved<br />
Do you think that a centralised ADR scheme for cross-border e-commerce<br />
transactions would help consumers to resolve disputes and obtain compensation<br />
I consumatori che instaurano rapporti cross border e stipulano contratti<br />
in rete sono sicuramente in grado di avvicinarsi a programmi di ADR, e di<br />
gestirli senza incontrare problemi troppo seri.<br />
La diffusione di questi programmi è meno costosa e più facile dello stabilimento<br />
di centri permanenti a cui sia necessario accedere anche fisica-
94 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
mente, ma l’esclusione del confronto diretto talvolta porta alla radicalizzazione<br />
delle posizioni e quindi al fallimento dell’ADR.<br />
Quesito 11 – Do you think that the existence of a “single entry point” or<br />
“umbrella organisations” could improve consumers access to ADR Should<br />
their role be limited to providing information or should they also deal with disputes<br />
when non specific ADR scheme exists<br />
L’istituzione di un centro di smistamento delle richieste di ADR capace<br />
di indirizzarle verso l’ente più adatto a trattarle (per vicinanza e/o competenza)<br />
sarebbe certamente utile. Per esempio, il centro potrebbe convogliare<br />
tutte le istanze di un certo tipo verso un certo organismo e informare il<br />
consumatore del tempo di attesa prima che la sua richiesta sia presa in considerazione,<br />
e altro.<br />
Quesito 12 – Which particular features should ADR schemes include to<br />
deal with collective claims<br />
Le controversie instaurate per ottenere collective redress a seguito di fatti<br />
lesivi aventi carattere plurioffensivo (lesioni di massa) sono spesso molto<br />
complicate. Esigono accertamenti di fatto articolati, applicazione precisa di<br />
norme di diritto, tutela dei diritti dei molti che partecipano all’iniziativa collettiva,<br />
e di quelli che non vi partecipano, ma che possono essere interessati<br />
all’esito.<br />
Molti Paesi dell’Unione non hanno ancora ammesso questo tipo di azioni<br />
nel giudizio statale e molti di quelli che di recente hanno dato spazio non<br />
hanno maturato esperienze sufficienti in materia ( 12 ). “Per quanto riguarda l’<strong>Italia</strong>,<br />
al marzo 2011, risultavano pendenti 11 azioni di classe promosse subito<br />
dopo l’entrata in vigore della legge ex art. 140 bis c. cons. (gennaio 2010). Tutte,<br />
salvo una, sono state dichiarate inammissibili all’esito della prima fase del<br />
giudizio. Le pronunce più significative sono del Trib. Torino, ord., 4 giugno<br />
2010 ( 13 ) che ha respinto la domanda promossa da associazioni di consumatori<br />
contro un istituto di credito perché tesa ad ottenere una sentenza di mero<br />
accertamento della scorrettezza di pratiche bancarie e non il risarcimento di<br />
consumatori in realtà non ancora danneggiati. Il provvedimento è stato confermato<br />
da Corte d’Appello Torino, ord., 27 ottobre 2010 ( 14 ).<br />
Trib. Milano, ord., 20 dicembre 2010 ( 15 ), ha dichiarato parzialmente am-<br />
( 12 ) Altri riferimenti in Vigoriti e Conte, Futuro giustizia azione collettiva mediazione,<br />
Torino, 2010.<br />
( 13 ) In Foro it., 2010, I, c. 2523.<br />
( 14 ) In Foro it., 2010, I, c. 2530.<br />
( 15 ) In Foro it., 2011, I, c. 2017. Si sa di altre azioni contro produttori di sigarette, contro istituti<br />
bancari, ma non se ne conoscono i dettagli.
SAGGI 95<br />
missibile un’azione promossa da un consumatore e da un’associazione di<br />
consumatori contro una società farmaceutica e tesa ad ottenere il risarcimento<br />
del danno subito dal singolo per l’assunzione di un farmaco antinfluenzale,<br />
nonché il risarcimento di tutti gli altri consumatori (non identificati)<br />
vittime dello stesso farmaco.<br />
Per il momento, pare dunque prematuro pensare di devolvere collective<br />
claims all’ADR, che prevedono di solito una gestione delle controversie<br />
con procedure semplificate, di breve durata e non costose.<br />
Negli USA è ammesso il ricorso al c.d. class arbitration solo quando la<br />
volontà dei membri della classe sia manifestata in modo univoco. Non basta<br />
quindi che le parti in un contratto abbiano convenuto che le eventuali<br />
controversie individuali vengano devolute ad arbitri per affermare ed<br />
espandere l’ambito della devoluzione, ma occorre che sia anche previsto<br />
che nell’ipotesi di class actions, la parte rinuncia all’azione in giudizio,<br />
unendosi all’iniziativa arbitrale. Nel silenzio delle clausole compromissorie<br />
inserite nei contratti, l’arbitrato è escluso ( 16 ).<br />
Quesito 13 – What are the most efficient ways to improve the resolution of<br />
cross-border disputes via ADR Are there any particular forms af ADR that are<br />
more suitable for cross-border disputes<br />
Sia l’arbitrato che la mediation sono funzionali allo scopo prefissato, dovendosi<br />
peraltro avvertire che il consumatore farà un solo tentativo e che assai<br />
difficilmente agirà in giudizio in caso di esito negativo. Entrambi gli istituti<br />
esigono accertamenti sommari in fatto, procedure rapide e non costose,<br />
condanne ad adempimenti non complicati (pagare, restituire).<br />
Non c’è bisogno di dettare regole diverse per i casi in cui la controversia<br />
coinvolga consumatori trasfrontalieri da quelle previste per i casi strettamente<br />
nazionali, al pari di quanto accade nei processi statali la cui disciplina<br />
si applica a tutti i rapporti contenziosi. Specie se si conviene che la sede<br />
dell’arbitrato o della mediation debba essere quella del consumatore. I<br />
problemi di maggior rilievo sono quelli linguistici, perché potrà essere necessario<br />
che l’arbitro o il mediator conoscano la lingua del contratto, dei<br />
documenti prodotti, quella che descrive il contenuto dei beni, oppure<br />
quella che ne regola la distribuzione, e sarà quindi indispensabile affidarsi<br />
a professionisti che sollevino le parti dall’onere di tradurre i documenti<br />
importanti ( 17 ).<br />
( 16 ) Stolt-Nielsen S.A. v. Animal Feeds Int’l Corp., 130 S.Ct. 1758 (2010).<br />
( 17 ) Gli artt. 3 e 6 D.M. n. 180/10 prevedono l’istituzione del registro degli organismi abilitati<br />
a svolgere la mediazione, all’interno del quale sono previsti elenchi di mediatori specializzati<br />
in rapporti di consumo e in rapporti internazionali.
96 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
5. – Quesito 14 – What is the most efficient way to fund an ADR scheme<br />
Il modo migliore per sostenere finanziariamente i programmi di ADR è<br />
probabilmente quello di sollecitare contributi sia pubblici che privati, il fabbisogno<br />
dei quali non è peraltro agevolmente determinabile.<br />
Le necessità saranno ridotte nel caso in cui il ricorso all’ADR sia facoltativo<br />
(ridottissime, se si tratta del solo contenzioso cross border), dovendosi<br />
evidentemente pensare ad un apparato non particolarmente articolato e<br />
non radicato su tutto il territorio nazionale. Il discorso sarà diverso se l’A-<br />
DR diventa obbligatoria, e lo diventa per un numero importante di casi, dovendosi<br />
allora predisporre strutture molto più capienti, ovviamente con<br />
oneri assai più pesanti. Poi occorre decidere in punto di dislocazione territoriale,<br />
dovendosi scegliere fra stabilire poche grandi sedi nei centri più importanti<br />
o più sedi meno articolate, ma facilmente accessibili sul territorio.<br />
I costi delle strutture (immobili, supporti logistici, personale fisso) saranno<br />
quelli di maggiore consistenza e dipenderanno dalle soluzioni adottate<br />
per i problemi precedenti. Con tutta probabilità, per qualche tempo, le<br />
strutture non saranno utilizzate a tempo pieno, e per questo converrà appoggiarsi<br />
ad enti già operativi, così da ridurre i costi di avviamento.<br />
Ci saranno anche costi legati all’attività di arbitri e mediatori. Dipenderanno<br />
dal numero delle controversie in cui essi sono coinvolti, dal lavoro<br />
necessario per la decisione o per la mediation, dal valore delle pretese, ma<br />
ovunque sono previsti onorari ridotti.<br />
Quesito 15 – How best to maintain independence, when the ADR scheme is<br />
totally or partially funded by the industry<br />
L’indipendenza dei singoli arbitri o mediators può essere assicurata fissando<br />
un sistema di assegnazione degli incarichi a sorteggio, oppure a rotazione<br />
fra un numero rilevante di soggetti disponibili, che saranno quasi<br />
sempre avvocati. I contributi privati riguarderanno poi soprattutto i costi<br />
fissi, di struttura, e non gli onorari dovuti ai professionisti coinvolti nei singoli<br />
casi, dovendo di questi farsi carico le parti.<br />
Quesito 16 – What should be the cost of ADR for consumers<br />
Ovviamente ridotto, comunque proporzionato al valore della controversia.<br />
Nel caso di arbitrato si applicherà il principio secondo cui i costi sono<br />
a carico del soccombente, mentre nella mediation le parti si accorderanno<br />
sulla ripartizione dell’onere.
ERMENEGILDO MARIO APPIANO<br />
Contributo al dibattito sulla mediazione civile e commerciale<br />
Sommario: 1. Premessa. – 2. Come opera il mediatore – 3. Che cosa intende il legislatore<br />
per mediazione – 4. La condizione di procedibilità alla luce del principio dell’equo<br />
processo. – 5. La rilevanza delle questioni giuridiche in mediazione. – 6. Perché è opportuno<br />
che le parti partecipino personalmente alla mediazione – 7. L’utilità della mediazione.<br />
– 8. In conclusione.<br />
1. – Per effetto dell’adozione della recente legislazione italiana in materia<br />
( 1 ), negli ultimi tempi la mediazione in materia civile e commerciale ( 2 ) è<br />
al centro di un vivo dibattito ( 3 ), i cui toni accesi – se non addirittura viscerali,<br />
talora – tendono spesso a trascurare gli aspetti tecnici della questione, i<br />
quali invece dovrebbero forse costituire l’elemento centrale della discussione<br />
stessa.<br />
( 1 ) Decreto legislativo del 4 marzo 2010, n. 28, attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno<br />
2009, n. 69 in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e<br />
commerciali (da ora il “Decreto Legislativo”), e relativo provvedimento di attuazione, costituito<br />
dal Decreto del Ministero della Giustizia del 10 ottobre 2010, n. 180 (da ora il “Decreto<br />
Attuativo”).<br />
( 2 ) In ambito penale, il ricorso alla mediazione viene promosso dall’Unione Europea mediante<br />
l’art. 10 della decisione quadro del Consiglio del 15 marzo 2001, relativa alla posizione<br />
della vittima nel procedimento penale (2001/220/GAI). Per coglierne lo spirito, è particolarmente<br />
significativo – seppure riferito ad un contesto ben diverso e si spera lontano – il libro di<br />
Tutu, Non c’è futuro senza perdono, Milano, 1999. Se ne veda in particolare il quinto capitolo,<br />
dal titolo: “un’udienza dedicata alle vittime”. Con riferimento all’<strong>Italia</strong>, si veda invece Scivoletto,<br />
Mediazione penale minorile, Rappresentazioni e pratiche, Milano, 2009.<br />
( 3 ) Nella propria Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2010 (punto 3.1),<br />
presentata in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2011, il Primo Presidente<br />
della Corte di Cassazione (dott. Ernesto Lupo) ha dichiarato: “Merita consenso l’iniziativa governativa<br />
della mediazione realizzatasi con il d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, in attuazione di orientamenti<br />
dell’Unione europea. È essenziale, pertanto, che si superino, prima dell’entrata in vigore del<br />
provvedimento (prevista per il 20 marzo 2011), le difficoltà applicative segnalate dal Consiglio nazionale<br />
forense. Occorre, purtroppo, rilevare che la Pubblica Amministrazione, come parte in un<br />
numero elevato di controversie, non fornisce un apporto di tipo conciliativo, pure possibile di fronte<br />
ad indirizzi giurisprudenziali ormai consolidati, ma tende a riversare sulle pronunce giurisdizionali<br />
la soluzione di controversie che potrebbero essere, se non eliminate, quantomeno semplificate<br />
attraverso una fase conciliativa precontenziosa. . . . Più in generale, non si può ignorare un’anomalia<br />
che ci caratterizza rispetto ad altri Paesi: l’elevatissimo e crescente numero di avvocati”.
98 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Per contribuire a quest’ultima, pare allora utile riportare l’attenzione sugli<br />
argomenti attualmente un po’ negletti, chiarendo però subito che si è<br />
ben lungi da alcuna pretesa di esaustività. Di conseguenza, quanto seguirà<br />
va semplicemente inteso come l’offerta di qualche sintetico spunto di riflessione<br />
e nulla più.<br />
Carne al fuoco ve ne è tanta: nella prassi, come opera il mediatore Come<br />
viene concepita la mediazione dal legislatore È legittimo prevedere<br />
che, in talune materie, l’esperimento della mediazione rappresenti una condizione<br />
di procedibilità per le domande giudiziali ovvero ciò lede il principio<br />
dell’equo processo Quale rilevanza assumono le questioni giuridiche in sede<br />
di mediazione e, di conseguenza, quale funzione esplicano i consulenti –<br />
in particolare gli avvocati – che assistono i litiganti in tale contesto Le parti<br />
devono partecipare personalmente Serve realmente la mediazione<br />
2. – Sembra sensato iniziare la disamina da questo quesito, siccome la<br />
mediazione – come molti altri fenomeni del mondo economico e giuridico<br />
– è un’attività nata e sviluppatasi nella prassi, cui è poi seguita l’attenzione<br />
da parte dei vari legislatori.<br />
La mediazione può svolgersi applicando tecniche ADR ( 4 ) ben diverse<br />
tra loro, ciascuna delle quali si fonda su presupposti e metodi di lavoro alquanto<br />
differenti ( 5 ). Ribadiamo – non nascondendo un certo stupore verso<br />
chi ancora fraintende – che non si tratta affatto di una forma alternativa di<br />
giustizia, siccome il rendere quest’ultima rappresenta un esclusivo nonché<br />
specifico compito dell’autorità giudiziaria ovvero degli arbitri. Né parliamo<br />
della panacea di tutti i mali.<br />
Tra le principali tecniche di mediazione si annoverano la mediation e la<br />
expert evaluation, entrambe fondate sui seguenti presupposti: la riservatezza;<br />
il non imporre in alcun modo alle parti la soluzione per la loro lite; la totale<br />
neutralità della mediazione rispetto all’eventuale successivo giudizio in<br />
sede contenziosa, siccome il partecipare ad una sessione di mediazione non<br />
( 4 )Per Alternative Dispute Resolution (il cui acronimo è ADR) si intendono i sistemi di soluzione<br />
delle controversie alternativi al ricorso in giustizia dinanzi all’Autorità giudiziaria ovvero<br />
agli arbitri, è cioè a quei soggetti cui compete decidere una controversia in modo vincolante<br />
per le parti.<br />
( 5 )Per un approfondimento: Amerio, Appiano, Boggio, Comba e Saffirio, La mediazione<br />
nelle liti civili e commerciali – Metodo e regole, Milano, 2010; Bove, La mediazione per la<br />
composizione delle controversie civili e commerciali, Milano, 2010; Iannini, Guida alla nuova<br />
conciliazione e mediazione, 2010; Tripodi e Mascia, Il codice della mediazione e della conciliazione,<br />
Milano, 2010; Vaccà e Martello, La mediazione delle controversie, Milano, 2010.
SAGGI 99<br />
comporta alcun pregiudizio di sorta alla futura posizione dei litiganti dinanzi<br />
a chi eventualmente li giudicherà; la libertà delle parti nel decidere come<br />
strutturare e disciplinare detti meccanismi.<br />
La mediation è la negoziazione della lite con l’assistenza di un terzo<br />
neutrale, che favorisce l’efficacia della discussione. Detta metodologia è<br />
ispirata dall’approccio sistemico ( 6 ) alla soluzione del contenzioso, considerato<br />
il meccanismo conoscitivo più appropriato per le liti che presentano<br />
una certa complessità e vedono coinvolte parti legate da rapporti personali<br />
o economici da salvaguardare. Esso è del tutto antitetico a quello che caratterizza<br />
il processo civile, quest’ultimo necessariamente ed indiscutibilmente<br />
fondato su una modalità conoscitiva di tipo lineare.<br />
Nella mediation si evita infatti di incentrare il discorso sullo stabilire cosa<br />
sia vero o falso e cosa giusto o ingiusto, siccome ciò condurrebbe a ridurre<br />
ogni soluzione negoziale ad un mero compromesso, frutto di trattative<br />
condotte sui confini di quelle che le parti reputano le “vere” questioni. Quest’ultimo<br />
atteggiamento è proprio del negoziato di posizione, ove i litiganti<br />
restano arroccati sulle proprie richieste, le quali non vengono in sostanza<br />
modificate per effetto delle concessioni, che ciascuno si dichiara disponibile<br />
a fare in favore della controparte. Situazione che spesso conduce al fallimento<br />
le trattative condotte direttamente dalle parti ovvero mediante l’ausilio<br />
dei loro consulenti ( 7 ). La mediation vuole invece superare tale angusto<br />
contesto. L’obiettivo è l’ampliamento della comunicazione tra i litiganti, attraverso<br />
lo scambio di nuove informazioni e il coinvolgimento di nuovi soggetti<br />
(almeno il terzo neutrale), in modo da far emergere le reali ragioni dello<br />
scontro. Così procedendo, le parti vengono liberate dagli schemi mentali<br />
utilizzati sino a quel momento nel conflitto, giacché il terzo – qui risiede<br />
l’essenza di questa metodologia, che si esplica durante la cosiddetta “fase<br />
esplorativa”, ove si concretizza l’approccio sistemico al contenzioso – indirizza<br />
i litiganti ad individuare quali sono i loro concreti interessi in gioco e<br />
quali i punti in comune al riguardo.<br />
Conseguentemente, concentrando l’attenzione sull’interesse delle parti,<br />
il terzo favorisce l’emergere di prospettive in grado di generare soluzioni<br />
prima non immaginate. L’idea è uscire dal conflitto mediante soluzioni il<br />
più possibile elastiche, capaci di ridurre al minimo gli effetti dannosi della<br />
( 6 ) In materia si segnala l’interessante libro di Gandolfi, Formicai, imperi, cervelli – Introduzione<br />
alla scienza della complessità, Torino, 1999, e in particolare p. 283.<br />
( 7 ) Mnookin, Beyond winning – Negotiating to create value in deals and disputes, Cambridge,<br />
2000; Fisher e Brown, Troviamo un accordo, Milano, 2008 (traduzione di Getting together,<br />
1988).
100 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
lite (sia economici che relazionali) per ciascuna delle parti, se non addirittura<br />
di generare un plus-valore: cosa ben lontana dalla tradizionale concezione<br />
di transazione in perdita, ove ognuna delle parti rinuncia a qualche pretesa<br />
pur di appianare la lite. In altre parole: per la mediation, l’uscita dal conflitto<br />
è spesso conseguibile non solo riducendo il danno, ma valorizzando<br />
tutti gli interessi delle parti coinvolte, in modo da creare tra loro nuove situazioni<br />
o relazioni economiche, cui sarebbe assolutamente impossibile<br />
pervenire per effetto di una decisione in sede contenziosa.<br />
La tecnica di mediation presenta due varianti. Per entrambe, comunque,<br />
resta assolutamente centrale la “fase esplorativa”. Le differenze sono<br />
invece riconducibili ai limiti entro cui il terzo neutrale deve contenere la<br />
propria attività rispetto al contenuto dell’eventuale accordo.<br />
Nella prima variante, la facilitative mediation, il mediatore limita la propria<br />
azione a un intervento di carattere “maieutico” sulle parti, evitando accuratamente<br />
qualsiasi interferenza sulle loro valutazioni in merito al possibile<br />
oggetto dell’accordo. Secondo tale metodologia, l’efficacia del mediatore<br />
è legata al non-giudizio: ciò implica che egli può naturalmente avere<br />
delle opinioni, ma gli è vietato esprimerle all’interno del processo. Una volta<br />
fatto emergere cosa è di comune interesse alle parti, egli deve limitarsi a<br />
condurre la discussione formulando ipotesi di ragionamento quanto mai<br />
aperte, in modo tale che siano gli stessi contendenti ad individuare come risolvere<br />
le cause del loro conflitto ( 8 ).<br />
Nella seconda, la evaluative mediation, se necessario il mediatore assume<br />
un atteggiamento più propositivo sul contenuto del possibile accordo<br />
fra le parti, fermo restando che ciò avviene in modo mai invasivo o impositivo<br />
e solo quando – dopo l’effettiva esecuzione di un’approfondita “fase<br />
esplorativa” – la trattativa entra comunque in fase di stallo.<br />
In considerazione della funzione esplicata dal terzo neutrale, emerge<br />
che la sua peculiare professionalità – cosa del tutto nuova per noi – consiste<br />
essenzialmente nell’assistere in modo adeguato le parti durante la citata<br />
“fase esplorativa”, favorendo la comunicazione e la riflessione, senza dispensare<br />
giudizi (spesso fastidiosi e controproducenti, anche se dati con le<br />
migliori intenzioni). Competenza interdisciplinare, dunque, ben diversa rispetto<br />
alle cognizioni in possesso di chi è il sommo vate della materia su cui<br />
verte la contesa.<br />
( 8 ) M. Hayens, L. Hayens, Fong, La mediazione – Strategie e tecniche per la risoluzione<br />
positiva dei conflitti, Roma, 2003, pp. 123 e 135, evidenziano come “l’efficacia del mediatore è<br />
legata al non-giudizio. Egli può naturalmente avere delle opinioni, ma non può esprimerle all’interno<br />
del processo”.
SAGGI 101<br />
Diversa metodologia è la neutral evaluation (anche detta expert evaluation,<br />
e cioè valutazione neutrale, sostanzialmente paragonabile a un parere<br />
pro veritate), dove le parti chiedono semplicemente ad un terzo di esprimere<br />
un’opinione – riservata e non vincolante – su un determinato fatto ovvero<br />
un problema di natura tecnica ovvero una questione giuridica. Da non<br />
confondersi con l’expertise (invece piuttosto vicino alla perizia contrattuale),<br />
in cui il terzo neutrale non solo assiste le parti che si trovano a confrontarsi<br />
su una questione meramente tecnica, da cui può scaturire una controversia,<br />
ma – se richiesto – decide anche la questione sottopostagli, cosa quest’ultima<br />
che può anche avvenire nell’ambito di un procedimento arbitrale,<br />
e cioè quando la lite è già insorta nonché sfociata in un contenzioso.<br />
Nella neutral evaluation, dunque, il terzo neutrale è chiamato ad esprimere<br />
la propria opinione circa la specifica questione che gli è sottoposta dalle<br />
parti, dichiarando infine quale può essere la soluzione corretta sul piano<br />
tecnico o giuridico, a seconda della natura del quesito. Dunque, si tratta di<br />
un giudizio (seppure non vincolante ed espresso in via riservata) che conduce<br />
ad individuare la soluzione vera o giusta, anticipando così l’esito della<br />
valutazione cui si potrebbe pervenire in sede contenziosa. Per operare in<br />
modo adeguato, il terzo non solo deve essere esperto nella materia controversa,<br />
ma necessita anche di venire posto nelle condizioni adeguate per<br />
esprimersi con cognizione di causa. Va da sé che, qualora la controversia<br />
concerna una questione di natura tecnica e non giuridica, a rivestire il ruolo<br />
del mediatore non deve essere un avvocato. Anche per questo motivo la<br />
nuova normativa sulla mediazione non riserva tale compito solo ai giuristi,<br />
ma lo estende anche a tutte le altre categorie professionali, ivi compresi coloro<br />
che risultano iscritti in un collegio ( 9 ).<br />
Quanto sino ad ora illustrato non viene smentito dalla circostanza che<br />
nella evaluative mediation al terzo neutrale è comunque consentito rivelare<br />
una propria valutazione circa la soluzione della controversia. La coerenza<br />
risiede nella circostanza che nella evaluative mediation siffatta attività<br />
si fonda su presupposti completamente diversi: il mediatore deve farsi<br />
guidare da quanto è emerso – durante le discussioni da lui condotte –<br />
essere il reale interesse comune ai litiganti. Focalizzando allora l’attenzione<br />
esclusivamente su quest’ultimo, il mediatore potrebbe anche proporre<br />
un’ipotesi di accordo che trascende addirittura dalla materia oggetto<br />
del contendere: in altre parole, se volessimo equiparare la lite ad una<br />
malattia, egli tende a proporre una soluzione che ne cura la causa e non il<br />
( 9 ) Decreto Legislativo, art. 19, nonché Decreto Attuativo, art. 4, comma 3, lettera a).
102 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
sintomo. Ciò spesso conduce il mediatore ad elaborare una proposta di<br />
composizione che ben può allontanarsi da quello che sarebbe l’esito di un<br />
giudizio dove, anziché guardare all’interesse delle parti, necessariamente<br />
si decide il caso controverso secondo diritto, nei limiti della domanda<br />
giudiziale, attenendosi a quanto accertato essere la realtà processuale durante<br />
la fase istruttoria. In tal modo, sovente il giudice cura solo il sintomo<br />
della malattia.<br />
In definitiva: nella mediation la proposta del terzo è un elemento meramente<br />
eventuale e non ne rappresenta affatto l’aspetto caratterizzante, riconducibile<br />
invece alla “fase esplorativa”. Se il mediatore trascura quest’ultima<br />
per concentrarsi nell’elaborare una proposta, egli travisa il proprio<br />
compito, che forse non ha nemmeno ben compreso.<br />
Decisamente diverse, se non antitetiche rispetto a quanto sino ad ora illustrato,<br />
sono invece le caratteristiche di un’altra metodologia, l’adjudication.<br />
Essendo tendenzialmente paragonabile a un giudizio sommario, ove il<br />
valore privilegiato è la celerità nella decisione, tale sistema conduce a una<br />
valutazione sul merito del conflitto, che non solo non è mai riservata, ma –<br />
a seconda di come viene disciplinato il meccanismo – può condizionare in<br />
modo significativo l’eventuale successivo giudizio in sede contenziosa ovvero<br />
può addirittura assumere valore vincolante fra le parti (nella seconda<br />
ipotesi gravando i dissenzienti dell’onere di esperire particolari impugnazioni,<br />
al fine di sottrarsi a siffatto effetto).<br />
Ferme tali fondamentali differenze, anche nella tecnica di adjudication<br />
il mediatore è chiamato a stabilire, a seconda della propria specifica competenza<br />
in materia, qual è sul piano tecnico o giuridico la soluzione corretta di<br />
una vertenza. Sotto quest’ultimo aspetto, allora, l’attività del mediatore che<br />
pratica una adjudication tende ad assomigliare a quella di chi effettua una<br />
expert evaluation, ma non si identifica del tutto. Infatti, stante il profondo<br />
divario tra le caratteristiche di fondo delle due citate metodologie, il primo<br />
deve rigorosamente garantire il rispetto del principio del contraddittorio<br />
(che pare incompatibile con lo svolgimento di incontri separati tra mediatore<br />
e singole parti) ( 10 ), mentre ciò non rappresenta un problema troppo assillante<br />
per il secondo, essendo piuttosto suo compito l’assicurare un tratta-<br />
( 10 ) Ciò spiega perché il Decreto Attuativo, disciplinando il contenuto dei regolamenti di<br />
mediazione dei singoli Organismi, suggerisce che “in caso di formulazione della proposta ai<br />
sensi dell’articolo 11 del decreto Legislativo, la stessa può provenire da un mediatore diverso da<br />
quello che ha condotto sino ad allora la mediazione e sulla base delle sole informazioni che le parti<br />
intendono offrire al mediatore proponente” (art. 7, comma 2, lett. b, prima parte). Per un commento,<br />
Appiano, in Aa.Vv., La mediazione nelle liti civili e commerciali, cit., pp. 341 e 364.
SAGGI 103<br />
mento equilibrato alle parti, le quali trovano nella riservatezza e nella neutralità<br />
della metodologia la garanzia avverso la formulazione di un parere<br />
che potrebbe risultare non condivisibile, a causa delle circostanze in cui il<br />
mediatore ha raccolto gli elementi per fondare la propria valutazione.<br />
La scelta della tecnica di mediazione, da adottare nella singola fattispecie,<br />
dipende da alcuni fattori.<br />
In primo luogo, le eventuali richieste avanzate dalle parti in proposito,<br />
le quali possono già aver identificato il tipo di assistenza cui necessitano per<br />
tentare di comporre la lite, e cioè se serve loro avere un parere pro veritate –<br />
motivato o meno – su una particolare questione (tecnica e/o giuridica) ovvero<br />
un aiuto nella trattativa finalizzata alla conciliazione.<br />
In secondo luogo, la tipologia del contenzioso: in effetti, la tecnica di expert<br />
evaluation sembra più funzionale per mediare una lite in materia di responsabilità<br />
civile discendente dalla circolazione di veicoli ( 11 ), siccome i<br />
fatti da cui scaturisce simile conflitto (la dinamica del sinistro), le relazioni<br />
sussistenti tra le parti (l’essere stati coinvolti nell’incidente nonché l’esistenza<br />
di un rapporto assicurativo) ed i loro rispettivi interessi (valutare l’an<br />
ed il quantum del risarcimento nel modo più conveniente per ciascuno) sono<br />
ben definiti e limitati, per cui difficilmente si prestano all’indagine della<br />
“fase esplorativa” tipica della mediation. Quest’ultima è finalizzata a promuovere<br />
la consapevolezza delle parti, portandole anche a considerare la lite<br />
come un semplice elemento che, da un canto, si inserisce all’interno di<br />
un loro più ampio rapporto (economico e/o personale) e che, dall’altro, va<br />
risolta nel modo più proficuo per tutti evitando di dissipare ricchezza. Pertanto<br />
la mediation appare ad esempio più appropriata per la mediazione delle<br />
controversie in materia di successioni.<br />
In terzo luogo, il valore della controversia: raffinata metodologia, la mediation<br />
presuppone l’impiego di una certa quantità di tempo (mai avvicinabile<br />
a quella di un processo o un arbitrato, però!), che – per ovvie ragioni<br />
economiche – difficilmente è dedicabile a controversie di valore bagatellare<br />
o estremamente modico. Per queste ultime, allora, il mediatore tenderà verosimilmente<br />
a combinare tecniche di natura facilitativa (quali, ad esempio,<br />
quelle sottese alla Raccomandazione CE del 2001 sugli organismi di conciliazione<br />
per le controversie individuali in materia di consumo) a metodologie<br />
valutative (le prassi considerate dalla Raccomandazione CE del 1998 su<br />
analoga materia ovvero l’adjudication). In tale contesto, se le parti non si ac-<br />
( 11 ) Appiano, La mediazione delle controversie sulla responsabilità civile derivante dalla circolazione<br />
dei veicoli, in corso di pubblicazione su La mediazione, 2011.
104 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
cordano, il mediatore sarà portato a concludere la propria azione suggerendo<br />
loro una soluzione, espressa nei termini di una proprosta contrattuale<br />
non motivata, onde salvaguardare la riservatezza della mediazione. Rendendo<br />
ignoto l’iter logico seguito dal mediatore, l’assenza di motivazione<br />
dovrebbe pure sedare il timore – verosimilmente di per sé infondato – che la<br />
sua proposta sia in grado di influenzare il giudizio del magistrato successivamente<br />
chiamato a decidere la controversia.<br />
In pratica: dopo aver accolto i propri clienti, compete al mediatore chiarire<br />
loro come egli intende procedere, e cioè individuare la tecnica da applicare,<br />
se del caso discutendo tale scelta con le parti stesse.<br />
Siffatto modus operandi è coerente con i principi deontologici sanciti dal<br />
Codice Europeo per i Mediatori (che rappresenta il “codice etico” scelto da<br />
vari Organismi italiani di mediazione, in osservanza a quanto disposto dal<br />
Decreto Legislativo) ( 12 ), secondo cui ( 13 ):<br />
“il mediatore deve sincerarsi che le parti coinvolte nella mediazione comprendano le caratteristiche<br />
del procedimento di mediazione e il ruolo del mediatore e delle parti nell’ambito<br />
dello stesso”<br />
e trova altresì conferma nella prassi internazionale, come si evince dalle<br />
ADR rules della International Chamber of Commerce (ICC):<br />
“The Neutral and the parties shall promptly discuss, and seek to reach agreement upon,<br />
the settlement technique to be used, and shall discuss the specific ADR procedure to be<br />
followed.<br />
In the absence of an agreement of the parties on the settlement technique to be used,<br />
mediation shall be used”.<br />
3. – Mediante la Direttiva 2008/52/CE ( 14 ), l’Unione Europea ha fissato<br />
alcuni principi sulla mediazione delle controversie trasfrontaliere in materia<br />
civile e commerciale. A salvaguardia dell’autonomia privata, la Direttiva<br />
non disciplina affatto il modo in cui deve svolgersi la mediazione, ma all’art.<br />
3 si limita a darne semplicemente la definizione comunitaria, intendendo<br />
per tale “un procedimento strutturato, indipendentemente dalla denominazione,<br />
dove due o più parti di una controversia tentano esse, su base volontaria, di<br />
( 12 ) Art. 16 del Decreto Legislativo: ogni Organismo di mediazione deve adottare un “codice<br />
etico”, da comunicarsi al Ministero della Giustizia.<br />
( 13 ) Art. 3.1 del Codice Europeo per i Mediatori.<br />
( 14 ) Direttiva 2008/52/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008, relativa<br />
a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale (da ora la “Direttiva”).
SAGGI 105<br />
raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un<br />
mediatore” ( 15 ), e cioè un terzo neutrale, cui è richiesto di agire in modo efficace,<br />
imparziale e competente.<br />
Per capire cosa intende il legislatore europeo per “mediazione”, è utile<br />
guardare al campo di applicazione della Direttiva stessa. In effetti, ciò che<br />
esula da quest’ultimo, non può essere considerato un procedimento rientrante<br />
nella nozione di “mediazione” fissata dal diritto comunitario. Quest’ultima<br />
non comprende dunque l’arbitrato (la cosa è ovvia, ma è opportuno<br />
evidenziarlo, in vista di quanto si dirà successivamente), i reclami dei<br />
consumatori nonché i procedimenti gestiti da persone od organismi che<br />
emettono una raccomandazione formale, sia essa legalmente vincolante o<br />
meno, per la risoluzione della controversia. Lo stesso vale per i “processes of<br />
an adjudicatory nature”, come si evince dalla versione in lingua inglese ( 16 ).<br />
Di conseguenza per la Direttiva è “mediazione” quella condotta secondo<br />
la tecnica di mediation o di expert evaluation (siccome la riservatezza copre<br />
ogni aspetto di quanto avviene dinanzi al mediatore e, al termine dell’incontro,<br />
non viene adottata alcuna proposta in modo formale, se le parti non si<br />
accordano), ma non quella svolta ricorrendo alla tecnica di adjudication.<br />
La Direttiva non osta ovviamente all’esistenza di tutto ciò che esula dal<br />
suo ambito di applicazione. Pertanto, gli Stati membri restano innanzitutto<br />
liberi di disciplinare la mediazione delle liti interne in materia civile e commerciale<br />
come meglio essi ritengono. Per quanto concerne le controversie<br />
trasfrontaliere, la Direttiva nemmeno impedisce l’esistenza di sistemi ADR<br />
aventi caratteristiche diverse da quelle presupposte dalla nozione comunitaria<br />
di “mediazione”. Tuttavia, la Direttiva impone agli Stati di garantire<br />
che – per le controversie trasfrontaliere – sia anche disponibile un procedimento<br />
di “mediazione” conforme a detta definizione.<br />
Nemmeno il legislatore italiano disciplina come vada svolta la mediazione,<br />
siccome il Decreto Legislativo – senza distinguere tra liti interne e<br />
trasfrontaliere – rinvia all’uopo ai regolamenti adottati dai singoli Organismi<br />
che prestano tale servizio ( 17 ). Pertanto, la scelta su come condurre la<br />
mediazione (e cioè a quale tecnica ricorrere) è lasciata a questi ultimi, che<br />
potranno o meno condividerla con le parti di volta in volta interessate. Ciò<br />
nonostante, a livello di fonte legislativa nel nostro ordinamento viene previsto<br />
che, qualora le parti non riescano ad accordarsi per comporre la lite, il<br />
( 15 ) Art. 3 del Decreto Legislativo.<br />
( 16 ) Art. 3 e considerando n. 11 della Direttiva.<br />
( 17 ) Art. 3, comma 1, del Decreto Legislativo.
106 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
mediatore abbia facoltà di proporre formalmente una soluzione conciliativa,<br />
su cui le parti sono tenute a prendere posizione ( 18 ). La facoltà si trasforma<br />
in obbligo per il mediatore, se tutte le parti concordemente gli richiedono<br />
di formulare la formale proposta. In entrambe i casi, quest’ultima viene<br />
incorporata nel verbale di mediazione ( 19 ) che, se i litiganti non si conciliano,<br />
viene portato a conoscenza del magistrato competente a conoscere la<br />
controversia, onde consentirgli di regolare il regime delle spese processuali,<br />
comparando l’esito finale del processo da lui presieduto con le posizioni<br />
precedentemente assunte dalle parti rispetto a quanto era stato suggerito<br />
loro dal mediatore ( 20 ).<br />
A rigore, il Decreto Legislativo non specifica i criteri cui deve attenersi il<br />
mediatore nell’elaborare la formale proposta in questione. Tuttavia il nesso,<br />
creato tra la stessa ed il regime delle spese relative al successivo processo<br />
in sede giudiziaria, porta a pensare che il meccanismo riesce a funzionare<br />
unicamente se il criterio valutativo utilizzato dal mediatore coincide con<br />
quello decisionale poi seguito dal magistrato. Ciò accade solo quando il primo<br />
compie una adjudication, seppure in forma blanda, visti i suoi limitati<br />
effetti. Qui si rivela dunque una discordanza rispetto alla Direttiva, che invece<br />
non considera “mediazione” le procedure comportanti adjudication.<br />
Per conferire coerenza al sistema, una prima idea parrebbe suggerire al<br />
mediatore, in forza presso Organismi italiani, di astenersi dalla proposta aggiudicativa,<br />
qualora la controversia abbia natura trasfrontaliera e non sia<br />
qualificabile come un reclamo in materia consumeristica. Ciò ovviamente<br />
non gli impedisce di formulare alle parti proposte informali, e cioè aventi<br />
natura riservata, poiché avanzate senza ricorrere ai rigidi meccanismi individuati<br />
dal Decreto Legislativo ( 21 ). Diviene forse tutto di più semplice comprensione,<br />
se si identificano tali proposte informali con quelle tipiche della<br />
evaluative mediation (ricordando però sempre che queste ultime non rappresentano<br />
affatto l’elemento centrale dell’attività di chi ricorre a detta tecnica)<br />
ovvero con il parere pro veritate riservato tipico della expert evaluation.<br />
Una seconda idea si fonda poi sulla constatazione che la mediazione disciplinata<br />
dal Decreto Legislativo comprende anche le controversie in ma-<br />
( 18 )L’idea che il mediatore (o conciliatore) debba formulare una formale proposta alle<br />
parti non rappresenta affatto una peculiarità del Decreto Legislativo. Per una disamina del<br />
passato, mi permetto di rinviare al mio scritto Mediation e procedura civile, in questa rivista,<br />
2002, p. 1.<br />
( 19 ) Art. 11 del Decreto Legislativo.<br />
( 20 ) Art. 13 del Decreto Legislativo.<br />
( 21 ) Art. 11 del Decreto Legislativo.
SAGGI 107<br />
teria di consumo, che – anche quando trasfrontaliere – esulano dal campo di<br />
applicazione della Direttiva ( 22 ). Di conseguenza, nulla pare ostare a che il<br />
mediatore utilizzi per esse una metodologia valutativa, accompagnata da<br />
adjudication, se le parti non tendono a conciliare. Lo stesso approccio pare<br />
forse sensato anche per la mediazione delle altre liti bagatellari in materia<br />
civile e commerciale aventi natura prettamente interna al nostro Stato, siccome<br />
tali conflitti non paiono molto diversi – quanto meno in termini economici<br />
– rispetto alle controversie individuali di consumo.<br />
Ciò va comunque inteso con una certa elasticità: in materia locatizia, ad<br />
esempio, una vertenza di modico valore (si pensi alla ripartizione della spesa<br />
per la sostituzione delle cinghie di una tapparella) potrebbe rappresentare<br />
il segnale di un più ampio malessere che affligge le parti del rapporto di<br />
locazione. Se così fosse, si imporrebbe di ricorrere alla mediation, a condizione<br />
però che le parti accettino di sostenerne il costo, accordandosi sulla<br />
circostanza che il valore della controversia diviene verosimilmente indeterminato,<br />
non avendo più senso calcolarlo in base a quello del modesto casus<br />
belli. Altrimenti non resta che condurre la mediazione con modalità appropriate<br />
all’importo di quest’ultimo.<br />
Nella mediazione amministrata italiana, dunque, la chiave di volta dell’intero<br />
sistema è rappresentata dalla facoltà per il mediatore – che diviene<br />
obbligo solo in presenza di richiesta congiunta delle parti tutte ( 23 ) – di formulare<br />
o meno la proposta aggiudicativa. Avvalendosi sapientemente di<br />
detta facoltà, egli è allora in grado di condurre la mediazione nel modo più<br />
coerente con la tecnica di volta in volta prescelta. L’unica condizione è che,<br />
all’inizio di ogni mediazione, chi la tiene spieghi adeguatamente ai litiganti<br />
se e come egli intende addivenire alla formulazione della proposta aggiudicativa<br />
al termine della procedura stessa. Ciò non solo consente al mediatore<br />
di assolvere al precetto deontologico in precedenza citato ( 24 ), ma anche<br />
di instaurare le condizioni per lavorare con efficacia. In mancanza di chiarezza,<br />
infatti, le parti sono giustamente restie a concedere fiducia al mediatore.<br />
4. – Sul piano del diritto comunitario, la Direttiva né impone, né vieta<br />
agli Stati di introdurre nei loro ordinamenti alcun obbligo per le parti di ri-<br />
( 22 ) Il citato considerando 11 della Direttiva osserva che la stessa non deve applicarsi ai “reclami<br />
dei consumatori”, per i quali vigono le due apposite Raccomandazioni della Commissione,<br />
rispettivamente adottate nel 1998 e nel 2001.<br />
( 23 ) Decreto Legislativo, art. 11, comma 1.<br />
( 24 ) Art. 3.1 del Codice Europeo per i Mediatori, cit.
108 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
correre alla “mediazione” ( 25 ) e tanto meno di istituire apposti Organismi<br />
cui affidare tale servizio.<br />
Ciò fermo, la Direttiva fissa agli Stati un importante limite: l’eventuale<br />
obbligatorietà di ricorrere alla “mediazione” non deve creare pregiudizio<br />
al diritto fondamentale dei cittadini ad accedere alla tutela giurisdizionale<br />
( 26 ). Ciò confliggerebbe con i fini stessi della Direttiva, la quale si<br />
propone di promuovere i diritti fondamentali dei singoli, tenendo conto<br />
dei principi riconosciuti dalla relativa Carta dell’Unione Europea ( 27 ), ora<br />
avente valore giuridico di trattato tra gli Stati membri ( 28 ).<br />
Per capire quando siffatto pregiudizio può in concreto sussistere, si deve<br />
guardare alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, che di recente ha<br />
fornito alcune importanti indicazioni al riguardo, pronunciandosi con riferimento<br />
alla condizione di procedibilità prevista in <strong>Italia</strong> per le controversie<br />
in materia di telecomunicazioni.<br />
Punto di partenza del ragionamento seguito dalla Corte comunitaria<br />
(che a sua volta si richiama alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo) è<br />
il seguente:<br />
“... secondo una giurisprudenza costante, i diritti fondamentali non si configurano come<br />
prerogative assolute, ma possono soggiacere a restrizioni, a condizione che queste rispondano<br />
effettivamente ad obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi<br />
e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato ed inaccettabile,<br />
tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti (v., in tal senso, sentenza<br />
15 giugno 2006, causa C-28/05, Dokter e a., Racc. p. I 5431, punto 75, e giurisprudenza ivi citata,<br />
nonché Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, sentenza Fogarty c. Regno Unito del 21<br />
novembre 2001, Recueil des arrêts et décisions 2001-XI, § 33)” ( 29 ).<br />
( 25 ) Art. 5, comma 2, della Direttiva.<br />
( 26 ) Art. 5, comma 2 nel finale, della Direttiva.<br />
( 27 )Titolo VI della Carta. In materia, bisogna anche richiamare il considerando n. 21 alla<br />
Raccomandazione 98/257/CE, cit.: “considerando che, in conformità con l’articolo 6 della Convenzione<br />
europea dei diritti dell’uomo, l’accesso ai tribunali costituisce un diritto fondamentale<br />
che non conosce eccezioni; che quando il diritto comunitario garantisce la libera circolazione delle<br />
merci e dei servizi nel mercato interno, la possibilità per gli operatori, compresi i consumatori,<br />
di adire le giurisdizioni di uno Stato membro per decidere le controversie cui le loro attività economiche<br />
possono dar luogo, allo stesso titolo dei cittadini di questo Stato, costituisce il corollario di<br />
tali libertà; che le procedure extragiudiziali non possono proporsi di sostituire il sistema giudiziario;<br />
che di conseguenza l’utilizzazione della via extragiudiziale non può privare il consumatore del<br />
suo diritto d’accesso ai tribunali se non quando egli lo accetti esplicitamente, in piena conoscenza<br />
di causa e in una fase posteriore all’insorgere della controversia”.<br />
( 28 ) Art. 6 del Trattato sull’Unione Europea, introdotto per effetto del Trattato di Lisbona.<br />
( 29 ) Corte CE, 13 marzo 2010, cause riunite C-317/08, C-318/08, C-319/08 e C-320/08,
SAGGI 109<br />
Di conseguenza, per la Corte di Giustizia il fondamentale diritto all’equo<br />
processo non osta – in via generale – alla presenza di condizioni di procedibilità<br />
delle domande giudiziarie ricollegabili a forme obbligatorie di<br />
mediazione, purché siano rispettate le seguenti condizioni ( 30 ).<br />
In primo luogo, non deve essere impedito l’immediato ricorso alla tutela<br />
giurisdizionale in via cautelare. Tale principio è coerente con quanto era<br />
già stato in precedenza enunciato in riferimento al settore degli appalti pubblici,<br />
ove esistono apposite norme comunitarie che assicurano ai privati il<br />
diritto a disporre di rapidi mezzi di ricorso avverso le decisioni assunte dalle<br />
pubbliche amministrazioni aggiudicatrici ( 31 ). La Corte di Giustizia aveva<br />
considerato illegittimo impedire ad un’<strong>impresa</strong> l’accesso a tali strumenti di<br />
tutela, quando l’ostacolo viene ricollegato al mancato previo esperimento<br />
di una procedura di conciliazione, prevista dalla legge nazionale ed attivabile<br />
dall’<strong>impresa</strong> esclusa dall’appalto. Così decidendo, la Corte aveva dunque<br />
negato che l’aver ignorato la procedura conciliativa valga a configurare in<br />
capo a detta <strong>impresa</strong> la carenza di interesse a ricorrere avverso la decisione<br />
assunta in suo sfavore nella gara d’appalto. In definitiva, la Corte aveva sancito<br />
che il subordinare l’accesso alle procedure di ricorso, espressamente<br />
previste da una direttiva comunitaria settoriale, al preventivo intervento di<br />
una commissione di conciliazione, è contrario agli obiettivi di rapidità ed<br />
efficacia perseguiti dall’ordinamento comunitario nel campo degli appalti<br />
pubblici ( 32 ).<br />
In secondo luogo, tornando al citato caso delle telecomunicazioni, il di-<br />
Alassini, punto 63 della motivazione. Si veda anche la sentenza del 2 aprile 2009, causa C-<br />
394/07, Gambazzi, punto 29.<br />
( 30 ) Corte CE, 13 marzo 2010, Alassini, cit., il cui dispositivo sancisce: “neanche i principi<br />
di equivalenza e di effettività, nonché il principio della tutela giurisdizionale effettiva, ostano ad<br />
una normativa nazionale che impone per siffatte controversie il previo esperimento di una procedura<br />
di conciliazione extragiudiziale, a condizione che tale procedura non conduca ad una decisione<br />
vincolante per le parti, non comporti un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso<br />
giurisdizionale, sospenda la prescrizione dei diritti in questione e non generi costi, ovvero generi<br />
costi non ingenti, per le parti, e purché la via elettronica non costituisca l’unica modalità di accesso<br />
a detta procedura di conciliazione e sia possibile disporre provvedimenti provvisori nei casi eccezionali<br />
in cui l’urgenza della situazione lo impone”.<br />
( 31 ) Direttiva del Consiglio 89/665/CEE del 21 dicembre 1989 che coordina le disposizioni<br />
legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso<br />
in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori (G.U.C.E., L<br />
395, p. 33), come modificata dalla direttiva del Consiglio 92/50/CEE del 18 giugno 1992, che<br />
coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (ibidem L 209, p. 1): se<br />
ne vedano gli artt. 1 e 2.<br />
( 32 ) Corte CE, 19 giugno 2003, causa C-410/01, Fritsch e a. c. Asfinag.
110 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
ritto comunitario all’equo processo impone che, in presenza di una condizione<br />
di procedibilità costituita dal preventivo esperimento di un tentativo<br />
di conciliazione, nelle more di quest’ultimo si sospenda la prescrizione dei<br />
diritti controversi. Ciò è pienamente conforme a quanto sancito sia dalla<br />
Direttiva ( 33 ), sia dal Decreto Legislativo ( 34 ): per entrambe l’attivazione della<br />
mediazione comporta la sospensione o l’interruzione dei termini di ricorso,<br />
e cioè quelli entro cui vanno fatti valere i diritti oggetto di lite.<br />
In terzo luogo, il tentativo di conciliazione non deve condurre a una decisione<br />
vincolante, cosa perfettamente coerente con la nozione di “mediazione”<br />
accolta dalla Direttiva ( 35 ). A ben vedere, nemmeno il Decreto Legislativo si<br />
scontra con siffatto principio, in quanto la proposta di natura aggiudicativa<br />
non vincola né le parti, né il giudice chiamato a decidere il merito del caso su<br />
cui il mediatore si è pronunciato ( 36 ). Unico dubbio potrebbe forse ravvisarsi<br />
con riferimento alla disciplina del regime delle spese processuali ( 37 ).<br />
In quarto luogo, siffatta condizione di procedibilità non deve comportare<br />
un ritardo sostanziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale. Nel<br />
Decreto Legislativo il riscontro è nella norma che limita a quattro mesi la<br />
durata massima della mediazione ( 38 ). Tale termine è però da intendersi come<br />
il tempo massimo oltre il quale non può essere impedito l’accesso al giudice<br />
naturale. Per contro, ciò non sembra comportare un divieto ai litiganti<br />
di protrarre ulteriormente le trattativa in sede di mediazione, qualora essi<br />
siano convinti della loro utilità, rinviando volontariamente a un momento<br />
successivo il ricorso in giustizia, che ben potrebbe divenire inutile una volta<br />
raggiunta un’intesa.<br />
In quinto luogo, il diritto comunitario osta altresì all’esistenza di condizioni<br />
di procedibilità ricollegabili a forme di mediazione esperibili solo in via<br />
telematica, poiché ciò sarebbe lesivo di chi è privo di un accesso a internet o risulta<br />
incapace a utilizzare tale strumento. La Corte non ha dunque negato la<br />
legittimità di una mediazione interamente telematica, a condizione che quest’ultima<br />
sia affiancata da modalità di accesso tradizionale al servizio.<br />
In sesto luogo, ma solo se la controversia concerne un rapporto di consumo<br />
(com’era la fattispecie esaminata dalla Corte), il costo della mediazione<br />
deve non gravare sul consumatore o risultare alquanto contenuto.<br />
( 33 ) Art. 8 della Direttiva.<br />
( 34 ) Art. 5, comma 6, del Decreto Legislativo.<br />
( 35 ) Art. 3 e considerando n. 11 della Direttiva.<br />
( 36 ) Artt. 11 e 13 del Decreto Legislativo.<br />
( 37 ) Art. 13 del Decreto Legislativo.<br />
( 38 ) Art. 6 del Decreto Legislativo.
SAGGI 111<br />
Tale principio si rinviene anche nelle Raccomandazioni della Commissione<br />
sui principi applicabili agli organismi di conciliazione che trattano le controversie<br />
individuali di consumo, ma non si riscontra nella Direttiva.<br />
Pertanto la Corte di Giustizia ha concluso:<br />
“Orbene, come rilevato in udienza dal governo italiano, si deve anzitutto constatare che le<br />
disposizioni nazionali di cui trattasi hanno ad oggetto una definizione più spedita e meno<br />
onerosa delle controversie in materia di comunicazioni elettroniche, nonché un decongestionamento<br />
dei tribunali, e perseguono quindi legittimi obiettivi di interesse generale.<br />
Risulta poi che l’imposizione di una procedura di risoluzione extragiudiziale come<br />
quella prevista dalla normativa nazionale di cui trattasi . . . non è sproporzionata rispetto<br />
agli obiettivi perseguiti. Infatti, da un lato, come ha constatato l’avvocato generale al paragrafo<br />
47 delle sue conclusioni ( 39 ), non esiste un’alternativa meno vincolante alla predisposizione<br />
di una procedura obbligatoria, dato che l’introduzione di una procedura di<br />
risoluzione extragiudiziale meramente facoltativa non costituisce uno strumento altrettanto<br />
efficace per la realizzazione di detti obiettivi. Dall’altro, non sussiste una sproporzione<br />
manifesta tra tali obiettivi e gli eventuali inconvenienti causati dal carattere obbligatorio<br />
della procedura di conciliazione extragiudiziale” ( 40 ).<br />
Nell’ordinamento italiano, invece, alcune indicazioni giungono dalla<br />
giurisprudenza resa dalla nostra Corte Costituzionale con riferimento innanzitutto<br />
alla condizione di procedibilità – tutt’oggi vigente ( 41 ) – prevista<br />
per le liti in materia di subfornitura ( 42 ), rappresentata dalla necessità di<br />
esperire un tentativo obbligatorio di conciliazione, da svolgersi presso la<br />
Camera di Commercio nel cui territorio ha sede il subfornitore.<br />
Non è affatto previsto l’obbligo della difesa tecnica in sede di tale mediazione:<br />
in passato, nessuno ha mai reagito con veemenza. Lo stesso dicasi<br />
per i costi di tale servizio ( 43 ), che corrispondono grosso modo a quelli at-<br />
( 39 ) Nelle proprie conclusioni (punto 45), l’avvocato generale Kokott ha altresì osservato:<br />
“una conciliazione delle parti conclusa in via extragiudiziale è spesso più idonea a conseguire una<br />
duratura stabilità del diritto rispetto a una decisione giudiziaria controversa”.<br />
( 40 ) Corte CE, 13 marzo 2010, Alassini, cit., punti 64 e 65.<br />
( 41 ) Decreto Legislativo, art. 23, comma 2.<br />
( 42 ) Art. 10 della legge 18 giugno 1998, n. 192, Disciplina della subfornitura nelle attività<br />
produttive, come modificata dalla legge 5 marzo 2001, n. 57, e dal decreto legislativo 9 ottobre<br />
2002, n. 231.<br />
( 43 ) Nelle odierne discussioni, dando per scontato che la mediazione sia inutile, essa viene<br />
da taluni negativamente vista come un mero fattore di incremento del costo della giustizia.<br />
Guardando a quest’ultimo, per essere oggettivi bisogna forse considerare che a comporlo<br />
concorrono anche i minimi inderogabili delle tariffe professionali forensi. Essi sono stati di<br />
recente considerati legittimi dalla Corte di Cassazione (sentenza 27 settembre 2010, n. 20269,<br />
che applica nel concreto i principi in presenza fissati dalla Corte di Giustizia nella pronuncia
112 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
tuali imposti agli Organismi pubblici di mediazione ( 44 ). A ciò si aggiunge<br />
nel Decreto Legislativo il riconoscimento di un credito di imposta a favore<br />
di chi oggi ricorre alla mediazione ( 45 ).<br />
In seguito all’intervento della Corte Costituzionale, detta condizione di<br />
procedibilità non vale però per il ricorso monitorio azionato dal subfornitore,<br />
onde ottenere il via ingiuntiva il pagamento dei propri crediti ( 46 ) e per<br />
l’azione esercitata dall’attore in opposizione all’ingiunzione stessa ( 47 ). Tale<br />
insegnamento è stato in sostanza recepito nel Decreto Legislativo sulla mediazione,<br />
con riferimento alle materie per le quali la mediazione è divenuta<br />
una condizione di procedibilità ( 48 ). In effetti, quest’ultima non scatta per i<br />
procedimenti di ingiunzione, inclusa l’opposizione, ma solo sino al momento<br />
della pronuncia sulle istanze di concessione o sospensione della<br />
provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto ( 49 ).<br />
Nella giurisprudenza di merito sono invece emersi orientamenti contrastanti<br />
circa l’applicabilità della condizione di procedibilità in questione<br />
nell’ambito dei procedimenti cautelari. Tuttavia, se si considera la tutela<br />
monitoria anche come una forma accelerata di ricorso giurisdizionale, dovrebbe<br />
a maggior ragione non applicarsi la condizione di procedibilità. Ad<br />
ogni modo, si rende adesso quanto mai necessario armonizzare la disciplina<br />
processuale per la subfornitura con quella portata dal Decreto Legislativo,<br />
ove è stabilito che “lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni<br />
caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari” ( 50 ), coerentemente<br />
anche con quanto suggerito dal Modello di legge UNCITRAL ( 51 ) sulla leg-<br />
del 5 dicembre 2006, cause riunite C-94/04 e C-202/04), con una motivazione il cui fulcro<br />
sembra essere il seguente: “pur non essendo una garanzia della qualità dei servizi non si può certo<br />
escludere – e anzi si deve affermare – che nel contesto italiano, caratterizzato da una elevata<br />
presenza di avvocati, le tariffe che fissano onorari minimi consentano di evitare una concorrenza<br />
che si traduce nell’offerta di prestazioni « al ribasso », tali da poter determinare un peggioramento<br />
della qualità del servizio”.<br />
( 44 ) Art. 16 e relativa tabella allegata del Decreto Attuativo.<br />
( 45 ) Art. 17 del Decreto Legislativo.<br />
( 46 ) Corte cost., 1° giugno 2004, n. 163, i cui principi sono poi stati applicati dal Tribunale<br />
di Genova, 17 aprile 2007, e dal Tribunale di Torino, sez. dist. Moncalieri, 24 ottobre 2006.<br />
( 47 )Tribunale di Biella, 17 gennaio 2006.<br />
( 48 ) Decreto Legislativo, art. 5, comma 1.<br />
( 49 ) Decreto Legislativo, art. 5, comma 4, lettera a).<br />
( 50 ) Decreto Legislativo, art. 5, comma 3.<br />
( 51 ) Art. 13 del Modello di legge uniforme sulla conciliazione/mediazione delle controversie<br />
commerciali internazionali (Risoluzione A/RES/57/18, adottata il 19 novembre 2002, su cui il<br />
mio commento pubblicato in questa rivista, 2003, p. 1341).
SAGGI 113<br />
ge applicabile alla mediazione delle controversie commerciali internazionali.<br />
A ben vedere, siffatta situazione è pressoché speculare a quella che per<br />
vari lustri ha avuto vigore nel processo del lavoro (art. 412 bis c.p.c., ora<br />
abrogato dal recente “collegato lavoro”) ( 52 ): anche lì la condizione di procedibilità<br />
ha sempre superato indenne – sotto i profili ora in rilievo – il vaglio<br />
del giudice delle leggi. Anzi, a differenza della subfornitura, nel diritto<br />
processuale del lavoro il tentativo di conciliazione in sede extragiudiziale si<br />
concludeva con una proposta aggiudicativa, e cioè fondata su un meccanismo<br />
pressoché identico a quello attualmente previsto dal Decreto Legislativo<br />
sulla mediazione.<br />
La Corte Costituzionale ha innanzitutto evidenziato che la tutela monitoria<br />
ragionevolmente sfuggiva – così come era espressamente disposto dall’art.<br />
412 bis c.p.c. – alla condizione di procedibilità, non tanto perché essa<br />
rappresentava un mezzo accelerato di tutela giurisdizionale, ma in quanto:<br />
“. . . il tentativo obbligatorio di conciliazione è strutturalmente legato ad un processo<br />
fondato sul contraddittorio. La logica che impone alle parti di “incontrarsi” in una sede<br />
stragiudiziale, prima di adire il giudice, è strutturalmente collegata ad un (futuro) processo<br />
destinato a svolgersi fin dall’inizio in contraddittorio fra le parti.<br />
All’istituto sono quindi per definizione estranei i casi in cui invece il processo si debba<br />
svolgere in una prima fase necessariamente senza contraddittorio, come accade per il<br />
procedimento per decreto ingiuntivo. Non avrebbe infatti senso imporre, nella fase pregiurisdizionale<br />
relativa al tentativo di conciliazione, un contatto fra le parti che invece<br />
non è richiesto nella fase giurisdizionale ai fini della pronuncia del provvedimento monitorio”<br />
( 53 ).<br />
Con riferimento alla tutela cautelare, pure esplicitamente non sottoposta<br />
dall’art. 412 bis c.p.c. alla citata condizione di procedibilità, la Corte ha<br />
osservato:<br />
« ... rileva anzitutto la “sedes materiae” prescelta per introdurre il nuovo tentativo obbligatorio<br />
di conciliazione, ossia la disciplina del processo di cognizione “ordinario” delle<br />
controversie di lavoro, che fin dall’inizio assicura il contraddittorio.<br />
In secondo luogo le due categorie di procedimenti cui si riferisce l’ultimo comma<br />
dell’art. 412-bis cod. proc. civ. sono entrambe strutturate in modo da non precludere necessariamente<br />
il contraddittorio nella fase iniziale. Per i procedimenti cautelari – per i<br />
quali comunque l’esclusione dalla soggezione al tentativo di conciliazione si correla alla<br />
( 52 ) Legge 4 novembre 2010, n. 183.<br />
( 53 ) Corte Costituzionale, sentenza 13 luglio 2000, n. 276, i cui principi sono stati ribaditi<br />
nell’ordinanza del 6 febbraio 2001, n. 29.
114 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
stessa strumentalità della giurisdizione cautelare – l’art. 669-sexies del codice di procedura<br />
civile prevede come regola il provvedimento in contraddittorio e solo come eccezione<br />
quello reso inaudita altera parte. Quanto ai “provvedimenti speciali d’urgenza” –<br />
che, secondo l’interpretazione corrente, si identificherebbero nei procedimenti di cui<br />
agli artt. 28 e 18, comma 7, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà<br />
e dignità del lavoratore, della libertà sindacale e dell’attività sindacale e norme sul<br />
collocamento), ed all’art. 15 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra<br />
uomini e donne in materia di lavoro) – il contraddittorio è assicurato fin dall’inizio e trae<br />
giustificazione dal carattere di urgenza della tutela da essi apprestata » ( 54 ).<br />
Ciò posto, la Corte Costituzionale – evidenziato altresì che il tentativo<br />
di conciliazione aveva natura di trattativa extragiudiziale ( 55 ) – ha sempre<br />
concluso che la (ora abrogata) condizione di procedibilità, prevista nel rito<br />
del lavoro, non ledeva né il principio di eguaglianza, né quello alla tutela<br />
giurisdizionale effettiva dei diritti, né quello all’equo processo:<br />
“Ritenuto che . . . il giudice rimettente – ricordato che, secondo la Corte costituzionale<br />
(sentenza n. 276 del 2000), il tentativo obbligatorio di conciliazione legittimamente incide<br />
sul diritto di azione, con un « impedimento obiettivamente limitato e non irragionevole<br />
», in quanto finalizzato a soddisfare l’interesse generale ad un processo celere e ad<br />
una composizione rapida delle controversie per via di composizione preventiva della lite<br />
– osserva come la tutela dell’interesse sopra richiamato non possa concretizzarsi in un<br />
mero differimento temporale dell’esercizio della giurisdizione, ma debba tradursi nell’effettivo<br />
espletamento del tentativo di conciliazione stesso;<br />
che, pertanto, – a giudizio del rimettente – non sarebbe manifestamente infondata<br />
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 410-bis, comma secondo, cod. proc.<br />
civ., per violazione dell’art. 111, comma secondo, Cost., laddove lo stesso – in combinato<br />
disposto con l’art. 412-bis cod. proc. civ. – consente il non effettivo espletamento del<br />
tentativo obbligatorio di conciliazione;<br />
...<br />
... questa Corte – dopo aver affermato che costituisce principio ormai consolidato<br />
nella giurisprudenza costituzionale quello enunciato dalla sentenza n. 276 del 2000, secondo<br />
cui « il legislatore può imporre condizioni all’esercizio del diritto di azione se queste,<br />
oltre a salvaguardare interessi generali, costituiscono, anche dal punto di vista temporale,<br />
una limitata remora all’esercizio del diritto stesso » – ha dichiarato la stessa manifestamente<br />
inammissibile, con ordinanza n. 436 del 2006;<br />
... in particolare, nella citata ordinanza, la Corte ha osservato che « la pretesa del rimettente,<br />
secondo la quale “gli interessi generali” dovrebbero comunque prevalere impedendo<br />
l’esercizio del diritto di azione fino a quando il tentativo di conciliazione non<br />
sia stato effettivamente espletato, non solo è contraddittoria rispetto al parametro costi-<br />
( 54 ) Corte Costituzionale, sentenza 13 luglio 2000, n. 276, cit.<br />
( 55 ) Corte Costituzionale, sentenza 13 luglio 2000, n. 276, cit., punto 6.1, secondo paragrafo.
SAGGI 115<br />
tuzionale evocato, ma si risolve nel contrapporre una propria soggettiva valutazione al<br />
bilanciamento degli interessi, operato dalla legge, che questa Corte ha più volte ritenuto<br />
non solo consentito, ma imposto dai valori costituzionali implicati »<br />
... tale orientamento – per l’identità dei presupposti e della ratio – deve essere, nella<br />
specie, confermato, con conseguente dichiarazione di manifesta inammissibilità della<br />
proposta questione di legittimità costituzionale” ( 56 ).<br />
In buona sostanza, si direbbe che la Corte Costituzionale e la Corte di<br />
Giustizia condividono lo stesso orientamento ( 57 ).<br />
Per quanto concerne, invece, un paventato vizio del Decreto Legislativo<br />
per eccesso di delega, ci si limita a ricordare che, nel momento in cui tale<br />
provvedimento è stato adottato, il Governo disponeva ben di due distinte<br />
deleghe: quella conferita mediante la legge su sviluppo economico, competitività<br />
e riforma del processo civile ( 58 ), da un canto, e quella contenuta<br />
nella legge comunitaria per l’anno 2008 ( 59 ) relativa all’attuazione della Direttiva,<br />
dall’altro.<br />
Con riferimento alla prima di dette deleghe, uno dei criteri fissati al Governo<br />
era proprio quello di prevedere la presenza di una proposta aggiudicativa<br />
al termine della mediazione, in caso di suo insuccesso ( 60 ). Cosa rientrante<br />
nella piena discrezionalità del legislatore delegante, quanto meno<br />
per le controversie di natura interna al nostro paese.<br />
Inoltre, il Governo era tenuto a far sì che la disciplina sulla mediazione<br />
non precludesse il ricorso alla giustizia ( 61 ). Alla luce dei citati concordanti<br />
insegnamenti, resi dalla Corte di Giustizia e da quella Costituzionale, anche<br />
questo requisito sembrerebbe rispettato dal Decreto Legislativo.<br />
Ancora, il Parlamento aveva espressamente previsto ( 62 ) che la nuova disciplina<br />
sulla mediazione delle controversie in materia civile e commerciale<br />
potesse rappresentare un’estensione di quella (vigente all’epoca della delega)<br />
sulla conciliazione delle liti societarie ( 63 ). Se si confrontano le due<br />
fonti, fatti salvi alcuni adattamenti necessari per tenere anche conto degli al-<br />
( 56 ) Corte cost., ord., 26 ottobre 2007, n. 355.<br />
( 57 ) Ciò dovrebbe emergere con immediatezza, se si confrontano la sentenza della Corte<br />
Costituzionale del 13 luglio 2000, n. 276, cit., con quella della Corte CE del 18 marzo 2010,<br />
Alassini, cit.<br />
( 58 ) Art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69.<br />
( 59 ) Allegato B alla legge 7 luglio 2009, n. 88.<br />
( 60 ) Legge 18 giugno 2009, n. 69, art. 60, comma 3, lett. p).<br />
( 61 ) Legge 18 giugno 2009, n. 69, art. 60, comma 3, lett. a).<br />
( 62 ) Legge 18 giugno 2009, n. 69, art. 60, comma 3, lett. c).<br />
( 63 ) Decreto Legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, articoli da 38 a 40, ora abrogati.
116 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
tri criteri imposti dalla legge-delega, si noterà che tale trasferimento è puntualmente<br />
avvenuto, innalzando addirittura al rango di fonte legislativa nella<br />
“nuova” mediazione molti principi in precedenza contenuti nelle norme<br />
di attuazione della “vecchia” conciliazione ( 64 ).<br />
Con riferimento a questi ultimi, le previgenti fonti regolamentari stabilivano<br />
che gli Organismi di conciliazione societaria – al fine di rispondere ai<br />
requisiti di “serietà e professionalità” sanciti a livello legislativo ( 65 ) – dovessero<br />
non solo assicurare “professionalità ed efficienza”, ma anche fornire<br />
“garanzie di indipendenza, imparzialità e riservatezza nello svolgimento del<br />
servizio” ( 66 ). Adesso siffatti requisiti sono stati fatti propri dal Parlamento<br />
delegante, secondo cui la mediazione va svolta da “Organismi professionali<br />
e indipendenti” ( 67 ). È assurdo pensare che un Organismo possa operare in<br />
modo “professionale” senza essere indipendente. Il secondo requisito rappresenta<br />
dunque una componente del primo.<br />
Quanto sopra spiega perché il Decreto Legislativo consentiva – anche<br />
dal punto di vista organizzativo – che alla nuova disciplina sulla mediazione<br />
continuassero ad applicarsi in via transitoria (cosa ormai superata) le disposizioni<br />
attuative per la conciliazione societaria ( 68 ).<br />
A chiudere il discorso, dovrebbe allora forse valere la circostanza che le<br />
nuove disposizioni di attuazione ( 69 ) (entrate in vigore dopo avere ricevuto<br />
il consueto parere del Consiglio di Stato) ( 70 ) non solo ribadiscono che gli<br />
Organismi di mediazione devono offrire “garanzie di indipendenza, imparzialità<br />
e riservatezza nello svolgimento del servizio di mediazione” ( 71 ), ma risultano<br />
addirittura più rigorose di quelle precedenti ( 72 ).<br />
Ad ogni modo, a definire la querelle sarà presto la stessa Corte Costituzionale,<br />
di recente chiamata a pronunciarsi dal TAR Lazio ( 73 ).<br />
( 64 ) Decreti del Ministero della Giustizia del 23 luglio 2004, n. 222 e n. 223, ora abrogati.<br />
( 65 ) Art. 38, comma 1, del decreto Legislativo del 17 gennaio 2003, n. 5, ora abrogato.<br />
( 66 ) Art. 4, comma 3, del decreto del Ministero della Giustizia del 23 luglio 2004, n. 222, cit.<br />
( 67 ) Legge 18 giugno 2009, n. 69, art. 60, comma 3, lett. b).<br />
( 68 ) Art. 16, comma 2, del Decreto Legislativo.<br />
( 69 ) Decreto Attuativo.<br />
( 70 ) Consiglio di Stato, sezione consultiva per gli atti normativi, R.G. 3640/2010, parere<br />
interinale del 26 agosto 2010 e parere definitivo favorevole del 20 settembre 2010.<br />
( 71 ) Art. 4, comma 2, lett. e) del Decreto Attuativo.<br />
( 72 )Ad esempio l’art. 4, comma 2, lett. a) del Decreto Attuativo, ove si richiede agli Organismi<br />
di mediazione “la capacità finanziaria e organizzativa del richiedente, nonché la compatibilità<br />
dell’attività di mediazione con l’oggetto sociale o lo scopo associativo”.<br />
( 73 ) Ordinanza TAR Lazio del 12 aprile 2011 in causa R.G. 10-37/2010, in La Mediazione,<br />
2011, p. 79, con commento di Lannutti.
SAGGI 117<br />
Forse, se si volesse muovere una critica al Ministero, si potrebbe rilevare<br />
che in altri Stati europei il percorso formativo per i mediatori è alquanto<br />
più lungo delle cinquanta ore da noi previste ( 74 ) come indispensabili, al fine<br />
di accumulare il bagaglio culturale iniziale per svolgere tale attività presso<br />
un Organismo. Detta specifica formazione si incentra essenzialmente<br />
sulle tecniche negoziali ( 75 ), e dunque su una materia che attualmente in <strong>Italia</strong><br />
non sembra essere oggetto né di insegnamento nemmeno nei corsi di<br />
laurea in giurisprudenza, né degli esami di abilitazione all’esercizio della<br />
professione forense. Alla luce di ciò, allora, i requisiti formativi adesso richiesti<br />
per i mediatori paiono più rigorosi di quelli in precedenza imposti ai<br />
conciliatori societari. Mentre i primi – a prescindere dalla loro professione e<br />
anzianità – devono ora tutti acquisire apposite e verificate capacità negoziali<br />
( 76 ), indispensabili per condurre adeguatamente le trattative extragiudiziarie<br />
in cui essi interverranno, i secondi erano inspiegabilmente esonerati<br />
dall’obbligo formativo, qualora questi ultimi fossero stati avvocati o commercialisti<br />
iscritti nei rispettivi albi da almeno quindici anni ( 77 ). Peraltro<br />
detta inappropriata esenzione operava – senza suscitare particolare scandalo<br />
– in modo indiscriminato, senza cioè tenere conto delle eventuali specializzazioni<br />
maturate da tali professionisti, consentendo così di accreditarsi<br />
come conciliatore anche a chi di loro mai avesse trattato la materia societaria<br />
o fosse del tutto privo di capacità negoziali.<br />
5. – Tra le idee più fuorvianti attualmente in circolazione, una è quella<br />
secondo cui in mediazione si rifiuta tout court di prendere minimamente in<br />
considerazione il diritto. L’altra, parimenti ingannevole, è che spetti sempre<br />
al mediatore pronunciarsi al riguardo, cassando ogni tentativo di allontanarsi<br />
da ciò che a lui pare la soluzione giuridicamente corretta del caso.<br />
Per tentare di gettare qualche luce su come il mediatore debba affrontare<br />
le questioni giuridiche, iniziamo con il ricordare che per la Direttiva ( 78 )<br />
non è “mediazione” né l’arbitrato, né l’adjudication. A sua volta, il Decreto<br />
Legislativo definisce il mediatore come un soggetto che rimane “privo, in<br />
( 74 ) Art. 4, comma 3, del Decreto Attuativo.<br />
( 75 )A livello accademico, le tecniche negoziali sono ormai oggetto di approfonditi studi.<br />
Uno dei centri più rinomati è l’università di Harvard, che a loro dedicato un apposito e rinomato<br />
progetto di ricerca (P.O.N. Program on Negotiation).<br />
( 76 ) Art. 4, comma 3, lett. b), e art. 168, comma 2, lett. f), del Decreto Attuativo.<br />
( 77 ) Art. 4, comma 4, lett. a), del decreto del Ministero della Giustizia del 23 luglio 2004,<br />
n. 222, cit.<br />
( 78 ) Considerando n. 11 alla Direttiva.
118 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari<br />
del servizio medesimo” ( 79 ).<br />
Ciò posto, l’approccio del mediatore alle questioni giuridiche è strettamente<br />
funzionale alla tecnica di mediazione da lui adottata.<br />
Se il mediatore effettua una expert evaluation su un caso ove sono controversi<br />
i profili giuridici, è pacifico che egli procede a valutarli: difatti, è proprio<br />
questo che gli viene espressamente richiesto, siccome la mediazione è<br />
destinata a produrre un parere pro veritate – che, si è detto, possiamo anche<br />
definire proposta – sulla materia controversia, utile alle parti per capire se e<br />
come eventualmente accordarsi.<br />
Ben diverso discorso va fatto, qualora il mediatore ricorra alla metodologia<br />
di mediation, ove egli deve mostrare una diversa sensibilità nei confronti<br />
delle questioni giuridiche caratterizzanti la lite: ciò non significa affatto<br />
accantonarle. Semplicemente esse vengono “ridimensionate”, considerandole<br />
non come un altare sul quale i litiganti devono immolarsi a loro<br />
discapito (e, se lo fanno, a chi giova in definitiva), ma come uno dei tanti<br />
elementi condizionanti le posizioni delle parti in conflitto. In altre parole,<br />
alle questioni giuridiche controverse è attribuito il medesimo valore che assume<br />
solitamente il quadro giuridico di riferimento nel contesto di una trattativa<br />
tra due soggetti desiderosi di concludere tra loro un affare. È pacifico<br />
che la disciplina positiva va debitamente conosciuta, onde agire nel modo<br />
più opportuno e legittimo, ma ciò non deve tradursi in un ostacolo insormontabile<br />
per l’instauranda relazione contrattuale.<br />
Nell’ambito di una trattativa commerciale, infatti, è pacifico compito<br />
dei consulenti (avvocati, commercialisti, altri professionisti) rendere edotti<br />
i loro clienti in merito al quadro normativo di riferimento, suggerendo conseguentemente<br />
loro le soluzioni ottimali per concludere l’affare stesso nonché<br />
avvertendoli sui possibili rischi presenti, ma senza boicottare la trattativa<br />
stessa. Ovviamente la decisione finale spetta ai clienti, destinatari dell’attività<br />
di consulenza e signori del loro patrimonio. Una volta acquisita la debita<br />
consapevolezza, solo a questi ultimi spetta valutare la bontà economica<br />
di un affare e, conseguentemente, se concluderlo o meno nonché definirne<br />
le eventuali condizioni.<br />
Lo stesso vale per l’attività dei professionisti che assistono le parti in mediazione:<br />
è loro precipua competenza discutere – se utile e tenendo sempre<br />
in considerazione lo specifico contesto in cui si opera, rappresentato da una<br />
trattativa in sede extragiudiziaria – i profili giuridici del caso, ma unicamen-<br />
( 79 ) Art. 1, comma 1. lett. b), del Decreto Legislativo.
SAGGI 119<br />
te al fine di consentire ai loro assistiti la miglior comprensione circa la propria<br />
situazione, sì da permettere a questi ultimi di stabilire se sia più opportuno<br />
risolvere la lite mediante una decisione giudiziale ovvero un accordo.<br />
Qualora la prima ipotesi appaia a ragion veduta un’alternativa poco allettante<br />
rispetto alla seconda, si spalanca la strada all’uscita dal contenzioso<br />
mediante una conciliazione che soddisfi il più possibile i reali interessi dei<br />
litiganti. Peraltro, questo è il momento in cui viene meno ogni differenza<br />
tra mediazione obbligatoria e facoltativa.<br />
Compito del mediatore è dunque quello di guidare le parti e i loro rispettivi<br />
consulenti nell’esplorazione anche delle questioni giuridiche pendenti,<br />
astenendosi però dall’esprimere qualsiasi giudizio di sorta in proposito.<br />
Farlo comporterebbe per il mediatore non solo travisare completamente<br />
il proprio ruolo, ma anche perdere irrimediabilmente la propria imparzialità<br />
agli occhi delle parti.<br />
Chiarito quanto sopra, ci si domanda spesso con smarrimento come in<br />
concreto il mediatore debba allora comportarsi, per assolvere adeguatamente<br />
siffatto compito. In altre parole, come il mediatore debba condurre<br />
la “fase esplorativa”, quando si affrontano le questioni giuridiche.<br />
La risposta nasconde una sconcertante semplicità, poiché si scopre che<br />
in proposito la tecnica di mediation condivide esperienze maturate anche in<br />
altri settori del mondo giuridico, seppure lontani a distanza siderale, quali<br />
l’arbitrato delle controversie commerciali internazionali.<br />
Con riferimento all’attività che – senza pregiudicare la propria neutralità<br />
o addirittura incorrere nel rischio di venire ricusato ( 80 ) – il presidente di un<br />
tale collegio arbitrale può svolgere, per aiutare le parti a definire la lite pendente<br />
mediante un accordo che evita il lodo, Draetta (ben fermo nel rivendicare<br />
“l’orgoglio di arbitrare” ( 81 ) e nel rimarcare la profonda distinzione tra<br />
arbitro e mediatore) ( 82 ) suggerisce di promuovere l’efficiente gestione della<br />
procedura:<br />
“Ciò richiede che il presidente possieda in misura elevata tali capacità di gestione, rispettando<br />
così le aspettative delle parti e, anzi, cercando continuamente di indurle ad un<br />
certo realismo circa la valutazione della fondatezza delle rispettive pretese . . .<br />
Ciò comporta l’identificazione, già dalla fasi preliminari del procedimento, delle<br />
questioni da decidere preliminarmente o, comunque, delle questioni più importanti da<br />
risolvere . . . ( 83 )<br />
( 80 ) Draetta, Il “rovescio” dell’arbitrato, Milano, p. 98.<br />
( 81 ) Draetta, op. cit.,p. 157.<br />
( 82 ) Draetta, op. cit., pp. 98 e 103.<br />
( 83 ) Draetta, op. cit., p. 89.
120 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Attraverso tale efficiente gestione, il tribunale arbitrale crea, infatti, un clima collaborativo<br />
e improntato a razionalità tra le parti e le induce a rivedere con maggiore realismo<br />
le proprie aspettative. Ciò può avvenire, per esempio, attraverso domande opportunamente<br />
calibrate che il presidente può porre alle parti, . . . la richiesta che il senior management<br />
delle parti sia presente a determinate udienze. Tutti questi passi possono indurre<br />
le parti a guardare con maggiore rispetto, o almeno con maggiore attenzione, alle<br />
posizioni della controparte e non semplicemente ad ignorarle.<br />
...<br />
Senza assolutamente offrire alle parti alcun elemento che possa anticipare la decisione,<br />
il presidente può, ad esempio, prospettare alle parti stesse le conseguenze che potrebbero<br />
derivare dalla decisone, in un senso o nell’altro, di alcune questioni preliminari,<br />
in modo da assicurarsi che esse comprendano e valutino il rischio che corrono a seconda<br />
della decisione in questione. Può anche spingersi, se ne ricorrono gli estremi, fino<br />
a dire che l’intera controversia è molto complessa, che non si presta ad una decisione salomonica<br />
e che le parti dovranno valutare attentamente il rischio di uscirne totalmente<br />
vincenti o totalmente perdenti a fronte della convenienza di raggiungere esse stesse una<br />
soluzione salomonica nell’interesse delle loro rispettive attività di business. Se questo<br />
discorso è fatto dinanzi ai capi azienda delle due parti, esso avrà ancora maggiori chances<br />
di essere preso in seria considerazione dalle stesse ( 84 )”.<br />
Per forza di cose, quanto prospettato da Draetta non è automaticamente<br />
traslabile in sede di mediazione, data la sua profonda differenza ontologica rispetto<br />
all’arbitrato ( 85 ), ma fornisce forse interessanti indicazioni su come il<br />
mediatore possa affrontare le questioni giuridiche durante la fase esplorativa.<br />
In buona sostanza, egli inviterà i consulenti delle parti a discutere il caso, permettendosi<br />
di porre loro domande in proposito, non al fine di giudicare, ma<br />
allo scopo di favorire la consapevolezza sulle questioni controverse.<br />
Nel fare ciò, da un canto il mediatore dovrà ben tenere conto di essere<br />
sfornito di qualsiasi potere decisionale e che nessuno gli sta chiedendo la sua<br />
opinione. Peraltro egli nemmeno sarebbe in grado di elaborarla con cognizione<br />
di causa, non disponendo di tutte le informazioni solitamente nelle<br />
mani di un arbitro, grazie a quanto presente nei fascicoli delle parti. Dall’altro,<br />
l’informalità della mediazione gli consentirà di invitare le parti a discutere<br />
anche aspetti giuridici non strettamente ricollegabili alla configurazione<br />
del conflitto inizialmente data dalle parti, ovviamente a condizione che si<br />
tratti di questioni ragionevolmente rilevanti. Dall’altro ancora (e questa è<br />
un’arma potente!), il mediatore proporrà alle parti di valutare se le soluzioni,<br />
che l’ordinamento giuridico di riferimento consentirebbe eventualmente lo-<br />
( 84 ) Draetta, op. cit., p. 101.<br />
( 85 )“Quando un arbitro pretende di agire come mediatore può perfino finire con l’allargare il<br />
divario esistente fra le posizioni delle parti”: così Draetta, op. cit., p. 103.
SAGGI 121<br />
ro di raggiungere in sede contenziosa, rispondono effettivamente all’interesse<br />
reale delle parti, sia sul piano economico che relazionale.<br />
Non resta che affrontare un ultimo dubbio: come deve comportarsi il<br />
mediatore, se ravvisa la presenza di squilibrii tra le parti<br />
Nella tecnica di mediation, egli è sì tenuto a porsi il problema, siccome la<br />
sua deontologia gli impone di salvaguardare sempre il principio di autodeterminazione<br />
delle parti ( 86 ), ma la conseguente reazione non deve pregiudicare<br />
la sua imparzialità. In effetti, così sancisce il Codice Europeo per i<br />
Mediatori:<br />
“Il mediatore deve condurre il procedimento in modo appropriato, tenendo conto delle<br />
circostanze del caso, inclusi possibili squilibri nei rapporti di forza . . .<br />
...<br />
Il mediatore deve informare le parti, e può porre fine alla mediazione, nel caso in<br />
cui: sia raggiunto un accordo che al mediatore appaia non azionabile o illegale, avuto riguardo<br />
alle circostanze del caso e alla competenza del mediatore per raggiungere tale valutazione;<br />
...<br />
Il mediatore deve adottare tutte le misure appropriate affinché l’eventuale accordo<br />
raggiunto tra le parti si fondi su un consenso informato e tutte le parti ne comprendano<br />
i termini”.<br />
Di conseguenza, qualora gli “squilibri di forza” tra le parti, relativi alla<br />
consapevolezza sulle questioni giuridiche, appaiono minare il principio di<br />
libera autodeterminazione delle parti, il mediatore dovrà inizialmente suggerire<br />
al soggetto debole di avvalersi della necessaria assistenza di un professionista,<br />
rinviando il proseguo della mediazione a nuova seduta. Qualora<br />
la situazione sussista e paia insostenibile, il mediatore dovrà infine porre<br />
definitivamente termine alla sua attività.<br />
Diversa invece la condotta richiesta al mediatore cui è sottoposta una<br />
controversia individuale di consumo, perché qui si applicano i principi sanciti<br />
dalle due menzionate Raccomandazioni comunitarie in materia, espressamente<br />
richiamate dal nostro codice del consumo ( 87 ).<br />
In quella del 1998, pensata con riferimento agli organismi aventi poteri<br />
decisori o propositivi per la soluzione extragiudiziale delle controversie in<br />
( 86 ) Codice europeo di condotta per i mediatori, cit., art. 3. Nello stesso senso l’americano<br />
Model standards of conduct for mediators, versione 2005, regola I. Per un approfondimento, mi<br />
permetto di rinviare a Appiano, La deontologia per il mediatore, in Aa.Vv., La mediazione nelle<br />
liti civili e commerciali – Metodo e regole, cit., p. 345.<br />
( 87 ) Art. 141 del codice del consumo, richiamato dall’art. 16, comma 2, del Decreto Legislativo.
122 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
materia di consumo, l’idea di libertà è ricollegata all’adesione consapevole<br />
del consumatore al procedimento solutorio, ritenuta valida solo se effettuata<br />
dopo l’insorgere della controversia. A sua volta, l’idea di legalità impone<br />
all’organismo di valutare il caso, addivenendo a soluzioni che non privino il<br />
consumatore dei propri diritti.<br />
Il principio di equità, portato dalla Raccomandazione del 2001, vuole invece<br />
che gli organismi informino il consumatore circa l’opportunità della<br />
soluzione liberamente ipotizzata dalle parti, e cioè se quest’ultima appare<br />
penalizzante rispetto al risultato che egli potrebbe invece conseguire in sede<br />
giudiziaria. Tale modo di procedere, giustificato dal modesto valore economico<br />
della controversia, impone un’evidente interferenza del mediatore<br />
sulle parti: chi opera per l’organismo deve comunicare loro il risultato della<br />
propria valutazione tecnico-giuridica autonomamente condotta sul merito<br />
della controversia, operando così con modalità concettualmente vicine ai<br />
meccanismi aggiudicativi.<br />
Peraltro è la stessa Commissione europea ad evidenziare che, proprio a<br />
causa del valore limitato di tale contenzioso, risulta talora difficilmente giustificabile<br />
sul piano economico anche l’avvalersi dell’assistenza legale ( 88 ),<br />
quanto meno per il consumatore.<br />
Qualora invece il mediatore effettui una expert evaluation, è connaturale<br />
all’incarico affidatogli il valutare adeguatamente il caso, siccome gli è richiesto<br />
di rendere un parere pro veritate sulla vertenza. Nulla esclude che le<br />
parti, una volta acquisito quest’ultimo – vuoi in via riservata, vuoi perché<br />
trasfuso nella proposta aggiudicativa con modalità adeguate a salvaguardaree<br />
il riserbo della mediazione – possano valutare in separata sede l’opportunità<br />
di prenderlo in considerazione, prendendosi il tempo necessario per<br />
farlo e ricorrendo all’ausilio di propri consulenti, qualora questi ultimi fossero<br />
stati assenti durante la mediazione.<br />
6. – Alla luce di quanto in precedenza illustrato, la mediazione costituisce<br />
dunque un meccanismo conoscitivo offerto ai litiganti, finalizzato a<br />
consentire loro di determinare in modo veramente consapevole se e come<br />
definire un conflitto mediante un accordo.<br />
Nella tecnica di mediation, inoltre, l’insorgere della consapevolezza viene<br />
agevolato – se non addirittura reso possibile – ripristinando la comunicazione<br />
tra i litiganti, missione che il mediatore realizza facendo scendere i toni del<br />
( 88 ) Considerando n. 13 alla Raccomandazione del 2001; considerando nn. 3 e 18 a quella<br />
del 1998.
SAGGI 123<br />
conflitto, e cioè consentendo alle parti di riconoscerne le reali ragioni e porre<br />
termine all’escalation di ostilità che solitamente precede l’azione in giudizio.<br />
In altre parole, la mediazione aiuta le parti a superare i blocchi psicologici<br />
e conoscitivi, che sovente impediscono loro di definire in via volontaria<br />
il conflitto.<br />
A siffatte affermazioni solitamente si eccepisce che tale azione potrebbe<br />
al massimo servire per le “beghe di pianerottolo o famigliari”, ma sarebbe<br />
pienamente inutile, se non ridicola, per il mondo delle controversie d’affari,<br />
ove le parti agirebbero sempre in modo razionale e con piena consapevolezza,<br />
anche grazie all’ausilio dei propri consulenti sicuramente presenti.<br />
A minare forse simile convincimento soccorre nuovamente l’esperienza<br />
maturata da Draetta nel mondo degli arbitrati commerciali internazionali,<br />
che –per il valore delle controversie, la preparazione culturale delle parti<br />
e la folta presenza di consulenti – rappresenta quanto di più antitetico è immaginabile<br />
rispetto alle menzionate “beghe”:<br />
“È lecito domandarsi . . . cosa porti le parti ad una disputa arbitrale contraria al good business<br />
judgement di cui ogni operatore economico dovrebbe essere fornito e destinata,<br />
fra l’altro a deteriorare inevitabilmente le relazioni commerciali tra le parti.<br />
Il fatto è che non sempre le parti agiscono razionalmente nell’iniziare un arbitrato e<br />
l’indagine sulle motivazioni irrazionali che possono portare le parti ad un tale passo richiederebbe<br />
a volte l’ausilio di uno psicologo.<br />
Spesso si scopre che tra i capi-azienda delle rispettive parti esiste una profonda animosità,<br />
determinata dalla sensazione di avere subito presunti torti di cui ci si vuole vendicare,<br />
oppure vi è semplicemente una insuperabile antipatia personale. È la sindrome<br />
del “gliela farò pagare” che prevale sul buon senso, offusca la ragionevolezza della decisione<br />
di ricorrere all’arbitrato ed, in particolare, impedisce una obiettiva valutazione della<br />
fondatezza delle proprie ragioni.<br />
In altri casi, i capi-azienda sono semplicemente mal consigliati dai propri collaboratori,<br />
inclusi i propri legali esterni e interni, i quali, attraverso il ricorso all’arbitrato,<br />
possono essere tentati di giustificare i propri errori o ritardare il momento in cui tali errori<br />
possono venire in evidenza con effetti pregiudizievoli per le loro carriere. Si innesta<br />
così una perversa spirale di mal riposte aspettative di successo, che si rinforzano a<br />
vicenda, ma che spesso sono destinate a scontrarsi con la spiacevole realtà di un lodo<br />
sfavorevole ( 89 ).<br />
...<br />
La domanda di arbitrato è una dichiarazione di guerra, alla quale i difensori dell’attore<br />
non assumono certo toni conciliativi, ma tendono ad amplificare al massimo le proprie<br />
pretese, anche a costo di inserirvene di irragionevoli. Nella risposta la controparte<br />
inevitabilmente cadrà negli eccessi opposti. Il divario tra le posizioni delle parti tenderà<br />
ad allargarsi e quel poco di clima amichevole che poteva ancora sussistere nel corso del-<br />
( 89 ) Draetta, op. cit., p. 11.
124 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
le precedenti trattative tra tecnici od altri operativi svanirà come nebbia al sole, spazzato<br />
vi da difensori che fanno il loro mestiere di litigators ( 90 ).<br />
... i capi azienda raramente partecipano alle udienze arbitrali, Se lo facessero,<br />
avrebbero probabilmente l’occasione di parlarsi tra loro e, al di là degli aspetti legali della<br />
controversia, di esaminare concretamente i vantaggi, sulla base di pure considerazioni<br />
di business, di una soluzione transattiva. Solo loro avrebbero l’autorità per farlo. Inoltre,<br />
partecipando all’udienza, avrebbero anche l’opportunità di valutare in concreto il<br />
comportamento dei legali che li rappresentano, specie con riguardo alla capacità di tali<br />
legali di cogliere occasioni per soluzioni transattive ( 91 ).<br />
...<br />
... vi sono momenti nella procedura arbitrale in cui lo sviluppo delle rispettive argomentazioni<br />
rende possibile alle parti di comprendere con maggiore obiettività le eventuali<br />
debolezze delle proprie e il livello di fondatezza di quelle avversarie. Questi momenti<br />
dovrebbero essere colti dai difensori delle parti per un utile tentativo di conciliazione.<br />
In verità, la mia personale esperienza è che raramente i difensori delle parti colgono<br />
queste occasioni o le prospettano alle parti che li hanno rispettivamente nominati.<br />
Le ragioni possono essere molteplici. . . . vi è innanzitutto un elemento di carattere psicologico,<br />
dovuto al fatto che i difensori delle parti sono addestrati al contenzioso (sono dei<br />
litigators) e meno addestrati a negoziare accordi, . . . La forma mentis del difensore di parte,<br />
in altri termini, lo porta a combattere fino alla fine con l’obiettivo di vincere. . . . Una componente<br />
essenziale di tale forma mentis è quella di considerare ogni approccio conciliativo<br />
verso la controparte come una manifestazione di debolezza, rectius di temere che la controparte<br />
possa considerarlo tale. . . . Questo atteggiamento di chiusura, però, a volte rasenta<br />
l’irragionevolezza. È difficile discernere, in tali casi, se si è in presenza di una semplice<br />
preclusione patologica verso l’interruzione della procedura arbitrale (criticabile quanto si<br />
voglia, ma lecita) ovvero di un comportamento non conforme all’etica professionale ( 92 )”.<br />
È doveroso puntualizzare che l’autore citato è ben conscio della necessità<br />
di evitare ingiuste generalizzazioni. Cosa assolutamente indiscutibile.<br />
Si spiega così la ragione per cui le controversie commerciali internazionali<br />
sono state una culla della mediazione, come testimoniato sia dall’attenzione<br />
prestata a tale fenomeno dall’UNCITRAL ( 93 ), sia dalla circostanza che le<br />
organizzazioni arbitrali più famose prestano anche tale servizio, disciplinato<br />
da appositi regolamenti (uno per tutti, le citate ADR rules della ICC).<br />
( 90 ) Grassetto e sottolineatura da me aggiunti.<br />
( 91 ) Draetta, op. cit., p. 17.<br />
( 92 ) Draetta, op. cit., pp. 41 e 42.<br />
( 93 ) Nel 1980 l’UNCITRAL ha elaborato le Regole di conciliazione (adottate il 4 dicembre<br />
1980 dall’Assemblea Generale con Risoluzione 35/52), pensate come un sistema procedurale<br />
cui le parti possano volontariamente richiamarsi, quando intendono disciplinare l’attività<br />
di un terzo che interviene per aiutarle a raggiungere una transazione. Circa venti anni dopo è<br />
seguito il Modello di legge uniforme sulla conciliazione/mediazione delle controversie commerciali<br />
internazionali, cit.
SAGGI 125<br />
Inoltre si comprende inequivocabilmente l’assoluta opportunità che<br />
agli incontri di mediazione partecipino le parti personalmente, evitando di<br />
farsi assistere da procuratori all’uopo nominati. Difatti, per essere realmente<br />
efficace, l’attività del mediatore deve poter raggiungere direttamente i litiganti<br />
stessi, perché altrimenti questi ultimi non riuscirebbero a beneficiare<br />
di quanto emerge grazie al procedimento cognitivo guidato dal mediatore,<br />
né della relativa catarsi quando utile. La stessa “fase esplorativa” nemmeno<br />
avrebbe modo di svilupparsi in modo adeguato, poiché non si riuscirebbe<br />
ad attingere a tutte le informazioni di cui solo le parti sono detentrici,<br />
quali l’identificazione dei rispettivi interessi.<br />
Chiarito ciò sul piano pratico, dal punto di vista giuridico né la Direttiva,<br />
né il Decreto Legislativo impongono che alla mediazione partecipino le<br />
parti personalmente. Il farlo è dunque lasciato alla loro libera scelta, decisione<br />
che dovrebbe forse ispirarsi a criteri di ragionevolezza e opportunità<br />
nonché avvenire in piena consapevolezza.<br />
Ecco perché il Decreto Legislativo obbliga i difensori a fornire adeguate<br />
informazioni ai loro clienti sull’esistenza e sulla natura della mediazione ( 94 ).<br />
Siccome quest’ultima rappresenta una modalità di condurre le trattative in<br />
sede extragiudiziale, detto adempimento dovrebbe compiersi all’atto di ricevere<br />
l’incarico professionale e non solo prima di autenticare la sottoscrizione<br />
della procura alla lite.<br />
Alla luce di quanto sopra nonché di quanto si dirà immediatamente in<br />
appresso, si evince forse il reale significato della condizione di procedibilità<br />
introdotta dal Decreto Legislativo, che trascende le relative implicazioni in<br />
sede processuale. Verosimilmente il vero suo valore è semplicemente il<br />
portare le parti a contatto con la mediazione, sì da permettere loro di sperimentarla<br />
e trarne poi le debite conclusioni con cognizione di causa. In definitiva,<br />
quindi, il voler superare ad ogni costo la mediazione, senza mai tentare<br />
di trarne eventualmente vantaggio, ma considerandola sempre come<br />
un fastidioso incombente burocratico, va semplicemente a detrimento solo<br />
delle parti e di nessun altro.<br />
7. – Indiscussa l’utilità del comporre amichevolmente una controversia,<br />
sussiste però una differenza fondamentale nel farlo mediante una transa-<br />
( 94 ) Decreto Legislativo, art. 4, comma 3. L’utilità di una capillare e corretta informazione<br />
sulla mediazione è oggi riconosciuta da molte associazioni di categoria del mondo imprenditoriale<br />
(come emerge da un loro documento congiunto, oggetto di trattazione in nota successiva),<br />
che hanno pertanto invitato il Governo a predisporre apposite azioni divulgative,<br />
conformemente a quanto stabilito dalla Direttiva all’art. 9.
126 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
zione ovvero mediante un accordo raggiunto in sede di mediazione (la<br />
“conciliazione ”, secondo il Decreto Legislativo) ( 95 ).<br />
La transazione rappresenta un accordo in perdita per entrambe le parti<br />
(una relazione “lose to lose”) o, quanto meno per una di esse, se l’altro rinuncia<br />
a mere pretese prive di reale fondamento (“win to lose”). Idea perfettamente<br />
tradotta nella nozione legale di transazione del nostro codice civile<br />
( 96 ). Quale conseguenza, la transazione è sì utile perché chiude una lite,<br />
ma lascia l’amaro in bocca e poco giova a rinsaldare rapporti già pregiudicati<br />
per effetto del contenzioso, sfociato o meno in un processo. Tuttavia, la<br />
transazione è spesso la strada obbligata, quando il conflitto viene composto<br />
limitandosi a dare una diversa sistemazione ai beni o ai rapporti che sono<br />
specifico oggetto della lite. Usando un’immagine, si tratta della solita “coperta<br />
stretta”, la cui disposizione viene semplicemente modificata: se però<br />
essa deve continuare a scaldare tutti, il futuro non appare molto roseo per<br />
chi si trova a condividerla.<br />
In mediazione, soprattutto con la tecnica di mediation, si cerca invece di<br />
aiutare le parti a trovare – se materialmente possibile – un accordo che le<br />
soddisfi entrambe ( 97 ) (“win to win”), puntando a costruirlo sulla base dei loro<br />
rispettivi interessi. Se si individua un modo per farli collimare, è verosimile<br />
che le parti accettino di definire la lite mettendo in gioco – cosa lecita,<br />
trattandosi di diritti disponibili – anche beni o rapporti diversi da quelli controversi.<br />
L’immagine solitamente usata è quella di “ingrandire la torta”, manovra<br />
che consente di liberarsi dagli angusti movimenti imposti per forza di<br />
cose da una “coperta stretta”. Per contro, quando le circostanze consentono<br />
unicamente di raggiungere un’intesa assimilabile a una transazione, il farlo<br />
in mediazione tende comunque a favorirne l’accettazione, mitigando la<br />
sensazione di trangugiare uno sciroppo amaro.<br />
In tale ottica si comprende allora perché, anche qualora il contenuto sia<br />
pressoché identico, una conciliazione in mediazione può risultare migliore<br />
di una transazione, soprattutto qualora le parti siano destinate a restare legate<br />
da un rapporto economico o personale (si pensi nuovamente a una successione<br />
ereditaria: diviso il patrimonio, permangono i legami famigliari).<br />
Proprio in questi giorni, peraltro, le principali associazioni imprendito-<br />
( 95 ) Art. 1, comma 1, lettera b) del Decreto legislativo.<br />
( 96 ) Art. 1965 c.c.<br />
( 97 ) In un campo diverso, l’idea di un “metodo senza perdenti” ha ispirato il lavoro di<br />
Gordon, Genitori efficaci, Molfetta, 1970 (trad. it. del libro di detto autore Parent Effectiveness<br />
Training), finalizzato a “portare la disciplina in casa attraverso la gestione efficace dei conflitti”<br />
famigliari.
SAGGI 127<br />
riali italiane – attive nel settore agricolo, artigianale e industriale – hanno riconosciuto<br />
pubblicamente l’utilità della mediazione, in quanto “tutela gli<br />
interessi del mercato” ( 98 ). Forse è un segnale da non trascurare.<br />
Ciò detto in via generale ed astratta, vediamo adesso la ragione per cui<br />
la mediation pare particolarmente utile per affrontare le controversie ove le<br />
parti non possono permettersi di rovinare i rapporti che le legano ( 99 ), com’è<br />
ad esempio nei rapporti di subfornitura nonché nel caso di operazioni di<br />
outsoursing.<br />
Utilizziamoli come banco di prova.<br />
Secondo la vigente normativa italiana ( 100 ), la subfornitura è definita come<br />
il contratto con cui “un imprenditore si impegna a effettuare per conto di<br />
un’<strong>impresa</strong> committente lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime<br />
forniti dalla committente medesima, o si impegna a fornire all’<strong>impresa</strong> prodotti<br />
o servizi destinati ad essere incorporati o comunque ad essere utilizzati<br />
( 98 )“La riforma della mediazione civile e commerciale rappresenta in <strong>Italia</strong> una occasione<br />
importante per ridurre il contenzioso e tutelare gli interessi del mercato”: tale dichiarazione, dai<br />
toni netti ed inequivocabili, è portata da un documento congiunto sottoscritto dalle seguenti<br />
associazioni di categoria: Confederazione italiana dell’agricoltura, Coldiretti, Compagnia<br />
delle opere, Confagricoltura, Condapi, Confcooperative, Confindustria, Lega delle cooperative,<br />
Rete imprese <strong>Italia</strong>. Oltre alle predette associazioni (rappresentanti i fruitori del servizio<br />
di mediazione), il medesimo documento è stato altresì sottoscritto da: Consiglio nazionale<br />
degli architetti, Consiglio nazionale commercialisti ed esperti contabili, Consiglio nazionale<br />
dei geometri e dei geometri laureati, Consiglio nazionale degli ingegneri, Unioncamere (rappresentanti<br />
invece alcuni tra i potenziali prestatori del servizio stesso). Il testo integrale verrà<br />
pubblicato su La mediazione, 2011. Mediante detto documento, i firmatari manifestavano la<br />
propria contrarietà a uno slittamento nel tempo dell’entrata in vigore – fissata per il 20 marzo<br />
2011 – della condizione di procedibilità introdotta dall’art. 5 del Decreto Legislativo, ventilata<br />
invece in Parlamento in occasione della discussione sulla ratifica del decreto legge 29 dicembre<br />
2010 n. 225 (“milleproproghe 2010”). In effetti, quest’ultimo non prevedeva originariamente<br />
alcun differimento al riguardo. L’idea di spostare tale data è dunque emersa in sede<br />
di conversione. Durante i lavori della competente commissione, alcuni senatori avevano proposto<br />
il rinvio di un anno, cosa auspicata da organizzazioni espressione dell’avvocatura. Facendo<br />
proprie le istanze portate dal citato documento congiunto, il Governo è intervenuto<br />
nel dibattito parlamentare mediante un proprio emendamento, volto a limitare tale rinvio solo<br />
a due materie: le controversie condominiali e quelle sulla responsabilità civile derivante<br />
dalla circolazione di veicoli e natanti, nelle quali le imprese sono solitamente poco coinvolte,<br />
fatta ovviamente eccezione per quelle assicurative. In tal senso si è quindi orientata la commissione<br />
e successivamente l’aula. Si è così pervenuti al testo infine adottato nella legge di<br />
conversione.<br />
( 99 )Per una più ampia trattazione, si rinvia a Aa.Vv., ADR: la negoziazione assistita nei<br />
conflitti economici – Guida alla conciliazione e al mini trial, Milano, 2005.<br />
( 100 ) Legge 18 giugno 1998, n. 192, cit.
128 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
nell’ambito dell’attività economica del committente o nella produzione di un<br />
bene complesso, in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologie,<br />
modelli o prototipi forniti dall’<strong>impresa</strong> committente” ( 101 ). Da tale nozione<br />
sono però esclusi “i contratti aventi ad oggetto la fornitura di materie prime,<br />
di servizi di pubblica utilità e di beni strumentali non riconducibili ad attrezzature”<br />
( 102 ).<br />
È noto come la dottrina giuridica ( 103 ) abbia – da subito – sollevato le<br />
proprie perplessità sulla portata di detta definizione, in quanto non paiono<br />
facilmente individuabili quali sono i rapporti contrattuali effettivamente<br />
presi in considerazione, al fine di assoggettarli ad una disciplina speciale,<br />
volta a tutelare la parte debole, individuata nel subfornitore. Dal punto di<br />
vista economico, infatti, i rapporti di subfornitura costituiscono un insieme<br />
più ampio di quello individuato dalla legge, giacché nel primo confluiscono<br />
tipologie piuttosto eterogenee, sintetizzabili nel seguente modo. In primo<br />
luogo, la fornitura continuativa di prodotti realizzati ad hoc per l’acquirente,<br />
da lui poi incorporati nel proprio prodotto. In secondo luogo, l’esecuzione<br />
di lavorazioni per conto del committente, e cioè su prodotti o componenti<br />
destinati a quest’ultimo. In terzo luogo, la fornitura di prodotti finiti,<br />
che il compratore poi inserisce per la commercializzazione nella propria<br />
gamma. In quarto luogo, la fornitura di attrezzature destinate ad un impianto<br />
produttivo. In quinto luogo, infine, la fornitura di servizi per il funzionamento<br />
dell’<strong>impresa</strong> del committente.<br />
Siffatte relazioni vengono solitamente formalizzate ricorrendo agli<br />
schemi contrattuali propri del settore industriale ove operano le imprese<br />
coinvolte, e dunque contratti di vendita, di somministrazione, di appalto<br />
ovvero d’opera. Di conseguenza, la subfornitura industriale rappresenta in<br />
realtà il contesto economico al cui interno detti contratti vengono conclusi<br />
e nel quale si collocano le relazioni tra le parti, caratterizzate da un rapporto<br />
non paritario a sfavore del subfornitore, siccome tendenzialmente quest’ultimo<br />
può essere facilmente sostituito da un momento all’altro con un<br />
suo concorrente, senza che ciò comporti particolari traumi per l’organizza-<br />
( 101 )Per l’applicazione del diritto comunitario della concorrenza agli accordi di subfornitura,<br />
si vedano i recenti Orientamenti della Commissione sulle restrizioni verticali, in G.U.C.E.,<br />
C 130, 19 maggio 2010, p. 1, punto 22.<br />
( 102 ) Art. 1 della legge 18 giugno 1998, n. 192, cit.<br />
( 103 )Per tutti: Granieri, La subfornitura, in Cendon (a cura di), I nuovi contratti nella<br />
prassi civile e commerciale. Integrazione e collaborazione, XIV, Torino, 2004, p. 657; Colangelo,<br />
Subfornitura, dipendenza economica ed obbligo di contrarre, in Danno e resp., 2009, p. 1000,<br />
cui si rinvia anche per la bibliografia in materia.
SAGGI 129<br />
zione produttiva di chi utilizza nel proprio ciclo produttivo o commerciale<br />
le prestazioni del subfornitore.<br />
In talune circostanze, però, la debolezza del subfornitore si traduce in<br />
uno stato di vera e propria dipendenza economica, secondo la legge sussistente<br />
quando il committente riesce ad imporre nel contratto un eccessivo<br />
squilibrio di diritti e obblighi, mentre il subfornitore non è in grado di reperire<br />
sul mercato alternative soddisfacenti. In tali ipotesi, viene vietato al<br />
committente di abusare della propria preponderante posizione di forza. Siffatta<br />
condotta può consistere anche nel rifiuto di vendere ovvero nel rifiuto<br />
di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente<br />
gravose, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in<br />
atto ( 104 ). A ben vedere, però, così come costruita, la norma tende a sovrapporre<br />
la situazione della dipendenza economica a quella del suo abuso, siccome<br />
per ravvisarsi la prima è necessario accertare non un mero squilibrio<br />
tra la posizione delle parti, ma una condizione eccessivamente sbilanciata:<br />
il che porta facilmente ad identificare o confondere quest’ultima con l’abuso<br />
stesso.<br />
Tenendo conto del citato quadro giuridico di riferimento, passiamo ad<br />
esaminare le peculiarità delle liti in materia di subfornitura, il cui oggetto<br />
tende solitamente a vertere sui seguenti punti: ritardi o inadempimenti nei<br />
pagamenti dei corrispettivi per le forniture; richieste di sconti non pattuiti;<br />
imposizione di nuove specifiche tecniche, comportanti maggiori costi per il<br />
subfornitore; interruzioni del rapporto di subfornitura ovvero modificazione<br />
delle sue condizioni; responsabilità per i vizi, ove il problema tende a focalizzarsi<br />
sul capire in capo a chi effettivamente grava la relativa responsabilità,<br />
qualora sia il prodotto finale a manifestare il difetto e non risulti immediato<br />
stabilire se ciò dipenda da quanto realizzato dal subfornitore ovvero<br />
dal lavoro di assemblaggio eseguito dal committente ovvero dalla progettazione<br />
ovvero da altri componenti riconducibili a soggetti terzi.<br />
Tali controversie assumono peculiari connotazioni in considerazione<br />
della posizione in cui versa il subfornitore, il quale è solitamente, ma non<br />
necessariamente, un piccolo o medio imprenditore svolgente un’attività ritagliata<br />
sulle esigenze della committenza, perlopiù in regine di esclusiva. A<br />
tal fine, egli ha spesso sostenuto significativi investimenti, che deve ammortizzare<br />
confidando nella continuità delle commesse e che risultano difficilmente<br />
convertibili per diversi impieghi ovvero per soddisfare ordinativi<br />
provenienti da altri clienti.<br />
( 104 ) Art. 9 della legge 192/1998, cit.
130 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Talora il subfornitore dispone di un significativo know-how, maturato<br />
nel corso degli anni lavorando per il proprio committente: esperienza che<br />
gli consente di collaborare con quest’ultimo, onde migliorare il prodotto finale.<br />
In certi casi, il contributo del subfornitore diviene addirittura determinante,<br />
in quanto va ad integrare conoscenze perdute o non più sviluppate<br />
dal committente. Quando ciò accade, il rapporto tra le parti recupera un<br />
certo equilibrio, siccome il committente diviene a sua volta legato al<br />
subfornitore, non potendo permettersi di perdere la collaborazione di quest’ultimo,<br />
pena l’uscire dal mercato.<br />
Altro possibile fattore di parziale riequilibrio è l’importanza per il committente<br />
di ricevere una fornitura continua ed ininterrotta: tale elemento risulta<br />
però meno significativo del precedente, siccome il committente può<br />
comunque organizzarsi per tempo, onde gestire in modo efficiente il passaggio<br />
da un subfornitore all’altro. Per contro, la debolezza del subfornitore<br />
si manifesta nella sua pianezza, quando egli sia facilmente sostituibile da<br />
un momento all’altro con un proprio concorrente.<br />
Fatta eccezione per quest’ultima situazione, preservare il rapporto tra le<br />
parti diviene un’esigenza affatto non trascurabile per i litiganti (i quali ben<br />
potrebbero essere più di due soggetti, ad esempio quando la controversia<br />
coinvolge il committente ed i vari suoi subfornitori che rispettivamente<br />
concorrono a realizzare i componenti assemblati nel prodotto finale) ( 105 ). A<br />
ciò si aggiunga che, mentre essi si confrontano a causa della lite, può intervenire<br />
con effetto dirompente la reazione del cliente servito dal committente<br />
stesso, rovinando così gli affari ad entrambi. Viste altresì le incertezze<br />
sul quadro giuridico di riferimento, derivanti dall’assenza di un orientamento<br />
uniforme nella giurisprudenza (che va a discapito della parte debole) ( 106 ), si<br />
evince allora l’importanza della mediazione.<br />
Passando alle controversie tra imprese nascenti nel contesto di quelle<br />
operazioni di decentramento produttivo di attività specialistiche che, nell’ottica<br />
economica, vengono definite outsourcing ( 107 ) o “esternalizzazione”,<br />
( 105 ) Se la lite coinvolge più di due soggetti, possono insorgere rilevanti difficoltà nell’operatività<br />
delle clausole arbitrali eventualmente inserite nei contratti di subfornitura: al riguardo,<br />
si veda Granieri, La subfornitura, cit., p. 419.<br />
( 106 ) Sparano, La legge sulla subfornitura. Intervento, inapplicato, per le piccole e medie imprese,<br />
in Diritto e Giustizia, suppl. al n. 3 del 22 gennaio 2005, p. 12.<br />
( 107 )Per un approfondimento: Ferrando e Berta, I contratti di outsourcing e di global<br />
maintenance service, in Cendon (a cura di), I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale,<br />
cit., p. 395; Rosboch, voce Outsourcing (diritto privato), in Digesto, disc. priv., sez. civ., Agg.,<br />
2003, p. 993.
SAGGI 131<br />
qui, rispetto ai casi di subfornitura, tende sostanzialmente ad accentuarsi<br />
l’autonomia dei soggetti cui viene affidato – senza troppa ingerenza nella loro<br />
organizzazione aziendale, giacché questi ultimi risultano spesso disporre<br />
di maggiori conoscenze o capacità tecniche in materia – l’espletamento di<br />
una parte dei processi produttivi o dei servizi dell’<strong>impresa</strong> che procede al<br />
decentramento, la quale così ne cessa (o nemmeno ne inizia) la realizzazione<br />
in proprio.<br />
Più nel dettaglio, per outsourcing si intende essenzialmente una formula<br />
organizzativa imprenditoriale, ispirata dall’idea che un’<strong>impresa</strong> deve concentrare<br />
i propri sforzi su quanto rappresenta il core business, ricorrendo invece<br />
a soggetti terzi per lo svolgimento di tutte le altre attività ad esso strumentali<br />
o complementari.<br />
I vantaggi consistono nel ridurre i costi operativi (aumentando quelli<br />
variabili e riducendo quelli fissi) ed i rischi di gestione, da un canto, nonché<br />
nell’accedere a forniture specializzate di prodotti, dall’altro.<br />
L’altra faccia della medaglia è la perdita del controllo su fasi del processo<br />
aziendale che, più sono ampie, più aumenta il pericolo di intaccare lo<br />
stesso core business ovvero di pregiudicarne lo sviluppo futuro. Inoltre,<br />
l’<strong>impresa</strong> che esternalizza tende a trovarsi in balia dei propri collaboratori, i<br />
quali divengono magari in grado di paralizzarne o pregiudicarne l’attività,<br />
sopratutto se svolgono funzioni per essa strategiche. Sotto questo aspetto,<br />
la situazione può risultare anche antitetica rispetto a quella del subfornitore<br />
in stato di dipendenza economica, ma vicina a quella in cui egli versa quando<br />
ha acquisito un importante know-how nelle lavorazioni fatte per conto<br />
del committente.<br />
Dal punto di vista giuridico, l’outsourcing non rappresenta una specifica<br />
tipologia di contratto, ma si tratta di un’attività che richiede necessariamente<br />
la predisposizione di un’apposita e molto dettagliata contrattualizzazione.<br />
Siccome l’outsourcing presuppone una stretta collaborazione tra le parti<br />
coinvolte, per formalizzarla talora si ricorre agli strumenti tipici del diritto<br />
societario, costituendo società partecipate o associazioni in partecipazione<br />
ovvero, ma più raramente, consorzi, cui l’<strong>impresa</strong> che decentra spesso conferisce<br />
un proprio ramo di azienda. Altra via per raggiungere il medesimo<br />
risultato è la scissione di quest’ultima in due distinte società: una rimane<br />
detentrice del core business e non subisce modificazioni proprietarie; l’altra<br />
riceve in dote l’attività esternalizzata e viene aperta alla partecipazione di<br />
nuovi soci o ceduta loro.<br />
Conseguentemente, quando tali operazioni sono ispirate da reali esigenze<br />
imprenditoriali (e cioè non nascondono invece l’intento di dismettere<br />
di fatto rami d’azienda improduttivi, ricorrendo ad un sistema meno ap-
132 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
pariscente per l’opinione pubblica e le relazioni sindacali), viene a crearsi<br />
tra le parti coinvolte un legame molto stretto, a “filo doppio”.<br />
In un simile contesto, un conflitto rischia allora di risultare fortemente<br />
distruttivo per tutti i litiganti, a prescindere dagli esiti dell’eventuale decisione<br />
assunta in sede contenziosa, dopo una durata processuale peraltro suscettibile<br />
di dilatarsi a causa della complessità tecnico/giuridica della relativa<br />
vertenza, spesso comportante la necessità di procedere ad operazioni peritali<br />
affidate a consulenti d’ufficio, le cui conclusioni spesso condizionano<br />
fortemente la pronuncia del giudicante.<br />
Infatti, quando le aziende dei partecipanti divengono fortemente integrate<br />
per effetto dell’operazione di outsourcing, i reciproci contributi non risultano<br />
rapidamente rimpiazzabili. Pertanto, la rottura dei rapporti è talora<br />
suscettibile di provocare addirittura la paralisi dell’<strong>impresa</strong> che ha decentralizzato,<br />
mentre per le sue controparti significa quanto meno perdere un<br />
cliente importante (quando non fondamentale), sulle cui esigenze è stata<br />
modellata una rilevante parte dell’attività aziendale. Si comprende, allora,<br />
l’effetto deletereo di una controversia non rapidamente risolta in modo<br />
pragmatico: a causa del forte rallentamento o della paralisi della propria attività<br />
aziendale, chi ha decentralizzato ha buone probabilità di risultare inadempiente<br />
verso i clienti finali e di perderli a sua volta; entrambe le parti subiscono<br />
gravi perdite, da cui non è escluso che nei casi più gravi discenda il<br />
fallimento, cosa che vanifica l’utilità di qualsiasi azione risarcitoria, qualora<br />
l’insolvenza colpisca il responsabile del disastro.<br />
Evidente l’analogia con la pericolosità dei conflitti nell’ambito delle<br />
joint ventures, specie se le partecipazioni sono paritarie fra le società-madri<br />
(che – come si è detto – vengono talora usate per realizzare operazioni di<br />
outsourcing): in tale ipotesi, oltre a presentare gli aspetti già analizzati, il<br />
conflitto si arricchirà di tutte le intricate problematiche di carattere societario<br />
relative alla gestione dell’<strong>impresa</strong> comune.<br />
Duttilità ed immediatezza, dunque, le esigenze prioritarie per affrontare<br />
siffatti litigi. Giacché la risposta adeguata potrebbe derivare dalle tecniche<br />
ADR, sarebbe piuttosto imprudente ignorarle, e ciò sia nell’ipotesi in<br />
cui per i litiganti la soluzione migliore risulti continuare la relazione superando<br />
il conflitto, sia nell’ipotesi opposta, dove diviene importante pervenire<br />
alla cessazione dei rapporti nel modo per tutti meno traumatico.<br />
Per le liti nascenti da operazioni di outsourcing, sul piano giuridico il tentativo<br />
obbligatorio di conciliazione scatta se il rapporto, instauratosi tra le<br />
parti per effetto di detta operazione organizzativa, è riconducibile alla citata<br />
nozione legale di subfornitura. Sul piano pratico, però, spesso la soluzione<br />
consensuale del conflitto si mostra essere l’unica strada verosimilmente
SAGGI 133<br />
percorribile con effettivo vantaggio per le parti. Ecco dunque il terreno per<br />
la mediazione facoltativa.<br />
In definitiva, se si guarda alle controversie rispettivamente scaturenti<br />
dai rapporti di subfornitura e di outsoursing ponendosi nell’ottica dell’opportunità<br />
economica per le imprese coinvolte in siffatte liti, visuale da cui<br />
esulano i profili di natura processuale, sfuma in sostanza ogni rilevante differenza<br />
tra la mediazione obbligatoria e quella facoltativa.<br />
8. – Alla luce delle precedenti mere riflessioni, si paleserebbe forse il<br />
motivo per cui la mediazione “risponde agli interessi del mercato” ( 108 ), da un<br />
canto, e viene disciplinata dal Decreto Legislativo in modo verosimilmente<br />
coerente ai precetti sia comunitari (ferma la necessità di evitare una proposta<br />
aggiudicativa, se la lite ha natura trasfrontaliera e non rientra tra i reclami<br />
dei consumatori) sia costituzionali, dall’altro.<br />
Il mediatore, inoltre, non è affatto in competizione con il magistrato o<br />
l’arbitro. Soprattutto quanto egli ricorre alla tecnica di mediation, l’attività<br />
del primo è fondata su presupposti (l’approccio sistemico al contenzioso)<br />
completamente antitetica a quella dei secondi. Pertanto tale mediatore vanifica<br />
se stesso, quando con presunzione e maldestrezza egli si atteggia da<br />
giudice, dimenticando che la propria funzione è invece l’aiutare le parti a<br />
definire il conflitto in via volontaria, favorendo il dialogo e la consapevolezza<br />
nei dovuti modi.<br />
Mediatore e magistrato sono dunque complementari. L’uno interviene<br />
durante le trattative in sede extragiudiziaria, ove – nel campo dei diritti disponibili<br />
– regna sovrano l’interesse economico e relazionale delle parti in<br />
lite. L’altro (e solo egli) rende giustizia, applicando il diritto alle singole fattispecie<br />
mediante gli strumenti processuali predisposti dall’ordinamento<br />
giuridico cui appartiene.<br />
( 108 ) Documento congiunto in precedenza citato.
ERNESTO CAPOBIANCO<br />
Mediazione obbligatoria e Arbitro Bancario Finanziario<br />
Sommario: 1. La disciplina della mediazione obbligatoria e i contratti bancari e finanziari:<br />
l’alternativa nella scelta del meccanismo di soluzione stragiudiziale delle controversie.<br />
– 2. L’Arbitro Bancario Finanziario e la sua « ibrida » natura: conseguenze sulla qualificazione<br />
della « decisione » dell’organismo. – 3. Verifica delle condizioni di « alternatività<br />
». Il carattere non assoluto dell’alternativa: limitazioni di tipo soggettivo, oggettivo,<br />
convenzionale e territoriale. – 4. Il possibile rapporto tra procedimento dinanzi all’Arbitro<br />
Bancario Finanziario e la disciplina della mediazione. Le relazioni col processo. –<br />
5. Rilievi conclusivi, pronostici e proposte.<br />
1. – La disciplina sulla mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie<br />
civili e commerciali (d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28), all’art. 5, comma 1,<br />
annovera tra i settori per i quali è obbligatorio il ricorso alla mediazione, quello<br />
dei contratti bancari e finanziari. Il carattere massificato di tali contratti e il<br />
progressivo aumento della litigiosità registratasi negli ultimi anni in materia<br />
costituiscono le ragioni poste a base della scelta legislativa dell’obbligatorietà<br />
( 1 ). La norma prevede anche che in dette materie sia possibile proporre, in alternativa<br />
alla mediazione prevista dal d.lgs. n. 28 del 2010, « il procedimento di<br />
conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il<br />
procedimento istituito in attuazione dell’art. 128-bis del testo unico delle leggi<br />
in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre<br />
( 1 ) In questo senso la relazione illustrativa al d.lgs. n. 28 del 2010, sub art. 5. La scelta dell’obbligatorietà<br />
è, nella medesima relazione, per questa, come per le altre materie interessate<br />
dall’art. 5, giustificata dalla circostanza che solo l’allargamento della condizione di procedibilità<br />
ad una vasta serie di rapporti « possa garantire alla nuova disciplina una reale spinta deflattiva<br />
e contribuire alla diffusione della cultura della risoluzione alternativa delle controversie<br />
». Questi propositi rischiano tuttavia di essere disattesi qualora la Corte costituzionale dovesse<br />
ritenere fondata la questione di legittimità costituzionale posta da TAR Lazio, sez. I, 12<br />
aprile 2011, in www.altalex.com/index.phpidnot=13920, il quale ha ritenuto rilevante e non<br />
manifestamente infondata, in relazione agli artt. 24 e 77 della Costituzione, la questione di legittimità<br />
costituzionale dell’art. 5 del d. lgs. n. 28 del 2010, comma 1, primo periodo (che introduce<br />
a carico di chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa alle controversie nelle<br />
materie espressamente elencate l’obbligo del previo esperimento del procedimento di mediazione),<br />
secondo periodo (che prevede che l’esperimento di mediazione è condizione di<br />
procedibilità della domanda giudiziale), terzo periodo (che dispone che l’improcedibilità deve<br />
essere eccepita dal convenuto o rilevata d’ufficio dal giudice).
SAGGI 135<br />
1993, n. 385» ( 2 )e ciò sulla base del convincimento che « il settore dei contratti<br />
di servizi già vanta diffuse esperienze di composizione bonaria, che potranno<br />
essere messe utilmente a profitto anche nel nuovo procedimento di mediazione<br />
introdotto [ . . . ] sul presupposto che gli organi ivi disciplinati offrano<br />
già oggi adeguate garanzie di imparzialità ed efficienza » ( 3 ).<br />
Sta di fatto, tuttavia che, mentre il procedimento di conciliazione previsto<br />
per le controversie concernenti i servizi e le attività di investimento dal<br />
d.lgs. n. 179 del 2007 (e dal regolamento Consob del 29 dicembre 2008) è un<br />
vero e proprio procedimento di conciliazione (v. art. 4 d.lgs. n. 179 del 2007,<br />
artt. 7-16 reg. Consob), il procedimento istituito in attuazione dell’art. 128-<br />
bis t.u. banc. è un procedimento a contenuto decisorio ( 4 ). Sicché, mentre<br />
per quanto attiene alle problematiche relative alle controversie relative alle<br />
attività e ai servizi di investimento le possibili differenze tra il procedimento<br />
di cui alla normativa generale sulla mediazione e quello, più specifico,<br />
dettato dalla normativa settoriale, per il loro carattere omogeneo, possono<br />
essere più facilmente apprezzate e consentono una più facile comparazione<br />
in vista della scelta « alternativa » ipotizzata dal legislatore, per quanto attiene<br />
a quelle destate dalle controversie relative a operazioni e servizi bancari<br />
e finanziari ( 5 ) la comparazione e la scelta sono invece meno agili. Si<br />
rende quindi necessaria qualche riflessione al riguardo.<br />
2. – Il sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie in campo<br />
bancario è stato attuato con modalità differenti da quanto è accaduto in<br />
quello, contiguo, dei servizi di investimento.<br />
In quest’ultimo infatti la legge prevede la possibilità di ricorso sia al<br />
meccanismo della conciliazione sia a quello dell’arbitrato mediante l’istituzione<br />
di una Camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob e l’ado-<br />
( 2 ) Non sembrano dello stesso avviso Guccione e C.A. Russo, L’Arbitro Bancario Finanziario,<br />
in Nuove leggi civ., 2010, p. 476 i quali non pongono la questione in termini di alternatività<br />
ma di esclusività delle funzioni dell’organismo istituito ai sensi dell’art. 128-bis. t.u. ai fini<br />
di quanto disposto dall’art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010.<br />
( 3 ) Relazione illustrativa, cit.<br />
( 4 ) Per un rapido sguardo d’insieme ai vari strumenti di risoluzione delle controversie in<br />
ambito bancario e finanziario cfr. Bruschetta, Le controversie bancarie e finanziarie, in Contratti,<br />
2010, p. 422 ss.<br />
( 5 ) La delimitazione di criteri delle reciproche competenze tra la Camera di conciliazione<br />
e arbitrato istituita presso la Consob e il sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie<br />
di cui all’art. 128-bis, non sempre facilmente praticabile, dovrebbe restare affidata a un<br />
protocollo d’intesa tra questi ai sensi dell’art. 4, comma 2, reg. Consob 29 dicembre 2008. Utili<br />
indicazioni in Guccione e C.A. Russo, L’Arbitro Bancario Finanziario, cit., p. 490 ss.
136 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
zione di due diversi procedimenti, l’uno conciliativo (artt. 4 d.lgs. n. 179 del<br />
2007 e 7-16 regol. Consob), l’altro arbitrale (art. 5-6 d.lgs. cit. e 17-34 reg.<br />
cit.), destinato il primo a sfociare in una soluzione autonoma (accordo delle<br />
parti da documentarsi in apposito verbale: art. 14 reg. cit.), il secondo in<br />
una soluzione eteronoma, procedimentalizzata secondo il modello dell’arbitrato<br />
amministrato (lodo arbitrale sempre impugnabile per violazione di<br />
norme di diritto: art. 5, comma 4, d.lgs. cit.) ( 6 ).<br />
Nel campo dei servizi bancari e finanziari il citato art. 128-bis t.u. banc.<br />
si è limitato, invece, ad una previsione, dal tenore piuttosto vago, in base alla<br />
quale « I soggetti di cui all’art. 115 t.u. aderiscono a sistemi di risoluzione<br />
stragiudiziale delle controversie » rimettendo al Cicr, su proposta della Banca<br />
d’<strong>Italia</strong>, la determinazione « dei criteri di svolgimento delle procedure di<br />
risoluzione delle controversie e di composizione dell’organo decidente, in<br />
modo che risulti assicurata l’imparzialità dello stesso e la rappresentatività<br />
dei soggetti interessati ». Il tutto senza pregiudizio per la possibilità di ricorso<br />
da parte del cliente « in qualunque momento a ogni altro mezzo di tutela<br />
previsto dall’ordinamento ». La previsione dell’art. 128-bis t.u. banc. è<br />
stata attuata attraverso la delibera Cicr 29 luglio 2008, n. 275 che ha dettato<br />
la disciplina dei sistemi stragiudiziali delineandone il campo di applicazione,<br />
la struttura e le fondamentali regole procedurali, demandando alla Banca<br />
d’<strong>Italia</strong> i compiti di nomina dei membri dell’organo decidente, di svolgimento<br />
di attività di supporto tecnico ed organizzativo, nonché di emanazione<br />
delle disposizioni applicative. Ad essa ha fatto seguito il provvedimento<br />
della Banca d’<strong>Italia</strong> del 18 giugno 2009 avente ad oggetto « Disposizioni<br />
sui sistemi di risoluzioni stragiudiziale delle controversie in materia di<br />
operazioni e servizi bancari e finanziari » istitutivo dell’Arbitro Bancario Finanziario<br />
(ABF) ( 7 ).<br />
Si è detto che il procedimento di cui all’art. 128-bis t.u. banc. non è un<br />
( 6 ) In argomento Colombo, La Consob e la soluzione extragiudiziale delle controversie in<br />
materia di servizi di investimento, in Società, 2007, p. 8 ss.; Soldati, La camera arbitrale presso<br />
la Consob per le controversie tra investitori ed intermediari, in Contratti, 2009, p. 423 ss.<br />
( 7 ) In argomento Ruperto, L’«Arbitro Bancario Finanziario », in Banca, borsa, tit. cred.,<br />
2010, I, p. 325 ss.; Capriglione, La giustizia nei rapporti bancari e finanziari. La prospettiva<br />
dell’ ADR, ivi, I, p. 261 ss.; Guizzi, Chi ha paura dell’Abf (una breve risposta a “La giustizia nei<br />
rapporti bancari finanziari. La prospettiva dell’ADR”), in Riv. dir. comm., 2010, I, p. 665 ss.;<br />
Guccione e C.A. Russo, L’Arbitro Bancario Finanziario, cit., p. 475 ss.; Costantino, La istituzione<br />
dell’« Arbitrato Bancario Finanziario », in F. Auletta, Califano, Della Pietra, Rascio<br />
(a cura di), Sull’arbitrato. Studi offerti a Giovanni Verde, Napoli, 2010, p. 301; F. Auletta,<br />
Arbitro bancario finanziario e « sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie », in Società,<br />
2011, p. 85.
SAGGI 137<br />
procedimento conciliativo. Prova ne è che l’art. 6, comma 4, del citato regolamento<br />
Cicr prevede l’interruzione dello svolgimento del procedimento<br />
qualora consti l’avvio di un tentativo di conciliazione. Sorge allora innanzitutto<br />
il dubbio se il richiamo all’art. 128-bis effettuato dall’art. 5 del d.lgs. in<br />
materia di mediazione sia o meno dotato di effettività. Ed invero potrebbe<br />
trattarsi di un richiamo effettuato nella previsione che, in attuazione dell’art.<br />
128-bis, il Cicr istituisca, sulla falsariga di quanto è avvenuto per i servizi<br />
di investimento, anche dei sistemi di risoluzione stragiudiziale delle<br />
controversie basati su meccanismi di tipo conciliativo, sì che la concreta<br />
operatività dell’alternativa ipotizzata dalla norma in materia di mediazione<br />
sarebbe destinata a prender vita solo con l’istituzione di siffatti ulteriori<br />
meccanismi di ADR. Una tale soluzione sembra però esclusa da un lato dal<br />
fatto che l’art. 128-bis, più o meno inconsapevolmente, non ha previsto la<br />
conciliazione nell’ambito dei « sistemi » da esso contemplati. La norma,<br />
pur nella sua già sottolineata laconicità, appare infatti puntuale nell’individuare<br />
l’esigenza che la deliberazione attuativa del Cicr determini, oltre i criteri<br />
di svolgimento delle procedure, quelli di composizione dell’organo<br />
« decidente », lasciando così poco spazio a interpretazioni che consentissero<br />
all’organo regolamentatore di prevedere l’istituzione di sistemi di tipo<br />
conciliativo nei quali non si « decide » ma si « media » in vista dell’obiettivo<br />
dell’accordo conciliativo. Lo stesso art. 5, comma 1, d.lgs. 28 del 2010, sembra<br />
perfettamente allinearsi a tale conclusione nel momento in cui si fa carico<br />
di precisare che, mentre nel campo dei servizi di investimento alla mediazione<br />
ex art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010 è alternativo il solo procedimento della<br />
conciliazione previsto dalla l. n. 179 del 2007 (e non invece pure l’arbitrato<br />
da detta legge previsto), nel campo dei contratti relativi ai servizi bancari<br />
e finanziari ad esso è alternativo « il procedimento istituito in attuazione<br />
dell’art. 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia ».<br />
In altri termini può dirsi che la condizione di procedibilità di cui all’art. 5<br />
del d.lgs. n. 28 del 2010 nel settore dei contratti bancari e finanziari può essere<br />
alternativamente soddisfatta attivando o il procedimento di mediazione previsto<br />
da detto decreto, oppure il ricorso all’ABF che è un procedimento che<br />
con la mediazione sembra aver poco a che fare visto che la controversia viene<br />
« decisa » dal collegio di cui all’art. 3 della delibera Cicr il quale si pronuncia<br />
con « decisione motivata [ . . .] assunta sulla base della documentazione raccolta<br />
e delle previsioni di legge e regolamentari in materia, nonché dei codici<br />
di condotta cui l’intermediario aderisca » (art. 6, comma 5, reg. Cicr).<br />
Il procedimento dinanzi all’ABF, quindi: non sembra partecipi dei caratteri<br />
della mediazione e, diversamente da questa, appare privo di quella<br />
attitudine a comporre conflitti eliminando gli antagonismi tra le parti; non
138 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
consentirebbe di ristabilire la relazione intersoggettiva tra le parti attraverso<br />
la loro conciliazione; l’atto risolutivo della controversia da parte di detto<br />
organismo non sembra favorire, in quanto condizionato dalla necessaria<br />
corrispondenza tra chiesto e pronunciato, soluzioni « atipiche » della controversia<br />
non potendo investire diritti diversi da quello in contestazione ( 8 ).<br />
Si tratterebbe allora di un procedimento che, non diversamente da un ordinario<br />
procedimento dinanzi al giudice, si propone di distribuire ragioni e<br />
torti ( 9 ).<br />
Sbaglierebbe tuttavia chi ritenesse che la decisione dell’ABF possa considerarsi,<br />
ad onta della definizione di « Arbitro » dato dalla Banca d’<strong>Italia</strong> all’organismo,<br />
un lodo, come si trattasse di arbitrato, giacché che si tratti di un<br />
arbitrato è escluso dalla norma, per altro verso innanzi richiamata dell’art.<br />
6, comma 4, della deliberazione Cicr, la quale prevede che « qualora la controversia<br />
sia sottoposta all’autorità giudiziaria ovvero a giudizio arbitrale nel<br />
corso del procedimento, il collegio, verificato l’interesse del ricorrente alla<br />
conclusione di quest’ultimo, può dichiararne l’estinzione », non essendo<br />
possibile ipotizzare la concomitante perduranza di due arbitrati sulla medesima<br />
controversia.<br />
Che possa trattarsi di arbitrato è peraltro escluso dalla circostanza che, a<br />
differenza di quanto ad esempio previsto dalla disciplina della l. n. 179 del<br />
2007 in materia di controversie relative ai servizi di investimento, né la legge<br />
(art 128-bis t.u. banc), né la delibera Cicr del 2008, contengono richiamo alcuno<br />
alla natura di lodo della decisione, né tantomento all’art. 825 c.p.c. ( 10 ).<br />
( 8 ) In questi caratteri si rinvengono solitamente i vantaggi della mediazione rispetto a<br />
quelli offerti da altri sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie. Si veda al riguardo,<br />
tra gli altri, Luiso, La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, in Riv. trim. dir. e proc.<br />
civ., 2004, p. 1201 ss.<br />
( 9 ) E di fare altresì « giurisprudenza » se si considera che nella sez. IV, par. 2, delle disposizioni<br />
Bankitalia del 18 giugno 2009, si prevede che la struttura centrale di coordinamento presso<br />
la Banca d’<strong>Italia</strong> « gestisce e pubblica sul sito internet dell’ABF un archivio elettronico delle<br />
decisioni dei collegi che ha la funzione di facilitare la consultazione e la diffusione degli orientamenti<br />
seguiti dall’organo decidente ». Cfr. Banca d’italia, Sintesi dell’attività svolta dall’arbitro<br />
bancario finanziario (abf) al 31 marzo 2010, in Foro it., 2010, V, c. 279 con Premessa di Costantino.<br />
Entrambe le funzioni, da un lato quella « autenticamente decisoria . . . da svolgersi<br />
in rigorosa applicazione delle norme di diritto » dall’altro quella « in senso lato nomofilattica »<br />
sono sottolineate nel provvedimento dell’ABF Napoli, 6 luglio 2010, in www.judicium.it (e ivi il<br />
commento di Maione, Profili ricostruttivi di una (eventuale) legittimazione a quo dei Collegi dell’Arbitro<br />
bancario Finanziario) con il quale quest’ultimo si è ritenuto legittimato, in quanto organo<br />
giudicante, a sollevare questioni di costituzionalità alla Corte Costituzionale.<br />
( 10 ) Di soluzione aggiudicativa diversa dalla conciliazione e dall’arbitrato discorre Galletto,<br />
Il modello italiano di conciliazione stragiudiziale in materia civile, Milano, 2010, p. 33.
SAGGI 139<br />
Il « mistero » sulla natura della decisione dell’ABF è risolto dalla disposizione<br />
dei commi 6 e 7 dell’art. 6 reg. Cicr che, nello stabilire che « l’intermediario<br />
adempie alla decisione entro 30 giorni dalla comunicazione della<br />
pronuncia, ovvero nel diverso termine previsto dalla medesima » e che<br />
« nei casi di inadempimento o di ritardo nell’adempimento della decisione<br />
ovvero nei casi di mancata cooperazione dell’ intermediario, l’inadempienza<br />
è resa pubblica secondo le modalità stabilite dalla Banca d’<strong>Italia</strong> », collega<br />
all’eventuale inadempienza dell’intermediario una mera conseguenza<br />
sanzionatoria di tipo reputazionale ( 11 ). La pronuncia non produce allora alcun<br />
effetto giuridico tra le parti e l’intermediario non è obbligato in senso<br />
tecnico ad adempiere alla decisione ( 12 ). Si tratterebbe quindi di una sorta<br />
di parere pro veritate mediante il quale l’organo esprimerebbe una valutazione<br />
sulla controversia in atto tra l’intermediario e il cliente ( 13 ), salvo che<br />
sulla decisione dell’organismo vada a convergere la spontanea attuazione<br />
della stessa da parte dell’intermediario e l’accettazione (anche tacita) del<br />
cliente: l’accordo così prodottosi darebbe vita ad un atto con funzione transattiva<br />
( 14 ).<br />
Può convenirsi sulla circostanza che si tratti, in fondo, di una « creatura<br />
ibrida » ( 15 ); ma di essa possono sin d’ora segnalarsi: a) da un lato la sua qualificabilità<br />
tra le ADR di tipo aggiudicativo non riconducibili all’arbitrato; b)<br />
la non esclusione del possibile rilievo in termini di atto di risoluzione della<br />
controversia di tipo « autonomo » (con l’appropriazione della decisione da<br />
parte dei litiganti); c) la probabile ( 16 ) attitudine della decisione a superare il<br />
pur previsto confine dell’applicazione delle sole « norme di legge e regolamentari<br />
in materia, nonché dei codici dei condotta cui l’intermediario aderisca<br />
» visto che questa, ai sensi del (trascurato) disposto dell’art. 5, comma<br />
( 11 ) In questo senso Ruperto, L’«Arbitro Bancario Finanziario », cit., p. 332.<br />
( 12 ) Ruperto, op. cit., 332 s.; Auletta, Arbitro bancario finanziario e « sistemi di risoluzione<br />
stragiudiziale delle controversie », cit., p. 87 ss.; Maione, Profili ricostruttivi di una (eventuale)<br />
legittimazione a quo dei Collegi dell’Arbitro bancario Finanziario, cit., p. 10 il quale sottolinea<br />
(a p. 12 ove ulteriori riferimenti) che il procedimento di cui all’art. 128-bis t.u.banc., pur<br />
non incidendo in maniera diretta sulle posizioni giuridiche delle parti, rileverebbe in particolare<br />
sull’intermediario in virtù della sua appartenenza al settore creditizio che lo espone al potere<br />
pubblico di vigilanza della Banca d’<strong>Italia</strong>.<br />
( 13 ) Ruperto, op. cit., p. 335.<br />
( 14 ) Ruperto, op. cit., p. 336.<br />
( 15 ) Galletto, Il modello italiano di conciliazione stragiudiziale in materia civile, cit., p. 34.<br />
( 16 ) La questione è dubbia giacché secondo taluni si tratterebbe di una mera raccomandazione<br />
di carattere generale più che una indicazione fatta alle parti del procedimento: Guccione<br />
e C.A. Russo, L’Arbitro Bancario Finanziario, cit., p. 501 s.
140 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
5, delib. Cicr « può contenere indicazioni volte a favorire le relazioni tra intermediari<br />
e clienti ». Riguardato in questa prospettiva, l’istituto consegnatoci<br />
dall’art. 128-bis t.u. banc., per il tramite delle sue diposizioni attuative,<br />
sembra riveli elementi di minore (se pur persistente) conflittualità con la<br />
mediazione di cui all’art. 5 l. n. 28 del 2010. Si può quindi tentare di collaudare<br />
la « tenuta » delle diverse discipline (e le loro possibili intersezioni) fine<br />
di verificarne la possibile attitudine alla soddisfazione della condizione<br />
di procedibilità di cui al citato art. 5.<br />
3. – Di completa alternatività tra il ricorso alla mediazione e il ricorso all’ABF<br />
in realtà non si può parlare giacché sussistono talvolta circostanze<br />
impeditive dell’esperibilità della procedura dinanzi a quest’ultimo organismo.<br />
Una circostanza impeditiva può essere individuata nell’esclusiva legittimazione<br />
del cliente a ricorrere al procedimento di cui all’art. 128-bis t.u.<br />
banc. Al riguardo, nel silenzio della norma, è l’art. 5, comma 1, delib. Cicr a<br />
stabilirlo integrando così la disciplina del t.u. ( 17 ). Nel caso che chi intenda<br />
agire in giudizio sia quindi l’intermediario costui dovrà intraprendere il procedimento<br />
di mediazione.<br />
Una ulteriore circostanza se non impeditiva, quantomeno limitativa<br />
dell’accesso alla procedura dinanzi all’ABF, attiene all’oggetto della controversia.<br />
All’ABF possono essere sottoposte « le controversie che vertono<br />
sull’accertamento di diritti, obblighi, facoltà, purché l’eventuale somma oggetto<br />
di contestazione tra le parti non sia superiore a 100.000 euro » (art. 2,<br />
comma 4, delib. Cicr). Più esattamente, secondo le disposizioni della Banca<br />
d’<strong>Italia</strong> (sez. I, par. 4, che sotto questo profilo appaiono innovative rispetto<br />
alla delib. Cicr) all’ABF possono essere sottoposte « tutte le controversie<br />
aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente<br />
dal valore del rapporto al quale si riferiscono »; ma se la richiesta del<br />
ricorrente « ha ad oggetto la corresponsione di una somma di danaro a qualunque<br />
titolo, la controversia rientra nella cognizione dell’ABF a condizione<br />
che l’importo richiesto non sia superiore a 100.000 euro ». Richieste che<br />
debordino da dette previsioni possono quindi essere sottoposte solo agli organismi<br />
di mediazione.<br />
Limitazioni attengono pure alle controversie relative a beni materiali<br />
eventualmente oggetto del contratto – come ad es. ai vizi del bene concesso<br />
in leasing o in operazioni di credito al consumo - o relative a servizi diversi<br />
( 17 ) Sul punto Ruperto, L’«Arbitro Bancario Finanziario », cit., p. 329.
SAGGI 141<br />
da quelli bancari e finanziari, sulle quali la competenza dell’ABF è espressamente<br />
esclusa (art. 2, comma 5, delib. Cicr); così come al risarcimento dei<br />
danni « che non siano conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento<br />
o della violazione dell’intermediario » (disp. ult. cit.), disposizione questa<br />
certamente poco chiara giacché non difforme dall’art. 1223 c.c., ma che,<br />
nell’ottica bancaria in cui si muovono le disposizioni in parola, potrebbe voler<br />
alludere alla necessità di restringere la cognizione sul danno nell’ambito<br />
delle strette competenze tecniche che caratterizzano l’organismo ( 18 ). Soluzione,<br />
questa, criticabile per un organo che, dovendo, a quanto sembra,<br />
decidere le controversie « esclusivamente facendo applicazione del diritto<br />
» ( 19 ), dovrebbe applicarlo nella sua interezza e senza limitazioni, e che favorirebbe<br />
la scelta della mediazione nell’ipotesi in cui il ricorrente intenda<br />
azionare un danno « ulteriore ».<br />
Una ulteriore circostanza impeditiva potrebbe essere di origine convenzionale<br />
e consistere nella esplicita previsione nei contratti tra intermediario<br />
e cliente di una clausola di mediazione ( 20 )che, ferma restando l’operatività<br />
del rispetto della condizione di procedibilità in considerazione della particolare<br />
tipologia di rapporto, vincoli la parte a ricorrere alla mediazione piuttosto<br />
che all’ABF, oppure a un determinato organismo di mediazione, piuttosto<br />
che ad altro liberamente prescelto dall’istante (art. 5, comma 5, d.lgs.<br />
n. 28 del 2010). Ci si potrebbe chiedere se, viceversa, sia consentita una clau-<br />
( 18 ) L’ipotesi potrebbe essere quella della esclusione del danno non patrimoniale che consegua<br />
all’inadempimento di una obbligazione contrattuale, sulla quale, di recente, per la risarcibilità,<br />
Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26973, in Foro it., 2009, I, c. 120, che riconduce proprio<br />
nell’alveo delle perdite e delle mancate utilità di cui all’art. 1223 c.c. anche i pregiudizi non<br />
patrimoniali determinati dalla lesione dei menzionati diritti. Sul carattere « pleonastico e forse<br />
inopportuno » del riferimento ai danni costituenti « conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento<br />
dell’intermediario » v. i condivisibili rilievi di Ruperto, op. cit., p. 343. Va detto,<br />
peraltro, che talvolta le discipline di ADR, più esplicitamente, tendono a limitare il ristoro del<br />
pregiudizio sofferto dal danneggiato facendo salvo il ricorso all’autorità giudiziaria per il risarcimento<br />
del danno ulteriore. Così ad esempio per i servizi di investimento, in caso di arbitrato<br />
amministrato dalla Consob, all’esito del quale può essere riconosciuto un semplice « indennizzo<br />
» a favore dell’investitore, salvo il diritto di costui di chiedere al giudice il risarcimento del<br />
danno ulteriore (art. 3, commi 1 e 3, d.lgs. n. 179 del 2007). Sull’efficacia deflattiva tuttavia di un<br />
sistema così concepito vi sarebbe da riflettere. Fortunatamente nei primi provvedimenti l’ABF<br />
sembra si vada orientando nel senso di non tener conto dell’apparente limitazione.<br />
( 19 ) Così testualmente l’ABF Napoli, 6 luglio 2010, cit.<br />
( 20 ) Al tema, con particolare riguardo all’ambito settoriale delle controversie in materia di<br />
servizi bancari e finanziari, è dedicato lo studio di Tamponi, Le clausole contrattuali per la mediazione<br />
delle controversie in materia di servizi bancari e finanziari, in Bancaria, 2010, n. 9, p. 48<br />
ss. V. pure la circ. ABI, serie legale n. 8 del 4 marzo 2011.
142 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
sola che impegni il cliente a prescegliere l’ABF piuttosto che l’organismo di<br />
mediazione non potendosi applicare a tale diverso sistema di ADR l’art. 5,<br />
comma 5, d.lgs. cit. In linea di principio la soluzione non dovrebbe essere<br />
negativa, neanche qualora si tratti di un cliente consumatore, non trattandosi<br />
di clausola arbitrale ed essendo fatto salvo dall’art. 128-bis t.u. banc. il<br />
diritto del cliente di ricorrere « in qualunque momento a ogni altro mezzo<br />
di tutela previsto dall’ordinamento » (arg. ex art. 141 c. cons.). Nel caso di<br />
cliente consumatore, peraltro, si dovrebbe curare che la clausola individui<br />
una competenza territoriale dell’organismo in linea col c.d. foro del consumatore<br />
(art. 33, comma 2, lett. u, c. cons.) ( 21 ); la qualcosa sarebbe facile per<br />
le clausole di conciliazione, un po’ meno per la clausola che prevedesse il ricorso<br />
all’ABF, avendo questo solo tre sedi in <strong>Italia</strong> (delib. Banca d’italia,<br />
sez. III, par. 1).<br />
Le considerazioni che precedono evidenziano la maggiore flessibilità<br />
dello strumento della mediazione rispetto al ricorso all’ABF. In sede di mediazione,<br />
infatti, possono trovare svolgimento domande contrapposte delle<br />
parti mentre in caso di ricorso all’ABF la domanda può essere formulata solo<br />
dal cliente. Nel procedimento dinanzi all’ABF il cliente, diversamente da<br />
quanto accade in caso di mediazione, incontra limitazioni in termini di valore<br />
della controversia, di oggetto o e (probabilmente) di danni risarcibili.<br />
L’ABF, inoltre, ha una distribuzione territoriale non certo capillare.<br />
4. – Quanto al procedimento va detto che quello dinanzi all’ABF è scandito<br />
da regole proprie. Il richiamo da parte del d.lgs. n. 28 del 2010 (art. 5,<br />
comma 1) al « procedimento » istituito in attuazione dell’art. 128-bis t.u.<br />
banc. è chiaro in tal senso ( 22 ).<br />
In una corretta ottica di inserimento del procedimento dinanzi all’ABF<br />
nell’ambito del complessivo disegno del d.lgs. n. 28 del 2010 diretto a realizzare<br />
il previo esperimento del ricorso a detto organismo quale condizione<br />
di procedibilità della domanda, è necessario tuttavia operare un doveroso<br />
( 21 ) Sull’art. 33, comma 2, lett. u cod. cons. cfr. Capobianco, Sub art. 33, in Codice del consumo<br />
annotato con la dottrina e la giurisprudenza, a cura di Capobianco e G. Perlingieri, Napoli,<br />
2009, p. 174 s.; vigente l’art. 1469-bis c.c. Id., Contrattazione bancaria e tutela dei consumatori,<br />
Napoli, 2000, p. 139 s. Potrebbe quindi risultare squilibrata la clausola che costringesse il<br />
consumatore ad es., ad adire l’ABF con sede in Napoli qualora costui possa più facilmente ricorrere<br />
ad un organismo di mediazione con sede in altra città del sud <strong>Italia</strong> ove risieda.<br />
( 22 ) È questa la norma che viene in rilievo piuttosto che quella di cui all’art. 3 d.lgs. n. 28<br />
del 2010 che richiama il procedimento di cui al regolamento dell’organismo di mediazione (richiamata<br />
invece da Guccione e C.A. Russo, L’Arbitro Bancario Finanziario, cit., p. 503).
SAGGI 143<br />
tentativo di coordinamento tra la disciplina particolare dell’ABF e quella<br />
generale sulla mediazione.<br />
Un primo aspetto che viene in rilevo riguardo al procedimento dinanzi<br />
all’ABF è quello relativo alla sua durata.<br />
Il ricorso all’ABF deve essere preceduto da un reclamo all’intermediario<br />
e può essere proposto solo trascorsi trenta giorni dalla ricezione del reclamo<br />
senza che questo abbia avuto esito, oppure in caso di esito insoddisfacente<br />
per il cliente. Il ricorso può essere presentato purché non siano trascorsi dodici<br />
mesi dal reclamo. Entro trenta giorni dalla comunicazione del ricorso all’intermediario<br />
questi può trasmettere le proprie controdeduzioni. Il collegio<br />
si pronuncia entro sessanta giorni, ma il termine può essere sospeso per ragioni<br />
in senso lato « istruttorie » (artt. 4-6 delib. Cicr; sez. VI, parr. 1-4 delib.<br />
Banca d’<strong>Italia</strong>). Trattasi, quindi, di un procedimento ragionevolmente destinato<br />
a superare il termine di quattro mesi di cui all’art. 6, comma 1, d.lgs. n. 28<br />
del 2010, sebbene non sia escluso che possa risolversi entro detto termine. Ci<br />
si potrebbe chiedere allora se il cliente sia onerato ad affrontare l’intero procedimento<br />
dinanzi all’ABF per sottrarsi all’eccezione del convenuto o al rilievo<br />
officioso del giudice sull’improcedibilità (art. 5, comma 1, d.lgs. n. 28 del<br />
2010). Sembra preferibile ritenere che anche in caso di ricorso all’ABF trovi<br />
applicazione il termine di quattro mesi di cui all’art. 6, comma 1, d.lgs. n. 28 a<br />
condizione che entro detto termine siano presentati sia il reclamo che il ricorso<br />
all’ABF. A detta soluzione induce da un lato la considerazione dell’inserimento<br />
del meccanismo del ricorso all’ABF quale alternativo alla mediazione<br />
nell’ambito della previsione, per entrambi, di una condizione di procedibilità<br />
che ha ragion d’essere se contenuta in tempi che siano ragionevoli e certi, dall’altro<br />
l’esigenza di non considerare il cliente vincolato al procedimento potendo<br />
costui « in qualunque momento », ai sensi dell’art. 128–bis t.u. banc.,<br />
far ricorso a ogni altro mezzo di tutela. Al riguardo non sarebbe inopportuno<br />
un esplicito chiarimento normativo.<br />
Un secondo aspetto attiene alla decisione sulla controversia.<br />
Si è detto che la decisione dell’ABF ha carattere aggiudicativo, sebbene<br />
non munita di efficacia vincolante. Il suo contenuto è apparso assimilabile<br />
a un parere pro-veritate con il quale l’organo esprime una valutazione sulla<br />
controversia in atto tra intermediario e cliente. Essa non appare quindi molto<br />
lontana dalla proposta aggiudicativa che può formulare il mediatore all’esito<br />
della procedura di mediazione ai sensi dell’art. 11, comma 1, d.lgs. n.<br />
28 del 2010 ( 23 ). Ed infatti, così come la proposta aggiudicativa può essere ri-<br />
( 23 ) Tuttavia per l’esclusione della necessaria natura di parere pro veritate della proposta
144 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
fiutata, così anche la decisione dell’ABF potrebbe essere rifiutata, sicchè<br />
potrebbe porsi il problema di verificare se essa, come la proposta del mediatore<br />
rifiutata, possa determinare conseguenze in ordine alle spese di lite, in<br />
caso di coincidenza tra decisione dell’ABF e provvedimento che conclude il<br />
processo; ciò in considerazione del possibile coordinamento che dovrebbe<br />
operarsi tra l’art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010 (che attrae nell’orbita della relazione<br />
col successivo processo non solo la mediazione, ma anche il meccanismo di<br />
cui all’art. 128-bis t.u. banc.) e gli artt. 11 e 13 d.lgs. cit. Si tratterebbe di soluzione<br />
suggestiva ma non convincente non potendosi configurare in ordine<br />
al procedimento dinanzi all’ABF le fattispecie che determinano la produzione<br />
dell’effetto della proposta aggiudicativa (richiesta congiunta delle<br />
parti, ovvero scelta discrezionale del mediatore, informativa sulle possibili<br />
conseguenze in ordine alle spese) che appaiono strettamente pertinenti al<br />
procedimento di mediazione. Non sarebbe tuttavia incoerente col sistema<br />
ammettere l’applicazione degli artt. 91 comma 1, e 92, comma 1, c.p.c. a<br />
fronte della produzione della decisione dell’ABF nel processo.<br />
5. – Le considerazioni innanzi formulate rendono evidente che, pur nella<br />
ipotetica pari alternativa tra il ricorso alla procedura di ABF e quella di<br />
mediazione, il primo sistema di risoluzione stragiudiziale rischia di risultare<br />
meno « appetibile » rispetto al secondo. Una delle ragioni di fondo delle<br />
difficoltà per la procedura dinanzi all’ABF di inserirsi nel complessivo « sistema<br />
» disegnato dal d.lgs. n. 28 del 2010 va rinvenuta nella circostanza che<br />
la disciplina di cui all’ABF è disciplina preesistente rispetto a questo e<br />
« pensata » in una prospettiva di autonomia rispetto al processo piuttosto<br />
che in vista di una equilibrata relazione con esso ( 24 ).<br />
Il ricorso alla mediazione, specie se magari originato da una previsione<br />
pattizia che individui un organismo specializzato in ambito bancario e finanziario<br />
( 25 ), sembra quindi destinato a rappresentare sul piano concorrenziale<br />
con il sistema di tipo aggiudicativo di cui all’art. 128-bis t.u. banc.,<br />
strumento preferibile e ciò anche in virtù della sua « maggiore duttilità ri-<br />
aggiudicativa sia consentito il rinvio a Capobianco, I criteri di formulazione della c.d. proposta<br />
aggiudicativa del mediatore, in www.judicium.it e in Dir. proc. form., n. 4, 2011, p. 6 ss.<br />
( 24 ) La necessità che nella previsione di strumenti alternativi di risoluzione delle controversie<br />
debba garantirsi un’equilibrata relazione col processo è stabilita, ad es., nell’art. 1 della<br />
Direttiva 2008/52/CE del 21 maggio 2008 relativa alla mediazione civile e commerciale della<br />
quale il d.lgs. n. 28 del 2010 è normativa attuativa.<br />
( 25 ) Suggerisce tale soluzione Tamponi, Le clausole contrattuali per la mediazione delle<br />
controversie in materia di servizi bancari e finanziari, cit., p. 56.
SAGGI 145<br />
spetto ai reali interessi delle parti » e della sua conseguente « maggiore accettabilità<br />
sociale » ( 26 ). Non può non convenirsi, infatti, che uno strumento<br />
che si proponga di distribuire ragioni e torti appaia meno gradevole e accettabile<br />
rispetto ad uno strumento che si proponga il superamento delle situazioni<br />
di conflitto mediante il ripristino della relazione intersoggettiva tra<br />
le parti.<br />
In attesa quindi di un’auspicabile limatura normativa delle asperità che<br />
il procedimento dinanzi all’ABF presenta, un tentativo di recupero della<br />
sua efficienza potrebbe essere condotto valorizzando il richiamo contenuto<br />
nell’art. 5, comma 5, delib. Cicr, secondo il quale la decisione dell’arbitro<br />
« può contenere indicazioni volte a favorire le relazioni tra intermediari e<br />
clienti ». La previsione si colloca nel medesimo capoverso che riguarda il<br />
contenuto della decisione in cui si afferma che « essa è assunta sulla base<br />
[ ...] delle previsioni di legge e regolamentari in materia, nonché dei codici<br />
di condotta cui l’intermediario aderisca » ( 27 ). Ne consegue che, lungi dall’apparire<br />
l’occasione per formulare mere raccomandazioni di carattere generale,<br />
la norma sembra indichi la possibilità che la decisione dell’ABF, che<br />
riguarda « le parti » e non la generalità dei clienti e degli intermediari, possa<br />
(non necessariamente debba) anche porsi in una prospettiva di attenta rilevazione<br />
degli interessi in gioco e di possibile ricostruzione della relazione<br />
tra le parti in vista dell’applicazione di un diritto « mite » che andrebbe a<br />
temperare i rigori dell’applicazione dello strictum ius che talvolta potrebbe<br />
in concreto tradursi in una sostanziale ingiustizia ( 28 ). Non sembra confligga<br />
con detta soluzione il particolare atteggiarsi della decisione dell’ABF: essa<br />
potrebbe essere accettata dalle parti e allora la relazione sarebbe definitivamente<br />
ristabilita; potrebbe essere rifiutata dal cliente, ma presumibilmente<br />
dovrebbe trattarsi di soluzione preferibile a quella del giudice opera-<br />
( 26 ) In questo senso, espressamente, la relazione illustrativa al d.lgs. n. 28 del 2010, sub<br />
art. 1.<br />
( 27 ) Occorre abbandonare l’idea del primato della legge quando si guarda al tema delle<br />
procedure di risoluzione delle controversie. In questa sede è normale che le parti possano riferirsi<br />
all’equità (art. 822 c.p.c. in materia di arbitrato) o che si preveda per l’organismo « il tipo<br />
di regole su cui si fondano le decisioni dell’organo (disposizioni legali, equità, codici di<br />
condotta, ecc.) » purché con mezzi adeguati a garantire la trasparenza della procedura (Racc.<br />
98/257/CE del 30 marzo 1998, riguardante i principi applicabili agli organi responsabili per la<br />
risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di consumo, richiamata dalla Banca<br />
d’<strong>Italia</strong>, nella sez. I, par. 2 “Fonti normative”, delle Disposizioni 18 giugno 2009, sull’ABF).<br />
( 28 ) Con riguardo alla mediazione Proto Pisani, Appunti su mediazione e conciliazione, in<br />
Foro it., 2010, V, c. 142. Sul diritto mite Zagrebelsky, Il diritto mite. Legge diritti giustizia, Torino,<br />
1992.
146 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
ta sulla base dell’applicazione delle norme di legge; potrebbe essere rifiutata<br />
dall’intermediario e allora la sanzione reputazionale collegata a tale rifiuto<br />
si giustificherebbe nell’ottica della sanzione al mancato suggerito ripristino<br />
della relazione tra le parti che costituisce peraltro obiettivo dichiarato<br />
della normativa sull’ABF ( 29 ).<br />
( 29 ) V. esplicitamente le premesse alla Delib. Cicr. 29 luglio 2008, n. 275: « l’adesione degli<br />
operatori a sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie costituisce un utile strumento<br />
per migliorare i rapporti con la clientela e la fiducia del pubblico nei prestatori di servizi<br />
bancari e finanziari, con effetti positivi anche sul piano del contenimento dei rischi legali e<br />
reputazionali delle banche e degli intermediari finanziari ».
LEONARDO GRAFFI<br />
Incoterms e UCP 600 quali usi dei contratti di vendita internazionale<br />
Sommario: 1. Premessa. – 2. La sfera di applicazione dell’art. 9 della Convenzione: gli usi<br />
commerciali. – 3. Segue: prassi e abitudini contrattuali. – 4. L’applicazione degli Incoterms<br />
ai contratti di compravendita internazionale disciplinati dalla Convenzione: questioni<br />
interpretative. Gli Incoterms nella disciplina della compravendita internazionale.<br />
– 5. Segue: l’efficacia degli Incoterms nella giurisprudenza internazionale. – 6. Gli UCP<br />
nella disciplina della compravendita internazionale. – 7. Conclusioni.<br />
1. – È noto che negli ultimi decenni gli usi hanno acquisito un’importanza<br />
sempre crescente presso gli operatori del commercio internazionale,<br />
che sovente attribuiscono a tali fonti un rango pari a quello di fonti normative<br />
di rango primario. Alla luce dell’importanza nodale acquisita dagli usi<br />
nell’ambito di operazioni commerciali transfrontaliere, non si può fare a<br />
meno di osservare che la Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale<br />
di beni mobili (di seguito, la “Convenzione”) ( 1 ) valorizza concretamente<br />
tali fonti, prevedendo all’art. 9 un apposito rinvio agli usi e alle prassi<br />
invalse tra le parti come strumento di integrazione delle pattuizioni negoziali<br />
convenute tra le parti ( 2 ). In altre parole, la Convenzione prevede che,<br />
( 1 ) La Convenzione è stata stipulata a Vienna in data 11 aprile 1980 ed è stata ratificata in <strong>Italia</strong><br />
con legge 11 dicembre 1985, n. 785. La Convenzione è entrata in vigore il 1° gennaio 1988. Per<br />
un elenco aggiornato degli Stati contraenti v. http://www.uncitral.org/uncitral/en/uncitral-texts<br />
/sale-goods/1980CISG -status.html. La bibliografia sulla Convenzione è vastissima; una rassegna<br />
costantemente aggiornata è consultabile online all’indirizzo http://cisgw3.law.pace.edu/ cisg/biblio/<br />
biblio.html.<br />
( 2 )Per riferimenti specifici a contributi dottrinali che hanno analizzato il rapporto tra gli<br />
usi e la Convenzione, v. Achilles, Kommentar zum UN-Kaufrechtsübereinkommen (CISG),<br />
Luchterhand, 2009, commento sub Articolo 9, par. 2; Bainbridge, Trade Usages in International<br />
Sales of Goods: An Analysis of the 1964 and 1980 Sales Convention, in 24 Va. J. Int’l Law,<br />
1984, p. 619 ss.; Bianca e Bonell (a cura di), Commentary on the International Sales Law, Milan,<br />
1987, commento sub Articolo 9, par. 1.2; Farnsworth, Unification and Comparative Law<br />
in Theory and Practice, in Liber amicorum Jean Georges Sauveplanne, 1984, p. 81 ss.; Ferrari,<br />
La rilevanza degli usi nella convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili, in<br />
<strong>Contratto</strong> e Impresa, 1994, p. 239 ss.; Ferrari, Relevant trade usage and practices under UN sales<br />
law, in Eur. Legal Forum, 2002, p. 273 ss.; Ferrari, Trade Usage and Practices Established<br />
between the Parties under the CISG, in Rev. dr. affaires int./ Int.’l Business Law J., 2003, p. 576<br />
ss.; Gillette, Harmony and Stasis in Trade Usage for International Sales, in 39 Va. J. Int’l Law,
148 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
in presenza di determinati parametri che saranno qui di seguito analizzati,<br />
gli usi possano integrare le disposizioni di un contratto di compravendita<br />
internazionale, anche nel silenzio delle parti contraenti. La forza che viene<br />
attribuita agli usi dalla Convenzione rende vieppiù necessaria un’analisi<br />
dell’interazione tra il diritto consuetudinario, le regole oggettive del commercio<br />
internazionale ( 3 ) ed il diritto materiale uniforme applicabile alla<br />
vendita internazionale. Purtroppo, però, benché nell’ultimo decennio la<br />
giurisprudenza applicativa della Convenzione abbia compiuto notevoli<br />
progressi, sia in <strong>Italia</strong> ( 4 ) che all’estero( 5 ), i tribunali e i collegi arbitrali si sono<br />
occupati soltanto in misura marginale del rapporto esistente tra gli usi<br />
del commercio internazionale e le norme uniformi che disciplinano la vendita<br />
internazionale di beni mobili ( 6 ). È di tutta evidenza, peraltro, che l’analisi<br />
di una problematica di così ampia portata richiederebbe ben altri ap-<br />
1999, pp. 707-741; Goldstajn, in Sarcevic e Volken (a cura di), Dubrovnik Lectures, Oceana,<br />
1986, p. 55 ss.; Herber e Czerwenka, Internationales Kaufrecht, Kommentar zu dem Übereinkommen<br />
der Vereinten Nationen vom 11. April 1980 über Verträge über den internationalen<br />
Warenkauf, Monaco di Baviera, 1991, commentario sub Articolo 9, par. 1; Honnold, Uniform<br />
Law for International Sales Under the 1980 United Nations Convention, 3 a ed., L’Aja, 1999, p. 175<br />
ss.; Neumayer e Ming, Convention de Vienne sur les contrats de vente internationale de marchandises.<br />
Commentaire, Losanna, 1993, commento sub Articolo 9; Pamboukis, The Concept<br />
and Function of Usages in the United Nations Convention on the International Sale of Goods, in<br />
Conference Celebrating the 25th Anniversary of United Nations Convention on Contracts for the<br />
International Sale of Goods sponsored by UNCITRAL and the Vienna International Arbitration<br />
Centre (Vienna: 15-18 March 2005), in 25 J. Law Commerce, 2006, pp. 107-1313.<br />
( 3 )Per questa definizione si rinvia all’opera fondamentale di Bonell, Le regole oggettive<br />
del commercio internazionale, Milano, 1976.<br />
( 4 )Vale la pena di citare a questo proposito due pronunce esemplari della giurisprudenza<br />
italiana di merito sulla Convenzione: Trib. Vigevano, 12 luglio 2000, in Giur. it., 2001, p. 280,<br />
con nota di Ferrari; Trib. Rimini, 26 novembre 2002, in Giur. it. 2003, p. 896, con nota di Ferrari.<br />
( 5 )Per una rassegna organica della giurisprudenza internazionale degli Stati contraenti<br />
della Convenzione si rinvia al digesto dei precedenti giurisprudenziali redatto dall’UNCI-<br />
TRAL, v. The UNCITRAL Digest of case law on the United Nations Convention on the International<br />
Sale of Goods, New York, United Nations, 2008, consultabile online all’indirizzo<br />
http://www.uncitral.org/pdf/english/clout/08-51939_Ebook.pdf. Per un’analisi dottrinale ragionata<br />
dei precedenti applicativi della Convenzione, v. Ferrari, Flechtner e Brand (a cura<br />
di), The Draft UNCITRAL Digest and Beyond: Cases, Analysis and Unresolved Issues in the<br />
U.N. Sales Convention, Monaco di Baviera-Londra, 2004, p. 818.<br />
( 6 ) Come osservato da un’autorevole dottrina, soltanto determinati aspetti relativi all’interpretazione<br />
dell’art. 9 sono stati affrontati dalla giurisprudenza: “Only some aspects – albeit<br />
important ones – have actually been addressed in the various judgments [relating to Article 9<br />
CISG]”, così Ferrari, Relevant trade usage, cit., p. 273. V. anche Gillette, Harmony and Stasis,<br />
cit., p. 715.
SAGGI 149<br />
profondimenti, che vanno senz’altro aldilà dello scopo del presente scritto.<br />
In questa sede sarà tuttavia sufficiente soffermarsi sull’analisi di due particolari<br />
e fondamentali tipi di usi codificati del commercio internazionale,<br />
identificabili sotto le sigle “Incoterms” e “UCP”. Tali strumenti sono catalogati<br />
in raccolte periodicamente compilate e aggiornate a cura della Camera<br />
di Commercio Internazionale di Parigi (di seguito, “CCI”) e sono probabilmente<br />
le forme più note e di più vasta applicazione di usi e prassi codificate<br />
del commercio internazionale, come si può ben desumere dall’analisi della<br />
dottrina che si è interessata a questi strumenti ( 7 ). La recente e nuova pubblicazione<br />
degli Incoterms 2010 ( 8 ) è pertanto un’occasione utile per analizzare,<br />
in primo luogo, alcune modalità applicative di tale strumento ai contratti<br />
di vendita internazionale disciplinati dalla Convenzione, nonché per<br />
valutarne la portata alla luce della più recente giurisprudenza interna ed internazionale.<br />
Lo scopo di un’analisi siffatta è di promuovere una corretta<br />
( 7 )Per la versione ufficiale degli Incoterms 2000, v. ICC Official Rules for the Interpretation<br />
of Trade Terms, ICC Publication No. 560, Parigi, 2000. Per alcuni riferimenti dottrinali agli Incoterms,<br />
v., inter alia, Astolfi, “Incoterms”,inDigesto, disc. priv., sez. comm.,4 a ed., Torino,<br />
1992, p. 315 ss.; Bergami, Incoterms 2000 as a Risk Management Tool for Importer, in Vindobona<br />
J. Int’l Comm. Law and Arbitration, 2006, pp. 273-286; Bernardini, L’applicazione degli usi<br />
del commercio internazionale ai contratti internazionali, in Gli usi del commercio internazionale<br />
nella negoziazione ed esecuzione dei contratti internazionali, Quaderno della C.C.I.A. di Milano,<br />
Milano, 1986; Cavazzuti, La clausola C.I.F., Bologna, 1969; CCI <strong>Italia</strong>, Incoterms 2000. Regole<br />
ufficiali CCI per l’interpretazione dei termini commerciali di consegna, 2001; Debattista, Incoterms<br />
and documentary practices, Incoterms 2000: A forum of experts, ICC Publication No.<br />
617, Parigi, 2000, pp. 63-89; Eisemann, La pratique des incoterms: usages de la vente internazionale,<br />
3 a ed., Parigi, 1988; Frignani e Torsello, Il contratto internazionale. Diritto comparato e<br />
prassi commerciale, Padova, 2010, p. 498 ss.; Lopez de Gonzalo, Le clausole C.I.F. e F.O.B., in<br />
Nuova giur. civ., 1986, II, p. 276 ss.; Lorenzon e Skaaja, Sassoon: C.I.F. and F.O.B. contracts,<br />
Londra, 2010; Ramberg, ICC Guide to INCOTERMS. Understanding and Practical Use, 2002;<br />
Tellarini e Zunarelli, La vendita a condizione FOB, Padova, 1999; Tellarini, Incoterms<br />
2000; i principali aspetti innovativi della nuova edizione redatta dalla Camera di Commercio Internazionale,<br />
in Resp. comunicaz. impr., 1999, p. 587. Con riferimento al rapporto tra gli Incoterms<br />
e la Convenzione, v. Derains e Ghestin, La Convention de Vienne sur la vente internationale<br />
et les incoterms, Actes du Colloque des 1er et 2 décembre 1989, Librairie Générale de Droit<br />
et de Jurisprudence, Parigi, 1990, p. 171 ss.; Gabriel, The International Chamber of Commerce<br />
INCOTERMS 2000: A Guide to their Terms and Usage, in Vindobona J. Int’l Comm. Law and Arbitration,<br />
2001, pp. 41-73; Orlando, Rischio e vendita internazionale, Milano, 2002; Ramberg,<br />
To What Extent Do Incoterms 2000 vary Articles 67(2), 68 and 69, in Conference Celebrating the<br />
25th Anniversary of United Nations Convention on Contracts for the International Sale of Goods<br />
sponsored by UNCITRAL and the Vienna International Arbitration Centre (Vienna: 15-18 March<br />
2005), in 25 J. Law Commerce (2005/2006), pp. 219-222.<br />
( 8 ) Cfr. Incoterms 2010, ICC Publication No. 715, Parigi, 2010.
150 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
interpretazione della Convenzione e degli Incoterms, soffermandosi su determinati<br />
aspetti che possono dar luogo a soluzioni divergenti e potenzialmente<br />
problematiche per gli operatori del commercio internazionale. In secondo<br />
luogo si procederà ad una breve disamina dell’applicazione delle<br />
norme ed usi uniformi in materia di crediti documentari della CCI (anche<br />
note con la sigla internazionale “UCP”) ed al loro potenziale impatto sui<br />
contratti di compravendita internazionale, con particolare riferimento all’ipotesi<br />
specifica della risoluzione per inadempimento contrattuale prevista<br />
dall’art. 25 della Convenzione.<br />
2. – La Convenzione formula un rinvio agli usi commerciali che troveranno<br />
applicazione sia qualora le parti vi abbiano fatto espressamente riferimento<br />
nel loro contratto, sia qualora non ne sia stata fatta menzione alcuna,<br />
ma tuttavia tali usi possiedano determinate caratteristiche ( 9 ). Pare quindi<br />
opportuno richiamare qui di seguito il testo dell’art. 9 della Convenzione,<br />
che recita:<br />
“1. Le parti sono vincolate dagli usi ai quali hanno assentito e dalle abitudini<br />
stabilitesi fra di loro.<br />
2. Salvo convenzione contraria delle parti, si ritiene che queste si siano tacitamente<br />
riferite nel contratto e per la sua elaborazione a qualsiasi uso di cui<br />
erano o avrebbero dovuto essere a conoscenza e che, nel commercio internazionale,<br />
è ampiamente conosciuto e regolarmente osservato dalle parti in contratti<br />
dello stesso genere, nel ramo commerciale considerato”.<br />
Orbene, non si può far a meno di notare che la Convenzione non prevede<br />
una vera e propria definizione di usi ( 10 ). A tal fine, posto che la Convenzione<br />
è un trattato di diritto uniforme che esige un’interpretazione autonoma<br />
rispetto ai concetti giuridici e agli istituti previsti nel diritto dei singoli<br />
( 9 ) See Holl e Keßler, Selbstgeschaffenes Recht der Wirtschaft und Einheitsrecht – Die<br />
Stellung der Handelsbräuche und Gepflogenheiten im Wiener UN-Kaufrecht, in RIW, 1995, p.<br />
457 ss.<br />
( 10 )Per questo tipo di osservazioni, v. Bonell, L’interpretazione del diritto uniforme alla<br />
luce dell’art. 7 della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale, in Riv. dir. civ., 1986, p.<br />
221; Diez-Picazo, Calvo e Caravaca, La compraventa internacional de mercaderías. Comentario<br />
de la Convención de Viena, 1998, commento sub Articolo 9; Ferrari, Nuove e vecchie questioni<br />
in materia di vendita internazionale tra interpretazione autonoma e ricorso alla giurisprudenza<br />
straniera, in Giur. it., 2004, pp. 1405-1419; Goddard, El Contrato de Compraventa Internacional,<br />
1994, Città del México, p. 80; Graffi, L’interpretazione autonoma della Convenzione<br />
di Vienna, rilevanza del precedente straniero e disciplina delle lacune, in Giur. merito, 2004, I, p.<br />
873 ss.; Rosenberg, The Vienna Convention: Uniformity in Interpretation for Gap-Filling – An<br />
Analysis and Application, in Australian Business Law Rev., 1992, p. 442 ss.
SAGGI 151<br />
Stati contraenti ( 11 ), come più volte osservato dalla dottrina ( 12 ), sarà indispensabile<br />
evitare di utilizzare una definizione di usi prevista da un particolare<br />
diritto nazionale ( 13 ). Ai fini di tale interpretazione non potrà soccorrere,<br />
ad esempio, la nozione di usi normativi comunemente conosciuta nel<br />
nostro ordinamento, che presuppone un comportamento generale, uniforme<br />
e costante osservato per un lungo periodo di tempo con la convinzione<br />
di ubbidire ad una norma giuridica obbligatoria (la cosiddetta opinio iuris<br />
atque necessitatis) ( 14 ). A questo proposito vale, infatti, la pena di rilevare<br />
( 11 ) Cfr. Bianca e Bonell (a cura di), Commentary, cit., par. 3.2; Diez-Picazo, Calvo e<br />
Caravaca, La compraventa internacional, cit., p. 140; Ferrari, Vendita internazionale di beni<br />
mobili. Artt. 1-13. Ambito di applicazione. Disposizioni generali,Padova, 1994, p. 187; Ferrari,<br />
Uniform interpretation of the 1980 Uniform Sales Law, in Ga. J. Int’l & Comp. Law, 1994, p. 183 ss.<br />
( 12 ) Sull’autonomia della Convenzione rispetto alle norme materiali di diritto nazionale,<br />
v. da ultimo, Frignani e Torsello, Il contratto internazionale, cit., p. 462, dove si legge: “Ciò<br />
nondimeno, si deve riconoscere alla Convenzione il pregio di avere raggiunto l’obiettivo di<br />
creare un sistema comune di norme di default applicabili in assenza di scelta diversa delle parti,<br />
cosicché le parti di un contratto internazionale potranno fare affidamento sull’applicabilità<br />
di un sistema (sia pure non esaustivo) di norme già note, o comunque più agevolmente conoscibili<br />
rispetto alle norme di un ordinamento straniero, potenzialmente applicabili ad una<br />
compravendita internazionale”.<br />
( 13 ) Così, ad esempio, Ferrari, La rilevanza degli usi, cit., a p. 243, dove si legge: “La mancanza<br />
di una definizione [di usi] non deve, però, indurre l’interprete ad attribuire a tale concetto<br />
il significato attribuitogli nell’ambito del suo diritto nazionale interno [ . . .] vale, in altre<br />
parole, anche con riferimento a questo concetto quanto vale con riferimento alla convenzione<br />
di Vienna in generale: l’obbligo di interpretare la convenzione tenendo conto del suo carattere<br />
internazionale, nonché l’esigenza di promuoverne l’applicazione uniforme prevista<br />
dall’art. 7, comma 1°, impone di interpretare i suoi termini e concetti in via autonoma, ossia<br />
senza rimanere ancorati ad un determinato ordinamento”. V. anche Graffi, L’interpretazione<br />
autonoma della Convenzione di Vienna, cit., p. 873 ss.; Torzilli, The Aftermath of MCC-Marble:<br />
Is This the Death Knell for the Parol Evidence Rule, in 74 St. John’s L. Rev., 2000, p. 843, a<br />
p. 859; in giurisprudenza v., ad es., Trib. Vigevano, 12 luglio 2000, cit. Per un’analisi di questa<br />
fondamentale sentenza di merito sull’interpretazione autonoma della Convenzione, si rinvia<br />
a Ferrari, Specific Aspects of the CISG Uniformly Dealt With, in 20 J. Law Commerce, 2001, pp.<br />
225-239; Graffi, Overview of Recent <strong>Italia</strong>n Court Decisions on the CISG/ L’applicazione della<br />
Convenzione di Vienna in alcune recenti sentenze italiane, in Eur. Legal Forum, 2001, pp. 240-<br />
244; Veneziano, Mancanza di conformità delle merci ed onere della prova nella vendita internazionale:<br />
un esempio di interpretazione autonoma del diritto uniforme alla luce dei precedenti stranieri,<br />
in Dir. comm. int., 2001, p. 497 ss.<br />
( 14 ) Su questo tema, cfr., ex multis, Galgano, Diritto civile e commerciale, vol. I, 4 a ed., Padova,<br />
2004, p. 69 che definisce gli usi come una “fonte non scritta e non statuale di produzione<br />
di norme giuridiche: consistono nella pratica uniforme e costante di dati comportamenti<br />
seguita con la convinzione che quei comportamenti siano giuridicamente obbligatori (opinio<br />
iuris atque necessitatis)”.
152 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
che la dottrina ha sostenuto a più riprese l’irrilevanza del fatto che le parti<br />
abbiano osservato un determinato comportamento generale nella convinzione<br />
di una sua obbligatorietà ( 15 ). Poiché è noto, dunque, che la Convenzione<br />
va interpretata in un contesto normativo transnazionale in base ai<br />
principi generali a cui essa si ispira, ad avviso di chi scrive non potrà neppure<br />
assumere rilievo ai fini dell’applicazione degli usi ai contratti disciplinati<br />
dalla Convenzione un’interpretazione tipica del nostro ordinamento interno<br />
volta a tracciare una distinzione tra usi normativi e usi negoziali.<br />
In altre parole, quindi, per effetto dell’esplicito richiamo contenuto nell’art.<br />
9 della Convenzione, gli usi troveranno diretta applicazione ai contratti<br />
di compravendita internazionale di beni mobili in quanto nel contesto di<br />
norme di diritto uniforme assumono la natura di regole oggettive consuetudinarie<br />
e possiedono, quindi, efficacia “quasi normativa”.<br />
L’effetto pratico di tale applicabilità diretta sta nel fatto che qualora le<br />
parti abbiano convenuto di riferirsi agli usi nel loro contratto, la giurisprudenza<br />
e la dottrina internazionale hanno confermato a più riprese che ciò<br />
determinerà una prevalenza degli usi stessi sulle disposizioni di diritto<br />
uniforme ( 16 ).<br />
Va rilevato, inoltre, che il comma 2 dell’art. 9 della Convezione consente<br />
espressamente agli usi di trovare applicazione anche laddove le parti non<br />
li abbiano espressamente richiamati nel contratto, a patto, però, che si tratti<br />
di usi effettivamente conosciuti o conoscibili dalle parti e che tali usi siano<br />
largamente conosciuti nell’ambito del commercio internazionale e regolarmente<br />
osservati da parti di contratti dello stesso genere nel particolare settore<br />
commerciale considerato.<br />
3. – L’art. 9 traccia una distinzione tra gli usi e le abitudini o pratiche negoziali,<br />
in quanto se da un lato il concetto di usi è da intendersi in senso ampio<br />
e dovrà ricomprendere le condotte e attività commerciali che vengono<br />
poste in essere abitualmente da una o più categorie di operatori del commercio<br />
internazionale in un determinato ramo commerciale, dall’altro il ri-<br />
( 15 ) Cfr. Schlechtriem e Junge, Kommentar zum Einheitlichen UN-Kaufrecht (CISG),<br />
Monaco di Baviera, 2000, commento sub Articolo 9, par. 3.<br />
( 16 ) In giurisprudenza v. ad es., OBH Saarbrücken (Germania), 21 marzo 2000, CLOUT<br />
Case n. 425; OGH (Austria) 21 marzo 2000 – 10 Ob 344/99g, Unilex; OLG Saarbrücken<br />
(Germania), 13 gennaio 1992, Unilex. In dottrina v. Ferrari, La vendita internazionale, cit., p.<br />
192; Goddard, op. cit., p. 81; Herber e Czerwenka, op. cit., commento sub Articolo 9, par.<br />
6; Plantard, Un nouveau droit uniforme de la vente internationale: La Convention des Nations<br />
Unies du 11 avril 1980, J.D.I., 1988, p. 311 ss., a p. 317.
SAGGI 153<br />
ferimento alle abitudini o pratiche negoziali va inteso in senso più restrittivo<br />
e non può che avere ad oggetto esclusivamente i comportamenti negoziali<br />
ripetuti nel tempo dalle medesime parti di determinati rapporti contrattuali<br />
conclusi a più riprese tra loro.<br />
Tra gli esempi tipici di prassi contrattuali rilevanti ai fini dell’art. 9 della<br />
Convenzione, la giurisprudenza arbitrale ha avuto modo di identificare, ad<br />
esempio, la disponibilità di una parte contraente ad inviare tempestivamente<br />
all’altra parte pezzi di ricambio di macchinari, fatto che un tribunale arbitrale<br />
della CCI ha ritenuto avesse assunto le caratteristiche di una prassi negoziale<br />
consolidata tra le parti ( 17 ). Allo stesso modo, la tolleranza, ripetuta<br />
nel tempo, di ritardi nella consegna di merci è stata intesa da un tribunale arbitrale<br />
dell’American Arbitration Association come un’esimente per la parte<br />
inadempiente, tale da precludere alla parte attrice di invocare l’inadempimento<br />
essenziale del contratto per via di un ritardo nella consegna delle<br />
merci ( 18 ). Pertanto, come osservato dalla dottrina ( 19 ), le prassi e abitudini<br />
contrattuali instaurate tra le stesse parti in relazione ad una serie di affari dello<br />
stesso genere costituiscono elementi integrativi del contratto, che potranno<br />
anche prevalere, se del caso e in maniera non dissimile a quanto avviene<br />
per gli usi, sulle norme di diritto uniforme della Convenzione. Ciò, tuttavia,<br />
implica che la relazione commerciale da cui scaturiscono tali prassi e abitudini<br />
negoziali abbia una durata temporale sufficientemente rilevante, non<br />
bastando a questo fine, come pur è stato sostenuto da una criticata pronunzia<br />
della Corte Suprema austriaca ( 20 ), che le parti avessero concluso un solo<br />
contratto di compravendita. A tal riguardo e in modo decisamente contrario<br />
a quanto affermato dalla corte austriaca, la giurisprudenza svizzera e tedesca<br />
( 17 ) Cfr. Lodo arbitrale CCI n. 8611/ 1997, Unilex.<br />
( 18 ) Cfr. Lodo arbitrale AAA, 23 ottobre 2007, consultabile online all’indirizzo http://cisgw3.law.pace.edu/cases/071023a5.html,<br />
dove si legge: “The lapse in time between the contractual<br />
shipment periods and the Romanian government’s blockage of imports was a matter<br />
of weeks or days, depending upon the particular Contract. However, this delay in performance<br />
did not amount to a fundamental breach for several reasons. As explained below, first, the<br />
parties’ prior course of dealing and industry practice allowed for some flexibility in the delivery<br />
date – a flexibility that was shown in Buyer’s responses here, at least at the onset of the<br />
delivery delay”.<br />
( 19 ) Cfr. Achilles, op. cit., commento sub Articolo 9, par. 16; Bianca e Bonell, op. cit.,<br />
commento sub Articolo 9, par. 2.1.1; Ferrari, Vendita internazionale, cit., a p. 189; Herber e<br />
Czerwenka, op. cit., commento sub Articolo 9, par. 3; Neumayer e Ming, op. cit., commento<br />
sub Articolo 9, par. 1.<br />
( 20 )V. Ferrari, Relevant trade usage, cit., p. 275, che cita a tal riguardo la decisione della<br />
Corte Suprema austriaca del 6 febbraio 1996 – 10 Ob 518/95, Unilex.
154 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
hanno avuto modo di affermare che neppure la conclusione di due contratti<br />
di compravendita può ritenersi sufficiente all’instaurazione di una prassi negoziale<br />
rilevante ai fini dell’art. 9 della Convenzione, dovendosi ritenere necessaria<br />
una maggior continuità nel rapporto negoziale ( 21 ).<br />
4. – Gli Incoterms sono con ogni probabilità la raccolta di trade terms più<br />
conosciuta tra gli operatori del commercio internazionale. La prima raccolta<br />
di tali strumenti venne adottata su impulso della CCI nel 1928 e l’ultima<br />
edizione degli Incoterms 2010 è entrata in vigore a far tempo dal 1° febbraio<br />
2011 ( 22 ). L’utilizzo dei trade terms conosciuti con l’acronimo Incoterms contribuisce<br />
in modo significativo a promuovere l’uniformità nella disciplina<br />
della consegna e del trasferimento del rischio, in maniera pienamente coerente<br />
con lo spirito della Convenzione, in quanto entrambi gli strumenti<br />
mirano ad armonizzare, se pur con modalità ed efficacia diverse, alcuni<br />
aspetti determinanti del diritto degli scambi internazionali. Peraltro, come<br />
confermato dalla giurisprudenza internazionale ( 23 ), gli Incoterms possono<br />
trovare applicazione ai contratti di vendita internazionale disciplinati dalla<br />
Convenzione come usi ai sensi dell’art. 9, sia qualora le parti li abbiano<br />
espressamente richiamati nel loro contratto ai sensi del comma 1, sia (anche<br />
se con maggiori difficoltà legate alla sufficienza delle prove) qualora le parti<br />
non vi abbiano fatto espresso riferimento, ma cionondimeno siano rispettati<br />
i parametri di cui al comma 2. A questo proposito, non si può che osservare<br />
con una certa sorpresa come la giurisprudenza italiana ( 24 ) continui in-<br />
( 21 ) Cfr. ZG Kanton Basel-Stadt (Svizzera) 3 dicembre 1997 – P4 1996/00448, Unilex; v.<br />
anche AG Duisburg (Germania) 13 aprile 2000, in IHR, 2001, pp. 114, 115, dove si afferma<br />
esplicitamente che la continuità nel rapporto negoziale non può ritenersi sussistere in presenza<br />
di soli due contratti successivi tra loro.<br />
( 22 )Per riferimenti dottrinali agli Incoterms e al rapporto tra gli Incoterms e la Convenzione,<br />
v. supra nota 7.<br />
( 23 )V. infra note 28, 29, 32 e 33.<br />
( 24 ) Secondo l’orientamento pressoché incontrastato e costante della giurisprudenza italiana,<br />
sia di merito che di legittimità, le clausole Incoterms sono da intendersi quali mere clausole<br />
“di spesa” e non “di rischio”. Tra le pronunce di legittimità, v. Cass., sez. un., 5 ottobre<br />
2009, n. 21192, che pur applicando correttamente alla fattispecie della consegna nella vendita<br />
internazionale l’art. 31 della Convenzione ha tuttavia affermato erroneamente che « restano<br />
irrilevanti, sotto tale profilo, le clausole che pongono a carico dello stesso [venditore] i costi<br />
del trasporto e gli oneri connessi, come la clausola CIF o la clausola “franco arrivo”, le quali<br />
non dimostrano, di per sole, alcune effettiva intenzione delle parti di sottrarre il rapporto all’operatività<br />
della citata previsione normativa [l’art. 31 della Convenzione] »; v. anche Cass., 9<br />
luglio 2003, n. 10770, in Giust. civ., 2004, I, p. 1564; Cass., 4 novembre 2002, n. 15389, in Dir.
SAGGI 155<br />
spiegabilmente a negare l’applicabilità degli Incoterms al tema del passaggio<br />
del rischio nel caso di perimento di beni oggetto di contratti di compravendita<br />
internazionale, ritenendo invece che la sfera di applicazione degli Incoterms<br />
vada confinata al mero tema della ripartizione delle spese nelle varie<br />
fasi di consegna della merce, inclusi i costi assicurativi. Sotto questo profilo,<br />
la posizione della giurisprudenza italiana rappresenta un unicum nel panorama<br />
giurisprudenziale internazionale in tema di Incoterms e diritto della<br />
vendita internazionale, dove non risultano esservi pronunce di tribunali<br />
di paesi industrializzati che abbiano messo in discussione la natura di clausole<br />
sul passaggio del rischio degli Incoterms ( 25 ). A ben vedere proprio il<br />
maritt., 2004, p. 104, con nota contraria di Tellarini, Osservazioni sulla natura giuridica della<br />
clausola fob, sulla individuazione della merce e sul regime di trasferimento della proprietà; Cass.,<br />
26 marzo 2001, n. 4344, ivi, 2003, p. 112; Cass., sez. un., 25 gennaio 1995, n. 892, ivi, 1997, p. 958;<br />
Cass., sez. un., 25 ottobre 1993, n. 10600, in Foro it., 1994, I, c. 2832; tra le pronunce di merito,<br />
v. Trib. Trieste, 13 marzo 2006, in Dir. trasp. 2008, p. 203, con nota di Casciano, Trasferimento<br />
del rischio e titolarità dell’interesse assicurato nella vendita a condizione FOB; Trib. Napoli, 20<br />
gennaio 2005, in Dir. maritt., 2005, p. 998, con nota di Rossello, Termini di resa Incoterms e titolarità<br />
dell’interesse assicurato; App. Milano, 19 dicembre 2000, ivi, 2002, p. 1366; Trib. Genova,<br />
16 aprile 1999, ivi, 2001, p. 1479; Trib. Milano, 4 maggio 1995, ivi, 1996, p. 498; Trib. Ravenna,<br />
18 febbraio 1999, ivi, 2000, p. 248. Per una rassegna sulla posizione della giurisprudenza<br />
sino alla metà degli anni ottanta, cfr. Lopez de Gonzalo, Le clausole CIF e FOB, in Nuova<br />
giur. civ., 1986, p. 276. Nel panorama della giurisprudenza italiana vale però la pena di citare almeno<br />
una (pienamente condivisibile) decisione contrastante, v. App. Genova, 24 marzo<br />
1995, in Dir. maritt., 1995, p. 1054 ss., con nota di Lopez de Gonzalo, dove la corte ha correttamente<br />
riconosciuto ad una clausola FOB il significato di uso internazionale vincolante inter<br />
partes ai sensi dell’art. 9 della Convenzione. Vale la pena di osservare che l’orientamento della<br />
giurisprudenza italiana è stato fortemente e correttamente criticato da Lopez de Gonzalo,<br />
L’obbligazione di consegna nella vendita marittima, Milano, 1997, p. 137. Per un commento più<br />
recente sulla posizione della giurisprudenza italiana in materia di Incoterms, v. Rossello, Termini<br />
di resa Incoterms, cit.; v. anche Frignani e Torsello, Il contratto internazionale, cit., p.<br />
501, dove gli autori affermano che: « resta il fatto, peraltro, che i giudici nazionali non hanno<br />
nascosto la difficoltà di aderire ad un uso internazionale, quando risultasse in contrasto con<br />
una norma (benché suppletiva) interna. Un esempio lampante ci viene dalla Cassazione italiana,<br />
la quale di fronte ad una clausola FOB ha tenuto fermo il disposto del comma 2 dell’art.<br />
1510 c.c., senza rendersi conto che l’“uso contrario” derivava dagli Incoterms e che in una vendita<br />
internazionale gli “usi in vigore nel luogo dove il contratto è stato concluso” sono quelli<br />
del commercio internazionale e non quelli domestici ».<br />
( 25 )Per osservazioni simili ed ampi riferimenti alla giurisprudenza internazionale, cfr.<br />
Tellarini e Zunarelli, La vendita a condizione FOB, cit., p. 98, dove si legge: “la tendenza<br />
ad attribuire alla clausola FOB una funzione limitata alla ripartizione fra le parti delle spese di<br />
trasporto della merce fino al luogo di destinazione appare indiscutibilmente contraddetta dalla<br />
prassi mercantile e giurisprudenziale, che si è andata ad oggi consolidando a livello internazionale”.
156 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
passaggio del rischio nella consegna della merce è uno degli aspetti fondanti<br />
della disciplina degli Incoterms, su cui fanno amplissimo affidamento senza<br />
esitazione gli operatori commerciali nei loro scambi internazionali. La<br />
questione va dunque analizzata tenendo conto dell’internazionalità del<br />
rapporto di compravendita e dando opportuno risalto al ruolo dell’autonomia<br />
negoziale, ogni qualvolta le parti abbiano inteso far uso dei termini Incoterms.<br />
Circa la disciplina del passaggio del rischio, la giurisprudenza italiana<br />
è solita attribuire risalto all’art. 1510 c.c., che al comma 2 prevede che<br />
“salvo patto o uso contrario, se la cosa venduta deve essere trasportata da un<br />
luogo all’altro, il venditore si libera dell’obbligo della consegna rimettendo la<br />
cosa al vettore o allo spedizioniere”. È di tutta evidenza, però, che, a prescindere<br />
dal fatto che gli Incoterms possano o meno integrare la natura di patto<br />
o uso contrario (e, ad avviso di chi scrive, la risposta è senz’altro positiva), la<br />
disposizione in esame non potrà nemmeno trovare applicazione nell’ipotesi<br />
di un contratto di compravendita internazionale soggetto alla disciplina<br />
della Convenzione, che pur non disciplinando la questione del trasferimento<br />
della proprietà dei beni, prevede all’art. 67 un’apposita disciplina sul passaggio<br />
del rischio. È noto, infatti, che la Convenzione, in quanto trattato di<br />
diritto materiale uniforme e quindi lex specialis, deve applicarsi con prevalenza<br />
sul diritto statuale ( 26 ) e, pertanto, è opportuno prendere atto dell’esistenza<br />
di una disposizione speciale sul passaggio del rischio nella consegna<br />
dei beni oggetto di compravendita internazionale. Orbene, l’art. 67 prevede<br />
che: “quando il contratto di vendita implica un trasporto di merci e il venditore<br />
non è tenuto a consegnarle in un luogo determinato, i rischi saranno trasferiti<br />
all’acquirente a partire dalla consegna delle merci al primo trasportatore per<br />
l’invio all’acquirente, in conformità al contratto di vendita. Quando il vendito-<br />
( 26 ) Cfr. Ferrari, Vendita internazionale tra forum shopping e diritto internazionale privato:<br />
brevi note in occasione di una sentenza esemplare relativa alla Convenzione delle Nazioni Unite<br />
del 1980, in Giur. it., 2003, p. 896, nota a Trib. Rimini, 26 novembre 2002, n. 3095, a p. 898, dove<br />
si legge: « il tipo di specialità più convincente addotto dal Tribunale di Rimini a giustificazione<br />
della prevalenza della convenzione di diritto materiale uniforme è tuttavia dato da un<br />
tipo di “specialità” diversa da quella ora ricordata; si tratta di una “specialità” intrinseca del diritto<br />
materiale uniforme che – come affermato dal Tribunale di Rimini – deve ravvisarsi nell’idoneità<br />
delle norme di diritto materiale uniforme di risolvere direttamente il problema sostanziale<br />
lamentato soluzione che il ricorso al diritto internazionale privato invece non fornisce<br />
direttamente, poiché questo individua “soltanto” il diritto applicabile le cui norme materiali<br />
debbono poi essere applicate per portare ad una soluzione sostanziale. La specialità del<br />
diritto materiale uniforme di origine convenzionale va ravvisata quindi (anche) nella mancata<br />
necessità di questo “procédé par deux étapes” che è indispensabile quando si ricorre alle<br />
norme di diritto internazionale privato ».
SAGGI 157<br />
re è tenuto a consegnare le merci al trasportatore in luogo determinato, i rischi<br />
non saranno trasferiti all’acquirente fino al momento in cui le merci non saranno<br />
state consegnate al trasportatore in detto luogo.” La norma de qua può<br />
porre dei problemi interpretativi qualora le parti abbiano inserito una clausola<br />
CIF o FOB nel loro contratto, in quanto, come noto, tali clausole, nel<br />
recepire una prassi mercantile consolidata, prevedono nella versione Incoterms<br />
2000 che il passaggio del rischio si verifichi allorquando le merci hanno<br />
oltrepassato la murata della nave (il cosiddetto ship’s rail) ( 27 ). Peraltro, si<br />
osserva come a seguito delle revisioni operate nella nuova versione degli Incoterms<br />
2010, tali clausole prevedono ora che il passaggio del rischio si verifichi<br />
allorquando sia stata completata la consegna della merce a bordo (e<br />
non più soltanto quando si sia verificato il superamento della murata). Diversamente<br />
da quanto previsto dagli Incoterms, però, sia la norma speciale<br />
di diritto uniforme dell’art. 67 della Convenzione, che l’art. 1510 c.c., prevedono<br />
in buona sostanza che il venditore sia esonerato da responsabilità per<br />
il perimento della merce non appena si sia verificata la consegna della merce<br />
al primo trasportatore (nel caso della Convenzione) o al primo vettore o<br />
spedizioniere (nel caso della disciplina civilistica). È di tutta evidenza, invece,<br />
come ai fini della disciplina dei termini di consegna CIF e FOB, la consegna<br />
della merce al primo trasportatore, che può ben essere anche uno spedizioniere<br />
o uno dei trasportatori che effettuano una consegna preparatoria<br />
rispetto al caricamento finale sulla nave, non può ritenersi sufficiente ad<br />
esonerare da responsabilità il venditore. Peraltro, secondo un’interpretazione<br />
dottrinale condivisibile ( 28 ), si ritiene che il concetto di “primo tra-<br />
( 27 ) Cfr. Lopez de Gonzalo, Le clausole CIF e FOB, cit., p. 283 che afferma: “va però ricordato<br />
che la clausola C.I.F. (ed anche la clausola F.O.B.) individuano più specificamente il<br />
momento della consegna e del trasferimento dei rischi nell’effettiva caricazione sulla nave (o<br />
altro mezzo di trasporto)”. V. anche Tellarini, Osservazioni sulla natura giuridica della clausola<br />
fob, cit., p. 109, dove si legge: “la disciplina degli Incoterms, che recepisce la prassi mercantile<br />
e giurisprudenziale consolidatasi in materia, stabilisce che nella vendita a condizione<br />
Fob il venditore deve consegnare la merce a boardo della nave designata dal compratore nel<br />
porto d’imbarco convenuto, con la conseguenza che l’avvenuta caricazione dei beni, oltrepassata<br />
la murata della nave (ship’s rail) assume rilevanza ai fini del momento perfezionativo<br />
della consegna, oltre che di quello relativo al trasferimento dei rischi, mentre la eventuale rimessione<br />
della merce allo spedizioniere o al vettore terrestre, quale fase preparatoria del negozio,<br />
non produce alcun effetto liberatorio per il venditore”.<br />
( 28 )V. Lookofsky, The 1980 United Nations Convention on Contracts for the International<br />
Sale of Goods, Article 67 Passage of Risk: Contracts Involving Carriage, in Herbots e Blanpain<br />
(a cura di), International Encyclopaedia of Laws – Contracts, Suppl. 29, The Hague, 2000, pp. 1-<br />
192, consultabile online al sito http://www.cisg.law.pace.edu/cisg/biblio/loo67.html#269-4.
158 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
sportatore” dell’art. 67, comma 1, possa trovare applicazione soltanto qualora<br />
il trasportatore sia un soggetto terzo, estraneo all’organizzazione aziendale<br />
del venditore, dovendosi in caso contrario (vale a dire quando il trasportatore<br />
sia un soggetto direttamente o indirettamente riconducibile alla struttura<br />
aziendale del venditore) ritenere che il rischio per il perimento delle merci<br />
non si possa trasferire al compratore fintanto che egli non abbia preso in carico<br />
i beni. Alla luce di quanto evidenziato, non si può far a meno di osservare<br />
che, qualora le parti abbiano richiamato espressamente gli Incoterms nel contratto<br />
di compravendita internazionale, per effetto dell’art. 9, comma 1, della<br />
Convenzione e secondo le interpretazioni rese dalla dottrina e dalla giurisprudenza<br />
internazionali ( 29 ), in caso di conflitti interpretativi, tali usi “quasi<br />
normativi” dovranno prevalere sulle norme di diritto uniforme (e quindi, indirettamente,<br />
anche sulle norme di diritto interno) e ciò a prescindere da<br />
qualsiasi dubbio che possa sorgere sulla natura giuridica degli Incoterms nell’ordinamento<br />
di riferimento, in quanto tali usi hanno efficacia di regole oggettive<br />
consuetudinarie del commercio internazionale che andranno interpretate<br />
e applicate in un contesto normativo transnazionale.<br />
5. – Ad ulteriore conferma dell’importanza assunta dagli Incoterms per<br />
la disciplina dei contratti di vendita internazionale si ritiene opportuno citare<br />
il caso St. Paul Guardian Insurance Co., nel quale il tribunale federale del<br />
Southern District di New York ( 30 ) si è spinto sino ad affermare che gli Incoterms<br />
devono applicarsi ad un contratto di compravendita disciplinato dalla<br />
Convenzione anche a prescindere da un esplicito riferimento delle parti a<br />
tale raccolta d’usi, essendosi le parti limitate ad indicare nel contratto il solo<br />
termine di resa CIF ( 31 ). In tale pronunzia il tribunale statunitense ha, infatti,<br />
ritenuto potersi desumere da una serie di elementi che le parti avessero<br />
inteso riferirsi al significato della clausola CIF previsto dagli Incoterms, in<br />
( 29 ) Cfr., ex multis, Rechtbank Koophandel Ieper (Belgio), 18 febbraio 2002, consultabile<br />
online all’indirizzo http://cisgw3.law.pace.edu/cases/020218b1.html; Rechtbank Koophandel<br />
Veurne (Belgio), 25 aprile 2001, consultabile online all’indirizzo http://cisgw3.law.pace.edu/cases/010425b1.html;<br />
Oberster Gerichtshof (Austria), 21 marzo 2000, consultabile online all’indirizzo<br />
http://cisgw3.law.pace.edu/cases/000321a3.html; Juzgado Nacional de Primera Instancia<br />
en lo Comercial (Argentina), 6 ottobre 1994, consultabile online all’indirizzo http://cisgw3.law.pace.edu/cases/941006a1.html.<br />
( 30 )V. St. Paul Guardian Insurance Co., et al. v. Neuromed Medical Systems & Support et al.,<br />
U.S. Dist. Court, Lexis 5096 (S.D.N.Y. 2002), consultabile online all’indirizzo http://cisgw3.<br />
law.pace.edu/cases/020326u1.html.<br />
( 31 ) Nella fattispecie, la clausola prevedeva una consegna « CIF New York seaport ».
SAGGI 159<br />
quanto tali termini sono ampiamente conosciuti nell’ambito dei contratti<br />
del commercio internazionale. Nel caso di specie, un compratore statunitense<br />
ed un venditore tedesco avevano stipulato un contratto di compravendita<br />
internazionale avente ad oggetto un apparecchio medico-diagnostico<br />
che era stato consegnato dal venditore al porto di partenza in buone condizioni.<br />
Il compratore riscontrava tuttavia dei danni al momento della consegna<br />
del bene negli Stati Uniti. Poiché in virtù della clausola CIF prevista dal<br />
contratto (nell’accezione di cui agli Incoterms 2000) le parti avevano inteso disciplinare<br />
il passaggio del rischio allorquando i beni oltrepassano la murata<br />
della nave al porto di partenza, l’acquirente proponeva azione innanzi al tribunale<br />
federale di New York domandando il risarcimento del danno. A fondamento<br />
della pretesa attorea si affermava che, poiché nel contratto non era<br />
stato fatto esplicito riferimento agli Incoterms, la disciplina tipica del trade<br />
term CIF non doveva trovare applicazione. Va rilevato, però, che le parti avevano<br />
scelto come legge applicabile al contratto il diritto tedesco e, in virtù di<br />
tale scelta, la corte americana stabiliva che il contratto internazionale dovesse<br />
essere interpretato in base alle norme di diritto materiale uniforme della<br />
Convenzione, recepita nel diritto tedesco. Il tribunale riteneva pertanto applicabile<br />
la definizione di CIF contenuta negli Incoterms 2000, che prevedeva<br />
il passaggio del rischio nella consegna della merce al momento del superamento<br />
dello ship’s rail e respingeva quindi la pretesa dell’attore, in quanto il<br />
rischio doveva ritenersi a carico del compratore per eventuali danni verificatisi<br />
a seguito del caricamento della merce sulla nave. Nel ritenere applicabile la<br />
disciplina prevista dagli Incoterms, il tribunale assumeva ai sensi dell’art. 9,<br />
comma 2, della Convenzione, che gli Incoterms formassero usi largamente<br />
conosciuti e osservati nel commercio internazionale e che, nel richiamare la<br />
clausola CIF nel loro contratto, le parti avessero inteso fare riferimento a tale<br />
raccolta d’usi in modo coerente con lo spirito della Convenzione stessa ( 32 ).<br />
A conclusioni non dissimili è giunto un tribunale arbitrale russo ( 33 ),<br />
( 32 ) La Corte federale di New York ha affermato infatti che: « The use of the “CIF” term<br />
in the contract demonstrates that the parties “agreed to the detailed oriented [INCOTERMS]<br />
in order to enhance the Convention”. Oberman, Transfer of Risk From Seller to Buyer in International<br />
Commercial Contracts: A Comparative Analysis of Risk Allocation Under CISG, UCC<br />
and Incoterms, in http://www.cisg.law.pace.edu/cisg/thesis/Oberman.html. Thus, pursuant to<br />
CISG art. 9(2), INCOTERMS definitions should be applied to the contract despite the lack of<br />
an explicit INCOTERMS reference in the contract ».<br />
( 33 )V. Tribunale dell’arbitrato commerciale internazionale presso la Camera di commercio<br />
e dell’industria della Federazione Russa, 13 aprile 2006, consultabile online all’indirizzo<br />
http://cisgw3.law.pace.edu/cases/060413r1.html.
160 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
nonché da ultimo un tribunale di merito svizzero ( 34 ), che ha sostenuto persino<br />
che quando gli Incoterms non sono stati espressamente richiamati nel<br />
contratto esplicitamente o implicitamente, tali trade terms assumono comunque<br />
il valore di “regole interpretative del commercio internazionale”.<br />
Altre pronunzie di tribunali di Stati contraenti della Convenzione hanno<br />
coerentemente affermato che un semplice riferimento nel contratto ad un<br />
trade term (ad es., CIF, FOB o EXW) vada inteso come un rinvio al significato<br />
specifico ad esso attribuito dagli Incoterms, a prescindere dal fatto che<br />
le parti abbiano fatto espresso riferimento alla raccolta d’usi della CCI ( 35 ).<br />
La citata giurisprudenza sull’interpretazione degli Incoterms, che si avvale<br />
del richiamo agli usi contenuto nell’art. 9 della Convenzione, pone in rilievo<br />
la netta differenza tra l’interpretazione resa su questa raccolta d’usi dai<br />
tribunali degli Stati contraenti della Convenzione rispetto ai tribunali italiani,<br />
in quanto i primi tendono ad effettuare un ricorso pressoché automatico<br />
agli Incoterms, ritenuti veri e propri usi normativi o “quasi normativi” del<br />
commercio internazionale capaci di derogare alle norme sul passaggio del<br />
rischio contenute nella Convenzione, mentre i secondi continuano a ritenere,<br />
in maniera pressoché acritica e avulsa dall’internazionalità dei contratti<br />
sottostanti, che le clausole degli Incoterms non possano integrare gli<br />
estremi dell’uso o patto contrario capace di derogare al dettato dell’art. 1510,<br />
secondo comma, c.c. (che peraltro, come già osservato, non dovrà applicarsi<br />
ad un contratto di compravendita internazionale disciplinato dalla Convenzione).<br />
6. – Gli usi uniformi relativi ai crediti documentari della CCI, anche noti<br />
con l’acronimo UCP, nelle varie edizioni che si sono susseguite (l’ultima è la<br />
n. 600, entrata in vigore il 1° luglio 2007) sono una raccolta di regole in materia<br />
di emissione e negoziazione di crediti documentari di amplissima diffusione,<br />
essendo stati adottati da associazioni bancarie di più di 170 paesi ( 36 ),<br />
( 34 ) Cfr. Tribunale Cantonale del Valais (Svizzera), 28 gennaio 2009, consultabile online<br />
all’indirizzo http://cisgw3.law.pace.edu/cases/090128s1.html.<br />
( 35 )V., ex multis, China North Chemical Industries Corporation v. Beston Chemical Corporation,<br />
Dist. Court (Texas 2006), consultabile online all’indirizzo http://cisgw3.law.pace.edu/<br />
cases/060207u1.html.<br />
( 36 )Per alcuni riferimenti bibliografici in tema di lettere di credito e crediti documentari,<br />
v. Balossini, Norme ed usi uniformi relativi ai crediti documentari, 4 a ed., Milano, 1988; Bonell,<br />
Il credito documentario: norme ed usi uniformi, in Portale (a cura di), Le operazioni bancarie,<br />
II, Milano, 1978; Eberth, La revisione delle norme ed usi uniformi relativi ai crediti documentari,<br />
in Banca, borsa, tit. cred., 1985, I, p. 320; Forni, Lettere di credito: un confronto tra
SAGGI 161<br />
al punto da essere stati definiti “world law” da un’autorevole dottrina ( 37 ).<br />
Le regole conosciute come UCP, allo stesso modo degli Incoterms, si sono<br />
diffuse in tutto il mondo grazie alla loro capacità di rappresentare correttamente<br />
le consuetudini e le regole oggettive del sistema economico transnazionale.<br />
Nella prassi, tuttavia, è difficile comprendere se le parti abbiano<br />
inteso richiamare per intero nel loro contratto la disciplina particolarmente<br />
tecnica e a tratti complessa degli UCP, o se invece non abbiano inteso fare<br />
riferimento soltanto a determinati aspetti peculiari di tali regole uniformi,<br />
quali ad esempio l’indipendenza del credito dal contratto sottostante. Benché<br />
sia noto, infatti, che i crediti documentari sono strumenti che tipicamente<br />
prevedono un’astrazione dal rapporto di valuta sottostante e che risultano<br />
pertanto indipendenti dalle vicende o eccezioni derivanti dal contratto<br />
di compravendita ( 38 ), come confermato dal tenore della clausola 4(a)<br />
degli UCP, nella prassi applicativa della Convenzione le norme di diritto<br />
uniforme vanno in taluni casi coordinate con le regole oggettive in materia<br />
l’Art. 5 dello Uniform Commercial Code e le Norme e gli Usi Uniformi della Camera di Commercio<br />
Internazionale, in Dir. comm. int., 1999, p. 129; Gutteridge e Megrah, Gutteridge and Megrah’s<br />
Law of Bankers’ Commercial Credits, 8 a ed., 2001; Jack, Malek e Quest, Documentary<br />
Credits. The Law and Practice of Documentary Credits Including Standby Credits and Demand<br />
Guarantees, 2001; Kurkela, Letters of Credit and Bank Guarantees under International Trade<br />
Law, 2007; Roeland e Bertrams, Bank Guarantees in International Trade, 3 a ed., 2004; Schmitthoff,<br />
Schmitthoff’s Export Trade: The Law and Practice of International Trade. The Law and<br />
Practice of International Trade, 11 a ed., 2007; Tunc, Réflexions générales sur la vente internationale<br />
et crédits documentaires, 16 Eur. Transport Law, Belgium, 1981, pp. 151-156; Bergami, What<br />
Can UCP 600 Do for You, in Vindobona J. Int’l Comm. Law and Arbitration, 2007, pp. 1-10.<br />
( 37 )V. Schmitthoff, Commercial Law in a Changing Economic Climate, 2 a ed, Londra,<br />
1981, p. 28.<br />
( 38 ) Cfr. Frignani e Torsello, Il contratto internazionale, cit., p. 336, che a proposito dell’astrattezza<br />
e dell’autonomia del credito documentario dal rapporto sottostante affermano:<br />
“il rapporto sottostante, quindi, non impegna in nessun modo la banca, anche se nelle condizioni<br />
del credito sia stato fatto un qualche riferimento al negozio sottostante, con la conseguenza<br />
che l’obbligo della banca è astratto, perché distinto dal rapporto che gli dà causa, ed è<br />
autonomo rispetto ai rapporti fra le parti, per cui resta in piedi anche se quelli dovessero venire<br />
meno”. In giurisprudenza v. Trib. Roma, 9 maggio 1981, in Banca, borsa, tit. cred., 1982, II,<br />
p. 295, con nota di Balossini, Astrattezza, formalismo e letteralità nel credito documentario, e<br />
principio di buona fede; più di recente, v. Trib. Nola, 7 dicembre 2006 (inedita), che afferma:<br />
“in sostanza, in virtù dell’art. 1530 c. 2 c.c. e delle Norme e Usi uniformi relativi ai crediti documentari<br />
(Uniform Customs and Practice for Documentary Credits UCP 500, art. 9), il rapporto<br />
obbligatorio che si stabilisce tra la banca e il beneficiario (nel caso la Shree Precoated<br />
Steels Limited) è astratto, è cioè del tutto indipendente dal sottostante contratto di compravendita,<br />
con l’effetto che la banca non può rifiutare il pagamento sollevando eccezioni fondate<br />
sul rapporto causale, ma può solamente opporre l’irregolarità dei documenti presentati”.
162 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
di crediti documentari ( 39 ). La disciplina degli UCP interagisce con le norme<br />
di diritto uniforme della Convenzione in relazione agli obblighi di pagamento<br />
e di consegna documentale previsti nel trattato di diritto uniforme.<br />
Con riferimento alle obbligazioni di pagamento del compratore nel<br />
contratto di compravendita internazionale, è noto che la Convenzione prevede<br />
all’art. 54 che: “l’obbligazione del compratore di pagare il prezzo include<br />
l’adozione delle misure e l’osservanza delle formalità richieste dal contratto o<br />
dalle leggi o dai regolamenti per consentire che il pagamento sia effettuato”.<br />
La Convenzione prevede poi una disciplina particolare per l’obbligo del<br />
venditore di consegna documentale, ai sensi dell’art. 34, che recita: “se il<br />
venditore è tenuto a rilasciare i documenti relativi ai beni, deve rilasciarli nel<br />
momento, nel luogo e nella forma previsti dal contratto”.<br />
Le disposizioni in esame pongono interessanti questioni interpretative<br />
in relazione alla loro interazione con le regole uniformi degli UCP. Da un<br />
lato, infatti, la previsione dell’art. 54, che prevede che l’obbligo di pagare il<br />
prezzo include l’adozione delle misure e l’osservanza delle formalità richieste<br />
dal contratto, vale ad attribuire rilevanza ad un accordo delle parti circa<br />
l’utilizzo di crediti documentari come mezzi di pagamento delle merci.<br />
Dall’altro, la previsione dell’art. 34, in base alla quale se il venditore è obbligato<br />
a rilasciare i documenti relativi ai beni, deve rilasciarli nel momento,<br />
nel luogo e nella forma previsti dal contratto, introduce il tema della presentazione<br />
alla banca incaricata di documenti “strictly compliant”, principio<br />
radicato nella prassi bancaria internazionale recepita dagli UCP 600 ( 40 ).<br />
Con riferimento a quest’ultimo obbligo di consegna documentale, va rilevato<br />
che esso è condizione essenziale per consentire alla banca di effettuare<br />
il pagamento previsto dal credito e, di conseguenza, permette alla parte de-<br />
( 39 )V., tra i tanti, Roeland e Bertrams, op. cit., p. 199 che osservano che è pienamente<br />
accettato a livello internazionale che i crediti documentari abbiano una causa propria, indipendente<br />
da quella del contratto sottostante e che la causa propria del credito è riscontrabile<br />
e trae origine dalla volontà delle parti di creare una garanzia autonoma.<br />
( 40 ) Cfr. Forni, Lettere di credito, cit., p. 134, che afferma, se pur con riferimento alla non<br />
più vigente versione degli UCP 500: “Le NUU non hanno alcun esplicito riferimento allo<br />
standard della strict compliance, tuttavia questo sembra lo standard comunemente accettato,<br />
in conformità alla prassi bancaria negli Stati Uniti e dovunque. Ugualmente che questo sia lo<br />
standard preferito anche dalle NUU lo si desume da alcune disposizioni ivi contenute come,<br />
per esempio, dall’art. 5 che prevede che le istruzioni per l’emissione di un credito, il credito<br />
stesso, le istruzioni per la sua modifica e la modifica stessa devono essere complete e precise.<br />
L’art. 5 delle NUU stabilisce che le istruzioni per l’emissione e le modifiche di un credito devono<br />
essere complete e precise ma non eccessivamente dettagliate, in modo da assicurare che<br />
il beneficiario si conformi in modo stretto con il credito”.
SAGGI 163<br />
bitrice di assolvere pienamente i propri obblighi di pagamento ai sensi del<br />
contratto di compravendita. Ai sensi degli UCP, la banca designata, l’eventuale<br />
banca confermante e la banca emittente devono esaminare tutti i documenti<br />
prescritti del credito per accertare se, nella forma ed esclusivamente<br />
sulla base di tali documenti, essi costituiscano o meno una presentazione<br />
conforme ai termini ed alle condizioni del credito ( 41 ). Pertanto, qualora la<br />
banca dovesse riscontrare che tali documenti sono, nella forma, discordanti<br />
o incompleti, la banca potrà rifiutarsi di onorare il pagamento, informando<br />
il compratore ordinante ( 42 ). Tale comportamento non avrà tuttavia rilevanza<br />
solo ai fini della disciplina del credito, ma andrà analizzato anche per<br />
valutare l’adempimento dell’obbligo del venditore, ai sensi dell’art. 34 della<br />
Convenzione, di fornire documenti che siano conformi a quanto previsto<br />
dal contratto. Secondo un orientamento dottrinale piuttosto recente, a seconda<br />
delle specifiche circostanze del caso, la mancata consegna da parte<br />
del venditore di documenti conformi al contratto potrebbe assurgere ad<br />
inadempimento essenziale ai sensi dell’art. 25 della Convenzione (il cd.<br />
fundamental breach) ( 43 ) e ciò nella misura in cui dalla mancata consegna di<br />
documenti conformi si sia determinato il rifiuto irrevocabile della banca incaricata<br />
di effettuare il pagamento ( 44 ). A tal riguardo la dottrina ha rilevato<br />
( 41 )V. Articolo 14(a) UCP, che prevede: “la banca designata che opera in tale qualità, l’eventuale<br />
banca confermante e la banca emittente devono esaminare la presentazione per accertare,<br />
esclusivamente sulla base dei documenti, se tali documenti costituiscano o meno,<br />
per quello che appare, una presentazione conforme”.<br />
( 42 )V. Articolo 16(a) UCP, che prevede: “se la banca designata che opera in tale qualità,<br />
l’eventuale banca confermante ovvero la banca emittente stabilisce che la presentazione non<br />
è conforme, essa può rifiutarsi di onorare o negoziare”.<br />
( 43 ) Sul concetto di fundamental breach nella Convenzione, in dottrina v. Ferrari, Fundamental<br />
Breach of Contract Under the UN Sales Convention 25 Years of Article 25 CISG, in 25<br />
J. Law Commerce, 2006, p. 489; Graffi, Case Law on the Concept of “Fundamental Breach” in<br />
the Vienna Sales Convention, in Rev. dr. affaires int./ Int’l Business Law J., 2003, p. 338 ss.; Magnus,<br />
The Remedy of Avoidance Under CISG: General Remarks and Special Cases, in 25 J. Law<br />
Commerce, 2006, p. 423 ss.<br />
( 44 ) Cfr. UNCITRAL Digest, Digest of Article 34 case law, consultabile online all’indirizzo<br />
http://daccess-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/V04/551/57/PDF/V0455157.pdfOpenElement,<br />
dove si legge: “The handing over of non-conforming documents constitutes a breach of contract<br />
to which the normal remedies apply. Provided the breach is of sufficient gravity it can<br />
amount to a fundamental breach, thus permitting the buyer to declare the contract avoided”.<br />
Per ulteriori commenti sul tema dell’inadempimento essenziale di cui all’art. 25 della Convenzione,<br />
v. Ferrari, Fundamental Breach of Contract under the UN Sales Convention on Contracts<br />
for the International Sale of Goods – 25 years of article 25, in Rev. dr. affaires int./ Int’l Business<br />
Law J., 2005, pp. 389-400.
164 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
che ogniqualvolta il comportamento del venditore in relazione agli obblighi<br />
di consegna documentale andrà valutato alla luce delle regole UCP richiamate<br />
per relationem nel contratto di compravendita, l’obbligo di consegna<br />
documentale del venditore potrà essere soggetto ad una verifica più rigorosa<br />
(la cd. strict compliance rule) ( 45 ) di quanto solitamente avviene per gli obblighi<br />
di consegna documentale nei contratti di compravendita internazionale.<br />
Ciò significa, in buona sostanza, che il mancato rispetto delle regole<br />
uniformi in materia di crediti documentari, ove richiamate dalle parti nel<br />
contratto, potrebbe determinare conseguenze assai rilevanti quali, ad<br />
esempio, il diritto del compratore di invocare l’inadempimento essenziale<br />
di cui all’art. 25 della Convenzione ( 46 ). È possibile, tuttavia, che la banca incaricata<br />
scelga, ai sensi dell’art. 16(b) UCP, di informare il compratore della<br />
discrepanza documentale e di richiedere una deroga al principio della<br />
conformità documentale ( 47 ). In tal caso è ipotizzabile che il compratore<br />
( 45 ) Cfr. Frignani e Torsello, Il contratto internazionale, cit., p. 336, a proposito della verifica<br />
di regolarità dei documenti: “infine, il carattere formale implica che il credito è fondato<br />
sulla letteralità della comunicazione della banca, così come è formulata nella lettera di credito<br />
inviata al beneficiario, e gli obblighi dell’istituto di credito si riducono ad una verifica di regolarità<br />
dei documenti stabiliti: principio della strict compliance”. Osserva a proposito della<br />
strict compliance, Forni, Lettere di credito, cit., p. 133: “per la teoria della strict compliance, la<br />
banca deve esaminare i documenti in modo meccanico, ossia deve guardare alle parole come<br />
se non avessero alcun significato ma fossero una casuale combinazione di lettere. È stato a<br />
proposito osservato che non vi sarebbe spazio per documenti che sono quasi uguali o che porterebbero<br />
allo stesso risultato”.<br />
( 46 )Per questo tipo di interpretazione, v. Schwenzer, The Danger of Domestic Preconceived<br />
Views with Respect to the Uniform Interpretation of the CISG: The Question of Avoidance in<br />
the Case of Nonconforming Goods and Documents, in 36:4 Victoria Univ. Wellington Law Rev.,<br />
2005, p. 805, che afferma: « In the majority of international sales contracts, the parties stipulate<br />
that the purchase price is to be paid by means of documentary credit or standby letter of<br />
credit. In this case, the UCP 500 usually apply, either by express reference or as an international<br />
trade usage, within the meaning of article 9(2) of the CISG. Even if the UCP 500, as such,<br />
are not considered to be international trade usages, they at least offer some useful guidelines<br />
as to what reasonable parties would regard to be a fundamental breach of contract within the<br />
context of the CISG. If the contract provides for payment by documentary credit, this implies<br />
that the documents have to be “clean” in every respect. Otherwise, the buyer has the right to<br />
avoid the contract. This necessity of strict compliance of documents can be derived directly<br />
from article 13(a) of the UCP 500. Article 20 and following of the UCP 500 set out, in detail,<br />
the circumstances under which documents are to be accepted as clean, or may be rejected ».<br />
( 47 )Per un’analisi delle questioni inerenti al tema della presentazione non conforme e<br />
delle discrepanze documentali, v. Bergami, Discrepant documents and letters of credit: the<br />
banks’ obligations under UCP500, in Vindobona J. Int’l Comm. Law and Arbitration, 2003, pp.<br />
105-120.
SAGGI 165<br />
conceda tale deroga al venditore in omaggio al principio di buona fede che<br />
sottende l’applicazione della Convenzione ( 48 ), soprattutto qualora non<br />
ravvisi difetti o ritardi nella consegna della merce che possano dare adito ad<br />
ulteriori inadempimenti degli obblighi del venditore. Tuttavia non si può<br />
escludere che, qualora la banca incaricata abbia rifiutato irrevocabilmente di<br />
effettuare il pagamento a causa della discrepanza nei documenti consegnati<br />
dal venditore, il compratore potrebbe lamentare l’inadempimento degli obblighi<br />
di consegna documentale del venditore ex art. 34 della Convenzione ed<br />
invocare la risoluzione del contratto per inadempimento essenziale. È di tutta<br />
evidenza che in contratti di compravendita internazionale dove i crediti documentari<br />
disciplinati dalle regole UCP non sono utilizzati come mezzi di pagamento,<br />
una domanda di risoluzione siffatta sarebbe con ogni probabilità<br />
preclusa al compratore, in quanto in base al principio di buona fede di cui all’art.<br />
7 della Convenzione si ritiene solitamente che il compratore sia tenuto a<br />
tollerare l’inadempimento del venditore in relazione alla consegna di documenti<br />
incompleti e che il venditore possa rimediare a tale incompletezza documentale<br />
( 49 ). Ciò nondimeno, un’interpretazione più rigorosa potrebbe farsi<br />
strada laddove si ritenga che l’esatto adempimento del venditore, anche con<br />
riferimento all’obbligo di consegna documentale, costituisca un obbligo autonomo,<br />
espressamente convenuto dalle parti, ad esempio mediante il richiamo<br />
alle regole UCP e che il compratore non debba essere tenuto ad effettuare<br />
il pagamento in luogo della banca incaricata, soltanto perché questa si è rifiutata<br />
di onorare il credito a causa dell’inadempimento del venditore. La situazione<br />
appena analizzata è soltanto un esempio della complessa interazio-<br />
( 48 ) Sul concetto di buona fede come principio generale della Convenzione, v. ex multis,<br />
Komarov, Internationality, Uniformity and Observance of Good Faith as Criteria in Interpretation<br />
of CISG: Some Remarks on Article 7(1), in Conference Celebrating the 25th Anniversary of<br />
United Nations Convention on Contracts for the International Sale of Goods sponsored by UN-<br />
CITRAL and the Vienna International Arbitration Centre (Vienna: 15-18 March 2005), in 25 J.<br />
Law Commerce, 2005/ 2006, pp. 75-85; Magnus, Remarks on Good Faith: The United Nations<br />
Convention on Contracts for the International Sale of Goods and the UNIDROIT Principles of<br />
International Commercial Contracts, in Pace Int’l Law Rev., 1998, pp. 89-95; Powers, Defining<br />
the Indefinable: Good Faith and the United Nations Convention on Contracts for the International<br />
Sale of Goods, in 18 J. Law Commerce, 1999, pp. 333-353.<br />
( 49 )Per conclusioni di questo tipo, v. Bijl, Fundamental Breach in Documentary Sales Contracts.<br />
The Doctrine of Strict Compliance with the Underlying Sales Contract, in Eur. J. Comm.<br />
Contract Law, 2009, pp. 19-28, a p. 28, che afferma: “Letter of credit practice strongly suggests<br />
that if the parties have agreed to payment by means of a letter of credit, they have simultaneously<br />
agreed to apply the strict compliance principle to the delivery of documents in the<br />
underlying sales contract”.
166 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
ne della disciplina uniforme prevista dagli UCP (ed in particolare della rilevanza<br />
del principio della strict compliance) ai fini della determinazione dell’esistenza<br />
di un inadempimento essenziale per gli effetti dell’art. 25 della Convenzione.<br />
Se, infatti, da un lato gli obblighi derivanti da un contratto di compravendita<br />
e le eccezioni ad esso inerenti non possono essere opposte alla<br />
banca incaricata di emettere una lettera di credito, secondo il noto principio<br />
dell’autonomia ed astrattezza dei crediti documentari dal rapporto contrattuale<br />
sottostante, da un altro lato gli obblighi di consegna documentale previsti<br />
dalla Convenzione a carico del venditore potranno essere valutati in maniera<br />
diversa tutte le volte che le parti abbiano recepito nel contratto le regole<br />
uniformi in materia di crediti documentari.<br />
7. – L’osservanza e l’applicazione degli usi del commercio internazionale<br />
ai contratti di compravendita internazionale è un fatto imprescindibile<br />
nella prassi degli scambi internazionali. Vi sono numerosi esempi dei<br />
benefici che le parti possono trarre dall’utilizzo di strumenti come gli Incoterms<br />
o gli UCP, che nascono nel mondo degli operatori commerciali<br />
per rispondere ad esigenze della prassi operativa ( 50 ). L’applicazione delle<br />
regole oggettive del commercio internazionale ad un contratto di compravendita<br />
internazionale è resa possibile dall’art. 9 della Convenzione,<br />
che attribuisce un valore quasi normativo a tali regole. Purtroppo non<br />
sempre i tribunali ordinari possiedono strumenti adeguati per effettuare<br />
tale analisi, in quanto gli usi e le regole oggettive del commercio internazionale<br />
hanno natura specialistica, che raramente è stata valorizzata sotto<br />
il profilo interpretativo nella giurisprudenza italiana ( 51 ). Maggiore aper-<br />
( 50 )Per osservazioni simili, cfr. Schwenzer, The Danger of Domestic Preconceived Views,<br />
cit., p. 806, che afferma: “[ ....] the CISG, used in conjunction with the INCOTERMS and the<br />
UCP 500, offers a workable solution for the scope of issues and potential problems in the area<br />
of commodity and documentary sales law. Rather than working against the pressures of time<br />
and efficiency required in such transactions, the CISG instead plays a supplementary role”.<br />
( 51 )Fanno naturalmente eccezione, anche se non con particolare riferimento al tema specifico<br />
della prevalenza delle regole oggettive del commercio internazionale sul diritto materiale,<br />
ma più in generale con riferimento alla specialità del diritto uniforme sul diritto nazionale,<br />
le già citate pronunce di Trib. Vigevano, 12 luglio 2000 e Trib. Rimini, 26 novembre 2002.<br />
Si ricordano, inoltre, le sentenze patavine di Trib. Padova, sez. dist. di Este, 25 febbraio 2004,<br />
in Giur. merito, 2004, p. 867, con nota di Graffi, L’interpretazione autonoma della Convenzione<br />
di Vienna, cit. e Trib. Padova, sez. dist. di Este, 11 gennaio 2005, in Eur. Legal Forum, 2005,<br />
II, p. 127 ss., con nota di Chiomenti, Does the choice of a-national rules entail an implicit exclusion<br />
of the CISG, anche reperibile in Giur. merito, 2005, I, p. 141 ss., redatte dello stesso<br />
estensore, dott. Rizzieri.
SAGGI 167<br />
tura si riscontra, invece, nella giurisprudenza internazionale ( 52 ) e nei lodi<br />
arbitrali ( 53 ) che hanno applicato la Convenzione, quasi sempre riconoscendo<br />
senza particolari difficoltà interpretative la natura vincolante e<br />
quasi normativa (o anche pienamente normativa) di strumenti quali gli<br />
Incoterms e gli UCP, per effetto della previsione di cui all’art. 9 della Convenzione.<br />
È dunque auspicabile che la giurisprudenza italiana, che negli<br />
ultimi anni ha senz’altro dimostrato (soprattutto nelle pronunce di merito)<br />
( 54 ) un sempre crescente interesse per l’applicazione e l’interpretazione<br />
della Convenzione, prosegua nella corretta applicazione di questo<br />
trattato di diritto uniforme, addivenendo ad un’interpretazione dell’art. 9<br />
della Convenzione volta a valorizzare l’utilizzo di strumenti quali Incoterms<br />
e UCP.<br />
( 52 )Per una panoramica della giurisprudenza internazionale sulla Convenzione, si rinvia<br />
all’UNCITRAL Digest, supra nota 5.<br />
( 53 )Per una rassegna di lodi arbitrali applicativi della Convenzione, si rinvia all’apposita<br />
sezione della banca dati Unilex, consultabile online all’indirizzo http://www.unilex.info/dynasite.cfmdssid=2376&dsmid=13355&x=1.<br />
( 54 )Id.
OLGA TROMBETTI<br />
I tentativi di uniformazione del diritto contrattuale a livello europeo.<br />
Prime riflessioni per un confronto tra il Draft of Common Frame<br />
of Reference ed il progetto preliminare del Code européen des contrats<br />
Sommario: 1. La logica della sistematica organizzazione del diritto contrattuale europeo. –<br />
2. L’acquis comunitario quale piattaforma di partenza nel processo di armonizzazione:<br />
il Draft of Common Frame of Reference. – 3. La logica protezionistica del consumatore<br />
nella disciplina del contratto di vendita prevista dal Code e dal DCFR: a) gli obblighi di<br />
informazione. – 4. Segue: b) il sistema dei rimedi azionabili dal compratore. – 5. Conclusioni.<br />
1. – L’esame della progressiva modificazione degli elementi essenziali<br />
del contratto, e dunque della graduale affermazione di una fattispecie contrattuale<br />
distinta ed autonoma rispetto a quella delineata all’interno dei diritti<br />
nazionali, ha costituito l’obiettivo dei recenti studi sui rapporti inter privatos<br />
di matrice europea.<br />
Dopo un’iniziale reticenza, l’idea di elaborare ed adottare un codice civile<br />
europeo all’interno dell’Unione europea ha col tempo raccolto consensi<br />
crescenti da parte del mondo accademico e professionale, consensi che si<br />
sono palesati attraverso una serie di proposte e progetti, di studi e di ricerche.<br />
La questione circa l’opportunità o meno della esistenza di un codice civile<br />
europeo, pur se solo limitatamente all’ambito contrattuale, non costituisce<br />
più una questione puramente dottrinale, avendo ormai preso corpo in diversi<br />
progetti con effettive prospettive di realizzazione. La necessità, infatti, di realizzare<br />
uno spazio e perciò un mercato comune deve essere necessariamente<br />
accompagnata dall’utilizzo di strumenti giuridici adeguati che ne consentano<br />
il conseguimento, anche a costo di un arretramento delle tradizionali categorie<br />
nazionali. È stata proprio questa la inevitabile conseguenza del rapido sviluppo<br />
che ha contrassegnato il diritto contrattuale europeo, il quale, pur costituendo<br />
una materia “giovane” dal punto di vista normativo ( 1 )e concettuale,<br />
( 1 ) La Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali del 1980<br />
è, per i suoi contenuti, ritenuta il punto di partenza del diritto contrattuale europeo perché,<br />
essendo l’unico provvedimento applicabile a tutti i tipi contrattuali, ne delinea la maggior par-
SAGGI 169<br />
ha già posto in luce problemi di non poco conto ( 2 ).<br />
Due sono gli aspetti centrali che lo connotano: in primis il rinnovamento<br />
della disciplina contrattuale, intesa come espressione di un sistema che, reggendosi<br />
da una parte sulla libertà dell’iniziativa economica privata e dall’altra<br />
sulla concorrenza di mercato, la rende il nucleo centrale del diritto privato.<br />
In secondo luogo la crescente estensione delle categorie privatistiche<br />
(prima fra tutte il contratto) anche in terreni da sempre considerati di dominio<br />
pubblicistico, come i rapporti di pubblico impiego o i settori dei servizi<br />
postali e delle telecomunicazioni, ha assegnato al diritto contrattuale il<br />
compito di regolare le transazioni all’interno del mercato unico europeo.<br />
Il suo ambito operativo ricomprende tutte le norme che riguardano la<br />
formazione, il contenuto e la estinzione dei contratti, in particolare quelle<br />
che incidono sulla tutela dei consumatori e la regolamentazione degli interessi<br />
pubblici attinenti al funzionamento del mercato. Tali norme vengono<br />
applicate, nella maggior parte dei casi, a quelle transazioni in cui le parti<br />
(entrambe o almeno una di esse) agiscono nello svolgimento della propria<br />
attività professionale, poiché il contratto (puramente civilistico) tra due<br />
soggetti non professionisti ha scarso rilievo pratico nel commercio transfrontaliero,<br />
dunque il diritto comunitario non lo disciplina. Per questo si<br />
può condividere l’opinione di chi sostiene che il diritto contrattuale europeo<br />
opera su un terreno più ristretto, almeno per certi aspetti, di quello su<br />
cui agisce il diritto nazionale ( 3 ).<br />
te della sua struttura essenziale. Negli altri ambiti, le direttive sull’armonizzazione del diritto dei<br />
contratti vengono emanate tra la seconda metà degli anni ottanta e gli inizi degli anni novanta:<br />
Dir. 85/577/CEE sui contratti negoziati fuori dei locali commerciali; Dir. 87/102/ CE e 90/88/CE<br />
in materia di credito al consumo; Dir. 93/13/CE sulle clausole abusive; Dir. 90/314/CE sui pacchetti<br />
turistici aventi ad oggetto i viaggi, le vacanze ed i circuiti « tutto compreso », etc.<br />
( 2 ) Alpa, Introduzione al diritto contrattuale, Bari, 2007, affronta preliminarmente la questione<br />
della reale necessità di un diritto contrattuale europeo. L’A. richiama quell’orientamento<br />
dottrinale che risponde all’interrogativo in maniera scettica, sostenendo che le differenze<br />
tra i sistemi giuridici non producono, in realtà, un comprovato svantaggio agli scambi<br />
economici ed alle parti in essi coinvolte. Ed in base al medesimo orientamento la soluzione al<br />
problema delle differenze tra i vari ordinamenti nemmeno sarebbe adeguatamente risolto<br />
dall’adozione di un codice vincolante per le parti, il quale dovrebbe essere realizzato sulla base<br />
di un retroterra economico, giuridico, sociale e linguistico comune ed omogeneo.<br />
( 3 ) Grundmann, La struttura del diritto europeo dei contratti, in Riv. dir civ., 2002, I, p. 365,<br />
sottolinea che nel diritto europeo dei contratti rientrano anche la regolamentazione degli interessi<br />
pubblici concernenti le transazioni commerciali come le norme di diritto monetario<br />
che rendono nulle certe clausole contrattuali, i divieti di cartelli o le esenzioni di categoria,<br />
aspetti non contemplati invece dalla singola disciplina contrattuale nazionale.
170 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
La minore area di incidenza non rappresenta, tuttavia, un limite alla sua<br />
funzionalità: essa, al contrario, consente al legislatore comunitario di concentrare<br />
gli sforzi nella rimozione degli ostacoli che ancora impediscono la<br />
realizzazione del mercato unico europeo.<br />
Il diritto contrattuale europeo è infatti finalizzato alla regolamentazione<br />
del fallimento del mercato, vale a dire il rischio principale cui sono esposte<br />
le transazioni commerciali, rischio che è causato da diversi fattori come ad<br />
esempio la concorrenza imperfetta, la violazione di obblighi informativi tra<br />
le parti (le c.d. asimmetrie informative) o l’esistenza di eventi esterni, come<br />
i costi che non vengono sopportati da quegli operatori che adottano determinate<br />
scelte di mercato avvantaggiandosene.<br />
Il principio cardine in materia è quello della trasparenza del contenuto<br />
contrattuale, che non riguarda semplicemente solo il prezzo della transazione,<br />
ma anche la regolamentazione pattizia, il trattamento giuridico del<br />
rapporto contrattuale che viene ad instaurarsi e il potere contrattuale delle<br />
parti. L’assenza di messaggi inerenti anche a tali componenti genera la progressiva<br />
segmentazione del mercato che ha come conseguenza l’isolamento<br />
delle operazioni contrattuali e produce effetti negativi proprio su quel<br />
settore del mercato nel quale agiscono i consumatori, vale a dire i soggetti<br />
che più necessitano di un sistema di informazioni sui prezzi e sulle clausole<br />
contrattuali.<br />
Per far fronte a questa situazione si è ritenuto opportuno adottare una<br />
politica volta a rafforzare i circuiti informativi nei quali è possibile il corretto<br />
funzionamento del mercato, con riferimento particolare al mercato che<br />
vede coinvolti i consumatori finali ( 4 ).<br />
Lo scopo è evidente: soprattutto nell’ottica di uno scambio con il soggetto<br />
consumatore, si vuole tutelare questo da una naturale mancanza di<br />
informazione e l’obiettivo viene raggiunto anche percorrendo direzioni diverse<br />
( 5 ).<br />
( 4 )Jannarelli, La disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e<br />
consumatori, in Diritto privato europeo, a cura di Lipari, III, 2003, p. 41. Secondo Grundmann,<br />
La struttura del diritto europeo dei contratti, cit., p. 395, è condivisibile l’opinione di chi ritiene<br />
le asimmetrie informative dannose solo in parte ed in parte addirittura indispensabili al funzionamento<br />
del mercato, in quanto create dalla condizione di efficienza del mercato stesso ed<br />
intrinseche al meccanismo dello stesso.<br />
( 5 ) Si considerino i doveri di informazione che rendono più chiaro il contenuto dei rapporti<br />
contrattuali complessi (ad es. la Dir. 94/47/CE sui contratti di multiproprietà) o che tendono<br />
a dare certezza alle condizioni contrattuali proposte (come è nel caso della vendita a distanza<br />
regolata dalla Dir. 97/7/CE) o ancora che permettono la materializzazione di un bene<br />
o di un servizio acquistato in sedi non tradizionali (quali le vendite negoziate fuori dai locali
SAGGI 171<br />
Il diritto all’informazione viene protetto da un particolare rimedio, il recesso,<br />
il cui esercizio viene graduato sui tempi e sui contenuti dell’informazione.<br />
In questo modo è conferito al contraente il « diritto generale di rimettere<br />
in discussione un contratto concluso su iniziativa non già del cliente<br />
ma del commerciante, quando il cliente possa essersi trovato nella impossibilità<br />
di valutare appieno la portata del suo atto » ( 6 ).<br />
2. – L’opera definitoria di un corpus di principi comuni, in vista dell’elaborazione<br />
di un quadro comune di riferimento (CFR, Common Frame of<br />
Reference), deve necessariamente partire da una base concreta di regole e<br />
principi già condivisa, quale potrebbe essere quella rappresentata dall’acquis<br />
communautaire nel settore del diritto contrattuale ( 7 ).<br />
Non può essere sottovalutato il ruolo che viene svolto dal diritto comunitario<br />
all’interno del medesimo processo ( 8 ). In questo senso, le opzioni<br />
nn. 2 e 3 (rispettivamente promozione di un complesso di principi comuni<br />
commerciali, Dir. 85/577CE). In tutte queste ipotesi l’ordinamento impone al contraente<br />
“forte” di fornire alla sua controparte quelle conoscenze in grado di eliminare i difetti di informazione<br />
legati all’oggetto o alle modalità di contrattazione.<br />
( 6 ) Corte CE, 27 giugno 2000, C-240/98, a proposito di contratti negoziati fuori dei locali<br />
commerciali e della posizione presa dalla Corte in tema di estensione alla fideiussione.<br />
( 7 ) Schulze, Precontractual Duties and Conclusion of Contract in European Law, in Eur.<br />
Rev. Priv. Law., 2005, p. 842. I principi di derivazione comunitaria possono contribuire allo sviluppo<br />
del diritto contrattuale europeo, esigenza che, avvertita nelle pratiche commerciali, trova<br />
riscontro anche all’interno dei Trattati CE e UE, i quali incoraggiano l’integrazione ed il<br />
corretto funzionamento del mercato interno nell’ottica di una politica protezionistica dei<br />
consumatori.<br />
( 8 ) Plaza Penades, Algunas consideraciones sobre el futuro Codigo Civil Europeo, in Derecho<br />
Patrimonial Europeo, a cura di Palao Moreno, Prats Albentosa e Reyes Lopez, Navarra,<br />
2003, p. 304, ritiene che le basi su cui debba fondarsi il futuro codice civile europeo in materia<br />
contrattuale sono tre: il diritto privato comunitario, i principi di diritto contrattuale comuni ai<br />
distinti diritti dell’Unione Europea, le esigenze della globalizzazione ed il rispetto della lex<br />
mercatoria. Con riguardo a queste ultime, l’A. spiega come la Convenzione di Vienna del<br />
1980 abbia creato uno spazio ulteriore, all’interno di una realtà giuridica già dominata dalla<br />
volontà delle parti, nel quale i contraenti oltre ad assumere la funzione di “legislatore”, possono<br />
scegliere e decidere anche il giudice. Tale tendenza riguarda soprattutto le grandi imprese<br />
coinvolte nel commercio transnazionale, ma sempre con maggior frequenza sta interessando<br />
anche le piccole e medie imprese operanti in determinati settori economici. Per<br />
questo motivo il diritto contrattuale europeo non può non prendere in considerazione le esigenze<br />
sempre maggiori di un ordine socioeconomico europeo e di un modello sociale europeo,<br />
e si dovrà senz’altro tenere in conto, in fase di elaborazione del suo contenuto, anche dei<br />
Principi UNIDROIT e della lex mercatoria internazionale, che hanno svolto e tuttora svolgono<br />
un ruolo chiave in questo processo uniformatore.
172 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
sul modello dei restatements inglesi e miglioramento qualitativo del diritto<br />
comunitario già esistente) proposte dalla Commissione europea nella<br />
COM(2001)398 def. certamente creano le premesse per la realizzazione dell’obiettivo<br />
finale della codificazione, rivelandosi altresì strettamente connesse<br />
tra di loro ed indispensabili per l’elaborazione di un futuro codice europeo<br />
dei contratti.<br />
Diverse sono le ragioni che inducono a non sottovalutare il ruolo del diritto<br />
comunitario. La revisione dell’acquis è ritenuta da più parti il reale ed<br />
essenziale punto di partenza per l’elaborazione del CFR, soprattutto in<br />
considerazione del fatto che in tal modo potrà essere modellata una normativa<br />
orizzontale per tutte quelle aree che sono differentemente disciplinate<br />
dalle direttive. In questo modo il CFR potrà costituire un riferimento per la<br />
regolamentazione di settori nei quali la disciplina già presente nelle direttive<br />
si configura come scarsamente intelligibile ( 9 ).<br />
Anzitutto esso costituisce la strada più realistica e praticabile nel cammino<br />
verso l’uniformazione in quanto, permettendo di concentrare preliminarmente<br />
l’attenzione sulle aree comuni e sui settori già armonizzati, elimina,<br />
seppure in minima parte, l’ostacolo delle differenze nazionali.<br />
Le diversità tra gli ordinamenti degli Stati membri interessano soprattutto<br />
le singole scelte di disciplina nonché la funzione e la portata delle clausole<br />
e dei principi generali che caratterizzano il diritto contrattuale. Si pensi,<br />
ad esempio, all’importanza riconosciuta alla buona fede nei sistemi di civil<br />
law e a come il medesimo principio è valutato nei sistemi di common law.<br />
L’esistenza di principi comuni desumibili dalla piattaforma dell’acquis,<br />
impiantati nei diversi ordinamenti grazie alle leggi di attuazione delle varie<br />
direttive, certamente agevola il processo di uniformazione rendendolo anche<br />
più accettabile e praticabile dal punto di vista politico. Ed è su tali premesse<br />
che nasce il Draft of Common Frame of Reference (DCFR).<br />
Esso costituisce il risultato della intensa e prolungata collaborazione, in<br />
termini di studi e ricerche, tra i più importanti esponenti della comunità<br />
scientifica internazionale, rappresentanti dei rispettivi ordinamenti europei<br />
d’origine.<br />
La cooperazione tra questi giuristi trovò nel 1982 la sua prima espressione,<br />
con la costituzione della Commission on European Contract Law ( 10 ), la<br />
( 9 ) Hesselink The values underlying the Draft Common Frame of Reference: what role for<br />
fairness and “Social Justice”, in CFR and Social Justice, Munchen, 2008, p. 9.<br />
( 10 ) Alla Commissione, costituita grazie all’iniziativa del prof. Ole Lando, si deve la redazione<br />
dei Principles of European Contract Law. È lo stesso Lando, L’unificazione del diritto privato<br />
europeo in materia contrattuale: sviluppo graduale o codificazione, in Materiali e commenti
SAGGI 173<br />
cui attività è stata, poi, proseguita soprattutto da gruppi di studiosi quali lo<br />
Study Group on European Contract Law (SGECC) e l’European Research<br />
Group on Existing EC Private Law (o Acquis Group). Proprio allo SGECC e<br />
all’Acquis Group si deve la presentazione dell’ambizioso progetto definitorio<br />
di un quadro comune di riferimento del diritto contrattuale europeo.<br />
Va chiarita, in premessa, la matrice prettamente accademica del DCFR<br />
ed il tentativo (forse non riuscito) di distanziarsi da qualsivoglia connotazione<br />
politica ( 11 ). Ciò è confermato dall’intenzione degli autori di dar vita<br />
ad un’opera che non ha la sola pretesa di fungere da modello di riferimento<br />
per l’elaborazione del CFR, ma creare un insieme di principi comuni che<br />
permettano la divulgazione, a livello europeo, di concetti e terminologie<br />
uniformi in materia di contratti ed obbligazioni ( 12 ).<br />
La rielaborazione, la riorganizzazione e l’interpretazione in chiave di ricerca<br />
e di comparazione dell’esistente materiale normativo comunitario in<br />
materia di obbligazioni e contratti permette, secondo i coordinatori dello<br />
SGECC e dell’Acquis Group, di forgiare la struttura essenziale su cui edificare<br />
il diritto contrattuale europeo. Su tale ultimo aspetto, nel luglio 2010 si<br />
è espressa anche la Commissione europea, con il Libro verde intitolato<br />
« Sulle opzioni possibili in vista di un diritto europeo dei contratti per i consumatori<br />
e le imprese » ( 13 ).<br />
In esso l’Esecutivo dell’UE ha posto alcune questioni in vista di una migliore<br />
coerenza del diritto contrattuale europeo, interrogandosi sull’ambito<br />
sul nuovo diritto dei contratti,a cura di Vettori, Padova, 1999, p. 873, che spiega le ragioni di una<br />
“europeizzazione” del diritto contrattuale sottolineando che l’Unione europea è una comunità<br />
di tipo economico, il cui scopo è la libera circolazione di beni, di persone, di servizi e di<br />
capitali. Strumentale al raggiungimento di tale scopo è la semplificazione della conclusione<br />
dei contratti. Dunque, poiché obiettivo dell’Unione è l’eliminazione delle restrizioni esistenti<br />
all’interno della Comunità nel settore degli scambi, è necessario che le differenze normative<br />
attualmente esistenti, in grado di limitare tali scambi, siano abolite.<br />
( 11 ) Amodio, Il DCFR per l’armonizzazione del diritto privato europeo: spunti per una riflessione,<br />
in Studium Iuris, 2009, p. 1309 osserva, esattamente, come la matrice tecnica del DCFR<br />
possa essere esaltata solo astraendosi dalle tensioni/ragioni politiche ed economiche che ne<br />
hanno supportato la redazione.<br />
( 12 ) La coerenza interna ed il carattere sistematico che offrirebbe un codice civile europeo<br />
non potrebbero essere offerti dalle disposizioni e dal diritto positivo derivante dalle istituzioni<br />
comunitarie, che peccano di frammentarietà, parzialità e contraddizioni. Esistono, altresì,<br />
diverse ragioni anche per discutere dell’insufficienza del diritto internazionale privato, come<br />
i costi addizionali che dovranno essere sostenuti per un confronto finalizzato alla scelta della<br />
legge da applicare ad un contratto o le difficoltà (linguistiche, procedurali, etc.) che dovranno<br />
essere affrontate da un giudice nazionale tenuto all’applicazione di una legge straniera.<br />
( 13 )COM(2010)348 def.
174 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
applicativo di uno strumento di diritto contrattuale europeo ( 14 )e sul contenuto<br />
che esso dovrebbe includere ( 15 ).<br />
La questione più rilevante ha, però, riguardato la natura giuridica che tale<br />
strumento dovrebbe assumere. Su tale aspetto la Commissione ha lanciato<br />
una consultazione pubblica (chiusasi lo scorso gennaio 2011) per raccogliere<br />
le opinioni delle parti interessate circa le possibili opzioni nel campo<br />
del diritto contrattuale europeo ( 16 ). Tra le opzioni elencate dalla stessa<br />
Commissione, alcune concernono norme di carattere obbligatorio, altre invece<br />
consistono in soluzioni flessibili, attuabili in base alla volontà dei Paesi<br />
membri ( 17 ).<br />
Dalla disamina dei primissimi orientamenti pervenuti è emerso come,<br />
tra le opzioni preferenziali, risulti quella relativa ad un regolamento istituti-<br />
( 14 ) Le nuove norme potrebbero riguardare: a) i contratti business to consumer, settore nel<br />
quale il diritto applicabile è già in parte armonizzato allo scopo di garantire meglio la tutela<br />
dei consumatori. Difatti, nel caso in cui vi sia conflitto tra contraenti di due paesi diversi, le<br />
imprese saranno tenute ad applicare il diritto del paese di residenza del consumatore o quantomeno<br />
le disposizioni obbligatorie in quel paese; b) i contratti business to business, rispetto<br />
ai quali le parti sono libere di scegliere il diritto applicabile. Ancora, l’ambito applicativo potrebbe<br />
comprendere tutti i contratti nazionali e transfrontalieri oppure soltanto quelli transfrontalieri.<br />
( 15 ) Quanto al contenuto, lo strumento potrebbe riguardare: a) le sole norme del diritto<br />
dei contratti in generale, soprattutto quelle inerenti a formazione ed esecuzione del contratto,<br />
diritto di recesso, interpretazione, contenuto, effetti, etc.; b) le norme in generale e quelle<br />
di tipi specifici di contratto, ad esempio quelle dei contratti più frequenti, come la vendita.<br />
( 16 )Terminata la valutazione dei pareri e degli orientamenti pervenuti, la Commissione,<br />
entro il 2012, dovrà promuovere ulteriori azioni.<br />
( 17 )L’essenza della consultazione ha riguardato proprio la forma che il nuovo strumento<br />
giuridico dovrebbe assumere e che potrebbe sostanziarsi: a) nella pubblicazione, in un testo<br />
semplice e di facile consultazione, dei risultati di un gruppo di esperti, per la creazione di norme<br />
e contratti tipo; b) in uno « strumentario » per i legislatori, attraverso un atto della Commissione<br />
o un accordo interistituzionale (tra la Commissione, il Consiglio e il Parlamento),<br />
da usare come riferimento in materia di diritto contrattuale; c) in una raccomandazione della<br />
Commissione, per la graduale e volontaria adozione, da parte degli Stati membri, di uno<br />
strumento europeo. Questa opzione permetterebbe ai Paesi dell’UE sia di modificare il diritto<br />
nazionale sia di creare un regime facoltativo ed alternativo al diritto interno; d) in un regolamento<br />
istitutivo di uno strumento facoltativo, inteso come regime giuridico alternativo<br />
adottato da tutti i Paesi, ma che le parti del contratto potrebbero liberamente scegliere; e) in<br />
una direttiva sul diritto europeo dei contratti, il cui scopo sia l’armonizzazione dei diritti nazionali<br />
ed elaborata sulla base di norme minime comuni; f) in un regolamento istitutivo di un<br />
diritto europeo dei contratti, per la sostituzione delle leggi nazionali; g) in un regolamento<br />
istitutivo di un codice civile europeo, che andrebbe a sostituire non solo la disciplina contrattuale<br />
nazionale ma anche quella di altri tipi di obbligazione (come, ad esempio, la responsabilità<br />
extracontrattuale e la gestione di affari).
SAGGI 175<br />
vo di uno strumento facoltativo di diritto europeo dei contratti ( 18 ). Secondo<br />
la Commissione europea questo strumento darebbe vita ad un complesso<br />
autonomo di norme di diritto contrattuale che le parti potrebbero scegliere<br />
come legge regolativa. Ai contraenti verrebbe offerto un sistema alternativo<br />
cui ricondurre la disciplina tanto dei contratti transfrontalieri<br />
quanto di quelli interni. I presupposti essenziali per la configurabilità di un<br />
siffatto strumento dovranno essere la chiarezza (per garantire la certezza<br />
del diritto applicabile) ed un elevato standard di tutela (per garantire la protezione<br />
dei contraenti consumatori).<br />
La stessa Commissione osserva, nella COM(2010) 348 def., che, se da<br />
una parte, l’accoglimento di tale opzione potrebbe apportare notevoli vantaggi<br />
al mercato interno, senza incidere eccessivamente sugli ordinamenti<br />
nazionali; dall’altra parte, però, costituendo un base alternativa cui il contraente<br />
può scegliere di ricorrere, complicherebbe un corpus normativo di<br />
per sé già abbastanza intricato.<br />
In ragione di ciò, sarà ancora più marcata l’esigenza di informazioni che<br />
consentano al consumatore di comprendere bene di quali posizioni soggettive<br />
sarà titolare qualora decida di concludere un contratto sulla base di detto<br />
regolamento.<br />
Sulla eventuale adesione all’opzione in commento, il CNF ha giustamente<br />
osservato che il rischio non è soltanto rappresentato dalla complicazione<br />
del quadro normativo attraverso l’introduzione di un modello alternativo,<br />
ma soprattutto della possibilità che la scelta di ricondurre la disciplina<br />
di un contratto a tale modello sia (ancora una volta) conseguenza di<br />
un’imposizione della parte economicamente forte nei confronti di quella<br />
debole. Si ritiene, tuttavia, che questo pericolo possa essere scongiurato<br />
dalla sostanza normativa che dovrà caratterizzare l’opzione in commento, e<br />
cioè un livello manifestamente elevato di tutela dei consumatori, conformemente<br />
a quanto previsto dal Trattato sul funzionamento dell’UE ( 19 ).<br />
Non è chiaro, da quanto espresso dalla Commissione nel suo Libro verde,<br />
se i dubbi e gli interrogativi in esso posti siano rivolti ad uno strumento<br />
ancora da realizzare oppure ad uno strumento già consolidato ed eventualmente<br />
perfezionabile, quale potrebbe essere il DCFR.<br />
Certo è che l’edificazione di una disciplina contrattuale uniforme è sta-<br />
( 18 ) In tal senso si sono, ad esempio, espressi il Consiglio degli ordini forensi d’<strong>Europa</strong><br />
(CCBE) ed il Consiglio Nazionale Forense (CNF).<br />
( 19 )L’art. 12 del Trattato sul funzionamento dell’UE così recita: « nella definizione e nell’attuazione<br />
di altre politiche o attività dell’Unione sono prese in considerazione le esigenze<br />
inerenti alla tutela dei consumatori ».
176 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
ta tentata soprattutto dai due gruppi che l’hanno redatto, mediante un modus<br />
procedendi singolare, dal punto di vista organizzativo ed operativo.<br />
Essi hanno infatti lavorato in maniera parallela ma autonoma, modalità<br />
favorita dalla presenza, in entrambi, di sottocommissioni cui è stata demandata<br />
la concreta attività di studio, di comparazione giuridica e terminologica,<br />
di progettazione, di confronto a partecipazione plenaria ed infine di<br />
redazione ( 20 ). Ciò non ha tuttavia impedito una particolare sinergia tra lo<br />
SGECC e l’Acquis Group, i cui sotto-progetti sono stati coordinati, nel senso<br />
di una revisione e di un’uniformazione, da un’apposita Commissione, la<br />
Compilation and Redaction Team.<br />
Come si evince dalla sua denominazione, la finalità principale del DC-<br />
FR è quella di fungere da modello ispiratore del quadro comune di riferimento<br />
(CFR, Common Frame of Reference) proposto dalla Commissione<br />
Europea con la Comunicazione intitolata « Maggiore coerenza nel diritto<br />
contrattuale europeo. Un piano di azione » ( 21 ).<br />
( 20 ) Amodio, Il DCFR per l’armonizzazione del diritto privato europeo: spunti per una riflessione,<br />
cit., ha considerato la scarsa operatività del principio di trasparenza nell’elaborazione<br />
del DCFR. L’intero procedimento e l’interazione tra i gruppi potevano essere, infatti, seguiti<br />
tramite un sito web di non pubblico accesso.<br />
( 21 ) Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio,<br />
COM(2003) 68 def. del 12 febbraio 2003. Con questo documento, la Commissione europea<br />
presentò un « Piano d’azione » al fine di rendere più coerente la disciplina europea in materia<br />
contrattuale e di conseguire così un netto miglioramento qualitativo della legislazione comunitaria<br />
in tale settore. Le proposte avanzate per il raggiungimento di tale obiettivo furono sostanzialmente<br />
la redazione di clausole uniformi da inserire nei contratti e la formazione di un<br />
quadro comune di riferimento. La elaborazione di clausole contrattuali standard sarebbero<br />
valide in tutta l’Unione. Le parti potrebbero ricorrervi nelle operazioni di scambio transfrontaliere.<br />
In tal modo i consumatori sarebbero meglio informati e sarebbero messi nella condizione<br />
di poter meglio comparare le varie offerte di beni e servizi. Con la redazione di un quadro<br />
comune di riferimento verrebbe agevolata la formazione di un corpus di regole e principi<br />
che possa fungere da legge opzionale nel settore dei rapporti tra professionisti e consumatori.<br />
Camara Lapuente, Un derecho privado o un Codigo civil para <strong>Europa</strong>: planteamiento, nudo y<br />
(esquivo) desenlace, in Derecho privado europeo, a cura di Camara Lapuente, Madrid, 2003, p.<br />
67, sostiene infatti che molti esempi dimostrano che la differenza tra le norme nazionali, soprattutto<br />
in materia contrattuale, ostacola la libera circolazione dei beni, riducendo così la<br />
possibilità di realizzare negozi transfrontalieri. Uno di essi è fornito proprio dai costi che devono<br />
essere sostenuti da una delle parti contraenti per indagare e conoscere le leggi ed il sistema<br />
normativo cui farà riferimento l’altra. Questa situazione provoca altresì una distorsione<br />
della concorrenza tra le imprese con sede in diversi Stati membri, non solo perché in base<br />
alla disciplina del paese d’origine le regole applicabili ad un’<strong>impresa</strong> possono favorirla o pregiudicarla<br />
rispetto alla sua concorrente, ma anche perché le possibilità di affrontare tali costi<br />
variano in riferimento alle dimensioni, grandi o medio-piccole, delle stesse imprese.
SAGGI 177<br />
Ma le scelte redazionali dello SGECC e dell’Acquis Group si prefiggono<br />
anche scopi ulteriori, al di là della realizzazione del CFR. Infatti, avendo<br />
una natura tipicamente accademica, il DCFR intende promuovere la conoscenza<br />
e lo sviluppo del diritto contrattuale europeo, mediante l’analisi della<br />
interazione dei diversi sistemi giuridici coinvolti, delle casistiche e delle<br />
relative soluzioni che in essi si manifestano, rivelandosi quindi un punto essenziale<br />
di riferimento nella risoluzione delle problematiche in materia<br />
contrattuale.<br />
La funzione del DCFR resta allora indipendente da quella del CFR:<br />
esponendo i risultati di un progetto di ricerca europeo, esso rinsalda la consapevolezza<br />
del diritto contrattuale europeo, ne sostiene l’applicabilità da<br />
parte dei giudici interni e favorisce in questo modo il riavvicinamento dei<br />
singoli sistemi nazionali.<br />
Ciò implica, ovviamente, che il DCFR debba rispondere in maniera<br />
concreta ai bisogni della libera circolazione delle merci e della integrazione<br />
dei servizi, rappresentandosi quale schema normativo di semplificazione<br />
della complessa impalcatura legislativa che ha finora regolato gli scambi interni<br />
alla Comunità.<br />
Concluso a fine 2008 ed aggiornato nel 2009, il DCFR si compone di<br />
dieci libri, che ricalcano in sostanza la struttura organizzativa dei Principles<br />
of European Contract Law.<br />
Il campo del DCFR è, però, notevolmente più esteso rispetto a quello<br />
dei PECL: il primo si sostanzia in un complesso di principi giuridici che formano<br />
la piattaforma sostanziale non solo del diritto contrattuale, ma di una<br />
buona parte del diritto delle obbligazioni ( 22 ). Tale intento è posto in evi-<br />
( 22 ) Bianca, Diritto civile, IV, L’obbligazione, Milano, 2003, p. 11, introduce il concetto di<br />
obbligazione evidenziandone la necessaria correlazione ed integrazione con le sue fonti, in<br />
particolare il contratto. La figura dell’obbligazione non può essere pienamente compresa se<br />
non studiata in rapporto alle sue diverse fonti, poiché essa è l’effetto di una specifica fattispecie<br />
cui occorre avere riguardo sia per determinarne il contenuto, sia per la ricerca della specifica<br />
disciplina. È quindi evidente che l’obbligazione contrattuale è disciplinata dalle norme<br />
sull’obbligazione ma altresì dalla normativa del contratto in generale, dalla normativa di quel<br />
tipo di contratto, e dalle disposizioni delle parti. Si rende perciò necessario il rinvio allo studio<br />
di tali fonti, anche se ci sono norme che pur essendo previste nella disciplina delle singole fonti<br />
esprimono principi valevoli per l’obbligazione in generale, come ad esempio il rimedio del<br />
risarcimento del danno in forma specifica, il quale è previsto dalla normativa dell’illecito, ma<br />
si ritiene applicabile anche alle obbligazioni negoziali, così come la disamina dei rimedi contro<br />
l’inadempimento deve necessariamente comprendere anche i rimedi contrattuali. Il sistema<br />
formale del nostro codice è fondato sulla figura dell’obbligazione, prevedendo tra le sue<br />
fonti il contratto: questo diventa un “capitolo” del libro dedicato all’obbligazione. Ma indi-
178 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
denza dall’art. 1:101, che traccia il campo di applicazione del DCFR in apertura<br />
del Libro I: l’ambito applicativo delle norme in analisi è costituito dai<br />
diritti e dalle obbligazioni di fonte contrattuale, ma anche di fonte non contrattuale.<br />
I redattori hanno dunque inserito nella disciplina del DCFR anche le<br />
obbligazioni nascenti dalla gestione di affari altrui (regolata dal Libro V), le<br />
obbligazioni nascenti da fatto illecito (cui è dedicato il Libro VI) e quelle<br />
che sorgono dall’ingiustificato arricchimento (previste dal Libro VII).<br />
Vengono in rilievo altri valori quali la responsabilità e la solidarietà sociale,<br />
in considerazione dei quali la portata delle norme del DCFR risulta<br />
ampliata.<br />
Esulano, dunque, dalla portata del DCFR i diritti e le obbligazioni di<br />
natura pubblicistica, così come quelli di fonte privatistica legati, ad esempio,<br />
allo status o alla capacità delle persone fisiche, inerenti al diritto successorio<br />
o al diritto di famiglia, ai rapporti di lavoro, etc. ( 23 ) restando chiaro che<br />
tali norme non si limitano ad una regolamentazione del diritto degli affari<br />
funzionale solo alla garanzia dell’equilibrio negoziale tra le parti.<br />
Le scelte di contenuto confluite nel DCFR costituiscono il naturale tentativo<br />
(anche questo dall’incerto esito) di fornire soluzione a problemi di<br />
ordine economico scaturenti da differenze di ordine sociale e culturale. Ecco<br />
perché il conseguimento di obiettivi economici si affianca, inevitabilmente,<br />
al raggiungimento di finalità come la protezione di soggetti deboli.<br />
Quanto alle scelte contenutistiche e strutturali del DCFR si è evidenziato<br />
che vengono sostanzialmente riprese le modalità che hanno condotto<br />
pendentemente dallo schema formale, il codice mette al centro del diritto privato il contratto,<br />
che in questa prospettiva non è più semplicemente una delle fonti produttive di obbligazioni,<br />
ma la fonte, e non solo di effetti obbligatori, ma anche di effetti reali. La disciplina dell’obbligazione<br />
può essere così intesa come una disciplina che integra quella del rapporto contrattuale:<br />
essa è il rapporto attraverso il quale si realizza il programma contrattuale. Adempimento<br />
dell’obbligazione significa esecuzione del contratto. Inadempimento o inesatto adempimento<br />
dell’obbligazione significa inesecuzione o inesatta esecuzione del contratto.<br />
( 23 ) Cfr. DCFR I. – 1:101 (2), « They are not intended to be used, or used without modification<br />
or supplementation, in relation to rights and obligations of a public law nature or, except<br />
where otherwise provided, in relation to: a) the status or legal capacity of natural persons;<br />
b) wills or succession; c) family relationships, including matrimonial and similar relationships;<br />
d) bill of exchange, cheques and promissory notes and other negotiable instruments;<br />
e) employment relationships; the ownership of, or rights in security over, immovable<br />
property; g) the creation, capacity, internal organisation, regulation or dissolution of companies<br />
and other bodies corporate or unincorporated; h) matters relating primarily to procedure<br />
or enforcement ».
SAGGI 179<br />
alla redazione dei PECL: come nel progetto della Commissione Lando, infatti,<br />
anche all’interno del DCFR si procede all’elaborazione di precetti di<br />
massima non codicisticamente organizzati.<br />
Vi sono differenze anche negli scopi che caratterizzano i due lavori, prima<br />
fra tutte la volontà dei redattori del DCFR di sviluppare una serie di<br />
concetti ed una terminologia giuridica uniforme europea, tale da rispecchiare<br />
e rispettare quella utilizzata dai diversi sistemi nazionali.<br />
Soprattutto il DCFR sostanzialmente apporta agli articoli dei PECL<br />
quei miglioramenti di contenuto, di formulazione o di organizzazione sistematica<br />
la cui necessità è emersa nel corso degli incontri di studio e di lavoro<br />
tenuti dalla Commissione Europea ( 24 ).<br />
Dal punto di vista strutturale, anche il DCFR, come i PECL, si caratterizza<br />
per la presenza di principi, anche se, in questi ultimi, il termine “principi”<br />
viene comunemente inteso nel senso di regole non aventi valore vincolante<br />
che le parti, cioè, possono scegliere di applicare o meno.<br />
Nel DCFR, perciò, la portata della parola “principi” è più generale, dovendo<br />
per lo più essere riferita a concetti quali l’autonomia contrattuale o la<br />
buona fede, mentre un ruolo importante viene giocato dalle model rules, cioè<br />
da regole-tipo che non hanno forza di legge e che costituiscono esempi di softlaw<br />
cui le parti possono fare ricorso per la regolamentazione del contratto ( 25 ).<br />
In merito, poi, alla figura del consumatore, i PECL non disciplinano specificamente<br />
i contratti B2C, optando per una regolamentazione a carattere più<br />
generico che tenga conto della posizione negoziale debole (e quindi di svantaggio)<br />
in cui possono trovarsi determinati soggetti di mercato, siano essi consumatori<br />
o imprese. Lo stesso non può affermarsi per il DCFR, dove la figura<br />
del consumatore è presa in considerazione da diverse norme, contenute in<br />
particolare nel Chapter 3, Book II, sui doveri precontrattuali ( 26 ).<br />
( 24 ) Cfr. Hesselink, The values underlying the Draft Common Frame of Reference: what role<br />
for fairness and “Social Justice”, cit., p. 30<br />
( 25 )L’art. 1:101 dei PECL, relativo all’applicazione dei Principi, infatti così recita: « I Principi<br />
sono destinati ad essere applicati come norme generali di diritto dei contratti nell’Unione<br />
europea. I Principi si applicano quando le parti hanno convenuto di inserirli nel contenuto del<br />
contratto o hanno convenuto che il contratto sia regolato da essi. I Principi possono altresì<br />
trovare applicazione quando le parti: a) hanno convenuto che il contratto sia regolato dai<br />
principi generali del diritto, o dalla lex mercatoria o hanno usato espressione analoga; b) non<br />
hanno scelto altro sistema di regole o altre norme di diritto per disciplinare il contratto. I Principi<br />
possono fornire soluzione alla controversia da decidere quando l’ordinamento o le norme<br />
della legge applicabile non vi provvedano ».<br />
( 26 ) Roppo, Prospettive del diritto contrattuale europeo. Dal contratto del consumatore al<br />
contratto asimmetrico, in Corr. giur., 2009, p. 277. L’A. pone in luce come il DCFR costituisca
180 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Inoltre, il DCFR si caratterizza diversamente dai PECL anche rispetto<br />
alla disciplina delle clausole vessatorie. Nel primo, infatti, la materia viene<br />
disciplinata nel Titolo 9 – Chapter 9, relativo al contenuto ed agli effetti del<br />
contratto; nei PECL, invece, esse sono regolate dal solo articolo 4:110, contenuto<br />
nel Chapter 4, relativo alla validità del contatto. In questi ultimi,<br />
dunque, le clausole vessatorie rientrano tra i vizi di formazione del contratto.<br />
I compilatori del DCFR, diversamente, non inquadrano preventivamente<br />
la sanzione che scaturisce da un’eventuale positiva valutazione di<br />
vessatorietà ( 27 ), optando, piuttosto, per la semplice non- vincolatività per il<br />
contraente svantaggiato.<br />
Il DCFR si compone, nella sua Appendice finale, anche di definizioni,<br />
strumento attraverso il quale i suoi redattori mettono a punto una tecnica di<br />
stesura che consente la realizzazione di una terminologia giuridica omogenea.<br />
Nella sua versione definitiva il DCFR ha incluso la disciplina delle problematiche<br />
inerenti al trasferimento di beni mobili (libro VIII), alle garanzie<br />
mobiliari (libro IX) e al trust (X), adeguatamente integrata dalle note e<br />
dai commenti tesi a spiegare la ratio e le finalità politiche e sociali delle model-rules.<br />
Il DCFR ha sollevato non pochi dubbi circa la sua idoneità a costituire<br />
un effettivo punto di riferimento per i giudici e gli altri operatori del diritto<br />
all’interno dell’UE.<br />
La prima perplessità sorge sulla lingua inglese, utilizzata per esprimere<br />
e formulare la disciplina di istituti tipici del diritto continentale. È stata,<br />
questa, una scelta fortemente (e, a parer di chi scrive, giustamente) criticata<br />
in dottrina in considerazione del differente significato che un termine può<br />
assumere nel contesto giuridico-linguistico del common law piuttosto che in<br />
quello del civil law. Altri dubbi sorgono sulla struttura del DCFR, nella parte<br />
in cui la regolamentazione di differenti tipologie contrattuali viene unificata<br />
in virtù della presenza di un minimo comun denominatore come l’oggetto<br />
senza, però, tener conto dell’ulteriore complesso di elementi che distingue<br />
una fattispecie dall’altra.<br />
3. – La necessità di estendere l’ambito dell’unificazione, oltre la parte<br />
generale del contratto, era stata già in precedenza avvertita dalla Accademia<br />
un modello peculiare, nel quale ad una regola generale in materia di contratti, operante indipendentemente<br />
dalla qualifica sociale o di mercato dei soggetti coinvolti, se ne affianca un’altra,<br />
applicabile al caso specifico dei contratti tra consumatore e professionista.<br />
( 27 ) Scarso, Unfair terms, in Il Draft Common Frame of Reference del Diritto Privato Europeo,a<br />
cura di Alpa, Iudica, Perfetti e Zatti, Milano, 2009, p. 217.
SAGGI 181<br />
dei Giusprivatisti Europei che, subito dopo la redazione del Libro I del Code<br />
Européen des Contrats, ha avviato i lavori per la stesura del Libro II, avente<br />
ad oggetto la disciplina dei singoli contratti ( 28 ).<br />
Il metodo seguito dal gruppo accademico coordinato dal Prof. Gandolfi<br />
resta quello adottato per la redazione del Libro I: la scelta di particolari soluzioni<br />
normative è stata dettata dall’oggettivo riscontro, oltre che delle attuali<br />
esigenze di mercato, anche delle concrete difficoltà derivanti dall’applicazione<br />
di regole estranee al tessuto normativo dei singoli Paesi. Ecco<br />
perché, nel Libro II, viene adottato un registro che, attraverso uno stile normativo<br />
incisivo ed una terminologia chiara, rende l’opera molto più simile<br />
ad un codice che non ai PECL o al DCFR.<br />
L’ambizione di fornire ai Paesi dell’UE un complesso di norme codicisticamente<br />
organizzate non ha però impedito ai redattori del Code di considerare<br />
l’esistenza di aree in cui, almeno per il momento, è essenziale che resti<br />
salva la competenza riservata ai singoli Stati.<br />
È quanto accade con la vendita di beni immobili, materia espressamente<br />
esclusa dall’ambito applicativo del Libro II ed in relazione alla quale l’art. 176<br />
prevede che continui ad essere regolata nei diversi Stati membri dell’Unione<br />
Europea dalle norme in essi vigenti a partire dall’entrata in vigore del Code, almeno<br />
fino a quando non venga formulata una disciplina comune in materia.<br />
Viene in tal modo confermata una scelta di metodo legata certamente<br />
alle differenti modalità di perfezionamento di tale fattispecie contrattuale,<br />
molto più complessa ed articolata nei paesi di common law che in quelli di<br />
tradizione civilian.<br />
Dunque la materia della proprietà immobiliare, come quella del regime<br />
ad essa applicabile, continua a formare oggetto delle competenze riservate<br />
agli Stati membri ( 29 ).<br />
( 28 )L’Accademia dei Giusprivatisti Europei è stata fondata per atto pubblico a Pavia nel<br />
novembre del 1992. I soci fondatori furono: Prof. Alberto Trabucchi (Università di Padova),<br />
Prof. Franz Wieacker (Università di Gottinga), Prof. Andrè Tunc (Università di Parigi “Sorbonne-Panthéon”),<br />
Prof. Josè Luis de los Mozos (Università di Valladolid), S.E. Prof. Antonio<br />
Brancaccio (Primo Presidente della Corte di Cassazione italiana), Prof. Peter Stein (Università<br />
di Cambridge), Prof. Giuseppe Gandolfi (Università di Pavia). Nell’art. 1 dello statuto<br />
dell’Accademia viene precisato che la stessa “si propone di dare un contributo, attraverso la<br />
ricerca scientifica, all’unificazione e alla futura interpretazione e applicazione del diritto privato<br />
in <strong>Europa</strong>, nello spirito delle convenzioni comunitarie”, e inoltre “di promuovere lo sviluppo<br />
della cultura giuridica europeistica”. L’Accademia ha la sua sede ufficiale a Pavia e quella<br />
operativa a Milano.<br />
( 29 ) Si tratta di una scelta già palesata nell’ambito del Libro I dall’art. 35, comma 3: « Sono<br />
fatte salve le norme comunitarie e degli Stati nei cui territori sono situati i beni immobili, che
182 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Una simile impostazione viene data dal DCFR, che all’art. 1:101, comma<br />
3 del Libro IV esclude espressamente dall’ambito applicativo della parte relativa<br />
alla vendita i contratti aventi ad oggetto beni immobili o diritti su di essi.<br />
Il Capo II del Code, nel focalizzare l’attenzione sulla vendita dei beni<br />
mobili, precisa che questa può avere ad oggetto tanto beni materiali quanto<br />
beni immateriali e che si ha vendita anche quando il bene in questione sia<br />
stato fabbricato, prodotto o modificato dal venditore su specifica richiesta<br />
del compratore (art. 177).<br />
Possono formare oggetto di vendita tutti i beni il cui trasferimento non<br />
sia vietato dalle norme comunitarie, nazionali o dello stesso Code, a condizione<br />
che il contenuto del contratto sia utile, lecito, determinato o determinabile,<br />
conformemente a quanto prescritto dall’art. 25.<br />
È consentita poi la vendita di beni immateriali (art. 181), di beni futuri<br />
(art. 182, norma che rimanda a sua volta all’art. 29 del Libro I, in base al<br />
quale un contratto può anche aver ad oggetto una prestazione relativa a cose<br />
future, a meno che non esistano particolari divieti previsti o dallo stesso<br />
Code o da disposizioni comunitarie o nazionali), di beni altrui (art. 183, nel<br />
qual caso ci si trova di fronte ad un’ipotesi di vendita obbligatoria) e di universalità<br />
(art. 184, ipotesi nella quale è richiesto l’atto scritto a pena di nullità).<br />
Di particolare interesse appare la sezione seconda del Capo II, relativa<br />
agli obblighi del venditore.<br />
L’art. 187 pone gerarchicamente in evidenza quelli che sono gli obblighi<br />
principali, e cioè: a) dare preventivamente tutte le necessarie informazioni<br />
all’eventuale compratore; b) consegnare al compratore il bene venduto, che<br />
deve essere pienamente conforme al contratto, possedere tutti i requisiti<br />
dovuti ed essere accompagnato da tutte le informazioni necessarie per il<br />
suo utilizzo; c) trasmettere la proprietà ed il possesso; d) garantire il compratore<br />
da pretese di terzi sul bene; e) provvedere, se del caso, alla installazione<br />
del bene; f) concedere al compratore una garanzia pluriennale di corretto<br />
funzionamento; g) provvedere se del caso alla periodica manutenzione<br />
del bene.<br />
Seguendo, dunque, un ordine tutt’altro che casuale, i redattori del Code<br />
formano oggetto del contratto, relative al regime dei beni medesimi » e dall’art. 46, comma 3:<br />
«[...] Comunque per i beni mobili registrati o per i beni immobili gli effetti reali si verificano<br />
dovunque solo col compimento delle formalità di pubblicità previste per la zona in cui si trova<br />
il bene immobile, o nella quale deve essere consegnato all’avente diritto il bene mobile registrato<br />
».
SAGGI 183<br />
volutamente collocano al primo posto quello che, tra gli altri, si connota come<br />
obbligo basilare: fornire al compratore tutte le informazioni di cui necessita<br />
per l’acquisto del bene, allo scopo di consentire la formazione consapevole<br />
della volontà contrattuale.<br />
Ma vi è di più: agli obblighi di informazione, di cui il venditore risulta<br />
essere titolare, è dedicata un’intera sottosezione (artt. 188-192), in cui viene<br />
delineata in maniera puntuale la disciplina delle informazioni preliminari<br />
e contestuali che devono essere fornite nelle vendite al pubblico. In<br />
questo modo si assicura il controllo sulla trasparenza del contenuto contrattuale,<br />
che consente tanto una precisa indicazione dell’oggetto del contratto<br />
quanto una valutazione in termini di adeguatezza del corrispettivo<br />
dei beni forniti.<br />
Si tratta ovviamente della traduzione in termini pratici dei principi<br />
enunciati nella sezione relativa alle « Trattative precontrattuali » contenuta<br />
nel Titolo II del Libro I. È infatti evidente il richiamo all’art. 6 « Dovere di<br />
correttezza » ed all’art. 7 « Dovere di informazione »: il comportamento secondo<br />
buona fede dei contraenti si concretizza già nelle trattative precontrattuali,<br />
durante le quali ciascuna parte ha il dovere di informare e rendere<br />
nota all’altra ogni circostanza che le permetta di valutare della convenienza<br />
del contratto.<br />
Un espresso richiamo all’art. 7 è contenuto proprio nell’art. 188 relativo<br />
alle informazioni che devono essere preliminarmente fornite nella vendita<br />
al pubblico: per consentire al consumatore di verificare l’opportunità del<br />
contratto che si accinge a concludere, il venditore dovrà fornire un’adeguata<br />
presentazione del bene attraverso messaggi pubblicitari ed informazioni<br />
relative alla esatta denominazione del bene, al produttore o al fabbricante,<br />
al procedimento di fabbricazione, alle materie impiegate, alle caratteristiche<br />
essenziali, all’uso cui il bene è destinato ed alle modalità di conservazione.<br />
Tutte queste indicazioni devono essere espresse in maniera visibile e<br />
comprensibile sia che il bene sia esposto in vendita sia che si trovi all’interno<br />
del locale, ed in ogni caso deve essere permesso al compratore di visionare<br />
materialmente il prodotto.<br />
Ma è previsto anche un regime particolare per i beni confezionati, inscatolati,<br />
imbottigliati o comunque accompagnati da brochures informative:<br />
dall’art. 189 del Code gli stampati illustrativi e le etichette che accompagnano<br />
il prodotto sono considerati strumenti per fornire, contestualmente<br />
al momento della vendita, tutte le informazioni sul bene, compresi<br />
gli indirizzi cui rivolgersi per la manutenzione e la riparazione. In particolare<br />
vanno segnalate le date entro le quali è possibile consumare o uti-
184 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
lizzare la merce, soprattutto quella con finalità terapeutiche o destinata<br />
all’alimentazione.<br />
Le norme sopra citate (che, salvo patto contrario, si applicano anche alle<br />
vendite fra privati imprenditori ( 30 )e fra privati consumatori) ( 31 ) sono<br />
evidentemente ispirate all’esigenza di tutelare il compratore-consumatore<br />
che è parte debole del contratto.<br />
L’art. 205 infatti conferisce il diritto di recesso al compratore che solo<br />
dopo aver effettuato l’acquisto, e senza sua colpa, si renda conto che il bene<br />
consegnatogli non è conforme alle indicazioni fornite dal venditore. In caso<br />
poi di informazioni non pertinenti, inadeguate o non utilizzabili, l’art.<br />
206 prevede che il compratore eserciti il recesso inviando al venditore una<br />
comunicazione scritta in cui oltre ad indicare l’inconveniente stesso chiede<br />
anche di fornirgli entro un termine ragionevole (che non può essere inferiore<br />
a quindici giorni) le giuste informazioni. Decorso inutilmente tale termine<br />
ed in mancanza di accordo tra le parti, il recesso ha effetto, con l’obbligo<br />
per le parti di realizzare le reciproche restituzioni.<br />
Merita attenzione il comma 3 dell’art. 189, per il quale le informazioni<br />
che devono essere fornite in fase di conclusione del contratto di compravendita<br />
si devono aggiungere a quelle già previste dalle disposizioni comunitarie<br />
e nazionali per la conclusione dei contratti fuori dai locali commerciali o<br />
a distanza. È quindi evidente che le disposizioni aventi ad oggetto obblighi<br />
informativi a carico del venditore non danno luogo ad una mera ripetizione<br />
di quanto già stabilito dall’art. 9 del Code relativo alle trattative con i consumatori<br />
fuori dei locali commerciali, ma scaturiscono da una diversa ratio.<br />
Il dovere di informazione del commerciante che fuori dai locali commerciali<br />
propone al consumatore di concludere un contratto, è connaturato<br />
all’esigenza che il consenso del consumatore si formi correttamente, in<br />
considerazione della peculiare modalità stipulativa con cui la negoziazione<br />
si chiude.<br />
Gli obblighi informativi che ricadono sul venditore sono invece determinati<br />
dalla necessità di assicurare al compratore la consegna di un bene<br />
conforme a quello che egli intende acquistare, dotato delle medesime caratteristiche<br />
che lo convincono a concludere l’affare. La medesima esigenza<br />
( 30 ) Art. 190: « (. . .) In questo caso le informazioni occorrenti possono essere contenute in<br />
lettere o analoghe comunicazioni scritte, redatte da chi offre in vendita o vende, anche nella<br />
lingua nazionale del compratore ».<br />
( 31 ) Art. 191: « (. . .) Le informazioni previste dalle norme medesime possono essere date,<br />
da chi offre in vendita o vende, anche verbalmente, se la controparte non esige dichiarazioni<br />
scritte ».
SAGGI 185<br />
non sembra rinvenirsi nel DCFR, che dedica agli obblighi informativi solo la<br />
sezione I del Capitolo III, Libro II, sulla responsabilità precontrattuale ( 32 ).<br />
A norma dell’art. 3:101, prima della conclusione del contratto per la fornitura<br />
di beni o servizi, il professionista ha l’obbligo di comunicare all’altro contraente<br />
tutte le informazioni che questo possa ragionevolmente aspettarsi.<br />
Soprattutto nella distribuzione di beni o servizi al consumatore, l’art.<br />
3:102 prevede che a questo dovranno essere date le informazioni di cui il<br />
consumatore medio dovesse necessitare nell’adozione di una decisione<br />
consapevole per la conclusione del contratto, per quanto possibile anche<br />
avendo riguardo alle circostanze e ai limiti dei mezzi di comunicazione utilizzati.<br />
In particolare dovranno essere indicate le principali caratteristiche<br />
del bene, l’identità e l’indirizzo del professionista, il prezzo, l’eventuale diritto<br />
di recesso, e le particolarità relative al pagamento, alla consegna, all’adempimento<br />
ed agli eventuali reclami.<br />
Va segnalato che l’intento principale dei redattori del DCFR, come è<br />
evidenziato dall’art. 3:103, sarebbe quello di tutelare il consumatore in tutte<br />
le ipotesi in cui egli si trovi a concludere il contratto in una condizione di<br />
particolare svantaggio.<br />
L’impiego di strumenti tecnico-informatici, la distanza fisica tra il professionista<br />
ed il consumatore, la natura dell’affare sono tutte circostanze<br />
che comportano a carico del professionista l’obbligo di procurare, prima<br />
della conclusione del contratto, informazioni chiare circa le principali caratteristiche<br />
del bene o del servizio, il prezzo e le spese di consegna, le generalità<br />
del professionista, le condizioni del contratto, i diritti e le obbligazioni<br />
che sorgono per entrambe le parti, l’eventuale diritto di recesso e la procedura<br />
per la riparazione ( 33 ).<br />
( 32 ) Secondo Hesselink, The values underlying the Draft Common Frame of Reference:<br />
what role for fairness and “Social Justice”, cit., p. 31 il livello di protezione consumeristico garantito<br />
dal DCFR non scende al di sotto del livello garantito dale direttive comunitarie. Il problema<br />
è capire se questo standard di protezione possa essere elevato oppure sia destinato a restare<br />
tale, identificando così il minimum delle normative comunitarie con il maximum del<br />
DCFR. In realtà la questione viene risolta solo attraverso la esplicitazione delle finalità dello<br />
stesso DCFR. Se questo, infatti, viene qualificato come strumento opzionale da adottare nelle<br />
contrattazioni professionista-consumatore, è chiaro che non potranno essere esplicate del<br />
tutto le sue funzioni, anche e soprattutto su un piano di giustizia sociale. Ma se il DCFR venisse,<br />
fin dall’inizio, identificato in una soluzione normativa vincolante per i contraenti, sarebbero<br />
certamente create le premesse giuridiche per una soluzione economica idonea alla<br />
conclusione dei contratti in esso disciplinati.<br />
( 33 ) La fase delle trattative va distinta da quella della formazione del contratto. Infatti nella<br />
prima ricadrebbe il complesso di atti prenegoziali (relazioni, discussioni, sondaggi, contat-
186 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
È chiaro dunque che lo scopo essenziale di tali norme va rintracciato oltre<br />
che nella necessità di garantire al compratore la consegna di un bene<br />
conforme a quello descritto nel contratto, anche nella più ampia esigenza<br />
che il suo consenso si formi in maniera consapevole. Ciò viene confermato<br />
dalla individuazione delle obbligazioni del venditore nell’art. 2:101, Parte<br />
A, Libro IV, consistenti in quelle tradizionali di: a) trasferire la proprietà del<br />
bene; b) consegnare il bene; c) trasferire la documentazione attinente ai beni<br />
come richiesto dal contratto; d) assicurare la conformità dei beni al contratto.<br />
Manca dunque ogni riferimento alle responsabilità informative del<br />
venditore (peculiarmente disciplinate invece dal Code), così come sono<br />
assenti specifiche norme di protezione nell’ipotesi di difformità del bene<br />
dalle indicazioni ricevute come quelle invece previste dagli artt. 205 e 206<br />
del Code.<br />
4. – Il sistema dei rimedi, cui è dedicata la sezione IV del Libro II, Titolo<br />
I del Code, è rivolto a garantire concreta tutela alla categoria dei consumatori.<br />
Tra le varie informazioni su cui il compratore deve essere edotto rientra<br />
certamente anche quella prevista dall’art. 199 del Code che crea a carico del<br />
venditore l’obbligo di provvedere, a sue spese, alle riparazioni e sostituzioni<br />
per le ipotesi di difformità del bene e per consentire il regolare uso e la<br />
normale conservazione del bene.<br />
Si tratta di una garanzia della durata minima di due anni, che può essere<br />
prolungata a richiesta del compratore e che il venditore ha l’obbligo di comunicare<br />
al compratore mediante la consegna di un documento o di un<br />
supporto duraturo nel quale sia chiaramente indicato a quali officine o imprese<br />
egli può rivolgersi.<br />
Già l’art. 203 prevede che presso ogni comune venga istituito un apposito<br />
ufficio o sia designato un impiegato per fornire ai consumatori (ma<br />
più in generale ai contraenti) tutte le delucidazioni relative ai propri diritti<br />
e doveri e per ricevere reclami con le richieste di intervento nei con-<br />
ti, etc.) che permetterebbe alle parti di raccogliere le informazioni funzionali all’eventuale<br />
conclusione del contratto e alla compatibilità di questo con i propri interessi. Alla fase di “formazione<br />
del contratto” andrebbe ricondotta tutta quella serie di atti volti a preparare e perfezionare<br />
l’accordo, come la proposta, la proposta irrevocabile, il contratto preliminare, etc.<br />
Cfr. Lucchini Guastalla, Marketing and Pre-contractual duties, in Il Draft Common Frame of<br />
Reference del Diritto Privato Europeo, cit., p. 141; Grisi, L’obbligo precontrattuale di informazione,<br />
Bari, 1990, p. 43.
SAGGI 187<br />
fronti delle controparti allo scopo di risolvere in maniera amichevole e<br />
tempestiva i problemi che possono sorgere dalla conclusione del contratto<br />
( 34 ).<br />
Centrali sono le vendite ai consumatori regolate dall’art. 204, a norma<br />
del quale a tali contratti dovranno essere applicate le disposizioni del Code<br />
inerenti ai contratti conclusi con un professionista fuori dei locali commerciali,<br />
a distanza o comunque in luoghi non specificamente destinati alla<br />
vendita e tramite l’utilizzo esclusivo di sistemi di comunicazione a distanza<br />
(comma 1).<br />
È inoltre riconosciuto al consumatore il diritto al risarcimento del danno<br />
quando la vendita sia stata sollecitata dall’utilizzo di una forma pubblicitaria<br />
ingannevole (art. 204 comma 2), così come viene riconosciuto il divieto<br />
e la nullità delle vendite che, successivamente all’acquisto, si rivelino<br />
pregiudizievoli per la sicurezza o la salute (art. 204 comma 3).<br />
La qualifica di consumatore, peraltro, non è sempre pacifica: con riguardo<br />
alla vendita di beni destinati ad uso consueto o specifico, o acquistati<br />
in quantitativi o entità superiori a determinati limiti, le autorità amministrative<br />
possono prescrivere che tale qualifica non spetti al compratore.<br />
Quest’ultimo potrà, tuttavia, dichiararla sotto la sua responsabilità al momento<br />
dell’acquisto e tale indicazione dovrà essere riportata nella fattura o<br />
nella ricevuta o nello scontrino di cassa o nel documento di vendita (art. 204<br />
comma 5).<br />
È questa una disposizione importante, volta a tracciare i confini delle tutele<br />
garantite: al soggetto che concluda il contratto per una finalità rientrante<br />
nel quadro della propria attività professionale non saranno riconosciute<br />
le prerogative del rapporto di consumo, considerata la posizione di parità<br />
contrattuale con il venditore.<br />
Nella sistematica delle garanzie delineata dal Code, un ruolo essenziale<br />
viene svolto dall’art. 207, rubricato « Difformità del bene, mancanza di qualità<br />
o presenza di difetti ».<br />
Il buon funzionamento del bene è strettamente correlato alla circostanza<br />
che, una volta consegnato, esso coincida con quello venduto o che sia do-<br />
( 34 ) Il Code riserva perciò un ruolo non indifferente alle Autorità amministrative. Queste<br />
infatti non hanno soltanto il compito di assistere il consumatore nel corso della sua attività<br />
contrattuale, ma hanno anche il dovere di verificare la sostanza del reclamo effettuato e la reale<br />
necessità dell’intervento richiesto. Ed infatti lo stesso art. 203, al comma 2, prevede che<br />
« l’autorità comunale può prescrivere che la richiesta di intervento debba essere accompagnata<br />
da un ragionevole deposito cauzionale, che venga poi restituito o invece incamerato se la<br />
richiesta risulti temeraria ».
188 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
tato delle caratteristiche e qualità necessarie all’uso cui è destinato o che sia<br />
privo di difetti o vizi non presenti al momento della vendita.<br />
In tutte queste ipotesi, il compratore avrà il diritto di azionare rimedi<br />
differenti a seconda delle diverse cause di difformità entro il termine di ventiquattro<br />
mesi o di ventisei mesi se si tratta di un consumatore.<br />
I rimedi sono quelli previsti anche dalla disciplina comunitaria dettata<br />
in materia di vendita di beni di consumo e che i redattori del Code hanno<br />
previsto nel Libro I agli artt. 112 e 113, aventi, rispettivamente, ad oggetto la<br />
sostituzione in forma specifica e la riduzione del corrispettivo.<br />
Per il caso di difformità del bene (aliud pro alio) o di mancanza delle caratteristiche<br />
necessarie per l’utilizzo cui il bene è destinato, il venditore dovrà<br />
fornire un altro bene conforme al contratto, e quando ciò non sia oggettivamente<br />
possibile il venditore avrà l’obbligo di fornire un bene analogo<br />
dotato delle qualità richieste.<br />
Per il caso di vizi o difetti che pregiudichino la consistenza e l’utilizzo<br />
del bene, il venditore avrà l’obbligo di procedere alla sostituzione del bene.<br />
Laddove, però, tali difetti possano essere eliminati senza l’alterazione<br />
della consistenza e della utilizzabilità del bene, il venditore dovrà eliminarli<br />
tramite la riparazione del prodotto, dovendo invece accettare un’equa riduzione<br />
del prezzo ricevuto quando i vizi ne riducono ed impediscono il<br />
normale utilizzo.<br />
Nei confronti del venditore che non adempie agli obblighi di sostituzione<br />
o riparazione del bene, il compratore potrà agire chiedendo l’adempimento<br />
in forma specifica e facendosi autorizzare dal giudice a procurarsi un<br />
bene conforme al contratto o comunque analogo a quello comprato.<br />
Solo nell’ipotesi di oggettiva impossibilità della riparazione o sostituzione<br />
del bene, il compratore potrà agire per la risoluzione del contratto.<br />
Ai sensi dell’art. IV.A.-2:301 del DCFR, un bene potrà qualificarsi<br />
conforme al contratto quando sia della stessa quantità e qualità richiesta dal<br />
contratto e coincida con la descrizione in questo presentata; quando sia<br />
contenuto o imballato nella modalità richiesta dal contratto; quando sia fornito<br />
con gli accessori e le istruzioni per l’installazione.<br />
Il concetto di conformità è sostanzialmente correlato a quello di idoneità<br />
del bene in base a particolari criteri, quali lo scopo cui è funzionale il<br />
prodotto, le qualità che esso deve possedere e le modalità di imballaggio<br />
dello stesso.<br />
L’art. IV.A.–2:301 del DCFR stabilisce, infatti, che il bene dovrà rispondere<br />
agli specifici requisiti resi noti al venditore al momento della conclusione<br />
del contratto; essere idoneo all’uso cui servono abitualmente beni<br />
dello stesso tipo; possedere le qualità del prodotto che è stato presentato co-
SAGGI 189<br />
me campione o modello al compratore; essere contenuto o imballato in base<br />
alle modalità richieste per la particolare tipologia di bene e possedere tutte<br />
le qualità che il compratore può ragionevolmente aspettarsi da un bene<br />
della medesima specie. Laddove i beni consegnati in esecuzione di un contratto<br />
di vendita di beni di consumo siano stati installati in maniera errata,<br />
ogni difformità del prodotto sarà valutata in termini di responsabilità del<br />
venditore che non avrà correttamente installato il bene o non avrà comunicato<br />
la esatta procedura di installazione al compratore ( 35 ). Va però segnalato<br />
che non si configurerà tale responsabilità se al momento della conclusione<br />
del contratto il compratore era a conoscenza o poteva venire a conoscenza<br />
dell’assenza di conformità del bene al contratto ( 36 ).<br />
Nel tentativo di fissare un termine rilevante per la sussistenza della conformità<br />
del bene, viene posta all’art. IV. A.-2:308 la regola generale in base alla<br />
quale il venditore è responsabile di ogni difformità esistente al momento del<br />
passaggio dei rischi, anche se essa diventa evidente solo dopo tale fase ( 37 ).<br />
In particolare nei contratti di vendita dei beni di consumo, qualsiasi<br />
difformità che si manifesti entro sei mesi dal passaggio dei rischi al compratore,<br />
si presume esistente già da tale momento a meno che essa non sia incompatibile<br />
con la natura del bene o con la particolare tipologia di difformità.<br />
Peraltro ogni condizione o accordo concluso con il venditore prima che<br />
alla conoscenza di questo sia portata l’assenza di conformità del bene e volto<br />
alla rinuncia o alla limitazione del diritto a che siano consegnati beni<br />
conformi al contratto al consumatore, non è vincolante per quest’ ultimo<br />
(art. IV. A-2:309).<br />
Nell’ipotesi di difformità del bene l’art. IV. A 4:101 prevede anzitutto la<br />
possibilità di applicare tutti i rimedi di parte generale previsti dal Libro III<br />
del DCFR in materia di adempimento delle obbligazioni. Nei contratti di<br />
vendita dei beni di consumo, inoltre, ogni clausola attraverso la quale il<br />
consumatore rinunci o limiti l’esercizio dei rimedi di parte generale e che<br />
sia conclusa prima della comunicazione al venditore della mancanza di<br />
conformità, non sarà vincolante per lo stesso consumatore.<br />
( 35 ) Art. IV.A.- 2:304.<br />
( 36 ) Art. IV. A.- 2:307.<br />
( 37 ) In base all’ art. IV.A.–5:102, il rischio passa al compratore nel momento in cui questo<br />
prende in consegna i beni o i documenti che lo rappresentano; l’art. IV.A.– 5:103 prevede specificamente<br />
l’ipotesi del contratto di vendita di beni di consumo, in cui il rischio passa solo<br />
quando il consumatore abbia preso in consegna il bene. Tuttavia tale disposizione non si applica<br />
quando il compratore non abbia adempiuto allo specifico obbligo della presa in consegna<br />
e l’inadempimento non sia scusabile.
190 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Quanto ai rimedi specifici, l’art. IV.A.-4:201 presenta una panoramica<br />
d’insieme che, oltre a prevedere la possibilità per il compratore di chiedere<br />
la riparazione o la sostituzione del bene, stabilisce che lo stesso possa ricorrere<br />
all’eccezione di inadempimento, chiedere la cessazione del rapporto, o<br />
ancora ricorrere alla riduzione del prezzo. È fatto in ogni caso salvo il diritto<br />
a chiedere il risarcimento dei danni.<br />
Solo in un caso viene limitato il diritto del consumatore a chiedere la<br />
cessazione del rapporto contrattuale in caso di inadempimento, e cioè<br />
nell’ipotesi in cui la difformità del bene dal contratto sia minore (art.<br />
IV.A.-4:202).<br />
Ai contratti di vendita di beni di consumo non viene applicata la norma<br />
relativa all’esame del bene (art. IV.A.-4:301): questo prevede, infatti, per il<br />
compratore l’onere di analizzare il prodotto per poter poi azionare tutti i diritti<br />
relativi all’assenza di conformità del bene. La circostanza che nel rapporto<br />
consumatore-professionista l’azionabilità di tali rimedi non sia condizionata<br />
all’adempimento dell’onere dell’esame del bene certamente depone<br />
a vantaggio del consumatore, il quale non vedrà così limitato il proprio<br />
diritto ad ottenere un bene conforme a quello richiesto nel contratto. Ciò<br />
non dovrebbe tuttavia impedire al consumatore di prendere visione del bene<br />
prima di procedere all’acquisto e di valutarne l’opportunità.<br />
Il compratore è poi tenuto a denunciare il difetto di conformità entro<br />
due anni dalla consegna, ma se si è stabilito che il prodotto debba essere<br />
funzionale ed idoneo ad un particolare utilizzo o al suo ordinario utilizzo<br />
per un determinato periodo di tempo, i termini per la comunicazione non<br />
decorrono prima della scadenza del periodo stabilito (IV.A.-4:302). Va segnalato<br />
come il citato art. 207 del Code stabilisca che il termine per l’esercizio<br />
delle azioni ripristinatorie della conformità del bene sia di ventisei mesi<br />
per il solo consumatore, mentre il termine ordinario di ventiquattro mesi è<br />
previsto per tutti gli altri casi.<br />
5. – L’elaborazione di un Codice civile europeo, anche se limitatamente<br />
alla sola materia contrattuale, è frutto dell’interazione di molteplici interessi,<br />
politici, ma soprattutto economici e sociali.<br />
A questo punto è necessario chiedersi se, sulla scorta della breve precedente<br />
analisi, le norme del Code e del DCFR siano in grado di rispondere alle<br />
esigenze correlate a tali interessi.<br />
Il DCFR sperimenta la risoluzione di problemi che vanno al di là del<br />
settore della tutela dei consumatori, predisponendo un modello normativo<br />
che virtualmente dia risposta a questioni di diritto contrattuale europeo generale.<br />
Tutto ciò mediante procedure chiare e formalizzate, e l’impiego di
SAGGI 191<br />
un linguaggio giuridico uniforme che dovrebbero garantire in primo luogo<br />
una revisione dell’acquis dei consumatori e successivamente maggiore coerenza<br />
tra i settori del diritto contrattuale.<br />
Tuttavia il DCFR si presenta (ed i suoi autori tale lo definiscono) come<br />
un lavoro di stampo accademico, strutturato in model rules e principi che<br />
non sempre rappresentano il risultato di una rivisitazione coerente dell’esistente<br />
acquis comunitario.<br />
Ma non è tutto. Tale rivisitazione sembra essere strumentale alla rimozione<br />
degli ostacoli economici che impediscono l’ulteriore sviluppo del<br />
mercato comune, trascurando nella disciplina sostanziale quei valori di solidarietà<br />
e giustizia sociale che pure trovano enunciazione nelle intenzioni<br />
dei redattori. Si tratta di un limite intrinseco alla stessa natura del DCFR, il<br />
cui scopo principalmente consiste nell’apportare un miglioramento alla legislazione<br />
comunitaria, quanto meno in termini di riordinamento ed<br />
uniformazione.<br />
Tale tentativo sembra concretizzarsi nel Libro II relativo ai contratti, in<br />
particolare nella sezione avente ad oggetto la disciplina del diritto di recesso,<br />
dove si ritrovano norme suscettibili di immediata applicazione e nella<br />
quale realmente sembra confluire il dettato normativo comunitario.<br />
Forse la stessa cosa non accade nelle disposizioni relative alle obbligazioni<br />
e ad alcuni contratti specifici: per queste i redattori del DCFR procedono<br />
nel senso di fornire semplicemente i principi base della materia di volta<br />
in volta affrontata, principi ricavati dalla comparazione tra gli ordinamenti<br />
dei vari Stati membri, ma in ogni caso privi di quel minimo comun<br />
denominatore che potrebbe derivare dalla legislazione comunitaria.<br />
In conclusione, il DCFR, quale tentativo di elaborazione e definizione<br />
di norme comuni, costituisce un importante traguardo in materia di diritto<br />
contrattuale europeo, non trascurabile in termini di esercitazione accademica,<br />
valorizzabile quale strumento di formazione giuridica con cui i professionisti<br />
e gli operatori del diritto dell’UE sono chiamati a confrontarsi ed<br />
utilizzabile come punto di partenza per la istituzione di un regolamento<br />
quale strumento facoltativo di diritto europeo dei contratti.<br />
Sarebbe, a questo proposito, anche auspicabile che la Commissione,<br />
nell’individuazione delle prossime azioni per l’edificazione di un diritto<br />
contrattuale europeo, chiarisca anche le possibili interazioni tra detto strumento<br />
(e quindi, eventualmente, il DCFR) e la proposta di direttiva unificata<br />
lanciata nella COM(648) 2008, qualora questa venga ad esistenza.<br />
Diversamente, infatti, i benefici in termini di trasparenza normativa,<br />
singolarmente apportati da ciascuna di queste opzioni, saranno annullati<br />
nell’incertezza di un sistema normativo di per sé già articolato e complesso.
GIACOMO PAILLI<br />
Commercio internazionale e giurisdizione consensuale: le “proposte”<br />
della Convenzione dell’Aja del 30 giugno 2005<br />
sulle clausole di scelta del foro<br />
“. . . at a time when the various economic regions in<br />
the world are becoming more interdependent every day<br />
– a process that will be further enforced by the successful<br />
completion of the latest Uruguay Round of the<br />
GATT negotiations and the creation of the World Trade<br />
Organization – and when the 1958 New York Arbitration<br />
Convention and the 1980 Vienna Sales Convention<br />
demonstrate the viability of worldwide legal frameworks<br />
in the commercial area, it appears an anomaly<br />
that there is still, a century after the First Session of the<br />
Hague Conference in 1893, no multilateral instrument<br />
available on a worldwide scale for the recognition and<br />
enforcement of judicial decisions”<br />
(Annotated checklist of issues to be discussed at the meeting of<br />
the Special Commission of June 1994)( 1 )<br />
Sommario: 1. Introduzione. – 2. Ambito di applicazione. – 2.1. Internazionalità della controversia.<br />
– 2.2. Clausole esclusive. – 2.3. Materia civile e commerciale. – 3. I tre principi<br />
fondamentali. – 3.1. Il giudice eletto deve esercitare la propria giurisdizione. – 3.2. Il<br />
giudice non scelto deve astenersi. – 3.3. Tutti i giudici devono riconoscere e dare esecuzione<br />
alla decisione. – 4. Il regime delle dichiarazioni. – 5. Conclusioni.<br />
1. – L’obiettivo ambizioso di promuovere uno spazio giudiziario globale<br />
per il commercio internazionale impegna, a partire dagli inizi degli anni ’90,<br />
un cospicuo numero di paesi nell’ambito della Conferenza dell’Aja sul diritto<br />
internazionale privato. Il tentativo perseguito è quello di elaborare una<br />
Convenzione di carattere universale sulla giurisdizione e il riconoscimento<br />
delle decisioni giudiziarie in materia civile e commerciale ( 2 ). Tale opera, se<br />
( 1 ) Prel. doc. n. 1 maggio 1994 – disponibile sul sito web della Conferenza dell’Aja http://<br />
www.hcch.net (ultimo accesso 10 agosto 2010).<br />
( 2 ) Sui lavori di preparazione della auspicata Convenzione v. innanzitutto l’articolo di<br />
Von Mehren che ne costituisce il punto di avvio, Recognition and Enforcement of Foreign
SAGGI 193<br />
pur non ancora coronata dal successo del “grande risultato”, ( 3 ) ha lasciato<br />
agli operatori del settore un prezioso strumento per regolare in via negoziale<br />
Judgments: A New Approach for the Hague Conference, in 57(3) Law & Contemp. Probs., 1994,<br />
p. 271. Non a caso Teitz, The Hague Choice of Court Convention: Validating Party Autonomy<br />
and Providing an Alternative to Arbitration, in 53(3) Am. J. Comp. L., 2005, p. 543, la definisce<br />
“Arthur’s baby”. V. inoltre Von Mehren, Drafting a Convention on International Jurisdiction<br />
and the Effects of Foreign Judgments Acceptable World-Wide: Can the Hague Conference Project<br />
Succeed, in 49(2) Am. J. Comp. L., 2001, p. 191; Juenger, A Hague Judgments Convention, in<br />
24 Brook. J. Int’l L., 1998-1999, p. 111; Lowenfeld, Thoughts about a Multinational Judgments<br />
Convention: A Reaction to the von Mehren Report, in 57(3) Law & Contemp. Probs., 1994, p. 289;<br />
Burbank, Jurisdictional Equilibration, the Proposed Hague Convention and Progress in National<br />
Law, in 49 Am. J. Comp. L., 2001, p. 205. Oltre all’obiettivo di promuovere uno spazio giudiziario<br />
globale, alla base delle trattative v’erano ulteriori elementi. Uno di questi è la circostanza<br />
che gli Stati Uniti non sono parte di alcun trattato relativo alla giurisdizione e al riconoscimento<br />
delle sentenze. L’unica esperienza degna di nota in tal senso è rappresentata dai<br />
negoziati intercorsi negli anni ’70 tra USA e Regno Unito, naufragati a causa delle perplessità<br />
inglesi – in particolare nel settore assicurativo – circa gli enormi risarcimenti aggiudicati dalle<br />
giurie americane, Juenger, A Hague Judgments Convention, cit., pp. 111-13. Il problema dei<br />
“punitive damages” o “awards” non è stato sottovalutato dai redattori della Convenzione del<br />
2005, come mostra l’art. 11, sul quale v. infra al par. 3.3. Inoltre, la dottrina americana ha ripetuto<br />
a più riprese che l’iniziativa del progetto è stata presa dagli USA per via della percezione<br />
diffusa circa l’orientamento restrittivo degli ordinamenti stranieri nei confronti del riconoscimento<br />
delle decisioni dei giudici statunitensi. L’affermazione ricorrente è che la parte vittoriosa<br />
in un processo americano ha seri problemi ad ottenere il riconoscimento e l’esecuzione<br />
della propria decisione in altri paesi, mentre i giudici statunitensi mostrerebbero grande apertura<br />
verso le decisioni rese in giurisdizioni straniere. Non è questa la sede per un’analisi critica<br />
sull’attitudine delle varie giurisdizioni in tema di riconoscimento dei dicta stranieri. È comunque<br />
auspicabile che giudizi e valutazioni in questa materia siano supportati da studi empirici<br />
e non solo da suggestioni dottrinarie. Nel senso del marcato squilibrio v., tra gli altri,<br />
Teitz, The Hague Choice of Court Convention: Validating Party Autonomy and Providing an Alternative<br />
to Arbitration, cit., pp. 544 e 548; Hartley, The Hague Choice of Court Convention, in<br />
Eur. Law Rev., 2006, pp. 414-415; Woodward, Saving the Hague Choice of Court Convention, in<br />
29 U. Pa. J. Int’l L., 2007-2008, pp. 658-59. Contra Juenger, A Hague Judgments Convention,<br />
cit., pp. 114 ss., Lowenfeld, Thoughts about a Multinational Judgments Convention: A Reaction<br />
to the von Mehren Report, cit., p. 303, Perez, The International Recognition of Judgments:<br />
The Debate Between Private and Public Law Solutions, in 19 Berkeley J. Int’l L., 44, 2001, p. 57.<br />
( 3 ) Sulle ragioni del fallimento v. Burbank, Jurisdictional Equilibration, the Proposed Hague<br />
Convention and Progress in National Law, cit., passim e il volume The Hague Preliminary<br />
Draft Convention on Jurisdiction and Judgments, a cura di Pocar e Honorati, Padova, 2005. Il<br />
progetto originario ha incontrato numerosi ostacoli, derivanti in primo luogo dalla forte disomogeneità<br />
dei sistemi giuridici partecipanti alla Conferenza. Così, dopo due tentativi di redigere<br />
un testo complessivo nel 1999 e nel 2001, si è deciso di concentrare gli sforzi sulle sole<br />
clausole di scelta del foro, strumento di grande importanza per il commercio internazionale<br />
sul quale l’accordo non pareva impossibile. L’esito di queste rinnovate trattative è la Convenzione<br />
che ci proponiamo di esaminare. Teitz, The Hague Choice of Court Convention: Valida-
194 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
questioni di giurisdizione relative ai loro rapporti contrattuali: si tratta della<br />
Convenzione dell’Aja sulle clausole di scelta del foro ( 4 ) che, in attesa di raccogliere<br />
gli strumenti di ratifica necessari per la sua entrata in vigore, può contare<br />
sin da ora sulle preziose firme degli Stati Uniti e dell’Unione Europea ( 5 ) ol-<br />
ting Party Autonomy and Providing an Alternative to Arbitration, cit., p. 545, sottolinea altri elementi<br />
che hanno portato al naufragio del progetto originario, quali l’imprevedibile diffusione<br />
di internet e del commercio elettronico, la centralità assunta, perlomeno in campo europeo,<br />
dalla figura del consumatore, nonché l’accelerazione (per certi versi inaspettata) del processo<br />
di integrazione della Comunità Europea, oggi Unione; v. anche Talpis e Krnjevic, The Hague<br />
Convention on Choice of Court Agreements of June 30, 2005: The Elephant That Gave Birth<br />
to a Mouse, in 13 Sw. J. L. & Trade Am., 2006-2007, p. 3. Hartley, The Hague Choice of Court<br />
Convention, cit., p. 415, evidenzia i diversi obiettivi degli attori principali: limitare la giurisdizione<br />
esorbitante degli Stati Uniti per l’<strong>Europa</strong>, aumentare il riconoscimento e l’esecuzione<br />
delle proprie sentenze all’estero per gli Stati Uniti. Per Brand, in The Hague Preliminary Draft<br />
Convention on Jurisdiction and Judgments, a cura di Pocar e Honorati, cit., p. 82: “in the end<br />
[...] it may not be differences in legal systems but rather differences in negotiating goals that have<br />
determined and will determine whether a broader convention really is possible”. Il nodo evidenziato<br />
dall’A. rimane tuttora da sciogliere.<br />
( 4 ) La Convenzione, pubblicata in cartaceo su 44 I.L.M. 1294 (2005), è disponibile sul sito<br />
web della Conferenza dell’Aja http://www.hcch.net (ultimo accesso 10 agosto 2010). Al medesimo<br />
indirizzo è possibile trovare anche i documenti preliminari e preparatori della Convenzione,<br />
il rapporto di Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice<br />
of Court Agreements Convention, edito dal Permanent Bureau of the Conference (2007) (più<br />
volte citato nel presente scritto), nonché una ricca bibliografia, all’interno della quale possono<br />
essere evidenziati i contributi di Hartley, The Hague Choice of Court Convention, cit.; Kessedjan,<br />
L’élection de for – Vers une nouvelle convention de La Haye, in Grenzüberschreitungen.<br />
Beiträge zum Internationalen Verfahrensrecht und zur Schiedsgerichtsbarkeit. Festschrift für Peter<br />
Schlosser zum 70. Geburtstag, edito da Bachmann et al., Tübingen, 2005 e Id., La Convention<br />
de La Haye du 30 juin 2005 sur l’élection de for, in Journal dr. int., 2006, p. 813 ; Kruger, The<br />
20th Session Of The Hague Conference: A New Choice Of Court Convention And The Issue Of EC<br />
Memebership, in 55 Int’l & Comp. L. Quart., 2006, p. 447; Schulz, The 2005 Hague Convention<br />
on Choice of Court Clauses, in 2(2) J. Private Int’l L., 2006, p. 243; Teitz, The Hague Choice of<br />
Court Convention: Validating Party Autonomy and Providing an Alternative to Arbitration, cit.;<br />
Thiele, The Hague Convention on Choice-of-Court Agreements – was it worth the effort, in Conflict<br />
of Laws in a Globalized World edito da Gottschalk et al., Cambridge University Press,<br />
2007; Woodward, Saving the Hague Choice of Court Convention, cit. Per un commento italiano<br />
v. Bortolotti, Manuale di diritto commerciale internazionale, 2009, Padova, p. 491 ss.<br />
( 5 ) La Convenzione, in doppio originale inglese e francese, entrerà in vigore solo a seguito<br />
del deposito del secondo strumento di ratifica o adesione (art. 31): ad oggi solo il Messico<br />
ha depositato il relativo strumento (di adesione), mentre Stati Uniti e Unione Europea si sono<br />
limitati a firmare il testo. La firma da parte dell’Unione Europea e non dei singoli Stati<br />
prende le mosse dal parere 1/03 reso il 7 febbraio 2006 dalla Corte di Giustizia Europea, la<br />
quale ha avuto modo di definire le competenze esterne della Comunità Europea in materia di
SAGGI 195<br />
tre che sull’interesse ad aderirvi mostrato dalla Cina che non sembra essere<br />
di carattere solo formale ( 6 ).<br />
Il testo della Convenzione, pur nella sua inevitabile natura di compromesso,<br />
costituisce uno sforzo decisamente apprezzabile di coordinare sistemi<br />
giuridici diversi che, proprio nel campo della selezione del foro e del<br />
regime da accordare alle relative clausole, esibiscono, prima ancora che soluzioni<br />
diverse, metodi ed approcci segnati da policies profondamente divergenti.<br />
Al mondo dei paesi di civil law, orientati a porre la questione delle clausole<br />
in parola in termini di limiti formali alla loro ammissibilità, si contrappone<br />
quello dei paesi di common law orientati ad escludere un’automatica<br />
efficacia vincolante di tali clausole rispetto al inherent power discrezionale<br />
delle corti cui viene riconosciuta la prerogativa di dare loro attuazione nel<br />
caso concreto. Ciò, peraltro, non deve indurre a ritenere che il mondo anglo-americano<br />
non tenga in alta considerazione le clausole di proroga come<br />
strumento di delocalizzazione della giurisdizione ( 7 ).<br />
Stabilendo regole uniformi ed equivalenti nell’insidioso settore della<br />
selezione del giudice competente a conoscere della controversia, la Convenzione<br />
mira a garantire agli operatori commerciali prevedibilità in ordine<br />
al foro deputato all’esercizio della giurisdizione e certezza riguardo alla circolazione<br />
della decisione resa da tale foro. Lo mette in chiara evidenza il<br />
competenza giurisdizionale, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia civile e<br />
commerciale. In particolare, muovendo dalla sentenza C-22/70 AETS del 31 marzo 1971, la<br />
Corte ha stabilito che “la conclusione della nuova Convenzione di Lugano, concernente la competenza<br />
giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale<br />
[...] rientra interamente nella competenza esclusiva della Comunità europea” (le sentenze<br />
della Corte di Giustizia citate nel presente scritto sono tutte disponibili al sito http://eurlex.europa.eu/it/index.htm<br />
– ultimo accesso 10 agosto 2010). Sulle competenze esterne della<br />
UE alla luce del parere della Corte, v. Pocar (a cura di), The External Competence of the European<br />
Union and Private International Law, Padova, 2007. V. anche Gaja, Sulle competenze della<br />
Comunità Europea rispetto alla cooperazione giudiziaria in materia civile, in Il diritto processuale<br />
civile nell’avvicinamento giuridico internazionale – Omaggio ad Aldo Attardi, a cura di Colesanti<br />
et al., Padova, 2009, p. 49 ss. Al momento della firma della Convenzione dell’Aja del<br />
2005, il 1° aprile 2009, la Comunità ha dichiarato di avvalersi della facoltà concessa dall’art. 30<br />
della Convenzione stessa, firmando il testo il quale, una volta depositato lo strumento di ratifica,<br />
vincolerà tutti gli Stati membri (con la consueta eccezione della Danimarca) senza necessità<br />
di alcun atto di ratifica o accessione da parte di questi. V. anche la Decisione del Consiglio<br />
dell’Unione Europea 2009/397/CE (in G.U.U.E., L 133, 29 maggio 2009).<br />
( 6 ) V. Guangjian, The Hague Choice of Court Convention – A Chinese Perspective, in 55<br />
Am. J. Comp. L., 2007, p. 347.<br />
( 7 ) V. Lupoi, Conflitti transnazionali di giurisdizioni, I, Milano, 2002, p. 553 ss.
196 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
preambolo della Convenzione quando sottolinea l’importanza di “uniform<br />
rules on jurisdiction and on recognition and enforcement of foreign judgments<br />
in civil matters” tese a creare un “international regime that provides certainty<br />
and ensures the effectiveness of exclusive choice of court agreements between<br />
parties to commercial transactions and that governs the recognition and enforcement<br />
of judgments resulting from proceedings based on such agreements” ( 8 ).<br />
Coordinando funzionalmente la individuazione negoziale della iurisdictio<br />
con il riconoscimento della decisione risolutrice della controversia che<br />
emana dal giudice designato, la Convenzione dell’Aja segue il modello<br />
adottato con successo dalla Convenzione di New York del 1958 in materia<br />
di arbitrato ed intende in tal modo offrire ai contraenti internazionali una<br />
vera alternativa nella scelta tra mezzo arbitrale e mezzo giudiziario per la risoluzione<br />
delle controversie ( 9 ).<br />
Tre i principi regolatori finalizzati al raggiungimento di tale risultato: il<br />
giudice indicato nella clausola deve esercitare il suo potere decisorio; il giudice<br />
di un altro Stato contraente deve sospendere o declinare in ogni caso la<br />
propria giurisdizione, ancorché il giudice della proroga sia stato successivamente<br />
adito sulla stessa causa; qualsiasi giudice deve riconoscere e dare<br />
esecuzione alla decisione emessa nel foro eletto.<br />
2. – L’art. 1 dispone che la Convenzione trova applicazione “nelle controversie<br />
internazionali con riferimento agli accordi esclusivi di scelta della<br />
giurisdizione in materia civile e commerciale” ( 10 ). Per l’attivazione del sistema<br />
è necessario il concorso di tre elementi: la natura internazionale della<br />
controversia, l’esclusività della clausola di selezione del foro e la riconducibilità<br />
della situazione sostanziale che forma l’oggetto della lite all’interno<br />
dell’ampia nozione di “materia civile e commerciale”.<br />
2.1. – Quanto al carattere internazionale della controversia va subito rimarcato<br />
che la normativa convenzionale ne opera una differenziazione a<br />
seconda che entrino in gioco le regole sulla giurisdizione contenute nel<br />
chapter II della Convenzione oppure le regole sul riconoscimento e l’esecuzione<br />
enunciate nel chapter III.<br />
( 8 ) V. anche Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of Court<br />
Agreements Convention, cit., pp. 17 ss.<br />
( 9 ) Teitz, The Hague Choice of Court Convention: Validating Party Autonomy and Providing<br />
an Alternative to Arbitration, cit., p. 548.<br />
( 10 ) Art. 1 “This Convention shall apply in international cases to exclusive choice of court<br />
agreements concluded in civil or commercial matters”.
SAGGI 197<br />
Ai fini dell’applicazione della Convenzione al momento dell’esercizio<br />
della giurisdizione, una controversia è considerata “internazionale” in presenza<br />
di almeno un elemento di estraneità, ovvero di un collegamento con<br />
un ordinamento straniero. A dire il vero, l’art. 1(2) propone una definizione<br />
in negativo e qualifica una controversia come “internazionale” a meno che la<br />
residenza delle parti, la relazione contrattuale e tutti gli altri elementi rilevanti<br />
per la definizione della lite siano radicati in un unico Stato contraente<br />
( 11 ). In tal modo, si dà risposta negativa alla questione se sia sufficiente la designazione<br />
di un giudice straniero per conferire carattere di internazionalità<br />
ad un affare. L’alterazione che la proroga comporta al quadro delle competenze<br />
non è sufficiente, da sola, per vincolare i giudici dello Stato contraente<br />
al rispetto delle regole convenzionali. La scelta così operata dai redattori della<br />
Convenzione merita apprezzamento in quanto evita le incertezze ed i dibattiti<br />
suscitati in <strong>Europa</strong> sul punto se l’internazionalità della controversia<br />
sia un presupposto di applicazione delle normativa dell’art. 17 della Convenzione<br />
di Bruxelles del 1968, ora art. 23 del Regolamento 44/2001 ( 12 ).<br />
Nel momento della circolazione della decisione, invece, il paragrafo 3<br />
dell’art. 1 considera soddisfatto il requisito di “internazionalità” quando sia<br />
chiesto il riconoscimento o l’esecuzione di un provvedimento straniero. La<br />
categoria delle controversie “internazionali” ai fini del riconoscimento è,<br />
dunque, più ampia, permettendo la circolazione anche delle decisioni che<br />
risultano rese da un giudice non investito di competenza ai sensi dell’art.<br />
1(2) della Convenzione. L’aver validamente assunto la propria giurisdizione<br />
sulla base della Convenzione non è condizione per il riconoscimento<br />
della conseguente decisione. La decisione straniera circola indipendentemente<br />
dal titolo in base al quale il giudice l’ha emessa e anche se la Convenzione<br />
non avrebbe potuto trovare applicazione relativamente al momento<br />
dell’esercizio del potere giurisdizionale ( 13 ).<br />
( 11 ) Se ne potrebbe dedurre, a contrariis, che l’applicabilità della Convenzione non sia<br />
esclusa qualora tutti gli aspetti rilevanti si trovino in uno Stato non contraente e la clausola indichi<br />
un giudice interno alla Convenzione.<br />
( 12 ) Sul punto v. diffusamente Mari, Il diritto processuale civile della Convenzione di<br />
Bruxelles: il sistema della competenza, Padova, 1999, p. 587 e Thiele, The Hague Convention on<br />
Choice-of-Court Agreements – was it worth the effort, cit., pp. 67-68.<br />
( 13 ) Sul punto, cfr. Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of<br />
Court Agreements Convention, cit., p. 50: “It is not necessary that the court actually based its jurisdiction<br />
on the agreement. Article 8 also covers situations where the court of origin, though designated<br />
in an exclusive choice of court agreement, based its jurisdiction on some other ground, such<br />
as the domicile of the defendant”. La condizione richiesta per la circolazione è semplicemente<br />
che il giudice emittente fosse quello indicato nella clausola esclusiva ad opera delle
198 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
2.2. – Il secondo elemento che concorre a determinare l’ambito di applicazione<br />
della Convenzione è la natura “esclusiva” della clausola sulla giurisdizione<br />
( 14 ). Ai sensi dell’art. 3 sono da considerare “esclusive” le clausole<br />
stipulate tra due o più parti che conferiscono il potere di conoscere delle<br />
controversie, presenti o future, nate da uno specifico rapporto giuridico ad<br />
un giudice, o ai giudici, di uno Stato contraente ad esclusione di ogni altro<br />
giudice e che siano concluse o documentate in forma scritta o con altro mezzo<br />
di comunicazione che abbia i caratteri di una registrazione durevole ( 15 ).<br />
Il par. b) aggiunge che le clausole di scelta del foro devono presumersi<br />
esclusive, a meno che le parti abbiano indicato esplicitamente la natura non<br />
esclusiva. Se per un civil lawyer non vi è nulla di sorprendente in questa proposizione,<br />
la stessa è radicalmente innovativa ove si pensi alla consolidata<br />
attitudine della giurisprudenza anglo-americana di presumere, al contrario,<br />
la natura non esclusiva della clausola sulla giurisdizione, salvo indicazione<br />
letterale ed espressa di esclusività. Il meccanismo presuntivo previsto al par.<br />
parti, indipendentemente dalla circostanza che a detta clausola potesse applicarsi o meno la<br />
Convenzione ai sensi dell’art. 1(2) o dal titolo che il giudice ha posto alla base della propria<br />
giurisdizione. Ne consegue che la disciplina relativa alla giurisdizione e quella relativa al riconoscimento<br />
rappresentano momenti separati, specialmente in punto di valutazione dei vizi<br />
dell’accordo. Al riconoscimento è dedicato il par. 3.3. del presente scritto.<br />
( 14 ) Per Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of Court<br />
Agreements Convention, cit., pp. 30 e 38, la limitazione alle sole clausole esclusive muove dalla<br />
necessità di evitare di affrontare la questione relativa alla litispendenza che sarebbe stata<br />
chiamata in causa dall’estensione della copertura alle clausole non esclusive. Quest’ultime,<br />
per la loro natura, permettono la coesistenza di più giurisdizioni ugualmente competenti e,<br />
quindi, ugualmente legittimate a pronunciarsi su una controversia. In generale sulle “clausole<br />
esclusive” v. ivi, pp. 37-41. Per Kruger, The 20th Session Of The Hague Conference: A New<br />
Choice Of Court Convention And The Issue Of EC Memebership, cit., pp. 448 ss., si tratta di un<br />
“cultural clash” tra civil law e common law. Neanche la proroga c.d. “tacita” della giurisdizione<br />
è regolata dalla Convenzione dell’Aja. Sul punto v. anche Talpis e Krnjevic, The Hague Convention<br />
on Choice of Court Agreements of June 30, 2005: The Elephant That Gave Birth to a Mouse,<br />
cit., p. 9: “Under the Convention, an excluded court cannot acquire jurisdiction simply via<br />
informal measures taken by the defendant who is sued in an excluded forum; instead it must be<br />
conferred by a new express choice of court agreement that conforms to Article 3”.<br />
( 15 ) Art. 3 “un « accord exclusif d’élection de for » signifie un accord conclu entre deux ou plusieurs<br />
parties [...] qui désigne, pour connaître des litiges nés ou à naître à l’occasion d’un rapport<br />
de droit déterminé, soit les tribunaux d’un Etat contractant, soit un ou plusieurs tribunaux particuliers<br />
d’un Etat contractant, à l’exclusion de la compétence de tout autre tribunal [ ... et qui est]<br />
conclu ou documenté: i) par écrit; ou ii) par tout autre moyen de communication qui rende l’information<br />
accessible pour être consultée ultérieurement”. L’equiparazione tra forma scritta e registrazione<br />
durevole è mutuata dall’art. 6(1) UNCITRAL Model Law on Electronic Commerce<br />
del 1996, disponibile sul sito http://www.uncitral.org (ultimo accesso 10 agosto 2010).
SAGGI 199<br />
b) permette di espandere l’ambito applicativo della Convenzione stessa, attraendo<br />
nel novero delle clausole esclusive regolate dalla disciplina convenzionale<br />
un maggior numero di accordi sul foro.<br />
La regolazione del profilo formale della clausola presenta tratti peculiari,<br />
specialmente ove la si confronti con la disciplina europea dell’art. 23 del<br />
Regolamento 44/2001/CE. In controtendenza con la norma comunitaria,<br />
la Convenzione dell’Aja non prescrive l’adozione di una particolare forma<br />
per la validità dell’accordo, limitandosi a richiedere una forma ad probationem:<br />
( 16 ) l’accordo deve essere concluso o documentato per iscritto o su altro<br />
supporto duraturo. L’elemento formale, qui, non ha la funzione di tutelare<br />
la validità dell’accordo o la presenza di un “consenso effettivo”, la cui<br />
difesa è demandata ad altre specifiche norme relative al profilo sostanziale<br />
( 17 ), ma solo a dettare una regola processuale in punto di prova del patto<br />
sulla giurisdizione.<br />
( 16 ) Si sofferma sui profili formali Kessedjan, La Convention de La Haye du 30 juin 2005<br />
sur l’élection de for, cit., p. 824 ss. Bucher, La Convention de La Haye sur les accords d’élection<br />
de for,inRev. suisse dr. int. et eur., 2006, pp. 29, 36-37, specifica che, poiché l’accordo non deve<br />
essere confermato per iscritto ma solo documentato, ne consegue che non è necessario che la<br />
parte provi di aver dato comunicazione alla controparte circa l’avvenuta documentazione.<br />
Schulz, The 2005 Hague Convention on Choice of Court Clauses, cit., pp. 250 ss., nota che il diritto<br />
nazionale non può imporre requisiti formali ulteriori. Così anche Thiele, The Hague<br />
Convention on Choice-of-Court Agreements – was it worth the effort, cit., p. 70. Non è privo di<br />
significato che siano prevalentemente autori provenienti dall’area di civil law a soffermarsi sul<br />
profilo formale.<br />
( 17 ) Al contrario, nell’esperienza processuale europea, in difetto di indicazioni sul profilo<br />
sostanziale delle clausole sulla giurisdizione, la Corte di Giustizia ha legato la tutela del “consenso<br />
effettivo” dei contraenti al rispetto dei vincoli formali. Nella Convenzione dell’Aja il<br />
momento formale non esaurisce la verifica da parte del giudice, che è chiamato a dare una valutazione<br />
della clausola sia sotto il profilo della capacità delle parti alla conclusione dell’accordo,<br />
sia sotto il profilo della validità sostanziale (clausola null and void), v. infra nota 47 e<br />
parr. 3.2 e 3.3. Come sottolinea Teitz, The Hague Choice of Court Convention: Validating Party<br />
Autonomy and Providing an Alternative to Arbitration, cit., pp. 552-553, i redattori della Convenzione<br />
non sono riusciti a raggiungere un accordo per disciplinare in modo uniforme anche<br />
i requisiti sostanziali, optando per un rinvio al diritto nazionale: “It was ultimately left for<br />
the non-chosen or requested court to decide whether such a contract or the resulting judgment<br />
would not be enforced because it is “manifestly contrary” to the forum’s public policy”. In senso<br />
concorde anche Thiele,The Hague Convention on Choice-of-Court Agreements – was it worth<br />
the effort, cit., pp. 68-69 – e Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice<br />
of Court Agreements Convention, cit., p. 38. Al contrario, Talpis e Krnjevic, The Hague Convention<br />
on Choice of Court Agreements of June 30, 2005: The Elephant That Gave Birth to a Mouse,<br />
cit., p. 21 ritengono che la Convenzione, limitando le eccezioni all’operatività di una clausola<br />
esclusiva, finisca per dare una nozione autonoma di “accordo”, superando la frammenta-
200 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
La lettera della disposizione induce ad affermare, con relativa sicurezza,<br />
che la deroga alla giurisdizione deve costituire il frutto di un accordo (agreement)<br />
tra le parti e avere ad oggetto una relazione giuridica dai contorni definiti,<br />
intendendosi con tale prescrizione il divieto di accordi sulla giurisdizione<br />
c.d. “in bianco” o altrimenti indeterminati ( 18 ). D’altro canto, nonostante<br />
il riferimento all’accordo, pare non doversi escludere a priori la validità<br />
delle clausole contenute in formulari, condizioni generali di contratto<br />
o, più genericamente, in testi non negoziati: in ogni caso il giudice dovrà valutare<br />
se la clausola è stata validamente conclusa alla stregua delle regole<br />
sostanziali applicabili.<br />
Per la definizione dei limiti della “esclusività” è centrale il riferimento alle<br />
“courts of one Contracting State or one or more specific courts of one Contracting<br />
State to the exclusion of the jurisdiction of any other courts”. Dal tenore della<br />
norma si desume che, fintanto che si indichino giudici appartenenti ad un<br />
singolo Stato, sono consentite le combinazioni più varie: può indicarsi un<br />
giudice ben preciso (es. Tribunale civile di Milano), una frazione territoriale<br />
(es. “il foro competente è Cancùn, Messico”) o semplicemente lo Stato nella<br />
sua interezza ( 19 ). Possono altresì essere indicate combinazioni di corti di un<br />
singolo Stato, senza che ciò si ripercuota sull’esclusività della clausola. Al<br />
netto di un’espressa indicazione ad opera delle parti, quindi, ciò che caratterizza<br />
la clausola come “non esclusiva” è il coinvolgimento della giurisdizione<br />
rietà dei diritti nazionali: “Article 6 [...a]s such, subject to limited exceptions, [...] preserves<br />
agreements that would otherwise be unenforceable because, inter alia, the agreement was either in<br />
an adhesive business form setting, not negotiated, hidden in a standard form agreement, or incorporated<br />
in a computer readable click-wrap agreement”.<br />
( 18 ) Si parla di controversie “which have arisen or may arise in connection with a particular<br />
legal relationship”. Tali indicazioni sono rafforzate dalla disciplina che tutela il consenso delle<br />
parti poiché si può validamente esprimere il proprio consenso solo ove l’oggetto sia almeno<br />
sufficientemente determinabile. Non dovrebbe porre particolari problemi la clausola sulla<br />
giurisdizione contenuta in “accordi-quadro” destinati a dettare le regole per un numero indefinito<br />
di prestazioni future determinate dalla cornice normativa.<br />
( 19 ) Per Hartley, The Hague Choice of Court Convention, cit., p. 419, possono essere indicate<br />
come competenti anche “l’Unione Europea” o “la Corte di Giustizia Europea” ma la questione<br />
non è pacifica. Ai sistemi federali (definiti nella Convenzione “non-unified legal systems”)<br />
è dedicata una specifica previsione, l’art. 25, secondo la quale quando la Convenzione<br />
parla di “Stato” tale termine deve essere interpretato nel senso di “federazione” o “unità territoriale”<br />
avendo riguardo al caso concreto. Rimangono aperte alcune questioni come, ad<br />
esempio, se nei sistemi giuridici non unificati previsti dall’art. 25, sia possibile indicare come<br />
competenti le corti di due unità territoriali differenti (es. Ohio e New Jersey) oppure la giurisdizione<br />
statale e quella federale (es. Pennsylvania e District Court for the Southern District<br />
of the State of New York).
SAGGI 201<br />
di Stati differenti: l’esclusività sembra dipendere non tanto dall’aver indicato<br />
la competenza di un singolo giudice ma dalla riconducibilità delle varie indicazioni<br />
ad un unico Stato. Secondo l’opinione prevalente, non sono considerati<br />
esclusivi gli accordi c.d. “asimmetrici”, sia nel caso in cui la scelta del<br />
foro vincoli solo una delle parti contraenti, sia ove la clausola indichi giurisdizioni<br />
(anche esclusive ma) diverse per ciascuna delle parti dell’accordo<br />
( 20 ). È invece del tutto lecito prevedere fori differenti per segmenti diversi di<br />
uno stesso rapporto giuridico complesso (ad es. il foro di New York per le<br />
controversie relative al diritto d’autore e il Tribunale civile di Milano per tutte<br />
le altre controversie) ( 21 ).<br />
La lett. d) avverte che la clausola sulla giurisdizione rappresenta un elemento<br />
separato dal contratto nel quale sia eventualmente inserita ( 22 ). Tale<br />
specificazione ha sostanzialmente la funzione di impedire che una parte abbia<br />
il potere di eludere la clausola sulla giurisdizione semplicemente allegando<br />
l’invalidità del contratto che la contiene ( 23 ); al contempo si evita che<br />
la dichiarazione di invalidità di un contratto travolga la giurisdizione del<br />
giudice che l’ha rilevata. Infine, le complesse valutazioni circa la validità<br />
dell’intera relazione giuridica mal si conciliano con una decisione sulla giurisdizione,<br />
la cui definizione spedita costituisce un presupposto per la valutazione<br />
del merito della controversia ( 24 ).<br />
( 20 ) V. Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of Court Agreements<br />
Convention, cit., p. 39 ss. Anche un accordo del tenore “A deve agire nello Stato X, B<br />
nello Stato Y” causerebbe problemi di gestione della litispendenza ove entrambi i soggetti si<br />
attivassero contemporaneamente nei rispettivi fori. È questa la ragione dell’esclusione di fattispecie<br />
altrimenti diffuse e meritevoli di tutela. Nello stesso senso Thiele, The Hague Convention<br />
on Choice-of-Court Agreements – was it worth the effort, cit., p. 69; Bucher, La Convention<br />
de La Haye sur les accords d’élection de for, cit., p. 36.<br />
( 21 ) Cfr. Talpis e Krnjevic, The Hague Convention on Choice of Court Agreements of June<br />
30, 2005: The Elephant That Gave Birth to a Mouse, cit., pp. 11-12. Restano irrisolti i problemi<br />
di pregiudizialità e connessione tra giudizi, sui quali la Convenzione non si sofferma.<br />
( 22 ) Cfr. la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea in merito all’art. 23 del Regolamento<br />
44/2001/CE illustrata da Magnus, in BrusselsI Regulation, Magnus e Mankowski, 1 a<br />
ed., Sellier, 2007, p. 424 ss.<br />
( 23 ) Kessedjan, L’élection de for – Vers une nouvelle convention de La Haye, cit., p. 373, ricorda<br />
che l’autonomia della clausola sulla giurisdizione fa sì che l’elezione del giudice rimanga<br />
valida anche ove il contratto sia scaduto o risolto. La stessa A. in La Convention de La Haye<br />
du 30 juin 2005 sur l’élection de for, cit., pp. 830-31, critica la formulazione della norma, giudicandola<br />
insufficiente a garantire una piena autonomia materiale della clausola e a garantirne<br />
l’indipendenza giuridica dal resto del contratto.<br />
( 24 ) Non si dimentichi che la valutazione della validità della clausola così come prevista<br />
dalla Convenzione può già essere impegnativa (cfr. artt. 5, 6, 8 e 9), a maggior ragione laddo-
202 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Come vedremo più avanti, la determinazione del giudice ad opera delle<br />
parti non ha la forza di superare le regole interne di allocazione della giurisdizione<br />
per materia, valore e territorio: l’impressione è che i redattori della<br />
Convenzione abbiano inteso equilibrare il potere riconosciuto all’autonomia<br />
privata con le ragioni della sovranità statale, di fatto conferendo alle<br />
parti la potestas di individuare – in modo esclusivo – solo l’ordinamento entro<br />
il quale litigare, ma non lo specifico giudice.<br />
Merita un cenno, in chiusura, la sorte delle clausole non esclusive, definibili<br />
in via residuale come tutte quelle che non soddisfano i requisiti appena<br />
descritti. Queste, nonostante risultino apparentemente estranee all’ambito<br />
di applicazione della Convenzione, sono oggetto di una disciplina particolare<br />
( 25 ). Poiché sono assai diffuse in certe prassi commerciali internazionali<br />
e come tali meritevoli di tutela, l’art. 22 riconosce agli Stati contraenti<br />
la possibilità di rendere una dichiarazione di reciproco riconoscimento<br />
delle decisioni emesse in virtù di una clausola sul foro non esclusiva.<br />
La Convenzione, in modo del tutto coerente con la natura non esclusiva<br />
dell’indicazione negoziale, non pone a carico dei giudici alcun obbligo positivo<br />
o negativo al momento dell’esercizio della giurisdizione ( 26 ). La decisione<br />
emessa, invece, dovrà essere riconosciuta in tutti gli Stati contraenti<br />
qualora sia lo Stato di provenienza che quello di destinazione abbiano effettuato<br />
la dichiarazione prevista dall’art. 22 ( 27 ).<br />
ve si rendesse necessario applicare anche le norme di diritto internazionale privato del foro, v.<br />
infra nota 47.<br />
( 25 ) Come accennato, in difetto di regole sulla litispendenza, le clausole non-esclusive<br />
consentono la (legittima) instaurazione di liti parallele. Kruger, The 20th Session Of The Hague<br />
Conference: A New Choice Of Court Convention And The Issue Of EC Memebership, cit., p.<br />
449. Teitz, The Hague Choice of Court Convention: Validating Party Autonomy and Providing an<br />
Alternative to Arbitration, cit., pp. 555-556, sostiene in modo alquanto netto che “[t]he decision<br />
not to cover them for jurisdictional purposes reflects the inability for the civil law tradition to accept<br />
the common law possibility of parallel litigation instead of a rather rigid lis pendens rule such<br />
as that in the Brussels Regulation”. Ma per Kessedjan, La Convention de La Haye du 30 juin<br />
2005 sur l’élection de for, cit., p. 816, per tutelare gli accordi non esclusivi anche nel momento<br />
giurisdizionale sarebbe bastato inserire una scarna regola di litispendenza che si limitasse a<br />
favorire il giudice adito per primo.<br />
( 26 ) In particolare sono esclusi gli obblighi previsti dagli artt. 5 e 6 della Convenzione, v.<br />
infra i parr. 3.1 e 3.2.<br />
( 27 ) Ulteriori requisiti sono: che la decisione provenga dal giudice adito per primo in via<br />
cronologica, che non esista un’altra decisione emessa in uno dei fori indicati nell’accordo non<br />
esclusivo o che in uno di questi stessi fori non sia pendente un giudizio sulla medesima contesa.
SAGGI 203<br />
2.3. – La nozione di “materia civile e commerciale”, nonostante non sia<br />
espressamente definita da alcuna norma, costituisce un termine usuale nelle<br />
convenzioni elaborate dalla Conferenza dell’Aja e deve essere interpretata<br />
in modo autonomo e sistematico alla luce delle varie indicazioni, principalmente<br />
di tipo negativo, contenute nella Convenzione stessa ( 28 ).<br />
I primi riferimenti a tal proposito sono relativi al profilo soggettivo delle<br />
parti dell’accordo di deroga. L’art. 2(5), infatti, specifica in via generale che<br />
la mera natura “pubblicistica” di una delle parti dell’accordo non impedisce<br />
l’applicazione della Convenzione ( 29 ). Il comma 1 del medesimo articolo, a<br />
sua volta, in coerenza con l’obiettivo della Convenzione di dettare regole<br />
per la “business community”, esclude dal novero degli accordi regolati dalla<br />
normativa convenzionale tutti quelli nei quali sia parte un consumatore o<br />
un lavoratore ( 30 ).<br />
( 28 ) Cfr. Hartley e M. Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of Court<br />
Agreements Convention, cit., p. 30. Per Kessedjan, L’élection de for – Vers une nouvelle convention<br />
de La Haye, cit., p. 368, “[s]eules les opérations commerciales sont concernées par le projet<br />
[ ...]. [O]n ne comprend pas pourquoi, dans l’article 1.1 du projet l’expression « matière civile ou<br />
commerciale » est reprise. Il s’agit vraisemblablement d’une simple erreur de plume tant l’expression<br />
est habituelle dans le teste de la Conférence”. Concorda anche Hartley, The Hague Choice<br />
of Court Convention, cit., p. 419.<br />
( 29 ) Art. 2(5): “Proceedings are not excluded from the scope of this Convention by the mere<br />
fact that a State, including a government, a governmental agency or any person acting for a State,<br />
is a party thereto”. Radicati Di Brozolo, Antitrust Claims: Why Exclude Them from The Hague<br />
Jurisdiction and Judgments Convention, 4(2) Global Jurist Advances (2004), p. 5, testo e note,<br />
sottolinea come questa norma avrebbe potuto essere formulata in modo più chiaro specificando<br />
che sono escluse dall’ambito di applicazione della Convenzione tutti quei procedimenti<br />
in cui è parte un Autorità che agisca in virtù di poteri di imposizione di natura pubblicistica.<br />
L’A. pensa in particolare alle Autorità di garanzia della concorrenza, sulle quali v. infra<br />
nota 38.<br />
( 30 ) La definizione di consumatore adottata non è delle più felici e potrebbe dare luogo ad<br />
alcuni inconvenienti. L’Art. 2(1), infatti, invece di basarsi su una definizione residuale, come<br />
quella comunitaria, che individua quale “consumatore” colui che non è professionista, ne definisce<br />
i confini in positivo: “This Convention shall not apply to exclusive choice of court agreements<br />
[...]to which a natural person acting primarily for personal, family or household purposes<br />
(a consumer) is a party”. Dunque, è consumatore chi agisce per uno scopo che è principalmente<br />
legato a ragioni personali, familiari o di gestione domestica. Così si crea uno iato tra la<br />
disciplina convenzionale e quella comunitaria ove l’elezione del foro sia pattuita da un soggetto<br />
che, pur non agendo per uno scopo “personale, familiare o legato alla gestione dell’abitazione”,<br />
non stia nemmeno agendo nell’ambito o ai fini della propria attività professionale.<br />
Tale difformità potrebbe dar luogo ad una riserva da parte dell’Unione Europea volta ad ampliare<br />
l’eccezione in materia di consumatori, oppure alla – scorretta – applicazione della clausola<br />
di “public policy” da parte dei giudici del Vecchio Continente per evitare il riconosci-
204 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Sul piano oggettivo la nozione è circoscritta dal lungo elenco di materie<br />
previste dal secondo comma dell’art. 2 che precludono l’operatività della<br />
Convenzione ( 31 ) a meno che il giudice debba conoscerne solo in via incidentale<br />
( 32 ). Alcune materie sono escluse per i peculiari interessi coinvolti,<br />
alcune per l’esistenza di specifici trattati internazionali in materia e altre per<br />
la tecnicità delle normative che regolano il fenomeno. L’elenco è lungo e include<br />
stato e capacità giuridica delle persone fisiche; obbligazioni alimentari;<br />
diritto di famiglia e regime patrimoniale tra i coniugi; successioni; fallimento;<br />
trasporto di passeggeri e merci ( 33 ); inquinamento marittimo e questioni<br />
di diritto della navigazione ( 34 ); responsabilità per danni da incidente<br />
nucleare; azioni di risarcimento dei danni alle persone promosse da o per<br />
persone fisiche; responsabilità extracontrattuale per lesione di beni materiali<br />
( 35 ); diritti reali; validità, nullità o scioglimento delle persone giuridiche,<br />
nonché la validità delle delibere dei relativi organi; validità delle iscrizioni in<br />
pubblici registri; arbitrato e procedimenti connessi ( 36 ).<br />
Anche il diritto antitrust risulta escluso e in questa esclusione rientrano<br />
le cause promosse da soggetti privati per la repressione di condotte di concorrenza<br />
sleale o di abuso di posizione dominante, mentre i procedimenti<br />
di natura pubblicistica o addirittura penale risultano già estranei all’ambito<br />
mento e l’esecuzione della decisione che coinvolga un consumatore, distolto da quello che<br />
l’Unione Europea considera il suo foro naturale; su dichiarazioni e public policy v. amplius infra<br />
ai parr. 4 e 3.3. La definizione di consumatore non incontra il plauso nemmeno oltreoceano,<br />
cfr. Woodward, Saving the Hague Choice of Court Convention, cit., pp. 683 ss. Tuttavia, occorre<br />
osservare che la definizione di “consumer” è analoga a quella contenuta nell’Uniform<br />
Commercial Code 2-103(e) (2004) e nella Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale<br />
di merci del 1980, art. 2(a).<br />
( 31 ) Hartley, The Hague Choice of Court Convention, cit., p. 421 ss. L’elenco è lungo, nessun<br />
autore manca di farlo osservare. Diverse sono però le valutazioni in merito.<br />
( 32 ) Specialmente ove ciò consegua alle difese di parte convenuta, prosegue l’art. 2(3).<br />
Sulle questioni preliminari v. anche infra al par. 3.3.<br />
( 33 ) La Convenzione dell’Aja non prende posizione, tra l’altro, sul fenomeno delle polizze<br />
di carico (bill of lading), che ha suscitato più di una questione interpretativa in seno al Regolamento<br />
44/2001; cfr. le decisioni della Corte di Giustizia nelle cause C-71/83 Tilly Russ c.<br />
NV Goeminne Hout, in Racc., 1984, p. 577 e C-159/97 Trasporti Castelletti c. Hugo Trumpy, in<br />
Racc., 1999, p. 1597.<br />
( 34 ) Art. 2(2)(g). In modo più preciso: “marine pollution, limitation of liability for maritime<br />
claims, general average, and emergency towage and salvage”.<br />
( 35 ) Art. 2(2)(k): “tort or delict claims for damage to tangible property that do not arise from<br />
a contractual relationship”.<br />
( 36 ) L’eccezione relativa all’arbitrato è contenuta al quarto comma dell’art. 2, ed è ovviamente<br />
giustificata dalla esistenza e diffusione della Convenzione di New York del 1958.
SAGGI 205<br />
di applicazione in quanto riconducibili non alla “materia civile e commerciale”<br />
ma ad atti autoritativi di diritto pubblico ( 37 ). La ratio dell’esclusione<br />
del versante “privato” del diritto della concorrenza sembra da ricondurre al<br />
disaccordo esistente tra i vari Stati circa le policies sottostanti, nonché all’obiettivo<br />
di evitare che la scelta del foro venga posta in essere al fine di derogare<br />
le giurisdizioni che conoscono normative antitrust in favore di Stati privi<br />
di tale disciplina ( 38 ).<br />
La proprietà intellettuale è sottoposta ad un regime differenziato: sono<br />
inclusi nell’ambito della Convenzione gli accordi sulla giurisdizione relativi<br />
alla validità o alla violazione del diritto d’autore, dei diritti collegati e le<br />
controversie relative a tutti gli altri diritti di proprietà intellettuale (es. marchi<br />
e brevetti) nel caso che la violazione derivi da un inadempimento contrattuale.<br />
Per ogni altra controversia in materia (quale, ad esempio, un’azione<br />
inibitoria o di risarcimento per un uso illegittimo di un marchio altrui) è<br />
esclusa l’applicabilità della Convenzione.<br />
Particolare menzione merita, infine, il regime dei contratti di assicurazione<br />
e riassicurazione (art. 17) che sono espressamente coperti dall’ambito<br />
di applicazione della Convenzione anche qualora il rischio assicurato rientri<br />
nel novero delle materie escluse dall’art. 2 ( 39 ).<br />
Anche se i vari sistemi giuridici conoscono una diversa ripartizione delle<br />
materie tra diritto pubblico e privato, tanto che in astratto un ordinamento<br />
potrebbe ritenere coperto dalla Convenzione un accordo escluso per altri<br />
( 40 ), è ragionevole presumere che, alla luce delle indicazioni che i giudici<br />
( 37 ) Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of Court Agreements<br />
Convention, cit., p. 32.<br />
( 38 ) Si rimanda allo specifico articolo di Radicati Di Brozolo, Antitrust Claims: Why Exclude<br />
Them from The Hague Jurisdiction and Judgments Convention, cit. L’A. è assai critico verso<br />
l’esclusione tout court della materia, consigliando, al contrario, di includere le azioni antitrust<br />
promosse dai privati.<br />
( 39 ) Questa norma, che si scontra in qualche modo con la disciplina comunitaria prevista<br />
dagli artt. 7 e ss. del Regolamento 44/2001/CE posta a tutela di assicurati e danneggiati, potrebbe<br />
essere oggetto di una dichiarazione dell’Unione Europea volta ad escludere dal novero<br />
delle materie coperte dalla Convenzione i rapporti assicurativi, onde allineare la Convenzione<br />
in esame al regime garantista del Regolamento, v. infra al par. 4.<br />
( 40 ) V., ad esempio, quanto sostenuto nel rapporto Schlosser sulla Convenzione relativa<br />
all’adesione del Regno di Danimarca, dell’Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda<br />
del Nord (1978) alla Convenzione di Bruxelles del 1968 (GUCE, 1979, C 59, pp. 71, 82 e<br />
83): “In the United Kingdom and in Ireland the expression ‘civil law’ is not a technical term and<br />
has more than one meaning. It is used mainly as the opposite of criminal law. Except in this limited<br />
sense, no distinction is made between ‘private’ and ‘public’ law which is in any way comparable<br />
to that made in the legal systems of the original Member States, where it is of fundamental im-
206 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
possono ricavare dalla Convenzione, non saranno molti i casi di conflitto o<br />
disaccordo in concreto circa la riconducibilità della materia del contendere<br />
nell’ambito di applicazione della Convenzione.<br />
3. – Abbiamo già avuto modo di menzionare che il fulcro dell’impianto<br />
normativo predisposto dal documento convenzionale è costituito da tre regole<br />
fondamentali, le quali rappresentano anche il risultato dell’impegno<br />
volto a coordinare le diverse policies in materia seguite dai sistemi della tradizione<br />
di civil law e di common law: il giudice indicato nella clausola esclusiva<br />
deve esercitare la propria giurisdizione; i giudici di un altro Stato membro<br />
sono obbligati a sospendere o declinare la propria giurisdizione a favore<br />
del giudice della proroga e, infine, le decisioni emesse nel foro eletto devono<br />
essere riconosciute ed eseguite. A fronte di questa geometrica linearità<br />
sono previste delle eccezioni che conferiscono al sistema un notevole (e<br />
secondo alcuni anche eccessivo) tasso di elasticità.<br />
3.1. – Secondo l’art. 5, il giudice designato dalle parti ( 41 ) nella clausola<br />
sulla giurisdizione deve (“shall ”) esercitare la propria giurisdizione (effetto<br />
di proroga della giurisdizione) e non può declinarla sulla base di una valutazione<br />
di maggior appropriatezza di un altro foro: si tratta di un rudimentale<br />
divieto di applicazione della dottrina del forum non conveniens ( 42 ), ma il ri-<br />
portance. Constitutional law, administrative law and tax law are all included in civil law”. A differenza<br />
della Convenzione di Bruxelles del 1968, la Convenzione dell’Aja del 2005 manca di<br />
escludere specificamente le materie fiscale, doganale, amministrativa e la sicurezza sociale.<br />
Problemi analoghi sorgono anche in materia processuale, cfr. i cenni svolti infra al par. 7.3 relativamente<br />
alle “questioni preliminari”. Sul punto anche Lowenfeld, Thoughts about a Multinational<br />
Judgments Convention: A Reaction to the von Mehren Report, cit., p. 301 ss.<br />
( 41 ) La Convenzione regola l’efficacia della clausola nei confronti delle parti che l’hanno<br />
stipulata. Non è chiaro cosa accada quando un soggetto terzo subentri ad una delle parti originarie<br />
del rapporto. Per Bucher, La Convention de La Haye sur les accords d’élection de for,<br />
cit., p. 41, nel silenzio della Convenzione, si applica il diritto nazionale. Così anche la giurisprudenza<br />
della Corte di Giustizia sul Regolamento 44/2001/CE, nella sentenza del 19 giugno<br />
1984, causa C-71/83, Tilly Russ c. NV Goeminne Hout, cit.<br />
( 42 ) I redattori della Convenzione hanno ritenuto di non prendere posizione circa l’annosa<br />
controversia tra civil law e common law relativamente alla prevalenza della dottrina del forum<br />
non conveniens o della litispendenza in merito alle clausole sulla giurisdizione. I principi<br />
ispiranti le diverse discipline, cioè da un lato giustizia sostanziale ed economia dei procedimenti,<br />
dall’altro coordinamento dei giudizi e armonia dei giudicati, sono valori ai quali tendono<br />
tutti i testi relativi alla giurisdizione internazionale. I redattori hanno preferito non affrontare<br />
la questione, creando un sistema imperniato sulla “coscienza” del singolo giudice:<br />
così Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of Court Agreements
SAGGI 207<br />
sultato ottenuto non deve essere sottovalutato. Come la presunzione di<br />
esclusività, anche il divieto in parola rappresenta una grande novità per il<br />
modo in cui il mondo della common law (ed in specie quello statunitense)<br />
tratta tradizionalmente le clausole di scelta del foro. Il giudice di common<br />
law, infatti, in linea di principio, non si ritiene vincolato dall’indicazione<br />
delle parti, sia questa un’attribuzione o una privazione del potere di ius dicere.<br />
La clausola costituisce solo uno tra i vari elementi da tenere in considerazione<br />
nella decisione (discrezionale) sull’an dell’esercizio o del non<br />
esercizio del potere giurisdizionale ( 43 ). Proprio questo potere discrezionale<br />
di dare o non dare osservanza alle clausole di elezione del foro sulla base<br />
di considerazioni di opportunità viene fortemente limitato dalla disposizione<br />
richiamata.<br />
La proroga della giurisdizione del giudice eletto, esclusiva (art. 3,<br />
lett. b) e vincolante (art. 5, n. 2), non spiega efficacia nei confronti delle<br />
regole interne di distribuzione della giurisdizione, cioè sulla competenza<br />
per valore, materia o territorio: ad essere vincolato non è il singolo<br />
giudice indicato nella clausola, bensì la giurisdizione dello Stato contraente<br />
nel suo complesso. Lo si evince non tanto dalla lettera dell’art.<br />
5(3) ( 44 ), la quale potrebbe indurre a ritenere priva di qualsiasi efficacia la<br />
clausola che indichi un giudice incompetente per il diritto processuale<br />
interno, ma dal combinato disposto con l’art. 8(5) che estende la disciplina<br />
relativa al riconoscimento anche a quelle decisioni che siano state<br />
emesse in seguito al trasferimento della causa al giudice competente diverso<br />
da quello indicato nella clausola. Nel solo caso della competenza<br />
per territorio, se il giudice ha discrezione in merito al trasferimento della<br />
causa ( 45 ), vi sono due limitazioni: il giudice deve tenere nella giusta<br />
Convention, cit., p. 44. In modo del tutto differente, la Corte di Giustizia ha optato, in seno al<br />
sistema di Bruxelles I, per un netto divieto del forum non conveniens e per la prevalenza della<br />
litispendenza, istituto “codificato” nell’art. 27 del Regolamento 44/2001: cfr. la sentenza della<br />
Corte (Grande Sezione) del 1° marzo 2005 nella causa C-281/02, Owusu c. Jackson, in Racc.,<br />
2005, p. I-01383. V. Thiele, The Hague Convention on Choice-of-Court Agreements – was it<br />
worth the effort, cit., pp. 73-74.<br />
( 43 ) Born e Rutledge, International Civil Litigation in United States Courts, 4 a ed.,<br />
<strong>Kluwer</strong>, 2007, p. 688 ss.<br />
( 44 ) Art. 5(3): “The preceding paragraphs shall not affect rules: a) on jurisdiction related to<br />
subject matter or to the value of the claim; b) on the internal allocation of jurisdiction among the<br />
courts of a Contracting State. However, where the chosen court has discretion as to whether to<br />
transfer a case, due consideration should be given to the choice of the parties”.<br />
( 45 ) È il caso, ad esempio, dell’Inghilterra dove la giurisdizione può essere distribuita internamente<br />
su base discrezionale: le dottrina del forum non conveniens è bandita dalla Conve-
208 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
considerazione (“due consideration”) la preferenza evidenziata dalla scelta<br />
delle parti e, in deroga a quanto abbiamo appena visto, la decisione<br />
emessa dal giudice ad quem non potrà circolare ai danni di chi si è opposto<br />
al trasferimento della causa ( 46 ).<br />
Quanto al profilo dei possibili vizi della clausola, oltre alla richiamata disciplina<br />
che regola la nozione di clausola esclusiva e i relativi profili formali,<br />
sul piano sostanziale l’efficacia vincolante della proroga della giurisdizione<br />
viene meno ove l’accordo sia “null and void ” secondo il diritto dell’ordinamento<br />
indicato dalle parti nel relativo accordo ( 47 ).<br />
3.2. – Il secondo principio, sancito dall’art. 6 ( 48 ), prevede che qualunque<br />
altro giudice rispetto a quello indicato nella clausola sulla giurisdizione (rectius:<br />
qualunque giudice appartenente ad uno Stato diverso) è obbligato a<br />
sospendere il procedimento o rigettare ( 49 ) la domanda che verta su una relazione<br />
coperta dall’accordo sulla giurisdizione, indipendentemente dalla<br />
zione solo con riferimento alla giurisdizione internazionale e non anche alla competenza interna.<br />
Kessedjan, La Convention de La Haye du 30 juin 2005 sur l’élection de for, cit., pp. 831-<br />
32, critica – non senza argomenti – la limitazione che viene a porsi all’autonomia delle parti rispetto<br />
alle regole di competenza interne: “C’est encore un des cas dans lesquels les négociateurs<br />
ont refusé de donner plein effet à l’autonomie de la volonté qui, pourtant, aurait dû être la pierre<br />
angulaire du système conventionnel”.<br />
( 46 ) Sul secondo punto v. infra al par. 3.3.<br />
( 47 ) Art. 5(1): “The court or courts of a Contracting State designated in an exclusive choice of<br />
court agreement shall have jurisdiction to decide a dispute to which the agreement applies, unless<br />
the agreement is null and void under the law of that State”. È opinione pressoché pacifica che la<br />
“law of that State” comprenda anche le norme di diritto internazionale privato del foro, cfr. tra<br />
gli altri Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of Court Agreements<br />
Convention, cit., p. 43, testo e note. Per la nozione di “null and void” cfr. anche l’art. II-3<br />
della Convenzione di New York 1958 (“. . .null and void, inoperative or incapable of being performed”).<br />
Si tratta di casi che per il diritto italiano andrebbero genericamente sotto le etichette di<br />
nullità o annullabilità. A titolo esemplificativo, potrà aversi vizio o assenza del consenso, frode,<br />
manifesta ingiustizia o violenza. Vi rientra anche la nozione di “capacità” a concludere<br />
l’accordo, cfr. infra al paragrafo seguente e ivi, pp. 47-48.<br />
( 48 ) Per Talpis e Krnjevic, The Hague Convention on Choice of Court Agreements of June<br />
30, 2005: The Elephant That Gave Birth to a Mouse, cit., p. 21, si tratta della “most important provision<br />
of the Convention, as it addresses the situation which usually arises in practice, namely<br />
when courts, other than the one chosen, must refrain from taking jurisdiction. Article 6 provides<br />
commercial certainty by placing the exclusive choice of court agreement beyond the reach of the<br />
myriad of national laws designed to prevent abuse arising from differences between the parties’<br />
bargaining power”.<br />
( 49 ) Il testo inglese parla di “stay or dismiss”: in sostanza il giudice deve astenersi dall’esercitare<br />
il proprio potere giurisdizionale.
SAGGI 209<br />
contemporanea pendenza della lite dinnanzi al giudice eletto; si tratta dell’effetto<br />
di deroga alla giurisdizione. La Convenzione, come già accennato,<br />
non contiene meccanismi di gestione della litispendenza ( 50 ) e ogni giudice<br />
è chiamato a valutare in proprio la clausola sulla giurisdizione. Tuttavia, e<br />
ciò è di importanza fondamentale, gli è consentito di disattendere l’indicazione<br />
delle parti solo nel caso in cui ricorra una delle eccezioni tassative indicate<br />
dalla Convenzione stessa all’art. 6. La sussistenza di un motivo di<br />
inefficacia della clausola non vale, peraltro, a fondare la giurisdizione del<br />
giudice che lo rilevi ( 51 ).<br />
Quanto al contenuto di queste eccezioni, si ripete, innanzitutto, che è<br />
privo di efficacia l’accordo che sia null and void secondo il diritto del foro<br />
scelto dalle parti. Entrambi i giudici, eletto e non eletto, sono chiamati a valutare<br />
la medesima clausola sulla base del medesimo diritto. In ipotesi di discordanza<br />
di detta valutazione, i due giudici potrebbero giungere a conclusioni<br />
diverse circa la validità dell’accordo, con conseguente rischio di denegata<br />
giustizia o insorgenza di liti parallele ( 52 ). Ipotesi di conflitto concreto<br />
( 50 ) Kruger, The 20th Session Of The Hague Conference: A New Choice Of Court Convention<br />
And The Issue Of EC Membership, cit., pp. 453-54, sottolinea come l’assenza di norme specifiche<br />
nella Convenzione sul tema “liti parallele” attivi, all’interno dell’Unione Europea, il<br />
meccanismo Tatry (Corte CE, 6 dicembre 1994, causa C-406/92, in Racc., 1994, p. 5439) che<br />
rende applicabile ai giudizi paralleli pendenti dinnanzi ai tribunali degli Stati membri il sistema<br />
della litispendenza previsto dagli artt. 27 ss. del Regolamento 44/2001/CE. Tuttavia, la ricostruzione<br />
proposta non è pacifica. L’assenza di norme sull’istituto potrebbe indicare più la<br />
volontà di escludere il meccanismo della litispendenza che quella di lasciare libera scelta in<br />
merito. In secondo luogo, attivare l’art. 27 significherebbe svuotare di senso il principio di accentramento<br />
della valutazione della clausola in capo al giudice eletto. Teitz, The Hague Choice<br />
of Court Convention: Validating Party Autonomy and Providing an Alternative to Arbitration,<br />
cit., p. 554, mostra, al contrario, come non si verifichi l’effetto Gasser (Corte CE, 9 dicembre<br />
2003, causa C-116/02, in Racc., 2003, p. 14693) tipico del sistema di Bruxelles I che tramite una<br />
stretta applicazione del principio di prevenzione affida la valutazione della clausola al giudice<br />
adito per primo, pur non indicato nella clausola. Perciò, osserva, nel sistema della Convenzione,<br />
“[p]arty autonomy wins over the race to the court house”.<br />
( 51 ) Cfr. Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of Court<br />
Agreements Convention, cit., p. 47. Hartley, The Hague Choice of Court Convention, cit., p. 417.<br />
Questa circostanza non esclude che il giudice possa esercitare la giurisdizione sulla base di<br />
norme interne.<br />
( 52 ) Thiele, The Hague Convention on Choice-of-Court Agreements – was it worth the<br />
effort, cit., pp. 76-77, evidenzia i rischi connessi alla doppia valutazione della medesima clausola.<br />
Non solo, anche il giudice adito in sede di riconoscimento della decisione emessa nel foro<br />
prorogato dovrà, in ipotesi più limitate, valutare la clausola secondo il parametro ora esposto,<br />
cfr. Teitz, The Hague Choice of Court Convention: Validating Party Autonomy and Providing<br />
an Alternative to Arbitration, cit., p. 551 ss. e v. infra al par. successivo.
210 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
non dovrebbero essere molto frequenti, specialmente ove il giudice non indicato<br />
nella clausola decida di rimettersi alla valutazione del giudice eletto,<br />
il quale è decisamente il più indicato ad interpretare ed applicare il proprio<br />
diritto.<br />
In secondo luogo, il giudice può esercitare la propria giurisdizione anche<br />
nel caso in cui una delle parti fosse priva della “capacità” necessaria per concludere<br />
l’accordo di deroga secondo il proprio ordinamento (lex fori)( 53 ).<br />
Inoltre, l’art. 6(d) dispone che la clausola sulla giurisdizione non spieghi<br />
i suoi effetti quando non sia possibile dare esecuzione all’accordo in modo<br />
ragionevole a causa del verificarsi di un evento eccezionale sottratto al controllo<br />
delle parti: si tratta di ipotesi marginali (e che tali devono rimanere<br />
nell’economia della Convenzione) quali lo scoppio di una guerra, il verificarsi<br />
di un cataclisma o la modificazione dei caratteri essenziali dell’organo<br />
giudiziario indicato ( 54 ) .<br />
Ai sensi dell’art. 6(c) il giudice non è tenuto a rispettare la deroga qualora<br />
ciò rappresenti una manifesta ingiustizia o sia contrario all’ordine pubblico<br />
dello Stato al quale appartiene ( 55 ). Come traspare dalla lettera stessa<br />
( 53 ) Art. 6(b): “a party lacked the capacity to conclude the agreement under the law of the State<br />
of the court seised”. V. Kessedjan, La Convention de La Haye du 30 juin 2005 sur l’élection de<br />
for, cit., pp. 827-28 e 833 ss. A differenza della validità sostanziale, il cui parametro è costituito<br />
dal solo diritto del giudice eletto, la capacità può essere astrattamente valutata sulla base di<br />
tre regimi giuridici: giudice eletto (attraverso l’eccezione “null and void”), giudice non eletto<br />
e giudice del riconoscimento, ex art. 9(b), v. Bucher, La Convention de La Haye sur les accords<br />
d’élection de for, cit., p. 41.<br />
( 54 ) Un caso storico è riportato da Hartley, The Modern Approach to Private International<br />
Law. International Litigation and Transactions from a Common-Law Perspective, in Recueil des<br />
Cours de l’Académie de droit international de La Haye, 2006, t. 319, pp. 115-16: le corti inglesi<br />
giudicarono che la scelta di un tribunale angolano, allora colonia portoghese, non fosse applicabile<br />
ad una controversia insorta dopo l’indipendenza del paese ottenuta nel 1979, ritenendo<br />
che il tribunale avesse mutato i suoi tratti essenziali. Il caso è Carvalho v. Hull Blyth<br />
Ltd., in 1 WLR, 1979, p. 1228; in All E.R., 1979, p. 280. L’A. solleva alcuni – condivisibili – dubbi<br />
sulla difficoltà di giudicare quando un tribunale sia mutato nei suoi tratti essenziali.<br />
( 55 ) Cfr. Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of Court<br />
Agreements Convention, cit., p. 48. La menzione, che al giurista italiano può apparire ridondante,<br />
di “manifest injustice” e “public policy” è giustificata dalla circostanza che taluni sistemi<br />
giuridici limitano la nozione di ordine pubblico alle situazioni che chiamano in causa un interesse<br />
pubblico, lasciando in tal modo scoperti i casi di ingiustizia concreta individuale. Smorza<br />
la portata dell’eccezione Kessedjan, La Convention de La Haye du 30 juin 2005 sur l’élection<br />
de for, cit., p. 834: “L’exception d’ordre public ne pose guère de difficulté tant elle est habituelle en<br />
droit International privé”. Sulla nozione di “ordine pubblico” v. in particolare Radicati Di<br />
Brozolo, Deroga alla giurisdizione e deroga alle norme imperative. Un conflitto fra Conflitti di<br />
Leggi e Conflitti di Giurisdizioni, in Il diritto processuale civile nell’avvicinamento giuridico in-
SAGGI 211<br />
della norma, l’eccezione deve essere interpretata in modo particolarmente<br />
restrittivo, potendosi invocare solo ove la lesione del principio tutelato sia<br />
“manifesta” ( 56 ). Con questa specificazione si vuole ricordare al giudice che<br />
il funzionamento della Convenzione dipende dalla cauta applicazione delle<br />
eccezioni ad opera dei giudici coinvolti. Si tratta di una “valvola di sfogo”<br />
comune negli strumenti internazionali che deve essere applicata in modo<br />
tale da non diminuire la fiducia degli operatori internazionali nella Convenzione,<br />
che ha nella certezza e prevedibilità dell’applicazione della clausola<br />
di scelta del foro uno dei suoi punti qualificanti.<br />
L’art. 6(e) prevede che il giudice possa esercitare la propria giurisdizione<br />
nel caso in cui “the chosen court has decided not to hear the case”. Sembrerebbe<br />
trattarsi di un’opportuna norma di chiusura tesa a evitare ipotesi di<br />
denegata giustizia. Tuttavia, più di un autore fa notare che l’eventualità di<br />
un vuoto di tutela è già compresa nell’eccezione di ordine pubblico o di manifesta<br />
ingiustizia. L’interpretazione proposta per evitare di considerare la<br />
norma superflua è che questa si attivi nel caso previsto dall’art. 5(3), cioè<br />
quando lo specifico organo giudiziario indicato nella clausola abbia trasferito<br />
la lite ad altro giudice applicando le norme interne sulla competenza ( 57 ).<br />
Tale conclusione, non priva di efficacia sul piano ermeneutico, appare però<br />
contraria allo spirito e all’effetto che la Convenzione si propone di ottenere,<br />
cioè la circolazione delle decisioni. Infatti, liberando il giudice non eletto<br />
dall’obbligo di astensione aumentano le ipotesi di possibile conflitto tra decisioni<br />
che rappresenta uno dei principali ostacoli alla circolazione dei provvedimenti<br />
giudiziari. Ad ulteriore conferma, l’art. 8(5) comprende specificamente<br />
nel novero delle decisioni che devono essere riconosciute anche<br />
quelle emesse dal giudice diverso da quello specificamente indicato dalle<br />
ternazionale – Omaggio ad Aldo Attardi, a cura di Colesanti et al., CLEUP (2009), p. 279 ss. e<br />
M. De Cristofaro, Ordine pubblico « processuale » ed enucleazione dei principi fondamentali<br />
del diritto processuale « europeo », nello stesso volume a cura di Colesanti et al., pp. 893 ss. Sussiste<br />
un collegamento tra l’eccezione in parola e il regime delle dichiarazioni ex art. 21, del<br />
quale si darà conto infra al par. 4.<br />
( 56 ) M. De Cristofaro, Ordine pubblico « processuale » ed enucleazione dei principi fondamentali<br />
del diritto processuale « europeo », cit., p. 916, parlando dell’aggiunta dell’aggettivo manifesta<br />
in seno all’art. 34 del Reg. 44/2001/CE, afferma che: “Si tratta [...]di una specificazione<br />
[...] munita di carattere prevalentemente pedagogico e suggestivo: una sorta di raccomandazione<br />
ai giudici di « ben operare », senza far troppo spesso ricorso a quella valvola di sicurezza, a<br />
quella Vorbehaltsklausel rappresentata dal contrasto con l’ordine pubblico”.<br />
( 57 ) Bucher, La Convention de La Haye sur les accords d’élection de for, cit., p. 44; Hartley<br />
e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of Court Agreements Convention,<br />
cit., pp. 48-49 e 52; Schulz, The 2005 Hague Convention on Choice of Court Clauses, cit., p. 255.
212 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
parti e individuato ai sensi dell’art. 5(3), cosicché pare preferibile interpretare<br />
la norma quale specificazione della nozione di ordine pubblico tesa ad<br />
evitare situazioni di denegata giustizia.<br />
Infine, l’art. 19 introduce un elemento di flessibilità nel sistema convenzionale<br />
poiché permette ad uno Stato contraente di dichiarare ( 58 ) che i propri<br />
giudici avranno discrezione in merito all’esercizio del potere giurisdizionale<br />
in controversie che, seppur internazionali ai sensi dell’art. 1(2), non<br />
siano legate a detto Stato se non per via della elezione in qualità di foro<br />
competente ( 59 ). La ratio della norma è quella di consentire agli Stati di proteggersi<br />
da un eventuale sovraccarico delle proprie strutture giudiziarie ad<br />
opera di litiganti stranieri, ove sia assente un interesse dello Stato indicato<br />
nella clausola di giurisdizione.<br />
3.3. – La decisione ( 60 ) emessa dal giudice eletto nella clausola esclusiva<br />
di giurisdizione è destinata a circolare in tutti gli ordinamenti aderenti alla<br />
( 58 ) Sul regime delle dichiarazioni previsto dalla Convenzione, v. infra, par. 4.<br />
( 59 ) Si tratta di un “potere” (may) e non di un “dovere” (shall). A ben vedere si compie un<br />
limitato recupero della dottrina del forum non conveniens che peraltro risulta esclusa dalla<br />
Convenzione, v. infra. Cfr. anche Talpis e Krnjevic, The Hague Convention on Choice of<br />
Court Agreements of June 30, 2005: The Elephant That Gave Birth to a Mouse, cit., pp. 20 e 32;<br />
Schulz, The 2005 Hague Convention on Choice of Court Clauses, cit., p. 259. La dottrina è concorde<br />
nel ritenere che tale previsione sia fortemente contraria ai principi di certezza e prevedibilità<br />
per le parti del contratto oggetto della clausola sulla giurisdizione, e che a maggior ragione<br />
sia poco comprensibile, in quanto colpisce la legittima aspirazione delle parti di un contratto<br />
internazionale a vedere decisa la propria controversia in un foro neutrale, cioè – per definizione<br />
– privo di contatti con la controversia. V. in particolare Kessedjan, L’élection de for –<br />
Vers une nouvelle convention de La Haye, cit., pp. 369-70.<br />
( 60 ) Si rende opportuna una specificazione del termine “decisione”: l’art. 4 statuisce che<br />
«“judgment” means any decision on the merits given by a court, whatever it may be called, including<br />
a decree or order, and a determination of costs or expenses by the court (including an officer<br />
of the court), provided that the determination relates to a decision on the merits which may be recognised<br />
or enforced under this Convention. An interim measure of protection is not a judgment ».<br />
Salvo per la specificazione che non si tratta di “judgment”, le misure provvisorie non sono in<br />
alcun modo regolate dalla Convenzione – cfr. art. 7. Questo lascia interamente aperto l’annoso<br />
problema degli ordini personali (injunctions) emanati da alcune corti, generalmente di<br />
common law, a protezione degli accordi sulla giurisdizione. Tuttavia, la decisione di escludere<br />
questo delicato settore dall’ambito della Convenzione, lungi dall’essere criticabile, era probabilmente<br />
necessaria per poter aspirare al successo delle trattative. Kessedjan, L’élection de<br />
for – Vers une nouvelle convention de La Haye, cit., p. 378, rimprovera la mancata inclusione nel<br />
regime di circolazione delle misure provvisorie emesse dal giudice competente sul merito,<br />
senza le quali “une victoire sur le fond sera bien souvent une victoire à la Pyrrhus”. Per Thiele,<br />
The Hague Convention on Choice-of-Court Agreements – was it worth the effort, cit., p. 75 e in
SAGGI 213<br />
Convenzione: si tratta del terzo pilastro del sistema dell’Aja nonché dell’effetto<br />
utile per le parti del rapporto controverso. Tutte le norme della Convenzione,<br />
anche quelle relative al momento giurisdizionale, tendono alla<br />
realizzazione dell’obiettivo di rendere possibile la circolazione della decisione<br />
tra Stati diversi. Tale circolazione si traduce nel riconoscimento del<br />
contenuto dell’accertamento giudiziario effettuato dalla sentenza e nell’esecuzione<br />
del relativo comando (di condanna). Si tratta di un risultato notevole<br />
per la parte vittoriosa del processo la quale potrà opporre le statuizioni<br />
di diritto contenute nella decisione ed eseguire la condanna nei confronti<br />
del soccombente in tutti gli Stati aderenti alla Convenzione.<br />
Il riconoscimento e l’esecuzione, i cui procedimenti seguono le regole<br />
processuali dello Stato richiesto ( 61 ), non sono automatici ma possono essere<br />
rifiutati solo sulla base dei motivi tassativi indicati dagli artt. 8 e 9. Di fondamentale<br />
importanza è il divieto di riesame del merito della questione, il<br />
quale dona stabilità all’accertamento contenuto nella sentenza straniera<br />
evitando che l’obbligo di riconoscimento venga aggirato tramite la ripetizione<br />
in questa sede dell’intero procedimento. Inoltre, a meno che la decisione<br />
sia stata emessa in contumacia, nella verifica della sussistenza della<br />
giurisdizione a quo il giudice del riconoscimento o dell’esecuzione è vincolato<br />
alle valutazioni sui fatti compiute dal giudice scelto dalle parti.<br />
Una norma del tutto condivisibile limita il riconoscimento e l’esecuzione<br />
a quelle decisioni che siano rispettivamente produttive di effetti ed eseguibili<br />
nello Stato d’origine. Di qui la facoltà per il giudice ad quem di sospendere o<br />
respingere la domanda di riconoscimento o esecuzione se nello Stato d’origine<br />
è pendente la “revisione” (impugnazione o riesame) della decisione o se<br />
non sono ancora scaduti i termini per proporre i ricorsi ordinari ( 62 ).<br />
certa misura per Bucher, La Convention de La Haye sur les accords d’élection de for, cit., p. 46,<br />
le anti-suit injunctions sono, invece, escluse per via dell’art. 6 ma tale interpretazione si scontra<br />
con la chiara formulazione dell’art. 7. È considerata, invece, un judgment anche la transazione<br />
giudiziaria, cfr. art. 12. Sull’esclusione della transazione stragiudiziale v. le critiche di<br />
Talpis e Krnjevic, The Hague Convention on Choice of Court Agreements of June 30, 2005: The<br />
Elephant That Gave Birth to a Mouse, cit., p. 31.<br />
( 61 ) L’art. 14, in modo alquanto programmatico, richiede al giudice di agire celermente.<br />
Per quanto concerne l’esecuzione della decisione straniera, Hartley e Dogauchi, Explanatory<br />
Report on the 2005 Hague Choice of Court Agreements Convention, cit., p. 37, sottolineano<br />
che il giudice dell’esecuzione, nonostante non sia obbligato a importare strumenti o istituti<br />
stranieri che non trovino un analogo nel proprio ordinamento, deve utilizzare tutti gli istituti<br />
interni disponibili in modo tale da dare la massima efficacia alla decisione straniera.<br />
( 62 ) L’art. 8(4) prevede espressamente che l’eventuale rigetto della domanda di riconoscimento<br />
o esecuzione non ha alcuna efficacia preclusiva nei confronti di una successiva do-
214 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Non è necessario, a norma degli artt. 8 e 9, che il giudice a quo abbia affermato<br />
la propria giurisdizione sulla base della Convenzione o che ciò risulti<br />
espressamente nella sua decisione. È sufficiente che sia il giudice ad<br />
quem a ritenere la Convenzione applicabile e la decisione coperta dall’accordo<br />
sulla giurisdizione, indipendentemente dal titolo che il giudice a quo<br />
ha posto alla base della sua attività.<br />
I veri e propri motivi ostativi al riconoscimento sono elencati all’art. 9 e,<br />
ancora una volta, non impediscono in modo assoluto al giudice di riconoscere<br />
o eseguire una decisione straniera, bensì si limitano a conferirgli la facoltà<br />
di rifiutare il riconoscimento ( 63 ). Taluni riflettono le eccezioni viste al paragrafo<br />
precedente, come il caso dell’accordo nullo secondo il diritto dello Stato<br />
del giudice eletto ( 64 ), la manifesta incompatibilità con l’ordine pubblico,<br />
anche processuale ( 65 ), e la mancanza della capacità delle parti di concludere<br />
l’accordo secondo il diritto dello Stato del giudice richiesto del riconoscimento<br />
( 66 ). Un’altra ipotesi riguarda la frode procedurale rappresentata dalla col-<br />
manda di riconoscimento o esecuzione della medesima decisione, una volta che mutino le<br />
circostanze (ad esempio la decisione diventi definitiva nello Stato d’origine).<br />
( 63 ) V. Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of Court Agreements<br />
Convention, cit., pp. 53 e ss.; v. anche Talpis e Krnjevic, The Hague Convention on Choice<br />
of Court Agreements of June 30, 2005: The Elephant That Gave Birth to a Mouse, cit., p. 27, i<br />
quali, inoltre, segnalano come la proposta di alcuni delegati in seno alla Conferenza dell’Aja<br />
volta ad imporre al giudice ad quem l’obbligo di rifiutare il riconoscimento alle decisioni emanate<br />
in spregio all’accordo sulla giurisdizione non sia stata poi accolta nel testo definitivo.<br />
( 64 ) Salvo che il giudice a quo nella sua decisione abbia affermato la validità della clausola,<br />
art. 9(a). Kessedjan, La Convention de La Haye du 30 juin 2005 sur l’élection de for, cit., p.<br />
839, prende una forte posizione sul punto, giudicando inutile la possibilità garantita di rifiutare<br />
il riconoscimento sulla base della nullità della clausola poiché – afferma l’A. – il giudice<br />
eletto avrà sempre, esplicitamente o implicitamente, valutato la validità della clausola. Se,<br />
però, si accetta una diversa lettura e cioè che la decisione del primo giudice, purché indicato<br />
nella clausola, circoli indipendentemente dal titolo di giurisdizione da questi posto a fondamento<br />
della propria attività, ben si può capire come mai si possa avere interesse a che il giudice<br />
del riconoscimento abbia la possibilità di conoscere della validità della clausola. La norma<br />
potrebbe, quindi, sintetizzarsi nel senso di proibire un riesame della validità quando il giudice<br />
eletto abbia emesso una decisione ritenendosi competente per via della clausola di scelta<br />
del foro (anche solo implicitamente) ma di consentirlo se tale giudice, senza preoccuparsi della<br />
clausola, decida la controversia assumendo la giurisdizione sulla base di altri profili.<br />
( 65 ) V. in generale M. De Cristofaro, Ordine pubblico « processuale » ed enucleazione dei<br />
principi fondamentali del diritto processuale « europeo », cit., passim.<br />
( 66 ) Cfr. supra nota 53. Bucher, La Convention de La Haye sur les accords d’élection de for,<br />
cit., pp. 48-49, critica fortemente il rinnovo della valutazione della capacità allo stadio del riconoscimento<br />
e dell’esecuzione, auspicando che il secondo giudice si rimetta alla valutazione<br />
operata dal primo giudice. L’A. segnala anche il pericolo che il difetto di capacità possa es-
SAGGI 215<br />
lusione di una parte con il giudice oppure da casi di grave abuso o disonestà<br />
processuale ( 67 ). Inoltre, può essere rifiutato il riconoscimento di una pronuncia<br />
ove vi siano stati vizi di notificazione dell’avvio del procedimento oppure<br />
in caso di decisione tra le stesse parti che contrasti con quella della quale<br />
si chiede la delibazione. A questo proposito la disciplina della Convenzione<br />
distingue a seconda che la decisione sia stata emessa nello Stato richiesto<br />
del riconoscimento, nel qual caso è sufficiente l’esistenza di un contrasto tra<br />
decisioni rese tra le medesime parti, indipendentemente dal criterio di prevenzione<br />
temporale e dalla causa petendi delle rispettive decisioni. Ove, invece,<br />
la sentenza appartenga ad uno Stato diverso, si richiede che questa soddisfi<br />
quattro parametri, cioè sia stata emessa anteriormente, tra le stesse parti,<br />
sulla stessa controversia e sia riconoscibile nel primo Stato.<br />
Un’ulteriore possibilità di rifiuto della domanda di riconoscimento sorge<br />
qualora il giudice a quo si sia pronunciato, anche solo incidenter tantum, su<br />
una materia esclusa dall’ambito d’applicazione della Convenzione ( 68 ). L’accertamento<br />
compiuto dal giudice a quo sulla questione preliminare, com’è<br />
naturale, non è destinato a circolare in alcun modo, vertendo su una materia<br />
esclusa dalla Convenzione stessa. La porzione della decisione che si pone in<br />
rapporto di pregiudizialità-dipendenza rispetto alla definizione della questione<br />
preliminare, invece, è soggetta ad un regime di circolazione più debo-<br />
sere utilizzato “politicamente” per giustificare il mancato riconoscimento di una decisione<br />
sfavorevole ove parte della controversia coperta dall’accordo sulla giurisdizione sia proprio lo<br />
Stato al quale si chiede il riconoscimento.<br />
( 67 ) Ciò differisce dall’ordine pubblico processuale che mira a tutelare valori riassumibili<br />
nell’espressione “giusto processo” e dipendenti più dalla struttura stessa del processo che da<br />
un comportamento deviato degli attori della vicenda concreta: la frode indica, quindi, uno<br />
scorretto uso di strumenti che, altrimenti, soddisferebbero il principio del giusto processo.<br />
Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of Court Agreements Convention,<br />
cit., p. 55 in nota, spiegano che l’inclusione della “frode procedurale” è stata motivata<br />
dalla circostanza che per alcuni paesi non si potrebbe in questo caso applicare l’eccezione<br />
dell’ordine pubblico e inoltre in alcuni paesi di common law – Regno Unito e USA su tutti –<br />
tale nozione costituisce una categoria sperimentata ed espressamente menzionata. Gli stessi<br />
Aa. riportano alcuni esempi di disonestà processuale: “Fraud is deliberate dishonesty or deliberate<br />
wrongdoing. Examples would be where the plaintiff deliberately serves the writ, or causes it<br />
to be served, on the wrong address; where the plaintiff deliberately gives the defendant wrong information<br />
as to the time and place of the hearing; or where either party seeks to corrupt a judge, juror<br />
or witness, or deliberately conceals key evidence”.<br />
( 68 ) Art. 10: “(1) Where a matter excluded under Article 2, paragraph 2, or under Article 21,<br />
arose as a preliminary question, the ruling on that question shall not be recognised or enforced under<br />
this Convention. (2) Recognition or enforcement of a judgment may be refused if, and to the extent<br />
that, the judgment was based on a ruling on a matter excluded under Article 2, paragraph 2”.
216 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
le, poiché il giudice ad quem ha il potere di rifiutarne il riconoscimento a meno<br />
che non si convinca che sarebbe giunto alla medesima conclusione applicando<br />
il proprio diritto nazionale ( 69 ); permane l’obbligo di riconoscere la<br />
parte della decisione che non sia fondata su detta questione preliminare.<br />
La materia dei diritti di proprietà intellettuale, per la parte che risulta estranea<br />
all’ambito di applicazione della Convenzione, conosce una disciplina specifica<br />
in relazione alle “questioni preliminari”. Il riconoscimento della decisione<br />
in materia può essere rifiutato solo se nello Stato nel quale è situata l’autorità<br />
legittimata a conoscere della validità del diritto di proprietà intellettuale è pendente<br />
una controversia su tale diritto o sul punto è già stata emessa una decisione<br />
incompatibile con la decisione straniera che si intende far riconoscere ( 70 ).<br />
Una soluzione di compromesso viene dettata in tema di punitive damage<br />
awards, ove si tiene conto delle forti perplessità tradizionalmente manifestate<br />
dalla comunità internazionale e si cerca di dettare una disciplina tesa ad<br />
evitare che le decisioni che assegnino tali risarcimenti siano sistematicamente<br />
bloccate mediante l’eccezione di ordine pubblico. A tal fine, l’art. 11 della<br />
Convenzione prevede che il riconoscimento di una sentenza che attribuisca<br />
anche danni non compensatori possa essere limitata al danno effettivamente<br />
subito ( 71 ). Per la parte compensatoria del risarcimento rimane il dovere<br />
del giudice ad quem di riconoscere ed eseguire la decisione. Il giudice, inol-<br />
( 69 ) La specificazione è opera di Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005<br />
Hague Choice of Court Agreements Convention, cit., pp. 56-57. Come si può notare, si è reso necessario<br />
utilizzare categorie e istituti processuali tipicamente di civil law. Pensando alla common<br />
law, Bucher, La Convention de La Haye sur les accords d’élection de for, cit., pp. 34-35, sottolinea<br />
che la dottrina di equity dell’estoppel (che in sostanza proibisce ad un soggetto di negare<br />
ciò che è stato affermato come vero da lui stesso o da un giudice) mal si presti alla fine distinzione<br />
tra questione incidentale e questione principale tipica di civil law: questo potrebbe<br />
costituire un ostacolo all’operatività della norma in esame e segna nuovamente la difficoltà di<br />
dettare regole uniformi che valgano per sistemi eterogenei.<br />
( 70 ) Ove il giudizio sulla validità sia solo pendente, il riconoscimento e l’esecuzione della<br />
decisione straniera possono essere sospesi per attenderne l’esito, art. 10(3).<br />
( 71 ) Art. 11. Kessedjan, L’élection de for – Vers une nouvelle convention de La Haye, cit., pp.<br />
378-79, critica questa norma: “Si les parties se sont mises d’accord pour donner compétence à un<br />
tribunal qui a le pouvoir d’accorder des dommages et intérêts punitifs ou triples, pourquoi ne pas<br />
donner effet à ces décision Pourquoi vouloir protéger les parties (ou au moins l’une d’entre elles)<br />
contre elles-mêmes N’est-il pas suffisant de réserver l’ordre public de l’Etat requis”. Ma si leggano<br />
le considerazioni di Hartley, Rapporteur della Convezione, The Hague Choice of Court<br />
Convention, cit., p. 415: “the question of punitive damages, a commonplace in the USA but generally<br />
rejected in Europe, almost destroyed the Convention”. V. anche Lowenfeld, Thoughts<br />
about a Multinational Judgments Convention: A Reaction to the von Mehren Report, cit., pp. 293<br />
ss. La norma era stata originariamente ideata da von Mehren in occasione del progetto di
SAGGI 217<br />
tre, dovrà anche tenere in considerazione la circostanza che la parte “punitiva”<br />
sia destinata a coprire i costi e le spese legali del giudizio a quo, riconoscendo<br />
tale porzione. Resta, ovviamente, l’oggettiva difficoltà di “discriminare”<br />
le varie componenti del risarcimento, specialmente laddove il giudice<br />
che ha emesso la decisione non le abbia chiaramente identificate ( 72 ).<br />
Le parti hanno in ogni caso il potere di chiedere il riconoscimento parziale<br />
della decisione straniera, specialmente se solo alcune delle statuizioni<br />
contenute sono riconoscibili ai sensi della Convenzione ( 73 ).<br />
Infine, l’art. 20, in modo simile a quanto visto supra per l’art. 19, consente<br />
ad uno Stato contraente di dichiarare che, ove la controversia sia tutta<br />
interna ( 74 ) a detto Stato, i propri giudici avranno il potere di rifiutare il riconoscimento<br />
delle decisioni straniere anche ove siano state emesse dal giudice<br />
straniero indicato nella clausola sulla giurisdizione ( 75 ).<br />
Convenzione bilaterale USA/UK al quale ho fatto riferimento in apertura del presente scritto,<br />
supra nota 2.<br />
( 72 ) Secondo l’art. 17(2)(b) della Convenzione, la limitazione relativa ai danni punitivi<br />
non opera nei confronti dei contratti di assicurazione o riassicurazione nei quali la copertura<br />
sia estesa a tale tipologia di danni.<br />
( 73 ) Art. 15. Si pensi ad una sentenza che statuisca sulla validità di un marchio e che parallelamente<br />
commini un risarcimento sulla base di un contratto: solo la seconda parte godrà del<br />
regime di circolazione della Convenzione.<br />
( 74 ) “Interna” nel senso descritto supra al par. 2.1, con riferimento alla localizzazione della<br />
residenza delle parti, della relazione contrattuale e di tutti gli altri elementi rilevanti in un<br />
singolo Stato.<br />
( 75 ) Anche qui si tratta di un potere e non di un obbligo. Di fatto, si riequilibra lo scenario<br />
con quanto previsto dall’art. 1(2) facendo coincidere la categoria delle decisioni considerate<br />
“internazionali” al momento dell’esercizio della giurisdizione e quella delle decisioni “internazionali”<br />
ai fini del riconoscimento, con il limite, però, che la dichiarazione ex art. 20 non<br />
permette al giudice di rifiutare il riconoscimento di una decisione in base alla circostanza che<br />
una controversia sia sì “interna” ma ad un altro Stato diverso dal proprio. Talpis e Krnjevic,<br />
The Hague Convention on Choice of Court Agreements of June 30, 2005: The Elephant That Gave<br />
Birth to a Mouse, cit., pp. 8 e 32-33, s’interrogano anche sul fattore “tempo” circa la valutazione<br />
della sussistenza della connessione con uno Stato “esterno”. Qual è il momento rilevante,<br />
quello della stipula della clausola, o quello della proposizione della domanda giudiziale È<br />
sufficiente che il requisito sussista in uno dei due momenti, o è necessario che sia presente in<br />
entrambi Kessedjan, L’élection de for – Vers une nouvelle convention de La Haye, cit., p. 369,<br />
ritiene sufficiente che sussista al momento della conclusione dell’accordo poiché “[c]’est en effet<br />
à ce moment là que les parties ne dovient pas pouvoir évincer ces impératifs éventuels. Peu importe<br />
ensuite que la situation soit redevenue interne”. Di diverso avviso Bucher, La Convention<br />
de La Haye sur les accords d’élection de for, cit., p. 31, “on a sagement décidé de ne rien dire, la<br />
question étant laissée au droit national” aggiungendo “C’est une parfaite illustration du prix à<br />
payer pour aboutir par la voie du consensus”.
218 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
4. – Un tema non privo di problematicità è la facoltà attribuita dalla<br />
Convenzione agli Stati di effettuare delle dichiarazioni in relazione a determinate<br />
questioni, cui seguono effetti prestabiliti dalla Convenzione stessa.<br />
Abbiamo già fatto cenno delle dichiarazioni previste dagli artt. 19 e 20 relative<br />
al collegamento tra giudice e causa e all’internazionalità della controversia,<br />
nonché dall’art. 22 sulle clausole di scelta del foro non-esclusive ( 76 ).<br />
Il tema merita qualche cenno ulteriore.<br />
Di portata estremamente delicata sono le dichiarazioni previste dall’art.<br />
21 che permettono ad uno Stato di escludere dall’ambito di applicazione<br />
della Convenzione le materie nelle quali abbia un forte interesse (strong interest)<br />
( 77 ). Certamente l’art. 21 è una norma preziosa che ha consentito, in<br />
sede di elaborazione del testo, di non allungare eccessivamente l’elenco<br />
delle esclusioni previste dall’art. 2, garantendo allo stesso tempo autonomia<br />
a ciascuno Stato nell’individuazione delle materie che non intende in<br />
alcun modo sottrarre alla propria giurisdizione. Si evita, così, che uno Stato<br />
rinunci ad aderire alla Convenzione solo per tutelare un settore specifico.<br />
Al tempo stesso, però, la facoltà concessa agli Stati è idonea a ridurre,<br />
anche drasticamente, l’ambito di applicazione della disciplina convenzionale,<br />
di minare la prevedibilità per le parti che operano nel già incerto mondo<br />
delle relazioni internazionali ed infine di disincentivare l’adesione internazionale<br />
di altri Stati alla Convenzione sulla base di una valutazione di<br />
scarsa “serietà” degli altri contraenti ( 78 ).<br />
( 76 ) Quest’ultima è l’unico tipo di dichiarazione dotata di forza espansiva rispetto all’ambito<br />
di applicazione della Convenzione. In tutti e tre i casi appena ricordati – e particolarmente<br />
per gli artt. 19 e 20 – si tratta di meccanismi i cui effetti sono previsti in modo dettagliato dal<br />
testo della Convenzione. La portata negativa, in termini di funzionamento del sistema complessivo,<br />
non va al di là di quanto già bilanciato in occasione della redazione del testo. Diversamente<br />
la disciplina prevista per le dichiarazioni che vedremo tra poco permette un’ampia e<br />
pericolosa libertà d’azione agli Stati.<br />
( 77 ) Il meccanismo previsto dalla Convenzione dell’Aja ricorda quello previsto in via ordinaria<br />
dalla Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei Trattati, il quale non è stato<br />
espressamente escluso ed è quindi astrattamente utilizzabile da parte degli Stati. Quest’ultimo<br />
sistema consente ad uno Stato di limitare l’efficacia di un trattato mediante l’adozione di<br />
riserve in sede di ratifica o tramite comunicazioni successive. D’altro canto, le norme sulle dichiarazioni<br />
contenute nella Convenzione dell’Aja hanno il pregio di garantire la flessibilità<br />
del testo normativo, limitando però l’oggetto e gli effetti delle riserve stesse a quanto specificamente<br />
previsto dalle norme in questione.<br />
( 78 ) Woodward, Saving the Hague Choice of Court Convention, cit., pp. 667 e ss., il quale,<br />
inoltre, sottolinea come la Convenzione sia già di difficile attuazione uniforme negli Stati<br />
Uniti a fronte di una legislazione e di una prassi giurisprudenziale che per la maggior parte sono<br />
di livello statale e che lasciano disorientati anche i commercianti più avveduti. Questo po-
SAGGI 219<br />
La consapevolezza di tale portata negativa ha indotto i redattori della<br />
Convenzione a prendere alcune precauzioni. Innanzitutto, lo stesso art. 21<br />
prescrive che la riserva deve essere delineata in modo chiaro e preciso e non<br />
deve essere più ampia del necessario. Inoltre, si impone un sistema di trasparenza<br />
delle dichiarazioni, cui si aggiunge il differimento dell’entrata in<br />
vigore delle esclusioni formulate dopo la ratifica della Convenzione per tre<br />
mesi dalla notificazione della riserva. Infine, con maggiore efficacia deterrente,<br />
viene stabilito il principio di reciprocità dell’esclusione: nelle materie<br />
specificate lo Stato “riservante” non sarà vincolato al rispetto delle clausole<br />
di deroga della propria giurisdizione ma ogni altro Stato, nelle stesse materie,<br />
sarà sciolto dall’obbligo di applicare la Convenzione ad eventuali indicazioni<br />
pattizie a favore della giurisdizione dello Stato riservante nonché alle<br />
conseguenti decisioni giudiziarie ( 79 ).<br />
La disciplina appena delineata si pone in relazione con la clausola di<br />
“public policy” che permette, in casi specifici, di non dare esecuzione all’accordo<br />
sulla giurisdizione o di non riconoscere la sentenza ove vi sia contrarietà<br />
all’ordine pubblico dello Stato. Tra strong interest (art. 21) e public policy<br />
(art. 6 e 9) non corre una gran differenza. L’utilizzazione dell’uno o dell’altro<br />
strumento, che richiede correttezza (e comity) da parte degli Stati, dipende<br />
dall’ampiezza e sistematicità dell’esclusione. La clausola di ordine<br />
pubblico dovrebbe essere destinata a ipotesi eccezionali in cui si realizzi<br />
una (imprevedibile) inconciliabilità della fattispecie concreta con i valori<br />
dello Stato al quale è chiesto il riconoscimento. Viceversa, ove tale contrasto<br />
sia di carattere sistemico in quanto, per gli interessi coinvolti, uno Stato<br />
tende a proteggere una determinata categoria di controversie, la strada da<br />
percorrere dovrebbe essere quella della dichiarazione ex art. 21, la quale,<br />
benché più onerosa, assicura quella reciprocità nei confronti degli altri Stati<br />
che qualcuno ha definito “the bedrock for the entire Convention” ( 80 ).<br />
trebbe costituire un disincentivo per gli altri Stati, senza bisogno di aggiungervi anche delle<br />
“dichiarazioni”. Così anche Juenger, A Hague Judgments Convention, cit., p. 117 ss.<br />
( 79 ) Teitz, The Hague Choice of Court Convention: Validating Party Autonomy and Providing<br />
an Alternative to Arbitration, cit., p. 553: “states are paying a price for the decision to remove<br />
an area from the scope of the Convention”.<br />
( 80 ) Woodward, Saving the Hague Choice of Court Convention, cit., p. 712. V. anche ivi, p.<br />
705 ss. Teitz, The Hague Choice of Court Convention: Validating Party Autonomy and Providing<br />
an Alternative to Arbitration, cit., p. 553: “article 21 does perhaps provide a more predictable and<br />
transparent use of public policy”. Non si nasconde la difficoltà di ricondurre nell’ambito delle<br />
dichiarazioni ex art. 21 alcune categorie di contratti in relazione alle qualità soggettive delle<br />
parti (es. contratti dei consumatori), quando la norma si riferisce testualmente a “specific matter”.<br />
Vale la pena di segnalare, in conclusione, che l’art. 10(4) estende la disciplina vista supra
220 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
In attesa della ratifica della Convenzione da parte degli Stati si è tentato<br />
di indicare quali saranno alcune delle probabili o possibili dichiarazioni ex<br />
art. 21. A tal proposito si è soliti menzionare il Canada relativamente alle<br />
questioni legate al commercio dell’amianto, materiale del quale il paese è<br />
tutt’ora produttore e esportatore ( 81 ). L’Unione Europea, come già accennato,<br />
potrebbe mostrare un interesse ad estendere la nozione di consumatore<br />
e ad escludere i contratti di assicurazione ( 82 ). Per gli Stati Uniti si prospetta<br />
la possibilità di escludere i contratti di franchising e i c.d. “mass-market cases”<br />
( 83 ) (principalmente a cagione della forte difformità di orientamento tra<br />
i singoli Stati dell’Unione) ( 84 ). La Cina, secondo un commentatore, potreb-<br />
al par. 3.3 all’ipotesi in cui il giudice a quo abbia dovuto definire in via preliminare una questione<br />
che sia stata oggetto di una dichiarazione ex art. 21 da parte dello Stato a quo o dello<br />
Stato ad quem: “Recognition or enforcement of a judgment may be refused if, and to the extent<br />
that, the judgment was based on a ruling on a matter excluded pursuant to a declaration made by<br />
the requested State under Article 21”.<br />
( 81 ) Teitz, The Hague Choice of Court Convention: Validating Party Autonomy and Providing<br />
an Alternative to Arbitration, cit., p. 553, nota 43; Bucher, La Convention de La Haye sur<br />
les accords d’élection de for, cit., p. 45; Fairley e Archibald, After the Hague: Some Thoughts<br />
on the Impact of Canadian Law of the Convention on Choice of Court Agreements, in 12 ILSA J.<br />
Int’l & Comp. L., 2005-2006, p. 430. L’introduzione della norma in questione deriva proprio<br />
dall’iniziativa della delegazione canadese preoccupata di evitare il riconoscimento delle decisioni<br />
statunitensi in materia di danni da asbesto.<br />
( 82 ) Escluse, naturalmente, le assicurazioni dei c.d. “grandi rischi”, cfr. art. 14 del Reg.<br />
44/2001. L’art. 26 del Regolamento disciplina il rapporto della Convenzione dell’Aja con altri<br />
strumenti internazionali regionali – in particolare con il sistema di Bruxelles I – secondo quella<br />
che viene definita “clause de deconnexion”, cfr. Borràs, Le droit international privé communautaire:<br />
réalités, problèmes et perspectives d’avenir, in Recueil des Cours de l’Académie de droit<br />
international de La Haye, t. 317, 2005, p. 490 ss. V. anche Bucher, La Convention de La Haye sur<br />
les accords d’élection de for, cit., p. 54 ss. In sostanza la Convenzione dell’Aja prevale qualora<br />
almeno una delle parti del rapporto sia un soggetto residente in uno Stato contraente della<br />
Convenzione ma non membro dell’Organizzazione Regionale d’Integrazione Economica<br />
(cioè della UE, in questo caso). Le regole sulla circolazione delle sentenze dettate dallo strumento<br />
regionale – reputate migliorative – prevalgono su quelle della Convenzione nei rapporti<br />
tra gli Stati membri dell’Organizzazione Regionale.<br />
( 83 ) Woodward, Saving the Hague Choice of Court Convention, cit., pp. 687 ss., li descrive<br />
come quei contratti collegati alla distribuzione di massa di beni e servizi, indipendentemente<br />
dalla destinazione data dall’acquirente: in molti di questi casi – spesso conclusi tramite<br />
moduli o formulari – si potrebbe attuare una grave violazione della “public policy statunitense”<br />
allorquando attraverso la scelta del foro si negasse agli acquirenti la possibilità di<br />
ricorrere alla “class action”, specialmente ove si trattasse di “small claims” che rappresentassero<br />
una piccola perdita individuale per l’acquirente ma un cospicuo guadagno complessivo<br />
per il venditore.<br />
( 84 ) Woodward, Saving the Hague Choice of Court Convention, cit., p. 678 ss.
SAGGI 221<br />
be riservare la giurisdizione esclusiva dei propri tribunali nelle ipotesi di<br />
joint-venture che coinvolgono una parte cinese e in caso l’oggetto della lite riguardi<br />
operazioni portuali, successioni o real estate ( 85 ). Non manca, poi, chi<br />
pronostica una dichiarazione di Cina, Russia e Australia volta ad escludere<br />
dall’ambito della Convenzione l’intero settore della proprietà intellettuale<br />
per evitare l’applicazione di discipline straniere più restrittive ( 86 ).<br />
5. – Se l’attenzione dell’osservatore si rivolge alle non poche esclusioni<br />
ed eccezioni previste dal documento convenzionale, più di una perplessità<br />
può essere sollevata circa le reali potenzialità della Convenzione e le possibilità<br />
di un suo successo ( 87 ). Le ombre non mancano, a partire dalle dichiarazioni<br />
ex art. 21 e dalle eccezioni di ordine pubblico, come pure dalle prospettive<br />
di riesame in sede di riconoscimento della decisione resa dal foro<br />
contrattuale. Pesa anche, per quanto fosse poco realistico immaginare un<br />
possibile accordo, la mancanza di regole in tema di litispendenza e di misure<br />
cautelari (pensando specialmente alle injunction anglo-americane).<br />
Al tempo stesso, però, va apprezzata l’intuizione dei redattori di concentrare<br />
il loro impegno, e con ciò l’oggetto della Convenzione, alle clausole<br />
sulla giurisdizione rendendo così possibile concludere in modo positivo<br />
le lunghe trattative dell’Aja con uno strumento che ha tutte le caratteristiche<br />
per essere utile agli operatori del commercio internazionale ( 88 ).<br />
La Convenzione interviene sul delicato momento dell’esercizio del po-<br />
( 85 ) Guangjian, The Hague Choice of Court Convention – A Chinese Perspective, cit., p. 353<br />
ss. Le ultime due esclusioni paiono già comprese nell’art. 2(2) della Convenzione, lett. (d) e<br />
(l). L’A., a seguito della sua analisi, auspica la ratifica cinese.<br />
( 86 ) Estendendo l’art. 2(2)(n) e (o). Cfr. Bucher, La Convention de La Haye sur les accords<br />
d’élection de for, cit., p. 34.<br />
( 87 ) Talpis e Krnjevic, The Hague Convention on Choice of Court Agreements of June 30,<br />
2005: The Elephant That Gave Birth to a Mouse, cit., p. 33 ss. “The end result is that there is too<br />
much room for domestic policies and domestic law which limit the Convention’s ability to attain<br />
its objective of uniformity of treatment ... the end product is simply not an instrument that will<br />
create transnational law. Furthermore, permitting frequent recourse to conflict of laws rules . . . is<br />
simply too long and complex for the narrow subject of choice of court agreements”.<br />
( 88 ) Schulz, The 2005 Hague Convention on Choice of Court Clauses, cit., p. 269: “what initially<br />
seemed to be a small step as compared to the more ambitious general Convention, may soon<br />
become a major milestone of international civil procedure”. Bucher, La Convention de La Haye<br />
sur les accords d’élection de for, cit., p. 61 ss. Ma Adler e Zarychta, The Hague Convention on<br />
Choice of Court Agreements: The United states Joins the Enforcement Band, in 27 Nw. J. Int’l L.<br />
& B., 2006-2007, p. 2, leggono la Convenzione come “a great leap forward for the protected few<br />
[cioè la comunità del commercio internazionale], and in another sense, an admission of failure<br />
for a larger international initiative”.
222 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
tere giurisdizionale al fine di evitare quella fioritura di giudizi paralleli che<br />
sono il frutto del forum shopping e che costituisce uno degli ostacoli principali<br />
alla spendibilità in terra straniera del giudicato ottenuto nel foro eletto.<br />
Il testo è meno vago e compromissorio di quanto potrebbe sembrare e,<br />
inoltre, “it makes litigation a more viable alternative to arbitration because it<br />
ensures the enforcement of forum selection clauses just like the New York Convention<br />
guarantees the enforcement of arbitration clauses” ed anche questo<br />
costituisce indubbiamente un importante risultato che non deve essere sottovalutato<br />
( 89 ).<br />
Certamente, il destino del sistema dipende largamente dal numero e<br />
dal peso delle adesioni che saprà trovare a livello internazionale. Al momento<br />
attuale non si registra una “corsa” per entrare nel sistema ma la firma<br />
di due grandi protagonisti della scena mondiale come gli Stati Uniti e l’Unione<br />
Europea ( 90 ) pare di buon auspicio.<br />
( 89 ) Teitz, The Hague Choice of Court Convention: Validating Party Autonomy and Providing<br />
an Alternative to Arbitration, cit., p. 556, la quale, inoltre, afferma che la Convenzione<br />
“addresses a real need and helps facilitating global transactions” e “[ . . .It] can be understood as<br />
a contract drafting tool” per gli operatori del commercio internazionale.<br />
( 90 ) A leggere la comunicazione inviata a Parlamento, Consiglio, Comitato Socio-economico<br />
e Comitato delle Regioni del 20 aprile 2010, COM(2010) 171, sull’implementazione del<br />
programma di Stoccolma, la Commissione dovrebbe proporre la ratifica della Convenzione<br />
nel 2012 (il documento è disponibile su http://ec.europa.eu/justice_home/news/intro/news_intro_en.htm<br />
– ultimo accesso 24 aprile 2010).
CHRISTIAN NOTDURFTER – SILVIA PETRUZZINO<br />
Luogo di consegna e relativo accordo delle parti nell’ambito<br />
del foro comunitario del contratto<br />
Sommario: 1. Premessa. – 2. La nozione di « luogo di consegna »: dal criterio di individuazione<br />
« conflittuale-analitico » a quello « pragmatico-fattuale ». – 3. Il luogo di consegna<br />
in assenza di accordo. – 4. L’accordo sul luogo di consegna: la rilevanza della volontà<br />
delle parti. – 5. Segue: La dizione « salvo diversa convenzione » ed il concetto di « accordo<br />
astratto » quale limite alla volontà delle parti. – 6. L’accordo espresso ed il valore<br />
degli Incoterms e delle clausole simili. – 7. L’accordo implicito ed i dubbi sulla relativa<br />
ammissibilità. – 8. Conclusioni.<br />
1. – Il foro comunitario del contratto di cui all’art. 5, n. 1, del regolamento<br />
CE 44/2001 (cd. regolamento Bruxelles I) ( 1 ) è – fra i fori speciali – quello<br />
più rilevante, da un punto di vista pratico, per la materia trattata, ma anche<br />
più controverso, da un punto di vista interpretativo, per i numerosi dubbi<br />
suscitati sia in dottrina ( 2 ) sia in giurisprudenza ( 3 ). Alcune recenti pronun-<br />
( 1 ) Regolamento CE 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000, concernente la competenza<br />
giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale,<br />
in G.U.C.E., L 12, 16 gennaio 2001, p. 1. Per un commento al regolamento si rinvia<br />
a Magnus e Mankowski, Brussels I Regulation, Monaco di Baviera, 2007; Mosconi e Campiglio,<br />
Diritto internazionale e processuale, parte generale e processuale, Torino, 2010, pp. 47 ss. e<br />
278 ss.; Briggs e Rees, Civil Jurisdiction and Judgments, Londra, 2009; Carbone, Lo spazio<br />
giudiziario europeo in materia civile e commerciale. Da Bruxelles I al regolamento CE n.<br />
805/2004, Torino, 2009.<br />
( 2 ) Per una ricostruzione dell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale del forum destinatae<br />
solutionis cfr. l’analisi di De Franceschi, Il locus destinatae solutionis nella disciplina<br />
comunitaria della competenza giurisdizionale, in questa rivista, 2008, p. 637 ss.; Campeis e De<br />
Pauli, Luogo di adempimento del contratto come titolo di giurisdizione « europea » fra Conv.<br />
Bruxelles e Reg. n. 44/2001, in Nuova giur. civ., 2003, p. 237 ss.; Broggini, Il forum destinatae<br />
solutionis: passato, presente, futuro, in Riv. dir. int. priv. proc., 2000, p. 15 ss.<br />
( 3 ) Cfr., in particolare, Cass., sez. un., 20 giugno 2007, nn. 14299-14300, cit.; Cass., sez. un.,<br />
27 settembre 2006, n. 20887; Cass., sez. un., 18 ottobre 2002, n. 14837, in Nuova giur. civ., 2003,<br />
p. 230 ss.; Trib. Padova, 10 febbraio 2004; Trib. Bolzano, 18 settembre 2006; Trib. Rovereto, 28<br />
agosto 2004, in Giur. it., 2005, p. 1009 ss., con nota di Poggio, Vendita internazionale di beni e<br />
foro speciale contrattuale ai sensi del Regolamento CE 44/2001 del Consiglio dell’Unione Europea;<br />
Trib. Brescia, 28 dicembre 2004, in Int.’l Lis, 2005, p. 131, con nota contraria di Silvestri,<br />
L’interpretazione del « luogo di consegna » ai sensi del novellato art. 5, n. 1, lett. b) Reg. 44/2001:<br />
qualche osservazione sui limiti del criterio fattuale.
224 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
ce emesse, rispettivamente, dalla Corte di Giustizia ( 4 ), dalla Corte di Cassazione<br />
( 5 )e dal Bundesgerichtshof ( 6 ), offrono l’occasione per riflettere sulla<br />
chiave interpretativa della suindicata norma, inaugurata con la sentenza<br />
Color Drack ( 7 ).<br />
Come di seguito esaminato, l’attuale orientamento giurisprudenziale<br />
risolve, da un lato, alcuni dubbi relativi alla disciplina del forum contractus e<br />
pone, dall’altro, nuovi interrogativi.<br />
Il presente lavoro intende analizzare il funzionamento del forum destinatae<br />
solutionis nei contratti di compravendita alla luce della recente<br />
giurisprudenza, focalizzandosi, in particolare, sui criteri di determinazione<br />
del luogo di consegna, sia in assenza sia in presenza di una (asserita)<br />
determinazione convenzionale delle parti ed approfondendo, nella seconda<br />
ipotesi, le modalità di manifestazione della volontà e le relative criticità.<br />
2. – La Convenzione di Bruxelles ( 8 ) non conteneva una definizione autonoma<br />
di luogo di adempimento dell’obbligazione dedotta in giudizio in<br />
materia contrattuale.<br />
La Corte di Giustizia, da parte sua, non aveva fornito tale definizione ( 9 ),<br />
accogliendo una nozione giuridica secondo il metodo cd. « conflittuale-ana-<br />
( 4 ) Corte UE, 25 febbraio 2010, causa C-381/08, Car Trim GmbH c. KeySafety Systems Srl e<br />
Corte UE, 11 marzo 2010, causa C-19/09, Wood Floor Solutions Andreas Domberger GmbH c.<br />
Silva Trade SA, in Riv. dir. int. priv. proc., 2010, rispettivamente pp. 792 ss. e 812 ss.<br />
( 5 ) Cass., sez. un., 5 ottobre 2009, n. 21191, Cirio dal Monte Spa c. Kaufland Warenhandel<br />
GmbH & Co. KG Sas.<br />
( 6 ) BGH, 23 giugno 2010, VIII ZR 135/08, in EuLF, 2010, p. II-63.<br />
( 7 ) Corte CE, 3 maggio 2007, causa C-386/05, Color Drack GmbH c. Lexx International Vertriebs<br />
GmbH, in Riv. dir. int. priv. proc., 2008, p. 249 ss. In senso conforme cfr. Corte UE, 23<br />
aprile 2009, causa C-533/07, Falco Privatstiftung e Thomas Rabitsch c. Weller-Lindhorst, in Riv.<br />
dir. int. priv. proc., 2009, p. 761 e Corte UE, 9 luglio 2009, causa C-204/08, Peter Rehder c. Air<br />
Baltic Corporation, in Riv. dir. int. priv. proc., 2009, p. 1025.<br />
( 8 ) Cfr. art. 5, n. 1, della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre del 1968, concernente<br />
la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia<br />
civile e commerciale, in G.U.C.E., C 27, 26 gennaio 1998, p. 1.<br />
( 9 ) Sull’opportunità dell’interpretazione autonoma cfr. Lupoi, Il luogo dell’esecuzione del<br />
contratto come criterio di collegamento giurisdizionale, Milano, 1978, pp. 168 ss. e 231 ss., nonché<br />
De Cristofaro, Il foro delle obbligazioni: profili di competenza e di giurisdizione, Torino,<br />
1999, p. 373 ss. In giurisprudenza, prima della sentenza Tessili (citata alla nota successiva) si<br />
erano pronunciati per l’interpretazione autonoma, per esempio, l’OLG Oldenburg, 14 novembre<br />
1975, in NJW, 1976, p. 1043 e la Cour d’Appel de Paris, 14 giugno 1975, in Rev. crit. dr.<br />
int. priv., 1976, p. 117.
SAGGI 225<br />
litico », inaugurato dalle due storiche sentenze Tessili ( 10 ) e De Bloos ( 11 ), in<br />
base al quale il giudice investito della causa doveva determinare – conformemente<br />
alle proprie regole di diritto internazionale privato – la legge applicabile<br />
al rapporto in questione e verificare, alla luce di tale legge, il luogo di<br />
adempimento dell’obbligazione caratteristica che si assumeva essere inadempiuta.<br />
Tale criterio – che continua, peraltro, ad applicarsi con riferimento all’art.<br />
5, n. 1, lett. a), del regolamento Bruxelles I, come recentemente chiarito<br />
dalla Corte nella sentenza Falco ( 12 ) – ha dato luogo a numerose critiche e<br />
problemi applicativi ( 13 ) che hanno spinto alla parziale riforma della discipli-<br />
( 10 ) Corte CE, 6 ottobre 1976, causa C-12/76, Industrie Tessili <strong>Italia</strong>na Como c. Dunlop AG,<br />
in Racc., 1976, p. 1473 ss. Tale orientamento è stato ribadito dalla Corte nella sentenza del 27<br />
giugno 1994, causa C-288/92, Custom Made Commercial Ltd. c. Stawa Metallbau GmbH, in<br />
Riv. dir. int. priv. proc., 1994, p. 675, contrariamente alle conclusioni dell’avvocato generale<br />
Lenz che auspicava, invece, l’accoglimento di una nozione autonoma di luogo di adempimento.<br />
In particolare, l’avvocato generale Lenz, nelle citate conclusioni (in Racc., 1976, I, p.<br />
2918 ss.), valorizzando la Relazione Jenard alla Convenzione di Bruxelles, secondo cui il fondamento<br />
dei fori speciali si individuava nella « stretta correlazione tra la controversia ed il giudice<br />
competente a conoscerla » ed osservando che il luogo di adempimento individuato tramite<br />
la lex causae determinava per lo più solo la ripartizione dei rischi e degli oneri collegati<br />
con il trasferimento di denaro, riteneva possibile enucleare il concetto di forum solutionis che<br />
si giustificasse in base a « ragioni processuali di vicinanza fisica ».<br />
( 11 ) Corte CE, 6 ottobre 1976, causa C-14/76, A. De Bloos Sprl c. Société en commandite par<br />
actions Bouyer, in Racc., 1976, p. 1497. In tale pronuncia, la Corte ha precisato che ai fini dell’applicazione<br />
dell’art. 5, n. 1, della Convenzione di Bruxelles bisognava considerare non<br />
qualsiasi obbligazione derivante dal rapporto controverso, ma la specifica obbligazione « che<br />
serve di base all’azione giudiziaria », quella cioè « corrispondente al diritto su cui si impernia<br />
l’azione dell’attore ».<br />
( 12 ) Cfr. il dispositivo della sentenza Corte UE, 23 aprile 2009, causa C-533/07, Falco Privatstiftung<br />
e Thomas Rabitsch c. Gisela Weller-Lindhorst, cit.<br />
( 13 ) Il rinvio alla lex causae si poneva, innanzitutto, in contrasto con il principio, accolto<br />
dalla stessa Corte di Giustizia (cfr., ex multis, Corte CE, Custom Made Commercial Ltd. c.<br />
Stawa Metallbau GmbH, cit., punto 20), secondo cui la pronuncia sulla competenza non<br />
avrebbe dovuto richiedere l’esame del merito. Determinava, inoltre, un conflitto con l’obiettivo<br />
di certezza e prevedibilità che doveva essere perseguito dalle norme attributive di competenza.<br />
Tale metodo presupponeva, infatti, che il giudice investito della controversia svolgesse<br />
analisi complesse difficilmente prevedibili dalle parti. Il giudice doveva, in primis, qualificare<br />
l’obbligazione contrattuale dedotta in giudizio dall’attore. Nel caso in cui fossero state<br />
dedotte più obbligazioni, la competenza giurisdizionale doveva essere determinata con riferimento<br />
al luogo di esecuzione dell’obbligazione principale (in tal senso Corte CE, 15 gennaio<br />
1987, causa 266/85, Shenavai, in Racc., 1987, p. 239, punto 19). Il giudice doveva, poi, individuare<br />
la legge applicabile all’obbligazione dedotta in giudizio e stabilire, da ultimo, il luogo<br />
di esecuzione dell’obbligazione contrattuale controversa. La competenza giurisdizionale
226 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
na, introducendo, nel regolamento Bruxelles I, l’art. 5, n. 1, lett. b) ( 14 ), contenente<br />
un titolo di giurisdizione per due tipologie di contratti nominati: la<br />
compravendita di beni e la prestazione di servizi.<br />
Con specifico riferimento ai contratti di compravendita di beni ( 15 ), la<br />
suindicata norma dispone che il luogo di esecuzione dell’obbligazione dedotta<br />
in giudizio è, « salvo diversa convenzione », quello « situato in uno<br />
Stato membro, in cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati<br />
in base al contratto ».<br />
La Relazione della Commissione sulla proposta di regolamento Bruxelles<br />
I ( 16 ) ha espressamente affermato che, al fine di risolvere gli inconvenienti<br />
applicativi generati dal metodo conflittuale-analitico, la nuova regola<br />
definisce in modo autonomo il luogo di adempimento per i contratti di<br />
compravendita, in base ad un criterio cd. « pragmatico-fattuale », che si applica<br />
a prescindere dalla natura della obbligazione controversa ed anche<br />
qualora questa sia costituita dal mancato pagamento del corrispettivo contrattuale<br />
e quando la domanda riguardi più obbligazioni.<br />
così determinata poteva, peraltro, risultare priva di alcun rapporto di prossimità con la controversia.<br />
Il metodo conflittuale-analitico comportava, infine, il rischio che i giudici di Stati diversi<br />
individuassero, rispetto a fattispecie identiche, luoghi di esecuzione dell’obbligazione<br />
dedotta in giudizio totalmente divergenti, così da generare il cd. forum shopping. Su tale ultimo<br />
aspetto cfr., in dottrina, Graffi, Spunti in tema di vendita internazionale e forum shopping,<br />
in Dir. comm. int., 2003, p. 821 ss. Cfr., inoltre, le critiche di Franzina, La giurisdizione in materia<br />
contrattuale: l’art. 5 n. 1 del Regolamento n. 44/2001/CE nella prospettiva della armonia<br />
delle decisioni, Padova, 2006, p. 27 ss.; Lupoi, Il « nuovo » foro per le controversie contrattuali, in<br />
Riv. trim. dir. e proc. civ., 2007, p. 500, e Mari, Il luogo di esecuzione dell’obbligazione tra convenzione<br />
di Bruxelles e convenzione di Roma: uguaglianza o uniformità, in Jus, 1990, p. 85 ss.<br />
( 14 ) Per un commento alle novità introdotte dal regolamento Bruxelles I cfr. Ancel, The<br />
Brussels I regulation: comment, in YPIL, 2001, p. 108; Stadler, From the Brussels convention to<br />
regulation 44/2001: cornerstones of a European law of civil procedure, in Comm. Market Law<br />
Rev., 2005, p. 1648 ss.; Stoffel, Place of performance – jurisdiction and plaintiff’s interests in<br />
contemporary society, in Eur. J. L. Reform, 2002, p. 193 ss.<br />
( 15 ) Sulla distinzione tra contratti di compravendita di beni e contratti di prestazione di<br />
servizi si rinvia in dottrina all’analisi di Franzina, Struttura e funzionamento del foro europeo<br />
della materia contrattuale alla luce delle sentenze Car Trim e Wood Floor della Corte di Giustizia,<br />
in Riv. dir. int. priv. e proc., 2010, p. 658 ss.; Marino, Il foro del contratto nella recente giurisprudenza<br />
comunitaria, in questa rivista, 2010, p. 626 ss.; Metzger, Zum Erfüllungsortgerichtsstand<br />
bei Kauf- und Dienstleistungsverträgen gemäß der EuGVVO, in IPRax, 2010, p. 423. Sulla nozione<br />
generale di contratto nel diritto internazionale privato comunitario cfr. Reiher, Der Vertragsbegriff<br />
im europäischen Internationalen Privatrecht – Ein Beitrag zur Abgrenzung der Verordnungen<br />
Rom I und Rom II, Baden-Baden, 2010.<br />
( 16 ) Relazione alla proposta finale della Commissione, COM (1999) 348, consultabile al sito<br />
www.europa.eu.
SAGGI 227<br />
Nonostante tale dichiarato abbandono del ricorso alla lex causae, parte<br />
della dottrina ( 17 )e della giurisprudenza ( 18 ) hanno continuato a fare riferimento<br />
alla nozione giuridica di forum destinatae solutionis, riducendo sensibilmente,<br />
se non addirittura vanificando, la portata innovativa della disposizione<br />
regolamentare.<br />
I contorni interpretativi del foro comunitario del contratto in caso di<br />
compravendita sono stati delineati dalla giurisprudenza comunitaria solo a<br />
distanza di cinque anni dall’entrata in vigore del regolamento Bruxelles I, a<br />
partire dalla sentenza Color Drack ( 19 ).<br />
Con tale pronuncia, la Corte ha finalmente chiarito che, al fine di rafforzare<br />
l’obiettivo primario di unificazione delle norme sulla competenza giurisdizionale<br />
per garantirne la prevedibilità ( 20 ), l’art. 5, n. 1, lett. b), del regolamento<br />
contiene un criterio di collegamento autonomo ed uniforme, tendenzialmente<br />
applicabile a tutte le domande fondate su un contratto di<br />
compravendita e non solo a quelle fondate sull’obbligo di consegna ( 21 ), in<br />
base al quale il luogo di consegna è individuato secondo un criterio pura-<br />
( 17 ) Cfr. Franzina, La giurisdizione in materia contrattuale, cit.; Id., Obbligazioni di non fare<br />
e obbligazioni eseguibili in più luoghi nella Convenzione di Bruxelles del 1968 e nel Regolamento<br />
(CE) n. 44/2001, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2002, p. 393 ss.; Salerno, La nozione autonoma<br />
del titolo di giurisdizione in materia di vendita, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2008, p. 381 ss.;<br />
Silvestri, L’interpretazione del « luogo di consegna » ai sensi del novellato art. 5, n. 1 lett b) Reg.<br />
44/2001: qualche osservazione sui limiti del criterio fattuale, cit., p. 136 ss.; Reinstadler, Il forum<br />
contractus autonomo ed unitario nella vendita internazionale di merci ai sensi dell’art. 5, n.<br />
1, lett. b) del Reg. n. 44/2001: una riforma fallita, in Giur. it., 2007, p. 430 ss.<br />
( 18 ) Cfr., tra le più recenti, Cass., sez. un., 19 marzo 2009, n. 6598, in Riv. dir. int. priv. proc.,<br />
2010, p. 117; Cass., sez. un., 9 febbraio 2009, n. 3059, in Riv. dir. int. priv. proc., 2009, p. 935;<br />
Cass., 17 luglio 2008, n. 19603, in Foro it., 2009, c. 1544; Cass., sez. un., 20 giugno 2007, nn.<br />
14299-14300, cit.; Cass., sez. un., 14 maggio 2007, n. 10941, cit.; Cass., sez. un., 14 giugno 2007,<br />
n. 13891, in Riv. dir. int. priv. proc., 2007, p. 505; Cass., sez. un., 3 gennaio 2007, n. 7, cit. Per un<br />
commento all’orientamento della Cassazione cfr. Barone, Sulla nozione di « luogo di consegna<br />
» ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. b) del regolamento n. 44/2001 nella giurisprudenza della Corte<br />
di Cassazione, in Dir. U.E., 2007, p. 893 ss.<br />
( 19 ) Sentenza Color Drack, cit.<br />
( 20 ) Cfr. sentenze Color Drack, cit., punto 24; Rehder, cit., punto 33 e Car Trim, cit., punto<br />
49. L’obiettivo di prevedibilità è stato tenuto in considerazione dalla Corte anche nella sentenza<br />
Custom Made, cit., punto 18, ed è, peraltro, espressamente richiamato anche nell’undicesimo<br />
considerando del regolamento Bruxelles I, in base al quale « le norme sulla competenza<br />
devono presentare un alto grado di prevedibilità ed articolarsi intorno al principio della<br />
competenza del giudice del domicilio del convenuto, la quale deve valere in ogni ipotesi salvo<br />
in alcuni casi rigorosamente determinati, nei quali la materia del contendere o l’autonomia<br />
delle parti giustifichi un diverso criterio di collegamento ».<br />
( 21 ) Sentenza Color Drack, cit., punto 26.
228 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
mente fattuale. È, di conseguenza, escluso il ricorso alle norme di diritto internazionale<br />
privato dello Stato membro del foro nonché al diritto sostanziale<br />
– di fonte interna o internazionale ( 22 ) – applicabile ( 23 ).<br />
Il criterio di collegamento autonomo determina, inoltre, direttamente il<br />
foro competente senza rinviare alle disposizioni degli ordinamenti nazionali<br />
( 24 ).<br />
La Corte, in accoglimento del principio di prossimità, ha altresì affermato<br />
che la norma di competenza speciale prevista dall’art. 5, n. 1, lett. b),<br />
del regolamento, trova la sua ratio nell’esistenza di una stretta correlazione<br />
tra il contratto ed il giudice ( 25 ).<br />
Il criterio pragmatico-fattuale di individuazione del luogo di consegna<br />
garantirebbe, quindi, i suindicati principi di prevedibilità e prossimità nel<br />
foro speciale del contratto ( 26 ).<br />
3. – Con la sentenza Car Trim, la Corte di Giustizia conferma l’orientamento<br />
inaugurato nel 2004 dalla suprema Corte austriaca, l’Oberster<br />
( 22 ) Ci si riferisce, in particolare, alla Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale<br />
di beni mobili. Tale approccio è stato ampiamente accolto in giurisprudenza: cfr.,<br />
ex multis, Cass., sez. un., 20 giugno 2007, nn. 14299-14300, in Int’l Lis, 2007, p. 119 ss.; Cass.,<br />
sez. un., 14 maggio 2007, n. 10941, in Corriere giur., 2007, p. 1526 ss.; Cass., sez. un., 3 gennaio<br />
2007, n. 7, in Int’l Lis, 2007, p. 113; Cass., sez. un., 27 settembre 2006, n. 20887, in Riv. dir. proc.,<br />
2007, p. 1303. Tra la giurisprudenza di merito cfr. OLG Stuttgart, 5 novembre 2007, in NJOZ,<br />
2008, p. 2648 ss.; Trib. Padova, 10 febbraio 2004, in Giur. it., 2006, p. 1013 ss., con nota di Ferrari;<br />
Trib. Bolzano, 18 settembre 2006, in Giur. it., 2007, p. 428 ss.<br />
( 23 ) Sentenza Car Trim, cit., punto 53.<br />
( 24 ) Sentenza Color Drack, cit., punto 30. In dottrina si rinvia a D’Alessandro, Brevi riflessioni<br />
su contenuto e tenore della declaratoria di competenza giurisdizionale, allorché la norma<br />
di giurisdizione sia anche norma di competenza per territorio, e sul regime degli effetti sostanziali<br />
e processuali, in Int’l Lis, 2009, p. 87 ss.<br />
( 25 ) Cfr. Corte UE, sentenze Color Drack, cit., punto 22; Rehder, cit., punto 32 e Car Trim,<br />
cit., punto 48. Il principio di prossimità è espressamente richiamato nel dodicesimo considerando<br />
del regolamento Bruxelles I in base al quale « il criterio del foro del domicilio del convenuto<br />
deve essere completato attraverso la previsione di fori alternativi, ammessi in base al<br />
collegamento stretto tra l’organo giurisdizionale e la controversia, ovvero al fine di agevolare<br />
il buon funzionamento della giustizia ».<br />
( 26 ) Critici su tale punto Leible, Der Erfüllungsort iSv Art. 5 Nr. 1 lit. b Brüssel I-VO – ein<br />
Mysterium, in Festschrift für Ulrich Spellenberg, 2010, p. 462; Mittmann, Die Bestimmung des<br />
Lieferortes beim Versendungskauf im Rahmen von Art. 5 Nr. 1 lit. b EuGVVO nach der Entscheidung<br />
« Car Trim » des EuGH, in IHR, 2010, p. 146 ss.; Metzger, Zum Erfüllungsortgerichtsstand<br />
bei Kauf-und Dienstleistungsverträgen gemäß der EuGVVO, in IPRax, 2010, p. 423; Gsell, Autonom<br />
bestimmter Gerichtsstand am Erfüllungsort nach der Brüssel I-Verordnung, in IPRax,<br />
2002, p. 488 ss.
SAGGI 229<br />
Gerichtshof ( 27 ), delineando i criteri ermeneutici per identificare il luogo<br />
di consegna dei beni.<br />
In assenza di accordo delle parti ( 28 ), la Corte afferma che bisogna far riferimento<br />
al luogo « della consegna materiale dei beni mediante la quale<br />
l’acquirente ha conseguito o avrebbe dovuto conseguire il potere di disporre<br />
effettivamente di tali beni alla destinazione finale dell’operazione di vendita<br />
» ( 29 ).<br />
Tale soluzione – secondo la Corte – appare la più idonea a soddisfare gli<br />
obiettivi di prevedibilità e prossimità dei fori speciali: in linea di principio,<br />
infatti, i beni costituenti l’oggetto del contratto dovrebbero trovarsi in tale<br />
luogo dopo l’esecuzione dello stesso e « l’obiettivo fondamentale di un contratto<br />
di compravendita di beni è il trasferimento degli stessi dal venditore<br />
all’acquirente, operazione che si conclude solo nel momento in cui tali beni<br />
giungono alla loro destinazione finale » ( 30 ).<br />
Rileva, quindi, il momento di consegna materiale dei beni, ossia il passaggio<br />
del potere, in capo all’acquirente, di disporre effettivamente dei beni<br />
venduti, tramite un criterio puramente fattuale « collegato al mero possesso<br />
» ( 31 ). Il fattore determinante è, quindi, la consegna materiale all’acqui-<br />
( 27 ) OGH, 14 dicembre 2004, 1 Ob 94/04m, in EuLF, 2005, p. II-10 ss.; conforme, ex multis,<br />
OGH, 20 febbraio 2006, 2 Ob 211/04z, in EuLF, 2006, p. II-80 ss. Nella giurisprudenza italiana<br />
cfr. Trib. Rovereto, 28 agosto 2004, cit., Trib. Brescia, 28 dicembre 2004, cit. e, da ultimo,<br />
Trib. Lecco, 15 aprile 2010, reperibile al sito www.dejure.giuffre.it.<br />
( 28 ) Sul punto vedi infra, paragrafi da 4 a 7.<br />
( 29 ) Sentenza Car Trim, cit., dispositivo. Per un commento a questa sentenza cfr. De<br />
Franceschi, Il foro europeo della materia contrattuale alla luce delle recenti acquisizioni della<br />
Corte di giustizia e delle Sezioni unite, in Int’l Lis, 2010, p. 82 ss.; Peleggi, La competenza giurisdizionale<br />
nei contratti per la fornitura di beni da fabbricare o produrre e nella vendita con trasporto:<br />
a proposito di una recente pronuncia della Corte di giustizia europea, in Dir. comm. int.,<br />
2010, p. 653 ss.; Leible, Internationale Zuständigkeit bei Vertrag über Fertigung und Lieferung<br />
von Airbag-Komponenten, in EuZW, 2010, p. 301 ss.; Metzger, Zum Erfüllungsortgerichtsstand<br />
bei Kauf- und Dienstleistungsverträgen gemäß der EuGVVO, cit., p. 420 ss.; Mittmann, Die Bestimmung<br />
des Lieferortes beim Versendungskauf im Rahmen von Art. 5 Nr. 1 lit. B EuGVVO nach<br />
der Entscheidung « Car Trim» des EuGH, cit., p. 146 ss.<br />
( 30 ) Sentenza Car Trim, cit., punto 61. La Corte non nega che il luogo di consegna dei beni<br />
al primo vettore sia privo di rilievo. Tuttavia, sarebbe meno idoneo a garantire i citati principi<br />
di prevedibilità e prossimità.<br />
( 31 ) Cfr. le conclusioni dell’avvocato generale Kokott, causa C-87/10, 3 marzo 2011, Electrosteel<br />
<strong>Europa</strong> SA c. Edil Centro Spa, punto 48, reperibile al sito www.curia.eu. La controversia<br />
riguarda la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Vicenza, sezione<br />
distaccata di Schio, il 15 febbraio 2010, la cui questione pregiudiziale è la seguente: « se l’articolo<br />
5, paragrafo 1, lettera b), del Regolamento n. 44/01 CE, e, comunque, il diritto comuni-
230 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
rente nell’ambito dell’esecuzione del contratto che, secondo la Corte di<br />
Giustizia, si perfeziona con il raggiungimento dei beni nella loro destinazione<br />
finale. Al riguardo è stato in modo condivisibile rilevato che il riferimento<br />
alla « destinazione finale [corsivo aggiunto] » appare superfluo, essendo<br />
sufficiente – ai fini dell’individuazione del locus solutionis – il criterio<br />
di consegna materiale all’acquirente, ed in quanto potrebbe generare, nella<br />
pratica, incertezze interpretative ( 32 ).<br />
È dubbio se la regola della consegna materiale dei beni all’acquirente si<br />
applichi ai casi in cui il contratto di compravendita non determini l’immissione<br />
delle merci nel possesso del compratore ( 33 ), ovvero ai contratti conclusi,<br />
nella grande distribuzione, tramite le centrali di acquisto. Atteso che<br />
la Corte pone l’enfasi sul momento di consegna materiale all’acquirente, la<br />
risposta parrebbe essere negativa, anche se è stato sostenuto, in base al criterio<br />
di prossimità tra il contratto e la lite, che, in tali ipotesi, rilevi il luogo di<br />
consegna al terzo ( 34 ).<br />
In caso di pluralità di luoghi di consegna all’interno del medesimo Stato<br />
membro è stato precisato, nella pronuncia Color Drack ( 35 ), che la consegna<br />
rilevante ai fini giurisdizionali coincide con il luogo in cui è effettuata la<br />
tario, laddove esso statuisce che il luogo di esecuzione dell’obbligazione, nel caso di compravendita<br />
di beni, è il luogo in cui sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati in base al<br />
contratto, vada interpretato nel senso che il luogo della consegna, rilevante ai fini della individuazione<br />
del Giudice dotato di competenza giurisdizionale, sia quello di destinazione finale<br />
delle merci oggetto del contratto ovvero quello in cui il venditore si libera dell’obbligazione<br />
di consegna, in base alla normativa sostanziale applicabile al singolo caso, ovvero, ancora<br />
se sia prospettabile una diversa interpretazione della norma citata ».<br />
( 32 ) Le problematiche applicative derivanti dal riferimento alla « destinazione finale » sono<br />
state evidenziate dall’avvocato generale Kokott, ibidem, punti 49 ss., secondo la quale detto<br />
riferimento potrebbe creare confusione, da un punto di vista pratico, in quanto potenzialmente<br />
incerto ed imprevedibile per il venditore, per esempio qualora i beni, dopo essere stati<br />
provviosoriamente collocati in un deposito dell’acquirente, siano successivamente spostati<br />
altrove, senza informare preventivamente il venditore stesso. L’avvocato generale mette inoltre<br />
in dicussione tale criterio, da un punto di vista sistematico, in quanto ricorderebbe « il luogo<br />
di destinazione finale della fornitura della merce » previsto nell’art. 63, n. 1, del regolamento<br />
Bruxelles I, per le sole persone domiciliate in Lussemburgo. Di conseguenza, non sussisterebbe<br />
alcun motivo per prevedere un’applicazione generale di tale norma speciale.<br />
( 33 ) Si pensi, ad esempio, a tutti i casi in cui una parte acquisti la merce al solo scopo di rivenderla<br />
ad un terzo, a cui i beni perverranno senza essere transitati nelle mani dell’intermediario.<br />
( 34 ) In tal senso Mittmann, Die Bestimmung des Lieferortes beim Versendungskauf im Rahmen<br />
von Art. 5 Nr. 1 lit. b EuGVVO nach der Entscheidung « Car Trim » des EuGH, cit., p. 147.<br />
( 35 ) Sentenza Color Drack, cit., punti 42 ss. Cfr., in dottrina, Mankowski, Mehrere Lieferorte<br />
beim Erfüllungsortgerichtsstand unter Art. 5 Nr. 1 lit. b EuGVO, in IPRax, 2007, p. 404 ss.
SAGGI 231<br />
consegna principale delle merci ( 36 ), individuato secondo criteri economici<br />
e non giuridici. In mancanza di elementi decisivi atti ad identificare tale luogo,<br />
l’attore potrà citare, a sua discrezione, il convenuto dinnanzi al giudice<br />
di uno dei luoghi di consegna. Resta, invece, aperta la questione se detto<br />
criterio risulti applicabile solo all’ipotesi di pluralità di luoghi di consegna in<br />
un unico Stato membro od anche in più Stati membri ( 37 ).<br />
Il principio di individuazione del locus solutionis in base a criteri economici<br />
è stato accolto anche dalla nostra giurisprudenza di legittimità che –<br />
con un’ordinanza ( 38 ) emessa qualche mese prima delle sentenze Car Trim –<br />
si è finalmente adeguata alle novità introdotte dal regolamento in materia di<br />
foro del contratto ed alla relativa interpretazione fornita dal giudice comunitario,<br />
abbandonando il proprio precedente orientamento ( 39 ).<br />
La Cassazione – prendendo espressamente spunto dalla sentenza Color<br />
Drack – statuisce che il luogo di consegna deve essere individuato in funzione<br />
di dove sia convenuta l’esecuzione della prestazione principale ritenuta<br />
tale in base a criteri economici, cioè il luogo di recapito finale della<br />
merce ove i beni entrano nella disponibilità materiale e non soltanto giuridica<br />
dell’acquirente. Nel luogo così individuato è radicata la giurisdizione<br />
per tutte le controversie sorte in tema di esecuzione del contratto, incluse<br />
quelle relative al pagamento dei beni alienati ( 40 ).<br />
L’individuazione del luogo di consegna, utilizzando il criterio della fornitura<br />
principale in base a criteri economici, implica sicuramente una valutazione<br />
discrezionale del giudice che, nella pratica, potrebbe essere non<br />
( 36 ) Tale principio è stato successivamente riaffermato nella sentenza Wood Floor, cit.,<br />
punto 40, in materia di prestazione di servizi.<br />
( 37 ) Su tale questione è attualmente pendente, davanti alla Corte di Giustizia, un procedimento<br />
di pronuncia pregiudiziale proposta dalla suprema Corte austriaca: cfr. causa C-<br />
147/09, Ronald Seunig c. Maria Hölzel.<br />
( 38 ) Cass., sez. un., 5 ottobre 2009, n. 21191, Cirio c. Kaufland, cit.<br />
( 39 ) Cfr. sentenze citate alla nota 18. Sino all’ordinanza Cirio c. Kaufland, la Cassazione ha<br />
praticamente ignorato quanto affermato dal giudice comunitario nella causa Color Drack, determinando<br />
il locus destinatae solutionis ancora secondo il metodo analitico-conflittuale ed<br />
applicando, in particolare, l’art. 31, lett. a), della Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita<br />
internazionale di beni mobili, che individua il luogo di consegna in quello di rimessione dei<br />
beni al primo vettore.<br />
( 40 ) Pochi mesi dopo l’emissione di tale sentenza, la Cassazione ha ignorato il principio<br />
secondo cui la regola contenuta nell’art. 5, n. 1, lett. b), del regolamento incardina la competenza<br />
giurisdizionale in relazione a tutte le pretese nascenti dal contratto di compravendita,<br />
individuando, in base all’obbligazione dedotta in giudizio e mediante il rinvio alla lex causae,<br />
il giudice competente per una controversia avente ad oggetto una pretesa pecuniaria scaturente<br />
da un contratto di prestazione di servizi: cfr. Cass., 27 aprile 2010, n. 9965.
232 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
sempre agevole ( 41 ). Tale criterio potrebbe, inoltre, generare il forum shopping,<br />
laddove il luogo principale di fornitura non emerga in modo chiaro dal<br />
contratto.<br />
Nella medesima ordinanza, le sezioni unite chiariscono, inoltre, che la<br />
disposizione relativa alla consegna al vettore contenuta nell’art. 31 della<br />
Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili<br />
contiene « una regula iuris idonea a disciplinare i rapporti obbligatori tra le<br />
parti sotto il profilo della valutazione dell’eventuale dies inadimpleti contractus,<br />
ma non anche una regola di giurisdizione ».<br />
Successivamente alla sentenza Car Trim ed in accoglimento dei principi<br />
ivi enunciati, il Bundesgerichtshof ( 42 ) ha affermato che, in caso di vendita a distanza<br />
intracomunitaria, il luogo di consegna ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. b),<br />
del regolamento coincide – in assenza di accordo – con il luogo in cui il trasferimento<br />
dei beni dal venditore all’acquirente si è completamente esaurito<br />
mediante l’arrivo dei beni alla destinazione finale dove l’acquirente ha conseguito<br />
o avrebbe dovuto conseguire l’effettivo potere di disporre della merce.<br />
Nel caso in specie, la suprema Corte tedesca ha ritenuto legittima l’interpretazione<br />
offerta nella sentenza impugnata secondo cui la clausola « resa:<br />
franco partenza » non costituirebbe un accordo sul locus solutionis ( 43 ).<br />
Nel caso, infine, in cui il luogo di consegna non sia situato in uno Stato<br />
membro oppure non risulti individuabile attraverso il metodo pragmatico fattuale<br />
(ad esempio perché i beni non sono stati ancora consegnati e non risulta<br />
sussistere alcun relativo accordo) si ritiene doversi applicare – mediante il rinvio<br />
operato dall’art. 5, n. 1, lett. c), del regolamento – il disposto di cui alla lett.<br />
a) della medesima norma, la cui formulazione è rimasta invariata rispetto a<br />
quella contenuta nella Convenzione di Bruxelles. Il foro speciale sarà, di conseguenza,<br />
determinato alla luce dei criteri elaborati dalla giurisprudenza Tessili<br />
e De Bloos, con individuazione del luogo di adempimento attraverso il sopra<br />
descritto metodo conflittuale-analitico applicando la lex causae ( 44 ).<br />
( 41 ) Sul punto si segnala la critica di Franzina, Struttura e funzionamento del foro europeo<br />
della materia contrattuale, cit., p. 671.<br />
( 42 ) BGH, 23 giugno 2010, cit. In senso conforme, dopo la pronuncia Car Trim, OGH, 14<br />
settembre 2010, 1 Ob 137/10v, in ÖJZ, 2011, p. 75 ss., con nota di Garber.<br />
( 43 ) Su tale aspetto della pronuncia del Bundesgerichtshof vedi anche infra, par. 6.<br />
( 44 ) Leible, Der Erfüllungsort im Sinne von Art. 5 Nr. 1 lit. b) Brüssel I-VO: ein Mysterium,<br />
cit., p. 456; Eltzschig, Ende oder Fortführung von forum actoris und Erfüllungsortbestimmung<br />
lege causae, in IPRax, 2002, p. 495 ss.; Klemm, Erfüllungsortvereinbarung im Europäischen Zivilverfahrensrecht,<br />
Jena, 2005, p. 82; Magnus, Das UN-Kaufrecht und die Erfüllungsortzuständigkeit<br />
in der neuen EuGVO, in IHR, 2002, p. 48.
SAGGI 233<br />
4. – L’art. 5, n. 1, lett. b), del regolamento ha indubbiamente comportato<br />
una sostanziale valorizzazione dell’accordo delle parti sul luogo di adempimento,<br />
dovendo il locus solutionis essere individuato « in base al contratto<br />
».<br />
Nella sentenza Car Trim, la Corte di Giustizia ha confermato che il luogo<br />
di consegna deve determinarsi, in primis, sulla base delle disposizioni del<br />
contratto che rivelino la volontà delle parti in merito al luogo di consegna,<br />
escludendo – come pare categoricamente – l’applicazione della lex causae.<br />
Unico criterio che rileva a tal fine sarebbe la volontà delle parti « rivelata » ( 45 )<br />
dalle disposizioni del contratto, senza alcuna possibilità, si noti, di riferimento<br />
al diritto sostanziale applicabile al contratto ( 46 ).<br />
La Corte sembra, quindi, ribaltare il precedente orientamento, inaugurato<br />
con le sentenze Zelger ( 47 ) e MSG ( 48 ) e confermato dalla successiva pronuncia<br />
GIE Groupe Concorde ( 49 ), secondo cui un accordo sul luogo di<br />
adempimento – ai fini processuali de quibus – non è soggetto a particolari requisiti<br />
di forma purché valido secondo il diritto applicabile al contratto e<br />
purché non costituente un accordo astratto ( 50 ). La Corte aveva, quindi, optato<br />
per una (pressoché) perfetta corrispondenza tra validità sostanziale e<br />
processuale dell’accordo sul luogo di consegna.<br />
L’esclusione della lex causae operata con la sentenza Car Trim e la conseguente<br />
netta distinzione tra validità sostanziale e processuale degli accordi<br />
in oggetto suscita non poche perplessità.<br />
Il semplice riferimento alla volontà delle parti – come pare intesa in<br />
senso meramente empirico – è incompleto e rischia di minare l’obiettivo<br />
di prevedibilità del foro del contratto e, di conseguenza, la certezza del diritto.<br />
L’esclusione della lex causae – in assenza di criteri certi da applicare<br />
( 45 ) Sentenza Car Trim, cit., punto 55.<br />
( 46 ) Cfr. sentenza Car Trim, cit., dispositivo nonché punti 54, 55 e 56. In tal senso anche<br />
Franzina, Struttura e funzionamento del foro europeo della materia contrattuale, cit., p. 677 ss.<br />
Di contrario avviso Mittmann, Die Bestimmung des Lieferortes beim Versendungskauf im Rahmen<br />
von Art. 5 Nr. 1 lit. b EuGVVO nach der Entscheidung « Car Trim » des EuGH, cit., p. 148, che<br />
ritiene, seppur senza adeguata motivazione, che l’efficacia dell’accordo sul luogo di adempimento<br />
sarebbe tuttora da individuare sulla base della lex causae.<br />
( 47 ) Corte CE, 17 gennaio 1980, causa C-56/79, Siegfried Zelger c. Sebastiano Salinitri, in<br />
Racc., 1980, p. 89 ss.<br />
( 48 ) Corte CE, 20 febbraio 1997, causa C-106/95, Mainschiffahrts-Genossenschaft eG<br />
(MSG) c. Les Gravières Rhénanes SARL, in Riv. dir. int. priv. proc., 1997, p. 775 ss.<br />
( 49 ) Corte CE, 28 settembre 1999, causa C-440/97, GIE Groupe Concorde e a. c. Comandante<br />
della nave « Suhadiwarno Panjan » e a., in Riv. dir. int. priv. proc., 2000, p. 217 ss., punto 28.<br />
( 50 ) Sulla nozione di accordo astratto vedi infra, par. 5.
234 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
in alternativa – apre, infatti, un elevato ed imprevedibile potere discrezionale<br />
dei giudici chiamati a pronunciarsi in merito all’individuazione e validità<br />
della volontà delle parti, addirittura al di là dei particolarismi delle<br />
leggi nazionali ( 51 ). Sebbene la verifica della volontà delle parti spetti in ultima<br />
analisi al giudice di merito ( 52 ), la Corte di Giustizia avrebbe dovuto<br />
fissare regole uniformi precise che stabiliscano le modalità di valutazione<br />
– sotto il profilo di efficacia giurisdizionale – della volontà delle parti sul<br />
luogo di consegna ( 53 ).<br />
5. – Sempre nell’ambito dell’accordo delle parti rileva il caveat « salvo diversa<br />
convenzione » previsto dall’art. 5, n. 1, lett. b), del regolamento, al<br />
quale è difficile attribuire un significato chiaro e univoco ( 54 ).<br />
La dottrina ha proposto diverse letture sulle modalità interpretative di<br />
tale dizione ( 55 ).<br />
Secondo autorevoli autori ( 56 ), la « diversa convenzione » opererebbe<br />
con riferimento alle obbligazioni diverse dalla consegna. La giurisdizione<br />
sarebbe radicata nel luogo di adempimento dell’obbligazione individuata<br />
dalle parti (ad esempio il pagamento del corrispettivo), con diretta applicazione<br />
dell’art. 5, n. 1, lett. b), del regolamento. Non è chiaro se il diverso foro<br />
così individuato sia competente a conoscere le controversie derivanti<br />
dall’intero rapporto contrattuale oppure se la « diversa convenzione » reintroduca<br />
il metodo conflittuale-analitico ( 57 ).<br />
( 51 ) Al riguardo si considerino, a titolo esemplificativo, i diversi approcci interpretativi seguiti<br />
nella civil law e nella common law: cfr. Reece, Interpretation Clauses in International Contracts,<br />
in Les grandes clauses des contrats internationaux: 55e Séminaire de la Commission Droit<br />
et Vie des Affaires, Bruxelles, 2005, p. 39 ss.<br />
( 52 ) Sentenza Car Trim, cit., punto 54.<br />
( 53 ) Cfr. sul punto anche Franzina, Struttura e funzionamento del foro europeo della materia<br />
contrattuale, cit., p. 679.<br />
( 54 ) Come rilevato da Briggs e Rees, Civil Jurisdiction and Judgments, cit., p. 159 ss., « it<br />
is close to impossible to make sense of the words ‘unless otherwise agreed’. [ . . .] The suspicion<br />
is that the words are there from a superstitious sense that such reservations are inherently<br />
useful in the law of contract. They can be forgotten until an imaginative court is able to<br />
breathe intelligent life into them ».<br />
( 55 ) Per una dettagliata esposizione delle diverse letture cfr. Klemm, Erfüllungsortvereinbarungen<br />
im Europäischen Zivilverfahrensrecht, cit., p. 71 ss.<br />
( 56 ) Lupoi, Il « nuovo » foro per le controversie contrattuali, cit., p. 520 ss.; Fawcett, Harris<br />
e Bridge, International Sale of Goods in the Conflict of Laws, cit., p. 123. Di diverso avviso<br />
Reinstadler, Il forum contractus autonomo ed unitario nella vendita internazionale di merci ai<br />
sensi dell’art. 5, n. 1, lett. b) del Reg., cit., p. 432.<br />
( 57 ) In senso favorevole Lupoi, Il « nuovo » foro per le controversie contrattuali, cit., p. 521.
SAGGI 235<br />
Secondo altri autori, la locuzione in parola dovrebbe, invece, essere interpretata<br />
nel senso che la stessa permetta di individuare un luogo di consegna<br />
diverso da quello in cui i beni siano materialmente consegnati all’acquirente,<br />
laddove tale luogo presenti un collegamento con il contratto ( 58 ).<br />
In ogni caso, i confini tra il forum contractus, la cui ratio è la vicinanza del<br />
contratto con l’organo giudicante, e la proroga di competenza ex art. 23 del<br />
regolamento, la cui ratio è la tutela dei contraenti, non sempre appaiono<br />
chiaramente delineati. La « diversa convenzione » sul luogo di adempimento,<br />
non soggetta a particolari requisiti di forma, potrebbe, infatti, celare un<br />
accordo di proroga di competenza ( 59 ), che presuppone, al contrario, il rispetto<br />
dei severi requisiti formali previsti dall’art. 23 del regolamento ( 60 ). A<br />
tale proposito, la Corte di Giustizia ha posto un limite alla volontà delle parti<br />
in relazione al forum contractus, escludendo la rilevanza processuale dei<br />
cd. accordi astratti ( 61 ), ossia degli accordi mediante i quali le parti non intendono<br />
stabilire un luogo di adempimento materiale, ma fissare un luogo<br />
di esecuzione a fini meramente processuali, privo di alcun « collegamento<br />
effettivo » con la Vertragswirklichkeit (la realtà contrattuale) ed in cui le obbligazioni<br />
derivanti dal contratto medesimo non potrebbero essere eseguite<br />
sulla base dei termini ivi contenuti. Per questi motivi, tali accordi sono<br />
soggetti ai requisiti di forma di cui all’art. 23 del regolamento ( 62 ).<br />
( 58 ) Wipping, Der europäische Gerichtsstand des Erfüllungsortes – Art. 5 Nr. 1 EuGVVO,<br />
Berlino, 2008, p. 217.<br />
( 59 ) Autorevole dottrina aveva già da tempo sollecitato la Corte a pronunciarsi nel senso<br />
di prevenire il pericolo che le parti abusino di un istituto sostanziale (quale l’accordo sul locus<br />
solutionis) per conseguire effetti meramente processuali: cfr., per tutti, Schack, Abstrakte<br />
Erfüllungsortvereinbarungen: form- oder sinnlos, in IPRax, 1996, p. 247 ss.<br />
( 60 ) Nel caso in specie l’applicazione dell’art. 5, n. 1, lett. b), impone requisiti formali decisamente<br />
meno stringenti rispetto all’art. 23 del regolamento. Cfr., sul punto, Poggio, Vendita<br />
internazionale di beni e foro speciale contrattuale ai sensi del Regolamento CE 44/2001 del<br />
Consiglio dell’Unione Europea, cit., p. 1011. Spellenberg, Die Vereinbarung des Erfüllungsortes,<br />
in IPRax, 1981, p. 79, sottolinea che laddove norme prevedono requisiti formali diversi,<br />
una netta distinzione deve essere operata sulla base dei rispettivi contenuti sostanziali.<br />
( 61 ) Sentenza MSG, cit., punti da 31 a 34. Tale pronuncia, emessa sotto il vigore della Convenzione<br />
di Bruxelles, rileva anche con riferimento al regolamento Bruxelles I.<br />
( 62 ) Per una dettagliata analisi del concetto di accordo astratto cfr. Klemm, Erfüllungsortvereinbarungen<br />
im Europäischen Zivilverfahrensrecht, cit., p. 97 ss.; Leible e Sommer, Tücken<br />
bei der Bestimmung der internationalen Zuständigkeit nach der EuGVVO: Rügelose Einlassung,<br />
Gerichtsstands- und Erfüllungsortvereinbarungen, Vertragsgerichtsstand, in IPRax, 2006, p. 571.<br />
Per una recente applicazione pratica del concetto di accordo astratto cfr. OGH, 8 settembre<br />
2009, 1 Ob 146/09s e OGH, 8 settembre 2005, 8 Ob 83/05x, entrambi consultabili al sito<br />
www.ris.bka.gv.at.
236 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Le incertezze interpretative derivanti dalla locuzione « salvo diversa convenzione<br />
» non sono state eliminate con la sentenza Car Trim, in cui la Corte<br />
di Giustizia si è limitata ad affermare che detta espressione «indica che le<br />
parti possono stipulare una convenzione per accordarsi sul luogo di esecuzione<br />
dell’obbligazione ai fini dell’applicazione di tale disposizione » ( 63 ). Da<br />
tale affermazione è stata dedotta la definitiva inammissibilità degli accordi<br />
astratti, laddove sia riconosciuto il diritto delle parti di « accordarsi sul luogo<br />
di esecuzione dell’obbligazione [corsivo aggiunto] » ai fini dell’applicazione<br />
del foro del contratto ( 64 ). Dal preciso riferimento all’obbligazione deriverebbe<br />
il divieto degli accordi finalizzati meramente a pilotare la competenza.<br />
Questi ultimi continuerebbero a costituire accordi astratti e sarebbero,<br />
pertanto, sottoposti ai requisiti formali di cui all’art. 23 del regolamento.<br />
Di conseguenza, la dizione « salvo diversa convenzione » esprimerebbe soltanto<br />
l’ovvio, ossia l’ammissibilità di accordi di proroga ( 65 ).<br />
Permane, inoltre, dubbia l’ammissibilità del diritto delle parti di determinare<br />
un luogo di consegna – con efficacia processuale – per le obbligazioni<br />
diverse dalla consegna, come ad esempio il luogo di pagamento del prezzo<br />
( 66 ).<br />
Non ci resta, quindi, che attendere una netta presa di posizione da parte<br />
della giurisprudenza o del legislatore comunitario.<br />
6. – Alla luce delle considerazioni che precedono, ci si chiede quali siano<br />
i requisiti necessari per la sussistenza di un accordo espresso sul luogo di<br />
consegna e, in particolare, quando sia configurabile una relativa pattuizione<br />
inequivocabile con efficacia processuale.<br />
Sebbene il problema possa apparire, prima facie, di semplice soluzione,<br />
non è, in realtà, sempre agevole individuare l’espressa volontà delle parti<br />
sulla base di determinate clausole contrattuali.<br />
A tale proposito meritano particolare attenzione gli International Commercial<br />
Terms – noti sotto l’acronimo Incoterms ( 67 ) – sviluppati dall’Interna-<br />
( 63 ) Sentenza Car Trim, cit., punto 46.<br />
( 64 ) Ibidem.<br />
( 65 ) Così Leible, Der Erfüllungsort iSv Art. 5 Nr. 1 lit. b Brüssel I-VO – ein Mysterium, cit.,<br />
p. 456, il quale, per tale motivo e per evitare ulteriori perplessità, auspica l’eliminazione dell’espressione<br />
« salvo diversa convenzione » in sede di revisione del regolamento.<br />
( 66 ) In tal senso anche Mittmann, Die Bestimmung des Lieferortes beim Versendungskauf im<br />
Rahmen von Art. 5 Nr. 1 lit. b EuGVVO nach der Entscheidung « Car Trim » des EuGH, cit., p. 148.<br />
( 67 ) Ci si riferisce ai termini EXW (Ex Works), FCA (Free Carrier), CPT (Carriage Paid to),<br />
CIP (Carriage and Insurance Paid to), DAT (Delivered at Terminal), DAP (Delivered at Place) e
SAGGI 237<br />
tional Chamber of Commerce (ICC) per l’interpretazione di (attualmente)<br />
undici sigle, ciascuna composta da tre lettere, che regolano, se validamente<br />
inclusi nel contratto, determinati obblighi, rispettivamente a carico del venditore<br />
e dell’acquirente, nei contratti di trasferimento di beni ( 68 ).<br />
Il valore degli Incoterms, ai fini della determinazione convenzionale del<br />
luogo di consegna ex art. 5, punto 1, lett. b), del regolamento, è controverso.<br />
Secondo la dottrina maggioritaria ( 69 ) e parte della giurisprudenza ( 70 ),<br />
molti Incoterms sono idonei a costituire un accordo sul luogo di consegna<br />
con efficacia anche ai fini del forum contractus.<br />
Una rilevante giurisprudenza ritiene, invece, che con il richiamo agli Incoterms,<br />
le parti si limitino a regolare i rischi, i costi di trasporto, gli obblighi<br />
di assicurazione dei beni o eventuali formalità doganali ( 71 ).<br />
Secondo un ulteriore orientamento giurisprudenziale, la possibilità di interpretare<br />
gli Incoterms come determinanti un accordo sul luogo di consegna<br />
– anche ai fini processuali – non è esclusa a priori, ma richiede l’esame delle<br />
DDP (Delivery Duty Paid), applicabili a tutti i modi di trasporto, nonché ai termini FAS (Free<br />
Alongside Ship), FOB (Free on Board), CFR (Cost and Fright) e CIF (Cost, Insurance and Fright),<br />
applicabili al trasporto marittimo e fluviale.<br />
( 68 ) ICC, Incoterms® 2010, Parigi, 2010. La prima edizione degli Incoterms, che vengono<br />
periodicamente aggiornati, risale al 1936. L’attuale edizione del 2010 è in vigore dal 1° gennaio<br />
2011, per relativi approfondimenti cfr. Ramberg, ICC Guide to Incoterms 2010, Parigi, 2011.<br />
( 69 ) Cfr., per esempio, Franzina, La giurisdizione in materia contrattuale, cit., p. 394 ss.;<br />
Fawcett, Harris e Bridge, International Sale of Goods in the Conflict of Laws, cit., p. 101 ss.;<br />
Magnus, Das UN-Kaufrecht und die Erfüllungsortzuständigkeit in der neuen EuGVO, in IHR<br />
2002, p. 48; Nordmeier, Internationale Zuständigkeit portugiesischer Gerichte für die Kaufpreisklage<br />
gegen deutsche Käufer, in IPRax, 2008, p. 275 ss.; Hau, Die Kaufpreisklage des Verkäufers<br />
im reformierten europäischen Vertragsgerichtstand – ein Heimspiel, in JZ, 2008, p. 978 ss.; Chesire,<br />
North e Fawcett, Private International Law, Oxford, 2008, p. 240 ss.; Silvestri, L’interpretazione<br />
del « luogo di consegna » ai sensi del novellato art. 5, n. 1, lett. b) Reg. 44/2001, cit.,<br />
p. 136; contra, per esempio, Poggio, Vendita internazionale di beni e foro speciale contrattuale<br />
ai sensi del Regolamento (CE) 44/2001, cit., p. 1009, che ritiene necessaria invece una precisa,<br />
specifica pattuizione delle parti circa il luogo di fisica messa a disposizione dei beni.<br />
( 70 ) In relazione alla clausola EXW cfr. Tribunal da Relação do Porto, 26 aprile 2007, Agravo<br />
n. 1617/07-3 a Sec., ed in relazione alla clausola FCA cfr. Tribunal da Relação de Coimbra,<br />
13 marzo 2007, Agravo 3142/04.0TBVIS-A.C1, entrambi consultabili al sito www.dgsi.pt; per la<br />
clausola FOB cfr. House of Lords, 20 febbraio 2008, Scottish & Newcastle International Ltd. c.<br />
Othon Ghalanos Ltd., consultabile al sito www.parliament.uk; BGH, 22 aprile 2009, VIII ZR<br />
156/07, consultabile al sito www.bundesgerichtshof.de; Trib. Padova, 10 febbraio 2004, cit., p.<br />
1013 ss., con nota di Ferrari.<br />
( 71 ) In relazione alla clausola EXW cfr. Supremo Tribunal de Justiça, 23 ottobre 2007,<br />
Agravo 07°3119, consultabile al sito www.dgsi.pt; OGH, 14 dicembre 2004, 1 Ob 94/04m, consultabile<br />
al sito www.ris.bka.gv.at; Trib. Bolzano, 18 settembre 2006, cit., p. 428 ss.
238 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
circostanze rilevanti del caso concreto, quali le effettive modalità di svolgimento<br />
del trasporto ( 72 ) o l’interpretazione della clausola utilizzata tenuto<br />
conto del complesso delle disposizioni contrattuali, espresse ed implicite ( 73 ).<br />
In caso di avvenuta consegna sarà, di regola, agevole individuare il contenuto<br />
che le parti abbiano inteso attribuire all’Incoterm utilizzato, esaminando,<br />
ad esempio, i documenti di trasporto. Detta verifica risulterà, invece,<br />
più difficile in caso di mancata consegna. In tale ipotesi, ci si chiede se gli<br />
Incoterms siano sufficienti per affermare la sussistenza della volontà delle<br />
parti sul locus solutionis, atteso che – secondo la definizione fornita dall’ICC<br />
– il termine delivery indica il momento in cui i rischi passano dal venditore<br />
all’acquirente e non anche il momento in cui i beni entrano nella materiale<br />
disponibilità dell’acquirente ( 74 ).<br />
La risposta pare, comunque, positiva per certi Incoterms: ad esempio<br />
per la clausola EXW (Ex Works), particolarmente rilevante per il venditore<br />
in quanto astrattamente idonea a radicare il foro del contratto presso la sua<br />
sede o un suo stabilimento. Il termine EXW implica, infatti, da un lato,<br />
l’obbligo del venditore di mettere i beni a disposizione dell’acquirente nel<br />
luogo convenuto ( 75 ) ed a comunicare all’acquirente ogni informazione utile<br />
al fine di consentire a quest’ultimo di prendere in consegna i beni ( 76 ), e,<br />
( 72 ) Cfr., per esempio, Irish High Court, 28 giugno 2005, General Monitors Ireland Ltd. v.<br />
SES-ASA Protection Spa, consultabile al sito www.bailii.org, in cui, sulla base della clausola<br />
« via ICS ex-works », il venditore aveva consegnato i beni al vettore ICS presso lo stabilimento<br />
del venditore di Galway. La High Court aveva accertato che il vettore era stato nominato,<br />
incaricato e pagato dall’acquirente, mentre non aveva alcun rapporto contrattuale con il venditore,<br />
quindi rinvenendo in detta clausola un accordo sul luogo di consegna. In tal senso anche,<br />
per esempio, OGH, 8 settembre 2009, 1 Ob 146/09s e OGH, 20 febbraio 2006,<br />
2Ob211/04z, entrambi consultabili al sito www.ris.bka.gv.at; OLG Karlsruhe, 28 marzo 2006,<br />
in OLG Report Karlsruhe, 2006, p. 719; LG Freiburg, 13 maggio 2005, in IPRax, 2005, p. 269.<br />
( 73 ) Così, per esempio, Supremo Tribunal de Justiça, 5 luglio 2007, Agravo 07B1944, consultabile<br />
al sito www.dgsi.it; al riguardo cfr. Nordmeier, Internationale Zuständigkeit portugiesischer<br />
Gerichte für die Kaufpreisklage gegen deutsche Käufer, cit., p. 276, che critica l’avviso della<br />
Corte suprema portoghese secondo cui l’inclusione di una delle clausole Incoterms, nel caso<br />
di specie EXW, non sarebbe da sola sufficiente per la determinazione del luogo di consegna.<br />
( 74 ) Ed infatti, « the concept of delivery has multiple meanings in trade law and practice,<br />
but in the Incoterms® 2010 rules it is used to indicate where the risk of loss or damage passes<br />
from the seller to the buyer »: cfr. ICC, Incoterms® 2010, cit., p. 12.<br />
( 75 ) Regola EXW A4, ICC, Incoterms® 2010, cit., p. 18: « The seller must deliver the goods<br />
by placing them at the the disposal of the buyer at the agreed point, if any, at the named place of<br />
delivery [ . . .] [corsivo aggiunto] ».<br />
( 76 ) Regola EXW A7, ibidem, p. 20: « The seller must give the buyer any notice needed to<br />
enable the buyer to take delivery of the goods ».
SAGGI 239<br />
dall’altro, l’obbligo dell’acquirente di prendere in consegna la merce quando<br />
la stessa è consegnata dal venditore conformemente ai suoi relativi obblighi<br />
( 77 ). Il termine EXW sembra, dunque, prevedere esplicitamente un<br />
luogo di consegna materiale, con conseguente efficacia anche processuale,<br />
presso il luogo specificato, in quanto costituente il luogo non solo di trasferimento<br />
dei rischi, ma anche di acquisizione, da parte dell’acquirente, della<br />
materiale disponibilità dei beni venduti. La disciplina applicabile al termine<br />
EXW è chiara e comprensibile sul punto ed agevolmente consultabile, senza<br />
necessità di riferimento alla lex causae ( 78 ).<br />
Simili considerazioni valgono, per esempio, per la clausola CIF (Cost,<br />
Insurance and Freight), che sembra implicare un accordo sul luogo di consegna<br />
presso il porto di destinazione ( 79 ). Sebbene, infatti, il venditore adempia<br />
all’obbligo della delivery con la consegna della merce al vettore ( 80 ), il termine<br />
delivery – come sopra evidenziato ( 81 ) – indica solo il passaggio dei rischi.<br />
Chiarificatore appare, tuttavia, l’obbligo dell’acquirente di ricevere i<br />
beni dal vettore al porto di destinazione indicato ( 82 ).<br />
Gli Incoterms che paiono stabilire il luogo in cui i beni entrano nella materiale<br />
disponibilità dell’acquirente (anche tramite un suo incaricato), non<br />
saranno, comunque, idonei a giustificare la sussistenza della (effettiva) volontà<br />
delle parti sul luogo di consegna se contraddette da altre disposizioni<br />
contrattuali o dai fatti o se costituenti un accordo astratto.<br />
Da distinguere dagli Incoterms sono le clausole simili come « resa franco<br />
partenza », « resa franco cantiere » o « resa franco sede [del venditore] »,<br />
le quali pongono ancora maggiori dubbi interpretativi in relazione al luogo<br />
( 77 ) Regola EXW B4, ibidem, p. 19: « The buyer must take delivery of the goods when A4<br />
and A7 have been complied with ».<br />
( 78 ) Cfr., in tal senso, anche le conclusioni dell’avvocato generale Kokott, cit., punto 43.<br />
Se si volesse eccedere di zelo, una clausola EXW potrebbe essere inclusa nel contratto come<br />
segue: « EXW [luogo di consegna] Incoterms® 2010, le cui relative regole interpretative si intendono<br />
qui integralmente richiamate e costituiscono parte integrante e sostanziale del presente<br />
contratto ».<br />
( 79 ) Cfr., per un avviso contrario, seppur antecedente alla pronuncia Car Trim ed in relazione<br />
alla versione 2000 degli Incoterms, Franzina, La giurisdizione in materica contrattuale,<br />
cit., p. 397 ss.<br />
( 80 ) Regola CIF A4, ICC, Incoterms® 2010, cit., p. 112: « The seller must deliver the goods<br />
either by placing them on board of the vessel or by procuring the goods so delivered [...]».<br />
( 81 ) Vedi sopra, alla nota 74.<br />
( 82 ) Regola CIF B4, ICC, Incoterms® 2010, cit., p. 113: « The buyer must take delivery of<br />
the goods when they have been delivered as envisaged in A4 and receive them from the carrier<br />
at the named port of destination [corsivo aggiunto] ».
240 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
di consegna ( 83 ). Ad essi non è, infatti, attribuibile un contenuto semantico<br />
oggettivo come agli Incoterms grazie alle regole dell’ICC, ma sono, talvolta,<br />
addirittura formulate in una lingua straniera di cui le parti – o almeno una di<br />
esse – non hanno una perfetta padronanza ( 84 ). A tali clausole non sembra<br />
ammissibile applicare, in via analogica, le regole interpretative previste per<br />
gli Incoterms, laddove una tale volontà delle parti non risulti incontrovertibilmente<br />
dalle disposizioni del contratto. Al riguardo si evidenzia, infatti,<br />
che l’applicazione delle regole dell’ICC richiede una corretta individuazione<br />
della clausola utilizzata nonchè lo specifico richiamo agli Incoterms ed alla<br />
versione di riferimento ( 85 ), al fine di evitare dubbi in merito alla sussistenza<br />
o meno della volontà delle parti di applicare le regole dell’ICC con<br />
contenuto semantico definito.<br />
Una parte della giurisprudenza è categorica nell’attribuire a tali clausole,<br />
autonomamente formulate dalle parti, il significato di mera ripartizione<br />
delle spese di trasporto senza rilevanza per il locus solutionis ( 86 ).<br />
Altra giurisprudenza richiede, invece, ulteriori elementi oggettivi che<br />
giustifichino l’interpretazione di una tale clausola come implicante un accordo<br />
sul luogo di consegna ( 87 ). Secondo tale orientamento, l’esame del<br />
complesso delle disposizioni contrattuali nonché delle circostanze del caso<br />
( 83 ) Cfr. Magnus, Das UN-Kaufrecht und die Erfüllungsortzuständigkeit in der neuen EuG-<br />
VO, cit., p. 48; Franzina, La giurisdizione in materica contrattuale, cit., p. 395; Piltz, Gerichtsstand<br />
des Erfüllungsortes in UN-Kaufverträgen im Wechselspiel von EuGVVO und UN-Kaufrecht,<br />
in IHR, 2006, p. 56; Kannowski, Gerling e Burret, Zum internationalen Gerichtsstand<br />
der Kaufpreisklage, in IHR, 2008, p. 5; Mankowksi, Article 5, cit., p. 138 ss.<br />
( 84 ) Cfr. le conclusioni dell’avvocato generale Kokott, cit., punto 41.<br />
( 85 ) La stessa ICC afferma, infatti, che « if you want the Incoterms® 2010 rules to apply to<br />
your contract, you should make this clear in the contract »: cfr. ICC, Incoterms® 2010, cit., p. 7.<br />
Sulla necessità di espresso riferimento agli Incoterms vedi anche Cass., 20 gennaio 2009, n. 1358.<br />
Cfr., però, House of Lords, 20 febbraio 2008, Scottish & Newcastle International Ltd. c. Othon Ghalanos<br />
Ltd., cit., che ha qualificato la consegna come FOB anche se era indicato il termine CFR.<br />
( 86 ) Cfr., per esempio, BGH, 11 dicembre 1996, in IPRax, 1997, p. 348 ss.; Kantonsgericht<br />
des Kantons Zug, 22 dicembre 2003, n. A2 02 93, in IHR 2005, p. 121 ss., con nota di Fountoulakis;<br />
OGH, 29 marzo 2004, 5 Ob 313/03w e OGH, 10 settembre 1998, 2 Ob 208/98x, entrambe<br />
consultabili al sito www.ris.bka.gv.at.<br />
( 87 ) Così, una Corte belga, De Rechtbank von Koophandel te Kortrijk, 8 dicembre 2004,<br />
n. 7398, citata in Kannowski, Gerling e Burret, Zum internationalen Gerichtsstand der<br />
Kaufpreisklage im Wechselspiel von EuGVVO und UN-Kaufrecht, cit., p. 5, aveva, in relazione<br />
alla clausola « Frei Haus » (franco domicilio), ritenuto sussistere un accordo sul luogo di consegna<br />
presso l’acquirente sulla base della precisazione « an den Sitz des Käufers » (alla sede<br />
dell’acquirente); cfr., inoltre, OGH, 1 ottobre 2008, 6 Ob 176/08p; OGH, 23 gennaio 2003, 8<br />
Ob 239/02h; OGH, 16 dicembre 2003, 4 Ob 147/03a, consultabili al sito www.ris.bka.gv.at;<br />
OLG Köln, 16 luglio 2001, 16 U 22/01, in IHR, 2002, p. 66.
SAGGI 241<br />
concreto appare decisivo nella formazione del convincimento del giudice<br />
per stabilire la presenza o meno della volontà delle parti sul luogo di consegna.<br />
Questa posizione giurisprudenziale è stata recentemente condivisa dal<br />
Bundesgerichtshof ( 88 ), che ha ritenuto incensurabile l’interpretazione della<br />
Corte di Appello di Monaco di Baviera ( 89 ) data alla clausola «resa: franco<br />
partenza». Tale espressione non è stata giudicata idonea a rispecchiare un<br />
accordo sul luogo di consegna presso la sede del venditore. Secondo la ricostruzione<br />
del giudice del rinvio, tale clausola riguardava solo la ripartizione<br />
delle spese di trasporto ed un diverso assunto era contraddetto in particolare<br />
dai documenti di trasporto prodotti nel corso del giudizio. Di conseguenza,<br />
attesa l’assenza di un accordo espresso, il locus solutionis doveva<br />
essere identificato nel luogo di destinazione finale della merce che era, nel<br />
caso di specie, la sede dell’attore in Germania.<br />
Ne consegue che le clausole simili agli Incoterms, se non chiare ed univoche<br />
nell’esprimere la volontà delle parti in merito al luogo di consegna,<br />
non saranno, di regola, di per sè sufficienti ai fini del foro del contratto. Nella<br />
maggior parte dei casi saranno necessari, pertanto, ulteriori elementi<br />
contrattuali o fattuali concorrenti a comprovare che le parti abbiano inteso,<br />
attraverso la specifica clausola utilizzata, pattuire un determinato luogo di<br />
consegna materiale dei beni.<br />
7. – Ciò detto sull’accordo espresso, preme ora esaminare l’ammissibilità<br />
di accordi impliciti ai fini dell’art. 5, n. 1, lett. b), del regolamento Bruxelles<br />
I.<br />
Fino alla pronuncia Car Trim, l’accordo implicito, se risultante in modo<br />
ragionevolmente certo ( 90 ), è stato unanimemente riconosciuto da autorevole<br />
dottrina ( 91 ) e da una parte della giurisprudenza ( 92 ).<br />
( 88 ) BGH, 23 giugno 2010, cit.; cfr., in tale contesto, anche la domanda di pronuncia pregiudiziale<br />
nel procedimento Car Trim: BGH, 9 luglio 2008, VIII ZR 184/07, consultabile al sito<br />
www.bundesgerichtshof.de.<br />
( 89 ) OLG München, 17 aprile 2008, 23 U 4589/07, in IPRax, 2009, p. 69 ss.<br />
( 90 ) Così Fawcett, Harris e Bridge, International Sale of Goods in the Conflict of Laws,<br />
cit., p. 105, facendo un riferimento analogico all’art. 3(1) della Convenzione di Roma del 1980<br />
sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali.<br />
( 91 ) Ibidem, pp. 101 e 105 ss.; Kannowski, Gerling e Burret, Zum internationalen Gerichtsstand<br />
der Kaufpreisklage im Wechselspiel von EuGVVO und UN-Kaufrecht, cit., p. 5;<br />
Magnus, Das UN-Kaufrecht und die Erfüllungsortzuständigkeit in der neuen EuGVO, cit., p.<br />
45 ss.; Mankowski, Article 5, cit., p. 139; Klemm, Erfüllungsortvereinbarungen im europäischen<br />
Zivilverfahrensrecht, cit., p. 71 ss.; Hau, Die Kaufpreisklage des Verkäufers im reformierten<br />
europäischen Vertragsgerichtsstand – ein Heimspiel, cit., p. 979; Chesire, North e Faw-
242 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
In relazione alle modalità di individuazione di tale accordo, la dottrina<br />
si è interrogata sulla possibilità di desumere lo stesso solo dalle disposizioni<br />
contrattuali od anche dalle circostanze del caso concreto.<br />
La prima possibilità è stata ravvisata, ad esempio, nei casi in cui i beni<br />
venduti dovevano essere installati a cura del venditore in un determinato<br />
luogo. Da tale disposizione contrattuale sarebbe senz’altro desumibile una<br />
volontà implicita delle parti circa il luogo di consegna, coincidente con il<br />
luogo di installazione dei beni ( 93 ).<br />
La sussistenza di un accordo implicito fondata sulle mere circostanze<br />
del caso è stata, invece, individuata in presenza di precedenti rapporti contrattuali<br />
nei quali il luogo di consegna convenzionale era sempre lo stesso.<br />
Ugualmente, si è ritenuto sussistere un accordo implicito nel caso in cui i<br />
beni si trovavano già in un determinato luogo nello Stato di residenza o domicilio<br />
dell’acquirente. In tale ipotesi è stato affermato che il luogo di consegna<br />
era necessariamente ivi ubicato ( 94 ).<br />
La dottrina ammetteva, quindi, un accordo implicito desunto sia dalle<br />
disposizioni del contratto, sia dalle circostanze del caso concreto.<br />
Avendo la sentenza Car Trim affermato che l’accordo sul locus solutionis<br />
deve emergere dalle « disposizioni del contratto » che « rivelino » ( 95 ) la relativa<br />
volontà delle parti ( 96 ), gli accordi impliciti risultanti dalle stesse sembrano,<br />
pertanto, potenzialmente rilevanti ai fini della determinazione del<br />
foro del contratto.<br />
Non è chiaro se siano ugualmente ammissibili gli accordi risultanti dalle<br />
circostanze del caso concreto. A tale proposito, è utile considerare – in via<br />
analogica – il criterio di individuazione della volontà delle parti sul diritto<br />
cett; Private International Law, cit., p. 240; Lupoi, Il nuovo foro per le controversie contrattuali,<br />
cit., p. 514; Salerno, La nozione autonoma del titolo di giurisdizione in materia di vendita,<br />
cit., p. 387.<br />
( 92 ) Ed infatti, la Corte di Giustizia, nella sentenza Zelger, cit., richiedeva unicamente che<br />
l’accordo sul luogo di consegna fosse valido secondo il diritto nazionale applicabile; cfr.<br />
Cass., 9 maggio 2006, n. 1448, cit.; OGH, 16 dicembre 2003, 4Ob147/03a, consultabile al sito<br />
www.ris.bka.gv.at; OLG München, 3 dicembre 1999, in RIW, 2000, p. 712 ss.<br />
( 93 ) In senso conforme cfr., per esempio, Cass., 9 maggio 2006, n. 1448, cit.; OLG München,<br />
3 dicembre 1999, cit., p. 712 ss.<br />
( 94 ) In tal senso Fawcett, Harris e Bridge, International Sale of Goods in the Conflict of<br />
Laws, cit., p. 105.<br />
( 95 ) Sentenza Car Trim, cit., punto 55; nella versione tedesca, lingua del procedimento,<br />
viene utilizzato il termine « erkennen lassen », che potrebbe essere più puntualmente tradotto<br />
come « lasciar intravedere ».<br />
( 96 ) Sentenza Car Trim, cit., dispositivo e punti 54 ss.
SAGGI 243<br />
applicabile al contratto di cui all’art. 3, n. 1, del regolamento Roma I ( 97 ), in<br />
base al quale « la scelta è espressa o risulta chiaramente dalle disposizioni<br />
del contratto o dalle circostanze del caso » ( 98 ). Tale norma ammette l’accordo<br />
implicito risultante alternativamente dalle disposizioni del contratto o<br />
dalle circostanze del caso. Nella sentenza Car Trim, la Corte si riferisce solo<br />
alle disposizioni del contratto, tacendo sulle circostanze del caso. Ci si chiede<br />
quali siano i motivi di tale mancata previsione. In altre parole, una volontà<br />
implicita delle parti sul luogo di consegna può essere desunta anche<br />
dalle mere circostanze del caso oppure può emergere unicamente da disposizioni<br />
contrattuali<br />
A favore della prima possibilità depongono la centralità della volontà<br />
delle parti e la definizione del luogo di consegna fondata su un criterio puramente<br />
fattuale. Sarebbe, infatti, contraddittorio, oltre che riduttivo, determinare<br />
la volontà delle parti alla luce delle sole disposizioni contrattuali,<br />
ignorando gli ulteriori fatti del caso concreto che possano rivelare la volontà<br />
delle parti. L’approccio fattuale imporrebbe, a fortiori, un’elevata considerazione<br />
dei fatti anche ai fini della determinazione della volontà delle parti sul<br />
luogo di consegna.<br />
Contro la rilevanza delle circostanze del caso concreto depone, invece,<br />
l’obiettivo della prevedibilità che potrebbe essere minato, come rilevato da<br />
autorevole dottrina ( 99 ), dalla considerazione (eccessiva) delle circostanze<br />
di fatto, in quanto potenzialmente svariate ed imprevedibili. Si potrebbe,<br />
quindi, presumere che la Corte abbia inteso limitare la rilevanza dell’accordo<br />
ai casi in cui la volontà risulti dalle disposizioni del contratto, proprio per<br />
favorire l’applicazione sussidiaria del luogo di consegna materiale dei beni<br />
rilevante in assenza di accordo ( 100 ) e coincidente – in applicazione dell’esaminato<br />
criterio pragmatico-fattuale – con la destinazione finale degli stessi.<br />
( 97 ) Regolamento CE 593/2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 giugno<br />
2008, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, in G.U.C.E., L 177, 4 luglio 2009, p.<br />
1. Per un commento a tale regolamento cfr. Mosconi e Campiglio, Diritto internazionale e<br />
processuale, parte generale e processuale, cit., p. 371 ss.; Mankowski, Die Rom I-Verordnung –<br />
Änderung im europäischen IPR für Schuldverträge, in IHR, 2008, p. 133 ss.; Leible e Lehmann,<br />
Die Verordung über das auf vertragliche Schuldverhältnisse anzuwendende Recht (Rom I), in<br />
RIW, 2008, p. 528 ss.<br />
( 98 ) Sul punto vedi supra, nota 90. Per un commento sulla volontà delle parti nell’ambito<br />
dell’art. 3, n. 1, del regolamento Roma I, cfr. Mosconi e Campiglio, Diritto internazionale e<br />
processuale, parte generale e processuale, cit., p. 383 ss.<br />
( 99 ) In tal senso Hau, Die Kaufpreisklage des Verkäufers im reformierten europäischen Vertragsgerichtstand,<br />
cit., p. 979.<br />
( 100 ) Sul luogo di consegna in mancanza di accordo cfr. supra, par. 3.
244 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
L’accordo implicito sembra, in ogni caso, assumere diversa rilevanza a<br />
secondo che la consegna sia o meno avvenuta.<br />
Nella prima ipotesi è immaginabile un duplice scenario: o il luogo che si<br />
asserisce essere pattuito implicitamente coinciderà con quello di consegna<br />
materiale dei beni, oppure sarà difficile sostenere la sussistenza di un accordo<br />
implicito sul locus solutionis. L’accordo sarà, quindi, di scarsa importanza<br />
pratica per la determinazione del foro del contratto in caso di avvenuta<br />
consegna ed in assenza di contestazioni a riguardo sollevata da parte acquirente.<br />
Nella seconda ipotesi, l’accordo implicito potrà, invece, rivestire importanza<br />
centrale per non far scattare il disposto di cui all’art. 5, n. 1, lett. c), del<br />
regolamento Bruxelles I, con la conseguente applicazione della lex causae.<br />
D’altra parte, pare non esservi una ragione oggettiva per determinare un<br />
luogo di consegna sulla base di un asserito accordo implicito di confini incerti<br />
quando, in questa specifica ipotesi, l’applicazione della lex causae sembra<br />
garantire maggiore prevedibilità.<br />
L’eventuale inammissibilità degli accordi impliciti desumibili dalle circostanze<br />
del caso, pone, infine, un problema pratico di particolare rilievo,<br />
laddove il contratto preveda un accordo espresso sul locus solutionis, ma la<br />
consegna sia materialmente avvenuta in un luogo diverso. In tale ipotesi –<br />
fino alla sentenza Car Trim – si assumeva che il luogo effettivo di consegna<br />
materiale prevalesse su quello indicato nel contratto in assenza di contestazioni<br />
da parte dell’acquirente, intervenendo, pertanto, un accordo implicito<br />
di modifica contrattuale sul locus solutionis ( 101 ). Con la sentenza Car Trim<br />
( 101 ) Cfr. Magnus, Das UN-Kaufrecht und die Erfüllungsortzuständigkeit in der neuen EuG-<br />
VO, cit., p. 47; Mankowski, Article 5, cit., p. 141; Lupoi, Il « nuovo » foro per le controversie contrattuali,<br />
cit., p. 514; Hager e Bentele, Der Lieferort als Gerichtsstand – zur Auslegung des Art. 5<br />
Nr. 1 lit. b EuGVO, in IPRax, 2004, p. 74; Thorn, Gerichtsstand des Erfüllungsortes und intertemporales<br />
Zivilverfahrensrecht, in IPRax, 2004, p. 453 ss.; De Franceschi, Il foro europeo della materia<br />
contrattuale alla luce delle recenti acquisizioni della Corte di Giustizia, cit., p. 92; in giurisprudenza<br />
cfr. OGH, 2 settembre 2003, 1 Ob 123/03z, in IPRax, 2004, p. 610; OGH, 17 febbraio<br />
2005, 6 Ob 148/04i, consultabile al sito www.ris.bka.gv.at; contra, come pare, Fawcett, Harris<br />
e Bridge, International Sale of Goods, cit., p. 109; Trib. Padova, 10 febbraio 2004, cit. In dottrina<br />
si è posto il problema dell’applicazione di tale orientamento per il caso in cui il contratto preveda<br />
che una modifica pattizia del locus solutionis possa avvenire validamente solo per iscritto<br />
(cfr. Franzina, Struttura e funzionamento del foro europeo della materia contrattuale, cit., p. 679;<br />
De Franceschi, Il foro europeo della materia contrattuale alla luce delle recenti acquisizioni della<br />
Corte di Giustizia, cit., p. 92). Una tale clausola potrebbe essere considerata e trattata dal giudice,<br />
per esempio, o come mera clausola di stile, oppure come accordo astratto, essendo evidentemente<br />
inserita con l’intento di cementare la competenza presso un determinato foro.
SAGGI 245<br />
– atteso il mancato riferimento alle circostanze del caso al fine di valutare la<br />
volontà delle parti sul luogo di consegna – è pertanto dubbio se, nell’ipotesi<br />
descritta, prevalga la disposizione convenzionale contenuta nel contratto<br />
sebbene i beni siano consegnati in un luogo diverso e non siano state sollevate<br />
contestazioni ( 102 ).<br />
Alla luce delle problematiche sopra evidenziate è auspicabile una presa<br />
di posizione da parte della giurisprudenza anche sull’ammissibilità o<br />
meno degli eventuali accordi impliciti risultanti dalle circostanze del caso<br />
concreto.<br />
8. – Nonostante i tentativi normativi e giurisprudenziali di semplificare<br />
la disciplina del forum contractus e di risolvere i relativi dubbi interpretativi<br />
emersi sin dalla sua introduzione, tale obiettivo non si può ancora considerare<br />
raggiunto.<br />
Come sopra evidenziato, scopo del metodo pragmatico-fattuale è garantire<br />
entrambi i principi di prevedibilità e prossimità del foro del contratto.<br />
Allo stato, nella pratica, non sarà sempre agevole conciliare la definizione<br />
pragmatica-fattuale con i predetti principi, soprattutto in presenza di un<br />
presunto accordo sul locus solutionis.<br />
Molte questioni rimangono ancora aperte e dovranno essere opportunamente<br />
chiarite dalla giurisprudenza o da un intervento modificativo del<br />
legislatore comunitario. Il procedimento Electrosteel ( 103 ) – attualmente<br />
pendente dinnanzi alla Corte di Giustizia e di prossima decisione – potrebbe<br />
costituire l’occasione giusta per eliminare i dubbi interpretativi emersi,<br />
in particolare, sia riguardo all’accordo sul locus solutionis, sia riguardo al criterio<br />
di destinazione finale della merce.<br />
Fino a tale momento, gli operatori commerciali che intendano prevenire<br />
il rischio di contenziosi con esito incerto, dovranno convenzionalmente<br />
scegliere il forum litis mediante accordi di proroga di competenza ex art. 23<br />
del regolamento Bruxelles I. In difetto, il foro asseritamente competente<br />
sulla base di un presunto accordo sul luogo di adempimento dovrà essere<br />
individuato con cautela, esaminando attentamente le circostanze fattuali e<br />
verificando la sussistenza di un collegamento effettivo con la realtà contrattuale.<br />
( 102 ) È stato sostenuto in dottrina anche successivamente alla pronuncia Car Trim, seppur<br />
senza motivazione, che in caso di consegna in un luogo diverso da quello precedentemente<br />
pattuito rileva il luogo di consegna effettivo, quando la prestazione in tale luogo non sia stata<br />
contestata: cfr. Leible, Der Erfüllungsort iSv Art. 5 Nr. 1 lit. b Brüssel I-VO, cit., p. 456.<br />
( 103 ) Corte CE, causa C-87/10, Electrosteel Europe SA c. Edil Centro Spa.
246 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Il foro comunitario del contratto, come attualmente concepito ed interpretato,<br />
apre un elevato e difficilmente prevedibile margine discrezionale<br />
del giudice in relazione alla determinazione del locus destinatae solutionis,<br />
di cui si dovrà tenere debitamente conto.
SILVIA MARINO<br />
I contratti di consumo on line e la competenza giurisdizionale<br />
in ambito comunitario<br />
Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il sito internet interattivo. – 3. La sentenza della Corte di<br />
giustizia. – 4. Conclusioni.<br />
1. – Il reg. CE n. 44/2001 sulla competenza, il riconoscimento e l’esecuzione<br />
delle decisioni in materia civile e commerciale ( 1 ) contiene un’apposita<br />
Sezione, la 4 del Titolo II, dedicata ai contratti conclusi dai consumatori.<br />
La disciplina di questo settore è stata profondamente modernizzata rispetto<br />
a quella precedentemente vigente, stabilita dalla Convenzione di Bruxelles<br />
del 1968 ( 2 ), soprattutto per quanto attiene al campo di applicazione materiale<br />
delle norme in esame ( 3 ). L’aspetto della disciplina che si prende qui in<br />
esame è dato dall’invocabilità di queste disposizioni ai contratti a distanza,<br />
modalità di stipulazione non considerata dalla Convenzione di Bruxelles.<br />
L’art. 13 di quest’ultima stabiliva infatti che le norme a tutela del consumatore<br />
si applicassero se il contratto costituiva una vendita a rate di beni mobili<br />
materiali, oppure un prestito con rimborso rateizzato o un’altra operazione<br />
di credito, connessi con il finanziamento di una vendita di tali beni, oppure,<br />
per qualsiasi contratto di fornitura di servizi o di beni mobili materiali<br />
a due condizioni cumulative, ovvero se la conclusione del contratto era stata<br />
preceduta da una proposta specifica o da una pubblicità nello Stato in cui<br />
il consumatore aveva il proprio domicilio e se quest’ultimo aveva compiuto<br />
in tale Paese gli atti necessari per la conclusione del contratto.<br />
Il soddisfacimento di queste condizioni risultava problematico per i<br />
( 1 ) Regolamento CE n. 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000, concernente la competenza<br />
giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e<br />
commerciale, in G.U.C.E., L 12, 16 gennaio 2001, p. 1.<br />
( 2 ) Convenzione concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione<br />
delle decisioni in materia civile e commerciale (versione consolidata), in G.U.C.E.,<br />
C 27, 26 gennaio 1998.<br />
( 3 ) Su cui si veda: Droz e Gaudemet-Tallon, La transformation de la Convention de<br />
Bruxelles du 27 septembre 1968 en Règlement du Conseil concernant la compétence judiciaire, la<br />
reconnaissance et l’exécution des décisions en matière civile et commerciale, in Rev. civ. dr. int.<br />
priv., 2001, p. 601.
248 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
contratti a distanza in generale, e in particolare per quelli conclusi on line.<br />
Infatti, essendo il sito web accessibile in qualsiasi luogo del mondo, non è<br />
possibile parlare di pubblicità effettuata in uno Stato determinato come accade<br />
per i mezzi classici, quali la televisione o la stampa. Analogamente,<br />
l’unica possibile forma per effettuare una proposta contrattuale specifica al<br />
consumatore è l’invio di una mail, modalità che, nella prassi del commercio<br />
elettronico, non è particolarmente diffusa, a meno che il consumatore sia<br />
già iscritto a una mailing list e abbia quindi già dimostrato interesse a ricevere<br />
le proposte commerciali dell’operatore professionale. Inoltre, nei contratti<br />
conclusi via internet non è rilevante il luogo in cui il consumatore ha<br />
avuto accesso alla rete, proprio per la sua universalità, e comunque non<br />
sempre è possibile individuarlo.<br />
Pertanto, questa disposizione mal si adattava alle esigenze del commercio<br />
elettronico. L’art. 15 reg. CE n. 44/2001, che apre la Sezione dedicata ai<br />
contratti di consumo, ha perciò ampliato le condizioni di applicazione delle<br />
norme protettrici: si richiede che le attività del professionista si svolgano<br />
nello Stato membro del domicilio del consumatore o siano dirette, con<br />
qualsiasi mezzo, verso tale Stato o verso una pluralità di Stati che lo comprende<br />
( 4 ), divenendo invece irrilevanti le forme pubblicitarie utilizzate, le<br />
modalità con cui il consumatore è stato contattato e il luogo in cui quest’ultimo<br />
ha posto in essere gli atti necessari per la conclusione del contratto ( 5 ).<br />
Rientrano nel campo di applicazione delle norme di tutela i contratti a di-<br />
( 4 ) Secondo Palacio Vallersundi, Le commerce électronique, le juge, le consommateur,<br />
l’entreprise et le Marché intérieur – nouvelle équation pour le droit communautaire, in Rev. dr.<br />
UE, 2001, p. 14, il criterio adottato non è efficiente nel mercato unico. Infatti, con l’eliminazione<br />
delle frontiere interne non dovrebbe porsi alcuna distinzione sulla base dello Stato di<br />
commercializzazione, poiché i professionisti dovrebbero sentire tutto il territorio comunitario<br />
come home market, e non solo uno o più Stati membri determinati. Con il criterio dell’attività<br />
diretta si incentivano le imprese ad evitare di contrattare con consumatori domiciliati in<br />
Paesi membri diversi dal proprio. Ne consegue, secondo l’Autore, una discriminazione a danno<br />
di consumatori e produttori di Stati piccoli, i primi non essendo mai sufficientemente protetti<br />
perché i professionisti di altri Stati membri non offriranno i loro servizio nel Paese di domicilio,<br />
i secondi perché dovranno necessariamente esportare, essendo il mercato nazionale<br />
troppo piccolo, dovendo al contempo offrire la tutela dei consumatori domiciliati in altri Stati<br />
membri. Infine, dal punto di vista pratico, la norma non garantisce la certezza del diritto lasciando<br />
un eccessivo margine di discrezionalità al giudice.<br />
( 5 ) Dal commento alla Proposta di regolamento CE del Consiglio concernente la competenza<br />
giurisdizionale nonché il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile<br />
e commerciale (COM/99/0348 def. – CNS 99/0154), in G.U.C.E., C 376 E, 28 dicembre<br />
1999, p. 1 è evidente che la modifica è stata introdotta allo scopo di aggiornare la disciplina rispetto<br />
alle nuove tecniche di pubblicità, commercializzazione e conclusione dei contratti,
SAGGI 249<br />
stanza e quelli conclusi da un consumatore attivo, che non si trova nel proprio<br />
domicilio al momento della stipula del contratto.<br />
Nonostante l’espressa considerazione, contenuta nella motivazione<br />
della proposta, delle peculiarità dei contratti conclusi via internet, già al momento<br />
dell’approvazione del regolamento sussistevano dubbi sul significato<br />
da attribuire alla condizione per cui le attività professionali dovessero essere<br />
dirette verso lo Stato membro di domicilio del consumatore. Vi si legge,<br />
infatti, che la nuova disposizione mira a chiarire che la Sezione speciale<br />
è applicabile agli accordi conclusi attraverso un “sito internet interattivo accessibile<br />
nello Stato di domicilio del consumatore”. Si specifica, inoltre, che<br />
il fatto che il consumatore abbia avuto conoscenza di un servizio o di una<br />
merce attraverso un sito internet passivo, accessibile nel proprio Stato di domicilio,<br />
non è sufficiente ai fini dell’applicazione delle disposizioni di tutela<br />
( 6 ). Già in quella sede, la Commissione riconosceva le difficoltà nell’interpretare<br />
questa condizione nell’ambito del commercio elettronico ( 7 ).<br />
Tuttavia, nessuna indicazione più specifica è contenuta nel testo o nei<br />
considerando del regolamento. Al fine di far fronte a questa difficoltà, la<br />
Commissione dichiarava solamente di voler sostenere delle audizioni con<br />
esponenti delle autorità di regolamentazione, delle autorità legislative, dei<br />
consumatori, dell’industria e di altri gruppi interessati.<br />
La Corte di giustizia dell’Unione europea è recentemente intervenuta<br />
proprio su tale questione, interpretando per la prima volta la locuzione “attività<br />
dirette” contenuta nel regolamento nell’ambito di due contratti conclusi<br />
on line ( 8 ).<br />
Nella prima controversia, il Sig. Pammer, residente in Austria, aveva<br />
concluso un contratto di viaggio su nave mercantile con una società avente<br />
sede in Germania, tramite un’agenzia domiciliata nello stesso Stato. Tutta-<br />
rendendo irrilevante il fatto che il consumatore si trovi in uno Stato membro diverso da quello<br />
del domicilio nel momento in cui stipula l’accordo. La nuova norma ha altresì lo scopo di<br />
evitare eventuali frodi da parte del professionista, che induca il consumatore a spostarsi dal<br />
suo Stato di origine al fine di concludere il contratto, rendendosi in tal modo non invocabile<br />
la tutela stabilita dalla Convenzione di Bruxelles.<br />
( 6 ) Secondo la Proposta, la norma avrebbe equiparato i contratti conclusi via internet a<br />
quelli conclusi a distanza mediante telefono o fax.<br />
( 7 ) Questa condizione aveva suscitato delle perplessità anche nelle piccole e medie imprese,<br />
dal momento che queste ultime non possono sostenere spese per controversie instaurate<br />
in tutti gli Stati membri ed è fondamentale distinguere in quali Stati si rivolge la loro offerta.<br />
( 8 ) Corte CE, 7 dicembre 2010, cause riunite C-585/08 e 144/09, Pammer e Hotel Alpenhof,<br />
non ancora pubbl. in Racc.
250 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
via, la descrizione della nave e del viaggio pubblicata sul sito internet dell’agenzia<br />
non corrispondeva alla realtà, mancando diversi dei servizi promessi<br />
ed essendo stata destinata all’acquirente una camera singola anziché doppia.<br />
Pertanto, egli si rifiutava di salpare e otteneva un rimborso parziale del<br />
prezzo da parte della società fornitrice del servizio. Successivamente, citava<br />
la medesima presso un tribunale austriaco per la restituzione dell’importo<br />
rimanente.<br />
Nella seconda controversia, il Sig. Heller, residente in Germania, aveva<br />
prenotato delle camere in un albergo situato in Austria, tramite il sito internet<br />
dello stesso; l’indirizzo e-mail dell’albergo si trovava sul sito e l’offerta e<br />
l’accettazione erano avvenute via posta elettronica. Al termine della vacanza,<br />
contestando i servizi offerti, il Sig. Heller lasciava l’albergo senza pagare<br />
il prezzo pattuito, avendo versato solo la caparra, e veniva pertanto citato<br />
presso il giudice austriaco per la corresponsione del rimanente.<br />
Le due controversie sollevano una questione comune, ovvero se gli<br />
operatori abbiano diretto le loro attività commerciali negli Stati membri di<br />
domicilio dei consumatori, al fine di rendere applicabili le norme a tutela di<br />
queste parti deboli, garantendo la possibilità che le controversie siano instaurate<br />
nel Paese del loro domicilio, siano essi attori o convenuti. L’Oberster<br />
Gerichtshof austriaco, giudice del rinvio in entrambe le cause, chiede<br />
quindi se sia sufficiente che il sito del professionista sia accessibile via internet<br />
per presumere che l’attività sia diretta verso lo Stato membro del domicilio<br />
del consumatore ( 9 ).<br />
2. – Il regolamento non contiene alcuna indicazione in proposito. Una<br />
dichiarazione congiunta del Consiglio e della Commissione europea, elaborata<br />
contestualmente alla Proposta di regolamento nel 2000 ( 10 ), sottolinea<br />
che la mera accessibilità di un sito internet non è sufficiente a far ritenere<br />
che il professionista diriga le proprie attività verso un determinato Stato<br />
membro: è necessario che lo stesso inviti a concludere un contratto e che un<br />
contratto sia stato effettivamente concluso. Si pone, così, la distinzione fra<br />
sito internet passivo, mero strumento pubblicitario, e sito interattivo, che<br />
( 9 ) La causa Pammer poneva un’ulteriore questione interpretativa, ovvero se il viaggio<br />
sulla nave mercantile potesse essere considerato come un “viaggio tutto compreso” ai sensi<br />
dell’art. 15, par. 3, reg. CE n. 44/2001, che esclude dall’ambito materiale delle disposizioni sui<br />
contratti di consumo il trasporto, ma non se prevede prestazioni combinate di trasporto e di<br />
alloggio per un prezzo globale.<br />
( 10 ) Doc. n. 13742/00, consultabile sul sito: http://register.consilium.europa.eu/pdf/it/00/<br />
st13/st13742.it00.pdf.
SAGGI 251<br />
consente altresì la conclusione di contratti in via telematica. In questo ambito,<br />
secondo le istituzioni, non avrebbero rilevanza la lingua utilizzata e la<br />
valuta impiegata per i pagamenti.<br />
Anche la dottrina maggioritaria ha seguito la distinzione fra sito internet<br />
passivo ed interattivo, ritenendo che non sia sufficiente pubblicizzare la<br />
propria attività professionale tramite il web, ma che il sito debba invece invitare<br />
il visitatore a concludere contratti a distanza ( 11 ). Meno omogenee sono<br />
le soluzioni quanto all’individuazione degli strumenti utili per comprendere<br />
se l’attività viene rivolta verso un determinato Stato, ovvero un gruppo di<br />
Stati comprendente quello rilevante.<br />
Secondo parte della dottrina, diversamente da quanto espresso dalle<br />
istituzioni comunitarie, anche la lingua utilizzata costituirebbe un indice<br />
della volontà del professionista di indirizzare la propria attività verso un determinato<br />
Paese, a meno che si tratti di una lingua molto conosciuta o utilizzata<br />
in più Stati membri ( 12 ).<br />
Tendenzialmente irrilevante è stato considerato il dominio di primo livello<br />
(“.it”, “.com”), poiché eventualmente indica la provenienza del professionista,<br />
se si ricollega a uno Stato, oppure è del tutto neutro in termini<br />
di nazionalità ( 13 ).<br />
Secondo un altro orientamento, l’unico criterio sicuro è dato dall’indicazione<br />
specifica sul sito che il professionista intende o non intende<br />
concludere contratti con consumatori aventi domicilio in un determinato<br />
Paese ( 14 ). Se si tratta di un sistema certo per la comprensione della volontà<br />
del professionista, potrebbe tuttavia essere troppo gravoso per quest’ultimo<br />
( 11 ) Draetta, Internet e il commercio elettronico nel diritto internazionale dei privati, Milano,<br />
2001, p. 50; Droz e Gaudemet-Tallon, La transformation, cit., p. 639; Motion, The Brussels<br />
Regulation and E-Commerce – a premature Solution to a Fictional Problem, in Computer<br />
and Telecommunication Law Review, 2001, p. 211; Wilderspin, Le règlement (CE) 44/2001 du<br />
Conseil: conséquences pour les contrats conclus par les consommateurs, in Rev. eur. dr. cons.,<br />
2002, p. 22 ; TAgaras, La révision et communitarisation de la Convention de Bruxelles par le règlement<br />
44/2001, in Cahiers dr. eur., 2003, p. 407; Gaudemet-Tallon, Compétence et exécution<br />
des jugements en Europe. Règlement 44/2001, Conventions de Bruxelles et de Lugano (1988 et<br />
2007), Paris, 2010, p. 295.<br />
( 12 ) Vasiljeva, 1968 Brussels Convention and EU Council Regulation n. 44/2001: jurisdiction<br />
in Consumer Contracts Concluded Online, in Eur. Law J., 2004, p. 132.<br />
( 13 ) Vasiljeva, 1968 Brussels Convention, cit., p. 130. Sicuramente il sito internet non può<br />
essere considerato una filiale del professionista al fine di rendere competente il giudice del<br />
luogo in cui la pagina web è accessibile (Motion, The Brussels Regulation, cit., p. 210).<br />
( 14 ) Beraudo, Le Règlement (CE) du Conseil du 22 décembre concernant la compétence judiciaire,<br />
la reconnaissance et l’exécution des décisions en matière civile et commerciale, in J. dr.<br />
int., 2001, p. 1056.
252 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
indicare di volta in volta in maniera espressa gli Stati dai quali intende accettare<br />
gli ordini. Al contrario, secondo un’altra interpretazione, è sufficiente<br />
che il sito contenga un invito alla conclusione a distanza del contratto,<br />
essendo così l’attività commerciale diretta in tutti gli Stati in cui il sito è<br />
accessibile ( 15 ), con evidente ampliamento della portata della norma. Altra<br />
dottrina, collegando la disposizione in esame con la direttiva sul commercio<br />
elettronico ( 16 ), sembra presupporre che sia sufficiente la conclusione di<br />
un contratto per dedurre che le attività vengano dirette nello Stato membro<br />
del domicilio del consumatore ( 17 ).<br />
Un altro autore ( 18 ) propone il criterio della focalisation, che si differenzia<br />
dalla classica localizzazione perché non ha una connotazione reale o<br />
geografica, ma tiene in particolare considerazione la volontà degli operatori.<br />
Ne consegue che già la conclusione di un solo contratto induce a ritenere<br />
che le attività professionali sono state indirizzate verso lo Stato membro<br />
del domicilio del consumatore ( 19 ), ma non costituisce unico elemento di<br />
valutazione.<br />
Nelle cause pendenti presso la Corte di giustizia, tutte le parti e diversi<br />
governi hanno presentato delle osservazioni sull’interpretazione da dare alla<br />
locuzione “attività diretta”.<br />
Secondo alcuni degli intervenienti la nozione deve essere intesa in senso<br />
ampio. Si sottolinea che indipendentemente dalle caratteristiche di interattività<br />
del sito, il venditore dirige la sua attività attraverso questo strumento<br />
quando presenta la sua merce ed i suoi servizi, offrendoli al consumatore.<br />
In tal modo, i privati sarebbero maggiormente stimolati nella conclusione<br />
di contratti in via telematica, sviluppandosi il mercato interno ( 20 ).<br />
Inoltre, il professionista dovrebbe normalmente tener conto della possibi-<br />
( 15 ) Carbone, Lo spazio giudiziario europeo in materia civile e commerciale, Torino, 2009,<br />
p. 134.<br />
( 16 ) Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000 relativa<br />
a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio<br />
elettronico, nel mercato interno, in G.U.C.E., L 178, 17 luglio 2000.<br />
( 17 ) Salerno, Giurisdizione ed efficacia delle decisioni straniere nel regolamento (CE) n.<br />
44/2001, Padova, 2006, p. 221.<br />
( 18 ) Cachard, La régulation internationale du marché électronique, Paris, 2002.<br />
( 19 ) Gaudemet-Tallon, Compétence et exécution, cit., p. 296.<br />
( 20 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2006/123 del 12 dicembre 2006, relativa<br />
ai servizi nel mercato interno, in G.U. C.E., L 376, p. 36. Come dimostrato dall’avvocato<br />
generale, questa situazione non crea alcuna violazione della direttiva, la quale ammette<br />
la previsione di prezzi e servizi diversi a seconda del luogo in cui si trova il destinatario dei servizi.
SAGGI 253<br />
lità di essere convenuto in tutti gli Stati membri, a meno che non indichi<br />
espressamente di non rivolgersi a consumatori domiciliati in determinati<br />
Paesi. Secondo la Commissione, devono valutarsi tutte le circostanze del<br />
caso di specie, quali la natura dell’attività imprenditoriale e le modalità di<br />
pubblicazione del sito internet, l’indicazione del numero telefonico con il<br />
prefisso internazionale, il link al programma che fornisce indicazioni stradali<br />
e la sussistenza dell’opzione « cerca/prenota », grazie alla quale è possibile<br />
controllare la disponibilità del bene o del servizio offerto; è tuttavia irrilevante<br />
l’indicazione dell’indirizzo e-mail del professionista, in quanto<br />
obbligatoria ai sensi dell’art. 5 della direttiva sul commercio elettronico.<br />
Altri intervenienti hanno proposto un’interpretazione maggiormente<br />
restrittiva. Non viene considerata sufficiente la sola apertura di un sito internet,<br />
dal momento che questo strumento consente la diffusione delle<br />
informazioni in tutto il mondo: sarebbe così scoraggiata l’attività transnazionale<br />
da parte dei professionisti, contrariamente a quanto le esigenze<br />
del mercato interno richiedono. La necessità di indicare espressamente a<br />
quali Stati membri si rivolge l’offerta di beni o servizi sarebbe contraria all’art.<br />
20 della direttiva relativa ai servizi nel mercato interno, che vieta la<br />
discriminazione dei destinatari dei servizi in base alla cittadinanza o al domicilio.<br />
Pertanto, sarebbe necessario limitare l’applicazione della disposizione<br />
in esame ai casi particolari in cui le imprese invitano attivamente,<br />
selettivamente ed espressamente un particolare consumatore o i consumatori<br />
in generale, non essendo invece sufficienti la presenza su internet,<br />
l’accessibilità dell’offerta e la possibilità di stipulare transazioni transfrontaliere<br />
all’interno del mercato comune su un sito internet. Dovrebbero<br />
considerarsi, ad esempio, l’interattività del sito, nel quale sia riportato<br />
l’indirizzo di posta elettronica del professionista; l’invio di un messaggio<br />
di posta elettronica al consumatore, che lo informi dell’esistenza del sito;<br />
l’addebito di ulteriori spese ai consumatori di determinati Stati membri,<br />
come ad esempio le spese di spedizione; l’ottenimento di un marchio di<br />
qualità utilizzato in taluni Stati membri; l’indicazione dell’itinerario da<br />
un determinato Stato alla sede del venditore e l’indicazione del numero<br />
telefonico per l’assistenza ai consumatori stranieri, mentre sarebbe irrilevante<br />
il dominio di primo livello.<br />
Si individua una linea comune nelle osservazioni presentate dagli intervenienti,<br />
nel senso di privilegiare una valutazione caso per caso, sulla base<br />
di alcuni elementi considerati rilevanti. Tuttavia, l’individuazione di questi<br />
ultimi e la loro effettiva portata varia.<br />
Su queste premesse, l’avvocato generale presenta delle conclusioni molto<br />
dettagliate. Dopo aver ricostruito la giurisprudenza della Corte di giustizia
254 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
sulle condizioni di applicazione della Sezione dedicata ai contratti di consumo,<br />
esamina l’art. 15 sulla base di diversi metodi esegetici.<br />
Alla luce dell’interpretazione lettale, storica, teleologica e sistematica,<br />
secondo l’avvocato generale si può affermare che la mera apertura di un sito<br />
internet non sia sufficiente a ritenere che il professionista si rivolga direttamente<br />
in un determinato Stato membro, e che l’elemento distintivo non<br />
è dato dal fatto che il sito sia interattivo o passivo.<br />
È pertanto necessario individuare i criteri con i quali si può stabilire che<br />
il professionista diriga attraverso internet la propria attività verso un determinato<br />
Stato membro, ovvero una pluralità, comprendente il Paese rilevante.<br />
D’altra parte l’avvocato generale suggerisce un’analisi caso per caso,<br />
dopo aver esaminato tutte le circostanze specifiche, e indica alcuni elementi<br />
che potrebbero essere presi in considerazione.<br />
Innanzitutto si dovrebbe valutare il contenuto del sito internet al momento<br />
della stipulazione del contratto, cioè se il professionista inviti o incoraggi<br />
i visitatori di altri Stati membri a concludere dei contratti a distanza. In<br />
tal senso sono rilevanti, ad esempio, le informazioni fornite sul sito internet:<br />
l’indicazione del prefisso telefonico internazionale accanto al numero telefonico<br />
o di fax, oppure l’esistenza di un numero dedicato all’assistenza e<br />
alle informazioni ai consumatori esteri; la segnalazione dell’itinerario per<br />
raggiungere la località nella quale il venditore svolge la propria attività da altri<br />
Stati membri; la possibilità di controllare la disponibilità di una merce in<br />
magazzino; l’iscrizione alle newsletters sui servizi o sui beni offerti aperta<br />
anche a consumatori domiciliati in altri Stati membri, la possibilità di scegliere<br />
nel form di conclusione del contratto lo Stato del proprio domicilio se<br />
il sito è interattivo.<br />
L’avvocato generale analizza quindi la rilevanza di alcuni elementi che<br />
erano stati discussi dagli intervenienti. A suo avviso, l’indicazione nel sito<br />
internet dell’indirizzo di posta elettronica e di altri dati, che permettono di<br />
contattare rapidamente il prestatore, non è sufficiente a configurare un’attività<br />
« diretta », essendo obbligatoria ai sensi della direttiva sul commercio<br />
elettronico. Se queste indicazioni fossero da sole sufficienti per configurare<br />
un’attività « diretta », tutti i siti internet rientrerebbero in questa categoria,<br />
contrariamente allo scopo dell’art. 15, reg. CE n. 44/2001.<br />
Secondo l’avvocato generale è necessario considerare l’attività commerciale<br />
precedentemente svolta con i consumatori di altri Stati membri,<br />
ovvero verificare se il venditore abbia già concluso in precedenza contratti<br />
transnazionali. Anche nell’ambito di tale criterio, tuttavia, deve farsi<br />
un’attenta analisi del numero e della frequenza dei contratti conclusi con<br />
soggetti domiciliati in quel determinato Stato membro, non essendo suf-
SAGGI 255<br />
ficiente che il professionista abbia già fornito i suoi servizi generalmente<br />
all’estero ( 21 ).<br />
Inoltre, anche la lingua in cui è redatto il sito potrebbe essere un indizio<br />
di attività diretta verso uno Stato membro o una pluralità di Stati membri<br />
sulla base della sua diffusione e del suo utilizzo come lingua ufficiale in uno<br />
o più Paesi. Secondo l’avvocato generale, è altresì rilevante verificare se il sito<br />
internet, la cui pagina iniziale è redatta in una lingua, possa essere visualizzato<br />
in un’altra lingua, rappresentando un indizio che il venditore dirige<br />
la sua attività anche verso altri Stati membri.<br />
Anche il dominio di primo livello utilizzato può essere rilevante, perché<br />
è un chiaro indizio del fatto che il venditore dirige la sua attività verso il Paese<br />
corrispondente a tale dominio, ma non esclude che l’attività sia indirizzata<br />
verso altri Stati membri. Ciò è ancora è più evidente se il professionista<br />
con sede in uno Stato membro utilizzi il dominio di un altro Paese nel quale<br />
non ha sede o alcuna filiale. Analogamente, l’utilizzo di nomi di dominio<br />
neutri rispetto alla nazione può essere indicativo del fatto che il professionista<br />
non dirige la sua attività solo verso lo Stato membro in cui è stabilito,<br />
ma anche verso altri, sebbene ciò non sia sufficiente per poter concludere<br />
che il venditore diriga la sua attività in tutto il territorio comunitario.<br />
Fra le peculiarità va altresì valutata l’esistenza di link commerciali sui siti<br />
internet dei motori di ricerca, di pop-up, di eventuali contatti via mail da<br />
parte del professionista, senza alcuna richiesta in tal senso da parte dei consumatori,<br />
oppure se siano utilizzate altre forme pubblicitarie in quello Stato<br />
membro ( 22 ).<br />
Infine, l’avvocato generale analizza brevemente anche la questione se il<br />
venditore possa indicare espressamente nel sito internet il suo intento di<br />
non dirigere la sua attività verso determinati Stati membri (il cosiddetto disclaimer),<br />
anche se i siti rilevanti nelle due fattispecie non contenevano alcuna<br />
limitazione di questo tipo. La risposta dovrebbe essere positiva: come<br />
il professionista può indicare gli Stati verso i quali dirige le sue attività, così<br />
( 21 ) L’avvocato generale precisa che la stipulazione di un contratto con un solo consumatore<br />
di uno Stato membro, di per sé e indipendentemente da altri criteri, non è in linea di principio<br />
sufficiente a configurare un’attività diretta verso tale Stato membro. In tal caso, si svuoterebbe<br />
di significato la nozione di attività diretta, che presuppone un impegno attivo del venditore<br />
nel concludere contratti con i consumatori di quello Stato membro. Sono necessari invece<br />
altri indizi a conferma.<br />
( 22 ) Secondo l’avvocato generale, invece, il tipo di attività svolta non rileva, poiché spetta<br />
all’imprenditore decidere a quale o a quali mercati rivolgersi, indipendentemente da altre circostanze.
256 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
può procedere all’operazione opposta, purché agisca anche nei fatti in maniera<br />
coerente rispetto a quanto indicato nel sito internet. La limitazione<br />
della direzione dell’attività rappresenta una decisione imprenditoriale autonoma<br />
del professionista, che non può essere limitata, e non può essere<br />
negata la possibilità di indicare espressamente nel suo sito internet verso<br />
quali Stati membri non intende dirigere la sua attività.<br />
3. – La Corte di giustizia fornisce un’interpretazione autonoma della<br />
nozione di “attività diretta”, sulla base del sistema del regolamento e delle<br />
finalità della norma ( 23 ). La nuova formulazione dell’art. 15 del regolamento<br />
rispetto all’art. 13 della Convenzione si giustifica, secondo la Corte, per la<br />
necessità di ampliare l’ambito della tutela del consumatore a seguito dello<br />
sviluppo di nuove tecniche di commercializzazione. Pertanto, al fine di contemperare<br />
gli interessi del professionista e quelli opposti del consumatore,<br />
( 23 ) In primo luogo la Corte risolve la prima questione pregiudiziale nel caso Pammer, relativa<br />
alla configurabilità del contratto come viaggio tutto compreso. Secondo la Corte, i contratti<br />
che prevedono prestazioni combinate di trasporto e alloggio per un prezzo globale ai<br />
sensi dell’art. 15 reg. CE n. 44/2001 sono assimilabili ai viaggi tutto compreso di cui alla Direttiva<br />
90/314 del Consiglio del 13 giugno 1990, concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti<br />
« tutto compreso », in G.U.C.E., L 158, 2 giugno 1990, p. 59. Pertanto, è sufficiente che la<br />
combinazione dei servizi turistici venduti ad un prezzo forfettario comprenda due dei tre tipi<br />
di servizi indicati dall’art. 2 della direttiva, cioè il trasporto, l’alloggio e altri servizi turistici<br />
non accessori al trasporto o all’alloggio stessi che costituiscono una parte significativa del<br />
« tutto compreso », e che tale servizio superi le 24 ore o comprenda un pernottamento (Corte<br />
CE, 30 aprile 2002, causa C-400/00, Club-Tour, in Racc., 2002, I-4051). La direttiva è pertinente<br />
nell’esame del reg. CE n. 44/2001, dal momento che il regolamento “Roma I” (Regolamento<br />
CE n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008, sulla legge applicabile<br />
alle obbligazioni contrattuali (“Roma I”), in G.U.C.E., L 177, 4 luglio 2008, p. 6), innovando<br />
rispetto alla Convenzione di Roma (Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile<br />
alle obbligazioni contrattuali, versione consolidata, in G.U.C.E., C 334, 30 dicembre<br />
2005, p. 1) fa espresso riferimento alla direttiva per stabilire che questa tipologia contrattuale<br />
rientra nell’ambito delle norme sui contratti di consumo. Data la necessità di interpretare parallelamente<br />
i due regolamenti sulla cooperazione giudiziaria, ne consegue che anche il reg.<br />
CE n. 44/2001 può essere inteso come facente riferimento alla tipologia contrattuale disciplinata<br />
dalla direttiva. Un viaggio su una nave mercantile come quello offerto nel caso di specie<br />
costituisce un viaggio tutto compreso, dal momento che erano presenti gli elementi del trasporto,<br />
dell’alloggio e la durata era superiore alle 24 ore. È interessante notare che la recente<br />
proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla competenza giurisdizionale,<br />
il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, del<br />
14 dicembre 2010, COM(2010) 748 def., 2010/0383 (COD), destinato a modificare il testo del<br />
reg. CE n. 44/2001, non prevede alcuna rielaborazione dell’art. 15, par. 3, al fine di chiarire il<br />
parallelismo con il Regolamento “Roma I” e con la direttiva sui viaggi tutto compreso.
SAGGI 257<br />
è necessario accertare che il primo abbia voluto rivolgersi al mercato di uno<br />
o più Stati membri. Questa volontà è esplicita, secondo la Corte, in determinate<br />
forme di pubblicità, come ad esempio accade per i mezzi classici,<br />
quali la stampa, la radio, la televisione, ovvero l’invio di cataloghi e proposte<br />
commerciali al domicilio del consumatore.<br />
La stessa conclusione non può raggiungersi con la stessa facilità per<br />
quanto attiene alla pubblicità via internet, dal momento che si tratta di un<br />
mezzo accessibile in qualsiasi parte del mondo. Non ne consegue tuttavia<br />
che i termini “attività diretta” debbano essere interpretati nel senso che implichino<br />
la semplice accessibilità di un sito internet in Stati membri diversi<br />
da quello in cui sia stabilito il commerciante interessato; infatti, la condizione<br />
dello svolgimento delle attività in uno Stato membro diverrebbe del<br />
tutto irrilevante, conseguendone che la tutela del consumatore sarebbe assoluta<br />
nel campo di applicazione del regolamento ( 24 ). Da questa precisazione,<br />
e dalla già citata dichiarazione congiunta del Consiglio e della Commissione,<br />
la Corte deduce che non è sufficiente la sola apertura di un sito internet<br />
per rendere applicabili le disposizioni in materia di contratto di consumo.<br />
È, invece, necessario che sia rilevabile una volontà del professionista<br />
alla commercializzazione dei beni e dei servizi in un determinato Stato<br />
membro.<br />
La Corte indica alcuni indizi oggettivi che possono essere valutati a tal<br />
fine. L’analisi è parallela a quella già svolta dall’avvocato generale nelle sue<br />
conclusioni e giunge pressoché agli stessi risultati.<br />
Pertanto, non vi rientrano l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica<br />
e del numero di telefono senza prefisso internazionale, essendo obbligatorie<br />
in forza della direttiva sul commercio elettronico indipendentemente<br />
dagli Stati in cui l’attività commerciale si svolge ( 25 ). Ne consegue che la distinzione<br />
fra sito internet passivo e interattivo non ha rilevanza, dal momento<br />
che entrambi consentono di contattare il professionista agevolmente,<br />
a prescindere dai luoghi in cui quest’ultimo intende proporre la propria<br />
offerta; invece, deve valutarsi quale sia la volontà del professionista.<br />
( 24 ) La Corte fa riferimento alla sua recente sentenza resa il 15 aprile 2010, causa C-215/08,<br />
Friz, non ancora pubbl. in Racc., con riguardo alla direttiva del Consiglio 20 dicembre 1985,<br />
85/577, per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali,<br />
in G.U.C.E., L 372, 31 dicembre 1985, p. 31, per ricordare che la tutela della parte debole<br />
rimane condizionata alle limitazioni stabilite nei vari atti normativi e non può ritenersi assoluta,<br />
essendo necessario un contemperamento anche con gli altri interessi in causa.<br />
( 25 ) Corte CE, 16 ottobre 2008, causa C-298/07, Bundesverband der Verbraucherzentralen<br />
und Verbraucherverbände, in Racc., 2008, p. I-7841.
258 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Tra gli indizi espressi rientra sicuramente l’indicazione di voler offrire i<br />
propri servizi in uno o più Stati membri, nonché l’impegno di risorse finanziarie<br />
per un servizio di posizionamento su internet presso il gestore di un<br />
motore di ricerca. Se non vi sono degli indizi così chiari, secondo la Corte si<br />
deve fare riferimento ad altri elementi da valutarsi congiuntamente. Sulla<br />
base delle osservazioni presentate dagli intervenienti, la Corte ne individua<br />
un catalogo non esaustivo. Fra questi vi rientrano: la natura internazionale<br />
dell’attività professionale, quali talune attività turistiche; la menzione di recapiti<br />
telefonici con indicazione del prefisso internazionale; l’utilizzazione<br />
della denominazione di un dominio di primo livello diverso da quello dello<br />
Stato membro in cui il professionista è stabilito o l’utilizzazione di domini<br />
neutri quali “.com” o “.eu” ( 26 ); l’indicazione di itinerari a partire da uno o<br />
più altri Stati membri verso il luogo della prestazione dei servizi ( 27 ) nonché<br />
la menzione di una clientela internazionale composta da clienti domiciliati<br />
in Stati membri diversi, che abbiano lasciato ad esempio commenti o feedback<br />
sull’attività del professionista. Anche la lingua e la moneta possono assumere<br />
rilevanza, qualora il sito consenta ai consumatori di utilizzarne diverse.<br />
Secondo la Corte, dovrebbe essere valutata l’esistenza di più elementi<br />
al fine di concludere che l’attività professionale è diretta verso uno o<br />
più Stati membri determinati ( 28 ).<br />
4. – La definizione autonoma della nozione di “attività diretta”, per<br />
quanto non espressa, è agevolmente ricavabile dalla decisione della Corte.<br />
Essa è ravvisabile ogniqualvolta il professionista dimostri la sua volontà di<br />
commercializzare i propri prodotti o servizi in un determinato Stato membro.<br />
L’individuazione di questo elemento volontaristico è semplice, quan-<br />
( 26 ) Ad avviso di chi scrive, questo non è un indizio significativo quanto allo svolgimento<br />
dell’attività professionale in un determinato Stato, in quanto indica al più che quest’ultima è<br />
transnazionale. Maggiore rilevanza hanno invece i domini che si ricollegano a uno Stato<br />
membro nel senso individuato dalla Corte. Deve tuttavia farsi attenzione nel concludere in<br />
tal senso, dal momento che il dominio potrebbe indicare – e di solito indica – lo Stato della<br />
sede del professionista (luogo in cui non necessariamente svolge le proprie attività: Corte CE,<br />
9 marzo 1999, causa C-212/97, Centros, in Racc., 1999, I-1459).<br />
( 27 ) Meno rilevante pare questo indizio nel caso di compravendita di beni, dal momento<br />
che raramente la consegna da parte del professionista avviene tramite ritiro diretto del consumatore.<br />
( 28 ) Non rileva il fatto che, nella fattispecie della causa Heller, le chiavi siano state consegnate<br />
e il pagamento sia avvenuto in loco. Infatti, via internet sono avvenute la prenotazione e<br />
la relativa conferma, attraverso le quali le parti hanno assunto obblighi contrattuali reciproci,<br />
mentre gli altri fatti attengono all’esecuzione del contratto.
SAGGI 259<br />
do vi sono degli elementi espressi, quali l’indicazione dei Paesi ai quali l’offerta<br />
si rivolge, o la possibilità di scegliere determinati Stati nei form on line<br />
per effettuare l’ordine. Analogamente, se il sito contiene dei link che indirizzano<br />
a pagine redatte in lingue diverse, si può dedurre che il professionista<br />
intenda rivolgere la propria offerta anche nei Paesi in cui tali lingue sono<br />
parlate. Tuttavia, se la lingua utilizzata è ampiamente conosciuta, come ad<br />
esempio l’inglese, questo solo elemento non può fungere da indizio specifico,<br />
perché se ne può dedurre che il professionista si rivolge a una clientela<br />
internazionale, ma non più precisamente verso quale Stato.<br />
Sembra da escludersi che l’attività possa considerarsi diretta nei casi in<br />
cui il sito si limiti a pubblicizzare una determinata attività, pur contenendo<br />
l’obbligatoria pagina dei contatti, senza, ad esempio, indicare prezzo, modalità<br />
e costi della spedizione, invitando a rivolgersi alle filiali esistenti e<br />
magari essendo il sito accessibile solo in una lingua poco conosciuta o poco<br />
diffusa nel territorio comunitario. Tuttavia, la sola mancanza di un formulario<br />
d’ordine on line non è indicativa del fatto che il professionista non si rivolge<br />
alla clientela di un determinato Stato membro attraverso il sito, dal<br />
momento che il contratto può essere concluso via mail.<br />
La sentenza della Corte non supera tuttavia altri dubbi, che devono essere<br />
risolti dai giudici nazionali nei casi concreti. Ci si potrebbe chiedere, ad<br />
esempio, quale rilievo abbia la pubblicità effettuata in forma classica in uno<br />
Stato membro, se il contratto viene comunque concluso via mail, grazie all’indirizzo<br />
del professionista pubblicato sul sito. Probabilmente in questo<br />
caso si rientra nel campo di applicazione dell’art. 15 reg. CE n. 44/2001, dal<br />
momento che la disposizione non richiede un collegamento fra la forma<br />
pubblicitaria e la modalità di conclusione del contratto.<br />
La Corte, inoltre, non affronta la questione della rilevanza dei disclaimer,<br />
ma sembrano potersi accogliere le conclusioni dell’avvocato generale.<br />
Infatti, nella sentenza si dà specifico rilievo alla volontà del professionista,<br />
che deve essere tenuta analogamente in considerazione anche quando intende<br />
non commercializzare in un determinato Stato membro. Resta aperta<br />
la questione della frode da parte del consumatore, che fornisca dati sbagliati<br />
al fine di indurre il professionista a concludere il contratto. L’art. 5 della<br />
Proposta di regolamento “Roma I” ( 29 ) conteneva una clausola di salvaguardia<br />
a favore del professionista, nel senso che la norma di tutela non si<br />
( 29 ) Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla legge applicabile<br />
alle obbligazioni contrattuali (“Roma I”), presentata il 15 dicembre 2005, COM(2005)<br />
650 def., 2005/0261 (COD).
260 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
sarebbe applicata se la residenza abituale del consumatore non gli era conosciuta<br />
per una causa non imputabile a sua negligenza. Pertanto, se il consumatore<br />
avesse fornito un indirizzo di residenza erroneo, non avrebbe potuto<br />
più invocare le norme di protezione e l’applicazione della legge dello<br />
Stato della sua residenza abituale. Questa clausola non è stata trasposta nel<br />
testo definitivo del regolamento (art. 6); tuttavia, la soluzione pare essere la<br />
stessa, nell’ambito di entrambi i regolamenti sulla cooperazione giudiziaria<br />
civile. Infatti, se il consumatore non fornisce i propri dati esatti in maniera<br />
fraudolenta, indicando un domicilio o una residenza abituale diversi da<br />
quelli reali, nonostante un’espressa richiesta del professionista ( 30 ), verrebbe<br />
a mancare una condizione di applicazione delle disposizioni di tutela, e<br />
in particolare proprio quello dell’attività diretta. Il professionista, infatti,<br />
non offre i propri servizi nello Stato di asseriti residenza e domicilio del<br />
consumatore, e ha concluso il contratto in quanto indotto in errore. Più<br />
complessa è la soluzione se il consumatore è comunque domiciliato in uno<br />
Stato nel quale il professionista svolge le sue attività, ma dà informazioni<br />
false. Anche se, dirigendo la propria offerta in entrambi gli Stati membri, il<br />
professionista ha aprioristicamente accettato l’eventuale giurisdizione e<br />
l’applicazione della legge di entrambi i Paesi, non si può considerare irrilevante,<br />
la circostanza che il procedimento debba essere instaurato in uno<br />
Stato membro piuttosto che in un altro, o che sia applicata una legge diversa<br />
da quella attesa dal professionista nel caso concreto. Ad esempio, in quest’ultima<br />
ipotesi, diverse potrebbero essere le conseguenze della domanda<br />
giudiziale a seconda della legge applicabile; per quanto attiene alla giurisdizione,<br />
ci sarebbe un dispendio di tempo se il professionista agisse presso il<br />
luogo del presunto domicilio, scoprendo poi che quel giudice non è competente.<br />
Anche in questi casi, probabilmente, dovrebbe tutelarsi il professionista<br />
che abbia agito in buona fede nei confronti del consumatore che, invece,<br />
lo abbia tratto in inganno.<br />
Visti i criteri indicati dalla Corte, rimane quindi necessario l’esercizio di<br />
una certa discrezionalità del giudice nei casi controversi. Pertanto, il sistema<br />
più sicuro per il professionista rimane quello più oneroso, cioè l’indica-<br />
( 30 ) Al fine dell’esecuzione del contratto, il professionista potrebbe essere interessato al<br />
solo luogo di consegna dei beni o di effettuazione del servizio, che possono essere non coincidenti<br />
rispetto al domicilio o alla residenza abituale del consumatore. Tuttavia, agendo in<br />
buona fede e al fine di tutelarsi meglio, e conoscere con anticipo l’eventuale foro competente<br />
e la legge applicabile in controversie che dovessero insorgere con il consumatore, il professionista<br />
ha interesse a richiedere questi dati personali. Agendo in questo modo, il professionista<br />
non deve risentire di errori o frodi commesse dal consumatore.
SAGGI 261<br />
zione espressa sul sito degli Stati verso i quali la sua offerta si rivolge, ovvero<br />
al contrario l’inserimento di appositi disclaimer, al fine di evitare di dover<br />
sostenere un procedimento o vedere applicata la legge di uno Stato nel quale<br />
egli non intendeva offrire i propri servizi.
ANDREA COSTA<br />
La nuova disciplina del credito ai consumatori<br />
Sommario: 1. Le ragioni di una normativa sul credito al consumo e l’intervento del legislatore<br />
europeo. – 2. Le prospettive di armonizzazione: la direttiva 08/48/CE sui contratti<br />
di credito ai consumatori. – 3. La nuova disciplina italiana: fattispecie negoziale e<br />
ambito d’applicazione. – 3.1. Le norme a tutela del consumatore. – 3.2. Gli obblighi<br />
informativi. – 3.3. La valutazione del merito creditizio. – 3.4. Le norme di protezione<br />
sostanziale. – 4. Conclusioni.<br />
1. – Il termine credito al consumo identifica un fenomeno, unitario sotto<br />
il profilo economico e sociale, che si manifesta attraverso forme giuridiche<br />
variegate ( 1 ). All’interno della sua nozione, infatti, possono essere ricondotte<br />
tipologie contrattuali eterogenee la cui considerazione unitaria –<br />
sotto un profilo normativo – emerge in ragione della funzione economica<br />
che le contraddistingue, ossia quella di consentire al consumatore l’acquisto<br />
di beni e servizi attraverso un’agevolazione di natura finanziaria.<br />
L’affermazione di tale fenomeno è proprio delle società a capitalismo<br />
maturo, nelle quali la specializzazione delle funzioni e il ruolo dei servizi<br />
sono andati assumendo un’importanza sempre maggiore ( 2 ). Peraltro nel<br />
nostro ordinamento la qualificazione di tale fattispecie sulla base delle categorie<br />
codicistiche, attraverso la tipizzazione del contratto negli schemi del-<br />
( 1 ) Si v. Carriero, Autonomia privata e disciplina del mercato. Il credito al consumo, Torino,<br />
2007. In precedenza così già Piepoli, Il credito al consumo, Napoli, 1974, p. 3 ss. secondo il<br />
quale le difficoltà legate alla comprensione del credito al consumo sarebbero dovute alla tendenza<br />
– presente nella tradizione giuridica di quegli anni – ad inquadrare la complessa tipologia<br />
dei fenomeni nei termini di un’operazione concettuale, intesa a privilegiare la forma logica<br />
dell’istituto. « In tal modo, si finisce col perdere di vista la concreta realtà del fenomeno da<br />
analizzare ed i suoi peculiari connotati. ... Con questo, ovviamente, non si vuol per nulla svalutare<br />
l’esigenza del momento sistematico; ma è proprio l’oggetto della nostra analisi [il consumer<br />
credit] a richiedere che ad esso venga assegnato un ruolo diverso, che valorizzi pienamente la concreta<br />
funzione ed il reale assetto di interessi sottostanti al fenomeno regolato ».<br />
( 2 ) Non a caso è stato sostenuto che, oramai, la cash society sia stata sostituita dalla credit<br />
society, così Caplovitz, Consumer credit in the United States: the situation of consumer debtors,<br />
in Consumer credit and debt recovery, Workshop Papers I, ZERP MAT 6 marzo 1985, p. 1.<br />
Tant’è che il capitalismo del XXI secolo è stato definito come consumer-credit driven capitalism<br />
(cfr. Boyer, How and why capitalism differ, in Economy and Society, 2005, p. 509).
SAGGI 263<br />
la vendita, eventualmente connotata dal patto di riservato dominio e dal pagamento<br />
rateale, oppure del mutuo, porterebbe – e per lungo tempo ha portato<br />
– all’applicazione di una disciplina inidonea a comprendere e a regolare<br />
efficacemente l’operazione economica sottostante. Gli schemi tradizionalmente<br />
delineati dal diritto privato, infatti, non tengono nella dovuta<br />
considerazione il fatto che il credito al consumo è andato sviluppandosi sulla<br />
base di rapporti trilaterali o, come accade più frequentemente, secondo<br />
rapporti bilaterali e paralleli ( 3 ) nei quali, essendo il consumatore in una posizione<br />
di soggezione rispetto alle controparti professionali, potrebbero trovare<br />
applicazione soluzioni giuridiche profondamente inique. Basti considerare<br />
che nel caso del prestito finalizzato all’acquisto di un bene – naturale<br />
evoluzione del contratto di vendita a rate – il rapporto bilaterale tra venditore<br />
e compratore si scinde in una più complessa operazione in cui l’agevolazione<br />
finanziaria viene affidata da un terzo soggetto, ossia l’istituto di<br />
credito. Ciò implica la conclusione da parte del consumatore di due distinti<br />
contratti – compravendita e mutuo – i quali, tuttavia, si manifestano e si<br />
svolgono secondo la logica di una singola operazione economica. Pertanto<br />
il consumatore, che ha come fine ultimo il godimento del bene di consumo<br />
( 4 ), diviene più o meno consapevolmente parte di due accordi formalmente<br />
distinti seppur preordinati al soddisfacimento di uno scopo unitario.<br />
Come evidenziato da parte della dottrina ( 5 ), tra la fattispecie concreta<br />
e la sua ricostruzione in termini giuridici si crea così una profonda frattura,<br />
frattura che espone il consumatore, ad esempio, al rischio di dover rim-<br />
( 3 ) Così Alpa, Il diritto dei consumatori, Bari, 2006, p. 112.<br />
( 4 ) Dal punto di vista del contraente, è indifferente la circostanza che il credito sia concesso<br />
direttamente dal venditore o grazie all’intervento di un terzo. Ciò che conta è infatti poter<br />
realizzare l’acquisto del bene di consumo. Il ricorso ad un finanziamento personale certamente<br />
modifica la struttura dell’operazione, ma tale differenza non viene percepita dal consumatore,<br />
soprattutto perché è spesso lo stesso venditore a proporre il prestito per conto dell’istituto<br />
creditizio; così Ferrando, Credito al consumo: operazione economica unitaria e pluralità<br />
di contratti, in Riv. dir. comm., 1991, p. 604; v. anche Alpa e Bessone, Funzione economica<br />
e modelli giuridici delle operazioni di credito al consumo, in Riv. soc., 1975, p. 1363 ss.; D’Angelo,<br />
<strong>Contratto</strong> e operazione economica, Torino, 1992, passim; E. Gabrielli, Il contratto e l’operazione<br />
economica, in Riv. dir. civ., 2003, p. 93 ss. Si tenga presente che già il Crowther Report,<br />
ossia l’approfondito studio che ha preceduto l’introduzione del Consumer Credit Act 1974 nel<br />
Regno Unito, rilevava che «la più rilevante debolezza dell’attuale disciplina sul credito è l’incapacità<br />
di guardare aldilà della mera forma e occuparsi della sostanza del problema. Ciò si manifesta<br />
nella stesura di distinzioni fra i diversi tipi di transazione sulla base di astrazioni giuridiche,<br />
giudicate irrealistiche nella realtà del commercio».<br />
( 5 ) Cfr. Alpa, Il diritto dei consumatori, Bari, 2002, p. 148 ss.
264 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
borsare il finanziamento anche nel caso in cui il venditore risultasse inadempiente.<br />
Difatti, in assenza di una disciplina di settore, l’architettura negoziale<br />
delle operazioni di credito al consumo, associata alla strutturale<br />
mancanza di potere contrattuale in capo al consumatore, ha spesso condotto<br />
ad un’iniqua ripartizione del rischio a danno della parte debole ( 6 ).<br />
Nella seconda metà del secolo scorso, la dottrina più attenta alle politiche<br />
di protezione del consumatore aveva rilevato che le distorsioni causate<br />
da tale “vuoto” legislativo venivano a manifestarsi con sempre maggiore<br />
evidenza e frequenza ( 7 ), sottolineando quindi la necessità di introdurre<br />
( 6 ) In assenza di regole specifiche sul credito al consumo gli istituti finanziari hanno reso<br />
difficile preventivare il complessivo onere economico dell’operazione, inserendo voci di costo<br />
diverse dal semplice tasso d’interesse; hanno omesso di informare il consumatore su clausole<br />
e circostanze idonee ad incidere fortemente sul contenuto delle obbligazioni assunte e limitative<br />
dei suoi diritti; hanno inoltre cercato di frantumare l’operazione economica con l’utilizzo<br />
di strumenti giuridici autonomi e distinti, inserendo clausole di esonero di responsabilità,<br />
di decadenza e di inopponibilità delle eccezioni. Ciò all’evidente fine di rendere le vicende<br />
relative al contratto di compravendita ininfluenti sullo svolgimento del rapporto tra<br />
consumatore e finanziatore ed eludere la normativa sulla vendita con riserva di proprietà (così<br />
Piepoli, Il credito al consumo, cit., p. 36 e Carriero, Autonomia privata e disciplina del mercato.<br />
Il credito al consumo, Torino, 2007, p. 27 ss.).<br />
( 7 ) Tra i primi a interessarsi del fenomeno si segnalano: Dell’Amore, Il credito al consumo,<br />
Milano, 1964; Piepoli, Il credito al consumo, cit.; Alpa e Bessone, Funzione economica e<br />
modelli giuridici delle operazioni di credito al consumo, cit., p. 1363 ss.; Alpa e Bessone, Disciplina<br />
giuridica delle carte di credito e problemi di controllo del credito al consumo, in Giur. it.,<br />
1976, c. 110 ss.; Ziccardi, Il “Consumer Credit Act” inglese del 1974: prime impressioni, in Giur.<br />
it., 1978, IV, c. 20 ss.; Alpa e Bessone, Il consumatore e l’<strong>Europa</strong>, Padova, 1979; Bessone, Mercato<br />
del credito, credito al consumo, tutela del consumatore, in Foro it., 1980, V, c. 80; Alpa, Il diritto<br />
privato dei consumi, Bologna, 1986. Tali Autori, nel periodo di latitanza del nostro legislatore,<br />
avevano elaborato diverse teorie per garantire una maggiore tutela del contraente debole,<br />
innanzitutto cercando di estendere la portata applicativa delle norme relative alla vendita<br />
a rate anche ai contratti di finanziamento finalizzato. Veniva in particolare sottolineato che tra<br />
i due contratti non vi sarebbero differenze funzionali e che pertanto, anche nel caso di finanziamento<br />
al consumo, il mancato pagamento di una sola rata non superiore all’ottava parte<br />
del prezzo non avrebbe dovuto comportare l’obbligo della restituzione dell’intero ai sensi<br />
dell’art. 1525 c.c. poiché ricorrerebbe una delle ipotesi che escludono l’applicazione dall’art.<br />
1819 c.c. (in questo senso v. Piepoli, Il credito al consumo, cit., p. 69, il quale censura Cass. n.<br />
2165/1956 – quest’ultima aveva escluso l’applicabilità dell’art. 1525 c.c. al rapporto fra debitore<br />
e finanziatore, in ragione della specialità della norma e della sua esclusiva riferibilità alla<br />
vendita rateale con riserva di proprietà – perché la ricostruzione condotta da tale sentenza<br />
« ignora la profonda unità e l’omogenea funzione economica delle due forme di credito al consumo<br />
confrontate »). In secondo luogo si era fatto ricorso alla teoria del collegamento negoziale,<br />
sia per dimostrare nuovamente la presenza di circostanze idonee a escludere l’applicabilità<br />
dell’art. 1819 c.c. – e, quindi, per evitare l’obbligo di restituzione dell’intero in caso di manca
SAGGI 265<br />
una specifica normativa di settore e di garantire forme più eque di giustizia<br />
contrattuale, basate su una valutazione complessiva, non frazionata, del regolamento<br />
di interessi predisposto dalle parti attraverso negozi diversi, eppure<br />
intimamente connessi ( 8 ).<br />
Come è noto, tale lacuna è stata colmata in <strong>Italia</strong> solamente grazie all’intervento<br />
del legislatore comunitario. La direttiva 87/102/CEE ( 9 ), approvata<br />
dal Consiglio in data 22 dicembre 1986, ha infatti imposto agli Stati<br />
membri l’introduzione di una disciplina del credito al consumo su scala europea<br />
( 10 ). In particolare, quanto al nostro ordinamento, la direttiva è stata<br />
attuata – con colpevole ritardo – grazie alla L. 19 febbraio 1992 n. 142 ( 11 ), le<br />
cui disposizioni sono state successivamente inserite nel Testo Unico Banca-<br />
to pagamento di una sola rata – sia per giustificare l’applicazione analogica delle norme in tema<br />
di vendita a rate. La presenza di un nesso funzionale fra la vendita e il finanziamento<br />
avrebbe infatti consentito di mettere in dubbio la validità delle clausole d’eccezione predisposte<br />
dal professionista (così Alpa e Bessone, Disciplina giuridica delle carte di credito e problemi<br />
di controllo del credito al consumo, cit., p. 110 ss.; contra: Spada, Carte di credito: terza generazione<br />
di mezzi di pagamento, in Riv. dir. civ., 1976, I, p. 483 ss.). Altri autori invece ritenevano<br />
l’utilizzo di tali clausole contrario all’ordine pubblico (così Piepoli, Il credito al consumo,<br />
cit., p. 148) o in violazione della norma di cui all’art. 1344 c.c. (cfr. Oppo, Presentazione, in<br />
La disciplina del credito al consumo,a cura di Capriglione, 1987, p. 16).<br />
( 8 ) In questi termini, da ultimo, v. Nigro, Collegamento contrattuale legale e volontario,<br />
con particolare riferimento alla (vecchia e nuova) disciplina del credito ai consumatori, in Giur.<br />
it., 2011, p. 75.<br />
( 9 ) In G.U.C.E., L 042, 12 dicembre 1987, p. 48.<br />
( 10 ) La prima direttiva comunitaria sul credito al consumo è stata modificata e integrata da<br />
due successive direttive, finalizzate principalmente a perfezionare il calcolo del tasso annuo<br />
effettivo globale. Nel 1986, infatti, si consentì agli Stati membri di godere di un periodo transitorio<br />
prima della definitiva unificazione del metodo di calcolo del tasso annuo effettivo globale.<br />
Per la definizione di una formula matematica unitaria, al fine di promuovere il funzionamento<br />
del mercato interno e garantire ai consumatori un elevato grado di tutela, è stato necessario<br />
attendere la seconda direttiva (la 90/88/CEE, in G.U.C.E., L 61, 10 marzo 1990). Con<br />
quest’ultima le definizioni di “costo totale del credito al consumatore” e di “tasso annuo effettivo<br />
globale” contenute nella direttiva 87/102/CEE sono state modificate e il loro calcolo<br />
dettato dal nuovo art. 1-bis il quale a sua volta rinvia alla formula matematica contenuta nell’allegato<br />
II. Poiché il recepimento italiano della disciplina comunitaria del credito al consumo<br />
è avvenuto quando questa seconda direttiva era già stata approvata, di essa il legislatore ha<br />
tenuto conto direttamente nella legge di recepimento n. 142/1992. Infine la direttiva 98/7/CE<br />
(in G.U.C.E., L 101, 1° aprile 1998) ha provveduto all’abrogazione di ulteriori deroghe che erano<br />
state concesse in favore degli Stati membri, prescrivendo un unico metodo di calcolo del<br />
TAEG e la sua indicazione attraverso un esempio tipico.<br />
( 11 ) Sul recepimento delle direttive sul credito al consumo v. Alpa, L’attuazione della direttiva<br />
sul credito al consumo, in <strong>Contratto</strong> e Impresa, 1994, p. 6 ss.; De Nova, L’attuazione in<br />
<strong>Italia</strong> delle direttive comunitarie sul credito al consumo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1992, p. 905
266 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
rio agli artt. 121 e ss. ( 12 ). Peraltro, con l’elaborazione del Codice del Consumo,<br />
gli ultimi due commi dell’art. 125 TUB (nonché altre norme di caratte-<br />
ss.; Gaggero, Diritto comunitario e disposizioni interne in materia di credito al consumo, in<br />
questa rivista, 1996, p. 622; Macario, Note introduttive al Commentario alle Norme di attuazione<br />
di direttive comunitarie in tema di credito al consumo, in Nuove leggi civ., 1994, p.<br />
748; Tidu, Il recepimento della normativa comunitaria sul credito al consumo, in Banca, borsa<br />
e tit. cred., 1992, I, p. 406. È da segnalare che il legislatore italiano appare il solo ad aver<br />
adoperato una scelta simile: poiché la disciplina in esame è principalmente intesa come<br />
una forma di tutela del consumatore, essa è solitamente disciplinata nell’ambito delle<br />
norme che regolano i rapporti di consumo oppure è oggetto di leggi speciali. Pur non mancando<br />
di criticare la scelta in punto di scarsa sistematicità, si è cercato da parte di alcuni<br />
autori di sottolineare l’inserimento nel TUB nel senso di una acquisita consapevolezza<br />
della stretta relazione esistente fra efficienza del sistema e gioco della concorrenza: Carriero,<br />
Il credito al consumo, in La disciplina comunitaria del credito al consumo, a cura di<br />
Capriglione, Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’<strong>Italia</strong>, Roma, 1998, p. 38. Il desiderio<br />
di ricomprendere nell’ambito del testo unico tutte le norme relative a fenomeni creditizi<br />
ha infatti portato alla commistione di profili di carattere civilistico con norme di carattere<br />
pubblicistico ed ordinamentale del credito, sul punto v. Carriero, Commento all’art.<br />
124 T.U., in Commentario al T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Capriglione,<br />
II, cit., p. 953. Tale manovra ha destato non poche perplessità sul piano della coerenza<br />
sistematica e del rigore concettuale, cfr. Lener, Trasparenza bancaria e modelli di tutela<br />
del cliente nel Testo Unico del credito, in Giur. sist. dir. civ. e comm., a cura di Alpa e Bessone,<br />
I contratti in generale, II, Torino, 1999, p. 1166; Alpa, Note minime sulla trasparenza<br />
dei contratti bancari e finanziari, in La nuova legge bancaria, a cura di Ferro-Luzzi e Castaldi,<br />
cit., p. 1787.<br />
( 12 ) In verità tale manovra ha destato non poche perplessità sul piano della coerenza<br />
sistematica, del rigore concettuale, della distinzione fra pubblico e privato; così Lener,<br />
Trasparenza bancaria e modelli di tutela del cliente nel Testo Unico del credito, cit., p. 1166;<br />
Alpa, Note minime sulla trasparenza dei contratti bancari e finanziari, in La nuova legge<br />
bancaria, a cura di Ferro-Luzzi e Castaldi, cit., p. 1787. Il desiderio di ricomprendere nell’àmbito<br />
del testo unico tutte le norme relative a fenomeni creditizi ha infatti portato alla<br />
commistione di profili di carattere civilistico con norme di carattere pubblicistico ed ordinamentale<br />
del credito e del risparmio; cfr. Carriero, Commento all’art. 124 T.U., cit., p.<br />
953. È da segnalare, inoltre, che il modello normativo italiano appare il solo ad aver adoperato<br />
una scelta simile. Essendo il credito al consumo principalmente inteso come una<br />
normativa dedicata alla protezione del consumatore, solitamente esso è stato disciplinato<br />
o nell’àmbito delle regole che regolano i rapporti col professionista oppure è stato oggetto<br />
di leggi speciali. Peraltro, pur non mancando di criticare la scelta in punto di scarsa<br />
sistematicità, si è cercato da parte di alcuni autori di giustificarla argomentando le difficoltà<br />
di un inserimento delle due leggi all’interno del codice civile sia la mancanza di motivi<br />
per l’adozione di una legge speciale. Al contrario, si è sottolineato il valore dell’inserimento<br />
nel TUB nel senso di una acquisita consapevolezza della stretta relazione esistente<br />
fra efficienza del sistema e gioco della concorrenza: così Carriero, Il credito al<br />
consumo, cit., p. 48.
SAGGI 267<br />
re più propriamente pubblicistico, ossia gli artt. 1 e 2 del d.lgs. 25 febbraio<br />
2000 n. 63 con cui era stata recepita la direttiva 98/7/CE) sono stati trasferiti<br />
agli artt. 40-43 c.cons.<br />
Tale disciplina non ha tipizzato un nuovo contratto, bensì ha inteso<br />
regolare una indefinita serie di fattispecie negoziali. E ciò sia sotto il profilo<br />
soggettivo, perché nei contratti di credito al consumo possono variare<br />
il numero e la qualità delle parti coinvolte nell’operazione economica<br />
globalmente intesa, sia sotto il profilo oggettivo, in quanto il consumatore<br />
può scegliere lo schema negoziale che più si adatta alle sue esigenze ( 13 ). Un<br />
fenomeno così complesso ed eterogeneo viene dunque ricondotto ad<br />
unità nella normativa di riferimento, la quale deve tuttavia tenere presenti<br />
le peculiarità e le problematiche proprie di ciascuna tipologia negoziale.<br />
Infatti, accanto a generiche esigenze di tutela del consumatore quale soggetto<br />
debole del rapporto, nel credito al consumo si sovrappongono questioni<br />
più specifiche legate allo schema contrattuale adottato nel caso<br />
concreto. È evidente, ad esempio, che le problematiche sottese ad un<br />
prestito finalizzato risulteranno essere diverse da quelle che possono<br />
( 13 ) Cfr. Alpa, Commento all’art. 121 T.U., in Commentario al T.U. delle leggi in materia<br />
bancaria e creditizia, a cura di Capriglione, cit., p. 949 ss.; Ferrando, Credito al consumo:<br />
operazione economica unitaria e pluralità di contratti, cit., p. 597 ss.; Mazzamuto, Il credito<br />
al consumo, in Manuale di diritto privato europeo, a cura di Castronovo e Mazzamuto, Milano,<br />
2007, II, p. 960; quanto al primo aspetto, ad esempio, l’agevolazione finanziaria può essere<br />
concessa o direttamente dal commerciante, attraverso una dilazione del prezzo, o da<br />
un soggetti specializzati, quali banche e istituti finanziari; in questa ultima ipotesi, la somma<br />
mutuata può essere messa a disposizione con o senza vincoli di scopo, ossia può risultare<br />
liberamente spendibile dal consumatore in una pluralità di operazioni non predeterminate<br />
oppure essere vincolata all’acquisto di un determinato bene, e in tal caso spesso trasferita<br />
direttamente dal finanziatore al venditore. A tale diversificazione corrisponde, sotto<br />
il profilo oggettivo, l’utilizzo di altrettante tipologie negoziali. Secondo Tidu, La direttiva<br />
comunitaria sul credito al consumo, in Banca, borsa e tit. cred., 1987, I, p. 728 ss., data l’assenza<br />
di una espressa previsione di un’unitaria categoria dei contratti di finanziamento al<br />
consumo, ogni tentativo di giungervi in via interpretativa non sarebbe nemmeno possibile;<br />
secondo l’Autore, infatti, la loro diversità, che si riflette in una diversa regolamentazione,<br />
non consente di cogliere un elemento – avente valenza giuridica – capace di individuare<br />
unitariamente le varie figure di credito al consumo. Tra gli schemi negoziali adoperati si<br />
possono ricordare a titolo esemplificativo: vendite rateali con riserva di proprietà, l’apertura<br />
di credito semplice e rotativa in connessione all’uso di carte, i cc.dd. finanziamenti personali,<br />
gran parte dei contratti di leasing, i finanziamenti a breve termine concessi dalle<br />
banche alle famiglie, gli scoperti in conto corrente, il credito documentario, l’anticipazione<br />
bancaria garantita, lo scoperto di conto corrente, la cessione del quinto dello stipendio, il<br />
leasing traslativo al consumo.
268 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
manifestarsi in una dilazione di pagamento o in un’apertura di credito.<br />
Pertanto, le norme di tutela devono tenere conto di tale circostanza e soddisfare<br />
sia esigenze di carattere generale, quale l’informazione ( 14 ) e la trasparenza,<br />
sia bisogni più specifici, connessi al peculiare schema negoziale<br />
adottato.<br />
2. – Senza entrare nel merito della disciplina introdotta con la prima<br />
direttiva sul credito al consumo, va dato atto che nel corso degli anni è<br />
maturata la convinzione che la normativa comunitaria in materia di credito<br />
al consumo dovesse essere ridisegnata in ragione dell’evoluzione registrata<br />
dal settore, anche al fine di favorire lo sviluppo transfrontaliero<br />
del mercato del credito ( 15 ). Ad oltre vent’anni di distanza dal precedente<br />
intervento la Commissione ha ritenuto che il principio dell’armonizzazione<br />
“minima”, adottato dalla direttiva 87/102/CEE, non avesse favorito<br />
il raggiungimento di un livello di protezione omogeneo. Tale principio,<br />
infatti, aveva legittimato alcuni Stati membri ad adottare soluzioni giuridiche<br />
più avanzate, assicurando ai consumatori un grado di tutela più intenso,<br />
e al contempo aveva consentito ad altri, come l’<strong>Italia</strong>, di adeguarsi<br />
( 14 ) Cfr. Rossi Carleo, Commento all’art. 5, in Commentario al Codice del consumo, a cura<br />
di Alpa e Rossi Carleo, Napoli, 2005, p. 125 ss., la quale mette in luce come l’informazione<br />
del consumatore, accanto alla sua educazione, rappresenti una necessità intrinseca per garantire<br />
il funzionamento del mercato e il superamento delle asimmetrie presenti nella realtà<br />
dei traffici economici; cfr. altresì Rossi Carleo, Il diritto all’informazione: dalla conoscibilità<br />
al documento informativo, in Riv. dir. priv., 2004, p. 349 ss.<br />
( 15 ) Nel 2002 la Commissione – COM(2002) 443 def. – rilevava che « la nozione di “credito<br />
al consumo” ha subito un’evoluzione spettacolare dal periodo in cui è stata concepita la legislazione<br />
in vigore » e che oggi il credito è offerto ai consumatori attraverso una miriade di strumenti<br />
finanziari; osservava ancora la Commissione che « tra il 50 e il 65% dei consumatori dispone<br />
attualmente di un credito al consumo . . . e il 30% dei consumatori dispone di un’agevolazione<br />
di sconfino sul conto corrente » mentre negli anni ’70 quest’ultimo strumento di credito<br />
non era utilizzato per le esigenze di consumo. La Commissione, nel presentare la proposta di<br />
direttiva, si mostrava cosciente del fatto che il credito, pur rappresentando un volano per la<br />
crescita economica e il benessere dei cittadini dell’UE, rappresenta anche un rischio per i finanziatori<br />
e per i consumatori. Non si meravigliava, pertanto, che « gli Stati membri abbiano<br />
ritenuto insufficiente il livello di tutela offerto dalle attuali direttive e che nelle legislazioni di recepimento<br />
abbiano tenuto conto di altri tipi di credito e/o di nuovi contratti di credito che non rientrano<br />
nelle direttive ». Tuttavia, sempre secondo la Commissione, tale evoluzione avrebbe<br />
comportato delle distorsioni della concorrenza e limitato le possibilità per i consumatori di<br />
ottenere un prestito in altri Stati membri. Tali distorsioni e restrizioni avrebbero a loro volta<br />
influito sul volume e sulla natura del credito richiesto, nonché sull’acquisto di beni e servizi e<br />
sul livello di tutela garantito per i consumatori europei.
SAGGI 269<br />
ai requisiti imposti dal legislatore comunitario senza discostarsene in<br />
modo rilevante ( 16 ).<br />
Del resto già i lavori preparatori alla nuova direttiva, confluiti in un documento<br />
discusso dalla Commissione con gli stakeholders nel 2001, avevano<br />
confermato l’esistenza di differenze sostanziali tra gli ordinamenti giuridici<br />
dei singoli Stati membri nel settore del credito al consumo ( 17 ). Ciò, se-<br />
( 16 ) Come espressamente dichiarato negli anni Ottanta dal responsabile della Commissione<br />
CEE Patrick Latham – e ribadito oggi dai documenti che hanno preceduto l’approvazione<br />
della nuova direttiva sul credito al consumo – la finalità principale della direttiva<br />
87/102/CEE consisteva nel ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative<br />
degli Stati membri al fine di contribuire alla creazione di un mercato comune nel<br />
campo del credito. La portata dell’intervento a tutela dei consumatori risultava circoscritta,<br />
quindi, all’individuazione di una disciplina di protezione “minima” che, allo stesso tempo, lasciasse<br />
gli Stati membri liberi di intraprendere per l’avvenire iniziative normative più avanzate,<br />
discostandosi e integrando il testo della direttiva. Una conferma del carattere minimale<br />
della tutela assicurata dalla disciplina comunitaria è rinvenibile nell’art. 15 della prima direttiva,<br />
in cui è espressamente previsto che la direttiva « non impedisce agli Stati membri di mantenere<br />
o adottare disposizioni più rigorose a tutela dei consumatori », così Carriero e Castaldi,<br />
Le direttive comunitarie sul credito al consumo, in La nuova legge bancaria, a cura di Ferro-Luzzi<br />
e Castaldi, cit., p. 1798 e Capriglione, in La disciplina comunitaria del credito al consumo, a<br />
cura di Capriglione, Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’<strong>Italia</strong>, XV, Roma, 1987, p. 32.<br />
Alla disciplina comunitaria è stato riconosciuto carattere: (i) “minimale”, nel senso che contiene<br />
una normativa essenziale del fenomeno che ha tralasciato alcuni problemi, non sempre<br />
secondari; (ii) “generale” poiché, al di fuori delle fattispecie espressamente escluse, è capace<br />
di trovare applicazione potenzialmente ad ogni forma di credito al consumo; (iii) al tempo<br />
stesso “differenziata” visto che non si applica – in tutto o in parte – ad alcuni tipi contrattuali<br />
rientranti nella nozione di credito al consumo (cfr. Ferrando, Credito al consumo: operazione<br />
economica unitaria e pluralità di contratti, cit., p. 647).<br />
( 17 ) Già nel 1995 la Commissione aveva presentato una prima relazione (Commissione europea,<br />
Relazione sull’applicazione della direttiva 87/102/CEE, COM(1995) 117 def. dell’11<br />
maggio 1995) in merito all’applicazione nei diversi Stati membri della direttiva 87/102/CEE.<br />
Ad essa aveva fatto seguito, nel 1996, una seconda relazione (Commissione europea, Relazione<br />
sull’applicazione della direttiva 90/88/CEE, COM(1996) 79 def. del 12 aprile 1996) sull’applicazione<br />
della direttiva 90/88/CEE e quindi sui diversi metodi di calcolo del tasso effettivo<br />
annuo globale adottati dagli ordinamenti nazionali. In entrambi i documenti la Commissione<br />
era giunta alla conclusione che la ragione del modesto grado di sviluppo del mercato europeo<br />
fosse da attribuire alle difficoltà tecniche d’ingresso per gli operatori nei diversi Stati membri e<br />
alla diffidenza dei consumatori a concludere operazioni transfrontaliere per l’incertezza del livello<br />
di tutela offerto da ordinamenti giuridici diversi da quello di appartenenza. Di ciò sarebbe<br />
stata responsabile – sempre ad opinione della Commissione – la “clausola minima”<br />
contenuta nell’art. 15 della direttiva del 1986. Più in generale studi di natura comparatistica,<br />
come quello predisposto da alcuni studiosi europei per la Commissione nell’aprile 2007,<br />
hanno dimostrato profonde differenze nelle tecniche legislative di recepimento adoperate dai
270 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
condo la Commissione, ha avvalorato la tesi secondo cui tali differenze avevano<br />
determinato una distorsione della concorrenza tra creditori nonché<br />
ostacolato la creazione di un mercato unico europeo dove fosse possibile<br />
per i consumatori fruire di una più ampia offerta di credito ( 18 ).<br />
Per impedire agli Stati membri di mantenere o di introdurre norme diverse<br />
da quelle delineate in sede comunitaria nonché per assicurare un alto,<br />
ma soprattutto equivalente, livello di tutela, la nuova direttiva è stata ridisegnata<br />
secondo il “principio della massima armonizzazione” ( 19 ). Tutto ciò<br />
diversi Stati membri, nella tempestività del recepimento medesimo, nell’uso della clausola<br />
minima e quindi nelle normative vigenti; cfr. Schulte-Nolke, EC law compendium, a comparative<br />
analysis, Università di Bielefeld, 2007 che in modo estremamente analitico e trasversale<br />
analizza prima le differenze generali di approccio di ogni legislatore nazionale nei confronti<br />
della disciplina comunitaria e poi le divergenze esistenti negli ordinamenti giuridici degli<br />
Stati membri con riferimento alla disciplina di recepimento di alcune direttive comunitarie<br />
(tra cui però non figura quella sul credito al consumo).<br />
( 18 ) Varie ricerche hanno evidenziato come regole contrastanti nei diversi Stati membri<br />
comportino una restrizione del mercato crossborder, mentre regole uniformi costituiscano<br />
una condizione preliminare al mercato comune. Peraltro, è stato ormai accertato che l’incertezza<br />
nel campo giuridico impone agli operatori economici di sopportare dei “costi di informazione”<br />
necessari per conoscere e adeguarsi alle prescrizioni delle rispettive normative nazionali<br />
e, dall’altro lato, rende più incerte e rischiose le relazioni commerciali. In questo senso<br />
v. Wagner, Costs of Legal Uncertainty: Is Harmonization of Law a Good Solution e Smits,<br />
The Practical Importance of Harmonization of Commercial Contract Law (entrambe queste relazioni<br />
sono state presentate al convegno “Modern Law for Global Commerce”, svoltosi a Vienna<br />
nel luglio 2007 in occasione della 40 a sessione annuale dell’Uncitral); cfr. anche Wagner,<br />
Economic Analysis of CrossBorder Legal Uncertainty: The Example of the European Union, in<br />
The Need for a European Contract Law. Empirical and Legal Perspectives, a cura di Smits e Groningen,<br />
p. 25 ss. Tuttavia altri autori hanno minimizzato gli ostacoli che possono derivare allo<br />
sviluppo delle relazioni commerciali dalla diversità delle normative di settore: per un riassunto<br />
di queste posizioni cfr. McKendrick, Harmonisation of European Contract Law: The<br />
State We Are In, in The Harmonisation of European Contract Law. Implications for European Private<br />
Laws, Business and Legal Practise, a cura di Vogenauer e Weatherill, Oxford-Portland,<br />
2006, p. 21 ss.; non ritiene sufficientemente provato l’argomento secondo cui l’armonizzazione<br />
comporterebbe la riduzione dei costi transattivi van den Bergh, Forced Harmonization of<br />
Contract Law in Europe: Not to be Continued, in An Academic Green Paper on European Contract<br />
Law, a cura di Grundmann e Stuyck, The Hague, 2002, p. 249 ss.; sotto altro profile osserva<br />
infine Reich, Competition between Legal Orders: a new Paradigm of EC Law, in Comm.<br />
Market Law Rev., 1992, p. 861, che la diversità di sistemi legali può indurre effetti benefici sulla<br />
concorrenza nel mercato.<br />
( 19 ) Peraltro analoga scelta era già stata adottata per le direttive 2002/65/CEE (sulla commercializzazione<br />
a distanza di servizi finanziari) e 2005/29/CEE (sulle pratiche commerciali<br />
scorrette). In un’ottica di più ampio respiro, connessa all’esigenza di edificare un “diritto comune<br />
europeo”, si v. Alpa e Conte, Riflessioni sul progetto di common frame of reference e sulla<br />
revisione dell’acquis communautaire, in Riv. dir. civ., 2008, II, p. 141 ss. in cui si è lucidamen-
SAGGI 271<br />
ha finito col tradursi, a scapito della facoltà solitamente concessa agli Stati<br />
membri di adottare forme di tutela più avanzate, nell’irrigidimento della<br />
normativa sostanziale di recepimento della direttiva. Ovviamente un simile<br />
obiettivo ha sollevato problemi di politica e tecnica normativa, poiché presuppone<br />
l’elaborazione di norme che possano essere attuate contemporaneamente<br />
in tutti gli Stati membri e, pertanto, l’iter di approvazione della<br />
nuova direttiva è stato lungo e difficoltoso. Già la prima proposta della<br />
Commissione, risalente al 2002 ( 20 ), aveva sollevato numerose perplessità<br />
( 21 ) e si era esposta sia alle critiche dei rappresenti della finanza, in<br />
quanto poneva a carico del professionista degli oneri ritenuti insostenibili<br />
( 22 ), sia alle censure dei rappresentanti dei consumatori, proprio in ragione<br />
dell’adozione del principio della massima armonizzazione e per le insoddisfacenti<br />
soluzioni volte a prevenire il problema del sovraindebitamento.<br />
Nondimeno, l’articolato procedimento di codecisione previsto dall’art.<br />
251 del Trattato ha evidenziato posizioni molto distanti anche tra gli organi<br />
istituzionali chiamati a esaminare la proposta di direttiva ( 23 ). A quest’ulti-<br />
te osservato come la funzione armonizzatrice dell’attività comunitaria non si sia rivelata, sin<br />
qui, particolarmente efficace. Tra le cause di tale insuccesso « va sicuramente menzionato il<br />
principio dell’armonizzazione minima sin qui perlopiù perseguito nell’approccio settoriale. Questa<br />
politica non si è certo rivelata idonea a realizzare le condizioni di un mercato unico dal momento<br />
che non è riuscita ad assicurare uniformità di soluzioni con riferimento a situazioni identiche<br />
o, comunque, analoghe. È anche questa la ragione per cui, più di recente, [ . . .] si è preferito<br />
perseguire l’obiettivo della massima armonizzazione ». Del resto, già in passato il processo di armonizzazione<br />
condotto dalla Comunità era stato colpito da alcune critiche poiché esso rappresenta<br />
una forma di unificazione debole che, di per sé, preserva l’individualità delle norme<br />
armonizzate modificandole soltanto nella misura necessaria al conseguimento di un risultato<br />
sostanzialmente uguale. Tant’è che « mano a mano che nelle materie oggetto di interventi comunitari<br />
di armonizzazione si sperimenteranno difformità di trattamento dei diritti nazionali imputabili<br />
alla mancanza di un contesto normativo omogeneo, e non coerenti con gli obiettivi dell’instaurazione<br />
di un mercato comune concorrenziale e del promovimento dell’eguaglianza e della<br />
giustizia sociale, diventerà più pressante il problema dell’unificazione dei princìpi generali del diritto<br />
delle obbligazioni » (così Mengoni, L’<strong>Europa</strong> dei codici o un codice per l’<strong>Europa</strong>, in Riv.<br />
crit. dir. priv., 1992, p. 520 ss.).<br />
( 20 ) COM(2002) 443 def. dell’11 settembre 2002, pubblicato in G.U.C.E., C-331, 31 dicembre<br />
2002. Cfr. Costa, La riforma della disciplina sul credito ai consumatori, in Contratti,<br />
2005, p. 721 ss.<br />
( 21 ) Per tutti si v. Carriero, Verso una nuova direttiva sul credito ai consumatori, in<br />
www.ambientediritto.it.<br />
( 22 ) Per un commento della proposta di direttiva del 2002 che mette in luce le contestazioni<br />
mosse dal settore bancario si v. Granata, La proposta di direttiva sul credito al consumo:<br />
il punto di vista della banche europee, in Bancaria, IV, 2003, p. 46.<br />
( 23 ) Quest’ultima, dunque, dopo essere stata sottoposta ad alcune critiche nel parere re-
272 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
ma ha fatto quindi seguito una seconda versione, predisposta dalla Commissione<br />
nel 2004 ( 24 ), con cui venivano recepite alcune delle modifiche segnalate,<br />
ma allo stesso tempo venivano confermati molti di quei principi e<br />
di quelle scelte di fondo che il Parlamento europeo aveva messo in discussione.<br />
La svolta definitiva si è avuta a distanza di altri tre anni, nel 2007, con il<br />
raggiungimento di una posizione comune ( 25 ) che ha reso possibile, il successivo<br />
23 aprile 2008, la definitiva approvazione da parte del Consiglio della<br />
direttiva 08/48/CE la quale, a norma dell’art. 27, doveva essere recepita<br />
dagli Stati membri entro il 12 maggio 2010 ( 26 ).<br />
La nuova direttiva si distingue dalla precedente innanzitutto per due<br />
aspetti esteriori: l’estensione, e quindi il maggior dettaglio delle sue disposizioni,<br />
e la sua denominazione ( 27 ). Soprattutto quest’ultima modifica, con<br />
cui si viene a sostituire la precedente dizione di “credito al consumo” con<br />
quella di “credito ai consumatori”, lasciava auspicare uno spostamento dell’attenzione<br />
del legislatore comunitario sui destinatari del credito, e quindi<br />
su coloro a cui si rivolge la disciplina di protezione piuttosto che sulla finalità<br />
oggettive dell’accordo. In altre parole, il mutamento di denominazione<br />
datto dal Comitato Economico e Sociale Europeo (pubblicato in G.U.C.E., C-234, 30 settembre<br />
2003), aveva subito una radicale modifica ad opera del Parlamento europeo (P5_TA(2004)<br />
297 del 20 aprile 2004) che, approvando ben 152 emendamenti in prima lettura, ne aveva riscritto<br />
gran parte del testo.<br />
( 24 ) La Commissione ha elaborato prima un testo non articolato (COM(2004) 747 def. del<br />
28 ottobre 2004) a commento delle modifiche, recepite e non, che il Parlamento aveva avanzato;<br />
successivamente ha pubblicato anche un testo consolidato (COM(2005) 483 def. del 7<br />
ottobre 2005).<br />
( 25 ) Posizione comune raggiunta dal Consiglio il 20 settembre 2007 (9948/2/07 REV 2).<br />
( 26 ) L’art. 33 della l. 7 luglio 2009, n. 88 (legge comunitaria 2008) ha delegato al Governo<br />
l’attuazione della direttiva in esame. Sotto il profilo della successione delle leggi nel tempo, la<br />
direttiva non trova applicazione ai contratti di credito già in essere alla data di entrata in vigore<br />
delle misure nazionali di attuazione (cfr. art. 30; la stessa norma prevede tuttavia che gli<br />
artt. 11, 12, 13, 17, 18, comma 1, seconda frase, e 18, comma 2, siano applicabili anche ai rapporti<br />
di credito a durata indeterminata in essere).<br />
( 27 ) Per i primi commenti sulla direttiva si v. G. De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria<br />
del credito al consumo: la direttiva 2008/48/CE e l’armonizzazione « completa » delle<br />
disposizioni nazionali concernenti « taluni aspetti » dei « contratti di credito ai consumatori », in<br />
Riv. dir. civ., 2008, p. 255 ss.; Pignataro, Il credito al consumo, in La tutela del consumatore a<br />
cura di Stanzione e Musio, in Tratt. dir. priv. a cura di Bessone, vol. XXX,Torino, 2009, p. 242<br />
ss.; Pagliantini, Il contratto di credito al consumo tra vecchi e nuovi formalismi, in Obbl. e contr.,<br />
2009, p. 295; Fachechi, Credito al consumo: funzione economico-sociale e istanze di tutela,<br />
in Rass. dir. civ., 2009, p. 265; Aa.Vv., Il credito al consumo (a cura di P. Rescigno), in Giur. it.,<br />
2010, p. 223 ss.
SAGGI 273<br />
lasciava presupporre l’intenzione di collocare l’individuo, e la sua tutela, al<br />
centro della direttiva ( 28 ). Nella sostanza, tuttavia, tale idea è stata tradita e<br />
confinata solo su un piano formale. Infatti, se è innegabile che il testo presenta<br />
talune innovazioni sul piano della difesa degli interessi economici dei<br />
consumatori, le motivazioni addotte dalla Commissione, la scelta di porre<br />
come fondamento giuridico l’art. 95 del Trattato e il contenuto stesso della<br />
direttiva rivelano all’opposto un interesse incentrato principalmente su logiche<br />
di mercato ( 29 ). La promozione di un elevato livello di tutela dei consumatori,<br />
espressamente richiamata – e imposta – dall’art. 153 del Trattato,<br />
resta quindi sullo sfondo e sembra assumere rilevanza solo come conseguenza<br />
delle esigenze del mercato e non come valore di per sé meritevole di<br />
formare oggetto della direttiva.<br />
Come già anticipato, l’art. 22 ha affermato il principio opposto a quello<br />
dell’armonizzazione minima, imponendo agli Stati membri di non discostarsi<br />
dalle disposizioni fissate nella disciplina comunitaria. La massima armonizzazione,<br />
quale cardine su cui ruota l’intera direttiva, deve tuttavia tener<br />
conto di numerose esenzioni e di diverse opzioni che il legislatore comunitario<br />
ha comunque rimesso alla libera determinazione degli Stati<br />
membri. Alcune disposizioni, infatti, lasciano ampia libertà circa le modalità<br />
di recepimento, mentre altre indicano più possibili soluzioni, lasciando<br />
al legislatore nazionale discrezionalità nella scelta di quale adottare ( 30 ). Ol-<br />
( 28 ) Nello stesso senso depongono sia il Libro verde sull’acquis in materia dei consumatori,<br />
approvato dalla Commissione il 7 febbraio 2007 e assunto come un caposaldo delle politiche<br />
mirate alla tutela dei consumatori, sia l’ambizioso disegno tracciato dalla Commissione<br />
in occasione della definizione della strategia consumeristica per il periodo 2007-2013 (cfr. la<br />
Comunicazione del 13 marzo 2007 – COM(2007)99 def. – dal titolo “Empowering consumers,<br />
enhancing their welfare, effectively protecting them”), che individua il benessere dei consumatori<br />
come il centro vitale di mercati correttamente funzionanti, mira a garantire loro un più elevato<br />
livello di protezione contro i rischi e le insidie del mercato.<br />
( 29 ) È vero che la necessità di realizzare un mercato unico interno coincidente con l’intero<br />
territorio dell’Unione, obiettivo fissato chiaramente dall’art. 3, lett. c) del Trattato istitutivo<br />
CE, si è rivelato un potente stimolo per un’azione sempre più decisa in direzione di una “europeizzazione”<br />
del diritto privato dei vari Stati membri. Tuttavia sembra necessario tener<br />
presente che le finalità economiche dell’intervento comunitario hanno un senso se coordinate<br />
con il raggiungimento di uno standard di vita migliore dei cittadini europei e, quindi, anche<br />
con un più elevato livello di tutela dei consumatori. In altre parole va confuso il mezzo con il<br />
fine: perché il mercato unico non potrà mai rappresentare un valore in sé mentre l’individuo<br />
e la sua tutela sì.<br />
( 30 ) Di tale circostanza sembra ben cosciente la Commissione che infatti ha previsto, all’art.<br />
26, che « lo Stato membro che si avvale di una delle opzioni normative di cui all’articolo 2,<br />
paragrafo 5, all’articolo 2, paragrafo 6, all’articolo 4, paragrafo 1, all’articolo 4, paragrafo 2, let-
274 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
tretutto la c.d. “clausola minima” riaffiora a tratti: ad esempio nell’art. 15,<br />
che disciplina i contratti di credito collegati, gli Stati membri sono stati lasciati<br />
liberi di stabilire « in che misura e a quali condizioni » sia possibile agire<br />
nei confronti del finanziatore qualora il contratto di fornitura risulti inadempiuto;<br />
lo stesso accade nell’art. 21, che ha rimesso al legislatore nazionale<br />
il compito di specificare gli obblighi informativi posti a carico degli “intermediari<br />
del credito”. Inoltre, nella direttiva è a più riprese indicato solamente<br />
un obiettivo, senza dettagliare le modalità attraverso cui esso debba<br />
essere raggiunto: l’art. 8 richiede l’introduzione di una procedura di valutazione<br />
del merito creditizio del consumatore; l’art. 5 impone che al consumatore<br />
siano forniti chiarimenti e proposti quei contratti maggiormente<br />
idonei a rispondere alle sue esigenze; l’art. 20 infine prescrive che i creditori<br />
siano posti sotto il controllo di un organismo o di un’autorità indipendente.<br />
Da ultimo – e non è una peculiarità della sola direttiva in esame – gli<br />
Stati membri sono liberi di individuare e predisporre tutto l’apparato rimediale<br />
e sanzionatorio per l’ipotesi di violazione della normativa protezionistica.<br />
L’art. 23, infatti, pone come unico vincolo che tali sanzioni siano «efficaci,<br />
proporzionate e dissuasive » ( 31 ).<br />
Ad ogni modo va chiarito che il principio dell’armonizzazione massima<br />
trova applicazione solo per le fattispecie rientranti nell’ambito applicativo<br />
della direttiva e che, pertanto, esso non impedisce l’estensione della normativa<br />
comunitaria oltre i suoi stessi confini. Pertanto nulla vieta agli Stati<br />
membri di rendere applicabile la normativa di protezione del consumatore<br />
anche a fattispecie che sarebbero rimaste escluse a norma dell’art. 2, comma<br />
2. Di più: la direttiva non delinea un corpus normativo completo e autosufficiente<br />
( 32 ). Si tratta infatti di una disciplina parziale e volutamente<br />
tera c), all’articolo 6, paragrafo 2, all’articolo 10, paragrafo 1, all’articolo 10, paragrafo 2, lettera<br />
g), all’articolo 14, paragrafo 2, e all’articolo 16, paragrafo 4, ne informa la Commissione, come<br />
pure di ogni successiva modifica. La Commissione rende pubbliche tali informazioni in un sito<br />
web o in altro modo facilmente accessibile. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per trasmettere<br />
tali informazioni ai creditori e ai consumatori nazionali ». Si è quindi cercato di rendere<br />
comunque conoscibili ai consumatori le divergenze che permarranno nelle legislazioni dei<br />
diversi Stati comunitari. Sull’efficacia di tale strumento non possono non nutrirsi diverse perplessità.<br />
( 31 ) L’idea che l’armonizzazione del diritto comunitario, la quale vorrebbe essere completa<br />
ed effettiva, possa arrestarsi al solo diritto sostanziale senza includere anche le azioni e i<br />
rimedi esperibili dal singolo consumatore è evidentemente destinata a rivelarsi fallace.<br />
( 32 ) È proprio l’art. 1 della direttiva, enunciandone l’oggetto, a chiarire che il legislatore<br />
comunitario ha inteso armonizzare solo « taluni aspetti delle disposizioni legislative, regolamentari<br />
e amministrative degli Stati membri in materia di contratti di credito ai consumatori ».
SAGGI 275<br />
non esaustiva delle fattispecie negoziali cui è destinata a trovare applicazione<br />
( 33 ). Agli Stati membri resta dunque affidata la sua completa regolamentazione<br />
per gli aspetti non direttamente affrontati dal legislatore comunitario<br />
( 34 ).<br />
3. – Il recente d.lgs. 13 agosto 2010 n. 141 ( 35 ) ha, inter alia, attuato nel nostro<br />
ordinamento la direttiva 08/48/CE, modificando l’intero titolo VI del<br />
TUB e abrogando gli artt. 40, 41 e 42 c.cons.<br />
Attraverso tale riforma si è innanzitutto ampliato l’ambito di applicazione<br />
della disciplina sul credito ai consumatori. E non tanto sotto l’aspetto<br />
soggettivo – visto che sia la definizione di finanziatore sia quella di consumatore,<br />
entrambe contenute nell’art. 121 TUB, lett. b) ed f ) ( 36 ), ripro-<br />
( 33 ) In questi termini G. De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria del credito al<br />
consumo: la direttiva 2008/48/CE e l’armonizzazione “completa” delle disposizioni nazionali<br />
concernenti “taluni aspetti” dei “contratti di credito ai consumatori”, cit., p. 267.<br />
( 34 ) Come chiaramente enunciato dal considerando n. 9, una “piena” armonizzazione dovrebbe<br />
essere applicata soltanto nelle materie armonizzate e laddove invece tali disposizioni<br />
armonizzate mancassero, gli Stati membri restano liberi di mantenere o introdurre norme<br />
nazionali<br />
( 35 ) Successivamente modificato dal d.lgs. 14 dicembre 2010 n. 218.<br />
( 36 ) Per il primo deve intendersi il « soggetto che, essendo abilitato a erogare finanziamenti<br />
a titolo professionale nel territorio della Repubblica, offre o stipula contratti di credito »; il secondo<br />
è invece definito, con previsione analoga a quella contenuta all’art. 3, comma 1, lett. a) del<br />
c. cons., come la « persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale,<br />
artigianale o professionale eventualmente svolta». Sotto il profilo soggettivo, dunque,<br />
il contratto di credito al consumo deve necessariamente avere come parti un professionista<br />
(creditore) e un consumatore; non rientrano quindi nella sua disciplina i contratti conclusi tra<br />
professionisti (cd. B2B) né quelli tra privati. Va peraltro ricordato che, a norma dell’art. 3,<br />
comma 1, lett. b) della direttiva, la definizione di finanziatore potrebbe ricomprendere sia una<br />
persona fisica sia una persona giuridica. Tuttavia, come precisato dal considerando n. 15, gli<br />
Stati membri hanno la facoltà di consentire la fornitura di credito ai consumatori esclusivamente<br />
alle persone giuridiche o a talune persone giuridiche, nonché il dovere di provvedere<br />
affinché tali soggetti siano controllati da un organismo o da un’autorità indipendente (cfr. art.<br />
20). Il TUB pertanto conserva una riserva di attività che assume una doppia valenza: negativa,<br />
perché pone un’esclusiva per le operazioni di credito al consumo a favore di soggetti dotati<br />
di determinate caratteristiche e garanzie; positiva, in quanto sottopone tali soggetti a controlli<br />
e vincoli che rendono più sicura la loro stabilità e i loro comportamenti. Problemi potrebbe<br />
semmai sollevare la decisione di estromettere di fatto dal settore del credito al consumo<br />
soggetti precedentemente autorizzati, quali i venditori di beni e servizi che, ai sensi dell’art.<br />
122, 5° comma, TUB possono – come in precedenza – concludere contratti di credito<br />
nella sola forma della dilazione del prezzo – ma ora – « con esclusione del pagamento degli interessi<br />
e di altri oneri ». Secondo Carriero, gli effetti economici di tale disposizione sono manifestamente<br />
nel senso di escludere dal settore del credito al consumo queste fasce di sog-
276 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
ducono in modo pressoché invariato quelle già elaborate dalla direttiva del<br />
1986 ( 37 )– quanto sotto quello oggettivo, attraverso una riduzione delle fattispecie<br />
escluse. Del resto la definizione di contratto di credito ( 38 ) è stata, da<br />
un lato, concepita in termini volutamente generici per ricomprendere al<br />
suo interno tutti i modelli negoziali adoperati dalla prassi – e ciò soprattutto<br />
grazie all’inciso che rinvia a qualsiasi « altra facilitazione finanziaria » – dall’altro,<br />
proprio tale indeterminata estensione del suo ambito d’applicazione,<br />
ha reso necessario individuare una serie di fattispecie negoziali sottratte<br />
alla normativa di protezione. Secondo le prescrizioni dell’art. 122 TUB restano<br />
quindi esclusi: a) quanto al valore, i contratti di importo inferiore a €<br />
200 o superiore a € 75.000 ( 39 ); b) quanto alle modalità e ai tempi di pagamento,<br />
i contratti senza applicazione di interessi o di altri oneri, quelli in<br />
forza dei quali il credito deve essere rimborsato entro tre mesi e che com-<br />
getti. E ciò, sotto il versante della concorrenza tra gli ordinamenti, può rappresentare una discriminazione<br />
reverse a danno degli operatori domestici, visto che tale preclusione non è prevista<br />
dalla direttiva (la quale ha, per converso, l’obiettivo della realizzazione di un mercato<br />
unico del credito) e che non constano omologhe restrizioni in altri paesi europei.<br />
( 37 ) Probabilmente resta quindi ancora attuale la giurisprudenza della Corte di giustizia<br />
secondo cui la direttiva (87/102/CEE) «deve essere interpretata nel senso che non rientra nel suo<br />
ambito di applicazione un contratto di fideiussione concluso a garanzia del rimborso di un credito<br />
quando né il fideiussore né il beneficiario del credito hanno agito nell’ambito della loro attività<br />
professionale » (cfr. Corte CE, 23 marzo 2000, C-208/98). Pertanto, il fideiussore di un finanziamento<br />
erogato nei confronti di un consumatore non può fare affidamento sulle norme di<br />
tutela, informativa e sostanziale, specificamente dettate in materia di credito al consumo. Anche<br />
sul piano soggettivo un’estensione può tuttavia ravvisarsi in quelle norme dedicate specificamente<br />
alla figura dell’intermediario del credito, con cui si indicano « gli agenti in attività finanziaria,<br />
i mediatori creditizi o qualsiasi altro soggetto, diverso dal finanziatore, che nell’esercizio<br />
della propria attività commerciale o professionale svolge, a fronte di un compenso in denaro o<br />
di altro vantaggio economico [ . . .] almeno una delle seguenti attività: 1) presentazione o proposta<br />
di contratti di credito ovvero altre attività preparatorie in vista della conclusione di tali contratti;<br />
2) conclusione di contratti di credito per conto del finanziatore ». Va altresì segnalato che, nel settore<br />
del credito, è allo studio un’apposita direttiva per regolamentare compiutamente tale figura:<br />
si v. il Libro Verde della Commissione sui servizi finanziari al dettaglio nel mercato unico<br />
(COM (2007)226 def.) che ha promesso l’avvio di uno studio sugli intermediari del credito<br />
al fine di analizzare il mercato dell’intermediazione creditizia nell’UE, di esaminare il quadro<br />
in cui operano gli intermediari e di valutare un eventuale pregiudizio per i consumatori. Sulla<br />
base di tale studio, la Commissione stabilirà quindi se sia necessario proporre un quadro<br />
giuridico europeo adeguato.<br />
( 38 ) Ai sensi dell’art. 121, lett. c), TUB per “contratto di credito” deve intendersi « il contratto<br />
con cui un finanziatore concede o si impegna a concedere a un consumatore un credito sotto<br />
forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra facilitazione finanziaria ».<br />
( 39 ) Tali limiti erano precedentemente fissati in € 154,93 e € 30.987,41.
SAGGI 277<br />
portano solo spese di entità trascurabile, il credito sotto forma di scoperto<br />
da rimborsarsi entro un mese nonché i contratti con cui viene dilazionato,<br />
senza spese, il pagamento di un debito esistente; c) quanto al bene oggetto<br />
di consumo, i contratti finalizzati all’acquisto o alla conservazione di diritti<br />
di proprietà su un terreno o su di un immobile costruito o anche solo progettato<br />
( 40 ); d) quanto alle garanzie richieste, i contratti garantiti da ipoteca<br />
di durata superiore a cinque anni e quelli per i quali la responsabilità del<br />
consumatore è limitata al bene dato in pegno; e) quanto a determinate tipologie<br />
negoziali, i contratti di locazione o di leasing che non prevedono l’obbligo<br />
d’acquisto del bene, i contratti di somministrazione continuata di un<br />
servizio o di merci dello stesso tipo in virtù del quale il consumatore è tenuto<br />
a versare il corrispettivo mediante pagamenti rateali, i contratti di appalto<br />
di cui all’articolo 1677 c.c.; f) quanto alle modalità di conclusione dell’accordo,<br />
i contratti perfezionati dinanzi a un giudice o a un’altra autorità prevista<br />
dalla legge.<br />
3.1. – Solitamente la tutela del consumatore si sviluppa seguendo due<br />
fondamentali direttrici: l’imposizione di obblighi informativi finalizzati a<br />
riequilibrare l’asimmetria informativa che connota la contrattazione di<br />
massa ( 41 ) ovvero l’introduzione di norme di protezione sostanziale, le quali<br />
predispongono – a scapito della libera autonomia delle parti – un regolamento<br />
di interessi nel quale il consumatore gode di una serie di facoltà e di<br />
diritti mentre al creditore viene limitata la possibilità di fare ricorso ad alcuni<br />
tipi di clausole e di eccezioni ( 42 ).<br />
( 40 ) Contrariamente al passato restano quindi inclusi i contratti di credito conclusi con finalità<br />
di ristrutturazione o valorizzazione di un edificio esistente.<br />
( 41 ) Amplius, in tema di obblighi informativi in ambito consumeristico, v. Di Donna, Obblighi<br />
informativi precontrattuali. 1. La tutela del consumatore, 2008, Milano, p. 172.<br />
( 42 ) Ovviamente questo secondo tipo di intervento, per la più penetrante e sostanziale intromissione<br />
nell’autonomia negoziale delle parti, garantisce un tipo di tutela più efficace rispetto<br />
all’imposizione di meri obblighi informativi che invece arrestano i loro effetti alla libera<br />
formazione del consenso e all’autoresponsabilizzazione del consumatore. Va evidenziato che<br />
l’innalzamento della qualità del contratto per l’utente, che si ottiene con l’introduzione di norme<br />
di equilibrio eteronomo del rapporto, sconta tuttavia l’inevitabile innalzamento del costo<br />
del credito a causa della conseguente diversa allocazione del rischio, così Carriero, Autonomia<br />
privata e disciplina del mercato. Il credito al consumo, cit., p. 87 ss. Nell’accogliere con favore<br />
(v. Alpa e Bessone, Disciplina giuridica delle carte di credito e problemi di controllo del credito<br />
al consumo, cit., p. 114; contra La Rocca, Credito al consumo e sistemi di finanziamenti, in Pol.<br />
dir., 1980 p. 429) siffatte prescrizioni non si deve dunque dimenticare di considerare accuratamente<br />
il rapporto costo/beneficio dovuto alla loro introduzione (cfr. Carriero, Autonomia
278 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Sul punto si scontrano due linee di pensiero. Parte della dottrina, infatti,<br />
ritiene che, mentre la prescrizione di obblighi informativi andrebbe accolta<br />
e incentivata poiché non crea alcun interferenza con il principio dell’autonomia<br />
negoziale, la previsione di regole sostanziali troverebbe giustificazione<br />
in via d’eccezione nei soli casi in cui le regole di informazione non<br />
fossero sufficienti ad ovviare al fallimento del mercato. Tale orientamento,<br />
che si richiama alle teorie economiche neoclassiche, privilegia l’autodeterminazione<br />
delle parti e assume una difesa pressoché incondizionata del<br />
principio dell’autonomia privata rispetto all’interferenza del legislatore. Vi<br />
è tuttavia chi, basandosi sulle recenti teorie della “behavioural economics”,<br />
ha dimostrato quanto sia fallace l’assunto della perfetta razionalità dell’operatore<br />
e ha cercato, al contrario, di tenere conto dell’influenza delle tecniche<br />
di marketing, nonché dei limiti intrinseci dell’essere umano e della<br />
sua psiche ( 43 ). Tali studi, infatti, hanno dimostrato che il consumatore, anche<br />
in presenza di una completa informazione precontrattuale, inevitabilmente<br />
compie delle scelte errate. Pertanto, in ragione dei benefici ottenibili<br />
in termini di efficienza del mercato, tale corrente di pensiero ha giustificato<br />
e sollecitato un intervento legislativo più incisivo, finalizzato a riequilibrare<br />
non solo il momento informativo e decisionale, ma anche l’assetto sostanziale<br />
dei rapporti negoziali ( 44 ).<br />
privata e disciplina del mercato. Il credito al consumo, cit., p. 89). È questo, d’altronde, il naturale<br />
effetto delle “norme di protezione sostanziale”, che alcuni definiscono anche “paternalistiche”<br />
(v. Kronman, Paternalism and the law of contract, in Yale Law Journal, 1983, 92, p. 763<br />
ss.) e avversano in quanto foriere di costi ed effetti distributivi nonché in contrasto con il dogma<br />
dell’insindacabile e necessaria libertà di ciascun individuo, così Cosentino, Il paternalismo<br />
del legislatore nelle norme di limitazione dell’autonomia dei privati, in Quadr., 1993, p. 121.<br />
( 43 ) Cfr. Costabile e Ricotta, Strategie di marketing del consumatore. Proposizioni di ricerca<br />
sul fabbisogno di consumer protection, in Micro & Macro Marketing, 2003, p. 401 ss.; Pardolesi,<br />
Per una nuova sintesi: verso un mercato consumer oriented, in Dir. cons., 1997, p. 64 ss.<br />
( 44 ) Il raffronto tra le due correnti di pensiero emerge in modo chiaro in un recente scritto<br />
di Epstein & Bar-Gill, Consumer contracts: behavioral economics vs. neoclassical economics,<br />
in New York University Law and Economics Working Papers, New York, 2007, Paper 91; in<br />
particolare è stato dimostrato che l’introduzione di un regime di responsabilità solidale tra<br />
fornitore e finanziatore aiuta a correggere il cd. market failure, assicura un miglioramento del<br />
benessere complessivo dei consumatori e una maggiore correttezza da parte degli operatori<br />
professionali (cfr. Palumbo e Iossa, Overoptimism and Lender Liability in the Consumer Credit<br />
Market, in Temi di discussione del Servizio Studi di Banca d’<strong>Italia</strong>, 2006, n. 598, p. 30 ss.). Sembrano<br />
quindi sussistere validi argomenti di analisi economica del diritto per contraddire l’affermazione<br />
secondo cui l’inopponibilità delle eccezioni rappresenterebbe un costo aggiuntivo<br />
per il consumatore. Mentre infatti l’imprenditore ha sia gli strumenti per determinare con<br />
precisione i costi dell’operazione sia un volume d’affari in grado di ammortizzare il rischio
SAGGI 279<br />
La disciplina in materia di credito al consumo combina questi due livelli<br />
d’intervento attraverso norme finalizzate a garantire l’informazione e la<br />
trasparenza negoziale e norme che delineano una disciplina sostanziale del<br />
rapporto che limita l’autonomia contrattuale dei privati.<br />
3.2. – Quanto al primo gruppo di norme, si osserva che gli obblighi informativi<br />
pubblicitari e precontrattuali sono stati significativamente – e forse<br />
eccessivamente – ampliati dalla riforma ( 45 ). In linea generale è interessante<br />
notare come le prescrizioni introdotte o ribadite dalla direttiva 08/48/CE<br />
siano poste a carico non solo del creditore-professionista, ma anche dell’intermediario<br />
del credito. Bisogna altresì evidenziare che, seppur in modo<br />
molto generico, alcuni obblighi di disclosure sembrano sussistere anche in<br />
capo al consumatore al fine di consentire al creditore una completa e specifica<br />
analisi delle sue capacità di rimborso.<br />
Le disposizioni del TUB sono inoltre state integrate da norme di rango<br />
sub-primario, visto che nuovamente il testo unico bancario ha affidato alle<br />
Autorità creditizie, assieme al controllo sulla “sana e prudente gestione”,<br />
anche la vigilanza sulla “trasparenza delle condizioni contrattuali” alla<br />
clientela ( 46 ).<br />
della singola operazione, il consumatore difficilmente è in grado di valutarne l’impatto soprattutto<br />
perché coinvolto solo episodicamente in transazioni di questo tipo. I consumatori,<br />
solitamente, preferiscono un contratto inefficiente, con un prezzo dichiarato più basso<br />
ma con una ampia serie di costi impliciti, rispetto ad un contratto che ipoteticamente realizzi<br />
l’efficiente allocazione del rischio; così Pardolesi e Pacces, Clausole vessatorie e analisi<br />
economica del diritto: note in margine alle ragioni (e alle incongruenze) della nuova disciplina,<br />
in Diritto Privato, 1996, Padova, p. 412. Inoltre la distribuzione del costo sulla base di un<br />
meccanismo del tipo assicurativo consente di ottenere una maggiore sopportabilità delle<br />
sofferenze, una maggior trasparenza dell’operazione ed è di incentivo al corretto svolgimento<br />
del rapporto contrattuale, cfr. Alpa e Bessone, Disciplina giuridica delle carte di credito<br />
e problemi di controllo del credito al consumo, cit., p. 110 e ss.; Piepoli, Il credito al consumo,<br />
cit., p. 156).<br />
( 45 ) Cfr. Carriero, Nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: linee d’indirizzo,<br />
questioni irrisolte, problemi applicativi, in Riv. dir. civ., 2009, p. 516 ss.; G. De Cristofaro, La<br />
nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: la direttiva 2008/48/CE e l’armonizzazione<br />
« completa » delle disposizioni nazionali concernenti « taluni aspetti » dei « contratti di credito ai<br />
consumatori », cit., p. 255 ss; Pignataro, Il credito al consumo, cit., p. 242 ss.<br />
( 46 ) Si veda il provvedimento del Governatore del 29 luglio 2009 – da ultimo aggiornato in<br />
data 9 febbraio 2011 – sulla “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari.<br />
Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti” e, in particolare, la sezione VII dedicata<br />
al credito ai consumatori. L’attribuzione di simili funzioni alla Banca d’<strong>Italia</strong> non costituisce ormai<br />
una novità, ma ha rappresentato un’innovazione di non poco conto poiché nella prospet-
280 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Certamente mantiene una posizione centrale in tutta la disciplina<br />
informativa l’indicazione del TAEG, definito dall’art. 121 TUB come «il<br />
costo totale del credito per il consumatore espresso in percentuale annua del-<br />
tiva consumeristica non emerge, quanto meno in modo diretto e immediato, l’interesse pubblico<br />
sotteso alla stabilità del sistema finanziario nel suo complesso, bensì l’interesse privato<br />
di colui che beneficia dei servizi offerti dagli istituti finanziari, così Ferrara, Note in tema di<br />
vigilanza della Banca d’<strong>Italia</strong> e tutela del consumatore, in Foro amm. CDS, 2003, VII-VIII, p.<br />
2458 ss. Sta di fatto che le disposizioni di rango sub-primario assumono natura vincolante e<br />
sono espressione dei fenomeni della delegificazione e della pluralità delle fonti di produzione<br />
del diritto privato (più in generale, v. Rodotà, in Codici, Milano, 2002). Il modello si inserisce<br />
nel fenomeno dell’amministrativizzazione del diritto positivo, caratterizzato dalla frequente<br />
attribuzione di poteri alla p.a.; sul punto cfr. Gaggero, Commento all’art. 123, in Disciplina<br />
delle banche e degli intermediari finanziari, a cura di Capriglione, Padova, 1995, p. 570;<br />
Nigro, La nuova normativa sulla trasparenza bancaria, in Dir. banca e merc. fin.,I, 1993, p. 575.<br />
L’amministrativizzazione del TUB è avvenuto sia in termini di delegificazione sia in termini<br />
d’attribuzione all’autorità di vigilanza di poteri fortemente discrezionali sia, infine, in termini<br />
di ampliamento dell’ambito dell’intervento amministrativo. Sicché, secondo alcuni autori,<br />
l’ingerenza di organi di natura amministrativa su princìpi fondanti del diritto privato, qual è<br />
l’autonomia negoziale, verrebbe addirittura a porsi in contrasto con la Costituzione. A tali<br />
considerazioni si richiama quella dottrina che ha considerato i regolamenti della Banca d’<strong>Italia</strong><br />
illegittimi per violazione del generale principio di legalità e delle singole riserve di legge<br />
contenute nella Costituzione: v. Guarino, L’armonizzazione della legislazione bancaria: la revisione<br />
dell’ordinamento bancario del 1936, in Riv. banc., 1995, III, p. 20 ss.; Manetti, voce Autorità<br />
indipendenti, in Enc. giur., vol. IV, Roma, 1997, p. 8; contra quella dottrina che considera<br />
ineludibile l’implementazione e la specificazione del principio di trasparenza da parte della<br />
Banca d’<strong>Italia</strong>: v. Dolmetta, Normativa di trasparenza e ruolo della Banca d’<strong>Italia</strong>, in Quaderni<br />
giuridici della Banca d’<strong>Italia</strong>, 1997, p. 19; Nigro, La nuova normativa sulla trasparenza bancaria,<br />
cit., p. 578. Con riferimento ai settori del credito e della finanza, è stato sottolineato che<br />
la relativa regolazione deve ispirarsi all’esigenza di “calcolabilità” e “ordine” (in tal senso, Capriglione,<br />
voce Borsa (mercati di), in Enc. dir., Agg., vol. V, Milano, 2001, p. 182); ma allo<br />
stesso modo si è sottolineata la necessità di “sburocratizzare” la regolazione delle attività economiche<br />
ed in tal senso si plaude all’attività degli organismi tecnici dotati autonomia ed indipendenza.<br />
Al particolare valore di questi atti normativi fa da contraltare la mancanza di legittimazione<br />
democratica della Banca d’<strong>Italia</strong> così come qualsiasi forma di responsabilità politica<br />
della stessa; con riferimento ai regolamenti della Banca d’<strong>Italia</strong> nel settore creditizio v. Cerulli<br />
Irelli, La vigilanza « regolamentare », in La nuova disciplina dell’<strong>impresa</strong> bancaria, a cura<br />
di Morera e Nuzzo, Milano, 1996, I, p. 48 il quale tuttavia rileva come la Banca d’<strong>Italia</strong> sia<br />
considerata dalla legge come autorità di vigilanza in un governo di settore che fa capo all’autorità<br />
politica. Anche Alpa, Note minime sulla trasparenza dei contratti bancari e finanziari,<br />
cit., p. 1787, ha in passato espresso dubbi sull’opportunità del rinvio al CICR di tali importanti<br />
determinazioni; il parere dell’Autore è che così facendo non si sia data considerazione agli<br />
organismi contrapposti alle banche, quali le associazioni dei consumatori, con ciò trasgredendo<br />
i princìpi espressi nella risoluzione comunitaria del 1975 dove si stabilisce il diritto dei<br />
clienti, anche in forma associata, ad essere ascoltati e rappresentati.
SAGGI 281<br />
l’importo totale del credito ». In tale indice devono essere computati gli interessi<br />
e tutti i costi, inclusi gli eventuali compensi di intermediari del credito,<br />
le commissioni, le imposte e le altre spese che il consumatore deve<br />
pagare in relazione al contratto di credito, ivi inclusi i costi di cui il finanziatore<br />
è a conoscenza relativi a servizi accessori connessi con il contratto<br />
di credito e obbligatori per ottenere il credito alle condizioni offerte. Esso<br />
quindi rappresenta, sotto forma di tasso d’interesse percentuale, una<br />
sintesi affidabile del costo complessivo che il consumatore è chiamato a<br />
sostenere per poter accedere al finanziamento in cui sono inclusi, oltre all’interesse<br />
nominale, anche gran parte degli ulteriori oneri previsti dal<br />
contratto ( 47 ).<br />
Quanto alla fase promozionale e pubblicitaria, pur trovando generica<br />
applicazione la normativa sulle pratiche commerciali scorrette di cui al codice<br />
del consumo, un regime “speciale” e più elevato di informazioni è previsto<br />
per quelle comunicazioni ( 48 ) che recano l’indicazione del tasso d’interesse<br />
o qualsiasi altro dato idoneo a rappresentare il costo del credito a carico<br />
del consumatore. Ai sensi dell’art. 123 TUB, infatti, quest’ultime, per<br />
rendere più trasparenti i termini economici dell’affare, dovranno ora contenere<br />
le seguenti “informazioni di base”: a) il tasso d’interesse (specificando<br />
se fisso o variabile) e le spese comprese nel costo totale del credito; b) l’importo<br />
totale del credito; c) il TAEG; d) l’esistenza di eventuali servizi accessori,<br />
necessari per ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni pubblicizzate,<br />
ove i costi relativi non siano inclusi nel TAEG in quanto non determinabili<br />
in anticipo; e) la durata contrattuale, se determinata; f) se determinabile,<br />
l’importo totale dovuto dal consumatore, nonché l’ammontare delle<br />
singole rate. Tali informazioni dovranno essere espresse in forma chiara,<br />
concisa e graficamente evidenziata, nonché attraverso l’impiego di un<br />
esempio rappresentativo ( 49 ); la Banca d’<strong>Italia</strong> ha altresì specificato che nel<br />
( 47 ) Restano escluse solo le eventuali penali per la mancata esecuzione di uno qualsiasi<br />
degli obblighi stabiliti dal contratto di credito, compresi gli interessi di mora, nonché le spese,<br />
diverse dal prezzo d’acquisto, che competono al consumatore all’atto dell’acquisto, indipendentemente<br />
dal fatto che si tratti di acquisto di merci o servizi, tramite pagamento in contanti<br />
o a credito.<br />
( 48 ) La Banca d’<strong>Italia</strong> ha chiarito che nella nozione di annuncio pubblicitario tutti i messaggi,<br />
in qualsiasi forma diffusi, aventi natura promozionale, e ogni altra documentazione<br />
non personalizzata avente la funzione di rendere note le condizioni dell’offerta alla potenziale<br />
clientela.<br />
( 49 ) Tale prescrizione relativa alle modalità di comunicazione dei dati economici risulta<br />
complementare alla precedente perché impone di valutare in modo “sostanziale” l’effettivo
282 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
testo o nella presentazione degli annunci pubblicitari nessuna voce possa<br />
avere maggiore evidenza del TAEG ( 50 ).<br />
Il fatto che tali prescrizioni riguardino solamente i messaggi pubblicitari<br />
in cui sono enunciati gli elementi economici del finanziamento lascia intuire<br />
che, nel momento meramente promozionale, l’interesse del legislatore<br />
non è quello di garantire una informazione completa, ma semmai di evitare<br />
che il messaggio pubblicitario stesso possa risultare fuorviante. Il diritto<br />
all’informazione in questa fase non può infatti essere inteso già come obbligo<br />
di offrire una completa conoscenza delle caratteristiche e dei rischi<br />
connessi al servizio o al prodotto, ma serve piuttosto a garantire che la scel-<br />
assolvimento dell’obbligo informativo. Non basta una visione meramente formale del problema.<br />
Se si attribuisce importanza al fatto che il consumatore ottenga determinate informazioni,<br />
occorre avere riguardo anche all’efficacia di tale messaggio e alle modalità con cui esso viene<br />
trasmesso. Ecco allora che i tre requisiti in esame, attraverso l’impiego di clausole generali ed<br />
elastiche, introducono dei canoni che devono essere finalizzati ad evitare che tale adempimento<br />
venga come oggi assolto in modo meramente formale. L’efficacia della disciplina di<br />
protezione, soprattutto di quella relativa agli obblighi informativi, va verificata in concreto per<br />
la sua capacità di svolgere le funzioni assegnategli. Lo stesso TAEG, ad esempio, è probabile<br />
che resti una formula dal significato sconosciuto ai più. È allora doveroso sottolineare che la<br />
debolezza del consumatore risiede anche nella scarsa conoscenza delle norme giuridiche poste<br />
a sua tutela e che accanto all’informazione gioca un ruolo altrettanto fondamentale l’istruzione,<br />
che deve divenire un’esigenza primaria dell’ordinamento per permettere il pieno funzionamento<br />
della disciplina a tutela dei consumatori; cfr. Rossi Carleo, Commento all’art. 4,<br />
in Commentario al Codice del consumo, a cura di Alpa e Rossi Carleo, cit., p. 125.<br />
( 50 ) Nel caso di utilizzo di particolari tecniche di comunicazione pubblicitaria via internet<br />
quali i c.d. banner o popup (messaggi promozionali che appaiono automaticamente allorché<br />
l’utente si collega a una determinata pagina web) ovvero le sezioni sponsorizzate dei<br />
motori di ricerca (che, a seguito di un’interrogazione su un motore di ricerca, appaiono di<br />
norma in alto e/o lateralmente sulla pagina con i risultati) è stato chiesto alla Banca d’<strong>Italia</strong><br />
se l’obbligo di specificare negli annunci pubblicitari la natura di messaggio con finalità promozionale,<br />
il rinvio ai fogli informativi per le condizioni contrattuali e l’indicazione del<br />
TAEG possa essere soddisfatto attraverso il collegamento diretto (link) ad altra pagina web<br />
ove è formulato il messaggio pubblicitario vero e proprio con la descrizione delle caratteristiche<br />
del prodotto (c.d. “pagina d’atterraggio”). In considerazione del carattere estremamente<br />
sintetico di tale forme pubblicitarie la Banca d’<strong>Italia</strong> si è espressa nel senso che «le<br />
informazioni e le avvertenze richieste possano essere inserite nella “pagina di atterraggio”. Va<br />
da sé che – anche alla luce di quanto previsto dall’art. 123, comma 2 del TUB – questa soluzione<br />
implica l’assenza, nelle comunicazioni pubblicitarie sintetiche, di qualsiasi indicazione sulle<br />
condizioni economiche offerte. Con riferimento alla “pagina di atterraggio”, si richiama ad<br />
un rispetto scrupoloso e sostanziale delle previsioni in tema redazione dei documenti (Sezione<br />
I, par. 1.4) e alla conseguente necessità che le informazioni richieste dalla Sezione II, par. 5 siano<br />
riportate nella prima pagina di atterraggio con un linguaggio e una grafica chiara, evitando<br />
ulteriori rinvii ad altre pagine web ».
SAGGI 283<br />
ta di consumo non venga disorientata da informazioni ingannevoli, anche<br />
al fine di garantire il leale svolgimento della concorrenza fra imprese.<br />
Quanto agli annunci pubblicitari che non riportano il tasso d’interesse o<br />
altre cifre concernenti il costo del credito, oltre alla normativa sulle pratiche<br />
commerciali scorrette, trova applicazione la sezione II, paragrafo 5 delle<br />
istruzioni della Banca d’<strong>Italia</strong> sul credito al consumo. Essi dovranno quindi<br />
indicare la propria natura di messaggio pubblicitario con finalità promozionale<br />
e fare espresso rinvio, per le condizioni contrattuali, al documento denominato<br />
“Informazioni europee di base sul credito ai consumatori”, specificando<br />
le modalità con cui quest’ultimo è messo a disposizione dei clienti.<br />
Gli obblighi propriamente precontrattuali riguardano invece quelle<br />
informazioni che devono essere fornite nel momento che precede la conclusione<br />
del contratto di credito. Più precisamente l’art. 124 TUB prescrive<br />
che il creditore (o l’intermediario del credito) consegnino al consumatore<br />
tali informazioni tramite «supporto cartaceo o su altro supporto durevole<br />
» ( 51 )e«in tempo utile », ossia prima che egli risulti vincolato dal contratto<br />
o da un’offerta ( 52 ). L’esplicita finalità di tale disposizione è quella di consentire<br />
al consumatore il confronto delle diverse offerte di credito sul mercato,<br />
al fine di prendere una decisione informata e consapevole.<br />
Le informazioni sono più numerose rispetto al passato e sono espresse<br />
in diciannove punti ( 53 ), di cui buona parte è rappresentata da diritti aventi<br />
( 51 ) La definizione di “supporto durevole” è contenuta alla lett. l) dell’art. 121 TUB e riproduce<br />
la formula già adottata dalla direttiva 2002/65/CE sulla commercializzazione dei servizi<br />
finanziari a distanza, oggi contenuta all’art. 67 ter, lett. f ), del Codice del consumo (e ripresa<br />
anche dall’art. 4, comma 2, del d.lgs. 21 maggio 2004, n. 170 attuativo della direttiva<br />
2002/47/CE sui contratti di garanzia finanziaria). Per “supporto durevole” deve quindi intendersi<br />
« ogni strumento che permetta al consumatore di conservare le informazioni che gli sono personalmente<br />
indirizzate in modo da potervi accedere in futuro per un periodo di tempo adeguato alle<br />
finalità cui esse sono destinate e che permetta la riproduzione identica delle informazioni memorizzate<br />
». Come chiarito dal considerando n. 20 della direttiva 2002/65/CE i “supporti durevoli”<br />
comprendono in particolare i dischetti informatici, i CD-ROM, i DVD e « il disco fisso<br />
del computer del consumatore che tiene in memoria messaggi di posta elettronica, ma non comprendono<br />
i siti Internet tranne quelli che soddisfino i criteri di cui alla definizione di supporto durevole<br />
».<br />
( 52 ) Giova precisare che anche la prova dell’avvenuta consegna delle informazioni precontrattuali<br />
dovrà essere fornita dal finanziatore per iscritto o tramite altro supporto durevole.<br />
( 53 ) Come specificato dalle Istruzioni della Banca d’<strong>Italia</strong> essi riguardano: a) il tipo di contratto<br />
di credito; b) la denominazione del finanziatore e l’indirizzo della sua sede amministrativa<br />
o della succursale con sede in <strong>Italia</strong>; nel caso di offerta attraverso intermediari del<br />
credito, vanno indicati anche il nome e il cognome o la denominazione e l’indirizzo del sog-
284 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
fonte legale. Per agevolare gli operatori e assicurare che la comunicazione<br />
di tali informazioni avvenga in modo corretto, nonché per consentire ai<br />
consumatori di decifrare e confrontare i dati delle diverse offerte, la direttiva<br />
del 2008 ha ideato una presunzione di conformità se la comunicazione è<br />
getto che entra in rapporto con il consumatore; c) l’importo totale del credito e le condizioni<br />
di utilizzo; d) la durata del contratto di credito; e) nel caso di contratti di credito collegati, l’indicazione<br />
del bene o del servizio oggetto del contratto e il relativo prezzo in contanti; f) il tasso<br />
di interesse, le condizioni che ne disciplinano l’applicazione e, se disponibile, ogni indice<br />
o tasso di riferimento applicabile al tasso iniziale, nonché le condizioni temporali e le modalità<br />
per l’eventuale modifica del tasso di interesse, ove consentita ai sensi dell’articolo 118 del<br />
TUB; qualora il contratto preveda l’applicazione di tassi di interesse diversi al variare di determinate<br />
circostanze, le informazioni previste dalla presente lettera vanno fornite con riferimento<br />
a ciascuno dei tassi applicabili; g) il TAEG e l’importo totale dovuto dal consumatore,<br />
illustrati mediante un esempio rappresentativo che deve indicare le ipotesi sulle quali si basa<br />
il calcolo di tale tasso; se il contratto prevede diverse modalità di utilizzo dei fondi, a ciascuna<br />
delle quali si applicano spese o tassi diversi, viene riportata una chiara avvertenza circa la circostanza<br />
che l’impiego da parte del consumatore di modalità di utilizzo diverse da quella presa<br />
in considerazione per il calcolo del TAEG può comportare l’applicazione di un tasso più<br />
elevato; h) l’importo, il numero e la periodicità delle rate e, ove previsto dal contratto, l’ordine<br />
con cui vengono imputati i pagamenti finalizzati al rimborso di saldi negativi ai quali sono<br />
applicati diversi tassi debitori; i) tutte le spese derivanti dal contratto di credito, ivi incluse: 1)<br />
le spese di gestione di un conto, quando per la stipulazione del contratto è obbligatoria l’apertura<br />
di un conto sul quale regolare i rimborsi e i prelievi effettuati dal consumatore; 2) le<br />
spese connesse all’utilizzazione dei mezzi di pagamento che consentono di effettuare rimborsi<br />
e prelievi; sono altresì indicate le condizioni in presenza delle quali è possibile una modifica<br />
delle spese, nel rispetto delle disposizioni di legge sulla modifica unilaterale delle condizioni<br />
contrattuali; j) se necessarie, l’esistenza di spese notarili a carico del consumatore in<br />
relazione alla stipula del contratto di credito; k) l’indicazione degli eventuali servizi accessori<br />
connessi con il contratto di credito (ad esempio, polizza assicurativa) obbligatori per ottenere<br />
il credito o per ottenerlo alle condizioni previste; l) il tasso degli interessi di mora, le condizioni<br />
in presenza delle quali esso può essere modificato, nel rispetto delle disposizioni di legge<br />
sulla modifica unilaterale delle condizioni contrattuali, e le eventuali penali previste per l’inadempimento;<br />
m) una chiara avvertenza delle conseguenze alle quali il consumatore può<br />
andare incontro in caso di mancato pagamento di una o più rate; n) le eventuali garanzie richieste;<br />
o) l’esistenza del diritto di recesso ai sensi dell’articolo 125-ter TUB, oppure l’inesistenza<br />
di questo diritto nel caso di contratti di credito ai quali non si applicano le disposizioni<br />
in materia di recesso; p) il diritto al rimborso anticipato previsto dall’articolo 125-sexies TUB<br />
nonché, in presenza delle condizioni ivi stabilite, il diritto del creditore a ottenere un indennizzo<br />
a fronte del rimborso anticipato e le relative modalità di calcolo; q) il diritto del consumatore,<br />
se la domanda di credito è stata rifiutata dopo la consultazione di una banca dati, di<br />
essere informato immediatamente e gratuitamente del rifiuto della domanda e degli estremi<br />
della banca dati consultata; r) il diritto del consumatore a ricevere gratuitamente, su richiesta,<br />
una copia completa del testo contrattuale idonea per la stipula; s) l’eventuale limite temporale<br />
di validità dell’offerta illustrata nelle informazioni precontrattuali.
SAGGI 285<br />
fornita attraverso un modulo denominato “Informazioni europee di base<br />
relative al credito ai consumatori”, ora riprodotto nell’Allegato 4C delle richiamate<br />
istruzioni della Banca d’<strong>Italia</strong>. Per evitare un sovraccarico informativo,<br />
qualsiasi ulteriore informazione, che con ogni probabilità avrà carattere<br />
marcatamente promozionale, dovrà essere contenuta in un foglio<br />
distinto e separato. Qualora le modalità di conclusione del contratto rendano<br />
particolare difficoltoso adempiere agli obblighi informativi prescritti, ossia<br />
nel caso di contrattazione a distanza, il creditore dovrà fornire al consumatore<br />
tutte le informazioni precontrattuali immediatamente dopo la conclusione<br />
del contratto di credito.<br />
In ogni caso il consumatore avrà diritto di ottenere gratuitamente dal<br />
professionista una copia del contratto di credito offerto al pubblico. Sul<br />
consumatore non grava l’onere di informazione sulle condizioni generali<br />
predisposte dal professionista ( 54 ) e quindi, in deroga all’art. 1341, comma 1,<br />
c.c., le clausole non conosciute in tempo utile prima della conclusione del<br />
contratto resteranno prive di efficacia, benché fossero conoscibili usando<br />
l’ordinaria diligenza. Peraltro, eventuali omissioni nell’informazione precontrattuale<br />
non potranno risultare sanate se riportate in modo corretto nel<br />
documento contrattuale ( 55 ).<br />
Ai sensi dell’articolo 124, comma 5, TUB il finanziatore è altresì tenuto<br />
a fornire al consumatore i chiarimenti richiesti, in modo che questi possa<br />
valutare se il contratto di credito proposto sia adatto alle proprie esigenze e<br />
alla propria situazione finanziaria ( 56 ). La Banca d’<strong>Italia</strong> ha precisato che do-<br />
( 54 ) Cfr. Maggiolo, Il contratto predisposto, Padova, 1996, p. 113 ss., secondo cui il consumatore<br />
non ha neanche l’onere di attivarsi per conoscere le clausole che il professionista abbia<br />
reso conoscibili; Ricci, L’informazione del consumatore e l’inefficacia delle clausole occulte,<br />
in Temi romana, 2000, p. 829 ss. Al riguardo, si è identificato il diritto all’informazione con il<br />
diritto alla conoscenza (e non alla conoscibilità) delle condizioni contrattuali (Ricci, Commento<br />
al Titolo III, Capo I, Sezione II, Contratti a distanza, sub art. 52, in Commentario al Codice<br />
del consumo, cit., p. 399; Rossi Carleo, Commento al Titolo II, Capo I, Disposizioni generali,<br />
sub art. 5, ivi, p. 125 ss.).<br />
( 55 ) G. De Cristofaro, Contratti a distanza e norme a tutela del consumatore, in Studium<br />
iuris, 1999, p. 1195 ss., il quale è favorevole alla soluzione dell’inefficacia delle clausole a prescindere<br />
dall’affidamento riposto dal consumatore nel contenuto contrattuale difforme dalla<br />
reale volontà del professionista.<br />
( 56 ) Accanto alla valutazione del merito creditizio, la direttiva del 2008, pur avendo abbandonando<br />
l’ulteriore “obbligo di consulenza” originariamente previsto dalla Commissione (su<br />
cui v. la nota a sentenza di Maffeis, Il dovere di consulenza al cliente nei servizi di investimento e<br />
l’estensione del modello al credito ai consumatori, in Contratti, 2005, p. 5) ha conservato un generico<br />
invito agli Stati membri affinché il finanziatore fornisca “assistenza e chiarimenti” tali da<br />
consentire al consumatore di valutare l’idoneità del contratto proposto a rispondere alle pro-
286 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
vranno essere adottate procedure interne volte ad assicurare la possibilità di<br />
rivolgersi, nei normali orari di lavoro, al finanziatore per ottenere gratuitamente<br />
spiegazioni aventi ad oggetto la documentazione precontrattuale, le<br />
caratteristiche essenziali del prodotto offerto e gli effetti che possono derivargli<br />
dalla conclusione del contratto, in termini di obblighi economici e<br />
conseguenze del mancato pagamento. Particolare attenzione è stata prestata<br />
alla facilità di accesso a tale servizio di assistenza che deve poter essere ottenuto<br />
oralmente o attraverso tecniche di comunicazione a distanza che<br />
consentano anche un’interazione individuale con gli addetti, i quali peraltro<br />
dovranno essere adeguatamente aggiornati e competenti.<br />
Quanto agli obblighi di forma e di contenuto, l’art. 125-bis TUB prescrive<br />
che anche il contratto debba essere redatto « su supporto cartaceo o<br />
su altro supporto durevole » ( 57 ). Nel caso di inosservanza della forma prescritta<br />
il contratto è nullo e tale nullità può essere fatta valere solo dal consumatore<br />
( 58 ). Peraltro è interessante constatare che nella prassi, come spes-<br />
prie esigenze e alla propria situazione finanziaria. È stato tuttavia correttamente osservato che<br />
al di là del tenore letterale della disposizione l’obbligo di “assistenza” « non può che essere interpretato<br />
nel senso suggerito dal considerando n. 27 e cioè in modo tale da imporre al creditore<br />
l’obbligo di esprimere una “valutazione” circa la rispondenza dei prodotti offerti alle specifiche<br />
esigenze del debitore nonché alla sua situazione finanziaria »: così Febbrajo, La nuova disciplina<br />
dei contratti di credito “al consumo” nella Dir. 2008/48/CE, in Il credito al consumo, a cura<br />
di Rescigno, in Giur. it., 2010, p. 223 ss. Deve tuttavia osservarsi che la Banca d’<strong>Italia</strong> ha dichiarato<br />
che, a differenza di quanto previsto dalla disciplina in materia di servizi di investimento,<br />
« le disposizioni non impongono ai finanziatori di effettuare una profilatura del cliente né<br />
di comunicare formalmente a quest’ultimo le proprie valutazioni circa il profilo di operatività da<br />
associare al singolo consumatore, ma prevedono l’adozione di presidi organizzativi atti ad evitare<br />
che le modalità di commercializzazione impiegate inducano oggettivamente il cliente a selezionare<br />
prodotti manifestamente non adatti alle sue esigenze ».<br />
( 57 ) La direttiva del 2008 ha ritenuto che il requisito della forma scritta potesse rappresentare<br />
una barriera alla conclusione di operazioni transfrontaliere e, in generale, di quelle a distanza.<br />
Ha pertanto adottato una posizione meno rigorosa rispetto al passato, consentendo<br />
che il contratto sia redatto non solo su supporto cartaceo ma anche su altro supporto durevole<br />
con consegna di una copia a ciascuna delle parti.<br />
( 58 ) Il tenore della norma richiama l’analoga sanzione prevista per le clausole abusive nei<br />
contratti dei consumatori, oggi contenuta all’art. 36 c. cons. (sulla quale v. Nuzzo, Commento<br />
all’art. 36 « Nullità di protezione », in Commentario al Codice del Consumo, a cura di Alpa e<br />
Rossi Carleo, cit., p. 255 ss.). Più in generale, sul tema della nullità relativa o di protezione la<br />
produzione scientifica è sconfinata. Senza pretesa di esaustività si v. Scalisi, L’invalidità e l’inefficacia,<br />
in Manuale di diritto privato europeo, a cura di Mazzamuto, Milano, 2007, p. 476 ss.;<br />
Di Majo, Nullità nuove, in Il contratto in generale, a cura di Bessone, Torino, 2002, p. 130; Roppo,<br />
Il contratto, Milano, 2001, p. 735; Gentili, Nullità, annullabilità inefficacia (nella prospettiva<br />
del diritto europeo), in Contratti, 2003, p. 200; Nuzzo, I contratti del consumatore tra legi-
SAGGI 287<br />
so accade nella contrattazione di massa, il processo di formazione del contratto<br />
vede un’inversione dei ruoli delle parti: al consumatore è infatti attribuita<br />
la posizione di proponente, mentre il finanziatore si riserva quella di<br />
accettante. Va da sé che tale inversione non rispecchia le effettive posizioni<br />
dei due soggetti e rappresenta un espediente della cui legittimità si è dubitato<br />
( 59 ). Bisogna tuttavia considerare che la conclusione del contratto di<br />
credito non può non risultare subordinata alla valutazione del merito creditizio,<br />
e quindi della solvibilità del richiedente. Pertanto per il professionista<br />
può risultare utile subordinare il perfezionamento del contratto ad un momento<br />
successivo a quello di adesione da parte del consumatore. È semmai<br />
censurabile che il contratto possa concludersi attraverso comportamenti<br />
concludenti ( 60 ), ossia con l’erogazione del finanziamento e non con una dichiarazione<br />
espressa dell’istituto di credito. Ciò soprattutto se si tiene conto<br />
che i contratti di credito finalizzato presentano sempre, senza eccezione,<br />
l’autorizzazione preventiva all’erogazione della somma mutuata direttamente<br />
in capo al fornitore del bene senza alcuna comunicazione al consumatore<br />
( 61 ). Tutto ciò pregiudica gli interessi di quest’ultimo che, a scapito<br />
slazione speciale e disciplina generale del contratto, in Rass. dir. civ., 1998, p. 308; Gentili, Le<br />
invalidità, in I contratti in generale, a cura di E. Gabrielli, Torino, 1998, II, p. 1255; Mazzamuto,<br />
L’inefficacia delle clausole abusive, in Eur. e dir. priv., 1998, p. 45; Passagnoli, Nullità speciali,<br />
Milano, 1995; Putti, voce Nullità (nella legislazione di derivazione comunitaria), in Digesto,<br />
disc. priv., sez. civ., Agg., Torino, 2000, p. 685; Putti, La nullità parziale: diritto interno e<br />
comunitario, Napoli, 2002. Con riferimento all’ampio dibattito dottrinale sul neoformalismo<br />
negoziale si v. Irti, Idola libertatis. Tre esercizi sul formalismo giuridico, Milano, 1985, passim;<br />
in senso critico: oltre a P. Perlingieri, Forma dei negozi e formalismo degli interpreti, Napoli,<br />
1987, passim e pp. 117 anche G.B. Ferri, Forma e autonomia negoziale, in Quadr., 1987, p. 313<br />
ss.; ancora, Irti, Formalismo ed attività giuridica, in Riv. dir. civ., 1990, p. 1 ss.<br />
( 59 ) Cfr. il parere sulla vessatorietà delle clausole contenute nei contratti di credito al consumo<br />
predisposto dalle Camere di Commercio di Milano e Roma e reperibile sul sito web<br />
www.mi.camcom.it.<br />
( 60 ) Il contegno non dichiarativo previsto dall’art. 1327 c.c. che può condurre alla conclusione<br />
del contratto è, in primo luogo, quello che si risolve nell’esecuzione della prestazione<br />
contrattuale; così Roppo, Il contratto, cit., p. 200. Sulla conclusione del negozio per inizio dell’esecuzione<br />
v. Sacco, La conclusione dell’accordo, in I contratti in generale, a cura di E. Gabrielli,<br />
Torino, 2002, p. 103 ss.; ancora V. Roppo, Il contratto, cit., p. 120; Ravazzoni, La formazione<br />
del contratto,I,Le fasi del procedimento, Milano, 1966, p. 365; R. Scognamiglio, Dei<br />
contratti in generale, Artt. 1321-1352, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna, 1970, p. 111;<br />
Bianca, Diritto civile, III, Milano, 2000, p. 239.<br />
( 61 ) A ben vedere tale impostazione sembrerebbe violare il principio secondo cui l’accettazione<br />
ha carattere recettizio; inoltre, anche riconducendo la fattispecie alla previsione dell’accettazione<br />
per fatti concludenti, sembrerebbero violate le disposizioni di cui all’art. 1327<br />
c.c.: innanzitutto perché la conclusione mediante esecuzione non si addice a una tipologia
288 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
della trasparenza garantita nella fase precontrattuale, non è messo in condizione<br />
di conoscere il termine iniziale di efficacia del contratto e, quindi, il<br />
momento in cui sorge il suo obbligo di rimborso della somma mutuata. Pertanto<br />
sarebbe necessario che l’accettazione venisse esplicitamente comunicata<br />
al consumatore.<br />
Una copia del contratto deve essere consegnata al consumatore, il quale,<br />
nel caso di credito a durata determinata, ha diritto anche a richiedere e ottenere,<br />
gratuitamente e in qualsiasi momento, una tabella di ammortamento.<br />
Il contratto di credito deve necessariamente contenere « in modo chiaro<br />
e conciso » le informazioni e le condizioni stabilite dalla Banca d’<strong>Italia</strong> ( 62 ), le<br />
quali in buona parte ricalcano gli elementi già indicati nella fase informativa<br />
precontrattuale ( 63 ).<br />
Le norme di trasparenza acquistano anche i connotati della completezza<br />
grazie ai commi 5 e 6 dell’art. 125-bis TUB, il cui scopo è evitare che possano<br />
essere richieste al consumatore somme o prestazioni non espressamente<br />
previste in contratto. È stabilito infatti che « nessuna somma può essere<br />
richiesta o addebitata al consumatore se non sulla base di espresse previsioni<br />
contrattuali » e che « sono nulle le clausole del contratto relative a costi a<br />
carico del consumatore che . . . non sono stati inclusi o sono stati inclusi in modo<br />
non corretto nel TAEG pubblicizzato ». Inoltre il 7° comma prevede meccanismi<br />
d’integrazione legale del contratto per il caso di assenza o di nullità<br />
contrattuale per la quale è imposta la forma scritta; poi perché la clausola che la autorizza è<br />
predisposta unilateralmente dal finanziatore; infine perché sarebbe in ogni caso prescritta la<br />
comunicazione di un avviso – cfr. comma 2 – dell’iniziata esecuzione. Si tenga presente che<br />
secondo la Cassazione (cfr. n. 4400/1996) « nei contratti per i quali sia prescritta la forma scritta,<br />
a pena di nullità, l’accettazione non deve essere necessariamente manifestata in modo esplicito,<br />
ma è sufficiente che la volontà di accettare la proposta sia desumibile, per implicito, da una dichiarazione<br />
redatta per iscritto, diretta alla controparte da colui cui la proposta è indirizzata ».<br />
Pertanto, nonostante l’accettazione possa ricavarsi implicitamente, è sempre necessario che<br />
tale operazione sia fondata su una dichiarazione scritta indirizzata alla controparte. In generale<br />
sul punto, si veda Sacco, La conclusione dell’accordo, in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno,<br />
Obbligazioni e contratti, II, Torino, 2002, p. 53.<br />
( 62 ) La Banca d’<strong>Italia</strong> ritiene che le informazioni relative alle condizioni economiche si<br />
possono reputare in ogni caso chiare e concise quando il contratto fa rinvio alle “Informazioni<br />
europee di base sul credito ai consumatori”, che in questo caso dovranno essere allegate al contratto.<br />
( 63 ) Particolare risalto è dato alla modalità di composizione delle controversie, tanto che<br />
il contratto deve indicare i mezzi di tutela stragiudiziale (reclami e ricorsi) di cui il consumatore<br />
può avvalersi, ivi compresi i sistemi di risoluzione delle controversie ai sensi dell’articolo<br />
128-bis del T.U. (Arbitro Bancario Finanziario), e le modalità per accedervi nonché l’indicazione<br />
che il finanziatore è soggetto ai controlli esercitati dalla Banca dell’<strong>Italia</strong>.
SAGGI 289<br />
parziale di una o più clausole essenziali, così da non metterne in crisi il corretto<br />
funzionamento. In loro assenza, infatti: « a) il TAEG equivale al tasso<br />
nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente<br />
indicati dal Ministro dell’economia e delle finanze, emessi nei dodici<br />
mesi precedenti la conclusione del contratto. Nessuna altra somma è dovuta<br />
dal consumatore a titolo di tassi di interesse, commissioni o altre spese; b) la<br />
durata del credito è di trentasei mesi ».<br />
Di indubbia importanza è infine la previsione che, in caso di nullità<br />
del contratto e conseguente ripetizione delle somme indebitamente utilizzate<br />
dal consumatore, consente la loro restituzione rateale, con la stessa<br />
periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili.<br />
3.3. – Traendo spunto dalla normativa presente in alcuni Stati membri,<br />
il legislatore comunitario ha introdotto delle prescrizioni di prudenza nella<br />
concessione di prestiti, imponendo alle banche e alle società finanziarie di<br />
rispettare il principio del “prestito responsabile”. Con esso è posto a carico<br />
del finanziatore, accanto ai conosciuti obblighi di disclosure, anche l’onere<br />
di “valutare” il merito creditizio del cliente (consultando le banche dati centralizzate<br />
ed esaminando le risposte fornite dal consumatore), di verificare i<br />
dati forniti dagli intermediari del credito e di selezionare la tipologia di credito<br />
da offrire.<br />
Parlare della responsabilità del finanziatore nell’erogazione del credito<br />
evoca quello che è stato definito il “dilemma” del banchiere, il quale viene a<br />
trovarsi nella difficile posizione di dover scegliere tra l’acquisizione di un<br />
potenziale cliente e il rischio di esporsi ad un’azione di responsabilità. Si<br />
possono infatti nutrire dubbi sul fatto che la valutazione da parte del creditore<br />
della solvibilità del consumatore possa essere neutra, considerando<br />
che egli è parte del contratto e che pertanto, nel rispetto della clausola di<br />
buona fede, non è tenuto a perseguire gli interessi dell’altro contraente.<br />
Ma, essendo in gioco la sua responsabilità contrattuale, egli sarà tenuto comunque<br />
a una valutazione preventiva e prudenziale, cosa che del resto già<br />
accade nel nostro ordinamento.<br />
La disposizione infatti impone ai finanziatori di agire secondo la logica<br />
del “buon creditore”. E ciò al duplice scopo di proteggere sia il consumatore<br />
sia il mercato in quanto le imprese concorrenti, a causa di nuovi finanziamenti,<br />
rischiano di veder compromessa la solvibilità dei loro clienti.<br />
Una simile previsione appare quanto mai opportuna oggi che i finanziatori<br />
sono soliti retrocedere il rischio di insolvenza su altri soggetti, grazie all’utilizzo<br />
di garanzie innovative e standardizzate per mitigare i rischi di in-
290 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
solvenza. Tali garanzie, ponendo il finanziatore al riparo dagli insoluti e dal<br />
concorso con altri creditori, fungono da fattore implicito di propulsione<br />
nella erogazione del credito, il quale non trova più ostacoli a spingersi anche<br />
oltre le reali possibilità di rimborso, incrementando il rischio di sovraindebitamento.<br />
Così facendo è stata allentata l’attenzione sull’analisi<br />
del rischio di credito. Con la conseguenza paradossale che, riverberandosi i<br />
costi delle garanzie sul costo complessivo del finanziamento, è lo stesso<br />
consumatore a pagare per eliminare dal sistema il rischio di sovraesposizione<br />
( 64 ).<br />
L’art. 124-bis TUB impone quindi al creditore di effettuare una valutazione<br />
preventiva e prudenziale. È vero – come è stato rilevato ( 65 ) – che tale<br />
prescrizione era già prevista nel nostro ordinamento: in particolare, in attuazione<br />
dell’art. 6 del d.m. 3 febbraio 2011, i finanziatori devono applicare<br />
le procedure, metodologie e tecniche relative alla valutazione e al monitoraggio<br />
del merito creditizio dei clienti già previste dalla Banca d’<strong>Italia</strong>. Sembra<br />
tuttavia, anche sotto un profilo sistematico, che la valutazione del merito<br />
creditizio assuma in questo contesto una valenza nuova e ulteriore, prefigurando<br />
un obbligo precontrattuale, certamente fonte di responsabilità ex<br />
art. 1337 c.c. con cui si intende prevenire, anche sotto il profilo dei rapporti<br />
interprivatistici, che venga concesso del credito a chi presumibilmente non<br />
sarà in grado di restituirlo.<br />
Di sicuro se il finanziatore ha verificato o avrebbe dovuto verificare che<br />
il consumatore non è meritevole di credito, dovrà astenersi dal concludere<br />
il contratto. Infatti, pur non essendo espressamente previsto, deve ritenersi<br />
che la norma imponga al professionista il divieto di stipulare il contratto<br />
( 64 ) Su questi aspetti, cfr. Cerini, Il sovraindebitamento del consumatore in prospettiva<br />
comparata, in Credito al consumo e sovra indebitamento del consumatore. Scenari economici e<br />
profili giuridici,a cura di Labuono e Lorizio, Torino, 2007, 220.<br />
( 65 ) Sul punto si veda Granata, Il fenomeno della concessione di credito, in Società, 2007, p.<br />
449 il quale evidenzia che la concessione dei crediti era già soggetta ad un sistema di regole<br />
volte a garantire la gestione “sana e prudente” e, più in generale, la stabilità complessiva, l’efficienza<br />
e la competitività del sistema finanziario (ai sensi dell’art. 5 TUB). Del resto sia la Delibera<br />
CICR del 1996 sia le Istruzioni della Banca d’<strong>Italia</strong> dettano da tempo specifici princìpi<br />
sull’erogazione del credito nell’ottica di coniugare l’attività d’<strong>impresa</strong> con l’assunzione di rischi<br />
compatibile rispetto alle condizioni economico-patrimoniali del consumatore, nonché<br />
con una condotta dell’intermediario improntata a criteri di correttezza. Le banche infatti devono<br />
disporre di sistemi che consentano di identificare, misurare e controllare l’esposizione<br />
alle singole fattispecie di rischio, nonché di gestire l’esposizione complessiva, tenendo conto<br />
anche delle possibili correlazioni tra i diversi fattori di rischio. In relazione a ciò sono fissati<br />
adeguati limiti operativi, monitorati su base continua e sottoposti a periodiche revisioni.
SAGGI 291<br />
che, alla luce dell’istruttoria condotta e della valutazione effettuate, si manifesti<br />
non sostenibile per il debitore in relazione alle sue capacità di rimborso.<br />
3.4. – La tutela sostanziale del rapporto contrattuale fra professionista e<br />
consumatore è contenuta negli artt. 125-ter e ss. TUB.<br />
In primo luogo la nuova normativa consente lo scioglimento unilaterale<br />
del rapporto in virtù di due distinte previsioni: una “ordinaria”, per i soli<br />
contratti di credito a tempo indeterminato, e un’altra di natura invece<br />
“straordinaria” ( 66 ), applicabile in linea di principio a tutti i contratti di credito<br />
e riconducibile all’istituto del ius poenitendi già riconosciuto in favore<br />
dei consumatori da altre direttive comunitarie ( 67 ).<br />
Quest’ultima rappresenta una delle principali novità introdotte dalla direttiva<br />
08/48/CE perché attribuisce al consumatore la facoltà di recedere<br />
dal contratto, senza necessità di allegare particolari motivazioni, entro<br />
quattordici giorni dalla sua conclusione o, se successivo, dal momento in<br />
cui sono state fornite le informazioni prescritte dall’articolo 125-bis, comma<br />
1, TUB ( 68 ). Per le modalità di esercizio del ius poenitendi si fa rinvio al codi-<br />
( 66 ) Così De Cristofaro, Ius poenitendi del consumatore e contratti di credito nella Dir.<br />
2008/48/CE, in Aa.Vv., Il credito al consumo, a cura di Rescigno, cit., p. 232.<br />
( 67 ) Le ragioni che hanno giustificato l’introduzione del ius poenitendi non sono le medesime<br />
riscontrate in altre fattispecie. Esso infatti era stato introdotto per quelle vendite, definite<br />
“aggressive”, in cui il contraente è indotto a concludere l’accordo senza la necessaria preparazione<br />
(vendite fuori dai locali commerciali) oppure nel caso in cui è necessario, per una<br />
corretta scelta economica, un esame del bene su cui non si è avuto un contatto diretto (vendite<br />
a distanza); cfr. G. De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo:<br />
la direttiva 2008/48/CE e l’armonizzazione “completa” delle disposizioni nazionali concernenti<br />
“taluni aspetti” dei “contratti di credito ai consumatori”, cit., p. 285. Se ciò è vero, sembra<br />
che la ratio del diritto di ripensamento riconosciuto al debitore nei contratti di credito non risieda<br />
nelle circostanze (di luogo e di tempo) in cui è venuto perfezionarsi l’incontro delle volontà<br />
dei contraenti, quanto piuttosto sia da rintracciare, come già accaduto per i contratti di<br />
c.d. multiproprietà, nella complessità delle formule contrattuali utilizzate, spesso laboriose e<br />
articolate, nella difficoltà di comprendere la portata dell’impegno economico assunto, nei<br />
suoi termini quantitativi e temporali così come nella sua possibile modifica in pejus nel corso<br />
del rapporto; cfr Ermini, Commento all’art. 73 del Codice del Consumo, in Codice del Consumo<br />
e norme collegate, a cura di Cuffaro, Milano, 2008, p. 443.<br />
( 68 ) Nel caso di omessa informazione assistiamo dunque a un ius poenitendi che potrebbe<br />
non conoscere termine; cfr. Rott, in Micklitz-Reich-Rott, Undestranding EU Consumer Law,<br />
Antwerp-Oxford-Portland, 2009, p. 203. Tale previsione recepisce l’interpretazione data dalla<br />
Corte di giustizia europea (cfr. sentenza del 13 dicembre 2001, C-481/99) in relazione alla normativa<br />
tedesca di recepimento della direttiva sulla tutela dei consumatori in caso di contratti
292 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
ce del consumo ( 69 ). Ovviamente la peculiare natura del contratto di credito<br />
impone che, qualora la somma mutuata sia già stata corrisposta, il debitore<br />
sarà tenuto a restituirla al creditore senza indugio, e comunque non oltre il<br />
trentesimo giorno dalla notifica del recesso; è altresì previsto che debbano<br />
essere corrisposti gli interessi maturati su tale capitale dalla data di prelievo<br />
fino a quella di rimborso. Nessun altro onere può tuttavia essere addebitato<br />
al consumatore se non le «spese non rimborsabili pagate dal creditore stesso<br />
alla pubblica amministrazione ». Ulteriori e altrettanto importanti effetti sono<br />
riconosciuti al recesso in presenza di un contratto accessorio al contratto<br />
di credito: per espressa previsione legislativa l’estinzione del vincolo si<br />
estende infatti anche a tali servizi accessori se questi erano stati resi dal finanziatore<br />
ovvero da un terzo, in quest’ultimo caso sulla base di un accordo<br />
col finanziatore la cui esistenza è comunque presunta fino a prova contraria.<br />
Il recesso “ordinario” è invece previsto in favore di entrambi i contraenti<br />
nei contratti di credito a tempo indeterminato. Da un lato, infatti, l’art.<br />
125-quater TUB prevede che il consumatore sia libero di recedere in qualsiasi<br />
momento, in modo gratuito e senza motivazione; è possibile prevedere<br />
pattiziamente un periodo minimo di preavviso, che comunque non potrà<br />
essere superiore ad un mese ( 70 ). Dall’altro lato è parimenti riconosciuta al<br />
creditore la possibilità di sciogliersi dal rapporto contrattuale in essere, anche<br />
senza necessità di una giusta causa ( 71 ), ma solo se la corrispondente facoltà<br />
gli sia stata riconosciuta contrattualmente. In questo caso si tratta quin-<br />
negoziati fuori dei locali commerciali. Sul tema v. Giampetraglia, Commento all’art. 65, in<br />
Commentario al Codice del Consumo, a cura di Alpa e Rossi Carleo, cit., p. 469 e Id., Il diritto<br />
di recesso nel codice del consumo, in Notariato, 2007, p. 79 ss. Peraltro nel fattispecie che ci interessa<br />
ha poco senso interrogarsi sulla ragionevolezza di tale indeterminata estensione temporale,<br />
dato che ad essa corrispondere l’obbligo di restituzione anche degli interessi sino ad<br />
allora maturati.<br />
( 69 ) Si v. quindi l’art. 64, comma 2, c.cons. che richiede l’invio di una comunicazione scritta<br />
alla sede del professionista mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento da<br />
consegnare all’ufficio postale accettante entro il termine di legge. In ogni caso la comunicazione<br />
può essere inviata, entro lo stesso termine, anche mediante telegramma, telex, posta<br />
elettronica e fax, a condizione che sia confermata mediante lettera raccomandata con avviso<br />
di ricevimento entro le quarantotto ore successive.<br />
( 70 ) Resta irrisolto il dubbio se sia lecito imporre un periodo di preavviso anche nel caso<br />
in cui il consumatore receda per giustificato motivo o se, al contrario, esso possa essere considerato<br />
legittimo solo nell’ipotesi di recesso ad nutum.<br />
( 71 ) Va peraltro ricordato che la non necessità di una giusta causa di recesso non esonera<br />
le parti dall’osservanza del principio generale di buone fede ex art. 1375 c.c., così Bianca, Diritto<br />
civile. Il contratto, Milano, 1987, p. 704.
SAGGI 293<br />
di di un diritto potestativo di natura esclusivamente convenzionale che resta<br />
sottoposto a un periodo di preavviso obbligatorio non inferiore a due<br />
mesi. Al ricorrere di una giusta causa è invece concessa al finanziatore la facoltà<br />
di sospendere l’utilizzo del credito da parte del consumatore, dandogliene<br />
anticipata comunicazione su supporto cartaceo o altro supporto durevole<br />
ovvero, qualora ciò non sia possibile, immediatamente dopo la sospensione<br />
( 72 ). Contrariamente a quanto disposto in tema di ius poenitendi,<br />
sia che il recesso venga esercitato dal consumatore sia che esso provenga dal<br />
creditore il TUB nulla dice circa i conseguenti obblighi restitutori. Né è previsto<br />
alcun termine entro cui il capitale debba essere rimborsato ( 73 ).<br />
È inoltre attribuito al consumatore – e in questo caso non si tratta di una<br />
novità – il diritto di adempiere in via anticipata. Ciò consente di non attendere<br />
il normale decorso del finanziamento e di restituire ante tempus ( 74 ) la<br />
( 72 ) In caso di recesso per giusta causa tipizzato dalle parti del rapporto, la buona fede nell’esecuzione<br />
del contratto richiede comunque di accertare non solo la effettiva sussistenza<br />
dell’ipotesi contemplata quale giusta causa di recesso ad nutum ma anche che il recesso non<br />
sia avvenuto con modalità improvvise ed arbitrarie, tali da contrastare una ragionevole aspettativa<br />
fondata sul comportamento precedente tenuto dalla banca o sulle relazioni usualmente<br />
intrattenute con la medesima (cfr. Cass., 14 luglio 2000, n. 9321, in Corr. giur., 2000, p. 1479,<br />
con nota di Di Majo). Se i motivi oggettivamente giustificati che consentono la sospensione<br />
del rapporto di provvista sono connessi all’inadempimento o alla comprovata insolvenza del<br />
creditore, la sospensione del rapporto prevista dalla norma sembra potersi ricollegare, nel primo<br />
caso, alla più generale eccezione d’inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. e, nel secondo,<br />
alla sospensione dell’esecuzione prevista dall’art. 1461 c.c. per il caso in cui le prestazioni dell’altro<br />
contraente siano divenute tali da porre a rischio il conseguimento della controprestazione.<br />
( 73 ) Nel caso in cui il consumatore adducesse una giusta causa di recesso, ci si è chiesti se<br />
non fosse opportuno riconoscere in favore di tale soggetto il beneficio del termine per la restituzione<br />
del tantundem. Del resto per il contratto di apertura di credito bancario è previsto<br />
che a seguito del recesso venga immediatamente sospesa l’utilizzazione del credito ma si concede<br />
un termine di almeno quindici giorni per la restituzione delle somme utilizzate (cfr. art.<br />
1845 c.c.). Normalmente però il debitore decade dal beneficio del termine qualora venga a<br />
trovarsi nella condizione d’insolvenza descritta dall’art. 1186 c.c. V. anche Calvo, Recesso del<br />
creditore, mutuo di scopo e collegamento negoziale, in Aa.Vv., Il credito al consumo, cit., p. 238.<br />
( 74 ) Va ricordato che le ragioni di un’apposita norma sulla facoltà di adempimento anticipato<br />
risiedono nel fatto che, nel mutuo, il termine finale è fissato a favore di entrambe le parti<br />
(l’art. 1816 c.c. in tema di mutuo detta una presunzione di stipula del termine in favore di entrambe<br />
le parti). È infatti interesse di tutte e due i contraenti, almeno inizialmente, rispettare<br />
la scadenza del rapporto: il mutuante può così far maturare gli interessi sulla somma erogata<br />
e trarre profitto dal finanziamento mentre il mutuatario trova proprio nella dilazione temporale<br />
la ragione che l’ha indotto inizialmente a concludere il contratto dovendo reperire le<br />
somme di cui non aveva disponibilità. Con la disciplina del credito al consumo il consumato-
294 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
somma mutuata, anche parzialmente, così da ottenere una riduzione del<br />
costo totale del credito, pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per<br />
la vita residua del contratto. Rispetto al passato l’art. 125-sexies TUB affronta<br />
in modo molto più dettagliato il problema della quantificazione dell’indennizzo<br />
riconosciuto in favore del finanziatore. Esso deve risultare equo<br />
ed oggettivamente giustificato, in ragione dei costi direttamente collegati al<br />
rimborso anticipato, ma non può comunque superare l’1% dell’importo<br />
versato, se la vita residua del contratto è superiore a un anno, ovvero lo<br />
0,5%, se inferiore a un anno ( 75 ).<br />
Vengono altresì confermate le tutele per il caso di cessione a terzi dei diritti<br />
spettanti al creditore ( 76 ), che vengono estese anche all’ipotesi di cessione<br />
del contratto ( 77 ). Il consumatore deve tuttavia essere informato della<br />
re diviene invece titolare di un diritto potestativo senza il quale gli sarebbe preclusa dal finanziatore<br />
la possibilità di estinguere il prestito se non a seguito di una onerosa operazione di refinancing.<br />
L’innovazione non vale solo a rimuovere tale presunzione ma penetra nella disciplina<br />
sostanziale del negozio limitando l’autonomia privata delle parti e garantendo al debitore<br />
un vero e proprio diritto irrinunciabile e non sottoponibile a condizioni o oneri che ne<br />
possano penalizzare l’esercizio (cfr. De Nova, Disposizioni varie, in La nuova legge bancaria, a<br />
cura di Ferro-Luzzi e Castaldi, Milano, 1996, cit., p. 1878).<br />
( 75 ) Inoltre l’indennizzo non può mai superare l’importo degli interessi che il consumatore<br />
avrebbe pagato per la vita residua del contratto e non è dovuto: a) se il rimborso anticipato<br />
è effettuato in esecuzione di un contratto di assicurazione destinato a garantire il credito; b)<br />
se il rimborso anticipato riguarda un contratto di apertura di credito; c) se il rimborso anticipato<br />
ha luogo in un periodo in cui non si applica un tasso di interesse espresso da una percentuale<br />
specifica fissa predeterminata nel contratto; d) se l’importo rimborsato anticipatamente<br />
corrisponde all’intero debito residuo ed è pari o inferiore a €. 10.000.<br />
( 76 )L’art. 125-septies TUB dispone che « in caso di cessione del credito o del contratto di credito,<br />
il consumatore può sempre opporre al cessionario tutte le eccezioni che poteva far valere nei<br />
confronti del cedente, ivi inclusa la compensazione, anche in deroga al disposto dell’articolo 1248<br />
del codice civile ». La norma è di pacifica interpretazione nella parte in cui consente al consumatore<br />
di conservare nei confronti del cessionario le eccezioni che poteva far valere nei confronti<br />
del finanziatore così evitando che dalla cessione possa derivare un peggioramento della<br />
sua posizione. Più oscuro è invece il riferimento alla compensazione, per la quale sorge il<br />
dubbio se la deroga riguardi o meno entrambi i commi dell’art. 1248 c.c. Il rinvio al 1° comma<br />
sembra certamente opportuno in quanto il consumatore ceduto potrebbe non sapere che, in<br />
mancanza di una sua espressa riserva di far valere la compensazione, la relativa eccezione non<br />
potrebbe essere utilmente sollevata.<br />
( 77 ) In passato è stato sostenuto che la cessione del contratto avrebbe conseguenze meno<br />
pregiudizievoli per il consumatore dato che essa postula, ex art. 1406 c.c., il necessario consenso<br />
del ceduto e la perdurante esigibilità delle prestazioni corrispettive, così Taglienti, Cessione<br />
del credito e tutela del consumatore, in La disciplina comunitaria del credito al consumo, a cura<br />
di Capriglione, Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’<strong>Italia</strong>, XV, Roma, 1987, p. 141 ss. È<br />
vero tuttavia che i finanziatori sono soliti inserire unilateralmente nelle condizioni di contrat-
SAGGI 295<br />
cessione ( 78 ), a meno che il cedente, in accordo con il cessionario, continui a<br />
gestire il credito nei confronti del consumatore.<br />
Alla vexata quaestio dei contratti di credito collegati alla fornitura del<br />
bene o servizio ( 79 ) l’art. 125-quinquies TUB riconduce diverse conseguenze,<br />
di modo che gli eventi del contratto di fornitura si possano ripercuotere<br />
anche sul rapporto di credito. In particolare, in caso di inadempimento di<br />
non scarsa importanza da parte del fornitore dei beni o dei servizi, il consu-<br />
to una preventiva autorizzazione alla cessione del contratto o dei diritti da esso nascenti. Va<br />
in ogni caso precisato che la norma di cui all’art. 33, comma 2, lett. s), c. cons., ritiene sino prova<br />
contraria vessatorie, e quindi invalide, quelle clausole che consentono al professionista «di<br />
sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti dal contratto, anche nel caso di preventivo consenso<br />
del consumatore, qualora risulti diminuita la tutela dei diritti di quest’ultimo ». La dottrina sul<br />
punto sottolinea che non rientrano nell’ambito applicativo di tale norma le clausole che prevedono<br />
il consenso alla cessione della posizione contrattuale attiva di cui gode il professionista<br />
dopo aver eseguito la prestazione da lui dovuta; così si esprime Gatt, Commento all’art.<br />
1469-bis, 3° comma, n. 17, in Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, a cura di Alpa<br />
e Patti, Milano, 1997, p. 422; nello stesso senso, G. De Cristofaro, Il consenso del consumatore<br />
alla cessione del contratto, in Riv. dir. civ., 1998, II, p. 597.<br />
( 78 ) Ciò non rappresenta una novità per il nostro ordinamento, considerato che, ai sensi<br />
dell’art. 1264 c.c., l’efficacia della cessione del credito nei confronti del debitore ceduto è, infatti,<br />
subordinata alla sua accettazione o all’intervenuta notifica della cessione.<br />
( 79 ) Per “contratto di credito collegato” l’art. 121, lett. d), TUB intende un contratto « finalizzato<br />
esclusivamente a finanziare la fornitura di un bene o la prestazione di un servizio specifici<br />
se ricorre almeno una delle seguenti condizioni: 1) il finanziatore si avvale del fornitore del bene o<br />
del prestatore del servizio per promuovere o concludere il contratto di credito; 2) il bene o il servizio<br />
specifici sono esplicitamente individuati nel contratto di credito ». Diverse critiche sono state<br />
mosse alla corrispondete norma della direttiva 08/48/CE prima (cfr. Carriero, Nuova disciplina<br />
comunitaria del credito al consumo: linee d’indirizzo, questioni irrisolte, problemi applicativi,inRiv.<br />
dir. civ., 2009, p. 518) e alla definizione appena riprodotta poi. « Sembra infatti inevitabile<br />
ritenere che non possa (più) invocarsi la disciplina del collegamento con riferimento all’impiego<br />
in funzione di consumo degli affidamenti che si innestano in contratti di apertura di credito:<br />
difetterebbe infatti il requisito della esclusività della causa contrattuale, ora invece rilevante in<br />
quanto si richiede che il credito sia correlato in modo esclusivo al finanziamento dell’operazione<br />
di consumo. Si neutralizzerebbero, così, gli apprezzabili sforzi della giurisprudenza comunitaria,<br />
che erano invece nel senso di estendere anche a queste fattispecie la disciplina ricavabile da certe<br />
norme comunitarie »: così Nigro, Collegamento contrattuale legale e volontario, con particolare<br />
riferimento alla (vecchia e nuova) disciplina del credito ai consumatori, in Giur. it., 2011, p. 81.<br />
Senza dubbio la definizione non è apprezzabile, resta oscura sotto diversi profili e si presterà<br />
ad interpretazione “particolari”. Deve tuttavia essere ricordato che l’apertura di credito sottoposta<br />
all’esame della richiamata giurisprudenza comunitaria (che aveva appunto riconosciuto<br />
la sussistenza del collegamento contrattuale anche per tale tipologia negoziale) non conteneva<br />
un’esplicita menzione del bene finanziato, ma che comunque conteneva un esplicito riferimento<br />
alla denominazione del fornitore e alla finalità del finanziamento.
296 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
matore, dopo aver inutilmente costituito in mora il fornitore stesso ( 80 ), può<br />
chiedere la risoluzione – anche – del contratto di credito. In tal caso il finanziatore<br />
è obbligato a rimborsare al consumatore le rate già pagate nonché<br />
ogni altro onere eventualmente applicato. Inoltre, nel caso in cui l’importo<br />
oggetto del finanziamento sia stato già versato al fornitore dei beni o dei servizi,<br />
il finanziatore potrà recuperarlo solamente nei confronti di quest’ultimo<br />
soggetto, e non anche del consumatore.<br />
Pur confermando un regime di responsabilità di tipo sussidiario, e non<br />
solidale ( 81 ), va favorevolmente segnalata l’eliminazione del discusso requisito<br />
dell’accordo di esclusiva tra finanziatore e fornitore ( 82 ), sostituito dalla<br />
( 80 ) Si tratta, infatti, di un atto di natura stragiudiziale che non implica un sacrificio e<br />
un’attesa paragonabile a quella dell’escussione del patrimonio del debitore, previsto dall’art.<br />
1944, comma 2, c.c. Il che ha portato alcuni a descrivere la previsione secondo l’immagine di<br />
una “solidarietà temperata dall’onere di preventiva messa in mora del finanziatore”; così Zeno-Zencovich,<br />
Il diritto europeo dei contratti (verso la distinzione tra « contratti commerciali » e<br />
« contratti dei consumatori »), in Giur. it., 1992, c. 68 e Masucci, Commento all’art. 125, d.lgs. 1°<br />
settembre 1993, n. 385, in Nuove leggi civ., Padova, 1994, p. 871. Nella versione in lingua italiana<br />
la direttiva 08/48/CE richiede che il consumatore abbia preventivamente “agito” nei confronti<br />
del fornitore. Ci si è interrogati se tale espressione rendesse necessaria l’instaurazione<br />
di un procedimento giudiziale o se potesse essere conservata la più agevole costituzione in<br />
mora di cui già al previgente art. 42 c.cons. Il dubbio sorto in sede di recepimento sembra superabile<br />
esaminando il testo in lingua inglese della direttiva, che non presenta differenze sul<br />
punto rispetto al passato. Pertanto, e legittimamente, il legislatore italiano ha mantenuto il<br />
precedente requisito della semplice preventiva messa in mora.<br />
( 81 ) In ogni caso, la direttiva ha fatto salve le norme nazionali che prevedono un regime di<br />
responsabilità di tipo solidale, rendendo così difficile il raggiungimento di una disciplina armonizzata<br />
a livello europeo; cfr. G. De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria del credito<br />
al consumo: la direttiva 2008/48/CE e l’armonizzazione “completa” delledisposizioni nazionali<br />
concernenti “taluni aspetti” dei “contratti di credito ai consumatori”, cit., p. 295.<br />
( 82 ) Su cui, giustamente, si erano concentrate maggiormente le critiche della dottrina in<br />
quanto facilmente eludibile da parte finanziatore, che semplicemente doveva avere l’accortezza<br />
di non inserirlo nel rapporto di convenzione con il fornitore e, comunque, difficilmente<br />
dimostrabile da parte del consumatore; così Carriero, Trasparenza bancaria, credito al<br />
consumo e tutela del contraente debole, in Foro it., 1992, V, c. 359 e Caccavale, Commento agli<br />
artt. 40-43, in Commentario al Codice del consumo, a cura di Alpa e Rossi Carleo, cit., p. 312.<br />
Peraltro la valenza di tale limite operativo era già stata messa in crisi dalla Corte di giustizia<br />
europea che aveva precisato, nel caso 509/07, che l’art. 11 della direttiva 87/102/CEE deve essere<br />
interpretato nel senso che l’esistenza di un accordo tra il creditore e il fornitore non poteva<br />
costituire un presupposto necessario del diritto del consumatore di procedere contro il<br />
creditore in caso di inadempimento del fornitore; per un commento a tale pronuncia si v. Macario,<br />
Inadempimento del fornitore e tutela del debitore nel credito al consumo, in Contratti,<br />
2009, p. 653 ss. e Palmieri, In tema di credito al consumo, nota a CGCE, sez. I, 23 aprile 2009<br />
(causa C-509/07), in Foro it., 2009, cc. 377-378.
SAGGI 297<br />
necessaria sussistenza dei presupposti previsti per qualificare il contratto<br />
come “collegato”. Resta tuttavia poco chiaro il riferimento all’istituto della<br />
risoluzione, non essendo esplicitato se essa implichi solamente la possibilità<br />
di sciogliere il contratto di credito ovvero se consenta anche di ottenere<br />
dal finanziatore il risarcimento del danno subito a causa dell’inadempimento<br />
del fornitore. La seconda soluzione sembra da privilegiare, in quanto<br />
maggiormente rispondente alle finalità della disciplina di tutela e anche perché<br />
nel vigore della previgente normativa l’azione del consumatore era stata<br />
qualificata come risarcitoria ( 83 ), con una responsabilità del finanziatore<br />
limitata all’importo del credito concesso. Nulla è detto in ordine ai rimedi<br />
diversi dalla risoluzione. Se appare difficile poter esigere nei confronti del<br />
finanziatore l’esecuzione in forma specifica o il ripristino della conformità<br />
del bene o del servizio finanziato, sembra tuttavia plausibile che al consumatore<br />
possa essere riconosciuta una riduzione del credito residuo corrispondente<br />
alla riduzione del prezzo ottenuta con l’azione estimatoria; inoltre,<br />
nel caso in cui gli fosse intimato il pagamento delle rate del finanziamento<br />
collegato al contratto di fornitura rimasto inadempiuto, egli potrà<br />
certamente sollevare in via d’eccezione ex art. 1460 c.c. nei confronti del finanziatore<br />
l’inadempimento del fornitore ( 84 ).<br />
La direttiva 08/48/CE ha altresì previsto che, qualora il consumatore si<br />
avvalga del diritto di recesso riconosciutogli dal diritto comunitario ( 85 ) con<br />
riguardo a un contratto per la fornitura di merci o la prestazione di servizi,<br />
lo scioglimento del vincolo si estende anche all’eventuale contratto di cre-<br />
( 83 ) Così Morgante, Commento all’art. 125 del TUB, in Codice del Consumo e norme collegate,<br />
a cura di Cuffaro, Milano, 2008, p. 815.<br />
( 84 ) Proprio tale ultima forma di tutela “privata” sembra maggiormente garantire gli interessi<br />
del consumatore, soprattutto se si tiene in considerazione il fatto che la responsabilità<br />
sussidiaria del finanziatore è funzionale, più che ad ampliare la schiera dei soggetti chiamati a<br />
rispondere dell’inadempimento del contratto di compravendita, a paralizzare l’obbligazione<br />
restitutoria della somma presa in prestito.<br />
( 85 ) Nonostante il riferimento sia espresso in via generale, esso va riferito alla direttiva<br />
85/577/CEE sui contratti conclusi fuori dai locali commerciali, visto che analoghe disposizioni<br />
erano già presenti nella direttiva 97/7/CE sui contratti stipulati a distanza, in quella<br />
94/47/CE relativa all’acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale e in quella<br />
2002/65/CE sulla commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori. Come<br />
giustamente evidenziato non rientra nell’ipotesi in esame la risoluzione del contratto prevista<br />
dall’art. 3 della direttiva 99/44/CE in caso di difetto di conformità del bene venduto che viene<br />
dalla stessa direttiva qualificato con termini inequivocabilmente diversi; cfr. G. De Cristofaro,<br />
La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: la direttiva 2008/48/CE e l’armonizzazione<br />
“completa” delle disposizioni nazionali concernenti “taluni aspetti” dei “contratti di<br />
credito ai consumatori”, cit., p. 293.
298 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
dito collegato; non prevede invece l’ipotesi speculare, ossia quella degli effetti<br />
del recesso dal contratto di credito sul contratto d’acquisto del bene o<br />
servizio ( 86 ). Tale prescrizione non risulta recepita nel TUB, ma occorre evidenziare<br />
che l’art. 67, comma 6, c.cons. già prevedeva la risoluzione di diritto<br />
del contratto di credito accessorio a quello per il quale viene esercitato il<br />
diritto di ripensamento previsto per i contratti negoziati fuori dai locali<br />
commerciali o per quelli conclusi “a distanza”. Analogamente l’art. 77<br />
c.cons. dispone la risoluzione di diritto del contratto di credito per il pagamento<br />
del prezzo del contratto di multiproprietà nel caso in cui venga esercitato<br />
il diritto di recesso ai sensi dell’art. 73 c.cons. ( 87 ). In caso di contratti<br />
di credito collegati, l’esercizio del diritto di recesso importerà quindi l’estinzione,<br />
di diritto e senza alcuna penalità, (anche) del vincolo nei confronti del<br />
finanziatore.<br />
4. – Preso atto delle problematiche che l’attuazione della direttiva<br />
08/48/CE ha sollevato, devono svolgersi alcune considerazioni conclusive,<br />
al fine di offrire ulteriori spunti d’indagine anche nell’ottica dei profili di carattere<br />
generale che essa ha lasciato irrisolti.<br />
In particolare, uno degli aspetti non toccati – o quantomeno solo parzialmente<br />
affrontati dal legislatore comunitario così come da quello na-<br />
( 86 ) La ragione deve presumibilmente ravvisarsi nel fatto che l’interesse a concludere l’operazione<br />
al consumo « sottostante » potrebbe sussistere pur in assenza di un’agevolazione finanziaria.<br />
( 87 ) Sul punto va osservato che la disciplina sul credito al consumo non trova applicazione<br />
nel caso di contratti finalizzati all’acquisto o alla conservazione di diritti di proprietà su un<br />
terreno o un immobile costruito o progettato, fattispecie che non sembra coincidente con<br />
l’acquisto di un diritto di godimento ripartito di beni immobili a meno di non voler seguire<br />
quelle ricostruzioni dell’istituto della multiproprietà come forma di comunione (cfr. G. Santoro<br />
Passarelli, Multiproprietà e comproprietà, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1984, p. 23) o di<br />
proprietà temporanea (Calò e Corda, La multiproprietà, Roma, 1984, p. 153). Sul punto si segnala<br />
la decisione del Tribunale di Bergamo, sez. dist. di Treviglio, che, nell’accertare la nullità<br />
di un contratto di finanziamento con il quale era stata acquistata una multiproprietà, con<br />
ordinanza del 13 aprile 2008 ha evidentemente ritenuto applicabile la normativa in materia di<br />
credito al consumo (la nullità è stata infatti rilevata ex art. 124, comma 3, del TUB perché «il<br />
contratto in questione non sembra rispettare il requisito della descrizione analitica dei beni il cui<br />
acquisto viene finanziato, mancando l’indicazione sia del periodo di tempo durante il quale la<br />
multiproprietà è utilizzabile, sia il luogo di ubicazione della stessa»). Peraltro, pur in assenza di<br />
una norma di carattere generale che disciplini la sorte del contratto accessorio rispetto alle vicende<br />
di quello principale, vi è chi ha ritenuto ricavabile un principio interpretativo globale<br />
dall’art. 34, comma 1, c. cons.; così Lener, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti<br />
dei consumatori, in Foro it., 1996, c. 145 ss.
SAGGI 299<br />
zionale – è il rischio dell’eccessivo ricorso al credito da parte del consumatore.<br />
Il fenomeno, già all’attenzione di studiosi e delle istituzioni, è divenuto<br />
sempre più centrale a seguito della recente crisi finanziaria ed economica,<br />
che ha messo alla luce tutte le debolezze del sistema bancario e le<br />
difficoltà di rimborso per i consumatori. Con Parere del 2006 il Comitato<br />
economico e sociale europeo aveva già suggerito di inserire la questione<br />
del sovraindebitamento ( 88 ) delle famiglie nel programma d’azione comunitaria<br />
in materia di salute e tutela dei consumatori. E qualche anno prima<br />
lo stesso Comitato aveva formulato un Parere sul tema del “sovraindebitamento<br />
delle famiglie” che, tra le altre cose, raccomandava alla Commissione<br />
di « prestare una particolare attenzione agli effetti che l’adozione di misure<br />
in vari settori delle politiche comunitarie, fra cui il credito al consumo e il<br />
credito ipotecario, poteva avere sul nascere o sull’aggravarsi del sovra indebitamento<br />
delle famiglie ».<br />
La mancanza di una disciplina sul punto da parte del legislatore comunitario<br />
si ripercuote in modo particolare sul nostro ordinamento il quale,<br />
contrariamente ad altri Stati europei, manca ad oggi di una nozione giuridica<br />
di sovraindebitamento e di apposite tutele per prevenirlo ed eventualmente<br />
risolverlo ( 89 ). A questa lacuna si può alquanto parzialmente rime-<br />
( 88 ) In linea generale, si può convenire nel senso che il termine identifica ogni situazione<br />
di indebitamento insostenibile rispetto al livello del reddito corrente del debitore-consumatore.<br />
Il fenomeno è quindi per sua natura associato ad un eccessivo ricorso al credito al consumo<br />
poiché in questa tecnica di finanziamento viene individuata la causa pressoché esclusiva<br />
della sovraesposizione debitoria delle famiglie. In realtà, le cause del sovraindebitamento<br />
possono essere diverse e ulteriori, sia perché tale patologia riguarda anche finanziamenti concessi<br />
in settori differenti, qual è quello dei mutui per la casa, sia perché esso risulta alimentato<br />
non solo da un’elevata propensione al consumo e all’indebitamento da parte dei consumatori,<br />
ma anche dal verificarsi di situazioni indipendenti dalla volontà dell’individuo o di fattori<br />
congiunturali imprevedibili. L’impossibilità di sostenere il peso dei debiti precedentemente<br />
assunti infatti può essere causata da eccezionali quanto frequenti vicende della vita, come<br />
il licenziamento, il sopraggiungere di situazioni di malattia o di invalidità, la separazione coniugale.<br />
( 89 ) Va dato atto che è oggi in discussione in Parlamento un disegno di legge (A.C. 2364)<br />
che, tra le altre cose, introduce una nuova tipologia di concordato per comporre le crisi di liquidità<br />
di famiglie o imprese, alle quali non si applicano le ordinarie procedure concorsuali.<br />
Più in dettaglio, la proposta di legge prevede la possibilità di un accordo con i creditori, su proposta<br />
del debitore, sulla base di un piano di ristrutturazione dei debiti che assicuri il regolare<br />
pagamento dei creditori estranei. Rispetto a questi ultimi, il piano può anche prevedere una<br />
moratoria dei pagamenti (con esclusione dei crediti impignorabili) sempre che il piano risulti<br />
idoneo ad assicurare il pagamento alla scadenza del nuovo termine e l’esecuzione del piano<br />
venga affidata ad un liquidatore nominato dal giudice. Viene definito il procedimento finalizzato<br />
all’omologazione da parte del giudice dell’accordo, che presuppone l’accettazione da
300 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
diare cercando di prevenire l’insorgenza della crisi debba mediante una<br />
migliore informazione ed educazione dei consumatori circa i rischi connessi<br />
alle operazioni di credito al consumo e con una più attenta erogazione<br />
delle somme da parte dei finanziatori (c.d. sovraindebitamento attivo).<br />
Allo stesso tempo, tuttavia, appare imprescindibile la previsione e l’adozione<br />
di cautele utili e necessarie a scongiurare che il verificarsi di situazioni<br />
non preventivabili e indipendenti dalla volontà del debitore e del creditore<br />
possa mettere in crisi il patrimonio del debitore (c.d. sovraindebitamento<br />
passivo).<br />
Accanto a rimedi di natura preventiva andrebbero inoltre predisposti rimedi<br />
e modalità di gestione della situazione di indebitamento laddove divenuta,<br />
nonostante le predette cautele, insostenibile. Auspicabile quindi<br />
sarebbe l’introduzione anche nel nostro ordinamento di un procedimento<br />
di esdebitazione civile idoneo a garantire il risanamento della posizione<br />
economica del debitore, attraverso la cancellazione dei suoi debiti. La limitazione<br />
della responsabilità patrimoniale ai beni di cui il consumatore è titolare<br />
al momento della procedura, infatti, fa sì che il debitore possa, all’esito<br />
della stessa, riprendere un ruolo economico attivo. Il principio a cui si<br />
ispira una disciplina di questo tipo in tema di insolvenza delle persone fisiche<br />
– che si concilia con i meccanismi di c.d. fresh start introdotti in altri paesi<br />
– appare dunque finalizzato a garantire, quale risultato finale, la liberazione<br />
del debitore stesso, malgrado il mancato o parziale soddisfacimento dei<br />
creditori.<br />
La procedura di esdebitazione porterebbe quindi alla introduzione di<br />
un marcato favor debitoris nel sistema della responsabilità patrimoniale delineato<br />
dal nostro ordinamento. Non va tuttavia taciuta la circostanza che<br />
tale meccanismo favorisce e favorirebbe anche gli stessi istituti finanziari in<br />
quanto, a fronte della perdita sopportata, essi non vengono privati di quei<br />
clienti che altrimenti resterebbero definitivamente estromessi dal mercato<br />
del credito. Grazie all’introduzione di una simile procedura, l’esigenza del<br />
buon funzionamento del mercato interno verrebbe quindi a conciliarsi con<br />
ragioni di solidarietà sociale e di tutela dei consumatori.<br />
parte dei creditori che rappresentino almeno il 70% dei crediti e prevede il coinvolgimento<br />
degli « organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento ». Questi ultimi, costituiti<br />
ad hoc da enti pubblici e iscritti in apposito registro, svolgono in generale attività di assistenza<br />
al debitore finalizzate al superamento della crisi di liquidità, di soluzione delle eventuali<br />
difficoltà insorte nell’esecuzione dell’accordo e di vigilanza sull’esatto adempimento<br />
dello stesso.
GIOVANNI GARGIULO<br />
Il passaggio dal marchio celebre al marchio<br />
che gode di rinomanza, attraverso il riconoscimento legislativo<br />
della forza comunicativa e suggestiva del segno<br />
Sommario: 1. Il progressivo riconoscimento delle diverse funzioni del marchio. – 2. Il marchio<br />
celebre. – 3. Le ragioni della novella del 1992. – 4. La Direttiva 89/104/CEE: prime<br />
perplessità interpretative. – 5. Il marchio che gode di rinomanza. – 6. Le due ipotesi<br />
dell’approfittamento e del pregiudizio. – 7. Il giusto motivo ed i problemi di diritto intertemporale<br />
– 8. Conclusioni.<br />
1. – La tradizionale funzione distintiva su cui era impostata la regolamentazione<br />
giuridica del marchio nella legge del 1942, è fortemente mutata<br />
in virtù della Direttiva n. 89/104/CEE ( 1 ).<br />
Invero, nel vigore della previgente disciplina normativa (segnatamente:<br />
art. 2569 c.c., artt. 16, 19 e 47 bis l.m.), il marchio era essenzialmente<br />
inteso come strumento di differenziazione dei prodotti e dei servizi:<br />
il pubblico doveva poter contare sul fatto che un bene contrassegnato<br />
da un determinato marchio proveniva da un nucleo produttivo<br />
certo e costante nel tempo ( 2 ). Veniva, pertanto, normativamente esclu-<br />
( 1 ) Direttiva del Consiglio delle Comunità europee del 21 dicembre 1988, “Ravvicinamento<br />
delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d’<strong>impresa</strong>”, in G.U.C.E., L 040,<br />
dell’11 febbraio 1989, recepita nel nostro ordinamento dal d.lgs. 4 dicembre 1992, n. 480.<br />
( 2 ) Vanzetti, Cessione del marchio, in Riv. dir. comm., 1959, I, p. 410; Id., Funzione e natura<br />
giuridica del marchio, ivi, 1961, I, p. 16 ss.; Id., Natura e funzioni giuridiche del marchio, in Problemi<br />
attuali del diritto industriale, Milano, 1977, p. 1161 ss.; Id., voce Marchio (Dir. commerciale),<br />
in Enc. giur., Roma, 1990, p. 2. Nello stesso senso: Aghina, L’utilizzazione atipica del marchio<br />
altrui, Milano, 1971, p. 33 ss.; Ammendola, Licenza di marchio e tutela dell’avviamento,<br />
Padova, 1984, p. 242 ss.; Auteri, Territorialità del diritto di marchio e circolazione di prodotti<br />
originali, Milano, 1973, p. 41 ss.; Di Cataldo, I segni distintivi, Milano, 1985, p. 22; Leonini,<br />
Marchi famosi e marchi evocativi, Milano, 1991, p. 29 ss.; Mangini, Il marchio e gli altri segni distintivi,<br />
in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. econ. diretto da Galgano, vol. 5, Padova, 1982, p. 72 ss.<br />
In giurisprudenza: Cass., 24 ottobre 1983, n. 6244, in Foro it., 1984, I, c. 123; Trib. Torino, 24 ottobre<br />
1984, in Giur. ann. dir. ind., 1984, 1802, p. 694; Trib. Milano, 26 gennaio 1984, ivi, 1984,<br />
1744, p. 270; Trib. Milano, 26 settembre 1977, ivi, 1984, 964, p. 270; Trib. Catania, 25 gennaio<br />
1977, ivi, 1977, 917, p. 221; Trib. Milano, 30 maggio 1974, in Riv. dir. ind., 1983, II, p. 223; Trib.<br />
Busto Arsizio, 17 luglio 1972, in Giur. ann. dir. ind., 1972, 163, p. 1112. In senso contrario: Franceschelli,<br />
Sui marchi d’<strong>impresa</strong>, Milano, 1988, p. 232, secondo cui il marchio assolverebbe
302 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
sa la possibilità di cessione del marchio senza una contestuale alienazione<br />
dell’azienda titolare del relativo diritto di privativa industriale.<br />
In tale contesto, dunque, il marchio veniva protetto non perchè aveva<br />
un valore in sé, come l’opera dell’ingegno o l’invenzione industriale,<br />
ma solo in quanto l’uso altrui ne pregiudicasse la funzione distintiva.<br />
Ritenendo, quindi, che la funzione di indicazione di origine fosse<br />
l’unica a godere di specifica protezione nel nostro ordinamento ( 3 ), si finiva<br />
col negare valore di autonomia alle ulteriori e diverse funzioni del<br />
marchio ( 4 ). Solo attraverso il ricorso al concetto di marchio celebre si<br />
perveniva a risultati interpretativi alquanto diversi.<br />
2. – Il riconoscimento, accanto alla funzione distintiva, di una particolare<br />
forza suggestiva ( 5 ) in alcuni marchi dotati di rilevante notorietà<br />
( 6 )che, imprimendosi nella memoria dei consumatori, assumevano<br />
uno specifico valore di avviamento, fungendo da vero e proprio collettore<br />
di clientela ( 7 ), costituiva il fondamento teorico di una nuova categoria<br />
di marchi, nota come “marchi dei creatori del gusto e della moda”<br />
(o anche “marchi prestigiosi o marchi di prodotti di prestigio”) ( 8 ).<br />
essenzialmente una funzione di garanzia qualitativa. Analogamente: Guglielmetti, Il marchio<br />
– Oggetto e contenuto, Milano, 1968, p. 8 ss.; Cionti, La funzione del marchio, Milano,<br />
1988; Sena, Brevi note sulla funzione del marchio, in Riv. dir. ind., 1990, I, p. 5 ss.<br />
( 3 ) Cass., 15 maggio 1997, n. 4295, in Giur. ann. dir. ind., 1997, 3570, p. 42; App. Bologna, 20<br />
maggio 1995, ivi, 1996, 3419, p. 304.<br />
( 4 ) Con riguardo alla funzione pubblicitaria: Trib. Roma, 6 luglio 1981, in Giur. ann. dir.<br />
ind., 1981, 1423, p. 489; Trib. Milano, 24 ottobre 1963, in Temi, 1964, p. 264; App. Genova, 27<br />
gennaio 1960, in Rass. prop. int. lett. art., 1960, p. 162; Trib. Milano, 5 aprile 1957, ivi, 1958, p.<br />
179. Con riguardo alla funzione di garanzia: Trib. Milano, 24 aprile 1980, in Giur. ann. dir. ind.,<br />
1981, 1386, p. 220; Trib. Milano, 5 ottobre 1978, in Foro pad., 1978, I, p. 323.<br />
( 5 ) Casanova, Impresa e azienda, in Tratt. dir. civ. diretto da Vassalli, Torino, 1974; Franceschelli,<br />
Sui marchi d’<strong>impresa</strong>, cit., p. 87. Si veda anche: Auteri, Lo sfruttamento del valore<br />
suggestivo dei marchi d’<strong>impresa</strong> mediante merchandising, in <strong>Contratto</strong> e Impresa, 1989, p. 510<br />
ss.; Sandri, Funzione del marchio ed uso pubblicitario: un rapporto da approfondire, nota a<br />
Cass. 29 luglio 1987, n. 6547, in Giust. civ.¸ 1988, I, p. 120.<br />
( 6 )Sui marchi “creatori del gusto e della moda”: Guglielmetti, Il marchio celebre o “de<br />
haute renommée”, Milano, 1977, p. 288; Di Cataldo, I segni distintivi, cit., p. 115 ss.; Leonini,<br />
Marchi famosi e marchi evocativi, cit., p. 207 ss.<br />
( 7 ) Di Cataldo, I segni distintivi, cit., p. 25 ss.; Vanzetti e Di Cataldo, Manuale di diritto<br />
industriale, Milano, 1993, p. 131. Di marchio come collettore di clientela ha inizialmente<br />
parlato Ghiron, Sulla funzione del marchio, in Riv. dir. priv., 1937, I, pp. 279-281; Id., Corso di<br />
diritto industriale, vol. II, Roma, 1937. In giurisprudenza, ex amplius: Trib. Milano, 13 settembre<br />
1990, Giur. it., 1991, I, 2, c. 168.<br />
( 8 )Trib. Milano, 14 aprile 1986, in Giur. ann. dir. ind., 1986, 2033, p. 452; Trib. Roma, 26
SAGGI 303<br />
La giurisprudenza, al fine di tutelare il marchio celebre, in assenza di<br />
dati testuali decisivi (in effetti, la regolamentazione normativa del marchio<br />
era essenzialmente fondata sul principio di specialità, senza alcun<br />
specifico riconoscimento di una particolare protezione per i marchi dotati<br />
di notorietà) ( 9 ), aveva cercato di allargare il concetto di affinità,<br />
estendendolo ad ipotesi di prodotti merceologicamente distinti, quando<br />
la celebrità del marchio avrebbe comunque potuto far pensare ai consumatori<br />
che si trattasse di prodotti o servizi provenienti dalla medesima<br />
<strong>impresa</strong>.<br />
L’acquisizione di notorietà da parte del marchio in un particolare settore<br />
non implicava, tuttavia, che quest’ultimo potesse ambire ad una tutela<br />
assoluta, estesa indifferentemente a qualsivoglia settore merceologico.<br />
Per individuare in concreto l’ambito entro il quale poteva essere riconosciuta<br />
specifica tutela giuridica ad un marchio celebre, impedendo<br />
in tal guisa che qualsiasi altro imprenditore potesse iniziare ad usare il<br />
medesimo segno per contraddistinguere prodotti non merceologicamente<br />
affini, risultava necessario valutare le dinamiche di mercato e le<br />
tendenze espansive dell’<strong>impresa</strong> ( 10 ).<br />
La giurisprudenza riteneva che il rischio di confusione, nel quale poteva<br />
essere indotto il consumatore – che attribuiva al titolare del marchio<br />
celebre la realizzazione di prodotti o servizi in realtà posti in essere<br />
da altri ovvero che riteneva, falsamente, l’esistenza di legami giuridici o<br />
economici tra i due produttori – divenisse concreto esclusivamente nell’ipotesi<br />
in cui fosse oggettivamente giustificata l’aspettativa da parte di<br />
quest’ultimo dell’immissione in commercio, per volontà del titolare del<br />
marchio celebre, di nuovi ed ulteriori prodotti, anche merceologicafebbraio<br />
1982, ivi, 1982, 1528, p. 381; Trib. Milano, 6 novembre 1978, in Riv. dir. ind., 1983, II, p.<br />
234; Trib. Milano, 30 maggio 1974, cit., p. 223.<br />
( 9 ) Franceschelli, Il marchio dei creatori del gusto e della moda, in <strong>Contratto</strong> e Impresa,<br />
1988, p. 780, osserva che “per costruire una tale categoria di marchi (ndr marchi dei creatori del<br />
gusto e della moda) bisogna abbandonare il principio di specialità che per l’esistenza stessa del<br />
marchio è essenziale, quello di affinità dei prodotti che è essenziale limite alla loro efficacia; rifiutare<br />
un insegnamento giurisprudenziale consolidato che condiziona all’intrinseca natura dei prodotti,<br />
alla destinazione alla medesima clientela, alla soddisfazione dei medesimi bisogni l’esistenza<br />
di tale concetto; respingere il concetto stesso di marchio e di concorrenza”.<br />
( 10 ) Cartella, Marchi celebri e comportamenti di mercato, in Riv. dir. ind., 1983, II, p. 308<br />
ss. In giurisprudenza: App. Milano, 14 ottobre 1994, in Giur. ann. dir. ind., 1995, 3258, p. 599,<br />
in cui si evidenziava come fosse andata consolidandosi nel mercato del tabacco la tendenza<br />
ad associare “i più noti marchi di sigarette con prodotti di altro genere”.
304 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
mente distanti da quello originariamente identificato dal marchio celebre<br />
( 11 ).<br />
In particolare, riprendendo la riflessione di una nota giurisprudenza<br />
( 12 ), mentre da un lato si tendeva ad escludere la sussistenza di un rischio<br />
di associazione per il consumatore, quando quest’ultimo era<br />
messo nelle condizioni di constatare l’esistenza di una rilevante distanza<br />
merceologica tra i differenti prodotti contrassegnati da marchi<br />
identici o simili; dall’altro lato, si riteneva che il fenomeno dell’associazione<br />
generalizzata, inteso come processo per cui l’apprezzamento<br />
del prodotto si traduce in apprezzamento del marchio e da questo si<br />
trasferisce a tutti i prodotti contrassegnati da quel marchio, non avesse<br />
luogo quando il marchio veniva costantemente usato per contrassegnare<br />
un prodotto solo, ben distinto, e quel prodotto risultava il solo<br />
fabbricato dall’<strong>impresa</strong> titolare di quel marchio (c.d. <strong>impresa</strong> mono–produttiva).<br />
Le argomentazioni innanzi esposte davano modo alla menzionata<br />
giurisprudenza di disquisire in ordine alle due diverse correnti di pensiero<br />
sviluppatesi sul tema: quella che faceva leva sui marchi pluriutilizzati<br />
(molti prodotti, anche diversi tra loro, fabbricati dalla stessa <strong>impresa</strong><br />
e tutti portanti lo stesso marchio) e quella che faceva leva sulla celebrità<br />
del marchio.<br />
A tal uopo, si osservava che quando il marchio era da sempre associato<br />
ad un unico prodotto, la celebrità (intesa come apprezzamento positivo<br />
da parte del pubblico) ineriva al prodotto in sé, non al marchio;<br />
quest’ultimo, quindi, non aveva di per sé alcun valore, salvo quello proprio<br />
del segno distintivo ( 13 ). Viceversa, quando il marchio era usato per<br />
contraddistinguere prodotti diversi, poteva accadere che, per il fenomeno<br />
dell’associazione, fosse ormai il marchio in sé ad avere capacità at-<br />
( 11 ) Cass., 24 marzo 1983, n. 2060, in Giur. it., 1983, I, 1, c. 1081; Trib. Milano, 18 aprile 1983,<br />
in Riv. dir. ind., 1983, II, p. 329.<br />
( 12 ) Cass., 21 ottobre 1988, n. 5716, in Foro it., 1989, I, c. 764, con la quale si condivideva la<br />
decisione dei giudici di merito, che non avevano ravvisato una contraffazione nell’utilizzo del<br />
marchio celebre “Veuve Cliquot”, appartenente a società vinicole francesi, per contraddistinguere<br />
un bagnoschiuma.<br />
( 13 ) In tal senso: Trib. Milano, 6 aprile 1995, in Giur. ann. dir. ind., 1996, 3412, p. 251, aveva<br />
ritenuto non potesse essere qualificato come notorio “il marchio che sia stato utilizzato con costante<br />
riferimento, immutato per decenni, esclusivamente per prodotti destinati all’alimentazione”.<br />
In senso analogo: Trib. Palermo, 30 settembre 1994, ivi, 1995, 3255, p. 574, che non riconosceva<br />
celebrità al marchio di una nota casa vinicola, in quanto l’<strong>impresa</strong> veniva qualificata<br />
mono-produttiva; confermata da App. Palermo, 18 ottobre 1999, ivi, 2001, 4215, p. 132.
SAGGI 305<br />
trattiva, producendo, conseguentemente, non solo un’attrazione positiva<br />
verso tutti i prodotti che nell’istante erano contrassegnati da quel<br />
marchio, ma anche una benevola attesa verso altri prodotti, magari di<br />
genere diverso, che nel futuro fossero stati immessi sul mercato con<br />
quel marchio.<br />
In conclusione, si sosteneva che la celebrità del marchio costituiva una<br />
condizione necessaria, ma non di per sé sufficiente, al fine di giustificare<br />
un ampliamento della sfera di esclusiva anche a prodotti di genere diverso.<br />
Infatti, se da un lato era assolutamente necessario che il marchio fosse<br />
noto anche al di fuori dei consumatori del prodotto cui era originariamente<br />
collegato (altrimenti avrebbe dovuto esser esclusa ab origine la<br />
possibilità di un’associazione mentale, stante l’assenza di un apprezzamento<br />
intrinseco del marchio), occorreva, altresì, che quel marchio già<br />
distinguesse una serie di prodotti di genere diverso, od almeno una serie<br />
di prodotti distinguibili tra di loro, in modo tale che al marchio, nell’associazione<br />
mentale, corrispondesse un apprezzamento generalizzato di<br />
diffusa e costante buona qualità, che ricadeva sui singoli prodotti appartenenti<br />
alla categoria ormai apprezzata tramite l’apprezzamento del<br />
marchio.<br />
Sulla scorta dei principi innanzi enunciati, era stato riscontrato un rischio<br />
di indebite associazioni mentali da parte del consumatore tra marchi<br />
contrassegnanti: prodotti di moda e prodotti di arredamento ( 14 );<br />
gioielli e prodotti di abbigliamento ( 15 ); prodotti di abbigliamento e profumi<br />
( 16 ); liquori (e bevande in genere) e prodotti di abbigliamento ( 17 );<br />
prodotti di abbigliamento e accessori, profumi, pelletteria e piastrelle in<br />
ceramica, da un lato, e rivestimenti murari dall’altro lato ( 18 ); sigarette e<br />
prodotti di abbigliamento ( 19 ); gelati e vini ( 20 ); prodotti per l’editoria ed<br />
occhiali ( 21 ); vino ed olio ( 22 ); prodotti editoriali e prodotti di abbiglia-<br />
( 14 )Trib. Milano, 30 maggio 1974, cit.<br />
( 15 )Trib. Milano, 6 novembre 1978, cit.<br />
( 16 )Trib. Roma, 26 febbraio 1982, cit.<br />
( 17 ) App. Genova, 14 gennaio 1986, in Riv. dir. ind., 1986, II, p. 20.<br />
( 18 )Trib. Milano, 14 aprile 1986, cit.<br />
( 19 ) App. Milano, 20 maggio 1986, in Riv. dir. ind., 1987, II, p. 321 ed App. Milano, 24 febbraio<br />
1984, in Foro pad., 1985, I, p. 43.<br />
( 20 )Trib. Palermo, 30 settembre 1994, cit.<br />
( 21 ) App. Milano, 18 luglio 1995, in Giur. it., 1996, I, 1, c. 420.<br />
( 22 ) Trib. Milano, 11 aprile 1996, in Giur. ann. dir. ind., 1996, 3481, p. 758, che pur rilevando<br />
una differenza merceologica tra i due prodotti, riconosceva affinità tra gli stessi in quanto unificati<br />
“nella cultura e nell’immaginazione”.
306 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
mento e pelletteria ( 23 ); orologi e spillette ( 24 ); orologi e macchine per<br />
cucire ( 25 ).<br />
Viceversa, una tutela extramerceologica era stata esclusa in riferimento<br />
a marchi usati per contrassegnare: vini e bagnoschiuma ( 26 ); giocattoli<br />
e prodotti per l’irrigazione ( 27 ); sistemi di riduzione del rumore in<br />
fase di registrazione e di lettura delle audio cassette, da un lato, e prodotti<br />
di abbigliamento, dall’altro lato ( 28 ); automobili ed orologi ( 29 ); prodotti<br />
informatici e prodotti alimentari ( 30 ).<br />
Naturalmente, la teoria del marchio celebre non andava esente da<br />
critiche: veniva infatti osservato che l’esigenza alla quale si intendeva rispondere<br />
con la dottrina del marchio celebre, non era affatto soddisfatta<br />
dall’allargamento del concetto di affinità, giacché la richiesta di tutela<br />
del marchio andava oltre le ipotesi di concorrenza fra prodotti, essendo<br />
essenzialmente basata sulla necessità di garantire il valore attrattivo del<br />
marchio ( 31 ).<br />
I problemi ed i dubbi palesati in ordine ai marchi celebri sono stati<br />
superati grazie all’introduzione di una diversa regolamentazione normativa<br />
della materia, mediante la quale è stata riconosciuta l’interferenza<br />
fra marchi prescindendo, appunto, dall’affinità tra prodotti o<br />
servizi.<br />
( 23 ) App. Milano, 28 novembre 1997, in Giur. ann. dir. ind., 1997, 3681, p. 834, che, nel ribaltare<br />
il giudizio espresso in primo grado (Trib. Milano, 21 luglio 1994, in Dir. ind., 1995, p.<br />
637), sostanzialmente aderiva ad altra giurisprudenza di merito, secondo cui il marchio “Vogue”,<br />
essendo dotato di celebrità collegata al mondo della moda, doveva veder estesa la propria<br />
tutela in settori come quello della bigiotteria, della pelletteria e della gioielleria, fortemente<br />
dominati “dalla moda e dal gusto”. In senso analogo: Trib. Milano, 18 febbraio 1993, in<br />
Giur. ann. dir. ind., 1993, 2943, p. 429, che, sempre in riferimento al marchio “Vogue”, ne aveva<br />
esteso la tutela ad altri prodotti (nella fattispecie, occhiali); Trib. Milano, 10 dicembre 1992,<br />
ivi, 1994, 3043, p. 248.<br />
( 24 )Trib. Milano, 30 marzo 1998, in Giur. ann. dir. ind., 1998, 3805, p. 620.<br />
( 25 ) App. Genova, 4 giugno 2002, in Giur. ann. dir. ind., 2002, 4441, p. 938.<br />
( 26 ) App. Bologna, 30 luglio 1985, in Giur. it., 1986, I, 2, c. 376; confermata da Cass., 21 ottobre<br />
1988, n. 5716, cit.<br />
( 27 )Trib. Milano, 27 febbraio 1986, in Giur. ann. dir. ind., 1986, 2024, p. 406.<br />
( 28 )Trib. Vicenza, 28 ottobre 1993, in Giur. ann. dir. ind., 1994, 3076, p. 462.<br />
( 29 )Trib. Torino, 29 agosto 2000, in Giur. ann. dir. ind., 2000, 4179, p. 1138.<br />
( 30 )Trib. Milano, 14 giugno 1999, in Giur. ann. dir. ind., 1999, 4013, p. 1210; confermata da<br />
App. Milano, 4 maggio 2001, ivi, 2002, 4348, p. 124, e da Cass., 9 luglio 2005, n. 14473, ivi, 2006,<br />
4934, p. 45.<br />
( 31 ) Sena, Il nuovo diritto dei marchi. Marchio nazionale e marchio comunitario, 2 ed., Milano,<br />
1998, p. 78 ss.
SAGGI 307<br />
3. – Sul progressivo superamento della limitata funzione distintiva<br />
ha dunque inciso, in maniera piuttosto rilevante, il riconoscimento normativo<br />
di una protezione allargata a beneficio dei titolari del marchio rinomato,<br />
avvenuto per mezzo del d.lgs. 4 dicembre 1992, n. 480, emanato<br />
in attuazione della Direttiva n. 89/104/CEE.<br />
La straordinaria portata innovativa del riferito provvedimento legislativo<br />
potrà essere compresa solo attraverso un’operazione di ermeneutica<br />
giuridica diretta, anzitutto, ad esaminare il contesto storico in<br />
cui lo stesso ha tratto origine e si è sviluppato.<br />
In effetti, la novella del 1992 prendeva atto della modificazione della<br />
realtà e della società civile avvenuta non solo nel nostro paese, ma in<br />
ogni parte del mondo. La globalizzazione del mercato e la conseguente<br />
smaterializzazione del modo di fare economica avevano consentito alle<br />
imprese di realizzare i propri prodotti in qualsiasi parte del pianeta (salvo<br />
alcune ovvie eccezioni, come ad esempio: i prodotti le cui qualità o<br />
caratteristiche siano dovute ad un particolare ambiente geografico).<br />
Le prodromiche teorie che ravvisavano nel marchio celebre una significativa<br />
valenza di avviamento trovavano, quindi, sicuro riscontro<br />
nella mutata realtà commerciale, ove il marchio assumeva una valenza<br />
economica sempre maggiore rispetto alla consueta funzione giuridica di<br />
indicazione di provenienza ( 32 ).<br />
L’imprenditore aveva intuito che, nel mutato contesto commerciale,<br />
lo sviluppo del valore strategico del marchio avrebbe consentito alla<br />
propria azienda il raggiungimento di considerevoli vantaggi in termini<br />
di competitività. In effetti, questo asset intangibile costituiva una componente<br />
molto rilevante del valore complessivo di un’azienda, poiché,<br />
se sotto il profilo strettamente patrimoniale, esso rappresentava un’immobilizzazione<br />
immateriale iscrivibile nel bilancio d’esercizio, d’altro<br />
canto poteva fungere quale strumento utilizzabile da parte dell’<strong>impresa</strong><br />
al fine di rendersi facilmente riconoscibile ai consumatori, proiettandosi<br />
in tal guisa verso la conquista di nuovi mercati internazionali ( 33 ).<br />
( 32 ) In tal senso: Nesurini, Good morning Mr. Brand. Il senso, il valore e la personalità del<br />
brand, Milano, 2007, p. 50, secondo cui: “la globalizzazione dei mercati ha comportato l’effetto<br />
di ancorare sempre più il “marchio” alla strategia aziendale, spostando in secondo piano la necessità<br />
di identificazione”.<br />
( 33 ) Sul punto: Moro Visconti, Il marchio nell’economia aziendale, in Il dir. ind., 2006, p.<br />
520 ss. L’autore individua gli aspetti positivi che possono derivare dal valore strategico del<br />
marchio: “simbolo della differenziazione di prodotto; alta adattabilità ai mutamenti di mercato<br />
(ad es.: minor sensibilità a crisi di mercato); internazionalità; leadership; celebrità del marchio
308 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Di contro, tale stato di fatto, favoriva, ineluttabilmente, il proliferare<br />
di quelle attività economiche dedite essenzialmente alla contraffazione,<br />
soprattutto di quei segni dotati di forte valenza evocativa.<br />
Il descritto mutamento della realtà economica, rendeva pertanto necessaria<br />
un’evoluzione del diritto della proprietà intellettuale caratterizzata,<br />
da un lato, dal consentire la libera circolazione del marchio e, dall’altro<br />
lato, dal garantire un significativo allargamento e rafforzamento<br />
della protezione del marchio (soprattutto se celebre).<br />
Evoluzione normativa che trovava puntuale riscontro nella novella<br />
del 1992, la cui entrata in vigore ha imposto una rilettura della funzione<br />
del marchio, atteso che, pur continuando ad esistere elementi giuridici<br />
coerenti con la funzione distintiva, il nuovo fulcro teorico della disciplina<br />
normativa vigente in materia diventa il divieto dell’inganno del pubblico<br />
( 34 ), riconoscendosi al marchio una funzione attrattiva autonomamente<br />
protetta ( 35 ).<br />
4. – Con l’art. 5.2 della Direttiva del 1989, ed il conseguente decreto<br />
attuativo modificativo dell’art. 1 della l.m. del 1942 (ulteriormente modificato<br />
dal d.lgs. 19 marzo 1996, n. 198, emanato in attuazione dell’Ac-<br />
(status symbol); alta protezione legale contro le contraffazioni; fidelizzazione (lealtà) del consumatore<br />
(customer loyalty) e riconoscimento del marchio (brand awareness); maggior potere contrattuale<br />
nei confronti della distribuzione; capacità di aumentare le quote di mercato; alta attrattività<br />
del mercato”.<br />
( 34 ) Vanzetti, La funzione del marchio in un regime di libera concessione, in Riv. dir. ind.,<br />
1998, p. 71 ss. In giurisprudenza: Trib. Bolzano, 23 giugno 1998, in Giur. ann. dir. ind., 1998,<br />
3822, p. 752.<br />
( 35 ) Vanzetti, La funzione del marchio in un regime di libera cessione, cit., p. 71 ss.; Floridia,<br />
Il marchio e le sue funzioni nella legge di riforma, in Dir. ind.¸1994, I, p. 325, che riconosce,<br />
tra l’altro, debita tutela anche per la funzione di garanzia di qualità; Massa, Funzione attrattiva<br />
e autonomia del marchio, Napoli, 1994, p. 138 ss.; Cavani, in Ghidini, La riforma della legge<br />
marchi, Padova, 1995, p. 8; Fazzini, Profili della tutela della funzione suggestiva del marchio<br />
nella nuova legge (in margine a due sentenze sul marchio di società calcistiche), in Riv. dir. ind.,<br />
1995, II, p. 150 ss. In giurisprudenza: Cass., 9 febbraio 2000, n. 1424, in D&G – Dir. e giust.,<br />
2000, 6, p. 21; App. Milano, 28 novembre 1995, in Giur. ann. dir. ind., 1996, 3444, p. 507; App.<br />
Bologna, 20 maggio 1995, cit.; Trib. Torino, 8 maggio 1996, ivi, 1996, 3486, p. 787; Trib. Modena,<br />
26 giugno 1994, in AIDA, 1995, p. 520. Inoltre, in relazione alla funzione informativa del<br />
marchio: Sena, Marchio d’<strong>impresa</strong>, in Digesto, disc. priv., sez. comm., vol. IX, Torino, 1993, p.<br />
289 ss. Secondo Galli, Rischio di associazione, protezione allargata e marchi anteriori alla<br />
riforma, in Riv. dir. ind., 1995, II, p. 22, la nuova legge marchi evita di assegnare al marchio una<br />
funzione tipica, creando invece un sistema più elastico ed aperto al significato in concreto rivestito<br />
dal marchio presso il consumatore.
SAGGI 309<br />
cordo TRIPs – Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights –<br />
adottato a Marrakech il 15 aprile 1994), oggi trasfuso nell’art. 20 del codice<br />
della proprietà industriale, emanato con d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30,<br />
entrato in vigore il 19 marzo 2005, il legislatore ha inteso tutelare il valore<br />
suggestivo racchiuso nel segno rinomato, che evocando un’immagine<br />
di piacere e di prestigio, attrae il consumatore verso i prodotti dallo stesso<br />
contrassegnati ( 36 ).<br />
Un primo problema interpretativo che si poneva con la Direttiva del<br />
1989 derivava dal fatto che l’art. 5.2 non aveva espressamente previsto la<br />
possibilità per gli Stati membri di riconoscere una protezione del marchio<br />
rinomato estesa, oltre ai segni identici o simili per prodotti o servizi<br />
non simili, anche ai segni identici o simili per prodotti o servizi identici<br />
o simili.<br />
Con un’interpretazione rigorosamente letterale della norma, si era<br />
sostenuto che la speciale tutela del marchio di rinomanza non si applicasse<br />
a segni apposti su prodotti o servizi appartenenti ad un identico<br />
settore merceologico ( 37 ).<br />
Quest’ultima tesi, tuttavia, rimaneva priva di adeguato riscontro nell’ambito<br />
giurisprudenziale, tant’è che l’orientamento prevalente ammetteva<br />
la possibilità che il marchio rinomato potesse avvalersi della<br />
speciale tutela anche in relazione a marchi contrassegnanti prodotti<br />
identici o affini ( 38 ). In effetti, l’indirizzo interpretativo da ultimo riferito<br />
( 36 ) Vanzetti, La funzione del marchio in un regime di libera cessione, in Riv. dir. ind., 1998,<br />
I, p. 88, riconosce al marchio “una capacità di vendita del prodotto contrassegnato che prescinde<br />
dai dati di qualità e di prezzo del prodotto stesso e dalla sua stessa origine, e che deriva da stimoli<br />
irrazionali e di mera suggestione”. In giurisprudenza: Commissione di ricorso dell’UAMI, 25<br />
aprile 2001, in Giur. ann. dir. ind., 2001, 4333, p. 1276, secondo cui: “il marchio (ndr rinomato)<br />
non è soltanto un segno apposto su un prodotto per indicarne l’origine commerciale, ma anche un<br />
veicolo di comunicazione di un messaggio al pubblico, assumendo di per se stesso un valore economico.<br />
Questo valore viene incorporato nel marchio mediante un uso, essenzialmente pubblicitario,<br />
che consente al marchio di farsi portatore di un messaggio, informativo o simbolico, che può<br />
essere riferito alle qualità del prodotto o del servizio per cui viene usato, o a valori immateriali come<br />
il lusso, lo stile di vita, l’esclusività, l’avventura, la giovinezza, ecc., o ancora alla reputazione<br />
del suo titolare, od ad altri elementi come la particolare presentazione del prodotto o del servizio<br />
o l’esclusività del circuito distributivo”.<br />
( 37 )Trib. Milano, 12 luglio 1999, in Giur. ann. dir. ind., 1999, 4017, p. 1250.<br />
( 38 ) Corte CE, 9 gennaio 2003, causa C-292/00, Davidoff II, in Giur. it., 2003, p. 283, secondo<br />
cui: “l’art. 5, n. 2, della direttiva non dev’essere interpretato esclusivamente alla luce del<br />
suo testo, ma anche in considerazione dell’economia generale e degli obiettivi del sistema del quale<br />
fa parte”, quindi “il marchio notorio deve godere, in caso di uso di un segno per prodotti o servizi<br />
identici o simili, di una tutela almeno altrettanto ampia di quella goduta in caso di uso di un
310 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
– oggi confortato dal dato letterale: l’art. 20 c.p.i., infatti, fa espresso riferimento<br />
ad ipotesi di interferenza per prodotti o servizi “anche” non<br />
affini –, risultava maggiormente conforme alla ratio della Direttiva, volta<br />
a riconoscere la possibilità di tutelare il marchio rinomato in ogni occasione<br />
in cui fosse stato riscontrato un indebito sfruttamento o una lesione<br />
del valore suggestivo incorporato dal marchio dotato di rinomanza,<br />
a prescindere dall’affinità o meno tra i prodotti.<br />
Secondo questa impostazione, il riferimento ai prodotti o servizi<br />
non affini valeva solo a rendere palese che la tutela era sganciata dal<br />
principio di relatività, senza però introdurre una limitazione di segno<br />
opposto, in relazione cioè all’identità o somiglianza dei prodotti o servizi<br />
( 39 ).<br />
La concreta individuazione del criterio da adottare per la valutazione<br />
del grado di somiglianza tra i marchi, costituiva, viceversa, tema meno<br />
dibattuto nell’ambito dottrinale e giurisprudenziale. L’orientamento<br />
pressoché unanime sosteneva, infatti, che il giudizio di somiglianza –<br />
per il quale non assumeva rilevanza alcuna l’appartenenza alla medesima<br />
classe merceologica dei marchi in contesa, giacché alla classificazione<br />
internazionale dei prodotti e servizi veniva riconosciuto carattere<br />
meramente amministrativo ( 40 )– andava condotto attraverso un esame<br />
comparativo dei segni non in via analitica, con una particolareggiata disamina<br />
e una separata valutazione di ogni elemento, ma in via unitaria e<br />
sintetica, mediante un apprezzamento complessivo che tenesse conto di<br />
tutti gli elementi salienti, in considerazione del fatto che il consumatore<br />
svolge le sue riflessioni sulla base del solo ricordo impresso nella sua<br />
memoria del prodotto imitato ( 41 ).<br />
segno per prodotti o servizi non simili”. In senso analogo: Corte CE, 23 ottobre 2003, causa C-<br />
408/01, Adidas c. Salomon, in Giur. comm., 2004, II, p. 363.<br />
( 39 ) Roncaglia, Relazione su “Tutela del marchio di rinomanza”, Atti del convegno sui<br />
Problemi attuativi in tema di marchi, tenuto in data 18 febbraio 2000. Conformemente: Mansani,<br />
La funzione di indicazione d’origine del marchio nell’ordinamento comunitario, Milano,<br />
2000, p. 15 ss. In giurisprudenza: Trib. Milano, 24 luglio 2003, in Giur. ann. dir. ind., 2003, 4589,<br />
p. 1133, secondo cui: “la disciplina del marchio rinomato […] è applicabile anche nell’ipotesi di<br />
uso di un marchio identico o simile per prodotti identici o affini, pur a fronte del dato letterale che<br />
riserva la tutela all’ipotesi di prodotti non affini”. Nello stesso senso: Trib. Firenze, 29 giugno<br />
2004, ivi, 2004, 4755, p. 1176.<br />
( 40 ) App. Milano, 8 maggio 2001, in Giur. ann. dir. ind., 2002, 4349, p. 138; Trib. Roma, 8<br />
febbraio 2001, ivi, 2002, 4342, p. 61.<br />
( 41 ) Corte CE, 11 novembre 1997, causa C-251/95, caso Sabel c. Puma, in Racc., 1997, I, p.<br />
619; Cass., 22 gennaio 1993, n. 782, in Giust. civ., Mass., 1993, p. 109; Trib. Reggio Emilia, 27
SAGGI 311<br />
A tal proposito, fa d’uopo sin d’ora precisare che la tutela dei marchi<br />
rinomati non è subordinata all’accertamento di un grado di somiglianza<br />
tra il marchio rinomato ed il segno contestato, tale da ingenerare nel settore<br />
dei consumatori interessati a codesti prodotti un rischio di confusione<br />
tra gli stessi; risulta, infatti, sufficiente che la somiglianza tra i segni<br />
contrapposti abbia come effetto la creazione di un nesso, nella mente<br />
del consumatore, tra il segno contestato ed il marchio registrato, tale<br />
che l’indebito uso del segno determini un rischio di diluizione o di pregiudizio<br />
alla rinomanza del marchio ( 42 ).<br />
5. – Come accennato, una delle principali innovazioni inserite nella<br />
Direttiva comunitaria del 1989 si è tradotta, per mezzo dell’intervento<br />
del legislatore nazionale, nel riconoscimento, a favore del titolare del<br />
marchio rinomato, del diritto di inibire al terzo l’uso del medesimo, laddove<br />
quest’ultimo, senza giusto motivo, tragga indebitamente vantaggio<br />
dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio ovvero nel caso<br />
in cui l’uso del segno da parte del terzo rechi pregiudizio al marchio rinomato.<br />
La disciplina normativa si caratterizza, quindi, per la mancanza di<br />
una definizione del marchio che gode di rinomanza, avendo il legislatore<br />
demandato alla giurisprudenza il compito di stabilire di volta in volta<br />
la ricorrenza delle condizioni dell’indebito vantaggio o del pregiudizio,<br />
al fine di accordare una protezione ultramerceologica al segno rinomato.<br />
Sul punto giova richiamare uno dei primi interventi della giustizia<br />
comunitaria, con cui è stato affermato che, ai fini della sussistenza della<br />
rinomanza, è sufficiente che il marchio sia conosciuto “da una parte significativa<br />
del pubblico interessato ai prodotti o servizi da esso contraddistinti”,<br />
sull’intero territorio dello Stato per il quale il marchio è registraagosto<br />
2002, in Giur. ann. dir. ind., 2003, 4520, p. 481; Trib. Ferrara, 14 settembre 2001, ivi, 2002,<br />
4365, p. 299; Trib. Firenze, 10 maggio 2001, ivi, 2001, 4289, p. 851; Trib. Bologna, 21 luglio 2000,<br />
ivi, 2001, 4230, p. 292. In senso diverso: Cass., 26 febbraio 1990, n. 1437, in Riv. dir. comm., 1991,<br />
II, p. 25; Trib. Piacenza, 5 aprile 2004, Giur. ann. dir. ind., 2004, 4737, p. 1013; Trib. Roma, 18 luglio<br />
2001, ivi, 2002, 4358, p. 235; che pur riconoscendo un’importanza preminente all’impressione<br />
d’insieme, non escludono la rilevanza giuridica di un esame dei particolari.<br />
( 42 ) Corte CE, 23 ottobre 2003, causa C-408/01, cit.; Trib. CE, 16 aprile 2008, causa T-<br />
181/05, Citi c. Citibank, in Foro it., 2008, 9, c. 442; Trib. Milano, 16 gennaio 2007, in Giur. ann.<br />
dir. ind., 2007, 5129, p. 612; Trib. Venezia, 23 gennaio 2006, in Foro it., 2006, c. 6 ss.; Trib. Milano,<br />
22 aprile 2004, in Giur. ann. dir. ind., 2004, 4742, p. 1064; Trib. Roma, 9 gennaio 2004, in<br />
Giur. it., 2004, p. 1903.
312 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
to o anche in una parte sostanziale di esso ( 43 ). In tal guisa, la qualifica di<br />
marchio rinomato è stata riconosciuta non solo ai marchi cosiddetti celebri,<br />
secondo l’interpretazione invalsa prima della riforma, ma è stata<br />
estesa a tutti quei marchi semplicemente noti, alla sola condizione di dimostrare<br />
che l’uso del segno da parte del terzo possa apportare un indebito<br />
vantaggio all’imitatore ovvero arrecare un pregiudizio al legittimo<br />
titolare del marchio ( 44 ).<br />
Siffatto ampliamento, come giustamente osservato da nota dottrina,<br />
rende tuttavia necessaria una graduazione della tutela prevista dall’art.<br />
20 c.p.i., nel senso che il vantaggio o il pregiudizio cui la norma fa riferimento<br />
si concretizza in maniera più evidente per i marchi celebri, anche<br />
laddove sussiste una notevole distanza merceologica tra i prodotti in<br />
questione, giacché la capacità di suggestione di un marchio aumenta in<br />
misura proporzionale alla diffusione della conoscenza del marchio stesso<br />
tra il pubblico; mentre, in riferimento ai marchi meno noti, si deve riconoscere<br />
l’esistenza delle condizioni legislative di tutela solo per pro-<br />
( 43 ) Corte CE, 14 settembre 1999, causa C-375/97, caso General Motors c. Yplon, in Nuova<br />
giur. civ., 2000, I, p. 420; Trib. CE, 25 maggio 2005, causa T-67/04, Monopole c. UAMI, in Giur.<br />
ann. dir. ind., 2005, 4923, p. 1403; Trib. Roma, 3 marzo 2006, ivi, 2006, 5005, p. 651; Trib. Vicenza,<br />
9 novembre 2000, ivi, 2001, 4249, p. 469; Trib. Torino, 23 maggio 2000, ivi, 2000, 4159, p.<br />
965. Diversamente, è stato sostenuto che per aversi marchio rinomato è necessario che il segno<br />
sia conosciuto da tutti i consumatori di qualsiasi prodotto: App. Milano, 24 maggio 2002,<br />
in Giur. ann. dir. ind., 2003, 4500, p. 280; Trib. Roma, 25 ottobre 2002, ivi, 2003, 4525, p. 521;<br />
Trib. Roma, 8 febbraio 2001, cit.<br />
( 44 ) Vanzetti, La nuova legge marchi, Milano, 1993, p. 25, secondo il quale questa interpretazione<br />
trova opportuno riscontro nei lavori preparatori della Direttiva n. 89/104/CEE,<br />
laddove si è passati da una definizione in termini di marchi che godono di “larga notorietà” a<br />
quella di marchi che godono di notorietà tout court. Nello stesso senso: Mayr, in Commentario<br />
breve al diritto della concorrenza, a cura di Marchetti e Ubertazzi, Padova, 1997, p. 963. Diversamente:<br />
Olivieri, Commento sub articolo 1, in Aa.Vv., Commento tematico della legge<br />
marchi, Torino, 1998, p. 30, che rivendica la natura eccezionale dei segni che godono di rinomanza,<br />
e quindi la necessità di interpretare il concetto in maniera restrittiva. Sempre in senso<br />
contrario: Floridia, La nuova legge marchi. Il commento, in Corr. giur., 1993, p. 268 ss; Fazzini,<br />
Prime impressioni sulla riforma della disciplina dei marchi, in Riv. dir. ind., 1993, I, p. 1579<br />
ss.; La Villa, Introduzione al diritto dei marchi di <strong>impresa</strong>, Torino, 1994, p. 21 ss., i quali finiscono<br />
con l’identificare la nozione di marchio che gode di rinomanza con quella di marchio<br />
celebre costruita dalla dottrina e dalla giurisprudenza sotto la vigenza della vecchia legge marchi.<br />
In giurisprudenza, per la tesi dell’allargamento anche ai marchi semplicemente noti: Trib.<br />
Torino, 23 maggio 2000, cit.; Trib. Monza, 8 luglio 1999, in Giur. ann. dir. ind., 1999, 4016, p.<br />
1226. A sostegno della tesi secondo cui il marchio rinomato comprende solo il marchio celebre:<br />
Trib. Roma, 25 ottobre 2002, cit.; Trib. Firenze, 25 agosto 2001, in Giur. ann. dir. ind.,<br />
2002, 4363, p. 283.
SAGGI 313<br />
dotti tra loro merceologicamente vicini, in considerazione dal fatto che<br />
il rischio in cui possono incorrere i consumatori nell’istituire un indebito<br />
collegamento con il segno diminuisce man mano che ci si allontana,<br />
per affinità, dal prodotto o servizio contraddistinto dal marchio noto ( 45 ).<br />
La nozione di marchio rinomato costituisce, pertanto, una categoria<br />
aperta fra un massimo ed un minimo di rinomanza, in cui sarà decisivo<br />
l’accertamento del livello di conoscenza del marchio da parte del pubblico.<br />
Operazione, quest’ultima, che dovrà esser espletata dal giudice investito<br />
della questione, il quale nell’occasione potrà rifarsi a diversi parametri,<br />
come: la quota di mercato coperta dal marchio, l’intensità,<br />
l’ambito geografico e la durata dell’uso del marchio, l’entità degli investimenti<br />
realizzati dall’<strong>impresa</strong> per promuovere il marchio, il fatturato<br />
dei prodotti o servizi contrassegnati dal marchio ( 46 ).<br />
La protezione allargata del marchio rinomato prescinde, quindi, dalla<br />
possibilità di confusione per i consumatori – che, come detto, aveva<br />
caratterizzato il riconoscimento di una tutela extramerceologica per i<br />
marchi celebri, sul convincimento che l’elevata notorietà di un segno si<br />
traduceva, inesorabilmente, in un’accentuazione del pericolo di confusione<br />
( 47 ) –, trovando la propria giustificazione nel tentativo di evitare un<br />
indebito vantaggio a beneficio del terzo o, alternativamente, di evitare al<br />
titolare del marchio un pregiudizio derivante dall’utilizzo di un segno<br />
eguale o simile idoneo, in concreto, a pregiudicarne la capacità attrattiva,<br />
attentando così alla natura stessa del marchio rinomato, il quale essendo<br />
un bene immateriale dotato di una propria autonoma utilità,<br />
( 45 ) Vanzetti e Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, Milano, 2009, p. 247. In giurisprudenza:<br />
Trib. Vicenza, 9 novembre 2000, cit.<br />
( 46 ) Corte CE, 14 settembre 1999, C-375/97, cit.: Corte CE, 4 maggio 1999, in cause riunite<br />
C-108/97 e C-109/97, caso Windsurfing c. Boots, in Giur. ann. dir. ind., 1999, 4043, p. 1524.<br />
Nello stesso senso: Trib. Roma, 3 marzo 2006, cit.;Trib. Firenze, 10 novembre 2001, ivi, 2002,<br />
4377, p. 381; Trib. Monza, 26 maggio 2001, in Dir. ind., 2002, p. 249.<br />
( 47 ) Contrariamente si è affermato che quando un marchio è molto conosciuto, spesso il<br />
rischio di confusione con un altro segno diminuisce anziché aumentare, proprio in considerazione<br />
dell’elevata notorietà del segno, che evita al pubblico di scambiare il segno noto con<br />
altro segno: Galli, Rinomanza del marchio e tutela oltre il limite del pericolo di confusione, Atti<br />
del Convegno S.I.S.P.I., Milano, 15-16 settembre 2006, in Il dir. ind., 2007, p. 85. In senso<br />
analogo: Ricolfi, La tutela dei marchi che godono di rinomanza nei confronti della registrazione<br />
e utilizzazione per beni affini nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, in Giur. it., 2004, p.<br />
283 ss. In giurisprudenza: Trib. CE, 22 giugno 2004, causa T-185/02, Ruiz Picasso c. UAMI, in<br />
Giur. ann. dir. ind., 2004, 4776, p. 1473, confermata da Corte CE, 12 gennaio 2006, causa C-<br />
361/04P, Ruiz Picasso c. UAMI, in Foro. it., 2006, c. 354 ss.
314 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
avente un proprio potere di richiamo e pubblicitario, possiede un autonomo<br />
“potere di vendita” ( 48 ).<br />
6. – L’indebito vantaggio può essere rappresentato dall’agganciamento<br />
parassitario dei prodotti o servizi dell’imitatore all’immagine del<br />
marchio rinomato, che consente al contraffattore di collocarsi sul mercato<br />
sfruttando tutte le valenze evocative del segno rinomato, acquisendo<br />
così uno spazio specifico che altrimenti non avrebbero occupato ( 49 ).<br />
L’agganciamento parassitario all’immagine del marchio rinomato,<br />
infatti induce il pubblico ad operare un collegamento psicologico (eventualmente,<br />
anche inconscio) fra i due segni, producendo, conseguentemente,<br />
uno sviamento nel flusso delle informazioni sul prodotto per effetto,<br />
appunto, della somiglianza di quelle informazioni, in modo che il<br />
marchio imitato richiami alla mente quello noto ( 50 ). Viceversa, il pregiudizio<br />
per il titolare del marchio rinomato ricorre quando il segno dell’imitatore<br />
trasmetta al pubblico un messaggio che, oltre a contenere un<br />
richiamo al marchio imitato, comporti una sorta di contaminazione dell’immagine<br />
e del messaggio comunicato, provocando la diluizione e<br />
l’infangamento del potere evocativo e del valore simbolico trasmesso<br />
dal marchio rinomato.<br />
La contaminazione dell’immagine del marchio rinomato può comportare<br />
uno sviamento della clientela, dovuto al mutamento delle abitudini<br />
della stessa, la quale, nel timore che il proprio prodotto di lusso possa<br />
essere confuso con altro contraffatto, può indirizzarsi verso altre marche.<br />
Il pregiudizio potrebbe, quindi, verificarsi nel caso in cui il marchio<br />
rinomato sia utilizzato per contraddistinguere prodotti scadenti o vili<br />
ovvero quando sia utilizzato dall’imitatore con modalità non compatibili<br />
con la specifica immagine costruita dal titolare del marchio rinomato.<br />
È quanto accade, in particolare, per i prodotti ostensivi, destinati cioè ad<br />
essere esibiti in pubblico. In questi casi, secondo la cosiddetta dottrina<br />
della post sale confusion ( 51 ), a confondersi non sono i diretti consumatori,<br />
i quali, in considerazione dei canali distributivi, dei prezzi solita-<br />
( 48 ) In tal senso si era già espresso Leonini, Marchi famosi e marchi evocativi, cit., p. 586.<br />
( 49 ) Corte CE, 23 ottobre 2003, causa C-408/01, cit.<br />
( 50 )Trib. Napoli, 13 maggio 1996, in Riv. dir. ind., 1996, II, p. 288.<br />
( 51 ) Nella dottrina italiana: Roncaglia, Nozione di confondibilità e tutela della funzione<br />
suggestiva del marchio, in Aa.Vv., Segni e forme distintive: la nuova disciplina, Milano, 2001, p.<br />
367 ss.
SAGGI 315<br />
mente molto bassi e dell’evidente scarsa qualità dei prodotti compravenduti,<br />
sono ben consapevoli di acquistare un prodotto somigliante all’originale<br />
– anzi, lo acquistano al solo scopo di spacciarlo come tale –,<br />
bensì i terzi, che vedono il prodotto contrassegnato da un segno rinomato<br />
contraffatto, in un contesto diverso da quello della vendita, ove risulterebbe<br />
immediatamente manifesta la circostanza che il prodotto<br />
non è originale, e possono perciò essere indotti in errore ( 52 ).<br />
Il pregiudizio che potrebbe derivare al titolare del marchio rinomato<br />
non consisterebbe nel diretto vantaggio a favore del contraffattore (data<br />
la evidente non sovrapponibilità delle rispettive clientele), bensì nel<br />
vantaggio prodotto a favore delle altre marche altrettanto rinomate, che<br />
potrebbero risultare più difficilmente copiabili e quindi preferite dall’acquirente,<br />
che vorrebbe eliminare il sospetto della contraffazione sul<br />
proprio prodotto originale ( 53 ).<br />
L’indebito vantaggio del terzo ed il pregiudizio del titolare del marchio<br />
sono stati riconosciuti nel caso di utilizzo da parte dell’imitatore del<br />
noto marchio registrato dall’Agip (raffigurante un cane a sei zampe dalla<br />
cui bocca esce una fiammata, in campo giallo delimitato da una linea scura)<br />
impresso su magliette con la scritta “Acid” ( 54 ); nel caso di utilizzo del<br />
marchio “Nike sport fragrance” per profumi, in violazione del marchio<br />
“Nike” per articoli sportivi ( 55 ); nell’ipotesi di impiego del marchio “Elle<br />
Chic” per prodotti di abbigliamento, in contraffazione del marchio rinomato<br />
“Elle”, adoperato per contrassegnare la nota rivista di moda ( 56 ).<br />
Un agganciamento parassitario, con il rischio di un potenziale annacquamento<br />
del marchio figurativo “Adidas” (costituto da tre strisce<br />
parallele di colore contrastante con lo sfondo) è stato rilevato nell’utilizzo<br />
da parte del contraffattore di due identiche strisce parallele su scarpe<br />
( 52 ) Vanzetti, I marchi nel mercato globale, in Riv. dir. ind., 2002, I, p. 91 ss.; Roncaglia,<br />
Nozione di confondibilità e tutela della funzione suggestiva del marchio, cit., p. 367 ss. In giurisprudenza:<br />
Trib. Venezia, 28 luglio 2007, in Giur. ann. dir. ind., 2007, 5161, p. 926, che ha ravvisato<br />
nel contegno dell’acquirente che spaccia il prodotto per originale, una sorta di collaborazione<br />
nell’indurre il terzo in errore.<br />
( 53 )Particolarmente significativa è l’ordinanza emessa dal Trib. Venezia il 30 marzo 2005,<br />
in Giur. ann. dir. ind., 2005, 4866, p. 797, con cui, per la prima volta, si evidenzia che “l’acquisto<br />
dei beni con marchi contraffatti, effettuato con finalità ostensive, per essere mostrati dall’acquirente<br />
come status symbol, lede e mette in pericolo la buona fede, intesa come bene giuridico a salvaguardia<br />
dell’intera collettività”.<br />
( 54 )Trib. Milano, 4 marzo 1999, in Giur. ann. dir. ind., 1999, 3987, p. 977.<br />
( 55 )Trib. Milano, 23 dicembre 1999, in Giur. ann. dir. ind., 2000, 4116, p. 578.<br />
( 56 )Trib. Ferrara, 14 settembre 2001, cit.
316 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
da ginnastica ( 57 ); ed ancora, nel caso di adozione del marchio “Viagra”,<br />
originariamente registrato per prodotti farmaceutici, al fine di contraddistinguere<br />
prodotti di abbigliamento ( 58 ); nel caso di impiego di un<br />
marchio costituito da un fior di loto e dalla parola “Genius”, in contraffazione<br />
del marchio rinomato della Montblanc Simplo GmbH (avente<br />
ad oggetto una stella bianca a sei punte arrotondate, simboleggiante la<br />
cima del Monte Bianco con la neve scivolante dalle sue sei vallate) ( 59 ).<br />
7. – Il legislatore ha previsto una sorta di esimente in bianco per le<br />
ipotesi di utilizzo indebito e/o pregiudizievole del marchio rinomato altrui,<br />
attraverso il ricorso alla dizione del “giusto motivo”.<br />
La volontaria genericità della norma tende a contemperare i contrapposti<br />
interessi tra chi avanza una legittima aspettativa al ritorno degli<br />
investimenti profusi per garantire una maggiore forza attrattiva al marchio<br />
utilizzato per contrassegnare i propri prodotti o servizi, e chi, avendo<br />
previamente creato ed utilizzato un segno identico o simile a quello<br />
rinomato, non vuole perdere il diritto prioritariamente acquisito. Ancora<br />
una volta, sarà quindi il giudice del caso concreto a dover verificare la<br />
sussistenza o meno della riferita scriminante.<br />
Nelle poche occasioni in cui la giurisprudenza è intervenuta sulla<br />
questione, si è avuto modo di riscontrare un giusto motivo per non applicare<br />
la disciplina normativa della tutela allargata del marchio rinomato:<br />
nel caso di coesistenza di marchi patronimici ( 60 )ed, ancora, in relazione<br />
alla specifica collocazione geografica dell’azienda utilizzatrice del<br />
marchio rinomato, costituito da una denominazione geografica ( 61 ).<br />
Viceversa, è stato ritenuto che non sia di per sé sufficiente ad integrare<br />
la condizione di giusto motivo il fatto che: a) il segno sia particolarmente<br />
appropriato per designare i prodotti cui si riferisce; b) il richiedente<br />
abbia già fatto uso del segno per designare i prodotti cui si riferi-<br />
( 57 )Trib. Roma, 9 gennaio 2004, cit.<br />
( 58 )Trib. Napoli, 31 marzo 2003, in Giur. ann. dir. ind., 2004, 4671, p. 454.<br />
( 59 )App. Milano, 19 marzo 2005, in Giur. ann. dir. ind., 2005, 4865, p. 786.<br />
( 60 ) Commissione di ricorso dell’UAMI, 23 gennaio 2009, in Il dir. ind., 2009, 3, p. 225, con<br />
commento di Sandri.<br />
( 61 )Trib. Catania, 12 maggio 2006, in Giur. ann. dir. ind., 2007, 5089, p. 250. In dottrina è<br />
stato ritenuto potersi riconoscere un giusto motivo nell’anteriorità dell’uso del segno da parte<br />
del terzo rispetto al momento in cui il marchio ha acquisito rinomanza; nel caso di rinomanza<br />
acquisita in altri settori; nell’ipotesi di immissione in commercio in altri paesi comunitari<br />
che abbia determinato l’esaurimento: La Villa, Introduzione al diritto dei marchi d’<strong>impresa</strong>,<br />
cit., p. 27; Olivieri, Contenuto e limiti dell’esclusiva, cit., p. 33.
SAGGI 317<br />
sce; c) il richiedente invochi un diritto anteriore a quello della controparte<br />
( 62 ).<br />
Per quanto concerne, invece, le questioni di natura transitoria palesatesi<br />
con l’entrata in vigore della novella del 1992, indubbia rilevanza<br />
ha assunto quella norma che espressamente esclude la possibilità di<br />
un’efficacia giuridica della tutela del marchio rinomato estesa nei confronti<br />
di marchi il cui uso abbia avuto inizio in periodo antecedente rispetto<br />
al menzionato mutamento della relativa disciplina giuridica ( 63 ).<br />
In effetti, l’art. 88 del d.lgs. 480/1992 (oggi riprodotto nell’art. 232<br />
c.p.i.) prevede che il diritto di far uso esclusivo di un marchio rinomato,<br />
concesso prima dell’entrata in vigore del decreto, “non consente al titolare<br />
di opporsi all’ulteriore uso nel commercio di un segno identico o simile al<br />
marchio per prodotti o servizi non affini a quelli per cui esso è stato registrato”.<br />
Da alcune parti si era sostenuta l’implicita abrogazione della<br />
menzionata disposizione normativa, in seguito all’entrata in vigore del<br />
D.Lgs. n. 198 del 1996, in considerazione del fatto che l’art. 1 della vecchia<br />
legge marchi, modificata con il ricordato decreto riformista, non<br />
conteneva norme transitorie.<br />
A difesa della vigenza dell’art. 88 è stato giustamente osservato che il<br />
d.lgs. 198/1996 ha semplicemente introdotto agli artt. 1 e 17 l.m., rispettivamente<br />
alle lettere a) ed f), una nuova norma che concerne l’adozione<br />
di un marchio identico per prodotti identici, con conseguente slittamento<br />
delle lettere che contraddistinguono le proposizioni conservate<br />
nell’originario testo. Rispetto a queste disposizioni non sorgono quindi<br />
problemi di diritto transitorio, che si pongono soltanto in relazione alle<br />
norme effettivamente innovative introdotte dal decreto e non, invece,<br />
nei casi in cui il mutamento riguardi la collocazione delle stesse ( 64 ).<br />
8. – Risulta pertanto evidente che il legislatore, prendendo atto dell’intervenuto<br />
mutamento del ruolo del marchio nell’economia moder-<br />
( 62 ) Commissione di ricorso dell’UAMI, 25 aprile 2001, in Giur. ann. dir. ind., 2001, 4333,<br />
p. 1276.<br />
( 63 ) Galli, Il diritto transitorio dei marchi, Milano, 1994, p. 70 ss. In giurisprudenza:<br />
Cass., 20 dicembre 1999, n. 14315, in Giust. civ., Mass., 1999, p. 2581; App. Palermo, 18 ottobre<br />
1999, cit.<br />
( 64 ) Galli, Adeguamento della legislazione interna in materia di proprietà intellettuale alle<br />
prescrizioni obbligatorie dell’accordo relativo agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale concernenti<br />
il commercio – Uruguay Round, Commentario a cura di Auteri, in Nuove leggi civ.,<br />
1998, p. 93.
318 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
na, ha inteso riconoscere una tutela extramerceologica al segno rinomato,<br />
introducendo nel sistema normativo due concetti assolutamente<br />
nuovi: l’indebito vantaggio ed il pregiudizio.<br />
L’ammissione, quindi, di una protezione dei marchi rinomati pur in<br />
assenza di confondibilità, giustifica la convinzione che quella distintiva<br />
non sia più la sola funzione del marchio ad essere riconosciuta dall’ordinamento<br />
giuridico.<br />
In effetti, rinvenendo nel marchio uno strumento che “racchiude e<br />
comunica valori, conoscenza, qualità, almeno in parte autonome” rispetto<br />
al prodotto o servizio cui inerisce ( 65 ), si finisce con il riconoscere ai segni<br />
dotati di rinomanza, accanto ad una funzione distintiva, che opera come<br />
indicazione di origine di un prodotto o di un servizio da un’<strong>impresa</strong><br />
piuttosto che da un’altra – ed una generica funzione di garanzia qualitativa,<br />
intesa quale aspettativa da parte del consumatore di una costanza<br />
qualitativa dei prodotti distinti dal medesimo marchio ( 66 )– una funzione<br />
suggestiva, mediante la quale il marchio diviene un vero e proprio<br />
collettore di clientela ( 67 ).<br />
( 65 )Trib. Napoli, 5 novembre 1998, con nota di Bellomunno, Il marchio come strumento<br />
di comunicazione, in Il Dir. ind., 1999, 2, p. 138. In dottrina: Sena, Il nuovo diritto dei marchi.<br />
Marchio nazionale e marchio comunitario, cit., 78 ss. Sandri, Natura e funzione del marchio: dal<br />
segno/marchio al marchio/segno nella giurisprudenza comunitaria, in Studi in onore di Adriano<br />
Vanzetti, II, Milano, 2004, p. 1377 ss., rilevando che il marchio è prima di tutto un segno, a sua<br />
volta definito come “un’apparenza che oltre a manifestare se stessa, rappresenta anche, più o<br />
meno direttamente, altro da sé”, assume che il titolare del marchio ha in tal guisa la possibilità<br />
di “rappresentare all’esterno, in modo rilevabile, tutta una serie di informazioni alla cui comunicazione<br />
ha interesse”.<br />
( 66 ) Invero, una funzione di garanzia era riconosciuta già nel vigore della legge del 1942,<br />
ma non in via autonoma, bensì come “aspetto” della funzione distintiva, in tal senso: Guglielmetti,<br />
Il marchio celebre o “de haute renommée”, cit., p. 188; Mangini, Il marchio e gli altri<br />
segni distintivi, cit., p. 80; Vanzetti, Natura e funzioni giuridiche del marchio, in Aa.Vv., Problemi<br />
attuali del diritto industriale, Milano, 1977, p. 1164 ss.<br />
( 67 ) Mayr, in Commentario breve al diritto della concorrenza, cit., p. 958 ss.; Di Cataldo, I<br />
segni distintivi, Milano, 1993, p. 19.
OLIVIER DELGRANGE - AURORA VISENTIN<br />
Disciplina applicabile al recesso di un fabbricante italiano<br />
da un contratto di distribuzione con una parte francese<br />
Sommario: 1. Premessa. – 2. Qual è il foro competente per le controversie concernenti un<br />
contratto di distribuzione con un fabbricante italiano – 3. Le norme di diritto francese<br />
relative allo scioglimento del vincolo contrattuale e la loro cogenza. – 4. Il recesso dai<br />
contratti di distribuzione.<br />
1. – Una questione che può frequentemente porsi nell’ambito dei contratti<br />
di distribuzione conclusi tra una società italiana ed il suo distributore<br />
in Francia è quella di determinare modalità e conseguenze della risoluzione<br />
unilaterale del rapporto commerciale. Con la presente analisi si procederà<br />
ad esaminare la normativa francese, individuandone in primo luogo<br />
l’ambito d’applicazione per poi analizzare le singole prescrizioni in materia<br />
di recesso contrattuale. Prima di approcciare le problematiche di diritto sostanziale<br />
è, quindi, necessario affrontare quelle processuali, delimitando i<br />
casi in cui il foro francese è giurisdizionalmente competente.<br />
2. – Per determinare quale sia il giudice investito della risoluzione delle<br />
controversie in materia di recesso, si deve in primo luogo fare riferimento a<br />
quanto concordato dalle parti. I contraenti hanno, infatti, la massima libertà<br />
nella scelta del giudice competente per la risoluzione delle eventuali<br />
controversie contrattuali. Si constata, purtroppo, che esistono numerosi<br />
rapporti di distribuzione conclusi senza alcun contratto scritto o con un<br />
contratto scritto lacunoso.<br />
In mancanza di tale clausola contrattuale sulla giurisdizione ( 1 )è competente<br />
il giudice del luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è stata<br />
(o deve essere) eseguita ( 2 ), secondo quanto previsto dall’art. 5.1 a) del Regolamento<br />
n. 44 del 2001 ( 3 ).<br />
( 1 ) La cosiddetta «forum selection clause ». A questo proposito occorre ricordare che la<br />
clausola attributiva che figura sulle condizioni generali di vendita non è in principio applicabile<br />
alle controversie relative al rapporto quadro di distribuzione.<br />
( 2 ) Il contratto di distribuzione non è, infatti, né un contratto di vendita, né un contratto<br />
di prestazione di servizi, pertanto non potranno applicarsi le regole specifiche previste dal Regolamento<br />
all’art. 5.1 b), per individuare il foro competente. Cfr. Corte CE, 23 aprile 2009, n.<br />
533 e Cass. comm. fr., 5 marzo 2008, n. 06-21949.<br />
( 3 ) Art. 5 Regolamento 44 del 2001:
320 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Occorre, quindi, individuare la legge applicabile al contratto, tramite le<br />
disposizioni di diritto internazionale privato, per poi stabilire, in base a questa<br />
normativa, quale sia il luogo di esecuzione della specifica obbligazione<br />
oggetto della controversia.<br />
Anche in questo caso la scelta del diritto applicabile dipende innanzitutto<br />
dalla volontà dei contraenti.<br />
In assenza di una tale determinazione si dovrà avere riguardo alla normativa<br />
di diritto internazionale e quindi, per i contratti di distribuzione, alla<br />
Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle ob-<br />
“La persona domiciliata nel territorio di uno Stato membro può essere convenuta in un altro<br />
Stato membro: 1) a) in materia contrattuale, davanti al giudice del luogo in cui l’obbligazione dedotta<br />
in giudizio è stata o deve essere eseguita;<br />
b) i fini dell’applicazione della presente disposizione e salvo diversa convenzione, il luogo di<br />
esecuzione dell’obbligazione dedotta in giudizio è:<br />
- nel caso della compravendita di beni, il luogo, situato in uno Stato membro, in cui i beni sono<br />
stati o avrebbero dovuto essere consegnati in base al contratto,<br />
- nel caso della prestazione di servizi, il luogo, situato in uno Stato membro, in cui i servizi sono<br />
stati o avrebbero dovuto essere prestati in base al contratto.<br />
c) la lettera a) si applica nei casi in cui non è applicabile la lettera b);<br />
2) in materia di obbligazioni alimentari, davanti al giudice del luogo in cui il creditore di alimenti<br />
ha il domicilio o la residenza abituale o, qualora si tratti di una domanda accessoria ad<br />
un’azione relativa allo stato delle persone, davanti al giudice competente a conoscere quest’ultima<br />
secondo la legge nazionale, salvo che tale competenza si fondi unicamente sulla cittadinanza<br />
di una delle parti;<br />
3) in materia di illeciti civili dolosi o colposi, davanti al giudice del luogo in cui l’evento dannoso<br />
è avvenuto o può avvenire;<br />
4) qualora si tratti di un’azione di risarcimento di danni o di restituzione, nascente da reato,<br />
davanti al giudice presso il quale è esercitata l’azione penale, sempre che secondo la propria legge<br />
tale giudice possa conoscere dell’azione civile;<br />
5) qualora si tratti di controversia concernente l’esercizio di una succursale, di un’agenzia o<br />
di qualsiasi altra sede d’attività, davanti al giudice del luogo in cui essa è situata;<br />
6) nella sua qualità di fondatore, trustee o beneficiario di un trust costituito in applicazione<br />
di una legge o per iscritto o con clausola orale confermata per iscritto, davanti ai giudici dello Stato<br />
membro nel cui territorio il trust ha domicilio;<br />
7) qualora si tratti di una controversia concernente il pagamento del corrispettivo per l’assistenza<br />
o il salvataggio di un carico o un nolo, davanti al giudice nell’ambito della cui competenza<br />
il carico o il nolo ad esso relativo:<br />
a) è stato sequestrato a garanzia del pagamento o<br />
b) avrebbe potuto essere sequestrato a tal fine ma è stata fornita una cauzione o un’altra<br />
garanzia questa disposizione si applica solo qualora si faccia valere che il convenuto è titolare<br />
di un diritto sul carico o sul nolo o aveva un tale diritto al momento dell’assistenza o del salvataggio”.
SAGGI 321<br />
bligazioni contrattuali (ed il Regolamento “Roma I” d’attuazione) ( 4 ) sottoscritta<br />
sia dalla Francia che dall’<strong>Italia</strong> ( 5 ).<br />
Il Regolamento “Roma I”, al suo art. 4F, stabilisce che la legge che regola<br />
il contratto di distribuzione è quella del paese nel quale il distributore ha<br />
la residenza abituale ( 6 ).<br />
( 4 ) Occorre evidenziare che il Regolamento CE n. 593 del 2008 (detto Regolamento “Roma<br />
I”) si applica solo ai contratti conclusi dopo il 17 dicembre 2009; peraltro, per i contratti<br />
conclusi anteriormente la disciplina della Convenzione di Roma, così come interpretata dalla<br />
giurisprudenza, risulta identica a quella stabilita dal Regolamento (ad eccezione della giurisprudenza<br />
francese che in passato ha avuto la tendenza a localizzare il contratto di distribuzione<br />
nel paese del fabbricante).<br />
( 5 ) L’art. 57 della legge di diritto internazionale privato italiano ribadisce ciò che era già<br />
stato riconosciuto con la sottoscrizione da parte dell’<strong>Italia</strong> della Convenzione di Roma:<br />
“1. Le obbligazioni contrattuali sono in ogni caso regolate dalla Convenzione di Roma del 19<br />
giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali resa esecutiva con la L. 18 dicembre<br />
1984, n. 975, senza pregiudizio delle altre convenzioni internazionali, in quanto applicabili”.<br />
( 6 ) Art. 4 Regolamento “Roma I”:<br />
“1. In mancanza di scelta esercitata ai sensi dell’articolo 3 e fatti salvi gli articoli da 5 a 8, la<br />
legge che disciplina il contratto è determinata come segue:<br />
a) il contratto di vendita di beni è disciplinato dalla legge del paese nel quale il venditore ha<br />
la residenza abituale;<br />
b) il contratto di prestazione di servizi è disciplinato dalla legge del paese nel quale il prestatore<br />
di servizi ha la residenza abituale;<br />
c) il contratto avente per oggetto un diritto reale immobiliare o la locazione di un immobile è<br />
disciplinato dalla legge del paese in cui l’immobile è situato;<br />
d) in deroga alla lettera c), la locazione di un immobile concluso per uso privato temporaneo<br />
per un periodo di non oltre sei mesi consecutivi è disciplinata dalla legge del paese nel quale il proprietario<br />
ha la residenza abituale, purché il locatario sia una persona fisica e abbia la sua residenza<br />
abituale nello stesso paese;<br />
e) il contratto di affiliazione (franchising) è disciplinato dalla legge del paese nel quale l’affiliato<br />
ha la residenza abituale;<br />
f) il contratto di distribuzione è disciplinato dalla legge del paese nel quale il distributore ha<br />
la residenza abituale;<br />
g) il contratto di vendita di beni all’asta è disciplinato dalla legge del paese nel quale ha luogo<br />
la vendita all’asta, se si può determinare tale luogo;<br />
h) il contratto concluso in un sistema multilaterale che consente o facilita l’incontro di interessi<br />
multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, quali definiti all’articolo<br />
4, paragrafo 1, punto 17, della direttiva 2004/39/CE, conformemente a regole non discrezionali<br />
e disciplinato da un’unica legge, è disciplinato da tale legge.<br />
2. Se il contratto non è coperto dal paragrafo 1 o se gli elementi del contratto sono contemplati<br />
da più di una delle lettere da a) ad h), del paragrafo 1, il contratto è disciplinato dalla legge<br />
del paese nel quale la parte che deve effettuare la prestazione caratteristica del contratto ha la residenza<br />
abituale.<br />
3. Se dal complesso delle circostanze del caso risulta chiaramente che il contratto presenta
322 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Per quel che concerne la nostra analisi dovrà, quindi, farsi riferimento<br />
alla legislazione francese per individuare il luogo di esecuzione dell’obbligazione<br />
oggetto di giudizio e, di conseguenza, il foro competente.<br />
La dottrina più attenta sottolinea che “la scelta di raccordare la giurisdizione<br />
alla singola obbligazione dedotta in giudizio, anziché al rapporto contrattuale<br />
considerato nel suo insieme, implica la possibilità che, in relazione al<br />
medesimo accordo, risultino competenti tanti giudici di Stati diversi quante sono<br />
le obbligazioni nascenti dal rapporto” ( 7 ).<br />
Per quanto riguarda l’ipotesi di una domanda di risoluzione del contratto<br />
di distribuzione proposta da una società con sede in <strong>Italia</strong>, i giudici del<br />
Palazzaccio hanno escluso la giurisdizione italiana quando il distributore<br />
abbia residenza in Francia ed operi sul territorio francese ( 8 ).<br />
In conclusione si può affermare che un fabbricante italiano, che intende<br />
recedere da un rapporto di distribuzione con una controparte residente in<br />
Francia senza aver pattutito alcunchè in ordine al diritto applicabile al contratto<br />
ed al foro competente, dovrà attendersi, in caso di contenzioso, di vedere<br />
applicato il diritto francese e di essere chiamato in causa innanzi ad un<br />
tribunale francese.<br />
Una volta individuato il giudice competente in base ai criteri sopra de-<br />
collegamenti manifestamente più stretti con un paese diverso da quello indicato ai paragrafi 1 o 2,<br />
si applica la legge di tale diverso paese.<br />
4. Se la legge applicabile non può essere determinata a norma dei paragrafi 1 o 2, il contratto<br />
è disciplinato dalla legge del paese con il quale presenta il collegamento più stretto”.<br />
( 7 ) Franzina, La giurisdizione in materia contrattuale. L’art. 5 n. 1 del Regolamento n.<br />
44/2001/CE nella prospettiva dell’armonia delle decisioni, Padova, 2006, p. 28. Per la competenza<br />
di due giudici diversi (francese in materia di indennità di preavviso per rottura abusiva<br />
del contratto ed olandese per l’indennità di fine rapporto) nell’ambito di un medesimo contratto<br />
di distribuzione cfr. Cass. comm. fr., 8 febbraio 2000, n. 97-17388. La giurisprudenza della<br />
Corte CE ritiene che tutte le domande devono essere riunite innanzi al giudice competente<br />
per l’obbligazione principale, ma ciò determina a volte una serie di problematiche connesse<br />
all’individuazione di quale sia effettivamente l’obbligazione principale (cfr. Corte CE, 15<br />
gennaio 1987, Shenavai, causa C-266/85).<br />
( 8 ) Cass., sez. un., 27 febbraio 2008, n. 5091, Id., 17 luglio 2008 n. 19603 e Id., 30 giugno<br />
1999, n. 366: “nel caso di controversia tra una società italiana ed una società avente sede in Francia,<br />
legate da un contratto di concessione di vendita in esclusiva, che prevede la fornitura di macchinari<br />
da parte della società italiana in favore della società francese, con l’obbligazione di quest’ultima<br />
di vendere i macchinari in un certo territorio della Francia, poiché l’obbligazione nascente<br />
dalla concessione deve essere eseguita in Francia, in applicazione del suddetto criterio di<br />
collegamento, la cognizione della domanda di risoluzione del contratto proposta contro la società<br />
francese è sottratta alla giurisdizione del giudice italiano” (idem Cass., sez. un., 5 settembre<br />
1986, n. 5438; Id., 20 marzo 1986, n. 1971; Id., 20 dicembre 1982, n. 7040 e per l’applicazione<br />
dello stesso criterio in un caso opposto Cass., sez. un., 6 agosto 1998, n. 7714).
SAGGI 323<br />
scritti occorre stabilire quale fra la normativa francese e quella italiana è applicabile<br />
al contratto di distribuzione e regola, quindi, il diritto di recesso.<br />
3. – La risoluzione dei contratti di distribuzione, ed in generale dei contratti<br />
commerciali, è regolata dagli artt. 1134 del code civil e L 442-6, I, 5° del<br />
code de commerce.<br />
Per semplificare si può dire che l’art. 1134 del code civil punisce l’abuso<br />
del diritto di rompere un contratto, mentre l’art. L 442-6, I, 5° del code de<br />
commerce sanziona l’assenza del rispetto di un preavviso sufficiente.<br />
A quest’ultima norma la giurisprudenza ha riconosciuto carattere di ordine<br />
pubblico ( 9 )e ciò determina sul piano della contrattualistica internazionale<br />
due conseguenze rilevanti.<br />
In primo luogo, tale disposizione non potrà mai essere derogata se il<br />
contratto risulta sottoposto alla legge francese ed ogni clausola contraria<br />
sarà ritenuta nulla.<br />
Secondariamente, anche qualora la legge applicabile al contratto, designata<br />
dalle parti, sia una legge straniera (italiana o altra) tale norma imperativa<br />
dovrà essere applicata ogni volta in cui il giudice competente della risoluzione<br />
di una controversia sia quello francese.<br />
Partendo dal principio dell’inderogabilità delle norme di ordine pubblico<br />
internazionale si potrebbe, inoltre, eventualmente considerare che l’art.<br />
L 442-6, I, 5° del code de commerce fa parte dell’ordine pubblico internazionale<br />
e, quindi, deve essere applicato anche nel caso di competenza di un<br />
giudice straniero.<br />
4. – Nel procedere ad una compiuta analisi delle condizioni di recesso<br />
dal contratto di distribuzione previste dalla normativa francese occorre, innanzitutto,<br />
operare un distinguo tra contratti a tempo determinato ed indeterminato.<br />
Le regole applicabili e le possibilità offerte alla parte che intende<br />
liberarsi dal vincolo contrattuale sono, infatti, differenti a seconda della durata<br />
determinata o meno dell’accordo.<br />
a) I contratti di distribuzione a tempo determinato<br />
Secondo il regime di diritto comune non è possibile sciogliere unilateralmente<br />
un contratto a tempo determinato prima della sua scadenza.<br />
Questo principio risulta dalla forza obbligatoria delle pattuizioni contrattuali<br />
che determina il rispetto del termine convenuto ( 10 ).<br />
( 9 ) Cass. comm. fr., 21 ottobre 2008, n. 07-12336, App. Versailles, 14 ottobre 2004.<br />
( 10 ) Simler, L’article 1134 du Code civil et la résiliation unilatérale des contrats à durée déterminée,<br />
in JCP G, 1971, p. 2413.
324 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Di regola, quindi, è la scadenza del termine a segnare la fine delle obbligazioni<br />
reciproche delle parti in quanto è solo a questo punto che ciascuno<br />
dei contraenti riacquista la propria libertà negoziale e potrà scegliere, senza<br />
alcun obbligo di motivazione, se rinnovare o meno il contratto ( 11 ).<br />
Il divieto di sciogliere unilateralmente un contratto a tempo determinato<br />
prima della scadenza trova, però, un’eccezione nei contratti intuitu personae<br />
e nelle ipotesi di forza maggiore o colpa grave dell’altra parte ( 12 ).<br />
Ciascun contraente ha, infatti, il diritto di recedere, senza rispetto di alcun<br />
termine di preavviso ( 13 ), nel caso di cambiamento della persona dell’altro<br />
contraente quando l’identità di questa persona sia un elemento essenziale<br />
del contratto e nel caso di gravi mancanze dell’altra parte che rendano<br />
impossibile la continuazione del rapporto ( 14 ).<br />
Per fornire alcuni esempi tratti dalla giurisprudenza, un fornitore ha diritto<br />
di recedere, senza preavviso, da un contratto quando il concessionario<br />
arrivi alla metà della sua durata senza aver realizzato alcuna vendita di un<br />
prodotto ben commercializzato al di fuori del suo territorio di riferimento<br />
( 15 )o rifiuti sistematicamente di pagare gli importi dovuti ( 16 ).<br />
Viceversa, non è stato considerato gravemente colposo il comportamento<br />
di un concessionario che si rifiuti di fornire al fornitore le informazioni<br />
richieste sulla clientela ( 17 ).<br />
Terminata l’analisi della disciplina dei contratti a tempo determinato occorre<br />
passare ad esaminare in quali casi e con quali modalità è possibile recedere<br />
da quelli a tempo indeterminato.<br />
b) Il recesso dagli accordi di distribuzione a tempo indeterminato<br />
( 11 ) I giudici francesi si sono domandati se il soggetto che non intende proseguire nel rapporto<br />
economico deve comunicare tale volontà, rispettando un termine di preavviso, e la risposta<br />
non è stata unanime. Secondo una prima corrente, il diritto a non rinnovare un contratto<br />
a tempo determinato arrivato alla sua scadenza non può in alcun modo essere sottoposto<br />
al rispetto di un termine di preavviso, e ciò neppure nel caso di rinnovi taciti anteriori<br />
(App. Parigi, 12 gennaio 2005). Un’altra interpretazione ha invece condotto considerare che<br />
nell’ipotesi di molteplici e successivi rinnovi, si sia instaurata una relazione commerciale stabile<br />
che permette di qualificare il mancato rinnovo improvviso come una rottura brutale dei<br />
rapporti commerciali (App. Nancy, 10 marzo 2003).<br />
( 12 ) Come, per esempio, il caso della revoca del mandato di cui all’art. 2003 del code civil.<br />
( 13 ) Cass. comm. fr., 8 marzo 1967, n. 64-11531, in JCP G, 1968, II, p. 15346.<br />
( 14 ) Cass. 1 civ. fr., 28 ottobre 2003, n. 01-03.662, Cass. 1 civ. fr., 20 febbraio 2001, n. 99-<br />
15.170.<br />
( 15 ) Cass. comm. fr., 8 giugno 1999, n. 96-19.145.<br />
( 16 ) App. Colmar, 23 marzo 1979, in JCP G, 1979, IV, p. 335.<br />
( 17 ) App. Parigi, 25 novembre 1986.
SAGGI 325<br />
Secondo il diritto comune francese ciascuna delle parti ha il diritto di recedere<br />
in ogni tempo, anche parzialmente, da un contratto a tempo indeterminato,<br />
senza dover versare alcuna indennità e senza dover addurre alcun<br />
motivo, a patto che non ponga fine al rapporto commerciale bruscamente<br />
o abusivamente ( 18 ).<br />
È necessario, quindi, analizzare separatamente le ipotesi in cui una rottura<br />
contrattuale debba essere considerata brutale e quelle in cui debba essere<br />
considerata abusiva.<br />
La rottura brutale di una relazione commerciale<br />
In base a quanto previsto dall’art. L 442-6, I, 5° del code de commerce ( 19 )<br />
la parte che vuole rompere una relazione commerciale stabile deve informare<br />
l’altra parte per iscritto della sua decisione e concederle un preavviso<br />
proporzionato alla durata della relazione e conforme a quanto previsto dagli<br />
accordi interprofessionali e dagli usi commerciali ( 20 ).<br />
Prima di esaminare la durata del termine di preavviso occorre individuare<br />
quali sono le relazioni commerciali stabili, cui questo preavviso va riferito<br />
e che cosa si intende per “rottura” di queste relazioni.<br />
1) Quando una relazione commerciale è considerata stabile<br />
( 18 ) Cass. comm. fr., 14 marzo 2000, n. 97-15.981.<br />
( 19 ) Art. L 442-6, I, 5° del code de commerce:<br />
«I. – Engage la responsabilité de son auteur et l’oblige à réparer le préjudice causé le fait, par<br />
tout producteur, commerçant, industriel ou personne immatriculée au répertoire des métiers:<br />
5° De rompre brutalement, même partiellement, une relation commerciale établie, sans préavis<br />
écrit tenant compte de la durée de la relation commerciale et respectant la durée minimale de<br />
préavis déterminée, en référence aux usages du commerce, par des accords interprofessionnels.<br />
Lorsque la relation commerciale porte sur la fourniture de produits sous marque de distributeur,<br />
la durée minimale de préavis est double de celle qui serait applicable si le produit n’était pas fourni<br />
sous marque de distributeur. A défaut de tels accords, des arrêtés du ministre chargé de l’économie<br />
peuvent, pour chaque catégorie de produits, fixer, en tenant compte des usages du commerce,<br />
un délai minimum de préavis et encadrer les conditions de rupture des relations commerciales,<br />
notamment en fonction de leur durée. Les dispositions qui précèdent ne font pas obstacle à la faculté<br />
de résiliation sans préavis, en cas d’inexécution par l’autre partie de ses obligations ou en cas<br />
de force majeure. Lorsque la rupture de la relation commerciale résulte d’une mise en concurrence<br />
par enchères à distance, la durée minimale de préavis est double de celle résultant de l’application<br />
des dispositions du présent alinéa dans les cas où la durée du préavis initial est de moins de six<br />
mois, et d’au moins un an dans les autres cas ».<br />
( 20 ) La dottrina ha considerato che la redazione del codice imponga di rispettare il termine<br />
di preavviso più lungo tra quello determinato in applicazione del criterio della durata commerciale<br />
e quello previsto dagli accordi interprofessionali, in particolare nella parte in cui l’articolo<br />
prevede che il preavviso deve tener conto: «de la durée de la relation commerciale et respectant<br />
la durée minimale de préavis déterminée par des accords interprofessionnels ».
326 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
La giurisprudenza considera che l’espressione “relation commerciale<br />
établie” concerne ogni rapporto commerciale, anche non contrattuale, connesso<br />
all’attività di produzione, distribuzione o prestazione di servizi ( 21 ).<br />
Per determinare quando tale relazione è stabile la giurisprudenza ha fatto<br />
riferimento ad una serie di criteri indicativi.<br />
Innanzitutto una particolare attenzione è stata rivolta alla sua durata,<br />
primo indice della permanenza di un legame economico tra due società ( 22 ).<br />
Sono stati, inoltre, valutati:<br />
- il flusso regolare degli ordini ( 23 );<br />
- gli investimenti realizzati in una prospettiva di sviluppo delle relazioni<br />
( 24 );<br />
- l’evoluzione della cifra d’affari realizzata tra le parti ( 25 );<br />
- la continuità del rapporto commerciale: in quest’ottica il fatto di partecipare<br />
regolarmente per diversi anni ad una fiera professionale, data la sua<br />
intermittenza, non è stato considerato sufficiente per determinare la presenza<br />
di una relazione stabile ( 26 ).<br />
2) Che cosa si intende per “rottura” di una relazione commerciale<br />
L’art. L 442-6, I, 5° del code de commerce stigmatizza il fatto di rompere<br />
brutalmente “anche parzialmente” una relazione commerciale.<br />
Questa norma permette, quindi, di applicare le proprie disposizioni anche<br />
nel caso di recesso parziale dal rapporto economico che si può verificare<br />
qualora una parte diminuisca il proprio volume di ordini ovvero cessi gli<br />
ordini relativi ad un determinato prodotto o ad una determinata gamma di<br />
prodotti o non rinnovi il volume degli ordini precedenti. Se il calo degli or-<br />
( 21 ) Con il termine relazione si fa riferimento sia ai rapporti contrattuali, sia a quelli precedenti<br />
e successivi la sottoscrizione di un accordo e sia quelli che non si inseriscono in un vero<br />
contratto quadro ma che possono comunque essere ricondotti ad una relazione d’affari, in<br />
quanto concernono dei rapporti commerciali con la clientela (cfr. Cass. comm. fr., 17 marzo<br />
2004, n. 02-14751 e Lachieze, La rupture des relations commerciale à la croisée du droit commun<br />
et du droit de la concurrence , in JCP, éd. E, 2004, p. 1815). Cfr. anche Trib. Comm. Avignon,<br />
25 giugno 1999, App. Versailles, 10 giugno 1999 e App. Douai, 15 marzo 2001.<br />
( 22 ) Il Tribunale di Avignone ha ritenuto stabile un rapporto commerciale perdurante da<br />
5 anni (sent. 25 giugno 1999, in Dalloz aff., act. Jur., 1999, p. 19, obs. EP), mentre cinque ordini<br />
inviati nell’arco di tempo di 6 mesi non sono stati considerati sufficienti a definire come stabile<br />
una relazione (Cass. comm. fr., 25 aprile 2006, n. 02-19577, Cass. comm. fr., 18 dicembre<br />
2007, n. 06-10390).<br />
( 23 ) App. Versailles, 18 novembre 2004.<br />
( 24 ) Meffre, 36° 5 le matin ou de la brutalité dans les relations commerciales, in Dalloz aff.,<br />
1999, p. 1143.<br />
( 25 ) App. Montpellier, 11 agosto 1999, Dalloz aff., act. jur., 1999, p. 28, obs. EP.<br />
( 26 ) Cass. com., 16 dicembre 2009 n° 08-19-200, in Rjda n. 1/10 n° 81.
SAGGI 327<br />
dini è giustificato dal disinteresse del consumatore al prodotto venduto,<br />
non ci si trova nell’ipotesi di recesso parziale ma nella semplice modifica del<br />
rapporto contrattuale. Un altro caso di recesso parziale è stata individuata in<br />
una modificazione delle condizioni tariffarie ( 27 ).<br />
Una volta compiuta l’analisi del concetto di relazione stabile a cui la disciplina<br />
della brusca rottura può essere applicata, si deve passare ad analizzare<br />
quale durata debba avere il termine di preavviso che la parte recedente<br />
deve concedere all’altra per non incorrere in tale sanzione.<br />
3) Quanto deve essere lungo il preavviso che la parte che intende recedere<br />
deve concedere all’altra<br />
La Suprema Corte ha chiaramente sancito che la funzione del preavviso<br />
è quella di permettere al contraente che subisce il recesso di riorganizzare<br />
la propria attività ( 28 ). Il periodo di tempo concessogli prima della<br />
fine del rapporto commerciale può quindi consentire all’altra parte per<br />
esempio di trovare nuovi sbocchi alla propria produzione o di smaltire lo<br />
stock.<br />
Preavviso e riorganizzazione dell’altro contraente sono, quindi, intimamente<br />
legate: la dottrina ha correttamente evidenziato che la regola prevista<br />
dall’art. L 442-6, I, 5° del code de commerce ha come legittima preoccupazione<br />
quella di evitare che la vittima del recesso subisca un pregiudizio importante<br />
( 29 ).<br />
Per quanto concerne la durata di tale preavviso, il codice del commercio<br />
francese stabilisce che si deve tenere conto della durata del rapporto<br />
commerciale ( 30 ) ma accanto a tale criterio la giurisprudenza ne ha individuati<br />
altri, tenendo conto delle diverse circostanze proprie di ciascun contratto.<br />
In questo senso l’importanza finanziaria delle relazioni anteriori ( 31 ), la<br />
presenza di una clausola di esclusività, la dipendenza economica di una delle<br />
parti ( 32 ), o ancora la presenza di investimenti consistenti sono fattori che<br />
( 27 ) App. Versailles, 6 marzo 2003.<br />
( 28 ) Cass. comm. fr., 9 marzo 2010, n. 08-21.055, App. Lione, 7 gennaio 2010.<br />
( 29 ) Azema, La durée des contrats successifs,These LGDJ 1969, n. 228.<br />
( 30 ) La Suprema Corte ha ritenuto che un preavviso di due mesi nel caso di una lunga durata<br />
del rapporto contrattuale possa qualificare la rottura come “brusca” (Cass. comm. fr., 9<br />
marzo 1976, n. 74-10.889 e Id., 28 febbraio 1995, n. 93-14437).<br />
( 31 ) Cass. comm. fr., 16 febbraio 1988, n. 86-16207.<br />
( 32 ) Il tribunale commerciale di Parigi ha recentemente ritenuto integrato un abuso della<br />
relazione di dipendenza del distributore in un caso in cui era stata provata la concomitanza di<br />
una serie di elementi quali: un’instabilità relazionale di una parte rispetto all’altra, una pressione<br />
continua sui prezzi realizzata dal fornitore dietro minaccia della risoluzione del con-
328 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
devono essere tenuti in conto nel momento in cui si deve stabilire la durata<br />
del preavviso.<br />
A fini esclusivamente esemplificativi si può tracciare, in linea assolutamente<br />
approssimativa, un quadro di riferimento generale, tratto dalle decisioni<br />
giurisprudenziali, circa la durata minima e ragionevole di un periodo<br />
di preavviso in relazione alla durata del rapporto commerciale.<br />
Durata relazione Durata preavviso Decisioni<br />
Più di 10 anni Da 12 a 18 mesi App. Angers 24 gennaio 2006,<br />
App. Aix en Provence 7 settembre<br />
2006, App. Montpellier 24<br />
gennaio 2006, App. Paris 15 maggio<br />
2008, 8 gennaio 2009, 22 gennaio<br />
2009 e 17 giugno 2009, App.<br />
Douai 6 luglio 2009<br />
Da 6 a 10 anni Da 6 a 12 mesi App. Nancy 10 marzo 2004, App.<br />
Paris 20 aprile 2005, App. Paris 16<br />
novembre 2005 e 28 ottobre 2005,<br />
App. Paris 17 ottobre 2008, App.<br />
Rennes 16 gennaio 2009 e 3 novembre<br />
2009<br />
Da 1 anno a 5 anni Da 3 mesi a 6 mesi App. Versailles 20 febbraio 2003 e<br />
6 marzo 2003, App. Rennes 9 settembre<br />
2003, Cass. comm. fr. 12<br />
maggio 2004 n. 01-12.865, App.<br />
Paris 10 dicembre 2008, 24 giugno<br />
2009, App. Lione 4 giugno 2009<br />
Si evidenzia che in una recente decisione la Corte di Cassazione francese<br />
ha stabilito che incombe sul giudice l’obbligo di valutare la congruità del<br />
termine concesso all’altro contraente anche quando questo è previsto contrattualmente<br />
( 33 ).<br />
Analizzata la durata del termine di preavviso che la società che intende<br />
recedere deve rispettare, si devono esaminare le conseguenze connesse al<br />
mancato rispetto di tale preavviso, con particolare riferimento alla natura<br />
della responsabilità del contraente che recede bruscamente ed alle sanzioni<br />
ad essa collegate.<br />
tratto e il rifiuto costantemente opposto da questi ad una rivalutazione delle tariffe applicate<br />
al distributore (Trib. comm. Paris, 24 giugno 2009, n. 200706678); cfr. anche App. Paris, 8 dicembre<br />
1994, Cass. comm. fr., 15 giugno 2010, n. 09-66.761, Cass. comm. fr., 19 settembre 2006,<br />
n. 03-16.629.<br />
( 33 ) Cass. comm. fr., 2 dicembre 2008, n. 08-10731, “le respect de préavis prévu au contrat<br />
n’est pas suffisant pour exonérer l’auteur de la rupture du manquement de brusque rupture qui lui<br />
est impute par le concessionnaire”, Cass. comm. fr., 12 maggio 2004, in JCP E, 2004, I, p. 1393.
SAGGI 329<br />
4) La responsabilità della parte che recede brutalmente dal contratto è<br />
contrattuale o extracontrattuale<br />
Secondo la giurisprudenza dominante, la parte che recede brutalmente<br />
risponderà del danno arrecato all’altro contraente in via extracontrattuale<br />
( 34 )e l’attore potrà scegliere quale foro adire tra quello del luogo dove<br />
il convenuto ha il suo domicilio, quello del luogo del fatto causativo di danno<br />
o ancora quello del luogo dove il danno si è prodotto e ciò anche in presenza<br />
di una clausola contrattuale che preveda un tribunale diverso ( 35 ).<br />
Il carattere extracontrattuale della responsabilità comporta che essa sarà<br />
valutata in base alla legge che era in vigore il giorno in cui il danno si è verificato<br />
e che la legge applicabile a tale tipo di responsabilità, in mancanza di<br />
scelta ed in base a quanto stabilito da Regolamento CE n. 864/2007 (cd. Regolamento<br />
“Roma II”) ( 36 ), sarà quella dello Stato del luogo in cui il danno<br />
si è prodotto ( 37 ).<br />
Con due recenti decisioni la Corte di Cassazione francese ha ammesso<br />
la validità delle clausole attributive di competenza anche in presenza di tale<br />
carattere extracontrattuale della responsabilità per recesso brutale, quando<br />
la clausola attributiva della competenza riguardi tutte le controversie derivanti<br />
dal contratto ( 38 ).<br />
( 34 ) Cass. comm. fr., 6 febbraio 2007, n. 04-13.178, Cass. comm. fr., 13 gennaio 2009, n.<br />
08.13971.<br />
( 35 ) Cass. comm. fr., 21 ottobre 2008, n. 07-12.336, Cass. comm. fr., 11 maggio 2010, n. 09-<br />
10797.<br />
( 36 ) Regolamento CE n. 864/2007 (cd. Regolamento “Roma II”)<br />
Art. 14 «1. Le parti possono convenire di sottoporre l’obbligazione extracontrattuale ad una<br />
legge di loro scelta: a) con un accordo posteriore al verificarsi del fatto che ha determinato il danno;<br />
o b) se tutte le parti esercitano un’attività commerciale, anche mediante un accordo liberamente<br />
negoziato prima del verificarsi del fatto che ha determinato il danno.<br />
La scelta è espressa o risulta in modo non equivoco dalle circostanze del caso di specie e non<br />
pregiudica i diritti dei terzi.<br />
2. Qualora tutti gli elementi pertinenti alla situazione siano ubicati, nel momento in cui si verifica<br />
il fatto che determina il danno, in un paese diverso da quello la cui legge è stata scelta, la<br />
scelta effettuata dalle parti non pregiudica l’applicazione delle disposizioni alle quali la legge di<br />
tale diverso paese non permette di derogare convenzionalmente.<br />
3. Qualora tutti gli elementi pertinenti alla situazione siano ubicati, nel momento in cui si verifica<br />
il fatto che determina il danno, in uno o più Stati membri, la scelta di una legge applicabile<br />
diversa da quella di uno Stato membro ad opera delle parti non pregiudica l’applicazione delle disposizioni<br />
del diritto comunitario, se del caso, nella forma in cui sono applicate nello Stato membro<br />
del foro, alle quali non è permesso derogare convenzionalmente ».<br />
( 37 ) Cass. comm. fr., 21 ottobre 2008, n. 07-12336.<br />
( 38 ) Cass. comm. fr., 9 marzo 2010, n. 09-10216 e Cass. 1 civ. fr., 8 luglio 2010, n. 09-67013.
330 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
5) Come viene calcolato l’indennizzo per la brusca rottura contrattuale<br />
La riparazione del danno per la brusca rottura del contratto normalmente<br />
viene fatta per equivalente, anche se si deve evidenziare che in alcuni<br />
casi la Corte di Cassazione ha ammesso che il giudice “des référés” possa<br />
ordinare il mantenimento del contratto a titolo conservativo ( 39 ).<br />
L’autore della rottura considerata brutale potrà, quindi, essere condannato<br />
al risarcimento dei danni il cui ammontare è spesso elevato.<br />
La vittima del brusco recesso potrà chiedere il versamento degli importi<br />
corrispondenti sia al lucro cessante che al danno emergente correlati all’improvvisa<br />
rottura del contratto.<br />
Per valutare il mancato guadagno la Cassazione francese assume come<br />
riferimento il margine lordo che avrebbe realizzato la vittima dell’indebito<br />
recesso sulla cifra d’affari legata al contratto ormai sciolto ( 40 ). In applicazione<br />
di questo principio la giurisprudenza ha, quindi, spesso provveduto a<br />
moltiplicare la durata del preavviso che avrebbe dovuta essere rispettata per<br />
la media del margine mensile realizzato nell’anno precedente a quello del<br />
recesso ( 41 ).<br />
Per quanto concerne il danno emergente le richieste delle vittime della<br />
rottura sono molto diverse e l’indennizzo risulta più difficile da valutare. In<br />
quest’ottica possono, se provati, essere risarciti il pregiudizio morale e la<br />
perdita dell’immagine ( 42 ), gli investimenti non ammortizzati ( 43 ) ed i costi<br />
della ristrutturazione della società ( 44 ), o ancora l’eventuale diminuzione o<br />
la cessazione dell’attività dell’<strong>impresa</strong> ( 45 ).<br />
In quest’ordine di considerazioni si pone la problematica relativa alla sorte<br />
dello stock nel caso in cui il distributore abbia acquistato i prodotti in vista<br />
di una loro futura rivendita o in esecuzione di un obbligo impostogli contrattualmente<br />
dal fornitore ( 46 ). In tali casi, infatti, questi avrà obiettive difficoltà<br />
nel commercializzare le rimanenze alla fine del contratto, soprattutto se nel<br />
frattempo il fornitore ha concluso un altro contratto di esclusiva.<br />
Una parte della dottrina francese ha, quindi, posto a carico del fornitore<br />
( 39 ) Cass. 1 civ. fr., 7 novembre 2000, Cass. 1 civ. fr., 29 maggio 2001.<br />
( 40 ) Cass. comm. fr., 3 dicembre 2002, n. 99-19822.<br />
( 41 ) Nel caso di contratti di lunga durata hanno preso come riferimento la cifra d’affari<br />
realizzata nei precedenti 3 anni.<br />
( 42 ) Trib. comm. Paris, 2 aprile 1999.<br />
( 43 ) Cass. comm. fr., 5 aprile 1994, n. 92-17.278.<br />
( 44 ) App. Douai, 15 marzo 2001.<br />
( 45 ) App. Douai, 15 marzo 2001, Cass. comm. fr., 23 aprile 2003, n. 01-11664.<br />
( 46 ) Cass. comm. fr., 18 gennaio 1972, n. 69-14.696.
SAGGI 331<br />
l’obbligo di riacquistare lo stock, facendo perno sulle disposizioni di ordine<br />
pubblico di cui agli artt. 1626 ss. del code civil che prevedono la garanzia per<br />
evizione dovuta dal venditore e ritenendo che il fornitore che ha venduto i<br />
propri prodotti al distributore debba, poi, astenersi dall’arrecare turbamento<br />
alla libera disposizione e godimento degli stessi ( 47 ).<br />
I giudici di merito hanno, invece, imposto al fornitore la ripresa dello<br />
stock sulla base di differenti considerazioni. La condanna del fornitore alla<br />
ripresa delle rimanenze è stata così giustificata da alcuni tribunali, riconducendo<br />
il contratto di distribuzione all’ipotesi del mandato ( 48 ). Altre pronunce,<br />
invece, hanno posto a carico di una parte piuttosto che di un’altra lo<br />
stock, ricorrendo alla valutazione della loro comune intenzione ( 49 ).<br />
La Suprema Corte francese ha condannato alla ripresa dello stock il fornitore<br />
che aveva receduto abusivamente o senza rispetto del termine di<br />
preavviso dal contratto ( 50 ), mentre ha escluso che questi dovesse farsi carico<br />
delle rimanenze nel caso in cui avesse messo fine al contratto in ragione<br />
delle colpe imputabili al distributore ( 51 )o quando avesse solo raccomandato<br />
ma non imposto la costituzione di tale stock ( 52 ).<br />
Sempre con riferimento al risarcimento del danno emergente, i giudici<br />
hanno fatto applicazione dell’articolo 1224-1 del codice del lavoro francese<br />
(equivalente all’art. 2112 del codice civile italiano) che prevede che, nel caso<br />
in cui si verifichi una variazione nella situazione giuridica del datore di lavoro<br />
per successione, vendita, fusione, trasformazione o apporto in società,<br />
tutti i contratti in essere al giorno della modificazione passano al nuovo titolare<br />
( 53 ).<br />
L’Assemblea Plenaria della Corte di Cassazione, nel precisare l’ambito<br />
di applicazione di tale principio, ha stabilito che esso rileva in presenza di<br />
una clausola di non concorrenza a carico del distributore: quando il contratto<br />
contiene una tale previsione, infatti, l’attività del distributore viene a<br />
( 47 ) Cabrillac, Les sort des stocks détenus par le revendeur lors de l’expiration de la concession<br />
de vente, in Dalloz Chr., 1964, p. 181.<br />
( 48 ) App. Parigi, 12 ottobre 1966.<br />
( 49 ) Così, per esempio, è stato in alcune ipotesi desunto dalle stipulazioni contrattuali che<br />
le merci erano state acquisite dal distributore sotto condizione risolutoria implicita in base alla<br />
quale esse sarebbero state rivendute al fornitore alla fine del contratto, cfr. Cass. comm. fr.,<br />
22 gennaio 1969, n. 66-14.566.<br />
( 50 ) Cass. comm. fr., 22 gennaio 1969, n. 66-14.566, Cass. comm. fr., 26 ottobre 1982, n. 81-<br />
12.360<br />
( 51 ) Cass. comm. fr., 8 marzo 1967, n. 64-11.531.<br />
( 52 ) Cass. comm. fr., 26 ottobre 1982, n. 81-12.360.<br />
( 53 ) Cass. soc. fr., 9 novembre 1982, n. 80-41.202.
332 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
cessare completamente al momento dello scioglimento dell’accordo e l’art.<br />
1224-1 del codice del lavoro potrà essere invocato dai lavoratori per obbligare<br />
il fornitore a procedere alla loro assunzione ( 54 ).<br />
Tale impostazione, nata con l’intento di avvantaggiare i lavoratori, ha finito<br />
però per essere spesso applicata in maniera aberrante. In casi di scioglimento<br />
di contratti di distribuzione non esclusiva gli impiegati sono stati incaricati<br />
di lavorare per metà tempo con il distributore e per l’altra metà con<br />
il nuovo incaricato dal fornitore. In altre ipotesi di recesso dai contratti di<br />
fornitura esclusiva i lavoratori sono stati sollevati dagli incarichi fino a quel<br />
momento assegnati dal distributore senza essere effettivamente licenziati,<br />
ma senza neppure essere presi alle dipendenze del vecchio fornitore o del<br />
nuovo distributore esclusivo da questi scelto.<br />
Sempre nell’ottica di fornire uno schema esemplificativo si fornisce una<br />
tabella con alcune decisioni recenti che hanno stabilito diversi indennizzi<br />
differenti per differenti ipotesi di brusca rottura delle relazioni commerciali.<br />
Fattispecie Risarcimento per brusca rottura Decisioni<br />
<strong>Contratto</strong> di fabbricazione<br />
esclusiva di etichette in corso<br />
da 5 anni, rottura per iniziativa<br />
del distributore, assenza<br />
di preavviso<br />
Preavviso ritenuto ragionevole:<br />
6 mesi, pregiudizio calcolato<br />
sulla perdita di margine<br />
nei 6 mesi di preavviso<br />
non rispettato. Margine fissato<br />
App. Rennes 22 gennaio 2009<br />
al 15% della cifra d’affari<br />
in assenza di un documento<br />
giustificativo<br />
<strong>Contratto</strong> di edizione di brochures<br />
pubblicitarie in corso<br />
da 18 anni, assenza di prevviso<br />
scritto<br />
<strong>Contratto</strong> di fornitura esclusiva<br />
di estratti pastorizzati di<br />
piante perdurante da 5 anni,<br />
assenza di contratto scritto<br />
<strong>Contratto</strong> di distribuzione di<br />
materie prime perdurante da<br />
5 anni, rottura da parte del<br />
fornitore, preavviso di un<br />
mese e mezzo<br />
Preavviso ritenuto ragionevole:<br />
un anno e mezzo, indennizzo<br />
del pregiudizio fissato<br />
nel margine lordo degli<br />
ultimi 3 anni, più risarcimento<br />
del danno morale<br />
Durata del preavviso ritenuta<br />
ragionevole: 3 mesi, risarcita<br />
la perdita ingiustificata<br />
dello stock e degli investimenti,<br />
più indennizzo perdita<br />
della chance identificata<br />
nella percentuale della cifra<br />
d’affari realizzata con il recedente<br />
Durata del preavviso ritenuta<br />
ragionevole: 6 mesi, indennizzo<br />
del pregiudizio calcolato<br />
a partire dal margine lordo<br />
realizzato negli ultimi 3 anni<br />
( 54 ) Cass. ass. plen. fr.,15 novembre 1985, n. 82-40.301.<br />
App. Paris 22 gennaio 2009<br />
App. Nimes 12 febbraio 2009<br />
App. Lyon 4 giugno 2009
SAGGI 333<br />
Al fine di evitare il proliferare di decisioni discordanti in materia di rottura<br />
di una relazione stabile, il decreto n. 2009-1384 dell’11 novembre 2009<br />
ha individuato 8 tribunali commerciali competenti per tali cause, che si indicano<br />
nello schema sottostante.<br />
Sede del tribunale<br />
Marseille<br />
Bordeaux<br />
Lille<br />
Fort de France<br />
Nancy<br />
Paris<br />
Rennes<br />
Competenza (circondario della Corte di Appello)<br />
Aix en Provence, Bastia, Montpellier et Nîmes<br />
Agen, Bordeaux, Limoges, Pau et Toulouse<br />
Amiens, Douai, Reims e Rouen<br />
Basse-Terre e Forte de France<br />
Besançon, Colmar, Dijon, Metz e Nancy<br />
Bourges, Paris, Orléans, Saint Denis de la Réunion<br />
e Versailles<br />
Angers, Caen, Poitiers e Rennes<br />
Tutti gli appelli sono esaminati dalla Corte di Appello di Parigi.<br />
Dopo aver esaminato il recesso brutale dalle relazioni commerciali,<br />
per completezza dell’analisi ed in ultimo ricordiamo la definizione del recesso<br />
abusivo.<br />
Il recesso abusivo<br />
L’art. 1134 del codice civile francese fa divieto alla parte di recedere da<br />
un contratto abusando del suo diritto di rottura, ovvero, agendo in mala<br />
fede o con il solo scopo di nuocere all’altro contraente e di pregiudicare<br />
l’attività commerciale di quest’ultimo.<br />
L’abuso nel diritto di recesso può essere integrato anche nel caso in<br />
cui il termine di preavviso sia stato rispettato ( 55 ).<br />
La giurisprudenza ha considerato abusivo:<br />
- il rifiuto di sospendere l’applicazione di una clausola di esclusiva durante<br />
il periodo di preavviso, in modo da mettere a rischio l’esistenza dell’altro<br />
contraente ( 56 );<br />
- l’assunzione, in concomitanza con il recesso, di dipendenti dell’altra<br />
parte, attuata mediante la concessione di vantaggi esorbitanti in loro favore;<br />
- il comportamento incoerente di un fornitore che, dopo aver creato<br />
nel distributore un’aspettativa legittima di prosecuzione del contratto,<br />
( 55 ) Cass. comm. fr., 5 ottobre 1993, n. 91-10.408.<br />
( 56 ) Cass. comm. fr., 23 gennaio 2007, n. 04-16.779.
334 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
costringendolo a realizzare importanti investimenti, gli comunichi la propria<br />
intenzione di recedere dal contratto ( 57 ).<br />
Si può, quindi, considerare brutale la rottura di una relazione commerciale<br />
quando essa avviene senza alcun preavviso; abusiva quando essa risulta immotivata<br />
o fondata su una motivazione futile o non veritiera ( 58 ).<br />
( 57 ) Behar-Touchais e Virassamy, Les contrats de distribution, in LGDJ, 1999, n. 258, p.<br />
128.4.<br />
( 58 ) Cass. comm. fr., 6 maggio 2008, n. 07-11.735.
ROBERTO CIPPITANI<br />
Il concetto giuridico di sovvenzione nel diritto<br />
dell’Unione europea e nel diritto nazionale<br />
Sommario: 1. Individuazione del concetto di sovvenzione. – 2. Profili strutturali. – 3. La<br />
clausola di scopo. – 4. Distinzione tra sovvenzioni e appalti in base alle categorie civilistiche.<br />
– 5. Critica all’utilizzo dei concetti civilistici: interesse, obbligazioni e contratti. –<br />
6. L’assenza di corrispettività. —7. La gratuità. – 8. L’iniziativa nella domanda di sovvenzione.<br />
– 9. Il procedimento nella scelta del beneficiario. – 10. La modalità di erogazione<br />
del contributo. – 11. Il carattere associativo del rapporto di sovvenzione. – 12. Funzione<br />
delle sovvenzioni.<br />
1. – La letteratura giuridica ha cominciato a occuparsi di finanziamenti<br />
pubblici almeno da due secoli, ma è solo in tempi relativamente recenti che<br />
ci si è dedicati in modo sistematico ad approfondire gli aspetti legali del fenomeno<br />
( 1 ).<br />
Ciò soprattutto per l’accrescersi dell’importanza dei finanziamenti nazionali,<br />
quelli delle organizzazioni internazionali ( 2 ), e soprattutto dei programmi<br />
dell’Unione europea ( 3 ). Questi ultimi sono particolarmente interessanti,<br />
oltre che per il loro ruolo nel processo di integrazione europea ( 4 ),<br />
perché sono caratterizzati da una disciplina molto dettagliata, sia in senso<br />
generale (cfr. soprattutto il regolamento 1605/2002 del Consiglio e il regola-<br />
( 1 ) V., tra gli altri, Serrani, Lo Stato finanziatore, Milano, 1971.<br />
( 2 ) Le organizzazioni internazionali finanziatrici sono diverse: si pensi solo alle Agenzie<br />
dell’ONU, alla Banca Mondiale, alla Nato e alle organizzazioni culturali e scientifiche come il<br />
CERN, l’ESA, il Consiglio d’<strong>Europa</strong>. I finanziamenti, inoltre, possono essere accordati in base<br />
ad accordi intergovernativi; è il caso, in <strong>Europa</strong>, dei finanziamenti nel settore della cooperazione<br />
scientifica, di cui sono esempio i programmi EUREKA e COST. Per un quadro generale,<br />
v. Zaccaria, voce Finanziamento degli enti internazionali, in Enc. giur., vol. XIV, Roma,<br />
1989, p. 1 ss. Sulla cooperazione intergovernativa in materia scientifica e culturale cfr.<br />
Cippitani, L’<strong>Europa</strong> della conoscenza (la ricerca e l’educazione al centro della costruzione comunitaria),<br />
in Cultura dell’integrazione europea, a cura di Sediari,Torino, 2005, p. 81 ss.<br />
( 3 ) Cfr. Castaldi, voce Sovvenzioni, incentivi e finanziamenti pubblici, in Digesto, disc.<br />
priv., sez. comm., vol. XV, Torino, 1998, p. 84 ss., spec. p. 95 ss.; Padoin, I finanziamenti delle<br />
Comunità Europee. Organismi, competenze, procedure, destinatari, utilizzazioni, Roma, 1989.<br />
( 4 ) Ruberti, Il capitale immateriale, in Un nuovo partito della Sinistra, Forum della Sinistra,<br />
14 marzo 1997, in Università progetto, agosto-settembre 2000.
336 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
mento 2342/2002 della Commissione), sia con riguardo agli specifici programmi<br />
di finanziamento.<br />
In questo quadro non sempre i concetti giuridici utilizzati hanno un significato<br />
ben definito, sia nella letteratura giuridica, sia nella prassi ( 5 ).<br />
Qui si vuole approfondire, in particolare, il concetto di sovvenzione, che<br />
è una delle tecniche più utilizzate nei finanziamenti pubblici, ma non certo<br />
l’unica ( 6 ). I programmi di finanziamento ( 7 ) sono attuati anche attraverso<br />
mutui a tasso agevolato ( 8 ), appalti ( 9 ), partecipazioni ( 10 ), e altre tecniche<br />
ancora (per esempio premi, borse di studio, voucher, e così via).<br />
( 5 ) Tutti le voci dottrinali sul tema mettono in luce l’ambiguità delle espressioni utilizzate.<br />
V., per es., Carabba, voce Incentivi finanziari, in Enc. dir., vol. XX, Milano, 1970, p. 963.<br />
( 6 ) Gli strumenti di finanziamento possono essere diversi, come emergeva anche dal documento<br />
«Vade-mecum on Grant Management », versione 1° agosto 2000, della Commissione<br />
europea: «Commission spending (. . .) is broken down into the following categories: (a) Spending<br />
on personnel, (b) Loans and participations, (c) Procurement spending, i.e. purchasing on the<br />
market a service or product, as defined in the procurement Directives and the Financial Regulation,<br />
(d) Financial aid to promote a policy aim: (i) paid to the beneficiary directly by the Commission<br />
(“grant”, sometimes also called “financial contribution”, “subsidy” etc.), (ii) paid to the beneficiary<br />
indirectly via a Member State, via a foreign government, or via a body designated by a<br />
State, in the context of the decentralised management of Community activities (“transfer”) ».<br />
( 7 ) La possibilità di utilizzare una nozione generale in questo campo, indipendentemente<br />
dalla tecnica di finanziamento adottata, è confermata dal recente La subvention publique, le<br />
marché public et la délégation de service public. Mode d’emploi, del 1° marzo 2007, elaborato dal<br />
Ministère de la Jeunesse, des Sports et de la Vie associative, in collaborazione con il Ministère de<br />
l’Économie, des Finances et de l’industrie, Ministère de l’Intérieur, reperibile, tra l’altro, su<br />
http://www.associations.gouv.fr/article.php3id_article=485. Nel documento si utilizza il concetto<br />
generale di activités financières publiques, comprendente: « 1. la dépense publique (achats<br />
publics) résultant d’un contrat conclu entre l’autorité publique et un cocontractant sous la condition<br />
d’une contrepartie directe au profit de l’autorité administrative versante qui doit en principe<br />
donner lieu à la conclusion d’un marché public; 2. La dépense publique engagée à l’initiative d’une<br />
personne morale de droit public dans le cadre d’un contrat confiant à un tiers la gestion d’un<br />
service public dont elle a la responsabilité; 3. Le concours financier versé sans contrepartie équivalente<br />
pour la collectivité versante ».<br />
( 8 ) Cfr., per quanto riguarda i programmi comunitari, l’art. 160, par. 2, lett. a), reg.<br />
2342/2002.<br />
( 9 ) Tra gli esempi di politiche attuate attraverso i contratti di appalto, oltre che con lo strumento<br />
della sovvenzione: la cooperazione internazionale e l’assistenza alla preadesione. Riguardo<br />
a quest’ultima v. l’art. 121 del citato reg. 718/2007 della Commissione. V. anche il TA-<br />
CIS (reg. del Consiglio n. 1279/1996, relativo alle prestazioni di assistenza per la riforma e per<br />
il rilancio dell’economia dei Nuovi Stati Indipendenti e in Mongolia), che riguardava l’azione<br />
per la fornitura gratuita di prodotti agricoli destinati alle popolazioni dell’Armenia, della<br />
Georgia e di altri paesi (reg. del Consiglio n. 1975/95); la politica ambientale, come previsto<br />
dall’art. 5 del reg. 614/2007 che istituisce il programma Life+; la protezione civile, v. art. 6 del-
SAGGI 337<br />
Le definizioni di « sovvenzione » sono contenute nelle fonti sovranazionali<br />
e in alcuni ordinamenti nazionali.<br />
Nel diritto dell’Unione europea le sovvenzioni (grants, subventions, subvenciones,<br />
Finanzhilfen, subvenções, ecc.) sono definite dal regolamento del<br />
Consiglio n. 1605/2002 come « contributi finanziari diretti a carico del bilancio,<br />
accordati a titolo di liberalità, per finanziare (. . .): a) un’azione destinata<br />
a promuovere la realizzazione di un obiettivo che si iscrive nel quadro<br />
di una politica dell’Unione europea; b) oppure il funzionamento di un organismo<br />
che persegue uno scopo di interesse generale europeo o un obiettivo<br />
che si iscrive nel quadro di una politica dell’Unione europea ».<br />
Per quanto riguarda gli esempi tratti dai diritti nazionali, l’art. 2, comma<br />
1, della Ley General de Subvenciones spagnola stabilisce che: «Se entiende por<br />
subvención, a los efectos de esta ley, toda disposición dineraria realizada por<br />
cualesquiera de los sujetos contemplados en el artículo 3 de esta ley, a favor de<br />
personas públicas o privadas, y que cumpla los siguientes requisitos: a) Que la<br />
entrega se realice sin contraprestación directa de los beneficiarios. b) Que la<br />
entrega esté sujeta al cumplimiento de un determinado objetivo, la ejecución de<br />
un proyecto, la realización de una actividad, la adopción de un comportamiento<br />
singular, ya realizados o por desarrollar, o la concurrencia de una situación,<br />
debiendo el beneficiario cumplir las obligaciones materiales y formales que se<br />
hubieran establecido. c) Que el proyecto, la acción, conducta o situación financiada<br />
tenga por objeto el fomento de una actividad de utilidad pública o interés<br />
social o de promoción de una finalidad pública ».<br />
In Francia secondo la circolare «pour l’application du décret n° 97-1263<br />
du 29 décembre 1997 et relative à la présentation des demandes de subvention<br />
de fonctionnement pour l’année 2002 » una sovvenzione è «une aide financière<br />
versée par une collectivité publique pour des activités dont elle n’a pris ni l’initiative,<br />
ni la responsabilité, et qui ne constitue pas le prix d’une acquisition<br />
directe par cette collectivité de biens ou de services. Elle est accordée soit pour<br />
la decisione 2007/162; la ricerca e lo sviluppo tecnologico, v. per esempio l’art. 12 e il ventinovesimo<br />
considerando reg. CE n. 1906/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre<br />
2006 che stabilisce le regole per la partecipazione di imprese, centri di ricerca e università<br />
alle azioni nell’ambito del settimo programma quadro e per la diffusione dei risultati<br />
della ricerca (2007-2013); la politica dell’innovazione, v. art. 35 della citata decisione<br />
1639/2006; la politica della cultura, ai sensi del par. 1 dell’Allegato alla decisione 1855/2006; e<br />
così via. Sull’argomento degli appalti delle istituzioni comunitarie, v. Lauria, Appalti pubblici<br />
comunitari (Gli accordi internazionali in materia di), in Tratt. dir. amm. eur., diretto da Chiti<br />
e Greco, Parte speciale, Milano, 1997, p. 285.<br />
( 10 )Per i programmi comunitari, cfr. l’art. 160, par. 2, lett. b), reg. 2342/2002.
338 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
favoriser l’exécution d’un service public, soit à titre de secours ou de soutien si<br />
elle a un caractère de libéralité ».<br />
Nel diritto anglo-americano definizioni analoghe sono quelle riguardanti<br />
il «subsidy » che consiste in «A grant of money made by government in<br />
aid of the promoters of any enterprise, work, or improvement in which the government<br />
desires to participate, or which is considered a proper subject for government<br />
aid, because such purpose is likely to be of benefit to the public ». (v.<br />
Black’s Law Dictionary, V ed., 1979).<br />
In Canada la Guide on Grants, Contributions and Other Transfer Payments<br />
del Treasury Board of Canada Secretariat del luglio 2002 distingue<br />
«contributions », «grant », «flexible transfer payments (FTPs) », «alternative<br />
funding arrangement (AFAs) » e altre tipologie di trasferimenti pubblici<br />
(«other transfer payments OTPs »). In particolare i contribution sono «conditional<br />
transfer whereby specific terms and conditions must be met or carried out<br />
by a recipient before costs are reimbursed », mentre i grant sono «unconditional<br />
transfer payment where eligibility criteria and applications received in advance<br />
of payment sufficiently assure that the payment objectives will be met ».<br />
Il diritto italiano non conosce una definizione generale di sovvenzione.<br />
Sull’argomento si possono incontrare, oltre alle riflessioni dottrinali, documenti<br />
di prassi amministrativa, soprattutto dell’amministrazione finanziaria,<br />
e la normativa riguardante specifici finanziamenti pubblici.<br />
2. – Nelle definizioni contenute nel diritto comunitario e in quelle nazionali<br />
ricorrono alcuni elementi di carattere strutturale: la fonte, i soggetti<br />
coinvolti, l’oggetto.<br />
a) La fonte. Si osserva che le sovvenzioni sono previste da fonti di vertice<br />
dell’ordinamento giuridico ( 11 ). Al di là della questione se vi sia una riser-<br />
( 11 ) Alcuni programmi sono disciplinati da accordi internazionali; altri da accordi intergovernativi<br />
(si pensi a programmi di ricerca come COST ed EUREKA); altri programmi prevedono<br />
una disciplina, che trova origine in accordi tra Stati, che con difficoltà possono considerarsi<br />
trattati internazionali. È il caso dei nuovi programmi in materia di istruzione e formazione,<br />
che fanno riferimento al cosiddetto « processo di Bologna », basato sulla « Dichiarazione<br />
» del giugno 1999 e delle altre dichiarazioni che ne sono seguite. In altri tempi, la base giuridica<br />
dei programmi comunitari spesso fu dettata prima che la relativa materia fosse accolta<br />
nei Trattati. È il caso dei programmi di ricerca nei settori diversi dal nucleare. Prima che la ricerca<br />
divenisse una competenza comunitaria, in virtù dell’Atto unico nel 1987, vennero istituiti<br />
diversi programmi (tra i quali il Primo Programma Quadro nel 1984), attraverso « risoluzioni<br />
», emanate ai sensi dell’art. 235 Trattato CEE (oggi corrispondente all’art. 352 del Trattato<br />
sul Funzionamento dell’Unione Europea). È anche il caso dei programmi di istruzione<br />
della « prima generazione », emanati sulla scorta della giurisprudenza comunitaria (nelle cau-
SAGGI 339<br />
va di legge in questa materia ( 12 ), si constata che, nelle carte costituzionali<br />
moderne, alle pubbliche amministrazioni vengono attribuiti compiti promozionali<br />
in vari settori, in particolare attraverso forme di incentivazione.<br />
È il caso dei Trattati comunitari (dove molteplici sono i riferimenti all’attività<br />
promozionale da parte delle Istituzioni) e ovviamente delle Costituzioni<br />
nazionali (nella Costituzione italiana v., per es., gli artt. 2, 33, 38, 41, comma<br />
3, Cost.) ( 13 ). La disciplina di dettaglio delle sovvenzioni è poi contenuta<br />
in fonti legislative e sub-legislative.<br />
b) I soggetti. Vi sono fondamentalmente due soggetti coinvolti nel rapporto<br />
di sovvenzione: gli enti che erogano il finanziamento ed i beneficiari.<br />
I beneficiari possono essere soggetti di tipo diverso, sia pubblici, sia privati,<br />
a seconda di quanto stabilito dalle fonti legislative ( 14 ). I soggetti erogatori<br />
sono quasi sempre enti pubblici, di tipo assai diverso, come dimostrano l’esperienza<br />
comunitaria ( 15 ) e quelle nazionali ( 16 ). Ma la legge può attribuire<br />
se Gravier del 1985 e Blaizot del 1986), che ampliava la nozione di « formazione professionale<br />
», fino a comprendere l’istruzione di livello universitario.<br />
( 12 ) Sul tema del rapporto tra legge e sovvenzioni v. più approfonditamente Croci e Pericu,<br />
voce Sovvenzioni (diritto amministrativo), in Enc. dir., vol. XLIII, Milano, p. 243 ss., spec.<br />
p. 248 ss.; Carabba, voce Incentivi finanziari, cit., p. 964. Ritiene che si possa parlare di una riserva<br />
di legge per quanto riguarda la istituzione di aiuti finanziari, Manzella, Gli ausili finanziari,<br />
in Diritto amministrativo speciale, a cura di Cassese, t. 3, Finanza pubblica e privata.<br />
La disciplina dell’economia, Milano, 2000, p. 2861 ss. Sulla non configurabilità delle legge di<br />
incentivo come categoria particolare v. Benadusi, Attività di finanziamento pubblico: aspetti<br />
costituzionali ed amministrativi, in Riv. trim. dir. pubbl., 1966, p. 890 ss.<br />
( 13 ) Per uno studio sui principi costituzionali sull’incentivazione v. Guarino, Sul regime<br />
costituzionale delle leggi di incentivazione e di indirizzo, in Id., Scritti di diritto pubblico dell’economia<br />
e di diritto dell’energia, Milano, 1962, p. 125 ss.; sul diritto tedesco, vedi l’analisi di Nivarra,<br />
Il finanziamento pubblico delle imprese nella Repubblica Federale Tedesca, in Il finanziamento<br />
agevolato delle imprese. Profili giuridici, a cura di Mazzamuto, Milano, 1987, p. 25 ss.<br />
( 14 ) Nel caso di beneficiari di diritto pubblico, ci può essere l’esigenza di distinguere i programmi<br />
di finanziamento dai trasferimenti, come si evidenza nella giurisprudenza e nella<br />
dottrina spagnole. V., sul punto, Fernández Ferrares, El concepto de subvención y los ámbito<br />
objetivo y subjetivo de aplicación de la ley, in Comentario a la ley general de subvenciones, a cura<br />
di Fernández Ferarres, Cizur Menor (Navarra), 2005, p. 34 s. Sul concetto generale di beneficiario,<br />
nell’ambito del diritto spagnolo delle sovvenzioni, v. Martínez López-Muñiz,<br />
Los beneficiarios de subvenciones, in Comentario a la ley general de subvenciones, cit., p. 155 ss.<br />
( 15 ) L’ipotesi più comune è che sia la Commissione l’ente finanziatore, in ossequio ai<br />
compiti ad essa assegnati dai Trattati. Ma le istituzioni coinvolte possono essere anche altre.<br />
In applicazione degli artt. 53 ss. del reg. 1605/2002, la Commissione può attuare i programmi,<br />
oltre che in modo centralizzato e diretto (attraverso cioè proprie direzioni e servizi), anche in<br />
modo indiretto per mezzo di « agenzie esecutive » (v. art. 54 e 55), organismi creati dalla Commissione<br />
(v. art. 185 reg.) e « organismi nazionali pubblici o entità di diritto privato investiti di
340 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
il potere di erogare sovvenzioni anche a soggetti di diritto privato. Si pensi<br />
al caso delle fondazioni di origine bancaria, alle quali la legge (l’art. 8 del<br />
d.lgs. 153/1999) attribuisce l’obbligo di destinare una parte del reddito alla<br />
promozione di progetti di utilità sociale ( 17 ).<br />
c) Le prestazioni. Nelle sovvenzioni è previsto che l’ente che eroga il finanziamento<br />
metta a disposizione del beneficiario una somma di denaro. Il<br />
beneficiario a sua volta deve realizzare un progetto ( 18 )e cioè «a series of activities<br />
aimed at bringing about clearly specified objectives within a defined ti-<br />
attribuzioni di servizio pubblico ». Oppure l’esecuzione viene realizzata attraverso la « gestione<br />
concorrente » per delega agli Stati membri (art. 53, par. 3, reg. 1605/2002), come accade per<br />
i programmi finanziati dal Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia (Parte seconda,<br />
Titolo I, reg. 1605/2003) e dai Fondi strutturali, dal Fondo di coesione e dalle misure<br />
strutturali e agricole di preadesione (Parte seconda, Titolo II, reg. 1605/2003); in questi casi il<br />
programma viene attuato con l’intervento di organismi ed enti nazionali, come, per esempio<br />
in <strong>Italia</strong>, i Ministeri e le Regioni. Ulteriori ipotesi di esecuzione dei programmi sono la gestione<br />
« delegata » in collaborazione con gli Stati terzi (art. 53, par. 4, reg. 1605/2002) e quella<br />
« congiunta » con le organizzazioni internazionali, nell’ambito delle cosiddette « azioni esterne<br />
» (Parte seconda, Titolo IV, reg. 1605/2003).<br />
( 16 )Per quanto riguarda la Ley General de Suvenciones di diritto spagnolo l’ambito soggettivo<br />
è quello definito dall’art. 3: «Las subvenciones otorgadas por las Administraciones públicas<br />
se ajustarán a las prescripciones de esta ley. 1. Se entiende por Administraciones públicas a los<br />
efectos de esta ley: a) La Administración General del Estado. b) Las entidades que integran la Administración<br />
local. c) La Administración de las comunidades autónomas. 2. Deberán asimismo<br />
ajustarse a esta ley las subvenciones otorgadas por los organismos y demás entidades de derecho<br />
público con personalidad jurídica propia vinculadas o dependientes de cualquiera de las Administraciones<br />
públicas en la medida en que las subvenciones que otorguen sean consecuencia del ejercicio<br />
de potestades administrativas. Serán de aplicación los principios de gestión contenidos en<br />
esta ley y los de información a que se hace referencia en el artículo 20 al resto de las entregas dinerarias<br />
sin contraprestación, que realicen los entes del párrafo anterior que se rijan por derecho<br />
privado. En todo caso, las aportaciones gratuitas habrán de tener relación directa con el objeto de<br />
la actividad contenido en la norma de creación o en sus estatutos. 3. Los preceptos de esta ley<br />
serán de aplicación a la actividad subvencional de las Administraciones de las comunidades<br />
autónomas, así como a los organismos públicos y las restantes entidades de derecho público con<br />
personalidad jurídica propia vinculadas o dependientes de las mismas, de acuerdo con lo establecido<br />
en la disposición final primera ».<br />
( 17 ) Più ampiamente sulle fondazioni bancarie e, in particolare, sul tema della natura delle<br />
attribuzioni di queste si rinvia ampiamente a Stefanelli, Problema e sistema delle fondazioni<br />
bancarie, Perugia, 2005, spec. p. 89 ss. V. anche la dottrina ivi riportata a proposito dell’esperienza<br />
statunitense, tra cui si segnala Pierini, Federalismo e Welfare State nell’esperienza<br />
giuridica degli Stati Uniti, Torino, 2003, p. 39 ss.<br />
( 18 ) Per l’art. 2, comma 1, della Ley General de Subvenciones «la entrega esté sujeta al cumplimiento<br />
de un determinado objetivo, la ejecución de un proyecto, la realización de una actividad,<br />
la adopción de un comportamiento singular ».
SAGGI 341<br />
me-period and with a defined budget » ( 19 ). Il progetto è dettagliatamente descritto<br />
nei documenti concordati tra beneficiario e ente finanziatore ( 20 ). Sono<br />
inoltre previste attività di carattere strumentale come redigere rapporti<br />
tecnici e finanziari, informare l’ente finanziatore sugli eventi che possono<br />
pregiudicare l’esecuzione del progetto, svolgere attività di diffusione dei risultati<br />
e così via.<br />
In base all’attività che viene finanziata si distinguono sovvenzioni per<br />
un progetto specifico ( 21 ), finanziamenti di funzionamento di un ente che<br />
persegue scopi ritenuti di interesse pubblico ( 22 ), per l’investimento in attrezzature<br />
( 23 )o per altre spese particolari, sovvenzioni di altro genere.<br />
Rispetto al tempo in cui l’attività deve essere realizzata, le sovvenzioni<br />
possono essere collegate allo svolgimento di un’attività futura (specifica, e<br />
cioè un progetto, oppure in generale l’attività di un ente), ma possono riguardare<br />
anche risultati già raggiunti ( 24 ). In questo caso sono chiamate<br />
« premi » (come i premi in agricoltura per la piantagione o l’estirpazione,<br />
per l’allevamento, ecc.).<br />
Gli aspetti sopra ricordati possono ritrovarsi nelle varie fonti sovranazionali<br />
e nazionali che parlano di sovvenzioni, ma potrebbero anche riguardare<br />
altre tecniche di finanziamento.<br />
( 19 ) European Commission, Aid Delivery methods, vol. 1 (2004).<br />
( 20 ) Cfr., per quel che riguarda i contratti di ricerca finanziati, Zeno Zencovich, I contratti<br />
di ricerca ed il loro tipo sociale in una analisi di alcuni dei modelli più diffusi, in Giur. it., 1988,<br />
IV, c. 142, spec. c. 144.<br />
( 21 ) V. l’art. 108, par. 1, lett. a), reg. 1605/2002; v. l’allegato 3 della Circulaire du Ministère<br />
pour l’Emploi et de la Solidarité – Délégation générale à l’emploi et à la formation professionnelle<br />
(DGEFP) n. 2002-30 del 4 maggio 2002, secondo il quale: «La subvention pour un programme<br />
ou une action: il s’agit d’une aide en vue de la réalisation d’un projet, d’une action ou d’un programme<br />
défini techniquement et dont le budget est arrêté. Ses modalités sont décrites dans une<br />
convention de subvention. Dans ce cas, la subvention étant affectée à un projet précis, elle doit être<br />
utilisée conformément au but pour lequel elle a été sollicitée ».<br />
( 22 ) V. l’art. 108, par. 1, lett. b), reg. 1605/2002; secondo l’allegato 3 della citata Circulaire<br />
della DGEFP « La subvention de fonctionnement (s’assurer que plusieurs départements ministériels<br />
ne versent pas une subvention d’équilibre au même organisme): elle est accordée sans aucune<br />
condition particulière d’utilisation, et sert au financement de l’ensemble de l’activité de l’association;<br />
l’association peut l’utiliser comme elle l’entend, dans la limite toutefois de son objet social<br />
».<br />
( 23 ) In base alla definizione dell’allegato 3 della Circulaire della DGEFP «Les subventions<br />
d’équipement: c’est une contribution de l’Etat à caractère forfaitaire, destinée à aider la réalisation<br />
d’équipements d’utilité collective ».<br />
( 24 ) V. anche la definizione contenuta nell’art. 2 della Ley General de Subvenciones, citata<br />
nella precedente nota 19.
342 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Per esempio il fondamento costituzionale e legislativo non caratterizza<br />
in particolar modo le sovvenzioni, ma tutto il fenomeno dei finanziamenti<br />
pubblici ( 25 ).<br />
Anche per quanto riguarda altre tecniche di finanziamento, i soggetti<br />
coinvolti possono essere dello stesso tipo di quello delle sovvenzioni.<br />
Nelle altre tecniche di finanziamento generalmente si richiede lo svolgimento<br />
di un’attività in capo ai destinatari del finanziamento e un trasferimento<br />
di risorse finanziarie dall’ente attuatore ai beneficiari.<br />
3. – Un altro elemento ricorrente nelle definizioni delle sovvenzioni, nei<br />
diversi ordinamenti, è quello funzionale. L’attribuzione patrimoniale dall’ente<br />
erogatore al beneficiario avviene per perseguire una finalità pubblica,<br />
così come è previsto dalle fonti costituzionali e legislative (l’art. 108 reg.<br />
1605/2002 parla di contributi « per finanziare (. . .) un’azione destinata a promuovere<br />
la realizzazione di un obiettivo che si iscrive nel quadro di una politica<br />
dell’Unione europea ». L’art. 2, comma 1, della Ley General de Subvenciones<br />
richiede, al fine della definizione di sovvenzione, che «El proyecto, la<br />
acción, conducta o situación financiada tenga por objeto el fomento de una actividad<br />
de utilidad pública o interés social o de promoción de una finalidad pública<br />
», e così via) ( 26 ).<br />
Ciò emerge con particolare chiarezza dalle definizioni comunitarie ( 27 )e<br />
in quelle nazionali ( 28 ). Anche in letteratura si mette in risalto come la sovvenzione<br />
serva a raggiungere obbiettivi di interesse generale ( 29 ).<br />
( 25 ) Il che si evince anche dalla dottrina sui finanziamenti pubblici in generale,v., per es.,<br />
Zaccaria, voce Finanziamenti (dir. pubbl.), cit., p. 1 ss.<br />
( 26 ) Cavallo, Provvedimenti e atti amministrativi, in Tratt. dir. amm. Santaniello, Padova,<br />
1993, p. 104 ss.<br />
( 27 ) Per i programmi comunitari di ricerca, indipendentemente dalla tecnica contrattuale<br />
utilizzata, cfr. Carpentier e Mathijsen, Les Contrats de recherches d’Euratom. Quelques<br />
aspects particuliers, in Rev. trim. dr. eur., 1965, p. 358 ss., v. p. 359. Come sottolinea Basile, voce<br />
Ricerca scientifica (contratto), in Enc. dir., vol. XL, Milano, 1989, p. 414 ss., attraverso le sovvenzioni<br />
« l’amministrazione non si propone semplicemente di far beneficiare il privato di un<br />
incremento patrimoniale, ma mira a rimettere all’iniziativa privata la realizzazione di uno o<br />
più elementi di un disegno programmatico predeterminato ».<br />
( 28 ) Cfr. il par. II della Relazione del Re alla Ley General de Subvenciones: «En el ámbito objetivo<br />
de aplicación de la ley se introduce un elemento diferenciador que delimita el concepto de subvención<br />
de otros análogos: la afectación de los fondos públicos entregados al cumplimiento de un<br />
objetivo, la ejecución de un proyecto específico, la realización de una actividad o la adopción de un<br />
comportamiento singular, ya realizados o por desarrollar. Si dicha afectación existe, la entrega de<br />
fondos tendrá la consideración de subvención y esta ley resultará de aplicación a la misma ».<br />
( 29 )Per quanto riguarda la dottrina spagnola, v. sul requisito della afectatión, Fernandez
SAGGI 343<br />
La sovvenzione ricorda in questo altri rapporti in cui un soggetto mette<br />
a disposizione di un altro risorse, con l’obbligo di destinarle ad uno scopo<br />
comune del finanziatore e del finanziato. La dottrina ha individuato tali rapporti<br />
soprattutto con riferimento ai finanziamenti pubblici erogati attraverso<br />
il « mutuo di scopo » ( 30 )o comunque altri contratti in qualche modo legati<br />
al credito.<br />
Gli studiosi che si sono occupati del mutuo di scopo ( 31 )e dei finanziamenti<br />
alla ricerca scientifica ( 32 ) hanno mostrato come la finalità dei finan-<br />
Ferrares, La subvención: concepto y regime jurídico, Madrid, 1983, p. 230 ss. Nel diritto tedesco<br />
si dispone la revoca dell’attribuzione nel caso di inadempimento dell’obbligo di destinazione<br />
delle somme ad un certo scopo (cfr. § 44a Bundeshaushaltsordnung). Per quanto riguarda<br />
la letteratura francese v. Boulouis, Essai sur la politique des subventions administratives,<br />
Paris, 1951.<br />
( 30 )A partire dall’opera di Fragali. In particolare dell’Autore v. Del Mutuo, in Comm. c. c.<br />
a cura di Scialoja e Branca, Libro IV, Delle obbligazioni, art. 1813-1922, Bologna-Roma, 1952, p.<br />
267; Il mutuo di scopo, in Banca, borsa, tit. cred., 1961, p. 483 ss.; Note introduttive sul mutuo di<br />
scopo, in Studi in onore di Asquini, Padova, 1965, p. 533 ss.; voce Finanziamento (dir. priv.), in<br />
Enc. dir., vol. XVII, Milano, 1968, p. 605 ss. Tra gli altri autori che hanno continuato nella elaborazione<br />
della teoria, v. Buonocore, Profili privatistici del mutuo agevolato, in Problemi giuridici<br />
delle agevolazioni finanziarie all’industria, a cura di Costi e Libertini, Milano, 1982, p. 262<br />
ss.; Clarizia, voce Finanziamenti (dir. priv.), in Noviss. Dig.it. App., vol. III, Torino, 1982, p.<br />
764; Id., La causa di finanziamento, in Banca, borsa, tit. cred., 1982, I, p. 614 ss.; Consolo,<br />
Aspetti pubblicistici e privatistici del mutuo di scopo, Padova, 1990; Galasso, voce Finanziamenti<br />
pubblici, in Noviss. Dig. it., App., vol. III, p. 771 ss.; La Rocca, Il mutuo di scopo, in Il mutuo<br />
e le altre operazioni di finanziamento, a cura di Cuffaro, Bologna, 2005, p. 177 ss.; Mazzamuto,<br />
voce Mutuo di scopo, in Enc. giur., vol. XX, Roma, 1990; Mineo, Il finanziamento agevolato<br />
tra legge e contratto, Milano 1997; Perchinunno, Funzione creditizia e fine convenzionale.<br />
Contributo allo studio del mutuo di scopo, Napoli, 1988; Zimatore, voce Mutuo di scopo, in<br />
Diz. dir. priv., a cura di Irti, I, Diritto civile, Milano, 1980, p. 601 ss. V. il leading case Cassazione<br />
n. 3752/1981, in Foro it., 1982, I, c. 1687.<br />
( 31 )V. Cass. 19 maggio 2003, n. 7773, in Contratti, 2003, p. 1131: « Il c.d. contratto di finanziamento,<br />
o mutuo di scopo, legale o convenzionale che sia, è una fattispecie negoziale consensuale,<br />
onerosa e atipica, che assolve essenzialmente funzione creditizia; in particolare, il<br />
finanziamento legale, in cui sono già individuati i soggetti erogatori e i soggetti che possono<br />
beneficiare del finanziamento, è un contratto obbligatorio e consensuale, all’interno del quale<br />
la consegna della somma da corrispondere rappresenta non un elemento costitutivo del<br />
contratto, ma l’esecuzione dell’obbligazione a carico del finanziatore; tuttavia, la proprietà<br />
della somma oggetto del finanziamento si trasferisce dal finanziatore al finanziato solo con la<br />
consegna della somma stessa, in quanto solo da quel momento egli può disporne da solo,<br />
senza l’intermediazione del mutuante o anche contro la volontà di questi; ne consegue che<br />
solo dal momento della consegna si trasferiscono sul mutuatario anche i rischi derivanti dall’acquisita<br />
proprietà del denaro, compreso quello conseguente alle oscillazioni del cambio ».<br />
( 32 ) In particolare, v. Basile, voce Ricerca scientifica (contratto), cit., p. 442.
344 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
ziamenti pubblici comporta importanti conseguenze sul rapporto tra ente<br />
erogatore e beneficiario, indipendentemente dalla tipizzazione di tale rapporto.<br />
La dottrina e la giurisprudenza elaborate per il credito agevolato, per<br />
esempio, sottolineano il carattere atipico del « mutuo di scopo ». Anche chi<br />
vuole ricondurre il credito di destinazione al tipo codicistico non può fare a<br />
meno di rilevarne i caratteri distintivi. Infatti lo scopo, reso evidente da apposite<br />
clausole, « qualifica la causa del negozio e ne delimita il contenuto rispetto<br />
allo schema tipico, acquistando in tal modo rilevanza causale » ( 33 )e<br />
« penetra nel contenuto contrattuale tipico » ( 34 ).<br />
Ma proprio questo ragionamento conduce ad affermare che la finalizzazione<br />
costituisce elemento essenziale per individuare le sovvenzioni, ma<br />
non ne delimita il concetto. Infatti la finalizzazione riguarda l’intera materia<br />
dei finanziamenti pubblici, indipendentemente dal rapporto utilizzato, sia<br />
esso appunto il mutuo, la sovvenzione o altri strumenti ancora ( 35 ). Meglio,<br />
la finalizzazione riguarda l’intero ambito dei contratti pubblici ( 36 ).<br />
4. – La sovvenzione, pertanto, non si distingue dalle altre tecniche di finanziamento<br />
pubblico sotto il profilo strutturale o funzionale, almeno negli<br />
aspetti fin qui delineati.<br />
Eppure nella prassi la definizione della sovvenzione è molto importante<br />
soprattutto per operare una distinzione tra questa forma di finanziamento<br />
e gli appalti ( 37 ).<br />
Solitamente si ritiene più agevole tracciare una linea di confine tra<br />
sovvenzioni e altre tecniche di finanziamento: la sovvenzione si differenzia<br />
dal mutuo, in quanto le somme attribuite al beneficiario non sono da<br />
( 33 ) Cass., 3 aprile 1970, n. 896, in Foro it., 1970, I, c. 1367.<br />
( 34 ) Galasso, Contratti di credito e titoli bancari, Padova, 1971, p. 55.<br />
( 35 )V. tra gli altri Manzella, Gli ausili finanziari, cit., p. 2879.<br />
( 36 )Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1970, p. 447.<br />
( 37 ) V., per esempio, i già citati documenti Instruction pour l’application du code des marchés<br />
publics del 28 agosto 2001, il Ministero francese dell’Economia, delle Finanze e dell’Industria;<br />
la Circulaire du Ministère pour l’Emploi et de la Solidarité – Délégation générale à l’emploi<br />
et à la formation professionnelle (DGEFP) n. 2002-30 del 4 maggio 2002; la Circulaire du 3<br />
août 2006 portant manuel d’application du code des marchés publics. In ambito comunitario diversi<br />
documenti della Commissione come Practical Guide to Contract procedures for EC external<br />
actions del 2007, all’indirizzo: http://ec.europa.eu/europeaid/work/procedures/implementation/common_documents/practical_guide/new_prag_final_en.pdf.<br />
Fuori dall’<strong>Europa</strong> tra i documenti<br />
di prassi che si occupano di distinguere le sovvenzioni dagli appalti, v. Treasury<br />
Board of Canada Secretariat – Guide on Grants, Contributions and Other Transfer Payments del<br />
luglio 2002.
SAGGI 345<br />
restituire; nel caso delle garanzie, l’ente finanziatore offre una garanzia<br />
dietro il pagamento di un prezzo inferiore a quello di mercato; nella partecipazione<br />
il finanziamento consiste in un apporto di capitale in una società,<br />
e così via.<br />
L’appalto e la sovvenzione possono sembrare invece tecniche analoghe,<br />
in quanto, in tutti e due i casi, l’ente finanziatore paga una somma<br />
(non rimborsabile) a fronte della realizzazione di un progetto da parte del<br />
beneficiario. Diventa allora importante per le pubbliche amministrazioni<br />
definire quelle ipotesi in cui è necessario applicare la più rigida disciplina<br />
degli appalti, per la scelta dei soggetti incaricati di svolgere una certa attività.<br />
Il carattere distintivo della sovvenzione viene ravvisato in quello che nel<br />
diritto francese e in quello spagnolo viene definita « mancanza di controprestazione<br />
diretta » («contraprestación directa », «contrepartie directe ») dell’attività<br />
compiuta ( 38 ).<br />
Per verificare la mancanza della controprestazione diretta, la prassi amministrativa<br />
utilizza indicatori vari e non sempre precisi. Alcuni di questi<br />
indicatori fanno leva sull’utilizzo di concetti civilistici, riguardanti la materia<br />
delle obbligazioni e dei contratti.<br />
Si sostiene, in modo particolare, che costituiscono sovvenzioni quelle<br />
erogazioni di denaro pubblico di carattere non contrattuale, non sinallagmatiche,<br />
senza assunzione di obbligazioni in capo ai beneficiari, che l’ente<br />
attribuisce ai beneficiari senza un suo specifico interesse.<br />
Le sovvenzioni sarebbero attribuite esclusivamente sulla base di un<br />
provvedimento amministrativo di natura concessoria ( 39 ). Anzi per la dot-<br />
( 38 ) Cons. Stato, 6 luglio 1990, Comité pour le développement industriel et agricole du Choletais<br />
– CODIAC.<br />
( 39 )V. per esempio il Vademecum per l’ammissibilità della spesa al FSE PO 2007-2013 della<br />
Regione Toscana, all’indirizzo http://www.regione.toscana.it/regione/multimedia/RT/documents/2009/07/03/4e21f6f49f4ef6a1874f6d5fe7b1c600_vademecumfse.pdf.<br />
Secondo il Vademecum:<br />
« Nella concessione di sovvenzioni, la procedura di affidamento è caratterizzata da un<br />
avviso pubblico o dalla c.d. “chiamata di progetti”, in cui sono predeterminati e resi pubblici<br />
le modalità e i criteri per concedere sovvenzioni o contributi. Il rapporto tra l’Amministrazione<br />
e l’Ente attuatore risulta regolato da un atto unilaterale di natura concessoria; l’Ente diventa<br />
così destinatario di un finanziamento per lo svolgimento di un’attività finalizzata al raggiungimento<br />
di un obiettivo di interesse generale fissato dall’Amministrazione. Si tratta della<br />
forma di finanziamento utilizzata dalle Autorità di gestione dei PO per la gran parte delle<br />
attività cofinanziate dal Fondo sociale europeo » (p. 6). Nel caso degli appalti pubblici, invece<br />
« l’Amministrazione utilizza le procedure previste dal Codice dei contratti (d.lgs. n. 163/06),<br />
e il rapporto tra l’Amministrazione e l’aggiudicatario risulta di natura contrattuale ».
346 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
trina la sovvenzione consisterebbe essenzialmente in un provvedimento<br />
amministrativo ( 40 ) conseguente ad una istanza del beneficiario ( 41 ).<br />
Nell’ambito dell’attività contrattuale l’ente pubblico paga invece un<br />
corrispettivo a fronte di una cessione di beni o una prestazione di servizi da<br />
parte del percettore delle somme.<br />
Nel caso delle sovvenzioni, l’ente finanziatore non sarebbe portatore di<br />
un proprio interesse ma perseguirebbe soltanto un interesse della collettività<br />
( 42 ). L’interesse sottostante alla sovvenzione sarebbe soltanto quello del<br />
percipiente ( 43 ). I beneficiari del contributo utilizzerebbero le risorse pubbliche,<br />
in modo da determinare « la distribuzione o l’impiego dei mezzi finanziari<br />
finalizzati al raggiungimento degli obbiettivi perseguiti » ( 44 ).<br />
Diverso sarebbe il caso dell’attività contrattuale dove l’ente pubblico acquisisce<br />
nel proprio patrimonio i risultati dell’attività del percipiente, come<br />
avviene per le nuove conoscenze derivanti dalla ricerca scientifica e tecnologica<br />
( 45 ).<br />
Nelle sovvenzioni l’esecuzione delle attività previste costituirebbe per il<br />
beneficiario non un’obbligazione, ma solo un onere al cui adempimento è<br />
connesso il diritto ad acquisire i finanziamenti ( 46 ).<br />
Ciò contrariamente a quello che accade negli appalti attraverso i quali i<br />
contraenti dell’ente finanziatore assumono obbligazioni legate in modo<br />
corrispettivo con il prezzo (cfr. risol. Agenzia delle Entrate del 14 marzo<br />
2005 n. 34/E; risol. n. 183/E dell’11 giugno 2002).<br />
La mancata esecuzione del progetto comporterebbe la sola perdita del<br />
contributo e non « gli effetti tipici dell’inadempimento dell’obbligazio-<br />
( 40 ) Pericu, Le sovvenzioni come strumento di azione amministrativa, I, Milano, 1967.<br />
( 41 ) Zaccaria, voce Finanziamenti (dir. pubbl.), cit., p. 4 s.<br />
( 42 ) Croci e Pericu, voce Sovvenzioni (diritto amministrativo), in Enc. dir., vol. XLIII, Milano,<br />
p. 243 ss., spec. p. 246.<br />
( 43 )V. Risoluzione 81/E/III-7-375 del 23 aprile 1997 (Min. Fin. Dipartimento Entrate –<br />
Dir. Centr. Affari giuridici e contenzioso). In tale risoluzione si fa riferimento ai contributi<br />
erogati in favore di un soggetto che organizzava corsi di formazione. L’opinione espressa è comunque<br />
interessante per ricostruire le nozioni utilizzate dal Ministero delle Finanze nell’approccio<br />
alle questioni che interessano questo studio.<br />
( 44 ) Risoluzione 116/E/III-7-190 dell’ 11 luglio 1996, cit.<br />
( 45 )V. in proposito Risoluzione 118/E/III-7-865 del 12 luglio 1996 (Min. Fin., Dipartimento<br />
Entrate – Dir. Centr. Affari Giuridici e contenzioso), nella quale ci si occupa del trattamento<br />
tributario delle somme erogate dalla Regione Calabria, attingendo a fondi comunitari,<br />
in favore della Università degli Studi della Calabria, per lo svolgimento di una attività di<br />
sperimentazione e ricerca.<br />
( 46 ) Sul punto in particolare Risoluzione 287/E/III-7-1061 del 28 dicembre 1995 (Min.<br />
Fin., Dipartimento Entrate – Dir. Centr. Affari Giuridici e Contenzioso).
SAGGI 347<br />
ne » ( 47 ), come il risarcimento dei danni per lesione dell’interesse patrimoniale<br />
del creditore. Il carattere non corrispettivo dei rapporti in parola, infatti,<br />
sarebbe confermato dalla mancanza di clausole particolari, come quelle<br />
che stabiliscono il diritto di recedere o la clausola risolutiva espressa nella<br />
convenzione con l’ente finanziatore. La risoluzione del contratto a fronte<br />
dell’inadempimento delle obbligazioni del soggetto attuatore è considerata,<br />
a tale proposito, una condizione risolutiva « unilaterale » e non una<br />
clausola risolutiva espressa propriamente detta (v. risoluzione n. 183/E del<br />
11 giugno 2002).<br />
Oltre che privi del carattere della corrispettività, le attribuzioni in favore<br />
dei beneficiari avverrebbero a « fondo perduto » o, come detto altrimenti, in<br />
« modo gratuito » ( 48 ). La gratuità sembra emergere dalle stesse fonti normative<br />
che, a proposito delle sovvenzioni (v. il già citato art. 108 del regolamento<br />
n. 1605/2002), parlano di « liberalità » (liberalité, donation, liberalidad,<br />
Zuwendungen e così via) ( 49 ).<br />
La mancanza di sinallagmaticità e la gratuità appunto confermerebbero<br />
il carattere non contrattuale del rapporto tra ente finanziatore e beneficiario.<br />
È emblematica la posizione assunta dall’Agenzia Entrate nella risoluzione<br />
n. 50 del 4 aprile 2006 in risposta all’interpello del Consiglio Nazionale<br />
delle Ricerche. Nel documento si ritiene che il rapporto tra Commissione<br />
europea e beneficiario è regolato da « accordi di promozione » che « mirano<br />
ad instaurare rapporti di collaborazione piuttosto che rapporti a prestazioni<br />
corrispettive ». Il che escluderebbe che tali accordi possano ricondursi alla<br />
definizione di « contratto », di cui all’art. 1321 c.c. ( 50 ).<br />
Anche la dottrina che si è occupata di sovvenzioni sembra pensare alla<br />
( 47 ) Come ci si esprime, per esempio, nella Risoluzione 200/E/VII-15-310 del 1° ottobre<br />
1997 (Min. Fin., Dipartimento Entrate – Dir. Centr. Affari Giuridici e Contenzioso).<br />
( 48 )L’idea che le sovvenzioni siano gratuite è per esempio diffusa tra gli studiosi della disciplina<br />
sugli aiuti di Stato, come documenta Libertini, Gli aiuti pubblici alle imprese e il diritto<br />
comunitario della concorrenza, in Il finanziamento agevolato delle imprese. Profili giuridici,<br />
a cura di Mazzamuto, Milano, 1987, p. 167 ss., spec. p. 174.<br />
( 49 ) Cfr., nel diritto spagnolo, la Disposicion Adicional Quinta della Ley General de Subvenciones.<br />
Allo stesso modo si parla di gratuità nella dottrina francese. V., per es., Magnet, Lexique.<br />
Droit budgétaire et comptabilité publique, Paris, 1980.<br />
( 50 )Tali contratti sarebbero comunque da ricondurre alla categoria del « contratto di ricerca<br />
» in senso lato, ma solo perché le istituzioni comunitarie, che sono destinatarie della disposizione<br />
fiscale in considerazione (l’art. 72, comma 3, n. 3, d.P.R. 633/1972), in questo modo<br />
qualificano tali accordi. Se non si operasse tale equiparazione, è in sostanza il ragionamento<br />
dell’amministrazione finanziaria, l’applicazione della disposizione fiscale verrebbe<br />
frustrata.
348 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
gratuità, quando sottolinea che le sovvenzioni si caratterizzano per essere<br />
finanziamenti pubblici senza obbligo di restituzione ( 51 ), le quali realizzano<br />
un arricchimento del beneficiario ( 52 ).<br />
5. – Gli indicatori basati sui concetti civilistici appaiono non sempre corretti.<br />
a) La mancanza di interesse. Non è pertinente innanzitutto l’affermazione<br />
che solo nelle sovvenzioni l’ente finanziatore perseguirebbe l’interesse<br />
generale e non il proprio.<br />
L’affermazione è errata nel senso che non solo le sovvenzioni realizzano<br />
un interesse generale. Come afferma la prassi francese (v. Instruction del<br />
28 agosto 2001, pour l’application du code des marchés publics, Ministère de<br />
l’Economie, des Finances et de l’Industrie), tutte le forme di finanziamento,<br />
siano sovvenzioni (subvention) o appalti (marché public), sono comunque<br />
dirette a soddisfare un interesse generale (v. il par. 1.2.1. Les marchés publics<br />
se distinguent des subventions). Lo stesso concetto è espresso nella legislazione<br />
nazionale spagnola per tutte le forme di finanziamento a carico del bilancio<br />
dello Stato (v. art. 1, comma 2, Real Decreto 2225/1993, del 17 dicembre<br />
1993).<br />
Inoltre non è corretto affermare che l’ente sovvenzionatore è privo di<br />
un suo interesse. L’interesse pubblico, perseguito dall’ente, può essere alla<br />
base della nascita di rapporti obbligatori e nella stipulazione di contratti, essendo<br />
quindi rilevante sotto il profilo giuridico.<br />
Questo in generale. In modo particolare poi, alcune sovvenzioni stabiliscono<br />
che l’ente finanziatore acquisti diritti in conseguenza dell’esecuzione<br />
del progetto. Nei Programmi Quadro di Ricerca comunitari ( 53 ), per esempio,<br />
la proprietà o altri diritti sui beni immateriali derivanti dall’attività di ricerca<br />
sovvenzionata possono spettare all’Unione ( 54 ).<br />
( 51 ) Zaccaria, voce Finanziamenti (dir. pubbl.), cit., p. 2.<br />
( 52 ) Parlano per esempio di arricchimento, Croci e Pericu, voce Sovvenzioni (diritto amministrativo),<br />
cit., p. 247 s.<br />
( 53 ) Istituito con decisione n. 1982/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del<br />
18 dicembre 2006 per il periodo 2007-2013.<br />
( 54 ) Ciò accade nel caso in cui l’attività viene compiuta dal Centro Comune di Ricerca,<br />
che è un organo strumentale della Commissione europea. L’art. 39, par. 3, del reg. 1906/2006<br />
prevede, inoltre, che la proprietà sui risultati è attribuita alla Comunità nel caso di « azioni di<br />
coordinamento e sostegno che consistono in un acquisto di beni o servizi, conformemente alle<br />
norme concernenti gli appalti pubblici stabilite nel regolamento finanziario ». Ancora, la<br />
proprietà dei risultati è attribuita alla Comunità, quando è il prodotto dell’attività degli esperti,<br />
nominati dalla Commissione, per assistere questa nelle valutazioni, nei controlli e in ge-
SAGGI 349<br />
Quello che sembra fare la differenza, sulla scorta della normativa e della<br />
prassi, è che nelle sovvenzioni agli enti finanziatori non viene attribuita la<br />
proprietà o comunque il godimento esclusivo dei risultati, ma eventualmente<br />
la comproprietà o la contitolarità dei diritti sui risultati. E così, a contrario,<br />
non rientrano nella disciplina degli appalti, ai sensi dell’art. 16, lett.<br />
f), direttiva 2004/18/CE i « servizi di ricerca e sviluppo », quando i risultati<br />
non appartengono « esclusivamente » all’amministrazione e quando detti<br />
risultati non sono utilizzati direttamente dall’amministrazione nella sua attività,<br />
ma sono messi a disposizione di altri soggetti. Nella ricerca nazionale<br />
italiana, l’art. 12, comma 6, del d.m. 8 agosto 2000 (attuativo della legge<br />
297/1999) stabilisce che « per eventuali iniziative di ricerca che, per finalità<br />
di straordinario interesse pubblico, sono agevolate a totale carico dello Stato,<br />
si applicano le procedure di cui al decreto legislativo 17 marzo 1995, n.<br />
157, di recepimento della direttiva 92/50 CEE in materia di appalti pubblici<br />
di servizi ». In tali casi, i risultati conseguiti restano acquisiti alla proprietà<br />
dello Stato. Nelle altre ipotesi, in cui non si utilizza l’appalto, i risultati sono<br />
di proprietà di chi attua il progetto.<br />
Soluzioni simili sono adottate in altri programmi di finanziamento della<br />
ricerca scientifica ( 55 )o in altri ambiti ancora ( 56 ), per distinguere i contratti<br />
di sovvenzione dagli appalti.<br />
nerale nell’attuazione della politica di ricerca (v. l’art. 17, reg. 1906/2006). La proprietà sui risultati<br />
prodotti nell’attuazione delle altre azioni indirette spetta a quei beneficiari, che effettuano<br />
l’attività di ricerca, che conduce a detti risultati, così come stabilito dall’art. 39, par. 1, del<br />
citato reg. 1906/2006 e come ribadito dall’art. II.26, par. 1, del Model Grant Agreement del Settimo<br />
Programma Quadro. La Commissione, comunque, anche in questi casi ha importanti diritti,<br />
come quello di brevettare e proteggere i risultati a proprio nome nel caso di inerzia dei beneficiari.<br />
Inoltre, sempre nell’ambito del Programma Quadro, la Commissione può diventare<br />
titolare di diritti di godimento sui risultati in materia di energia nucleare, sicurezza e ambiente,<br />
e in altri casi ancora per l’effetto dell’inserimento di clausole speciali nel contratto.<br />
( 55 ) Nei capitolati dell’ASI (l’Agenzia Spaziale <strong>Italia</strong>na), all’art. 18, la proprietà dei risultati<br />
è solitamente dell’Agenzia, tranne nei casi di cofinanziamento, per i quali è stabilito che i<br />
risultati sono in comunione, secondo le regole stabilite nel contratto. Molto simile è l’approccio<br />
utilizzato dall’ESA (European Space Agency).<br />
( 56 ) Nel Vademecum FSE della Regione Toscana, a proposito del diritto di autore derivante<br />
dai progetti di formazione, si afferma che la titolarità spetta alla Regione ai sensi dell’art.<br />
11 l. 633/1941 il quale prevede che « alle Amministrazioni dello Stato, alle Province ed ai Comuni<br />
spetta il diritto di autore sulle opere create e pubblicate sotto il loro nome ed a loro conto<br />
e spese ». Nel caso di sovvenzione, invece, « la titolarità del diritto è in capo al suo autore;<br />
l’utilizzazione economica dello stesso, trattandosi di prodotti realizzati attraverso contributi<br />
pubblici, deve essere condivisa quanto a modalità e termini con l’Amministrazione competente<br />
».
350 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Più in generale, per le sovvenzioni l’elemento caratterizzante non consiste<br />
nella mancanza di un interesse proprio, oppure nella presenza di un interesse<br />
soltanto « indiretto », come anche si dice nella prassi ( 57 ).<br />
Piuttosto è che gli effetti dell’attività non sono esclusivamente destinati<br />
all’ente finanziatore o a soggetti specifici, nell’ambito di servizi rientranti<br />
nella disciplina sui pubblici appalti. Tali effetti nelle sovvenzioni possono riguardare<br />
i beneficiari, altri soggetti, la collettività in modo indistinto, lo<br />
stesso ente finanziatore.<br />
Al contrario, per esempio, non possono considerarsi finanziabili con lo<br />
strumento della sovvenzione un corso di formazione rivolto esclusivamente<br />
ai funzionari dell’ente finanziatore ( 58 ) oppure un’attività che consiste<br />
nell’offerta di un servizio pubblico ai cittadini.<br />
b) La sovvenzione come rapporto non obbligatorio. Non è corretto inoltre<br />
affermare che dal rapporto di sovvenzione non derivano obbligazioni per il<br />
beneficiario e per l’ente finanziatore.<br />
Gli obblighi previsti dalle normative riguardanti le sovvenzioni (il pagamento<br />
del contributo, la realizzazione di una certa attività) sono misurabili<br />
in termini economici, così come richiesto dalla definizione legale delle obbligazioni<br />
(art. 1174 c.c.) ( 59 ).<br />
L’economicità viene evidenziata, inoltre, dalle conseguenze dell’inadempimento,<br />
proprio al contrario di quanto si afferma nella prassi.<br />
( 57 ) Il finanziatore (per esempio una regione) non avrebbe un vantaggio diretto nel rapporto<br />
con un beneficiario (un ente di ricerca, sempre per fare un esempio), se agisce solo nell’interesse<br />
generale, come nel caso «dans lequel la région s’engage à verser une subvention au<br />
CNRS afin qu’il exerce une activité consistant à favoriser l’expansion économique de la région<br />
(l’avantage est directement rendu aux acteurs économique de la collectivité; la région n’est qu’un<br />
bénéficiaire indirect) ». V. l’Allegato 1 (La notion de contropartie pour la livraison de biens et le<br />
prestations de services) del documento del CNRS, Secrétariat Général Direction des finances,<br />
Le régime fiscal du CNRS en matière de TVA.<br />
( 58 ) Si pensi alla normativa sui versamenti effettuati dagli enti pubblici per i corsi di formazione<br />
per il personale, che può applicarsi anche ai corsi di formazione nell’ambito di programmi<br />
comunitari, come il Fondo Sociale Europeo. Secondo il (già) Ministero del Lavoro e<br />
della Previdenza Sociale, nel Vademecum per la gestione dei progetti del Fondo Sociale Europeo<br />
(cfr. Vademecum, p. 61 ss.), i contributi per i corsi di formazione finanziati dal FSE sarebbero<br />
esenti da IVA in applicazione dell’art. 14, comma 10, della L. 24 dicembre 1993 n. 537 e<br />
dell’art. 10 d.p.r. 633/1972. Si riconosce così implicitamente alle attività finanziate nell’ambito<br />
dell’FSE natura di “prestazione di servizi”.<br />
( 59 )L’economicità è infatti una manifestazione della giuridicità dell’obbligo giuridico, come<br />
afferma la Relazione al codice civile del Ministro Guardasigilli, per la quale l’obbligazione<br />
deve essere suscettibile di valutazione economica « senza di che non si potrebbe attuare la<br />
coercizione giuridica predisposta dal diritto in caso di inadempimento » (n. 23).
SAGGI 351<br />
Infatti, tutte le normative che riguardano le sovvenzioni prevedono, in<br />
caso di inadempimento, conseguenze negative, quali tra l’altro, la risoluzione<br />
del rapporto, il rimborso del contributo, il risarcimento del danno, il<br />
pagamento di interessi moratori ( 60 ).<br />
Inoltre che si tratti di obbligazioni in senso stretto viene affermato dalla<br />
giurisprudenza, per la quale, una volta emesso il provvedimento di assegnazione<br />
della sovvenzione da parte dell’ente, si istaura un rapporto obbligatorio<br />
tra pubblica amministrazione e beneficiario, che è disciplinato dalle<br />
norme del codice civile ( 61 ).<br />
c) Il carattere non contrattuale. Sembra del tutto priva di fondamento<br />
giuridico l’affermazione per cui il rapporto di sovvenzione, a differenza dell’appalto,<br />
non potrebbe avere un fondamento di natura contrattuale. Una<br />
tale affermazione si scontra con la normativa comunitaria e nazionale. Nel<br />
diritto comunitario, la Commissione stipula contratti (grant agreement) per<br />
l’erogazione delle sovvenzioni (art. 108, par. 2, reg. 1605/2002 e art. 164 reg.<br />
2342/2002). La contrattualizzazione del rapporto tra ente finanziatore e beneficiario<br />
è poi affermata dalla legislazione di diversi paesi europei. In Germania,<br />
per esempio, la materia de qua è il territorio di elezione del contratto<br />
di diritto pubblico (öffentlich-rechtlicher Vertrag, in breve örV) ed in particolare<br />
del contratto di scambio (Austauschvertag), come si è accennato sopra.<br />
In Francia la legge n. 2000-321 del 12 aprile 2000 (relative aux droits des<br />
citoyens dans leurs relations avec les administrations), stabilisce all’art. 10,<br />
comma 3 (sintomaticamente inserito nel capitolo III, Disposizioni relative<br />
alla trasparenza finanziaria), la necessità di stipulare un contratto scritto<br />
con il soggetto beneficiario delle sovvenzioni ( 62 ), almeno quando si superi-<br />
( 60 )V., per esempio, le conseguenze previste dall’art. II.18 del Model Grant Agreement della<br />
Commissione europea.<br />
( 61 )V. tra le altre, Cass., sez. un., 23 febbraio 2001, n. 66, Mass. Giust. civ., 2001, p. 180; Id.,<br />
26 aprile 2000, n. 288, Mass. Giust. civ., 2000, p. 701; Id., 15 novembre 1994, n. 9594, Mass. Giust.<br />
civ., 1994, p. 11; Id., 3 novembre 1993, n. 10830, Mass. Giust. civ., 1993, p. 11; Cons. Stato,<br />
sez. IV, 7 giugno 2005, n. 2871, in Foro amm. CDS, 2005, p. 1693 (s.m.); Id., 13 maggio 2005, n.<br />
2418, in Foro amm. CDS, 2005, p. 1555 (s.m.); Id., 10 luglio 2002, n. 3856, in Foro amm. CDS,<br />
2002, p. 1804 (s.m.); Id., 17 dicembre 1976, n. 455, in Cons. Stato, 1976, I, p. 1430; in senso contrario,<br />
Tar Sicilia Catania, sez. III, 12 febbraio 1998, n. 197, in Foro amm., 1998, p. 2562 (s.m.).<br />
( 62 ) V. l’art. 10: « L’autorité administrative qui attribue une subvention doit, lorsque cette<br />
subvention dépasse un seuil défini par décret, conclure une convention avec l’organisme de<br />
droit privé qui en bénéficie, définissant l’objet, le montant et les conditions d’utilisation de la<br />
subvention attribuée. Lorsque la subvention est affectée à une dépense déterminée, l’organisme<br />
de droit privé bénéficiaire doit produire un compte rendu financier qui atteste de la<br />
conformité des dépenses effectuées à l’objet de la subvention. Le compte rendu financier est
352 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
no certi importi ( 63 ). Qualunque sia la tecnica di finanziamento adottata, come<br />
per esempio la sovvenzione o l’appalto, si ritiene che il rapporto che si<br />
instaura possa essere riconducibile al contratto ( 64 ). Nella Ley General de<br />
Subvenciones spagnola l’art. 16 stabilisce l’obbligo di stipulare un «Convenio<br />
de colaboración » tra «el órgano administrativo concedente y la entidad colaboradora<br />
en el que se regularán las condiciones y obligaciones asumidas por<br />
ésta ». Inoltre tutta la disciplina dei finanziamenti viene disciplinata con riferimento<br />
ai principi stabiliti dalla Ley de Contratos de las Administraciones<br />
Públicas ( 65 ). In <strong>Italia</strong> diversi sono i casi in cui il finanziamento è accordato<br />
sulla base di un contratto, il cui schema è adottato dall’ente finanziatore ( 66 ).<br />
Il carattere convenzionale dei rapporti tra ente finanziatore e beneficiario<br />
emergerebbe anche quando non è esplicitamente previsto dalla base<br />
giuridica, come ha posto in luce la dottrina ( 67 ). Si è fatto notare, infatti, che<br />
l’intero fenomeno del finanziamento pubblico non sarebbe concepibile<br />
senza l’accordo tra ente finanziatore e beneficiario per il raggiungimento<br />
delle finalità previste dalla legge. Da questo accordo deriva l’obbligazione<br />
di compiere certi comportamenti da parte del beneficiario e quello di erogare<br />
il finanziamento in capo all’ente. Nella prassi, infatti, anche quando il<br />
rapporto non viene formalizzato attraverso contratti tipo, l’accordo si manifesta<br />
comunque per mezzo di altre tecniche: la proposta del progetto, accettata<br />
dal provvedimento concessorio ( 68 ); la sottoscrizione da parte del bene-<br />
déposé auprès de l’autorité administrative qui a versé la subvention dans les six mois suivant<br />
la fin de l’exercice pour lequel elle a été attribuée ».<br />
( 63 ) Il decreto n. 2001-495 del 6 giugno 2001 ha fissato tale soglia a € 23.000.<br />
( 64 )Ad esempio L. 920-1 del codice del lavoro stabilisce che per le azioni di formazione professionale<br />
e di promozione sociale, possono essere stipulate convenzioni da parte degli enti competenti.<br />
In una risposta del 13 febbraio 2002 al presidente della regione PACA, il ministro dell’economia,<br />
delle finanze e dell’industria indica che il termine di « convenzione » è impiegato dal legislatore<br />
come termine generico per designare atti negoziali. Dette convenzioni possono essere<br />
soggette alla disciplina degli appalti o a quella dei contratti di diritto comune, a seconda dei casi.<br />
( 65 )Avila Orive, Las entitades collaboradores, in Comentario a la ley general de subvenciones,<br />
cit., p. 225 ss., spec. p. 245 ss.<br />
( 66 )V. il « <strong>Contratto</strong> di finanziamento in forma di credito agevolato e contributo nella spesa<br />
», elaborato dal MIUR, ai sensi del d.lgs. n. 297/1999, così come applicato dall’art. 12 del<br />
d.m. 8 agosto 2000, n. 593 e del d.m. 10 ottobre 2003, n. 90402.<br />
( 67 )Serrani, Lo Stato finanziatore, cit., p. 207 ss., spec. p. 254. Per altri autori, come Manzella,<br />
Gli ausili finanziari, cit., p. 2880, i finanziamenti pubblici sono un intervento a carattere<br />
essenzialmente consensuale, anche se si preferisce non trarre la conclusione che si tratti di<br />
contratti in senso tecnico.<br />
( 68 )V., per esempio, il modello di richiesta al MIUR di cofinanziamento per i PRIN (d.m.<br />
582/2006 del 24 marzo 2006).
SAGGI 353<br />
ficiario di « atti di adesione » ( 69 )o altri documenti, variamente denominati,<br />
con i quali si accetta il contributo e ci si obbliga a quanto previsto dalla base<br />
giuridica e dal provvedimento ( 70 ), e così via.<br />
Ovviamente le considerazioni che precedono non escludono che il rapporto<br />
tra ente sovvenzionatore e beneficiario non possa essere regolato in<br />
tutto o in parte da atti amministrativi ( 71 ). La scelta tra l’atto amministrativo<br />
o la combinazione tra provvedimento e contratto, in astratto sempre possibile<br />
nel caso di una materia come quella in discorso ( 72 ), può non essere priva<br />
di conseguenze sotto il profilo giuridico; ciò anche se in definitiva le differenze<br />
non sono sempre così marcate, in quanto la regolamentazione del<br />
rapporto è costituita soprattutto dalla base giuridica del programma ( 73 ).<br />
6. – Come si è detto, per distinguere le sovvenzioni dagli appalti si fa leva,<br />
rispettivamente, sull’assenza e sulla presenza della corrispettività.<br />
Gli appalti, come afferma la definizione legale, sono infatti contratti a<br />
« titolo oneroso » (art. 1, par. 2, lett. a), direttiva 2004/18/CE; art. 3 d.lgs. n.<br />
163/2006, Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture). Mentre<br />
tale carattere non compare nelle definizioni delle sovvenzioni e quindi si<br />
può affermare che questa tecnica di finanziamento non è a titolo oneroso.<br />
La differenza tra contratti a titolo oneroso e contratti a titolo gratuito va<br />
intesa nel contesto della necessità di distinguere gli appalti pubblici dagli altri<br />
rapporti, quali appunto le sovvenzioni.<br />
( 69 )V., per esempio, l’atto di adesione utilizzato dalle Regioni nell’ambito dei finanziamenti<br />
del Fondo Sociale Europeo.<br />
( 70 ) Spesso ai documenti in discorso sono allegati « linee guida » e altre specificazioni degli<br />
obblighi dei beneficiari.<br />
( 71 ) Come, al contrario, la presenza dell’atto amministrativo non può escludere il carattere<br />
contrattuale. Cfr. Candian, voce Ricerca (contratto), in Digesto, disc. priv.,vol. XVII, Torino,<br />
1998, p. 517 ss., spec. p. 521.<br />
( 72 ) Cfr. Giannini, Diritto amministrativo, cit., p. 739 s.: « Se si tiene presente che il provvedimento<br />
amministrativo può produrre effetti consistenti nella nascita, modificazione ed<br />
estinzione tanto di diritti reali quanto di diritti di obbligazione, si comprende come l’amministrazione,<br />
allorché è possibile giuridicamente, possa trovare più conveniente sostituire al<br />
più pesante strumento provvedimentale il più duttile strumento contrattuale, o integrare il<br />
primo con il secondo, o usare il primo fino ad ottenere un certo effetto giuridico e poi far subentrare<br />
il secondo (. . .) Ogni volta che vi è un effetto a possibile contenuto patrimoniale, nel<br />
diritto positivo deve ammettersi, come regola di principio, la possibilità del ricorso all’accordo<br />
tra l’amministrazione e il privato per disciplinare il rapporto patrimoniale o quantomeno<br />
l’aspetto patrimoniale del rapporto ».<br />
( 73 ) Cfr. Nivarra, Il finanziamento pubblico delle imprese nella Repubblica Federale Tedesca,<br />
cit., p. 48 s., soprattutto per le differenze tra revoca e risoluzione.
354 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Questa distinzione non coincide con quella tra rapporti con prestazioni<br />
corrispettive e rapporti senza prestazioni corrispettive, se non incidentalmente.<br />
La « corrispettività » serve infatti ad identificare quei contratti, in cui le<br />
prestazioni sono tra di loro interdipendenti ( 74 ). In questi contratti lo scambio<br />
economico si realizza in modo specifico mediante il trasferimento reciproco<br />
di beni e servizi, attraverso un unico strumento negoziale ( 75 ). I contratti<br />
con prestazioni corrispettive ricevono una disciplina specifica, in tutte<br />
quelle ipotesi di alterazione dell’equilibrio economico, dovuto al venir meno<br />
o al vizio di una delle prestazioni interdipendenti (in caso quindi di nullità,<br />
annullabilità, inadempimento, impossibilità sopravvenuta, eccessiva<br />
onerosità).<br />
In altri ordinamenti europei altri concetti affrontano e risolvono problemi<br />
civilistici legati allo scambio economico come il contratto bilaterale o sinallagmatico<br />
(art. 1102 code civil) o il Gegenseitiger Vertrag (§§ 320 ss. BGB).<br />
Non si tratta di concetti esattamente riconducibili alla corrispettività ( 76 ).<br />
In ogni modo, apparirebbe per lo meno strano, che la distinzione « titolo<br />
oneroso » e « titolo gratuito », come si incontra nel diritto comunitario,<br />
sia basata su uno di tali concetti elaborati all’interno dei diritti nazionali.<br />
Sembra più plausibile che la distinzione sia funzionale alle materie proprie<br />
del diritto comunitario.<br />
La disciplina riguardante gli appalti pubblici si applica quando « un’amministrazione<br />
aggiudicatrice » ( 77 ) richiede ad un « operatore economico »<br />
l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti e la prestazione di servizi.<br />
( 74 ) Galgano, Il negozio giuridico, in Tratt. dir. civ. comm., diretto da Cicu e Messineo, Milano,<br />
1988, 465 ss.<br />
( 75 ) Pino, Il contratto con prestazioni corrispettive, Padova, 1963, p. 145.<br />
( 76 ) Ci si permette rinviare a Cippitani, Gratuità e finanziamenti pubblici, in I contratti gratuiti,<br />
a cura di Palazzo e Mazzarese, Torino, 2008, p. 79 ss., spec. p. 110 ss.<br />
( 77 )Ai sensi dell’art. 1, par. 2, n. 9 della direttiva 2004/18/CE si considerano « amministrazioni<br />
aggiudicatici »: lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli organismi di diritto pubblico e le<br />
associazioni costituite da uno o più di tali enti pubblici territoriali o da uno o più di tali organismi<br />
di diritto pubblico. Riguardo al concetto di organismo di diritto pubblico, la Corte di<br />
giustizia utilizza una definizione « funzionale » e non formale. La Corte, con sentenza del 20<br />
settembre 1998, nella causa Gebroeders Beentjes BV (C 31/87, in Racc., 1988, p. 4635) ha precisato<br />
che « la finalità della direttiva, consistente nella effettiva attuazione della libertà di stabilimento<br />
e della libera prestazione dei servizi in materia di appalti di lavori pubblici, sarebbe<br />
infatti compromessa se l’applicazione del regime della direttiva dovesse essere esclusa per il<br />
solo fatto che un appalto di lavori pubblici è stato aggiudicato da un ente che, pur essendo stato<br />
creato per svolgere funzioni attribuitegli dalla legge, non rientra formalmente nell’amministrazione<br />
statale. Di conseguenza, si deve ritenere che un organismo le cui funzioni e la cui
SAGGI 355<br />
L’appalto deve «répondre aux besoins de l’administration contractante.<br />
L’objet du marché est un élément fondamental de la définition des marchés publics.<br />
Il doit être précisément défini en vue de répondre à un besoin de la personne<br />
publique, et à lui seul (1.1.2.) » ( 78 ). I bisogni presi in considerazione, ai<br />
fini dell’applicazione della disciplina sugli appalti, sono di due tipi (v. par.<br />
4.1 della Circulaire du 3 août 2006 portant manuel d’application du code des<br />
marchés publics). In primo luogo i bisogni legati al funzionamento dell’ente<br />
stesso (per esempio: acquisti di forniture d’ufficio, computer per i propri dipendenti,<br />
assicurazioni per i propri locali). In secondo luogo vengono in rilievo<br />
i bisogni connessi alle attività d’interesse generale che conducono<br />
l’ente a fornire prestazioni a terzi (per esempio l’appalto per il servizio di<br />
trasporto scolastico).<br />
La prestazione di beni o servizi può avvenire non solo attraverso contratti<br />
con prestazioni corrispettive, ma anche per mezzo di altri strumenti<br />
come il collegamento negoziale ( 79 )o i contratti di società ( 80 ).<br />
Quindi il diritto comunitario dei contratti pubblici si occupa degli appalti<br />
non per regolare le ipotesi in cui viene meno l’equilibrio economico attraverso<br />
lo stesso strumento negoziale, ma per disciplinare la procedura di<br />
scelta dei contraenti, nelle ipotesi di acquisto di beni e servizi da parte delle<br />
pubbliche amministrazioni.<br />
Incidentalmente ad un contratto di appalto si può applicare la disciplina<br />
composizione sono, come nella fattispecie, contemplate dalla legge e che dipende dalla pubblica<br />
amministrazione per quanto riguarda la nomina dei suoi membri, la garanzia degli obblighi<br />
derivanti dai suoi atti e il finanziamento degli appalti ch’esso ha il compito di aggiudicare,<br />
rientri nella nozione di Stato ai sensi della summenzionata disposizione, anche se formalmente<br />
non fa parte dello Stato » (punti 11 e 12 della motivazione). La sentenza in parola,<br />
pertanto, identifica il concetto di « organismo di diritto pubblico », attraverso tre elementi: la<br />
personalità giuridica, il perseguimento di interessi di carattere non industriale e commerciale<br />
e la prevalenza di finanziamento pubblico.<br />
( 78 ) Cfr. sulla differenza tra appalti e sovvenzioni anche la Circolare DGEFP (Delegazione<br />
generale per l’impiego e la formazione professionale) n. 2002-30 del 4 maggio 2002, in materia<br />
di inserimento e qualificazione professionale, non pubblicata in Racc.<br />
( 79 )È stato per esempio ricondotto alla disciplina comunitaria degli appalti il rapporto tra<br />
un’amministrazione e un soggetto che svolge opere di urbanizzazione senza percepire un<br />
corrispettivo, ma beneficiando (da parte dell’amministrazione) di un provvedimento di esenzione<br />
o riduzione degli oneri di urbanizzazione. Corte CE, 12 luglio 2001, causa C-399/98,<br />
Ordine degli Architetti delle Province di Milano e Lodi et al., in Racc., 2001, p. I-5409.<br />
( 80 )V. Commissione CE, Libro verde sul parternariato pubblico-privato, 30 aprile 2004,<br />
COM (2004) 327 def. In giurisprudenza sulla scelta del socio per la costituzione di una società<br />
che eroga servizi pubblici, v., per esempio, Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2002, n. 2297, Cons.<br />
Stato, Sez. V, 3 settembre 2001, n. 4586 e così via.
356 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
dei contratti con prestazioni corrispettive (almeno se si applica il codice civile<br />
italiano); tuttavia vi sono rapporti da sottoporre alla disciplina degli appalti,<br />
che non hanno i caratteri della corrispettività.<br />
Sempre incidentalmente le sovvenzioni solitamente riguardano rapporti<br />
a titolo gratuito, ma non sarebbe inconcepibile una sovvenzione che determina<br />
la nascita di rapporti corrispettivi. Per esempio nel Programma<br />
Quadro di Ricerca le cosiddette « azioni di sostegno » si concretano in attività<br />
come la realizzazione di studi per la Commissione (v. decisione<br />
1982/2002, Allegato III), che possono essere realizzate anche da un solo<br />
soggetto (art. 8, regolamento 1906/2002).<br />
7. – La mancanza di una controprestazione diretta nelle sovvenzioni,<br />
inoltre, non ha nulla a che vedere con il concetto civilistico di gratuità o liberalità.<br />
Ciò nonostante la definizione contenuta, per esempio, nell’art. 108 del<br />
citato regolamento 1605/2002 (che usa l’espressione « liberalità », liberalité,<br />
donation, liberalidad, Zuwendungen e così via), e quanto sembrano stabilire<br />
alcune disposizioni nazionali.<br />
Il fatto è che le sovvenzioni non possono basarsi sul concetto civilistico<br />
di liberalità. Nella fattispecie in esame, non si può parlare di animus liberale<br />
visto che gli enti finanziatori hanno per obiettivo l’attuazione delle competenze<br />
attribuite dall’ordinamento (cfr. il già citato art. 108 regolamento<br />
1605/2002): la promozione della ricerca, dell’istruzione e formazione, della<br />
cooperazione internazionale, dello sviluppo economico e industriale, e così<br />
via ( 81 ). Nel diritto attuale il finanziamento di tali attività viene inteso come<br />
un vero e proprio obbligo, in capo della pubblica amministrazione, per<br />
dare concreta attuazione ai principi costituzionali, tra i quali quello della solidarietà<br />
sociale (art. 2 Cost.) ( 82 ). I programmi di finanziamento in generale,<br />
e le sovvenzioni in particolare, sono da considerare atti di solidarietà obbligatoria,<br />
ai quali sono tenute le pubbliche amministrazioni, e che la dot-<br />
( 81 ) V., tra gli altri, Palazzo, Le donazioni, in C.c. Comm., diretto da Schlesinger, Milano,<br />
1991, p. 221 ss.; Iacovino, Tavassi e Cassandro, in La donazione, a cura di Cataudella, Milano<br />
1996, p. 130; Alessi, Sull’ammissibilità di donazioni da parte di enti pubblici, in Giur. Cass.<br />
civ., 1947, 2, p. 480; Carabba, Incentivi finanziari, cit., p. 965. V. anche Cassese, La nuova costituzione<br />
economica, Roma-Bari, 2000, p. 24.<br />
( 82 ) Cfr. la giurisprudenza costituzionale in tema di volontariato e, in particolare, Corte<br />
cost., 31 dicembre 1993, n. 500, in Giur. it., 1994, I, 1, c. 322; cfr. il commento di Pietrolata,<br />
Strumenti di attuazione del principio di solidarietà sociale: una conferma da parte della Corte a<br />
proposito del volontariato.
SAGGI 357<br />
trina civilistica esclude per questo motivo dal concetto di liberalità ( 83 ). Anche<br />
chi parla di liberalità, soprattutto fuori dal diritto civile, non pensa che<br />
l’ente pubblico possa agire al di fuori dei vincoli imposti dalla legge per raggiungere<br />
le proprie finalità istituzionali ( 84 ).<br />
I soggetti beneficiari, inoltre, non accettano i contributi come donazione,<br />
ma in vista dello svolgimento di una loro attività, spesso di tipo professionale.<br />
Sebbene l’arricchimento non sia condizione necessaria per la liberalità,<br />
occorre ricordare che le sovvenzioni e i programmi di finanziamento non<br />
determinano neppure occasionalmente un tale effetto sul patrimonio del<br />
beneficiario. Anche quando si tratta di sovvenzioni, queste prevedono lo<br />
svolgimento di un’attività ed il sostenimento di costi, solo in parte coperti<br />
dal contributo.<br />
Prescindendo dalle considerazioni sul carattere liberale delle sovvenzioni,<br />
non si può correttamente affermare che gli obblighi imposti al beneficiario<br />
di una sovvenzione siano da comprendere nella nozione di onere.<br />
L’obbligo del beneficiario non sembra avere natura di onere. L’apposizione<br />
del modus ha l’obiettivo di ampliare e modificare un tipo previsto dalla<br />
legge (come è per la donazione), o anche un negozio gratuito atipico ( 85 ),<br />
consentendo di attuare finalità diverse ed ulteriori rispetto a quelle perseguite<br />
in via principale ( 86 ). Tra queste finalità si può ricordare il limite all’attribuzione<br />
patrimoniale (cfr. art. 793, comma 2, c.c.) o l’imposizione di un<br />
dato utilizzo della prestazione ( 87 ). Così ricostruito il concetto di onere, non<br />
( 83 )Palazzo, Atti gratuiti e donazioni, cit., spec. p. 56 s.<br />
( 84 ) È questa la posizione di Giannini, Diritto amministrativo, I, Milano, 1970, p. 764 s.,<br />
per la mancanza nell’ordinamento di una limitazione della capacità degli enti pubblici. V. sul<br />
punto anche Pugliese, voce Contratti della pubblica amministrazione, in Enc. giur., vol. IX,<br />
Roma, 1988, pp. 8-9; Sepe, voce Contratti della pubblica amministrazione, in Enc. dir., vol. IV,<br />
Milano, 1954, p. 11. In modo conforme, la giurisprudenza ammette che gli enti pubblici possano<br />
porre in essere atti di liberalità: cfr. Cass., 17 novembre 1953; Cass., sez. un., 18 gennaio<br />
1955, in Foro it., 1955, I, 471; Cass., 18 dicembre 1996, n. 11311). Si precisa, comunque, che gli<br />
enti pubblici possano compiere atti liberali « solo in quanto rientrino tra i propri fini istituzionali<br />
o siano strettamente legati da un rapporto di connessione o strumentalità con gli stessi »<br />
(Corte Conti, sez. contr., 26 gennaio 1989, n. 2076, Riv. Corte Conti, 1990, p. 3, 6). Si può osservare,<br />
comunque, che il potere di attribuire contributi da parte di un ente pubblico non equivale<br />
a conferire il potere di compiere atti di liberalità in senso civilistico.<br />
( 85 ) Cfr. Cass., 11 giugno 2004, n. 11096, in Codici d’<strong>Italia</strong>.<br />
( 86 ) Cfr. Marini, Il modus come elemento accidentale del negozio gratuito, cit., p. 214. V.<br />
Cass., 18 dicembre 1986, n. 7679, in Codici d’<strong>Italia</strong>.<br />
( 87 ) Messineo, Dottrina generale del contratto, Milano, 1952, p. 235.
358 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
potrebbero ricondursi ad esso gli obblighi imposti ai beneficiari dei finanziamenti.<br />
Tali obblighi sono previsti dalla base giuridica del programma come<br />
essenziali e non meramente accidentali. Senza questi obblighi ed il loro<br />
adempimento non sarebbe ipotizzabile la promozione della ricerca, dell’istruzione,<br />
della cultura e così via. I rapporti tra ente finanziatore e beneficiario<br />
sono perciò tipizzati dalle fonti giuridiche per raggiungere gli scopi<br />
stabiliti dall’ordinamento, nell’ambito, peraltro, del rispetto del principio di<br />
legittimità dell’azione della pubblica amministrazione (v. art. 97 Cost.) ( 88 ).<br />
Sotto un profilo negativo, il valore della prestazione, al quale è obbligato il<br />
beneficiario, può ben essere superiore al vantaggio patrimoniale. Le sovvenzioni,<br />
infatti, prevedono un contributo inferiore al valore dei costi sostenuti<br />
per l’attuazione del progetto.<br />
Non si può confondere poi il concetto di arricchimento, nell’ambito della<br />
nozione civilistica di liberalità, con la nozione di « aiuto » della normativa<br />
comunitaria sugli aiuti di Stato (art. 107, par. 1, TFUE). Tale nozione riguarda<br />
tutti « gli interventi i quali, in varie forme, alleviano gli oneri che normalmente<br />
gravano sul bilancio di un’<strong>impresa</strong> » ( 89 ) durante lo svolgimento della<br />
ordinaria attività di mercato. Quindi l’effetto distorsivo non è dato dall’aumento<br />
del patrimonio aziendale ma da vantaggi accordati fuori dalla<br />
normale logica di mercato. Ciò detto l’aiuto vietato è una nozione più ampia<br />
di sovvenzione, in quanto riguarda « non soltanto prestazioni positive<br />
del genere delle sovvenzioni, ma anche interventi i quali (. . .) senza essere<br />
sovvenzioni in senso stretto, ne hanno la natura e producono identici effetti<br />
» ( 90 ). Quindi anche un contratto con prestazioni corrispettive potrebbe<br />
realizzare l’effetto vietato, quando il corrispettivo è determinato in modo<br />
da attribuire un vantaggio preferenziale ( 91 ). Analoghe disposizioni si pos-<br />
( 88 ) È questa l’opinione di Marini, Il modus come elemento accidentale del negozio gratuito,<br />
cit., p. 217, che affronta la questione se l’onere possa essere applicato agli atti amministrativi.<br />
Sull’argomento v. Treves, Atto determinativo, gratuità e determinazioni accessorie, in<br />
Riv. dir. civ., 1938, p. 176 ss.; Lucifredi, L’atto amministrativo nei suoi elementi accidentali,<br />
Milano, 1963, p. 243 ss.; Giannini, voce Atto amministrativo, in Enc. dir., vol. IV, Milano,<br />
1959, p. 175.<br />
( 89 ) Corte CE, 23 febbraio 1961, causa C-30/59, De Gezamenlijke Steenkolenmijnen in Limburg<br />
c. Alta Autorità della CECA, in Racc. 1961, p. 3.<br />
( 90 ) Corte CE, 11 luglio 1996, causa C-39/94, SFEI et al., in Racc., 1996, p. I-3547, punto 58.<br />
Più di recente tra le altre, v. Corte CE, 15 giugno 2006, cause riunite C-393/04 e C-41/05, Air<br />
Liquide Industries Belgium, in Racc., 2006, p. I-5293; Trib. CE, 7 giugno 2006, causa T-613/97,<br />
Ufex et al. c. Commissione, in Racc., 2006, p. II-1531.<br />
( 91 )Trib. CE, 28 settembre 1995, causaT-95/94, Chambre Sindacale Nazionale des Entreprises<br />
de Transport de Fonds et Valeurs et al. c. Commissione, in Racc., 1995, p. II-02651.
SAGGI 359<br />
sono incontrare nel diritto del commercio internazionale, da cui, seppure<br />
come ispirazione, viene la disciplina comunitaria in materia di aiuti ( 92 ).<br />
8. – La distinzione tra sovvenzioni e appalti va allora condotta tenendo<br />
conto delle esigenze della specifica disciplina.<br />
La prassi amministrativa, in effetti, oltre ai riferimenti ai concetti civilistici,<br />
utilizza altri criteri di distinzione, che ora vale la pena di prendere in<br />
considerazione.<br />
Un primo criterio è legato alla tipologia di « bisogno » dell’ente finanziatore<br />
e del beneficiario, e della conseguente iniziativa per soddisfarlo.<br />
Nel già citato documento Instruction pour l’application du code des marchés<br />
publics del 28 agosto 2001, si afferma che la sovvenzione si caratterizza<br />
per la circostanza che l’attività sovvenzionata «est initiée et menée par un tiers<br />
pour répondre à des besoins que celui-ci a définis » ( 93 ). Ciò avviene in risposta<br />
ad un bando e con una ben dettagliata modulistica ( 94 ).<br />
Anche i documenti della Commissione europea affermano che: «a<br />
grant is made for an operation which is proposed to the Contracting Authority<br />
by a potential beneficiary (an “applicant”) and falls within the normal framework<br />
of the beneficiary’s activities » ( 95 ).<br />
( 92 ) Nel diritto internazionale i sussidi sono identificati come un contributo finanziario<br />
pubblico (erogato sotto forma di trasferimenti diretti, esenzioni, acquisti o forniture di beni o<br />
servizi) che attribuiscano un beneficio (art. 1 Agreement on Subsidies and Countervailing Measure<br />
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio).<br />
( 93 ) Come è spiegato con riferimento specifico alle sovvenzioni per le associazioni: mentre<br />
«Il y a marché public lorsque l’administration exprime de son initiative un besoin qui lui est<br />
propre et qu’elle demande à un prestataire extérieur de lui fournir les biens ou prestations de nature<br />
à satisfaire ce besoin en contrepartie d’un prix. Dès lors, le code des marchés publics, ou la loi<br />
Sapin s’il s’agit d’une délégation de service public, trouvent à s’appliquer, quel que soit le statut du<br />
fournisseur », invece vi è una sovvenzione «lorsqu’il s’agit pour une collectivité d’apporter un<br />
concours financier aux activités d’une association qui a bâti un projet spécifique. On ne se trouve<br />
alors pas dans le cadre d’une relation de marché public. En effet, chaque fois qu’une collectivité<br />
décide de participer financièrement, dans une proportion qui peut fortement varier d’un cas à l’autre,<br />
à un projet élaboré par une association, et qui répond aux besoins de cette dernière, on se trouve<br />
alors dans le domaine de la subvention qui n’appelle pas de mise en concurrence préalable ».<br />
( 94 )Per le domande di sovvenzione allo Stato, ai suoi servizi decentrati (DDJS, DDASS,<br />
ecc.), anche alle collettività territoriali (in caso di cofinanziamento), le associazioni devono ricorrere<br />
ad un formulario comune (Cerfa n. 12156/02) reso effettivo da una circolare del dicembre<br />
2002. Una decisione dell’11 ottobre 2006 completa tale dossier integrandone le evoluzioni<br />
recenti in materia di trasparenza finanziaria e le nuove modalità di presentazione di utilizzazione<br />
dei fondi pubblici.<br />
( 95 )V. anche il documento della Commissione Practical Guide to Contract procedures for<br />
EC external actions citato (par. 6.1.1).
360 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Ciò a differenza delle procedure di appalto dove «the Contracting Authority<br />
draws up the terms of reference for a project it wants to be carried out ».<br />
Il criterio dell’iniziativa dell’attività da realizzare, previsto nell’Instruction,<br />
sembrerebbe riguardare i caratteri dell’operazione da intraprendere.<br />
Ma non sembra facile affermare che una determinata attività si presti<br />
ad essere iniziata o soltanto dall’ente finanziatore, o soltanto dai beneficiari.<br />
Spesso la stessa attività può soddisfare il pubblico interesse sia se<br />
identificata dall’ente finanziatore (con l’appalto), sia se proposta da chi riceve<br />
il finanziamento (come accade nel progetto elaborato dai beneficiari<br />
di una sovvenzione). Senza considerare poi che l’attività proposta dai<br />
candidati ad una sovvenzione deve essere formulata, tenendo conto di<br />
obiettivi molto dettagliati (nei bandi e nei documenti che li accompagnano)<br />
( 96 ).<br />
È comunque vero che nell’appalto l’attività da realizzare è di solito già definita<br />
dall’appaltante, mentre nella sovvenzione gli obiettivi fissati dall’ente<br />
pubblico sono poi precisati da un progetto definito dal beneficiario ( 97 ).<br />
9. – Alle sovvenzioni, in linea di massima, non si applicano le norme in<br />
materia di appalti, contenute nelle direttive e nelle altri fonti comunitarie<br />
(v. gli artt. 88 ss. reg. 1605/2002) e nazionali.<br />
In ogni modo le sovvenzioni devono essere attribuite secondo una procedura<br />
di selezione ad evidenza pubblica, così come stabilito dalle fonti comunitarie<br />
(artt. 114 ss. reg. 1605/2002 e 172 quater ss. reg. 2342/2002) e nazionali<br />
(artt. 12 l. 241/1990 e 22 ss. ley General de Subvenciones n. 38/2003),<br />
applicando i medesimi principi di base degli appalti: si pensi al divieto di discriminazione<br />
e alla trasparenza.<br />
Anche in questo caso la scelta dell’appalto rispetto alla sovvenzione non<br />
dipende da caratteri ontologici dell’azione pubblica o dell’interesse pubblico<br />
da realizzare. In effetti la sovvenzione come l’appalto, il mutuo e gli strumenti<br />
possono essere utilizzati dall’ente pubblico per raggiungere gli obiettivi<br />
stabiliti dalla legge.<br />
Come si afferma, realisticamente, in un documento destinato ai funzio-<br />
( 96 ) Come i « work programme » dei Programmi Quadro di RST, che specificano e dettagliano<br />
gli obbiettivi dei programmi specifici.<br />
( 97 ) La circolare della DGEFP del Ministère de l’Emploi et de la Solidarité ricorda che:<br />
«si l’administration a besoin d’une prestation particulière qu’elle ne peut réaliser elle-même mais<br />
dont elle peut précisément définir les caractéristiques, on se trouve dans le cas de figure des marchés<br />
publics: une mise en concurrence et une publicité doivent être organisées, sur la base d’un<br />
cahier des charges ».
SAGGI 361<br />
nari della Commissione: «In practice, the borderline between grants and procurement<br />
spending is sometimes difficult to draw » ( 98 ).<br />
Nella maggior parte delle materie oggetto dell’intervento pubblico, in<br />
realtà, la Commissione europea e gli altri enti finanziatori possono ricorrere<br />
tanto all’appalto, quanto alle sovvenzioni (come è sottolineato nel documento<br />
Practical Guide to Contract procedures for EC external actions del<br />
2007) ( 99 ). La scelta è quindi discrezionale ( 100 ), qualora non sia effettuata<br />
dalla disciplina applicabile.<br />
La scelta della sovvenzione è in particolare possibile se l’attività da svolgere<br />
non rientri nella definizione di lavoro, fornitura o servizio prevista dalla<br />
normativa nazionale e comunitaria in materia di appalti (v. l’art. 1, par. 2,<br />
direttiva 2004/18/CE e l’art. 3 del Codice italiano degli appalti). Per quanto<br />
riguarda in particolare i servizi occorre stabilire se l’attività richiesta rientra<br />
nell’elencazione dell’Allegato II alla direttiva 2004/18/CE e se non ricorrono<br />
casi di esclusione (v. soprattutto artt. 16 e 17 della direttiva).<br />
Negli altri casi, qualora la base giuridica del programma non stabilisca<br />
quale sia la tecnica di spesa da utilizzare necessariamente, nei documenti<br />
della Commissione europea ( 101 ), come in quelli delle amministrazioni nazionali,<br />
al più si indicano criteri pratici per uscire dalla difficoltà di distinguere<br />
le fattispecie che ricadono nella disciplina degli appalti.<br />
Di fronte alla scelta tra le due tecniche di finanziamento, di solito si consiglia<br />
alle amministrazioni di operare un giudizio di massima ( 102 )e comunque<br />
di valutare caso per caso. E così, nel documento appena citato, la Commissione<br />
consiglia ai propri funzionari – nei casi di dubbio, quando la base<br />
giuridica non impone una procedura particolare – di applicare la disciplina<br />
degli appalti, la quale rappresenta una sorta di normativa quadro nel settore<br />
dei contratti pubblici ( 103 ).<br />
( 98 ) Vademecum on Grant Management, cit., par. 1.3.<br />
( 99 ) Practical Guide to Contract procedures for EC external actions del 2007, all’indirizzo:<br />
http://ec.europa.eu/europeaid/work/procedures/implementation/common_documents/practical_guide/new_prag_final_en.pdf.<br />
( 100 ) Nell’US Code si afferma che va utilizzato il procurement contract rispetto al grant o<br />
cooperative agreement quando «the agency decides in a specific instance that the use of a procurement<br />
contract is appropriate » (§ 6303).<br />
( 101 )V. la citata Practical Guide to Contract procedures for EC external actions (par. 6.1.1).<br />
( 102 ) La Guide on Grants, Contributions and Other Transfer Payments Treasury Board of Canada<br />
Secretariat al par. 3 propone una checklist degli indici per considerare un’operazione<br />
rientrante nell’ambito degli appalti. Se tali indici ricorrono in maggioranza si consiglia di utilizzare<br />
lo strumento dell’appalto.<br />
( 103 ) Cfr. il ventiquattresimo considerando del reg. 1605/2002, che si riferisce agli appalti e<br />
il trentesimo considerando, che riguarda le sovvenzioni. Il carattere generale della disciplina
362 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
10. – L’elemento caratteristico della sovvenzione rispetto all’appalto si<br />
coglie soprattutto dalla tecnica di erogazione del finanziamento da parte<br />
dell’ente finanziatore, come emerge dalle fonti e dalla prassi delle amministrazioni<br />
nazionali e sovranazionali ( 104 ).<br />
Nelle sovvenzioni l’ente finanziatore contribuisce alla realizzazione<br />
dell’attività da realizzare con una somma che è legata ai costi del beneficia-<br />
degli appalti per tutti i contratti pubblici è affermata anche dalla normativa e dalla interpretazione<br />
amministrativa. Si pensi alla l. 11 febbraio 2005, n. 15 contenente modifiche e integrazioni<br />
alla l. 7 agosto 1990, n. 241, che impone rispetto dei principi di trasparenza e gli altri principi<br />
del diritto comunitario alla più generale attività della pubblica amministrazione. Oppure<br />
v. l’art. 192, comma 2, T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, in tema di determinazioni<br />
a contrarre e relative procedure, che stabilisce che « si applicano, in ogni caso, le procedure<br />
previste dalla normativa dell’Unione europea recepita o comunque vigente nell’ordinamento<br />
giuridico italiano ». V. anche la circolare n. 8756 del 6 giugno 2002 della Presidenza<br />
del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le Politiche comunitarie, per la quale: « secondo<br />
i principi comunitari, le pubbliche amministrazioni che intendono stipulare contratti non regolamentati<br />
sul piano europeo, sono tenute ad osservare criteri di condotta che consentano,<br />
senza discriminazioni su base di nazionalità e di residenza, a tutte le imprese interessate di venire<br />
per tempo a conoscenza dell’intenzione amministrativa di stipulare il contratto e di giocare<br />
le proprie chances competitive attraverso la formulazione di un’offerta appropriata ».<br />
( 104 ) Nel Practical Guide to Contract procedures for EC external actions citato, secondo il<br />
quale (par. 6.1.1): «A grant beneficiary is responsible for implementing the operation and retains<br />
ownership of its results. By contrast, under a procurement contract, it is the Contracting Authority<br />
which owns the results of the project and closely supervises its implementation.<br />
- A grant beneficiary generally contributes to the financing of the action except in cases where<br />
full Community financing is essential for the action to be carried out or full EDF financing is required.<br />
. . In the case of procurement contracts, however, the contractor does not normally contribute<br />
financially.<br />
- A grant can only be made for an operation whose immediate objective is non-commercial.<br />
Under no circumstances may the grant give rise to profits (i.e., it must be restricted to the amount<br />
required to balance income and expenditure for the action, see point 6.2.10), with exception of the<br />
actions with the objective of reinforcement of the financial capacity of a beneficiary or the generation<br />
of an income in the framework of external actions. Grant beneficiaries are generally non-profit-making<br />
(. . . .)<br />
- The grant is expressed by ways of a percentage and a maximum amount of the eligible costs<br />
of the action actually incurred by the beneficiary. If lump sums (with a unit value not exceeding<br />
EUR 25.000 per category(ies) of eligible cost) or flat-rate financing are envisaged, its use and the<br />
maximum amounts must be authorised by grant or type of grant by the Commission in a decision,<br />
e.g. in the financing decision. The use of lump sums, flat-rate financing or a combination of the<br />
different forms of expressing a grant requires an amendment of the standard grant contract, which<br />
is subject to a derogation.<br />
The amount of a procurement contract, on the other hand, represents a price fixed in accordance<br />
with competitive tendering rules ».
SAGGI 363<br />
rio, sostenuti per il progetto ( 105 ). Tali costi vanno solitamente giustificati e<br />
documentati (v. art. 119 reg. 1605/2002; art. 180 reg. 2342/2002). Infatti, come<br />
si afferma anche in giurisprudenza « incombe al beneficiario l’onere di<br />
dimostrare l’effettività delle spese e la loro connessione con l’azione approvata<br />
» ( 106 ). La contribuzione deve avvenire in modo da non determinare un<br />
profitto (art. 113, par. 2, reg. 1605/2002) e cioè una differenza tra il contributo<br />
ed il totale dei costi (art. 165, par. 1, reg. 2342/2002). Ciò in maniera differente<br />
dell’appalto in cui il finanziatore paga un prezzo, senza necessità di accertare<br />
i costi effettivamente sostenuti, e con la possibilità dell’appaltatore<br />
di conseguire un utile dall’operazione ( 107 ). In base al principio dell’assenza<br />
di profitto, il contributo comunitario viene ridotto se la somma di questo e<br />
delle altre entrate è superiore ai costi ammissibili (art. II.17, par. 4, contratto<br />
per le sovvenzioni).<br />
In alcuni casi il contributo avviene in modo forfetario (v. art. 108 bis reg.<br />
1605/2002), ma ciò non trasforma il contributo in un corrispettivo. In tali<br />
( 105 ) Come opportunamente ricorda Manzella, Gli ausili finanziari, cit., p. 2872.<br />
( 106 )V. Trib. CE, 14 luglio 1997, Interhotel c. Commission, cit., punto 47. La Commissione<br />
ha quindi il diritto di non riconoscere costi che, seppure previsti nel contratto di finanziamento,<br />
non sono rappresentati da idonea documentazione (v. il punto 43 della sentenza da ultimo<br />
citata). Secondo la giurisprudenza Stadtsportverband Neuss eV c. Commissione, causa T-137/01,<br />
cit., punto 88, sembrerebbe, inoltre, che i documenti probatori non possano essere presentati<br />
al giudice successivamente. Infatti: « a questo riguardo va ricordato che, secondo una costante<br />
giurisprudenza, la legittimità di un atto individuale impugnato deve essere valutata in base<br />
alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento in cui l’atto è stato adottato (v., in particolare,<br />
sentenze della Corte di giustizia 7 febbraio 1979, Francia/Commissione, cause riunite<br />
15/76 e 16/76, Racc. p. 321, punto 7, e 17 maggio 2001, IECC/Commissione, C-449/98, Racc. p.<br />
I-3875, punto 87; Tribunale di primo grado 12 dicembre 1996, Altmann e altri/Commissione,<br />
cause riunite T-177/94 e T- 377/94, Racc. p. II-2041, punto 119). Qualora infatti dovesse esaminare<br />
gli atti impugnati, alla luce di elementi di fatto non esistenti alla data in cui l’atto è stato<br />
emanato, il Tribunale si sostituirebbe all’istituzione da cui promana l’atto di cui trattasi (sentenza<br />
del Tribunale 11 luglio 1991, Von Hoessle/Corte dei conti, T-19/90, Racc. p. II-615, punto<br />
30). Di conseguenza vanno presi in considerazione solo gli elementi di cui la Commissione<br />
poteva prendere conoscenza nel corso del procedimento amministrativo ».<br />
( 107 ) Questa conclusione non è contraddetta dalla circostanza che il prezzo viene stabilito,<br />
nella fase di formazione del contratto, per esempio con riferimento a parametri come il costo<br />
dello staff impegnato nell’attività. Una volta determinato il prezzo, questo verrà pagato<br />
senza che si dimostri il costo effettivamente sostenuto (per esempio per i componenti dello<br />
staff ). In alcuni casi una parte del corrispettivo viene pagato in riferimento a costi realmente<br />
sostenuti. È il caso degli appalti di servizi denominati «Fee-based contract ». In questi casi una<br />
parte del corrispettivo viene commisurato alle «incidental expenses», come le spese di viaggio<br />
degli esperti. Anche in questo caso, tuttavia, non devono essere rispettati i principi tipici delle<br />
sovvenzioni come quello del cofinanziamento.
364 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
ipotesi per ragioni di opportunità (per la tipologia di azione o di beneficiario,<br />
per ragioni di semplificazione delle procedure) ( 108 ) si presume che la<br />
lump sum copra comunque i costi dell’operazione (cfr. art. 165, par. 2, reg.<br />
2342/2002, che si riferisce a borse a persone fisiche, premi per la partecipazione<br />
a concorsi e altri importi forfetari).<br />
Per evitare che il contributo superi i costi, è stabilito il divieto di cumulo<br />
e cioè di attribuire più di una sovvenzione allo stesso soggetto beneficiario<br />
per la stessa azione (art. 111, reg. 1605/2002).<br />
Il beneficiario, pertanto, deve « cofinanziare » l’operazione (v. art. 113<br />
del reg. 1605/2002). I soggetti che partecipano ai programmi comunitari<br />
hanno l’obbligo di coprire la parte dei costi non finanziata dalla sovvenzione.<br />
Il beneficiario della sovvenzione giustifica l’importo dei cofinanziamenti<br />
ricevuti in termini di: risorse proprie; trasferimenti finanziari forniti da<br />
terzi; contributi in natura, se ammessi (art. 172 reg. 2342/2002).<br />
Detta modalità di erogazione del finanziamento si accompagna alla circostanza,<br />
come si è detto sopra, che l’ente finanziatore può acquistare diritti<br />
sui risultati dell’attività progettuale, ma mai in maniera esclusiva, come<br />
accadrebbe in un appalto.<br />
In senso negativo il progetto comune non deve consistere in modo preponderante<br />
nella erogazione di attività qualificate appalti dalla normativa<br />
vigente. Tra queste attività che escludono l’applicazione della disciplina sulle<br />
sovvenzioni, lo svolgimento di attività in favore di terzi, rientranti nella<br />
definizione di servizi pubblici.<br />
11. – La modalità con cui l’ente finanziatore partecipa alla spesa si basano<br />
sull’idea che l’ente finanziatore non acquista, ma collabora, al fine di realizzare<br />
un progetto comune, conforme agli obiettivi previsti dalle fonti giuridiche<br />
e alla missione istituzionale del soggetto pubblico o privato (come le<br />
fondazioni di origine bancaria).<br />
Nelle sovvenzioni, pertanto, viene messa in risalto la modalità associativa<br />
con cui le parti realizzano il progetto.<br />
Come si direbbe nell’ordinamento italiano i beneficiari e l’ente finan-<br />
( 108 )V. la recente proposta della Commissione europea nel settore dei finanziamenti della<br />
ricerca in modo da attenuare gli obblighi di rendicontazione (Communication From The<br />
Commission To The European Parliament, The Council, The European Economic And Social<br />
Committee And The Committee Of The Regions Simplifying The Implementation Of The Research<br />
Framework Programmes, COM(2010) 187, del 20 aprile 2010). In questi casi, comunque, non<br />
viene messo in dubbio che si tratta di sovvenzioni.
SAGGI 365<br />
ziatore realizzano uno scopo comune, nel senso che le prestazioni delle parti<br />
sono poste in parallelo e non contrapposte ( 109 ).<br />
In effetti il più importante tratto differenziale di tali contratti non riguarda<br />
il numero delle parti ( 110 ), ma la direzione delle prestazioni che devono<br />
tendere allo scopo comune prefissato. Per di più spesso nelle sovvenzioni<br />
comunitarie e in quelle nazionali è usuale che si richieda la pluralità<br />
dei beneficiari.<br />
La comunione di scopo non è peraltro equivalente al perseguimento<br />
dello scopo di soddisfare lo stesso interesse pubblico, che è essenziale anche<br />
nelle altre tecniche per l’attuazione di un finanziamento pubblico. Anche<br />
nelle altre tecniche vi è la realizzazione di una stessa attività con prestazioni<br />
diverse delle parti. Ma le prestazioni, seppure in un quadro di collaborazione<br />
tra le parti, sono poste in modo che una è soddisfatta direttamente<br />
dall’altra.<br />
Nelle sovvenzioni, come negli altri contratti di carattere associativo, la<br />
soddisfazione degli interessi di una delle parti non avviene per effetto della<br />
controprestazione di un’altra parte, ma dall’esecuzione di un programma<br />
concordato (nel caso delle sovvenzioni, il progetto). La sovvenzione dell’ente<br />
finanziatore non remunera l’attività del beneficiario, ma costituisce la<br />
partecipazione dell’ente alla realizzazione del progetto.<br />
Qui in effetti, ben diversamente dai contratti di scambio, il ruolo del<br />
contratto non è quello di porre lo schema di attribuzioni che valga a fissare<br />
gli interessi delle parti tramite immediate imputazioni, quanto piuttosto di<br />
mobilitare gli interessi delle parti, orientandolo al perseguimento dell’interesse<br />
che è la finalità del piano d’azione predisposto ( 111 ).<br />
Come in altri contratti associativi lo scopo comune, la realizzazione del<br />
progetto, viene ad assumere un rilievo per l’insieme dei contraenti. Ciò ha<br />
conseguenze sotto il profilo delle vicende del rapporto.<br />
Innanzitutto nel senso che nelle sovvenzioni è ammissibile una modificazione<br />
del partenariato senza che ciò necessariamente comporti una modifica<br />
del progetto comune. E questo sia per quanto riguarda l’ingresso di<br />
nuovi soggetti, sia per il recesso, la nullità o la risoluzione della partecipazione<br />
di uno dei soggetti a meno che la partecipazione non sia considerata<br />
essenziale.<br />
Nei contratti tipo delle sovvenzioni, infatti, vi sono disposizioni che pre-<br />
( 109 ) Maiorca, voce <strong>Contratto</strong> plurilaterale, in Enc. giur., vol. IX, Roma, 1988, p. 1 ss.; v.<br />
p. 8 ss.<br />
( 110 ) Cass., 28 ottobre 1954, n. 4184; Cass., 10 marzo 1980, n. 1592.<br />
( 111 ) Guglielmetti, I contratti normativi, Padova, 1969, p. 42 ss.
366 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
vedono la modificazione del partenariato e la risoluzione dell’intero rapporto<br />
solo quando il venir meno della partecipazione di uno dei beneficiari<br />
compromette l’intero progetto (v. art. II.38, par. 1, Model Grant Agreement<br />
del Settimo Programma Quadro).<br />
Diverso è il caso dei contratti di appalto dove vi sono due parti, una è<br />
l’appaltante, l’altro l’appaltatore. Anche quando questi è una parte complessa<br />
(un raggruppamento temporaneo), la modifica potrebbe non essere<br />
ammessa.<br />
L’art. 37 del d.lgs. 163/2006 al comma 9 stabilisce che: « è vietata qualsiasi<br />
modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei e dei<br />
consorzi ordinari di concorrenti rispetto a quella risultante dall’impegno<br />
presentato in sede di offerta ».<br />
La disposizione viene letta come divieto assoluto nella variazione della<br />
composizione del raggruppamento temporaneo (per es. Cons. Stato, 7 aprile<br />
2006, n. 1903). Lo stesso Consiglio di Stato ha comunque attenuato il<br />
principio, sostenendo che la immodificabilità è a tutela della possibilità dell’amministrazione<br />
di verificare i requisiti tecnico-organizzativi, economico-finanziari<br />
e morali dei partecipanti, cosicché appare vietata la sostituzione<br />
di una delle imprese raggruppata o l’ingresso di una nuova, ma non già il<br />
recesso (Cons. Stato, n. 4101/2007; Id., 2964/2009).<br />
Il carattere associativo delle sovvenzioni fa sì che vengano applicate regole<br />
molto simili a quelle previste dal codice civile italiano, che è uno dei<br />
pochi a disciplinare in generale il fenomeno dei contratti con comunione di<br />
scopo ( 112 ).<br />
Ne è un esempio la disciplina comunitaria delle sovvenzioni, nell’ambito<br />
della quale si utilizzano clausole quali: la previsione della diffida ad adempiere<br />
e di clausole risolutive espresse in favore della Commissione ( 113 ); la ri-<br />
( 112 ) Diverse possono essere le regole applicabili, negli ordinamenti che qualificano in modo<br />
differente i rapporti giuridici che derivano dai programmi di finanziamento. In una disciplina<br />
che riconosce il contratto bilaterale, per esempio, l’inadempimento di una delle obbligazioni<br />
conduce alla risoluzione del contratto, senza che si tenga conto della essenzialità di una delle<br />
prestazioni; ciò per effetto dell’applicazione della clausola risolutiva « sottintesa » ai contratti sinallagmatici.<br />
Nel sistema del codice Napoleone, infatti, il contratto di società si scioglie per volontà<br />
(art. 1733 c.c. 1865; art. 1869 code civil belge) o per inadempimento (art. 1735 c.c. 1865; art.<br />
1844-7, 5°, code civil; art. 1871 code civil belge) anche di uno dei soci. V. anche la disciplina del recesso<br />
nella societé en partecipation, di cui all’art. 1872-2 code civil. Nel BGB la fattispecie in parola<br />
potrebbe ricadere nel campo di applicazione del principio posto dal § 139 il quale, analogamente<br />
all’art. 1419, comma 1, c.c. disciplina la nullità parziale del contratto.<br />
( 113 ) Cfr. la disciplina di cui all’art. II.38 del contratto tipo del Settimo Programma Quadro<br />
di RST. Le clausole risolutive a favore dell’ente finanziatore sono presenti anche nella disci-
SAGGI 367<br />
soluzione per « forza maggiore » e per inadempimento; l’applicazione di<br />
sanzioni contrattuali come clausole penali e interessi di mora.<br />
12. – Da quanto detto nei paragrafi precedenti le sovvenzioni sono una<br />
delle tecniche utilizzate dagli enti pubblici (e da altri soggetti previsti dalla<br />
legge) per attuare le loro finalità istituzionali.<br />
Come accade per i pubblici appalti, anche le sovvenzioni non sono individuate<br />
(o escluse) dalla semplice presenza di alcune marche civilistiche come<br />
la mancanza di corrispettività. Come accade per gli appalti le sovvenzioni<br />
non identificano una unica tipologia di rapporto contrattuale ( 114 ).<br />
La sovvenzione è caratterizzata da una disciplina che investe congiuntamente<br />
diversi aspetti dell’azione di un ente pubblico quali la procedura di<br />
scelta del beneficiario, la modalità di spesa del denaro, il rapporto tra ente e<br />
beneficiario.<br />
Nel diritto dell’Unione e nel diritto nazionale, il concetto di sovvenzione<br />
si individua quindi nel contesto della disciplina dei contratti pubblici e in<br />
opposizione alla nozione di appalto.<br />
L’utilizzo della sovvenzione è possibile in tutti quei casi in cui l’ente pubblico<br />
non è obbligato ad applicare la disciplina degli appalti. Come si è osservato<br />
l’ente deve ricorrere alla normativa sugli appalti quando acquista un bene<br />
o un servizio a proprio esclusivo vantaggio e quando deve fornire un servizio<br />
pubblico in favore dei cittadini. Per esempio la base giuridica di alcuni programmi<br />
comunitari richiede l’applicazione della disciplina dell’appalto quando,<br />
per attuare il programma, la Commissione ha bisogno di « assistenza tecnica<br />
» ( 115 ) o per erogare servizi a particolari destinatari ( 116 ).<br />
plina dei finanziamenti nazionali, qualunque sia la tecnica utilizzata. Per esempio, si fa osservare<br />
che « nel contratto IMI, utilizzando lo strumento previsto dall’art. 1662 c.c. per l’appalto,<br />
si prevede la clausola risolutiva espressa a vantaggio del committente, dopo la diffida ad<br />
adempiere ex art. 1454 c.c., anche prima della scadenza del termine, qualora l’esecuzione del<br />
progetto di ricerca non proceda secondo le condizioni stabilite nel capitolato tecnico ed a regola<br />
d’arte » (Candian, voce Ricerca (contratto), cit., p. 526).<br />
( 114 ) La definizione comunitaria di « appalto » è infatti più ampia di quella accolta, per<br />
esempio, nel nostro codice civile all’art. 1655 c.c. Essa riguarda rapporti riconducibili a tipologie<br />
contrattuali quali il contratto d’opera, il leasing, la locazione, la somministrazione, i contratti<br />
di società e così via.<br />
( 115 )V., per esempio, il Programma Innovazione e Competitività (PIC) istituito con decisione<br />
n. 1639/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ottobre 2006. L’art. 7<br />
della decisione stabilisce che una parte del budget del programma potrà essere utilizzato dalla<br />
Commissione per « le spese necessarie connesse alle azioni di preparazione, monitoraggio,<br />
controllo, audit e valutazione direttamente necessarie per l’attuazione efficace ed efficiente
368 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Nella sovvenzione l’ente finanziatore non acquista beni o servizi dietro<br />
il pagamento di un corrispettivo, ma partecipa alla realizzazione di un’attività<br />
proposta dai beneficiari, mediante la erogazione di un contributo, che è<br />
legato ai costi effettivi o a quelli stimati dei beneficiari stessi. I risultati derivanti<br />
dall’attuazione del progetto (i beni o comunque le utilità prodotte)<br />
non sono a vantaggio esclusivamente dell’ente pubblico (o di terzi), ma anche<br />
dei beneficiari.<br />
Queste caratteristiche della sovvenzione fanno sì che si applichino norme<br />
sulla scelta del contraente diverse da quelle degli appalti, seppure nel rispetto<br />
di certi principi comuni.<br />
Le caratteristiche delle sovvenzioni ne rendono particolarmente interessante<br />
l’utilizzo in quelle ipotesi dove è necessario promuovere la transnazionalità<br />
(soprattutto nelle sovvenzioni comunitarie e quelle internazionali)<br />
e la collaborazione di soggetti di diversa provenienza (università,<br />
enti di ricerca, imprese, enti no profit, e così via). Negli altri strumenti di attuazione<br />
delle politiche pubbliche, la collaborazione tra più destinatari non<br />
è esclusa (si pensi ai raggruppamenti temporanei tra appaltatori) ma avviene<br />
in modo eventuale.<br />
Inoltre le modalità di selezione dei beneficiari fa delle sovvenzioni uno<br />
strumento per favorire la creatività e la produzione di conoscenze, enfatizzando<br />
il ruolo della progettazione.<br />
La circostanza che le utilità non siano destinate a beneficio esclusivo dell’ente<br />
pubblico consente di mettere a disposizione immediatamente di altri<br />
soggetti o del pubblico più in generale i risultati dell’attività progettuale.<br />
Le sovvenzioni in questo senso sono un potente strumento per attuare<br />
certi obiettivi, soprattutto di carattere comunitario, come la mobilità, la<br />
proporzionalità e la sussidiarietà, promuovendo una integrazione dal basso,<br />
basata sulle autonomie dei soggetti coinvolti. Gli altri strumenti realizzano<br />
comunque tali principi, seppure in modo meno efficace. Gli appalti,<br />
della decisione e per raggiungerne gli obiettivi ». Queste spese possono « comprendere studi,<br />
incontri, attività informative, pubblicazioni, spese per attrezzature, sistemi e reti informatiche<br />
atti allo scambio e al trattamento delle informazioni, nonché ogni altra spesa per assistenza<br />
e consulenza tecnica, scientifica e amministrativa di cui la Commissione potrebbe aver<br />
bisogno ai fini dell’attuazione della presente decisione ».<br />
( 116 )Per continuare l’esempio del PIC l’art. 21 della decisione 1639/2006 prevede la stipulazione<br />
di contratti per fornire servizi ai principali destinatari del programma e cioè le PMI,<br />
quali «a) servizi di informazione, di feedback, di cooperazione tra imprese e di internazionalizzazione;<br />
b) servizi di innovazione e di trasferimento, sia di tecnologie che di conoscenze; c)<br />
servizi che incoraggiano la partecipazione delle PMI al settimo programma quadro RST ».
SAGGI 369<br />
per esempio, lasciano minore autonomia ai partecipanti, sia per quel che riguarda<br />
l’idea progettuale, sia per quel che concerne l’utilizzo dei risultati<br />
dell’attività svolta.<br />
Ovviamente le caratteristiche delle sovvenzioni ne fanno anche uno<br />
strumento che può confliggere con altre discipline. In particolare, lo si è accennato,<br />
questo conflitto si realizza con la normativa sugli aiuti di Stato. In<br />
effetti le sovvenzioni, più di altri strumenti, possono realizzare un vantaggio<br />
economico per gli operatori del mercato. Ciò nel senso che diminuiscono<br />
gli oneri che normalmente le imprese sostengono in un determinato<br />
mercato. Ma come si è detto questo effetto non è esclusivo delle sovvenzioni,<br />
e comunque vi sono attività nelle quali le sovvenzioni non sono considerate<br />
distorsive del mercato interno in tutto o limitatamente a una certa<br />
partecipazione finanziaria. È il caso dell’attività di ricerca o quella di formazione<br />
professionale, le quali possono essere finanziate, sebbene entro certi<br />
limiti di intensità, perché considerate a monte dell’attività di mercato.
MARÍA ASCENSIÓN MARTÍN HUERTAS<br />
El espacio registral europeo. El modelo español del Registro Mercantil<br />
Sommario: 1. Introducción. – 2. Razones para la creación de un espacio registral europeo. –<br />
3. El Registro Mercantil en el ordenamiento jurídico español. – 3.1. Origen y evolución.<br />
– 3.2. Concepto, funciones y normativa. – 3.3. Organización del Registro Mercantil. –<br />
3.4. Objeto de la inscripción. – 3.5. Inscripción. – 3.6. Calificación registral. – 3.7. Efectos<br />
de la inscripción. – 3.8. Principio de publicidad.<br />
1. – Parece indispensable que las relaciones empresariales vengan amparadas<br />
por el principio de seguridad jurídica. Éste ha de auspiciar una predeterminación,<br />
lo más certera posible, de los efectos que acompañan a las<br />
acciones y omisiones de quienes intervienen en el mercado. En esta línea<br />
no se puede desconocer que la extraordinaria importancia que en la actualidad<br />
tiene el tráfico mercantil impone la existencia de instrumentos de publicidad<br />
del mismo que permitan verificar con facilidad y rapidez la identidad<br />
del empresario y de sus representantes, la masa patrimonial con la que<br />
responde del cumplimiento de sus obligaciones y las condiciones para establecer<br />
dicha vinculación, así como sus eventuales modificaciones posteriores.<br />
En definitiva, se requiere que exista un lugar donde consten una serie<br />
de menciones relativas a los empresarios al se le aplique un determinado régimen<br />
jurídico y que recibe la denominación de Registro. Por otro lado, dichos<br />
Registros se han convertido en un elemento preciso para el funcionamiento<br />
de las sociedades de capital, necesitadas de un control externo como<br />
garantía de la seguridad del tráfico ( 1 ).<br />
La Directiva 2009/101/CE dispone en su art. 3.1: “En cada Estado miembro<br />
se abrirá un expediente, en un registro central o bien en un registro mercantil<br />
o registro de sociedades, por cada una de las sociedades inscritas”. Por tanto,<br />
dicha institución es común a todos los ordenamientos europeos, aunque<br />
existen diferencias importantes en cuanto a los efectos y al régimen jurídico<br />
que cada uno le atribuye, a pesar de la acción armonizadora del Derecho comunitario.<br />
Las divergencias se ponen de manifiesto, ya de entrada, en cuan-<br />
( 1 ) En la exposición de esta primera parte del trabajo seguiremos muy de cerca el certero<br />
análisis de Arenas, La función del Registro Mercantil en el Derecho internacional de sociedades,<br />
en Derecho Registral Internacional. Homenaje a la memoria del Profesor Rafael Arroyo Montero,<br />
Madrid, 2003, p. 545 ss.
SAGGI 371<br />
to a la forma misma de llevanza de los Registros. Mientras que en España es<br />
un cuerpo especial, el de Registradores de la Propiedad, Mercantiles y de<br />
Bienes Muebles, el responsable de estos centros, en otros países el Registro<br />
se encuentra en manos de jueces (Alemania) u otros funcionarios judiciales<br />
(Francia, donde el Registro es responsabilidad del greffer de justice). Puede<br />
ser, también, que el Registro sea llevado por un Departamento ministerial<br />
(Dinamarca) o por las Cámaras de Comercio (<strong>Italia</strong>, Países Bajos).<br />
Hay que tener en cuenta que en la naturaleza de estos Registros públicos<br />
de los Estados miembros de la Unión han incidido las Directivas comunitaria<br />
en materia de sociedades (pieza angular de este tipo de Registros)<br />
que han acentuado el facilitar el conocimiento efectivo por parte de los terceros<br />
de los actos esenciales de las sociedades y en general de los empresarios.<br />
La primera Directiva fue la 68/151/CEE, modificada con posterioridad<br />
por las Directivas 2003/58/CE y 2006/99/CE. A su vez, las dos primeras han<br />
sido derogadas por la Directiva 2009/101/CE del Parlamento Europeo y del<br />
Consejo, de 16 de septiembre de 2009, tendente a coordinar, para hacerlas<br />
equivalentes, las garantías exigidas en los Estados miembros a las sociedades<br />
definidas en el art. 48, párrafo segundo, del Tratado, para proteger los<br />
intereses de socios y de terceros ( 2 ), a la que nos acabamos de referir.<br />
Como siempre que se habla de Derecho comunitario, la aspiración es<br />
conseguir la mayor armonización posible en el tratamiento de las diversas<br />
instituciones jurídicas operantes en los Países que componen la Unión Europea,<br />
afín de potenciar al máximo las relaciones entre dichos Estados. La<br />
consecución de tal finalidad aconseja, en cuanto al tema que ahora nos ocupa,<br />
que se obtenga un conocimiento de cómo aparece organizado el Registro<br />
Mercantil en los diferentes Estados.<br />
2. – De lo que se acaba de exponer se deduce, fácilmente, que los mencionados<br />
Registros públicos a los que nos venimos refiriendo tienen, fundamentalmente,<br />
un doble cometido: la función de publicidad y la función<br />
de control.<br />
La primera, que implica el establecimiento de mecanismos para que los<br />
operadores jurídicos cumplan con la obligación de inscribir determinados<br />
actos jurídicos en el Registro lleva, a su vez, aparejada la denominada presunción<br />
de veracidad de su contenido. Según esta presunción lo que figura<br />
inscrito se presume existente válido y eficaz, con independencia de que real-<br />
( 2 ) Dicha Directiva está publicada en el DOUEL de 1 de octubre de 2009 y entró en vigor<br />
el 21 de octubre de dicho año.
372 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
mente no exista, presente algún vicio o carezca de eficacia y, desde el punto<br />
de vista negativo, lo que no figura inscrito se presume no existente, o se tacha<br />
de inválido o se limita su eficacia. Una de las consecuencias importantes<br />
de esta presunción es que los actos sujetos a inscripción, una vez inscritos,<br />
son oponibles a terceros incluso de buena fe ( 3 ).<br />
Pues bien, en los ordenamientos europeos el contenido de los diversos<br />
Registros a los que se les atribuyen estas funciones no goza de la presunción<br />
de validez y eficacia que tiene el Registro Mercantil español: en Alemania,<br />
ninguna norma impone la presunción de veracidad y solamente con ocasión<br />
de la transposición de la Primera Directiva en materia societaria se introdujo<br />
un apartado tercero en el § 15 HGB, regulando la posibilidad de que<br />
los terceros se prevalgan de las circunstancias que hayan sido publicadas<br />
(no inscritas), pese a que sean incorrectas. Por su parte, en el Derecho francés<br />
tampoco se establece dicha presunción, aunque sí se impide que puedan<br />
alegarse frente a los terceros de buena fe las circunstancias que han de ser<br />
objeto de publicación antes de que ésta se haya producido. Finalmente (por<br />
referirnos solo a los Estados miembros de la Unión que configuran, lo que<br />
podemos denominar, el bloque de los ordenamientos jurídicos clásicos), en<br />
<strong>Italia</strong>, no se da la presunción general de veracidad por lo que la realidad registral<br />
no prevalece sobre la extrarregistral, excepto en aquellos ámbitos en<br />
los que resulta obligado en función de la armonización comunitaria. De este<br />
modo, a los terceros que se sientan perjudicados por el desajuste entre<br />
una y otra sólo se les ofrece la posibilidad de reclamar una indemnización al<br />
responsable de la inexactitud registral ( 4 ).<br />
Lógicamente, el establecimiento de semejante presunción registral exige<br />
que se adopten determinadas garantías en orden a la inscripción, lo que<br />
se consigue mediante la determinada calificación registral. Así, la autoridad<br />
responsable del Registro debe verificar que el acto cuya inscripción se solicite<br />
existe y es válido para velar adecuadamente por la seguridad del tráfico<br />
jurídico y económico.<br />
Frente a la diversidad en la función de publicidad, existe una relativa<br />
homogeneidad en cuanto a la necesidad de que las sociedades de capital sean<br />
inscritas en un Registro público como requisito previo a la adquisición de la<br />
personalidad jurídica, así como para el perfeccionamiento de determinadas<br />
( 3 ) Sin embargo, tal oponibilidad no se produce inmediatamente después de la inscripción,<br />
sino tras la publicación en el boletín nacional designado por el Estado miembro, según<br />
se indica en el art. 3.5.6 de la Directiva 2009/101/CE.<br />
( 4 ) Marasà e Ibba, Il Registro delle imprese, Torino, 1997, p. 220.
SAGGI 373<br />
operaciones societarias como la transferencia de sede, la fusión o la escisión.<br />
En este marco registral europeo no podemos olvidar que la consecución<br />
de un mercado único obliga a los Estados miembros a dar respuestas ágiles<br />
y rápidas a un entorno empresarial en continua evolución, con evidente repercusión<br />
en el ámbito registral. La creación de la figura de la Sociedad<br />
Anónima Europea ( 5 ) y la propuesta de Reglamento sobre la Sociedad Privada<br />
europea ( 6 ), son claros ejemplos de dicha realidad. Con independencia<br />
de ello, es evidente que se ha producido una gran intensificación en las operaciones<br />
internacionales de las que, cada vez con más frecuencia, han de<br />
ocuparse los encargados de los Registros europeos. Para facilitar dicha labor<br />
se ha hablado de la confianza registral, es decir, la confianza en la publicidad<br />
realizada en el extranjero y, por tanto, en la calificación que haya realizado<br />
la autoridad extranjera responsable del correspondiente Registro Mercantil<br />
o institución equivalente.<br />
Indudablemente, las diferencias en la regulación registral pueden dificultar<br />
la consecución de medidas eficaces de cooperación entre los diferentes<br />
registros europeos, pero si en el futuro se consolida el principio de confianza<br />
registral puede ser uno de los ejes de articulación de la cooperación<br />
registral internacional.<br />
La intensificación de los mecanismos de cooperación interregistral a<br />
través de la profundización en el principio de confianza registral exigirá, sin<br />
embargo, que se reduzcan las diferencias actualmente existentes entre los<br />
distintos Registros europeos en lo que se refiere a la eficacia de la publicidad<br />
ofrecida y la regulación de la operación de calificación. Se impone, por tanto,<br />
una armonización de los sistemas registrales europeos que exigirá renuncias<br />
por parte de cada uno de los Estados implicados. En este contexto<br />
es necesario realizar un importante esfuerzo de presentación de las ventajas<br />
e inconvenientes de cada uno de los modelos nacionales con el fin de que el<br />
resultado armonizado aproveche coherentemente las ventajas que ofrecen<br />
las diversas soluciones estatales.<br />
( 5 ) Creación que se produjo a raíz del Reglamento del Consejo 2157/2001/CE, de 8 de octubre,<br />
por el que se aprueba el Estatuto de la Sociedad Anónima Europea (DO L, de 10 de noviembre<br />
de 2001, núm. 294) y la Directiva del Consejo 2001/86/CE, de 8 de octubre de 2001,<br />
por la que se completa dicho Estatuto en lo que respecta a la implicación de los trabajadores<br />
(DO L de 10 de noviembre de 2001, núm. 294). V. Ansón, Gutiérrez, La Sociedad Anónima<br />
Europea, Barcelona, 2004.<br />
( 6 ) COM (2008) 396 final. V. Miquel, La propuesta de Reglamento (CE) sobre la Sociedad<br />
Privada Europea, en Arenas, Górriz, Miquel (coords.), La internacionalización del Derecho<br />
de Sociedades, Barcelona, 2010, p. 61 ss.
374 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
3. – El Registro Mercantil, tal y como aparece diseñado por el legislador<br />
español, presenta unos rasgos propios y característicos que lo singularizan<br />
respecto al del resto de los ordenamientos europeos. Ya hemos señalado<br />
que la inscripción produce la presunción de veracidad lo que supone que la<br />
publicidad que de él se deriva no sólo es una publicidad-noticia, sino que<br />
engendra auténticos efectos jurídicos. Precisamente, la intensidad de los<br />
efectos que se derivan de la inscripción en el Registro Mercantil español<br />
viene posibilitada, en gran medida, por la profunda y rigurosa función de<br />
calificación que han de desempeñar los Registradores Mercantiles lo que<br />
impide que el Registro se convierta en un simple depósito de documentos.<br />
Finalmente, la calificación que se haga de los actos que pretendan su acceso<br />
al Registro ha de basarse solamente en los documentos que se presenten<br />
(correspondiendo al legislador determinar cuáles deben ser estos documentos)<br />
y en el contenido de los asientos del Registro.<br />
Todas estas consideraciones justifican que llevemos a cabo un somero<br />
estudio del Registro Mercantil y tal y como se configura en el ordenamiento<br />
jurídico español.<br />
3.1. – La extraordinaria importancia que en la actualidad tiene el tráfico<br />
mercantil impone la existencia de instrumentos de publicidad del mismo;<br />
pues bien, la institución que con más seguridad y eficacia cumple esta finalidad<br />
es el Registro Mercantil. El Registro Mercantil, nace en España a finales<br />
del siglo XIX al calor del actual Código de Comercio ( 7 ), y se presenta<br />
como una evolución de anteriores instituciones dedicadas al Registro de los<br />
empresarios y comerciantes, así como de los actos jurídicos que tienen trascendencia<br />
en la vida de los mismos ( 8 ). Dicha institución supuso un gran<br />
avance de la sociedad española de la época. Ésta era principalmente agraria,<br />
en su base económica y autoritaria, en su nivel político, situación propia del<br />
feudalismo. Hoy ha pasado a ser industrial en su estructura económica y representativa<br />
en el ámbito político. No obstante, ya durante el siglo XIX se<br />
crearon muchos de los elementos necesarios para prestar servicios a las<br />
nuevas necesidades sociales. Uno de ellos está representado, indudablemente,<br />
por la institución Registral mercantil.<br />
Desde el año 1885 en que se creó el Registro Mercantil, empezando a<br />
funcionar el 1 de enero de 1886, no ha conocido cambios sustanciales en su<br />
( 7 ) Creado por Real Decreto de 22 de agosto de 1885 (publicado en la Gaceta Oficial de 24<br />
de noviembre de 1885).<br />
( 8 ) Para un análisis más detallado de su evolución histórica V. Arribas, El Registro Mercantil<br />
en España. Organización y función, Madrid, 2009, p. 21 ss.
SAGGI 375<br />
estructura y funcionamiento, demostrando una camaleónica capacidad para<br />
adaptarse a lo ocurrido en los 125 años transcurridos. Esta capacidad es<br />
consecuencia, en buena medida, de su óptima adecuación a las necesidades<br />
de la sociedad para la que fue creado por los legisladores del momento. Como<br />
ha sido puesto de manifiesto, tanto los Registros de la Propiedad como<br />
los Mercantiles españoles “son el fruto de una forma organizativa magistral<br />
resultado de la alquimia de aquellos grandes organizadores que fueron los administrativistas<br />
del siglo XIX y cuya grandeza consistió, paradójicamente, en<br />
la modestia de no inventar nada, en la humildad de importar a España aquellos<br />
materiales que en otros laboratorios, y, sobre todo, en el laboratorio del Derecho<br />
y la Administración francesa, se revelaban como un modo más eficaz y<br />
más barato, de organizar la sociedad y los servicios públicos ”( 9 ).<br />
3.2. – Podemos definir el Registro Mercantil como la Institución administrativa<br />
que tiene por objeto la publicidad oficial de las situaciones jurídicas<br />
de los empresarios en él inscritos, además de otras funciones que le han<br />
sido asignadas por la Ley.<br />
La función primordial asumida por el Registro Mercantil consiste en<br />
ser un instrumento de la publicidad de determinadas situaciones jurídicas<br />
de los empresarios, tanto si se trata de personas físicas como si lo son jurídicas,<br />
referidas tales situaciones no simplemente a su existencia, sino<br />
también a sus vicisitudes posteriores, lo que comprende también el momento<br />
de su cese en la condición de empresario ( 10 ). En efecto, parece indispensable<br />
que las relaciones empresariales vengan amparadas por el<br />
principio de seguridad jurídica para poder conocer los efectos que acompañan<br />
a las acciones y omisiones de quienes intervienen en el mercado.<br />
Manifestación primera y más general de tal pretensión habrá de ser la posibilidad<br />
de verificar con facilidad y rapidez la identidad del empresario y<br />
sus representantes, la masa patrimonial con la que responde del cumplimiento<br />
de sus obligaciones y las condiciones para establecer dicha vinculación.<br />
Para que lo expresado pueda darse es ineludible que exista un lugar,<br />
una institución, donde consten una serie de menciones relativas a los<br />
empresarios, y que se le aplique un régimen jurídico cuya común aspira-<br />
( 9 ) Fernández, El Registro Mercantil, Madrid-Barcelona, 1998, pp. 10-11.<br />
( 10 ) El término público empleado en este contexto hemos de entenderlo, por un lado, como<br />
manifiesto y notorio, en contraposición a desconocido u oculto y público. Y, por otro lado,<br />
como oficial o relativo a la autoridad frente a lo relativo o particular. V. Casado, Derecho<br />
Mercantil Registral, Madrid, 1992, pp. 67-68.
376 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
ción, a la hora de precisar la función de esas menciones, sea la protección<br />
de quienes en ellas confiaron ( 11 ).<br />
Otras funciones asumidas por el Registro Mercantil son las siguientes:<br />
la legalización de los libros de los empresarios (arts. 329 a 337 del Reglamento<br />
del Registro Mercantil, en adelante RRM); el nombramiento de expertos<br />
independientes y auditores de cuentas (arts. 338 a 364 RRM); el depósito<br />
y publicidad de las cuentas anuales (arts. 365 a 378 RRM) ( 12 ).<br />
Por otro lado, el Registro Mercantil tiene carácter jurídico ya que, como<br />
se verá más adelante, añade valor a la información que transmite debido al<br />
control de legalidad que realiza el Registrador. La actual Constitución española<br />
de 1978 reconoce en el art. 9.3, como uno de sus principios, el de seguridad<br />
jurídica. Lógicamente estamos ante una materia que no puede ser objeto<br />
de desigualdad entre los españoles, de ahí que no puede ser objeto de<br />
regulación por medio de normas autonómicas ( 13 ). Así en el art. 149.1.8.°<br />
atribuye al Estado, como competencia exclusiva, la “ordenación de los Registros<br />
e instrumentos públicos”. Uno de esos Registros es, precisamente, el<br />
Registro Mercantil y si bien ese número 8.° está dentro de la rúbrica de legislación<br />
civil, tampoco puede olvidarse que en el número 6.° se atribuye al<br />
Estado la competencia sobre la legislación mercantil ( 14 ).<br />
Concretamente, las normas por las que se regula, se encuentran en el<br />
Tít. II del Libro I del Código de Comercio de 1885 (arts. 16 a 24, con las modificaciones<br />
pertinentes, introducidas, fundamentalmente, por la Ley<br />
19/1989, de 25 de julio) y el Reglamento del Registro Mercantil ( 15 ), que ha<br />
sido reformado, asimismo en diversas ocasiones, las últimas operadas por<br />
RD 659/2007, de 25 de mayo, para adaptarlo a la Ley 19/2005, de 14 de no-<br />
( 11 ) La Exposición de Motivos del Código de Comercio indica que a través de este Registro<br />
se establece un poderoso medio de publicidad que sirva de garantía suficiente a los terceros<br />
que se hallen interesados en ciertos actos y operaciones mercantiles de trascendencia.<br />
( 12 ) V. Morán, El Registro Mercantil, en Jiménez (coord.), Derecho Mercantil, t. I, Barcelona,<br />
2009, p. 196 ss.<br />
( 13 ) La coexistencia en España de una pluralidad de ordenamientos con fuentes de producción<br />
normativa propias, el Estado y las diferentes Comunidades Autónomas, obliga a<br />
plantearse la cuestión de la competencia para regular el Registro Mercantil.<br />
( 14 ) El propio Tribunal Constitucional ha tenido ocasión de pronunciarse sobre el tema al<br />
resolver un recurso interpuesto contra la Ley de cooperativas vasca, manteniendo esta misma<br />
postura y declarando en términos inequívocos que “toda regulación del Registro Mercantil que<br />
incluye la determinación de los actos que han de tener acceso al mismo es de carácter mercantil,<br />
cualquiera que sea la ley que la contenga y su determinación” (STC, de 29 de julio de 1983).<br />
( 15 ) Aprobado por Real Decreto 1784/1996, de 19 de julio, publicado en el Boletín Oficial<br />
del Estado, n. 184, de 31 de julio de 1996.
SAGGI 377<br />
viembre, sobre la sociedad anónima europea y por el RD 158/2008, de 8 de<br />
febrero, que ha realizado una nueva modificación del reglamento que afecta<br />
al régimen del Registro Mercantil Central (RMC). De ellas cabe destacar<br />
la Ley 24/2001, de 27 de diciembre y la Ley 24/2005, de 28 de noviembre,<br />
que han implantado obligatoriamente los sistemas telemáticos en la llevanza<br />
de los Registros y la interconexión entre los mismos y los Notarios ( 16 ).<br />
3.3. – El Registro Mercantil es una oficina pública dependiente de un organismo<br />
estatal, la Dirección General de los Registros y del Notariado<br />
–DGRN- (art. 1.2 RRM) que, a su vez, lo es del Ministerio de Justicia y confiado<br />
a un Registrador que accede al cargo por oposición. A pesar de su carácter<br />
público, tanto el local como las instalaciones son propiedad privada<br />
del Colegio de Registradores y el personal (oficiales y auxiliares) depende<br />
del Registrador, que es su empresa o empleador a efectos laborales, regulándose<br />
las relaciones entre ellos mediante un convenio laboral. Por su parte, el<br />
Registrador ejerce privadamente la función pública registral como si fuera<br />
un profesional titulado, bajo su responsabilidad, a diferencia de los funcionarios<br />
de sueldo. Por tanto, el Registrador es una figura compleja que aúna<br />
cualidades administrativas, como funcionario público y laboral es como empresario<br />
que recibe sus ingresos económicos de los propios usuarios del sistema<br />
a través de una norma que fija los mismos denominada Arancel ( 17 ).<br />
Desde el aspecto organizativo-geográfico, el Registro Mercantil está<br />
constituido por Registros Mercantiles territoriales y un Registro Mercantil<br />
Central, ex art. 1.1 RRM.<br />
A) Registros Mercantiles territoriales: se llevan en cada una de las capitales<br />
de las provincias españolas, además de en las ciudades de Ceuta y Melilla<br />
y donde lo requieran las necesidades del servicio, por ejemplo en ciertas<br />
ciudades insulares como San Sebastián de la Gomera. Por tanto tienen<br />
una circunscripción provincial, a diferencia de los Registros de la Propiedad<br />
que lo son por zonas. Es competente para la inscripción del empresario<br />
(y, en general, de los sujetos inscribibles) el Registro correspondiente<br />
a su domicilio. Por tanto, el Registro Mercantil sigue la división provincial<br />
( 16 ) Sobre la evolución de esta normativa se puede consultar Serrera, El Registro Mercantil.<br />
Una consideración de sus principios, en Revista Crítica de Derecho Inmobiliario, 2003, n.<br />
679, p. 2742 ss.; Arribas, El Registro Mercantil en España. Organización y función, cit., p. 155 ss.<br />
( 17 ) El estudio del entramado de los recursos humanos que componen en el Registro<br />
Mercantil se contiene en Arribas, El Registro Mercantil en España. Organización y función,<br />
cit., p. 287 ss. y en las p. 307 ss. se puede consultar la materia relativa a la financiación de los<br />
Registros Mercantiles.
378 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
del Estado. La mayoría de los Registros Mercantiles son unipersonales<br />
excepto los de algunas ciudades como Madrid (17), Barcelona (16), Sevilla<br />
(2), etc ( 18 ). En estos últimos el Reglamento del Registro Mercantil aconseja,<br />
aunque no impone, la unificación y armonización de criterios de calificación<br />
(Mapa interactivo que aparece en el menú Registro de la Propiedad<br />
donde se encuentran los Registros Mercantiles de toda España).<br />
B) El Registro Mercantil Central que se ubica en Madrid, aglutina en su<br />
archivo los datos de todas las inscripciones que se practican en los Registros<br />
territoriales, lo que facilita la búsqueda de información cuando se desconoce<br />
el domicilio de los sujetos inscribibles. Funciona mediante procedimientos<br />
informáticos y, como acabamos de exponer, reúne los datos que a<br />
través de soportes magnéticos le envíen los Registros territoriales. Las relevantes<br />
funciones que desempeña ( 19 ) son las siguientes:<br />
1. La ordenación, tratamiento y publicidad meramente informativa de<br />
los datos que reciba de los Registros Mercantiles.<br />
Constituye la función capital del Registro Mercantil Central. Los Registros<br />
Mercantiles tienen que remitir al RMC los datos a que se refiere el<br />
RRM inmediatamente después de la práctica del asiento correspondiente,<br />
ex art. 384 RRM. El tratamiento y archivo de los datos contenidos en el<br />
RMC se llevará a cabo “utilizando soportes magnéticos o mediante comunicación<br />
telemática, a través de terminales o de equipos autónomos susceptibles de<br />
comunicación directa con el ordenador del Registrador Mercantil Central ”<br />
(art. 385 RRM) ( 20 ).<br />
2. Llevar una sección de “denominaciones de sociedades y entidades inscritas”,<br />
que tiene por finalidad esencial el procurar que no se inscriban sociedades<br />
o entidades con denominaciones idénticas o que puedan inducir a<br />
error y, en general, que puedan adoptar una denominación que las leyes<br />
prohíben. Para ello, el RMC, a la vista de la solicitud de una determinada<br />
denominación, expedirá una certificación que expresará si la denominación<br />
que se desee adoptar figura o no registrada.<br />
3. La publicación del Boletín Oficial del Registro Mercantil (BORME),<br />
( 18 ) Art. 14 RRM: “el número de Registradores que estarán a cargo de cada Registro mercantil<br />
se determinará mediante Real Decreto a propuesta del Ministerio de Justicia”.<br />
( 19 ) En consonancia con su consideración de “cúpula del sistema registral” y “pieza de cierre”<br />
del mismo, tal como lo considera el Preámbulo del Reglamento del Registro Mercantil.<br />
( 20 ) Los datos que se deben remitir están contemplados en los arts. 386 ss. del RRM. Para<br />
la consulta de los artículos del Reglamento del Registro Mercantil se aconseja utilizar la notable<br />
obra de García, Código de Legislación Inmobiliaria, Hipotecaria y del Registro Mercantil,<br />
Madrid, 2009, t. I, p. 1189 ss.
SAGGI 379<br />
en el que se han de publicar los datos previstos en la Ley. Este Boletín es<br />
exigido por las Directivas de la Unión Europea para que el RM pueda ser, de<br />
forma más eficaz, instrumento de notificación, es decir, para que los interesados<br />
puedan conocer más fácilmente el contenido del RM ( 21 ). Por otro lado,<br />
la publicación de los actos sujetos a inscripción en el BORME tiene una<br />
especial importancia respecto a la eficacia legitimadora del Registro con relación<br />
a los actos y contratos inscritos, ya que sólo serán oponibles a los terceros<br />
de buena fe, a partir de los 15 días siguientes a su publicación.<br />
4. La llevanza del Registro relativo a las sociedades y entidades que hayan<br />
trasladado su domicilio al extranjero sin pérdida, al amparo de convenios<br />
internacionales, de la nacionalidad española.<br />
5. La comunicación a la Oficina de Publicaciones Oficiales de las CCEE<br />
de los datos a que se refiere el art. 14 del Reglamento CE de 8 de octubre de<br />
2001, por el que se aprueba el Estatuto de la Sociedad Anónima Europea.<br />
6. La redacción de una memoria anual. Consiste en una labor marginal,<br />
pero de indudable valor a los efectos de política legislativa.<br />
En cuanto a la organización en sí, el Registro Mercantil actualmente, es<br />
un Registro de sujetos o empresas, a diferencia del Registro de la Propiedad<br />
en el que se inscriben cosas y derechos reales. Antes era un Registro de personas<br />
(empresarios mercantiles) y cosas (buques y aeronaves). Técnicamente<br />
se organiza por lo que se denomina “hojas o folios personales” (art. 3<br />
RRM) y no “reales” como el Registro de la Propiedad lo que supone que el<br />
registro no se lleva por fincas, sino por el orden de recepción de los documentos<br />
(con índices), o por las personas de los propietarios. De este modo,<br />
cada sujeto inscribible tendrá una hoja personal en el Registro Mercantil, en<br />
el que se efectuarán todas las inscripciones establecidas en las leyes o en el<br />
RRM. Precisamente por este motivo había sido criticado el sistema anterior<br />
que preveía la inscripción en él de los buques y las aeronaves ya que alteraba<br />
el régimen del folio personal al implicar la instauración de un folio para cada<br />
medio de transporte, es decir, el folio real. Tanto los buques como las aeronaves<br />
se inscriben en la actualidad en el Registro de Bienes Muebles ( 22 ).<br />
Los libros que se llevan en el RM aparecen recogidos en el art. 23.1 del<br />
( 21 ) Además, por efecto de las Directivas comunitarias, lo que se confirma también en la<br />
que actualmente regula la materia, esto es en la Directiva 2009/101/CE, este boletín puede<br />
presentarse no sólo en formato papel, sino también en formato electrónico, o publicar la información<br />
por medios igualmente eficaces.<br />
( 22 ) Martínez-Gijón, El registro de bienes muebles, en Olivencia, Fernández-Novoa,<br />
Jiménez de Parga, Tratado de Derecho Mercantil curado por Jiménez, vol. II, Madrid-Barcelona,<br />
2006.
380 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
RRM:<br />
– Libro de inscripciones y su Diario de presentación.<br />
– Libro de legalizaciones y su Diario de presentación.<br />
– Libro de Depósito de cuentas y su Diario de presentación.<br />
– Libro de nombramiento de expertos independientes y de auditores y<br />
su Diario de presentación.<br />
– Índices.<br />
– Inventario.<br />
Además, siempre que las necesidades del servicio lo aconsejen, la Dirección<br />
General de los Registros y del Notariado podrá autorizar la apertura<br />
de más de un Libro Diario. Asimismo, los Registradores podrán llevar<br />
también los libros y cuadernos auxiliares que juzguen conveniente para la<br />
adecuada gestión del Registro (art. 23. 2.3 RRM). Dichos Libros son uniformes<br />
para todos los Registros y dada la importancia de la información en<br />
ellos contenida, se exige que sean legalizados. A este fin la Ley Hipotecaria<br />
prescribe que sean foliados y judicialmente visados, uniformes para todos<br />
los Registros, formados bajo la dirección del Ministerio de Justicia, con las<br />
precauciones convenientes para impedir cualesquiera fraudes o falsedades<br />
que pudieran cometerse en ellos, y que sólo harán fe los que lleven los Registradores<br />
con arreglo a estas prevenciones. Por ningún motivo pueden sacarse<br />
de la oficina; todas las diligencias judiciales o extrajudiciales que exija<br />
su presentación, se practicarán precisamente en la misma oficina. Finalmente,<br />
se llevan por medios informáticos que permitan en todo momento<br />
el acceso telemático de su contenido ( 23 ).<br />
En estos Libros se hacen constar, a través de los que se denominan<br />
asientos los diversos datos que deben quedar consignados en los mismos.<br />
Dichos asientos son de los siguientes tipos (Art. 33.1 RRM):<br />
– Asientos de presentación: al ingresar cualquier documento que pueda<br />
provocar alguna operación registral se extiende el oportuno asiento de presentación<br />
( 24 ).<br />
– Inscripciones que dejan constancia de los hechos inscribibles.<br />
- Anotaciones preventivas que se usan para proteger un derecho que<br />
aún no es firme o una decisión de origen judicial. De este modo, se permite<br />
que accedan al Registro títulos con defectos subsanables o situaciones registrales<br />
litigiosas, que no podrán ser ignoradas por terceros mientras se re-<br />
( 23 ) La regulación específica de cada uno de estos Libros se contiene en los artículos 25 al<br />
32 del RRM.<br />
( 24 ) Está contemplado en los arts. 41 ss. del RRM.
SAGGI 381<br />
suelva la incertidumbre (por ejemplo, la anotación preventiva de la demanda<br />
judicial de los acuerdos sociales).<br />
- Notas marginales que sirven para dar noticia de algún hecho secundario<br />
junto a inscripciones y asientos de presentación. Complementan otros<br />
asientos con circunstancias que en sí no son inscribibles (conexión entre<br />
los asientos, cumplimiento de las formalidades).<br />
- Cancelaciones de los asientos anteriores, por virtud de los cuales los<br />
mismos quedan sin efecto ( 25 ).<br />
3.4. – El art. 2 del RRM establece que el Registro tiene por objeto:<br />
a) La inscripción de los empresarios y demás sujetos establecidos por la<br />
Ley, y de los actos y contratos relativos a los mismos que determinen la Ley<br />
y este Reglamento.<br />
b) La legalización de los libros de los empresarios, el nombramiento de<br />
expertos independientes y de auditores de cuentas y el depósito y publicidad<br />
de los documentos contables<br />
c) La centralización y publicación de la información registral, que será<br />
llevada a cabo por el Registro Mercantil Central en los términos prevenidos<br />
por este Reglamento.<br />
d) La centralización y publicación de la información de resoluciones<br />
concursales en la forma prevista en el Real Decreto 685/2005, de 10 de junio<br />
(6 bis).<br />
Por su parte, el art. 16 del Código de Comercio, modificado por la Ley<br />
de 15 de marzo de 2007, establece que el RM tiene por objeto la inscripción<br />
de: 1.° Los empresarios individuales. 2.° Las sociedades mercantiles. 3.° Las<br />
entidades de crédito y de seguros, así como las sociedades de garantía recíproca.<br />
4.° Las instituciones de inversión colectiva y los fondos de pensiones.<br />
5.° Cualesquiera personas naturales o jurídicas, cuando así lo disponga<br />
la Ley. 6.° Los actos y contratos que establezca la Ley ( 26 ). 7.° Las Sociedades<br />
Civiles Profesionales constituidas con los requisitos establecidos en la legislación<br />
específica de Sociedades Profesionales. 8.° Los actos y contratos<br />
que establezca la Ley.<br />
( 25 ) La mecánica de dichos asientos se contempla en los arts. 33 ss. RRM.<br />
( 26 ) Ha sido denunciada la falta de homogeneidad de este apartado del precepto, ya que el<br />
Registro lo es de personas o entidades y no de actos, aunque dicha imperfección se corrige en<br />
el art. 2 del RRM que, como hemos visto se refiere a “la inscripción de los empresarios y demás<br />
sujetos establecidos por la ley, y de los actos y contratos relativos a los mismos que determinen la<br />
Ley y este Reglamento”. Serrera, El Registro Mercantil. Una consideración de sus principios,<br />
cit., p. 2750.
382 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
2. Igualmente corresponderá al Registro Mercantil la legalización de los<br />
libros de los empresarios, el depósito y la publicidad de los documentos<br />
contables y cualesquiera otras funciones que les atribuyan las leyes.<br />
Se complementa, dicha normativa, con el art. 81 del RRM que enuncia<br />
los sujetos que necesariamente han de inscribirse en el Registro ( 27 ), si bien<br />
tal enumeración ha de completarse con la de las “demás personas o entidades<br />
que establezcan las leyes”. Por tanto, en el RM se inscriben junto a empresarios,<br />
ya sean personas individuales o jurídicas (sociedades mercantiles,<br />
cooperativas etc), sujetos no personificados como los fondos de inversión<br />
o de pensiones. Además, en la lista se echan en falta entidades como<br />
las asociaciones y las fundaciones.<br />
En cuanto a los datos que han de figurar en la hoja de cada sujeto inscrito,<br />
referidos específicamente al empresario individual se inscribirán, entre<br />
otros, según el art. 87 RRM los siguientes:<br />
– la identificación del empresario y su empresa, que necesariamente será<br />
la inscripción primera ( 28 );<br />
– los poderes generales concedidos a determinadas personas para que<br />
puedan actuar en nombre de la sociedad, así como su revocación, modificación<br />
y sustitución;<br />
– las declaraciones judiciales que modifiquen la capacidad del empresario<br />
individual;<br />
– la suspensión de pagos y la quiebra, de conformidad con lo previsto en<br />
los artículos 320 y siguientes ( 29 ).<br />
( 27 ) Art. 81 RRM: 1. Será obligatoria la inscripción en el Registro Mercantil de los siguientes<br />
sujetos: a) El naviero empresario individual; b) Las sociedades mercantiles; c) Las<br />
sociedades de garantía recíproca; d) Las cooperativas de crédito, las mutuas y cooperativas de<br />
seguros y las mutualidades de previsión social; e) Las sociedades de inversión colectiva; f) Las<br />
agrupaciones de interés económico; g) Las cajas de ahorro; h) Los fondos de inversión; i) Los<br />
fondos de pensiones; j) Las sucursales de cualquiera de los sujetos anteriormente indicados;<br />
k) Las sucursales de sociedades extranjeras y de otras entidades con personalidad jurídica y<br />
fin lucrativo; l) Las sociedades extranjeras que trasladen su domicilio a territorio español; m)<br />
Las demás personas o entidades que establezcan las Leyes.<br />
( 28 ) A su vez, en esta inscripción primera del empresario individual se expresarán las siguientes<br />
circunstancias, ex art. 90 RRM: 1. La identidad del mismo; 2. El nombre comercial<br />
y, en su caso, el rótulo de su establecimiento; 3. El domicilio del establecimiento principal y,<br />
en su caso, de las sucursales; 4. El objeto de su empresa; 5. la fecha de comienzo de sus operaciones.<br />
( 29 ) Otras circunstancias que deben reflejarse en la hoja abierta a cada empresario individual,<br />
según dicho artículo son las siguientes: – la apertura, cierre y demás actos y circunstancias<br />
relativos a las sucursales, en los términos prevenidos en los artículos 295 y siguientes; – el<br />
nombramiento para suplir, por causa de incapacidad o incompatibilidad, a quien ostente la
SAGGI 383<br />
En el caso de las sociedades se inscriben obligatoriamente, entre otros,<br />
los siguientes datos, ex art. 94 RRM:<br />
– la constitución de la sociedad, que necesariamente será la inscripción<br />
primera;<br />
– la modificación del contrato y de los estatutos sociales, así como los<br />
aumentos y reducciones de capital;<br />
– la prórroga del plazo de duración;<br />
– el nombramiento y cese de administradores, liquidadores y auditores.<br />
Asimismo, habrá de inscribirse el nombramiento y cese de los secretarios y<br />
vicesecretarios de los órganos colegiados de administración, aunque no<br />
fueren miembros del mismo;<br />
- los poderes generales y las delegaciones de facultades, así como su modificación,<br />
revocación y sustitución;<br />
- la apertura, cierre y demás actos y circunstancias relativos a las sucursales,<br />
- la transformación, fusión, escisión, rescisión parcial, disolución y liquidación<br />
de la sociedad;<br />
- las resoluciones judiciales inscribibles relativas al concurso, voluntario<br />
o necesario, principal o acumulado, de la sociedad y las medidas administrativas<br />
de intervención ( 30 ).<br />
guarda o representación legal del empresario individual, si su mención no figurase en la inscripción<br />
primera del mismo; – las capitulaciones matrimoniales, el consentimiento, la oposición<br />
y revocación a que se refieren los artículos 6 a 10 del Código de Comercio y las resoluciones<br />
judiciales dictadas en causa de divorcio, separación o nulidad matrimonial, o procedimientos<br />
de incapacitación del empresario individual, cuando no se hubiesen hecho constar<br />
en la inscripción primera del mismo; – en general, los actos o contratos que modifiquen el<br />
contenido de los asientos practicados o cuya inscripción prevean las Leyes o el presente Reglamento.<br />
( 30 ) El resto del artículo se completa con las siguientes menciones: – la designación de la<br />
entidad encargada de la llevanza del registro contable en el caso de que los valores se hallen<br />
representados por medio de anotaciones en cuenta; – las resoluciones judiciales o administrativas,<br />
en los términos establecidos en las Leyes y en este Reglamento; – los acuerdos de implicación<br />
de los trabajadores en una sociedad anónima europea, así como sus modificaciones<br />
posteriores, de acuerdo con lo previsto en el artículo 114.3 de este Reglamento; – el sometimiento<br />
a supervisión de una autoridad de vigilancia; – en general, los actos o contratos que<br />
modifiquen el contenido de los asientos practicados o cuya inscripción prevean las leyes o el<br />
presente Reglamento. En el apartado 2 del mismo precepto se establece que en la hoja abierta<br />
a cada sociedad se inscribirán también obligatoriamente la emisión de obligaciones u otros<br />
valores negociables, agrupados en emisiones, realizadas por sociedades anónimas o entidades<br />
autorizadas para ello, y los demás actos y circunstancias relativos a los mismos cuya inscripción<br />
esté legalmente establecida. Finalmente, el apartado 3 impone la inscripción de la
384 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Es necesario precisar que si bien es obligatoria la inscripción de los empresarios<br />
y la de otros sujetos indicados en el art. 81 RRM y la de aquellos<br />
actos y contratos relativos a ellos que determinen las leyes, la inscripción en<br />
el RM de los empresarios individuales es potestativa, con la excepción del<br />
que sea naviero. Sin embargo, el empresario individual no inscrito no podrá<br />
pedir la inscripción de ningún documento en el RM, ni aprovecharse de sus<br />
efectos legales, ex art. 19 del Código de Comercio.<br />
3.5. – La función primordial del Registro Mercantil es la inscripción ( 31 ).<br />
Como hemos dicho, la inscripción es obligatoria para todos los sujetos indicados<br />
en el art. 81 RRM ( 32 ), tal y como ha quedado consignado en el apartado<br />
anterior, salvo en los casos que se disponga expresamente lo contrario,<br />
lo que sucede en el supuesto del empresario individual. La inscripción ha<br />
de practicarse en el Registro correspondiente al domicilio del empresario o<br />
sociedad que se inscribe (art. 17 RRM) ( 33 ), a no ser que concurran razones<br />
de urgencia o necesidad, en cuyo caso pueden presentarse los documentos<br />
en otro Registro Mercantil o de la Propiedad del distrito en que se haya<br />
otorgado el documento, para que los remita al Registro competente (arts.<br />
46 y 47 RRM) ( 34 ). Por regla general, la inscripción debe procurarse dentro<br />
del mes siguiente al otorgamiento de los documentos necesarios para la<br />
práctica de los asientos, ex arts. 83 RRM y 19.2 del Código de Comercio ( 35 ).<br />
admisión y exclusión de cualquier clase de valores a negociación en un mercado secundario<br />
oficial.<br />
( 31 ) Para el examen de las otras funciones asignadas al Registro Mercantil, entre las que<br />
destaca la legalización de los libros que obligatoriamente deben llevar los empresarios con<br />
arreglo a las disposiciones legales vigentes, se puede consultar Arribas, El Registro Mercantil<br />
en España. Organización y función, cit., pp. 259 ss.<br />
( 32 ) Al objeto de favorecer el cumplimiento de esta obligación, el art. 82 RRM ordena a<br />
los Notarios que autoricen documentos sujetos a inscripción en el Registro Mercantil que adviertan<br />
a los otorgantes, en el propio documento y de manera específica, acerca de la obligatoriedad<br />
de la inscripción.<br />
( 33 ) Para el supuesto de que se produzca un cambio de domicilio de los sujetos inscritos<br />
hay que estar a lo preceptuado, para sus respectivos casos, en los artículos 18, 19 y 20 RRM.<br />
( 34 ) Además de la presentación personal del documento en la correspondiente oficina registral,<br />
también se puede llevar a cabo la misma por correo, en cuyo caso la extensión del<br />
asiento de presentación es potestativa para el Registrador, excepto que se trate de presentación<br />
en un Registro distinto de aquel que sea el competente o se trate de títulos remitidos por<br />
autoridades judiciales o administrativas (art. 52 RRM).<br />
( 35 ) El transcurso de dicho plazo sin que se haya practicado la inscripción, no impide su<br />
práctica en un momento posterior, ya que el alcance de dicha obligatoriedad se limita a la im-
SAGGI 385<br />
Para el caso del empresario individual, se verifica la inscripción a instancias<br />
del propio interesado ( 36 ). Existen, no obstante supuestos especiales:<br />
en el caso de menores o incapacitados, la inscripción debe ser solicitada por<br />
quien ostente su guarda o representación. Asimismo, el cónyuge del empresario<br />
individual puede solicitar su inscripción en los términos previstos<br />
en los artículos 6 a 10 del Código de Comercio. Finalmente, la autoridad judicial<br />
o administrativa podrá solicitar la inscripción en los casos previstos en<br />
el Reglamento del Registro Mercantil (art. 88 RRM). En cuanto a la forma<br />
adecuada para llevar a cabo la inscripción, excepcionalmente, la inscripción<br />
primera, cuyas circunstancias se reseñaron en el apartado anterior, así como<br />
la apertura y cierre de sucursales no se practicarán por medio de escritura<br />
pública ( 37 ). Si deberá observarse dicha formalidad para el resto de las circunstancias<br />
posteriores a la primera inscripción, así como para la inscripción<br />
del naviero, o, en su caso, se necesitará documento judicial o certificación<br />
del Registro Civil (art. 93.2 RRM). La inscripción de la modificación de<br />
cualquier acto inscrito se practicará en virtud del documento de igual clase<br />
que el requerido por el acto modificado (art. 93.3 RRM).<br />
Por otro lado, la inscripción tiene por lo general carácter declarativo (el<br />
acto se forma extrarregistralmente, y la inscripción lo hace oponible) en la<br />
hipótesis del comerciante individual ( 38 ). Por excepción presenta carácter<br />
constitutivo (el acto no produce los efectos que le son propios hasta la inscripción)<br />
en los siguientes casos:<br />
– Inscripción de Sociedad Anónima, Comanditaria por acciones y Sociedad<br />
de Responsabilidad Limitada ( 39 );<br />
– Delegación de facultades del Consejo en la Comisión ejecutiva o en el<br />
Consejo delegado;<br />
posición de responsabilidad a la persona obligada a promover la inscripción. V. Casado, Derecho<br />
Mercantil Registral, cit., p. 152.<br />
( 36 ) De este modo, la función registral tiene como punto de partida la solicitud del interesado,<br />
sin que sea viable que se inicie de oficio por el Registrador, es decir, rige el principio de<br />
rogación o instancia. V. Fernández, El Registro Mercantil, cit., p. 109 ss.<br />
( 37 ) A estos efectos bastará con “la declaración dirigida al Registrador, cuya firma se extienda<br />
o ratifique ante él o se halle notarialmente legitimada” (art. 93. 1 RRM).<br />
( 38 ) Aún en el caso del naviero que, como dijimos sí ha de inscribirse obligatoriamente, al<br />
incumplimiento de ese deber no se anuda como efecto el carecer de su condición, sino algún<br />
otro que la presupone. Así, el art. 19.3 del Código de Comercio determina que el naviero no<br />
inscrito responderá con todo su patrimonio de las obligaciones contraídas.<br />
( 39 ) Es lógico que sea en materia de sociedades donde la inscripción alcanza su mayor valor<br />
al tratarse de entidades de creación legal. V. Serrera, El Registro Mercantil. Una consideración<br />
de sus principios, cit., p. 2753.
386 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
– La transformación, fusión o escisión de sociedades y los aumentos de<br />
capital.<br />
Por lo que respecta a la forma de los datos que acceden a la hoja registral<br />
abierta a cada sociedad (cuya enumeración se contiene en el apartado anterior),<br />
la inscripción sólo se practica en virtud de documento público (comprendiendo<br />
tanto las escrituras públicas, como los documentos judiciales o<br />
los administrativos expedidos por autoridad o funcionario), salvo en determinados<br />
casos que no precisan de dicha escritura (art. 18.1 Código de Comercio).<br />
La excepción más significativa está representada por los nombramientos<br />
y ceses de cualquier miembro de los órganos de administración<br />
(salvo el nombramiento de Consejero Delegado que requiere escritura pública),<br />
Auditores o Liquidadores. Igualmente, no se precisa documentación<br />
pública para la inscripción de la disolución de sociedades colectivas y comanditarias<br />
simples por muerte o declaración de fallecimiento de un socio<br />
colectivo ( 40 ).<br />
Los documentos extranjeros también pueden inscribirse en el Registro<br />
Mercantil, siempre que tengan fuerza en España con arreglo a las leyes, así<br />
como cuando se trate de ejecutorias pronunciadas por Tribunales extranjeros<br />
a las que debe darse cumplimiento en España.<br />
Hay que tener en cuenta, en esta materia, que la “tramitación telemática”<br />
ha sido objeto de “impulso” renovado con el art. 27 de la Ley 24/2005, de<br />
18 de noviembre que modifica ciertas disposiciones en cuanto a la implantación<br />
obligatoria de sistemas telemáticos y la adecuación a los principios<br />
de firma electrónica, regulada por la Ley 59/2003, de Firma Electrónica ( 41 ).<br />
Como en tantos otros sectores de la sociedad española el uso cada vez más<br />
extendido de Internet ha tenido importantísimas repercusiones sobre el<br />
servicio registral, siendo posible la comunicación telemática con el Registro<br />
en todos los ámbitos. De este modo, la presentación de los documentos,<br />
tanto para la inscripción de los mismos, como para la solicitud del depósito<br />
de los estados contables de las entidades se puede efectuar, además de en el<br />
tradicional soporte físico de papel, en soporte electrónico, el cual puede llegar<br />
al Registro Mercantil, tanto presencialmente, como mediante una vía<br />
telemática. De igual manera, en el ámbito de la solicitud de información de<br />
sus archivos, una importante proporción de la publicidad formal solicitada<br />
( 40 ) La materia relativa a la inscripción de las sociedades en el Registro Mercantil se contempla<br />
en el Capítulo III del Título II, arts. 94 a 328 RRM. Para un estudio exhaustivo de la<br />
misma se puede consultar: Arribas, El Registro Mercantil en España. Organización y función,<br />
cit., p. 216 ss.; Casado, Derecho Mercantil Registral, cit., p. 163 ss.<br />
( 41 ) V. el apartado 3. 8 de este trabajo.
SAGGI 387<br />
y efectuada se realiza vía electrónica, como se verá en el último apartado de<br />
este trabajo.<br />
Presentados los documentos, se entregará un recibo que expresará la<br />
clase de títulos recibidos, el día y la hora de presentación (art. 53 RRM), extendiéndose<br />
por el Registrador en el Diario el correspondiente asiento de<br />
presentación ( 42 ). Esta primera actividad registral de extensión de dicho<br />
asiento, se limita a constatar si el documento ingresado puede o no provocar<br />
alguna operación registral y a realizar un breve resumen del mismo. De<br />
ahí que no consista en la emisión, por parte del Registrador, de ningún juicio<br />
de valor, ya que de lo contrario no se trataría de una simple comprobación,<br />
sino de una auténtica calificación ( 43 ). La fecha del asiento de presentación<br />
tiene importancia, ya que si se llega a la inscripción definitiva aquella<br />
fecha sirve como fecha de inscripción, y si hay varias inscripciones de igual<br />
fecha, se determinará la prioridad atendiendo a la hora de presentación, ex<br />
art. 55 RRM. Una vez extendido el asiento de presentación se podrá retirar<br />
el pertinente documento por parte del presentante o interesado. El Registrador<br />
indicará la fecha de la devolución y extenderá nota al margen del<br />
asiento de presentación, ex art. 54 RRM ( 44 ).<br />
3.6. – Una vez ingresado el documento en el Registro Mercantil, se procede<br />
a la calificación por parte del Registrador lo que implica, en definitiva,<br />
decidir sobre si el hecho del que se solicita dicha calificación tiene los requisitos<br />
exigidos por la Ley para ser registrado. O, dicho de otra manera, si conforme<br />
a la Ley procede o no practicar el asiento solicitado. Sin embargo, hay<br />
que tener en cuenta que dicha operación excede de la mera comprobación<br />
del cumplimiento de los requisitos exigidos por la Ley, en la medida que introduce<br />
el juicio intelectual del Registrador ( 45 ). El art. 18.2 del Código de<br />
( 42 ) A excepción de dicho asiento, no podrá practicarse ningún otro, si no se justifica previamente<br />
que se ha solicitado o practicado la liquidación de los tributos correspondientes al<br />
acto o contrato que se pretenda inscribir o al documento en virtud del cual se pretenda la inscripción<br />
(art. 86.1 RRM).<br />
( 43 ) Fernández, El Registro Mercantil, cit., pp. 112-113.<br />
( 44 ) El art. 56 RRM determinaba que si el Registrador se negara a extender el asiento de<br />
presentación el interesado puede interponer un recuso de queja ante la Dirección General de<br />
los Registros y del Notariado. No obstante, dicho artículo ha sido derogado por la Ley<br />
24/2005, de 18 de noviembre (Boletín Oficial del Estado,n. 277, de 19 de noviembre de 2005),<br />
creando una laguna difícil de solucionar. V. García, Código de Legislación Inmobiliaria, Hipotecaria<br />
y del Registro Mercantil, cit.,p. 1221 (cita n. 70).<br />
( 45 ) Stampa, La calificación registral mercantil, Madrid, Ilustre Colegio de Registradores<br />
de la Propiedad y Mercantiles de España, 1991, pp. 274-277.
388 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Comercio y el 6 RRM dicen que los Registradores calificarán bajo su responsabilidad<br />
la legalidad de las formas extrínsecas de los documentos de<br />
toda clase en cuya virtud se solicita la inscripción, así como la capacidad y la<br />
legitimación de los que los otorguen o suscriban y la validez de su contenido,<br />
por lo que resulta de ellos y de los asientos del Registro. Por ejemplo, el<br />
Registrador deberá examinar si se han pagado los impuestos correspondientes.<br />
El plazo para llevar a cabo esta operación es de 15 días contados<br />
desde la fecha del asiento de presentación. Pero si el título hubiera sido retirado<br />
antes de la inscripción, tuviera defectos subsanables o existiera pendiente<br />
de despacho un título presentado con anterioridad, el plazo de 15 días<br />
se computará desde la fecha de devolución del título, la subsanación o el<br />
despacho del título previo, respectivamente (arts. 61 y 39 RRM).<br />
En estos casos, la vigencia del asiento de presentación se entenderá<br />
prorrogada hasta la terminación del plazo de calificación y despacho. Si,<br />
transcurrido el plazo máximo señalado anteriormente, no hubiere tenido<br />
lugar la inscripción, el interesado podrá instar del Registrador ante quien se<br />
presentó el título que la lleve a cabo en el término improrrogable de tres días<br />
o la aplicación del cuadro de sustituciones previsto en el art. 275 bis del Texto<br />
Refundido de la Ley Hipotecaria.<br />
La calificación del título es una función personal del Registrador ( 46 ). El<br />
art. 60 RRM prevé que si un RM estuviera a cargo de dos o más Registradores,<br />
se procurará, en lo posible, la uniformidad de los criterios de calificación,<br />
estableciendo determinadas normas a tal efecto (art. 18.8 Código de<br />
Comercio). Pasado ese examen se ha de practicar inmediatamente el asiento<br />
o asientos solicitados, comunicándose sus datos esenciales al RM Central,<br />
en cuyo Boletín serán objeto de publicación.<br />
Por el contrario, si la calificación es negativa, total o parcialmente, es decir<br />
si el Registrador estima que el título tiene algún defecto que impide su<br />
inscripción, habrán de consignarse dichos defectos, especificando si son faltas<br />
subsanables o insubsanables. En este último caso, se deniega la inscripción<br />
(art. 62 RRM). En el primer caso el Registrador suspende la inscripción<br />
y se le devuelve al interesado el título para que pueda subsanar el defecto<br />
dentro de la vigencia del asiento de presentación o de la anotación<br />
preventiva.<br />
( 46 ) Sobre las especialidades que presenta la calificación mercantil v. Ballesteros, Especialidades<br />
del procedimiento registral en el Registro Mercantil, en González-Gimeno (coords.),<br />
El procedimiento ante el Registro de la Propiedad y el Registro Mercantil dir. da González<br />
Pérez, t. II, Madrid, Centro de Estudios del Colegio de Registradores de la Propiedad y<br />
Mercantiles de España, 2005, pp. 489 ss.
SAGGI 389<br />
Contra la calificación que atribuya al título algún defecto que impida la<br />
inscripción pueden los interesados interponer el correspondiente recurso<br />
gubernativo en el plazo de un mes desde la notificación de la calificación,<br />
primero ante el propio Registrador solicitando la reforma total o parcial de<br />
la calificación hecha por éste y, en caso de mantenerse éste en su decisión,<br />
ante la DGRN o bien instar la calificación del cuadro de sustituciones ( 47 )<br />
(art. 18.7 Código de Comercio) ( 48 ). Finalmente, dichas calificaciones negativas<br />
y, en su caso, las resoluciones de la DGRN en materia de recurso contra<br />
la calificación de los Registradores serán recurribles ante el Juzgado de<br />
Primera Instancia de la capital de provincia, siendo de aplicación las normas<br />
del juicio verbal (art. 328.2 de la LH). La decisión de éste será apelable ante<br />
la correspondiente Audiencia Provincial y, si el asunto presenta interés casacional,<br />
podrá darse un último recurso de casación ante el Tribunal Supremo.<br />
3.7. – Como dijimos con anterioridad, por regla general, la inscripción<br />
tiene una eficacia meramente declarativa respecto al hecho o al acto inscrito.<br />
Por consiguiente, la situación jurídica recogida en el Registro se perfecciona,<br />
normalmente, con independencia de él. No obstante, en algunos supuestos<br />
la inscripción tiene carácter constitutivo, ya que sirve para perfeccionar<br />
determinada situación jurídica. Tal sucede en el caso de las sociedades<br />
de capital (Sociedad Anónima, de Responsabilidad Limitada, etc), en<br />
cuyo caso la inscripción tiene carácter constitutivo del tipo social querido<br />
por los socios, hasta el punto de que, si no se inscribe la sociedad en el Registro<br />
transcurrido cierto tiempo, es calificada como irregular y sometida a<br />
un régimen jurídico diverso del originariamente previsto. A pesar de ello, la<br />
inscripción produce determinados efectos muy importantes materializados<br />
en los siguientes principios:<br />
A) Principio de legitimación. El art. 20 del Código de Comercio y el 7<br />
del RRM declaran que el contenido del Registro se presume exacto y válido.<br />
Añaden que los asientos del Registro están bajo la salvaguarda de los<br />
Tribunales y producirán todos los efectos mientras no se inscriba la declaración<br />
de nulidad de su inexactitud. Sin embargo, se trata de una presunción<br />
iuris tantum que admite prueba en contrario, de ahí que la inscripción no<br />
( 47 ) Previsto, en el artículo 275 bis del Texto Refundido de la Ley Hipotecaria.<br />
( 48 ) Art. 66.2 RRM: “La interposición del recurso no excluirá el derecho de los interesados de<br />
acudir a los Tribunales de Justicia para litigar entre sí acerca de la validez de los títulos calificados,<br />
en cuyo caso se estará a lo dispuesto en los artículos 66 de la Ley Hipotecaria y 101 y 132 de<br />
su Reglamento”.
390 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
convalida los actos o contratos nulos con arreglo a las Leyes. Este principio<br />
tiene como una de sus consecuencias que los actos sujetos a inscripción,<br />
una vez inscritos, son oponibles a terceros incluso aunque hayan actuado<br />
de buena fe. Ahora bien, tal oponibilidad no se produce inmediatamente sino,<br />
por regla general, a partir de los quince días siguientes a la publicación<br />
de la inscripción en el BORME, estableciéndose una presunción de conocimiento<br />
que se puede desvirtuar por prueba en contrario. Transcurrido dicho<br />
plazo, aunque se pruebe que no se pudo conocer la publicación, el acto<br />
será oponible.<br />
Cuando se produzca una discordancia entre el contenido de la publicación<br />
y el de la inscripción, los terceros de buena fe podrán invocar la publicación<br />
si les fuera favorable ( 49 ). Todo ello según los arts. 21 Código de Comercio<br />
y 9 RRM. Por lo tanto, la publicidad registral no produce plenamente<br />
sus efectos desde el momento de la inscripción, sino que ha de esperarse<br />
a la publicación en el BORME. Con dicha previsión se evidencia el claro<br />
propósito del legislador de potenciar al máximo la protección del tercero de<br />
buena fe. De ahí que la oponibilidad frente a éste se retrase hasta el momento<br />
de la publicación en el BORME ( 50 ). En definitiva, el contenido del<br />
Registro se presume exacto y válido, manteniéndose sus efectos mientras<br />
no se inscriba la declaración judicial de su inexactitud o nulidad.<br />
B) Principio de fe pública. Según el art. 20.2 Código de Comercio y 8<br />
RRM, la declaración de inexactitud o nulidad de los asientos del Registro<br />
Mercantil no perjudicará los derechos de terceros de buena fe, adquiridos<br />
conforme a Derecho; entendiéndose que se han adquirido conforme a Derecho<br />
los que se hayan obtenido en virtud de acto o contrato que resulte válido<br />
con arreglo al contenido del Registro. Es decir, que en caso de que se<br />
declarase que el contenido del Registro Mercantil no es exacto o es nulo, esto<br />
no puede perjudicar los derechos que adquirieron otros sujetos de buena<br />
fe que confiaron en el contenido del Registro. Por tanto, el efecto positivo<br />
de la publicidad se vincula aquí a la inscripción y no a la publicación en el<br />
BORME. Puede, pues, afirmarse que se ha robustecido la posición del tercero,<br />
puesto que en materia de publicidad positiva se exige lo mínimo para<br />
proteger su confianza.<br />
( 49 ) Cuando se produzca esta discordancia, los que la hayan ocasionado quedan obligados<br />
a resarcir al perjudicado (art. 9.3 RRM).<br />
( 50 ) La política legislativa adoptada por el legislador mercantil español de protección a ultranza<br />
de los terceros está en sintonía con lo preconizado en las directivas comunitarias. V.<br />
Fernéndez, Calvo, Libertad de establecimiento y Derecho de sociedades en la Comunidad<br />
Económica Europea, Madrid, 1988, p. 121.
SAGGI 391<br />
Los requisitos para que el tercero quede protegido por la fe pública registral<br />
son los siguientes:<br />
- no se trata del adquirente del derecho inscrito, sino del que se relaciona<br />
con un titular inscrito en virtud del acto o contrato que resulte válido con<br />
arreglo al contenido del Registro (revocación de un poder que no ha tenido<br />
acceso al Registro);<br />
- se exige la onerosidad del acto;<br />
- no se exige, en cambio, la inscripción del acto del tercero pues el Registro<br />
Mercantil, al contrario de lo que sucede con el Registro de la Propiedad,<br />
no es un Registro de derechos;<br />
- debe actuar de buena fe, la cual se presume.<br />
C) Principio de prioridad. El art. 10 RRM establece: 1. “Inscrito o anotado<br />
preventivamente en el RM cualquier título, no podrá inscribirse o anotarse cualquier<br />
otro de igual o anterior fecha que resulte opuesto o incompatible con él.<br />
2. Si sólo se hubiera extendido el asiento de presentación, tampoco podrá<br />
inscribirse o anotarse durante su vigencia ningún otro título de la clase antes<br />
expresada<br />
3. El documento que acceda primeramente al Registro será el preferente<br />
sobre los que accedan con posterioridad, debiendo el Registrador practicar<br />
las operaciones registrales correspondientes según el orden de presentación”.<br />
El instrumento fundamental para la aplicación del principio de prioridad<br />
es el Registro Diario de Presentación, mencionado en el art. 23 RRM<br />
entre los libros que se llevan en los Registros Mercantiles ( 51 ).<br />
D) Principio de tracto sucesivo. Se contiene en el art. 11 RRM: 1. “Para<br />
inscribir actos o contratos relativos a un sujeto inscribible será precisa la previa<br />
inscripción del sujeto<br />
2. Para inscribir actos o contratos modificativos o extintivos de otros otorgados<br />
con anterioridad será precisa la previa inscripción de éstos<br />
3. Para inscribir actos o contratos otorgados por los apoderados o administradores<br />
será precisa la previa inscripción de éstos”.<br />
A través de este artículo se contempla un supuesto bastante general que<br />
es el del apartado 1, otro especial relativo a los poderes, también de alcance<br />
bastante amplio, y una referencia a los actos o contratos porque ciertamente<br />
éstos se inscriben en el Registro Mercantil cuando la Ley lo dispone. Se<br />
( 51 ) El principio de prioridad se erige en básico y capital del sistema registral, hasta el punto<br />
de que el lema del cuerpo de Registradores de la Propiedad, Mercantiles y de Bienes Muebles<br />
de España es, precisamente: prior in tempore, potior est in iure.
392 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
ha dicho con respecto a dicho precepto que el principio de tracto sucesivo<br />
no parece tener pleno encaje en todos los supuestos contemplados en el<br />
mismo. Así, cuando se impone a los apoderados que tengan previamente<br />
inscritas sus facultades al ir a otorgar un acto o contrato, más que ante una<br />
manifestación del mencionado principio, estamos en realidad ante una exigencia<br />
legal establecida por razón del deber que tiene el Registrador de calificar<br />
la competencia y facultades de quien autorice el acto o contrato inscribible.<br />
Por ello, el único apartado del art. 11 RRM que en realidad obedece<br />
al principio de tracto sucesivo en su sentido técnico es el primero, conforme<br />
al cual, el acto que se pretende inscribir requiere la previa toma de razón<br />
del sujeto o entidad del que emana ( 52 ).<br />
3.8. – La importancia de la publicidad formal en materia mercantil ha sido<br />
resaltada poniendo de relieve que “está en relación directa con el creciente<br />
desarrollo de la actividad comercial y empresarial, antes reservada a<br />
muy pocas personas y hoy difundida y generalizada entre la casi totalidad<br />
de la población. Cada vez resulta más difícil en los países occidentales u occidentalizados,<br />
encontrar a alguien que no tenga relación directa o indirecta<br />
con las grandes compañías de crédito, seguros o transportes, cada día aumenta<br />
vertiginosamente el número y la variedad de entidades y fondos administradores<br />
y gestores de los intereses de ingentes colectivos y, asimismo,<br />
es más frecuente oír hablar a sociólogos, juristas y moralistas de la<br />
constante y acelerada ‘mercantilización’ de la vida social.<br />
Este incremento de la actividad mercantil y las nuevas condiciones en<br />
que se desarrolla demandan, por parte del ciudadano, inerme ante el influjo<br />
de esas poderosas ‘apariencias’, un mayor amparo público y una mayor<br />
confianza; el amparo y la confianza que puede brindarles lo oficial y legalmente<br />
establecido” ( 53 ).<br />
Sobre la base de estas consideraciones el Registro Mercantil tiene carácter<br />
público, lo que supone que se pueden conocer los datos en él contenidos<br />
( 54 ). El Registro Mercantil puede ser consultado por cualquiera. A diferencia<br />
del Registro de la Propiedad no es necesario acreditar interés legítimo<br />
de clase alguna para la obtención de la información registral. En efec-<br />
( 52 ) Serrera, El Registro Mercantil. Una consideración de sus principios, cit., p. 2768-2769.<br />
( 53 ) Casado, Derecho Mercantil Registral, cit., p. 5.<br />
( 54 ) Art. 12.1 RRM: “El Registro Mercantil es público y corresponde al Registrador Mercantil<br />
el tratamiento profesional del contenido de los asientos registrales, de modo que se haga efectiva<br />
su publicidad directa y se garantice, al mismo tiempo, la imposibilidad de su manipulación o<br />
televaciado”.
SAGGI 393<br />
to, el Registro Mercantil tiene como una de las finalidades esenciales que<br />
las situaciones jurídicas que la ley requiere que se inscriban en él puedan<br />
ser conocidas por los terceros, con la finalidad de que la publicidad de determinados<br />
hechos y actos jurídicos tenga determinados efectos. La función<br />
del Registro como instrumento de publicidad legal hacia los terceros<br />
tiene, en el caso del Registro Mercantil, una importancia superior a la de<br />
otros medios de notificación, en cuanto que los actos inscritos adquieren<br />
una seguridad en beneficio de terceros. La primera Directiva de la CEE en<br />
materia de sociedades ya insistió en que la publicidad por medio del Registro<br />
debe hacer posible que “los terceros conozcan los datos esenciales de la<br />
sociedad, así como algunos aspectos relativos a la misma, especialmente la<br />
identidad de las personas con poder para contratar a su nombre” ( 55 ).<br />
Esta llamada publicidad formal se consigue a través de la consulta de los<br />
datos relativos al contenido esencial de los asientos mediante la expedición<br />
por el Registrador de las llamadas notas simples informativas, certificaciones<br />
o copias de los documentos archivados ( 56 ) (arts. 23.1 Código de Comercio<br />
y 12.2 RRM). En el cumplimiento de este cometido “los Registradores<br />
Mercantiles calificarán, bajo su responsabilidad, el cumplimiento de las<br />
normas vigentes en las solicitudes de publicidad en masa o que afecten a los<br />
datos personales reseñados en los asientos ”, ex art. 12.3 RRM ( 57 ). Recordemos<br />
que el Registro Mercantil Central, además, expide certificaciones relativas<br />
a las razones y denominaciones de sociedades y del resto de las entidades<br />
inscribibles ( 58 ).<br />
– La nota simple informativa es un breve extracto de los asientos vigentes<br />
de una determinada entidad. Tiene un valor meramente informativo y<br />
( 55 ) El considerando está prácticamente reproducido en la actual Directiva 2009/101/CE<br />
al establecer: “la publicidad debe permitir a los terceros conocer los actos esenciales de la sociedad<br />
y ciertas indicaciones relativas a ella, en particular la identidad de las personas que tienen el<br />
poder de obligarle”.<br />
( 56 ) Desaparece como medio de hacer efectiva la publicidad formal la exhibición o manifestación<br />
directa de los libros por el riesgo de menoscabo de los mismos.<br />
( 57 ) Se ha señalado “la dificultad que entraña conjugar la publicidad con la privacidad que<br />
puede ser invadida con tratamientos masivos de datos de forma informática obtenidos del Registro<br />
Mercantil”. No obstante, a pesar de dicha dificultad, nunca se puede perder de vista que el fin último<br />
del Registro Mercantil, no es otro que la publicidad del contenido de sus archivos. En esta<br />
materia hay que tener en cuenta el artículo 18 de la Constitución española y la Ley Orgánica<br />
5/1992, de 29 de octubre, sobre tratamiento informatizado de datos de carácter personal, así como<br />
el Reglamento de Medidas de Seguridad de ficheros automatizados de datos de carácter<br />
personal. V. Arribas, El Registro Mercantil en España. Organización y función, cit., p. 270.<br />
( 58 ) V. Fernández, El Registro Mercantil, cit., pp. 157 ss.
394 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
no da fe del contenido del Registro. Se expide por el Registrador, con indicación<br />
del número de hojas y de la fecha en que se extiende y llevará su sello.<br />
La nota simple con el contenido que la Ley establece, garantiza al interesado<br />
la información que se le transmite, pero no en perjuicio de tercero<br />
puesto que para ello se requiere certificación. Se expide en el plazo de tres<br />
días desde su solicitud (art. 78 RRM).<br />
– La certificación es un documento firmado por el Registrador, que da fe<br />
de los asientos registrales y permite acreditar todos los actos relativos a la<br />
constitución, aumento y reducción de capital, nombramiento y cese de administradores<br />
y apoderados, transformación, fusión, escisión, depósitos de<br />
cuentas anuales, legalización de los libros del empresario, etc. Este es el único<br />
medio de acreditar fehacientemente la vigencia de un determinado asiento<br />
registral. Su contenido surte efecto frente a terceros (art. 77 RRM)( 59 ).<br />
La solicitud de alguno de estos documentos se ha de realizar personalmente<br />
( 60 ), en la oficina del Registro donde estén inscritas las sociedades o<br />
por vía telemática y se pueden consultar los datos relativos al contenido<br />
esencial de los asientos por medio de ordenador (art. 79 RRM). Es destacable<br />
que, como resultado de la incorporación de las nuevas tecnologías al sistema<br />
registral español, el Colegio de Registradores de la Propiedad, Mercantiles<br />
y Bienes Muebles de España ha desarrollado un sistema de firma<br />
electrónica avanzada para facilitar el acceso a los usuarios a su relación con<br />
los distintos Registros de una forma rápida y segura. La obtención por el<br />
usuario de su Firma Electrónica avanzada se realiza con la sola petición<br />
efectuada en cualquiera de los Registros Mercantiles que se la facilitarán de<br />
forma gratuita ( 61 ).<br />
( 59 ) Atendiendo al art. 1216 del Código Civil que señala que son documentos públicos los<br />
autorizados por un Notario o empleado público competente, con las solemnidades requeridas<br />
por la Ley, hay que considerar que las certificaciones expedidas por los Registradores<br />
mercantiles son documentos públicos.<br />
( 60 ) El art. 21 RRM estable que “el Registro Mercantil estará abierto al público todos los días<br />
hábiles, desde las nueve a las catorce y desde las dieciséis a las dieciocho horas, excepto los sábados,<br />
en los que sólo se mantendrá el horario de mañana”.<br />
( 61 ) La Firma Electrónica es el conjunto de datos en forma electrónica, consignados junto<br />
a otros asociados con ellos, que pueden ser utilizados como medio de identificación del firmante.<br />
La Firma Electrónica avanzada es la que permite identificar al firmante detectando<br />
cualquier cambio ulterior de los datos firmados estando vinculada al firmante de manera única<br />
y a los datos a que se refiere y que ha sido creada por medios que el firmante puede mantener<br />
bajo su exclusivo control. Dicha Firma cuando es reconocida gozará de plena vigencia jurídica,<br />
equiparándose plenamente a la firma manuscrita u ológrafa. V. Arribas, El Registro<br />
Mercantil en España. Organización y función, cit., p. 343 ss.
SAGGI 395<br />
De este modo, el interesado podrá solicitar información acerca del Registro<br />
Mercantil en el que una determinada entidad conste inscrita. De la<br />
misma se puede solicitar información de datos referidos a su denominación<br />
y domicilio social; sistema de administración social; integrantes del órgano<br />
de administración social; nombramiento y revocación de apoderados; aumentos<br />
y reducciones de capital social; fusiones; escisiones; transformaciones;<br />
disolución; liquidación y extinción del ente social, cuentas anuales o<br />
legalización de libros.<br />
Para realizar la búsqueda es necesario que el interesado suministre alguno<br />
de los datos siguientes:<br />
– Identidad de la entidad de que se trate.<br />
– Identidad de la persona que ostente algún tipo de representación (administradores,<br />
apoderados, liquidadores) o que haya sido nombrada para<br />
realizar una función relacionada con la entidad de que se trate (auditores de<br />
cuentas, expertos independientes).<br />
La emisión de notas simples y certificaciones se realiza con la mayor<br />
brevedad posible, y en todo caso dentro de un plazo máximo de tres y cinco<br />
días, respectivamente. Sin embargo, un primer avance de la información registral<br />
relativa a la entidad inscrita se puede obtener por vía telemática a través<br />
de la página www.registradores.org, dentro de los Registros Mercantiles<br />
on line, en Información Mercantil Interactiva. La característica esencial de<br />
este sistema no es otra que la de facilitar la información de modo inmediato,<br />
preciso, seguro y a un bajo coste.<br />
Además, se pueden solicitar las llamadas certificaciones con información<br />
continuada, para que el Registrador notifique al peticionario todos los<br />
documentos que se presenten al Registro sobre la sociedad de que se trate,<br />
de modo que sea posible conocer si se producen modificaciones en la situación<br />
registral de una sociedad durante un período determinado de tiempo,<br />
ex art. 77.5 RRM.<br />
El coste de la información registral está regulado en el Arancel de los<br />
Registradores, aprobado por el Decreto 757/1973, de 29 de marzo ( 62 ), modificado<br />
por el Real Decreto 388/1996, de 1 de marzo ( 63 ).<br />
Mediante este recorrido se ha podido comprobar que el sistema registral<br />
tiende en todo momento a proteger a los consumidores, facilitando el<br />
( 62 ) Publicado en el Boletín Oficial del Estado, n. 93, de 18 de abril de 1973.<br />
( 63 ) El coste que se debe pagar por obtener información registral, así como todos los detalles<br />
del Arancel están estudiados por Arribas, El Registro Mercantil en España. Organización<br />
y función, cit., p. 307 ss.
396 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
acceso a la información registral incorporando todos los avances de las nuevas<br />
tecnologías. La introducción de dichas tecnologías en los Registros<br />
Mercantiles se ha visto también impulsada desde el Derecho comunitario,<br />
A ello respondió la modificación prevista en la Directiva 2003/58/CE de la<br />
Primera Directiva 68/151/CEE, que sirvió para que, a partir del 1 de enero<br />
de 2007, resultase posible, u obligatoria en relación con algunas sociedades,<br />
la presentación en formato electrónico de los actos y hechos susceptibles de<br />
ser inscritos. Igualmente, la vía electrónica facilitará la consulta de esos hechos<br />
inscritos por los interesados. Dicha posibilidad aparece, del mismo<br />
modo, recogida en la Directiva que en la actualidad regula la materia (Directiva<br />
2009/101/CE).<br />
Finalmente, y con independencia de la actividad que los Registradores<br />
Mercantiles deben desplegar en el marco de la publicidad formal, dichos<br />
agentes jurídicos desarrollan también una importante función informativa<br />
al atender a las consultas realizadas por los particulares interesados. Estos<br />
asesoramientos previos que el Registrador ha de prestar a los interesados<br />
reciben la denominación de informes y se encuentran consagrados en el<br />
art. 355 del Reglamento Hipotecario ( 64 ).<br />
( 64 ) En cualquier caso, la labor asesora del Registrador ha de quedar constreñida a aspectos<br />
que se deriven del contenido de los libros registrales, sin que se extienda a la forma de estructurar<br />
el negocio que ha de tener acceso a los libros registrales. V. Garrido, La calificación<br />
registral mercantil, Madrid, Anales de la Academia Matritense del Notariado, t. XXXI, 1991, p.<br />
311.
Osservatorio sul diritto europeo<br />
Presa di posizione sul futuro del CFR ( 1 )<br />
Nel luglio del 2010, la Commissione ha pubblicato un Green Paper<br />
(Green Paper from the Commission on policy options for progress towards a<br />
European Contract Law for consumers and businesses) sollecitando prese di<br />
posizione in ordine al futuro del diritto contrattuale in <strong>Europa</strong>, in generale,<br />
e del CFR, in particolare, tenuto conto di talune opzioni delineate nello<br />
stesso documento.<br />
Secondo il mio parere, già accogliere la prima delle diverse opzioni ivi<br />
delineata (quella di minore impatto, costituita, in buona sostanza, dalla<br />
pubblicazione sul sito della Commissione dei risultati conseguiti dal gruppo<br />
di esperti che hanno provveduto a redigere il CFR, accompagnata da attività<br />
tese a favorire l’uso dello stesso CFR quale fonte di ispirazione per il<br />
legislatore europeo e quale punto di riferimento per gli studi universitari)<br />
sarebbe troppo. Cercherò di spiegare in breve il perché.<br />
Il CFR, secondo quanto dichiarato dai suoi stessi redattori, vorrebbe<br />
“help to show how much national private laws resemble one another and have<br />
provided mutual stimulus for development and indeed how much those laws<br />
may be regarded as regional manifestations of an overall common European<br />
legacy”. Per rendersi conto del fatto che queste intenzioni non sono poi state<br />
tradotte in realtà, è sufficiente considerare la definizione che nel CFR è<br />
stata data di una delle strutture portanti del testo medesimo, quella a mio<br />
avviso di maggiore rilievo, e cioè l’obbligazione, che non è più quella a tutti<br />
noi nota, com’era stata modellata già nel Diritto romano, e sulla quale si è<br />
formata la tradizione civilistica continentale: nel CFR, l’obbligazione è divenuta<br />
“a duty to perform which one party to a legal relationship, the debtor,<br />
owes to another party, the creditor ”. “Ufficialmente” perché “sometimes the<br />
( 1 ) Queste brevi considerazioni erano state indirizzate all’“Associazione Civilisti <strong>Italia</strong>ni”,<br />
attualmente presieduta da Guido Alpa: l’“Associazione Civilisti <strong>Italia</strong>ni” avrebbe voluto<br />
infatti esprimere una presa di posizione propria, formulata nella veste di documento di sintesi<br />
delle opinioni formulate per iscritto dai suoi aderenti interessati a rispondere al Green Paper.<br />
Al termine di questa consultazione, si è dovuto però constatare che le opinioni dei singoli<br />
apparivano troppo divergenti, così che, ritenuto inopportuno inoltrare alla Commissione<br />
un testo di sintesi contraddittorio, è stato preferito il silenzio.
398 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
word ‘obligation’ is used as the correlative of a right to performance. Sometimes<br />
the word ‘obligation’ is used to denote the whole legal relationship between the<br />
debtor and the creditor. This usage, although traditional and eminently respectable,<br />
appears to be less frequent in modern European and international legal<br />
instruments”; a volere pensare male (riportando parole di Zimmermann),<br />
perché “Today the technical term ‘obligation’ [nella scia della definizione giustinianea]<br />
is widely used to refer to a two-ended relationship which appears<br />
from the one end as a personal right to claim and from the other as a duty to<br />
render performance. The party ‘bound’ to make performance is called the debtor<br />
(debitor, from debere), whilst at the other end of the obligation we find the<br />
‘creditor’, who has put his confidence in this specific debtor and relies (credere)<br />
in the debtor’s will and capacity to perform. As fas as the Roman terminology is<br />
concerned, ‘obligatio’ could denote the vinculum iuris looked at from either<br />
end; it could refer to the creditor’s right as well as the debtor’s duty. This obviously<br />
makes it somewhat difficult to render the Roman idea in English, for the<br />
English term ‘obligation’ is merely oriented towards the person bound, not<br />
towards the person entitled. With the words ‘my obligation’ I can refer only to<br />
my duties, not to my rights”.<br />
Riflessione, questa, che mi consente di introdurre un altro tema, secondo<br />
quanto io credo, di notevole rilievo, e cioè quello della lingua: il CFR è<br />
stato redatto solo in inglese (qualcuno direbbe, piuttosto che in inglese, in<br />
globish, vale a dire nell’inglese che parlano coloro che inglesi non sono), e<br />
cioè nella lingua che a mio avviso – ma non sono certo il solo ad esserne<br />
convinto – meno è adatta ad esprimere il diritto civile europeo continentale,<br />
e da questa scelta appare fortemente condizionato. Quanto appena posto<br />
in rilievo con riguardo alla definizione di obbligazione potrebbe infatti essere<br />
ripetuto in relazione a molte altre definizioni contenute nel CFR. E sarei<br />
sufficientemente sicuro del fatto che, se si fosse deciso di redigere sin<br />
dall’inizio un testo in almeno tre lingue (non voglio dire anche in italiano,<br />
ma almeno in francese e tedesco), il risultato finale sarebbe stato certamente<br />
meno criticabile.<br />
Oltre che dal punto di vista delle definizioni, il CFR appare poi assai criticabile<br />
anche dal punto di vista del sistema adottato.<br />
Di nuovo solo un esempio, relativo a uno dei settori che al giorno d’oggi<br />
si presentano come centrali sotto il profilo dell’interesse del mercato, e<br />
cioè quello dei contratti aventi per oggetto un servizio.<br />
Ebbene, nella parte del CFR dedicata ai contratti che hanno per oggetto,<br />
appunto, un “servizio”, e nella quale è contenuta una serie di regole generali<br />
applicabili a questa specie di contratti nel suo complesso considerata,<br />
sono stati compresi, in particolare, per limitarsi a un solo aspetto, tanto i
OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 399<br />
contratti che hanno per oggetto un trattamento medico quanto quelli che<br />
hanno per oggetto il deposito di beni. Ma, al di là del fatto che si tratta di<br />
contratti che hanno entrambi per oggetto, appunto, un servizio, non si vede<br />
bene cos’altro i contratti che ho appena citato abbiano in comune. Se si vuole,<br />
anche il mandato, allora, avrebbe potuto essere compreso in questa parte<br />
dedicata ai contratti aventi per oggetto un servizio: anche il mandatario,<br />
nel momento in cui conclude un contratto per qualcun altro, in fin dei conti,<br />
compie un “servizio” per il mandante. E invece al mandato (più precisamente<br />
ai “Mandate contracts”) è stata dedicata una parte distinta.<br />
Tradizionalmente, più tipologie contrattuali si trovano raggruppate in<br />
una unità normativa quando rappresentino varianti del medesimo contratto<br />
tipico: è l’esempio, nel caso del Codice italiano, del capo dedicato al<br />
mandato, che oltre al mandato comprende la commissione e la spedizione;<br />
o il caso, nel BGB, della sezione dedicata al Werkvertrag und änliche Verträge,<br />
qual è, a esempio, il Werklieferungsvertrag. Ma non è questa, evidentemente,<br />
l’idea che è stata posta alla base del raggruppamento dei vari tipi<br />
contrattuali compiuti nel CFR: nessuno potrà mai sostenere, credo, che il<br />
trattamento medico costituisca una variante del deposito di merci. Nel<br />
CFR, si è voluta seguire un’altra strada, diversa da quella tradizionale. I raggruppamenti<br />
sono stati formati, come s’è detto, tenendo conto dell’oggetto<br />
dei contratti considerati. In quest’ottica, però, coerenza avrebbe voluto,<br />
una volta scelto di raggruppare insieme i contratti aventi per oggetto un servizio,<br />
di considerarli veramente tutti insieme, sforzandocisi di trovare una<br />
disciplina comune per tutti, mandato compreso<br />
Per le ragioni in breve sintesi appena esposte – non mi pare il caso di dilungarmi<br />
oltre –, credo che il ricorso al CFR, in qualsiasi forma, quale mezzo<br />
di studio, quale fonte di ispirazione per il legislatore, quale regolamento<br />
opzionale, quale normativa vincolante in settori più o meno ampi, possa<br />
portare con sé assai più problemi che benefici. La soluzione delle questioni<br />
che nascono dalla necessità che il medesimo caso trovi sempre la medesima<br />
soluzione a qualsiasi giudice dell’Unione venga sottoposto può e deve essere<br />
piuttosto raggiunta, a mio avviso, attraverso la via della unificazione del<br />
diritto internazionale privato, limitando l’adozione di un diritto uniforme a<br />
settori ben specificamente delimitati.<br />
Alessio Zaccaria
Novità normative in Germania (anni 2008-2011)<br />
Da quando, nel 2002, fu portata a compimento la fondamentale riforma<br />
dello Schuldrecht, vale a dire della parte generale delle obbligazioni e dei<br />
contratti, con vasta riscrittura del BGB ( 1 ), la Repubblica Federale Tedesca<br />
non ha più conosciuto rifacimenti radicali della legislazione concernente<br />
l’economia e il diritto degli affari ( 2 ). Invero dal 2008 ad oggi – e sarà questo<br />
il periodo esaminato – soprattutto due avvenimenti hanno segnato lo sviluppo<br />
della legislazione tedesca: la crisi economica mondiale ed il cambio<br />
di governo del settembre 2009, che vide sostituirsi ad una coalizione conservatrice-socialdemocratica<br />
una coalizione conservatrice-liberale, entrambe<br />
sotto il cancellierato di Angela Merkel.<br />
Provvedimenti anti-crisi<br />
Come noto, dopo che la banca d’affari Lehman Brothers dovette annunciare<br />
la propria insolvenza – era il 15 settembre 2008 – la crisi finanziaria americana<br />
si propagò fino a divenire una crisi economica mondiale. Accanto alle<br />
iniezioni di liquidità che le banche centrali praticarono nel mercato del credito,<br />
il Bundestag ed il governo federale tentarono di fronteggiare la crisi economica<br />
con il Finanzmarktstabilisierungsgesetz (“legge di stabilità del mercato<br />
finanziario”, abbr. FMSG) ( 3 ), che completò l’iter parlamentare in tempo<br />
brevissimo e potè entrare in vigore già il 18 ottobre 2008. Attraverso questa<br />
legge fu costituito a favore delle imprese operanti nel settore finanziario un<br />
fondo speciale per l’erogazione di contributi pubblici, per lo più sotto forma<br />
di garanzie, fino all’ammontare di 400 miliardi di euro, così da impedire crisi<br />
di liquidità e stabilizzare il mercato del credito e della finanza (§ 6 ss. FM-<br />
SG). Inoltre il fondo potè concorrere alla ricapitalizzazione delle imprese fi-<br />
( 1 ) La Rivista ospitò un vasto dibattito sulla grande riforma tedesca dello Schuldrecht (con<br />
contributi di Zimmermann, C. Hattenhauer, Magnus, Wendlandt, Schulte-Nölke, Ferrante,<br />
Calvo, Ebers, Meyer, Saenger, Micklitz, Janssen, Dörner, Schermaier, Grigoleit e Patti): La<br />
riforma del codice civile tedesco. Una riflessione di giuristi tedeschi ed italiani sul nuovo volto dello<br />
Schuldrecht, in questa rivista, 2004, p. 623 ss.<br />
( 2 ) Tutti i provvedimenti legislativi menzionati possono essere consultati on line al (nuovo)<br />
Bürgerzugang del sito http://www.bundesgesetzblatt.de, oppure si possono consultare i testi<br />
di legge risultanti dai provvedimenti di modifica, nella versione consolidata, alla homepage<br />
del Ministero Federale della Giustizia, presso www.gesetze-im-internet.de.<br />
( 3 ) Cfr. BGBl. I 2008, 1982; e per un primo commento dottrinale, Spindler, Finanzkrise<br />
und Gesetzgeber – Das Finanzmarktstabilisierungsgesetz, in DStR, 2008, p. 2268.
OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 401<br />
nanziarie (§ 7 FMSG) ed acquisire partecipazioni di rischio (§ 8 FMSG). Più<br />
tardi queste misure furono affiancate dal primo e dal secondo Konjunkturpaket<br />
(“pacchetto di congiuntura”), attuati col Gesetz zur Umsetzung steuerrechtlicher<br />
Regelungen des Maßnahmenpakets (“legge per l’attuazione delle<br />
norme fiscali contenute nel pacchetto di misure”) denominato Beschäftigungssicherung<br />
durch Wachstumsstärkung (“tutela dell’occupazione tramite<br />
consolidamento della crescita”) del 21 dicembre 2008 ( 4 ) e col Gesetz zur Sicherung<br />
von Beschäftigung und Stabilität (“legge per la tutela dell’occupazione<br />
e della stabilità”) del 2 marzo 2009 ( 5 ). Infine sgravi fiscali furono previsti<br />
dal Wachstumsbeschleunigungsgesetz (“legge di accelerazione della crescita”)<br />
del 22 dicembre 2009, per sostenere la crescita economica ( 6 ).<br />
Gli ultimi dati, inaspettatamente positivi, dell’economia tedesca – tasso<br />
di crescita nel 2010 pari al 3,6% e tasso di disoccupazione al 7,9% nel gennaio<br />
2011 – portano a concludere che i provvedimenti legislativi hanno raggiunto<br />
gli effetti auspicati, o quantomeno vi hanno contribuito.<br />
Diritto societario<br />
Un’importante novità è data dalla riforma delle società a responsabilità<br />
limitata (le c.d. “GmbH ”) del 23 ottobre 2008 ( 7 ): da allora esiste in Germania<br />
la così detta Unternehmergesellschaft o “società-imprenditore”, che consiste<br />
in un sotto-tipo di società a responsabilità limitata regolata ai sensi del<br />
nuovo GmbH-Gesetz (abbr. “GmbH-G”); la principale differenza consiste<br />
in ciò, che il capitale sociale non deve necessariamente raggiungere la soglia<br />
minima di euro 25.000,00, come per la “normale” società a responsabilità limitata,<br />
ma per costituire la persona giuridica è sufficiente il conferimento di<br />
un solo euro (§ 5a GmbH-G); le riserve, pur sempre necessarie, possono essere<br />
costituite in seguito. È manifesto però che questa variante societaria,<br />
pensata per agevolare la costituzione di nuove GmbH, ne inficia l’affidabilità<br />
finanziaria, e di regola i potenziali creditori esigono garanzie d’altro genere,<br />
che sopperiscano alla (potenziale) mancanza di capitale nominale.<br />
Inoltre il legislatore tedesco ha varato nuove regole per adattare quelle<br />
previgenti alla recente giurisprudenza del BGH in tema di società c.d. “civile”.<br />
Questo tipo societario, i cui fondamenti sono disciplinati nei §§ 705 ss.<br />
BGB, corrisponde in larga misura alla società semplice di cui agli artt. 2251<br />
ss. c.c. italiano. Essa è pur sempre deputata allo svolgimento di attività eco-<br />
( 4 ) Cfr. BGBl. I 2008, 2896.<br />
( 5 ) Cfr. BGBl. I 2009, 416.<br />
( 6 ) Cfr. BGBl. I 2009, 3950.<br />
( 7 ) Cfr. BGBl. I 2008, 2026.
402 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
nomiche, ma non raggiunge il grado di complessità richiesto dai §§ 105 ss.<br />
HGB perché sorga l’obbligo d’iscrizione nel registro delle imprese, obbligo<br />
che sussiste per le società commerciali disciplinate dallo stesso HGB. Già<br />
nel 2001 il BGH aveva statuito che la società civile è dotata di (parziale) capacità<br />
giuridica autonoma, ed ora, con la legge dell’11 agosto 2009 ( 8 ), essa<br />
può venire iscritta quale proprietaria nel libro fondiario, ai sensi del § 47,<br />
comma 2, della Grundbuchordnung; devono però essere iscritti contestualmente<br />
anche i soci. Ulteriori norme di legge presupponevano già questa capacità<br />
giuridica autonoma della società civile, come ad esempio il § 191,<br />
comma 2, n. 1, dell’Umwandlungsgesetz, il § 1059a, comma 2, BGB, ed il § 11,<br />
comma 2, n. 1, dell’Insolvenzordnung.<br />
La crisi economica sollecitò l’allora governo in carica a profondere ulteriori<br />
sforzi per calmierare i compensi dei manager ed estenderne la responsabilità:<br />
col Gesetz zur angemessenen Vergütung von Vorstandsgehältern<br />
(“legge sull’adeguata remunerazione degli amministratori”) ( 9 ), che<br />
entrò in vigore il 5 agosto 2009, fu modificato il § 87 dell’Aktiengesetz, ed<br />
in forza di questa modifica il consiglio di sorveglianza, nel fissare l’importo<br />
complessivo dei corrispettivi spettanti agli amministratori, deve ora vigilare<br />
affinché esso sia in rapporto equilibrato con le loro prestazioni e le<br />
condizioni economiche in cui versa la società. Il compenso abituale non<br />
può essere superato se non in presenza di motivi speciali. Inoltre, affinché<br />
i manager non possano più spostare quasi tutti i rischi del loro operato sulle<br />
assicurazioni obbligatorie, il § 93, comma 2, dell’Aktiengesetz ha introdotto<br />
una franchigia inderogabile a carico degli amministratori pari ad almeno<br />
il 10% del danno provocato ovvero ad almeno il 150% del loro reddito<br />
annuo.<br />
Devono citarsi infine le modifiche introdotte nel diritto azionario tedesco<br />
con l’attuazione della direttiva 2007/36/CE, attuazione avvenuta col<br />
Gesetz zur Umsetzung der Aktionärsrechterrichtlinie (“legge di attuazione della<br />
direttiva sui diritti degli azionisti”) del 30 luglio 2009 ( 10 ).<br />
Contratti e consumatori<br />
Innovazioni sostanziali si diedero nel diritto dei contratti e di tutela del<br />
( 8 ) Cfr. BGBl. I 2009, 2713.<br />
( 9 ) BGBl. I 2009, 2509; cfr. in dottrina, Witthun, Herabsetzung von Vorstandsgehältern in<br />
der Krise, in ZGR, 2009, p. 847; Dauner-Lieb, Vorstand; Haftung; D&O Versicherung, in ZIP,<br />
2009, p. 1555.<br />
( 10 ) BGBl. I 2009, 2479; cfr. in tema, diffusamente, Weitenberg, L’attuazione della direttiva<br />
“azionaria” 2007/36/CE nel diritto tedesco, in questa rivista, 2010, p. 842 ss.
OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 403<br />
consumatore con la legge del 29 luglio 2009 ( 11 ), che accanto all’attuazione<br />
della direttiva sul credito al consumo 2008/48/CE ebbe come conseguenza<br />
una revisione della normativa in tema di jus poenitendi e restituzioni contrattuali.<br />
Il nuovo § 355, comma 2, seconda proposizione, BGB affronta un<br />
problema centrale dei contratti a distanza: il venditore normalmente non è<br />
in grado di informare il compratore circa il suo diritto di recesso prima che<br />
il contratto sia concluso, e dunque prima che inizi a decorrere automaticamente<br />
il termine di recesso mensile (anziché di 14 giorni); questo accade in<br />
particolare nel caso delle aste su e-bay, ove il venditore fino al momento della<br />
stipulazione del contratto neppure conosce la sua controparte. Il citato §<br />
355, comma 2, seconda proposizione, BGB prevede ora che nei contratti a<br />
distanza l’ammonimento relativo al recesso che sia recapitato in forma<br />
scritta immediatamente dopo la conclusione del contratto è equiparato a<br />
quello inoltrato all’atto stesso della sua conclusione, e dunque fa decorrere<br />
il termine di 14 giorni, anziché di un mese, se l’imprenditore ne ha istruito il<br />
consumatore ai sensi dell’art. 246, § 1, comma 1, n. 10, EGBGB (e così la<br />
norma rinvia al nuovo art. 246 EGBGB, introdotto dalla medesima legge).<br />
Precedentemente i descritti obblighi informativi erano disciplinati in un regolamento<br />
emesso dal Ministero Federale della Giustizia, ma i giudici non<br />
erano rigidamente vincolati alla sua osservanza e talvolta hanno deciso anche<br />
in senso contrario al suo tenore letterale, sicché elevare questa normativa<br />
al rango di legge formale infonde maggiore certezza del diritto presso<br />
chi debba applicarla.<br />
Quanto alla direttiva sul credito al consumo, la legge appena citata ha<br />
comportato l’integrazione nel BGB della normativa sugli obblighi informativi<br />
precontrattuali del creditore, nel frattempo decisamente ampliati (§ 6a<br />
della c.d. Preisangabenverordnung o “regolamento sull’indicazione dei prezzi”),<br />
mentre le c.d. “informazioni europee-standard per le operazioni di credito<br />
al consumo” sono state a loro volta inserite nell’EGBGB per mezzo<br />
dell’allegato 3 all’art. 247 § 2. Infine è stata facilitata la concessione di crediti<br />
al consumo transfrontalieri ed è stata garantita più sicurezza contrattuale<br />
al creditore.<br />
Inoltre, grazie ad un’ulteriore legge del 24 luglio 2010 ( 12 ), è stato introdotto<br />
un “modello informativo sul recesso nei contratti di finanziamento ai<br />
consumatori” (nell’allegato 1 all’art. 246, § 2, comma 3, prima proposizione,<br />
( 11 ) BGBl. I 2009, 2355; in dottrina cfr. Schröder, Gesetz . . . zur Neuordnung der Vorschriften<br />
über das Widerrufs- und Rückgaberecht, in NJW, 2010, c. 1933.<br />
( 12 ) BGBl. I 2010, 977; e in dottrina cfr. Artz, Neue Musterwiderrufsinformation für Verbraucherkreditverträge,<br />
in ZGS, 2010, p. 298.
404 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
EGBGB), e sono state attuate le ulteriori misure normative contenute nella<br />
direttiva sul credito al consumo 2008/48/CE in tema di recesso e mediazione<br />
nei contratti di finanziamento.<br />
Avvocati<br />
Il 12 giugno 2008 è stato promulgato il Gesetz zur Neuregelung des Verbots<br />
der Vereinbarung von Erfolgshonoraren (“legge per la riforma del divieto dei<br />
patti di quota-lite”) ( 13 ). Come risulta dal modificato § 49b, comma 2, della<br />
Bundesrechtsanwaltsordnung (“ordinamento federale dell’avvocatura”), i<br />
patti di quota-lite continuano ad essere vietati in Germania. È stata però aggiunta<br />
la riserva “se il Rechtsanwaltsvergütungsgesetz (“legge sui compensi<br />
dell’avvocato”) ( 14 ) non dispone diversamente”; e col § 4a è stata inserita nel<br />
citato Rechtsanwaltsvergütungsgesetz un’eccezione per il caso in cui il cliente,<br />
a causa delle sue condizioni patrimoniali, senza il patto di quota-lite non<br />
avrebbe adìto la tutela giudiziaria. L’eccezione, caldeggiata da una pronuncia<br />
dello stesso Bundesverfassungsgericht (Tribunale Costituzionale Federale),<br />
non appare sconvolgente, ma conduce per lo meno a mitigare l’asprezza<br />
del divieto statuito dalla legislazione previgente. Come noto la questione<br />
– e lo dimostra la dibattuta reintroduzione del divieto in <strong>Italia</strong> – è a dir poco<br />
controversa.<br />
Un sensibile alleggerimento del lavoro degli avvocati porterà la consultabilità<br />
on line del registro di commercio, ora disponibile in maniera capillare<br />
(variano però i costi a seconda del tipo di interrogazione). Anche il libro<br />
fondiario è divenuto, nei singoli Länder, consultabile on line: tuttavia ogni<br />
visura costa, ad esempio nel Nordreno-Vestfalia, 8 euro, sicché all’esito possono<br />
derivarne spese ragguardevoli, che parte degli avvocati tedeschi risparmiano<br />
volentieri recandosi di persona alla conservatoria del libro fondiario<br />
(tanto più che è prevista una tassa d’accesso una tantum di soli 50 euro).<br />
Nondimeno tale possibilità di consultazione da remoto può essere interessante<br />
per i giuristi che operino in chiave internazionale, vuoi per controllare<br />
la vigenza dei poteri rappresentativi in capo alla controparte di una trattativa,<br />
vuoi per chiarire i vincoli ipotecari od i rapporti reali gravanti sugli immobili.<br />
Per tale ultima visura l’avvocato deve però allegare un interesse giuridicamente<br />
rilevante si sensi del § 12 della Grundbuchordnung.<br />
( 13 ) BGBl. I 2008, 1000; e cfr. inoltre von Seltmann, Erfolgshonorar und andere Änderungen<br />
des RVG, in NJW-Spezial, 2008, c. 350.<br />
( 14 ) Traduzione fra parentesi ovviamente di chi scrive.
OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 405<br />
Famiglia e processo<br />
Una fondamentale novità concerne il settore del processo. Il 1° agosto<br />
2009 è entrato in vigore il Gesetz über das Verfahren in Familiensachen und in<br />
den Angelegenheiten der freiwilligen Gerichtsbarkeit (“legge sul procedimento<br />
in materia di famiglia e di affari di volontaria giurisdizione”, di seguito<br />
FamFG). Con i nove libri del FamFG è stato abrogato il sesto libro della Zivilprozessordnung,<br />
ed il previgente Gesetz über die Angelegenheiten der<br />
freiwilligen Gerichtbarkeit (“legge sugli affari di volontaria giurisdizione” o<br />
FGG). Scopo della legge è stato quello di ordinare in un sistema processuale<br />
autonomo gli affari di famiglia e di volontaria giurisdizione. Ricorrono<br />
ancora – non c’è dubbio – alcuni rinvii alla Zivilprozessordnung generale, ma<br />
per il resto la procedura prevista per le materie citate si orienta esclusivamente<br />
a quanto prescritto dal FamFG, ciò che conduce ad una maggiore<br />
trasparenza legislativa rispetto a quanto non capitasse sotto il vigore del<br />
FGG. Il concetto di “affari di famiglia” è definito legalmente dal § 111 nn. 1-<br />
11 FamFG, e comprende fra l’altro le controversie in tema di matrimonio,<br />
filiazione, ascendenza, adozione e mantenimento. Un grande vantaggio, ed<br />
al contempo un grande progresso, è rappresentato dal fatto che per tutte<br />
queste controversie è competente ai sensi del § 23a, comma 1, n. 1, del Gerichtsverfassungsgesetz<br />
(GVG) l’Amtsgericht: è stato creato così l’atteso “grande<br />
tribunale di famiglia”, con una competenza a tutto tondo a livello di prime<br />
cure. Da segnalare è pure il rafforzamento degli strumenti di composizione<br />
stragiudiziale delle liti, che il legislatore ha introdotto per dare corso a<br />
sollecitazioni variamente provenienti dal diritto europeo.<br />
Per completezza non può non sottolinearsi che anche dal punto di vista<br />
sostanziale il diritto di famiglia ha conosciuto recentemente un’autentica<br />
rivoluzione, dovuta alla decisione del Bundesverfassungsgericht del 21 luglio<br />
2010 ( 15 ). Il Giudice costituzionale, su ricorso in via principale presentato da<br />
un padre, ha deciso che il § 1626a BGB è costituzionalmente illegittimo: il<br />
diritto fino ad allora vigente prevedeva che, qualora i genitori non fossero<br />
stati coniugati fra loro, il diritto-dovere di mantenimento della prole spettasse<br />
ad entrambi soltanto ove si fossero coniugati o avessero entrambi dichiarato<br />
di volerne assumere l’onere congiuntamente (così il § 1626a, comma<br />
1, nn. 1 e 2, BGB); altrimenti quel diritto-dovere sarebbe spettato alla<br />
sola madre (come previsto dal § 1626a, comma 2, BGB). Ciò comportava<br />
che il padre naturale non coniugato con la madre non potesse conseguire alcun<br />
diritto-dovere di mantenimento nei confronti del figlio, se la madre<br />
( 15 ) BverfG, 21 luglio 2010 (1 BvR 420/09).
406 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
non fosse stata consenziente. Questa regola, che di per sé non perseguiva in<br />
alcun modo il benessere concreto della prole, viola secondo la citata sentenza<br />
il diritto alla genitorialità del padre, diritto sancito e tutelato dall’art.<br />
6, comma 2, del Grundgesetz. Ora, poiché come noto le decisioni del Bundesverfassungsgericht<br />
(a norma del § 31, comma 2, seconda proposizione, del<br />
Bundesverfassungsgerichtsgesetz, o BverfGG), hanno forza di legge, in ragione<br />
del dispositivo testé citato i padri possono far valere in giudizio fin da<br />
subito il loro diritto-dovere genitoriale nei riguardi dei figli naturali, se questo<br />
corrisponde al benessere dei medesimi. Al momento il Ministero Federale<br />
della Giustizia è al lavoro per dare attuazione legislativa alla sentenza<br />
del Giudice costituzionale.<br />
Arne Alberts - Edoardo Ferrante
Vendita di lenti a contatto on line<br />
e prospettive di sviluppo dell’e-commerce nell’Unione europea<br />
1. – Premessa<br />
Con sentenza del 2 dicembre 2010 nella causa C-108/09, Ker-Optika c.<br />
ÁNTSZ Dél-dunántúli Regionális Intézete ( 1 ), la Corte di giustizia dell’Unione<br />
Europea ha affrontato, per la seconda volta dal 2003 ( 2 ), il problema<br />
della legittimità delle restrizioni alla commercializzazione tramite internet<br />
di prodotti aventi valenza sanitaria, sancendo l’illegittimità delle normative<br />
nazionali che vietano l’utilizzo di tale canale per la vendita di lenti<br />
a contatto.<br />
La questione di cui si è occupata la Corte di giustizia trae origine dal caso<br />
di una società ungherese (Ker-Optika), alla quale le autorità sanitarie di<br />
quel paese avevano vietato la prosecuzione dell’intrapresa attività di vendita<br />
di lenti a contatto a mezzo internet, in quanto, secondo la normativa nazionale<br />
ungherese ( 3 ), la commercializzazione di tali prodotti, rientranti<br />
nella categoria dei dispositivi medici ( 4 ), può avvenire solo attraverso negozi<br />
specializzati, rispondenti ai requisiti dimensionali normativamente fissati,<br />
e sotto il controllo diretto di un optometrista o di un medico oftalmologo<br />
qualificato.<br />
La Ker-Optika ha impugnato il provvedimento di divieto e il Baranya<br />
Megyei Bíróság (Tribunale provinciale per la Baranya), cui è stata sottoposta<br />
la controversia, ha chiesto alla Corte di giustizia di pronunciarsi in via pre-<br />
( 1 ) Non ancora pubblicata nella Raccolta; tra i primi commenti: Picod, La vente des lentilles<br />
de contact ne peut pas être réservée à des magasins spécialisés, in Semaine jur. – éd. gén., 2010,<br />
p. 234; Temmink, Verbod van verkoop van contactlenzen via internet is in strijd met het EU-recht,<br />
in Nederlands tijdschrift voor Europees recht,2011, p. 1; Castets-Renard, L’essor du commerce<br />
électronique: la CJUE autorise la vente en ligne de lentilles de contact, in Rec. Dalloz, 2011, p. 419;<br />
Rigaux, Commercialisation par Internet, in Europe, 2011, p. 1.<br />
( 2 ) Quando, con la sentenza 11 dicembre 2003, causa C-322/01, Deutscher Apothekerverband<br />
c. Doc-morris NV e Jacques Waterval, in Racc., 2003, p. I-14887, si era occupata delle farmacie<br />
on line e dalla vendita di prodotti medicinali a mezzo internet.<br />
( 3 ) La norma in discussione è l’art. 3, n. 1 del regolamento 7/2004 (XI, 23) del Ministero<br />
della Salute ungherese in materia di requisiti professionali ai fini della vendita, della riparazione<br />
e del noleggio di dispositivi medici (tra i quali l’allegato 1 al regolamento specifica chiaramente<br />
essere ricomprese le lenti a contatto).<br />
( 4 ) Come definiti dalla direttiva 93/42/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, concernente<br />
i dispositivi medici (attuata in <strong>Italia</strong> dal decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 46), che<br />
ne disciplina in modo armonizzato i criteri di progettazione ed i requisiti di sicurezza.
408 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
giudiziale sulla conformità al diritto dell’Unione della normativa ungherese<br />
che autorizza la commercializzazione di lenti a contatto esclusivamente<br />
in negozi specializzati nella vendita di dispositivi medici, vietandone, di<br />
conseguenza, la vendita a distanza e tramite internet ( 5 ).<br />
Nella sentenza citata la Corte constata come il divieto di vendita on line<br />
di lenti a contatto previsto da tale normativa, privando gli operatori<br />
economici degli altri Stati membri di una modalità particolarmente efficace<br />
di commercializzazione di questi prodotti ed ostacolandone considerevolmente<br />
l’accesso al mercato ungherese, costituisca un ingiustificato<br />
ostacolo alla libera circolazione delle merci nell’Unione europea, inammissibile<br />
ai sensi della normativa comunitaria derivata in materia di e-<br />
commerce ed incompatibile con le disposizioni del Trattato sul funzionamento<br />
dell’Unione.<br />
2. – Il divieto di vendita di lenti a contatto tramite internet alla luce della direttiva<br />
2000/31/CE sull’e-commerce<br />
Il percorso argomentativo seguito dalla Corte di Giustizia si articola in<br />
due distinti momenti: la Corte chiarisce infatti come, nell’ambito dell’attività<br />
di commercializzazione via internet, sia necessario considerare disgiuntamente,<br />
da una parte, l’atto di vendita propriamente detto, caratterizzato<br />
dall’offerta di contrattare on line e dalla conclusione di un contratto con<br />
mezzi elettronici, e, dall’altra, la successiva operazione materiale della consegna<br />
del prodotto venduto, normalmente presso il domicilio dell’acquirente<br />
( 6 ). Con riferimento al caso sottoposto al suo esame, la Corte specifica<br />
che occorre tenere altresì conto della possibilità che per ciascuna di tali fasi,<br />
( 5 ) Queste le questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte di giustizia dal Baranya Megyei<br />
Bíróság, ai sensi dell’art. 234 CE (oggi art. 267 TFUE): “1) Se la vendita di lenti a contatto rientri<br />
tra le consulenze mediche che necessitano di un esame fisico del paziente e, pertanto, sia esclusa<br />
dall’ambito di applicazione della direttiva sul commercio elettronico. 2) Ove la vendita di lenti<br />
a contatto non rientri tra le consulenze mediche che necessitano di un esame fisico del paziente, se<br />
l’art. 30 CE sia allora da interpretarsi nel senso che osta a una normativa nazionale ai sensi della<br />
quale le lenti a contatto possono essere vendute esclusivamente in negozi specializzati in dispositivi<br />
medici. 3) Se il principio della libera circolazione delle merci di cui all’art. 28 CE osti alla<br />
normativa ungherese che consente la vendita di lenti a contatto esclusivamente in negozi specializzati<br />
in dispositivi medici”.<br />
( 6 ) Tale percorso si discosta da quello suggerito dal Giudice del rinvio, che domandava innanzitutto<br />
di stabilire se l’attività di cui alla causa principale rientrasse nell’ambito di applicazione<br />
della direttiva sul commercio elettronico e, solo nel caso di soluzione negativa da parte<br />
della Corte, sollevava una questione di interpretazione del diritto primario dell’Unione.
OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 409<br />
della vendita e della consegna, sia prevista l’obbligatorietà di un previo consulto<br />
medico, a tutela della salute del cliente.<br />
Il primo aspetto, quello relativo all’atto della vendita, deve essere secondo<br />
la Corte esaminato alla luce delle disposizioni contenute nella direttiva<br />
2000/31/CE sul commercio elettronico (c.d. direttiva e-commerce) ( 7 )<br />
che, allo scopo di eliminare le più rilevanti differenze esistenti tra le varie legislazioni<br />
nazionali ed assicurare la libera circolazione dei “servizi della società<br />
dell’informazione” ( 8 ) tra gli Stati membri, ha istituito un quadro giuridico<br />
comune per il commercio elettronico, dettando una serie di regole<br />
uniformi applicabili alle attività economiche svolte a mezzo internet.<br />
Tenuto conto dell’impossibilità di eliminare le ancora rilevanti differenze<br />
esistenti tra le regolamentazioni nazionali nel settore del commercio<br />
elettronico, la direttiva ha dettato il c.d. principio del paese d’origine (art. 3,<br />
par. 1), individuando quale legge applicabile ai servizi della società dell’informazione<br />
quella dello Stato membro ove il prestatore è stabilito ( 9 ) ed<br />
imponendo correlativamente a tutti gli Stati membri il reciproco riconoscimento<br />
delle legislazioni nazionali.<br />
All’art. 4, la direttiva fa divieto agli Stati membri di subordinare l’accesso<br />
e l’esercizio dell’attività di un prestatore di servizi della società dell’informazione<br />
a regimi di autorizzazione speciali che non si applicherebbero a<br />
servizi analoghi forniti con altri mezzi (c.d. principio dell’assenza di autorizzazione<br />
preventiva), mentre all’art. 3, n. 2, espressamente vieta agli Stati<br />
di introdurre limitazioni alla libertà di circolazione dei servizi della società<br />
dell’informazione per motivi rientranti nell’ambito regolamentato dalla direttiva<br />
stessa ( 10 ).<br />
( 7 ) Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa<br />
a taluni aspetti giuridici del commercio elettronico nel mercato interno, in G.U.U.E., L178,<br />
del 17 luglio 2000, recepita in <strong>Italia</strong> con il d.lgs. 9 aprile 2003, n. 70.<br />
( 8 ) Definibili come “qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza,<br />
per via elettronica . . .e a richiesta individuale di un destinatario di servizi”, alla luce del considerando<br />
n. 17 della direttiva e delle precedenti normative comunitarie ivi richiamate e richiamate<br />
altresì all’art. 2 lettera a) della direttiva.<br />
( 9 ) L’art. 2 lettera c) della direttiva 2000/31/CE definisce il luogo di stabilimento del prestatore<br />
come il luogo in cui un operatore “esercita effettivamente e a tempo indeterminato un’attività<br />
economica mediante un’installazione stabile”; cfr. anche il considerando n. 19.<br />
( 10 ) Dispone l’art. 3, par. 2 della direttiva 2000/31/CE che “gli Stati membri non possono,<br />
per motivi che rientrano nell’ambito regolamentato, limitare la libera circolazione dei servizi della<br />
società dell’informazione provenienti da un altro Stato membro”; la nozione di “ambito regolamentato”<br />
è individuata dall’art. 2, lett. h), e comprende le prescrizioni applicabili ai prestatori<br />
con riferimento all’accesso e all’esercizio dell’attività, con esclusione delle norme riguardanti<br />
le merci in quanto tali, la consegna e i servizi non prestati per via elettronica.
410 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
In forza dell’art. 9, n. 1, nonché del considerando n. 34 della direttiva<br />
2000/31, inoltre, gli Stati membri sono tenuti ad adeguare sistematicamente<br />
la propria legislazione, affinché questa non ostacoli il ricorso ai contratti<br />
per via elettronica, con riferimento a tutte le fasi e agli atti necessari alla sua<br />
formazione.<br />
La Corte di giustizia rileva nella sentenza Ker-Optika che, come emerge<br />
chiaramente dal diciottesimo considerando ( 11 ), i servizi della società dell’informazione<br />
disciplinati dalla direttiva includono l’attività di vendita di<br />
beni on line.<br />
Nessuna esclusione espressa risulta prevista per il commercio di dispositivi<br />
medici, quali le lenti a contatto: attività che non rientra, in particolare, tra<br />
quelle escluse dall’ambito di applicazione della direttiva dall’art. 1, n. 5 ( 12 ).<br />
Né la conclusione a favore dell’inclusione della vendita on line di lenti a<br />
contatto nell’ambito di applicazione della direttiva de qua potrebbe secondo<br />
la Corte risultare pregiudicata dalla considerazione che la vendita o la<br />
consegna di tale bene possa giustificatamene richiedere, a tutela della salute<br />
del cliente, un preventivo consulto medico e successivi verifiche e controlli<br />
oftalmologici. Se è vero infatti che, come veniva evidenziato dall’ÀNTSZ<br />
ungherese, alla luce del diciottesimo considerando della direttiva<br />
2000/31 non costituiscono servizi della società dell’informazione e, pertanto,<br />
non sono ad essa soggette quelle attività che, per loro stessa natura, non<br />
possono essere esercitate a distanza o con mezzi elettronici, tra le quali sono<br />
espressamente menzionate le “consulenze mediche che necessitano di un<br />
esame fisico del paziente” ( 13 ), osserva tuttavia la Corte che nel caso delle lenti<br />
a contatto le visite e verifiche eventualmente necessarie non possono ritenersi<br />
indissolubilmente associate all’atto della vendita.<br />
I controlli oftalmologici eventualmente richiesti ben possono essere infatti<br />
effettuati dal cliente separatamente ed indipendentemente dall’acquisto<br />
delle lenti; e la vendita ben può quindi avvenire, anche a distanza, sulla base<br />
( 11 ) Come si legge nel considerando n. 18 della direttiva, “i servizi della società dell’informazione<br />
abbracciano una vasta gamma di attività economiche svolte in linea (on line). Tali attività<br />
possono consistere, in particolare, nella vendita in linea di merci. Non sono contemplate attività<br />
come la consegna delle merci in quanto tale o la prestazione di servizi non in linea . . .”.<br />
( 12 ) Né, sebbene la Corte non lo specifichi, tra i settori cui non si applicano le richiamate<br />
disposizioni dell’art. 3 parr. 1 e 2, elencati nell’allegato al provvedimento.<br />
( 13 ) Il considerando n. 18 della direttiva precisa infatti che “. . .le attività che, per loro stessa<br />
natura, non possono essere esercitate a distanza o con mezzi elettronici, quali la revisione dei conti<br />
delle società o le consulenze mediche che necessitano di un esame fisico del paziente, non sono<br />
servizi della società dell’informazione”.
OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 411<br />
di una prescrizione del medico oftalmologo che abbia preventivamente visitato<br />
il cliente. La pur legittima previsione della necessità di tali consulenze<br />
non comporta dunque l’esclusione della commercializzazione di lenti a contatto<br />
dall’ambito di applicazione della direttiva 2000/31/CE sull’e-commerce.<br />
Ne consegue, secondo la Corte di Giustizia, la piena applicabilità al<br />
commercio di lenti a contatto, per quanto attiene all’atto di vendita via internet,<br />
delle disposizioni della suddetta direttiva, dalle quali discende il divieto<br />
agli Stati di limitare l’offerta on line di tale categoria di beni e la conclusione<br />
con mezzi elettronici dei contratti di vendita ad essi relativi.<br />
È interessante rilevare che la conclusione della Corte su tale punto e<br />
l’interpretazione da essa fornita dell’ambito di applicazione e della portata<br />
della direttiva e-commerce si discostano alquanto nettamente da quanto era<br />
stato sostenuto nelle sue conclusioni dall’avvocato generale, il quale – pur<br />
comunque ritenendo inammissibile ai sensi del Trattato la restrizione alla<br />
vendita delle lenti a contatto imposta dalla normativa ungherese – non riteneva<br />
che il divieto di commercializzazione di un prodotto a mezzo internet<br />
potesse essere esaminato alla luce della suddetta direttiva. Secondo l’avvocato<br />
generale, sarebbe infatti erroneo sostenere che la direttiva 2000/31/CE<br />
abbia ad oggetto una liberalizzazione generale del commercio elettronico<br />
delle merci; benché nel sentire collettivo tale direttiva sia percepita come la<br />
normativa che ha consentito lo sviluppo del commercio elettronico intracomunitario,<br />
in realtà essa si limita a disciplinare solo alcune delle fasi attraverso<br />
le quali tale commercio si realizza, senza pronunciarsi sulla questione<br />
di quali tipologie di attività o categorie di merci debbano avere accesso al<br />
commercio via internet e senza in nessuna delle sue disposizioni contemplare<br />
un obbligo per gli Stati membri di autorizzare in modo generale e sistematico,<br />
per tutti i tipi di merci, la vendita tramite tale canale.<br />
L’avvocato generale dubitava inoltre che la vendita di lenti a contatto<br />
potesse essere qualificata quale “servizio della società dell’informazione” ai<br />
sensi della direttiva di cui trattasi, in quanto, pur ritenendo distinto l’aspetto<br />
della consulenza medica, non gli appariva possibile dissociare la fase della<br />
conclusione del contratto on line dalla successiva operazione fisica della<br />
spedizione delle lenti a contatto al consumatore.<br />
3. – Il divieto di vendita di lenti a contatto on line alla luce dei principi sulla libera<br />
circolazione delle merci<br />
Il secondo passaggio argomentativo della pronuncia Ker-Optika prende<br />
in esame l’aspetto della consegna: poiché le norme nazionali relative alle<br />
condizioni di consegna di una merce venduta via internet sul territorio di
412 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
uno Stato membro sono espressamente escluse dall’ambito di applicazione<br />
della direttiva 2000/31/CE ( 14 ), né risultano disciplinate da altra legislazione<br />
comunitaria specifica, la Corte rileva che tale aspetto rende necessaria la valutazione<br />
della normativa ungherese alla luce del diritto primario, ossia del<br />
TFUE.<br />
In particolare, secondo la Corte, il provvedimento deve essere esaminato,<br />
così come suggerito dal Giudice del rinvio, con riferimento ai principi<br />
sulla libera circolazione delle merci, e dunque alle norme di cui agli artt.<br />
34 e 36 del Trattato. La Corte non ritiene accoglibile la tesi del governo ungherese<br />
secondo cui l’attività di vendita delle lenti a contatto, configurando<br />
un “servizio sanitario” avente indissociabilmente ad oggetto la fornitura<br />
del prodotto e il servizio consulenza oftalmica a suo dire da essa inscindibile,<br />
avrebbe dovuto essere valutata con riferimento alla disposizione<br />
del Trattato relativa alla libertà di prestazione dei servizi (art. 56 TFUE, già<br />
art. 49 CE): avendo già escluso la connessione necessaria tra i due elementi,<br />
la Corte condivisibilmente valuta come secondario l’aspetto inerente<br />
al servizio e, anche per motivi di economia procedurale ( 15 ), ritiene<br />
pertanto di poterne omettere la considerazione nella valutazione giuridica<br />
del caso.<br />
La questione che si pone è dunque quella di valutare se la normativa ungherese<br />
rientri tra le “misure di effetto equivalente” a restrizioni quantitative<br />
all’importazione, vietate dall’art. 34 TFUE (già art. 28 CE), e, in caso positivo,<br />
se essa possa trovare valida giustificazione, ai sensi dell’art. 36 TFUE<br />
(già art. 30 CE), nell’esigenza di tutelare la salute dei consumatori.<br />
La Corte del Lussemburgo richiama in proposito i propri ormai consolidati<br />
principi giurisprudenziali sulla libera circolazione delle merci, ricordando<br />
che secondo la nota “formula Dassonville” coniata nel 1974, deve essere<br />
considerata come una misura d’effetto equivalente a restrizioni quan-<br />
( 14 ) È chiaro sul punto il dettato dell’art. 2, lett. h – ii), della direttiva 2000/31/CE, secondo<br />
cui “l’ambito regolamentato non comprende le norme su: (. . .) la consegna delle merci ”; si veda<br />
anche il considerando n. 21.<br />
( 15 ) A questo proposito, nella sentenza Ker-Optika la Corte richiama la propria giurisprudenza<br />
dalla quale risulta come, quando un provvedimento nazionale si ricollega sia alla libera<br />
circolazione delle merci sia ad un’altra libertà fondamentale, esso possa essere esaminato<br />
con riferimento ad una sola delle due libertà fondamentali qualora risulti che una delle due è<br />
affatto secondaria rispetto all’altra (cfr. sentenze 24 marzo 1994, causa C-275/92, Schindler, in<br />
Racc., 1994, p. I-1039; 26 maggio 2005, causa C-20/03, Burmanjer e a., in Racc., 2005, p. I-4133);<br />
da analoga prospettiva era stata esaminata la questione della vendita di medicinali via internet<br />
nella sentenza Deutscher Apothekerverband, cit.
OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 413<br />
titative all’importazione “ogni normativa commerciale degli Stati membri che<br />
possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi<br />
intracomunitari” ( 16 ).<br />
Nell’interpretare il significato dell’espressione “misure di effetto equivalente”,<br />
la giurisprudenza della Corte ha chiarito come l’elemento determinante<br />
al fine di verificare se una normativa nazionale ricada nel divieto di<br />
cui all’art. 34 TFUE non sia l’aspetto discriminatorio, bensì il suo effetto<br />
(tale da “... ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza gli<br />
scambi intracomunitari”). Non sono infatti soltanto i provvedimenti apertamente<br />
discriminatori, che prevedono un trattamento differenziato per le<br />
merci importate, a creare barriere agli scambi di prodotti tra gli Stati membri,<br />
ma anche quelli che pur applicandosi in egual modo sia alle merci nazionali<br />
che a quelle importate, di fatto gravano maggiormente sulle importazioni.<br />
Anche allorché una misura non abbia l’obiettivo di regolare gli scambi<br />
di merci tra gli Stati membri, ciò che è determinante è il suo effetto, attuale<br />
o potenziale, sul commercio intracomunitario: in applicazione di tale criterio,<br />
come stabilito nella fondamentale sentenza “Cassis de Dijon”, costituiscono<br />
misure di effetto equivalente, vietate dal Trattato, gli ostacoli alla libera<br />
circolazione delle merci derivanti, in mancanza di armonizzazione<br />
delle legislazioni, dall’assoggettamento di merci provenienti da altri Stati<br />
membri, in cui siano legalmente fabbricate e messe in commercio, a norme<br />
che dettino requisiti ai quali le merci stesse devono rispondere, anche qualora<br />
indistintamente applicabili a tutti i prodotti ( 17 ).<br />
Nella pronuncia Ker-Optika la Corte richiama quindi il principio succes-<br />
( 16 ) Tale definizione di misura di effetto equivalente è stata formulata nella nota sentenza<br />
11 luglio 1974, causa 8/74, Dassonville, in Racc., 1974, p. 837 (richiamata al punto 47 della sentenza<br />
Ker-Optika) e confermata dalla giurisprudenza successiva della Corte, con minime varianti.<br />
( 17 ) Sentenza del 20 febbraio 1979, causa 120/78, Rewe-Zentral, c.d. ‘Cassis de Dijon’, che,<br />
per ovviare all’onere derivante dal fatto che le merci importate dovessero ottemperare a due<br />
sistemi normativi, quello dello Stato membro di produzione e quello dallo Stato membro di<br />
importazione, ha sancito il principio del mutuo riconoscimento in materia economica, secondo<br />
cui, in assenza di una disciplina uniforme o armonizzata a livello comunitario, tutte le<br />
disposizioni nazionali devono ritenersi ugualmente rispettose della salute e delle esigenze<br />
del consumatore e dunque, in linea di principio, le merci legalmente prodotte e immesse nel<br />
mercato in uno Stato membro possono essere vendute liberamente anche in tutti gli altri Stati,<br />
senza sottostare a ulteriori controlli; restando consentiti i cd. ostacoli tecnici solo per il soddisfacimento<br />
di esigenze imperative. È il principio richiamato al punto 49 nella sentenza Ker-<br />
Optika.
414 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
sivamente sancito nelle cause riunite Keck e Mithouard ( 18 ), nelle quali, circa<br />
vent’anni dopo la sentenza Dassonville, si era ritenuto necessario porre<br />
alcune limitazioni al campo di applicazione del divieto di “misure di effetto<br />
equivalente” con riferimento alle norme nazionali che disciplinano condizioni<br />
e modalità della vendita dei prodotti: ribadito che, sulla base del principio<br />
“Cassis de Dijon”, costituiscono di per sé misure di effetto equivalente<br />
rientranti nel campo di applicazione dell’articolo 34 TFUE le norme che fissano<br />
i requisiti cui le merci devono rispondere, la Corte ha stabilito che le<br />
norme che disciplinano invece le modalità della loro commercializzazione<br />
rientrano del campo di applicazione della norma solo laddove sia dimostrato<br />
che esse introducono una discriminazione, di diritto o di fatto, in base all’origine<br />
del prodotto. Pertanto, alla luce della formula consacrata nella sentenza<br />
Keck e Mithouard e richiamata dalla Corte, l’assoggettamento di prodotti<br />
provenienti da altri Stati membri a normative nazionali che limitino o<br />
vietino talune modalità di vendita può ritenersi costituire ostacolo diretto o<br />
indiretto, in atto o in potenza, agli scambi commerciali tra gli Stati membri<br />
solo allorché tali normative non soddisfino i due requisiti dell’applicabilità<br />
delle disposizioni in esse contenute nei confronti di tutti gli operatori interessati<br />
che svolgono la propria attività sul territorio nazionale (universalità<br />
o assenza di discriminazione formale) e dell’incidenza di tali disposizioni in<br />
egual misura, oltre che sotto il profilo giuridico anche sotto quello sostanziale,<br />
sullo smercio dei prodotti nazionali e di quelli provenienti da altri Stati<br />
membri (neutralità o assenza di discriminazione sostanziale).<br />
Ove tali requisiti non siano soddisfatti, l’applicazione ai prodotti provenienti<br />
da un altro Stato di normative nazionali relative alla vendita costituisce<br />
elemento atto ad impedire l’accesso di tali prodotti al mercato o<br />
ad ostacolarlo in misura maggiore rispetto all’ostacolo rappresentato per<br />
i prodotti nazionali, ricadendo dunque nella sfera d’applicazione dell’art.<br />
34 del TFUE.<br />
Analizzando alla luce di tali principi giurisprudenziali la normativa ungherese<br />
sulla vendita delle lenti a contatto, la Corte del Lussemburgo rileva<br />
che essa, sebbene soddisfi il primo dei due richiamati requisiti di cui alla<br />
giurisprudenza Keck e Mithouard, applicandosi a tutti gli operatori che svolgano<br />
la propria attività sul territorio nazionale, tuttavia certamente non incide<br />
in egual misura sul piano sostanziale sul commercio dei prodotti provenienti<br />
da altri Stati membri.<br />
( 18 ) Sentenza 24 novembre 1993, cause riunite C-267/91 e C-268/91, Keck e Mithouard, in<br />
Racc., 1993, p. I-6097 (cui la Corte di giustizia fa richiamo al punto 51 della sentenza Ker-Optika).
OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 415<br />
Analogamente a quanto già aveva fatto nel 2003 in relazione alla vendita<br />
on line di prodotti medicinali non soggetti prescrizione medica ( 19 ), la<br />
Corte constata come il divieto di vendita via internet penalizzi infatti maggiormente<br />
gli operatori provenienti da altri Stati membri, privandoli di una<br />
modalità per essi particolarmente importante ed efficace di commercializzazione<br />
dei loro prodotti e così di fatto ostacolandone in modo considerevole<br />
l’accesso al mercato dello Stato membro interessato.<br />
Per tale ragione, il detto divieto costituisce una misura di effetto equivalente<br />
a una restrizione quantitativa, vietata dall’art. 34 del Trattato.<br />
4. – L’impossibilità di giustificare il divieto sulla base di esigenze di tutela della<br />
salute<br />
Alla luce dei quesiti posti dal Giudice del rinvio e delle difese del governo<br />
ungherese, la Corte di giustizia viene quindi chiamata a valutare se il<br />
provvedimento che dispone il divieto di vendita di lenti a contatto tramite<br />
internet, pur configurando una misura di effetto equivalente ad una restrizione<br />
quantitativa, possa risultare comunque legittimo in quanto giustificato<br />
da ragioni di interesse generale, e segnatamente da esigenze di tutela della<br />
salute pubblica, rilevanti ai sensi dell’art. 36 TFUE e richiamate altresì<br />
dell’art. 3, n. 4, della direttiva 2000/31 sull’e-commerce ( 20 ).<br />
Infatti, il governo ungherese sosteneva che l’ostacolo frapposto alla libera<br />
circolazione delle merci dalla misura nazionale recante il divieto di<br />
commercio a distanza delle lenti a contatto perseguisse, in modo necessario<br />
e proporzionato, un obiettivo di tutela della sanità pubblica: poiché le lenti<br />
a contatto sono dispositivi medici particolarmente invasivi, il cui impiego<br />
errato può comportare anche danni irreparabili alla vista, in ogni fase della<br />
loro fornitura (e dunque al momento della prescrizione, dell’acquisto, delle<br />
prove e della consegna finale) sarebbe impossibile prescindere dalla presenza<br />
fisica, presso i locali del venditore, del paziente, affinché questi possa<br />
fruire dell’assistenza di un professionista qualificato in grado di fornirgli<br />
consigli e informazioni.<br />
( 19 ) Nella sentenza Deutscher Apothekerverband, cit.<br />
( 20 ) Tale disposizione prevede che gli Stati membri possano adottare provvedimenti in<br />
deroga al divieto di limitare la circolazione dei servizi della società dell’informazione qualora<br />
essi siano “i) necessari” per una delle ragioni specificate, tra le quali rientrano quelle di “tutela<br />
della sanità pubblica”; “ii) relativi a un determinato servizio della società dell’informazione lesivo<br />
degli obiettivi di cui al punto i) o che costituisca un rischio serio e grave di pregiudizio a tali<br />
obiettivi” e “iii) proporzionati a tali obiettivi”.
416 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
A tale proposito, la giurisprudenza della Corte di giustizia ha costantemente<br />
rilevato che fra i beni e gli interessi tutelati dall’art. 36 del Trattato, la<br />
salute delle persone occupa una posizione preminente, precisando altresì<br />
che spetta agli Stati membri, nei limiti imposti dal Trattato, stabilire a quale<br />
livello essi intendano assicurarne la protezione e quali siano gli strumenti<br />
necessari ( 21 ).<br />
Nonostante tale margine di discrezionalità degli Stati membri nello stabilire<br />
il livello di tutela che intendono assicurare, la Corte ha tuttavia altresì<br />
da sempre sottolineato come qualsiasi provvedimento, per potersi ritenere<br />
giustificato, debba essere, da una parte, idoneo a garantire la realizzazione<br />
dell’obiettivo legittimo perseguito e, dall’altra, conforme al principio di proporzionalità,<br />
e dunque limitato a quanto effettivamente necessario al fine di<br />
raggiungere tale scopo e non eccedente rispetto quanto necessario per il<br />
suo raggiungimento.<br />
Elemento fondamentale nell’analisi della giustificazione fornita dallo<br />
Stato membro è quindi l’esistenza di misure alternative, che potrebbero<br />
ostacolare gli scambi in misura inferiore rispetto a quella adottata: in tali casi,<br />
per non incorrere in una violazione del principio di proporzionalità lo<br />
Stato avrebbe avuto infatti l’obbligo di optare per l’alternativa meno restrittiva.<br />
Resta, pertanto, escluso dalla deroga di cui all’art. 36 TFUE qualunque<br />
provvedimento nazionale al cui posto si sarebbero potuti adottare, con pari<br />
efficacia, divieti o limitazioni di minore pregiudizio per gli scambi all’interno<br />
dell’Unione.<br />
Spetta allo Stato, che invochi la sussistenza di una ragione giustificativa<br />
della misura restrittiva adottata, dimostrare, in concreto e sulla base di elementi<br />
circostanziati, l’esistenza dell’interesse generale, la necessità della restrizione<br />
e il suo carattere idoneo e proporzionato rispetto all’obiettivo perseguito.<br />
Su tali basi, in passato i giudici del Lussemburgo avevano ritenuto giustificata<br />
ai sensi dell’art. 36 del Trattato la normativa nazionale che riserva<br />
agli ottici titolari di diploma professionale la vendita di materiale ottico e<br />
lenti a contatto correttive, in quanto essa, pur configurando una misura re-<br />
( 21 ) La Corte cita a questo proposito (punto 58 della sentenza Ker-Optika), la sentenza del<br />
1° giugno 2010, cause riunite C-570/07 e C-571/07, José Manuel Blanco Pérez e María del Pilar<br />
Chao Gómez, che ha giudicato legittime le norme sulla c.d. “pianta organica”, che stabiliscono<br />
criteri geo-demografici per l’apertura delle farmacie, ritenendo che esse costituiscano una restrizione<br />
alla libertà di stabilimento giustificabile con il superiore interesse di tutela della salute,<br />
essendo finalizzate ad assicurare alla popolazione una fornitura di medicinali sicura e di<br />
qualità e risultando idonee e coerenti al rispetto di tale obiettivo.
OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 417<br />
strittiva atta ad incidere sugli scambi intracomunitari, persegue un obiettivo<br />
di tutela della salute con modalità idonee e non eccedenti rispetto a<br />
quanto necessario ( 22 ).<br />
Sulle stesse basi, nella sentenza Ker-Optika non viene invece ritenuta<br />
giustificabile la disciplina restrittiva sulle modalità di vendita adottata dallo<br />
Stato ungherese. Per quanto sia legittimo l’obiettivo di tutela della salute<br />
degli utilizzatori di lenti a contatto perseguito, e per quanto, riservando la<br />
consegna di lenti a contatto ai negozi di ottica che offrono i servizi di un professionista<br />
(optometrista od oftalmologo) qualificato – in grado di fornire<br />
informazioni e consulenza al cliente nella fase preventiva all’acquisto, di<br />
verificare il corretto adattamento delle lenti al momento della consegna<br />
nonché di fornire successive informazioni sull’uso corretto e la manutenzione<br />
delle stesse – la normativa di cui trattasi appaia secondo la Corte idonea<br />
a garantire tale obiettivo, essa non supera tuttavia il test di proporzionalità,<br />
risultando eccedente rispetto a quanto necessario al raggiungimento di<br />
esso.<br />
E, infatti, la Corte rileva come sicuramente siano configurabili misure<br />
comportanti una minore limitazione alla libera circolazione delle merci rispetto<br />
a quella adottata dall’Ungheria, ma ugualmente idonee a realizzare<br />
lo stesso obiettivo.<br />
Analizzando dettagliatamente le possibili misure attuabili con effetti<br />
meno restrittivi, la Corte evidenzia infatti, in primo luogo, che gli eventuali<br />
esami preventivi necessari per l’acquisto delle lenti ben possono essere effettuati<br />
dal cliente anche in un momento diverso dall’acquisto ed in una sede<br />
diversa dai negozi di ottica (ad esempio presso lo studio di un medico oftalmologo);<br />
i suddetti esami si impongono peraltro solo in occasione del<br />
primo acquisto, risultando invece superflui in relazione alle forniture successive.<br />
D’altra parte, anche in forza della stessa normativa ungherese non risultava<br />
che il cliente fosse obbligatoriamente tenuto a sottoporsi ad un esame<br />
o consulto preventivo ad ogni fornitura di lenti; la scelta di avvalersi<br />
della possibilità di effettuare esami ottici e di un consulto da parte del professionista<br />
qualificato a sua disposizione appariva rimessa alla responsabilità<br />
dell’utilizzatore di lenti a contatto. Il compito necessario dell’ottico<br />
nella fase preventiva all’acquisto appare dunque soltanto quello di mettere<br />
a disposizione del cliente le necessarie informazioni e consulenza, attiran-<br />
( 22 ) Sentenza del 25 maggio 1993, in causa C-271/92, Laboratoire de Protheses Oculaires, in<br />
Racc.,1993, p. I-2899, menzionata al punto 63 della sentenza Ker-Optika.
418 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
do la sua attenzione sugli eventuali rischi legati all’utilizzo di lenti a contatto<br />
e sull’opportunità se del caso di consultare un medico oftalmologo; e<br />
tali servizi ben possono, secondo la Corte, essere forniti in modo equivalente<br />
anche a distanza, con strumenti interattivi presenti sul sito internet<br />
del venditore e che il cliente debba necessariamente attivare prima di procedere<br />
all’acquisto.<br />
Quanto, in secondo luogo, alle verifiche sul corretto adattamento e posizionamento<br />
delle lenti da effettuarsi al momento della consegna, la Corte<br />
nuovamente rileva che la presenza fisica di un professionista qualificato potrebbe<br />
ritenersi necessaria solamente all’atto della prima consegna, e non<br />
più in relazione alle successive forniture di un dispositivo con le medesime<br />
caratteristiche ( 23 ).<br />
Quanto, infine, alle ulteriori informazioni e consigli relativi al corretto<br />
utilizzo ed alla manutenzione delle lenti che possano rendersi necessari<br />
nella fase successiva all’acquisto, la Corte evidenzia che anch’essi ben possono<br />
essere forniti al cliente tramite il sito internet del venditore, sia in termini<br />
generali che in forma personalizzata.<br />
La Corte osserva, anzi, come la fornitura a distanza di informazioni e<br />
consigli personalizzati da parte di un ottico qualificato – che nulla vieta che<br />
gli Stati membri impongano ai venditori di mettere obbligatoriamente a disposizione<br />
del cliente – possa altresì presentare una serie di vantaggi, consentendo<br />
all’utilizzatore di formulare le proprie domande in modo maggiormente<br />
specifico e ponderato e senza la necessità da parte sua di uno<br />
spostamento ( 24 ).<br />
E dunque, secondo i Giudici della Corte lussemburghese, l’obiettivo di<br />
garantire la tutela della salute degli utilizzatori di lenti a contatto può essere<br />
idoneamente raggiunto tramite misure meno restrittive di quelle risultanti<br />
dalla normativa ungherese esaminata; e, in particolare, sottoponendo<br />
a restrizioni solo la prima consegna di lenti e imponendo agli operatori economici<br />
di mettere a disposizione del cliente l’assistenza on line di un professionista<br />
qualificato.<br />
La normativa ungherese costituisce dunque un ostacolo alla libera cir-<br />
( 23 ) Peraltro, come rilevava l’avvocato generale, l’assistenza del professionista per l’adattamento<br />
delle lenti agli occhi del paziente appare necessaria solo con riferimento alla tipologia<br />
delle lenti a contatto dette “rigide”, mentre nessuna assistenza è di norma richiesta per le<br />
lenti “morbide”.<br />
( 24 ) Un’osservazione analoga era stata svolta con riferimento alla fornitura di informazioni<br />
e consulenza in relazione all’acquisto e all’impiego di farmaci di automedicazione nella<br />
sentenza Deutscher Apothekerverband, cit.
OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 419<br />
colazione delle merci non proporzionato rispetto a quanto necessario per il<br />
perseguimento dell’obiettivo di tutela della sanità pubblica invocato e, di<br />
conseguenza, non giustificabile.<br />
5. – I riflessi della pronuncia e lo sviluppo dell’e-commerce nell’U.E.<br />
Le conclusioni della Corte appaiono ampiamente condivisibili. L’attuale<br />
decisione risulta coerente con i precedenti nei quali i Giudici lussemburghesi<br />
si sono in passato occupati di commercio on line e dei rapporti di tale<br />
forma di distribuzione con le esigenze di tutela della salute del consumatore.<br />
In particolare, la sentenza Ker-Optica appare porsi in sostanziale linea di<br />
continuità con la pronuncia Deutscher Apothekerverband del 2003, con la<br />
quale la Corte di giustizia aveva tracciato il quadro generale di riferimento<br />
per la vendita a distanza di prodotti medicinali, stabilendo che, mentre può<br />
ritenersi giustificato un divieto nazionale di vendita per corrispondenza dei<br />
medicinali soggetti a prescrizione medica, posto che i rischi legati all’assunzione<br />
di tali farmaci esigono un controllo più rigoroso e difficilmente attuabile<br />
attraverso gli strumenti disponibili a distanza, per i medicinali non soggetti<br />
a prescrizione il divieto deve invece ritenersi inammissibile, in quanto<br />
non può essere esclusa la possibilità di fornire a distanza informazioni e<br />
consulenza adeguate, e l’acquisto via internet potrebbe presentare per i cittadini<br />
europei rilevanti vantaggi ( 25 ).<br />
La pronuncia della Corte nella causa Ker-Optica ha un immediato impatto<br />
sulle normative nazionali comportanti restrizioni sulle modalità di<br />
vendita delle lenti a contatto attualmente esistenti in diversi altri Stati<br />
membri ed anche del nostro Paese, nel quale la questione della legittimità<br />
della vendita on line di tale prodotto ha in passato suscitato discussioni e<br />
provocato scontri tra le associazioni di categoria degli ottici e gli operatori<br />
che ne avevano avviato la commercializzazione attraverso siti web. In termini<br />
analoghi alla normativa ungherese, il nostro D.M. 3 febbraio 2003, nel<br />
( 25 ) Allo stato attuale la vendita on line non risulta peraltro prevista dalla legislazione italiana,<br />
ed anzi il Codice deontologico del farmacista (approvato dal Consiglio Nazionale il 19<br />
giugno 2007), all’art. 34 dispone che: “non è consentita al farmacista la cessione, tramite Internet<br />
o altre reti informatiche, di medicinali, sia su prescrizione, sia senza obbligo di prescrizione,<br />
anche omeopatici, in conformità alle direttive della UE e delle linee guida dell’OMS, fatte salve le<br />
specifiche normative nazionali”. La normativa sul commercio dei farmaci on line è ancora poco<br />
anche sviluppata anche negli altri Stati europei; solo pochi di essi, come Inghilterra, Olanda<br />
e Germania, ammettono la possibilità d’esercizio on line alle farmacie e ne monitorano l’operato<br />
attraverso un regime di controlli.
420 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
riservare la vendita delle lenti a contatto correttive dei difetti visivi agli ottici<br />
qualificati (con eccezione solo per le lenti monouso giornaliere, che possono<br />
essere vendute nelle farmacie), prevede infatti che tale attività debba<br />
essere effettuata dall’ottico “direttamente o sotto il suo diretto controllo, negli<br />
esercizi commerciali di ottica” ( 26 ); se, come il riferimento espresso agli esercizi<br />
commerciali lascia supporre, tale decreto deve intendersi come diretto ad<br />
escludere che la vendita di lenti a contatto possa avvenire al di fuori del negozio<br />
dell’ottico e dunque a vietare il commercio on line di tale prodotto ( 27 ), alla<br />
luce di quanto oggi stabilito dalla Corte anch’esso si pone certamente in<br />
contrasto con la normativa comunitaria.<br />
La pronuncia fornisce inoltre indicazioni anche in relazione alla vendita<br />
on line di altri dispositivi medici e, in generale, di altri prodotti per i quali<br />
si presentino analoghe esigenze di consulenza al consumatore, ponendo le<br />
basi di nuovi passi in avanti nell’evoluzione del sistema distributivo europeo.<br />
La decisione della Corte appare in linea con il progresso delle tecnologie<br />
dell’informazione e della comunicazione e con l’obiettivo, da sempre<br />
perseguito dagli organi dell’Unione Europea, di valorizzare e promuovere il<br />
commercio elettronico, riconosciuto quale strumento essenziale per favorire<br />
le transazioni internazionali e la crescita delle imprese, rendere accessibile<br />
ai cittadini europei una più vasta gamma di prodotti, incentivare la concorrenza<br />
e l’innovazione.<br />
A tale fine l’Unione appare attivamente impegnata, sia attraverso le nor-<br />
( 26 ) D.M. 3 febbraio 2003, Guida al corretto utilizzo delle lenti a contatto, avvertenze, precauzioni<br />
e rischi collegati all’uso (pubblicato nella G.U. n. 64 del 18 marzo 2003), emesso ai<br />
sensi dell’art. 20 del d. lgs. n. 24 febbraio 1997, n. 46, di attuazione della direttiva 93/42/CEE,<br />
concernente i dispositivi medici; l’art. 1, prevede che: “1. La vendita diretta al pubblico di lenti<br />
a contatto su misura, correttive dei difetti visivi, ivi comprese quelle prodotte industrialmente, è,<br />
per motivi di interesse sanitario e di tutela della salute, riservata agli esercenti l’arte sanitaria ausiliaria<br />
di ottico. La vendita deve essere effettuata dall’esercente l’arte sanitaria ausiliaria di ottico<br />
direttamente o sotto il suo diretto controllo negli esercizi commerciali di ottica. 2. Le lenti a contatto<br />
monouso giornaliere, correttive dei difetti visivi, prodotte industrialmente, che non necessitano<br />
di manutenzione possono essere vendute altresì nelle farmacie dal farmacista o dal personale<br />
sotto il suo diretto controllo ...”.<br />
( 27 ) In tal senso si era espresso il Ministero della Salute che, chiamato a pronunciarsi su<br />
un esposto presentato da Federottica relativo a un sito web ove veniva effettuata vendita on line<br />
di lenti a contatto, con nota ministeriale del 25 giugno 2009, chiariva che “ai sensi del D.M.<br />
3 febbraio 2003, la vendita di lenti a contatto, siano esse su misura o prodotte industrialmente, è<br />
riservata all’esercente l’arte sanitaria ausiliaria di ottico e deve essere effettuata dallo stesso direttamente<br />
o sotto il suo diretto controllo” e come, pertanto, “la vendita on line di lenti a contatto<br />
non sia conforme alla vigente normativa”.
OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 421<br />
mative settoriali ( 28 )che attraverso la modernizzazione ed implementazione<br />
della disciplina generale dell’e-commerce, nel mettere in atto le misure<br />
necessarie ad eliminare le barriere che ancora ostacolano gli acquisti on line<br />
e superare i non trascurabili problemi che si pongono in materia di garanzia<br />
della qualità dei prodotti e di sicurezza delle transazioni, al fine di aumentare<br />
il grado di trasparenza di tale mercato e rafforzare la fiducia delle imprese<br />
e dei privati.<br />
Anche in tale ottica, a dieci anni dall’entrata in vigore della direttiva<br />
2000/31/CE, la Commissione europea ha recentemente avviato una consultazione<br />
pubblica sul futuro del commercio elettronico nel mercato interno e<br />
sull’attuazione della direttiva, al fine di analizzare le cause della ancora limitata<br />
diffusione del commercio elettronico al dettaglio – che, seppure in crescita,<br />
a tutt’oggi rappresenta una minima percentuale del commercio all’interno<br />
dell’UE – nonché di esaminare i risultati applicativi della direttiva ( 29 ),<br />
nella prospettiva quindi di modificarla ed implementarla in modo da adeguarne<br />
i contenuti all’evoluzione giuridica, tecnica ed economica.<br />
A tale fine, privati, associazioni, imprese del settore, professionisti ed<br />
enti pubblici interessati sono stati chiamati a fornire, attraverso la compilazione<br />
di un apposito questionario ( 30 ), i propri commenti ed esperienze in<br />
( 28 ) In quest’ottica ad esempio si pone la recente Risoluzione legislativa del Parlamento<br />
europeo del 16 febbraio 2011 sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio<br />
che modifica la direttiva 2001/83/CE per quanto concerne la prevenzione dell’ingresso<br />
nella filiera farmaceutica legale di medicinali falsificati sotto i profili dell’identità, della storia<br />
o dell’origine, con la quale, quasi all’unanimità, il Parlamento europeo ha approvato il testo<br />
della direttiva che stabilirà nuove regole di sicurezza per i prodotti medicinali, finalizzate in<br />
particolare a contrastare il fenomeno della contraffazione, e nel contempo, fatte salve le legislazioni<br />
nazionali che vietano la vendita a distanza di medicinali soggetti a prescrizione medica,<br />
regolamenterà altresì la vendita di farmaci via internet, prevedendo tra l’altro l’istituzione<br />
di siti web nazionali riportanti l’elenco delle farmacie on line autorizzate e l’adozione di un apposito<br />
logo atto ad identificarle.<br />
( 29 ) Come previsto dall’art. 21 della stessa direttiva 2000/31/CE, nonché dal programma<br />
di cui alla Comunicazione alla Commissione, al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato<br />
economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, COM/2010/0245, Un’agenda<br />
digitale europea, che, tra i molteplici obiettivi per un migliore utilizzo delle tecnologie dell’informazione<br />
e della comunicazione, si propone di promuovere il commercio elettronico,<br />
attraverso azioni atte a semplificare le transazioni on line e transfrontaliere e migliorare la fiducia<br />
in internet e la sicurezza on line, indicando, tra le numerose azioni previste, anche quella<br />
di “valutare, entro la fine del 2010, l’impatto della direttiva sul commercio elettronico sui mercati<br />
online e avanzare proposte concrete”.<br />
( 30 )Reso disponibile sul sito: http://ec.europa.eu/internal_market/consultations/2010/ecommerce_en.htm.
422 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
relazione ai punti più problematici dell’applicazione della direttiva negli<br />
Stati membri ( 31 ).<br />
I contributi ricevuti attraverso tale consultazione ( 32 ), unitamente alle<br />
informazioni già raccolte dalla Commissione, in particolare grazie ai due<br />
studi sull’impatto della direttiva 2000/31/CE da essa commissionati nel<br />
2007 ( 33 ), ed alle ulteriori indicazioni fornite dagli Stati membri e dal Parlamento<br />
europeo, costituiranno la base per l’adozione, prevista entro il primo<br />
semestre del 2011, di una comunicazione della Commissione sul commercio<br />
elettronico, contenente l’esposizione dei risultati dell’analisi svolta e dei<br />
successivi passi alla luce di essa da intraprendersi per la revisione ed implementazione<br />
dell’attuale disciplina comunitaria in materia.<br />
Maria Giovanna Fanelli<br />
( 31 ) Oggetto della consultazione sono stati, in particolare, i seguenti argomenti: il livello<br />
di sviluppo, sia nazionale che transfrontaliero, dei servizi della società dell’informazione; le<br />
politiche statuali e le restrizioni relative alle vendite transfrontaliere on line; le comunicazioni<br />
commerciali transfrontaliere on line, in particolare per le professioni regolamentate; lo sviluppo<br />
della stampa on line; l’interpretazione delle disposizioni relative alla responsabilità dei<br />
prestatori di servizi intermediari della società dell’informazione; lo sviluppo della fornitura di<br />
servizi farmaceutici on line e la risoluzione delle controversie on line.<br />
( 32 ) I cui risultati non sono ad oggi ancora stati pubblicati; la consultazione, aperta il 10<br />
agosto 2010, è terminata il 5 novembre 2010 (a seguito della proroga del termine originariamente<br />
previsto del 15 ottobre 2010).<br />
( 33 ) Study on the Economic Impact of the Electronic Commerce Directive e Study on the Liability<br />
of Internet Intermediaries, disponibili sul sito http://ec.europa.eu/internal_market/e-commerce/directive_en.htm#consultation.
Competenza giurisdizionale: le proposte della Commissione europea<br />
1. – Il Regolamento CE n. 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000<br />
La Commissione europea ha recentemente proposto ( 1 ) di attuare delle<br />
modifiche al Regolamento n. 44/2001/CE ( 2 ) (meglio noto come Regolamento<br />
Bruxelles I) ( 3 ).<br />
Tale Regolamento individua il giudice competente a risolvere le controversie<br />
transfrontaliere in materia civile e commerciale e semplifica il riconoscimento<br />
e l’esecuzione in tutti gli Stati membri dell’Unione Europea<br />
delle decisioni ( 4 ) prese in un altro paese europeo.<br />
Esso si applica ad una vasta serie di materie, estendendosi la sua portata<br />
non solo alla responsabilità contrattuale, ma anche a quella extracontrattuale<br />
e patrimoniale. Sono escluse, però, dal suo campo di applicazione lo<br />
stato e la capacità delle persone fisiche, i regimi matrimoniali, i testamenti,<br />
le successioni, le procedure concorsuali, la sicurezza sociale, la materia fiscale,<br />
doganale ed amministrativa e l’arbitrato.<br />
Il regolamento sostituisce la convenzione di Bruxelles del 1968 ( 5 ), con-<br />
( 1 ) Gli estremi della proposta sono: COM/2010/748 def. del 14 dicembre 2010 (Proposal<br />
for a Regulation of the European Parliament and of the Council on jurisdiction and the recognition<br />
and enforcement of judgments in civil and commercial matters, trad. in Proposta di Regolamento<br />
del Parlamento Europeo e del Consiglio concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento<br />
e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale), reperibile al sito web:<br />
http://ec.europa.eu/justice/policies/civil/docs/com_2010_748_en.pdf; in italiano, il testo della<br />
proposta è disponibile sul sito web: http://www.parlamento.it/web/docuorc2004.nsf/a4f26d6d<br />
511195f0c12576900058cac9/5dd102ff4c931152c12578010061407a/$FILE/COM2010_0748_IT_2.<br />
pdf.<br />
( 2 ) Il regolamento del Consiglio del 22 dicembre 2001, concernente la competenza giurisdizionale,<br />
il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, è<br />
entrato in vigore nel marzo 2002.<br />
( 3 ) Lombardi, Prime riflessioni sul Regolamento (CE) n. 44/2001 concernente la competenza<br />
giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale,<br />
in questa rivista, 2001, I, p. 535.<br />
( 4 ) Qualsiasi decisione, comunque denominata, emessa da un giudice (quali, ad es., sentenze,<br />
ordinanze, decreti, mandati di esecuzione, nonché le determinazioni delle spese giudiziali<br />
da parte del cancelliere).<br />
( 5 )Per approfondimenti, si veda: Lombardi, Brevi note sulla più recente giurisprudenza comunitaria<br />
relativa alla convenzione di Bruxelles del 1968: il caso Réunion européenne e il caso<br />
Van Uden, in questa rivista,1999, p. 455 ss.; Id., Brevi note sulla più recente giurisprudenza comunitaria<br />
relativa alla convenzione di Bruxelles del 1968: il caso Trasporti Castelletti e il caso<br />
Leathertex, ivi, 1999, p. 945; Id., Brevi note sulla più recente giurisprudenza comunitaria relativa
424 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
clusa tra gli allora dieci Stati membri e in seguito modificata per tener conto<br />
dei successivi allargamenti dell’Unione, salvo per quanto riguarda i territori<br />
degli Stati membri che rientrano nel campo di applicazione territoriale di<br />
tale convenzione e che sono esclusi dal regolamento ai sensi dell’articolo<br />
299 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Il regolamento<br />
elenca inoltre una serie di altre convenzioni, trattati e accordi conclusi<br />
tra gli Stati membri, ai quali esso si sostituisce.<br />
A. Competenza giurisdizionale<br />
Il Regolamento n. 44/2001/CE individua tre tipi di competenze: il foro<br />
“generale”, secondo il quale è competente il giudice del domicilio del convenuto;<br />
i fori “speciali”, alternativi a quello generale e fondati su criteri ratione<br />
materiae; i fori “esclusivi”, in deroga al foro generale e validi indipendentemente<br />
dal domicilio del convenuto che, a differenza del foro “generale”<br />
e di quelli “speciali”, sono sempre inderogabili.<br />
Il principio fondamentale è quello secondo cui la competenza spetta al<br />
giudice dello Stato membro in cui è domiciliato il convenuto, indipendentemente<br />
dalla cittadinanza di quest’ultimo. Il domicilio viene determinato<br />
a norma della legge dello Stato membro cui appartiene il giudice adito ( 6 ).<br />
Qualora una parte non sia domiciliata nello Stato membro il cui giudice è<br />
adito, quest’ultimo dovrà applicare la legge di un altro Stato membro per<br />
stabilire se essa ha in quel luogo il proprio domicilio ( 7 ). Per le persone giuridiche<br />
o le società il domicilio è determinato dalla sede legale, dall’amministrazione<br />
centrale o dal centro di attività principale.<br />
Il principio sulla competenza sopra citato (ossia il domicilio del convenuto)<br />
può essere derogato nell’ambito delle competenze elencate dal regolamento:<br />
le competenze speciali ( 8 ) o esclusive.<br />
alla convenzione di Bruxelles del 1968: il caso Dansommer e il caso Group Josi, ivi, 2000, p. 863;<br />
Id., Brevi note sulla più recente giurisprudenza comunitaria relativa alla convenzione di Bruxelles<br />
del 1968: il caso Besix, ivi, 2002, p. 640; Id., Brevi note sulla più recente giurisprudenza comunitaria<br />
relativa alla convenzione di Bruxelles del 1968: il caso Tacconi, ivi, 2002, p. 1259; Id., Brevi<br />
note sulla più recente giurisprudenza comunitaria relativa alla convenzione di Bruxelles del<br />
1968: il caso Gantner, ivi, 2003, p. 1309.<br />
( 6 ) Art. 2.<br />
( 7 ) Art. 4.<br />
( 8 ) Quali, ad esempio, le materie contrattuali (in generale, davanti al giudice del luogo in<br />
cui l’obbligazione è stata o deve essere eseguita), le obbligazioni alimentari (in generale, davanti<br />
al giudice del luogo in cui il creditore di alimenti ha il domicilio), gli illeciti (davanti al<br />
giudice del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto).
OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 425<br />
Competenze speciali sono inoltre previste in materia di assicurazioni,<br />
per i contratti conclusi dai consumatori ( 9 ) e per i contratti individuali di lavoro.<br />
In materia di contratti assicurativi ( 10 ), l’assicuratore domiciliato in uno<br />
Stato membro, oltre a poter essere convenuto nello Stato in cui egli stesso è<br />
domiciliato, qualora l’azione sia proposta dal contraente la polizza, dall’assicurato<br />
o dal beneficiario, potrebbe anche essere citato avanti ai Giudici<br />
dello Stato membro in cui quest’ultimo è domiciliato (forum actoris). Inoltre,<br />
in caso di assicurazione per la responsabilità civile o per rischi relativi<br />
agli immobili, potrebbe essere convenuto nel luogo in cui si è verificato l’evento<br />
dannoso.<br />
Nel caso di contratto concluso da un consumatore ( 11 ), è prevista una<br />
tutela rafforzata se il contratto di vendita di beni mobili materiali sia finanziato<br />
a rate o attraverso un prestito con rimborso rateizzato o tramite<br />
un’altra operazione di credito ( 12 ). In tutti gli altri casi, la protezione è garantita<br />
al consumatore soltanto se “il contratto sia stato concluso con una<br />
persona le cui attività commerciali o professionali si svolgano nello Stato<br />
membro in cui è domiciliato il consumatore o sono dirette, con qualsiasi<br />
mezzo, verso tale Stato membro purché il contratto rientri nell’ambito di<br />
dette attività” ( 13 ). L’azione del consumatore può essere proposta o davanti<br />
ai giudici dello Stato membro nel cui territorio è domiciliato il convenuto<br />
o davanti ai giudici del luogo in cui è domiciliato il consumatore<br />
(l’attore). L’azione proposta dal professionista potrà essere proposta solo<br />
davanti ai giudici dello Stato membro nel cui territorio è domiciliato il<br />
consumatore.<br />
In materia di contratti individuali di lavoro, un lavoratore può citare il<br />
suo datore di lavoro davanti ai giudici dello Stato membro in cui quest’ultimo<br />
è domiciliato oppure davanti al giudice dello Stato membro in cui il lavoratore<br />
svolge abitualmente la propria attività o a quello dell’ultimo luogo<br />
( 9 ) Ragno, Il foro del consumatore: dalla Convenzione di Bruxelles del 1968 al Regolamento<br />
CE n. 44/2001, in questa rivista, 2009, p. 230.<br />
( 10 ) Art. 9.<br />
( 11 ) Il contratto dev’essere stipulato da un consumatore con un professionista per un uso<br />
estraneo alla sua attività professionale.<br />
( 12 ) Il regolamento riguarda tutti i contratti conclusi dai consumatori con persone le cui<br />
attività commerciali o professionali si svolgono sul territorio dell’UE, tranne i contratti di trasporto<br />
che non prevedono prestazioni combinate di trasporto e di alloggio per un prezzo globale.<br />
( 13 ) Art. 15, lett. c).
426 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
in cui la svolgeva abitualmente. Qualora il lavoratore non svolga o non abbia<br />
svolto abitualmente la propria attività in un solo paese, è competente il<br />
giudice del luogo in cui è situata la sede d’attività presso la quale è stato assunto.<br />
“. . . Un datore di lavoro che non sia domiciliato in uno Stato membro<br />
ma possieda una succursale, un’agenzia o qualsiasi altra sede d’attività<br />
in uno Stato membro è considerato, per le controversie relative al loro esercizio,<br />
come avente domicilio nel territorio di quest’ultimo Stato” ( 14 ). L’azione<br />
del datore di lavoro può essere proposta solo davanti ai giudici dello<br />
Stato membro nel cui territorio il lavoratore è domiciliato, salvo domanda<br />
riconvenzionale ( 15 ).<br />
Il regolamento prevede alcune competenze esclusive dei giudici indipendentemente<br />
dal domicilio, in materia di diritti reali immobiliari e di<br />
contratti d’affitto di immobili ( 16 ), in materia di validità, nullità o scioglimento<br />
delle società o persone giuridiche o riguardo alla validità delle decisioni<br />
dei rispettivi organi ( 17 ), in materia di validità delle iscrizioni nei pubblici<br />
registri ( 18 ), in materia di registrazione o di validità di brevetti, marchi,<br />
disegni e modelli e di altri diritti analoghi ( 19 ), in materia di esecuzione delle<br />
decisioni ( 20 ).<br />
Qualora le parti, di cui almeno una domiciliata nell’UE, abbiano concluso<br />
una convenzione che definisca il foro competente in caso di controversie,<br />
la competenza spetta ai giudici scelti dalle parti. Per tali convenzioni<br />
attributive di competenze, il regolamento prevede alcune formalità: esse<br />
devono essere concluse per iscritto o in una forma ammessa dalle pratiche<br />
che le parti hanno stabilito tra di loro o, nel commercio internazionale, in<br />
una forma ammessa da un uso che le parti conoscevano.<br />
Ulteriori norme sono previste in materia di pluralità di convenuti, di<br />
chiamata in garanzia o altra chiamata di terzo, di domanda riconvenzionale,<br />
nonché di azione contrattuale riunita con un’azione in materia di diritti reali<br />
immobiliari.<br />
( 14 ) Art. 18.<br />
( 15 ) Art. 20.<br />
( 16 ) Saranno competenti i giudici dello Stato membro in cui l’immobile è situato.<br />
( 17 )Saranno competenti i giudici dello Stato membro in cui ha sede la persona giuridica.<br />
( 18 ) Saranno competenti i giudici dello Stato membro nel cui territorio i registri sono tenuti.<br />
( 19 ) Saranno competenti i giudici dello Stato membro nel cui territorio il deposito o la registrazione<br />
sono stati richiesti o sono stati effettuati a norma di un atto normativo comunitario<br />
o di una convenzione internazionale.<br />
( 20 ) Saranno competenti i giudici dello Stato membro nel cui territorio si trova il luogo<br />
dell’esecuzione.
OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 427<br />
Il regolamento contiene altresì un regime di rilevabilità dell’incompetenza<br />
ed una disciplina della litispendenza e della connessione.<br />
B. Riconoscimento ed esecuzione delle decisioni e procedimento di exequatur.<br />
La norme in materia di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni<br />
rappresentano una delle maggiori modifiche alla Convenzione di Bruxelles<br />
del 1968.<br />
Ai sensi dell’art. 33, le decisioni emesse in uno Stato membro sono riconosciute<br />
negli altri paesi ( 21 ) senza la necessità di attivare alcun procedimento<br />
ulteriore ( 22 ); ovviamente, ciò non avviene in caso di contestazione.<br />
Inoltre, non è previsto il riconoscimento: se quest’ultimo è manifestamente<br />
contrario all’ordine pubblico dello Stato membro in cui è stato richiesto;<br />
nel caso in cui la domanda giudiziale o altro atto equivalente non<br />
sia stato notificato o comunicato al contumace in tempo utile ed in modo<br />
tale da consentirgli di presentare le proprie difese eccetto quando, pur avendone<br />
avuto la possibilità, egli non abbia impugnato la decisione; quando è<br />
in contrasto con una decisione emessa tra le medesime parti nello Stato<br />
membro richiesto e se è in contrasto con una decisione emessa precedentemente<br />
tra le medesime parti in uno Stato membro o in un paese terzo, relativamente<br />
ad una controversia avente il medesimo oggetto e il medesimo titolo<br />
( 23 ), allorché tale decisione presenti le condizioni necessarie per essere<br />
riconosciuta nello Stato membro richiesto.<br />
Si ricorda, però, come vi sia un’ulteriore eccezione al riconoscimento:<br />
nel caso in cui le decisioni siano state emesse violando disposizioni del Regolamento<br />
sulle competenze in materia di assicurazioni, per i contratti conclusi<br />
da consumatori e sulle competenze esclusive previste dall’art. 22.<br />
Il giudice di uno Stato membro può sospendere il procedimento se una<br />
decisione emessa in un altro Stato membro è stata impugnata ( 24 ).<br />
Il regolamento CE n. 44/2001 prevede che le decisioni emesse in uno<br />
Stato membro siano riconosciute negli altri Stati membri attraverso l’exe-<br />
( 21 ) La decisione straniera non può formare oggetto di un riesame del merito.<br />
( 22 ) Carbone, Giurisdizione ed efficacia delle decisioni in materia civile e commerciale nello<br />
spazio giudiziario europeo: dalla Convenzione di Bruxelles al regolamento (CE) n. 44/2001, in<br />
Carbone, Frigo e Fumagalli (a cura di), Diritto processuale civile e commerciale comunitario,<br />
Milano, 2004, p. 1; Pocar, La convenzione di Bruxelles sulla giurisdizione e l’esecuzione delle<br />
sentenze,3 a ed., Milano, 1995.<br />
( 23 ) Art. 34.<br />
( 24 ) Art. 37.
428 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
quatur, un procedimento mediante il quale il giudice di un Paese membro<br />
dell’UE autorizza l’esecuzione nel proprio Stato di una decisione giudiziaria,<br />
di una sentenza arbitrale, di un atto pubblico o di una transazione giudiziaria<br />
pronunciati o emessi in altro Stato membro.<br />
Le decisioni vengono eseguite in un altro Stato membro dopo essere<br />
state ivi dichiarate esecutive su istanza della parte interessata ( 25 ). Le parti<br />
possono proporre ricorso contro la decisione relativa all’istanza intesa ad<br />
ottenere una dichiarazione di esecutività ( 26 ) nel termine di un mese dalla<br />
notificazione della citata dichiarazione.<br />
La dichiarazione di esecutività deve essere rilasciata a seguito di un controllo<br />
meramente formale dei documenti prodotti, senza che il Giudice<br />
possa rilevare d’ufficio i motivi di diniego dell’esecuzione indicati nel regolamento:<br />
la decisione è, infatti, dichiarata esecutiva immediatamente dopo<br />
che la parte interessata ha prodotto una copia della decisione che presenti<br />
tutte le condizioni di autenticità ed un attestato debitamente compilato ( 27 ).<br />
Attualmente l’exequatur ha tempi e costi molto elevati (per onorari di<br />
avvocati, spese di traduzione e spese giudiziarie), che spesso scoraggiano i<br />
cittadini e le imprese dall’operare al di fuori del proprio Paese di origine e<br />
costituiscono un vero e proprio ostacolo agli scambi transfrontalieri.<br />
2. – La proposta della Commissione ( 28 )<br />
Nonostante un giudizio generalmente positivo in ordine al funzionamento<br />
del regolamento, a seguito di studi giuridici e di consultazioni sono<br />
emerse sostanzialmente quattro criticità: 1. l’attuale regolamento si applica<br />
solo quando il convenuto è domiciliato nel territorio dell’UE, mentre negli<br />
altri casi la competenza è disciplinata dal diritto nazionale. La diversità delle<br />
legislazioni nazionali comporta un accesso ineguale alla giustizia per le<br />
imprese dell’UE che operano con partners di paesi terzi e una conseguente<br />
disparità di trattamento; 2. gli accordi di scelta del foro sono allo stato inefficaci,<br />
dovendo il giudice sospendere il procedimento se in precedenza è<br />
stato adito un altro giudice. Tale procedura consente, però, alla parte in ma-<br />
( 25 ) Art. 38.<br />
( 26 ) Art. 43.<br />
( 27 ) Art. 41.<br />
( 28 )Per i primi commenti in lingua inglese, si veda: http://plc.practicallaw.com/0-504-5668;<br />
http://www.herbertsmith.com/NR/rdonlyres/20A52164-3A86-4740-BD45-15A4 D38B24F7/0/CommissionproposalDecember2010.htm;<br />
http://europa.eu/rapid/press ReleasesAction.doreference= IP /10/<br />
1705&format=HTML&aged=0&language=EN&guiLanguage=fr.
OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 429<br />
la fede di ritardare la risoluzione della controversia dinanzi al giudice prescelto,<br />
adendo previamente un giudice privo di competenza; 3. la procedura<br />
relativa al riconoscimento e all’esecuzione di una decisione in un altro<br />
Stato membro costituisce ancora un ostacolo per la libera circolazione delle<br />
decisioni ( 29 ); 4. è difficile il coordinamento tra l’arbitrato (che attualmente<br />
non rientra nel campo di applicazione del regolamento Bruxelles I) ed il<br />
procedimento giudiziario, in quanto, contestando la convenzione arbitrale<br />
dinanzi a un giudice, una parte può instaurare un procedimento giudiziario<br />
parallelo.<br />
In sintesi, la Commissione si propone: di estendere alle controversie<br />
con convenuti di paesi terzi le norme del regolamento sulla competenza,<br />
incluse quelle che disciplinano i casi in cui la stessa questione è pendente<br />
dinanzi a un giudice dell’UE e a un giudice di un paese terzo (cfr. artt. 3 e 4);<br />
rafforzare l’efficacia degli accordi di scelta del foro (cfr. art. 23); abolire la<br />
procedura intermedia per il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni<br />
(exequatur) in materia civile e commerciale pronunciate da un giudice di<br />
uno Stato membro, rendendole immediatamente esecutive in tutta l’UE,<br />
ad eccezione delle decisioni relative a casi di diffamazione e di ricorso collettivo<br />
( 30 ) (cfr. capo III – artt. da 37 a 69); migliorare il rapporto tra regolamento<br />
ed arbitrato (cfr. art. 29 par. 4 e 33 par. 3); migliorare il coordinamento<br />
dei procedimenti dinanzi ai giudici degli Stati membri; migliorare l’accesso<br />
alla giustizia per determinate controversie specifiche; chiarire le condizioni<br />
per la circolazione nell’UE dei provvedimenti provvisori e cautelari<br />
(cfr. artt. 26, 31, sez. 11, artt. 35 e 36) ( 31 ).<br />
A. Competenza<br />
In ordine al primo proposito la Commissione intende estendere le<br />
norme del regolamento sulla competenza ai convenuti di paesi terzi (art.<br />
4, par. 2); tale modifica consentirà in generale alle imprese e ai cittadini di<br />
( 29 )Tale obiettivo emerge in particolare dal 9° e dal 23° considerando.<br />
( 30 ) La Commissione propone di riconoscere al giudice il potere di interrompere l’esecuzione<br />
della decisione solo in circostanze eccezionali (come ad esempio nei casi in cui il giudice<br />
estero ha emesso la decisione in violazione del diritto a un processo equo).<br />
( 31 )Per i primi commenti, si veda, sul sito della Società italiana di diritto internazionale<br />
http://www.sidi-isil.org, Forum, Franzina, La garanzia dell’osservanza delle regole sulla competenza<br />
giurisdizionale nella proposta di revisione del regolamento “Bruxelles I”, Leandro, La<br />
proposta per la riforma del regolamento “Bruxelles I” e l’arbitrato e Marongiu Buonaiuti, Litispendenza<br />
e connessione nella proposta di revisione del regolamento n. 44/2001.
430 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
citare in giudizio nell’UE soggetti di paesi terzi, in quanto in tali casi sarà<br />
applicabile la norma speciale sulla competenza che, ad esempio, stabilisce<br />
la competenza del giudice dello Stato in cui deve essere eseguito il<br />
contratto (art. 5, par. 1). Più specificatamente, grazie alla modifica, le norme<br />
sulla competenza che tutelano i consumatori ( cfr. sez. 4, artt. da 15 a<br />
17), i lavoratori dipendenti (cfr. sez. 5, artt. da 18 a 21) e gli assicurati ( cfr.<br />
sez. 3, artt. da 8 a 14) saranno applicabili anche quando il convenuto risulti<br />
domiciliato al di fuori dell’UE. La proposta intende anche rafforzare la<br />
tutela dei consumatori nelle controversie in cui il convenuto ha sede in<br />
un Paese terzo. Attualmente, infatti, le norme nazionali sulla competenza<br />
del giudice, nei casi in cui il convenuto risieda in un Paese terzo, variano<br />
molto da Stato a Stato. La proposta mira a fissare una regola unica per<br />
tutti i Paesi europei, volta ad attribuire la competenza al giudice del luogo<br />
del domicilio del convenuto. Pertanto, nei rapporti tra consumatori residenti<br />
nell’UE e imprese registrate in Paesi terzi, sarà sempre competente<br />
il giudice del luogo in cui il consumatore ha il domicilio, anche qualora il<br />
convenuto avesse sede in un Paese terzo. Inoltre, la stessa istituisce due<br />
fori supplementari per le controversie con convenuti domiciliati al di fuori<br />
dell’UE: il luogo in cui si trovano i beni mobili del convenuto (cfr. art.<br />
25), purché il loro valore non sia sproporzionato al valore della pretesa e<br />
la controversia abbia un collegamento sufficiente con lo Stato membro<br />
del giudice adito e nel caso in cui si verifichi l’ipotesi che non sia competente<br />
nessun altro foro che garantisca il diritto a un giudice imparziale e la<br />
controversia abbia un collegamento sufficiente con lo Stato membro interessato<br />
(“forum necessitatis”) (cfr. art. 26). Inoltre, la proposta mira ad<br />
introdurre una norma facoltativa sulla litispendenza per le controversie<br />
tra le stesse parti, aventi il medesimo oggetto e pendenti nell’UE e in un<br />
paese terzo. Il giudice di uno Stato membro potrà, in via eccezionale, sospendere<br />
il procedimento se risulti che in precedenza era stato adito un<br />
giudice di un paese terzo la cui decisione è prevista entro un termine ragionevole<br />
e potrà essere riconosciuta ed eseguita in quello Stato membro.<br />
La proposta di estendere alle controversie con convenuti di paesi terzi le<br />
norme del regolamento sulla competenza mira ad armonizzazione le diverse<br />
normative nazionali, introducendo una competenza sussidiaria che garantisca<br />
ai cittadini e alle imprese l’accesso a un giudice nell’Unione in condizioni<br />
di parità e ad uniformare le condizioni per le imprese nel mercato<br />
interno. Le norme armonizzate compenserebbero, nelle intenzioni del legislatore<br />
europeo, la soppressione delle norme nazionali vigenti: il foro del<br />
luogo in cui si trovano i beni compenserebbe l’assenza del convenuto nel-
OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 431<br />
l’Unione ( 32 ); il forum necessitatis garantirebbe, invece, il diritto degli attori<br />
dell’UE a un giudice imparziale ( 33 ). La proposta relativa ai casi di litispendenza,<br />
poi, intende evitare procedimenti paralleli all’interno e all’esterno<br />
dell’Unione Europea.<br />
B. Accordi di scelta del foro<br />
La proposta contiene, poi, due importanti modifiche dirette a migliorare<br />
l’efficacia degli accordi di scelta del foro (cfr. art. 23): infatti, nel caso in<br />
cui le parti abbiano designato uno o più giudici particolari per risolvere<br />
eventuali controversie, la proposta riconosce la priorità al giudice designato<br />
nell’accordo affinché si pronunci sulla propria competenza, a prescindere<br />
da quale sia stato adito per primo, salvo che l’accordo sia nullo nel merito<br />
secondo la legge di tale Stato membro. Ogni altro giudice dovrà sospendere<br />
il procedimento finché il giudice prescelto non abbia dichiarato la propria<br />
competenza o, eventualmente, in caso di accordo invalido, la propria incompetenza.<br />
La clausola attributiva di competenza deve essere conclusa per iscritto o<br />
oralmente con conferma scritta o in una forma ammessa dalle pratiche che<br />
le parti hanno stabilito tra di loro. Nel commercio internazionale, l’accordo<br />
può anche essere stipulato in una forma ammessa da un uso che le parti conoscevano<br />
o avrebbero dovuto conoscere e che, in tale campo, sia ampiamente<br />
conosciuto e regolarmente rispettato dalle parti per contratti dello<br />
stesso tipo nel ramo commerciale considerato.<br />
Si auspica che tale modifica rafforzi l’efficacia di tali accordi ed elimini<br />
gli incentivi a ricorrere a tattiche processuali scorrette, tra cui anche adire<br />
giudici privi di competenza ( 34 ).<br />
C. Riconoscimento ed esecuzione delle decisioni<br />
Per quanto riguarda l’abolizione dell’exequatur (cfr. capo III – artt. da 37<br />
a 69), questa sarà accompagnata da garanzie procedurali che consentiranno<br />
( 32 )Tale norma esiste attualmente in un nutrito gruppo di Stati membri e presenta il vantaggio<br />
di garantire che la decisione possa essere eseguita nello Stato in cui è stata emessa.<br />
( 33 )Tale diritto è particolarmente rilevante per le imprese dell’UE che investono in paesi<br />
con un ordinamento giuridico non ancora ben sviluppato.<br />
( 34 ) Si evidenzia come tale modifica rispecchi la soluzione adottata dalla Convenzione<br />
dell’Aja del 2005 sugli accordi di scelta del foro, facilitando così l’eventuale conclusione della<br />
convenzione da parte dell’Unione europea.
432 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
la tutela del diritto del convenuto ad un ricorso effettivo e ad un giudice imparziale<br />
come sancito dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali<br />
( 35 ). Il convenuto disporrebbe di tre rimedi principali per impedire, in circostanze<br />
eccezionali, che una decisione pronunciata in uno Stato membro divenga<br />
esecutiva in un altro Stato membro. In primo luogo, potrebbe impugnare<br />
la decisione nello Stato membro d’origine se non è stato debitamente<br />
informato del procedimento in quello Stato (cfr. art. 45, par. 1) ( 36 ). In secondo<br />
luogo, potrebbe eccepire qualsiasi altro vizio procedurale sorto durante<br />
il procedimento dinanzi al giudice d’origine e suscettibile di violare il<br />
suo diritto a un giudice imparziale (cfr. art. 46, par. 1) ( 37 ). In terzo luogo, il<br />
convenuto potrebbe far sospendere l’esecuzione della decisione qualora<br />
questa sia in contrasto con un’altra decisione pronunciata nello Stato membro<br />
dell’esecuzione o, a determinate condizioni, in un altro paese (cfr. art.<br />
43) ( 38 ).<br />
L’exequatur verrebbe altresì mantenuto per le decisioni pronunciate in<br />
procedimenti avviati da un’aggregazione di attori, enti rappresentativi o organismi<br />
che agiscono nell’interesse pubblico e che riguardano il risarcimento<br />
dei danni causati da pratiche commerciali illecite nei confronti di<br />
una pluralità di soggetti (“azione collettiva”) (cfr. art. 37, par. 3) ( 39 ). Infatti,<br />
( 35 ) In questo senso, si veda il 24° considerando.<br />
( 36 )“Art. 45, par. 1: “Il convenuto che non sia comparso nello Stato membro d’origine ha<br />
il diritto di chiedere il riesame della decisione al giudice competente di tale Stato membro se:<br />
a) non gli sono stati comunicati o notificati la domanda giudiziale o un atto equivalente in<br />
tempo utile e in modo tale da consentirgli di presentare le proprie difese, o b) non ha avuto la<br />
possibilità di contestare la pretesa a causa di forza maggiore o di circostanze eccezionali a lui<br />
non imputabili, eccetto qualora, pur avendone avuto la possibilità, non abbia impugnato la<br />
decisione”.<br />
( 37 ) Art. 46, par. 1: “Nei casi diversi da quelli di cui all’articolo 45, una parte ha il diritto di<br />
chiedere che siano negati il riconoscimento o l’esecuzione di una decisione qualora i principi<br />
fondamentali alla base del diritto a un giudice imparziale ostino a tale riconoscimento o esecuzione”.<br />
( 38 ) Art. 43: “Su istanza del convenuto, l’autorità competente dello Stato membro dell’esecuzione<br />
nega, in tutto o in parte, l’esecuzione della decisione: a) se è in contrasto con una<br />
decisione emessa tra le medesime parti nello Stato membro dell’esecuzione; b) se è in contrasto<br />
con una decisione emessa precedentemente tra le medesime parti in un altro Stato<br />
membro o in un paese terzo, in una controversia avente il medesimo oggetto e il medesimo<br />
titolo, allorché tale decisione presenta le condizioni necessarie per essere riconosciuta nello<br />
Stato membro dell’esecuzione”.<br />
( 39 ) Art. 37, par. 3: “La sezione 2 – Decisioni per le quali è provvisoriamente richiesta la dichiarazione<br />
di esecutività – si applica alle decisioni emesse in un altro Stato membro: a) relative<br />
ad obbligazioni extracontrattuali che derivano da violazioni della vita privata e dei diritti
OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 433<br />
in tale ambito, sussistono differenze troppo marcate tra gli ordinamenti giuridici<br />
dei 27 Stati membri. In attesa, quindi, di misure di armonizzazione o<br />
riavvicinamento in questo settore, si dovrà mantenere la procedura di exequatur,<br />
nell’ottica futura di procedere comunque alla sua abolizione (cfr.<br />
art. 37, par. 4) ( 40 ).<br />
Questa proposta parrebbe consentire un risparmio di tempi e di costi,<br />
garantendo nel contempo la necessaria tutela del convenuto.<br />
D. Arbitrato<br />
La Commissione ha ritenuto di sancire la regola generale secondo cui la<br />
materia arbitrale sarebbe estranea al regolamento (cfr. art. 1, par. 2, lett. d),<br />
in particolare circa la forma, l’esistenza, la validità o gli effetti di convenzioni<br />
arbitrali, il potere degli arbitri, la procedura dinanzi a questi, nonché la<br />
validità, l’annullamento, il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali<br />
( 41 ).<br />
La proposta contiene, poi, una norma specifica sul rapporto tra arbitrato<br />
e procedimento giudiziario (cfr. artt. 29, par. 4 e 33, par. 3) ( 42 ). Tale norma<br />
impone al giudice adito di sospendere il procedimento se la sua competenza<br />
è contestata in base a una convenzione arbitrale e il tribunale arbitrale è<br />
stato adito o è stato avviato un procedimento giudiziario relativo alla convenzione<br />
arbitrale nello Stato membro sede dell’arbitrato ( 43 ). Infine, è pre-<br />
della personalità, compresa la diffamazione, e b) in procedimenti che riguardano il risarcimento<br />
dei danni causati da pratiche commerciali illecite a una moltitudine di soggetti lesi e<br />
che sono promossi da: i. un ente statale, ii. un’organizzazione senza scopo di lucro il cui<br />
obiettivo e attività principale è rappresentare e difendere gli interessi di gruppi di persone fisiche<br />
o giuridiche in altro modo che fornendo loro consulenza legale o rappresentandoli in giudizio<br />
su base commerciale, o iii. un gruppo di più di dodici attori”.<br />
( 40 ) Art. 37, par. 4: “Fatta salva la competenza della Commissione a proporre in qualsiasi<br />
momento, alla luce dello stato di convergenza dei diritti nazionali e dello sviluppo del diritto<br />
dell’Unione, l’estensione delle norme della sezione 1 (Decisioni per le quali non è richiesta la<br />
dichiarazione di esecutività – NdA) alle decisioni rientranti nel campo di applicazione del paragrafo<br />
3, lettera b) (“azioni collettive” – NdA), la Commissione, tre anni dopo l’entrata in vigore<br />
del presente regolamento o prima se propone un’ulteriore armonizzazione, presenta al<br />
Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo una relazione<br />
che riesamina la necessità di mantenere la procedura di riconoscimento ed esecuzione per le<br />
decisioni emesse nelle materie di cui al paragrafo 3”.<br />
( 41 ) Considerando n. 11.<br />
( 42 ) Si vedano, in tema, i risultati derivanti dall’ampio dibattito avviato dal Libro verde sulla<br />
revisione del regolamento COM(2009) 175 def. del 21 aprile 2009.<br />
( 43 ) Art. 29, par. 4: “Qualora la sede dell’arbitrato concordata o designata si trovi in uno
434 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
cisato che le nuove disposizioni in materia di arbitrato non riguardano le<br />
controversie insorte da contratti di consumo, di assicurazione e di lavoro dipendente.<br />
La citata modifica rafforzerà presumibilmente l’efficacia delle convenzioni<br />
arbitrali in <strong>Europa</strong>, evitando procedimenti paralleli in sede giudiziale<br />
e arbitrale ed eliminando gli incentivi a porre in essere strategie processuali<br />
difensive meramente dilatorie delle parti che intendono svincolarsi dall’obbligo<br />
arbitrale.<br />
E. Ulteriori proposte<br />
Da ultimo, si rileva che la proposta auspica di migliorare il coordinamento<br />
dei procedimenti dinanzi ai giudici degli Stati membri, attraverso alcuni<br />
correttivi in ordine alla litispendenza (introducendo un termine per<br />
l’accertamento della competenza da parte del primo giudice adito) (cfr. art.<br />
29, par. 2) ( 44 ), prevedendo inoltre lo scambio di informazioni tra giudici investiti<br />
della stessa materia, facilitando la riunione di azioni connesse (eliminando<br />
il requisito che la riunione debba essere consentita dalla legge nazionale)<br />
(cfr. art. 31) ( 45 ), prevedendo la libera circolazione dei provvedimenti<br />
Stato membro, il giudice di un altro Stato Membro la cui incompetenza sia eccepita in base a<br />
una convenzione arbitrale sospende il procedimento non appena il giudice dello Stato membro<br />
in cui si trova la sede dell’arbitrato o il tribunale arbitrale sia stato investito di un procedimento<br />
diretto ad accertare, in via principale o incidentale, l’esistenza, la validità o l’efficacia<br />
della convenzione arbitrale”.<br />
( 44 ) Art. 29, par. 2: “Nei casi di cui al paragrafo 1 (“Fatto salvo l’articolo 32, paragrafo 2,<br />
qualora davanti a giudici di Stati membri differenti e tra le stesse parti siano state proposte domande<br />
aventi il medesimo oggetto e il medesimo titolo, il giudice successivamente adito sospende<br />
d’ufficio il procedimento finché sia stata accertata la competenza del giudice adito in<br />
precedenza” – NdA), il giudice adito per primo accerta la propria competenza entro sei mesi,<br />
salvo impossibilità dovuta a circostanze eccezionali. Su istanza di qualunque altro giudice investito<br />
della controversia, il giudice adito per primo comunica all’altro giudice la data in cui è<br />
stato adito e se ha accertato la competenza o quando prevede di farlo”.<br />
( 45 ) Art. 31: “Se il procedimento di merito pende davanti a un giudice di uno Stato membro<br />
e a un giudice di un altro Stato membro è proposta un’istanza di provvedimento provvisorio<br />
o cautelare, i giudici interessati cooperano per garantire un coordinamento adeguato tra<br />
il procedimento di merito e il provvedimento provvisorio o cautelare.<br />
In particolare, il giudice cui è richiesto il provvedimento provvisorio o cautelare si informa<br />
presso l’altro giudice di tutte le circostanze pertinenti del caso, quali l’urgenza del provvedimento<br />
richiesto o l’eventuale diniego di provvedimenti analoghi da parte del giudice del<br />
merito”.
OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 435<br />
provvisori e cautelari ( 46 ) concessi da un giudice competente nel merito, impedendo<br />
altresì la circolazione dei provvedimenti provvisori disposti da un<br />
giudice diverso da quello competente nel merito (cfr. artt. 35 e 36) ( 47 ). Ulteriori<br />
modifiche tendono invece a migliorare il funzionamento pratico delle<br />
norme sulla competenza, prevedendo per le domande relative a diritti reali<br />
la competenza del foro del luogo in cui si trovano i beni mobili (cfr. art. 5,<br />
par. 3) ( 48 ), in materia di lavoro la possibilità per i lavoratori dipendenti di citare<br />
in giudizio una pluralità di convenuti (cfr. art. 6, par. 1) ( 49 ), la possibilità<br />
di concludere accordi di elezione del foro per le controversie relative alla locazione<br />
di uffici ad uso professionale (cfr. art. 22, par. 1, lett. b) ( 50 ) e l’obbligo<br />
di informare il convenuto che si costituisce in giudizio delle conseguenze<br />
giuridiche in cui occorre nel caso in cui non eccepisca tempestivamente<br />
l’incompetenza del giudice (cfr. art. 24, par. 2) ( 51 ).<br />
Sara Amerio<br />
( 46 ) Inclusi, a determinate condizioni, i provvedimenti concessi inaudita altera parte.<br />
( 47 ) Art. 35: “Qualora i giudici di uno Stato membro siano competenti a conoscere nel<br />
merito, essi sono competenti ad adottare i provvedimenti provvisori e cautelari previsti dalla<br />
legge di quello Stato”.<br />
Art. 36: “I provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla legge di uno Stato membro<br />
possono essere richiesti al giudice di detto Stato anche se la competenza a conoscere nel merito<br />
è riconosciuta al giudice di un altro Stato o a un tribunale arbitrale”.<br />
( 48 ) Art. 5, par. 3: “Qualora si tratti di diritti reali o possesso di beni mobili, il giudice del<br />
luogo in cui si trovano i beni”.<br />
( 49 )Tale possibilità esisteva già nel quadro della convenzione di Bruxelles del 1968. Il suo<br />
inserimento nel regolamento sarà a vantaggio dei lavoratori che intendono agire contro più<br />
datori di lavoro (in ordine allo stesso contratto individuale di lavoro) stabiliti in Stati membri<br />
diversi. Art. 6, par. 1: “Una persona può inoltre essere convenuta: 1. qualora sia domiciliata<br />
nel territorio di uno Stato membro e in caso di pluralità di convenuti, davanti al giudice del<br />
luogo in cui uno qualsiasi di essi è domiciliato, sempre che tra le domande esista un nesso così<br />
stretto da rendere opportuna una trattazione unica ed una decisione unica onde evitare il rischio,<br />
sussistente in caso di trattazione separata, di giungere a decisioni incompatibili”.<br />
( 50 ) Art. 22, par. 1, lett. b): “In materia di accordi relativi a contratti di locazione di locali ad<br />
uso professionale, le parti possono attribuire la competenza a un giudice o ai giudici di uno<br />
Stato membro in conformità dell’articolo 23 (accordi di scelta del foro – NdA)”.<br />
( 51 ) Art. 24, par. 2: “Nelle materie di cui alle sezioni 3, 4 e 5 del presente capo (capo 2 –<br />
Competenza – sez. 3: Competenza in materia di assicurazioni, sez. 4: Competenza in materia<br />
di contratti conclusi da consumatori, sez. 5: Competenza in materia di contratti individuali di<br />
lavoro – NdA), la domanda giudiziale o un atto equivalente deve informare il convenuto del<br />
suo diritto di eccepire l’incompetenza del giudice e delle conseguenze della comparizione.<br />
Prima di dichiararsi competente ai sensi del presente articolo, il giudice si assicura che il convenuto<br />
sia stato informato in tal senso”.
Separazione e divorzio: il Regolamento UE 1259/2010<br />
del 20 dicembre 2010, per una cooperazione rafforzata<br />
nel settore della legge applicabile<br />
1. – Principi ispiratori<br />
Il Regolamento UE n. 1259 del 20 dicembre 2010 ( 1 ) modifica il Regolamento<br />
CE n. 2201/2003 ( 2 ), coltivando e ampliando l’intento di favorire la libera<br />
circolazione delle persone attraverso soluzioni che, nell’ipotesi di conflitto<br />
di leggi, garantiscano prevedibilità, flessibilità, nonché, in particolare,<br />
la certezza del diritto ( 3 ).<br />
L’Unione si prefigge di conservare e sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza<br />
e giustizia in cui sia incoraggiata la libera circolazione delle persone.<br />
Al fine di una progressiva istituzione di tale spazio, l’Unione deve adottare<br />
misure volte alla cooperazione giudiziaria nelle materie civili con implicazioni<br />
transnazionali. La convergenza dei menzionati principi di libertà,<br />
sicurezza, giustizia e certezza del diritto dovrebbe infine incrementare il<br />
buon funzionamento del mercato interno.<br />
La flessibilità e dinamicità in ordine alla scelta della legge applicabile<br />
consentono di evitare strumentalizzazioni fra coniugi nella promozione e<br />
conduzione dei procedimenti di scioglimento o allentamento del vincolo<br />
matrimoniale, che, come facilmente intuibile, nel diritto di famiglia assumo<br />
connotazioni ancor più sgradevoli, oltre che dannose per i soggetti coinvolti,<br />
specie se vi sono figli minori. Linea guida per il declinarsi del Regola-<br />
( 1 )Reg. UE n. 1259/2010 del 20 dicembre 2010, pubblicato in G.U.U.E., L 343, del 29 dicembre<br />
2010.<br />
( 2 ) Il Reg. CE n. 2201/2003 del 27 novembre 2003, pubblicato su G.U.C.E., L 338, del 23<br />
dicembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in<br />
materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, abrogava a sua volta il Reg.<br />
1347/2000 (pubblicato su G.U.C.E., L 160, del 30 giugno 2000). La modifica in ambito di scelta<br />
della legge applicabile ai procedimenti di separazione e divorzio si rendeva necessaria,<br />
stante la sproporzione che il Reg. 2201/2003 presentava al proprio interno, dedicando la maggioranza<br />
delle disposizioni alla responsabilità genitoriale, al diritto di affidamento ed alla sottrazione<br />
di minori.<br />
( 3 ) Il 9° considerando del Reg. 1259/10 precisa al riguardo: “Il presente regolamento dovrebbe<br />
istituire un quadro giuridico chiaro e completo in materia di legge applicabile al divorzio e alla<br />
separazione personale negli Stati membri partecipanti e garantire ai cittadini soluzioni adeguate<br />
per quanto concerne la certezza del diritto, la prevedibilità e la flessibilità, e impedire le situazioni<br />
in cui un coniuge domanda il divorzio prima dell’altro per assicurarsi che il procedimento sia regolato<br />
da una legge che ritiene più favorevole alla tutela dei suoi interessi”.
OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 437<br />
mento in questione è rappresentata dall’interesse pubblico nella sua specificazione<br />
dell’ordine pubblico, nel nome del quale ciascuno Stato membro<br />
può – in circostanze eccezionali – disapplicare la legge straniera che in una<br />
determinata fattispecie risulti manifestamente contraria all’ordine pubblico<br />
del foro. Si tratta di un’eccezione applicativa che resta tuttavia sempre soggetta<br />
alla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea ( 4 ), laddove viene<br />
vietata qualsiasi forma di discriminazione con particolare riferimento alla<br />
cittadinanza.<br />
La cooperazione rafforzata può in ogni caso esplicarsi nelle forme migliori<br />
osservando sempre i principi di sussidiarietà e proporzionalità ( 5 ), sanciti<br />
dal Trattato sull’Unione Europea, in nome dei quali sostenere le capacità<br />
regolatrici di ciascuno Stato membro, in quanto organismo più vicino<br />
ai cittadini, ma al tempo stesso colmare le lacune del diritto interno in relazione<br />
agli strumenti giuridici idonei a perseguire gli obiettivi dell’Unione.<br />
Occorre altresì evidenziare il carattere universale proclamato dal presente<br />
Regolamento, il quale si propone di favorire il cittadino nell’esercizio<br />
della propria facoltà di scelta della legge applicabile, rendendo designabile<br />
non solo la legge di uno Stato membro partecipante e la legge di uno Stato<br />
membro non partecipante, ma anche la legge di uno Stato non membro dell’Unione<br />
europea ( 6 ).<br />
Il principio di universalità trova in proposito accoglimento e massima<br />
articolazione nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea ( 7 ),<br />
( 4 ) Pubblicata in G.U.C.E., C 364, del 18 dicembre 2000, la quale all’art. 21 citato dallo<br />
stesso regolamento al 5° ed al 30° considerando, vieta per l’appunto qualsiasi forma di discriminazione:<br />
“fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o<br />
sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni<br />
politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio,<br />
la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali. 2. Nell’ambito d’applicazione<br />
del trattato che istituisce la Comunità europea e del trattato sull’Unione europea è vietata<br />
qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le disposizioni particolari”.<br />
( 5 )Parimenti sancito dall’art. 5 del Trattato CE, costituisce una manifestazione del più<br />
generale principio di ragionevolezza, tale per cui l’azione dell’Unione non deve spingersi oltre<br />
gli obiettivi posti dal Trattato; gli oneri sostenuti dovranno essere proporzionati agli obiettivi<br />
medesimi; le sanzioni proporzionate alla valenza della formalità violata.<br />
( 6 ) Cfr. 12° considerando e art. 4 del Regolamento. Si rileva tuttavia nel prosieguo il rispetto<br />
della sovranità della legge di uno Stato membro partecipante, a dispetto degli Stati<br />
membri non partecipanti e degli Stati non membri dell’Unione, che non vengono più menzionati.<br />
Il 26° considerando e l’art. 13 precisano infatti che laddove la legge dello Stato membro<br />
partecipante non preveda il divorzio, l’autorità giurisdizionale adita non dovrebbe essere<br />
obbligata ad emettere una pronuncia in tal senso.<br />
( 7 ) Cfr. nota 4.
438 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
quale fonte di riconoscimento dei diritti dei singoli e dei valori della dignità<br />
umana, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà, volti a porre la persona<br />
al centro dell’azione comunitaria.<br />
La sovranità degli Stati membri partecipanti si esplica palesemente nella<br />
possibilità di negare una pronuncia di divorzio, qualora non prevista dal<br />
proprio ordinamento; essa incontra, tuttavia, un limite nell’ipotesi in cui la<br />
negazione del divorzio si fondi su una discriminazione sessuale, trovando<br />
applicazione la legge del foro ( 8 ).<br />
La supremazia del diritto comunitario si coglie altresì nell’intento di inibire<br />
ulteriori veicoli di discriminazione, quali l’appartenenza all’uno o all’altro<br />
sesso; in tali casi, onde evitare la negazione del divorzio, ovvero l’imposizione<br />
di condizioni di accesso alla separazione o al divorzio non paritetiche, l’art.<br />
10 prevede che si applichi la legge del foro. Ogniqualvolta emerga la necessità<br />
e opportunità di difendere i diritti fondamentali della persona, dunque, la vis<br />
espansiva del diritto comunitario si manifesta in via diretta e incisiva.<br />
Nel prospettato quadro di delicato coordinamento, il Regolamento si riserva<br />
la dichiarata prevalenza sulle convenzioni concluse esclusivamente<br />
tra due o più tra gli Stati membri partecipanti in materia di divorzio e separazione<br />
personale.<br />
In generale si rammenta che il principio di “prevalenza del diritto comunitario<br />
sul diritto degli Stati” è stato affermato dalla Corte di Giustizia<br />
fin dalla sentenza Costa c. Enel del 1964 ( 9 ).<br />
2. – Scelta della legge applicabile: criteri e modalità<br />
Premesso il carattere universale della legge designata, di cui all’art. 4 del<br />
Regolamento, quest’ultimo indica due fondamentali percorsi di individuazione<br />
della medesima: la scelta della legge applicabile ad opera delle parti,<br />
disciplinata dall’art. 5, ovvero la determinazione della legge applicabile in<br />
( 8 ) Così stabilisce l’art. 10 del Reg. 1259/10: “Qualora la legge applicabile ai sensi dell’art.<br />
5 o dell’art. 8 non preveda il divorzio o non conceda a uno dei coniugi, perché appartenente<br />
all’uno o all’altro sesso, pari condizioni di accesso al divorzio o alla separazione personale, si<br />
applica la legge del foro”.<br />
( 9 ) Causa 6/64, ove il primato del diritto comunitario viene ancorato all’art. 189 (ora 249)<br />
Tratt.CE rilevando che “questa disposizione, che non è accompagnata da alcuna riserva, sarebbe<br />
priva di significato se uno Stato potesse unilateralmente annullarne gli effetti con un provvedimento<br />
nazionale che prevalesse sui testi comunitari”; e, quindi, precisando che “il diritto nato<br />
dal Trattato non potrebbe, in ragione appunto della sua specifica natura, trovare un limite in<br />
qualsiasi provvedimento interno senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che ne risultasse<br />
scosso il fondamento giuridico della stessa Comunità”.
OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 439<br />
mancanza di scelta operata dalle parti, indicata dall’art. 8 ( 10 ). La facoltà di<br />
scelta in capo alle parti deve avvenire di comune accordo e nel rispetto di<br />
determinate formalità, che verranno successivamente esaminate.<br />
I criteri di collegamento sono rappresentati dalla residenza abituale dei<br />
coniugi, dall’ultima residenza abituale dei coniugi (se uno di essi vi risiede<br />
ancora), dalla cittadinanza e dalla legge del foro; ciascuno in libera alternativa<br />
rispetto agli altri. Essi vengono presi in considerazione al momento della<br />
conclusione dell’accordo.<br />
Ove i coniugi non possano o non vogliano scegliere, separazione e divorzio<br />
saranno regolati dai medesimi criteri ( 11 ), ma posti in ordine di progressiva<br />
esclusione, nel senso che verranno adottati solo in difetto di applicazione<br />
del criterio o dei criteri precedentemente indicati. Non sussistendo<br />
l’accordo delle parti, il riferimento temporale è dato dal “momento in cui è<br />
adita l’autorità giurisdizionale”. Per quanto concerne, in particolare, il criterio<br />
dell’ultima residenza abituale dei coniugi, viene posta la condizione che<br />
tale periodo non si sia concluso oltre un anno prima che fosse adita l’autorità<br />
giurisdizionale ( 12 ). Correzioni e temperamenti ai criteri di applicazione<br />
sono dettati dagli articoli 9 sulla conversione della separazione personale in<br />
divorzio, 12 sull’ordine pubblico, 13 sulle divergenze fra le legislazioni nazionali;<br />
così come gli articoli 14 e 15 contemplano, rispettivamente, le ipotesi<br />
di conflitto territoriale e interpersonale di leggi.<br />
Più precisamente l’art. 9 – secondo quanto preannunciato nel 23° considerando<br />
– prevede la naturale estensione della legge già applicata alla separazione<br />
personale al procedimento volto a convertire la separazione in divorzio,<br />
salva diversa convenzione fra le parti. Disposizione, quest’ultima,<br />
sempre tesa a consolidare i principi di prevedibilità e certezza del diritto.<br />
Tuttavia, se la conversione della separazione in divorzio non è prevista dalla<br />
legge applicata alla separazione personale, il divorzio stesso dovrebbe es-<br />
( 10 ) Distinzione assente nel precedente Regolamento n. 2201/2003, il quale approfondisce<br />
invece maggiormente le questioni relative alla procedibilità, litispendenza, connessione,<br />
riconoscimento ed esecutività delle decisioni.<br />
( 11 ) Cfr. art. 8 Reg. 1259/10: a) residenza abituale dei coniugi; o in mancanza b) ultima residenza<br />
abituale dei coniugi; o in mancanza c) cittadinanza; o in mancanza d) lo Stato in cui è<br />
adita l’autorità giurisdizionale.<br />
( 12 ) Cfr. art. 8, lett. b); la variante rispetto al criterio valevole in caso di accordo delle parti<br />
risponde all’esigenza di garantire l’applicazione della legge dello Stato con cui i coniugi hanno<br />
il legame più stretto, come suggellato dal 21° considerando. Il fine ultimo resta sempre la<br />
prevedibilità e certezza del diritto, con efficacia dissuasiva in ordine ad azioni strumentali da<br />
parte dei coniugi stessi, “a caccia” della legge più favorevole.
440 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
sere disciplinato dalle norme di conflitto che si applicano in mancanza di<br />
scelta ad opera delle parti ( 13 ).<br />
La norma relativa all’ordine pubblico (art. 12), invece, costituisce un<br />
importante limite all’applicabilità della legge designata sulla base del presente<br />
Regolamento, giacché ne decreta l’esclusione nei casi di manifesta incompatibilità<br />
con l’ordine pubblico del foro. L’ordine pubblico assurge, infatti,<br />
a parte integrante dei principi dell’ordinamento comunitario ( 14 ).<br />
L’art. 13 risolve le divergenze fra le legislazioni nazionali omaggiando la<br />
sovranità degli Stati membri partecipanti alla cooperazione rafforzata, la cui<br />
legge interna non preveda il divorzio o non consideri valido il matrimonio<br />
in questione ai fini del divorzio medesimo: l’autorità giurisdizionale adita<br />
in virtù della designazione della legge applicabile ad opera del Regolamento<br />
de quo non può pertanto essere obbligata ad emettere una decisione di<br />
divorzio.<br />
I conflitti territoriali di leggi emergono laddove lo Stato individuato o<br />
scelto dalle parti si componga di più unità territoriali, avente ciascuna il proprio<br />
sistema giuridico o complesso di norme in materia di divorzio e separazione<br />
personale. L’art. 14 precisa al riguardo che ogni riferimento alla<br />
“legge di tale Stato” deve intendersi come riferimento alla “legge in vigore<br />
nell’unità territoriale pertinente”: Parimenti il termine “Stato” in ordine alla<br />
“residenza abituale”, alla “cittadinanza”, nonché, in mancanza, alla scelta<br />
effettuata delle parti, ovvero, in mancanza, al legame più stretto dei coniugi<br />
con il territorio, deve tradursi con “unità territoriale” pertinente ( 15 ).<br />
Il conflitto interpersonale di leggi, disciplinato dall’art. 15 del Regolamento<br />
( 16 ), ricorre allorquando due o più sistemi giuridici o complessi di<br />
norme si applicano a categorie diverse di persone nelle materie oggetto di<br />
cooperazione rafforzata: le norme in vigore nello Stato designato permetteranno<br />
di individuare il sistema giuridico pertinente; in difetto, verrà applicato<br />
quello con cui i coniugi hanno il legame più stretto.<br />
3. – Accordo delle parti sulla legge applicabile: validità formale<br />
Il Regolamento valorizza la libera volontà delle parti, permettendo ai<br />
coniugi stessi di scegliere la legge applicabile alla separazione personale o al<br />
( 13 ) Cfr. art. 9, comma 2, Reg. 1259/10.<br />
( 14 ) Cfr. Corte CE, caso Omega, C- 36/02.<br />
( 15 ) Cfr. art. 14 del Regolamento, lettere a), b), c).<br />
( 16 ) Cfr. art. 15 Reg.: “In relazione ad uno Stato con due o più sistemi giuridici o complessi di<br />
norme applicabili a categorie diverse di persone riguardanti materie disciplinate dal presente re-
OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 441<br />
divorzio. Onde evitare che tale rilevante facoltà trascenda nell’eccesso di discrezionalità<br />
o nell’abuso, l’art. 5 e l’art. 7 del Regolamento dettano con<br />
precisione oggetto e forma dell’accordo.<br />
In particolare l’art. 5 circoscrive la scelta allo Stato della residenza abituale<br />
dei coniugi, dell’ultima residenza abituale se uno di essi vi risiede ancora,<br />
della cittadinanza e infine la legge del foro, in rapporto di alternatività<br />
ed in riferimento al momento della conclusione dell’accordo ( 17 ).<br />
Ulteriore ossequio alla libertà di scelta, sempre garantendo la relativa<br />
certezza del diritto mediante l’imposizione dei suddetti limiti oggettivi (criteri<br />
di collegamento della residenza, cittadinanza o legge del foro), proviene<br />
dai commi 2 e 3 dell’art. 5. Essi prevedono infatti, rispettivamente, la<br />
possibilità di concludere e modificare l’accordo relativo alla legge applicabile<br />
in qualsiasi momento fino, al più tardi, al momento in cui viene adita l’autorità<br />
giurisdizionale; nonché un ampliamento della stessa facoltà di scelta ad<br />
opera della parti, la quale potrà essere esercitata, ove previsto dalla legge del<br />
foro, anche nel corso del procedimento dinanzi all’Autorità giurisdizionale. In<br />
questo caso la designazione della legge verrà messa agli atti in conformità<br />
della legge del foro ( 18 ).<br />
L’art. 7 del Regolamento prevede che, ai fini della validità, l’accordo<br />
debba rivestire la forma scritta ( 19 ) ed essere datato e firmato da entrambi i<br />
coniugi.<br />
Il rilievo assunto dalla forma si esprime nell’ulteriore applicazione di re-<br />
golamento, ogni riferimento alla legge di tale Stato è inteso come riferimento al sistema giuridico<br />
determinato dalle norme in vigore in tale Stato. In mancanza di tali norme, si applica il sistema<br />
giuridico o il complesso di norme con cui il coniuge o i coniugi hanno il legame più stretto”.<br />
( 17 ) La legge in questione può essere prescelta solo se “legge dello Stato della residenza<br />
abituale dei coniugi al momento della conclusione dell’accordo”; ovvero “dell’ultima residenza<br />
abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora al momento della conclusione<br />
dell’accordo”; ovvero “la legge dello Stato di cui uno dei coniugi ha la cittadinanza”; o ancora<br />
“la legge del foro”.<br />
( 18 ) La facoltà in capo ai coniugi di perfezionare un accordo sulla scelta della legge applicabile<br />
nel corso del procedimento già instaurato permette di mutare in itinere l’assetto processuale<br />
conseguito sulla base dei criteri di collegamento valevoli in assenza di accordo. In tal<br />
modo i coniugi possono esprimere la propria preferenza in ordine alla legge dello Stato destinata<br />
a regolare i propri rapporti post-matrimoniali. La ratio consiste nell’attribuire all’accordo,<br />
in quanto tale, un effetto “immunizzante” rispetto ai disequilibri scaturenti dalla “caccia<br />
alla legge più favorevole” e, in generale, al noto forum shopping.<br />
( 19 ) Sempre il comma 1 dell’art. 7 del Regolamento precisa che “la forma scritta comprende<br />
qualsiasi comunicazione elettronica che permetta un registrazione durevole dell’accordo”,<br />
richiamando la disposizione 23 del Reg. 44/2001(pubblicato in G.U.C.E., L012, del 16<br />
gennaio 2001).
442 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
quisiti supplementari eventualmente previsti dallo Stato membro partecipante<br />
in cui entrambi i coniugi abbiano la residenza abituale al momento<br />
della conclusione dell’accordo ( 20 ).<br />
Analogamente verranno estesi i requisiti di forma supplementari previsti<br />
dall’ordinamento dello Stato membro partecipante, in cui uno solo dei<br />
coniugi abbia la propria abituale residenza ( 21 ).<br />
Nell’ipotesi di requisiti di forma differenti, invece, stabiliti da Stati<br />
membri partecipanti diversi, in cui i coniugi abbiano rispettivamente la propria<br />
residenza abituale, è sufficiente che l’accordo rispetti i requisiti di uno<br />
di essi. Ora, la sussistenza del consenso ed il giudizio di validità sull’accordo<br />
perfezionato vengono a loro volta valutati sulla base della legge che sarebbe<br />
applicabile se l’accordo o la disposizione fossero validi ( 22 ).<br />
Si ricorre in sostanza ad una sorta di fictio juris ( 23 ) eventuale, consistente<br />
nel considerare preventivamente valido l’accordo raggiunto; l’esistenza e<br />
la validità di manifestazione del consenso verranno pertanto analizzate sulla<br />
base della legge dello Stato designata dall’accordo delle parti, rendendo<br />
quest’ultimo virtualmente già operativo.<br />
Non viene parimenti trascurata l’ipotesi in cui uno dei coniugi non abbia<br />
prestato il proprio consenso alla legge prescelta: in tale frangente il criterio<br />
di collegamento muta ed alla parte dissenziente viene attribuita la possibilità<br />
di dimostrare la carenza del consenso in riferimento alla legge del<br />
paese in cui ha la residenza abituale nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale<br />
( 24 ); tale facoltà può essere esercitata, tuttavia, solo qualora dal-<br />
( 20 ) La scelta del legislatore comunitario può interpretarsi sia come osservanza dei principi<br />
di sussidiarietà e proporzionalità, sia come omaggio alla rigidità formale, auspicata e opportuna.<br />
( 21 ) Cfr. art. 7, ultimo comma, Reg. 1259/10.<br />
( 22 ) Cfr. art. 6 Reg. 1259/10, rubricato “Consenso e validità sostanziale”.<br />
( 23 ) La fictio juris dà fittiziamente per esistente un requisito richiesto dalla legge ma in realtà<br />
mancante: la finzione soccorre un diritto che non potrebbe altrimenti essere applicato. Si<br />
vedano fra i molti sul tema, lungamente e approfonditamente affrontato, La Torre, La finzione<br />
nel diritto, in Riv. dir. civ., 2000, I, p. 315 ss., Pugliatti, voce Finzione, in Enc. dir., vol.<br />
XVII, Milano, 1968, p. 667.<br />
( 24 ) Cfr. art. 6, comma 2, Reg. 1259/10, il quale permette al coniuge dissenziente, o presunto<br />
tale, di accertare la propria posizione in riferimento alla legge più vicina, ossia quella<br />
dello Stato in cui ha la residenza abituale al momento della proposizione della domanda giudiziale.<br />
È pertanto possibile, già in questa fase, prendere le distanze da un accordo che la parte<br />
ritiene non sussistente. La disposizione incontra però una condizione di operatività: la<br />
“non ragionevolezza” della legge indicata nell’accordo rispetto alla valutazione dello stesso, a<br />
prescindere dal suo effettivo perfezionamento.
OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 443<br />
le circostanze contingenti appaia non ragionevole determinare l’assenza di<br />
consenso sulla base della legge indicata dal presunto accordo delle parti.<br />
Non sorprende questa manifestazione del principio di ragionevolezza,<br />
il quale permea tutto il diritto comunitario ed è volto a perseguire, caso<br />
per caso, l’equilibrio nel bilanciamento fra interesse dell’Unione all’armonizzazione<br />
e uniformità del diritto comunitario e diritti soggettivi dei<br />
singoli ( 25 ).<br />
Si rileva, infine, come l’accordo possa altresì estendersi alle fattispecie<br />
in cui la legge applicata alla separazione personale non preveda la conversione<br />
della separazione in divorzio e occorra pertanto, ove possibile, individuare<br />
un’altra legge applicabile all’istituto ( 26 ); in difetto di accordo, si ricorrerà<br />
ai criteri di collegamento dettati dall’art. 8.<br />
4. – L’informazione da parte degli Stati membri partecipanti<br />
Degna di nota è altresì la comunicazione informativa che il Regolamento<br />
riserva espressamente a ciascuno Stato membro partecipante entro il 21<br />
settembre 2011.<br />
L’art. 17 del Regolamento prevede che l’informazione consista nella comunicazione<br />
delle eventuali disposizioni nazionali sui menzionati requisiti<br />
di forma per gli accordi sulla scelta della legge applicabile e nella possibilità<br />
di designare la legge in corso di causa nell’ipotesi contemplata dal comma<br />
3 dell’art. 5.<br />
Parimenti dovrà essere comunicata dagli Stati membri qualsiasi successiva<br />
modifica di tali disposizioni nazionali.<br />
La norma comunitaria non chiarisce a quale situazione giuridica soggettiva<br />
corrisponda l’informazione resa dagli Stati membri; la mancata previsione<br />
di una sanzione nell’ipotesi in cui non vengano comunicate le eventuali<br />
disposizioni nazionali sui requisiti di forma e sulla legge processuale,<br />
ove occorra mettere agli atti la scelta della legge applicabile, induce a ritenere<br />
che si tratti di onere e non di obbligo in capo agli Stati membri medesimi.<br />
L’onere informativo viene inoltre assolto dagli Stati membri partecipanti<br />
nell’aggiornare la Commissione in punto applicazione del Regolamento da<br />
( 25 ) Cfr. ex multis sul principio di ragionevolezza Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,<br />
sez. I, Presidente Rozakis, sentenza del 3 luglio 2003, Buffalo s.r.l. c. <strong>Italia</strong>, ricorso n.<br />
38746/1997.<br />
( 26 ) Cfr. art. 9, comma 2, Reg. 1259/10.
444 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
parte delle rispettive autorità giurisdizionali ( 27 ); ciò in vista della relazione<br />
che la Commissione dovrà a sua volta presentare entro il 31 dicembre 2015 al<br />
Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale ( 28 ).<br />
A corredo della trasmissione di informazioni, il Regolamento precisa<br />
all’ultimo comma dell’art. 17 che la Commissione renderà pubblicamente<br />
accessibili le informazioni comunicate; l’accesso al pubblico, in particolare,<br />
avverrà con mezzi adeguati, ossia in particolare “tramite il sito web della rete<br />
giudiziaria europea in materia civile e commerciale”.<br />
Tale sito internet è gestito dalla Commissione europea e viene periodicamente<br />
aggiornato in stretta collaborazione con gli Stati membri dell’Unione<br />
europea. Esso contiene numerose informazioni sugli Stati membri, il<br />
diritto comunitario, il diritto internazionale e su diversi argomenti di diritto<br />
civile e commerciale ( 29 ); si tratta di un efficace strumento tecnico-burocratico,<br />
utile ad orientarsi nella fase successiva all’individuazione della legge<br />
applicabile.<br />
La rete informativa europea contribuisce a realizzare la funzione di integrazione<br />
e convergenza del diritto comunitario, perseguita attraverso la<br />
cooperazione rafforzata in determinate materie; in quanto tale se ne può<br />
sostenere il carattere fondamentale per consentire, una volta designate la<br />
norma e la procedura pertinenti, la concreta applicazione del diritto da parte<br />
di ciascun cittadino.<br />
Sempre nell’ottica della pubblicità e conoscibilità, la diffusione delle<br />
informazioni, anche e specialmente in via telematica, permette a monte il<br />
ricorso ai criteri di collegamento contenuti nel presente Regolamento in tema<br />
di separazione e divorzio.<br />
5. – Considerazioni conclusive<br />
Il Regolamento 1259/2010 concorre alla formazione di una disciplina<br />
uniforme di fonte sovranazionale, maturata nell’ambito dell’Unione Europea<br />
e tale da imporsi agli ordinamenti degli Stati membri in forza del primato<br />
del diritto comunitario.<br />
L’Unione ha così ulteriormente incrementato il settore della cooperazio-<br />
( 27 ) Così il comma 2 dell’art. 20 Reg. 1259/10.<br />
( 28 ) Cfr. art. 20, comma 1, Reg. 1259/10.<br />
( 29 ) Cfr. eu.europa.eu/civiljustice/index.it, dal quale è anche possibile accedere all’Atlante<br />
giudiziario europeo, contenente informazioni rilevanti per la cooperazione giudiziaria in materia<br />
civile, consentendo di identificare i Tribunali e le altre autorità competenti, fornendo nominativo<br />
e indirizzo di tutti gli uffici giudiziari, nonché moduli standard utilizzabili per determinate<br />
procedure.
OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 445<br />
ne giudiziaria civile, già rivoluzionato dai regolamenti CE nn. 1346/ 2000 ( 30 ),<br />
1347/2000 ( 31 ), 44/2001 ( 32 ) e 2201/2003 ( 33 ). Sovrapponendosi alle convenzioni<br />
bi- o multi-laterali fra Stati membri, il Consiglio si è nuovamente avvalso dei<br />
poteri conferiti dall’art. 65 Trattato CE per adottare atti normativi volti ad assicurare<br />
il corretto funzionamento del mercato, conformandosi ai principi di<br />
sussidiarietà e proporzionalità di cui all’art. 5 del Trattato.<br />
Poiché tale disciplina transfrontaliera verte su questioni di diritto di famiglia,<br />
l’obiettivo fondamentale consiste nell’agevolare la libera circolazione<br />
delle persone. Esigenza, quest’ultima, in crescente affermazione negli<br />
anni più recenti, anche alla luce dei continui flussi migratori.<br />
Si arricchisce così di nuovi tasselli il mosaico del diritto civile europeo, il<br />
quale oggi più di ieri necessita di uniformità e trasparenza specialmente in<br />
tema di unioni matrimoniali e minori. L’individuazione del diritto applicabile<br />
incontra sempre la problematica delle norme di conflitto, meritevoli di<br />
semplificazione e coordinamento.<br />
Occorre, inoltre, sgravare progressivamente la Corte di Giustizia dal<br />
ruolo uniformatore assunto negli ultimi decenni dinanzi a incessanti questioni<br />
pregiudiziali.<br />
Il Regolamento 1259/2010 incide sul percorso avviato in particolare dai<br />
Regolamenti 1347/2000 e 2201/2003, fornendo ai casi di separazione e divorzio<br />
una “mappa delle leggi” moderna e plasmata sull’evoluzione dell’istituto<br />
della “famiglia”, nel suo concreto atteggiarsi delle famiglie naturali<br />
ed “allargate”.<br />
La devoluzione di potestà normativa diretta al Consiglio UE riflette<br />
l’ambizione di un diritto processuale europeo duttile, idoneo a recepire le<br />
modifiche che la prassi socio-giuridica imporrà.<br />
Affinché ciò avvenga senza trascendere nel cosiddetto “normativismo eurofilo”<br />
o nel “cieco attivismo” ( 34 ), si invitano Unione e Stati membri a cooperare<br />
verso una maggiore qualità e chiarezza del dettato regolamentare.<br />
Elisabetta Malagoli<br />
( 30 )Relativo alle procedure di insolvenza, pubblicato in G.U.C.E., L 160/1.<br />
( 31 )Relativo alla competenza, al riconoscimento, all’esecuzione delle decisioni in materia<br />
matrimoniale e in materia di potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi, pubblicato<br />
in G.U.C.E., L 160.<br />
( 32 ) Concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle<br />
decisioni in materia civile e commerciale, pubblicato in G.U.C.E., L 12/1.<br />
( 33 ) Cfr. sub nota 29 par. 1.<br />
( 34 ) Si veda in questi termini Consolo, Relazione al Convegno di Verona del 31 marzo 2001.
Osservatorio sull’attuazione in <strong>Italia</strong><br />
del diritto europeo<br />
La nuova direttiva 2011/7 in tema di lotta contro i ritardi di pagamento<br />
nelle transazioni commerciali: prospettive di recepimento<br />
1. – La lotta contro i ritardi nei pagamenti in ottica retrospettiva<br />
Il problema del ritardo nei pagamenti derivanti da rapporti commerciali<br />
era da tempo oggetto dell’attenzione del legislatore comunitario per le<br />
sue ripercussioni, in generale, sul buon andamento del mercato, in particolare,<br />
sulle piccole e medie imprese, per la loro soggezione ai diktat delle<br />
controparti “forti”, le cui pratiche dilatorie nei pagamenti sono ben note.<br />
I principali interventi in ambito comunitario sono stati, in ordine cronologico,<br />
la raccomandazione 95/198 del 12 maggio 1995, che invitava gli<br />
Stati membri a incentivare il rispetto dei termini di pagamento contrattualmente<br />
stabiliti, scoraggiando i ritardi, risarcendo integralmente i creditori<br />
delle spese sostenute per il recupero e adottando procedure rapide, efficienti<br />
e poco onerose per la soddisfazione giudiziale del credito; il “rimprovero”<br />
della Commissione all’<strong>Italia</strong>, insieme a Grecia e Portogallo, per i termini<br />
di pagamento praticati, tra i più lunghi rispetto alla media comunitaria;<br />
la proposta di direttiva del Parlamento e del Consiglio del 23 aprile 1998,<br />
che, riprendendo i temi della raccomandazione, ne estendeva l’operatività<br />
anche ai crediti professionali e considerava termine ordinario di pagamento,<br />
in difetto di esplicita pattuizione, quello di ventuno giorni dalla data della<br />
fattura; infine la direttiva 2000/35 del 29 giugno 2000, i cui obiettivi possono<br />
e meritano di essere ricordati, attraverso i rilievi compiuti dalla stessa.<br />
Veniva, in primo luogo, evidenziato come termini eccessivamente lunghi<br />
nei pagamenti, così come i ritardi negli stessi, imponessero pesanti oneri<br />
amministrativi e finanziari alle imprese, specie medio-piccole, costituendo<br />
una delle principali cause di insolvenza e provocando altresì la perdita di<br />
posti di lavoro; veniva poi riscontrato come in alcuni Stati membri i termini<br />
di pagamento differissero in misura notevole dalla media comunitaria e ciò<br />
costituisse un ostacolo al buon funzionamento del mercato, alimentando<br />
distorsioni alla concorrenza e creando ostacoli alle transazioni commerciali<br />
fra gli Stati.
448 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
La direttiva, lamentando l’assenza di alcun miglioramento conseguente<br />
alla raccomandazione del 12 maggio 1995, puntualizzava il fatto che l’intervento<br />
dovesse riguardare soltanto i pagamenti a titolo di corrispettivo per le<br />
transazioni commerciali, con esclusione, pertanto, dei contratti dei consumatori<br />
e degli interessi dovuti ad altro titolo (interessi su titoli di credito o<br />
assegni a titolo di risarcimento del danno, anche se effettuati da assicurazioni);<br />
evidenziava, poi, come la circostanza che nel suo ambito soggettivo<br />
di applicazione ricadessero altresì le professioni liberali non condizionasse<br />
gli Stati membri a trattare i professionisti come imprese o attività commerciali<br />
per fini diversi da quelli oggetto della direttiva.<br />
Quest’ultima, rivolgendosi, quanto all’ambito oggettivo di applicazione,<br />
a tutte le transazioni commerciali tra imprese pubbliche e private o tra<br />
imprese e autorità pubbliche, nonché tra appaltatori principali e loro subappaltatori<br />
e fornitori, specificava che per talune categorie di contratti avrebbe<br />
potuto essere giustificato un periodo più lungo di pagamento, quando a<br />
questo si fosse accompagnata l’inderogabilità del termine (e dunque la restrizione<br />
della libertà contrattuale) o un più elevato tasso di interesse.<br />
La direttiva 2000/35 proclamava come propri obiettivi, da un lato, quello<br />
di contrastare le violazioni contrattuali, rese convenienti per il debitore<br />
in ragione del basso livello degli interessi di mora e della lentezza delle procedure<br />
di recupero, attraverso l’adozione di misure deterrenti; dall’altro<br />
quello di “controllare” l’autonomia privata per scongiurare ipotesi di abuso<br />
della libertà contrattuale, concretate da accordi aventi lo scopo di finanziare<br />
il debitore in termini di liquidità aggiuntiva o dalla circostanza che il debitore<br />
praticasse condizioni e termini diversi da quelli a lui stesso praticati,<br />
in caso di contratti collegati o derivati.<br />
Si rifletteva, infine, sulla necessità di stabilire procedure di recupero del<br />
credito, il più possibile rapide ed efficaci, come apparato dissuasivo.<br />
L’adozione italiana delle prescrizioni comunitarie arrivava con il d.lgs. 9<br />
ottobre 2002, n. 231, entrato in vigore il 7 novembre 2002, con qualche mese<br />
di ritardo rispetto al termine fissato per il recepimento (che scadeva l’8 agosto<br />
2002) dall’art. 6 della direttiva 2000/35/CE, e, a dispetto degli “ambiziosi<br />
obiettivi prefigurati dall’art. 26 della legge delega”, realizzando nella sostanza<br />
“la consueta trasposizione letterale del contenuto delle direttive alla<br />
quale il legislatore italiano ci ha abituato” ( 1 ).<br />
( 1 ) De Marzo, Ritardi di pagamento nei contratti tra imprese: l’attuazione della disciplina<br />
comunitaria, in Contratti, 2002, p. 1158. In ambito monografico sull’argomento, per tutti,<br />
Arnò e Ferri, La nuova normativa sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali –<br />
Commento al d.lgs. 2002, n. 231, Torino, 2003; De Nova G. e De Nova S., I ritardi di paga-
OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 449<br />
2. – I lineamenti della direttiva 2011/7<br />
La direttiva 2011/7 del 16 febbraio 2011 arriva ad undici anni di distanza<br />
dalla “sorella maggiore”, della cui impronta risente fortemente, e della quale<br />
condivide senza dubbio finalità e strumenti.<br />
Ancora una volta obiettivo dichiarato è la lotta contro i ritardi di pagamento<br />
nelle transazioni commerciali, finalizzata a garantire il corretto svolgersi<br />
delle dinamiche riguardanti il mercato interno e a favorire la competitività<br />
delle imprese con una attenzione speciale alle piccole e medie. È noto<br />
come tali pratiche dilatorie nei pagamenti siano poste in atto, generalmente,<br />
dalle imprese cosiddette “forti” verso le “deboli”, ossia quelle ad esse legate<br />
da vincoli commerciali necessitati ed ineludibili: si tratta di quelle imprese<br />
che, non potendo permettersi relazioni commerciali “tese” con i partners<br />
obbligati, si vedono da sempre costrette ad accettare loro malgrado<br />
condizioni spesso gravose, soprattutto in assenza di alcun contraltare nell’assetto<br />
del sinallagma contrattuale.<br />
L’art. 1 della direttiva, oltre a proclamarne lo scopo, ne delinea l’ambito<br />
oggettivo di applicazione, individuato in “ogni pagamento effettuato a titolo<br />
di corrispettivo in una transazione commerciale”, riprendendo testualmente<br />
la locuzione già utilizzata nella precedente direttiva: il medesimo articolo<br />
riconosce però la facoltà, in capo agli Stati membri, di escludere dall’applicazione<br />
della direttiva i debiti oggetto di procedure concorsuali a carico<br />
del debitore, comprese le procedure volte alla ristrutturazione del debito<br />
( 2 ).<br />
mento nei contratti commerciali – D.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, Milano, 2003; Pandolfini, La<br />
nuova normativa sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali – Commento al d.lgs. 9<br />
ottobre 2002, n. 231 – Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di<br />
pagamento nelle transazioni commerciali, Milano, 2003. In dottrina ancora, ex plurimis, Scotti,<br />
Aspetti di diritto sostanziale del D.lg. 9 ottobre 2002, n. 231, “attuazione della direttiva<br />
2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”, in<br />
Giur. merito, 2003, p. 603; Sanna, L’attuazione della direttiva 2000/35/CE in materia di lotta<br />
contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali: introduzione al d.lgs. 9 ottobre 2002,<br />
n. 231, in Resp. civ., 2003, p. 247; Russo, La nuova disciplina dei ritardi di pagamento nelle transazioni<br />
commerciali, in <strong>Contratto</strong> e <strong>impresa</strong>, 2003, p. 445; Caringella, I ritardi di pagamento<br />
nelle transazioni commerciali (commento al d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231), in Urb. appalti, 2003,<br />
p. 143; Pandolfini, Il nuovo tasso di interesse legale per i ritardi di pagamento nelle transazioni<br />
commerciali (art. 5 d.lgs. n. 231/2002), in Giur. it., 2003, p. 2414; Corsini, Nuove “regole” sui termini<br />
di pagamento nelle transazioni commerciali, in Dir. e prat. soc., 2002, fasc. 24, p. 29.<br />
( 2 ) La precedente direttiva, all’art. 6 par. 3, contemplava l’esclusione di tre fattispecie: alla<br />
lettera a) “i debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore”; alla lettera b)<br />
i “contratti conclusi prima dell’8 agosto 2002”; infine alla lettera c) le “richieste di interessi in-
450 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Dal punto di vista definitorio si osserva, anzitutto, come l’espressione<br />
“transazioni commerciali” faccia riferimento ad un perimetro oggettivo di<br />
applicazione coincidente con quello della precedente direttiva, così come il<br />
termine “<strong>impresa</strong>” conservi il significato, piuttosto ampio, già assunto nella<br />
direttiva del 2000, teso a ricomprendere il libero professionista come il lavoratore<br />
autonomo.<br />
Per “interessi di mora” si intendono “interessi legali di mora o interessi<br />
ad un tasso concordato fra imprese, soggetti all’art. 7”; gli “interessi legali di<br />
mora” sono, invece, definiti “interessi semplici di mora o interessi ad un tasso<br />
che è pari al tasso di riferimento maggiorato di almeno otto punti percentuali”.<br />
Il tasso di riferimento è, per gli Stati membri che adottano l’Euro, “il tasso<br />
di interesse applicato dalla Banca centrale europea alle sue più recenti<br />
operazioni di rifinanziamento principali”, o “il tasso di interesse marginale<br />
risultante dalle procedure di appalto a tasso variabile per le più recenti operazioni<br />
di rifinanziamento principali della Banca centrale europea”; mentre,<br />
per gli altri Stati, “il tasso equivalente fissato dalle rispettive banche centrali”<br />
(art. 2, par. 7).<br />
Agli artt. 3 e 4 della Direttiva 2011/7 viene operata una dicotomia fra le<br />
transazioni riguardanti le imprese e quelle intercorrenti fra imprese e pubbliche<br />
amministrazioni: si tratta in realtà di una partizione più che altro di<br />
ordine sistematico, visto che condizioni per l’applicazione degli interessi di<br />
mora, senza necessità di sollecito, sono in entrambi i casi, da un lato, che il<br />
creditore abbia adempiuto agli obblighi contrattuali e di legge; dall’altro,<br />
che il creditore non abbia ricevuto nei termini l’importo dovuto e il ritardo<br />
sia imputabile al debitore: nulla di nuovo rispetto a quanto già previsto dalla<br />
direttiva 2000/35 ( 3 ).<br />
feriori a 5 EUR”. Il decreto di recepimento italiano ne riproduceva le sole lettere a) e c) in seno<br />
all’art. 1, lettere a) e b). Tale scelta parve “coerente con la finalità della direttiva”, a detta di<br />
De Marzo, Ritardi di pagamento nei contratti tra imprese: l’attuazione della disciplina comunitaria,<br />
cit., p. 1159, il quale poneva in rilievo che “i debiti oggetto di procedure concorsuali non<br />
vengono onorati nei termini per le esigenze della procedura finalizzata a ripartire le risorse disponibili<br />
tra i creditori, e non per l’inadempimento del debitore, ormai privato dell’amministrazione<br />
e della disponibilità dei propri beni”.<br />
( 3 )Per un raffronto con la vigente disciplina, si noti che l’art. 3 del d.lgs. 231/2002 esonera<br />
il debitore dall’obbligo di corrispondere gli interessi moratori previsti dagli articoli 4 e 5 del<br />
decreto stesso, soltanto nel caso in cui “dimostri che il ritardo nel pagamento del prezzo è stato<br />
determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.<br />
La formulazione, fondando l’obbligo in parola sull’inadempimento colpevole del debitore,<br />
sembrerebbe escluderne la colpa limitatamente ai casi in cui l’impossibilità finanziaria sia do-
OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 451<br />
Come già previsto dalla “sorella maggiore” del 2000, il creditore ha diritto<br />
agli interessi di mora a decorrere dal giorno successivo alla data di scadenza<br />
o alla fine del periodo di pagamento contrattualmente stabilito, oppure,<br />
in mancanza:<br />
– “trenta giorni di calendario dal ricevimento da parte del debitore della<br />
fattura o di una richiesta equivalente di pagamento”;<br />
– “se non vi è certezza sulla data di ricevimento della fattura o della richiesta<br />
equivalente di pagamento, trenta giorni di calendario dalla data di<br />
ricevimento delle merci o di prestazione dei servizi”;<br />
– “se la data in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di<br />
pagamento è anteriore a quella del ricevimento delle merci o della prestazione<br />
dei servizi, trenta giorni di calendario dalla data di ricevimento delle<br />
merci o di prestazione dei servizi”;<br />
– “se la legge o il contratto prevedono una procedura di accettazione o di<br />
verifica diretta ad accertare la conformità delle merci o dei servizi al contratto<br />
e se il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento<br />
anteriormente o alla stessa data dell’accettazione o della verifica, trenta<br />
giorni di calendario da tale data”.<br />
In quest’ultimo caso, poi, la procedura di accettazione o verifica non potrà<br />
avere una durata superiore a trenta giorni dalla data di ricevimento delle<br />
merci o di prestazione dei servizi, “se non diversamente concordato espressamente<br />
nel contratto e purchè ciò non sia gravemente iniquo per il creditore”<br />
(art. 3, par. 4).<br />
Nelle transazioni fra imprese e pubbliche amministrazioni i termini di<br />
pagamento coincidono con quelli fissati per i rapporti fra imprese, con l’aggiunta,<br />
al paragrafo 4 dell’art. 4, della facoltà in capo agli Stati membri di<br />
prorogare i termini di cui al paragrafo 3, lettera a) dello stesso articolo (che<br />
vuta ad eventi straordinari e imprevedibili, o il ritardo sia ascrivibile ad altri impedimenti non<br />
evitabili con la dovuta diligenza: in questo senso, De Marzo, Ritardi di pagamento nei contratti<br />
tra imprese: l’attuazione della disciplina comunitaria, cit., p. 1160; Scotti, op. cit.,p. 614,<br />
sottolinea come l’esonero dall’obbligo in capo al debitore consegua, stando alla lettera del disposto,<br />
solamente ai casi di impossibilità oggettiva della prestazione riconducibili a “esemplificazioni<br />
accademiche o scolastiche”. La dottrina si mostra concorde nel ritenere il debitore<br />
franco dall’obbligo di corresponsione degli interessi moratori previsti dal decreto in esame,<br />
quando abbia validamente e fondatamente opposto al creditore l’eccezione di inadempimento<br />
ai sensi dell’art. 1460 c.c. (inadimplenti non est adimplendum), o l’eccezione di compensazione<br />
che estingue i crediti reciproci: così De Marzo, op. loc. ult. cit., il quale evidenzia come<br />
la direttiva all’art. 3, primo comma, lett. c) condizionasse la debenza degli interessi di mora all’adempimento<br />
da parte del creditore degli obblighi contrattuali e legali, requisito non riprodotto<br />
testualmente dal nostro legislatore, ma da ritenersi egualmente sussistente.
452 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
riproducono testualmente quelli già elencati per le transazioni fra imprese),<br />
fino ad un massimo di sessanta giorni nei seguenti casi:<br />
a) “qualsiasi amministrazione pubblica che svolga attività economiche<br />
di natura industriale o commerciale offrendo merci o servizi sul mercato e<br />
che sia soggetta, come <strong>impresa</strong> pubblica, ai requisiti di trasparenza di cui alla<br />
direttiva 2006/111/CE della Commissione, del 16 novembre 2006, relativa<br />
alla trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro<br />
imprese pubbliche e alla trasparenza finanziaria all’interno di talune imprese”;<br />
b) “enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria e che siano stati debitamente<br />
riconosciuti a tal fine”.<br />
In caso di proroga dei termini lo Stato membro dovrà trasmettere alla<br />
Commissione una relazione su tale proroga entro il 16 marzo 2018.<br />
Merita attenzione il fatto che per le transazioni fra imprese e p.a. sia<br />
espressamente previsto, all’art. 4, par. 3 lett. b), che la data di ricevimento<br />
della fattura non possa essere soggetta ad un accordo contrattuale fra debitore<br />
e creditore: previsione assente nelle relazioni fra imprese.<br />
Non solo. Nelle transazioni fra imprese è prevista, senza bisogno di alcun<br />
sollecito, l’applicazione degli interessi di mora, a differenza di quanto<br />
avviene nelle transazioni fra imprese e pubbliche amministrazioni, in cui<br />
trovano applicazione (parimenti in via automatica) i, diversi, interessi legali<br />
di mora ( 4 ).<br />
( 4 ) Sulla decorrenza automatica degli interessi si veda Sesana, Gli interessi di mora “automatici<br />
”: ratio legis ed implicazioni di bilancio e fiscali in Riv. dott. comm., 2003, p. 293. Sempre<br />
sul tema della decorrenza degli interessi si può notare come sia stata conservata anche dalla<br />
nuova direttiva la casistica già divisata dalla precedente, nonché dal d.lgs. 231/2002 in vigore:<br />
emerge la duplice previsione volta a disciplinare tanto il caso in cui il dies a quo sia certo, tanto<br />
quello in cui risulti incerto. A questo riguardo, in seno all’elaborazione dottrinale sulla vigente<br />
normativa di recepimento, è stato osservato (Scotti, op. cit.,p. 617 ) come il legislatore<br />
utilizzerebbe in modo improprio l’espressione “data certa”, non avendo in mente la nozione<br />
di cui all’art. 2704 c.c., ma intendendo “data provata”. Nel caso in cui la data di ricevimento<br />
della fattura o richiesta equivalente di pagamento non sia “certa”, nel senso chiarito, l’autore<br />
prospetta tre possibilità. La prima, in cui non si riesca ad accertare la data precisa di ricevimento,<br />
ammesso in ogni caso come avvenuto da parte del debitore: in tal caso ritiene non vi<br />
siano particolari problemi, essendo pacifica l’avvenuta ricezione, e che gli interessi decorrano<br />
“dopo trenta giorni dalla data di ricevimento riconosciuta”. La seconda, in cui il creditore non<br />
riesca a provare la trasmissione della fattura al debitore, il quale, dal canto suo, non ammetta<br />
di averla ricevuta: in tal caso, quando il creditore l’abbia effettivamente emessa e debitamente<br />
inserita nelle proprie scritture contabili, scatterà la regola dissuasiva della lettera b) che fa<br />
scadere il termine trenta giorni dopo il ricevimento dei beni o della prestazione dei servizi,<br />
scoraggiando eventuali pratiche dilatorie e scorrette della parte debitrice. La terza possibilità
OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 453<br />
Per quanto attiene poi al tasso di interesse applicabile, esso è fissato in<br />
misura eguale tanto nelle transazioni fra imprese quanto fra queste e le<br />
pubbliche amministrazioni: è quello in vigore il 1° gennaio per il primo semestre<br />
dell’anno di riferimento ed il 1° luglio per il secondo semestre.<br />
I paragrafi di chiusura degli artt. 3 e 4, rispettivamente aventi ad oggetto<br />
le transazioni fra imprese e quelle fra imprese e pubbliche amministrazioni,<br />
contemplano, argomentando a contrario, la derogabilità dei termini di pagamento<br />
stabiliti dalla direttiva in esame.<br />
Al paragrafo 5 dell’art. 3 si legge, infatti, che “gli Stati membri assicurano<br />
che il periodo di pagamento stabilito nel contratto non superi sessanta<br />
giorni di calendario, se non diversamente concordato espressamente nel<br />
contratto e purché ciò non sia gravemente iniquo per il creditore ai sensi<br />
dell’articolo 7”.<br />
Diversamente recita il paragrafo 6 dell’art. 4, a mente del quale “gli Stati<br />
membri assicurano che il periodo di pagamento stabilito nel contratto<br />
non superi il termine di cui al paragrafo 3, se non diversamente concordato<br />
espressamente nel contratto e purché ciò sia oggettivamente giustificato<br />
dalla natura particolare del contratto o da talune sue caratteristiche, e non<br />
superi comunque sessanta giorni di calendario”.<br />
Partendo dall’ultimo caso, relativamente alle transazioni fra le imprese<br />
e le pubbliche amministrazioni, si osserva come la derogabilità della regula,<br />
stabilita analiticamente al paragrafo 3 dell’art. 4, conosca una triplice barriera:<br />
una prima, più debole, rappresentata dalla pattuizione espressa nel contratto;<br />
una seconda, apparentemente più resistente, individuata nella oggettiva<br />
giustificabilità in relazione alle peculiarità del singolo contratto; infine<br />
una terza, più seriamente “ostruttiva”, segnata dalla preclusione ineludibile<br />
dei sessanta giorni.<br />
contempla, infine, l’ipotesi in cui la fattura in effetti non sia stata emessa. Posto il fatto che accanto<br />
alla fattura è stata affiancata una “equivalente richiesta di pagamento”, l’autore osserva<br />
come la Relazione governativa richiedesse, quale presupposto essenziale per la decorrenza<br />
del termine legale, il ricevimento della fattura o richiesta di pagamento, escludendo, dunque,<br />
a contrario, l’applicabilità dei termini previsti dal decreto, in assenza di fattura, quando prescritta<br />
dalla legge tributaria. Tuttavia non ritiene tale soluzione rispondente allo spirito di tutela<br />
del creditore che permea il decreto, tanto più che quest’ultimo non può, a suo dire, “aver<br />
avuto l’effetto di sovvertire la vigente disciplina ordinaria, che non condiziona affatto all’assolvimento<br />
delle prescrizioni tributarie l’azionabilità civilistica dei crediti commerciali e la loro<br />
esigibilità”, dovendosi, invece, ritenere ragionevole la “persistenza di tale ordinario regime<br />
di decorrenza e misura degli interessi sulle prestazioni pecuniarie fatturande e non fatturate,<br />
tanto più che l’art. 11, comma 2, d.lgs. n. 231 del 2002 e l’art. 6, comma 2, della direttiva fanno<br />
salve le vigenti disposizioni più favorevoli al creditore”.
454 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Non sfuggirà, infatti, come la seconda delle condizioni di derogabilità,<br />
postulando la necessità di una motivazione seppur “oggettiva”, connessa<br />
cionondimeno alla specificità della natura o di talune caratteristiche del<br />
contratto, si presti piuttosto facilmente a manipolazioni: si deve tenere a<br />
mente, infatti, che uno dei soggetti coinvolti è la p.a., con tutte le conseguenze<br />
che l’identità stessa del contraente riverbera sulla “persuasività” in<br />
sede di conclusione, ma anche e soprattutto di esecuzione del contratto.<br />
Non a caso la previsione della direttiva, sulla scorta delle considerazioni<br />
svolte al considerando 23, ha introdotto una barriera preclusiva, costituita<br />
dal tetto dei sessanta giorni, assente nei rapporti fra imprese private, ove il<br />
limite invalicabile resta la grave iniquità a nocumento del creditore.<br />
Il maggior rigore applicato nei rapporti privato-pubblica amministrazione<br />
si giustificherebbe, alla luce dei rilievi svolti al menzionato considerando<br />
23 della direttiva, secondo cui la posizione delle pubbliche amministrazioni<br />
risulterebbe ontologicamente privilegiata a monte, stante la maggiore certezza,<br />
prevedibilità e continuità nei flussi di entrate, nonché il diverso e migliore<br />
trattamento nella domanda di liquidità. Last but not least, “per raggiungere<br />
i loro obiettivi, le pubbliche amministrazioni dipendono meno<br />
delle imprese dall’instaurazione di relazioni commerciali stabili”: la conseguenza<br />
di tutti questi fattori porterebbe a concludere che tempi lunghi e ritardi<br />
nei pagamenti da parte delle p.a. sarebbero tanto più ingiustificati<br />
quanto più gravosi per le imprese.<br />
Il paragrafo 5 dell’art. 3, invece, relativo alle transazioni fra imprese, circoscrive<br />
la derogabilità pattizia all’ipotesi in cui l’accordo non risulti gravemente<br />
iniquo per il creditore.<br />
Tale limite si incontra già nel considerando 13 della direttiva, ove al tetto<br />
dei sessanta giorni, fissato “di regola” per i contratti fra imprese, si affianca<br />
l’eccezione ravvisata in quelle circostanze in cui le imprese abbiano una ragione<br />
per applicare termini più lunghi, come nel caso, indicato a titolo<br />
esemplificativo, in cui esse intendano concedere credito commerciale ai<br />
propri clienti.<br />
A questo punto non è chi non veda come il termine di sessanta giorni<br />
venga svuotato di qualunque valenza precettiva, rimanendo in concreto la<br />
più ampia libertà nella determinazione del periodo di pagamento, col solo<br />
argine estremo della grave iniquità per il creditore.<br />
3. – Le clausole e prassi gravemente inique<br />
L’art. 7 della direttiva, rubricato “Clausole contrattuali e prassi inique”<br />
statuisce che “una clausola contrattuale o una prassi relativa alla data o al
OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 455<br />
periodo di pagamento, al tasso dell’interesse di mora o al risarcimento per i<br />
costi di recupero non possa essere fatta valere oppure dia diritto a un risarcimento<br />
del danno qualora risulti gravemente iniqua per il creditore” ( 5 ).<br />
Gli indici di valutazione in ordine alla sussistenza della grave iniquità di<br />
una clausola o di una prassi sono individuati, oltre che nelle generiche circostanze<br />
del caso, in modo puntuale ai casi elencati al paragrafo 1:<br />
alla lettera a) “qualsiasi grave scostamento dalla corretta prassi commerciale,<br />
in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza”;<br />
alla lettera b) “la natura del prodotto o del servizio”;<br />
alla lettera c) “se il debitore abbia qualche motivo oggettivo per derogare<br />
al tasso d’interesse di mora legale, al periodo di pagamento di cui all’arti-<br />
( 5 )A mente dell’articolo 7, primo comma, del d.lgs. 231/2002 “l’accordo sulla data di pagamento,<br />
o sulle conseguenze del ritardato pagamento, è nullo se, avuto riguardo alla corretta<br />
prassi commerciale, alla natura della merce o dei servizi oggetto del contratto, alla condizione<br />
dei contraenti ed ai rapporti commerciali tra i medesimi, nonché ad ogni altra circostanza,<br />
risulti gravemente iniquo in danno del creditore”, dovendosi per tale ritenere, ai sensi<br />
del secondo comma, “l’accordo che, senza essere giustificato da ragioni oggettive, abbia come<br />
obiettivo principale quello di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore,<br />
ovvero l’accordo con il quale l’appaltatore o il subfornitore principale imponga ai propri<br />
fornitori o subfornitori termini di pagamento ingiustificatamente più lunghi rispetto ai termini<br />
di pagamento ad esso concessi”. Il riferimento all’inesistenza di motivi obiettivi per disattendere<br />
la disciplina legale è contenuto nell’art. 3, par. 3 della precedente direttiva, riprodotto<br />
nel secondo comma dell’art. 7 del decreto legislativo 231/2002, che ripropone altresì le stesse<br />
indicazioni del considerando n. 19 della 2000/35. La norma vigente intende controbilanciare<br />
l’autonomia delle parti, concessa a scapito dell’inderogabilità dei limiti fissati, tanto sul fronte<br />
del termine di pagamento quanto su quello del saggio degli interessi, attraverso la previsione<br />
di una nullità parziale, accompagnata da un meccanismo integrativo più articolato di<br />
quello divisato dall’art. 1419, secondo comma del codice. È stato in tal modo tradotto nel nostro<br />
sistema l’obiettivo dell’art. 3, par. 3, della direttiva 2000/35, teso a neutralizzare l’accordo<br />
“gravemente iniquo”. L’utilizzo di questa espressione, in particolare, sarebbe stato frutto di<br />
una specifica opzione lessicale del legislatore, con la quale si sarebbe volutamente evitato di<br />
adottare una terminologia evocativa di altri istituti, quali, in particolare, l’eccessiva onerosità<br />
di cui all’art. 1467 c.c., o la rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. Sul primo versante, come<br />
adeguatamente motivato dalla Relazione governativa, il legislatore di recepimento avrebbe<br />
scelto di mantenere inalterata la scelta lessicale della direttiva comunitaria, riferita agli accordi<br />
“gravemente iniqui”, per scongiurare qualunque suggestione interpretativa tesa a ricollegare<br />
la fattispecie in questione con il rimedio dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, che non<br />
riguarda un abuso originario di un contraente a scapito della controparte, ma un fatto successivo<br />
alla stipulazione del contratto che ne alteri il sinallagma. La Relazione esclude altresì<br />
qualunque collegamento con l’istituto della rescissione per lesione, che pure ha in comune<br />
con la fattispecie in oggetto il fatto di riferirsi ad un vizio genetico incidente sull’equilibrio del<br />
rapporto, suscettibile di essere corretto con la reductio ad aequitatem, a causa della sua incompatibilità<br />
con la rilevabilità d’ufficio, contemplata, invece, dalla norma in esame.
456 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
colo 3, paragrafo 5, all’articolo 4, paragrafo 3, lettera a), all’articolo 4, paragrafo<br />
4, e all’articolo 4, paragrafo 6, o all’importo forfettario di cui all’articolo<br />
6, paragrafo 1”.<br />
Il parallelo con la direttiva del 2000 è inevitabile: l’impronta, come accennato,<br />
risulta evidente, anche se non mancano le differenze.<br />
Anzitutto l’aspetto sistematico: la direttiva 2011/7 riserva una specifica sedes<br />
materiae (articolo 7) alla descrizione delle fattispecie, alle circostanze relative<br />
alla sua valutazione, alle conseguenze ed agli strumenti di contrasto. Diversamente,<br />
la direttiva 2000/35 inseriva la disciplina delle clausole o prassi<br />
gravemente inique in seno a quella, analitica, relativa agli interessi moratori.<br />
In secondo luogo, a fronte della precisa formulazione adottata dalla<br />
nuova direttiva per definire l’oggetto delle clausole o prassi soggette alla valutazione<br />
in termini di grave iniquità, la “sorella maggiore” parlava, invece,<br />
più genericamente, di “accordo sulla data del pagamento o sulle conseguenze<br />
del ritardo di pagamento”.<br />
In entrambe è presente l’invito all’adozione da parte degli Stati membri<br />
di idonei mezzi di contrasto, a tutela dei creditori e della concorrenza, così<br />
come il riferimento all’attribuzione, in capo alle organizzazioni titolari di<br />
un riconoscimento ufficiale di legittimo interesse, della legittimazione a<br />
rappresentare le piccole e medie imprese, nell’art. 3, par. 5, della dir.<br />
2000/35, e le imprese in generale, ai sensi dell’art. 7, par. 5, della 2011/7.<br />
Per la nuova direttiva poi le clausole o prassi gravemente inique non<br />
possono essere fatte valere o danno diritto al risarcimento del danno; nella<br />
precedente, in aggiunta, era contemplata, in esito al positivo accertamento<br />
sulla loro sussistenza, l’applicazione dei termini legali o, in alternativa, la riconduzione<br />
del contratto ad equità ad opera del giudice nazionale (art. 3,<br />
par. 3, della 2000/35): precisazione omessa dalla 2011/7 ( 6 ).<br />
( 6 ) Ai sensi del terzo comma dell’art. 7 del d.lgs. 231/2002 “il giudice, anche d’ufficio, dichiara<br />
la nullità dell’accordo e, avuto riguardo all’interesse del creditore, alla corretta prassi<br />
commerciale ed alle altre circostanze di cui al comma 1, applica i termini legali ovvero riconduce<br />
ad equità il contenuto dell’accordo medesimo”. Il legislatore, dunque, non prevede l’automatica<br />
e indefettibile sostituzione dei termini fissati dall’accordo gravemente iniquo con la<br />
disciplina legale (intesa, chiaramente, come quella introdotta dal decreto), ma attribuisce al<br />
giudice il potere-dovere di applicare, a seconda delle circostanze indicate dal combinato disposto<br />
del primo e terzo comma, ora i termini legali ora una misura diversa che sia in grado di<br />
“ricondurre l’accordo su data di pagamento e conseguenze del ritardo nei termini di un equilibrato<br />
componimento di interessi” (in questi termini De Marzo, op. cit.,p. 1162, il quale sottolinea<br />
come la norma faccia espressamente riferimento alla “corretta” prassi commerciale,<br />
dovendosi pertanto escludere “un acritico recepimento delle pratiche negoziali correnti, che<br />
potrebbero essere il frutto di un generalizzato abuso della libertà contrattuale”).
OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 457<br />
La nuova direttiva, al paragrafo 2 dell’articolo 7, statuisce che la clausola<br />
contrattuale o la prassi che escludano l’applicazione di interessi di mora debbano<br />
considerarsi gravemente inique; il paragrafo 3 postula analoga presunzione<br />
in capo a quelle che escludano il risarcimento dei costi di recupero,<br />
previsto dall’art. 6: si deve notare come nel primo caso la grave iniquità venga<br />
sancita ipso facto, mentre nel secondo caso sia soltanto presunta.<br />
Questa differenza, tutt’altro che trascurabile, pone la diversa valutazione<br />
già operata al considerando 28, ove si legge: “qualsiasi clausola contrattuale<br />
o prassi che si discosti gravemente dalla corretta prassi commerciale e<br />
sia in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza dovrebbe<br />
essere considerata iniqua per il creditore. In particolare, l’esclusione<br />
esplicita del diritto di applicare interessi di mora dovrebbe essere sempre<br />
considerata come gravemente iniqua, mentre l’esclusione del diritto al risarcimento<br />
dei costi di recupero dovrebbe essere presunta tale”. Tale divaricazione<br />
riflette la distinzione fra presunzione iuris et de iure e iuris tantum,<br />
con il corollario dell’impossibilità di fornire prova contraria nel primo caso.<br />
Tale disparità, a prima vista sospetta, se si pone mente alle finalità della<br />
direttiva, può essere giustificata solo alla luce della preoccupazione circa l’aleatorietà<br />
dei costi di recupero, che deve evidentemente aver messo sulla<br />
difensiva un legislatore comunitario sempre teso alla difesa della parte debole<br />
e pur sempre così combattuto dal timore di pagare lo scotto di una<br />
eventuale overprotection.<br />
La debacle è ancor più imbarazzante se si pensa che, sul piano pratico,<br />
sono proprio questi costi ad incentivare le pratiche dilatorie, quando non<br />
quelle di insolvenza, da parte di molti operatori sul mercato, forti per l’appunto<br />
della carica dissuasiva che tali costi rappresentano per un soggetto<br />
non necessariamente “debole”. Si tratta infatti di costi spesso molto ingenti<br />
(in relazione ovviamente all’entità del credito) e sempre certi, in contrapposizione<br />
all’incertezza dell’esito delle procedure di recupero. Questa pericolosa<br />
alea condiziona pesantemente il buon andamento del mercato, assai<br />
più che la carica dissuasiva, pur rispettabile, degli interessi di mora. Quantunque<br />
le fattispecie indicate abbiano tutto l’aspetto di una sorta di black list,<br />
cionondimeno, poi, la presunzione di grave iniquità in capo alla clausola<br />
o prassi volta ad escludere l’applicazione di interessi di mora, a ben guardare,<br />
stride con il contenuto del considerando 16, secondo cui la direttiva “non<br />
dovrebbe obbligare un creditore ad esigere interessi di mora”.<br />
Quest’ultima indicazione è altresì in contrasto con quanto predicato dal<br />
considerando 12, ove, accanto alla riflessione sul fatto che i ritardi nei pagamenti<br />
“costituiscono una violazione contrattuale resa finanziariamente attraente<br />
per i debitori nella maggior parte degli Stati membri dai bassi livelli
458 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
dei tassi degli interessi di mora applicati o dalla loro assenza e/o dalla lentezza<br />
delle procedure di recupero”, campeggia il proclama sulla necessità di<br />
“un passaggio deciso verso una cultura dei pagamenti rapidi, in cui, tra l’altro,<br />
l’esclusione del diritto di applicare interessi di mora sia sempre considerata<br />
una clausola o prassi contrattuale gravemente iniqua, per invertire<br />
tale tendenza e per disincentivare i ritardi di pagamento”.<br />
Il contrasto, più apparente che reale, è probabilmente il frutto del costante<br />
tentativo di contemperare opposte esigenze: l’autonomia contrattuale<br />
da un lato, e la tutela della parte debole dall’altro. Tale bilanciamento, come<br />
quello di altri interessi, viene spesso operato attraverso indicazioni generiche<br />
e prescrizioni volutamente elastiche; ma ancor più spesso, purtroppo,<br />
con un lessico affrettato e dunque foriero di equivoci (per nostra, seppur<br />
magra, consolazione, non solo da parte del legislatore italiano).<br />
4. – Orizzonti di recepimento ed attuazione<br />
Nella prospettiva dell’attuazione da parte del legislatore nazionale, non<br />
si può non ripartire dal già menzionato d.lgs. 231 del 2002, utile sopratutto<br />
per almanaccare sui punti più critici nella trasposizione ed ancor più nella<br />
concreta applicazione della disciplina.<br />
Ad incominciare dal problema della clausola o prassi gravemente iniqua:<br />
l’impossibilità di far valere entrambe si è tradotta, come si è già avuto<br />
modo di osservare, nella sanzione della nullità, comminata dal nostro legislatore<br />
nazionale.<br />
Una nullità parziale ( 7 ), in relazione a cui il terzo comma dell’art. 7 del<br />
decreto attribuisce al giudice il potere di sostituire le clausole dichiarate<br />
nulle, perché gravemente inique in danno del creditore, con altre che riproducano<br />
i termini legali, piuttosto che una misura diversa, ritenuta idonea alla<br />
reductio ad aequitatem ( 8 ): tale potere ha suscitato alcune perplessità in<br />
dottrina, che ne ha definito l’esercizio “inconsueto”, stante la diversità fra<br />
mero rilievo e dichiarazione della nullità, data dal fatto che, mentre il primo<br />
varrebbe “solo quale accertamento incidentale conferente ai fini di una pro-<br />
( 7 )Fra gli altri, Conti, Il D.lgs. n. 231/2002 di trasposizione della direttiva sui ritardati pagamenti<br />
nelle transazioni commerciali, in Corr. giur., 2003, p. 115; Pandolfini, La nullità degli<br />
accordi “gravemente iniqui” nelle transazioni commerciali, in Contratti, 2003, p. 501.<br />
( 8 ) In questi termini, Maffeis, op. cit.,p. 628, per il quale il potere-dovere del giudice di<br />
modificare il contratto sarebbe circoscritto solamente alla parte relativa al termine di pagamento<br />
e/o alle conseguenze del suo ritardo (conformemente anche De Cristofaro, Obbligazioni<br />
pecuniarie e contratti d’<strong>impresa</strong>: i nuovi strumenti di “lotta” contro i ritardi nel pagamento<br />
dei corrispettivi di beni e servizi, in Studium iuris, 2003, p. 13).
OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 459<br />
nuncia su di una domanda proposta dalle parti”, la seconda implicherebbe<br />
una vera e propria deroga al principio ne procedat iudex ex officio ( 9 ).<br />
Tuttavia non è sfuggita alla stessa dogmatica l’utilità della soluzione<br />
adottata dal legislatore che, attraverso la dichiarazione d’ufficio, consente di<br />
eludere il sistema di decadenze e preclusioni, che avrebbe impedito alle<br />
parti, una volta decadute dal potere di eccepire e domandare, di sollecitare<br />
un intervento correttivo delle distorsioni dell’autonomia privata.<br />
Certo è che, in assenza dell’impulso di parte, anche i poteri attribuiti al<br />
giudice finiscono con l’essere svuotati di contenuto, stante la difficoltà di individuare<br />
i presupposti per far valere la nullità di un accordo, in assenza di<br />
alcuna collaborazione della parte che subisce l’abuso, attraverso la comprovata<br />
presentazione degli elementi richiesti dal decreto come indici di grave<br />
iniquità dello stesso. Non è raro, infatti, che il creditore accetti obtorto collo<br />
termini di pagamento o tassi di interesse “gravemente iniqui”, pur di mantenere<br />
buoni rapporti con la controparte, soprattutto quando quest’ultima<br />
rappresenti un partner commerciale irrinunciabile. Cionondimeno è apprezzabile<br />
la soluzione adottata dal decreto in oggetto, che permette al creditore<br />
“vessato” di reagire, evitando decadenze e preclusioni, quando possa<br />
o voglia permettersi il lusso di perdere il cliente.<br />
Si direbbe poi che tale nullità debba considerarsi operante indipendentemente<br />
dall’animus nocendi, dal dolo specifico del debitore, in quanto l’espressione<br />
“obiettivo principale” di cui al secondo comma equivarrebbe a<br />
quella “per oggetto o per effetto” diffusa nell’ambito delle discipline di derivazione<br />
comunitaria, sicchè andrebbe considerato, come elemento dequalificante<br />
dell’esercizio di un diritto, che lo renda abusivo, non tanto l’animus<br />
nocendi, quanto piuttosto la contrarietà all’ordine pubblico, nello specifico<br />
caso che ci interessa, all’ordine pubblico economico ( 10 ).<br />
La dogmatica si è inoltre cimentata sul dubbio se, nella disciplina de<br />
( 9 ) Di quest’avviso Scotti, op. cit.,p. 622.<br />
( 10 ) Secondo Bastianon, op. cit.,p. 401, la valutazione sull’iniquità degli accordi ai sensi<br />
dell’art. 7 del decreto in oggetto prescinderebbe dalla valutazione, fra le altre cose, della reale<br />
possibilità per la parte che subisce l’iniquità dell’accordo di reperire alternative soddisfacenti,<br />
in palese contrasto con quanto sostenuto da De Marzo, op. cit.,p. 1162, il quale ricollega la<br />
difficoltà di giudicare la grave iniquità dell’accordo ai problemi operativi riscontrati in relazione<br />
ai parametri di valutazione adottati in ordine alla verifica sulla sussistenza dell’abuso di<br />
dipendenza economica, piuttosto che della gross disparity di cui all’art. 3.10 dei principi UNI-<br />
DROIT. Sull’argomento si vedano, tra gli altri, Timoteo, Nuove regole in materia di squilibrio<br />
contrattuale: l’art. 3.10 dei principi UNIDROIT, in questa rivista, 1997, p. 141; Pontiroli, La<br />
protezione del “contraente debole” nei principles of international commercial contracts di UNI-<br />
DROIT: much ado about nothing, in Giur. comm.,1997, I, p. 566.
460 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
qua, si tratti di nullità assoluta o relativa. Invero, come perspicuamente<br />
messo in rilievo ( 11 ), il tema della legittimazione è diventato assai più ricorrente<br />
di quanto non fosse in passato, allorché il disposto dell’art. 1421 c.c. tagliava<br />
fuori ogni discussione, attraverso la generale previsione secondo cui<br />
“salvo diverse disposizioni di legge, la nullità può essere fatta valere da<br />
chiunque vi ha interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice”.<br />
Recentemente la legittimazione relativa viene sempre più spesso caldeggiata<br />
in ossequio all’interesse della parte protetta, anche se non manca,<br />
al riguardo, lo scetticiscmo della dottrina che sposa la causa della nullità assoluta,<br />
nell’ottica, di interesse pubblico, di garantire la più ampia repressione<br />
del contratto, quando sia contrario all’ordine pubblico ( 12 ).<br />
In questa prospettiva, viene messo in rilievo come la tutela non si incentri<br />
sulla dichiarazione di nullità tout court, ma sulla conservazione del contratto<br />
depurato dalla clausola nulla; per questo motivo non importerebbe tanto l’identità<br />
del soggetto che fa valere la nullità, quanto piuttosto la circostanza per<br />
cui, trattandosi di nullità parziale (questa sì indispensabile per evitare di avvantaggiare<br />
la parte “sbagliata”), il giudice, dichiarata la nullità d’ufficio o su<br />
istanza di parte (sia essa il creditore o il debitore), applicherà i termini legali o<br />
ricondurrà ad equità il contenuto dell’accordo.<br />
( 11 ) Maffeis, op. cit.,p. 629, il quale sottolinea come il proliferare della nullità come strumento<br />
di difesa di una parte (quella contrattualmente più debole, o comunque ritenuta dall’ordinamento<br />
bisognosa di una specifica tutela) abbia condizionato sempre più la valutazione<br />
dell’istituto in termini di nullità relativa, proprio per scongiurare l’eventualità di avvantaggiare<br />
proprio il contraente dal quale la parte debole dovrebbe essere protetta. Si muove in<br />
quest’ottica Roppo, Il contratto, Milano, 2001, p. 843, secondo cui si dovrebbe “considerare la<br />
nullità come relativa, anche in mancanza di espressa qualificazione in tal senso” per i motivi<br />
già esposti, e, in relazione a talune recenti discipline (quali quelle in ambito di multiproprietà<br />
o vendita fuori dai locali commerciali), “anche se le norme tacciono sul punto, sarebbe assurdo<br />
se di queste nullità potesse profittare il venditore, interessato a cancellare il contratto, contro<br />
il compratore interessato invece a conservarlo”. Si veda anche La Spina, La nullità relativa<br />
degli accordi in materia di ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in Rass. dir.<br />
civ., 2003, p. 117.<br />
( 12 ) Gentili, Nullità annullabilità inefficacia (nella prospettiva del diritto europeo), in Contratti,<br />
2003, p. 204, il quale osserva come il fatto che la legittimazione sia assoluta non comporta<br />
che la nullità possa essere fatta valere senza limiti: questa non potrà essere fatta valere<br />
qualora manchi il requisito dell’interesse ad agire, invitando dunque a non “confondere la logica<br />
della legittimazione e quella dell’interesse (concreto)”. Sostiene, invece, che “la legittimazione<br />
assoluta (normalmente propria delle ipotesi codicistiche) non trova ragione esclusiva<br />
nell’interesse individuale di tutte le parti all’accertamento della nullità, interesse che nei<br />
fatti può anche mancare, ma nel suo collegamento con l’ordine pubblico” e dunque sarebbe<br />
“per favorire la più ampia repressione del contratto contrario all’ordine pubblico che la legittimazione<br />
d’uso non subisce restrizioni”.
OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 461<br />
La possibilità per il giudice, dichiarata la nullità, d’ufficio o su istanza di<br />
parte, di decidere d’ufficio nell’ultimo dei due sensi indicati rappresenta un<br />
quid novi rispetto alla disciplina generale della riconduzione ad equità, la<br />
cui applicazione presuppone la domanda di una delle parti (si pensi alla riconduzione<br />
ad equità del contratto rescindibile ai sensi dell’art. 1450 c.c., o<br />
ancora del contratto soggetto a risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta,<br />
secondo quanto disposto dall’art. 1467, terzo comma, c.c.). La riconduzione<br />
ad equità di cui all’art. 7 del decreto in oggetto si distingue altresì,<br />
per lo stesso aspetto, dalla disciplina dettata in materia di gross disparity<br />
dall’art. 3.10 dei Principi Unidroit.<br />
Ulteriore elemento inedito è la circostanza che la riconduzione ad equità<br />
“segua” e “non preceda”, o meglio, “tenga il luogo” della dichiarazione di nullità.<br />
La prima, infatti, non presuppone la seconda, anzi la esclude ( 13 ). In questa<br />
prospettiva, non si tratterebbe di “equità integrativa, cioè di giustizia del<br />
caso concreto”, ma piuttosto “dell’equità come sanzione dello squilibrio,<br />
ispirata all’equilibrio fra le posizioni dei contraenti, all’equo contemperamento<br />
degli interessi in gioco, che nel decreto 231 riflette la corretta prassi<br />
commerciale” ( 14 ).<br />
Un diverso filone interpretativo ha ritenuto che, in seguito alla dichiarazione<br />
di nullità della clausola sulla data di pagamento o sulle conseguenze<br />
del ritardo, il giudice possa sostituirla con lo ius dispositivum ovvero con<br />
un’altra più sfavorevole per il debitore, ma non più favorevole per il creditore<br />
di quanto stabilito dal decreto. Il potere del giudice di modificare la<br />
clausola gravemente iniqua per il creditore incontrerebbe, pertanto, il limite<br />
previsto dal decreto a suo vantaggio, spaziando solo nella fascia compresa<br />
fra i termini stabiliti dall’accordo (e giudicati gravemente iniqui) e quelli<br />
fissati dal decreto (invalicabili a favore del creditore, in quanto indicati come<br />
tetto massimo in suo favore) ( 15 ).<br />
( 13 ) Si è sostenuto (Maffeis, op. cit., pp. 630-631) che l’accostamento della riconduzione<br />
ad equità alla dichiarazione di nullità sarebbe “un’inesattezza che l’interprete deve eliminare”<br />
per evitare possibili fraintendimenti. L’autore maliziosamente sospetta che diversamente “un<br />
giudice che non sappia resistere alle tentazioni che gli offre un legislatore distratto” potrebbe<br />
arrivare ad argomentare che, dovendo la riduzione ad equità precedere e non seguire la nullità,<br />
l’art. 7 vada interpretato “nel senso che la riconduzione ad equità opera su istanza di parte<br />
escludendo la nullità e la conseguente applicazione dei termini legali e che solo in difetto di<br />
istanza di parte opera il rilievo d’ufficio della nullità con la conseguente applicazione dei termini<br />
legali”.<br />
( 14 ) Maffeis, op. loc. cit.<br />
( 15 ) In questo senso De Cristofaro, op. cit.,p. 13, secondo cui il giudice, accertata l’iniquità<br />
dell’accordo, avrebbe “il potere-dovere di modificarne i contenuti, sostituendo le rego-
462 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Secondo un diverso orientamento, invece, il giudice, dichiarata la nullità<br />
dell’accordo gravemente iniquo, può scegliere una misura diversa da<br />
quella stabilita dallo ius dispositivum tanto al di sopra quanto al di sotto della<br />
soglia fissata dal decreto stesso ( 16 ).<br />
Si può infine osservare al riguardo come, a differenza dell’applicazione<br />
della disciplina legale dispositiva che, contenendo già la regola ispirata all’equo<br />
contemperamento degli interessi in gioco, non solleva particolari problemi<br />
interpretativi, la riconduzione ad equità, viceversa, apra la strada a soluzioni<br />
differenti, che non favoriscono di certo l’uniformazione del diritto<br />
privato europeo, come invece auspicato già dalla stessa direttiva 2000/35/<br />
CE e nuovamente dalla 2011/7.<br />
Sempre nell’ottica dell’attuazione merita di essere segnalata, per la portata<br />
innovativa, l’esplicita attenzione, riservata dall’art. 8 della 2011/7, per la<br />
“trasparenza e sensibilizzazione”, con la previsione dell’obbligo, in capo<br />
agli Stati membri, da un lato, di assicurare la diffusione dei contenuti trattati,<br />
attraverso la pubblicità su carta stampata e per via telematica; dall’altro<br />
l’invito espresso a creare “codici di pagamento rapido che prevedano termini<br />
di pagamento chiaramente definiti e un adeguato procedimento per trattare<br />
tutti i pagamenti oggetto di controversia o qualsiasi altra iniziativa che<br />
affronti la questione cruciale dei ritardi di pagamento e contribuisca a sviluppare<br />
una cultura di pagamento rapido, a sostegno dell’obiettivo della<br />
presente direttiva”.<br />
Sia consentito, al riguardo, esprimere le più ampie riserve sul piano pratico,<br />
stante il cuore del problema, a parere di chi scrive, non tanto nel deficit<br />
di informazione o di consapevolezza (avuto riguardo, in particolare, all’identità<br />
dei soggetti cui la disciplina si rivolge, che sono, o quantomeno<br />
avrebbero il dovere di essere, adeguatamente informati in ragione del ruolo<br />
svolto) quanto piuttosto nell’efficacia deterrente delle sanzioni.<br />
Non si raggiungerà facilmente l’obiettivo di edificare una “cultura” dei pagamenti,<br />
come ambiziosamente (o forse ingenuamente) auspicato dall’art. 8<br />
le pattizie con regole diverse e identiche a quelle stabilite dal decreto ovvero meno favorevoli<br />
per il creditore rispetto a quelle dettate dal decreto, ma più sfavorevoli per il debitore rispetto<br />
a quelle contemplate dall’accordo risultato gravemente iniquo”. Questo orientamento<br />
rispecchia quello adottato dalla legge belga di recepimento della direttiva 2000/35/CE, la quale<br />
prevedeva espressamente che il giudice non potesse applicare in via di equità condizioni<br />
più favorevoli per il creditore di quelle previste nella legge.<br />
( 16 ) Secondo Pandolfini, op. cit., p. 501, “il giudice, nel ricondurre ad equità il regolamento<br />
contrattuale, anziché applicare la disciplina legale, potrebbe decidere di applicare una<br />
disciplina ancor più severa di quella legislativa nei confronti del debitore”.
OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 463<br />
della direttiva, fin tanto che la convenienza nell’adozione delle pratiche oggetto<br />
di contrasto supererà di gran lunga la dissuasività delle sanzioni, a causa, da<br />
un lato, dell’elasticità del momento precettivo, che si presta ad eccessive zone<br />
d’ombra in cui la tassatività della regula fissata dalla disciplina cede inesorabilmente<br />
terreno all’autonomia negoziale; dall’altro, alla durata delle tempistiche,<br />
all’ammontare dei costi di recupero e soprattutto all’aleatorietà sugli esiti:<br />
non è un mistero che, molto spesso, tali fattori, unitamente alle reali prospettive<br />
di soddisfazione del credito, scoraggino i creditori dall’intraprendere<br />
qualunque iniziativa atta a far valere le proprie legittime pretese, a fronte di un<br />
elevato rischio di nuova ed ulteriore esposizione (quando si tratta di crediti di<br />
modesta entità non è anzi infrequente che il creditore preferisca precludersi il<br />
recupero o tolleri un soddisfacimento “in tempi biblici”, piuttosto che adire<br />
l’Autorità giudiziaria, sopportandone i relativi costi, al fine di ottenere un titolo<br />
esecutivo che, in mancanza di beni da aggredire, non ha alcuna prospettiva<br />
di soddisfacimento, neppure parziale).<br />
Più interessante, invece, la prospettiva del ruolo che potrebbe assumere<br />
la mediazione di cui al considerando 34, che, pur senza risolvere il problema,<br />
può cionondimeno rappresentare un valido strumento di supporto alla<br />
soluzione di controversie che, in mancanza, graverebbero sugli ingranaggi<br />
(in <strong>Italia</strong> già piuttosto appesantiti) della macchina giudiziaria.<br />
Il condizionale è ancora una volta d’obbligo, purtroppo, avuto riguardo<br />
alla morfologia che l’istituto va assumendo nel nostro Paese. A prescindere<br />
dalle aspirazioni de iure condendo, trascorsa l’attuale fase di “collaudo”, affronterà<br />
de iure condito il saggio di valutazione sulla reale potenzialità deflattiva<br />
del contenzioso giudiziario, oltre che, e soprattutto, il più severo<br />
esame di idoneità quale strumento di soluzione delle controversie ( 17 ).<br />
Andrea Canavesio<br />
( 17 ) Sono state sollevate numerose (serie e fondate, a parere di chi scrive) riserve sulla efficacia,<br />
ma soprattutto sulla idoneità dell’istituto a dirimere controversie, specie quando particolarmente<br />
complesse. Le perplessità si sono addensate soprattutto sull’identikit del mediatore,<br />
che non offre particolari garanzie né sul piano della preparazione giuridica (un corso da mediatore<br />
professionale non trasforma un individuo che non ha mai visto un codice in vita sua in un<br />
giurista) né sul fronte della serietà ed affidabilità in relazione alla delicatezza del ruolo svolto.<br />
Se a taluno è parso trattarsi di una mera spinta di difesa corporativa, cionondimeno il<br />
dubbio circa l’adeguatezza dell’istituto alla soluzione di questioni giuridiche spesso particolarmente<br />
complesse e delicate resta; così come il fondato timore di consegnare de facto l’amministrazione<br />
della giustizia civile nelle mani di soggetti privi di un indispensabile background<br />
formativo ma, ancor peggio, interessati a non far mai arrivare la controversia nelle aule<br />
di giustizia.
La legge comunitaria 2010<br />
1. – L’articolato del provvedimento legislativo<br />
Il disegno di legge comunitaria 2010 è stato approvato dal Senato nella<br />
seduta del 2 febbraio 2011 (atto Senato 2322-A) e poi, trasmesso alla Camera<br />
dei deputati, ha concluso il 13 aprile in prima lettura il suo iter in Commissione<br />
(atto Camera 4059) ( 1 ).<br />
Il provvedimento, che è stato esaminato congiuntamente alla Relazione<br />
sulla partecipazione dell’<strong>Italia</strong> all’Unione europea relativa all’anno 2009, è<br />
stato modificato nel corso dell’esame al Senato: consta attualmente di diciotto<br />
articoli, suddivisi in due Capi, nonché di due allegati, A e B, i quali<br />
noverano le direttive (rispettivamente quattro nell’allegato A e ventisei direttive<br />
nell’allegato B) da recepire mediante decreti legislativi.<br />
Ciò premesso è opportuno precisare che la struttura del disegno di legge<br />
qui considerato non si discosta molto nelle linee direttrici dalle cinque<br />
precedenti leggi comunitarie.<br />
L’art. 1 conferisce difatti una delega al Governo per l’attuazione delle direttive<br />
comunitarie riportate negli allegati A e B al provvedimento che ci occupa<br />
e stabilisce i termini e le modalità di emanazione dei decreti legislativi<br />
attuativi introducenti normative organiche.<br />
Tra le diverse previsioni dettate dall’art. 1, è importante specificare che l’art.<br />
1, comma 1°, non individua il termine generale per l’esercizio della delega mediante<br />
indicazione di una data fissa o di un periodo uniforme per tutte le direttive<br />
comprese negli allegati succitati, ma introduce un termine flessibile: ciascuna<br />
direttiva elencata negli allegati A e B dovrà essere attuata nel termine di<br />
due mesi antecedenti quello di recepimento previsto dalla direttiva stessa ( 2 ).<br />
Accanto al termine generale flessibile, il comma 1° dispone anche, segnatamente,<br />
in ordine da un lato alle direttive comprese negli allegati A e B<br />
il cui termine di recepimento (individuato nella maniera suddetta) sia già<br />
scaduto ovvero scada nei tre mesi successivi all’entrata in vigore del provvedimento<br />
in esame e, in questo caso, il termine della delega è di tre mesi<br />
dalla data di entrata in vigore della legge comunitaria 2010; dall’altro lato in<br />
ordine alle direttive comprese negli allegati A e B che non prevedono un<br />
( 1 ) Si specifica che a fine maggio – mentre si licenziano le bozze – il disegno di legge è ancora<br />
in stato di relazione.<br />
( 2 ) Anche le ultime tre leggi comunitarie prevedevano un termine flessibile, ma lo facevano<br />
coincidere con il termine di recepimento di ciascuna delle direttive medesime.
OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 465<br />
termine di recepimento e, in questa seconda ipotesi, il termine della delega<br />
è di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge in questione.<br />
L’art. 2 detta poi i princìpi e i criteri direttivi generali della delega legislativa,<br />
in conformità a quanto statuito nelle precedenti leggi comunitarie.<br />
Proseguendo nell’esame del testo, a mente dell’art. 3 del disegno di legge<br />
in commento, viene altresì conferita una delega al Governo per l’introduzione<br />
di un trattamento sanzionatorio per le violazioni di obblighi discendenti<br />
da direttive attuate, ai sensi delle leggi comunitarie vigenti, in via<br />
regolamentare o amministrativa (ossia per via non legislativa) ai sensi delle<br />
leggi comunitarie vigenti; oppure discendenti da regolamenti comunitari<br />
già pubblicati alla data di entrata in vigore della legge comunitaria per i quali<br />
però non siano già previste sanzioni penali o amministrative.<br />
L’art. 4 detta disposizioni circa gli oneri derivanti dalle prestazioni e dai<br />
controlli che gli uffici pubblici sono chiamati a sostenere in applicazione<br />
della normativa comunitaria.<br />
Similmente alla legge comunitaria 2009, l’art. 5 conferisce una delega al<br />
Governo per l’adozione di testi unici o codici di settore delle disposizioni<br />
dettate in attuazione delle deleghe conferite dal disegno di legge in esame<br />
per il recepimento di direttive comunitarie, con lo scopo di coordinare tali<br />
disposizioni con quelle vigenti nelle stesse materie.<br />
L’art. 6 – novellando l’art. 1, comma 409°, legge finanziaria 2006, l. 23 dicembre<br />
2005, n. 266, e successive modificazioni – riformula la disciplina di<br />
alcuni oneri finanziari a carico dei soggetti produttori o distributori di dispositivi<br />
medici (compresi i dispositivi medico-diagnostici in vitro e i dispositivi<br />
su misura).<br />
Degno di particolare nota è l’art. 7 che, inserito durante l’esame del provvedimento<br />
al Senato, interviene modificando il codice del consumo, d. lgs. 6<br />
settembre 2005, n. 206, in punto commercializzazione a distanza di servizi finanziari.<br />
Anzitutto a mente dell’art. 7, comma 1°, lettera a) – novellando l’art. 67-<br />
quinquies, comma 1°, lettera b), c. cons. – si modifica la disciplina delle informazioni<br />
precontrattuali da fornire al consumatore, in particolare quelle relative<br />
al fornitore di servizi finanziari oggetto di commercializzazione( 3 ).<br />
( 3 ) Si tenga a mente che l’art. 67-quater c. cons. precisa quali informazioni devono essere<br />
obbligatoriamente fornite al consumatore nella fase delle trattative e, comunque, prima che<br />
sia vincolato da un contratto a distanza o da un’offerta. Segnatamente le informazioni riguardano<br />
il servizio finanziario offerto, il contratto a distanza, il ricorso e il soggetto fornitore dei<br />
servizi commercializzati. Il contenuto dell’informativa sul fornitore è poi dettagliato dal successivo<br />
art. 67-quinquies c. cons.
466 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
Nella formulazione vigente, il comma 1°, lettera b), art. 67-quinquies<br />
prescrive che l’informativa sul fornitore indichi l’identità del rappresentante<br />
del fornitore stabilito in <strong>Italia</strong> e l’indirizzo geografico rilevante nei<br />
rapporti tra consumatore e rappresentante, quando tale rappresentante<br />
esista. Con la previsione della legge comunitaria in commento si statuisce<br />
che venga resa nota l’identità del rappresentante del fornitore stabilito<br />
nello Stato membro di residenza del consumatore, oltre – come già attualmente<br />
previsto – all’indirizzo geografico rilevante nei rapporti tra consumatore<br />
e rappresentante: la ratio della disposizione si evince dalla natura<br />
intrinseca dei contratti a distanza, dal momento che è anche possibile<br />
che lo Stato membro di residenza del consumatore non coincida con il<br />
territorio italiano.<br />
In seconda battuta l’art. 7, comma 1°, lettera b) interviene sulla casistica di<br />
esclusione dell’applicazione del diritto di recesso in capo al consumatore,<br />
modificando nel dettaglio l’art. 67-duodecies, comma 5°, lettera c) c. cons ( 4 ). Il<br />
comma 5° disciplina proprio le ipotesi di non applicazione del diritto di recesso<br />
e, segnatamente, la vigente formulazione della sua lettera c) dispone<br />
che esso non operi per i contratti interamente eseguiti da entrambe le parti<br />
su esplicita richiesta scritta del consumatore – prima che questi eserciti il<br />
suo diritto di recesso – e per i contratti di assicurazione obbligatoria per i<br />
danni derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, per i<br />
quali si sia verificato l’evento assicurato.<br />
Con la modifica prevista dall’art. 7 della legge comunitaria viene espunto<br />
dalla richiamata lettera c) il riferimento ai contratti di assicurazione obbligatoria<br />
della responsabilità civile per i danni derivanti dalla circolazione<br />
dei veicoli a motore e dei natanti: troverà dunque applicazione la disciplina<br />
sul diritto di recesso del consumatore.<br />
Da ultimo l’art. 7, comma 1°, lettere c) e d) interviene sulla disciplina del<br />
( 4 ) Ai sensi dell’art. 67-duodecies c. cons., infatti, il consumatore può recedere dal contratto,<br />
senza penali e senza dover specificare il motivo, entro quattordici giorni (estesi a trenta<br />
giorni per i contratti a distanza aventi per oggetto le assicurazioni sulla vita e le operazioni<br />
aventi ad oggetto gli schemi pensionistici individuali). Tale termine decorre, alternativamente,<br />
dalla data della conclusione del contratto (tranne nel caso delle assicurazioni sulla vita, per<br />
cui decorre dal momento in cui al consumatore è comunicato che il contratto è stato concluso)<br />
o dalla data in cui il consumatore riceve le condizioni contrattuali e le altre informazioni<br />
di legge, ove la citata data sia successiva alla conclusione del contratto. L’efficacia dei contratti<br />
relativi ai servizi di investimento è sospesa durante la decorrenza del termine previsto per<br />
l’esercizio del diritto di recesso. Se intende recedere, il consumatore è tenuto a inviare apposita<br />
comunicazione scritta al fornitore.
OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 467<br />
pagamento del servizio fornito prima del recesso, novellando rispettivamente<br />
i commi 4° e 5° dell’art. 67-terdecies c. cons ( 5 ).<br />
Il comma 4°, art. 67-terdecies, nella sua attuale formulazione, concede al<br />
fornitore un termine pari a quindici giorni per rimborsare tempestivamente<br />
al consumatore tutti gli importi da questo versatigli in conformità del contratto<br />
a distanza, salvo l’importo del servizio effettivamente prestato prima<br />
del perfezionamento del diritto di recesso. Per effetto del disposto del comma<br />
1°, lettera c), art. 7 ora in esame, il fornitore è obbligato ad effettuare il<br />
rimborso degli importi dovuti in conformità del contratto « quanto prima, e<br />
al più entro trenta giorni ». Il comma 5°, art. 67-terdecies c. cons., nella formulazione<br />
vigente, prescrive invece che il consumatore recedente sia tenuto<br />
altresì – oltre al pagamento del servizio effettivamente prestato – a restituire<br />
qualsiasi bene o importo che abbia ricevuto dal fornitore entro quindici<br />
giorni dall’invio della comunicazione di recesso. Con le modifiche apportate<br />
dalla legge comunitaria 2010 (art. 7, comma 1°, lettera d)), il consumatore<br />
è tenuto a effettuare la restituzione « quanto prima, e al più entro trenta<br />
giorni ».<br />
Continuando l’analisi del testo della legge comunitaria 2010, l’art. 8 reca<br />
i principi e i criteri direttivi per l’attuazione della direttiva 2009/65/CE<br />
(noverata nell’allegato B del provvedimento in discussione) concernente il<br />
coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative<br />
in materia di taluni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari<br />
(cd. OICVM). La presente direttiva rifonde la direttiva sugli organismi<br />
di investimento collettivi in valori mobiliari (OICVM), che era stata<br />
oggetto di numerose modifiche e che richiedeva alcuni miglioramenti. Nel<br />
fissare le norme applicabili a questi organismi, la direttiva del 2009 mira anzitutto<br />
a rendere maggiormente efficiente il mercato dei fondi di investimento.<br />
L’art. 9 riconosce al territorio di « Roma Capitale » la qualifica di livello<br />
( 5 ) L’art. 67-terdecies c. cons. prescrive che il consumatore esercitante il diritto di recesso<br />
paghi solo l’importo del servizio finanziario effettivamente prestato dal fornitore conformemente<br />
al contratto a distanza; l’esecuzione del contratto può iniziare solo previa richiesta del<br />
consumatore. L’importo da pagare non può eccedere un importo proporzionale all’importanza<br />
del servizio già fornito in rapporto a tutte le prestazioni previste dal contratto a distanza e<br />
non deve essere di entità tale da poter costituire una penale. Al fine di esigere il pagamento, il<br />
fornitore deve poter provare che il consumatore è stato debitamente informato dell’importo<br />
dovuto; in nessun caso può esigere tale pagamento se ha dato inizio all’esecuzione del contratto<br />
prima della scadenza del periodo di esercizio del diritto di recesso, senza che vi fosse<br />
una preventiva richiesta del consumatore.
468 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
NUTS 2, nell’ambito della nomenclatura europea delle unità territoriali per<br />
la statistica ( 6 ).<br />
In altro ambito l’art. 10 delega il Governo ad adottare un decreto legislativo<br />
per il riordino della professione di guida turistica, disciplinando i titoli<br />
ed i requisiti per il suo esercizio.<br />
L’art. 11, comma 1°, statuisce la delega per l’attuazione delle direttive<br />
(contenute nell’allegato B del provvedimento in esame) 2009/136/CE e<br />
2009/140/CE in materia di comunicazioni elettroniche ( 7 ). Tra le diverse<br />
previsioni del citato art. 11, va ricordato che il comma 2°, individua gli atti<br />
normativi nazionali destinati ad essere oggetto di modifiche ed integrazioni:<br />
il codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al d. lgs. n. 259 del<br />
2003; il codice in materia di protezione dei dati personali, d. lgs. n. 196 del<br />
2003 e, infine, il d. lgs. n. 269 del 2001 sulle apparecchiature radio ed i terminali<br />
di telecomunicazione.<br />
Meritevole di particolare considerazione è, ancora, l’art. 12 che delega il<br />
Governo ad introdurre il contratto di fiducia nell’ordinamento giuridico nazionale<br />
e, in particolare, ad adottare uno o più decreti legislativi recanti la<br />
disciplina del citato istituto, che si intende inserire nell’ambito del Codice<br />
civile, all’interno del Titolo III (Dei singoli contratti) del Libro IV (Delle Obbligazioni)<br />
( 8 ).<br />
( 6 ) Con l’acronimo NUTS viene indicata la classificazione statistica comune delle unità<br />
territoriali, istituita dal Regolamento CE 1059/2003 al fine di consentire la raccolta, la compilazione<br />
e la diffusione di statistiche regionali armonizzate nella Comunità.<br />
( 7 ) Dir. 2009/136/CE, in G.U.C.E., L 337/11, 18.12.2009 e Dir. 2009/140/CE, in G.U.C.E.,<br />
L 337/37, 18.12.2009. Si tenga a mente che la direttiva 2009/136/CE intende aggiornare il quadro<br />
normativo per le comunicazioni elettroniche in <strong>Europa</strong>. Muovendo in tale direzione essa<br />
modifica sia la direttiva 2002/22/CE relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in<br />
materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica, sia la direttiva 2002/58/CE relativa al<br />
trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni<br />
elettroniche, nonché il regolamento CE 2006/2004 sulla cooperazione tra le autorità nazionali<br />
responsabili dell’esecuzione della normativa a tutela dei consumatori. Allo stesso modo la<br />
direttiva 2009/140/CE interviene sulle tre direttive del cd. “Pacchetto telecom” il quale disciplina<br />
il settore delle comunicazioni elettroniche. Dunque l’atto legislativo europeo da ultimo<br />
citato modifica la direttiva 2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti<br />
ed i servizi di comunicazione elettronica, 2002/19/CE relativa all’accesso alle reti di comunicazione<br />
elettronica e alle risorse correlate, e all’interconnessione delle medesime e, infine,<br />
modifica anche la direttiva 2002/20/CE relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione<br />
elettronica.<br />
( 8 ) Si precisa che la norma in esame riproduce quasi letteralmente l’art. 1 dell’A.S. n.<br />
2284, recante « Delega al Governo per apportare modifiche al codice civile in materia di disciplina<br />
della fiducia e del contratto autonomo di garanzia, nonché modifica della disciplina del-
OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 469<br />
Pertanto con la nuova disciplina dovrà realizzarsi il necessario coordinamento<br />
con le altre disposizioni vigenti anche tributarie (art. 12, comma 2°).<br />
L’introduzione del nuovo istituto giuridico si rende necessaria in considerazione<br />
della crescente domanda di prestazioni legali inerenti operazioni<br />
fiduciarie registrata dal mercato italiano nell’ultimo decennio; una domanda<br />
che si è per lo più tradotta nella ricerca di soluzioni basate sul ricorso all’istituto<br />
del trust, compresa la dibattuta questione – con alcune prime pronunce<br />
di merito affermative – consistente nella possibilità di riconoscere<br />
trust interni, ovvero costituiti da cittadini italiani, con beni situati in <strong>Italia</strong> e<br />
a favore di beneficiari italiani. Tra le previsioni dell’art. 12, il comma 6° prescrive<br />
ulteriori principi e criteri direttivi per l’attuazione della delega entro i<br />
quali conviene anticipare che il legislatore si premura di definire il contratto<br />
di fiducia ( 9 ), la forma per atto pubblico o scrittura privata autenticata a pena<br />
di nullità, nonché gli effetti della separazione patrimoniale, della surrogazione<br />
del fiduciario e dell’opponibilità del contratto ai terzi ed ai creditori<br />
mediante idonee formalità pubblicitarie riguardanti i diritti ed i beni che<br />
costituiscono oggetto della fiducia.<br />
Portando avanti la presentazione del testo della legge comunitaria<br />
2010, è opportuno richiamare ancora due norme. L’art. 15, inserito durante<br />
l’esame del provvedimento al Senato, prevede specifici principi e criteri<br />
direttivi per il recepimento della direttiva 2010/23/UE che modifica la<br />
direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore<br />
aggiunto per quanto concerne l’applicazione facoltativa e temporanea del<br />
meccanismo dell’inversione contabile (cd. reverse charge) alla prestazione<br />
di determinati servizi a rischio di frodi ( 10 ). L’art. 16 poi contiene disposizioni<br />
in materia di trasferimenti all’interno dell’Unione europea di prodotti<br />
per la difesa in una nuova logica di semplificazione amministrativa e<br />
organizzativa, come pure di responsabilizzazione delle imprese operanti<br />
nel settore.<br />
l’adempimento, della clausola penale, della conclusione del contratto e del codice del consumo<br />
in materia di disciplina del credito al consumo », assegnato alla Commissione Giustizia il<br />
3 agosto 2010 ed il cui esame non risulta ad oggi ancora iniziato.<br />
( 9 ) Ovvero il contratto con cui il fiduciante trasferisce diritti, beni o somme di denaro specificamente<br />
individuati in forma di patrimonio separato ad un fiduciario che li amministra, secondo<br />
uno scopo determinato, anche nell’interesse di uno o più beneficiari determinati o determinabili.<br />
( 10 ) Sul tema si tornerà nel paragrafo che segue. Tuttavia conviene rammentare sin d’ora<br />
che il reverse charge è un meccanismo di inversione contabile, ai sensi del quale l’obbligo di<br />
versamento dell’imposta è trasferito all’acquirente, se soggetto passivo IVA, in luogo del cedente<br />
o prestatore.
470 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
2. – Le direttive oggetto di delega al Governo per l’attuazione<br />
Nel testo del provvedimento in discussione sono trenta le direttive alla<br />
cui attuazione il Governo è delegato dalla legge comunitaria 2010 e, come<br />
già accennato, quattro si trovano nell’allegato A e ventisei nell’allegato B ( 11 ).<br />
Tra le direttive da recepire con decreto legislativo meritano particolare<br />
menzione alcuni atti normativi contenuti nell’allegato B, poiché di quelle<br />
noverate dall’allegato A conviene in questa sede soffermarsi sulla sola direttiva<br />
2009/106/CE che prevede disposizioni specifiche in merito alla produzione,<br />
alla composizione e all’etichettatura dei succhi di frutta e di altri<br />
prodotti analoghi ( 12 ): in questo modo s’intende adeguarsi alla norma del<br />
Codex Alimentarius (norma Codex 247-2005), adottata nel 2005 dalla Commissione<br />
internazionale del Codex (nato dall’attività congiunta della FAO e<br />
della WHO).<br />
Delle ventisei direttive comprese invece nell’allegato B già ci siamo in<br />
parte occupati nel paragrafo precedente, conviene tuttavia rammentare ancora<br />
la direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni<br />
e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini<br />
di paesi terzi il cui soggiorno nell’Unione europea è irregolare. La direttiva<br />
citata introduce un divieto generale di impiego di cittadini di paesi terzi il<br />
cui soggiorno è appunto irregolare, allo scopo di contrastare il fenomeno<br />
dell’immigrazione illegale, stabilisce inoltre norme minime comuni relative<br />
alle sanzioni e ai provvedimenti applicabili negli Stati membri verso i datori<br />
di lavoro che violano tale divieto (fatta salva dunque la facoltà, per i singoli<br />
Stati membri, di mantenere o introdurre norme più rigorose) ( 13 ).<br />
In altro ambito la direttiva 2009/109/CE modifica le direttive 77/91/CEE,<br />
78/855/CEE, 82/891/CEE, nonché la direttiva 2005/56/CE, con lo scopo di<br />
ridurre gli obblighi informativi e documentali a carico delle società coinvolte<br />
in processi di fusione e scissione. Per soddisfare esigenze di semplificazione,<br />
l’atto europeo in oggetto consente, tra le altre previsioni, che le società<br />
possano ad esempio essere esonerate da alcuni obblighi di redazione<br />
documentale, oppure effettuare gli adempimenti di pubblicità legale relativi<br />
ai progetti di fusione, di scissione e agli altri documenti da rendere disponibili<br />
ai soggetti interessati tramite pubblicazione degli stessi sul web (nel si-<br />
( 11 ) Gli allegati A e B si distinguono per il fatto che solo il secondo prevede una procedura<br />
– per così dire – « aggravata », siccome in relazione agli schemi dei decreti legislativi di recepimento<br />
è richiesto il parere dei competenti organi parlamentari.<br />
( 12 ) Dir. 2009/106/CE, in G.U.C.E., L 212/42, 15 agosto 2009.<br />
( 13 ) Cfr. artt. 3 e 4, Dir. 2009/52/CE, in G.U.C.E., L 168/24, 30 giugno 2009.
OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 471<br />
to della società medesima ovvero altro sito web designato a tale scopo dagli<br />
Stati membri) e l’invio di copia via posta elettronica, purché siano soddisfatte<br />
le garanzie di integrità e autenticità dei medesimi atti e documenti ( 14 ).<br />
Degna di nota altresì la direttiva 2009/162/UE che modifica varie disposizioni<br />
dell’importante direttiva 2006/112/CE (contenuta nelle legge comunitaria<br />
2007) relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto per<br />
introdurvi degli adeguamenti di carattere tecnico. Da una prima lettura<br />
d’insieme si deduce che le maggiori innovazioni sono state introdotte con<br />
riguardo alle disposizioni relative all’importazione e al luogo di tassazione<br />
delle cessioni di gas e di energia elettrica ( 15 ). Nella medesima direzione<br />
muove la direttiva 2010/23/UE di cui si occupa, come visto, l’art. 15 delle<br />
legge comunitaria in esame: il documento europeo modifica ancora la richiamata<br />
direttiva 2006/112/CE sul sistema comune di imposta sul valore<br />
aggiunto per quanto concerne l’applicazione facoltativa e temporanea del<br />
meccanismo dell’inversione contabile alla prestazione di determinati servizi<br />
a rischio di frodi. Segnatamente l’atto normativo in questione persegue il<br />
fine di autorizzare gli Stati membri a prevedere che, per le operazioni comportanti<br />
cessioni di beni o prestazioni di servizi imponibili effettuate nell’ambito<br />
del sistema per lo scambio di quote ed emissioni di gas a effetto<br />
serra nell’Unione europea (come disciplinato dalla direttiva 2003/87/CE),<br />
l’obbligo di versare l’IVA spetti al soggetto al quale sono trasferite le quote<br />
di emissioni e non, come di norma previsto, al soggetto passivo che effettua<br />
l’operazione ( 16 ).<br />
Interessante inoltre la direttiva 2010/18/UE che attua l’accordo-quadro<br />
sul congedo parentale concluso il 18 giugno 2009 ed integrante la revisione<br />
del precedente accordo-quadro del 14 dicembre 1995. Il documento europeo<br />
in commento abroga la direttiva 96/34/CE la quale attuò il richiamato<br />
accordo del 1995. Particolare attenzione merita il fine di guardare « alle modalità<br />
per migliorare ulteriormente la conciliazione di vita professionale, vita<br />
privata e vita familiare e, in particolare, la legislazione comunitaria vigente<br />
in tema di protezione della maternità e congedo parentale, nonché alla<br />
possibilità di introdurre nuove forme di congedo per ragioni familiari » ( 17 ).<br />
Oltre a ciò è opportuno ricordare la direttiva 2010/24/UE sull’assistenza<br />
reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da dazi, imposte ed al-<br />
( 14 ) V. Considerando n. 4-10, Dir. 2009/109/CE, in G.U.C.E., L 259/14, 2 ottobre 2009.<br />
( 15 ) Cfr. Considerando n. 2, 5 e 6, Dir. 2009/162/UE, in G.U.C.E., L 10/14, 15 gennaio 2010.<br />
( 16 ) Così art. 1, Dir. 2010/23/UE, in G.U.C.E., L 72/1, 20 marzo 2010.<br />
( 17 ) Cfr. Considerando n. 4, Dir. 2010/18/UE, in G.U.C.E., L 68/13, 18 marzo 2010.
472 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />
tre misure, tesa a eliminare misure di protezione discriminatorie adottate in<br />
relazione alle operazioni transfrontaliere volte a prevenire frodi e perdite di<br />
bilancio, nonché mirante a favorire una reale assistenza reciproca, facilitando<br />
lo scambio di informazioni tra gli Stati membri ( 18 ).<br />
La direttiva 2010/30/UE invece istituisce un quadro per l’armonizzazione<br />
delle misure nazionali sull’informazione degli utilizzatori finali, realizzata<br />
in particolare mediante etichettatura e informazioni uniformi sul prodotto,<br />
sul consumo di energia e, se del caso, di altre risorse essenziali durante<br />
l’uso nonché informazioni complementari per i prodotti connessi all’energia,<br />
in modo che gli utilizzatori finali possano scegliere prodotti più<br />
efficienti ( 19 ).<br />
Inoltre la direttiva 2010/41/UE persegue lo scopo di applicare il principio<br />
della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un’attività<br />
lavorativa autonoma o contribuiscono all’esercizio della stessa attraverso<br />
alcuni previsioni nodali quali la tutela della maternità e la protezione<br />
dei diritti relativi alla condizione di madre o padre dei lavoratori autonomi<br />
e dei coniugi che li assistono ( 20 ).<br />
Infine si deve richiamare la direttiva 2010/53/UE che si inserisce nel<br />
processo di rafforzamento della cooperazione tra gli Stati membri, previsto<br />
dal Piano di azione per la donazione e il trapianto di organi (2009-2015)-<br />
( 18 ) V. Considerando n. 5, Dir. 2010/24/UE, in G.U.C.E., L 84/1, 31 marzo 2010, secondo<br />
cui « norme più chiare favorirebbero un più ampio scambio di informazioni tra gli Stati membri.<br />
Assicurerebbero inoltre la copertura di tutte le persone fisiche e giuridiche nell’Unione,<br />
tenendo conto della gamma sempre crescente di istituti giuridici, inclusi non solo gli istituti<br />
tradizionali quali trust e fondazioni, ma anche qualsiasi nuovo strumento che possa essere<br />
creato dai contribuenti negli Stati membri. Esse permetterebbero altresì di tener conto di tutte<br />
le forme che possono assumere i crediti delle autorità pubbliche derivanti da imposte, dazi,<br />
contributi, restituzioni e interventi, inclusi tutti i crediti pecuniari nei confronti del contribuente<br />
interessato o di terzi che sostituiscono il credito originario. Norme più chiare sono necessarie<br />
soprattutto per definire meglio i diritti e gli obblighi di tutti i soggetti interessati ».<br />
( 19 ) Così il Considerando n. 3, Dir. 2010/30/UE, in G.U.C.E., L 153/1, 18 giugno 2010, a<br />
mente del quale si nota che « le conclusioni della presidenza del Consiglio europeo dell’8 e 9<br />
marzo 2007 hanno sottolineato la necessità di aumentare l’efficienza energetica nell’Unione<br />
in modo da conseguire l’obiettivo di ridurre del 20% il consumo energetico dell’Unione entro<br />
il 2020 e fissato obiettivi per lo sviluppo delle energie rinnovabili in tutta l’Unione e la riduzione<br />
delle emissioni di gas ad effetto serra, caldeggiando l’attuazione rigorosa e rapida dei<br />
settori chiave individuati nella comunicazione della Commissione del 19 ottobre 2006 dal titolo<br />
“Piano d’azione per l’efficienza energetica: concretizzare le potenzialità”. Il piano d’azione<br />
metteva in risalto le enormi opportunità di risparmio energetico nel settore dei prodotti ».<br />
( 20 ) In particolare cfr. Considerando n. 1, 3 e 4, Dir. 2010/41/UE, in G.U.C.E., L 180/1, 15<br />
luglio 2010.
OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 473<br />
COM (2008) 819 def ( 21 ). Il documento legislativo delimita un importante<br />
quadro comune relativo alle norme di qualità e sicurezza degli organi di origine<br />
umana destinati al trapianto nel corpo umano. Non si applica al sangue,<br />
ai componenti sanguigni, alle cellule e ai tessuti umani, agli organi, ai<br />
tessuti e alle cellule di origine animale.<br />
Rossana Pennazio<br />
( 21 ) Il menzionato Piano di azione per la donazione e il trapianto di organi (2009-2015)-<br />
COM (2008) 819 def. è consultabile in lingua italiana al seguente indirizzo www.parlamento.it/web/docuorc2004.nsf/PerDataNew2_Parlamento/9DA67E3956CFA5CCC125751A0036D33.
Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia<br />
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A distanza di vent’anni esce la seconda edizione: sono cambiati i formanti (legislativo,<br />
giurisprudenziale, dottrinale), la famiglia giuridica degli ordinamenti dei Paesi socialisti<br />
è scomparsa, la prassi dei contratti internazionali si è ulteriormente raffinata, avvicinando<br />
così modelli che prima sembravano incompatibili; la lex mercatoria ha continuato<br />
la sua espansione, generando una moltitudine di fonti persuasive; in <strong>Europa</strong> c’è<br />
un gran fermento per armonizzare il diritto dei contratti.<br />
La prospettiva di studio dei contratti internazionali e di ciascun istituto è comparatistica:<br />
si parte dal diritto italiano (con riferimenti a fonti legislative, giurisprudenziali e<br />
dottrinali, e attenzione costante alla prassi) per allargare l’orizzonte d’indagine ad altre<br />
jurisdictions, esperienze e modelli e, più in particolare, quegli ordinamenti che, per l’accessibilità<br />
delle fonti, per l’influenza e la circolazione dei loro modelli e la rilevanza sul<br />
piano degli interscambi economici, risultano significativi. Vengono analizzati in primo<br />
luogo gli ordinamenti degli Stati membri dell’Unione Europea, dell’EFTA e degli Stati<br />
Uniti. Prendendo le mosse dall’analisi comparata degli ordinamenti nazionali, lo sforzo<br />
è stato quello di condurre un’indagine su un piano transnazionale dando rilevanza alle<br />
convenzioni di diritto uniforme applicabili ai contratti internazionali, nonché alle grandi<br />
iniziative che tendono a far emergere principi o regole comuni del commercio internazionale<br />
sia a livello di unioni di Stati che oltre le stesse. Non si tratta di un’analisi statica,<br />
ma di una ricerca delle “radici” delle regole attuali che traccia i percorsi di circolazione<br />
dei modelli dall’uno all’altro ordinamento. La trattazione è divisa sostanzialemente<br />
in due parti: una sul contratto in generale e i suoi grandi problemi ed una sui singoli<br />
contratti. Sono stati aggiunti dei capitoli sui singoli contratti mentre è stata staccata<br />
la parte sull’arbitrato commerciale internazionale (oggetto del vol. XXXIII di questo<br />
Trattato). Per il diritto italiano e dell’Unione europea il volume è aggiornato a giugno<br />
2010. Non si tratta di un trattato “teorico”, ma di un volume adatto anche a studenti universitari,<br />
tesisti, a chi frequenta i masters, a ricercatori, avvocati e giuristi d’<strong>impresa</strong>: per<br />
tale motivo molto spazio è dedicato alla prassi contrattualistica internazionale, con<br />
molti suggerimenti per la redazione dei contratti e note di puro riferimento, utili ad<br />
orientare il lettore verso una ricerca specifica su un determinato tema. Gli indici, analitico<br />
e delle fonti, sono molto estesi, avendo la funzione di indicare al giovane ricercatore<br />
o all’avvocato non solo dove un argomento è trattato ex professo, ma dove un istituto<br />
o concetto è richiamato, con le rispettive fonti.<br />
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e distribuzione e sul sito www.cedam.com
Condizioni di abbonamento<br />
L’abbonamento decorre dal 1 o gennaio e scade il 31 dicembre successivo. In<br />
ipotesi il cliente sottoscriva l’abbonamento nel corso dell’anno la scadenza è<br />
comunque stabilita al 31 dicembre del medesimo anno: in tal caso l’abbonato<br />
sarà tenuto al pagamento dell’intera annata ed avrà diritto di ricevere gli arretrati<br />
editi nell’anno prima dell’inizio dell’abbonamento.<br />
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dicembre, esclusivamente a mezzo lettera raccomandata a.r.<br />
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un mese dal ricevimento del fascicolo successivo. Decorso tale termine saranno<br />
spediti contro rimessa dell’importo.<br />
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<strong>Contratto</strong> e <strong>impresa</strong> / <strong>Europa</strong> è uno strumento di<br />
analisi critica e di informazione selettiva sulla progressiva<br />
creazione di un diritto civile e commerciale<br />
europeo.<br />
Punto di riferimento privilegiato resta – in continuità<br />
con la rivista <strong>Contratto</strong> e <strong>impresa</strong> – il diritto privato<br />
comune, ma il campo di osservazione si allarga<br />
all’<strong>Europa</strong>: l’attenzione è principalmente rivolta<br />
all’evoluzione del diritto comunitario e alla sua attuazione<br />
in <strong>Italia</strong>, alle esperienze legislative e giurisprudenziali,<br />
nonché alle prassi contrattuali, dei diversi<br />
Paesi europei, che confluiscono nella costruzione<br />
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Sullo sfondo si colloca la cultura giuridica europea,<br />
che sollecita una ricerca delle sue radici comuni ed<br />
una analisi dei suoi elementi di differenziazione,<br />
terreno sul quale si misura l’opera di armonizzazione<br />
del diritto privato in <strong>Europa</strong>.<br />
Ne curano la direzione Francesco Galgano e Marino<br />
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