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Contratto e impresa / Europa - Shop WKI - Wolters Kluwer Italia

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ISSN 1127-2872<br />

PUBBLICAZIONE SEMESTRALE ANNO XVI<br />

N. 1 GENNAIO - GIUGNO 2011<br />

Tariffa R.O.C.: Poste <strong>Italia</strong>ne s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. I, comma I, DCB Milano<br />

<strong>Contratto</strong> e <strong>impresa</strong> / <strong>Europa</strong><br />

a cura di F. Galgano e M. Bin<br />

• Class action in <strong>Europa</strong><br />

• Mediazione e ADR<br />

• Incoterms e vendita internazionale<br />

• Diritto contrattuale europeo<br />

• Scelta del foro; accordo sul luogo di consegna e foro<br />

comunitario; competenza giurisdizionale e contratti<br />

on line; proposte della Commissione europea sulla<br />

competenza giurisdizionale<br />

• Contratti di distribuzione tra <strong>Italia</strong> e Francia<br />

• La nuova direttiva sui ritardi di pagamento<br />

• Concetto di sovvenzione in diritto comunitario<br />

e nazionale<br />

• Il registro mercantil in Spagna; novità normative<br />

in Germania<br />

• Il Regolamento sulla legge applicabile a separazione<br />

e divorzio<br />

• La legge comunitaria (2010)<br />

2011


<strong>Contratto</strong> e <strong>impresa</strong> / <strong>Europa</strong><br />

1<br />

anno sedicesimo<br />

a cura di<br />

F. Galgano e M. Bin<br />

• Class action in <strong>Europa</strong><br />

• Mediazione e ADR<br />

• Incoterms e vendita internazionale<br />

• Diritto contrattuale europeo<br />

• Scelta del foro; accordo sul luogo di consegna e foro<br />

comunitario; competenza giurisdizionale e contratti<br />

on line; proposte della Commissione europea sulla<br />

competenza giurisdizionale<br />

• Contratti di distribuzione tra <strong>Italia</strong> e Francia<br />

• La nuova direttiva sui ritardi di pagamento<br />

• Concetto di sovvenzione in diritto comunitario<br />

e nazionale<br />

• Il registro mercantil in Spagna; novità normative<br />

in Germania<br />

• Il Regolamento sulla legge applicabile a separazione<br />

e divorzio<br />

• La legge comunitaria (2010)<br />

2011


PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA<br />

Copyright 2011 <strong>Wolters</strong> <strong>Kluwer</strong> <strong>Italia</strong> Srl<br />

A norma della legge sul diritto d’autore e del codice civile è vietata la<br />

riproduzione di questo libro o di parte di esso con qualsiasi mezzo, elettronico,<br />

meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro.<br />

Editore: <strong>Wolters</strong> <strong>Kluwer</strong> <strong>Italia</strong> Srl - Centro Direzionale Milanofiori -<br />

Strada 1, Pal. F6 - 20090 Assago (MI)<br />

Autorizzazione del Tribunale di Padova del 31 gennaio 2006 n. 2000<br />

Direttore responsabile: Francesco Galgano<br />

Composizione: Bertoncello Artigrafiche - Cittadella (PD)<br />

Stampa: Geca Industrie Grafiche - Via Magellano, 11 - 20090 Cesano Boscone (MI)<br />

Stampato in <strong>Italia</strong> - Printed in Italy


<strong>Contratto</strong> e <strong>impresa</strong> / <strong>Europa</strong> 1-2011<br />

anno sedicesimo<br />

a cura di<br />

F. Galgano e M. Bin<br />

INDICE SOMMARIO<br />

DIBATTITI<br />

INTERROGATIVI SULLA “CLASS ACTION”:<br />

LE RISPOSTE DI ALCUNI GIURISTI EUROPEI<br />

La nuova “azione di classe” in <strong>Italia</strong> di Edoardo Ferrante . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1<br />

La tutela collettiva nel diritto processuale tedesco di Marina Tamm . . » 30<br />

Class actions: l’esperienza spagnola di Amaya Arnaiz Serrano-Manuel Ignacio<br />

Feliu Rey . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 43<br />

Class actions in Portogallo: alcuni aspetti di Afonso D’Oliveira Martins . . » 58<br />

Dutch Treat: the Dutch Collective Settlement of Mass Damage Act<br />

(WCAM 2005) di Franziska Weber-Willem H. van Boom . . . . . . . . . . . . . . . . » 69<br />

SAGGI<br />

Vincenzo Vigoriti, <strong>Europa</strong> e mediazione. Problemi e soluzioni . . . . . . . . . . . . . . . . » 81<br />

Sommario: 1. Introduzione. Il quadro di riferimento. L’oggetto della consultazione.<br />

– 2. Le lacune nell’informazione (quesiti 1-4). – 3. Coinvolgimento<br />

di commercianti e fornitori: l’ADR obbligatoria (quesiti 5-8). – 4. Diffusione<br />

sul territorio e specializzazione (quesiti 9-13). – 5. Le risorse finanziarie (quesiti<br />

14-16).<br />

Ermenegildo Mario Appiano, Contributo al dibattito sulla mediazione civile e<br />

commerciale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 97<br />

Sommario: 1. Premessa. – 2. Come opera il mediatore – 3. Che cosa intende<br />

il legislatore per mediazione – 4. La condizione di procedibilità alla luce


VI CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

del principio dell’equo processo. – 5. La rilevanza delle questioni giuridiche<br />

in mediazione. – 6. Perché è opportuno che le parti partecipino personalmente<br />

alla mediazione – 7. L’utilità della mediazione. – 8. In conclusione.<br />

Ernesto Capobianco, Mediazione obbligatoria e Arbitro Bancario Finanziario . . pag. 134<br />

Sommario: 1. La disciplina della mediazione obbligatoria e i contratti bancari<br />

e finanziari: l’alternativa nella scelta del meccanismo di soluzione stragiudiziale<br />

delle controversie. – 2. L’Arbitro Bancario Finanziario e la sua « ibrida<br />

» natura: conseguenze sulla qualificazione della « decisione » dell’organismo.<br />

– 3. Verifica delle condizioni di « alternatività ». Il carattere non assoluto<br />

dell’alternativa: limitazioni di tipo soggettivo, oggettivo, convenzionale e<br />

territoriale. – 4. Il possibile rapporto tra procedimento dinanzi all’Arbitro<br />

Bancario Finanziario e la disciplina della mediazione. Le relazioni col processo.<br />

– 5. Rilievi conclusivi, pronostici e proposte.<br />

Leonardo Graffi, Incoterms e UCP 600 quali usi dei contratti di vendita internazionale<br />

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 147<br />

Sommario: 1. Premessa. – 2. La sfera di applicazione dell’art. 9 della Convenzione:<br />

gli usi commerciali. – 3. Segue: prassi e abitudini contrattuali. – 4.<br />

L’applicazione degli Incoterms ai contratti di compravendita internazionale<br />

disciplinati dalla Convenzione: questioni interpretative. Gli Incoterms nella<br />

disciplina della compravendita internazionale. – 5. Segue: l’efficacia degli Incoterms<br />

nella giurisprudenza internazionale. – 6. Gli UCP nella disciplina<br />

della compravendita internazionale. – 7. Conclusioni.<br />

Olga Trombetti, I tentativi di uniformazione del diritto contrattuale a livello europeo.<br />

Prime riflessioni per un confronto tra il Draft of Common Frame of Reference<br />

ed il progetto preliminare del Code européen des contrats . . . . . . . . . . . . » 168<br />

Sommario: 1. La logica della sistematica organizzazione del diritto contrattuale<br />

europeo. – 2. L’acquis comunitario quale piattaforma di partenza nel<br />

processo di armonizzazione: il Draft of Common Frame of Reference. – 3. La<br />

logica protezionistica del consumatore nella disciplina del contratto di vendita<br />

prevista dal Code e dal DCFR: a) gli obblighi di informazione. – 4. Segue:<br />

b) il sistema dei rimedi azionabili dal compratore. – 5. Conclusioni.<br />

Giacomo Pailli, Commercio internazionale e giurisdizione consensuale: le “proposte”<br />

della Convenzione dell’Aja del 30 giugno 2005 sulle clausole di scelta del<br />

foro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 192<br />

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Ambito di applicazione. – 2.1. Internazionalità<br />

della controversia. – 2.2. Clausole esclusive. – 2.3. Materia civile e commerciale.<br />

– 3. I tre principi fondamentali. – 3.1. Il giudice eletto deve esercitare<br />

la propria giurisdizione. – 3.2. Il giudice non scelto deve astenersi. – 3.3.<br />

Tutti i giudici devono riconoscere e dare esecuzione alla decisione. – 4. Il regime<br />

delle dichiarazioni. – 5. Conclusioni.


INDICE SOMMARIO<br />

VII<br />

Christian Notdurfter - Silvia Petruzzino, Luogo di consegna e relativo<br />

accordo delle parti nell’ambito del foro comunitario del contratto . . . . . . . . . . . . pag. 223<br />

Sommario: 1. Premessa. – 2. La nozione di « luogo di consegna »: dal criterio<br />

di individuazione « conflittuale-analitico » a quello « pragmatico-fattuale<br />

». – 3. Il luogo di consegna in assenza di accordo. – 4. L’accordo sul luogo<br />

di consegna: la rilevanza della volontà delle parti. – 5. Segue: la dizione<br />

« salvo diversa convenzione » ed il concetto di « accordo astratto » quale limite<br />

alla volontà delle parti. – 6. L’accordo espresso ed il valore degli Incoterms<br />

e delle clausole simili. – 7. L’accordo implicito ed i dubbi sulla relativa<br />

ammissibilità. – 8. Conclusioni.<br />

Silvia Marino, I contratti di consumo on line e la competenza giurisdizionale in<br />

ambito comunitario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 247<br />

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il sito internet interattivo. – 3. La sentenza<br />

della Corte di giustizia. – 4. Conclusioni.<br />

Andrea Costa, La nuova disciplina del credito ai consumatori . . . . . . . . . . . . . . . . . » 262<br />

Sommario: 1. Le ragioni di una normativa sul credito al consumo e l’intervento<br />

del legislatore europeo. – 2. Le prospettive di armonizzazione: la direttiva<br />

08/48/CE sui contratti di credito ai consumatori. – 3. La nuova disciplina italiana:<br />

fattispecie negoziale e ambito d’applicazione. – 3.1. Le norme a tutela del<br />

consumatore. – 3.2. Gli obblighi informativi. – 3.3. La valutazione del merito<br />

creditizio. – 3.4. Le norme di protezione sostanziale. – 4. Conclusioni.<br />

Giovanni Gargiulo, Il passaggio dal marchio celebre al marchio che gode di rinomanza,<br />

attraverso il riconoscimento legislativo della forza comunicativa e suggestiva<br />

del segno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 301<br />

Sommario: 1. Il progressivo riconoscimento delle diverse funzioni del marchio.<br />

– 2. Il marchio celebre. – 3. Le ragioni della novella del 1992. – 4. La Direttiva<br />

89/104/CEE: prime perplessità interpretative. – 5. Il marchio che gode<br />

di rinomanza. – 6. Le due ipotesi dell’approfittamento e del pregiudizio. –<br />

7. Il giusto motivo ed i problemi di diritto intertemporale – 8. Conclusioni.<br />

Olivier Delgrange-Aurora Visentin, Disciplina applicabile al recesso di un<br />

fabbricante italiano da un contratto di distribuzione con una parte francese . . . » 319<br />

Sommario: 1. Premessa. – 2. Qual è il foro competente per le controversie<br />

concernenti un contratto di distribuzione con un fabbricante italiano – 3.<br />

Le norme di diritto francese relative allo scioglimento del vincolo contrattuale<br />

e la loro cogenza. – 4. Il recesso dai contratti di distribuzione.<br />

Roberto Cippitani, Il concetto giuridico di sovvenzione nel diritto dell’Unione europea<br />

e nel diritto nazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 335<br />

Sommario: 1. Individuazione del concetto di sovvenzione. – 2. Profili struttu-


VIII CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

rali. – 3. La clausola di scopo. – 4. Distinzione tra sovvenzioni e appalti in base<br />

alle categorie civilistiche. – 5. Critica all’utilizzo dei concetti civilistici: interesse,<br />

obbligazioni e contratti. – 6. L’assenza di corrispettività. —7. La gratuità.<br />

– 8. L’iniziativa nella domanda di sovvenzione. – 9. Il procedimento nella scelta<br />

del beneficiario. – 10. La modalità di erogazione del contributo. – 11. Il carattere<br />

associativo del rapporto di sovvenzione. – 12. Funzione delle sovvenzioni.<br />

María Ascensión Martín Huertas, El espacio registral europeo. El modelo<br />

español del Registro Mercantil . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 370<br />

Sommario: 1. Introducción. – 2. Razones para la creación de un espacio registral<br />

europeo. – 3. El Registro Mercantil en el ordenamiento jurídico<br />

español. – 3.1. Origen y evolución. – 3.2. Concepto, funciones y normativa. –<br />

3.3. Organización del Registro Mercantil. – 3.4. Objeto de la inscripción. –<br />

3.5. Inscripción. – 3.6. Calificación registral. – 3.7. Efectos de la inscripción. –<br />

3.8. Principio de publicidad.<br />

OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO<br />

Presa di posizione sul futuro del CFR di Alessio Zaccaria . . . . . . . . . . . . . . . . » 397<br />

Novità normative in Germania (anni 2008-2011) di Arne Alberts e Edoardo Ferrante<br />

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 400<br />

Vendita di lenti a contatto on line e prospettive di sviluppo dell’e-commerce<br />

nell’Unione europea di Maria Giovanna Fanelli . . . . . . . . . . . . . . . . . » 407<br />

Competenza giurisdizionale: le proposte della Commissione europea di<br />

Sara Amerio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 423<br />

Separazione e divorzio: il Regolamento UE 1259/2010 del 20 dicembre<br />

2010, per una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile<br />

di Elisabetta Malagoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 436<br />

OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO<br />

La nuova direttiva 2011/7 in tema di lotta contro i ritardi di pagamento<br />

nelle transazioni commerciali: prospettive di recepimento di Andrea<br />

Canavesio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 447<br />

La legge comunitaria 2010 di Rossana Pennazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 464


Hanno collaborato a questo numero:<br />

Arne Alberts, Diplomjurist e collaboratore scientifico presso il Centrum für Europäisches<br />

Privatrecht della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Münster, Germania (arne.alberts@uni-muenster.de);<br />

Sara Amerio, magistrato ordinario in tirocinio (sara.amerio@giustizia.it);<br />

Ermenegildo Mario Appiano, avvocato in Torino (avv.appiano@appiano.info);<br />

Amaya Arnaiz Serrano, professore titular interina di Diritto Processuale, membro dell’Instituto<br />

de Justicia y Litigación Alonso Martinez, Università Carlos III di Madrid (aarnaiz@der-pu.uc3m.es);<br />

Andrea Canavesio, avvocato in Torino (andrea.canavesio@libero.it);<br />

Ernesto Capobianco, ordinario di Istituzioni di Diritto Privato nell’Università del Salento<br />

(prof. capobianco@libero.it)<br />

Roberto Cippitani, dottore commercialista e revisore legale (roberto.cippitani<br />

@gmail.com);<br />

Andrea Costa, dottore di ricerca in Diritto dei Consumatori e Mercato; avvocato in Roma<br />

(acosta@studiolegalealpa.it);<br />

Afonso D’Oliveira Martins, professore catedrático, Facoltà di Diritto, Università Lusíada<br />

di Lisbona;<br />

Olivier Delgrange, avvocato in Milano e Parigi (olivier.delgrange@wenner.eu);<br />

Maria Giovanna Fanelli, avvocato in Torino (mg.fanelli@studiofanelli.it);<br />

Manuel Ignacio Feliu Rey, professore titular di Diritto Civile, Direttore Catedra Asgeco<br />

Università Carlos III di Madrid (manuelignacio.feliu@gmail.com);<br />

Edoardo Ferrante, ricercatore di Diritto Privato nell’Università di Torino (edoardo.ferrante@unito.it);<br />

Giovanni Gargiulo, avvocato in Napoli (studiolegalegargiulo@yahoo.it)<br />

Leonardo Graffi, avvocato in Roma e New York (leonardograffi@hotmail.com);<br />

Elisabetta Malagoli, avvocato in Torino (elismagi.studiopoliti@virgilio.it);<br />

Silvia Marino, dottore di ricerca in Diritto dell’Unione Europea (silvia.marino@uninsubria.it);<br />

María Ascensión Martín Huertas, professore asociada di Diritto Civile nell’Università<br />

di Siviglia (martinh@us.es);<br />

Christian Notdurfter, dottore in giurisprudenza e Magister der Rechtswissenschaften<br />

(c.notdurfter@gmail.com);<br />

Giacomo Pailli, dottorando di ricerca in Diritto Comparato nell’Università di Firenze<br />

(giacomo.pailli@unifi.it);<br />

Rossana Pennazio, dottore di ricerca in Diritto Civile (rossana.pennazio@eco. unipmn.it);<br />

Silvia Petruzzino, avvocato in Milano (Silvia.Petruzzino@mcalex.it);<br />

Marina Tamm, Privatdozentin presso la Humboldt Universität di Berlino (marina.tamm<br />

@uni-rostock.de);<br />

Olga Trombetti, dottoranda di ricerca in Diritto Privato Comparato nell’Università di<br />

Milano; avvocato in Santa Maria Capua Vetere (olga.trombetti@unimi.it);


X<br />

COLLABORATORI<br />

Willem H. van Boom, professore nell’Erasmus University di Rotterdam (vanboom@<br />

frg.eur.nl);<br />

Vincenzo Vigoriti, ordinario di Diritto Privato Comparato nell’Università di Firenze<br />

(vvigoriti@vigoriti.it);<br />

Aurora Visentin, avvocato in Milano e Parigi (aurora.visentin@wenner.eu);<br />

Franziska Weber, dottoranda in Law and Economics nell’Erasmus University di Rotterdam<br />

(f.weber@frg.eur.nl);<br />

Alessio Zaccaria, ordinario di Diritto Civile nell’Università di Verona.


Dibattiti<br />

INTERROGATIVI SULLA “CLASS ACTION”:<br />

LE RISPOSTE DI ALCUNI GIURISTI EUROPEI<br />

Questo dibattito è stato promosso dalla Rivista<br />

sottoponendo a sette studiosi europei della<br />

“class action” una selezione di specifici quesiti.<br />

La nuova “azione di classe” in <strong>Italia</strong><br />

1. – Le ragioni di un dibattito<br />

L’iniziativa editoriale è tempestiva, perché il dibattito ospitato dalla<br />

Rivista anticipa – ed accompagnerà – il sondaggio avviato dalla Commissione<br />

UE sul tema “Towards a Coherent European Approach to Collective<br />

Redress” ( 1 ). Dopo il “Libro verde sui mezzi di ricorso collettivo dei consumatori”<br />

( 2 ), che rappresentò una prima presa di coscienza, la Commissione<br />

mostra ora di perseguire con più decisione l’obiettivo dell’azione di<br />

classe europea. Quest’ultima, nel rimettere all’iniziativa privata l’attuazione<br />

dei diritti e degli interessi del cittadino europeo, si candida a divenire<br />

il maggior fattore di effettività del diritto comunitario, riempiendo di<br />

contenuto il programma di cittadinanza europea promosso dalle istituzioni<br />

dell’Unione.<br />

La consultazione, per come disegnata dall’ultimo consultation paper, attraverserà<br />

i punti nodali del processo collettivo, sviluppando quesiti e problemi<br />

ormai noti a quei paesi membri che hanno introdotto – o stanno per<br />

introdurre – meccanismi di tutela seriale o collettiva o di classe. La premes-<br />

( 1 ) Il Consultation paper (Commission Staff Working Document. Public Consultation:<br />

Towards a Coherent European Approach to Collective Redress) è stato pubblicato in lingua inglese<br />

il 4 febbraio 2011, sotto SEC(2011) 173 def.<br />

( 2 ) Il Libro verde sui mezzi di ricorso collettivo dei consumatori fu presentato il 27 novembre<br />

2008 sotto COM(2008) 794 def. (cfr. in tema, fra i molti, Vigoriti, L’azione risarcitoria<br />

di classe: sollecitazioni europee, resistenze italiane, in questa rivista, 2009, p. 680 ss.).


2 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

sa è nitida: “Essentially, every national system of compensatory redress is unique<br />

and there are no two national systems that are alike in this area” ( 3 ); ma<br />

d’altra parte questa molteplicità di soluzioni nazionali, che emergerà certamente<br />

anche dal presente dibattito, è figlia di politiche non omogenee fra<br />

loro e sottende una ben più radicale disparità di scopi: qualsiasi opera armonizzatrice,<br />

che voglia promuovere un’azione di classe europea, non potrà<br />

prescindere da un chiarimento di fondo sulle finalità e sulla ratio dell’istituto,<br />

e su queste “cucire” la veste più appropriata. Per quanto ovvia s’impone<br />

– qui più che mai – l’esigenza che la politica fissi innanzi tutto la mèta,<br />

ed a questa siano orientate scelte tecnico-giuridiche conseguenti ( 4 ).<br />

Da questo punto di vista l’azione vigente in <strong>Italia</strong> è purtroppo coerente:<br />

l’obiettivo sembra essere stato quello d’introdurre uno strumento vuoto, di<br />

facciata, se possibile inoperante; ed il legislatore ha centrato quell’obiettivo<br />

con maestrìa, scrivendo un nuovo art. 140-bis c.cons. che delude o quantomeno<br />

comprime ogni prospettiva di funzionamento dell’istituto.<br />

2. – L’ambito materiale della “class action” italiana<br />

La scelta di codificare l’azione all’interno del codice del consumo è già<br />

di per sé riduttiva: in <strong>Italia</strong> la classe beneficiaria della tutela aggregata può<br />

essere composta soltanto da consumatori, mentre l’accesso è negato a qualsiasi<br />

altro soggetto “debole” (magari più “debole” dello stesso consumatore,<br />

visto che questi vanta ormai normative di protezione nel complesso più<br />

avanzate rispetto a quelle concesse ad altre categorie). Si pensi alla piccola e<br />

media <strong>impresa</strong>, ma ancor più a quella che potrebbe denominarsi “micro<strong>impresa</strong>”<br />

e per la quale manca persino una definizione legislativa, che sopperisca<br />

all’ampiezza (ormai) eccessiva della nozione di piccolo imprenditore<br />

ex art. 2083 c.c. La protezione dell’<strong>impresa</strong> debole non è più estranea al<br />

diritto positivo ( 5 ), ma rimanendo estranea al codice del consumo, non può<br />

assumere le forme del processo di classe ( 6 ).<br />

( 3 ) Cfr. par. 9 SEC(2011) 173 def. (citato nella versione inglese attualmente disponibile).<br />

( 4 ) I termini del dibattito sono ben rappresentati dai contributi raccolti in Casper, Janssen,<br />

Pohlmann e Schulze (cur.), Auf dem Weg zu einer europäischen Sammelklage, München,<br />

2009; e in v. Boom e Loos (cur.), Collective Enforcement of Consumer Law, Groningen,<br />

2007; più in breve Janssen, <strong>Europa</strong> e class action: « stato dell’arte » e delimitazioni di campo, in<br />

questa rivista, 2009, p. 694 ss.<br />

( 5 ) Un’ampia ricognizione del tema è data da Gitti eVilla (cur.), Il terzo contratto, Bologna,<br />

2008.<br />

( 6 ) Lo ha confermato anche Trib. Torino, ord., 4 giugno 2010, in Nuova giur. civ., 2010, p.<br />

869 ss. con nota di Libertini e Maugeri; e in Danno e resp., 2011, p. 67 ss. con nota di Frata (la


DIBATTITI 3<br />

Segregare il diritto dei consumi entro le maglie di un codice speciale significa<br />

accentuarne l’isolamento e deprimerne la portata sistematica. Creato<br />

il codice di settore, spezzoni consistenti del codice civile generale – si<br />

pensi ai previgenti artt. 1469-bis ss. c.c. in materia di clausole vessatorie (ora<br />

artt. 33 ss. c.cons.), o agli artt. 1519-bis ss. c.c. sulle garanzie nella vendita al<br />

consumo (ora artt. 128 ss. c.cons.) – vi sono stati velocemente riversati senza<br />

ponderazione delle conseguenze: malgrado l’ambito d’applicazione non<br />

sia di per sé mutato, la ricollocazione settoriale delle norme ne rende ancor<br />

più precari i nessi con la parte generale, impendendo la congiunzione fra regole<br />

di settore e linee di principio.<br />

Altre volte la ricollocazione settoriale ha obbedito a finalità ancor più<br />

drastiche, cioè a contenere entro gli schemi del rapporto di consumo fattispecie<br />

prima dotate di maggiore ampiezza: così, abrogato il D.P.R. 24 maggio<br />

1988, n. 224 (ad opera dell’art. 146, lett. “a”, c.cons.), la responsabilità per<br />

danno da prodotti difettosi è divenuta parte integrante del codice di settore<br />

grazie agli artt. 114-127 c.cons., ma con ciò ha visto restringersi i suoi orizzonti<br />

applicativi, non potendosi dubitare che all’esito della ricollocazione<br />

l’acquirente tutelato dalla normativa in commento è soltanto il consumatore.<br />

All’isolamento sistematico si unisce persino un arretramento del fronte<br />

di tutela, che lascia sguarnito chi prima era protetto.<br />

Il duplice effetto riduttivo, sistematico e sostanziale, si ripercuote ora<br />

sull’azione di classe, non appena – e non a caso – situata entro il codice di<br />

settore: essa costituisce un rito speciale che non può fuoriuscire dagli schemi<br />

del rapporto di consumo, né prestarsi ad interpretazioni espansive o sistematicamente<br />

orientate; la sua stessa ubicazione la rende distante dal diritto<br />

civile comune.<br />

Sennonché le limitazioni non finiscono qui: la class action italiana ha<br />

margini d’applicazione più ristretti di quelli tracciati dagli artt. 1 ss. c.cons.<br />

per i diritti dei consumatori in generale. All’interno della normativa settoriale,<br />

l’art. 140-bis, comma 2, lett. “a)”, “b)” e “c)”, c.cons. definisce un ulteriore<br />

sotto-settore, non comprendendo neppure la totalità dei rapporti, dei<br />

diritti e degli interessi qua e là difesi, in maniera disorganica e farraginosa,<br />

dal codice del consumo ( 7 ).<br />

La citata lett. “a)” menziona i diritti contrattuali, ivi compresi quelli “relativi<br />

a contratti stipulati ai sensi degli artt. 1341 e 1342 del codice civile”: qui<br />

data del 27 maggio 2010, riportata nelle edizioni a stampa, è quella della deliberazione e non<br />

del deposito).<br />

( 7 ) Cfr. sul punto Alpa, L’art. 140-bis del codice del consumo nella prospettiva del diritto privato,<br />

in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2010, pp. 384-386.


4 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

la formula di legge è per fortuna ampia (anche se le restrizioni proverranno<br />

dalle considerazioni che seguono).<br />

La lett. “b)” cita “i diritti (. . .) spettanti ai consumatori finali di un determinato<br />

prodotto nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere<br />

da un diretto rapporto contrattuale”: la lettera di legge, malgrado l’apparente<br />

vastità, è volta a demarcare un preciso raggruppamento di illeciti, aquiliani<br />

o contrattuali – ad esempio quando il produttore sia stato anche venditore<br />

del prodotto – assicurando l’impunità a tutti gli altri; l’operazione è alfine<br />

restrittiva, perché nell’ammettere l’azione per gli illeciti (o gli inadempimenti)<br />

enunciati, la norma finisce con l’escluderla, in termini più generali,<br />

per tutte le altre ipotesi ricadenti nell’art. 2043 c.c. ( 8 ).<br />

Sorprende ad esempio che il diritto alla salute, solennemente riconosciuto<br />

dall’art. 2, comma 2, lett. “a)”, c.cons. come diritto fondamentale dei consumatori<br />

e degli utenti, ed anzi come diritto posto al vertice del loro bill of rights<br />

– in piena sintonìa non solo con l’art. 32, comma 1, Cost., ma anche con<br />

l’art. 3, comma 1, della Carta di Nizza-Strasburgo (fonte primaria del diritto<br />

dell’Unione ex art. 6, comma 1, nuovo testo, TUE) – non rientri nelle materie<br />

coperte dal nuovo rito, per lo meno quando la sua violazione sia perpetrata attraverso<br />

l’illecito aquiliano: la prolungata emissione di agenti tossici nello<br />

smaltimento di scorie e resti inquinanti, tipica di talune prassi produttive ben<br />

note alla nostra storia industriale, anche laddove abbia provocato malattie letali,<br />

non si presterebbe all’azione in commento, non ricadendovi l’illecito<br />

plurioffensivo come tale, ma solo quello riconducibile ai gruppi di fattispecie<br />

indicati alle lett. “a)”, “b)” e “c)” dell’art. 140-bis, comma 2, c. cons. ( 9 ).<br />

Tuttavia, quand’anche la lettera dell’art. 140-bis, comma 2, lett. “b)”, abbia<br />

portata tassativa – e valga a restringere, anziché allargare – neppure potrebbe<br />

essere sottoposta ad un’interpretazione tanto rigorosa da far coincidere<br />

il suo ambito con quello della responsabilità del produttore per danno<br />

( 8 ) Cfr. fra gli altri, Porreca, Ambito soggettivo e oggettivo dell’azione di classe, in Eur. dir.<br />

priv., 2010, p. 559 ss.; ed in breve Caponi, Il nuovo volto della class action, in Foro it., 2009, V,<br />

c. 383.<br />

( 9 ) Né si dica che in casi così gravi l’azione individuale conserva intatta la sua redditività;<br />

al contrario è noto che sfugge al processo tradizionale non solo l’intero “bagatellare” – con<br />

enorme ed illecito profitto del danneggiante – ma anche larga parte di quel contenzioso che<br />

bagatellare non è: le incertezze, le pastoie e le lungaggini del processo a base individuale rendono<br />

inappetibile l’azione civile anche a chi razionalmente dovrebbe esperirla, e nondimeno<br />

preferisca rinunciare consapevolmente a far valere i suoi diritti (s’interroga, ancora di recente,<br />

sul comportamento del consumatore medio, così come di quello “vulnerabile”, Zorzi<br />

Galgano, Il consumatore medio ed il consumatore vulnerabile nel diritto comunitario, in questa<br />

rivista, 2010, p. 549 ss.).


DIBATTITI 5<br />

da prodotti difettosi: quale che sia stata l’intenzione del legislatore, non<br />

emergono indici testuali che lascino subordinare l’esperimento dell’azione<br />

ex art. 140-bis, comma 2, lett. “b)”, c.cons. ai presupposti di difettosità disciplinati<br />

dagli artt. 114 ss. c.cons. (e già dal D.P.R. 24 maggio 1988, n. 224), tanto<br />

più che l’art. 115 c.cons., nel definire “prodotto” e “produttore”, chiarisce<br />

che dette definizioni varranno solo “ai fini del presente titolo”, e dunque<br />

non necessariamente dovranno essere osservate altrove, magari in sede di<br />

accesso al nuovo rito di classe.<br />

Si potrebbe citare il caso, sempre più attuale, del danno da fumo ( 10 ): l’illecito<br />

del produttore di sigarette, sempreché riscontrabile, non dipende dalla<br />

produzione e messa in commercio di prodotti “difettosi” ai sensi degli<br />

artt. 114 ss. c.cons. – la sigaretta nuoce per il solo fatto della sua combustione<br />

ed assunzione, anche quando prodotta a perfetta regola d’arte ( 11 )– ma<br />

non si potrà negare, per ciò solo, l’esperibilità dell’azione di gruppo per danno<br />

da fumo, non trovando questa alcuna controindicazione nella lettera<br />

dell’art. 140-bis, comma 2, lett. “b)”, c.cons.<br />

Infine la lett. “c)” ha riguardo al danno da pratiche commerciali scorrette<br />

e da comportamenti anticoncorrenziali dell’imprenditore, fattispecie virtualmente<br />

estese, e che potrebbero rappresentare una fonte di protezione<br />

significativa per i consumatori danneggiati, ma che al momento patiscono<br />

un certo ritardo nell’elaborazione teorica e nell’applicazione pratica, sicché<br />

non è agevole prevedere una gran mole d’azioni fondate su illeciti antitrust<br />

o su condotte commerciali improprie praticate su larga scala ( 12 ).<br />

Non può essere questo il diametro della class action europea, a meno<br />

che la finalità ultima del legislatore comunitario non sia quella di varare uno<br />

strumento di rara e difficile applicazione concreta, a salvaguardia di posizioni<br />

soggettive persino più ristrette di quelle che abitualmente si riconoscono<br />

al consumatore in generale.<br />

( 10 ) Cfr. in tema, da ultimo, Cascione, La responsabilità per danni da fumo, in Danno e resp.,<br />

2010, p. 869 ss.; più ampiamente Baldini, Il danno da fumo, Napoli, 2008.<br />

( 11 ) Lo pone in rilievo, molto chiaramente, l’importante Cass., 17 dicembre 2009, n. 26516,<br />

in Corr. giur., 2010, p. 482 ss., con nota di Ponzanelli, in La resp. civ., 2010, p. 334 ss., con nota<br />

di Fantetti, in Danno e resp., 2010, p. 569 ss., con nota di D’Antonio.<br />

( 12 ) Il private enforcement del diritto antitrust è ormai un luogo comune delle ricerche in<br />

tema di azioni collettive: cfr. fra i molti, Rossi dal Pozzo e Nascimbene (cur.), Il private<br />

enforcement delle norme sulla concorrenza, Milano, 2009, passim; e sulle implicazioni connesse<br />

al nuovo rimedio collettivo, in breve, Spada, Dalla concorrenza sleale alle pratiche commerciali<br />

scorrette nella prospettiva rimediale, in Dir. ind., 2011, p. 45 ss.; Guernelli, Class action<br />

e competenza antitrust, in Dir. ind., 2010, p. 249 ss.; ed Hess, “Private law enforcement” und<br />

Kollektivklagen, in JZ, 2011, p. 66 ss.


6 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Aggiungasi un’osservazione di carattere pratico. Specializzare un istituto,<br />

riducendone progressivamente l’ambito d’operatività, significa alimentare,<br />

anziché spegnere il contenzioso sui suoi presupposti: quanto più sono<br />

“stretti”, tanto più si discuterà della loro ricorrenza, e dunque dell’ammissibilità<br />

stessa dell’azione di gruppo. Prova ne sia che nella poca giurisprudenza<br />

finora formatasi sull’art. 140-bis c.cons. un tema ricorrente, e sul quale<br />

s’è sprigionato un acceso confronto, è stato proprio la qualità di consumatore<br />

del proponente, sistematicamente negata dall’<strong>impresa</strong> convenuta, ed<br />

in ogni caso giudicata bisognosa di piena dimostrazione a cura ed onere del<br />

proponente medesimo ( 13 ). Il confronto s’inasprirebbe ancor più laddove si<br />

controvertesse dell’ambito applicativo dell’azione, essendo contestato il rispetto<br />

dei limiti materiali segnati dall’art. 140-bis, comma 2, c.cons. È chiaro<br />

che una fitta rete di costrizioni e delimitazioni invita a dibattere persino<br />

dei presupposti iniziali del processo collettivo, ritardando o impedendo una<br />

pronta e fruttuosa trattazione del merito; viceversa propendere per requisiti<br />

“larghi”, oltre ad estendere il raggio della tutela collettiva, ne favorisce<br />

l’effettività, scongiurando il rischio che il processo sia ostacolo, anziché veicolo<br />

di quella tutela.<br />

Presso taluna stampa non specialistica s’era momentaneamente diffusa<br />

l’idea che il nuovo rito, già costretto nella sua orbita consumeristica, non<br />

fosse invocabile per l’attuazione di pretese concernenti l’esecuzione di contratti<br />

bancari, di assicurazione o di intermediazione mobiliare. Poiché la disciplina<br />

del mercato finanziario consta di leggi organiche e tendenzialmente<br />

esaustive, soltanto da queste si sarebbero dovuti trarre i rimedi del caso,<br />

quasi che il correntista, l’assicurato o l’investitore non professionale, per il<br />

fatto solo d’agire nell’area del mercato finanziario, perdano la loro veste di<br />

consumatori e non possano più valersi della tutela accordata loro dal codice<br />

di categoria ( 14 ).<br />

La tesi, che voleva garantire l’immunità a talune attività d’<strong>impresa</strong>, non<br />

ha alcun fondamento, e rende sovrabbondante una replica puntuale ( 15 ): es-<br />

( 13 ) Cfr. Trib. Torino, ord., 4 giugno 2010, cit.; e Trib. Milano, ord., 20 dicembre 2010, al<br />

momento inedita.<br />

( 14 ) Ne tratta ampiamente Cavallini, Azione collettiva risarcitoria e controversie finanziarie,<br />

in Riv. soc., 2010, p. 1115 ss.; cfr. anche Sangiovanni, Class action e tutela contrattuale degli<br />

investitori, in Obbl. contr., 2010, p. 611 ss.<br />

( 15 ) Non a caso in Germania il c.d. Musterverfahren, una sorta di procedimento-pilota a carattere<br />

seriale, è stato introdotto proprio per deflazionare un galoppante contenzioso finanziario;<br />

lo illustra all’interno del presente dibattito Tamm, La tutela collettiva nel diritto processuale<br />

tedesco, in questo numero della rivista, infra; più ampiamente Id., Das Kapitalanleger-<br />

Musterverfahrensgesetz, in ZHR, 2010, p. 525 ss.


DIBATTITI 7<br />

sa è smentita dalla giurisprudenza consolidata, che in presenza dei requisiti<br />

di legge non esita a qualificare consumatore anche chi stipuli contratti bancari,<br />

assicurativi o d’intermediazione finanziaria, e non ha trovato riscontro<br />

nelle ordinanze finora pronunciate sull’art. 140-bis c. cons. ( 16 ). L’immunità<br />

dunque non c’è, ed i consumatori danneggiati da banche o assicurazioni potranno<br />

certamente valersi del nuovo rito, come peraltro già accaduto.<br />

3. – L’ambito temporale<br />

Esiste però una formidabile immunità per il passato: l’art. 49 Legge 23<br />

luglio 2009, n. 99, nell’introdurre al comma 1 la nuova disciplina dell’azione<br />

di classe risarcitoria – il vigente art. 140-bis c. cons. – prevede al comma 2<br />

che tale disciplina si applichi soltanto « agli illeciti compiuti successivamente<br />

alla data di entrata in vigore della presente legge »; e poiché la pubblicazione<br />

della legge è avvenuta il 31 luglio 2009, ne discende che l’azione è applicabile<br />

soltanto « agli illeciti compiuti » a partire dal 16 agosto 2009.<br />

Per prevenire discussioni già apertesi sul testo previgente dell’art. 140-<br />

bis c. cons. ( 17 )– mai divenuto “efficace” – l’art. 49, comma 2, L. 99/2009 appone<br />

dunque una pesante limitazione temporale alla fruibilità del nuovo rito:<br />

esso non potrà valere per i grandi scandali finanziari del nostro recente<br />

passato, che sono messi definitivamente al riparo.<br />

La norma, benché scritta col linguaggio delle disposizioni transitorie ed<br />

intertemporali, è una vera anomalìa, e a quanto consta non ha precedenti.<br />

Bisogna innanzi tutto premettere che l’art. 140-bis c. cons., anche dopo la<br />

riformulazione offertane dall’art. 49, comma 1, L. 99/2009, istituisce e regola<br />

un rito speciale di cognizione. L’innovazione legislativa, se finalizzata a<br />

rendere concreta ed effettiva la tutela di pretese altrimenti destinate all’inattuazione<br />

– questa dovrebbe esserne la ratio – non ha però alcuna portata<br />

sostanziale. Essa non incide sulla quantità e qualità dei diritti e degli interessi<br />

meritevoli di protezione che la legge riconosce al consumatore, ed anzi<br />

vi fa rinvio in modo del tutto neutrale e passivo, come emerge dal mede-<br />

( 16 ) Le due ordinanze Trib. Torino, ord., 4 giugno 2010, cit., e App. Torino, ord., 27 ottobre<br />

2010, in Danno e resp., 2011, p. 71 ss. con nota di Frata, pronunciate nel medesimo procedimento,<br />

hanno avuto ad oggetto l’illiceità di commissioni bancarie addebitate a correntisti<br />

consumatori; s’è trattato dunque di controversia sicuramente “bancaria”, e sicuramente rientrante<br />

nell’ambito del nuovo rito di classe; lo stesso dicasi per la più recente Trib. Torino, ord.,<br />

7 aprile 2011, al momento inedita.<br />

( 17 ) Cfr. fra gli altri, Caponi, Azioni collettive: interessi protetti e modelli processuali di tutela,<br />

in Riv. dir. proc., 2008, pp. 1208-1209.


8 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

simo art. 140-bis, comma 1, c.cons., che semplicemente menziona « i diritti<br />

individuali omogenei dei consumatori e degli utenti » ( 18 ).<br />

A dispetto di ciò l’art. 49, comma 2, L. 99/2009, anziché regolare nel<br />

tempo l’accesso al nuovo rito – come sarebbe proprio delle norme processuali<br />

transitorie – e prevedere che esso si applichi a procedimenti futuri (o a<br />

fasi future di procedimenti in corso), discrimina i diritti che attraverso quel<br />

rito potranno essere fatti valere. Se l’applicazione del procedimento fosse<br />

circoscritta a liti future non vi sarebbe nulla da obiettare, ed anzi si darebbe<br />

l’usuale applicazione dell’art. 11 disp. legge in gen.: è invece arbitrario sottrarre<br />

l’azione a chi patì l’illecito il giorno 15 agosto 2009, concedendola invece<br />

a chi lo patì il giorno successivo, quando né l’uno né l’altro abbiano ancora<br />

proposto una domanda giudiziaria e si trovino pertanto in una posizione<br />

processualmente pari ( 19 ). Si ha dunque ragione di ritenere violati non<br />

solo l’art. 3 Cost. (per irrazionalità ed irragionevolezza dell’agire legislativo),<br />

ma anche l’art. 24, commi 1 e 2, Cost. (per inosservanza del diritto costituzionale<br />

di difesa), a scapito di tutti coloro che si vedano pregiudicati<br />

dalla descritta barriera temporale, a fronte di un rito ufficialmente introdotto<br />

per sopperire a lacune ed inefficienze di quello ordinario ( 20 ).<br />

( 18 ) Secondo Trib. Torino, ord., 4 giugno 2010, cit., “(. . .) va sottolineato che l’art. 140-bis<br />

non crea nuovi diritti, ma disciplina soltanto un nuovo mezzo di tutela, l’azione di classe<br />

(. . .)”; e App. Torino, ord., 27 ottobre 2010, cit., conferma che il nuovo istituto “non crea diritti,<br />

ma si limita ad estendere la tutela giudiziale”; contra il solo Punzi, L’« azione di classe » a tutela<br />

dei consumatori e degli utenti, in Riv. dir. proc., 2010, pp. 268-269.<br />

( 19 ) Prova ne sia la circostanza che il legislatore, pur quando in passato ha voluto introdurre<br />

riti speciali, mai ha pensato di circoscriverne nel tempo, oltre all’applicazione processuale,<br />

anche l’ambito delle situazioni sostanziali tutelabili (cfr. sul punto, in estrema sintesi,<br />

Caponi, Il nuovo volto della class action, cit., c. 383).<br />

( 20 ) Cfr. in questa direzione, Pace, Interrogativi sulla legittimità costituzionale della nuova<br />

« class action », in Riv. dir. proc., 2011, in particolare p. 25 ss.; e Porreca, Ambito soggettivo e oggettivo,<br />

cit., pp. 558-559; dubbiosi Menchini e Motto, L’azione di classe dell’art. 140 bis c.<br />

cons. (legge 23 luglio 2009, n. 99), in Nuove leggi civ., 2010, pp. 1416-1417. Inoltre, per ricostruire<br />

un più vasto “blocco di costituzionalità” offerto dalle norme comunitarie e convenzionali, appare<br />

manifesto che l’art. 49, comma 2, L. 99/2009, con la sua portata arbitrariamente limitatrice<br />

dell’accesso alla nuova forma processuale, lascia emergere una profonda contraddittorietà<br />

rispetto al principio, comunitario e convenzionale, del “ricorso effettivo” alla giustizia: tanto<br />

l’art. 47 Carta Eur. Nizza-Strasburgo, quanto l’art. 13, comma 1, CEDU impongono non solo<br />

la libera ed inviolabile difesa in giudizio dei diritti e degli interessi dei cittadini, ma anche la<br />

sua “effettività”. È dunque irrazionale introdurre un rito alternativo per rendere più concrete<br />

le possibilità di tutela dei consumatori, e poi – con la norma denunciata – rendere non “effettivo”<br />

il ricorso alla giustizia per tutti quei consumatori che abbiano patito un pregiudizio in<br />

data anteriore al 16 agosto 2009.


DIBATTITI 9<br />

Quest’ultimo profilo contribuisce a porre in luce un’ulteriore anomalìa,<br />

che svela un nuovo profilo d’illegittimità costituzionale. Il legislatore aveva<br />

introdotto il nuovo rito già con l’art. 2, comma 446, Legge 24 dicembre 2007,<br />

n. 244 (finanziaria 2008), entrato in vigore il 1° gennaio 2008, ma con la medesima<br />

legge (art. 2, comma 447) ne aveva posticipato l’“efficacia” al 29 giugno<br />

2008. Seguirono poi altre tre proroghe, con le quali l“efficacia” dell’art.<br />

140-bis, testo iniziale, c.cons. è stata posticipata fino al 1° gennaio 2010. Nel<br />

frattempo, e prima ancora che la norma divenisse “efficace”, l’art. 49, comma<br />

1, L. 99/2009, l’ha abrogata e sostituita, salvo disporre con il comma 2<br />

che essa potesse trovare applicazione soltanto “agli illeciti compiuti” a partire<br />

dal 16 agosto 2009.<br />

Sennonché la previsione di una norma che esclude dal rito di classe<br />

(persino) i fatti commessi dopo il 1° gennaio 2008 – quando il rito era entrato<br />

in vigore, malgrado la temporanea “inefficacia” – oltre ad esporsi alle più<br />

generali ed assorbenti censure appena illustrate, risulta manifestamente incostituzionale<br />

anche sotto il seguente profilo: è irrazionale ed irragionevole<br />

discriminare quei consumatori che, per lo meno a partire dal 1° gennaio<br />

2008, riposero il loro affidamento nella futura e sopravveniente “efficacia”<br />

del nuovo modello processuale, ed acquisirono il diritto di valersene, salvo<br />

scoprire – a posteriori – che esso sarebbe stato applicabile solo per illeciti patiti<br />

a partire dal 16 agosto 2009. La discrezionalità del legislatore abbraccia sì<br />

il potere di prorogare l’inapplicabilità di norme già in vigore – ad esempio<br />

perché divengano “efficaci” con gradualità, o comunque a distanza di tempo<br />

dalla loro approvazione – ma anche questo potere non è privo di limiti, e<br />

deve resistere al controllo di razionalità e ragionevolezza ìnsito nell’art. 3<br />

Cost., in modo tale che non divenga il mezzo per frustrare diritti e interessi<br />

che quelle norme hanno fatto maturare nella sfera dei loro destinatari.<br />

Invero nel caso di specie non s’è trattato di una posticipazione una tantum<br />

dell’entrata in vigore – fenomeno sporadico, ma noto – bensì di un autentico<br />

stillicidio di proroghe a catena: per ben quattro volte il legislatore ha<br />

spostato in avanti il tempo dell’“efficacia” prima che questa venisse a decorrere,<br />

quasi a voler ripetutamente allontanare il nuovo rito dai suoi destinatari,<br />

e senza mai porre in discussione la sua entrata in vigore. Ad un tratto<br />

invece il legislatore, anziché disporre l’ennesima proroga, ha preferito abrogare<br />

l’art. 140-bis testo iniziale c.cons. per sostituirlo con la sua versione attuale,<br />

ma ne ha fatto decorrere l’“efficacia” ex nunc, anziché da quando la<br />

prima versione era entrata a far parte del sistema. Ne deriva che i consumatori<br />

i quali patirono danno dopo l’entrata in vigore della legge del 2008, per<br />

circa due anni si sono visti spogliati dell’azione di classe subito prima che<br />

giungesse la data della sua applicazione, salvo scoprire poi che essa, rifor-


10 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

mata e perfezionata, non sarebbe servita a riparare il loro danno, ma quello<br />

patito da altri a partire dal 16 agosto 2009 ( 21 ).<br />

Nella vicenda legislativa che ha condotto dal vecchio al nuovo art. 140-<br />

bis c.cons. si può dunque scorgere anche un abuso del potere legislativo di<br />

proroga, che segna un’aperta violazione non solo dell’art. 3, ma anche dell’art.<br />

73, comma 3, Cost. ( 22 ).<br />

4. – Azione di classe e legittimazione ad agire: la rappresentatività del proponente<br />

Illustrato l’ambito materiale e temporale dell’azione, occorre dedicare<br />

alcune considerazioni alla legittimazione attiva prevista dal nuovo art. 140-<br />

bis c.cons.: l’azione spetta a “ciascun componente della classe”, vale a dire a<br />

ciascun consumatore che affermi lesa una situazione soggettiva rientrante<br />

nell’ambito materiale e temporale tracciato dall’art. 140-bis, comma 2,<br />

c.cons. e dall’art. 49, comma 2, L. 99/2009. In questo significato minimale<br />

non è improprio discorrere di “azione di classe”, come fa la rubrìca del nuovo<br />

art. 140-bis c.cons., ma l’espressione sarebbe invece fuorviante se inducesse<br />

ad illusori parallelismi con l’esperienza statunitense, punto sul quale<br />

si farà ritorno a breve ( 23 ).<br />

Dunque il legislatore italiano ha abbandonato la sua predilezione per gli<br />

enti esponenziali e per l’istituto della legittimazione straordinaria, predilezione<br />

testimoniata non solo dalla vigente disciplina dell’inibitoria collettiva<br />

ex artt. 139-140 c.cons., ma anche dalla prima versione dell’art. 140-bis<br />

c.cons. (mai divenuto “efficace”) ( 24 ); s’è ripiegato sulla legittimazione ordinaria<br />

dell’appartenente alla classe, che agisce per far valere un diritto pro-<br />

( 21 ) Diversa, ma convergente sui presupposti, la soluzione cui accede Giussani, Il nuovo<br />

art. 140 bis c.cons., in Riv. dir. proc., 2010, pp. 614-615 (già prima Gitti e Giussani, La conciliazione<br />

collettiva nell’art. 140 bis c.cons., dalla L. n. 244 del 24 dicembre 2007 alla L. n. 99 del 23 luglio<br />

2009, alla luce della disciplina transitoria, in Riv. dir. civ., 2009, II, in particolare p. 642 ss.).<br />

( 22 ) Del pari inammissibile deve giudicarsi la circostanza per cui il legislatore, nel prorogare<br />

ripetutamente l’“inefficacia” del nuovo rito e nel sottrarlo poi a tutti i consumatori lesi<br />

prima del 16 agosto 2009, ha operato in direzione esattamente contraria a quanto stabilito non<br />

solo dall’art. 169 TFUE, ma anche dall’art. 38 Carta Eur. Nizza-Strasburgo, l’uno e l’altra fermi<br />

nel proposito di garantire “un livello elevato di protezione dei consumatori”.<br />

( 23 ) Cfr. infra, par. 6; ma fin d’ora, Punzi, L’« azione di classe », cit., in particolare pp. 256-<br />

257.<br />

( 24 ) Cfr. sul vecchio art. 140-bis c. cons., fra i molti, Costantino, Legittimazione e profili<br />

processuali, in Bellelli (cur.), Dall’azione inibitoria all’azione risarcitoria collettiva, ne I quaderni<br />

della Rivista di diritto civile, Padova, 2009, p. 19 ss.; e Porreca, Ambito soggettivo e oggettivo,<br />

cit., p. 544 ss.


DIBATTITI 11<br />

prio, seppur potenzialmente omogeneo o identico a quello facente capo ad<br />

una più vasta cerchia di consumatori ( 25 ).<br />

La scelta apparirebbe dettata, in sé, dalla volontà di allargare e facilitare<br />

l’accesso al nuovo rito, rimettendolo alla libera e personale iniziativa di chi<br />

vi abbia interesse: questi è infatti il miglior arbitro della sua posizione, e può<br />

decidere in prima persona se e come far valere i suoi diritti, senza la necessaria<br />

intermediazione di enti o istituzioni che, operando da introduttori dell’azione,<br />

potrebbero perseguire interessi distanti (o persino divergenti) da<br />

quelli del singolo danneggiato. Sopprimere qualsiasi filtro appare funzionale<br />

alla maggiore effettività dello strumento.<br />

Ci sono però (almeno) tre fattori, che rendono l’impressione ingannevole.<br />

In primo luogo l’art. 140-bis, comma 6, c.cons. eleva a requisito di ammissibilità<br />

dell’azione la rappresentatività del proponente: “La domanda è<br />

dichiarata inammissibile (. . .) quando il proponente non appare in grado di<br />

curare adeguatamente l’interesse della classe”. La norma è misteriosa, non<br />

lasciando trasparire alcun indice tangibile di rappresentatività, ma la sola<br />

esigenza che una qualche rappresentatività vi sia sembra contraddire la regola<br />

che vorrebbe legittimato “ciascun componente della classe”: si deve<br />

trattare di un soggetto reputato idoneo a farsi portatore di interessi che travalicano<br />

la sua sfera, di un soggetto che pertanto riacquista, malgrado gli annunci,<br />

un ruolo (indirettamente) esponenziale.<br />

Certamente molto dipenderà da come la giurisprudenza vorrà intendere<br />

questa rappresentatività del proponente, se la vorrà legare al censo, all’esperienza<br />

professionale del difensore o ad altri elementi che si potrebbero<br />

immaginare: in ogni caso appare fin d’ora manifesto che questo requisito<br />

impone al giudice valutazioni del tutto inedite nella nostra dialettica – si potrebbe<br />

dire nel nostro “costume” – processuale; può il giudice respingere<br />

l’azione perché l’attore è “povero” ( 26 ) Può il giudice esaminare la dichiara-<br />

( 25 ) Trib. Torino, ord., 4 giugno 2010, cit., ha statuito che, se l’art. 140-bis, comma 6,<br />

c.cons. impone al giudice un controllo preliminare sull’ammissibilità dell’azione di classe, ciò<br />

non toglie che in capo al proponente debbano ricorrere anche le comuni condizioni dell’azione<br />

individuale, ed in particolare l’interesse ad agire; non sarebbe dunque bastevole un interesse<br />

di classe, prospettivo ed inattuale, se faccia difetto l’interesse concreto ed immediato di<br />

chi pro-pone la domanda collettiva; nondimeno App. Torino, ord., 27 ottobre 2010, cit., nel<br />

correggere sul punto la motivazione dell’ordinanza di prime cure, ha precisato che pure l’interesse<br />

ad agire, come tutte le condizioni dell’azione, deve essere vagliato in chiave d’allegazione<br />

(ed è giunta ad escludere l’ammissibilità dell’azione non già per carenza d’interesse,<br />

pur sempre allegato dal proponente, ma per manifesta infondatezza, essendo pacifica in causa<br />

l’assenza di qualsiasi danno individualmente patito dal proponente medesimo).<br />

( 26 ) In senso affermativo Trib. Torino, ord., 7 aprile 2011, cit., il quale ha dedotto la non-rap-


12 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

zione dei redditi del suo difensore o magari spingersi ad apprezzarne la<br />

competenza professionale ( 27 ) Tutte valutazioni consuete oltreoceano, ma<br />

difficilmente conciliabili con principi e valori radicati nel nostro ordinamento<br />

fino al più alto livello delle fonti ( 28 ).<br />

5. – Segue: la pubblicità dell’ordinanza come condizione di procedibilità<br />

Un secondo fattore dissuasivo, che rende fittizia la “democraticità” della<br />

legittimazione ad agire, è implicitamente recato dall’art. 140-bis, comma<br />

9, prima e seconda proposizione, c.cons.: « Con l’ordinanza con cui ammette<br />

l’azione il tribunale fissa termini e modalità della più opportuna pubblicità,<br />

ai fini della tempestiva adesione degli appartenenti alla classe. L’esecuzione<br />

della pubblicità è condizione di procedibilità della domanda »( 29 ).<br />

L’ordinanza di ammissibilità, nel segnare i criteri dell’opt-in e il tempo<br />

delle adesioni, non esaurisce i suoi effetti fra le parti, ma è destinata a<br />

proiettarsi su tutti gli appartenenti alla classe: è dunque coessenziale alle<br />

finalità del nuovo rito che l’ordinanza sia sottoposta a pubblicità e che il<br />

giudice ne fissi discrezionalmente termini e modalità più adeguati, in modo<br />

che la notizia dell’azione raggiunga il maggior numero di consumatori;<br />

non si tratterà di una pubblicità meramente legale, dedita all’osservanza<br />

formale delle prescrizioni di legge, ma di una pubblicità che dovrebbe veramente<br />

divulgare l’azione presso tutti gli appartenenti alla classe, e nelle<br />

forme più utili, facendo sì che il processo aggregato raggiunga appieno i<br />

suoi scopi.<br />

Quegli scopi sono invece contraddetti dalla scelta, quasi sanzionatoria<br />

per l’attore, di rendere l’esecuzione della pubblicità « condizione di procedibilità<br />

della domanda ». È ben vero che il giudice potrebbe porre l’onere di<br />

anticiparne le spese a carico dell’attore, a carico del convenuto od anche a<br />

presentatività dal fatto che l’attore fosse – come non poteva che essere – un mero “consumatore”<br />

(nella fattispecie per giunta un pensionato) ed avesse eccepito l’illegittimità costituzionale<br />

dell’art. 140-bis, comma 9, seconda proposizione, c.cons. (ove la procedibilità della domanda è<br />

subordinata alla pubblicità dell’ordinanza ammissiva; cfr. subito, nel testo, par. 5): se il consumatore<br />

lamenti irrazionalità, irragionevolezza ed ingiustizia della norma che finisce col porgli a<br />

carico l’intero “finanziamento” del processo collettivo, questa doglianza sarebbe la prova evidente<br />

della sua indigenza, e dunque dell’inettitudine a rappresentare la classe.<br />

( 27 ) Lo ammette – ma senza nascondere le perplessità cui queste valutazioni darebbero<br />

luogo nel nostro ambiente – Giussani, Il nuovo art. 140 bis c.cons., cit., pp. 596-597.<br />

( 28 ) Cfr. fra gli altri, Cavallini, Azione collettiva risarcitoria, cit., pp. 1137-1138; viceversa<br />

non ravvedono difficoltà alcuna Menchini - Motto, L’azione di classe, cit., p. 1456.<br />

( 29 ) Corsivo fra virgolette di chi scrive.


DIBATTITI 13<br />

carico di entrambi in via solidale, salva l’applicazione della regola della soccombenza<br />

all’esito della lite (si tratta infatti di un atto prescritto ex lege per<br />

ragioni di funzionalità generale del processo, e non, a rigore, di un atto richiesto<br />

da parte attrice); è altrettanto vero però che la parte interessata alla<br />

prosecuzione del giudizio è l’attore, e non il convenuto, e se la pubblicità<br />

non fosse eseguita secondo tempi e modi prescritti dall’ordinanza, la conseguente<br />

improcedibilità della domanda penalizzerebbe il primo e non certo<br />

il secondo. Subordinare l’apertura delle adesioni e la trattazione del merito<br />

all’esecuzione della pubblicità significa, per lo meno in fatto, far ricadere<br />

sistematicamente sull’attore l’anticipazione delle spese occorrenti, pena<br />

l’immediato arresto dell’iter ( 30 ).<br />

Se così è, la norma in commento, malgrado l’apparente neutralità, finisce<br />

col rappresentare un ostacolo molto arduo all’intrapresa di azioni di<br />

classe: non si comprende perché mai un comune consumatore, che già sarebbe<br />

restìo ad esperire un’azione individuale, dovrebbe ora intraprenderne<br />

una di classe, sapendo d’incorrere persino in costi aggiuntivi e non facilmente<br />

prevedibili ( 31 ).<br />

Un’obiezione potrebbe essere che la capacità patrimoniale dell’attore,<br />

nell’assetto voluto dalla legge, è essa stessa un requisito di rappresentatività,<br />

sicché dovrebbe stimarsi inidoneo a “curare adeguatamente l’interesse<br />

della classe” (ex art. 140-bis, comma 6, c.cons.) chi non sia in grado di anticipare<br />

il pagamento delle spese processuali ( 32 ): vera la replica, si dovrebbe<br />

però anche concludere che la legittimazione attiva – solo apparentemente<br />

diffusa – è in realtà fondata sul censo, fa capo ad un’élite di consumatori<br />

possidenti, e non testimonia alfine alcuna “democratizzazione” del nuovo<br />

rito. A tanto è valso sopprimere l’intercessione degli enti esponenziali, la<br />

cui funzione torna in auge attraverso l’esponenzialità (indiretta) del consumatore<br />

rappresentativo.<br />

Ancora una volta la disciplina di legge sembra pensata non per promuovere,<br />

ma per impedire il raggiungimento dei risultati annunciati. Con previsioni<br />

altisonanti s’illude il consumatore con la prospettiva dell’azione di<br />

classe; poco dopo però s’introduce un subdolo correttivo ammantato di tecnicismo<br />

processuale, che segnerà di fatto l’inconsistenza dello strumento:<br />

la pretesa che il consumatore finanzi “di tasca propria” il processo collettivo,<br />

( 30 ) Lo riconosce anche Trib. Torino, ord., 7 aprile 2011, cit.; cfr. sul punto, condivisibilmente,<br />

Menchini e Motto, L’azione di classe, cit., p. 1463.<br />

( 31 )Rilievo diffuso, ma cfr. fra gli altri, Giussani, Il nuovo art. 140 bis c.cons., cit., pp. 595-<br />

596.<br />

( 32 ) In questo senso si esprime Trib. Torino, ord., 7 aprile 2011, cit.


14 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

pubblicizzandone l’ordinanza d’ammissibilità e garantendone la prosecuzione,<br />

nell’auspicio di riottenere le somme nel caso (mai certo) di vittoria.<br />

È palesemente contraddittorio introdurre nel sistema un nuovo istituto per<br />

poi svuotarlo nei fatti di qualsiasi rilievo pratico, come peraltro testimonia<br />

la sostanziale paralisi dell’istituto in <strong>Italia</strong>.<br />

La paralisi sarebbe altrettanto certa, se al consumatore si chiedesse di finanziare<br />

persino un processo transfrontaliero, nel corso del quale pubblicizzare<br />

gli atti di causa all’interno di ciascun paese membro. Se il legislatore<br />

europeo, imitando quello italiano, volesse sabotare la sua stessa opera,<br />

non avrebbe che da subordinare la procedibilità dell’azione a questa o quella<br />

costosa formalità processuale, ed avrebbe la certezza matematica che<br />

nessun consumatore europeo – e forse nessuna associazione di categoria,<br />

benché sovranazionale – vorrà azzardarsi ad invocare una tutela di classe.<br />

6. – Segue: perché mai un consumatore dovrebbe agire in forma collettiva<br />

Occorre tuttavia meditare anche su un terzo fattore dissuasivo, legato ai<br />

precedenti, ma persino più grave nell’ostacolare l’accesso alla tutela di classe.<br />

Come noto quest’ultima, affermatasi in ordinamenti lontani dal nostro,<br />

vi è stata fatta penetrare ex abrupto, senza raccordo ed accomodamento rispetto<br />

alle trame complessive del sistema ( 33 ): eccettuate quelle poche norme<br />

che vi dedica l’art. 140-bis c.cons., essa dovrà convivere con forme e procedure<br />

pensate per un rito individuale, impostato sul contraddittorio fra un<br />

attore ed un convenuto singoli, anziché per un confronto allargato ove l’attore<br />

è chiamato a svolgere compiti latamente esponenziali ( 34 ). Poiché questi<br />

è destinato a calarsi in un sistema che non gli attribuisce alcuna posizione<br />

di favore rispetto a quella del comune attore di una lite individuale, sorge<br />

spontanea la domanda: perché mai egli dovrebbe intraprendere l’azione<br />

di classe Se all’esito di un processo che impone persino costi aggiuntivi<br />

(per lo meno in via d’anticipazione), egli conseguirebbe al più quanto spettantegli<br />

al termine di una causa individuale – e già sarebbe restìo ad intrapredere<br />

quest’ultima – non si vede perché dovrebbe avventurarsi nella conduzione<br />

di un rito collettivo.<br />

( 33 ) Si tratta, a suo modo, di un legal transplant: cfr. sui profili di metodo, per tutti, Janssen<br />

e Schulze, Legal Cultures and Legal Transplants in Germany, in Eur. Rev. Priv. Law, 2011,<br />

p. 225 ss.<br />

( 34 ) Mostra consapevolezza di queste difficoltà, che chiamano il giudice ad un ruolo spiccatamente<br />

propositivo nella lettura ed applicazione dell’istituto, App. Torino, ord., 27 ottobre<br />

2010, cit.


DIBATTITI 15<br />

Una possibile replica è che queste controindicazioni varrebbero pure<br />

per gli ordinamenti nei quali l’istituto fiorisce (più o meno) indisturbato da<br />

decenni, ed allora non si spiegherebbero le sue fortune d’oltreoceano, pur<br />

sempre legate all’iniziativa del quisque de populo. Fatto è però che in quelle<br />

esperienze il processo di classe è capace di destare ben altri stimoli, difficilmente<br />

riproducibili altrove ( 35 ).<br />

Come noto nella class action statunitense – per citare l’esperienza paradigmatica<br />

– il ruolo propulsivo è svolto dall’avvocato, che con attitudine imprenditoriale<br />

assume tutti i rischi dell’azione ed in caso di vittoria fa propria<br />

larga parte dei “profitti” ( 36 ): è anzi l’avvocato a selezionare i casi, valutando<br />

le prospettive di successo dell’azione, acquisendo a proprie spese le informazioni<br />

specialistiche occorrenti, assicurandosi per l’eventualità della soccombenza,<br />

e soltanto dopo, investiti tempo e denaro nella preparazione del<br />

processo, andando alla ricerca dell’attore più congeniale; ma in caso di successo<br />

nel merito o di conciliazione della lite dopo la certificazione della classe,<br />

egli ottiene a compenso dell’attività svolta somme ingentissime, che<br />

possono superare il 50% di quelle al cui pagamento è condannato il convenuto<br />

(a favore dell’intera classe rappresentata in giudizio).<br />

Il rischio è altrettanto elevato, sotto molteplici profili. Negli Stati Uniti<br />

vale come noto la c.d. american rule, in forza della quale le spese legali restano<br />

a carico di chi le affronta, e non sono oggetto di rifusione neppure in<br />

caso di vittoria piena: se dunque l’avvocato ha speso troppo per istruire il<br />

processo – ad esempio per consulenze tecniche o per pubblicizzare l’azione<br />

presso i media – l’onorario potrebbe non bastare a compensarlo; egli, dopo<br />

la certificazione della classe, è nominato dal giudice, che ne valuta non solo<br />

la solidità patrimoniale, ma anche la competenza, l’attitudine a gestire gli<br />

aspetti mediatici e lobbistici dell’azione – dei quali non si fa mistero – e persino<br />

il “nome”: può anche capitare che l’avvocato, dopo aver sostenuto spese<br />

elevate per lo studio della class action, non venga nominato difensore<br />

( 35 ) La dottrina in materia è vasta: per una lettura europea della class action statunitense<br />

cfr., fra i molti, Michailidou, Prozessuale Fragen des Kollektivrechtsschutzes im europäischen<br />

Justizraum, Baden-Baden, 2007, in particolare p. 165 ss. (e quivi amplia bibliografia); Trocker,<br />

Class action negli USA – e in <strong>Europa</strong>, in questa rivista, 2009, p. 178 ss.; da ultimo Mäsch,<br />

Abwehrstrategien gegen unerwünschte Rezeptionen im Internationalen Prozessrecht: Die class action,<br />

in Ebke, Elsing, Großfeld e Kühne, Das deutsche Wirtschaftsrecht unter dem Einfluss<br />

des US-amerikanischen Rechts, Frankfurt, 2011, p. 151 ss.<br />

( 36 ) Cfr. fra gli altri Trocker, Class action negli USA, cit., in particolare p. 220 ss.; Frignani<br />

e Virano, La class action nel diritto statunitense: tentativi (non sempre riusciti) di trapianto<br />

in altri ordinamenti, in Dir. econ. assic., 2009, p. 18 ss.; ed in breve Porreca, Ambito soggettivo<br />

e oggettivo, cit., pp. 543-544.


16 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

della classe, ed il giudice gli preferisca altro professionista nel frattempo<br />

candidatosi, come è suo potere, a difendere quella stessa classe; e per giungere<br />

al rischio maggiore è evidente che egli, se avrà stretto con l’attore un<br />

patto di quota-lite, in caso di soccombenza non conseguirà onorario alcuno.<br />

Tutto ciò ha condotto al fallimento talune law firms, un fallimento letteralmente<br />

inteso, visto che l’esercizio della professione forense è per questi<br />

aspetti parificato ad una vera e propria <strong>impresa</strong> commerciale.<br />

Le chances d’arricchimento dipendono non solo dalla descritta larghezza<br />

della quota-lite, ma anche da un altro fattore, oggetto di vibranti discussioni<br />

dentro e fuori gli Stati Uniti: i punitive damages. Il risarcimento spettante<br />

alla classe può oltrepassare – e normalmente oltrepassa – l’ammontare<br />

del danno allegato e provato in giudizio, con funzione sanzionatoria per<br />

il convenuto che abbia agito con dolo o colpa inescusabile. Questo supplemento<br />

risarcitorio è alfine decisivo nelle dinamiche della class action: nella<br />

previa scelta dei casi le law firms ricercano, e tentano di perseguire, non solo<br />

comportamenti plurioffensivi di larga scala, ma preferibilmente quelli<br />

dolosi, che possano aprire le porte ai risarcimenti punitivi, con apprezzabili<br />

– quanto discusse – ricadute sociali, economiche e politiche ( 37 ).<br />

Questo contesto ambientale, nel quale è sorto e prospera il modello statunitense<br />

– quel paradigma cui guardano (ora con ammirazione, ora con sospetto)<br />

tutti gli addetti ai lavori ( 38 )– è talmente lontano dal nostro da rendere<br />

superfluo qualsiasi commento. Il successo della class action è legato a<br />

meccanismi “endo” ed “extra-processuali” che non trovano alcun risconto<br />

né in <strong>Italia</strong>, né negli altri paesi europei ( 39 ). Sarebbe dunque fuorviante caldeggiare<br />

un modello senza coglierlo nella sua interezza, e riprodurre in sede<br />

comunitaria un’azione di gruppo che non può funzionare senza quel bilanciamento<br />

di forze, di pesi e contrappesi, che è tipico dello strumento<br />

d’oltreoceano; sarebbe non meno controproducente chiudersi in quell’“orgoglio<br />

autolesionistico”, che vede molti europei respingere con sdegno<br />

qualsiasi suggestione nord-americana ( 40 ).<br />

( 37 ) Per un riepilogo dei principali problemi che ruotano attorno ai danni punitivi nella<br />

prospettiva di civil law cfr., per tutti, Busnelli, Deterrenza, responsabilità civile, fatto illecito,<br />

danni punitivi, in Eur. dir. priv., 2009, p. 909 ss.; con più mirato riferimento alla class action nordamericana,<br />

Frignani e Virano, La class action nel diritto statunitense, cit., p. 26 ss.<br />

( 38 ) Cfr. Trocker, Class action negli USA, cit., p. 178 ss.; e Consolo, Class actions fuori<br />

dagli USA, in Riv. dir. civ., 1993, I, p. 609 ss.<br />

( 39 ) Cfr. in tema, di recente, Kagan, La giustizia americana, ed. it., Bologna, 2009.<br />

( 40 ) Queste le parole di Giussani, Azioni collettive risarcitorie nel processo civile, Bologna,<br />

2008, p. 145.


DIBATTITI 17<br />

Quanto all’art. 140-bis c.cons. – e con ciò si fa ritorno al quesito iniziale<br />

– appare chiara l’assenza di qualsiasi incentivo che possa motivare l’attore<br />

ad esperire l’azione. In caso di soccombenza egli sarà tenuto a rimborsare le<br />

spese legali sostenute dal convenuto, essendo divenuta residuale la stessa<br />

eventualità della compensazione ( 41 ); ancor prima potrebbe essere condannato<br />

alla pubblicità dell’ordinanza negativa ai sensi dell’art. 140-bis, comma<br />

8, c.cons., per il caso d’inammissibilità dell’azione, salvo l’ulteriore aggravamento,<br />

testualmente richiamato, per l’ipotesi di lite temeraria ( 42 ); sempre<br />

in caso di soccombenza la parte attrice si vedrebbe addebitate in via definitiva<br />

le spese di pubblicità dell’ordinanza ammissiva, spese che avrà anticipato<br />

per garantire la procedibilità ai sensi dell’art. 140-bis, comma 9, seconda<br />

proposizione, c.cons.<br />

In caso di vittoria, le spese legali dell’attore sarebbero generalmente<br />

addebitate al convenuto, salva l’ipotesi residuale della compensazione,<br />

ma il loro ammontare dipenderà da come il giudice vorrà quantificare il<br />

valore di causa (se commisurato alla sola posizione dell’attore o, come<br />

più probabile, anche a quella di ciascun aderente); se è stato stipulato un<br />

patto di quota-lite, può darsi che il difensore consegua qualche incremento<br />

d’onorario, ma non essendo prevista alcuna liquidazione di danni punitivi<br />

sulla falsariga del sistema statunitense, una lite bagatellare rimarrebbe<br />

tale anche quando molti fossero gli aderenti – prova della gravità<br />

plurioffensiva dell’illecito – e doloso il comportamento del convenuto.<br />

L’avvocato dell’attore non avrà neppure la sicurezza di assumere la difesa<br />

degli aderenti, giacché questi si costituiscono per legge “senza ministero<br />

di difensore” – così l’art. 140-bis, comma 3, c.cons. – e quand’anche prefe-<br />

( 41 ) La compensazione integrale delle spese di lite è stata però statuita, all’interno del<br />

medesimo procedimento, sia da Trib. Torino, ord., 4 giugno 2010, cit., sia da App. Torino,<br />

ord., 27 ottobre 2010, cit.; e in altro procedimento da Trib. Torino, ord., 7 aprile 2011, cit.<br />

( 42 ) La condanna a curare la pubblicità dell’ordinanza negativa (o a risarcire i danni conseguenti<br />

a lite temeraria) presuppone che l’attentato all’immagine dell’<strong>impresa</strong> convenuta<br />

non solo sussista, ma sia anche imputabile al proponente: la condanna non avrebbe fondamento<br />

alcuno laddove questi, nella fase di scrutinio dell’ammissibilità, abbia mantenuto il<br />

più stretto riserbo, non svolgendo in proprio alcuna comunicazione dell’iniziativa, né tantomeno<br />

prodigandosi nel raccogliere adesioni presso il pubblico dei consumatori e degli utenti<br />

(cfr. in questo senso Menchini e Motto, L’azione di classe, cit., p. 1465). In altri termini non<br />

vi può essere alcun automatismo fra pronuncia d’inammissibilità e condanna a pubblicizzare<br />

l’ordinanza negativa, come invece è parso sia a Trib. Torino, ord., 4 giugno 2010, cit., sia alla<br />

più recente Trib. Torino, ord., 7 aprile 2011, cit.; App. Torino, ord., 27 ottobre 2010, cit. ha persino<br />

ordinato la pubblicità dell’ordinanza di rigetto del reclamo, quando nessuna previsione<br />

in tal senso è dato scorgere nell’art. 140-bis c.cons.


18 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

riscano valersi di quel ministero, non avranno diritto a vedersi liquidate<br />

spese legali da addebitare al convenuto soccombente.<br />

Insomma: un sistema che non incentiva né l’attore di classe, né il suo<br />

avvocato, rendendo per lo più simbolica la legittimazione attiva del quisque<br />

de populo.<br />

7. – Segue: la legittimazione del consumatore “anche mediante associazioni<br />

cui dà mandato”<br />

D’altra parte è lo stesso legislatore a prefigurare un altro percorso, per<br />

così dire intermedio fra i poli della legittimazione diffusa e di quella esponenziale,<br />

ed è proprio questo percorso ad essere stato battuto finora nelle<br />

poche azioni di classe esperite in <strong>Italia</strong>: ai sensi dell’art. 140-bis, comma 1,<br />

c.cons. il consumatore può agire “anche mediante associazioni cui dà mandato<br />

o comitati cui partecipa”. Il proponente, unico titolare della situazione<br />

soggettiva fatta valere, può nominare quale suo rappresentante processuale<br />

un’associazione di consumatori ( 43 ).<br />

Il meccanismo contrasta l’incidenza dei molteplici fattori dissuasivi che<br />

possono allontanare il consumatore dal rito di classe. Come già osservato,<br />

questi è legittimato in proprio, ma ai sensi dell’art. 140-bis, comma 6,<br />

c.cons. la sua domanda non è ammissibile se egli “non appare in grado di<br />

curare adeguatamente l’interesse della classe”: ebbene, la rappresentatività<br />

del proponente non può che aumentare, qualora agisca a suo nome un’associazione<br />

di consumatori, magari ben insediata sul territorio nazionale e<br />

capace di comprovare un buon volume di iscritti. Se l’azione è giudicata<br />

ammissibile, l’ordinanza dev’essere pubblicizzata ex art. 140-bis, comma 9,<br />

seconda proposizione, c.cons.: nondimeno il problema dell’anticipazione<br />

delle spese, per nulla secondario, potrebbe essere superato con l’apporto<br />

dell’associazione che condivida natura e scopi dell’azione, e decida di sopportarne<br />

i costi. Anche il terzo fattore dissuasivo sopra descritto, l’assenza<br />

di stimoli che possano davvero indurre il consumatore all’avvio del proce-<br />

( 43 ) A rigore l’art. 140-bis, comma 1, c.cons. non richiede testualmente che si tratti di<br />

un’associazione di consumatori: perché non potrebbe essere mandataria, ai sensi e per gli effetti<br />

della norma in commento, un’associazione di medici “anti-fumo” od ecologista od anche<br />

una che sorga spontaneamente fra le vittime di un medesimo disservizio D’altra parte se il<br />

consumatore può agire “anche mediante (. . .) comitati cui partecipa” – formula sibillina, sulla<br />

quale non occorre soffermarsi – non si vede perché non possa conferire quello stesso mandato<br />

ad associazioni preesistenti e purtuttavia diverse dalle “classiche” associazioni di consumatori.


DIBATTITI 19<br />

dimento, può trovare nel meccanismo in oggetto un qualche contenimento:<br />

è ben vero infatti che il proponente continuerebbe a non ottenere, all’esito<br />

del processo collettivo, nulla più di quanto non otterrebbe all’esito di<br />

una lite individuale, ma l’organizzazione che lo rappresenti – e che lo sollevi<br />

dagli esborsi aggiuntivi tipici di una class action – potrebbe nel frattempo<br />

perseguire con successo i suoi scopi associativi, impegnandosi a fondo nella<br />

campagna delle adesioni con ritorno d’immagine e di nuove quote associative.<br />

Si creerebbe cioè un sodalizio di private enforcement fra proponente<br />

ed associazione mandataria, un sodalizio nel quale l’uno fa valere in qualità<br />

di rappresentato un diritto soggettivo (pur sempre) individuale e proprio,<br />

ancorché identico od omogeneo a quello degli aderenti, e l’altra persegue<br />

(anche) i suoi scopi statutari ( 44 ).<br />

Se così è, il mandato conferito all’associazione ex art. 140-bis, comma 1,<br />

c.cons. dev’essere inteso come mandato anche nell’interesse del mandatario,<br />

il quale agisce – non a caso – sia per tutelare in forma collettiva la posizione<br />

del mandante, sia per promuovere l’adesione dei consumatori portatori<br />

di posizioni identiche od omogenee, il che è perfettamente conforme al<br />

suo statuto ed alla ratio del processo di classe. Un buon compromesso fra<br />

“democraticità” e rappresentatività della legittimazione ad agire in forma<br />

collettiva, un compromesso che potrebbe raccogliere consenso anche in<br />

chiave europea.<br />

8. – La nostra piccola “class action” per adesione<br />

Il legislatore italiano ha scelto il modello dell’opting-in. Tutti i consumatori<br />

che vantino un diritto identico od omogeneo a quello fatto valere<br />

dall’attore possono aderire all’azione di classe: si suole affermare che essi<br />

acquisiscono, in questo modo, la qualità di parti (solo) sostanziali del processo<br />

aggregato, mentre è da escludersi che spetti loro la qualità di parti processuali,<br />

riservata ad attore e convenuto ( 45 ).<br />

( 44 ) Cfr. in questa direzione Libertini e Maugeri, Il giudizio di ammissibilità dell’azione<br />

di classe (nota a Trib. Torino, ord., 4 giugno 2010, cit.), in Nuova giur. civ., 2010, p. 884; e similmente<br />

Frata, Il commento (nota a Trib. Torino, ord., 4 giugno 2010, cit., e ad App. Torino, 27<br />

ottobre 2010, cit.), in Danno e resp., 2011, pp. 81-82.<br />

( 45 ) Osservazione pacifica, e confermata da Trib. Torino, ord., 4 giugno 2010, cit.: “(. . .) l’azione<br />

di classe tutela i diritti individuali omogenei dei consumatori ed utenti ed a tal fine può<br />

agire ciascun componente. Solo il soggetto che assume tale iniziativa processuale assume la<br />

qualità di parte processuale, mentre coloro che aderiscono all’azione ai sensi del comma 3 ne<br />

subiscono gli effetti, ma non assumono la qualità di parte”.


20 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

S’impone al riguardo un primo, non marginale rilievo. Poiché è risaputo<br />

che l’inerzia del consumatore è molto difficile da vincere – è<br />

quell’“apatia razionale”, che lo tiene lontano non solo dalle liti individuali,<br />

ma anche da quelle collettive – i due modelli, opting-out ed opting-in, si<br />

differenziano sensibilmente già sul piano quantitativo: l’uno dà vita a<br />

“grandi” azioni di classe, perché tutti gli appartenenti a quella stessa cerchia<br />

di danneggiati, per il fatto di vantare posizioni conformi a quella impersonata<br />

dall’attore, attraggono automaticamente gli effetti del giudicato<br />

collettivo; l’altro dà vita a “piccole” azioni di classe, perché l’estensione<br />

soggettiva del giudicato è tale da coprire solo gli aderenti, i quali saranno<br />

sempre una frazione minimale dell’intero volume degli appartenenti<br />

alla classe.<br />

Già solo questo scarto quantitativo rende palese la preferibilità dell’opting-out:<br />

solo un “grande” processo di classe restituisce davvero all’azione<br />

civile tutta la sua efficacia riparatoria e deterrente, tutelando appieno la<br />

massa dei danneggiati, anziché quei pochi che decidano scientemente di<br />

parteciparvi. Se dunque l’obiettivo è quello di scoprire il sommerso, facendo<br />

sì che pure il bagatellare raggiunga le aule di giustizia e si riducano i profitti<br />

illeciti dei danneggianti abituali – ma fu questo l’obiettivo del legislatore<br />

italiano – allora non può che preferirsi una “grande” azione di classe, improntata<br />

all’opting-out.<br />

Sennonché l’opting-out pare consigliabile anche nell’ottica del convenuto:<br />

a ben vedere questi si giova di un giudicato soggettivamente vasto, magari<br />

gravoso, ma esaustivo; certamente in caso di soccombenza egli può subire<br />

una condanna dalle dimensioni ragguardevoli, dovendo risarcire anche<br />

i danni patiti da chi mai avrebbe aderito; in caso di vittoria, tuttavia, egli sarà<br />

sollevato da ogni responsabilità nei confronti di chiunque possa (o voglia)<br />

rientrare nella classe, chiudendo definitivamente la partita. Il modello<br />

dell’opting-in resta per così dire a metà strada, perché il convenuto, se soccombe,<br />

risarcisce solo alcuni (normalmente pochi) aderenti, ma l’indomani<br />

può essere convenuto in sede individuale da tutti gli altri appartenenti alla<br />

classe, magari incoraggiati dal precedente favorevole appena formatosi in<br />

sede collettiva; se vince, non risarcisce alcuno, ma la pronuncia che lo manda<br />

indenne da responsabilità fa stato solo nei confronti dell’attore e degli<br />

aderenti, sicché nulla esclude che di lì a poco altri appartenenti alla classe,<br />

( 46 ) Cfr. per tutti Mulheron, The case for an opt-out class action for european member states:<br />

a legal and empirical analysis, in Col. Jour. Eur. Law, 2009, p. 409 ss.


DIBATTITI 21<br />

magari sulla base di argomentazioni giuridiche ulteriori, lo convengano<br />

nuovamente in sede individuale. La sconfitta è solo apparentemente più<br />

lieve, perché la soccombenza in sede collettiva può scatenare altro contenzioso,<br />

mentre la vittoria è certamente meno piena, perché opponibile solo<br />

all’attore ed ai pochi aderenti.<br />

Se la ratio di qualsiasi azione di gruppo è duplice, incrementare l’effettività<br />

della tutela giudiziaria deflazionando ed armonizzando il contenzioso,<br />

l’opting-out centra meglio l’uno e l’altro obiettivo ( 46 ). Il legislatore ha invece<br />

scelto il modello dell’opting-in, reputandolo meno dirompente rispetto<br />

alla nostra tradizione processuale, pur sempre incardinata sull’impulso di<br />

parte e sul convincimento che il giudicato non possa scendere su chi non abbia<br />

preventivamente deciso di sottomettervisi. L’idea che un’intera classe di<br />

consumatori sia vincolata ad una sentenza resa inter alios, all’esito di un<br />

giudizio nel quale essi sono rappresentati da un attore cui nessuno diede<br />

mandato, è piuttosto lontana dai nostri schemi di pensiero, e tuttavia resta<br />

l’unica vincente ( 47 ).<br />

Il legislatore italiano rifiuta quest’idea ripiegando sulla più rassicurante<br />

e “piccola” class action per adesione, ma non appena si addentra meglio nelle<br />

pieghe del processo aggregato, finisce per costruire un congegno partecipativo<br />

comunque ardito, ma in compenso assai meno efficace ( 48 ).<br />

A ben vedere lo status di aderente – quella parte solo sostanziale del<br />

processo di classe – è non meno abnorme rispetto alla nostra tradizione: è<br />

sufficiente una breve scorsa all’art. 140-bis, in particolare commi 3, 9, 11, 14,<br />

15, c.cons. per apprendere che in un procedimento (pur sempre) votato all’attuazione<br />

contenziosa di diritti soggettivi il consumatore che intenda<br />

aderire deve redigere e depositare un atto giudiziario complesso senza ministero<br />

di difensore; è privato di qualsiasi potere processuale, ma soggiace<br />

alle eccezioni del convenuto; è sottoposto agli effetti del giudicato quale<br />

che sia l’esito della lite, ma non può impugnare la sentenza che lo veda soccombente,<br />

né esercitare o proseguire azioni individuali. Le caratteristiche<br />

di questo status, se esaminate una ad una e comparate con i principi fondamentali<br />

dell’ordinamento, interno e comunitario, lasciano emergere persino<br />

molteplici vizi d’illegittimità costituzionale.<br />

( 47 ) Ne discutono, fra i molti, Donati, Azione collettiva e diritto soggettivo collettivo, in<br />

<strong>Contratto</strong> e <strong>impresa</strong>, 2010, in particolare pp. 948-949; Porreca, Ambito soggettivo e oggettivo,<br />

cit., p. 549; e Vigoriti, Giustizia e futuro: conciliazione e class action, in <strong>Contratto</strong> e <strong>impresa</strong>,<br />

2010, in particolare pp. 6-7.<br />

( 48 ) Così, per tutti, Trocker, Class action negli USA, cit., in particolare p. 217 ss.


22 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

9. – Lo status abnorme dell’aderente “italiano”: la facoltatività della difesa<br />

tecnica<br />

Innanzi tutto l’aderente partecipa al giudizio allargato “senza ministero<br />

di difensore”, come dispone l’art. 140-bis, comma 3, prima proposizione,<br />

c.cons. In dottrina s’è ben presto asserita la natura facoltativa della formula<br />

di legge, che autorizzerebbe, senza tuttavia imporre, l’assenza di rappresentanza<br />

tecnica: quel “senza ministero di difensore” equivarrebbe ad “anche<br />

senza”, e non precluderebbe la possibilità del patrocinio; e nondimeno pure<br />

questa facoltatività desta grosse riserve.<br />

Si consideri infatti che ai sensi dell’art. 140-bis, comma 3, terza proposizione,<br />

c.cons., l’atto d’adesione deve contenere « oltre all’elezione di domicilio,<br />

l’indicazione degli elementi costitutivi del diritto fatto valere con la relativa<br />

documentazione probatoria »; esso ricalca, a ben vedere, i consueti<br />

contenuti dell’atto di citazione – d’altra parte anche l’adesione è volta a formulare<br />

una domanda di tutela giudiziaria – ma con due fattori di complicazione:<br />

da un lato, « gli elementi costitutivi del diritto » e la « documentazione<br />

probatoria » sono largamente prefigurati e segnati dall’ordinanza di ammissione,<br />

sicché l’aderente dovrà previamente soppesare l’omogeneità o<br />

identità della sua posizione rispetto a quella fatta valere dall’attore, nonché<br />

la stessa omogeneità delle prove documentali da produrre; dall’altro lato,<br />

l’adesione è l’unico atto che il consumatore può compiere con riguardo al<br />

processo di classe, e quindi non vi sarà altro luogo (atto o udienza) dove i<br />

contenuti di quella possano essere sviluppati ed affinati.<br />

Si tratta dunque di un atto processuale complesso ed esclusivo, ma soprattutto<br />

“preclusivo”, giacché ai sensi dell’art. 140-bis, comma 3, seconda<br />

proposizione, c.cons. “l’adesione comporta rinuncia a ogni azione restitutoria<br />

o risarcitoria individuale fondata sul medesimo titolo”: l’aderente, dopo<br />

aver rinunciato ex lege all’azione individuale, partecipa ad un processo<br />

allargato all’esito del quale si ritroverà sottoposto agli effetti della sentenza<br />

collettiva, anche quando sfavorevole, e senza poterla neppure impugnare.<br />

Che tutto ciò possa avvenire senza l’ausilio di un difensore rasenta l’assurdo,<br />

ma ancor prima confligge con fondamentali principi dell’ordinamento<br />

costituzionale, comunitario ed internazionale ( 49 ).<br />

( 49 ) Il sospetto d’incostituzionalità deriva dalla violazione del parametro, interno e sovrastatuale,<br />

posto a presidio del libero, equo ed effettivo ricorso alla giustizia, e risultante dagli<br />

artt. 24 e 111, commi 1 e 2, nonché 11 e 117, comma 1, Cost. in relazione agli artt. 47 della Carta<br />

Eur. Nizza-Strasburgo, 6, comma 1, e 13 CEDU; non può stimarsi né libero, né equo, né effettivo<br />

un ricorso alla giustizia privo delle garanzie minime di salvaguardia processuale che<br />

solo la difesa tecnica può offrire.


DIBATTITI 23<br />

Laddove il legislatore europeo intendesse accogliere il sistema dell’opting-in,<br />

assegnare all’adesione portata preclusiva dell’azione individuale, e<br />

tenere vincolato l’aderente al giudicato di classe anche quando sfavorevole,<br />

non potrebbe né proibire, né rendere facoltativa la rappresentanza tecnica<br />

dell’aderente. Al più si potrebbero snellire le attività difensive ed alleggerire<br />

i costi del patrocinio, ma sarebbe più risolutiva la scelta di adottare l’opting-out.<br />

10. – Segue: il problema delle eccezioni personali del convenuto nei confronti<br />

dell’aderente<br />

Alla luce della normativa in commento appare chiaro che l’aderente è<br />

privo di poteri processuali. La sua attività si riduce all’atto di adesione, che<br />

deve riprodurre “i caratteri dei diritti individuali oggetto del giudizio” e soddisfare<br />

“i criteri in base ai quali i soggetti che chiedono di aderire sono inclusi<br />

nella classe”, come risulta dall’art. 140-bis, comma 9, in particolare lett.<br />

“a)”, c.cons. Quei caratteri e questi criteri sono suggeriti in primo luogo dalla<br />

domanda dell’attore, ma si elevano a requisiti dell’opting-in solo a seguito<br />

della loro recezione nell’ordinanza ammissiva, che fissa e circoscrive in<br />

maniera definitiva l’oggetto sostanziale del processo.<br />

Appare lapalissiano che l’aderente, privo della qualità di parte processuale,<br />

non può in alcun modo incidere sull’oggetto del giudizio, allargandolo<br />

o comunque modificandolo con l’allegazione di fatti diversi da quelli<br />

addotti dall’attore e recepiti dall’ordinanza ammissiva. Ciò sarebbe contraddittorio<br />

rispetto alla natura ed alla ratio del rito, e peraltro lo renderebbe<br />

del tutto ingestibile, venendosi a creare tante sotto-classi quanti fossero<br />

gli aderenti.<br />

Nondimeno, se l’adesione è pur sempre una domanda di tutela giurisdizionale,<br />

ancorché omogenea o identica a quella proposta dall’attore, neppure<br />

si potrebbe impedire al convenuto di contrastarla, eccependo ed offrendo di<br />

provare fatti impeditivi, modificativi od estintivi non riferibili, di per sé, alla<br />

posizione dell’attore; se il convenuto, a differenza dell’aderente, è parte pleno<br />

jure del processo, non gli si può certo impedire d’allegare e provare fatti suscettibili<br />

di condurre al rigetto della pretesa di questo o quell’aderente,<br />

quand’anche non dell’attore ( 50 ). Si giungerebbe allora ad un paradosso, nuo-<br />

( 50 ) In senso contrario Menchini e Motto, L’azione di classe, cit., p. 1421, secondo cui,<br />

qualora il convenuto sollevi contro l’aderente eccezioni personali, la posizione di quest’ultimo<br />

dovrebbe essere stralciata dal processo di classe: presupposto irrinunciabile del nuovo ri-


24 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

vamente sospetto d’illegittimità costituzionale: l’oggetto del processo potrebbe<br />

essere alterato dal convenuto che sollevi eccezioni personali a questo o<br />

quell’aderente, ma costoro, già privi della facoltà d’allegare e provare fatti diversi<br />

da quelli indicati nell’ordinanza, non potrebbero in alcun modo replicare<br />

a quelle eccezioni e si ritroverebbero automaticamente soccombenti. Al<br />

convenuto basterebbe eccepire che l’aderente non è consumatore – o comunque<br />

non l’ha provato con l’atto d’adesione – o che la documentazione prodotta<br />

non è attendibile, e l’aderente non avrebbe alcuna chance di replica ( 51 ).<br />

Appare evidente che se il legislatore europeo volesse introdurre un’azione<br />

di gruppo fondata sull’opting-in, potrebbe sì impedire all’aderente di<br />

modificare l’oggetto dell’azione, ma non di replicare alle eccezioni personali<br />

del convenuto, pena un paradossale ed illegittimo disequilibrio nel contraddittorio<br />

fra le parti. Però ne scaturirebbe un rito ingestibile, una sommatoria<br />

di cause individuali raggruppate nella forma ma non nella sostanza:<br />

sarebbe ben più risolutivo adottare il sistema dell’opting-out.<br />

11. – Segue: la denegata facoltà d’impugnare la sentenza di classe<br />

Il vigente art. 140-bis c.cons. pone l’aderente al di fuori del processo di<br />

classe: compiuta l’adesione, e preclusa con ciò l’azione individuale, egli non<br />

ha che da attendere la sentenza collettiva, la quale farà stato nei suoi conto<br />

sarebbe infatti l’omogeneità, la commonality, non solo delle domande, ma anche delle eccezioni<br />

di parte convenuta; vera l’opinione, il convenuto che volesse rendere innocua l’azione<br />

non avrebbe che da eccepire fatti personali a ciascuno degli aderenti, i quali ne sarebbero<br />

automaticamente estromessi e potrebbero allora ripiegare sulla sola azione individuale (che<br />

mai avrebbero esperito, e mai esperiranno in futuro).<br />

( 51 ) L’esito è senz’altro illegittimo, per violazione degli artt. 24, in particolare comma 2, e<br />

111, comma 2, Cost., nella cui direzione si muovono peraltro anche gli artt. 47 della Carta Eur.<br />

Nizza-Strasburgo e 6, comma 1, CEDU. Un’interpretazione costituzionalmente orientata – e<br />

tale da sottrarre le norme in oggetto alle principali censure – fa dell’attore di classe una sorta<br />

di rappresentante processuale ex lege degli aderenti: essi, privi della qualità di parte, potrebbero<br />

contraddire in giudizio attraverso l’attore, che ne assumerebbe le difese (senza aver ricevuto<br />

alcun mandato o procura alle liti; in questo senso, Giussani, Il nuovo art. 140 bis<br />

c.cons., cit., in particolare pp. 599-600); la tesi è suggestiva, ma, oltre a non trovare nel testo di<br />

legge un fondamento immediato, causerebbe non pochi inconvenienti pratici: si pensi innanzitutto<br />

alle difficoltà logistiche cui andrebbe incontro l’attore, consumatore medio, che si<br />

trovi costretto a coordinare ed organizzare in proprio la massa delle adesioni; si pensi inoltre<br />

alle questioni deontologiche che verrebbero a gravare sul difensore: in che modo patrocinerà<br />

aderenti che mai gli diedero mandato E quale sarebbe la condotta da tenere, se egli si convinca<br />

dell’infondatezza di questa o quell’adesione Non pare si possa giungere a tanto, senza<br />

una completa e radicale rivisitazione del sistema, che lo renda compatibile con i meccanismi<br />

di funzionamento di un processo allargato.


DIBATTITI 25<br />

fronti a prescindere dal suo tenore, e dunque anche in caso di rigetto della<br />

domanda formulata con l’adesione. Poiché l’art. 140-bis, comma 14, c.cons.<br />

non dispone alcunché, l’efficacia preclusiva del giudicato nei riguardi dell’aderente<br />

deve stimarsi incondizionata e non già secundum eventum litis (ciò<br />

che avrebbe assicurato maggiore equilibrio al suo status).<br />

A fronte di tutto ciò – rinuncia ex lege all’azione individuale e sottoposizione<br />

integrale agli effetti del giudicato, quand’anche sfavorevole – risulta<br />

apertamente incostituzionale la norma che, per implicito, sottrae all’aderente<br />

la facoltà di proporre impugnazione ( 52 ).<br />

In sede europea, qualora si desse preferenza al modello d’opting-in non si<br />

potrebbe negare all’aderente la facoltà d’impugnare la sentenza di primo grado<br />

– ciò che invece pare escluso nella vigente class action italiana – ma questo<br />

causerebbe una nuova frammentazione del contenzioso, che potrebbe riesplodere<br />

nella proliferazione delle impugnazioni individuali; ne risulterebbe<br />

compromessa l’aspirazione all’unitarietà, perché ciascun aderente potrebbe<br />

rimettere in discussione il verdetto di primo grado sulla base di motivi di gravame<br />

non comuni agli altri, né (per ipotesi) all’attore, costringendo il convenuto<br />

ad una laboriosa attività difensiva individuale. Essa non si svolgerebbe in<br />

primo grado, ma sarebbe semplicemente posticipata al giudizio d’appello. Si<br />

esce facilmente dall’impasse preferendo il sistema d’opting-out.<br />

12. – Segue: transigibilità della lite collettiva e collusione ai danni degli aderenti<br />

Un ultimo aspetto concorre a testimoniare l’abnormità dello status di<br />

aderente. L’art. 140-bis, comma 14, terza proposizione, c.cons. prevede:<br />

( 52 ) L’esposta normativa è manifestamente contrastante con gli artt. 24 e 111, commi 1 e 2,<br />

Cost., nonché con gli artt. 11 e 117, comma 1, Cost. in relazione all’art. 47 Carta Eur. Nizza-<br />

Strasburgo, ed agli artt. 6, comma 1, e 13 CEDU. Senza dubbio è violato il diritto di difesa sancito<br />

dall’art. 24 Cost., tanto nel comma 1 (impugnare è certamente facoltà compresa nell’“agire<br />

in giudizio per la tutela dei propri diritti”), quanto – e persino testualmente – nel comma 2<br />

(“la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”); parimenti è violato il<br />

diritto al giusto processo di cui all’art. 111, comma 1, Cost., non potendosi stimare tale un rito<br />

che inibisce all’aderente, privo d’ogni potere di influire sulla decisione, anche la facoltà d’impugnarla;<br />

altrettanto negletto è il principio del contraddittorio e della parità di condizioni di<br />

cui all’art. 111, comma 2, Cost., non potendo giudicarsi equo e davvero contenzioso un processo<br />

nel quale l’aderente, vincolato in toto agli effetti del giudicato (esattamente al pari delle<br />

parti), non può però impedire che questo si formi a suo danno, impugnando la sentenza; infine<br />

pare negato pure il principio scaturente dall’art. 47 Carta Eur. Nizza-Strasburgo e dagli artt.<br />

6, comma 1, e 13 CEDU del ricorso effettivo ed equo alla giustizia, essendo palesemente non


26 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

“Non sono proponibili ulteriori azioni di classe per i medesimi fatti e nei<br />

confronti della stessa <strong>impresa</strong> dopo la scadenza del termine per l’adesione<br />

assegnato dal giudice”; ed ai sensi del comma 9 l’ordinanza, oltre ai “caratteri<br />

dei diritti individuali oggetto del giudizio” ed ai “criteri” dell’opting-in,<br />

definisce pure il termine ultimo entro cui le adesioni dovranno avvenire.<br />

Decorso quest’ultimo, è improponibile qualsiasi ulteriore azione di classe<br />

“per i medesimi fatti e nei confronti della stessa <strong>impresa</strong>”.<br />

Apertasi dunque la fase di merito, l’azione di gruppo è ormai una ed irripetibile,<br />

e potranno concorrervi soltanto quelle individuali dei non-aderenti.<br />

Se in questa fase, nella quale nessuna adesione è più consentita, né<br />

sarebbe proponibile altra azione omologa a quella pendente, il processo si<br />

chiuda anticipatamente per rinuncia agli atti, transazione, estinzione o decisione<br />

di puro rito, ai sensi dell’art. 140-bis, comma 15, c.cons., “i diritti degli<br />

aderenti” (che non abbiano espressamente consentito alla rinuncia od<br />

alla transazione) “sono fatti salvi”. Essi infatti propongono con l’adesione<br />

una domanda finalizzata (pur sempre) ad una pronuncia sul merito, esattamente<br />

come accade per tutte le domande di tutela giurisdizionale, e non<br />

possono essere pregiudicati da condotte altrui impeditive di quella pronuncia<br />

(rinuncia agli atti, conciliazione o mera inattività), ovvero da fatti comunque<br />

estranei al loro dominio, come un’ipotetica cessazione della materia<br />

del contendere per cause riferibili alla posizione del solo attore: comprensibile<br />

dunque che siano “fatti salvi” i loro diritti ( 53 ).<br />

Sennonché, non appena ci si chieda in che cosa consista questa salvezza,<br />

apparirà evidente che, scaduto il termine per le adesioni e divenute improponibili<br />

azioni di classe omologhe a quella pendente, la salvezza consiste<br />

soltanto nella perdurante facoltà d’esperire l’azione individuale. Il consumatore<br />

si ritrova nella stessa posizione in cui versava prima di partecipare al<br />

processo allargato, ma con la novità di non potersi più valere della tutela di<br />

effettivo ed iniquo un sistema che preclude qualsiasi revisione del giudizio di prima istanza a<br />

colui che pure vi è integralmente soggetto.<br />

( 53 ) Le norme denunciate mantengono invece il più stretto riserbo a proposito di un’ulteriore,<br />

possibile vicenda del processo collettivo: giunti alla fase del merito, non si comprende<br />

che cosa accada qualora la domanda dell’attore sia respinta per ragioni di merito, ma non altrettanto<br />

debba statuirsi circa l’adesione di questo o quel consumatore, la quale risulti viceversa<br />

fondata ed accoglibile. Nel caso in cui il rigetto nel merito della domanda dell’attore dovesse<br />

essere equiparato alla rinuncia, alla transazione, all’estinzione o alle altre ipotesi di<br />

chiusura anticipata del giudizio di classe (così l’art. 140-bis, comma 15, c.cons.), l’aderente<br />

verrebbe nuovamente a trovarsi nella situazione deteriore e paradossale più volte evocata:<br />

egli potrebbe ancora esperire l’azione individuale, ma non più quella di classe, e senza aver<br />

ottenuto una pronuncia collettiva che decida il merito della sua domanda.


DIBATTITI 27<br />

classe, né come attore, né come nuovo aderente. È dunque non meno evidente<br />

lo scacco in cui si trova: è sufficiente che attore e convenuto, uniche<br />

parti in senso tecnico, rinuncino o transigano nella fase di merito, e l’aderente<br />

viene automaticamente spogliato del nuovo rito, anche quando ritenga<br />

di non aderire alla rinuncia od alla transazione inter alios ( 54 ). Potrà infatti<br />

esperire la sola azione individuale, che però mai avrebbe esperito e mai<br />

esperirà; ed anzi la sostanziale inutilità di questa lo indurrà ad accettare la<br />

transazione intervenuta nel processo di classe, anche quando non del tutto<br />

gradita ( 55 ).<br />

Bisogna ammettere però che il sistema d’opting-in non è ideale sotto il<br />

profilo della transigibilità della lite ( 56 ). Si ponga mente a quanto può accadere<br />

laddove emerga uno spiraglio conciliativo dopo che siano già state depositate<br />

numerose adesioni: poiché l’accordo transattivo non vincola gli aderenti che<br />

non vi consentano espressamente, attore e convenuto dovrebbero intessere<br />

trattative con ciascuno, pena il fallimento dell’operazione, che difficilmente<br />

centrerebbe i suoi scopi in mancanza di largo consenso (e soprattutto non gio-<br />

( 54 ) In questa direzione guadagna senso quanto prescritto dall’art. 140-bis, comma 6,<br />

c.cons., nella parte in cui eleva a causa d’inammissibilità dell’azione il conflitto d’interessi:<br />

una delle ipotesi – magari non l’unica – è certamente il conflitto d’interessi fra attore e convenuto,<br />

che possano inscenare azioni “gialle” studiate, o piegate in corso di causa, per sottrarre<br />

agli aderenti il rito di classe (cfr. sul punto, fra gli altri, Menchini e Motto, L’azione di classe,<br />

cit., pp. 1456-1457).<br />

( 55 ) Anche le norme da ultimo citate si espongono ad una censura d’illegittimità costituzionale:<br />

si ci dovrebbe infatti chiedere se il combinato disposto dell’art. 140-bis, comma<br />

15, prima e seconda proposizione, e comma 14, terza proposizione, c.cons. non violi<br />

l’art. 3 Cost. sotto il profilo dell’irrazionalità (e persino dell’ingiustizia), nonché gli artt. 11<br />

e 117, comma 1, Cost. in relazione all’art. 47 Carta Eur. Nizza-Strasburgo ed all’art. 13 CE-<br />

DU, nella parte in cui esclude la proponibilità di ulteriori azioni di classe per i medesimi<br />

fatti e nei confronti della stessa <strong>impresa</strong> dopo la scadenza del termine per le adesioni, nell’ipotesi<br />

di rinunce e transazioni intervenute tra le parti e cui l’aderente non abbia espressamente<br />

consentito, così come di estinzione e chiusura anticipata del processo di classe,<br />

ovvero di rigetto della domanda dell’attore nel merito: infatti quel combinato disposto dà<br />

luogo ad una norma che rende nuovamente non “effettiva” la tutela dei diritti e degli interessi<br />

dei consumatori, in contrasto con le finalità dichiarate dell’istituto e con insopprimibili<br />

esigenze di giustizia sostanziale. Il rito di classe, pensato per completare – ma a rigore<br />

per instaurare ex novo – la tutela dei diritti e degli interessi di consumatori e utenti, è loro<br />

clamorosamente sottratto, con la magra (e quasi irridente) consolazione di non perdere<br />

l’azione individuale.<br />

( 56 ) Così anche Cavallini, Azione collettiva risarcitoria, cit., p. 1126 ss.; e M. De cristofaro,<br />

L’azione collettiva risarcitoria « di classe »: profili sistematici e processuali, in Resp. civ.<br />

prev., 2010, p. 1947.


28 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

verebbe al convenuto, che dopo essere sceso a patti con l’attore e taluni aderenti,<br />

potrebbe essere nuovamente convenuto in sede individuale dagli altri,<br />

forti delle concessioni da lui fatte in sede collettiva). Si ricreerebbe l’ennesima<br />

impasse: gli aderenti dovrebbero consentire uno ad uno, ciò che rende imprevedibile<br />

l’esito della consultazione, ma d’altra parte sarebbero pressati dall’interesse<br />

a non perdere i frutti dell’azione collettiva, giacchè l’alternativa sarebbe<br />

intraprendere di lì a poco una lunga e costosa azione individuale.<br />

Se il legislatore europeo volesse accogliere un modello d’opting-in, dovrebbe<br />

anche introdurre meccanismi che facilitino la transigibilità della lite in<br />

corso di causa, tanto prima quando dopo l’apertura delle adesioni, apparendo<br />

poco praticabile ed efficace un sistema, come quello italiano, che richiede un<br />

consenso singolare ed espresso di ciascun aderente perché la conciliazione<br />

abbia effetto nei suoi confronti. Aggiungasi che le difficoltà aumenterebbero<br />

in misura esponenziale se l’azione assumesse veramente una dimensione<br />

transfrontaliera, con incremento non solo del numero dei soggetti coinvolti,<br />

ma anche della loro eterogeneità geografica, economica e sociale.<br />

Si potrebbe prevedere, ad esempio, l’efficacia generale dell’accordo transattivo<br />

in capo a tutti gli aderenti che non vi s’oppongano espressamente, anziché<br />

in capo a quei soli che espressamente vi consentano, con inversione quantomeno<br />

dell’onere dichiarativo; oppure, con soluzione più drastica, l’efficacia<br />

generale della transazione in capo a tutti gli aderenti che non provino la manifesta<br />

iniquità dell’accordo o la collusione ai loro danni fra le parti del processo.<br />

La difficoltosa transigibilità della lite verrebbe meno, ancora una volta,<br />

preferendo il sistema d’opting-out. Quest’ultimo non scongiurerebbe invece<br />

il rischio di collusione fra le parti: anzi, l’assenza di aderenti potrebbe<br />

rendere persino più agevole la conclusione di accordi frodatori o comunque<br />

non vantaggiosi per gli appartenenti alla classe. La risposta potrebbe consistere<br />

tuttavia nell’ampliamento ed approfondimento dei poteri istruttori ed<br />

officiosi del giudice, chiamato a controllare che l’accordo transattivo non sia<br />

gravemente iniquo per gli appartenenti alla classe o frutto tout court di collusione<br />

ai loro danni ( 57 ); ma se questa soluzione, del tutto consolidata nell’esperienza<br />

statunitense, apparisse lontana dai nostri schemi, si potrebbe<br />

anche rinforzare la partecipazione al giudizio del pubblico ministero ( 58 ). Con<br />

disposizione apprezzabile l’art. 140-bis, comma 5, c.cons. stabilisce che la ci-<br />

( 57 ) Cfr. sul punto, per la class action statunitense, Frignani e Virano, La class action nel<br />

diritto statunitense, cit., pp. 16-18.<br />

( 58 ) Cfr. nello stesso senso Menchini e Motto, L’azione di classe, cit., p. 1446; viceversa<br />

scettico Giussani, Il nuovo art. 140 bis c.cons., cit., p. 606.


DIBATTITI 29<br />

tazione di classe sia notificata anche al p.m., “il quale può intervenire limitatamente<br />

al giudizio di ammissibilità”: perché non prevedere che l’intervento<br />

del p.m. sia più duraturo e possa esprimersi anche in un controllo di<br />

merito sugli accordi transattivi<br />

La breve ricognizione conferma che lo status dell’aderente “italiano” è<br />

tanto passivo quanto quello del class member “americano” – ed anch’esso<br />

impone di riconsiderare principi e valori radicati nella cultura europea – ma<br />

la class action americana, per lo meno, funziona.<br />

Edoardo Ferrante


La tutela collettiva nel diritto processuale tedesco (*)<br />

1. – Normalità del processo a “due”<br />

Scopo del presente contributo è illustrare in maniera sintetica le opportunità<br />

di tutela collettiva offerte dal diritto processuale tedesco. Ci si propone<br />

d’indagare se gli strumenti già presenti in Germania per la riunificazione<br />

processuale d’interessi singolari siano tanto efficienti da escludere la necessità<br />

di nuove azioni di gruppo o collettive, o se al contrario una tale necessità<br />

sia senz’altro prospettabile.<br />

Per diritto tedesco, accanto all’opportunità di svolgere un giudizio individuale<br />

– su impulso di una persona (fisica o giuridica) dotata di capacità generale<br />

e processuale, e contro altra consimile persona – sussistono margini molto<br />

ridotti per rendere il processo davvero “collettivo”. La regola è il processo<br />

“a due”. Così, anche i tradizionali strumenti processualistici dell’azione congiunta<br />

ex §§ 59-60 ZPO, nonché della connessione e della sospensione ex §§<br />

147-148 ZPO non sono adatti a concentrare i micro-danni in veri procedimenti<br />

di massa ( 1 ). La ragione principale consiste in ciò, che questi strumenti, da<br />

un lato, presuppongono un alto grado d’organizzazione dei soggetti coinvolti,<br />

e dall’altro richiedono la confluenza delle liti presso un unico giudice ( 2 ).<br />

Vero è che il pooling delle pretese è possibile pure in forma preventiva, con la<br />

costituzione di una società di diritto civile disciplinata dal BGB (la c.d. “BGB-<br />

Gesellschaft”); vero è anche però che questo collegamento presuppone pur<br />

sempre un certo grado di organizzazione dei danneggiati.<br />

Lo stesso vale per il finanziamento dei processi ad opera di privati sovventori,<br />

finanziamento che di regola riguarda cause di valore non inferiore<br />

ad euro 5.000, ma non raramente cause per le quali la “soglia d’interesse” è<br />

ben più alta ( 3 ). Ne deriva che quella prassi non offre alcuna opportunità effettiva<br />

di finanziamento per cause relative a danni modesti. Per quanto attiene<br />

infine all’idea della “conciliazione-modello”, manca alle parti il potere<br />

di disporre validamente dell’efficacia di giudicato sostanziale.<br />

(*) Traduzione dall’originale tedesco a cura di Edoardo Ferrante.<br />

( 1 ) Plaßmeier, in NZG, 2005, pp. 609-610; Tamm, in ZHR, 2010, pp. 527-529.<br />

( 2 ) Cfr. BT-Drucks. 15/5091, p. 13; Reuschle, in WM, 2004, pp. 966-967; Haß, Die Gruppenklage,<br />

1996, p. 141.<br />

( 3 ) Frechen, Kochheim, in NJW, 2004, p. 1213 ss.; Gleußner, in FS M. Vollkommer,<br />

2006, pp. 25 e 30. La partecipazione ai “profitti” ammonta al 30% per valori di causa bassi, al<br />

20% per valori di causa alti (vale a dire superiori a 500.000 euro).


DIBATTITI 31<br />

2. – La mancanza di strumenti per l’esperimento di vere azioni collettive o di<br />

gruppo<br />

Il diritto processuale tedesco non conosce al momento regole per lo<br />

svolgimento collettivo del processo attraverso plurimi attori consorziati,<br />

che riunifichino le rispettive azioni in un’azione unica (c.d. azione di gruppo<br />

o collettiva). Proposte isolate volte ad insediare siffatte azioni ( 4 ), e rendere<br />

più effettiva l’attuazione delle pretese individuali degli attori – ciò che<br />

sarebbe cruciale, ad esempio, per i danni di massa e per le vittime di cartelli<br />

anticoncorrenziali o di trattamenti discriminatori – sono largamente respinte,<br />

in Germania, sia dalla politica sia dalla scienza del diritto ( 5 ), quasi<br />

per consapevole reazione al Libro Verde della Commissione UE sulla tutela<br />

collettiva dei consumatori ( 6 ). Le ragioni sono molteplici.<br />

In primo luogo si osserva che l’azione collettiva o di gruppo impone una<br />

considerevole attività di coordinamento. Quest’attività è tipicamente svolta<br />

dagli avvocati, ma se si concedesse loro la facoltà d’esperire azioni collettive<br />

o di gruppo, ne aumenterebbe anche la potenzialità abusiva, dal momento<br />

che l’onorario forense dipende dal valore di causa, e con l’unificazione<br />

di più azioni non si farebbe altro che alimentare le ambizioni economiche<br />

degli avvocati ( 7 ). Potrebbe crescere allora l’interesse a convogliare nell’azione<br />

anche pretese infondate ( 8 ), con le quali fabbricare un “esplosivo”<br />

ad alto potenziale economico, tanto alto che per il convenuto diverrebbe<br />

più sensato porre termine fin da subito al processo per mezzo di una conciliazione<br />

(frequente nella class action statunitense), che non confidare nella<br />

sua chiusura vantaggiosa con sentenza.<br />

Negli Stati Uniti, quando viene esperita un’azione collettiva – la così<br />

detta class action – è prassi scegliere dal gruppo dei potenziali attori un danneggiato<br />

che assuma il ruolo di esponente della classe. Poiché s’impone,<br />

evidentemente, la ricerca di un consenso sul nome dell’attore che assumerà<br />

il ruolo esponenziale, e dovrà rappresentare gli interessi di tutti i parteci-<br />

( 4 ) Stadler, in Brönneke (cur.), Kollektiver Rechtsschutz im Zivilprozeßrecht, 2001, in particolare<br />

p. 21; e Tamm, Bamberger Verbraucherrechtstage, 2009, p. 76 ss.<br />

( 5 ) Cfr. Bettermann, in ZZP, 1975, p. 133 ss.; Calliess, in NJW, 2003, p. 97 ss., ed in particolare<br />

p. 100; Schwarz, in Umbach, Dettling (cur.), Vom individuellen zum kollektiven Verbraucherschutz,<br />

2005, in particolare p. 14; Hirte, in Festschrift für Leser, 1998, pp. 335-339; e sul<br />

tema del finanziamento, Koch, Verbraucherprozeßrecht, 1990, p. 48.<br />

( 6 ) Cfr. in tema la quarta opzione di cui tratta COM (2008), 794 def., p. 15, par. 48 ss.<br />

( 7 ) Così Coffee, Class Wars: The Dilemma of the Mass Tort Actions, in Col. Law Rev., 1995,<br />

p. 2134 ss.; Koch, Kollektiver Rechtsschutz im Zivilprozeß, 1976, p. 95; Schack, Einführung in<br />

das US-amerikanische Zivilprozessrecht, 2003, p. 81; e Hirte, in VersR, 2000, p. 148 ss.<br />

( 8 ) Bergmeister, Kapitalanlegermusterverfahrensgesetz, 2010, p. 5.


32 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

panti, si giunge per forza di cose ad una previa selezione delle persone e degli<br />

interessi coinvolti; e poiché questa selezione è sempre molto ardua, ne<br />

deriva un ulteriore argomento contro l’azione di gruppo o collettiva, atteso<br />

che persino fra gli attori – non v’è da stupirsi – possono sussistere conflitti<br />

d’interesse ( 9 ).<br />

Per il resto l’introduzione di un’azione di gruppo o collettiva è giudicata<br />

negativamente anche sotto un ulteriore aspetto: l’abituale formazione del<br />

gruppo degli attori secondo il modello statunitense dell’opting-out nell’ottica<br />

tedesca violerebbe il principio costituzionale del contraddittorio ex art.<br />

103 Grundgesetz (abbr. GG) ( 10 ). Secondo questo principio, infatti, occorre<br />

sempre un atto (consapevole e volontario) della persona perché questa possa<br />

assumere la veste di attore in un processo, e l’oggetto sostanziale del giudizio<br />

rimane sempre all’interno del suo potere dispositivo. Soltanto la persona<br />

decide se, quando ed in che ambito un processo debba essere svolto.<br />

Un automatismo regolato da terze parti, nel senso dell’automatico refluire<br />

della pretesa in un procedimento condotto da terzi e magari non evitabile<br />

da chi vi sia coinvolto, è proibito dal principio di autonomia privata; e resta<br />

troppo astratta la possibilità di far salva l’autonomìa decisionale della persona<br />

consentendole di fuoriuscire dal processo per mezzo della dichiarazione<br />

d’opting-out ( 11 ). Infatti, per lo meno sulla base delle attuali cognizioni in<br />

materia, non può aversi alcuna certezza che l’informazione dell’avvenuto<br />

esperimento del rimedio collettivo – e con ciò della necessità, per chi lo desideri,<br />

di dichiarare l’opting-out – raggiunga davvero tutti gli aventi diritto.<br />

Viceversa contro la variante, ulteriormente ipotizzabile, dell’opt-in (che<br />

è poi la “vera” azione di gruppo) non ci sono controindicazioni di carattere<br />

costituzionale legate all’art. 103 GG ed al principio intangibile del contraddittorio:<br />

in questo caso sono partecipi dell’azione solo quegli attori che dichiarino<br />

espressamente la loro adesione; tuttavia non è sempre chiaro come<br />

quest’azione debba essere organizzata, per soddisfare non solo l’obiettivo<br />

della migliore attuazione dei diritti facenti capo a chi agisca in forma aggre-<br />

( 9 ) Questo argomento giocò un ruolo significativo nell’itinerario legislativo che condusse<br />

al KapMuG; certamente la legge vuole che sia innanzitutto l’attore-pilota ad essere designato,<br />

ma gli altri attori mantengono lo status di partecipanti, così da poter intervenire all’occorrenza.<br />

( 10 ) Cfr. Baetge, Eichholtz, in Basedow, Hopt, Kötz, Baetge (cur.), Die Bündelung<br />

gleichgerichteter Interessen im Prozess, Verbandsklage und Gruppenklage, 1999, p. 299; e Koch,<br />

Kollektiver Rechtsschutz, cit., p. 53.<br />

( 11 ) Ne riferisce Stadler, in Brönneke (cur.), Kollektiver Rechtsschutz, cit., in particolare<br />

p. 18.


DIBATTITI 33<br />

gata, ma anche l’ulteriore scopo di deflazionare la giustizia civile. Infatti<br />

l’effetto di razionalizzazione processuale raggiunto attraverso l’aggregazione<br />

delle pretese rimarrebbe vano, se all’avvio del processo allargato s’imponesse<br />

un dispendioso iter d’iscrizione e verifica delle adesioni, per accertarne<br />

la classificabilità entro il gruppo di parte attrice (vale a dire entro lo schema<br />

degli interessi omogenei facenti capo a più attori contro un unico convenuto)<br />

( 12 ).<br />

Per l’allestimento del processo occorrerebbe allora un soggetto od ente<br />

a ciò dedicato, che ne amministri la divulgazione e l’iscrizione nel registro<br />

delle azioni, così come l’esame delle questioni relative all’ammissibilità<br />

delle future adesioni. Potrebbe certamente trattarsi di un’associazione riconosciuta<br />

di consumatori, in ordine alla quale neppure si potrebbe temere il<br />

perseguimento di azioni abusive, operando essa per finalità eminentemente<br />

altruistiche. Nondimeno una tale istituzione, incaricata del coordinamento<br />

di un ipotetico procedimento di massa, destinato ad essere svolto<br />

nella forma tipica dell’azione collettiva, dovrebbe essere strutturata in maniera<br />

ottimale sotto il profilo del personale, della competenza tecnica e della<br />

solidità finanziaria; e non è questo il caso delle associazioni di consumatori<br />

attualmente attive in Germania.<br />

Inoltre l’azione dovrebbe essere finanziata, per lo meno in via di anticipazione<br />

delle spese di giustizia e di patrocinio – anche quando l’avvocato sia<br />

pluri-mandatario – dall’attore. L’associazione di consumatori che semplicemente<br />

coordini l’azione collettiva, associazione che già sarà “sopraffatta”<br />

dall’attività di coordinamento, normalmente non potrà procurare essa stessa<br />

i mezzi occorrenti per l’avvio dell’azione altrui, coltivata in proprio dagli<br />

attori di gruppo, per la semplice ragione che essa, di regola, non disporrà di<br />

mezzo alcuno; e se mai ne disponesse, verrebbe gravata da un rischio processuale<br />

del quale non potrebbe comunque rispondere, come d’altra parte<br />

non sarebbe beneficiaria dell’eventuale esito positivo della lite. Pertanto gli<br />

attori dovrebbero essere finanziariamente coinvolti pro quota già nell’instaurazione<br />

dell’azione collettiva, e proprio attraverso il pagamento degli<br />

anticipi per la copertura delle spese legali e di giustizia.<br />

Invero la stessa opera di direzione e gestione delle incombenze nella fase<br />

che anticipa l’esperimento dell’azione rappresenta per l’associazione uno<br />

sforzo molto gravoso, e neppure è certo che tutti gli attori possano conferire<br />

l’importo loro toccante pro quota per l’instaurazione della lite. La non-<br />

( 12 ) Cfr. Tamm, Bamberger Verbraucherrechtstage, cit., p. 84 ss.; e sul problema dell’impegno<br />

organizzativo nella class action statunitense, fra gli altri, Schack, Einführung, cit., p. 83.


34 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

esposizione di costi processuali, che fu isolatamente proposta per azioni<br />

d’interesse sovraindividuale e per la quale depongono buoni argomenti, al<br />

momento non trova nel diritto tedesco alcun fondamento positivo. Prevedibilmente<br />

la proposta non sarà neppure presa in considerazione dalla politica:<br />

nell’ordinamento tedesco i costi del processo nella fase della sua instaurazione<br />

sono fatti gravare appositamente sull’attore – col rischio che<br />

non recuperi alcunché per il caso di soccombenza, e debba inoltre sostenere<br />

le spese legali di controparte – perché proprio così vogliono prevenirsi<br />

iniziative giudiziarie meramente persecutorie. Poi, quando un risarcimento<br />

sia finalmente ottenuto, non è neppure chiaro chi debba provvedere alla distribuzione<br />

dell’importo ( 13 ).<br />

Per tutti questi motivi in Germania non esiste al momento alcuna azione<br />

collettiva o di gruppo. È stato però introdotto uno strumento che vi si avvicina,<br />

vale a dire il “procedimento-modello” o “pilota” (Musterverfahren)<br />

secondo il c.d. KapMuG; e proprio di questo occorre ora trattare.<br />

3. – L’azione-modello secondo il Kapitalanleger-Musterverfahrensgesetz (Kap-<br />

MuG)<br />

Il 1° ottobre 2005 il legislatore tedesco, con il Kapitalanleger-Musterverfahrensgesetz<br />

(abbr. KapMuG) ( 14 ) ha licenziato una legge che per specifiche<br />

pretese connesse al mercato finanziario ed al fine di deflazionare la giustizia<br />

permette “in certo modo” (vale a dire per un determinato segmento della<br />

procedura) un collegamento fra più azioni individuali conseguenti a danni<br />

di massa.<br />

Storicamente il KapMuG è nato come “legge-Telekom” ( 15 ). Infatti a partire<br />

dal 2001, in una procedura di massa dinanzi al Tribunale di Francoforte<br />

sul Meno ( 16 ), circa 17.000 azionisti hanno convenuto la Deutsche Telekom<br />

AG per il risarcimento dei danni patiti; gli attori hanno fatto valere in giudizio<br />

la circostanza che nel 2000 la società, all’atto del suo terzo aumento di<br />

capitale, aveva presentato un prospetto informativo di borsa non corretto;<br />

la ragione della non correttezza sarebbe consistìta, fra l’altro, nel compi-<br />

( 13 ) Ha trattato il problema già in merito alla class action, Hohl, Die US-amerikanische<br />

Sammelklage im Wandel, 2008, p. 50 ss.; cfr. anche Koch, Kollektiver Rechtsschutz, cit., p. 81 ss.<br />

( 14 ) Cfr. BGBl. I 2005, p. 2437 ss.<br />

( 15 ) Cfr. il Manager-Magazin dell’8 agosto 2006, p. 218.<br />

( 16 ) Per tutte le procedure emerse a norma del § 48, vecchio testo, BörsG (e del connesso<br />

piano di ripartizione dei carichi giudiziari) la competenza è di una sola sezione, deputata agli<br />

affari di diritto commerciale.


DIBATTITI 35<br />

mento di una falsa stima immobiliare ( 17 ). Nel complesso furono esperite<br />

più di 2.500 azioni individuali, per mezzo di centinaia di avvocati ( 18 ). La<br />

procedura scatenò nei fatti un collasso della giustizia tedesca, poiché la sezione<br />

del Tribunale di Francoforte assegnataria delle cause in parola avrebbe<br />

dovuto fronteggiare, con le sole azioni-Telekom, un carico tale da gravare<br />

il collegio per almeno dieci anni. Il legislatore reagì a quest’ondata di cause<br />

scegliendo, col varo del KapMuG, una soluzione sistematicamente intermedia<br />

fra l’azione-modello e quella di gruppo ( 19 ).<br />

Ad uno sguardo più accurato emerge innanzi tutto che l’ambito d’applicazione<br />

del KapMuG comprende solo pretese risarcitorie conseguenti a falsa<br />

informazione pubblica nel mercato dei capitali (ai sensi del § 1, comma 1,<br />

n. 1, KapMuG), così come pretese all’esatto adempimento secondo il Wertpapiererwerbs-und<br />

Übernahmegesetz (abbr. WpÜG). Pertanto il procedimento<br />

del KapMuG è fruibile solo per pretese molto circoscritte, vale a dire per<br />

danni di massa verificatisi nel mercato dei valori mobiliari. Un’estensione<br />

del suo ambito applicativo non è da attendersi neppure in futuro.<br />

La procedura per le pretese incluse nel KapMuG è suddivisa in quattro<br />

fasi, che si susseguono in maniera scalare: nella prima fase uno dei giudici<br />

adìti in primo grado decide circa l’ammissibilità del procedimento-modello<br />

e circa il suo oggetto; successivamente il sovraordinato Oberlandesgericht<br />

determina quale sarà la “parte-modello”; subito dopo il medesimo giudice<br />

di secondo grado svolge il procedimento-modello; e infine, nell’ultima fase,<br />

il risultato decisorio conseguito all’esito della procedura, nella misura in<br />

cui sia rilevante per la definizione del merito, è fatto ricadere sulle procedure<br />

parallele pendenti dinanzi ai singoli giudici a quibus.<br />

Dal 1° novembre 2005 per le liti ricadenti sotto il KapMuG è competente<br />

per materia, in prima istanza, esclusivamente il Landgericht (a norma del<br />

§ 71, comma 2, n. 3, GVG) ( 20 ). La competenza sussiste indipendentemente<br />

dal valore di causa. Competente per territorio è il Landgericht del luogo in<br />

cui ha sede il convenuto emittente i titoli ovvero la convenuta società-target,<br />

se questa sede si trova in Germania; lo si ricava dal § 32b, comma 1,<br />

ZPO. Il procedimento-modello ai sensi del KapMuG non può essere disposto<br />

d’ufficio. Ciascuna parte – tanto l’attore quanto il convenuto, per il tramite<br />

del rispettivo difensore ex § 78 ZPO – ogniqualvolta la lite rientri nel-<br />

( 17 ) Cfr. sul punto l’ordinanza-quadro della 7 a sezione per gli affari commerciali del Landgericht<br />

Frankfurt/Main, 11 luglio 2006 (Az.: 3/7 OH 1/06, pp. 149-162).<br />

( 18 ) Così Koch, in BRAK-Mitt., 2005, p. 159; e Gansel, Gängel, in NJ, 2006, p. 13.<br />

( 19 ) Per i motivi cfr. BT-Drucks. 15/5091, p. 14 ss.<br />

( 20 ) Introdotto nel GVG dall’art. 3 EG-KapMuG (del 16 agosto 2005, in BGBl. I, p. 2437).


36 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

l’ambito materiale del KapMuG, può domandare al giudice con apposita<br />

istanza che sia instaurato il processo allargato, come previsto dal § 1, comma<br />

1, prima proposizione, KapMuG.<br />

Sennonché possono assurgere ad oggetto dell’istanza di “certificazione”<br />

del procedimento-modello, ai sensi del § 1, comma 2, terza proposizione,<br />

KapMuG, soltanto quei quesiti cui spetti un significato trascendente, anche<br />

solo in astratto, il giudizio dell’istante ( 21 ). Con ciò sono escluse questioni di<br />

portata strettamente individuale, come l’ammontare del danno singolarmente<br />

patito dall’investitore ed il nesso di causalità concreta. Se è proposta<br />

la descritta istanza di certificazione – i cui contenuti sono indicati dal § 2,<br />

comma 1, terza proposizione, KapMuG – l’adìto Landgericht, dopo averne<br />

delibato i requisiti d’ammissibilità ex § 1, comma 3, prima proposizione,<br />

KapMuG, ne dà pubblica notizia in apposito registro (Klageregister) costituito<br />

presso il Bundesanzeiger elettronico ( 22 ), ai sensi del § 2, comma 1, prima<br />

proposizione, KapMuG ( 23 ).<br />

Eseguita questa forma d’iscrizione pubblicitaria il giudizio nel corso del<br />

quale fu sollevata l’istanza è sospeso a norma del § 3 KapMuG. La sospensione<br />

è importante, perché a partire da questo momento decorre un termine<br />

per raccogliere ulteriori istanze di certificazione della procedura-modello.<br />

Ora, se entro il termine di quattro mesi dall’iscrizione della prima istanza<br />

dovessero essere presentate al registro almeno nove ulteriori istanze indirizzate<br />

nello stesso senso ( 24 ), il giudice che abbia pubblicato la prima ottiene<br />

dall’Oberlandesgericht a lui sovraordinato un attestato di procedimento-modello.<br />

Ai sensi del § 4, comma 2, nn. 1-2, KapMuG detto Oberlandesgericht<br />

formula pure un’ordinanza-quadro, che riassume lo scopo cognitivo<br />

e l’oggetto del contendere, a partire dalle singole istanze presentate per<br />

la certificazione della procedura aggregata.<br />

Pronunciata l’ordinanza-quadro l’Oberlandesgericht adìto, ai sensi del §<br />

8, comma 2, KapMuG, determina d’ufficio, con provvedimento non impugnabile<br />

e secondo prudente apprezzamento, tanto l’“attore-” quanto il<br />

( 21 ) Sul concetto cfr. BT-Drucks. 15/5091, pp. 1, 15, 18 e 20 ss.; nonché BT-Drucks. 15/5695,<br />

p. 2.<br />

( 22 ) Cfr. il sito www.ebundesanzeiger.de.<br />

( 23 ) Cfr. il Klageregister secondo il KapMuG (c.d. KlagRegV) del 26 ottobre 2005, in BGBl.<br />

I, p. 3092.<br />

( 24 ) Si discute se sia sufficiente che pervengano congiuntamente dieci istanze di certificazione<br />

della causa-pilota o debbano viceversa ricorrere dieci procedure separate, all’interno<br />

delle quali siano proposte le relative istanze; nel primo senso si è espresso il BGH, in ZIP,<br />

2008, p. 1197 ss.; nel secondo invece l’OLG München, in ZIP, 2007, p. 649 ss.


DIBATTITI 37<br />

“convenuto-tipo” ( 25 ). Nel prescegliere l’“attore-tipo” ( 26 ) il giudice, ai sensi<br />

del § 8, comma 2, seconda proposizione, nn. 1-2, KapMuG, deve prendere in<br />

considerazione l’ammontare della sua pretesa e l’eventuale consenso di più<br />

attori sulla sua rappresentatività. Individuate le parti l’Oberlandesgericht, ai<br />

sensi del § 6 KapMuG, rende pubblicamente nota nel registro elettronico<br />

l’instaurazione del procedimento, con l’indicazione delle parti, della materia<br />

del contendere e dell’ulteriore contenuto dell’ordinanza-quadro.<br />

Questa divulgazione pubblica è significativa, perché con essa, ai sensi<br />

del § 7, comma 1, prima proposizione, KapMuG, tutte le procedure parallele<br />

già pendenti e quelle che verranno successivamente a pendere fino alla data<br />

della decisione presso il rispettivo giudice a quo sono automaticamente<br />

sospese. Ai sensi del § 7, comma 1, seconda proposizione, KapMuG, la sospensione<br />

di diritto delle procedure parallele si attua per ragioni di pura<br />

economìa processuale, ed indipendentemente dalla circostanza che nella<br />

singola procedura sia stata proposta un’istanza di certificazione. L’incardinamento<br />

del procedimento-pilota, che importa l’accorpamento forzoso di<br />

tutte le procedure parallele pendenti, guadagna così una sorta di “forza assorbente”.<br />

L’inclusione nella procedura anche di quegli attori che non sono<br />

divenuti “attori-modello” avviene attraverso una chiamata in causa ( 27 ). Per<br />

velocizzare la procedura il provvedimento sospensivo di ciascun giudice a<br />

quo, provvedimento che interviene dopo la pubblicità della procedura aggregata,<br />

reca anche il necessario ordine di chiamata, ai sensi del § 8, comma<br />

3, seconda proposizione, KapMuG.<br />

Il procedimento-pilota dinanzi all’Oberlandesgericht è condotto dalle<br />

“parti-tipo”, ed ai sensi del § 9, comma 1, prima proposizione, KapMuG soggiace<br />

alle norme della ZPO vigenti per la prima istanza di giudizio davanti al<br />

Landgericht ( 28 ). In forza del § 12 KapMuG ai chiamati è assegnata nella procedura<br />

una posizione subordinata: essa corrisponde a quella di un mero interveniente<br />

dipendente, ai sensi dei §§ 67 e 68 ZPO ( 29 ). Caratteristico dello<br />

status del chiamato ex KapMuG è che egli può supportare la parte-modello<br />

( 25 ) I convenuti-pilota possono essere anche molti; ma fra questi non ricade l’intermediario<br />

finanziario, perché il suo inadempimento concernerebbe il contratto individuale d’investimento<br />

(e segnatamente gli obblighi contrattuali di consulenza), e non risiederebbe certo<br />

nella (falsa) informazione pubblica sul mercato dei capitali: cfr. BGH, 30 gennaio 2007 (Az. X<br />

AZR 381/06); e nello stesso senso anche Stöber, in NJW, 2006, p. 3724; OLG Koblenz, in<br />

NJW, 2006, p. 3723; OLG Nürnberg, in BB, 2006, p. 2212.<br />

( 26 ) Il convenuto-pilota è necessariamente la controparte nel giudizio a quo dell’attore-pilota.<br />

( 27 ) La chiamata impedisce il “filtro” degli attori paralleli.<br />

( 28 ) L’applicabilità della ZPO discende già dall’art. 3, comma 1, EGZPO.


38 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

adducendo autonomi strumenti d’azione e di difesa, e assumendo ulteriori<br />

iniziative processuali nella conduzione del processo, ma non può porsi in<br />

contrapposizione alle allegazioni della rispettiva parte-modello.<br />

L’Oberlandesgericht decide in via definitiva con ordinanza, la c.d. “decisione-modello”.<br />

Contro di essa spetta alle parti-tipo (attore e convenuto) ed<br />

ai chiamati il mezzo d’impugnazione della Rechtsbeschwerde presso il BGH,<br />

a norma del § 15, comma 1, prima proposizione, KapMuG (ove il giudizio sul<br />

fatto mantiene fondamentale importanza nel senso recepito dal § 574, comma<br />

2, n. 1, ZPO, in relazione al § 15, comma 1, seconda proposizione, Kap-<br />

MuG).<br />

Dopo la pronuncia della decisione-modello ad opera dell’Oberlandesgericht<br />

inizia per i giudizi a quibus dinanzi ai Landgerichte, fino ad allora sospesi,<br />

la c.d. Nachverfahrensphase (o fase “post-procedimentale”) ( 30 ). La<br />

particolarità è data dal fatto che la decisione-modello vincola ciascun giudizio<br />

a quo, ai sensi del § 16, comma 1, proposizioni prima e terza, KapMuG.<br />

Qualora i chiamati intendano sottrarsi a questo vincolo, essi dovranno, ai<br />

sensi del § 16, comma 2, KapMuG, sollevare contro la decisione aggregata<br />

l’eccezione di negligente conduzione della lite ad opera della parte-tipo ( 31 ).<br />

Ciò può argomentarsi soprattutto in tre casi: in primo luogo, se il chiamato,<br />

all’atto del suo ingresso nella procedura-pilota, non sarebbe stato più in grado<br />

di proporre in proprio mezzi d’azione o d’eccezione; in secondo luogo,<br />

se a causa della condotta tenuta dalle parti-modello gli era stato impedito di<br />

apportare alla procedura mezzi d’azione o d’eccezione; ed in terzo luogo, se<br />

la parte-modello non abbia addotto per dolo o colpa grave mezzi d’azione o<br />

d’eccezione ignoti al chiamato.<br />

Chiariti i quesiti bisognosi di risposta individuale all’interno di ciascun<br />

procedimento, come ad esempio l’ammontare del danno patito in concreto<br />

da ciascun attore, il giudice a quo decide ogni singolo punto controverso<br />

mediante sentenza definitiva.<br />

Circa le spese occorse durante il procedimento-modello, ed in particolare<br />

quelle che attengono all’istruzione probatoria, la decisione è presa, ai<br />

sensi del § 14, comma 2, KapMuG, solo nell’apposito capo di ciascuna sen-<br />

( 29 ) Cfr. BT-Drucks. 15/5091, p. 28; Möllers, Weichert, in NJW, 2005, pp. 2737-2740; e<br />

Maier - Reimer, Wilsing, in ZGR, 2006, p. 79 ss., ed in particolare p. 109.<br />

( 30 ) La denominazione di questa fase del procedimento come “Nachverfahren” è molto<br />

diffusa nell’ambito della procedura-modello del processo amministrativo ex § 93a VwGO (cfr.<br />

in tema, Eyermann, Geiger, VwGO, sub § 93a, 2006, par. 13).<br />

( 31 ) Quest’eccezione è mutuata dalla posizione all’interveniente dipendente, come previsto<br />

dal § 68 ZPO (cfr. BT-Drucks. 15/5091, p. 31).


DIBATTITI 39<br />

tenza definitiva; dette spese sono quantificate come le spese del primo grado<br />

di ogni giudizio a quo, e sono ripartite fra tutti gli attori e tutti i convenuti.<br />

Il rischio processuale individuale della condanna alle spese è reso solidale<br />

dal KapMuG in questo modo: se l’attore è soccombente, egli sopporta i<br />

costi processuali solo nel rapporto fra l’ammontare della pretesa da lui esercitata<br />

e la somma delle pretese fatte valere da tutti gli attori individuali, secondo<br />

i §§ 17 e 14, comma 2, KapMuG. Le sentenze definitive pronunciate<br />

nelle procedure individuali sono impugnabili col mezzo dell’appello ai sensi<br />

del § 511, comma 1, ZPO.<br />

4. – L’azione delle associazioni: i rimedi inibitori previsti dall’Unterlassungsklagengesetz<br />

(o UKlaG)<br />

Al momento il diritto tedesco conosce una sola opportunità ad ampio<br />

spettro per riunificare processualmente pretese singole: l’azione delle associazioni<br />

(Verbandsklage). Nondimeno, a differenza dell’azione di gruppo (o<br />

collettiva) e dell’azione-modello prevista dal KapMuG, nell’azione associativa<br />

l’attore e titolare della pretesa azionata non è un “collettivo” di più attori<br />

individuali, ma l’associazione stessa, che secondo la visione tedesca fa valere<br />

una pretesa propria, ed assume la qualità di parte processuale non solo<br />

per altri, ma anche per sé ( 32 ). Del pari accade che le decisioni pronunciate<br />

su impulso dell’associazione nel corso della procedura allargata abbiano effetti<br />

positivi riflessi sulle omologhe azioni individuali dei consumatori.<br />

In Germania le azioni associazionistiche hanno portata non solo inibitoria<br />

e revocatoria, ma anche, se del caso, restitutoria del profitto illecito. Al<br />

contrario col mezzo dell’azione associativa non possono essere fatte valere<br />

pretese risarcitorie, poiché manca al riguardo qualsiasi basamento normativo<br />

( 33 ). V’è sotteso il problema che l’associazione raramente è danneggiata<br />

in proprio, né le è riconosciuta la legittimazione a domandare in giudizio un<br />

risarcimento dei danni (in sostituzione di altri), a meno che eventuali danneggiati<br />

non le cedano espressamente i rispettivi crediti risarcitori ai sensi<br />

del § 79 ZPO, ciò che accade raramente.<br />

L’esperimento dell’azione associativa è ammesso dall’Unterlassungsklagengesetz<br />

(abbr. UKlaG) ( 34 ) per diverse materie concernenti la tutela del<br />

consumatore. Oggetto tipico dell’azione è secondo il § 1 UklaG l’osservanza<br />

delle regole in materia di controllo contenutistico sulle condizioni gene-<br />

( 32 ) Così Stadler, in Brönneke (cur.), Kollektiver Rechtsschutz, cit., p. 8.<br />

( 33 ) Halfmeier, in Brönneke (cur.), Kollektiver Rechtsschutz, cit., pp. 137-139.<br />

( 34 ) Cfr. BGBl. I 2002, p. 3422.


40 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

rali di contratto. Le linee-guida per le clausole unilateralmente predisposte<br />

si trovano nei §§ 307-309 BGB: qualora le condizioni del predisponente violino<br />

queste direttive, l’associazione può domandare la cessazione dell’impiego<br />

di tali condizioni e la loro revoca. Legittimate ai sensi della direttiva<br />

98/27/CE sono le “istituzioni qualificate”, per le quali più puntuali requisiti<br />

si trovano nel § 4 UklaG. Vi si annoverano in particolare le associazioni dei<br />

consumatori registrate.<br />

Nondimeno, al di là della materia delle condizioni generali, il legislatore<br />

ha esteso l’ambito dell’azione fino a ricomprendervi, ai sensi del § 2 UklaG,<br />

qualsiasi legge di tutela del consumatore, se e nella misura in cui l’associazione<br />

intenda agire contro un’<strong>impresa</strong> che, pur senza utilizzare condizioni<br />

contrattuali illegittime, violi norme esplicitamente deputate alla protezione<br />

del consumatore ( 35 ). Questa previsione, al pari del § 1 UklaG, soddisfa<br />

dunque in misura rafforzata l’attuazione in forma collettiva dei diritti<br />

e degli interessi del consumatore ( 36 ).<br />

Per le azioni associative di cui ai §§ 1 e 2 UklaG, dirette all’inibitoria (od<br />

alla revoca) di condizioni generali vietate, perché confliggenti con i §§ 307-<br />

309 BGB, o di pratiche comunque contrarie alla tutela dei consumatori, è<br />

competente ai sensi del § 6, comma 1, UklaG esclusivamente il Landgericht<br />

nel cui circondario ha sede il convenuto. Per la procedura sono applicabili le<br />

regole generali della ZPO (§ 5 UklaG). Ne deriva che valgono in particolare<br />

il principio dispositivo e quello della trattazione in udienza. Se il giudice, all’esito<br />

del processo associativo, accerta l’invalidità delle clausole fisse, l’imprenditore<br />

deve astenersi dalla pratica anti-consumeristica oggetto del giudizio,<br />

e le clausole devono essere revocate.<br />

Una pretesa inibitoria sussiste anche in merito alle pratiche anti-consumeristiche<br />

disciplinate dal § 2 UklaG. Nondimeno quando si tratti dell’azione<br />

associativa di cui al § 1 UklaG (in materia di condizioni generali di contratto)<br />

sussiste la particolarità aggiuntiva che la sentenza inibitoria acquisisce<br />

un’efficacia allargata: grazie al § 11, prima proposizione, UklaG, ciascun<br />

attore in un processo successivo o parallelo, di pari oggetto, può invocare<br />

l’invalidità delle clausole quale già accertata nel processo collettivo. Inoltre<br />

la sentenza d’accoglimento resa all’esito dell’azione associativa (dell’una e<br />

dell’altra variante, vale a dire di cui al § 1 ovvero al § 2 UklaG) ( 37 ), ai sensi del<br />

§ 7 UklaG può essere pubblicata, su ordine del giudice e domanda dell’atto-<br />

( 35 ) Così Micklitz, in Brönneke (cur.), Kollektiver Rechtsschutz, cit., pp. 87 e 106.<br />

( 36 ) Cfr. Palandt, Bassenge, sub § 2 UklaG, 2007, par. 1.<br />

( 37 ) Cfr. Palandt, Bassenge, sub § 7 UklaG, 2007, par. 1.


DIBATTITI 41<br />

re, nel Bundesanzeiger (eventualmente per il solo dispositivo, ma con indicazione<br />

del convenuto).<br />

Ai sensi del § 48, comma 1, seconda proposizione, Gerichtskostengesetz<br />

(GKG), il valore di causa per l’azione associativa è fissato nei suoi limiti<br />

massimi in euro 250.000. Poiché però i reali valori di causa sono di fatto più<br />

bassi, almeno di regola ( 38 ), questo “calmiere” delle spese di giustizia è generalmente<br />

ineffettivo, perché troppo alto. Vero è che in linea di principio il<br />

giudice può accertare un valore di causa più basso, per contenere il rischio<br />

delle spese processuali a carico della parte economicamente debole (come<br />

emerge dai §§ 5 e 12, comma 4, UWG); vero è anche però che di questa possibilità<br />

viene fatto un uso sporadico nei confronti delle associazioni, sicché<br />

di fatto le azioni associative sono raramente esperite, proprio a causa dei rischi<br />

legati alle spese giudiziarie e delle cattive condizioni finanziarie in cui<br />

versano, di regola, le associazioni dei consumatori ( 39 ).<br />

5. – Segue: l’azione associativa contro le pratiche anticoncorrenziali secondo<br />

il Gesetz gegen den unlauteren Wettbewerb (abbr. UWG)<br />

Accanto all’esperimento delle azioni previste nell’UklaG, anche il vigente<br />

Gesetz gegen den unlauteren Wettbewerb (abbr. UWG) mette a disposizione<br />

un rimedio di carattere collettivo e associazionistico. Così il § 8, comma<br />

1, UWG assicura una pretesa alla rimozione ed all’inibizione di quello<br />

che i §§ 1 ss. UWG qualificano “comportamento anticoncorrenziale” dell’imprenditore.<br />

Una siffatta azione associativa secondo l’UWG può essere<br />

esperita, ai sensi del § 8, comma 3, nn. 2 e 4, UWG, dalle associazioni provviste<br />

di capacità giuridica e finalizzate alla salvaguardia d’interessi professionali<br />

e di categoria, dalle camere di commercio e dell’industria, ed inoltre,<br />

ai sensi del § 8, comma 3, n. 3, UWG dalle “istituzioni qualificate” legittimate<br />

ai sensi del § 4 UklaG, vale a dire dalle associazioni dei consumatori. Accanto<br />

a questa forma d’azione collettiva l’UWG non prevede alcuna possibilità<br />

per i consumatori di agire individualmente; nell’ambito della concorrenza<br />

sleale i consumatori necessitano dunque dell’interposizione giudiziale<br />

delle associazioni, chiamate a tutelarne gli interessi. Nondimeno l’UWG<br />

non ha riconosciuto alle associazioni soltanto una pretesa ablatoria ed inibitoria:<br />

ai sensi del § 10 UWG il legislatore ha assegnato loro anche una pretesa<br />

alla restituzione del profitto illecito.<br />

( 38 ) In tal senso Gilles, in ZZP, 1985, p. 1 ss., ed in particolare p. 21 ss.; Einhaus, Kollektiver<br />

Rechtsschutz im englischen und deutschen Zivilprozess, 2008, p. 441.<br />

( 39 ) Così Einhaus, Kollektiver Rechtsschutz, cit., p. 441.


42 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Sennonché tutte queste pretese non sono fatte valere pressoché mai<br />

nella pratica. Il motivo è da ricercarsi, da un lato, nella circostanza per cui<br />

l’intrapresa di azioni associative previste dall’UWG è ostacolata dagli stessi<br />

problemi economici, concernenti il finanziamento dell’azione, che si pongono<br />

in materia di azione per le condizioni generali (le associazioni sono<br />

sotto-finanziate e non possono correre i rischi delle spese processuali); dall’altro<br />

lato occorre rilevare che nella pretesa alla restituzione del profitto illecito<br />

è ardua la quantificazione del lucro illegittimo, l’azione colpisce i soli<br />

comportamenti intenzionali del danneggiante, e non mancano cospicui<br />

problemi di prova dell’illecito. La disciplina dell’azione associativa prevista<br />

dall’UWG non è dunque sufficientemente effettiva per le esigenze di protezione<br />

dei consumatori ( 40 ).<br />

6. – Bilancio<br />

In Germania non ricorre al momento alcun fondamento legislativo per<br />

azioni di gruppo o collettive. Forme di accorpamento processuale delle cause<br />

individuali esistono tradizionalmente nel settore delle azioni associative<br />

dirette al controllo sull’uso delle condizioni generali ed alla lotta contro i<br />

comportamenti anticoncorrenziali delle imprese. Nel 2005 ha fatto però la<br />

sua comparsa la possibilità d’esperire un’azione-modello, che secondo lo<br />

schema dell’opting-in prevede l’efficacia allargata della decisione-pilota in<br />

capo a tutti i soggetti partecipanti all’azione. Tuttavia questa possibilità al<br />

momento è ristretta alle sole liti concernenti il mercato dei capitali. Un allargamento<br />

dell’azione disciplinata dal KapMuG ad altre branche dell’ordinamento<br />

non è prevedibile, perché contro le tendenze alla “collettivizzazione”<br />

del processo civile, al di là delle poco effettive azioni associazionistiche,<br />

sussistono perplessità troppo grandi, riepilogate all’inizio del presente<br />

contributo. La tutela del consumatore, che si dispiega largamente sul terreno<br />

del diritto sostanziale, “zoppica” invece vistosamente su quello dell’attuazione<br />

giudiziaria. Poiché il legislatore tedesco non è intenzionato a<br />

“muoversi”, l’introduzione di un’azione di gruppo consumeristica ad opera<br />

dell’Unione Europea sarebbe da salutarsi con favore ( 41 ).<br />

Marina Tamm<br />

( 40 ) Cfr. ancora Einhaus, Kollektiver Rechtsschutz, cit., p. 454.<br />

( 41 ) Nella stessa direzione Stadler, in Brönneke (cur.), Kollektiver Rechtsschutz, cit., in<br />

particolare p. 31.


Class actions: l’esperienza spagnola (*)<br />

1. – La legittimazione attiva e passiva nelle azioni collettive: la necessaria distinzione<br />

tra “interesse collettivo” e “interesse diffuso”<br />

1. – La Legge di Istruzione del Processo Civile (di seguito LECiv) prevede,<br />

per l’esercizio dell’azione collettiva, una forma di legittimazione straordinaria<br />

attribuita ai soggetti sulla base degli interessi tutelati (da una parte, i<br />

cosiddetti “interessi collettivi”; dall’altra, quelli definiti “interessi diffusi”).<br />

Non avendo tuttavia il legislatore fornito con la citata legge una definizione<br />

di tali interessi, è comunemente accolta l’opinione secondo cui si è in presenza<br />

di una posizione di interesse collettivo quando i soggetti lesi risultano<br />

determinati ovvero sono facilmente determinabili. Mentre saremo di fronte<br />

ad un interesse diffuso quando i soggetti lesi non siano determinati nè risultino<br />

facilmente determinabili.<br />

In questo senso, la legge prevede che quando i soggetti lesi appartengano<br />

ad una classe di consumatori o di utenti prefettamente determinati o di<br />

agevole determinazione, la legittimazione ad agire a tutela degli interessi<br />

definiti dalla norma come “collettivi” spetti alle associazioni di consumatori<br />

o utenti, ovvero alle “entidades legalmente constituidas que tengan por<br />

objeto la defensa o protección de éstos” ed ai gruppi di danneggati (art. 11.2<br />

LECiv). Di contro, la legittimazione per l’esercizio dell’azione collettiva,<br />

sul presupposto per cui i soggetti lesi dall’evento dannoso rappresentino<br />

una pluralità di consumatori o di utenti indeterminati o di non facile determinazione,<br />

spetta esclusivamente alle associazioni di consumatori o utenti<br />

che, conformemente alle disposizioni di legge, saranno ritenute rappresentative<br />

(art. 11.3 LECiv).<br />

Con riguardo, in particolare, agli “interessi collettivi”, il riferimento fatto<br />

dalla norma agli “organismi legalmente costituiti che abbiano ad oggetto la<br />

difesa ovvero la protezione di questi interessi ” comporta l’estensione della legittimazione<br />

ad altri enti o organizzazioni che, pur non avendo per loro natura<br />

ovvero quale oggetto esclusivo la difesa dei consumatori e degli utenti,<br />

possano essere utili a questo fine.<br />

Così, per esempio, possono ritenersi ricomprese in questa definizione<br />

le associazioni di vicini di casa o di genitori, ovvero gli ordini professionali,<br />

ovvero ancora le cooperative di consumatori ed utenti secondo quanto previsto<br />

dall’art. 24.1 del Real Decreto Legislativo n. 1, del 16 novembre 2007,<br />

(*) Traduzione dall’originale spagnolo a cura di Ilaria Zorino.


44 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

con il quale è stato approvato il testo riformato della Ley General para la Defensa<br />

de los Consumidores y Usuarios y otras leyes complementarias (di seguito,<br />

LGDCU).<br />

In tale testo normativo, vengono specificati i requisiti e le condizioni per<br />

l’esercizio delle azioni collettive, stabilendo che le associazioni e le cooperative<br />

che non siano in possesso dei requisiti stabiliti dalla citata legge ovvero<br />

dalla normativa delle Comunità Autonome applicabile al singolo caso,<br />

potranno unicamente rappresentare gli interessi dei propri iscritti o dell’associazione<br />

stessa, mentre non potranno agire a tutela dell’interesse generale,<br />

collettivo o diffuso, dei consumatori.<br />

Di contro, ai sensi dell’art. 11.3 della LECiv (relativo agli interessi diffusi),<br />

devono considerarsi rappresentative quelle associazioni di consumatori<br />

o di utenti che formano parte del Consejo de Consumidores y Usuarios, salvo<br />

che l’ambito territoriale del conflitto sia relativo ad una singola Comunità<br />

Autonoma, nel qual caso esso verrà assoggettato alla legislazione speciale<br />

di quest’ultima (art. 24.2 LGDCU).<br />

La legittimazione per l’esercizio dell’azione inibitoria a tutela tanto degli<br />

interessi collettivi quanto degli interessi diffusi di consumatori e di utenti<br />

(volta ad ottenere una sentenza che condanni la parte convenuta a rimuovere<br />

dalle proprie condizioni generali di contratto quelle che vengano ritenute<br />

nulle e ad astenersi da utilizzare le stesse in futuro, determinando ovvero<br />

chiarendo contestualmente, se necessario, il contenuto del contratto<br />

da considerarsi valido ed efficace), è attribuita sia al Ministerio Fiscal sia agli<br />

organismi abilitati a questo fine dalla normativa comunitaria europea (art.<br />

11.4 LECiv). Questi principi, contemplati dalla LECiv con finalità sistematiche,<br />

trovano pari riscontro all’interno della legislazione speciale. Così, la<br />

possibilità di esercitare l’azione inibitoria da parte del Ministero era già prevista<br />

dall’art. 16.6 della Legge n. 7, del 13 aprile 1998, recante Condiciones<br />

Generales de la Contratación (di seguito LCGC) e nell’art. 54.1.c) della<br />

LGDCU. Di fatto, l’art. 16.2, 4 e 5 della LCGC amplia la legittimazione all’esercizio<br />

delle azioni collettive alle Cámaras de Comercio, Industria y Navegación;<br />

al Instituto Nacional del Consumo e agli organismi ed enti corrispondenti<br />

delle Comunità Autonome e delle Corporazioni Locali competenti<br />

in materia di tutela dei consumatori, nonchè agli ordini professionali<br />

legalmente costituiti. Il riferimento agli organismi legalmente abilitati dalla<br />

normativa comunitaria, oltre a comparire nelle leggi citate, può altresì ritenersi<br />

incluso nell’espressione “entidades legalmente constituidas que tengan<br />

por objeto la defensa o protección de consumidores y usuarios”.<br />

Il legislatore ha dunque cercato di contemplare nella normativa processuale<br />

tutti i presupposti previsti dalla Direttiva 1998/27/CE senza tenere


DIBATTITI 45<br />

presente che la legittimazione per l’esercizio delle azioni collettive tende ad<br />

essere regolata dalle leggi speciali. Prova ne sia, per esempio, l’attribuzione<br />

della legittimazione all’esercizio dell’azione collettiva in materia di tutela<br />

dell’ambiente contenuta nella Legge n. 27 del 18 luglio 2006 con la quale sono<br />

stati disciplinati i diritti di accesso alle informazioni, di partecipazione<br />

pubblica e di accesso alla giustizia in materia ambientale, che ha recepito<br />

nell’ordinamento spagnolo le Direttive 2003/4/CE e 2003/35/CE. Nella citata<br />

legge è previsto che le azioni e, in alcuni casi, le omissioni imputabili alle<br />

autorità pubbliche che ledono le norme in materia ambientale possono<br />

essere sanzionate attraverso il ricorso all’acción popular, la cui legittimazione<br />

è attribuita a qualunque persona giuridica senza scopo di lucro in possesso<br />

dei seguenti requisiti: a) che abbia fra gli scopi accreditati nello statuto<br />

la protezione dell’ambiente in generale o di alcuno dei suoi elementi in<br />

particolare; b) che sia legalmente costituita da almeno due anni prima dell’esercizio<br />

dell’azione e che eserciti continuativamente le attività elencate<br />

per il raggiungimento dello scopo statutario; infine, c) che per proprio statuto,<br />

eserciti l’attività nell’ambito territoriale colpito dalla condotta dell’amministrazione<br />

pubblica ovvero, se del caso, dall’omissione amministrativa<br />

(artt. 22 e 23 Legge 27/2006).<br />

Sotto il profilo contenzioso-amministrativo, oltre all’acción popular prevista<br />

a tutela dell’ambiente, è altresì prevista la possibilità di esercizio delle<br />

azioni collettive nell’art. 19.1.b) della Legge n. 29, del 13 luglio 1998, disciplinante<br />

la Jurisdicción Contencioso-Administrativa (LJCA). In tale normativa<br />

si prevede la possibilità di esercizio delle azioni di classe da parte delle<br />

corporazioni, associazioni, sindacati, gruppi ed organismi capaci di essere<br />

titolari di diritti e di obbligazioni nei limiti derivanti dalle strutture formali<br />

della persona giuridica, che risultino danneggiate o siano comunque legalmente<br />

abilitate a difendere i diritti e gli interessi legittimi collettivi.<br />

Altro presupposto per l’esercizio delle azioni collettive si trova nella difesa<br />

della parità di trattamento tra donne e uomini come conseguenza dell’approvazione<br />

della Legge Orgánica n. 3, del 22 marzo 2007, per l’uguaglianza<br />

effettiva di uomini e donne (art. 12.2). In questi casi, si prevde che<br />

per la difesa del diritto di parità di trattamento tra uomo e donna, oltre ai<br />

danneggiati e sempre con la loro autorizzazione, siano legittimati i sindacati<br />

e le associazioni legalmente costituite, il cui fine primario sia la difesa della<br />

parità di trattamento tra uomini e donne, con riguardo ai propri iscritti ed<br />

associati. Parimenti, quando danneggiata sia una pluralità di persone indeterminata<br />

ovvero di difficile determinazione, la legittimazione ad agire in<br />

giudizio per la difesa di questi interessi diffusi spetterà agli organismi pubblici<br />

competenti in materia, ai sindacati maggiormente rappresentativi ed


46 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

alle associazioni di matrice statale, il cui fine primario sia l’uguaglianza fra<br />

uomini e donne, senza pregiudizio della legittimazione processuale dei singoli<br />

danneggati, qualora determinati. È soltanto esclusa la possibilità di<br />

esercizio dell’azione collettiva in questa materia nelle ipotesi di molestie<br />

sessuali e di disciminazioni legate al sesso. In questi casi, la legittimazione<br />

è unicamente ordinaria, spettando dunque alla sola persona danneggiata<br />

(artt. 11 bis 3 LECiv e 19.1.i) LJCA).<br />

La stessa LGDCU, oltre alla già menzionata legittimazione straordinaria<br />

per l’esercizio delle azioni collettive contenuta nell’art. 54.1, al punto 3<br />

del medesimo articolo amplia la legittimazione collettiva in relazione alle<br />

inibitorie. È previsto infatti che la legittimazione per l’esercizio delle azioni<br />

inibitorie a fronte della condotta degli imprenditori, contraria alla normativa<br />

consumeristica, che leda interessi collettivi o interessi diffusi dei consumatori<br />

e degli utenti, oltre a fondarsi sul disposto dell’art. 11.2 e 3 della LE-<br />

Civ, spetti anche all’Instituto Nacional del Consumo nonchè agli organismi o<br />

agli enti corrispondenti delle Comunità Autonome e delle corporazioni locali<br />

competenti in materia di tutela dei consumatori, così come al Ministerio<br />

Fiscal. Nell’art. 19 della Legge n. 51 del 2 dicembre 2003 su pari opportunità,<br />

non discriminazione e superamento delle barriere per le persone con disabilità<br />

si prevede inoltre la possibilità di esercitare azioni collettive, senza<br />

pregiudizio della legittimazione individuale delle persone danneggiate dagli<br />

atti di discriminazione da parte delle persone giuridiche legalmente abilitate<br />

alla tutela dei diritti e interessi legittimi collettivi, le quali potranno<br />

agire in nome e per conto delle persone che le autorizzino con la finalità di<br />

rendere effettivo il diritto di parità di trattamento, difendendo dunque i diritti<br />

individuali e facendo ricadere su dette persone gli effetti dell’azione. In<br />

questo stesso senso si colloca altresì l’art. 31 della Legge n. 62 del 30 dicembre<br />

2003 contenente misure fiscali, amministrative e di ordine pubblico, che<br />

prevede che le persone giuridiche che siano legalmente abilitate per la tutela<br />

dei diritti ed interessi legittimi collettivi possanno agire nel processo in<br />

nome del richiedente che le autorizzi a perseguire la finalità di rendere effettivo<br />

il principio di parità di trattamento delle persone indipendentemente<br />

dalle loro origini etniche ovvero razziali. Con riferimento agli atti di concorrenza<br />

sleale, l’art. 33.3 della Legge n. 3 del 10 gennaio 1991 de Competencia<br />

Desleal (LCD) prevede che dispongano della legittimazione attiva per<br />

l’esercizio dell’azione declaratoria della concorrenza sleale; della azione<br />

inibitoria della condotta sleale o di impedimento della sua reiterazione futura;<br />

della azione proibitiva (de prohibición), se la condotta non è ancora stata<br />

posta in essere; dell’azione di rimozione degli effetti pregiudizievoli della<br />

concorrenza sleale e dell’azione di rettifica delle informazioni inganne-


DIBATTITI 47<br />

voli, scorrette o false, a tutela degli interessi generali, collettivi o diffusi, dei<br />

consumatori o utenti: l’Instituto Nacional del Consumo e gli organi o gli enti<br />

corrispondenti delle Comunità Autonome e delle corporazioni locali<br />

competenti in materia di difesa dei consumatori e utenti; le associazioni di<br />

consumatori e utenti che possiedano i requisiti stabiliti dalla LGDCU ovvero,<br />

se del caso, dalla legislazione delle Comunità Autonome; gli enti di altri<br />

Stati Membri della Comunità Europea costituiti per la protezione degli<br />

interessi collettivi e degli interessi diffusi dei consumatori e utenti in<br />

conformità con la legislazione europea. La LCD prevede anche la possibilità<br />

che il Ministerio Fiscal eserciti l’azione inibitoria in difesa di interessi generali,<br />

collettivi o diffusi, dei consumatori e utenti nelle ipotesi di concorrenza<br />

sleale (art. 33.4 LCD). Nessun ulteriore ampliamento si attua quanto<br />

all’attribuzione della legittimazione per l’esercizio delle azioni collettive<br />

con riferimento alla pubblicità ingannevole. La Legge n. 34 dell’11 novembre<br />

1988 di General de Publicidad (LGP), si richiama con carattere generale<br />

per l’esercizio delle azioni alla disciplina prevista dall’art. 333 della LCD<br />

(art. 6.1), pur chiarendo all’art. 6.2 che, a fronte della pubblicità ingannevole<br />

per l’utilizzo in maniera discriminatoria o vessatoria dell’immagine della<br />

donna, legittima per l’esercizio delle azioni previste dall’art. 32.1, commi da<br />

1 a 4 della LCD, a difesa degli interessi diffusi la Delegación del Gobierno para<br />

la Violencia de Género; l’Instituto de la Mujer o il suo equivalente nell’ambito<br />

delle Comunità Autonome; le associazioni legalmente costituite che<br />

abbiano quale unico obiettivo la difesa degli interessi della donna e non includano<br />

come associati le persone giuridiche con scopo di lucro; infine, il<br />

Ministerio Fiscal.<br />

Altri presupposti dell’ampliamento della legittimazione per l’esercizio<br />

delle azioni collettive in materia di azione inibitoria si rinvengono nell’art.<br />

106.2 della Legge n. 29 del 26 luglio 2006 de garantías y uso racional de los<br />

medicamentos y productos sanitarios; nell’art 20 della Legge n. 7 del 23 marzo<br />

1995 de Crédito al consumo; nell’art. 16 bis della Legge n. 42 del 15 dicembre<br />

1998 sobre derechos de aprovechamiento por turno de bienes inmuebles<br />

de uso turístico y normas tributarias; nell’art. 31 della Legge n. 34 dell’11<br />

luglio 2002 de servicios de la sociedad de la información y de comercio electrónico;<br />

nell’art. 11.3 della Legge n. 2 del 31 marzo 2009, por la que se regula la<br />

contratación con los consumidores de préstamos o créditos hipotecarios y de<br />

servicios de intermediación para la celebración de contratos de préstamo o crédito.<br />

La legittimazione straordinaria all’esercizio delle azioni collettive riconosciuta<br />

a favore dei gruppi, delle associazioni e degli enti non costituisce<br />

impedimento alcuno all’esercizio individuale dell’azione risarcitoria da


48 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

parte del soggetto privato che ha sofferto i danni ovvero da parte di coloro<br />

che, unendosi, scelgano di formulare le rispettive richieste di indennizzo<br />

nello stesso processo. Ciò si ricava dall’art. 11.1. LECiv, il quale legittima le<br />

associazioni dei consumatori e degli utenti ad agire in giudizio a tutela dei<br />

diritti e degli interessi dei propri associati e di quelli dell’associazione, così<br />

come degli interessi generali dei consumatori ed utenti, “sin perjuicio de la<br />

legitimación individual de los perjudicados”. L’esercizio di un’azione di classe<br />

non può in nessun caso impedire o escludere l’esercizio dell’azione individuale<br />

di natura risarcitoria da parte del singolo, giacchè ciò risulterebbe in<br />

contrasto con l’art. 24.1. della Costituzione spagnola (CE), che contempla il<br />

diritto fondamentale alla tutela giuridica effettiva.<br />

Quanto alla legittimazione passiva, l’ordinamento giuridico spagnolo<br />

non contempla alcuna limitazione, nè è prevista alcuna norma speciale al riguardo.<br />

Parimenti risulta interessante segnalare la possibilità di promuovere<br />

un’azione collettiva, a livello stragiudiziale, delineata dal Real Decreto n.<br />

231, del 15 febbraio 2008, con il quale è stato disciplinato il Sistema Arbitral<br />

de Consumo, essendo per la prima volta regolate nella Sezione II del citato<br />

testo normativo, agli articoli da 56 a 58, le azioni a tutela di interessi collettivi<br />

nel sistema stragiudiziale.<br />

2. – Il contenuto specifico delle azioni collettive<br />

Quanto al contenuto specifico dell’azione collettiva, la legge prevede la<br />

possibilità di instaurare azioni sia di carattere risarcitorio, sia di carattere<br />

inibitorio. Azioni che potranno essere esercitate anche congiuntamente,<br />

qualora sussistano i requisiti previsti dalla legge (artt. 71 e ss. LECiv).<br />

Ciononostante, con riferimento alle sentenze rese nei procedimenti<br />

promossi da consumatori o utenti, l’art. 221 della LECiv dispone che le pronunce<br />

conseguenti a domande formulate da associazioni di consumatori o<br />

utenti nell’esercizio di azioni collettive siano soggette a concrete regole circa<br />

il loro contenuto. Pertanto, qualora sia stata richiesta una condanna pecuniaria,<br />

ovvero una condanna all’obbligo di fare, di non fare o di dare una<br />

cosa specifica o generica, la sentenza determinerà individualmente i consumatori<br />

e utenti che, conformemente alle leggi a loro tutela, devono ritenersi<br />

beneficiari della condanna. Quando la determinazione individuale non<br />

sia possibile, la sentenza stabilirà i dati, le caratteristiche ed i requisiti necessari<br />

per poter ottenere il pagamento e, in tal caso, avviare l’esecuzione o<br />

intervenire in essa, qualora instaurata dall’associazione richiedente. Qualora,<br />

come presupposto della condanna o come unico profilo della pronuncia,


DIBATTITI 49<br />

una determinata attività o condotta venga dichiarata illecita ovvero non<br />

conforme alla legge, la sentenza determinerà se, in conformità alla legislazione<br />

in materia di protezione dei consumatori e degli utenti, la dichiarazione<br />

è idonea a produrre effetti processuali anche nei confronti di chi non<br />

sia stato parte del corrispondente processo. Qualora invece abbiano partecipato<br />

all’azione consumatori o utenti determinati, la sentenza dovrà pronunciarsi<br />

espressamente sulle loro rispettive pretese.<br />

In ogni caso, nelle sentenze rese in un’azione inibitoria promossa a tutela<br />

degli interessi collettivi e degli interessi diffusi dei consumatori e utenti,<br />

il Tribunale, qualora lo reputi ragionevole, potrà disporre la pubblicazione<br />

totale o parziale della sentenza a carico del convenuto ovvero, quando<br />

gli effetti dell’infrazione sanzionata possano perdurare a lungo nel tempo,<br />

una dichiarazione rettificatrice.<br />

3. – Alcune considerazioni sul “costo económico” del processo: una lettura economica<br />

di un’azione (tendenzialmente) di contenuto economico<br />

L’ordinamento giuridico non contempla incentivi all’esercizio dell’azione<br />

collettiva di carattere generale. Tuttavia, esso contempla la possibilità<br />

per le associazioni di consumatori e utenti, senza necessità di addurre l’insufficienza<br />

di mezzi per promuovere l’azione, di esercitare il diritto all’assistenza<br />

giuridica gratuita (Disposición Adicional Segunda della Legge n. 1, del<br />

10 gennaio 1996, de Asistencia Jurídica Gratuita [LAJG]). Ciò presuppone la<br />

possibilità di ottenere assistenza giuridica e pareri gratuiti preventivamente<br />

al processo; difesa e rappresentanza gratuite attraverso avvocati e procuratori<br />

nel procedimento giudiziario; inserzione gratuita di annunci, nel corso<br />

del processo, che tassativamente debbano pubblicarsi su riviste ufficiali;<br />

esenzione dal pagamento dei contributi necessari per la proposizione di ricorsi;<br />

consulenza tecnica gratuita nel processo mediante consulenti tecnici<br />

iscritti nei registri degli organi giudiziari ovvero, in difetto, mediante funzionari,<br />

organi o servizi tecnici dipendenti dalle Pubbliche Amministrazioni;<br />

rilascio gratuito di copie, attestati, strumenti e carte notarili; riduzione<br />

dell’80% dei diritti che vadano corrisposti per l’autenticazione di scritture e<br />

per il rilascio di copie ed atti notarili non contemplati nel punto precedente,<br />

quando siano relazionati direttamente con il processo; riduzione dell’80%<br />

dei diritti necessari per il rilascio di annotazioni, certificazioni, trascrizioni<br />

presso i Registros de la Propiedad y Mercantil, quando siano in relazione diretta<br />

con il processo e siano richiesti dall’organo giudiziario (art. 6 LAJG).<br />

Questi stessi benefici spetteranno a chi, esercitando l’azione collettiva, possa<br />

dimostrare l’insufficienza di mezzi per avviare la lite, dovendosi intende-


50 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

re compreso nella categoria delle associazioni di pubblica utilità in conformità<br />

con quanto disposto dall’art. 32 de la Legge Orgánica n. 1 del 22 marzo<br />

2002 disciplinante il Derecho de Asociación (art. 2.c.1 LAJG).<br />

Nell’apartado segundo de Disposición Segunda de la LAJG si riconosce,<br />

inoltre, il diritto all’assistenza giuridica gratuita, senza che sia necessario<br />

addurre l’insufficienza di mezzi per promuovere l’azione, alle associazioni<br />

di pubblica utilità che abbiano quale fine la promozione e la difesa dei diritti<br />

delle persone con disabilità, di cui all’art. 1.2 della Legge n. 51 del 2 dicembre<br />

2003 sulle pari opportunità, la non discriminazione e il superamento<br />

delle barriere per le persone disabili.<br />

Pari riconoscimento viene riscontrato all’interno della legislazione speciale,<br />

e così per esempio nella Legge n. 27 del 18 luglio 2006 disciplinante il<br />

diritto di accesso alle informazioni, di partecipazione pubblica e di accesso<br />

alla giustizia in materia ambientale, la quale prevede che le persone giuridiche<br />

senza scopo di lucro che pretendano di esercitare l’acción popular in<br />

queste ipotesi abbiano il diritto all’assistenza giuridica gratuita nei termini<br />

previsti dalla Legge n. 1 del 10 gennaio 1996 di Asistencia Jurídica Gratuita<br />

(art. 23.2).<br />

A prescindere da quanto detto, ciò che è certo è che i costi del processo<br />

possono in concreto eccedere il contenuto materiale del diritto sancito dalla<br />

LAJG, giacchè, a titolo esemplificativo, non è incluso nel diritto all’assistenza<br />

giuridica gratuita il costo di pubblicazione degli avvisi sulla stampa<br />

periodica o su di una pagina web, qualora necessari per individuare o provare<br />

a determinare i soggetti danneggiati da una condotta imprenditoriale che<br />

vogliano aderire al procedimento collettivo. Parimenti, l’assistenza tecnica<br />

gratuita è circoscritta ai consulenti tecnici iscritti presso gli organi giudiziari,<br />

ovvero, in mancanza, ai funzionari, organismi o servizi tecnici dipendenti<br />

presso le Pubbliche Ammistrazioni.<br />

Ciononostante, il vero ostacolo che potrebbe pregiudicare l’esercizio<br />

delle azioni collettive da parte delle associazioni di consumatori e utenti, in<br />

modo particolare quando si controverta della lesione di interessi diffusi, è<br />

l’eventuale condanna alle spese di lite che vige nel processo spagnolo sulla<br />

base del principio della soccombenza. Questione che, almeno in linea teorica,<br />

può essere superata dall’attribuzione della legittimazione all’esercizio<br />

di tali azioni, effettuata dalla legge, al Ministerio Fiscal, esente dal pagamento<br />

delle spese processuali.<br />

Sotto un profilo più pratico, l’esercizio delle azioni collettive presuppone<br />

un riparto di spese processuali tra tutti i membri della classe e, conseguentemente,<br />

una riduzione individuale dei costi del processo. In ogni caso,<br />

la possibilità che l’esercizio delle azioni collettive possa essere effettua-


DIBATTITI 51<br />

to dal Ministerio Fiscal presuppone la possibilità di evitare le spese di lite.<br />

Ciò, di fatto, anche nei casi in cui l’azione promossa dal Ministero non conduca<br />

all’accoglimento della domanda.<br />

Con riguardo all’avvocato, il vantaggio è, senza dubbio, un migliore e<br />

maggior controllo del processo, nonostante – con riguardo al risultato finale<br />

– si assumano i rischi ed i benefici di una soluzione completamente favorevole<br />

ovvero sfavorevole. In ogni caso, risulta realmente conveniente la limitazione<br />

di onorari.<br />

4. – Una nuova crítica: l’assenza di una norma specifica in materia di condanna<br />

alle spese<br />

In materia di azioni collettive, la Legge non prevede disposizioni specifiche,<br />

così che deve farsi ricorso al principio generale secondo cui, salvo il<br />

disposto della Ley de Asistencia Jurídica Gratuita, ogni parte pagherà le spese<br />

ed i costi del processo determinati dalla propria istanza man mano che essi<br />

si producono (art. 241 LECiv). Inoltre, secondo la legge, spetta a chi intenda<br />

avviare un processo per la tutela degli interessi collettivi dei consumatori<br />

e degli utenti l’attuazione delle misure necessarie al fine di individuare<br />

i membri della classe di soggetti lesi quando, non essendo determinati,<br />

siano facilmente determinabili, in conformità alle circostanze del caso<br />

concreto e ai dati forniti dal proponente, inclusa la diffida al soggetto convenuto<br />

affinchè collabori in questa determinazione (art. 256.1.6 LECiv.) Rispetto<br />

al pagamento delle spese di lite vige il principio generale della soccombenza,<br />

così che i costi della prima istanza ricadranno sulla parte che<br />

avrà visto rigettare le proprie pretese, salvo che il tribunale non ritenga che<br />

il caso presentasse ampi margini di dubbio sia in fatto che in diritto. In ogni<br />

caso, se chi esercita l’azione collettiva è condannato alle spese ed era titolare<br />

del diritto all’assistenza giuridica gratuita, egli sarà unicamente tenuto a<br />

pagare le spese di difesa della controparte nei casi espressamente indicati<br />

nella Ley de Asistencia Jurídica Gratuita.<br />

5. – L’intervento processuale nelle cause pendenti da parte di chi vanta la lesione<br />

di un interesse legittimo<br />

5.1. – Il differente risutato della chiamata in funzione dell’interesse (collettivo<br />

o diffuso) leso<br />

L’ordinamento giuridico prevede un periodo di pubblicità per consentire<br />

l’intervento nella causa instaurata a tutela dei diritti ed interessi collettivi<br />

e diffusi dei consumatori e utenti. Pertanto, è previsto che vengano chiama-


52 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

ti nel processo promosso da associazioni o organismi costituti per la tutela<br />

di diritti ed interessi dei consumatori ed utenti, o per gruppi di soggetti lesi,<br />

coloro che rivestano la qualifica di “pregiudicati” per essere stati consumatori<br />

del prodotto o utenti del servizio oggetto del procedimento, affinchè essi<br />

possano far valere il loro diritto o interesse individuale. Chiamata che<br />

verrà effettuata per il tramite del cancelliere attraverso la pubblicazione del<br />

provvedimento di ammissibilità della domanda con i mezzi di comunicazione<br />

aventi diffusione nell’ambito territoriale interessato dalla lesione di<br />

quel diritto o di quell’interesse. Quando si tratti di un procedimento instaurato<br />

a tutela di interessi collettivi, il proponente ovvero i proponenti dovranno<br />

aver comunicato preventivamente l’intenzione di promuovere la domanda<br />

presso tutti gli interessati. In questo caso, a seguito della chiamata, il<br />

consumatore o l’utente potrà intervenire nel processo in qualunque momento,<br />

ma non potrà realizzare tutti quegli atti processuali per i quali si siano<br />

già maturate le preclusioni di rito (art. 15.2 LECiv). In cambio, quando si<br />

tratti di un procedimento instaurato a tutela di interessi diffusi, la chiamata<br />

sospenderà il corso del processo per un periodo che non potrà superare i due<br />

mesi. Dopodiché, il processo proseguirà con l’intervento di tutti quei consumatori<br />

che abbiano aderito alla chiamata, non ammettendosi la partecipazione<br />

dei consumatori ed utenti in un momento successivo (senza tuttavia<br />

che ciò pregiudichi la possibilità di costoro di far valere i propri diritti ed interessi<br />

privatamente attraverso l’esercizio dell’azione esecutiva fondata sulla<br />

sentenza di condanna (art. 519 con riferimento all’art. 221 LECiv).<br />

L’intervenuto sarà considerato parte del processo a tutti gli effetti e potrà<br />

tutelare le pretese formulate dal proprio litisconsorte o da sé medesimo,<br />

nel caso in cui ne abbia avuto l’opportunità processuale, e ciò anche qualora<br />

il litisconsorte rinunci, desista o abbandoni il procedimento per qualunque<br />

altra ragione. Saranno altresì consentite all’interveniente le produzioni<br />

documentali necessarie per la sua difesa, ancorché riferite ad un precedente<br />

momento processuale. Di queste produzioni, il cancelliere darà comunicazione<br />

alle altre parti entro il termine di cinque giorni.<br />

Oltre alla facoltà che l’ordinamento spagnolo riconosce ai soggetti di intervenire<br />

individualmente nei processi pendenti (artt. 13.1, 14.1 e 15.1) e di<br />

chiedere la riunione dei processi (art. 76.2), l’art. 519 della LECiv prevede la<br />

possibilità di esercitare l’azione esecutiva nei casi in cui si sia giunti a sentenza<br />

in processi promossi dall’associazione dei consumatori, questione non<br />

esente tuttavia da problemi pratici. Trattandosi di interessi collettivi non vi<br />

saranno particolari problemi a rendere effettiva la prestazione economica riconosciuta<br />

in sentenza attraverso l’azione ejecutiva, ogni qual volta l’art.<br />

221.1.1 a della LECiv disponga che qualora fosse stata richiesta una condan-


DIBATTITI 53<br />

na pecuniaria, la sentenza determini individualmente i consumatori ed<br />

utenti che, in conformità alle leggi a loro tutela, devono intendersi beneficiari<br />

della condanna. Pertanto, trattandosi di individui identificati, a costoro<br />

offrirà congruo ristoro la decisione giudiziale. Più complesso il caso di<br />

soggetti lesi non determinati ma determinabili, per cui il dettato dell’art.<br />

221.1.1 LECiv dispone che quando la determinazione individuale non sia<br />

possibile, la sentenza stabilirà i dati, le caratteristiche ed i requisiti necessari<br />

per poter esigere il pagamento ovvero, in tal caso, intraprendere l’esecuzione<br />

ovvero intervenire in essa, qualora venga instaurata dall’associazione<br />

ricorrente. Ciò significa che il Giudice dovrà stabilire le caratteristiche ed il<br />

profilo del soggetto leso, subordinando tuttavia la soddisfazione dell’interesse<br />

di quest’ultimo all’esercizio dell’azione ejecutiva (salva l’ipotesi dell’adempimento<br />

spontaneo della parte condannata); circostanza che farà sì che<br />

per ottenere somme di denaro molto esigue gli utenti non abbiano nella<br />

pratica interesse a far valere il loro diritto. In questo senso, risulta illuminante<br />

la sentenza della Audiencia Provincial de Madrid (Sezione 11 a ), del 30<br />

gennaio 2007, con la quale la società di telefonia mobile Vodafone è stata<br />

condannata a risarcire tutti i suoi clienti per un’interruzione del servizio di<br />

8 ore avvenuta in data 20 febbraio 2003.<br />

5.2. – Altri profili<br />

Come abbiamo detto, il singolo soggetto può intervenire nel processo,<br />

salvo che non sia decorso il termine stabilito per l’intervento: in tal caso, la<br />

sua posizione risulta uguale a quella del soggetto prinicipale. Il soggetto intervenuto,<br />

data la sua condizione di parte nel processo a tutti gli effetti, può<br />

dunque difendere le pretese fatte valere dal suo litisconsorte o le sue proprie,<br />

sempre che al momento dell’intervento non gli fossero precluse tali facoltà<br />

processuali, e ciò anche quando il suo litisconsorte rinuncia, desista o<br />

abbandoni il processo per qualunque ragione (art. 13 LECiv).<br />

Inoltre, essendo parte del processo, il soggetto intervenuto, i suoi eredi<br />

e aventi causa, subiranno al pari del proponente gli effetti della cosa giudicata.<br />

Di fatto, gli effetti della cosa giudicata ricadranno altresì su quei soggetti<br />

che, benchè non parti in causa, siano titolari di diritti uguali a quelli sui<br />

quali si fonda la legittimazione delle parti, conformememte a quanto previsto<br />

dall’11 della Ley de Enjuiciamiento Civil (art. 222.3 LECiv).<br />

Infine, il soggetto individuale interveniente, vantando a tutti gli effetti la<br />

posizione di parte del processo, potrà promuovere le impugnazioni contro<br />

le decisioni che ritenga pregiudizievoli del proprio interesse, anche se accettate<br />

dal suo litisconsorte (art. 13.3 in fine LECiv).


54 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

6. – L’intervento degli avvocati e la determinazione degli onorari professionali<br />

L’importo degli onorari non è soggetto in Spagna a controllo, cosicchè la<br />

sua determinazione è rimessa alla libera volontà delle parti contraenti (avvocato-cliente).<br />

Se non vi è un mandato di conferimento dell’incarico, esiste<br />

un procedimento di impugnazione degli onorari (art. 35 LECiv), attuabile<br />

quando essi risultino eccessivi alla luce di un parere precettivo rilasciato<br />

dall’Ordine professionale.<br />

Ciononostante, la determinazione degli stessi è soggetta a regole specifiche<br />

quando una delle parti è condannata alle spese ed è tenuta a corrispondere<br />

i diritti e gli onorari all’avvocato ed al procuratore della controparte<br />

(art. 394.3 LECiv), e ciò parimenti avviene quando il soggetto gode del<br />

beneficio del gratuito patrocinio, per cui gli onorari ed i diritti vengono posti<br />

a carico dello Stato e con regole specifiche nel caso di condanna alle spese<br />

(art. 36 LAJG).<br />

7. – Azioni collettive dichiarative e di condanna<br />

Nei procedimenti collettivi vige la regola generale secondo la quale<br />

quando si richiede in giudizio il pagamento di una quantità di denaro o la<br />

consegna di beni, utilità o prodotti appartenenti ad una determinata classe,<br />

non potrà semplicemente proporsi una domanda volta ad ottenere una sentenza<br />

dichiarativa del diritto a percepire il bene, se non congiuntamente alla<br />

proposizione di una domanda di condanna al pagamento, quantificando<br />

esattamente l’importo preteso (senza che possa richiedersi la sua determinazione<br />

nel corso della fase di esecuzione della sentenza) ovvero fissando<br />

chiaramente i criteri sulla base dei quali procedere alla liquidazione, così<br />

che essa consista in una mera operazione aritmetica (art. 219 LECiv). Tutto<br />

ciò senza pregiudizio della possibilità prevista dalla legge secondo cui, nelle<br />

sentenze rese nei procedimenti promossi da associazioni di consumatori<br />

o utenti nei quali si sia richiesta una condanna pecuniaria, ovvero di fare,<br />

non fare o dare una cosa specifica o generica, il Giudice determini individualmente<br />

i consumatori e gli utenti che, conformemente a quanto disposto<br />

dalle leggi a loro tutela, debbano intendersi beneficiari della pronuncia<br />

di condanna. Quando la determinazione individuale non sia possibile, la<br />

sentenza stabilità i dati, le caratteristiche ed i requisiti necessari per poter<br />

esigere il pagamento e, in quel caso, intraprendere l’esecuzione o intervenire<br />

in essa, qualora instaurata dall’associazione ricorrente (art. 221 LECiv);<br />

di modo che i soggetti lesi possano autonomamente esercitare l’azione esecutiva<br />

fondata sulla sentenza di condanna (art. 519 LEC).


DIBATTITI 55<br />

Se quanto ora detto costituisce la regola generale, ciò non osta a che, in<br />

alcuni casi, possano essere instaurate azioni meramente dichiarative, quali<br />

quelle conclusive di procedimenti promossi per ottenere l’annullamento<br />

dei contratti conclusi alla luce della Legge n. 43 del 13 dicembre 2007 de protección<br />

de los consumidores en la contratación de bienes con oferta de restitución<br />

del precio (art. 6).<br />

8. – I limiti al risarcimento del danno prodotto<br />

In Spagna non esistono danni punitivi. Il risarcimento del danno si determina<br />

dunque sulla base del pregiudizio effettivamente subito (responsabilità<br />

extracontrattuale e/o responsabilità contrattuale, artt. 1.902 e 1.101<br />

con riferimento all’art. 1.106 del Código Civil), ovvero più dettagliatamente<br />

nella configurazione del danno morale.<br />

9. – Cumulo di azioni: diversità di procedimento e soggetti ed identità dell’oggetto<br />

In questi casi, si procederà al cumulo di procedimenti, alla luce della regola<br />

speciale secondo la quale sono suscettibili di cumulo i processi incardinati<br />

per la tutela dei diritti e degli interessi collettivi e diffusi che le Leggi<br />

riconoscono a favore di consumatori ed utenti; ciò avviene quando non sia<br />

stato possibile evitare la differenziazione dei processi mediante il cumulo di<br />

azioni ovvero attraverso gli interventi previsti dall’art. 15 LECiv (art. 76 con<br />

riferimento all’art. 72.2 LECiv).<br />

10. – Azione collettiva e normativa ancora non in vigore: un caso importante<br />

nella storia giuridica spagnola<br />

Prima ancora della previsione delle azioni collettive nella Ley de Enjuiciamiento<br />

civil del 2000, è stata riconosciuta almeno in un caso in Spagna la<br />

possibilità di esercitare l’azione collettiva.<br />

Con riferimento alla singolarità del caso ed alla sua importanza, il Tribunal<br />

Supremo spagnolo, nella sua sentenza del 26 settembre 1997, decretò che<br />

la OCU (Organización de Consumidores y Usuarios), nel processo noto come il<br />

caso della “colza”, esercitasse azioni collettive a vantaggio di soggetti lesi, pur<br />

non rappresentandoli. La OCU, un’associazione di consumatori e utenti, intervenne<br />

nel processo penale in rappresentanza di un elevato numero di soggetti<br />

danneggiati. La Sala Segunda del Tribunal Supremo, accogliendo il ricorso<br />

formulato dalla citata associazione, riconobbe il diritto al risarcimento del


56 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

danno ai soggetti lesi identificati in quel processo, anche se non direttamente<br />

rappresentati nel processo stesso. Il Supremo Tribunale spagnolo, dunque,<br />

spinto dalla particolarità e gravità del caso, riconobbe l’indennizzo ai soggetti<br />

lesi la cui identità risultava ricavabile dagli atti, benchè costoro non avessero<br />

attribuito alla OCU il potere di esercitare l’azione risarcitoria in loro nome e<br />

per loro conto (e dunque, formalmente la OCU non li rappresentasse) e che<br />

neppure erano intervenuti a titolo individuale nel processo penale sollecitando<br />

un indennizzo. In questo modo, e senza alcun supporto legaslativo, si<br />

comprese che la OCU esercitava nel processo penale un’azione collettiva a favore<br />

di tutti i consumatori pregiudicati dai fatti di causa.<br />

Come aneddoto, occorre citare la sentenza del Tribunal Constitucional<br />

n. 214, dell’11 novembre 1991, relativa alla tutela dell’onore di Violeta Friedman<br />

e del popolo ebraico (interesse diffuso), a protezione sia dell’attrice<br />

(Violeta Friedman), sia della popolazione ebraica. La signora Violeta Friedmann<br />

propose infatti dinanzi al Tribunale Costituzionale un ricorso a tutela<br />

del proprio diritto all’onore “y el honor de todo el pueblo judío” a fronte<br />

delle dichiarazioni ingiuriose ed offensive del Dr. Negrelle (un ex membro<br />

del partito nazista tedesco ed ex ufficiale delle S.S.), apparse su di una rivista<br />

spagnola. Il Tribunale Costituzionale accolse il ricorso e lo ritenne fondato,<br />

offrendo tutela tanto all’onore della signora Friedman, quanto a quello<br />

di “tutto il popolo ebraico”: esiste forse interesse più diffuso di quello all’<br />

“honor de todo el pueblo judío”<br />

11. – Azione collettiva e transazione. Il regime giuridico spagnolo dell’azione<br />

collettiva è favorevole alla transazione<br />

Può pertanto dirsi che l’ordinamento giuridico spagnolo si sia limitato a<br />

contemplare le particolarità dell’esercizio dell’azione collettiva nel processo<br />

civile. Se è dunque vero che ha riconociuto il diritto all’assistenza giuridica<br />

gratuita a chi è legittimato per questo tipo di azioni, è altrettanto vero<br />

che non ha predisposto in maniera decisiva un sistema che favorisca e incentivi<br />

il ricorso all’azione di classe. Può pertanto dirsi che il sistema resti<br />

neutrale di fronte a tale tipologia di azione, giacchè la legge non prevede nè<br />

un regime disicentivante, nè allo stesso tempo un sistema di incentivi che<br />

favorisca l’esercizio dell’azione stessa.<br />

12. – Altre osservazioni<br />

Tre questioni possono porsi con carattere generale.<br />

La prima questione è rappresentata dal confronto tra l’acción popular e


DIBATTITI 57<br />

l’azione collettiva. In Spagna è discutibile se la presenza di un rimedio, anziché<br />

dell’altro, favorisca o contrasti l’accesso ai tribunali. Ciò con riguardo<br />

alla nascita di operatori giuridici specializzati nell’esercizio delle azioni collettive<br />

e situazioni di oligopolio per quanto riguarda l’acceso ai tribunali.<br />

In secondo luogo, potrà studiarsi la possibilità di costituire un fondo per<br />

il finanziamento delle azioni collettive, a livello nazionale e/o comunitario.<br />

Per lo stabilimento di un sistema agevole di risoluzione dei conflitti di massa<br />

per un numero elevato di consumatori colpiti, sarebbe interessante la<br />

possibilità di obbligare gli Stati a creare, come già esiste in altri Paesi confinanti,<br />

un fondo statale che sostenga le associazioni di consumatori nell’ottenere<br />

la tutela sovraindividuale, senza necessità di rimanere in balia dei<br />

differenti giudici e tribunali i quali, nella pratica, rendono difficile ed ostacolano<br />

l’accesso a questo tipo di procedimenti (che risultano assai efficaci<br />

per i consumatori consentendo la risoluzione di identiche questioni con un<br />

unico processo). In Québec, per esempio, con una riforma dell’anno 2002<br />

della Legge del 1979 sui ricorsi collettivi, è stata creata la figura di un “fondo<br />

de ayuda a las acciones colectivas”, che come entità pubblica ha la finalità di<br />

anticipare le spese del processo, con la sola previsione di un rimborso delle<br />

spese anticipate nel caso di condanna a favore della controparte. Questo<br />

istituto assolve altresì ad una funzione informativa circa la proposizione di<br />

azioni collettive e di verifica dell’eventuale ammissibilità delle stesse. Il<br />

fondo si finanzia con la quota di profitto illecito residuante a seguito del risarcimento<br />

dei danni concretamente patiti dal ricorrente, quota che non è<br />

stata oggetto di reclamo e che rimane a disposizione del Giudice, senza tenere<br />

in considerazione la soccombenza nell’esercizio di azioni giudiziarie.<br />

Infine, crediamo realmente interessante la possibilità di stabilire nuovi,<br />

moderni e uniformi parametri e criteri all’interno dell’UE per la determinazione<br />

dei danni nel caso concreto di esercizio dell’azione collettiva (in alternativa<br />

ai criteri propri applicabili all’azione individuale di responsabilità).<br />

Di fatto, non soltanto sono differenti le vie giuridiche percorribili<br />

(azione individuale versus azione collettiva), ma anche gli interessi tutelati<br />

risultano distinti (interessi esclusivamente individuali contro interessi collettivi,<br />

anche se suscettibili di individualizzazione – e di non sempre perfetta<br />

ed esatta determinazione).<br />

Amaya Arnaiz Serrano - Manuel Ignacio Feliu Rey


Class actions in Portogallo: alcuni aspetti (*)<br />

1. – L’acção popular ed i suoi soggetti<br />

L’istituto processuale della class action è ammesso all’interno dell’ordinamento<br />

giuridico portoghese ed è denominato acção popular.<br />

Tale istituto è previsto, in relazione alla tutela di diritti fondamentali,<br />

nella Costituzione portoghese, precisamente all’art. 52, comma 3, nel quale<br />

viene attribuito il diritto di azionare un’acção popular “a tutti, personalmente<br />

o attraverso associazioni a difesa degli interessi in causa”. In altre parole,<br />

la Costituzione riconosce ai soggetti di diritto la possibilità di agire sia<br />

personalmente (singolarmente o insieme ad altri), sia attraverso una determinata<br />

associazione.<br />

Lo stesso articolo della carta costituzionale portoghese rimette, però, alla<br />

legge ordinaria l’individuazione dei casi, e delle condizioni necessarie,<br />

per poter agire in tal modo.<br />

Nella legislazione ordinaria che dà attuazione a tale previsione costituzionale,<br />

nello specifico l’art. 2 della Lei n. 83/95, del 31 agosto 1995 (legge regolatrice<br />

dell’acção popular), sono stati identificati i titolari del diritto di<br />

acção popular come segue: “qualunque cittadino nel godimento dei suoi diritti<br />

civili e politici e le associazioni e fondazioni a difesa dei loro interessi”<br />

in causa, così come gli enti pubblici locali (autarquias locais) in relazione<br />

agli interessi di cui siano titolari i residenti della rispettiva area di pertinenza<br />

di ciascun ente pubblico locale.<br />

In sintonia con tale definizione, risulta chiaro ed evidente che il menzionato<br />

diritto viene riconosciuto certamente ai cittadini, attribuendosi poi<br />

la sua titolarità non solo ad associazioni, ma anche a fondazioni ed enti pubblici<br />

locali.<br />

Sempre in sintonia con quanto disposto dalla Costituzione, all’art. 15,<br />

trattandosi di un diritto politico (consacrato nella Costituzione nel capitolo<br />

corrispondente a diritti, libertà e garanzie di partecipazione politica), agli<br />

stranieri e agli apolidi che si trovino in Portogallo o che vi risiedano non viene<br />

riconosciuta la possibilità di attivare un’acção popular, fatta eccezione<br />

per i cittadini di paesi di lingua portoghese e con residenza permanente in<br />

Portogallo, a condizione che analogo trattamento sia riconosciuto e riservato<br />

ai cittadini portoghesi residenti negli Stati di provenienza di tali cittadini<br />

(reciprocità).<br />

(*) Traduzione dall’originale spagnolo di Claudio Ghigi.


DIBATTITI 59<br />

Per quanto concerne la posizione del soggetto contro cui può essere<br />

promossa un’acção popular, bisogna tenere poi presente una distinzione<br />

operata dalla legge – all’art. 12 della citata Lei n. 83/95 – tra due tipi di acção<br />

popular: l’acção popular administrativa e la acção popular civil. L’acção popular<br />

administrativa, che ricade sotto l’ambito della giurisdizione amministrativa,<br />

deve essere rivolta, principalmente, nei confronti di enti pubblici<br />

(cfr. art. 4, comma 1, lett. f), del Estatuto dos Tribunais Administrativos e Fiscais,<br />

approvato dalla Lei n. 13/2002, del 19 febbraio 2002), potendo anche<br />

essere rivolta contro enti privati che rivestano la posizione di soggetti contro-interessati<br />

(ossia le persone o entità titolari di interessi contrapposti a<br />

quelli di chi agisce, art. 10, comma 1, del CPTA) e che abbiano concorso nel<br />

mettere in pericolo o nel pregiudicare l’interesse violato. La acção popular<br />

civil, a sua volta, deve essere rivolta contro enti privati (o comunque contro<br />

soggetti che non siano qualificati come enti pubblici).<br />

2. – L’oggetto della tutela giurisdizionale dell’acção popular<br />

In linea con quanto previsto dall’art. 52, comma 3, della Costituzione, il<br />

diritto di acção popular è concepito, da un parte, per favorire “la prevenzione,<br />

la cessazione o la tutela giudiziale delle violazioni della salute pubblica,<br />

dei diritti dei consumatori, della qualità della vita, della tutela dell’ambiente<br />

e del patrimonio culturale”. Sotto tale profilo, quindi, è concepito come<br />

un mezzo di garanzia dei diritti fondamentali (anche in relazione ad alcuni<br />

doveri fondamentali) quali: il diritto alla tutela della salute (ed il dovere di<br />

difenderla e promuoverla), consacrato nell’art. 64 della Costituzione; i diritti<br />

dei consumatori, consacrati nell’art. 60 della stessa Costituzione; il diritto<br />

ad un’abitazione degna, consacrato nell’art. 65 della Costituzione; il<br />

diritto ad un ambiente di vita umano, sano ed ecologicamente equilibrato<br />

(ed il dovere di difenderlo), consacrato nell’art. 66 della Costituzione; il diritto<br />

alla fruizione dei beni culturali ed alle creazioni culturali (ed il dovere<br />

di preservare, difendere e valorizzare il patrimonio culturale), consacrato<br />

nell’art. 78 della Costituzione.<br />

Ancora, si deve sottolineare che il collegamento effettuato dalla Costituzione<br />

tra il diritto di acção popular e tali interessi, diritti e doveri fondamentali,<br />

non ne esclude altri; infatti, la Costituzione consente l’estensione<br />

di tale garanzia anche a qualunque altro diritto ritenuto meritevole di tutela<br />

da parte del legislatore ordinario.<br />

Così, per esempio, nell’Estatuto dos Tribunais Administrativos e Fiscais<br />

(art. 4, n. 1, lett. l) e nel Código de Processo nos Tribunais Administrativos<br />

(art. 9, comma 2), si ammette che il diritto all’acção popular possa essere ri-


60 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

conosciuto pure in materia di urbanistica e di organizzazione del territorio.<br />

Inoltre, nella logica della Costituzione, il diritto di acção popular è concepito<br />

per dare tutela ai beni dello Stato, delle Regioni autonome e degli enti<br />

pubblici locali (autarquías locais).<br />

3. – La posizione dell’attore nell’acção popular<br />

a) La legittimazione processuale attiva (legitimidad procesal activa) nell’ambito<br />

dell’acção popular non dipende dal fatto che il reclamante abbia un<br />

interesse diretto collegato alla presentazione della sua domanda.<br />

In ogni caso, da una parte, affinchè i cittadini possano ritenersi titolari<br />

ed esercitare il diritto di acção popular, è necessario che si trovino nel godimento<br />

dei loro diritti civili e politici (cfr. art. 2, comma 1, della citata Lei n.<br />

83/95; art. 26, a) del Código de Processo Civil).<br />

Dall’altra parte, sono requisiti e condizioni necessari per riconoscere la<br />

legittimazione processuale attiva delle associazioni e delle fondazioni: (i) la<br />

personalità giuridica; (ii) la previsione espressa, tra le attribuzioni dell’organizzazione<br />

o nell’ambito del suo oggetto sociale, della tutela degli interessi<br />

coinvolti nella specifica causa per la quale si decide di azionare un’acção popular;<br />

(iii) il non esercitare un’attività di tipo professionale in concorrenza<br />

con imprese o liberi professionisti (cfr. art. 2 della citata Lei n. 83/95).<br />

Da un altro punto di vista, è necessario poi tenere presente che il diritto<br />

di acção popular include il diritto dell’attore di richiedere per il soggetto leso,<br />

o i soggetti lesi, un adeguato indennizzo (cfr. art. 52, comma 3, della Costituzione),<br />

in particolare quando vi siano da parte del convenuto (nell’ambito<br />

della sua responsabilità civile soggettiva) violazioni dolose o colpose<br />

degli interessi in causa dalle quali derivino conseguentemente dei danni<br />

(cfr. art. 22, comma 1, della citata Lei n. 83/95), così come quando, dalle<br />

azioni o dalle omissioni poste in essere dal convenuto (nell’ambito della<br />

sua responsabilità oggettiva), derivino offese ai diritti o agli interessi in causa,<br />

venendo così a configurarsi un’ipotesi di attività oggettivamente pericolosa<br />

(cfr. art. 23 della citata Lei n. 83/95). In tale contesto, l’attore di<br />

un’acção popular, quando richiede che sia accertata la responsabilità del<br />

convenuto per i danni occasionati dalla sua condotta – ed in particolare<br />

quando lo chieda in relazione alla violazione di diritti riferibili alla sua situazione<br />

personale individuale – può anche beneficiare di un indennizzo,<br />

ricevendo così ristoro patrimoniale a seguito della sua iniziativa giudiziale.<br />

Per quanto riguarda la posizione dell’avvocato dell’attore di un’acção<br />

popular, va evidenziato che questi riceve il pagamento degli onorari per l’at-


DIBATTITI 61<br />

tività professionale prestata nel corso del processo, dovendo però essere il<br />

Giudice a determinarne l’ammontare, in ragione della complessità e del valore<br />

della causa (cfr. art. 21 de la citata Lei n. 83/95).<br />

b) In relazione al tema delle spese processuali, si sottolinea che l’attore<br />

di un’acção popular è esentato dal pagamento delle stesse, che sono: taxa de<br />

justiça, encargos processuais y custas de parte (cfr. art. 4, comma 1, lett. b) del<br />

Regulamento de Custas Processuais, approvato tramite il Decreto-Lei n.<br />

34/2008, del 26 febbraio 2008).<br />

Pertanto, per l’esercizio del diritto di acção popular non è possibile richiedere<br />

anticipatamente all’attore il pagamento di qualunque spesa giudiziale,<br />

incluse quelle di pubblicità della sua iniziativa e quelle attinenti alle<br />

produzioni necessarie in relazione alla fase istruttoria del giudizio. Tali spese<br />

sono infatti anticipate dall’Instituto de Gestão Financeira e das Infra-<br />

Estruturas da Justiça, con possibilità di rimborso (cfr. art. 19 del citato Regulamento<br />

de Custas Processuais).<br />

Tuttavia, l’attore di un’acção popular, all’esito del processo, è ritenuto<br />

responsabile del pagamento della custas processuais, secondo le regole generali,<br />

allorquando il processo si concluda per manifesta improcedibilità<br />

della sua richiesta, così come per tutti gli oneri che siano stati sostenuti nel<br />

corso del processo, allorquando la sua pretesa sia stata totalmente disattesa<br />

e respinta (cfr. art. 4, commi 5 e 6, del citato Regulamento de Custas Processuais).<br />

Nel caso in cui ci siano più attori, tale eventuale responsabilità sarà<br />

solidale, secondo le regole generali.<br />

Ancora, va considerato che le pronunce giudiziali devono essere pubblicate<br />

(in due periodici che si ritiene, presumibilmente, siano letti dai soggetti<br />

interessati dalla relativa acção popular) a carico della parte che sia risultata<br />

soccombente (cfr. art. 19, comma 2, della citata Lei n. 83/95).<br />

4. – La posizione degli altri soggetti interessati da un’acção popular<br />

a) Nei processi in cui sia azionata un’acção popular, l’attore rappresenta<br />

per sua iniziativa personale, senza alcun mandato o autorizzazione espressa,<br />

tutti coloro i quali, titolari di diritti o interessi in causa – dopo aver ricevuto ufficialmente<br />

notizia della pendenza dell’azione (attraverso un annuncio pubblicato<br />

su qualunque mezzo di comunicazione sociale o attraverso un pubblico<br />

avviso) – dichiarino nel processo che accettano tale rappresentanza o che,<br />

rimanendo passivi, non dichiarino alcun proposito nel termine assegnato loro<br />

dal giudice a tale scopo (cfr. artt. 14 e 15, commi 1–3 della citata Lei n. 83/95).<br />

Costoro, dopo aver effettuato tale accettazione (espressa o tacita), intervengono<br />

nel processo come parti dello stesso nello stato in cui si viene a trovare il


62 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

processo al momento della loro accettazione (cfr. art. 15, comma 1, della citata<br />

Lei n. 83/95). Tuttavia, il loro intervento nel processo si realizza attraverso<br />

la rappresentanza processuale del primo attore (e beneficiando del patrocinio<br />

dell’avvocato nominato dal primo attore). Pertanto, il primo attore dell’acção<br />

popular inizia a partecipare al processo sia per sé, che nel nome e nell’interesse<br />

dei soggetti da lui rappresentati, i quali possono interagire nel processo solo<br />

attraverso il loro rappresentante. Ciononostante, i soggetti così rappresentati<br />

dal primo attore, nel caso in cui non ritengano adeguato il modo di agire<br />

del loro rappresentante, colpevole di non seguire le loro istruzioni o comunque<br />

di pregiudicare i loro interessi, possono anche “ricusarlo”, fintanto che<br />

non sia terminata la fase istruttoria del processo (produzione di documenti o<br />

altre attività istruttorie) – cfr. art. 15, comma 4, della citata Lei n. 83/95.<br />

b) In considerazione di quanto sopra esposto, risulta quindi evidente<br />

che i soggetti rappresentati dal primo attore di un’acção popular non possono<br />

influire direttamente sull’oggetto della causa, non potendo in alcun modo<br />

allegare fatti nuovi, nè formulare richieste distinte da quelle presentate<br />

all’inizio della causa dal primo attore. Allo stesso modo, i soggetti rappresentati<br />

dal primo attore non possono nemmeno replicare, direttamente, alle<br />

eccezioni sollevate dal convenuto.<br />

c) Nella legge – nello specifico all’art. 16, comma 3, della citata Lei n.<br />

83/95 – è previsto che il Pubblico Ministero possa sostituirsi all’attore in caso<br />

di sua rinuncia, così come in caso di transazione o di comportamenti lesivi<br />

degli interessi coinvolti nella causa e, in tali casi, il Pubblico Ministero<br />

assume la posizione di rappresentante processuale.<br />

Tuttavia, i poteri di rappresentanza processuale attribuiti dalla legge ai<br />

primi attori di un’acção popular includono semplicemente i poteri generali<br />

di rappresentanza, non quelli speciali, quali quelli di rinunciare o transigere<br />

l’azione.<br />

Al riguardo, si rileva che tali poteri speciali non si presumono. Se il legislatore<br />

avesse invece voluto attribuirli ai primi attori, avrebbe infatti dovuto<br />

inserire un’apposita ed espressa previsione normativa, cosa che non ha ritenuto<br />

opportuno fare. Per tale motivo, la rinuncia o la transazione non<br />

possono produrre alcun effetto per i soggetti rappresentati dal primo attore.<br />

Se il Pubblico Ministero non esercita il potere di sostituzione, in caso di<br />

rinuncia o di transazione del primo attore, i soggetti rappresentati possono<br />

attivarsi per fare continuare il processo o, se non precluso, iniziare una nuova<br />

acção popular con lo stesso oggetto.<br />

d) Le sentenze definitive, passate in giudicato, pronunciate all’esito di<br />

processi instaurati tramite la proposizione di acções populares civis o administrativas,<br />

hanno effetto erga omnes, salvo che per quei soggetti, titolari di


DIBATTITI 63<br />

diritti o interessi coinvolti nella causa, che abbiano esercitato l’opzione di<br />

autoesclusione sopra descritta.<br />

Pertanto, coloro i quali, invece, abbiano accettato di essere rappresentati<br />

nel processo dal primo attore, vengono automaticamente assoggettati al<br />

rispetto di tali sentenze (definitive).<br />

La legge – nello specifico all’art. 19, comma 1, della citata Lei n. 83/95 –<br />

prevede, tuttavia, che tali sentenze non abbiano effetto erga omnes in determinate<br />

ipotesi: (i) quando una acção popular sia considerata improcedibile<br />

per mancanza di prove sufficienti o (ii) quando il Giudice “debba decidere<br />

in un determinato modo per effetto di circostanze specifiche del singolo caso<br />

concreto”. In tali situazioni, infatti, le sentenze hanno effetto solo per i<br />

primi attori ed i convenuti. Non hanno invece effetto per coloro i quali siano<br />

rappresentati nel processo dai primi attori, ciò per non impedire loro di<br />

iniziare una nuova acção popular, così da consentire di presentare prove più<br />

consistenti e di non vedersi comunque “pregiudicati” da circostanze riguardanti<br />

lo specifico caso che possono risultare loro totalmente estranee.<br />

e) Nei casi in cui una sentenza pronunciata in un processo iniziato a seguito<br />

dell’esercizio di un’acção popular sia efficace anche per coloro i quali<br />

siano rappresentati dal primo attore, costoro possono impugnare la sentenza,<br />

qualora siano effettivamente e direttamente pregiudicati da essa o risultino<br />

soccombenti nella decisione. E così è, infatti, in relazione all’acção popular<br />

civil, in base ad una disposizione generale del Código de Processo Civil<br />

– art. 680, comma 2 – secondo cui “le persone direttamente ed effettivamente<br />

pregiudicate da una decisione giudiziale possono impugnarla anche<br />

se non siano state parti del processo in cui sia stata dettata tale pronuncia o<br />

qualora non rivestano la posizione di attore principale”. A sua volta, per<br />

quanto concerne l’acção popular administrativa, bisogna considerare una<br />

norma generale del Código de Processo nos Tribunais Administrativos – art.<br />

141, comma 1 – secondo cui “chi sia soccombente in tale processo può impugnare<br />

una sentenza emessa da un tribunal administrativo”.<br />

A tale proposito, si può anche aggiungere che, una volta emessa la sentenza<br />

nel corso di un processo iniziato per esercizio di un’acção popular, la<br />

posizione di rappresentanza processuale sopra descritta viene meno, potendo<br />

così i soggetti prima rappresentati, direttamente esercitare il potere di<br />

impugnazione della sentenza.<br />

f) Coloro i quali sono rappresentati dal primo attore, nel processo conseguente<br />

all’esercizio di un’acção popular, beneficiano poi del patrocinio<br />

dell’avvocato nominato dal primo attore, come già sopra evidenziato. Pertanto,<br />

non hanno un avvocato proprio che li rappresenti in causa. La legge –<br />

art. 21 della citata Lei n. 83/95 – prevede sì il pagamento degli onorari spet-


64 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

tanti all’avvocato nominato dal primo attore, ma non, di per sé, la liquidazione<br />

di spese legali per il patrocinio di chi sia stato semplicemente “rappresentato”.<br />

5. – Il contenuto decisorio delle sentenze emesse a seguito di un’acção popular<br />

ed il suo limite<br />

a) In termini generali, ed in sintonia con quanto già precedentemente<br />

esposto, le acções populares sono volte a promuovere la prevenzione, cessazione<br />

e tutela giudiziale o riparazione di situazioni pregiudicate dalla violazione<br />

di valori e beni tutelati dalla Costituzione. Pertanto, non è detto che<br />

tali azioni debbano necessariamente avere natura di azioni di condanna.<br />

Da tale punto di vista, le acções populares civis, in sintonia con la loro finalità,<br />

possono essere: (i) declarativas de simples apreciación, ossia volte ad<br />

ottenere solo ed esclusivamente la dichiarazione dell’esistenza o dell’inesistenza<br />

di un diritto o di un fatto; (ii) declarativas de condenación, ossia volte<br />

ad ottenere dal convenuto la prestazione di una determinata cosa o di un<br />

determinato comportamento, come conseguenza della violazione di uno<br />

specifico diritto; (iii) declarativas constitutivas, ossia volte ad ottenere una<br />

modificazione di una determinata situazione all’interno dell’ordinamento<br />

giuridico esistente; (iv) executivas, ossia volte ad ottenere una riparazione<br />

adeguata in considerazione della violazione di un determinato diritto (cfr.<br />

art. 4, comma 2, del Código de Processo Civil).<br />

Invece, per quanto concerne le acções populares administrativas, queste<br />

ultime possono essere rivolte ad ottenere: (i) il riconoscimento di situazioni<br />

giuridiche soggettive direttamente derivanti da norme giuridiche amministrative<br />

o da atti giuridici posti in essere nell’ambito di disposizioni di diritto<br />

amministrativo; (ii) il riconoscimento della titolarità di qualità o del verificarsi<br />

di determinate condizioni; (iii) il riconoscimento del diritto ad astenersi<br />

da comportamenti e, nello specifico, ad astenersi dal compimento di<br />

atti amministrativi, quando vi sia la minaccia di una futura lesione; (iv) la<br />

pronuncia di annullamento o di nullità o di inesistenza di atti amministrativi;<br />

(v) la condanna del convenuto al pagamento di un importo alla consegna<br />

di cose o alla prestazione di determinati comportamenti; (vi) la condanna<br />

del convenuto alla reintegrazione in natura dei danni ed al pagamento di un<br />

indennizzo; (vii) la risoluzione di liti relative ad interpretazione, validità o<br />

esecuzione di contratti pubblici; (viii) la dichiarazione di illegalità di norme<br />

prodotte nell’ambito del diritto amministrativo; (ix) la condanna del convenuto<br />

a porre in essere atti amministrativi imposti dalla legge; (x) la condanna<br />

del convenuto al compimento di atti e di operazioni necessarie a ristabi-


DIBATTITI 65<br />

lire determinate situazioni giuridiche (cfr. art. 2, comma 2, del Código de<br />

Processo nos Tribunais Administrativos).<br />

Ancora, nell’ambito delle acções populares (civis e administrativas) vi<br />

sono anche ipotesi di providencias cautelares, anticipatorias o conservatorias<br />

(ossia di procedimenti instaurati per ottenere una tutela cautelare ed urgente).<br />

Infine, le acções populares possono essere utilizzate per far dichiarare la<br />

sussistenza della violazione di valori e beni costituzionalmente protetti, lasciando<br />

così agli interessati la facoltà di agire, anche posteriormente ed in<br />

modo autonomo, per ottenere l’indennizzo delle perdite e dei danni eventualmente<br />

subiti.<br />

b) Si segnala che, nelle acções populares in cui si discute di responsabilità<br />

civile soggettiva per “violazioni di interessi non individualmente identificati”,<br />

l’indennizzo dovuto dal convenuto è fissato dal giudice (cfr. art. 22,<br />

comma 2, della citata Lei n. 83/95) senza alcun vincolo a quanto richiesto<br />

dall’attore ed indipendentemente da eventuali accordi che l’attore concluda<br />

con il convenuto.<br />

Tale indennizzo può essere fissato in un importo superiore a quanto richiesto<br />

dall’attore o a quanto concordato tra attore e convenuto. Ciò, in<br />

quanto gli importi di indennizzo devono essere qualificati come fondi pubblici<br />

indisponibili, non già come fondi disponibili per i privati. Si preclude<br />

così ai privati la possibilità di porre in essere accordi che possano pregiudicare<br />

l’interesse pubblico.<br />

Una soluzione diversa si segue nel caso in cui l’attore richieda la condanna<br />

del convenuto all’indennizzo “per la violazione di interessi individualmente<br />

identificati” che siano propri dell’attore medesimo. In tal caso,<br />

infatti, la sentenza non può condannare il convenuto al pagamento di un<br />

importo superiore a quanto richiesto dall’attore (cfr. art. 661, comma 1, del<br />

Código de Processo Civil).<br />

6. – Il problema derivante dalla coesistenza di diversi processi a seguito dell’esercizio<br />

di acção popular<br />

Quando siano separatamente iniziate diverse acções populares che possono<br />

essere riunite in un unico processo (perchè riguardano lo stesso convenuto<br />

ed hanno medesima causa petendi e petitum), può esserne ordinata<br />

dal giudice la riunione, anche se i diversi processi siano pendenti davanti a<br />

giudici diversi, salvo che non sia conveniente la riunione per lo stato del<br />

processo o per altre ragioni. Tra i diversi processi la riunione opera a favore<br />

di quello che sia stato promosso per primo.


66 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

L’istanza di riunione può quindi essere presentata davanti al giudice<br />

presso il quale pende il primo processo. Inoltre, quando vi siano diversi processi<br />

pendenti davanti allo stesso giudice, la riunione può essere disposta<br />

anche d’ufficio sentite le altre parti (cfr. art. 28 del Código de Processo nos<br />

Tribunais Administrativos approvato con la Lei n. 15/2002, del 22 febbraio<br />

2002; art. 275 del Código de Processo Civil).<br />

In relazione alla riunione dei processi, si evidenzia l’esigenza di dare<br />

l’opportunità a ciascun attore di acções populares di dichiarare se intende accettare<br />

o meno di essere rappresentato dall’attore dell’acção popular promossa<br />

per prima, dovendosi comunque ammettere il diritto di autoesclusione<br />

da tale rappresentanza da parte di ciascun attore. In quest’ultimo caso,<br />

le acções populares che siano già state intentate devono essere quindi<br />

proseguite autonomamente da ciascun attore.<br />

Una situazione diversa si verifica nei cd. processos em massa, ossia<br />

quando siano promosse davanti ad uno stesso giudice (Tribunal administrativo)<br />

più di venti acções populares administrativas che siano suscettibili di essere<br />

decise in base all’applicazione delle stesse norme, trattandosi di situazioni<br />

di fatto identiche. In tale contesto, il Presidente del Tribunale può stabilire,<br />

sentite le parti, che sia dato corso ad uno solo dei processi instaurati<br />

con le diverse acções populares administrativas, sospendendo gli altri.<br />

Quando, poi, nel processo che è proseguito viene pronunciata una sentenza<br />

definitiva, nel caso in cui la stessa debba ritenersi valida ed efficace<br />

anche per i processi sospesi, le parti di tali processi ricevono la notifica di tale<br />

sentenza e, ciascun attore può: (i) desistere dal processo da lui iniziato;<br />

(ii) chiedere al Tribunale di estendere al suo caso gli effetti della sentenza<br />

pronunciata nell’altro processo; (iii) chiedere di continuare il processo da<br />

lui promosso; (iv) impugnare la sentenza pronunciata nell’altro processo<br />

(cfr. art. 48, comma 1 e 5, del Código de Processo nos Tribunais Administrativos).<br />

7. – Altre questioni<br />

a) Una questione interessante è quella di stabilire se possa essere proposta<br />

un’acção popular fondata su fatti occorsi prima dell’entrata in vigore<br />

della disciplina regolatrice della rispettiva acção popular.<br />

A tale proposito, considerato che l’istituto qui esaminato è un mezzo di<br />

garanzia di diritti fondamentali e di salvaguardia di valori e beni costituzionalmente<br />

garantiti, se ne deve ammettere l’utilizzo per reagire contro eventuali<br />

illeciti non continuati (ed anche contro illeciti continuati, come è ovvio)<br />

commessi (o il cui compimento sia iniziato) prima dell’entrata in vigo-


DIBATTITI 67<br />

re delle norme di disciplina della relativa azione, a condizione che il diritto<br />

di agire non sia prescritto o che il fatto illecito non sia stato validamente<br />

consentito dal danneggiato, il tutto secondo le regole generali.<br />

b) Un’altra questione, tra le molte altre che si possono discutere, è quella<br />

inerente la posizione dell’acção popular in relazione all’istituto della transazione.<br />

In merito, va evidenziato che il regime applicabile all’acção popular ammette<br />

– salvo che in alcuni casi – la possibilità di porre fine ai rispettivi processi<br />

attraverso una transazione, senza però che la disciplina in esame la incentivi.<br />

Non è comunque ammissibile una transazione quando questa implichi<br />

diritti o interessi indisponibili (cfr. art. 299, comma 1, del Código de Processo<br />

Civil).<br />

Si deve anche tenere presente che nel corso di un processo, il Pubblico<br />

Ministero, fino alla pronuncia della sentenza, nel caso in cui venga in considerazione<br />

una transazione (così come negli altri casi in cui l’attore desista<br />

dal proseguire l’azione o commetta comportamenti lesivi per gli interessi in<br />

causa), ha il potere di sostituirsi all’attore e di dare corso al processo, come<br />

già evidenziato nei precedenti paragrafi (cfr. art. 16, comma 3, della citata<br />

Lei n. 83/95; art. 62 del Código de Processo nos Tribunais Administrativos; v.<br />

anche sopra in relazione a quanto esposto in tema di posizione dei soggetti<br />

rappresentati dal primo attore in caso di sua rinuncia all’azione o di transazione).<br />

8. – Note finali<br />

La class action deve essere quindi considerata – secondo quanto confermato<br />

dall’esperienza portoghese – un importante mezzo di salvaguardia dei<br />

valori e dei beni che meritano una tutela speciale all’interno dell’ordinamento<br />

giuridico e una garanzia di diritti, interessi e doveri fondamentali.<br />

Ancora, la sua importanza è sottolineata dal fatto che costituisce uno<br />

strumento giuridico-processuale al servizio dei cittadini e a garanzia della<br />

responsabilità sociale – responsabilità di una società civile che deve sempre<br />

più essere attenta agli interessi collettivi a tutela del bene comune.<br />

Inoltre, tale figura, oggi, non deve essere considerata semplicemente in<br />

relazione al singolo ambito nazionale: è infatti necessario considerarla nell’ambito<br />

dei fenomeni di globalizzazione e di regionalización internacional.<br />

In particolare, nell’ottica della europeización de la class action è fondamentale<br />

l’iniziativa recentemente adottata dalla Commissione europea finalizzata<br />

ad aprire un dibattito che coinvolga tutta la Comunità, anche in


68 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

considerazione di una possibile definizione, all’interno dell’ordinamento<br />

comunitario, di tale mezzo di garanzia, rivolto espressamente alla tutela dei<br />

diritti e degli interessi dei consumatori europei e alle vicende ambientali e a<br />

quelle relative ai mercati finanziari.<br />

Nell’ambito di tale discussione pubblica è compito degli studi accademici<br />

e giuridici europei sviluppare, a partire dalle singole esperienze nazionali,<br />

le migliori soluzioni da adottare. E ciò è quello che, con la presente iniziativa<br />

editoriale, si cerca di realizzare. Anche per iniziative di questo tipo si<br />

afferma la cittadinanza europea.<br />

Afonso D’Oliveira Martins


Dutch Treat: the Dutch Collective Settlement<br />

of Mass Damage Act (WCAM 2005)<br />

1. – Introduction<br />

In the ambit of adding to the discussion on the design of a possible class<br />

action procedure for Europe, this contribution shall lay out certain main aspects<br />

of the Dutch Collective Settlement of Mass Damage Act (Wet Collectieve<br />

Afwikkeling Massaschade [WCAM]) of 2005 ( 1 ). The act originated out<br />

of the deadlock in negotiations on a compensation scheme resulting from a<br />

mass of cases of cervical and breast cancer caused by DES, and is regarded as<br />

operating on the crossroads of tort law, substantive contract law, and civil procedure<br />

( 2 ). In terms of design, it is a composite of a voluntary settlement contract<br />

sealed with a ‘judicial trust mark’ attached to the contract. Thus, the<br />

foundation of the WCAM is a contract between the alleged tortfeasor and an<br />

organisation representing the interests of the injured individuals ( 3 ).<br />

As it is a very special design, we outline the procedure briefly before<br />

going into the specific questions. Basically, this is how the WCAM works:<br />

- First, an amicable settlement agreement concerning payment of compensation<br />

is concluded between the allegedly liable party or parties on the<br />

one hand, and a foundation or association acting in the aligned common interest<br />

of individuals involved (and injured) on the other;<br />

- The parties to the agreement then jointly petition the Amsterdam<br />

Court of Appeals to declare the settlement binding on all persons to whom<br />

damage was caused ( 4 ); these interested persons are not summoned in this<br />

procedure but are notified by post or by newspaper announcement ( 5 );<br />

( 1 ) Cf. Arts. 7:907 – 910 Civil Code (CC) and for some specific procedural law aspects Title<br />

14 of Book 3 Code of Civil Procedure (CCP).<br />

( 2 ) Van Boom, Collective Settlement of Mass Claims in The Netherlands, in Auf dem Weg zu<br />

einer europäischen Sammelklage,ed. M. Casper, et al., Muenchen, 2009, 171-192, p. 178.<br />

( 3 ) Apart from these two parties, in practice there is a third party to the contract: the administrator.<br />

This is usually a foundation that was incorporated especially for the purpose of<br />

distributing the settlement sum or fund, and that will execute the settlement and act as trustee<br />

of the settlement fund. It is the ‘legal entity’ referred to in Art. 7:907 (3) (h) CC, and it therefore<br />

needs to be party to the settlement for the Amsterdam Court to declare the settlement<br />

binding upon the injured individuals.<br />

( 4 ) See Art. 1013 (3) CCP for the exclusive competence of the Amsterdam Court in<br />

WCAM cases.<br />

( 5 ) In normal petition procedures, the interested parties are given notice by registered let-


70 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

- The Amsterdam Court hears the arguments of all interested parties;<br />

- The Court considers several points concerning the substantive and<br />

procedural fairness and efficiency of the settlement (e.g. amount of compensation,<br />

adequate representation of interested parties);<br />

- If the Court rules in favour of the settlement, it declares the settlement<br />

binding upon all persons to whom damage was caused and who are accommodated<br />

by the settlement, leaving non-willing parties with the opportunity<br />

to opt out within a certain period, after which the opt-out option lapses. Generally<br />

speaking, the procedure will end with one of two possible outcomes:<br />

the requested declaration is either denied or granted.<br />

2. – Collective settlement (WCAM procedure) and representative action<br />

a. The parties involved<br />

Under the WCAM, the settlement agreement is concluded between the<br />

allegedly liable party or parties and a foundation or association acting in the<br />

aligned common interest of individuals involved (and injured). It is a requirement<br />

for the representing party to have full legal capacity to act in court,<br />

and its articles have to set out the protection of the victims’ interest as a<br />

main aim ( 6 ). Individuals, groups of victims, or only one contracting party<br />

have no power to initiate the WCAM procedure.<br />

The defendant can be one or several parties that have agreed to pay<br />

compensation (Art. 7:907(1) CC). Note that other foundations or associations<br />

that meet the description in the previous paragraph may file a defence (Art.<br />

1014 CCP) ( 7 ).<br />

The Dutch Consumer Authority is also included among possible representative<br />

bodies (see Art. 2.6. Wet handhaving consumentenbescherming – Law<br />

on Consumer Law Enforcement). If the Authority wanted to initiate this procedure,<br />

it would have to write a request to the Secretary of State, as his consent<br />

is required for this action. The Consumer Authority has the official duty to restrain<br />

itself with regard to this option, as it is designed primarily for private<br />

associations ( 8 ). To date, there has been no case, nor has one been planned.<br />

ter (Art. 272 CCP). However, this was considered too burdensome a requirement in WCAM<br />

petitions.<br />

( 6 ) Stuyck et al., Netherlands National Report, 2006, p. 9.<br />

( 7 ) M. B. M. Loos, Evaluation of the effectiveness and efficiency of collective redress mechanisms<br />

in the European Union – country report Netherlands, 2008, p. 3.<br />

( 8 )M. J. pro facto (Schol, J. Nagtegaal, and H. B. Winter), Evaluatie Wet handhaving


DIBATTITI 71<br />

b. What rights can be enforced through collective action<br />

Basically, the WCAM entails having a voluntary settlement contract on<br />

mass damage compensation declared binding by the court. However, the<br />

WCAM is not the only instrument available for collective redress. In addition<br />

to the WCAM, there is a general rule on representative action in the<br />

Dutch Civil Code (Arts. 3:305a-c), which authorises representative organisations<br />

to initiate a collective representative action in the civil courts. There<br />

are no special procedural requirements that such organisations need to<br />

meet other than the general requirement that they should aim at representing<br />

a specified group of persons or specific and commonly shared interests<br />

pursuant to their articles of incorporation.<br />

In the representative action procedure, the foundation or association<br />

may:<br />

– seek a declaratory judgment to the benefit of interested parties that are<br />

alleging the defendant has acted wrongfully against these parties, and<br />

is thus legally obliged to do something or to abstain from doing something<br />

towards them;<br />

– seek injunctive relief in the form of either a positive mandatory injunction<br />

or a prohibitory injunction;<br />

– seek performance of a contractual duty of the defendant owed to various<br />

interested parties;<br />

– seek the termination or rescission of a contract between the defendant<br />

and various interested parties ( 9 ).<br />

In fact, the possibility of the representative action had already been acknowledged<br />

in case law in the 1970s. What the representative action did not<br />

– and still does not – allow is monetary relief as a remedy. Recently, the<br />

Dutch Supreme Court made clear that there is no direct possibility to<br />

declare that there is an obligation to pay damages towards all individuals<br />

concerned ( 10 ). The reason is that courts are supposed to assess damages in<br />

tort individually, and therefore the collective ex parte assessment is deemed<br />

impossible. This is exactly why the WCAM was introduced in 2005 – to retain<br />

the restrictions on representative action and at the same time to stimulate<br />

collective out-of-court settlements.<br />

consumentenbescherming Ervaringen met het duale handhavingsstelsel en de handhavingsbevoegdheid<br />

inzake massaschade, 2010, p. 28, referring to Memorie van Toelichting Whc, Kamerstukken<br />

II 2005/06, 30 411, nr. 3, p. 38-39.<br />

( 9 ) Frenk, Kollektieve akties in het privaatrecht (diss. Utrecht), Deventer 1994, 355.<br />

( 10 )Cf. M. B. M. Loos and W.H. Van Boom, Handhaving van het consumentenrecht –<br />

Preadviezen Nederlandse Vereniging voor Burgerlijk Recht 2009, Deventer, 2010, p. 156.


72 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

This does not mean that representative action as laid down in Art.<br />

3:305a-c CC has become obsolete. Representative action can and actually<br />

does serve as a precursor to collective settlement: the representative action<br />

can be used to decide on points of law common to all individual claims. Although<br />

the outcome of such a declaratory judgement procedure does not officially<br />

constitute a binding precedent for individual claims, in practice the<br />

power of such a judgement is convincing. Thus, the successful use of the<br />

representative action can in fact further negotiations for a mass settlement.<br />

The Amsterdam Court will have to judge the settlement and what benefits<br />

it confers on individual claimants. In doing so, it will assess<br />

whether the settlement is a ‘fair deal’ for all parties concerned, especially<br />

for the victims. For example, the Court will reject the settlement if (inter<br />

alia) ( 11 ):<br />

– the amount of the compensation awarded is not reasonable, having<br />

regard to, inter alia, the extent of the damage, the ease and speed with<br />

which the compensation can be obtained, and the possible causes of<br />

the damage ( 12 );<br />

– the interests of the persons on whose behalf the agreement was concluded<br />

are otherwise not adequately safeguarded;<br />

– the foundation or association does not sufficiently represent the interests<br />

of persons on whose behalf the agreement was concluded.<br />

The method and procedure for calculating damages, the amounts, the<br />

forms, standards, protocols, and so forth, are deliberately not provided for<br />

in the Act ( 13 ). The need for damage scheduling and categorising the injured<br />

individuals obviously depends on the nature of the mass damage event ( 14 ).<br />

Parties can and will agree on some form of abstract damage scheduling that<br />

diverges from the restitutio in integrum ideals of the law of damages ( 15 ). In<br />

practice, individual claimants may receive less compensation than they<br />

would have obtained individually – the settlement may be a trade-off between<br />

a certain sum and the uncertainty of litigating individual claims. In<br />

( 11 ) Art. 7:907 CC.<br />

( 12 ) Note that the Court should also prevent the compensation scheme forwarded by the<br />

settlement from overcompensating the injured individuals; see Art. 7:909 (4) CC.<br />

( 13 ) As said, Art. 7:909 (4) CC indicates that the injured individuals may not be evidently<br />

overcompensated, but undercompensation as such seems possible, especially in light of the<br />

uncertainty that the tortfeasor is actually liable.<br />

( 14 ) Van Boom, pp. 171-92, p. 186.<br />

( 15 ) Van Boom, pp. 171-92, p. 180.


DIBATTITI 73<br />

theory, it may be possible that certain claimants receive more compensation<br />

than they would be entitled to individually, a situation that is inherent to<br />

the nature of a settlement: some may gain, others may lose.<br />

c. Advantages of collective action<br />

Among the advantages of this type of procedure is that there are no direct<br />

costs for individual claimants and the work is undertaken by the representative<br />

organisation ( 16 ). Moreover, there are easy options to opt-out if<br />

victims do not want to be bound by the contract that led to very low procedural<br />

risks. Note that victims who are unknown to the organisation at the<br />

time of settlement can possibly also benefit from the settlement. Furthermore,<br />

once a settlement is reached, the WCAM procedure offers a speedier redress<br />

for multiple parties than individual court claims would ( 17 ).<br />

It has also been said that there is an advantage in terms of bargaining power,<br />

as the tortfeasor will be more willing to reach a collective settlement ( 18 ).<br />

In addition, It is regarded as highly likely that the tortfeasor will correctly<br />

execute the damage settlement ( 19 ). The alleged tortfeasor benefits from the<br />

settlement if and to the extent that individual claimants do not opt out of<br />

the mass settlement; therefore, there is some pressure on the tortfeasor to<br />

propose a settlement that is optimally beneficial to the individual claimants<br />

so that they do not feel the need to opt out and pursue their claims individually.<br />

For this reason, the settlement can be expected to be reached ‘in the<br />

shadow of the law’. The main benefit for the tortfeasor in dealing with all cases<br />

in one go is to achieve efficient closure of the entire episode; therefore,<br />

the tortfeasor will have to weigh the uncertainties in terms of the number of<br />

outstanding and dormant claims, the expected number of claimants opting<br />

out, and thus the expected net costs of the settlement ( 20 ). However, if the<br />

tortfeasor does not expect that individual claims will go to court independently<br />

– for example, because the claims are for individually insignificant<br />

small sums – the chances that a settlement is actually reached voluntarily<br />

may be slim.<br />

As far as attorney remuneration is concerned, the Dutch model is a far<br />

( 16 ) Stuyck, p. 11.<br />

( 17 ) Loos, p. 41. However, procedures at the Dutch ADR body, the Geschillencommissie<br />

(Complaints Board) are generally even faster.<br />

( 18 ) Loos, p. 2.<br />

( 19 ) Stuyck, p. 11.<br />

( 20 )From the number of people opting out, he can calculate the remaining risk of further<br />

claims.


74 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

cry from the USA-type class action. Dutch attorneys do not gain excessively<br />

from the mass settlement; currently, members of the Dutch bar are not<br />

allowed to operate under a contingency fee arrangement, and therefore the<br />

hourly fee model is used.<br />

d. Costs of the procedure<br />

Among the procedural costs are those of notifying interested parties,<br />

the costs of professional support, and the costs of publishing the Court<br />

declaration ( 21 ). The Court decides who bears the procedural costs (Art.<br />

1016(2) CC). This can be any of the contracting parties ( 22 ). While consumer<br />

associations generally bear the costs for the individual consumers, it stands<br />

out that in fact consumer organisations are regularly created ad hoc to negotiate<br />

the settlement, and are then financed by a low membership fee ( 23 ).<br />

As to the costs before the court proceedings, it is up to the parties to<br />

agree upon arrangements concerning these. Details for the execution of the<br />

settlement and the procedure as to awarding damages are set out in the contract<br />

itself (Art. 7:907(2)(e) and (3)(b) and [c]). Generally, the tortfeasor will<br />

be charged with the costs of this phase. All in all, the negotiation phase that<br />

precedes the court procedure will be used to reach consensus on who will<br />

bear what costs.<br />

Note that initially the costs of negotiations have to be borne by the parties<br />

themselves. Unlike in certain other countries, Dutch consumer associations<br />

are not lavishly supported by state subsidies. Hence, their resources<br />

to initiate representative actions and to negotiate mass settlements are<br />

limited. These consumer associations may be wrung dry in the negotiations<br />

process itself, and any strategy aimed at litigating their way towards a settlement<br />

will fail. Associations are hardly ever eligible for public legal aid;<br />

therefore, the expenses are financed by membership fees ( 24 ). Moreover,<br />

Dutch rules on cost shifting are such that the prevailing party can only partially<br />

shift court fees and attorney fees to the losing opponent ( 25 ). Consequently,<br />

( 21 ) Loos, p. 6.<br />

( 22 ) Stuyck, p. 11.<br />

( 23 ) Consumers who are not members of the consumer organization, and who benefit<br />

from the settlement that is declared binding on all consumers, do not really bear any costs. In<br />

the Dexia case, for instance, Dexia had to pay the costs of notifying interested parties and of<br />

the appointed expert, cf. Loos, p. 7.<br />

( 24 ) Loos, p. 38.<br />

( 25 ) Tuil M. L., The Netherlands’ in Vogenauer; Tulibacka M. and Hodges C., Funding<br />

and Costs of Civil Litigation: A Comparative Perspective (Civil Justice Systems), pp. 401-420.


DIBATTITI 75<br />

the financial incentives for consumer associations are geared towards responsive<br />

amicable settlement.<br />

e. Position of individual claimants<br />

Individuals can be heard during the court hearing. They can also oppose<br />

the settlement. While the Court can give parties the opportunity to modify<br />

the settlement during the procedure, it has no powers to oblige them to make<br />

certain modifications (Art. 7:907 (4) CC) ( 26 ). During the petition procedure,<br />

interested third parties will also be given notice to appear at the hearing.<br />

While the individual has the opportunity to oppose – at his own expense<br />

– the settlement, the position of individual claimants during the court procedure<br />

seems to be weak. Should individuals want to intervene in the procedure,<br />

they would have to be responsible for their own costs ( 27 ).<br />

If the court decides that the settlement is of general benefit, and it thus<br />

declares the settlement binding, the only solution for individuals who do<br />

not want to be bound to the settlement is to opt out. The interested persons<br />

entitled to compensation under the settlement automatically become party<br />

to a contract without their explicit consent (Art. 7:908 (1) CC). Instead, the<br />

initiative is on them to opt out of the contract if they deem it unfavourable<br />

(Art. 7:908 (2) CC) ( 28 ). By opting out, they basically withdraw from the contract.<br />

This must be done individually and in writing ( 29 ).<br />

Naturally, if the settlement is unfavourable for the injured individuals,<br />

they may choose to opt out ( 30 ). This may affect the alleged tortfeasor, in the<br />

sense that he experiences that too few individuals are still ‘on board’. To ca-<br />

( 26 ) Stuyck, p. 10.<br />

( 27 ) Stuyck, p. 11.<br />

( 28 ) Van Boom, pp. 171-92, p. 184.<br />

( 29 )The parties to the settlement shall specify in their petition and the Amsterdam Court<br />

will confirm in its decision the addressee of the opt-out notification (Art. 7:907 (2) (f); Art.<br />

7:908 (2) CC). Note that the possibility to opt out only exists once the settlement has been declared<br />

within a period set by the court of at least three months as of the date of publication.<br />

( 30 ) In Art. 7:908 (3) CC, it is provided that the Court’s declaration that the agreement is<br />

binding shall have no consequences for an injured individual who could not have known of<br />

his loss at the time of the public announcement if, after becoming aware of the loss, he has<br />

notified the administrator of his wish not to be bound. This allows for an extension of the opt<br />

out-period, although the administrator of the fund has the power to provoke a decision on the<br />

part of the injured individual by giving notice in writing of a period of at least six months, during<br />

which that person can state he does not wish to be bound. After this period has lapsed,<br />

the right to opt out expires.


76 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

ter for this eventuality, the joint power to cancel the settlement was conferred<br />

on the parties to the contract. Under specific circumstances set out in Art.<br />

7:904 (4) CC, parties to the settlement have the power to cancel the contract<br />

for lack of a substantial number of participants.<br />

It stems from the design of the WCAM procedure that if the representative<br />

stops the negotiations, an individual can still individually sue the tortfeasor,<br />

or even initiate new settlement negotiations with a new representative<br />

body. The individual does not have any right of appeal against the<br />

declaration by the Amsterdam Court; if he disagrees, he should exercise his<br />

opt-out right. Joint petitioners can appeal in cassation against the decision<br />

by the Amsterdam Court (Art. 1018 (1) CCP). The Supreme Court may then<br />

quash or affirm the Amsterdam Court decision on points of law ( 31 ).<br />

f. Potential conflict with other procedures<br />

It stems from the design of this mechanism that negotiations take place<br />

between one representative association or foundation or a joint group of associations<br />

on the one hand and the tortfeasor(s) on the other. Furthermore,<br />

any foundation or association that was not party to the settlement – but that<br />

does represent the interests of the injured individuals involved and has full<br />

legal capacity – can join the procedure to give its opinion on the petition and<br />

to file a defence against it (Art. 1014 CCP) ( 32 ). In this instance, they can express<br />

why the Court should not declare the contract binding. Typically, it<br />

will be plaintiffs that cannot enjoy compensation for not being recognised<br />

as victims ( 33 ). The Court has the possibility to refuse to declare the settlement<br />

binding due to a lack of representativity. It is, however, not among its<br />

powers to declare the contract binding on them as well.<br />

A different type of conflict exists between the collective procedure pursuant<br />

to the WCAM 2005 and individual settlements. The special design of<br />

the WCAM is concerned with the collective settlement process. The contractual<br />

nature of the settlement is emphasised by the fact that the WCAM<br />

2005 is part of Book 7 (special contracts) of the Civil Code. Theoretically,<br />

the settlement contract can be concluded at any stage of the conflict, and,<br />

strictly speaking, there is no need for a preliminary court procedure in<br />

which the tortfeasor is considered liable in tort. He may well enter the settlement<br />

precisely with the purpose of avoiding being held liable. The settle-<br />

( 31 ) See further details at Van Boom, pp. 171-92, p. 186.<br />

( 32 ) See Art. 1014 CCP; See further details at Van Boom, pp. 171-92, p. 182; Loos, p. 3.<br />

( 33 ) Stuyck, p. 10.


DIBATTITI 77<br />

ment contract can thus serve the purpose of avoiding court procedure on<br />

the liability issue. Indeed, the very nature of a settlement is that it aims at<br />

ending or preventing uncertainty or dispute regarding the legal relationship<br />

between the alleged tortfeasor and the injured individuals ( 34 ).<br />

The contractual form of the settlement allows the parties to include<br />

specific clauses in the settlement that are not covered by the Act, such as<br />

clauses on choice of law and forum, on board approval condition, on confidentiality<br />

issues, and on dispute settlement, as well as on modification or<br />

termination – for example, if the Amsterdam Court denies or the Supreme<br />

Court voids the binding declaration ( 35 ).<br />

3. – Some remarks on strengths and weaknesses of the WCAM model<br />

In order to contribute to a discussion of the possible design of a class action,<br />

it can be helpful to identify some of the strengths, weaknesses, and<br />

gaps relating to the WCAM. While the WCAM 2005 is certainly not perfect,<br />

it is overly described as a ’meaningful step forward’ when it comes to improving<br />

legal responses with regard to compensating victims of mass damage<br />

cases ( 36 ). The Act in practice is of high relevance for securities litigation,<br />

even though the intention of the legislator was primarily to design a mechanism<br />

for the settlement of events causing mass personal injury (particularly<br />

the DES case) ( 37 ).<br />

In one of the WCAM-approved settlements, the grapes were especially<br />

sour for individuals who did not opt out but who later turned out to have been<br />

entitled – had they opted out – to more compensation than they obtained<br />

through the settlement. A specific group of claimants who opted out of the<br />

settlement were in fact granted higher compensation in their subsequent<br />

individual court cases ( 38 ). This unintended effect is a disincentive for associations<br />

to engage in settlement negotiations, and must be avoided at any<br />

cost. Therefore, the legal position, validity, and extent of individual claims<br />

needs to be charted meticulously before any collective settlement is agreed.<br />

The Dutch legislature is considering amendment of the law to ensure that<br />

( 34 ) Art. 7:900 CC.<br />

( 35 ) Van Boom, pp. 171-92, p. 180.<br />

( 36 ) See e.g. Croiset van Uchelen, Handhaven of bijschaven De effectiviteit van de<br />

WCAM, Weekblad voor Privaatrecht, Notariaat en Registratie (WPNR) 2008, 805.<br />

( 37 )T. Arons and W. H. Van Boom, Beyond Tulips and Cheese: Exporting Mass Securities<br />

Claim Settlements from The Netherlands, in Eur. Business Law Rev., 2010, pp. 857-883, p. 866.<br />

( 38 ) Van Boom, pp. 171-92, p. 190.


78 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

issues of law are brought before the Supreme Court in a special procedure<br />

on preliminary rulings. This new procedure – if enacted – would improve<br />

the basis of any subsequent settlement.<br />

If we look at the current situation under the WCAM, the behavioural<br />

incentives of three main players are at stake: first, there are the incentives<br />

for the individual to opt out; second, the incentives for the consumer association<br />

to take up negotiations in the first place; third, the incentives for the<br />

tortfeasor to cooperate in the settlement negotiations. The current design<br />

shows inherent limitations. Individuals might be inclined to opt out if they<br />

realise that they will be granted more compensation in an individual case.<br />

In fact, if the majority of claimants choose to opt out, the entire settlement<br />

will collapse. Apparently, by not opting out of the settlement, the injured<br />

individuals prefer a certain and comparatively swift payout to an uncertain<br />

procedure ( 39 ).<br />

For consumer associations, it is clear that to engage in this type of proceedings<br />

is very costly in the negotiation phase, particularly because many<br />

expenses have to be advanced. Only if they obtain a positive settlement<br />

outcome will associations have the opportunity of recouping these costs ( 40 ).<br />

The success of the voluntary negotiations depends strongly on the tortfeasor’s<br />

incentives to engage in them: no one can force him to agree to a<br />

settlement. If the best alternative to a negotiated collective settlement is to<br />

advance with all individual claims in individual court cases, the willingness<br />

to settle may depend on the tortfeasor’s assessment of the number of<br />

claims, the likelihood of success of such claims, the legal cost, and the expected<br />

losses involved. Moreover, it seems that less easily observable factors<br />

can come into play as well, such as political pressure and risks to repu-<br />

( 39 ) Van Boom, pp. 171-92, p. 189 mentions a related matter. Another issue is a serious risk<br />

of free rider behavior on the part of consumers. The law does not require consumers to become<br />

a member of a representative association in order to profit from settlements negotiated<br />

by such associations. Thus, rational choice theory predicts that informed consumers will wait<br />

for the negotiations by the tortfeasor and the representative organization to result in an advantageous<br />

settlement, and then decide whether to obtain the compensation offered by the<br />

settlement or to opt out. Such behavior would not cost the consumer anything and might<br />

only benefit him. It would render the representative activities of consumer foundations and<br />

associations a ‘public good’, leaving these organizations without private funding. In practice,<br />

however, it seems that most Dutch consumers (are they perhaps not fully informed) are more<br />

than willing to donate contributions voluntarily to associations and foundations that negotiate<br />

a settlement in the interest of all injured consumers.<br />

( 40 ) Cf. Loos, p. 35.


DIBATTITI 79<br />

tation ( 41 ). Furthermore, the cases that have come up so far have involved<br />

large-scale damage at the individual level. Successful cases involving trifling<br />

damages are unlikely to occur, as there is no underlying threat that individual<br />

consumers would start a lawsuit that could convince the tortfeasor<br />

to negotiate ( 42 ). The gap this mechanism leaves is thus to be found<br />

mainly where the tortfeasor has no incentives to arrive at a settlement.<br />

Hence, the WCAM does not explicitly address the issue of widespread<br />

scattered losses ( 43 ).<br />

Franziska Weber -Willem H. van Boom<br />

( 41 ) Van Boom, 171-92, p. 180.<br />

( 42 )Cf. Loos, p. 16.<br />

( 43 )On this type of damage, see, e.g., Van Boom, De minimis curat praetor: redress for dispersed<br />

trifle losses, in Journal Comp. Law, 2009, pp. 171-185.


Saggi<br />

VINCENZO VIGORITI<br />

<strong>Europa</strong> e mediazione. Problemi e soluzioni (*)<br />

Sommario: 1. Introduzione. Il quadro di riferimento. L’oggetto della consultazione. – 2. Le<br />

lacune nell’informazione (quesiti 1-4). – 3. Coinvolgimento di commercianti e fornitori:<br />

l’ADR obbligatoria (quesiti 5-8). – 4. Diffusione sul territorio e specializzazione<br />

(quesiti 9-13). – 5. Le risorse finanziarie (quesiti 14-16).<br />

1. – Il 18 gennaio 2011 la Commissione europea, e per essa la DG Sanco,<br />

ha pubblicato un consultation paper sull’uso degli strumenti di ADR in materia<br />

commerciale in <strong>Europa</strong>. È l’ultimo di una serie di documenti di varia<br />

provenienza: dalle raccomandazioni fondamentali del 1998 (98/257/CE) e<br />

del 2001 (2001/310/CE) alla Direttiva 21 maggio 2008 del Parlamento europeo<br />

e del Consiglio ( 1 ), fino alle Direttive di settore (e-commerce, servizi postali,<br />

servizi finanziari, energia) che talvolta semplicemente sollecitano l’adozione<br />

di programmi ADR, e talvolta invece ne impongono la realizzazione<br />

( 2 ).<br />

Infine, nell’ottobre 2009 è stato pubblicato un volume che riferisce di<br />

un’indagine importante promossa dalla Commissione, DG Sanco, e svolta<br />

da un ente specializzato, il Civic Consulting di Berlino. Questo ente era stato<br />

incaricato di verificare l’esistenza e controllare il funzionamento delle<br />

procedure di ADR negli Stati membri dell’Unione e ha quindi diffuso i risultati<br />

dell’indagine: 163 pagine che descrivono la situazione nei vari siste-<br />

(*) Parere redatto per conto del Conseil des barreaux européens – Council of Bars and Law<br />

Societies of Europe – CCBE, che è organo consultivo dell’Unione europea per la professione<br />

forense. Sono aggiunti i riferimenti al diritto italiano con le relative note.<br />

( 1 ) Su cui Vigoriti, La direttiva europea sulla mediation. Quale attuazione, in Riv. arb.,<br />

2009, p. 1.<br />

( 2 ) Gli scritti in tema sono ormai innumerevoli: per tutti ved. Galletto, Il modello italiano<br />

di conciliazione stragiudiziale in materia civile, Milano, 2010, p. 10 ss., ed ivi la menzione<br />

delle ipotesi di mediation obbligatoria in <strong>Italia</strong>.


82 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

mi e che concludono nel senso che, pur nella diversità delle esperienze, i<br />

principi fondamentali scanditi nelle raccomandazioni del 1998 e del 2001<br />

sono rispettati e attuati e che ormai non si discute più sull’an, ma solo sul<br />

quomodo ( 3 ).<br />

Il consultation paper muove dalle esperienze finora maturate e sollecita<br />

contributi per la migliore attuazione dei programmi. L’ottica è quella tradizionale:<br />

si tratta del contenzioso che coinvolge i consumatori nei rapporti<br />

aventi caratteri cross border, tendenzialmente in rete, rapporti che sono<br />

quantitativamente importanti, ma certo meno numerosi di quelli che si instaurano<br />

abitualmente all’interno dei singoli Stati. Il quadro di riferimento<br />

è quello dell’accesso alla giustizia, che è uno dei problemi centrali dell’Unione<br />

(art. 81 Trattato), a cui il CCBE (e al suo interno la commissione Access<br />

to Justice) dedicano particolare attenzione.<br />

Com’è noto, da sempre e fino a pochi anni fa, la giustizia in <strong>Europa</strong> è<br />

stata problema d’élite e non di massa. In tutti i Paesi, il numero delle controversie<br />

era ragionevolmente limitato, con costi modesti e durata dei processi<br />

tutto sommato accettabile, erano spesso previsti più gradi di giudizio,<br />

erano ammessi nuovi accertamenti di fatto anche in grado di appello,<br />

e veniva garantito l’accesso alle giurisdizioni superiori. Quel modello è<br />

stato travolto in modo irreversibile, e da anni si registra una vera e propria<br />

law explosion, nel senso dell’emergere e del riconoscimento di una moltitudine<br />

di nuovi diritti (consumatori, minoranze, diritti di genere, ecc.)<br />

fonte di un numero illimitato di controversie, di tipo radicalmente diverso<br />

da quello conosciuto. Il costo è rimasto praticamente invariato, ma la durata<br />

è diventata incontrollabile, ed è per di più utilizzata come deterrente<br />

all’accesso alla giustizia. Il numero e l’impegno dei giudicanti non può essere<br />

incrementato più di tanto, né si possono aumentare le risorse, che<br />

concorrono con quelle destinate a soddisfare altre non meno importanti<br />

esigenze.<br />

Più che nuove risorse occorrono nuove idee: l’ADR è la più importante<br />

di queste. In brevissimo tempo, la ricerca e la diffusione di strumenti di<br />

composizione delle controversie alternativi a quelli strettamente giudiziali<br />

è diventato impegno prioritario in tutta <strong>Europa</strong>, con un mutamento di prospettiva<br />

radicale. Il contenzioso dei consumatori, protagonisti della scena<br />

commerciale, non può essere convogliato verso le Corti, magari nella speranza<br />

utilitaristica, ma non certo nobile che in quella rete di adempimenti,<br />

( 3 ) Vigoriti, Nodo dell’organizzazione e “limature” tecniche ma l’istituto resta un’opportunità<br />

per i legali, in Guida al dir., 2010, n. 17, p. 23.


SAGGI 83<br />

rinvii, impugnazioni, perda ogni spinta propulsiva, ma va gestito in sedi e<br />

con modalità diverse. Appunto alternative, di ADR: l’arbitrato e la mediation.<br />

Il consultation paper propone una trattazione unitaria dei due istituti,<br />

accomunati sì dal fatto che la definizione delle controversie avviene fuori<br />

dal giudizio statale con l’intervento di un terzo, ma nettamente distinti in<br />

questo: in un caso, il terzo può emettere provvedimenti autoritativi e vincolanti<br />

per le parti (arbitrato), mentre nell’altro può solo, suggerire e favorire<br />

il raggiungimento di un accordo di carattere contrattuale fra le parti (mediation).<br />

Anche il consenso delle parti sulla devoluzione a terzi, tratto essenziale<br />

condiviso, ha portata diversa: nell’arbitrato, riguarda soprattutto il momento<br />

iniziale e la gestione del procedimento, ma non quello finale di emanazione<br />

del lodo. Il provvedimento è infatti “sentence”, sia pure “arbitrale”<br />

(formula efficace anche di recente ribadita dall’ordinamento francesce), e si<br />

impone alle parti, anche se queste non lo vogliono. Nella mediation, il consenso<br />

ha rilevanza soprattutto nel momento finale, perché non ci sono vincitori<br />

e vinti, ma solo accordi con valenza contrattuale. Se non c’è accordo, il<br />

tentativo di definizione fallisce e la controversia non si compone.<br />

Ecco il punto 6 del paper:<br />

“The present document refers to dispute resolution procedures which are designed<br />

as an alternative to resolving a dispute in a court. These procedures enable<br />

the consumer to obtain compensation for harm suffered as a consequence of<br />

an illegal practice by a trader. It covers out-of-court mechanisms that lead to<br />

the settling of a dispute through the intervention of a third party. The third party<br />

can propose or impose a solution, or merely bring parties to assist them in finding<br />

a solution”.<br />

La DG Sanco sollecita dunque pareri su un’ipotesi di contenzioso tutto<br />

sommato limitata: quella che vede i consumatori instaurare un rapporto diretto<br />

con un trader avente sede in uno Stato diverso, sempre nell’Unione.<br />

Dai dati statistici emerge che il numero di questi rapporti non è grande,<br />

e ancor più ridotto è quello dei rapporti che sfociano in un contenzioso. La<br />

grandezza “limitata” è valutazione solo quantitativa in confronto ai rapporti<br />

strettamente nazionali, infinitamente più numerosi con percentuali di<br />

contenzioso assai più significative. Il metodo è quello di sollecitare risposta<br />

ai quesiti che il paper solleva.<br />

2. – Quesito 1 – What are the most efficient ways to raise the awareness of national<br />

consumers and consumers from other Member States about ADR schemes<br />

Il quesito postula che il consumatore che assume di aver subìto una le-


84 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

sione in un rapporto cross border abbia interesse a trovare un programma di<br />

ADR (arbitrato o mediation) nello Stato di provenienza del trader professionista.<br />

Se così fosse, e se quindi il consumatore fosse costretto ad attivarsi all’estero,<br />

sarebbe facile anticipare l’insuccesso dell’ADR perché il consumatore<br />

dovrà superare più o meno gli stessi ostacoli che incontrerebbe se decidesse<br />

di agire in giudizio (spese, lingua, incertezza dell’esito), ostacoli evidenziati<br />

nel consultation paper.<br />

Occorre dunque che anche in materia di ADR venga stabilita una regola<br />

analoga a quella valida per i processi di fronte al giudice, in forza della<br />

quale il consumatore agisce o viene convenuto nello Stato di sua residenza<br />

e non in quello in cui opera il trader (art. 16 ss., Reg. 44/01) ( 4 ). Ne deriva che<br />

l’informazione interessante per i consumatori dovrebbe essere, soprattutto,<br />

quella che riguarda i programmi interni nazionali e non tanto quella sui<br />

programmi degli altri Stati. Per l’<strong>impresa</strong> varrà la regola contraria, per cui se<br />

il trader intende prendere lui l’iniziativa, dovrà rivolgersi all’ADR esistente<br />

negli Stati in cui risiede il consumatore, ma in questo caso, data la diversità<br />

di mezzi e capacità, l’informazione sarà più facilmente ottenibile.<br />

Precisato il diverso interesse delle parti, si deve comunque auspicare la<br />

massima diffusione dei programmi di settore, a livello interno e cross border,<br />

in via telematica (che è il canale meno costoso), ed eventualmente tramite<br />

altri media, nella lingua nazionale e in altra presumibilmente conosciuta<br />

nella zona di diffusione. Il contenuto può essere limitato all’essenziale<br />

con il rinvio ai siti menzionati.<br />

Quesito 2 – What should be the role of the European Consumer Centres<br />

Network, National authorities (including regulators) and NGOs in raising consumer<br />

and business awareness of ADR<br />

Trattandosi di diffondere l’informazione, sarebbe improprio vietare a<br />

qualcuno di contribuire, per cui va visto con favore il fatto che notizie possano<br />

essere fornite dai Networks delle associazioni di consumatori, dalle<br />

NGO e dalle autorità degli Stati. Naturalmente è necessario un coordinamento<br />

per evitare duplicazioni e dispersioni e il compito potrebbe venire affidato<br />

alle autorità competenti dei vari Stati. Altrimenti ciascuna organizzazione<br />

potrà rivolgersi al proprio bacino di utenza, nello Stato in cui ha sede<br />

e/o negli Stati in cui è presente.<br />

Quesito 3 – Should businesses be required to inform consumers when they<br />

are part of an ADR scheme If so, what would be the most efficient ways<br />

( 4 ) Nel senso che le regole sulla competenza garantiscono l’effettività della tutela giurisdizionale<br />

ved. Corte UE, 29 ottobre 2009, causa C-63/08, Pontin c. T-Comalux S.A.


SAGGI 85<br />

La risposta deve essere positiva. Non è eccessivo imporre al trader di informare<br />

il consumatore sul fatto che, in caso di controversia, esiste la possibilità<br />

di usufruire di un servizio di ADR. Tale obbligo è già previsto, in vari Paesi, in<br />

vari settori. Ad esempio, in <strong>Italia</strong> per le controversie in materia di comunicazioni<br />

e di servizi finanziari di controllo della borsa (Consob) sono previsti reclami,<br />

ricorsi interni e altro prima dell’accesso al giudice ( 5 ). Naturalmente,<br />

tutto senza preclusioni sulla residenza o sulla cittadinanza dei consumatori.<br />

L’informazione può accompagnare l’offerta commerciale oppure, in alternativa,<br />

può comparire nel sito del trader, nella pubblicità informativa o in<br />

qualsiasi altro luogo funzionale a far sapere al consumatore che in caso di<br />

conflitto esiste una possibilità di definire lo stesso senza ricorrere necessariamente<br />

ai giudici di uno Stato.<br />

Si noti tuttavia che l’informazione riguarderà probabilmente i programmi<br />

di ADR stabiliti nel Paese in cui il trader ha la sede, e non in tutti quelli<br />

in cui opera, per cui l’aiuto al cross border consumer risulterà limitato. Di<br />

nuovo, risulta essenziale stabilire una regola di competenza territoriale analoga<br />

a quella prevista per i processi statali, regola che consenta ai consumatori<br />

di chiamare il trader di fronte alle organizzazioni di ADR stabilite nel<br />

loro Stato di appartenenza.<br />

Quesito 4 – How should ADR schemes inform their users about their main<br />

features<br />

( 5 ) Di recente, Telepass s.p.a. ha proposto di modificare il contratto con gli utenti inserendo<br />

la seguente clausola: “TLP aderisce all’Accordo tra Autostrade per l’<strong>Italia</strong> S.p.A. e le<br />

Associazioni dei Consumatori Adoc, Adusbef, Codacons e Federconsumatori, attuali firmatarie<br />

del Protocollo di Conciliazione che prevede la costituzione di un Ufficio di Conciliazione<br />

per la risoluzione extragiudiziale delle controversie mediante la Procedura di conciliazione.<br />

I Clienti di Telepass S.p.A., rappresentati dalle predette Associazioni, se insoddisfatti per<br />

la risposta ad una contestazione, possono risolvere in modo semplice e rapido le controversie<br />

inerenti l’errata gestione dei contratti Telepass.<br />

La procedura è gratuita per il Cliente, salve le spese relative alla corrispondenza inviata.<br />

La domanda di conciliazione – presentata mediante apposito modulo disponibile sul sito<br />

www.telepass.it ovvero presso i Punto Blu e le sedi territoriali delle Associazioni dei Consumatori<br />

– va inoltrata, con Raccomandata A/R, all’indirizzo indicato al precedente art. 7.2 o via<br />

fax al numero 06.4363.2180 o via e-mail all’indirizzo conciliazione@autostrade.it. La domanda<br />

sarà esaminata da una Commissione di Conciliazione composta da un conciliatore di TLP e<br />

da un conciliatore di una delle Associazioni dei Consumatori.<br />

In caso di accordo tra le Parti la conciliazione si conclude con la definizione della pratica.<br />

Il cliente è libero di accettare o di rifiutare la soluzione proposta. La Procedura si conclude comunque<br />

non oltre 120 giorni dalla data di ricezione della domanda. Il ricorso all’Ufficio di<br />

Conciliazione non priva il Cliente del diritto di adire, in qualunque momento, l’Autorità giudiziaria<br />

competente”.


86 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Se l’informazione non è già fornita in altro modo, occorre che tutti i dettagli<br />

dell’accesso al programma siano disponibili in rete, sul sito pertinente,<br />

tendenzialmente in più lingue.<br />

I tratti essenziali da riportare devono riguardare: 1) le modalità di accesso<br />

(application forms prestampate che il consumatore può scaricare facilmente<br />

dal computer); 2) modalità di gestione (orale, scritta) e tempi per la<br />

presa in carico (settimane o mesi dalla domanda); 3) costo e durata della<br />

procedura; 4) notizie sul contenuto del provvedimento (risarcimento del<br />

danno; restituzione della cosa); 5) possibilità di esecuzione forzata di una<br />

decisione favorevole; 6) nel caso di mediation, efficacia dell’accordo raggiunto<br />

o conseguenze e preclusioni del mancato accordo.<br />

3. – Quesito 5 – What means could be effective in persuading consumers<br />

and traders to use ADR for individual or multiple claims and to comply with<br />

ADR decisions<br />

Occorre distinguere le due ipotesi di ADR.<br />

1) Arbitrato – La decisione con cui gli arbitri decidono una controversia<br />

(sentence arbitrale, award, lodo) è efficace fra le parti come una sentenza dei<br />

giudici ed è quindi suscettibile di esecuzione forzata. Per stimolare l’adempimento<br />

spontaneo ed evitare le formalità del processo esecutivo, si potranno<br />

fissare delle astreintes da imporre in caso di ritardo ( 6 ).<br />

2) Mediation – Qui non ci sono decisioni, ma solo accordi contrattuali<br />

stipulati dalle parti, per cui l’esecuzione spontanea dovrebbe essere la regola.<br />

Può accadere tuttavia che una delle parti cambi opinione e si rifiuti di rispettare<br />

quanto già pattuito.<br />

Per forzare l’adempimento, si può pensare ancora alle astreintes oppure<br />

a dotare il contratto o comunque il verbale di conciliazione stipulato in sede<br />

di ADR di una particolare efficacia esecutiva, tale da consentire l’esecuzione<br />

forzata del titolo, pur se non giudiziario. Nella stessa ottica, si potrebbe<br />

stabilire che il titolo valga anche per iscrivere ipoteca ( 7 ).<br />

Quesito 6 – Should adherence by the industry to an ADR scheme be made<br />

mandatory If so, under what conditions In which sectors<br />

La risposta può essere positiva. Le organizzazioni che raccolgono le in-<br />

( 6 )L’ordinamento italiano conosce diverse ipotesi di astreintes (ad esempio nella disciplina<br />

sulla proprietà intellettuale) e nel 2009 ha introdotto una norma specifica (art. 614 bis, c.p.c.<br />

concernente l’attuazione degli obblighi di fare infungibile, o di non fare). Nello stesso senso<br />

è l’art. 11 d.lgs. n. 28/10.<br />

( 7 )Ved. l’art. 12, d.lgs. n. 28/10, una disposizione, questa, che dà il senso dell’irrevocabile<br />

e quindi può suscitare timori.


SAGGI 87<br />

dustrie di un certo settore potrebbero elaborare programmi di ADR (arbitrato<br />

e mediazione) vincolanti per tutte le imprese affiliate, con l’ulteriore<br />

impegno che in caso di controversia esse dovranno prima cercare una sistemazione<br />

in ADR e solo poi, nel caso di rifiuto o insuccesso del tentativo,<br />

eventualmente agire in altre sedi.<br />

Si dubita, tuttavia, che la cosa possa essere utile ai consumatori cross<br />

border. I programmi di ADR saranno infatti organizzati all’interno dello<br />

Stato in cui una certa industria opera, ma per essere veramente utili ai consumatori<br />

cross border occorrerebbe che essi fossero presenti anche negli altri<br />

Stati membri, quelli nei quali si è instaurato o ha avuto esecuzione il rapporto<br />

contenzioso. Altrimenti, resterà il problema già menzionato: i consumatori<br />

che non possono agire nel loro Stato non se la sentiranno di attivarsi<br />

all’estero, pur sapendo che la controparte si è impegnata a partecipare ad<br />

un programma di ADR.<br />

Quesito 7 – Should an attempt to resolve a dispute via individual or collective<br />

ADR be a mandatory first step before going to court If so, under what conditions<br />

In which sectors<br />

La risposta deve distinguere le due ipotesi di ADR.<br />

1) Arbitrato – Nei Paesi dell’Unione sarebbe illegittimo imporre alle parti<br />

di instaurare un procedimento arbitrale in luogo dell’azione. Per due ragioni:<br />

a) perché il ricorso agli arbitri è espressione di autonomia privata e<br />

non può essere imposto ai singoli, e b) perché il diritto di agire in giudizio è<br />

costituzionalmente garantito a livello comunitario, come a livello degli ordinamenti<br />

statali. Va dunque escluso che l’arbitrato possa essere un mandatory<br />

first step, il cui esito pregiudica l’accesso alla giustizia.<br />

Per la verità, la tentazione di imporre una qualche forma di arbitrato ex<br />

lege è risalente anche in <strong>Italia</strong>. Si ricorderà che si era pensato di attenuare il<br />

vincolo disponendo che la parte potesse semplicemente rifiutarlo, agendo<br />

quindi in giudizio senza condizionamenti; si era proposto che il consumatore<br />

fosse vincolato all’esito del procedimento solo se a lui favorevole (secundum<br />

eventum litis); si era detto infine che l’arbitrato ex lege sarebbe stato<br />

tollerabile, se la tutela fosse stata sostanzialmente “equivalente” a quella ottenibile<br />

in giudizio. Tutto inutile: l’arbitrato è legittimo solo se la sua fonte<br />

è la concorde volontà delle parti.<br />

2) Mediation – Qui il discorso è diverso, non essendovi ostacoli alla previsione<br />

di un ricorso facoltativo oppure obbligatorio, naturalmente sia nel<br />

contenzioso cross border che in quello interno.<br />

In astratto, nulla impedirebbe scelte diverse nelle due ipotesi, ma probabilmente<br />

se uno Stato impone una certa regola per i rapporti interni il<br />

medesimo comando varrà quando il rapporto ha carattere cross border. È al-


88 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

tresì ragionevole pensare che le controversie transfrontaliere verranno gestite<br />

dagli stessi organi e con le stesse procedure che si adottano per quelle<br />

nazionali, immaginandosi al massimo che gli enti in concreto officiati potranno<br />

valersi di mediatori specializzati nel diritto comunitario e internazionale.<br />

Il carattere facoltativo della mediation rispetta l’autonomia del consumatore,<br />

perché lascia quest’ultimo libero di agire subito in giudizio contro<br />

il trader, se così preferisce. È anche pensabile che il numero degli accessi sia<br />

limitato, e che le sopravvenienze vengano smaltite in tempi brevi. Vi saranno<br />

sempre problemi di organizzazione, perché almeno nella fase iniziale<br />

sarà impossibile organizzare una rete permanente di enti ragionevolmente<br />

numerosi, e dislocati sul territorio nazionale, come sarà impossibile prevedere<br />

l’entità dell’impegno finanziario e di quello logistico (immobili, segreteria,<br />

supporto tecnico, archivi, ecc.). Le singole entità potrebbero essere<br />

sottodimensionate rispetto alla domanda oppure, viceversa, sovradimensionate,<br />

con spreco di risorse.<br />

Ma il modo con cui il quesito è proposto e il linguaggio con cui è presentato<br />

fanno pensare che la Commissione preferirebbe una risposta orientata<br />

nel senso dell’obbligatorietà del tentativo di mediazione. Che è tuttavia<br />

opzione non condivisa generalmente, e comunque non lo è dall’avvocatura<br />

di diversi Stati membri dell’Unione.<br />

I termini del problema sono ormai notissimi. A favore dell’obbligatorietà,<br />

si rileva che l’esperimento di un tentativo preventivo non impedisce<br />

l’accesso alla giustizia che viene soltanto posticipato nell’interesse delle<br />

parti ad una sistemazione più rapida e meno costosa, e anche nell’interesse<br />

generale all’amministrazione della giustizia. Naturalmente l’obbligatorietà<br />

comporta che il tentativo sia considerato condizione di procedibilità dell’azione<br />

in giudizio, che è requisito generalmente tollerato a patto che l’accesso<br />

non sia reso eccessivamente difficile o non risulti dilazionato in misura<br />

troppo sensibile.<br />

Sul piano operativo, si osserva che solo l’obbligatorietà consente di prevedere<br />

l’entità dell’afflusso e quindi permette di organizzare una rete sufficientemente<br />

fitta di enti capaci di fronteggiarlo acquisendo le risorse necessarie<br />

a soddisfare la richiesta (finanziamenti, immobili, supporti logistici,<br />

personale). Si aggiunge che la mediazione obbligatoria offre occasioni di lavoro<br />

agli avvocati, la cui attività potrebbe essere svolta anche nella fase preprocessuale<br />

prevista dalla legge. Il d.lgs. n. 28/10 non prevede però il patrocinio<br />

obbligatorio pur imponendo all’avvocato l’obbligo di informare (art.<br />

4, comma 3, d.lgs. n. 28/10) il cliente delle possibilità di avvalersi del procedimento<br />

di mediazione e dei casi in cui essa è condizione di procedibilità.


SAGGI 89<br />

Militano in senso contrario vari argomenti, anche questi notissimi. Limitandosi<br />

a quelli dibattuti in <strong>Italia</strong>, con riferimento al d.lgs. n. 28/10 e al<br />

d.m. 10 ottobre 2010 n. 180, si osserva che l’obbligatorietà è ostacolo costituzionalmente<br />

illegittimo all’accesso alla giustizia, che viene eccessivamente<br />

ritardata dai quattro mesi concessi per l’esperimento del tentativo. Si rileva<br />

che l’attività del mediatore ha natura giuridica con ricadute, da ritenere<br />

illegittime, anche sull’eventuale successivo processo civile, come si deduce<br />

dalle norme sull’acquisizione delle prove, su un’eventuale CTU, sulle spese,<br />

sulla proposta finale del mediatore. Ci si duole che il tentativo finisca con<br />

l’essere un vero e proprio grado di giudizio, svolto in totale approssimazione<br />

(un surrogato di processo), magari da non tecnici, tale da pregiudicare la<br />

tutela dei diritti dei singoli. E mentre si capisce che la mediazione vada incentivata<br />

(con facilitazioni diverse), non si vede il motivo delle molte “ritorsioni”<br />

a carico degli avvocati, di cui il legislatore aprioristicamente teme<br />

la mancanza di collaborazione. Infine, vari settori della professione forense,<br />

non solo in <strong>Italia</strong>, hanno espresso il timore che la mediazione obbligatoria<br />

riduca le occasioni di lavoro, specie per le controversie minori.<br />

Il TAR Lazio ha ritenuto fondati i dubbi di costituzionalità sollevati con<br />

un ricorso promosso da varie associazioni contro il Ministero della Giustizia<br />

e contro il Ministero dello sviluppo economico, ed ha quindi rinviato alla<br />

Corte costituzionale la relativa questione ( 8 ). In attesa della pronuncia<br />

della Consulta, si può dire che seppure molti Stati europei conoscono ipotesi<br />

più o meno numerose di mediazione obbligatoria, in nessuno ci sono<br />

disposizioni ampie ed invasive come le nostre. Significativo l’art. 13 d.lgs n.<br />

28/10 che dispone per l’inversione del principio della soccombenza nel caso<br />

in cui la sentenza coincida integralmente con il contenuto della proposta rifiutata<br />

dalla parte, vincitrice nel successivo giudizio. La norma tradisce una<br />

valenza intimidatoria nei confronti dell’avvocato e sembra caratterizzare la<br />

mediazione in senso strettamente valutativo preprocessuale e non meramente<br />

facilitativo di un accordo delle parti, più aderente alla natura prettamente<br />

volontaristica della mediazione, che ne avalla la legittimità ancorché<br />

prevista come condizione obbligatoria di procedibilità.<br />

Ora, l’obbligatorietà del tentativo limita l’autonomia delle parti, ma non<br />

è soltanto per questo imposizione incostituzionale, perché si colloca su un<br />

piano strettamente negoziale, avente per contenuto l’invito a trattare seguì-<br />

( 8 )Tar Lazio, sez. I, ord., 12 aprile 2011. Nel senso dell’incostituzionalità si erano espressi<br />

molti autori: fra gli altri Scarselli, L’incostituzionalità della mediazione di cui al d.lgs. n.<br />

28/11, in Foro it., 2011, V, c. 54.


90 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

to dall’accettazione di un’eventuale proposta. Manca pertanto l’elemento<br />

(sgradevole) dell’atto di forza e precisamente del terzo diverso dal giudice o<br />

da un arbitro concordemente scelto. Il che però non basta, dovendo comunque<br />

l’istituto rispondere a canoni di correttezza ed efficienza assolutamente<br />

irrinunciabili. In parte valendosi dei suggerimenti della Corte di giustizia<br />

europea e della Cassazione italiana, si può pensare ad un catalogo di<br />

requisiti che comprenda quanto segue ( 9 ).<br />

1) Il tentativo deve essere esperito in una sede ragionevole e conveniente<br />

per entrambe le parti. Nei rapporti cross-border in cui sono coinvolti i consumatori<br />

detta regola dovrà essere simile a quella prevista dall’art. 16 Reg.<br />

44/01, perché sarebbe vessatorio imporre loro un tentativo, e per di più in<br />

una sede disagevole.<br />

2) L’esperimento dell’ADR può anche essere posto come condizione di<br />

procedibilità della domanda giudiziale, che a rigore dovrebbe essere proposta<br />

solo dopo l’esito negativo del tentativo. Però se la domanda fosse proposta<br />

quando il tentativo non è ancora iniziato, oppure non è ancora concluso,<br />

deve ritenersi ammissibile che il giudice fissi la trattazione ad epoca<br />

successiva all’espletamento dell’incombenza (così l’art. 5, comma 1, d.lgs.<br />

n. 10/08).<br />

3) Controparte non può essere obbligata a partecipare al tentativo di sistemazione,<br />

potendo semplicemente dichiarare di non voler alcuna mediation,<br />

nel qual caso si dovrebbe poter procedere senza indugi. Resta ferma la<br />

soggezione per i costi fissi della procedura. Di nuovo l’art. 8 d.lgs. n. 28/10<br />

introduce un elemento ritorsivo a detrimento della natura volontaristica<br />

della mediazione. La disposizione è particolarmente audace e il giudice potrebbe<br />

desumere ex art. 116 c.p.c argomenti di prova dalla mancata partecipazione<br />

senza giustificato motivo al procedimento di mediazione. Dunque<br />

una valutazione discrezionale legata a un non facere collocato prima o fuori<br />

dal giudizio;<br />

4) La proposta di ADR è atta a provocare la sospensione-interruzione<br />

dei termini per l’esercizio dell’azione in giudizio; non bastando però a questo<br />

fine un generico invito a partecipare al tentativo, occorrendo invece indicazioni<br />

precise sul diritto dedotto, quello che sarà poi l’oggetto del processo.<br />

5) Deve essere assicurata la facoltà di attivarsi in sede cautelare di fronte<br />

al giudice se questo fosse necessario ad assicurare l’utilità dell’eventuale,<br />

( 9 )V. le indicazioni contenute in Corte U.E., 18 marzo 2010, cause riunite C-317/08, C-<br />

318/08, C-319/08, C-320/08, in cui era coinvolta Telecom <strong>Italia</strong>.


SAGGI 91<br />

futura pronuncia giurisdizionale. L’art. 5, nn. 3 e 4, d.lgs. n. 28/10 sembra<br />

coerente con detta esigenza.<br />

6) Il tentativo dovrà essere necessariamente esperito entro un lasso di<br />

tempo ragionevolmente limitato da rapportare alla durata media del processo.<br />

Il d.lgs. n. 28/10 prevede una durata non superiore ai quattro mesi<br />

(art. 6) magari accettabile in <strong>Italia</strong>, ma che certo troverebbe ferma opposizione<br />

in altri Paesi dove tutto il processo dura meno di un anno. Decorso il<br />

termine l’interessato può agire in giudizio, anche interrompendo la mediation<br />

in corso. L’elemento temporale è assolutamente fondamentale, dovendosi<br />

ribadire che se per l’ente prescelto l’afflusso fosse troppo consistente, o<br />

le risorse non sussistessero, o sorgesse un qualunque impedimento, anche<br />

giustificato, in ogni caso il tentativo andrebbe interrotto.<br />

Andranno considerati vari altri fattori. Se ne elencano due:<br />

1) Gli enti gestori dell’ADR possono essere pubblici, come, ad esempio, le<br />

Camere di commercio, oppure quelli organizzati dagli Ordini degli Avvocati e<br />

altri ancora, comunque appoggiati a struttura pubbliche utilizzate senza costi,<br />

oppure a costi ridotti (solo il personale, i servizi), oppure privati. Questi dovranno<br />

dimostrare di avere la capacità finanziaria e organizzativa necessaria, di<br />

avere a disposizione una sede e un numero di mediatori adeguato a gestire un<br />

contenzioso di cui ancora non si conosce la consistenza. Gli enti privati si porranno<br />

in concorrenza con quelli pubblici, i quali saranno avvantaggiati dai minori<br />

costi di impianto, ma meno flessibili, di quelli privati e quindi tendenzialmente<br />

meno efficienti. Nel caso di mediation obbligatoria, i costi dovrebbero<br />

essere ridotti, e uguali in tutti gli enti di ADR, pubblici o privati che siano ( 10 ).<br />

2) C’è un’ambiguità di fondo, assolutamente eclatante nel sistema italiano.<br />

Da un lato, si dice che il tentativo è un esperimento negoziale, e non<br />

un grado di giudizio surrettiziamente inserito, e che per questo è improprio<br />

parlare di limiti all’accesso alla giustizia.<br />

Dall’altro, si moltiplicano le pretese, con una pericolosa deriva verso un<br />

inaccettabile “simil processo”. I mediatori si impegnano a lavorare per compensi<br />

ridotti, ma ovviamente sono tenuti a garantire disponibilità, serietà ed<br />

efficienza. Si pretendono anche conoscenze sulla gestione delle trattative,<br />

( 10 )L’art. 16, comma 4, Tabella A del D.M. 18 ottobre 2010, n. 180 dispone: “Valore della lite<br />

– Spesa (per ciascuna parte). Fino a euro 1.000: euro 65; da euro 1.001 a euro 5.000: euro 130;<br />

da euro 5.001 a euro 10.000: euro 240; dal euro 10.001 a euro 25.000: euro 360; da euro 25.001 a<br />

euro 50.000: euro 600; da euro 50.001 a euro 250.000: euro 1.000; da euro 250.001 a euro 500.000:<br />

euro 2.000; da euro 500.001 a euro 2.500.000: euro 3.800; da euro 2.500.001 a euro 5.000.000: euro<br />

5.200; oltre 5.000.000: euro 9.200”. È anche prevista la possibilità di aumentare fino a 1/5<br />

l’importo dovuto o diminuirlo di 1/3, in presenza di certe circostanze.


92 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

sulle tecniche di comunicazione, nonché conoscenze giuridiche a vario livello:<br />

meno approfondite per i mediatori “generalisti”, più professionali per<br />

quelli esperti di diritto internazionale privato, di diritto dei consumatori, in<br />

rapporti interni o cross border, e altro.<br />

Anche i problemi del rito andranno ben conosciuti, tanto che sono ormai<br />

trattati a livello manualistico, con l’esasperazione tipica delle questioni<br />

processuali.<br />

Almeno in questa prima fase, in cui neppure si sa se la mediazione sarà<br />

obbligatoria o facoltativa, sarebbe meglio ridurre le pretese di formazione<br />

specifica, e affidarsi alla classe forense, vale a dire agli avvocati che sono i<br />

soggetti istituzionalmente preposti alla gestione delle controversie. È contraddittorio<br />

parlare di un’attività meramente negoziale, ma poi impiantare<br />

una disciplina processuale; come lo è liberalizzare l’attività, ma poi pretendere<br />

stringenti requisiti giuridici, con problemi di formazione, con dispendio<br />

di risorse, e risultati da verificare.<br />

Di più. Il successo di qualunque sistema di ADR dipende dalla collaborazione<br />

della classe forense, e non avrebbe senso che un legislatore pensasse<br />

di costruire l’alternativa in contrasto con gli avvocati del proprio Paese.<br />

In nessun Stato dell’Unione europea, la mediazione è stata accolta con ostilità,<br />

ritenendosi, in genere, che essa giovi all’amministrazione della giustizia<br />

statale, e che costituisca un’opportunità per tutti, ma è altrettanto vero<br />

che nessuno Stato ha una disciplina così palesemente ostile all’avvocatura,<br />

ritenuta ostacolo e non protagonista necessaria dell’ADR.<br />

Infine, per completare la risposta al paper, il settore nel quale l’ADR può<br />

essere imposta come obbligatoria, ma non è detto che debba necessariamente<br />

esserlo, è naturalmente quello contrattuale. E quindi della compravendita,<br />

anche on line, di servizi (turismo, assicurazioni, comunicazioni<br />

elettroniche, subfornitura) e di beni di consumo, compresi i medicinali, i<br />

prodotti bancari e finanziari, senza limitazioni di carattere oggettivo, ed anzi<br />

con possibilità di estensione a tutti i rapporti fra il trader e il consumer<br />

cross border. Ad esempio, includendo il franchising, il diritto d’autore, e altre<br />

materie come risulta dalle esperienze degli Stati dell’Unione ( 11 ).<br />

( 11 )L’art. 5, d.lgs. n. 28/10 prevede l’obbligatorietà della mediazione in un numero di ipotesi<br />

assai consistente. Al momento non esiste un apparato, pubblico o privato, tale da poter<br />

garantire lo smaltimento dell’afflusso dei procedimenti che dovessero venire instaurati in forza<br />

di tale norma. Il 17 febbraio 2011 il Senato ha confermato che la mediazione è obbligatoria<br />

per tutte le controversie di cui all’art. 5 cit., ad esclusione di quelle condominiali e di quelle instaurate<br />

per il risarcimento dei danni da incidenti stradali. Per queste il tentativo diventerà obbligatorio<br />

a partire dal 20 marzo 2012.


SAGGI 93<br />

Quesito 8 – Should ADR decisions be binding on the trader On both parties<br />

If so, under what conditions In which sectors<br />

Il problema prospettato non si pone nel caso di arbitrato facoltativo,<br />

perché in tal caso la decisione non può che essere vincolante per entrambe<br />

le parti.<br />

Nel caso di arbitrato obbligatorio, per aggirare il divieto, si è proposto di<br />

assoggettare alla decisione sfavorevole solo il trader e non il consumatore,<br />

libero di rifiutare la decisione e agire in giudizio. Soluzione accettabile in<br />

teoria, ma in pratica difficile risultando improbabile che il consumatore, già<br />

soccombente una volta, decida di continuare nel contenzioso, addirittura<br />

in giudizio. Da qui deriva che, in questa come in altre forme, l’arbitrato obbligatorio<br />

va rifiutato.<br />

Nella mediazione il problema non si pone perché qui non ci sono decisioni<br />

di terzi imposte alle parti, ma solo accordi liberamente stipulati, per<br />

cui il vincolo è conseguenza naturale del contratto.<br />

4. – Quesito 9 – What are the most efficient ways of improving consumer<br />

ADR coverage Would it be feasible to run an ADR scheme which is open for<br />

consumer disputes as well as for disputes of SMEs<br />

Il consultation paper mette in evidenza che vi sono lacune sia in punto di<br />

diffusione territoriale dei programmi, sia in punto di specializzazione degli<br />

stessi. In questa fase, si ritiene praticamente impossibile predisporre un apparato<br />

distribuito in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, con<br />

enti capaci di gestire arbitrati, o un numero ragionevole di procedimenti di<br />

mediation. È ancora più arduo che si riesca a costituire organismi di ADR<br />

specializzati nel contenzioso sui trasporti, sulle telecomunicazioni, sugli<br />

strumenti finanziari, e via dicendo.<br />

Adesso l’obiettivo primario dovrebbe essere quello di stabilire una rete<br />

di centri ADR ragionevolmente diffusa sul territorio, trascurando per il momento<br />

specializzazioni. In futuro, quando sarà più chiara l’entità dell’afflusso<br />

e saranno sicuri i finanziamenti si potrà migliorare l’offerta alternativa.<br />

Quesito 10 – How could ADR coverage for e-commerce transactions be improved<br />

Do you think that a centralised ADR scheme for cross-border e-commerce<br />

transactions would help consumers to resolve disputes and obtain compensation<br />

I consumatori che instaurano rapporti cross border e stipulano contratti<br />

in rete sono sicuramente in grado di avvicinarsi a programmi di ADR, e di<br />

gestirli senza incontrare problemi troppo seri.<br />

La diffusione di questi programmi è meno costosa e più facile dello stabilimento<br />

di centri permanenti a cui sia necessario accedere anche fisica-


94 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

mente, ma l’esclusione del confronto diretto talvolta porta alla radicalizzazione<br />

delle posizioni e quindi al fallimento dell’ADR.<br />

Quesito 11 – Do you think that the existence of a “single entry point” or<br />

“umbrella organisations” could improve consumers access to ADR Should<br />

their role be limited to providing information or should they also deal with disputes<br />

when non specific ADR scheme exists<br />

L’istituzione di un centro di smistamento delle richieste di ADR capace<br />

di indirizzarle verso l’ente più adatto a trattarle (per vicinanza e/o competenza)<br />

sarebbe certamente utile. Per esempio, il centro potrebbe convogliare<br />

tutte le istanze di un certo tipo verso un certo organismo e informare il<br />

consumatore del tempo di attesa prima che la sua richiesta sia presa in considerazione,<br />

e altro.<br />

Quesito 12 – Which particular features should ADR schemes include to<br />

deal with collective claims<br />

Le controversie instaurate per ottenere collective redress a seguito di fatti<br />

lesivi aventi carattere plurioffensivo (lesioni di massa) sono spesso molto<br />

complicate. Esigono accertamenti di fatto articolati, applicazione precisa di<br />

norme di diritto, tutela dei diritti dei molti che partecipano all’iniziativa collettiva,<br />

e di quelli che non vi partecipano, ma che possono essere interessati<br />

all’esito.<br />

Molti Paesi dell’Unione non hanno ancora ammesso questo tipo di azioni<br />

nel giudizio statale e molti di quelli che di recente hanno dato spazio non<br />

hanno maturato esperienze sufficienti in materia ( 12 ). “Per quanto riguarda l’<strong>Italia</strong>,<br />

al marzo 2011, risultavano pendenti 11 azioni di classe promosse subito<br />

dopo l’entrata in vigore della legge ex art. 140 bis c. cons. (gennaio 2010). Tutte,<br />

salvo una, sono state dichiarate inammissibili all’esito della prima fase del<br />

giudizio. Le pronunce più significative sono del Trib. Torino, ord., 4 giugno<br />

2010 ( 13 ) che ha respinto la domanda promossa da associazioni di consumatori<br />

contro un istituto di credito perché tesa ad ottenere una sentenza di mero<br />

accertamento della scorrettezza di pratiche bancarie e non il risarcimento di<br />

consumatori in realtà non ancora danneggiati. Il provvedimento è stato confermato<br />

da Corte d’Appello Torino, ord., 27 ottobre 2010 ( 14 ).<br />

Trib. Milano, ord., 20 dicembre 2010 ( 15 ), ha dichiarato parzialmente am-<br />

( 12 ) Altri riferimenti in Vigoriti e Conte, Futuro giustizia azione collettiva mediazione,<br />

Torino, 2010.<br />

( 13 ) In Foro it., 2010, I, c. 2523.<br />

( 14 ) In Foro it., 2010, I, c. 2530.<br />

( 15 ) In Foro it., 2011, I, c. 2017. Si sa di altre azioni contro produttori di sigarette, contro istituti<br />

bancari, ma non se ne conoscono i dettagli.


SAGGI 95<br />

missibile un’azione promossa da un consumatore e da un’associazione di<br />

consumatori contro una società farmaceutica e tesa ad ottenere il risarcimento<br />

del danno subito dal singolo per l’assunzione di un farmaco antinfluenzale,<br />

nonché il risarcimento di tutti gli altri consumatori (non identificati)<br />

vittime dello stesso farmaco.<br />

Per il momento, pare dunque prematuro pensare di devolvere collective<br />

claims all’ADR, che prevedono di solito una gestione delle controversie<br />

con procedure semplificate, di breve durata e non costose.<br />

Negli USA è ammesso il ricorso al c.d. class arbitration solo quando la<br />

volontà dei membri della classe sia manifestata in modo univoco. Non basta<br />

quindi che le parti in un contratto abbiano convenuto che le eventuali<br />

controversie individuali vengano devolute ad arbitri per affermare ed<br />

espandere l’ambito della devoluzione, ma occorre che sia anche previsto<br />

che nell’ipotesi di class actions, la parte rinuncia all’azione in giudizio,<br />

unendosi all’iniziativa arbitrale. Nel silenzio delle clausole compromissorie<br />

inserite nei contratti, l’arbitrato è escluso ( 16 ).<br />

Quesito 13 – What are the most efficient ways to improve the resolution of<br />

cross-border disputes via ADR Are there any particular forms af ADR that are<br />

more suitable for cross-border disputes<br />

Sia l’arbitrato che la mediation sono funzionali allo scopo prefissato, dovendosi<br />

peraltro avvertire che il consumatore farà un solo tentativo e che assai<br />

difficilmente agirà in giudizio in caso di esito negativo. Entrambi gli istituti<br />

esigono accertamenti sommari in fatto, procedure rapide e non costose,<br />

condanne ad adempimenti non complicati (pagare, restituire).<br />

Non c’è bisogno di dettare regole diverse per i casi in cui la controversia<br />

coinvolga consumatori trasfrontalieri da quelle previste per i casi strettamente<br />

nazionali, al pari di quanto accade nei processi statali la cui disciplina<br />

si applica a tutti i rapporti contenziosi. Specie se si conviene che la sede<br />

dell’arbitrato o della mediation debba essere quella del consumatore. I<br />

problemi di maggior rilievo sono quelli linguistici, perché potrà essere necessario<br />

che l’arbitro o il mediator conoscano la lingua del contratto, dei<br />

documenti prodotti, quella che descrive il contenuto dei beni, oppure<br />

quella che ne regola la distribuzione, e sarà quindi indispensabile affidarsi<br />

a professionisti che sollevino le parti dall’onere di tradurre i documenti<br />

importanti ( 17 ).<br />

( 16 ) Stolt-Nielsen S.A. v. Animal Feeds Int’l Corp., 130 S.Ct. 1758 (2010).<br />

( 17 ) Gli artt. 3 e 6 D.M. n. 180/10 prevedono l’istituzione del registro degli organismi abilitati<br />

a svolgere la mediazione, all’interno del quale sono previsti elenchi di mediatori specializzati<br />

in rapporti di consumo e in rapporti internazionali.


96 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

5. – Quesito 14 – What is the most efficient way to fund an ADR scheme<br />

Il modo migliore per sostenere finanziariamente i programmi di ADR è<br />

probabilmente quello di sollecitare contributi sia pubblici che privati, il fabbisogno<br />

dei quali non è peraltro agevolmente determinabile.<br />

Le necessità saranno ridotte nel caso in cui il ricorso all’ADR sia facoltativo<br />

(ridottissime, se si tratta del solo contenzioso cross border), dovendosi<br />

evidentemente pensare ad un apparato non particolarmente articolato e<br />

non radicato su tutto il territorio nazionale. Il discorso sarà diverso se l’A-<br />

DR diventa obbligatoria, e lo diventa per un numero importante di casi, dovendosi<br />

allora predisporre strutture molto più capienti, ovviamente con<br />

oneri assai più pesanti. Poi occorre decidere in punto di dislocazione territoriale,<br />

dovendosi scegliere fra stabilire poche grandi sedi nei centri più importanti<br />

o più sedi meno articolate, ma facilmente accessibili sul territorio.<br />

I costi delle strutture (immobili, supporti logistici, personale fisso) saranno<br />

quelli di maggiore consistenza e dipenderanno dalle soluzioni adottate<br />

per i problemi precedenti. Con tutta probabilità, per qualche tempo, le<br />

strutture non saranno utilizzate a tempo pieno, e per questo converrà appoggiarsi<br />

ad enti già operativi, così da ridurre i costi di avviamento.<br />

Ci saranno anche costi legati all’attività di arbitri e mediatori. Dipenderanno<br />

dal numero delle controversie in cui essi sono coinvolti, dal lavoro<br />

necessario per la decisione o per la mediation, dal valore delle pretese, ma<br />

ovunque sono previsti onorari ridotti.<br />

Quesito 15 – How best to maintain independence, when the ADR scheme is<br />

totally or partially funded by the industry<br />

L’indipendenza dei singoli arbitri o mediators può essere assicurata fissando<br />

un sistema di assegnazione degli incarichi a sorteggio, oppure a rotazione<br />

fra un numero rilevante di soggetti disponibili, che saranno quasi<br />

sempre avvocati. I contributi privati riguarderanno poi soprattutto i costi<br />

fissi, di struttura, e non gli onorari dovuti ai professionisti coinvolti nei singoli<br />

casi, dovendo di questi farsi carico le parti.<br />

Quesito 16 – What should be the cost of ADR for consumers<br />

Ovviamente ridotto, comunque proporzionato al valore della controversia.<br />

Nel caso di arbitrato si applicherà il principio secondo cui i costi sono<br />

a carico del soccombente, mentre nella mediation le parti si accorderanno<br />

sulla ripartizione dell’onere.


ERMENEGILDO MARIO APPIANO<br />

Contributo al dibattito sulla mediazione civile e commerciale<br />

Sommario: 1. Premessa. – 2. Come opera il mediatore – 3. Che cosa intende il legislatore<br />

per mediazione – 4. La condizione di procedibilità alla luce del principio dell’equo<br />

processo. – 5. La rilevanza delle questioni giuridiche in mediazione. – 6. Perché è opportuno<br />

che le parti partecipino personalmente alla mediazione – 7. L’utilità della mediazione.<br />

– 8. In conclusione.<br />

1. – Per effetto dell’adozione della recente legislazione italiana in materia<br />

( 1 ), negli ultimi tempi la mediazione in materia civile e commerciale ( 2 ) è<br />

al centro di un vivo dibattito ( 3 ), i cui toni accesi – se non addirittura viscerali,<br />

talora – tendono spesso a trascurare gli aspetti tecnici della questione, i<br />

quali invece dovrebbero forse costituire l’elemento centrale della discussione<br />

stessa.<br />

( 1 ) Decreto legislativo del 4 marzo 2010, n. 28, attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno<br />

2009, n. 69 in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e<br />

commerciali (da ora il “Decreto Legislativo”), e relativo provvedimento di attuazione, costituito<br />

dal Decreto del Ministero della Giustizia del 10 ottobre 2010, n. 180 (da ora il “Decreto<br />

Attuativo”).<br />

( 2 ) In ambito penale, il ricorso alla mediazione viene promosso dall’Unione Europea mediante<br />

l’art. 10 della decisione quadro del Consiglio del 15 marzo 2001, relativa alla posizione<br />

della vittima nel procedimento penale (2001/220/GAI). Per coglierne lo spirito, è particolarmente<br />

significativo – seppure riferito ad un contesto ben diverso e si spera lontano – il libro di<br />

Tutu, Non c’è futuro senza perdono, Milano, 1999. Se ne veda in particolare il quinto capitolo,<br />

dal titolo: “un’udienza dedicata alle vittime”. Con riferimento all’<strong>Italia</strong>, si veda invece Scivoletto,<br />

Mediazione penale minorile, Rappresentazioni e pratiche, Milano, 2009.<br />

( 3 ) Nella propria Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2010 (punto 3.1),<br />

presentata in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2011, il Primo Presidente<br />

della Corte di Cassazione (dott. Ernesto Lupo) ha dichiarato: “Merita consenso l’iniziativa governativa<br />

della mediazione realizzatasi con il d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, in attuazione di orientamenti<br />

dell’Unione europea. È essenziale, pertanto, che si superino, prima dell’entrata in vigore del<br />

provvedimento (prevista per il 20 marzo 2011), le difficoltà applicative segnalate dal Consiglio nazionale<br />

forense. Occorre, purtroppo, rilevare che la Pubblica Amministrazione, come parte in un<br />

numero elevato di controversie, non fornisce un apporto di tipo conciliativo, pure possibile di fronte<br />

ad indirizzi giurisprudenziali ormai consolidati, ma tende a riversare sulle pronunce giurisdizionali<br />

la soluzione di controversie che potrebbero essere, se non eliminate, quantomeno semplificate<br />

attraverso una fase conciliativa precontenziosa. . . . Più in generale, non si può ignorare un’anomalia<br />

che ci caratterizza rispetto ad altri Paesi: l’elevatissimo e crescente numero di avvocati”.


98 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Per contribuire a quest’ultima, pare allora utile riportare l’attenzione sugli<br />

argomenti attualmente un po’ negletti, chiarendo però subito che si è<br />

ben lungi da alcuna pretesa di esaustività. Di conseguenza, quanto seguirà<br />

va semplicemente inteso come l’offerta di qualche sintetico spunto di riflessione<br />

e nulla più.<br />

Carne al fuoco ve ne è tanta: nella prassi, come opera il mediatore Come<br />

viene concepita la mediazione dal legislatore È legittimo prevedere<br />

che, in talune materie, l’esperimento della mediazione rappresenti una condizione<br />

di procedibilità per le domande giudiziali ovvero ciò lede il principio<br />

dell’equo processo Quale rilevanza assumono le questioni giuridiche in sede<br />

di mediazione e, di conseguenza, quale funzione esplicano i consulenti –<br />

in particolare gli avvocati – che assistono i litiganti in tale contesto Le parti<br />

devono partecipare personalmente Serve realmente la mediazione<br />

2. – Sembra sensato iniziare la disamina da questo quesito, siccome la<br />

mediazione – come molti altri fenomeni del mondo economico e giuridico<br />

– è un’attività nata e sviluppatasi nella prassi, cui è poi seguita l’attenzione<br />

da parte dei vari legislatori.<br />

La mediazione può svolgersi applicando tecniche ADR ( 4 ) ben diverse<br />

tra loro, ciascuna delle quali si fonda su presupposti e metodi di lavoro alquanto<br />

differenti ( 5 ). Ribadiamo – non nascondendo un certo stupore verso<br />

chi ancora fraintende – che non si tratta affatto di una forma alternativa di<br />

giustizia, siccome il rendere quest’ultima rappresenta un esclusivo nonché<br />

specifico compito dell’autorità giudiziaria ovvero degli arbitri. Né parliamo<br />

della panacea di tutti i mali.<br />

Tra le principali tecniche di mediazione si annoverano la mediation e la<br />

expert evaluation, entrambe fondate sui seguenti presupposti: la riservatezza;<br />

il non imporre in alcun modo alle parti la soluzione per la loro lite; la totale<br />

neutralità della mediazione rispetto all’eventuale successivo giudizio in<br />

sede contenziosa, siccome il partecipare ad una sessione di mediazione non<br />

( 4 )Per Alternative Dispute Resolution (il cui acronimo è ADR) si intendono i sistemi di soluzione<br />

delle controversie alternativi al ricorso in giustizia dinanzi all’Autorità giudiziaria ovvero<br />

agli arbitri, è cioè a quei soggetti cui compete decidere una controversia in modo vincolante<br />

per le parti.<br />

( 5 )Per un approfondimento: Amerio, Appiano, Boggio, Comba e Saffirio, La mediazione<br />

nelle liti civili e commerciali – Metodo e regole, Milano, 2010; Bove, La mediazione per la<br />

composizione delle controversie civili e commerciali, Milano, 2010; Iannini, Guida alla nuova<br />

conciliazione e mediazione, 2010; Tripodi e Mascia, Il codice della mediazione e della conciliazione,<br />

Milano, 2010; Vaccà e Martello, La mediazione delle controversie, Milano, 2010.


SAGGI 99<br />

comporta alcun pregiudizio di sorta alla futura posizione dei litiganti dinanzi<br />

a chi eventualmente li giudicherà; la libertà delle parti nel decidere come<br />

strutturare e disciplinare detti meccanismi.<br />

La mediation è la negoziazione della lite con l’assistenza di un terzo<br />

neutrale, che favorisce l’efficacia della discussione. Detta metodologia è<br />

ispirata dall’approccio sistemico ( 6 ) alla soluzione del contenzioso, considerato<br />

il meccanismo conoscitivo più appropriato per le liti che presentano<br />

una certa complessità e vedono coinvolte parti legate da rapporti personali<br />

o economici da salvaguardare. Esso è del tutto antitetico a quello che caratterizza<br />

il processo civile, quest’ultimo necessariamente ed indiscutibilmente<br />

fondato su una modalità conoscitiva di tipo lineare.<br />

Nella mediation si evita infatti di incentrare il discorso sullo stabilire cosa<br />

sia vero o falso e cosa giusto o ingiusto, siccome ciò condurrebbe a ridurre<br />

ogni soluzione negoziale ad un mero compromesso, frutto di trattative<br />

condotte sui confini di quelle che le parti reputano le “vere” questioni. Quest’ultimo<br />

atteggiamento è proprio del negoziato di posizione, ove i litiganti<br />

restano arroccati sulle proprie richieste, le quali non vengono in sostanza<br />

modificate per effetto delle concessioni, che ciascuno si dichiara disponibile<br />

a fare in favore della controparte. Situazione che spesso conduce al fallimento<br />

le trattative condotte direttamente dalle parti ovvero mediante l’ausilio<br />

dei loro consulenti ( 7 ). La mediation vuole invece superare tale angusto<br />

contesto. L’obiettivo è l’ampliamento della comunicazione tra i litiganti, attraverso<br />

lo scambio di nuove informazioni e il coinvolgimento di nuovi soggetti<br />

(almeno il terzo neutrale), in modo da far emergere le reali ragioni dello<br />

scontro. Così procedendo, le parti vengono liberate dagli schemi mentali<br />

utilizzati sino a quel momento nel conflitto, giacché il terzo – qui risiede<br />

l’essenza di questa metodologia, che si esplica durante la cosiddetta “fase<br />

esplorativa”, ove si concretizza l’approccio sistemico al contenzioso – indirizza<br />

i litiganti ad individuare quali sono i loro concreti interessi in gioco e<br />

quali i punti in comune al riguardo.<br />

Conseguentemente, concentrando l’attenzione sull’interesse delle parti,<br />

il terzo favorisce l’emergere di prospettive in grado di generare soluzioni<br />

prima non immaginate. L’idea è uscire dal conflitto mediante soluzioni il<br />

più possibile elastiche, capaci di ridurre al minimo gli effetti dannosi della<br />

( 6 ) In materia si segnala l’interessante libro di Gandolfi, Formicai, imperi, cervelli – Introduzione<br />

alla scienza della complessità, Torino, 1999, e in particolare p. 283.<br />

( 7 ) Mnookin, Beyond winning – Negotiating to create value in deals and disputes, Cambridge,<br />

2000; Fisher e Brown, Troviamo un accordo, Milano, 2008 (traduzione di Getting together,<br />

1988).


100 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

lite (sia economici che relazionali) per ciascuna delle parti, se non addirittura<br />

di generare un plus-valore: cosa ben lontana dalla tradizionale concezione<br />

di transazione in perdita, ove ognuna delle parti rinuncia a qualche pretesa<br />

pur di appianare la lite. In altre parole: per la mediation, l’uscita dal conflitto<br />

è spesso conseguibile non solo riducendo il danno, ma valorizzando<br />

tutti gli interessi delle parti coinvolte, in modo da creare tra loro nuove situazioni<br />

o relazioni economiche, cui sarebbe assolutamente impossibile<br />

pervenire per effetto di una decisione in sede contenziosa.<br />

La tecnica di mediation presenta due varianti. Per entrambe, comunque,<br />

resta assolutamente centrale la “fase esplorativa”. Le differenze sono<br />

invece riconducibili ai limiti entro cui il terzo neutrale deve contenere la<br />

propria attività rispetto al contenuto dell’eventuale accordo.<br />

Nella prima variante, la facilitative mediation, il mediatore limita la propria<br />

azione a un intervento di carattere “maieutico” sulle parti, evitando accuratamente<br />

qualsiasi interferenza sulle loro valutazioni in merito al possibile<br />

oggetto dell’accordo. Secondo tale metodologia, l’efficacia del mediatore<br />

è legata al non-giudizio: ciò implica che egli può naturalmente avere<br />

delle opinioni, ma gli è vietato esprimerle all’interno del processo. Una volta<br />

fatto emergere cosa è di comune interesse alle parti, egli deve limitarsi a<br />

condurre la discussione formulando ipotesi di ragionamento quanto mai<br />

aperte, in modo tale che siano gli stessi contendenti ad individuare come risolvere<br />

le cause del loro conflitto ( 8 ).<br />

Nella seconda, la evaluative mediation, se necessario il mediatore assume<br />

un atteggiamento più propositivo sul contenuto del possibile accordo<br />

fra le parti, fermo restando che ciò avviene in modo mai invasivo o impositivo<br />

e solo quando – dopo l’effettiva esecuzione di un’approfondita “fase<br />

esplorativa” – la trattativa entra comunque in fase di stallo.<br />

In considerazione della funzione esplicata dal terzo neutrale, emerge<br />

che la sua peculiare professionalità – cosa del tutto nuova per noi – consiste<br />

essenzialmente nell’assistere in modo adeguato le parti durante la citata<br />

“fase esplorativa”, favorendo la comunicazione e la riflessione, senza dispensare<br />

giudizi (spesso fastidiosi e controproducenti, anche se dati con le<br />

migliori intenzioni). Competenza interdisciplinare, dunque, ben diversa rispetto<br />

alle cognizioni in possesso di chi è il sommo vate della materia su cui<br />

verte la contesa.<br />

( 8 ) M. Hayens, L. Hayens, Fong, La mediazione – Strategie e tecniche per la risoluzione<br />

positiva dei conflitti, Roma, 2003, pp. 123 e 135, evidenziano come “l’efficacia del mediatore è<br />

legata al non-giudizio. Egli può naturalmente avere delle opinioni, ma non può esprimerle all’interno<br />

del processo”.


SAGGI 101<br />

Diversa metodologia è la neutral evaluation (anche detta expert evaluation,<br />

e cioè valutazione neutrale, sostanzialmente paragonabile a un parere<br />

pro veritate), dove le parti chiedono semplicemente ad un terzo di esprimere<br />

un’opinione – riservata e non vincolante – su un determinato fatto ovvero<br />

un problema di natura tecnica ovvero una questione giuridica. Da non<br />

confondersi con l’expertise (invece piuttosto vicino alla perizia contrattuale),<br />

in cui il terzo neutrale non solo assiste le parti che si trovano a confrontarsi<br />

su una questione meramente tecnica, da cui può scaturire una controversia,<br />

ma – se richiesto – decide anche la questione sottopostagli, cosa quest’ultima<br />

che può anche avvenire nell’ambito di un procedimento arbitrale,<br />

e cioè quando la lite è già insorta nonché sfociata in un contenzioso.<br />

Nella neutral evaluation, dunque, il terzo neutrale è chiamato ad esprimere<br />

la propria opinione circa la specifica questione che gli è sottoposta dalle<br />

parti, dichiarando infine quale può essere la soluzione corretta sul piano<br />

tecnico o giuridico, a seconda della natura del quesito. Dunque, si tratta di<br />

un giudizio (seppure non vincolante ed espresso in via riservata) che conduce<br />

ad individuare la soluzione vera o giusta, anticipando così l’esito della<br />

valutazione cui si potrebbe pervenire in sede contenziosa. Per operare in<br />

modo adeguato, il terzo non solo deve essere esperto nella materia controversa,<br />

ma necessita anche di venire posto nelle condizioni adeguate per<br />

esprimersi con cognizione di causa. Va da sé che, qualora la controversia<br />

concerna una questione di natura tecnica e non giuridica, a rivestire il ruolo<br />

del mediatore non deve essere un avvocato. Anche per questo motivo la<br />

nuova normativa sulla mediazione non riserva tale compito solo ai giuristi,<br />

ma lo estende anche a tutte le altre categorie professionali, ivi compresi coloro<br />

che risultano iscritti in un collegio ( 9 ).<br />

Quanto sino ad ora illustrato non viene smentito dalla circostanza che<br />

nella evaluative mediation al terzo neutrale è comunque consentito rivelare<br />

una propria valutazione circa la soluzione della controversia. La coerenza<br />

risiede nella circostanza che nella evaluative mediation siffatta attività<br />

si fonda su presupposti completamente diversi: il mediatore deve farsi<br />

guidare da quanto è emerso – durante le discussioni da lui condotte –<br />

essere il reale interesse comune ai litiganti. Focalizzando allora l’attenzione<br />

esclusivamente su quest’ultimo, il mediatore potrebbe anche proporre<br />

un’ipotesi di accordo che trascende addirittura dalla materia oggetto<br />

del contendere: in altre parole, se volessimo equiparare la lite ad una<br />

malattia, egli tende a proporre una soluzione che ne cura la causa e non il<br />

( 9 ) Decreto Legislativo, art. 19, nonché Decreto Attuativo, art. 4, comma 3, lettera a).


102 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

sintomo. Ciò spesso conduce il mediatore ad elaborare una proposta di<br />

composizione che ben può allontanarsi da quello che sarebbe l’esito di un<br />

giudizio dove, anziché guardare all’interesse delle parti, necessariamente<br />

si decide il caso controverso secondo diritto, nei limiti della domanda<br />

giudiziale, attenendosi a quanto accertato essere la realtà processuale durante<br />

la fase istruttoria. In tal modo, sovente il giudice cura solo il sintomo<br />

della malattia.<br />

In definitiva: nella mediation la proposta del terzo è un elemento meramente<br />

eventuale e non ne rappresenta affatto l’aspetto caratterizzante, riconducibile<br />

invece alla “fase esplorativa”. Se il mediatore trascura quest’ultima<br />

per concentrarsi nell’elaborare una proposta, egli travisa il proprio<br />

compito, che forse non ha nemmeno ben compreso.<br />

Decisamente diverse, se non antitetiche rispetto a quanto sino ad ora illustrato,<br />

sono invece le caratteristiche di un’altra metodologia, l’adjudication.<br />

Essendo tendenzialmente paragonabile a un giudizio sommario, ove il<br />

valore privilegiato è la celerità nella decisione, tale sistema conduce a una<br />

valutazione sul merito del conflitto, che non solo non è mai riservata, ma –<br />

a seconda di come viene disciplinato il meccanismo – può condizionare in<br />

modo significativo l’eventuale successivo giudizio in sede contenziosa ovvero<br />

può addirittura assumere valore vincolante fra le parti (nella seconda<br />

ipotesi gravando i dissenzienti dell’onere di esperire particolari impugnazioni,<br />

al fine di sottrarsi a siffatto effetto).<br />

Ferme tali fondamentali differenze, anche nella tecnica di adjudication<br />

il mediatore è chiamato a stabilire, a seconda della propria specifica competenza<br />

in materia, qual è sul piano tecnico o giuridico la soluzione corretta di<br />

una vertenza. Sotto quest’ultimo aspetto, allora, l’attività del mediatore che<br />

pratica una adjudication tende ad assomigliare a quella di chi effettua una<br />

expert evaluation, ma non si identifica del tutto. Infatti, stante il profondo<br />

divario tra le caratteristiche di fondo delle due citate metodologie, il primo<br />

deve rigorosamente garantire il rispetto del principio del contraddittorio<br />

(che pare incompatibile con lo svolgimento di incontri separati tra mediatore<br />

e singole parti) ( 10 ), mentre ciò non rappresenta un problema troppo assillante<br />

per il secondo, essendo piuttosto suo compito l’assicurare un tratta-<br />

( 10 ) Ciò spiega perché il Decreto Attuativo, disciplinando il contenuto dei regolamenti di<br />

mediazione dei singoli Organismi, suggerisce che “in caso di formulazione della proposta ai<br />

sensi dell’articolo 11 del decreto Legislativo, la stessa può provenire da un mediatore diverso da<br />

quello che ha condotto sino ad allora la mediazione e sulla base delle sole informazioni che le parti<br />

intendono offrire al mediatore proponente” (art. 7, comma 2, lett. b, prima parte). Per un commento,<br />

Appiano, in Aa.Vv., La mediazione nelle liti civili e commerciali, cit., pp. 341 e 364.


SAGGI 103<br />

mento equilibrato alle parti, le quali trovano nella riservatezza e nella neutralità<br />

della metodologia la garanzia avverso la formulazione di un parere<br />

che potrebbe risultare non condivisibile, a causa delle circostanze in cui il<br />

mediatore ha raccolto gli elementi per fondare la propria valutazione.<br />

La scelta della tecnica di mediazione, da adottare nella singola fattispecie,<br />

dipende da alcuni fattori.<br />

In primo luogo, le eventuali richieste avanzate dalle parti in proposito,<br />

le quali possono già aver identificato il tipo di assistenza cui necessitano per<br />

tentare di comporre la lite, e cioè se serve loro avere un parere pro veritate –<br />

motivato o meno – su una particolare questione (tecnica e/o giuridica) ovvero<br />

un aiuto nella trattativa finalizzata alla conciliazione.<br />

In secondo luogo, la tipologia del contenzioso: in effetti, la tecnica di expert<br />

evaluation sembra più funzionale per mediare una lite in materia di responsabilità<br />

civile discendente dalla circolazione di veicoli ( 11 ), siccome i<br />

fatti da cui scaturisce simile conflitto (la dinamica del sinistro), le relazioni<br />

sussistenti tra le parti (l’essere stati coinvolti nell’incidente nonché l’esistenza<br />

di un rapporto assicurativo) ed i loro rispettivi interessi (valutare l’an<br />

ed il quantum del risarcimento nel modo più conveniente per ciascuno) sono<br />

ben definiti e limitati, per cui difficilmente si prestano all’indagine della<br />

“fase esplorativa” tipica della mediation. Quest’ultima è finalizzata a promuovere<br />

la consapevolezza delle parti, portandole anche a considerare la lite<br />

come un semplice elemento che, da un canto, si inserisce all’interno di<br />

un loro più ampio rapporto (economico e/o personale) e che, dall’altro, va<br />

risolta nel modo più proficuo per tutti evitando di dissipare ricchezza. Pertanto<br />

la mediation appare ad esempio più appropriata per la mediazione delle<br />

controversie in materia di successioni.<br />

In terzo luogo, il valore della controversia: raffinata metodologia, la mediation<br />

presuppone l’impiego di una certa quantità di tempo (mai avvicinabile<br />

a quella di un processo o un arbitrato, però!), che – per ovvie ragioni<br />

economiche – difficilmente è dedicabile a controversie di valore bagatellare<br />

o estremamente modico. Per queste ultime, allora, il mediatore tenderà verosimilmente<br />

a combinare tecniche di natura facilitativa (quali, ad esempio,<br />

quelle sottese alla Raccomandazione CE del 2001 sugli organismi di conciliazione<br />

per le controversie individuali in materia di consumo) a metodologie<br />

valutative (le prassi considerate dalla Raccomandazione CE del 1998 su<br />

analoga materia ovvero l’adjudication). In tale contesto, se le parti non si ac-<br />

( 11 ) Appiano, La mediazione delle controversie sulla responsabilità civile derivante dalla circolazione<br />

dei veicoli, in corso di pubblicazione su La mediazione, 2011.


104 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

cordano, il mediatore sarà portato a concludere la propria azione suggerendo<br />

loro una soluzione, espressa nei termini di una proprosta contrattuale<br />

non motivata, onde salvaguardare la riservatezza della mediazione. Rendendo<br />

ignoto l’iter logico seguito dal mediatore, l’assenza di motivazione<br />

dovrebbe pure sedare il timore – verosimilmente di per sé infondato – che la<br />

sua proposta sia in grado di influenzare il giudizio del magistrato successivamente<br />

chiamato a decidere la controversia.<br />

In pratica: dopo aver accolto i propri clienti, compete al mediatore chiarire<br />

loro come egli intende procedere, e cioè individuare la tecnica da applicare,<br />

se del caso discutendo tale scelta con le parti stesse.<br />

Siffatto modus operandi è coerente con i principi deontologici sanciti dal<br />

Codice Europeo per i Mediatori (che rappresenta il “codice etico” scelto da<br />

vari Organismi italiani di mediazione, in osservanza a quanto disposto dal<br />

Decreto Legislativo) ( 12 ), secondo cui ( 13 ):<br />

“il mediatore deve sincerarsi che le parti coinvolte nella mediazione comprendano le caratteristiche<br />

del procedimento di mediazione e il ruolo del mediatore e delle parti nell’ambito<br />

dello stesso”<br />

e trova altresì conferma nella prassi internazionale, come si evince dalle<br />

ADR rules della International Chamber of Commerce (ICC):<br />

“The Neutral and the parties shall promptly discuss, and seek to reach agreement upon,<br />

the settlement technique to be used, and shall discuss the specific ADR procedure to be<br />

followed.<br />

In the absence of an agreement of the parties on the settlement technique to be used,<br />

mediation shall be used”.<br />

3. – Mediante la Direttiva 2008/52/CE ( 14 ), l’Unione Europea ha fissato<br />

alcuni principi sulla mediazione delle controversie trasfrontaliere in materia<br />

civile e commerciale. A salvaguardia dell’autonomia privata, la Direttiva<br />

non disciplina affatto il modo in cui deve svolgersi la mediazione, ma all’art.<br />

3 si limita a darne semplicemente la definizione comunitaria, intendendo<br />

per tale “un procedimento strutturato, indipendentemente dalla denominazione,<br />

dove due o più parti di una controversia tentano esse, su base volontaria, di<br />

( 12 ) Art. 16 del Decreto Legislativo: ogni Organismo di mediazione deve adottare un “codice<br />

etico”, da comunicarsi al Ministero della Giustizia.<br />

( 13 ) Art. 3.1 del Codice Europeo per i Mediatori.<br />

( 14 ) Direttiva 2008/52/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008, relativa<br />

a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale (da ora la “Direttiva”).


SAGGI 105<br />

raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un<br />

mediatore” ( 15 ), e cioè un terzo neutrale, cui è richiesto di agire in modo efficace,<br />

imparziale e competente.<br />

Per capire cosa intende il legislatore europeo per “mediazione”, è utile<br />

guardare al campo di applicazione della Direttiva stessa. In effetti, ciò che<br />

esula da quest’ultimo, non può essere considerato un procedimento rientrante<br />

nella nozione di “mediazione” fissata dal diritto comunitario. Quest’ultima<br />

non comprende dunque l’arbitrato (la cosa è ovvia, ma è opportuno<br />

evidenziarlo, in vista di quanto si dirà successivamente), i reclami dei<br />

consumatori nonché i procedimenti gestiti da persone od organismi che<br />

emettono una raccomandazione formale, sia essa legalmente vincolante o<br />

meno, per la risoluzione della controversia. Lo stesso vale per i “processes of<br />

an adjudicatory nature”, come si evince dalla versione in lingua inglese ( 16 ).<br />

Di conseguenza per la Direttiva è “mediazione” quella condotta secondo<br />

la tecnica di mediation o di expert evaluation (siccome la riservatezza copre<br />

ogni aspetto di quanto avviene dinanzi al mediatore e, al termine dell’incontro,<br />

non viene adottata alcuna proposta in modo formale, se le parti non si<br />

accordano), ma non quella svolta ricorrendo alla tecnica di adjudication.<br />

La Direttiva non osta ovviamente all’esistenza di tutto ciò che esula dal<br />

suo ambito di applicazione. Pertanto, gli Stati membri restano innanzitutto<br />

liberi di disciplinare la mediazione delle liti interne in materia civile e commerciale<br />

come meglio essi ritengono. Per quanto concerne le controversie<br />

trasfrontaliere, la Direttiva nemmeno impedisce l’esistenza di sistemi ADR<br />

aventi caratteristiche diverse da quelle presupposte dalla nozione comunitaria<br />

di “mediazione”. Tuttavia, la Direttiva impone agli Stati di garantire<br />

che – per le controversie trasfrontaliere – sia anche disponibile un procedimento<br />

di “mediazione” conforme a detta definizione.<br />

Nemmeno il legislatore italiano disciplina come vada svolta la mediazione,<br />

siccome il Decreto Legislativo – senza distinguere tra liti interne e<br />

trasfrontaliere – rinvia all’uopo ai regolamenti adottati dai singoli Organismi<br />

che prestano tale servizio ( 17 ). Pertanto, la scelta su come condurre la<br />

mediazione (e cioè a quale tecnica ricorrere) è lasciata a questi ultimi, che<br />

potranno o meno condividerla con le parti di volta in volta interessate. Ciò<br />

nonostante, a livello di fonte legislativa nel nostro ordinamento viene previsto<br />

che, qualora le parti non riescano ad accordarsi per comporre la lite, il<br />

( 15 ) Art. 3 del Decreto Legislativo.<br />

( 16 ) Art. 3 e considerando n. 11 della Direttiva.<br />

( 17 ) Art. 3, comma 1, del Decreto Legislativo.


106 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

mediatore abbia facoltà di proporre formalmente una soluzione conciliativa,<br />

su cui le parti sono tenute a prendere posizione ( 18 ). La facoltà si trasforma<br />

in obbligo per il mediatore, se tutte le parti concordemente gli richiedono<br />

di formulare la formale proposta. In entrambe i casi, quest’ultima viene<br />

incorporata nel verbale di mediazione ( 19 ) che, se i litiganti non si conciliano,<br />

viene portato a conoscenza del magistrato competente a conoscere la<br />

controversia, onde consentirgli di regolare il regime delle spese processuali,<br />

comparando l’esito finale del processo da lui presieduto con le posizioni<br />

precedentemente assunte dalle parti rispetto a quanto era stato suggerito<br />

loro dal mediatore ( 20 ).<br />

A rigore, il Decreto Legislativo non specifica i criteri cui deve attenersi il<br />

mediatore nell’elaborare la formale proposta in questione. Tuttavia il nesso,<br />

creato tra la stessa ed il regime delle spese relative al successivo processo<br />

in sede giudiziaria, porta a pensare che il meccanismo riesce a funzionare<br />

unicamente se il criterio valutativo utilizzato dal mediatore coincide con<br />

quello decisionale poi seguito dal magistrato. Ciò accade solo quando il primo<br />

compie una adjudication, seppure in forma blanda, visti i suoi limitati<br />

effetti. Qui si rivela dunque una discordanza rispetto alla Direttiva, che invece<br />

non considera “mediazione” le procedure comportanti adjudication.<br />

Per conferire coerenza al sistema, una prima idea parrebbe suggerire al<br />

mediatore, in forza presso Organismi italiani, di astenersi dalla proposta aggiudicativa,<br />

qualora la controversia abbia natura trasfrontaliera e non sia<br />

qualificabile come un reclamo in materia consumeristica. Ciò ovviamente<br />

non gli impedisce di formulare alle parti proposte informali, e cioè aventi<br />

natura riservata, poiché avanzate senza ricorrere ai rigidi meccanismi individuati<br />

dal Decreto Legislativo ( 21 ). Diviene forse tutto di più semplice comprensione,<br />

se si identificano tali proposte informali con quelle tipiche della<br />

evaluative mediation (ricordando però sempre che queste ultime non rappresentano<br />

affatto l’elemento centrale dell’attività di chi ricorre a detta tecnica)<br />

ovvero con il parere pro veritate riservato tipico della expert evaluation.<br />

Una seconda idea si fonda poi sulla constatazione che la mediazione disciplinata<br />

dal Decreto Legislativo comprende anche le controversie in ma-<br />

( 18 )L’idea che il mediatore (o conciliatore) debba formulare una formale proposta alle<br />

parti non rappresenta affatto una peculiarità del Decreto Legislativo. Per una disamina del<br />

passato, mi permetto di rinviare al mio scritto Mediation e procedura civile, in questa rivista,<br />

2002, p. 1.<br />

( 19 ) Art. 11 del Decreto Legislativo.<br />

( 20 ) Art. 13 del Decreto Legislativo.<br />

( 21 ) Art. 11 del Decreto Legislativo.


SAGGI 107<br />

teria di consumo, che – anche quando trasfrontaliere – esulano dal campo di<br />

applicazione della Direttiva ( 22 ). Di conseguenza, nulla pare ostare a che il<br />

mediatore utilizzi per esse una metodologia valutativa, accompagnata da<br />

adjudication, se le parti non tendono a conciliare. Lo stesso approccio pare<br />

forse sensato anche per la mediazione delle altre liti bagatellari in materia<br />

civile e commerciale aventi natura prettamente interna al nostro Stato, siccome<br />

tali conflitti non paiono molto diversi – quanto meno in termini economici<br />

– rispetto alle controversie individuali di consumo.<br />

Ciò va comunque inteso con una certa elasticità: in materia locatizia, ad<br />

esempio, una vertenza di modico valore (si pensi alla ripartizione della spesa<br />

per la sostituzione delle cinghie di una tapparella) potrebbe rappresentare<br />

il segnale di un più ampio malessere che affligge le parti del rapporto di<br />

locazione. Se così fosse, si imporrebbe di ricorrere alla mediation, a condizione<br />

però che le parti accettino di sostenerne il costo, accordandosi sulla<br />

circostanza che il valore della controversia diviene verosimilmente indeterminato,<br />

non avendo più senso calcolarlo in base a quello del modesto casus<br />

belli. Altrimenti non resta che condurre la mediazione con modalità appropriate<br />

all’importo di quest’ultimo.<br />

Nella mediazione amministrata italiana, dunque, la chiave di volta dell’intero<br />

sistema è rappresentata dalla facoltà per il mediatore – che diviene<br />

obbligo solo in presenza di richiesta congiunta delle parti tutte ( 23 ) – di formulare<br />

o meno la proposta aggiudicativa. Avvalendosi sapientemente di<br />

detta facoltà, egli è allora in grado di condurre la mediazione nel modo più<br />

coerente con la tecnica di volta in volta prescelta. L’unica condizione è che,<br />

all’inizio di ogni mediazione, chi la tiene spieghi adeguatamente ai litiganti<br />

se e come egli intende addivenire alla formulazione della proposta aggiudicativa<br />

al termine della procedura stessa. Ciò non solo consente al mediatore<br />

di assolvere al precetto deontologico in precedenza citato ( 24 ), ma anche<br />

di instaurare le condizioni per lavorare con efficacia. In mancanza di chiarezza,<br />

infatti, le parti sono giustamente restie a concedere fiducia al mediatore.<br />

4. – Sul piano del diritto comunitario, la Direttiva né impone, né vieta<br />

agli Stati di introdurre nei loro ordinamenti alcun obbligo per le parti di ri-<br />

( 22 ) Il citato considerando 11 della Direttiva osserva che la stessa non deve applicarsi ai “reclami<br />

dei consumatori”, per i quali vigono le due apposite Raccomandazioni della Commissione,<br />

rispettivamente adottate nel 1998 e nel 2001.<br />

( 23 ) Decreto Legislativo, art. 11, comma 1.<br />

( 24 ) Art. 3.1 del Codice Europeo per i Mediatori, cit.


108 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

correre alla “mediazione” ( 25 ) e tanto meno di istituire apposti Organismi<br />

cui affidare tale servizio.<br />

Ciò fermo, la Direttiva fissa agli Stati un importante limite: l’eventuale<br />

obbligatorietà di ricorrere alla “mediazione” non deve creare pregiudizio<br />

al diritto fondamentale dei cittadini ad accedere alla tutela giurisdizionale<br />

( 26 ). Ciò confliggerebbe con i fini stessi della Direttiva, la quale si<br />

propone di promuovere i diritti fondamentali dei singoli, tenendo conto<br />

dei principi riconosciuti dalla relativa Carta dell’Unione Europea ( 27 ), ora<br />

avente valore giuridico di trattato tra gli Stati membri ( 28 ).<br />

Per capire quando siffatto pregiudizio può in concreto sussistere, si deve<br />

guardare alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, che di recente ha<br />

fornito alcune importanti indicazioni al riguardo, pronunciandosi con riferimento<br />

alla condizione di procedibilità prevista in <strong>Italia</strong> per le controversie<br />

in materia di telecomunicazioni.<br />

Punto di partenza del ragionamento seguito dalla Corte comunitaria<br />

(che a sua volta si richiama alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo) è<br />

il seguente:<br />

“... secondo una giurisprudenza costante, i diritti fondamentali non si configurano come<br />

prerogative assolute, ma possono soggiacere a restrizioni, a condizione che queste rispondano<br />

effettivamente ad obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi<br />

e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato ed inaccettabile,<br />

tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti (v., in tal senso, sentenza<br />

15 giugno 2006, causa C-28/05, Dokter e a., Racc. p. I 5431, punto 75, e giurisprudenza ivi citata,<br />

nonché Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, sentenza Fogarty c. Regno Unito del 21<br />

novembre 2001, Recueil des arrêts et décisions 2001-XI, § 33)” ( 29 ).<br />

( 25 ) Art. 5, comma 2, della Direttiva.<br />

( 26 ) Art. 5, comma 2 nel finale, della Direttiva.<br />

( 27 )Titolo VI della Carta. In materia, bisogna anche richiamare il considerando n. 21 alla<br />

Raccomandazione 98/257/CE, cit.: “considerando che, in conformità con l’articolo 6 della Convenzione<br />

europea dei diritti dell’uomo, l’accesso ai tribunali costituisce un diritto fondamentale<br />

che non conosce eccezioni; che quando il diritto comunitario garantisce la libera circolazione delle<br />

merci e dei servizi nel mercato interno, la possibilità per gli operatori, compresi i consumatori,<br />

di adire le giurisdizioni di uno Stato membro per decidere le controversie cui le loro attività economiche<br />

possono dar luogo, allo stesso titolo dei cittadini di questo Stato, costituisce il corollario di<br />

tali libertà; che le procedure extragiudiziali non possono proporsi di sostituire il sistema giudiziario;<br />

che di conseguenza l’utilizzazione della via extragiudiziale non può privare il consumatore del<br />

suo diritto d’accesso ai tribunali se non quando egli lo accetti esplicitamente, in piena conoscenza<br />

di causa e in una fase posteriore all’insorgere della controversia”.<br />

( 28 ) Art. 6 del Trattato sull’Unione Europea, introdotto per effetto del Trattato di Lisbona.<br />

( 29 ) Corte CE, 13 marzo 2010, cause riunite C-317/08, C-318/08, C-319/08 e C-320/08,


SAGGI 109<br />

Di conseguenza, per la Corte di Giustizia il fondamentale diritto all’equo<br />

processo non osta – in via generale – alla presenza di condizioni di procedibilità<br />

delle domande giudiziarie ricollegabili a forme obbligatorie di<br />

mediazione, purché siano rispettate le seguenti condizioni ( 30 ).<br />

In primo luogo, non deve essere impedito l’immediato ricorso alla tutela<br />

giurisdizionale in via cautelare. Tale principio è coerente con quanto era<br />

già stato in precedenza enunciato in riferimento al settore degli appalti pubblici,<br />

ove esistono apposite norme comunitarie che assicurano ai privati il<br />

diritto a disporre di rapidi mezzi di ricorso avverso le decisioni assunte dalle<br />

pubbliche amministrazioni aggiudicatrici ( 31 ). La Corte di Giustizia aveva<br />

considerato illegittimo impedire ad un’<strong>impresa</strong> l’accesso a tali strumenti di<br />

tutela, quando l’ostacolo viene ricollegato al mancato previo esperimento<br />

di una procedura di conciliazione, prevista dalla legge nazionale ed attivabile<br />

dall’<strong>impresa</strong> esclusa dall’appalto. Così decidendo, la Corte aveva dunque<br />

negato che l’aver ignorato la procedura conciliativa valga a configurare in<br />

capo a detta <strong>impresa</strong> la carenza di interesse a ricorrere avverso la decisione<br />

assunta in suo sfavore nella gara d’appalto. In definitiva, la Corte aveva sancito<br />

che il subordinare l’accesso alle procedure di ricorso, espressamente<br />

previste da una direttiva comunitaria settoriale, al preventivo intervento di<br />

una commissione di conciliazione, è contrario agli obiettivi di rapidità ed<br />

efficacia perseguiti dall’ordinamento comunitario nel campo degli appalti<br />

pubblici ( 32 ).<br />

In secondo luogo, tornando al citato caso delle telecomunicazioni, il di-<br />

Alassini, punto 63 della motivazione. Si veda anche la sentenza del 2 aprile 2009, causa C-<br />

394/07, Gambazzi, punto 29.<br />

( 30 ) Corte CE, 13 marzo 2010, Alassini, cit., il cui dispositivo sancisce: “neanche i principi<br />

di equivalenza e di effettività, nonché il principio della tutela giurisdizionale effettiva, ostano ad<br />

una normativa nazionale che impone per siffatte controversie il previo esperimento di una procedura<br />

di conciliazione extragiudiziale, a condizione che tale procedura non conduca ad una decisione<br />

vincolante per le parti, non comporti un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso<br />

giurisdizionale, sospenda la prescrizione dei diritti in questione e non generi costi, ovvero generi<br />

costi non ingenti, per le parti, e purché la via elettronica non costituisca l’unica modalità di accesso<br />

a detta procedura di conciliazione e sia possibile disporre provvedimenti provvisori nei casi eccezionali<br />

in cui l’urgenza della situazione lo impone”.<br />

( 31 ) Direttiva del Consiglio 89/665/CEE del 21 dicembre 1989 che coordina le disposizioni<br />

legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso<br />

in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori (G.U.C.E., L<br />

395, p. 33), come modificata dalla direttiva del Consiglio 92/50/CEE del 18 giugno 1992, che<br />

coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (ibidem L 209, p. 1): se<br />

ne vedano gli artt. 1 e 2.<br />

( 32 ) Corte CE, 19 giugno 2003, causa C-410/01, Fritsch e a. c. Asfinag.


110 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

ritto comunitario all’equo processo impone che, in presenza di una condizione<br />

di procedibilità costituita dal preventivo esperimento di un tentativo<br />

di conciliazione, nelle more di quest’ultimo si sospenda la prescrizione dei<br />

diritti controversi. Ciò è pienamente conforme a quanto sancito sia dalla<br />

Direttiva ( 33 ), sia dal Decreto Legislativo ( 34 ): per entrambe l’attivazione della<br />

mediazione comporta la sospensione o l’interruzione dei termini di ricorso,<br />

e cioè quelli entro cui vanno fatti valere i diritti oggetto di lite.<br />

In terzo luogo, il tentativo di conciliazione non deve condurre a una decisione<br />

vincolante, cosa perfettamente coerente con la nozione di “mediazione”<br />

accolta dalla Direttiva ( 35 ). A ben vedere, nemmeno il Decreto Legislativo si<br />

scontra con siffatto principio, in quanto la proposta di natura aggiudicativa<br />

non vincola né le parti, né il giudice chiamato a decidere il merito del caso su<br />

cui il mediatore si è pronunciato ( 36 ). Unico dubbio potrebbe forse ravvisarsi<br />

con riferimento alla disciplina del regime delle spese processuali ( 37 ).<br />

In quarto luogo, siffatta condizione di procedibilità non deve comportare<br />

un ritardo sostanziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale. Nel<br />

Decreto Legislativo il riscontro è nella norma che limita a quattro mesi la<br />

durata massima della mediazione ( 38 ). Tale termine è però da intendersi come<br />

il tempo massimo oltre il quale non può essere impedito l’accesso al giudice<br />

naturale. Per contro, ciò non sembra comportare un divieto ai litiganti<br />

di protrarre ulteriormente le trattativa in sede di mediazione, qualora essi<br />

siano convinti della loro utilità, rinviando volontariamente a un momento<br />

successivo il ricorso in giustizia, che ben potrebbe divenire inutile una volta<br />

raggiunta un’intesa.<br />

In quinto luogo, il diritto comunitario osta altresì all’esistenza di condizioni<br />

di procedibilità ricollegabili a forme di mediazione esperibili solo in via<br />

telematica, poiché ciò sarebbe lesivo di chi è privo di un accesso a internet o risulta<br />

incapace a utilizzare tale strumento. La Corte non ha dunque negato la<br />

legittimità di una mediazione interamente telematica, a condizione che quest’ultima<br />

sia affiancata da modalità di accesso tradizionale al servizio.<br />

In sesto luogo, ma solo se la controversia concerne un rapporto di consumo<br />

(com’era la fattispecie esaminata dalla Corte), il costo della mediazione<br />

deve non gravare sul consumatore o risultare alquanto contenuto.<br />

( 33 ) Art. 8 della Direttiva.<br />

( 34 ) Art. 5, comma 6, del Decreto Legislativo.<br />

( 35 ) Art. 3 e considerando n. 11 della Direttiva.<br />

( 36 ) Artt. 11 e 13 del Decreto Legislativo.<br />

( 37 ) Art. 13 del Decreto Legislativo.<br />

( 38 ) Art. 6 del Decreto Legislativo.


SAGGI 111<br />

Tale principio si rinviene anche nelle Raccomandazioni della Commissione<br />

sui principi applicabili agli organismi di conciliazione che trattano le controversie<br />

individuali di consumo, ma non si riscontra nella Direttiva.<br />

Pertanto la Corte di Giustizia ha concluso:<br />

“Orbene, come rilevato in udienza dal governo italiano, si deve anzitutto constatare che le<br />

disposizioni nazionali di cui trattasi hanno ad oggetto una definizione più spedita e meno<br />

onerosa delle controversie in materia di comunicazioni elettroniche, nonché un decongestionamento<br />

dei tribunali, e perseguono quindi legittimi obiettivi di interesse generale.<br />

Risulta poi che l’imposizione di una procedura di risoluzione extragiudiziale come<br />

quella prevista dalla normativa nazionale di cui trattasi . . . non è sproporzionata rispetto<br />

agli obiettivi perseguiti. Infatti, da un lato, come ha constatato l’avvocato generale al paragrafo<br />

47 delle sue conclusioni ( 39 ), non esiste un’alternativa meno vincolante alla predisposizione<br />

di una procedura obbligatoria, dato che l’introduzione di una procedura di<br />

risoluzione extragiudiziale meramente facoltativa non costituisce uno strumento altrettanto<br />

efficace per la realizzazione di detti obiettivi. Dall’altro, non sussiste una sproporzione<br />

manifesta tra tali obiettivi e gli eventuali inconvenienti causati dal carattere obbligatorio<br />

della procedura di conciliazione extragiudiziale” ( 40 ).<br />

Nell’ordinamento italiano, invece, alcune indicazioni giungono dalla<br />

giurisprudenza resa dalla nostra Corte Costituzionale con riferimento innanzitutto<br />

alla condizione di procedibilità – tutt’oggi vigente ( 41 ) – prevista<br />

per le liti in materia di subfornitura ( 42 ), rappresentata dalla necessità di<br />

esperire un tentativo obbligatorio di conciliazione, da svolgersi presso la<br />

Camera di Commercio nel cui territorio ha sede il subfornitore.<br />

Non è affatto previsto l’obbligo della difesa tecnica in sede di tale mediazione:<br />

in passato, nessuno ha mai reagito con veemenza. Lo stesso dicasi<br />

per i costi di tale servizio ( 43 ), che corrispondono grosso modo a quelli at-<br />

( 39 ) Nelle proprie conclusioni (punto 45), l’avvocato generale Kokott ha altresì osservato:<br />

“una conciliazione delle parti conclusa in via extragiudiziale è spesso più idonea a conseguire una<br />

duratura stabilità del diritto rispetto a una decisione giudiziaria controversa”.<br />

( 40 ) Corte CE, 13 marzo 2010, Alassini, cit., punti 64 e 65.<br />

( 41 ) Decreto Legislativo, art. 23, comma 2.<br />

( 42 ) Art. 10 della legge 18 giugno 1998, n. 192, Disciplina della subfornitura nelle attività<br />

produttive, come modificata dalla legge 5 marzo 2001, n. 57, e dal decreto legislativo 9 ottobre<br />

2002, n. 231.<br />

( 43 ) Nelle odierne discussioni, dando per scontato che la mediazione sia inutile, essa viene<br />

da taluni negativamente vista come un mero fattore di incremento del costo della giustizia.<br />

Guardando a quest’ultimo, per essere oggettivi bisogna forse considerare che a comporlo<br />

concorrono anche i minimi inderogabili delle tariffe professionali forensi. Essi sono stati di<br />

recente considerati legittimi dalla Corte di Cassazione (sentenza 27 settembre 2010, n. 20269,<br />

che applica nel concreto i principi in presenza fissati dalla Corte di Giustizia nella pronuncia


112 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

tuali imposti agli Organismi pubblici di mediazione ( 44 ). A ciò si aggiunge<br />

nel Decreto Legislativo il riconoscimento di un credito di imposta a favore<br />

di chi oggi ricorre alla mediazione ( 45 ).<br />

In seguito all’intervento della Corte Costituzionale, detta condizione di<br />

procedibilità non vale però per il ricorso monitorio azionato dal subfornitore,<br />

onde ottenere il via ingiuntiva il pagamento dei propri crediti ( 46 ) e per<br />

l’azione esercitata dall’attore in opposizione all’ingiunzione stessa ( 47 ). Tale<br />

insegnamento è stato in sostanza recepito nel Decreto Legislativo sulla mediazione,<br />

con riferimento alle materie per le quali la mediazione è divenuta<br />

una condizione di procedibilità ( 48 ). In effetti, quest’ultima non scatta per i<br />

procedimenti di ingiunzione, inclusa l’opposizione, ma solo sino al momento<br />

della pronuncia sulle istanze di concessione o sospensione della<br />

provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto ( 49 ).<br />

Nella giurisprudenza di merito sono invece emersi orientamenti contrastanti<br />

circa l’applicabilità della condizione di procedibilità in questione<br />

nell’ambito dei procedimenti cautelari. Tuttavia, se si considera la tutela<br />

monitoria anche come una forma accelerata di ricorso giurisdizionale, dovrebbe<br />

a maggior ragione non applicarsi la condizione di procedibilità. Ad<br />

ogni modo, si rende adesso quanto mai necessario armonizzare la disciplina<br />

processuale per la subfornitura con quella portata dal Decreto Legislativo,<br />

ove è stabilito che “lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni<br />

caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari” ( 50 ), coerentemente<br />

anche con quanto suggerito dal Modello di legge UNCITRAL ( 51 ) sulla leg-<br />

del 5 dicembre 2006, cause riunite C-94/04 e C-202/04), con una motivazione il cui fulcro<br />

sembra essere il seguente: “pur non essendo una garanzia della qualità dei servizi non si può certo<br />

escludere – e anzi si deve affermare – che nel contesto italiano, caratterizzato da una elevata<br />

presenza di avvocati, le tariffe che fissano onorari minimi consentano di evitare una concorrenza<br />

che si traduce nell’offerta di prestazioni « al ribasso », tali da poter determinare un peggioramento<br />

della qualità del servizio”.<br />

( 44 ) Art. 16 e relativa tabella allegata del Decreto Attuativo.<br />

( 45 ) Art. 17 del Decreto Legislativo.<br />

( 46 ) Corte cost., 1° giugno 2004, n. 163, i cui principi sono poi stati applicati dal Tribunale<br />

di Genova, 17 aprile 2007, e dal Tribunale di Torino, sez. dist. Moncalieri, 24 ottobre 2006.<br />

( 47 )Tribunale di Biella, 17 gennaio 2006.<br />

( 48 ) Decreto Legislativo, art. 5, comma 1.<br />

( 49 ) Decreto Legislativo, art. 5, comma 4, lettera a).<br />

( 50 ) Decreto Legislativo, art. 5, comma 3.<br />

( 51 ) Art. 13 del Modello di legge uniforme sulla conciliazione/mediazione delle controversie<br />

commerciali internazionali (Risoluzione A/RES/57/18, adottata il 19 novembre 2002, su cui il<br />

mio commento pubblicato in questa rivista, 2003, p. 1341).


SAGGI 113<br />

ge applicabile alla mediazione delle controversie commerciali internazionali.<br />

A ben vedere, siffatta situazione è pressoché speculare a quella che per<br />

vari lustri ha avuto vigore nel processo del lavoro (art. 412 bis c.p.c., ora<br />

abrogato dal recente “collegato lavoro”) ( 52 ): anche lì la condizione di procedibilità<br />

ha sempre superato indenne – sotto i profili ora in rilievo – il vaglio<br />

del giudice delle leggi. Anzi, a differenza della subfornitura, nel diritto<br />

processuale del lavoro il tentativo di conciliazione in sede extragiudiziale si<br />

concludeva con una proposta aggiudicativa, e cioè fondata su un meccanismo<br />

pressoché identico a quello attualmente previsto dal Decreto Legislativo<br />

sulla mediazione.<br />

La Corte Costituzionale ha innanzitutto evidenziato che la tutela monitoria<br />

ragionevolmente sfuggiva – così come era espressamente disposto dall’art.<br />

412 bis c.p.c. – alla condizione di procedibilità, non tanto perché essa<br />

rappresentava un mezzo accelerato di tutela giurisdizionale, ma in quanto:<br />

“. . . il tentativo obbligatorio di conciliazione è strutturalmente legato ad un processo<br />

fondato sul contraddittorio. La logica che impone alle parti di “incontrarsi” in una sede<br />

stragiudiziale, prima di adire il giudice, è strutturalmente collegata ad un (futuro) processo<br />

destinato a svolgersi fin dall’inizio in contraddittorio fra le parti.<br />

All’istituto sono quindi per definizione estranei i casi in cui invece il processo si debba<br />

svolgere in una prima fase necessariamente senza contraddittorio, come accade per il<br />

procedimento per decreto ingiuntivo. Non avrebbe infatti senso imporre, nella fase pregiurisdizionale<br />

relativa al tentativo di conciliazione, un contatto fra le parti che invece<br />

non è richiesto nella fase giurisdizionale ai fini della pronuncia del provvedimento monitorio”<br />

( 53 ).<br />

Con riferimento alla tutela cautelare, pure esplicitamente non sottoposta<br />

dall’art. 412 bis c.p.c. alla citata condizione di procedibilità, la Corte ha<br />

osservato:<br />

« ... rileva anzitutto la “sedes materiae” prescelta per introdurre il nuovo tentativo obbligatorio<br />

di conciliazione, ossia la disciplina del processo di cognizione “ordinario” delle<br />

controversie di lavoro, che fin dall’inizio assicura il contraddittorio.<br />

In secondo luogo le due categorie di procedimenti cui si riferisce l’ultimo comma<br />

dell’art. 412-bis cod. proc. civ. sono entrambe strutturate in modo da non precludere necessariamente<br />

il contraddittorio nella fase iniziale. Per i procedimenti cautelari – per i<br />

quali comunque l’esclusione dalla soggezione al tentativo di conciliazione si correla alla<br />

( 52 ) Legge 4 novembre 2010, n. 183.<br />

( 53 ) Corte Costituzionale, sentenza 13 luglio 2000, n. 276, i cui principi sono stati ribaditi<br />

nell’ordinanza del 6 febbraio 2001, n. 29.


114 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

stessa strumentalità della giurisdizione cautelare – l’art. 669-sexies del codice di procedura<br />

civile prevede come regola il provvedimento in contraddittorio e solo come eccezione<br />

quello reso inaudita altera parte. Quanto ai “provvedimenti speciali d’urgenza” –<br />

che, secondo l’interpretazione corrente, si identificherebbero nei procedimenti di cui<br />

agli artt. 28 e 18, comma 7, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà<br />

e dignità del lavoratore, della libertà sindacale e dell’attività sindacale e norme sul<br />

collocamento), ed all’art. 15 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra<br />

uomini e donne in materia di lavoro) – il contraddittorio è assicurato fin dall’inizio e trae<br />

giustificazione dal carattere di urgenza della tutela da essi apprestata » ( 54 ).<br />

Ciò posto, la Corte Costituzionale – evidenziato altresì che il tentativo<br />

di conciliazione aveva natura di trattativa extragiudiziale ( 55 ) – ha sempre<br />

concluso che la (ora abrogata) condizione di procedibilità, prevista nel rito<br />

del lavoro, non ledeva né il principio di eguaglianza, né quello alla tutela<br />

giurisdizionale effettiva dei diritti, né quello all’equo processo:<br />

“Ritenuto che . . . il giudice rimettente – ricordato che, secondo la Corte costituzionale<br />

(sentenza n. 276 del 2000), il tentativo obbligatorio di conciliazione legittimamente incide<br />

sul diritto di azione, con un « impedimento obiettivamente limitato e non irragionevole<br />

», in quanto finalizzato a soddisfare l’interesse generale ad un processo celere e ad<br />

una composizione rapida delle controversie per via di composizione preventiva della lite<br />

– osserva come la tutela dell’interesse sopra richiamato non possa concretizzarsi in un<br />

mero differimento temporale dell’esercizio della giurisdizione, ma debba tradursi nell’effettivo<br />

espletamento del tentativo di conciliazione stesso;<br />

che, pertanto, – a giudizio del rimettente – non sarebbe manifestamente infondata<br />

la questione di legittimità costituzionale dell’art. 410-bis, comma secondo, cod. proc.<br />

civ., per violazione dell’art. 111, comma secondo, Cost., laddove lo stesso – in combinato<br />

disposto con l’art. 412-bis cod. proc. civ. – consente il non effettivo espletamento del<br />

tentativo obbligatorio di conciliazione;<br />

...<br />

... questa Corte – dopo aver affermato che costituisce principio ormai consolidato<br />

nella giurisprudenza costituzionale quello enunciato dalla sentenza n. 276 del 2000, secondo<br />

cui « il legislatore può imporre condizioni all’esercizio del diritto di azione se queste,<br />

oltre a salvaguardare interessi generali, costituiscono, anche dal punto di vista temporale,<br />

una limitata remora all’esercizio del diritto stesso » – ha dichiarato la stessa manifestamente<br />

inammissibile, con ordinanza n. 436 del 2006;<br />

... in particolare, nella citata ordinanza, la Corte ha osservato che « la pretesa del rimettente,<br />

secondo la quale “gli interessi generali” dovrebbero comunque prevalere impedendo<br />

l’esercizio del diritto di azione fino a quando il tentativo di conciliazione non<br />

sia stato effettivamente espletato, non solo è contraddittoria rispetto al parametro costi-<br />

( 54 ) Corte Costituzionale, sentenza 13 luglio 2000, n. 276, cit.<br />

( 55 ) Corte Costituzionale, sentenza 13 luglio 2000, n. 276, cit., punto 6.1, secondo paragrafo.


SAGGI 115<br />

tuzionale evocato, ma si risolve nel contrapporre una propria soggettiva valutazione al<br />

bilanciamento degli interessi, operato dalla legge, che questa Corte ha più volte ritenuto<br />

non solo consentito, ma imposto dai valori costituzionali implicati »<br />

... tale orientamento – per l’identità dei presupposti e della ratio – deve essere, nella<br />

specie, confermato, con conseguente dichiarazione di manifesta inammissibilità della<br />

proposta questione di legittimità costituzionale” ( 56 ).<br />

In buona sostanza, si direbbe che la Corte Costituzionale e la Corte di<br />

Giustizia condividono lo stesso orientamento ( 57 ).<br />

Per quanto concerne, invece, un paventato vizio del Decreto Legislativo<br />

per eccesso di delega, ci si limita a ricordare che, nel momento in cui tale<br />

provvedimento è stato adottato, il Governo disponeva ben di due distinte<br />

deleghe: quella conferita mediante la legge su sviluppo economico, competitività<br />

e riforma del processo civile ( 58 ), da un canto, e quella contenuta<br />

nella legge comunitaria per l’anno 2008 ( 59 ) relativa all’attuazione della Direttiva,<br />

dall’altro.<br />

Con riferimento alla prima di dette deleghe, uno dei criteri fissati al Governo<br />

era proprio quello di prevedere la presenza di una proposta aggiudicativa<br />

al termine della mediazione, in caso di suo insuccesso ( 60 ). Cosa rientrante<br />

nella piena discrezionalità del legislatore delegante, quanto meno<br />

per le controversie di natura interna al nostro paese.<br />

Inoltre, il Governo era tenuto a far sì che la disciplina sulla mediazione<br />

non precludesse il ricorso alla giustizia ( 61 ). Alla luce dei citati concordanti<br />

insegnamenti, resi dalla Corte di Giustizia e da quella Costituzionale, anche<br />

questo requisito sembrerebbe rispettato dal Decreto Legislativo.<br />

Ancora, il Parlamento aveva espressamente previsto ( 62 ) che la nuova disciplina<br />

sulla mediazione delle controversie in materia civile e commerciale<br />

potesse rappresentare un’estensione di quella (vigente all’epoca della delega)<br />

sulla conciliazione delle liti societarie ( 63 ). Se si confrontano le due<br />

fonti, fatti salvi alcuni adattamenti necessari per tenere anche conto degli al-<br />

( 56 ) Corte cost., ord., 26 ottobre 2007, n. 355.<br />

( 57 ) Ciò dovrebbe emergere con immediatezza, se si confrontano la sentenza della Corte<br />

Costituzionale del 13 luglio 2000, n. 276, cit., con quella della Corte CE del 18 marzo 2010,<br />

Alassini, cit.<br />

( 58 ) Art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69.<br />

( 59 ) Allegato B alla legge 7 luglio 2009, n. 88.<br />

( 60 ) Legge 18 giugno 2009, n. 69, art. 60, comma 3, lett. p).<br />

( 61 ) Legge 18 giugno 2009, n. 69, art. 60, comma 3, lett. a).<br />

( 62 ) Legge 18 giugno 2009, n. 69, art. 60, comma 3, lett. c).<br />

( 63 ) Decreto Legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, articoli da 38 a 40, ora abrogati.


116 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

tri criteri imposti dalla legge-delega, si noterà che tale trasferimento è puntualmente<br />

avvenuto, innalzando addirittura al rango di fonte legislativa nella<br />

“nuova” mediazione molti principi in precedenza contenuti nelle norme<br />

di attuazione della “vecchia” conciliazione ( 64 ).<br />

Con riferimento a questi ultimi, le previgenti fonti regolamentari stabilivano<br />

che gli Organismi di conciliazione societaria – al fine di rispondere ai<br />

requisiti di “serietà e professionalità” sanciti a livello legislativo ( 65 ) – dovessero<br />

non solo assicurare “professionalità ed efficienza”, ma anche fornire<br />

“garanzie di indipendenza, imparzialità e riservatezza nello svolgimento del<br />

servizio” ( 66 ). Adesso siffatti requisiti sono stati fatti propri dal Parlamento<br />

delegante, secondo cui la mediazione va svolta da “Organismi professionali<br />

e indipendenti” ( 67 ). È assurdo pensare che un Organismo possa operare in<br />

modo “professionale” senza essere indipendente. Il secondo requisito rappresenta<br />

dunque una componente del primo.<br />

Quanto sopra spiega perché il Decreto Legislativo consentiva – anche<br />

dal punto di vista organizzativo – che alla nuova disciplina sulla mediazione<br />

continuassero ad applicarsi in via transitoria (cosa ormai superata) le disposizioni<br />

attuative per la conciliazione societaria ( 68 ).<br />

A chiudere il discorso, dovrebbe allora forse valere la circostanza che le<br />

nuove disposizioni di attuazione ( 69 ) (entrate in vigore dopo avere ricevuto<br />

il consueto parere del Consiglio di Stato) ( 70 ) non solo ribadiscono che gli<br />

Organismi di mediazione devono offrire “garanzie di indipendenza, imparzialità<br />

e riservatezza nello svolgimento del servizio di mediazione” ( 71 ), ma risultano<br />

addirittura più rigorose di quelle precedenti ( 72 ).<br />

Ad ogni modo, a definire la querelle sarà presto la stessa Corte Costituzionale,<br />

di recente chiamata a pronunciarsi dal TAR Lazio ( 73 ).<br />

( 64 ) Decreti del Ministero della Giustizia del 23 luglio 2004, n. 222 e n. 223, ora abrogati.<br />

( 65 ) Art. 38, comma 1, del decreto Legislativo del 17 gennaio 2003, n. 5, ora abrogato.<br />

( 66 ) Art. 4, comma 3, del decreto del Ministero della Giustizia del 23 luglio 2004, n. 222, cit.<br />

( 67 ) Legge 18 giugno 2009, n. 69, art. 60, comma 3, lett. b).<br />

( 68 ) Art. 16, comma 2, del Decreto Legislativo.<br />

( 69 ) Decreto Attuativo.<br />

( 70 ) Consiglio di Stato, sezione consultiva per gli atti normativi, R.G. 3640/2010, parere<br />

interinale del 26 agosto 2010 e parere definitivo favorevole del 20 settembre 2010.<br />

( 71 ) Art. 4, comma 2, lett. e) del Decreto Attuativo.<br />

( 72 )Ad esempio l’art. 4, comma 2, lett. a) del Decreto Attuativo, ove si richiede agli Organismi<br />

di mediazione “la capacità finanziaria e organizzativa del richiedente, nonché la compatibilità<br />

dell’attività di mediazione con l’oggetto sociale o lo scopo associativo”.<br />

( 73 ) Ordinanza TAR Lazio del 12 aprile 2011 in causa R.G. 10-37/2010, in La Mediazione,<br />

2011, p. 79, con commento di Lannutti.


SAGGI 117<br />

Forse, se si volesse muovere una critica al Ministero, si potrebbe rilevare<br />

che in altri Stati europei il percorso formativo per i mediatori è alquanto<br />

più lungo delle cinquanta ore da noi previste ( 74 ) come indispensabili, al fine<br />

di accumulare il bagaglio culturale iniziale per svolgere tale attività presso<br />

un Organismo. Detta specifica formazione si incentra essenzialmente<br />

sulle tecniche negoziali ( 75 ), e dunque su una materia che attualmente in <strong>Italia</strong><br />

non sembra essere oggetto né di insegnamento nemmeno nei corsi di<br />

laurea in giurisprudenza, né degli esami di abilitazione all’esercizio della<br />

professione forense. Alla luce di ciò, allora, i requisiti formativi adesso richiesti<br />

per i mediatori paiono più rigorosi di quelli in precedenza imposti ai<br />

conciliatori societari. Mentre i primi – a prescindere dalla loro professione e<br />

anzianità – devono ora tutti acquisire apposite e verificate capacità negoziali<br />

( 76 ), indispensabili per condurre adeguatamente le trattative extragiudiziarie<br />

in cui essi interverranno, i secondi erano inspiegabilmente esonerati<br />

dall’obbligo formativo, qualora questi ultimi fossero stati avvocati o commercialisti<br />

iscritti nei rispettivi albi da almeno quindici anni ( 77 ). Peraltro<br />

detta inappropriata esenzione operava – senza suscitare particolare scandalo<br />

– in modo indiscriminato, senza cioè tenere conto delle eventuali specializzazioni<br />

maturate da tali professionisti, consentendo così di accreditarsi<br />

come conciliatore anche a chi di loro mai avesse trattato la materia societaria<br />

o fosse del tutto privo di capacità negoziali.<br />

5. – Tra le idee più fuorvianti attualmente in circolazione, una è quella<br />

secondo cui in mediazione si rifiuta tout court di prendere minimamente in<br />

considerazione il diritto. L’altra, parimenti ingannevole, è che spetti sempre<br />

al mediatore pronunciarsi al riguardo, cassando ogni tentativo di allontanarsi<br />

da ciò che a lui pare la soluzione giuridicamente corretta del caso.<br />

Per tentare di gettare qualche luce su come il mediatore debba affrontare<br />

le questioni giuridiche, iniziamo con il ricordare che per la Direttiva ( 78 )<br />

non è “mediazione” né l’arbitrato, né l’adjudication. A sua volta, il Decreto<br />

Legislativo definisce il mediatore come un soggetto che rimane “privo, in<br />

( 74 ) Art. 4, comma 3, del Decreto Attuativo.<br />

( 75 )A livello accademico, le tecniche negoziali sono ormai oggetto di approfonditi studi.<br />

Uno dei centri più rinomati è l’università di Harvard, che a loro dedicato un apposito e rinomato<br />

progetto di ricerca (P.O.N. Program on Negotiation).<br />

( 76 ) Art. 4, comma 3, lett. b), e art. 168, comma 2, lett. f), del Decreto Attuativo.<br />

( 77 ) Art. 4, comma 4, lett. a), del decreto del Ministero della Giustizia del 23 luglio 2004,<br />

n. 222, cit.<br />

( 78 ) Considerando n. 11 alla Direttiva.


118 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari<br />

del servizio medesimo” ( 79 ).<br />

Ciò posto, l’approccio del mediatore alle questioni giuridiche è strettamente<br />

funzionale alla tecnica di mediazione da lui adottata.<br />

Se il mediatore effettua una expert evaluation su un caso ove sono controversi<br />

i profili giuridici, è pacifico che egli procede a valutarli: difatti, è proprio<br />

questo che gli viene espressamente richiesto, siccome la mediazione è<br />

destinata a produrre un parere pro veritate – che, si è detto, possiamo anche<br />

definire proposta – sulla materia controversia, utile alle parti per capire se e<br />

come eventualmente accordarsi.<br />

Ben diverso discorso va fatto, qualora il mediatore ricorra alla metodologia<br />

di mediation, ove egli deve mostrare una diversa sensibilità nei confronti<br />

delle questioni giuridiche caratterizzanti la lite: ciò non significa affatto<br />

accantonarle. Semplicemente esse vengono “ridimensionate”, considerandole<br />

non come un altare sul quale i litiganti devono immolarsi a loro<br />

discapito (e, se lo fanno, a chi giova in definitiva), ma come uno dei tanti<br />

elementi condizionanti le posizioni delle parti in conflitto. In altre parole,<br />

alle questioni giuridiche controverse è attribuito il medesimo valore che assume<br />

solitamente il quadro giuridico di riferimento nel contesto di una trattativa<br />

tra due soggetti desiderosi di concludere tra loro un affare. È pacifico<br />

che la disciplina positiva va debitamente conosciuta, onde agire nel modo<br />

più opportuno e legittimo, ma ciò non deve tradursi in un ostacolo insormontabile<br />

per l’instauranda relazione contrattuale.<br />

Nell’ambito di una trattativa commerciale, infatti, è pacifico compito<br />

dei consulenti (avvocati, commercialisti, altri professionisti) rendere edotti<br />

i loro clienti in merito al quadro normativo di riferimento, suggerendo conseguentemente<br />

loro le soluzioni ottimali per concludere l’affare stesso nonché<br />

avvertendoli sui possibili rischi presenti, ma senza boicottare la trattativa<br />

stessa. Ovviamente la decisione finale spetta ai clienti, destinatari dell’attività<br />

di consulenza e signori del loro patrimonio. Una volta acquisita la debita<br />

consapevolezza, solo a questi ultimi spetta valutare la bontà economica<br />

di un affare e, conseguentemente, se concluderlo o meno nonché definirne<br />

le eventuali condizioni.<br />

Lo stesso vale per l’attività dei professionisti che assistono le parti in mediazione:<br />

è loro precipua competenza discutere – se utile e tenendo sempre<br />

in considerazione lo specifico contesto in cui si opera, rappresentato da una<br />

trattativa in sede extragiudiziaria – i profili giuridici del caso, ma unicamen-<br />

( 79 ) Art. 1, comma 1. lett. b), del Decreto Legislativo.


SAGGI 119<br />

te al fine di consentire ai loro assistiti la miglior comprensione circa la propria<br />

situazione, sì da permettere a questi ultimi di stabilire se sia più opportuno<br />

risolvere la lite mediante una decisione giudiziale ovvero un accordo.<br />

Qualora la prima ipotesi appaia a ragion veduta un’alternativa poco allettante<br />

rispetto alla seconda, si spalanca la strada all’uscita dal contenzioso<br />

mediante una conciliazione che soddisfi il più possibile i reali interessi dei<br />

litiganti. Peraltro, questo è il momento in cui viene meno ogni differenza<br />

tra mediazione obbligatoria e facoltativa.<br />

Compito del mediatore è dunque quello di guidare le parti e i loro rispettivi<br />

consulenti nell’esplorazione anche delle questioni giuridiche pendenti,<br />

astenendosi però dall’esprimere qualsiasi giudizio di sorta in proposito.<br />

Farlo comporterebbe per il mediatore non solo travisare completamente<br />

il proprio ruolo, ma anche perdere irrimediabilmente la propria imparzialità<br />

agli occhi delle parti.<br />

Chiarito quanto sopra, ci si domanda spesso con smarrimento come in<br />

concreto il mediatore debba allora comportarsi, per assolvere adeguatamente<br />

siffatto compito. In altre parole, come il mediatore debba condurre<br />

la “fase esplorativa”, quando si affrontano le questioni giuridiche.<br />

La risposta nasconde una sconcertante semplicità, poiché si scopre che<br />

in proposito la tecnica di mediation condivide esperienze maturate anche in<br />

altri settori del mondo giuridico, seppure lontani a distanza siderale, quali<br />

l’arbitrato delle controversie commerciali internazionali.<br />

Con riferimento all’attività che – senza pregiudicare la propria neutralità<br />

o addirittura incorrere nel rischio di venire ricusato ( 80 ) – il presidente di un<br />

tale collegio arbitrale può svolgere, per aiutare le parti a definire la lite pendente<br />

mediante un accordo che evita il lodo, Draetta (ben fermo nel rivendicare<br />

“l’orgoglio di arbitrare” ( 81 ) e nel rimarcare la profonda distinzione tra<br />

arbitro e mediatore) ( 82 ) suggerisce di promuovere l’efficiente gestione della<br />

procedura:<br />

“Ciò richiede che il presidente possieda in misura elevata tali capacità di gestione, rispettando<br />

così le aspettative delle parti e, anzi, cercando continuamente di indurle ad un<br />

certo realismo circa la valutazione della fondatezza delle rispettive pretese . . .<br />

Ciò comporta l’identificazione, già dalla fasi preliminari del procedimento, delle<br />

questioni da decidere preliminarmente o, comunque, delle questioni più importanti da<br />

risolvere . . . ( 83 )<br />

( 80 ) Draetta, Il “rovescio” dell’arbitrato, Milano, p. 98.<br />

( 81 ) Draetta, op. cit.,p. 157.<br />

( 82 ) Draetta, op. cit., pp. 98 e 103.<br />

( 83 ) Draetta, op. cit., p. 89.


120 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Attraverso tale efficiente gestione, il tribunale arbitrale crea, infatti, un clima collaborativo<br />

e improntato a razionalità tra le parti e le induce a rivedere con maggiore realismo<br />

le proprie aspettative. Ciò può avvenire, per esempio, attraverso domande opportunamente<br />

calibrate che il presidente può porre alle parti, . . . la richiesta che il senior management<br />

delle parti sia presente a determinate udienze. Tutti questi passi possono indurre<br />

le parti a guardare con maggiore rispetto, o almeno con maggiore attenzione, alle<br />

posizioni della controparte e non semplicemente ad ignorarle.<br />

...<br />

Senza assolutamente offrire alle parti alcun elemento che possa anticipare la decisione,<br />

il presidente può, ad esempio, prospettare alle parti stesse le conseguenze che potrebbero<br />

derivare dalla decisone, in un senso o nell’altro, di alcune questioni preliminari,<br />

in modo da assicurarsi che esse comprendano e valutino il rischio che corrono a seconda<br />

della decisione in questione. Può anche spingersi, se ne ricorrono gli estremi, fino<br />

a dire che l’intera controversia è molto complessa, che non si presta ad una decisione salomonica<br />

e che le parti dovranno valutare attentamente il rischio di uscirne totalmente<br />

vincenti o totalmente perdenti a fronte della convenienza di raggiungere esse stesse una<br />

soluzione salomonica nell’interesse delle loro rispettive attività di business. Se questo<br />

discorso è fatto dinanzi ai capi azienda delle due parti, esso avrà ancora maggiori chances<br />

di essere preso in seria considerazione dalle stesse ( 84 )”.<br />

Per forza di cose, quanto prospettato da Draetta non è automaticamente<br />

traslabile in sede di mediazione, data la sua profonda differenza ontologica rispetto<br />

all’arbitrato ( 85 ), ma fornisce forse interessanti indicazioni su come il<br />

mediatore possa affrontare le questioni giuridiche durante la fase esplorativa.<br />

In buona sostanza, egli inviterà i consulenti delle parti a discutere il caso, permettendosi<br />

di porre loro domande in proposito, non al fine di giudicare, ma<br />

allo scopo di favorire la consapevolezza sulle questioni controverse.<br />

Nel fare ciò, da un canto il mediatore dovrà ben tenere conto di essere<br />

sfornito di qualsiasi potere decisionale e che nessuno gli sta chiedendo la sua<br />

opinione. Peraltro egli nemmeno sarebbe in grado di elaborarla con cognizione<br />

di causa, non disponendo di tutte le informazioni solitamente nelle<br />

mani di un arbitro, grazie a quanto presente nei fascicoli delle parti. Dall’altro,<br />

l’informalità della mediazione gli consentirà di invitare le parti a discutere<br />

anche aspetti giuridici non strettamente ricollegabili alla configurazione<br />

del conflitto inizialmente data dalle parti, ovviamente a condizione che si<br />

tratti di questioni ragionevolmente rilevanti. Dall’altro ancora (e questa è<br />

un’arma potente!), il mediatore proporrà alle parti di valutare se le soluzioni,<br />

che l’ordinamento giuridico di riferimento consentirebbe eventualmente lo-<br />

( 84 ) Draetta, op. cit., p. 101.<br />

( 85 )“Quando un arbitro pretende di agire come mediatore può perfino finire con l’allargare il<br />

divario esistente fra le posizioni delle parti”: così Draetta, op. cit., p. 103.


SAGGI 121<br />

ro di raggiungere in sede contenziosa, rispondono effettivamente all’interesse<br />

reale delle parti, sia sul piano economico che relazionale.<br />

Non resta che affrontare un ultimo dubbio: come deve comportarsi il<br />

mediatore, se ravvisa la presenza di squilibrii tra le parti<br />

Nella tecnica di mediation, egli è sì tenuto a porsi il problema, siccome la<br />

sua deontologia gli impone di salvaguardare sempre il principio di autodeterminazione<br />

delle parti ( 86 ), ma la conseguente reazione non deve pregiudicare<br />

la sua imparzialità. In effetti, così sancisce il Codice Europeo per i<br />

Mediatori:<br />

“Il mediatore deve condurre il procedimento in modo appropriato, tenendo conto delle<br />

circostanze del caso, inclusi possibili squilibri nei rapporti di forza . . .<br />

...<br />

Il mediatore deve informare le parti, e può porre fine alla mediazione, nel caso in<br />

cui: sia raggiunto un accordo che al mediatore appaia non azionabile o illegale, avuto riguardo<br />

alle circostanze del caso e alla competenza del mediatore per raggiungere tale valutazione;<br />

...<br />

Il mediatore deve adottare tutte le misure appropriate affinché l’eventuale accordo<br />

raggiunto tra le parti si fondi su un consenso informato e tutte le parti ne comprendano<br />

i termini”.<br />

Di conseguenza, qualora gli “squilibri di forza” tra le parti, relativi alla<br />

consapevolezza sulle questioni giuridiche, appaiono minare il principio di<br />

libera autodeterminazione delle parti, il mediatore dovrà inizialmente suggerire<br />

al soggetto debole di avvalersi della necessaria assistenza di un professionista,<br />

rinviando il proseguo della mediazione a nuova seduta. Qualora<br />

la situazione sussista e paia insostenibile, il mediatore dovrà infine porre<br />

definitivamente termine alla sua attività.<br />

Diversa invece la condotta richiesta al mediatore cui è sottoposta una<br />

controversia individuale di consumo, perché qui si applicano i principi sanciti<br />

dalle due menzionate Raccomandazioni comunitarie in materia, espressamente<br />

richiamate dal nostro codice del consumo ( 87 ).<br />

In quella del 1998, pensata con riferimento agli organismi aventi poteri<br />

decisori o propositivi per la soluzione extragiudiziale delle controversie in<br />

( 86 ) Codice europeo di condotta per i mediatori, cit., art. 3. Nello stesso senso l’americano<br />

Model standards of conduct for mediators, versione 2005, regola I. Per un approfondimento, mi<br />

permetto di rinviare a Appiano, La deontologia per il mediatore, in Aa.Vv., La mediazione nelle<br />

liti civili e commerciali – Metodo e regole, cit., p. 345.<br />

( 87 ) Art. 141 del codice del consumo, richiamato dall’art. 16, comma 2, del Decreto Legislativo.


122 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

materia di consumo, l’idea di libertà è ricollegata all’adesione consapevole<br />

del consumatore al procedimento solutorio, ritenuta valida solo se effettuata<br />

dopo l’insorgere della controversia. A sua volta, l’idea di legalità impone<br />

all’organismo di valutare il caso, addivenendo a soluzioni che non privino il<br />

consumatore dei propri diritti.<br />

Il principio di equità, portato dalla Raccomandazione del 2001, vuole invece<br />

che gli organismi informino il consumatore circa l’opportunità della<br />

soluzione liberamente ipotizzata dalle parti, e cioè se quest’ultima appare<br />

penalizzante rispetto al risultato che egli potrebbe invece conseguire in sede<br />

giudiziaria. Tale modo di procedere, giustificato dal modesto valore economico<br />

della controversia, impone un’evidente interferenza del mediatore<br />

sulle parti: chi opera per l’organismo deve comunicare loro il risultato della<br />

propria valutazione tecnico-giuridica autonomamente condotta sul merito<br />

della controversia, operando così con modalità concettualmente vicine ai<br />

meccanismi aggiudicativi.<br />

Peraltro è la stessa Commissione europea ad evidenziare che, proprio a<br />

causa del valore limitato di tale contenzioso, risulta talora difficilmente giustificabile<br />

sul piano economico anche l’avvalersi dell’assistenza legale ( 88 ),<br />

quanto meno per il consumatore.<br />

Qualora invece il mediatore effettui una expert evaluation, è connaturale<br />

all’incarico affidatogli il valutare adeguatamente il caso, siccome gli è richiesto<br />

di rendere un parere pro veritate sulla vertenza. Nulla esclude che le<br />

parti, una volta acquisito quest’ultimo – vuoi in via riservata, vuoi perché<br />

trasfuso nella proposta aggiudicativa con modalità adeguate a salvaguardaree<br />

il riserbo della mediazione – possano valutare in separata sede l’opportunità<br />

di prenderlo in considerazione, prendendosi il tempo necessario per<br />

farlo e ricorrendo all’ausilio di propri consulenti, qualora questi ultimi fossero<br />

stati assenti durante la mediazione.<br />

6. – Alla luce di quanto in precedenza illustrato, la mediazione costituisce<br />

dunque un meccanismo conoscitivo offerto ai litiganti, finalizzato a<br />

consentire loro di determinare in modo veramente consapevole se e come<br />

definire un conflitto mediante un accordo.<br />

Nella tecnica di mediation, inoltre, l’insorgere della consapevolezza viene<br />

agevolato – se non addirittura reso possibile – ripristinando la comunicazione<br />

tra i litiganti, missione che il mediatore realizza facendo scendere i toni del<br />

( 88 ) Considerando n. 13 alla Raccomandazione del 2001; considerando nn. 3 e 18 a quella<br />

del 1998.


SAGGI 123<br />

conflitto, e cioè consentendo alle parti di riconoscerne le reali ragioni e porre<br />

termine all’escalation di ostilità che solitamente precede l’azione in giudizio.<br />

In altre parole, la mediazione aiuta le parti a superare i blocchi psicologici<br />

e conoscitivi, che sovente impediscono loro di definire in via volontaria<br />

il conflitto.<br />

A siffatte affermazioni solitamente si eccepisce che tale azione potrebbe<br />

al massimo servire per le “beghe di pianerottolo o famigliari”, ma sarebbe<br />

pienamente inutile, se non ridicola, per il mondo delle controversie d’affari,<br />

ove le parti agirebbero sempre in modo razionale e con piena consapevolezza,<br />

anche grazie all’ausilio dei propri consulenti sicuramente presenti.<br />

A minare forse simile convincimento soccorre nuovamente l’esperienza<br />

maturata da Draetta nel mondo degli arbitrati commerciali internazionali,<br />

che –per il valore delle controversie, la preparazione culturale delle parti<br />

e la folta presenza di consulenti – rappresenta quanto di più antitetico è immaginabile<br />

rispetto alle menzionate “beghe”:<br />

“È lecito domandarsi . . . cosa porti le parti ad una disputa arbitrale contraria al good business<br />

judgement di cui ogni operatore economico dovrebbe essere fornito e destinata,<br />

fra l’altro a deteriorare inevitabilmente le relazioni commerciali tra le parti.<br />

Il fatto è che non sempre le parti agiscono razionalmente nell’iniziare un arbitrato e<br />

l’indagine sulle motivazioni irrazionali che possono portare le parti ad un tale passo richiederebbe<br />

a volte l’ausilio di uno psicologo.<br />

Spesso si scopre che tra i capi-azienda delle rispettive parti esiste una profonda animosità,<br />

determinata dalla sensazione di avere subito presunti torti di cui ci si vuole vendicare,<br />

oppure vi è semplicemente una insuperabile antipatia personale. È la sindrome<br />

del “gliela farò pagare” che prevale sul buon senso, offusca la ragionevolezza della decisione<br />

di ricorrere all’arbitrato ed, in particolare, impedisce una obiettiva valutazione della<br />

fondatezza delle proprie ragioni.<br />

In altri casi, i capi-azienda sono semplicemente mal consigliati dai propri collaboratori,<br />

inclusi i propri legali esterni e interni, i quali, attraverso il ricorso all’arbitrato,<br />

possono essere tentati di giustificare i propri errori o ritardare il momento in cui tali errori<br />

possono venire in evidenza con effetti pregiudizievoli per le loro carriere. Si innesta<br />

così una perversa spirale di mal riposte aspettative di successo, che si rinforzano a<br />

vicenda, ma che spesso sono destinate a scontrarsi con la spiacevole realtà di un lodo<br />

sfavorevole ( 89 ).<br />

...<br />

La domanda di arbitrato è una dichiarazione di guerra, alla quale i difensori dell’attore<br />

non assumono certo toni conciliativi, ma tendono ad amplificare al massimo le proprie<br />

pretese, anche a costo di inserirvene di irragionevoli. Nella risposta la controparte<br />

inevitabilmente cadrà negli eccessi opposti. Il divario tra le posizioni delle parti tenderà<br />

ad allargarsi e quel poco di clima amichevole che poteva ancora sussistere nel corso del-<br />

( 89 ) Draetta, op. cit., p. 11.


124 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

le precedenti trattative tra tecnici od altri operativi svanirà come nebbia al sole, spazzato<br />

vi da difensori che fanno il loro mestiere di litigators ( 90 ).<br />

... i capi azienda raramente partecipano alle udienze arbitrali, Se lo facessero,<br />

avrebbero probabilmente l’occasione di parlarsi tra loro e, al di là degli aspetti legali della<br />

controversia, di esaminare concretamente i vantaggi, sulla base di pure considerazioni<br />

di business, di una soluzione transattiva. Solo loro avrebbero l’autorità per farlo. Inoltre,<br />

partecipando all’udienza, avrebbero anche l’opportunità di valutare in concreto il<br />

comportamento dei legali che li rappresentano, specie con riguardo alla capacità di tali<br />

legali di cogliere occasioni per soluzioni transattive ( 91 ).<br />

...<br />

... vi sono momenti nella procedura arbitrale in cui lo sviluppo delle rispettive argomentazioni<br />

rende possibile alle parti di comprendere con maggiore obiettività le eventuali<br />

debolezze delle proprie e il livello di fondatezza di quelle avversarie. Questi momenti<br />

dovrebbero essere colti dai difensori delle parti per un utile tentativo di conciliazione.<br />

In verità, la mia personale esperienza è che raramente i difensori delle parti colgono<br />

queste occasioni o le prospettano alle parti che li hanno rispettivamente nominati.<br />

Le ragioni possono essere molteplici. . . . vi è innanzitutto un elemento di carattere psicologico,<br />

dovuto al fatto che i difensori delle parti sono addestrati al contenzioso (sono dei<br />

litigators) e meno addestrati a negoziare accordi, . . . La forma mentis del difensore di parte,<br />

in altri termini, lo porta a combattere fino alla fine con l’obiettivo di vincere. . . . Una componente<br />

essenziale di tale forma mentis è quella di considerare ogni approccio conciliativo<br />

verso la controparte come una manifestazione di debolezza, rectius di temere che la controparte<br />

possa considerarlo tale. . . . Questo atteggiamento di chiusura, però, a volte rasenta<br />

l’irragionevolezza. È difficile discernere, in tali casi, se si è in presenza di una semplice<br />

preclusione patologica verso l’interruzione della procedura arbitrale (criticabile quanto si<br />

voglia, ma lecita) ovvero di un comportamento non conforme all’etica professionale ( 92 )”.<br />

È doveroso puntualizzare che l’autore citato è ben conscio della necessità<br />

di evitare ingiuste generalizzazioni. Cosa assolutamente indiscutibile.<br />

Si spiega così la ragione per cui le controversie commerciali internazionali<br />

sono state una culla della mediazione, come testimoniato sia dall’attenzione<br />

prestata a tale fenomeno dall’UNCITRAL ( 93 ), sia dalla circostanza che le<br />

organizzazioni arbitrali più famose prestano anche tale servizio, disciplinato<br />

da appositi regolamenti (uno per tutti, le citate ADR rules della ICC).<br />

( 90 ) Grassetto e sottolineatura da me aggiunti.<br />

( 91 ) Draetta, op. cit., p. 17.<br />

( 92 ) Draetta, op. cit., pp. 41 e 42.<br />

( 93 ) Nel 1980 l’UNCITRAL ha elaborato le Regole di conciliazione (adottate il 4 dicembre<br />

1980 dall’Assemblea Generale con Risoluzione 35/52), pensate come un sistema procedurale<br />

cui le parti possano volontariamente richiamarsi, quando intendono disciplinare l’attività<br />

di un terzo che interviene per aiutarle a raggiungere una transazione. Circa venti anni dopo è<br />

seguito il Modello di legge uniforme sulla conciliazione/mediazione delle controversie commerciali<br />

internazionali, cit.


SAGGI 125<br />

Inoltre si comprende inequivocabilmente l’assoluta opportunità che<br />

agli incontri di mediazione partecipino le parti personalmente, evitando di<br />

farsi assistere da procuratori all’uopo nominati. Difatti, per essere realmente<br />

efficace, l’attività del mediatore deve poter raggiungere direttamente i litiganti<br />

stessi, perché altrimenti questi ultimi non riuscirebbero a beneficiare<br />

di quanto emerge grazie al procedimento cognitivo guidato dal mediatore,<br />

né della relativa catarsi quando utile. La stessa “fase esplorativa” nemmeno<br />

avrebbe modo di svilupparsi in modo adeguato, poiché non si riuscirebbe<br />

ad attingere a tutte le informazioni di cui solo le parti sono detentrici,<br />

quali l’identificazione dei rispettivi interessi.<br />

Chiarito ciò sul piano pratico, dal punto di vista giuridico né la Direttiva,<br />

né il Decreto Legislativo impongono che alla mediazione partecipino le<br />

parti personalmente. Il farlo è dunque lasciato alla loro libera scelta, decisione<br />

che dovrebbe forse ispirarsi a criteri di ragionevolezza e opportunità<br />

nonché avvenire in piena consapevolezza.<br />

Ecco perché il Decreto Legislativo obbliga i difensori a fornire adeguate<br />

informazioni ai loro clienti sull’esistenza e sulla natura della mediazione ( 94 ).<br />

Siccome quest’ultima rappresenta una modalità di condurre le trattative in<br />

sede extragiudiziale, detto adempimento dovrebbe compiersi all’atto di ricevere<br />

l’incarico professionale e non solo prima di autenticare la sottoscrizione<br />

della procura alla lite.<br />

Alla luce di quanto sopra nonché di quanto si dirà immediatamente in<br />

appresso, si evince forse il reale significato della condizione di procedibilità<br />

introdotta dal Decreto Legislativo, che trascende le relative implicazioni in<br />

sede processuale. Verosimilmente il vero suo valore è semplicemente il<br />

portare le parti a contatto con la mediazione, sì da permettere loro di sperimentarla<br />

e trarne poi le debite conclusioni con cognizione di causa. In definitiva,<br />

quindi, il voler superare ad ogni costo la mediazione, senza mai tentare<br />

di trarne eventualmente vantaggio, ma considerandola sempre come<br />

un fastidioso incombente burocratico, va semplicemente a detrimento solo<br />

delle parti e di nessun altro.<br />

7. – Indiscussa l’utilità del comporre amichevolmente una controversia,<br />

sussiste però una differenza fondamentale nel farlo mediante una transa-<br />

( 94 ) Decreto Legislativo, art. 4, comma 3. L’utilità di una capillare e corretta informazione<br />

sulla mediazione è oggi riconosciuta da molte associazioni di categoria del mondo imprenditoriale<br />

(come emerge da un loro documento congiunto, oggetto di trattazione in nota successiva),<br />

che hanno pertanto invitato il Governo a predisporre apposite azioni divulgative,<br />

conformemente a quanto stabilito dalla Direttiva all’art. 9.


126 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

zione ovvero mediante un accordo raggiunto in sede di mediazione (la<br />

“conciliazione ”, secondo il Decreto Legislativo) ( 95 ).<br />

La transazione rappresenta un accordo in perdita per entrambe le parti<br />

(una relazione “lose to lose”) o, quanto meno per una di esse, se l’altro rinuncia<br />

a mere pretese prive di reale fondamento (“win to lose”). Idea perfettamente<br />

tradotta nella nozione legale di transazione del nostro codice civile<br />

( 96 ). Quale conseguenza, la transazione è sì utile perché chiude una lite,<br />

ma lascia l’amaro in bocca e poco giova a rinsaldare rapporti già pregiudicati<br />

per effetto del contenzioso, sfociato o meno in un processo. Tuttavia, la<br />

transazione è spesso la strada obbligata, quando il conflitto viene composto<br />

limitandosi a dare una diversa sistemazione ai beni o ai rapporti che sono<br />

specifico oggetto della lite. Usando un’immagine, si tratta della solita “coperta<br />

stretta”, la cui disposizione viene semplicemente modificata: se però<br />

essa deve continuare a scaldare tutti, il futuro non appare molto roseo per<br />

chi si trova a condividerla.<br />

In mediazione, soprattutto con la tecnica di mediation, si cerca invece di<br />

aiutare le parti a trovare – se materialmente possibile – un accordo che le<br />

soddisfi entrambe ( 97 ) (“win to win”), puntando a costruirlo sulla base dei loro<br />

rispettivi interessi. Se si individua un modo per farli collimare, è verosimile<br />

che le parti accettino di definire la lite mettendo in gioco – cosa lecita,<br />

trattandosi di diritti disponibili – anche beni o rapporti diversi da quelli controversi.<br />

L’immagine solitamente usata è quella di “ingrandire la torta”, manovra<br />

che consente di liberarsi dagli angusti movimenti imposti per forza di<br />

cose da una “coperta stretta”. Per contro, quando le circostanze consentono<br />

unicamente di raggiungere un’intesa assimilabile a una transazione, il farlo<br />

in mediazione tende comunque a favorirne l’accettazione, mitigando la<br />

sensazione di trangugiare uno sciroppo amaro.<br />

In tale ottica si comprende allora perché, anche qualora il contenuto sia<br />

pressoché identico, una conciliazione in mediazione può risultare migliore<br />

di una transazione, soprattutto qualora le parti siano destinate a restare legate<br />

da un rapporto economico o personale (si pensi nuovamente a una successione<br />

ereditaria: diviso il patrimonio, permangono i legami famigliari).<br />

Proprio in questi giorni, peraltro, le principali associazioni imprendito-<br />

( 95 ) Art. 1, comma 1, lettera b) del Decreto legislativo.<br />

( 96 ) Art. 1965 c.c.<br />

( 97 ) In un campo diverso, l’idea di un “metodo senza perdenti” ha ispirato il lavoro di<br />

Gordon, Genitori efficaci, Molfetta, 1970 (trad. it. del libro di detto autore Parent Effectiveness<br />

Training), finalizzato a “portare la disciplina in casa attraverso la gestione efficace dei conflitti”<br />

famigliari.


SAGGI 127<br />

riali italiane – attive nel settore agricolo, artigianale e industriale – hanno riconosciuto<br />

pubblicamente l’utilità della mediazione, in quanto “tutela gli<br />

interessi del mercato” ( 98 ). Forse è un segnale da non trascurare.<br />

Ciò detto in via generale ed astratta, vediamo adesso la ragione per cui<br />

la mediation pare particolarmente utile per affrontare le controversie ove le<br />

parti non possono permettersi di rovinare i rapporti che le legano ( 99 ), com’è<br />

ad esempio nei rapporti di subfornitura nonché nel caso di operazioni di<br />

outsoursing.<br />

Utilizziamoli come banco di prova.<br />

Secondo la vigente normativa italiana ( 100 ), la subfornitura è definita come<br />

il contratto con cui “un imprenditore si impegna a effettuare per conto di<br />

un’<strong>impresa</strong> committente lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime<br />

forniti dalla committente medesima, o si impegna a fornire all’<strong>impresa</strong> prodotti<br />

o servizi destinati ad essere incorporati o comunque ad essere utilizzati<br />

( 98 )“La riforma della mediazione civile e commerciale rappresenta in <strong>Italia</strong> una occasione<br />

importante per ridurre il contenzioso e tutelare gli interessi del mercato”: tale dichiarazione, dai<br />

toni netti ed inequivocabili, è portata da un documento congiunto sottoscritto dalle seguenti<br />

associazioni di categoria: Confederazione italiana dell’agricoltura, Coldiretti, Compagnia<br />

delle opere, Confagricoltura, Condapi, Confcooperative, Confindustria, Lega delle cooperative,<br />

Rete imprese <strong>Italia</strong>. Oltre alle predette associazioni (rappresentanti i fruitori del servizio<br />

di mediazione), il medesimo documento è stato altresì sottoscritto da: Consiglio nazionale<br />

degli architetti, Consiglio nazionale commercialisti ed esperti contabili, Consiglio nazionale<br />

dei geometri e dei geometri laureati, Consiglio nazionale degli ingegneri, Unioncamere (rappresentanti<br />

invece alcuni tra i potenziali prestatori del servizio stesso). Il testo integrale verrà<br />

pubblicato su La mediazione, 2011. Mediante detto documento, i firmatari manifestavano la<br />

propria contrarietà a uno slittamento nel tempo dell’entrata in vigore – fissata per il 20 marzo<br />

2011 – della condizione di procedibilità introdotta dall’art. 5 del Decreto Legislativo, ventilata<br />

invece in Parlamento in occasione della discussione sulla ratifica del decreto legge 29 dicembre<br />

2010 n. 225 (“milleproproghe 2010”). In effetti, quest’ultimo non prevedeva originariamente<br />

alcun differimento al riguardo. L’idea di spostare tale data è dunque emersa in sede<br />

di conversione. Durante i lavori della competente commissione, alcuni senatori avevano proposto<br />

il rinvio di un anno, cosa auspicata da organizzazioni espressione dell’avvocatura. Facendo<br />

proprie le istanze portate dal citato documento congiunto, il Governo è intervenuto<br />

nel dibattito parlamentare mediante un proprio emendamento, volto a limitare tale rinvio solo<br />

a due materie: le controversie condominiali e quelle sulla responsabilità civile derivante<br />

dalla circolazione di veicoli e natanti, nelle quali le imprese sono solitamente poco coinvolte,<br />

fatta ovviamente eccezione per quelle assicurative. In tal senso si è quindi orientata la commissione<br />

e successivamente l’aula. Si è così pervenuti al testo infine adottato nella legge di<br />

conversione.<br />

( 99 )Per una più ampia trattazione, si rinvia a Aa.Vv., ADR: la negoziazione assistita nei<br />

conflitti economici – Guida alla conciliazione e al mini trial, Milano, 2005.<br />

( 100 ) Legge 18 giugno 1998, n. 192, cit.


128 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

nell’ambito dell’attività economica del committente o nella produzione di un<br />

bene complesso, in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologie,<br />

modelli o prototipi forniti dall’<strong>impresa</strong> committente” ( 101 ). Da tale nozione<br />

sono però esclusi “i contratti aventi ad oggetto la fornitura di materie prime,<br />

di servizi di pubblica utilità e di beni strumentali non riconducibili ad attrezzature”<br />

( 102 ).<br />

È noto come la dottrina giuridica ( 103 ) abbia – da subito – sollevato le<br />

proprie perplessità sulla portata di detta definizione, in quanto non paiono<br />

facilmente individuabili quali sono i rapporti contrattuali effettivamente<br />

presi in considerazione, al fine di assoggettarli ad una disciplina speciale,<br />

volta a tutelare la parte debole, individuata nel subfornitore. Dal punto di<br />

vista economico, infatti, i rapporti di subfornitura costituiscono un insieme<br />

più ampio di quello individuato dalla legge, giacché nel primo confluiscono<br />

tipologie piuttosto eterogenee, sintetizzabili nel seguente modo. In primo<br />

luogo, la fornitura continuativa di prodotti realizzati ad hoc per l’acquirente,<br />

da lui poi incorporati nel proprio prodotto. In secondo luogo, l’esecuzione<br />

di lavorazioni per conto del committente, e cioè su prodotti o componenti<br />

destinati a quest’ultimo. In terzo luogo, la fornitura di prodotti finiti,<br />

che il compratore poi inserisce per la commercializzazione nella propria<br />

gamma. In quarto luogo, la fornitura di attrezzature destinate ad un impianto<br />

produttivo. In quinto luogo, infine, la fornitura di servizi per il funzionamento<br />

dell’<strong>impresa</strong> del committente.<br />

Siffatte relazioni vengono solitamente formalizzate ricorrendo agli<br />

schemi contrattuali propri del settore industriale ove operano le imprese<br />

coinvolte, e dunque contratti di vendita, di somministrazione, di appalto<br />

ovvero d’opera. Di conseguenza, la subfornitura industriale rappresenta in<br />

realtà il contesto economico al cui interno detti contratti vengono conclusi<br />

e nel quale si collocano le relazioni tra le parti, caratterizzate da un rapporto<br />

non paritario a sfavore del subfornitore, siccome tendenzialmente quest’ultimo<br />

può essere facilmente sostituito da un momento all’altro con un<br />

suo concorrente, senza che ciò comporti particolari traumi per l’organizza-<br />

( 101 )Per l’applicazione del diritto comunitario della concorrenza agli accordi di subfornitura,<br />

si vedano i recenti Orientamenti della Commissione sulle restrizioni verticali, in G.U.C.E.,<br />

C 130, 19 maggio 2010, p. 1, punto 22.<br />

( 102 ) Art. 1 della legge 18 giugno 1998, n. 192, cit.<br />

( 103 )Per tutti: Granieri, La subfornitura, in Cendon (a cura di), I nuovi contratti nella<br />

prassi civile e commerciale. Integrazione e collaborazione, XIV, Torino, 2004, p. 657; Colangelo,<br />

Subfornitura, dipendenza economica ed obbligo di contrarre, in Danno e resp., 2009, p. 1000,<br />

cui si rinvia anche per la bibliografia in materia.


SAGGI 129<br />

zione produttiva di chi utilizza nel proprio ciclo produttivo o commerciale<br />

le prestazioni del subfornitore.<br />

In talune circostanze, però, la debolezza del subfornitore si traduce in<br />

uno stato di vera e propria dipendenza economica, secondo la legge sussistente<br />

quando il committente riesce ad imporre nel contratto un eccessivo<br />

squilibrio di diritti e obblighi, mentre il subfornitore non è in grado di reperire<br />

sul mercato alternative soddisfacenti. In tali ipotesi, viene vietato al<br />

committente di abusare della propria preponderante posizione di forza. Siffatta<br />

condotta può consistere anche nel rifiuto di vendere ovvero nel rifiuto<br />

di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente<br />

gravose, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in<br />

atto ( 104 ). A ben vedere, però, così come costruita, la norma tende a sovrapporre<br />

la situazione della dipendenza economica a quella del suo abuso, siccome<br />

per ravvisarsi la prima è necessario accertare non un mero squilibrio<br />

tra la posizione delle parti, ma una condizione eccessivamente sbilanciata:<br />

il che porta facilmente ad identificare o confondere quest’ultima con l’abuso<br />

stesso.<br />

Tenendo conto del citato quadro giuridico di riferimento, passiamo ad<br />

esaminare le peculiarità delle liti in materia di subfornitura, il cui oggetto<br />

tende solitamente a vertere sui seguenti punti: ritardi o inadempimenti nei<br />

pagamenti dei corrispettivi per le forniture; richieste di sconti non pattuiti;<br />

imposizione di nuove specifiche tecniche, comportanti maggiori costi per il<br />

subfornitore; interruzioni del rapporto di subfornitura ovvero modificazione<br />

delle sue condizioni; responsabilità per i vizi, ove il problema tende a focalizzarsi<br />

sul capire in capo a chi effettivamente grava la relativa responsabilità,<br />

qualora sia il prodotto finale a manifestare il difetto e non risulti immediato<br />

stabilire se ciò dipenda da quanto realizzato dal subfornitore ovvero<br />

dal lavoro di assemblaggio eseguito dal committente ovvero dalla progettazione<br />

ovvero da altri componenti riconducibili a soggetti terzi.<br />

Tali controversie assumono peculiari connotazioni in considerazione<br />

della posizione in cui versa il subfornitore, il quale è solitamente, ma non<br />

necessariamente, un piccolo o medio imprenditore svolgente un’attività ritagliata<br />

sulle esigenze della committenza, perlopiù in regine di esclusiva. A<br />

tal fine, egli ha spesso sostenuto significativi investimenti, che deve ammortizzare<br />

confidando nella continuità delle commesse e che risultano difficilmente<br />

convertibili per diversi impieghi ovvero per soddisfare ordinativi<br />

provenienti da altri clienti.<br />

( 104 ) Art. 9 della legge 192/1998, cit.


130 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Talora il subfornitore dispone di un significativo know-how, maturato<br />

nel corso degli anni lavorando per il proprio committente: esperienza che<br />

gli consente di collaborare con quest’ultimo, onde migliorare il prodotto finale.<br />

In certi casi, il contributo del subfornitore diviene addirittura determinante,<br />

in quanto va ad integrare conoscenze perdute o non più sviluppate<br />

dal committente. Quando ciò accade, il rapporto tra le parti recupera un<br />

certo equilibrio, siccome il committente diviene a sua volta legato al<br />

subfornitore, non potendo permettersi di perdere la collaborazione di quest’ultimo,<br />

pena l’uscire dal mercato.<br />

Altro possibile fattore di parziale riequilibrio è l’importanza per il committente<br />

di ricevere una fornitura continua ed ininterrotta: tale elemento risulta<br />

però meno significativo del precedente, siccome il committente può<br />

comunque organizzarsi per tempo, onde gestire in modo efficiente il passaggio<br />

da un subfornitore all’altro. Per contro, la debolezza del subfornitore<br />

si manifesta nella sua pianezza, quando egli sia facilmente sostituibile da<br />

un momento all’altro con un proprio concorrente.<br />

Fatta eccezione per quest’ultima situazione, preservare il rapporto tra le<br />

parti diviene un’esigenza affatto non trascurabile per i litiganti (i quali ben<br />

potrebbero essere più di due soggetti, ad esempio quando la controversia<br />

coinvolge il committente ed i vari suoi subfornitori che rispettivamente<br />

concorrono a realizzare i componenti assemblati nel prodotto finale) ( 105 ). A<br />

ciò si aggiunga che, mentre essi si confrontano a causa della lite, può intervenire<br />

con effetto dirompente la reazione del cliente servito dal committente<br />

stesso, rovinando così gli affari ad entrambi. Viste altresì le incertezze<br />

sul quadro giuridico di riferimento, derivanti dall’assenza di un orientamento<br />

uniforme nella giurisprudenza (che va a discapito della parte debole) ( 106 ), si<br />

evince allora l’importanza della mediazione.<br />

Passando alle controversie tra imprese nascenti nel contesto di quelle<br />

operazioni di decentramento produttivo di attività specialistiche che, nell’ottica<br />

economica, vengono definite outsourcing ( 107 ) o “esternalizzazione”,<br />

( 105 ) Se la lite coinvolge più di due soggetti, possono insorgere rilevanti difficoltà nell’operatività<br />

delle clausole arbitrali eventualmente inserite nei contratti di subfornitura: al riguardo,<br />

si veda Granieri, La subfornitura, cit., p. 419.<br />

( 106 ) Sparano, La legge sulla subfornitura. Intervento, inapplicato, per le piccole e medie imprese,<br />

in Diritto e Giustizia, suppl. al n. 3 del 22 gennaio 2005, p. 12.<br />

( 107 )Per un approfondimento: Ferrando e Berta, I contratti di outsourcing e di global<br />

maintenance service, in Cendon (a cura di), I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale,<br />

cit., p. 395; Rosboch, voce Outsourcing (diritto privato), in Digesto, disc. priv., sez. civ., Agg.,<br />

2003, p. 993.


SAGGI 131<br />

qui, rispetto ai casi di subfornitura, tende sostanzialmente ad accentuarsi<br />

l’autonomia dei soggetti cui viene affidato – senza troppa ingerenza nella loro<br />

organizzazione aziendale, giacché questi ultimi risultano spesso disporre<br />

di maggiori conoscenze o capacità tecniche in materia – l’espletamento di<br />

una parte dei processi produttivi o dei servizi dell’<strong>impresa</strong> che procede al<br />

decentramento, la quale così ne cessa (o nemmeno ne inizia) la realizzazione<br />

in proprio.<br />

Più nel dettaglio, per outsourcing si intende essenzialmente una formula<br />

organizzativa imprenditoriale, ispirata dall’idea che un’<strong>impresa</strong> deve concentrare<br />

i propri sforzi su quanto rappresenta il core business, ricorrendo invece<br />

a soggetti terzi per lo svolgimento di tutte le altre attività ad esso strumentali<br />

o complementari.<br />

I vantaggi consistono nel ridurre i costi operativi (aumentando quelli<br />

variabili e riducendo quelli fissi) ed i rischi di gestione, da un canto, nonché<br />

nell’accedere a forniture specializzate di prodotti, dall’altro.<br />

L’altra faccia della medaglia è la perdita del controllo su fasi del processo<br />

aziendale che, più sono ampie, più aumenta il pericolo di intaccare lo<br />

stesso core business ovvero di pregiudicarne lo sviluppo futuro. Inoltre,<br />

l’<strong>impresa</strong> che esternalizza tende a trovarsi in balia dei propri collaboratori, i<br />

quali divengono magari in grado di paralizzarne o pregiudicarne l’attività,<br />

sopratutto se svolgono funzioni per essa strategiche. Sotto questo aspetto,<br />

la situazione può risultare anche antitetica rispetto a quella del subfornitore<br />

in stato di dipendenza economica, ma vicina a quella in cui egli versa quando<br />

ha acquisito un importante know-how nelle lavorazioni fatte per conto<br />

del committente.<br />

Dal punto di vista giuridico, l’outsourcing non rappresenta una specifica<br />

tipologia di contratto, ma si tratta di un’attività che richiede necessariamente<br />

la predisposizione di un’apposita e molto dettagliata contrattualizzazione.<br />

Siccome l’outsourcing presuppone una stretta collaborazione tra le parti<br />

coinvolte, per formalizzarla talora si ricorre agli strumenti tipici del diritto<br />

societario, costituendo società partecipate o associazioni in partecipazione<br />

ovvero, ma più raramente, consorzi, cui l’<strong>impresa</strong> che decentra spesso conferisce<br />

un proprio ramo di azienda. Altra via per raggiungere il medesimo<br />

risultato è la scissione di quest’ultima in due distinte società: una rimane<br />

detentrice del core business e non subisce modificazioni proprietarie; l’altra<br />

riceve in dote l’attività esternalizzata e viene aperta alla partecipazione di<br />

nuovi soci o ceduta loro.<br />

Conseguentemente, quando tali operazioni sono ispirate da reali esigenze<br />

imprenditoriali (e cioè non nascondono invece l’intento di dismettere<br />

di fatto rami d’azienda improduttivi, ricorrendo ad un sistema meno ap-


132 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

pariscente per l’opinione pubblica e le relazioni sindacali), viene a crearsi<br />

tra le parti coinvolte un legame molto stretto, a “filo doppio”.<br />

In un simile contesto, un conflitto rischia allora di risultare fortemente<br />

distruttivo per tutti i litiganti, a prescindere dagli esiti dell’eventuale decisione<br />

assunta in sede contenziosa, dopo una durata processuale peraltro suscettibile<br />

di dilatarsi a causa della complessità tecnico/giuridica della relativa<br />

vertenza, spesso comportante la necessità di procedere ad operazioni peritali<br />

affidate a consulenti d’ufficio, le cui conclusioni spesso condizionano<br />

fortemente la pronuncia del giudicante.<br />

Infatti, quando le aziende dei partecipanti divengono fortemente integrate<br />

per effetto dell’operazione di outsourcing, i reciproci contributi non risultano<br />

rapidamente rimpiazzabili. Pertanto, la rottura dei rapporti è talora<br />

suscettibile di provocare addirittura la paralisi dell’<strong>impresa</strong> che ha decentralizzato,<br />

mentre per le sue controparti significa quanto meno perdere un<br />

cliente importante (quando non fondamentale), sulle cui esigenze è stata<br />

modellata una rilevante parte dell’attività aziendale. Si comprende, allora,<br />

l’effetto deletereo di una controversia non rapidamente risolta in modo<br />

pragmatico: a causa del forte rallentamento o della paralisi della propria attività<br />

aziendale, chi ha decentralizzato ha buone probabilità di risultare inadempiente<br />

verso i clienti finali e di perderli a sua volta; entrambe le parti subiscono<br />

gravi perdite, da cui non è escluso che nei casi più gravi discenda il<br />

fallimento, cosa che vanifica l’utilità di qualsiasi azione risarcitoria, qualora<br />

l’insolvenza colpisca il responsabile del disastro.<br />

Evidente l’analogia con la pericolosità dei conflitti nell’ambito delle<br />

joint ventures, specie se le partecipazioni sono paritarie fra le società-madri<br />

(che – come si è detto – vengono talora usate per realizzare operazioni di<br />

outsourcing): in tale ipotesi, oltre a presentare gli aspetti già analizzati, il<br />

conflitto si arricchirà di tutte le intricate problematiche di carattere societario<br />

relative alla gestione dell’<strong>impresa</strong> comune.<br />

Duttilità ed immediatezza, dunque, le esigenze prioritarie per affrontare<br />

siffatti litigi. Giacché la risposta adeguata potrebbe derivare dalle tecniche<br />

ADR, sarebbe piuttosto imprudente ignorarle, e ciò sia nell’ipotesi in<br />

cui per i litiganti la soluzione migliore risulti continuare la relazione superando<br />

il conflitto, sia nell’ipotesi opposta, dove diviene importante pervenire<br />

alla cessazione dei rapporti nel modo per tutti meno traumatico.<br />

Per le liti nascenti da operazioni di outsourcing, sul piano giuridico il tentativo<br />

obbligatorio di conciliazione scatta se il rapporto, instauratosi tra le<br />

parti per effetto di detta operazione organizzativa, è riconducibile alla citata<br />

nozione legale di subfornitura. Sul piano pratico, però, spesso la soluzione<br />

consensuale del conflitto si mostra essere l’unica strada verosimilmente


SAGGI 133<br />

percorribile con effettivo vantaggio per le parti. Ecco dunque il terreno per<br />

la mediazione facoltativa.<br />

In definitiva, se si guarda alle controversie rispettivamente scaturenti<br />

dai rapporti di subfornitura e di outsoursing ponendosi nell’ottica dell’opportunità<br />

economica per le imprese coinvolte in siffatte liti, visuale da cui<br />

esulano i profili di natura processuale, sfuma in sostanza ogni rilevante differenza<br />

tra la mediazione obbligatoria e quella facoltativa.<br />

8. – Alla luce delle precedenti mere riflessioni, si paleserebbe forse il<br />

motivo per cui la mediazione “risponde agli interessi del mercato” ( 108 ), da un<br />

canto, e viene disciplinata dal Decreto Legislativo in modo verosimilmente<br />

coerente ai precetti sia comunitari (ferma la necessità di evitare una proposta<br />

aggiudicativa, se la lite ha natura trasfrontaliera e non rientra tra i reclami<br />

dei consumatori) sia costituzionali, dall’altro.<br />

Il mediatore, inoltre, non è affatto in competizione con il magistrato o<br />

l’arbitro. Soprattutto quanto egli ricorre alla tecnica di mediation, l’attività<br />

del primo è fondata su presupposti (l’approccio sistemico al contenzioso)<br />

completamente antitetica a quella dei secondi. Pertanto tale mediatore vanifica<br />

se stesso, quando con presunzione e maldestrezza egli si atteggia da<br />

giudice, dimenticando che la propria funzione è invece l’aiutare le parti a<br />

definire il conflitto in via volontaria, favorendo il dialogo e la consapevolezza<br />

nei dovuti modi.<br />

Mediatore e magistrato sono dunque complementari. L’uno interviene<br />

durante le trattative in sede extragiudiziaria, ove – nel campo dei diritti disponibili<br />

– regna sovrano l’interesse economico e relazionale delle parti in<br />

lite. L’altro (e solo egli) rende giustizia, applicando il diritto alle singole fattispecie<br />

mediante gli strumenti processuali predisposti dall’ordinamento<br />

giuridico cui appartiene.<br />

( 108 ) Documento congiunto in precedenza citato.


ERNESTO CAPOBIANCO<br />

Mediazione obbligatoria e Arbitro Bancario Finanziario<br />

Sommario: 1. La disciplina della mediazione obbligatoria e i contratti bancari e finanziari:<br />

l’alternativa nella scelta del meccanismo di soluzione stragiudiziale delle controversie.<br />

– 2. L’Arbitro Bancario Finanziario e la sua « ibrida » natura: conseguenze sulla qualificazione<br />

della « decisione » dell’organismo. – 3. Verifica delle condizioni di « alternatività<br />

». Il carattere non assoluto dell’alternativa: limitazioni di tipo soggettivo, oggettivo,<br />

convenzionale e territoriale. – 4. Il possibile rapporto tra procedimento dinanzi all’Arbitro<br />

Bancario Finanziario e la disciplina della mediazione. Le relazioni col processo. –<br />

5. Rilievi conclusivi, pronostici e proposte.<br />

1. – La disciplina sulla mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie<br />

civili e commerciali (d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28), all’art. 5, comma 1,<br />

annovera tra i settori per i quali è obbligatorio il ricorso alla mediazione, quello<br />

dei contratti bancari e finanziari. Il carattere massificato di tali contratti e il<br />

progressivo aumento della litigiosità registratasi negli ultimi anni in materia<br />

costituiscono le ragioni poste a base della scelta legislativa dell’obbligatorietà<br />

( 1 ). La norma prevede anche che in dette materie sia possibile proporre, in alternativa<br />

alla mediazione prevista dal d.lgs. n. 28 del 2010, « il procedimento di<br />

conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il<br />

procedimento istituito in attuazione dell’art. 128-bis del testo unico delle leggi<br />

in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre<br />

( 1 ) In questo senso la relazione illustrativa al d.lgs. n. 28 del 2010, sub art. 5. La scelta dell’obbligatorietà<br />

è, nella medesima relazione, per questa, come per le altre materie interessate<br />

dall’art. 5, giustificata dalla circostanza che solo l’allargamento della condizione di procedibilità<br />

ad una vasta serie di rapporti « possa garantire alla nuova disciplina una reale spinta deflattiva<br />

e contribuire alla diffusione della cultura della risoluzione alternativa delle controversie<br />

». Questi propositi rischiano tuttavia di essere disattesi qualora la Corte costituzionale dovesse<br />

ritenere fondata la questione di legittimità costituzionale posta da TAR Lazio, sez. I, 12<br />

aprile 2011, in www.altalex.com/index.phpidnot=13920, il quale ha ritenuto rilevante e non<br />

manifestamente infondata, in relazione agli artt. 24 e 77 della Costituzione, la questione di legittimità<br />

costituzionale dell’art. 5 del d. lgs. n. 28 del 2010, comma 1, primo periodo (che introduce<br />

a carico di chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa alle controversie nelle<br />

materie espressamente elencate l’obbligo del previo esperimento del procedimento di mediazione),<br />

secondo periodo (che prevede che l’esperimento di mediazione è condizione di<br />

procedibilità della domanda giudiziale), terzo periodo (che dispone che l’improcedibilità deve<br />

essere eccepita dal convenuto o rilevata d’ufficio dal giudice).


SAGGI 135<br />

1993, n. 385» ( 2 )e ciò sulla base del convincimento che « il settore dei contratti<br />

di servizi già vanta diffuse esperienze di composizione bonaria, che potranno<br />

essere messe utilmente a profitto anche nel nuovo procedimento di mediazione<br />

introdotto [ . . . ] sul presupposto che gli organi ivi disciplinati offrano<br />

già oggi adeguate garanzie di imparzialità ed efficienza » ( 3 ).<br />

Sta di fatto, tuttavia che, mentre il procedimento di conciliazione previsto<br />

per le controversie concernenti i servizi e le attività di investimento dal<br />

d.lgs. n. 179 del 2007 (e dal regolamento Consob del 29 dicembre 2008) è un<br />

vero e proprio procedimento di conciliazione (v. art. 4 d.lgs. n. 179 del 2007,<br />

artt. 7-16 reg. Consob), il procedimento istituito in attuazione dell’art. 128-<br />

bis t.u. banc. è un procedimento a contenuto decisorio ( 4 ). Sicché, mentre<br />

per quanto attiene alle problematiche relative alle controversie relative alle<br />

attività e ai servizi di investimento le possibili differenze tra il procedimento<br />

di cui alla normativa generale sulla mediazione e quello, più specifico,<br />

dettato dalla normativa settoriale, per il loro carattere omogeneo, possono<br />

essere più facilmente apprezzate e consentono una più facile comparazione<br />

in vista della scelta « alternativa » ipotizzata dal legislatore, per quanto attiene<br />

a quelle destate dalle controversie relative a operazioni e servizi bancari<br />

e finanziari ( 5 ) la comparazione e la scelta sono invece meno agili. Si<br />

rende quindi necessaria qualche riflessione al riguardo.<br />

2. – Il sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie in campo<br />

bancario è stato attuato con modalità differenti da quanto è accaduto in<br />

quello, contiguo, dei servizi di investimento.<br />

In quest’ultimo infatti la legge prevede la possibilità di ricorso sia al<br />

meccanismo della conciliazione sia a quello dell’arbitrato mediante l’istituzione<br />

di una Camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob e l’ado-<br />

( 2 ) Non sembrano dello stesso avviso Guccione e C.A. Russo, L’Arbitro Bancario Finanziario,<br />

in Nuove leggi civ., 2010, p. 476 i quali non pongono la questione in termini di alternatività<br />

ma di esclusività delle funzioni dell’organismo istituito ai sensi dell’art. 128-bis. t.u. ai fini<br />

di quanto disposto dall’art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010.<br />

( 3 ) Relazione illustrativa, cit.<br />

( 4 ) Per un rapido sguardo d’insieme ai vari strumenti di risoluzione delle controversie in<br />

ambito bancario e finanziario cfr. Bruschetta, Le controversie bancarie e finanziarie, in Contratti,<br />

2010, p. 422 ss.<br />

( 5 ) La delimitazione di criteri delle reciproche competenze tra la Camera di conciliazione<br />

e arbitrato istituita presso la Consob e il sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie<br />

di cui all’art. 128-bis, non sempre facilmente praticabile, dovrebbe restare affidata a un<br />

protocollo d’intesa tra questi ai sensi dell’art. 4, comma 2, reg. Consob 29 dicembre 2008. Utili<br />

indicazioni in Guccione e C.A. Russo, L’Arbitro Bancario Finanziario, cit., p. 490 ss.


136 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

zione di due diversi procedimenti, l’uno conciliativo (artt. 4 d.lgs. n. 179 del<br />

2007 e 7-16 regol. Consob), l’altro arbitrale (art. 5-6 d.lgs. cit. e 17-34 reg.<br />

cit.), destinato il primo a sfociare in una soluzione autonoma (accordo delle<br />

parti da documentarsi in apposito verbale: art. 14 reg. cit.), il secondo in<br />

una soluzione eteronoma, procedimentalizzata secondo il modello dell’arbitrato<br />

amministrato (lodo arbitrale sempre impugnabile per violazione di<br />

norme di diritto: art. 5, comma 4, d.lgs. cit.) ( 6 ).<br />

Nel campo dei servizi bancari e finanziari il citato art. 128-bis t.u. banc.<br />

si è limitato, invece, ad una previsione, dal tenore piuttosto vago, in base alla<br />

quale « I soggetti di cui all’art. 115 t.u. aderiscono a sistemi di risoluzione<br />

stragiudiziale delle controversie » rimettendo al Cicr, su proposta della Banca<br />

d’<strong>Italia</strong>, la determinazione « dei criteri di svolgimento delle procedure di<br />

risoluzione delle controversie e di composizione dell’organo decidente, in<br />

modo che risulti assicurata l’imparzialità dello stesso e la rappresentatività<br />

dei soggetti interessati ». Il tutto senza pregiudizio per la possibilità di ricorso<br />

da parte del cliente « in qualunque momento a ogni altro mezzo di tutela<br />

previsto dall’ordinamento ». La previsione dell’art. 128-bis t.u. banc. è<br />

stata attuata attraverso la delibera Cicr 29 luglio 2008, n. 275 che ha dettato<br />

la disciplina dei sistemi stragiudiziali delineandone il campo di applicazione,<br />

la struttura e le fondamentali regole procedurali, demandando alla Banca<br />

d’<strong>Italia</strong> i compiti di nomina dei membri dell’organo decidente, di svolgimento<br />

di attività di supporto tecnico ed organizzativo, nonché di emanazione<br />

delle disposizioni applicative. Ad essa ha fatto seguito il provvedimento<br />

della Banca d’<strong>Italia</strong> del 18 giugno 2009 avente ad oggetto « Disposizioni<br />

sui sistemi di risoluzioni stragiudiziale delle controversie in materia di<br />

operazioni e servizi bancari e finanziari » istitutivo dell’Arbitro Bancario Finanziario<br />

(ABF) ( 7 ).<br />

Si è detto che il procedimento di cui all’art. 128-bis t.u. banc. non è un<br />

( 6 ) In argomento Colombo, La Consob e la soluzione extragiudiziale delle controversie in<br />

materia di servizi di investimento, in Società, 2007, p. 8 ss.; Soldati, La camera arbitrale presso<br />

la Consob per le controversie tra investitori ed intermediari, in Contratti, 2009, p. 423 ss.<br />

( 7 ) In argomento Ruperto, L’«Arbitro Bancario Finanziario », in Banca, borsa, tit. cred.,<br />

2010, I, p. 325 ss.; Capriglione, La giustizia nei rapporti bancari e finanziari. La prospettiva<br />

dell’ ADR, ivi, I, p. 261 ss.; Guizzi, Chi ha paura dell’Abf (una breve risposta a “La giustizia nei<br />

rapporti bancari finanziari. La prospettiva dell’ADR”), in Riv. dir. comm., 2010, I, p. 665 ss.;<br />

Guccione e C.A. Russo, L’Arbitro Bancario Finanziario, cit., p. 475 ss.; Costantino, La istituzione<br />

dell’« Arbitrato Bancario Finanziario », in F. Auletta, Califano, Della Pietra, Rascio<br />

(a cura di), Sull’arbitrato. Studi offerti a Giovanni Verde, Napoli, 2010, p. 301; F. Auletta,<br />

Arbitro bancario finanziario e « sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie », in Società,<br />

2011, p. 85.


SAGGI 137<br />

procedimento conciliativo. Prova ne è che l’art. 6, comma 4, del citato regolamento<br />

Cicr prevede l’interruzione dello svolgimento del procedimento<br />

qualora consti l’avvio di un tentativo di conciliazione. Sorge allora innanzitutto<br />

il dubbio se il richiamo all’art. 128-bis effettuato dall’art. 5 del d.lgs. in<br />

materia di mediazione sia o meno dotato di effettività. Ed invero potrebbe<br />

trattarsi di un richiamo effettuato nella previsione che, in attuazione dell’art.<br />

128-bis, il Cicr istituisca, sulla falsariga di quanto è avvenuto per i servizi<br />

di investimento, anche dei sistemi di risoluzione stragiudiziale delle<br />

controversie basati su meccanismi di tipo conciliativo, sì che la concreta<br />

operatività dell’alternativa ipotizzata dalla norma in materia di mediazione<br />

sarebbe destinata a prender vita solo con l’istituzione di siffatti ulteriori<br />

meccanismi di ADR. Una tale soluzione sembra però esclusa da un lato dal<br />

fatto che l’art. 128-bis, più o meno inconsapevolmente, non ha previsto la<br />

conciliazione nell’ambito dei « sistemi » da esso contemplati. La norma,<br />

pur nella sua già sottolineata laconicità, appare infatti puntuale nell’individuare<br />

l’esigenza che la deliberazione attuativa del Cicr determini, oltre i criteri<br />

di svolgimento delle procedure, quelli di composizione dell’organo<br />

« decidente », lasciando così poco spazio a interpretazioni che consentissero<br />

all’organo regolamentatore di prevedere l’istituzione di sistemi di tipo<br />

conciliativo nei quali non si « decide » ma si « media » in vista dell’obiettivo<br />

dell’accordo conciliativo. Lo stesso art. 5, comma 1, d.lgs. 28 del 2010, sembra<br />

perfettamente allinearsi a tale conclusione nel momento in cui si fa carico<br />

di precisare che, mentre nel campo dei servizi di investimento alla mediazione<br />

ex art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010 è alternativo il solo procedimento della<br />

conciliazione previsto dalla l. n. 179 del 2007 (e non invece pure l’arbitrato<br />

da detta legge previsto), nel campo dei contratti relativi ai servizi bancari<br />

e finanziari ad esso è alternativo « il procedimento istituito in attuazione<br />

dell’art. 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia ».<br />

In altri termini può dirsi che la condizione di procedibilità di cui all’art. 5<br />

del d.lgs. n. 28 del 2010 nel settore dei contratti bancari e finanziari può essere<br />

alternativamente soddisfatta attivando o il procedimento di mediazione previsto<br />

da detto decreto, oppure il ricorso all’ABF che è un procedimento che<br />

con la mediazione sembra aver poco a che fare visto che la controversia viene<br />

« decisa » dal collegio di cui all’art. 3 della delibera Cicr il quale si pronuncia<br />

con « decisione motivata [ . . .] assunta sulla base della documentazione raccolta<br />

e delle previsioni di legge e regolamentari in materia, nonché dei codici<br />

di condotta cui l’intermediario aderisca » (art. 6, comma 5, reg. Cicr).<br />

Il procedimento dinanzi all’ABF, quindi: non sembra partecipi dei caratteri<br />

della mediazione e, diversamente da questa, appare privo di quella<br />

attitudine a comporre conflitti eliminando gli antagonismi tra le parti; non


138 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

consentirebbe di ristabilire la relazione intersoggettiva tra le parti attraverso<br />

la loro conciliazione; l’atto risolutivo della controversia da parte di detto<br />

organismo non sembra favorire, in quanto condizionato dalla necessaria<br />

corrispondenza tra chiesto e pronunciato, soluzioni « atipiche » della controversia<br />

non potendo investire diritti diversi da quello in contestazione ( 8 ).<br />

Si tratterebbe allora di un procedimento che, non diversamente da un ordinario<br />

procedimento dinanzi al giudice, si propone di distribuire ragioni e<br />

torti ( 9 ).<br />

Sbaglierebbe tuttavia chi ritenesse che la decisione dell’ABF possa considerarsi,<br />

ad onta della definizione di « Arbitro » dato dalla Banca d’<strong>Italia</strong> all’organismo,<br />

un lodo, come si trattasse di arbitrato, giacché che si tratti di un<br />

arbitrato è escluso dalla norma, per altro verso innanzi richiamata dell’art.<br />

6, comma 4, della deliberazione Cicr, la quale prevede che « qualora la controversia<br />

sia sottoposta all’autorità giudiziaria ovvero a giudizio arbitrale nel<br />

corso del procedimento, il collegio, verificato l’interesse del ricorrente alla<br />

conclusione di quest’ultimo, può dichiararne l’estinzione », non essendo<br />

possibile ipotizzare la concomitante perduranza di due arbitrati sulla medesima<br />

controversia.<br />

Che possa trattarsi di arbitrato è peraltro escluso dalla circostanza che, a<br />

differenza di quanto ad esempio previsto dalla disciplina della l. n. 179 del<br />

2007 in materia di controversie relative ai servizi di investimento, né la legge<br />

(art 128-bis t.u. banc), né la delibera Cicr del 2008, contengono richiamo alcuno<br />

alla natura di lodo della decisione, né tantomento all’art. 825 c.p.c. ( 10 ).<br />

( 8 ) In questi caratteri si rinvengono solitamente i vantaggi della mediazione rispetto a<br />

quelli offerti da altri sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie. Si veda al riguardo,<br />

tra gli altri, Luiso, La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, in Riv. trim. dir. e proc.<br />

civ., 2004, p. 1201 ss.<br />

( 9 ) E di fare altresì « giurisprudenza » se si considera che nella sez. IV, par. 2, delle disposizioni<br />

Bankitalia del 18 giugno 2009, si prevede che la struttura centrale di coordinamento presso<br />

la Banca d’<strong>Italia</strong> « gestisce e pubblica sul sito internet dell’ABF un archivio elettronico delle<br />

decisioni dei collegi che ha la funzione di facilitare la consultazione e la diffusione degli orientamenti<br />

seguiti dall’organo decidente ». Cfr. Banca d’italia, Sintesi dell’attività svolta dall’arbitro<br />

bancario finanziario (abf) al 31 marzo 2010, in Foro it., 2010, V, c. 279 con Premessa di Costantino.<br />

Entrambe le funzioni, da un lato quella « autenticamente decisoria . . . da svolgersi<br />

in rigorosa applicazione delle norme di diritto » dall’altro quella « in senso lato nomofilattica »<br />

sono sottolineate nel provvedimento dell’ABF Napoli, 6 luglio 2010, in www.judicium.it (e ivi il<br />

commento di Maione, Profili ricostruttivi di una (eventuale) legittimazione a quo dei Collegi dell’Arbitro<br />

bancario Finanziario) con il quale quest’ultimo si è ritenuto legittimato, in quanto organo<br />

giudicante, a sollevare questioni di costituzionalità alla Corte Costituzionale.<br />

( 10 ) Di soluzione aggiudicativa diversa dalla conciliazione e dall’arbitrato discorre Galletto,<br />

Il modello italiano di conciliazione stragiudiziale in materia civile, Milano, 2010, p. 33.


SAGGI 139<br />

Il « mistero » sulla natura della decisione dell’ABF è risolto dalla disposizione<br />

dei commi 6 e 7 dell’art. 6 reg. Cicr che, nello stabilire che « l’intermediario<br />

adempie alla decisione entro 30 giorni dalla comunicazione della<br />

pronuncia, ovvero nel diverso termine previsto dalla medesima » e che<br />

« nei casi di inadempimento o di ritardo nell’adempimento della decisione<br />

ovvero nei casi di mancata cooperazione dell’ intermediario, l’inadempienza<br />

è resa pubblica secondo le modalità stabilite dalla Banca d’<strong>Italia</strong> », collega<br />

all’eventuale inadempienza dell’intermediario una mera conseguenza<br />

sanzionatoria di tipo reputazionale ( 11 ). La pronuncia non produce allora alcun<br />

effetto giuridico tra le parti e l’intermediario non è obbligato in senso<br />

tecnico ad adempiere alla decisione ( 12 ). Si tratterebbe quindi di una sorta<br />

di parere pro veritate mediante il quale l’organo esprimerebbe una valutazione<br />

sulla controversia in atto tra l’intermediario e il cliente ( 13 ), salvo che<br />

sulla decisione dell’organismo vada a convergere la spontanea attuazione<br />

della stessa da parte dell’intermediario e l’accettazione (anche tacita) del<br />

cliente: l’accordo così prodottosi darebbe vita ad un atto con funzione transattiva<br />

( 14 ).<br />

Può convenirsi sulla circostanza che si tratti, in fondo, di una « creatura<br />

ibrida » ( 15 ); ma di essa possono sin d’ora segnalarsi: a) da un lato la sua qualificabilità<br />

tra le ADR di tipo aggiudicativo non riconducibili all’arbitrato; b)<br />

la non esclusione del possibile rilievo in termini di atto di risoluzione della<br />

controversia di tipo « autonomo » (con l’appropriazione della decisione da<br />

parte dei litiganti); c) la probabile ( 16 ) attitudine della decisione a superare il<br />

pur previsto confine dell’applicazione delle sole « norme di legge e regolamentari<br />

in materia, nonché dei codici dei condotta cui l’intermediario aderisca<br />

» visto che questa, ai sensi del (trascurato) disposto dell’art. 5, comma<br />

( 11 ) In questo senso Ruperto, L’«Arbitro Bancario Finanziario », cit., p. 332.<br />

( 12 ) Ruperto, op. cit., 332 s.; Auletta, Arbitro bancario finanziario e « sistemi di risoluzione<br />

stragiudiziale delle controversie », cit., p. 87 ss.; Maione, Profili ricostruttivi di una (eventuale)<br />

legittimazione a quo dei Collegi dell’Arbitro bancario Finanziario, cit., p. 10 il quale sottolinea<br />

(a p. 12 ove ulteriori riferimenti) che il procedimento di cui all’art. 128-bis t.u.banc., pur<br />

non incidendo in maniera diretta sulle posizioni giuridiche delle parti, rileverebbe in particolare<br />

sull’intermediario in virtù della sua appartenenza al settore creditizio che lo espone al potere<br />

pubblico di vigilanza della Banca d’<strong>Italia</strong>.<br />

( 13 ) Ruperto, op. cit., p. 335.<br />

( 14 ) Ruperto, op. cit., p. 336.<br />

( 15 ) Galletto, Il modello italiano di conciliazione stragiudiziale in materia civile, cit., p. 34.<br />

( 16 ) La questione è dubbia giacché secondo taluni si tratterebbe di una mera raccomandazione<br />

di carattere generale più che una indicazione fatta alle parti del procedimento: Guccione<br />

e C.A. Russo, L’Arbitro Bancario Finanziario, cit., p. 501 s.


140 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

5, delib. Cicr « può contenere indicazioni volte a favorire le relazioni tra intermediari<br />

e clienti ». Riguardato in questa prospettiva, l’istituto consegnatoci<br />

dall’art. 128-bis t.u. banc., per il tramite delle sue diposizioni attuative,<br />

sembra riveli elementi di minore (se pur persistente) conflittualità con la<br />

mediazione di cui all’art. 5 l. n. 28 del 2010. Si può quindi tentare di collaudare<br />

la « tenuta » delle diverse discipline (e le loro possibili intersezioni) fine<br />

di verificarne la possibile attitudine alla soddisfazione della condizione<br />

di procedibilità di cui al citato art. 5.<br />

3. – Di completa alternatività tra il ricorso alla mediazione e il ricorso all’ABF<br />

in realtà non si può parlare giacché sussistono talvolta circostanze<br />

impeditive dell’esperibilità della procedura dinanzi a quest’ultimo organismo.<br />

Una circostanza impeditiva può essere individuata nell’esclusiva legittimazione<br />

del cliente a ricorrere al procedimento di cui all’art. 128-bis t.u.<br />

banc. Al riguardo, nel silenzio della norma, è l’art. 5, comma 1, delib. Cicr a<br />

stabilirlo integrando così la disciplina del t.u. ( 17 ). Nel caso che chi intenda<br />

agire in giudizio sia quindi l’intermediario costui dovrà intraprendere il procedimento<br />

di mediazione.<br />

Una ulteriore circostanza se non impeditiva, quantomeno limitativa<br />

dell’accesso alla procedura dinanzi all’ABF, attiene all’oggetto della controversia.<br />

All’ABF possono essere sottoposte « le controversie che vertono<br />

sull’accertamento di diritti, obblighi, facoltà, purché l’eventuale somma oggetto<br />

di contestazione tra le parti non sia superiore a 100.000 euro » (art. 2,<br />

comma 4, delib. Cicr). Più esattamente, secondo le disposizioni della Banca<br />

d’<strong>Italia</strong> (sez. I, par. 4, che sotto questo profilo appaiono innovative rispetto<br />

alla delib. Cicr) all’ABF possono essere sottoposte « tutte le controversie<br />

aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente<br />

dal valore del rapporto al quale si riferiscono »; ma se la richiesta del<br />

ricorrente « ha ad oggetto la corresponsione di una somma di danaro a qualunque<br />

titolo, la controversia rientra nella cognizione dell’ABF a condizione<br />

che l’importo richiesto non sia superiore a 100.000 euro ». Richieste che<br />

debordino da dette previsioni possono quindi essere sottoposte solo agli organismi<br />

di mediazione.<br />

Limitazioni attengono pure alle controversie relative a beni materiali<br />

eventualmente oggetto del contratto – come ad es. ai vizi del bene concesso<br />

in leasing o in operazioni di credito al consumo - o relative a servizi diversi<br />

( 17 ) Sul punto Ruperto, L’«Arbitro Bancario Finanziario », cit., p. 329.


SAGGI 141<br />

da quelli bancari e finanziari, sulle quali la competenza dell’ABF è espressamente<br />

esclusa (art. 2, comma 5, delib. Cicr); così come al risarcimento dei<br />

danni « che non siano conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento<br />

o della violazione dell’intermediario » (disp. ult. cit.), disposizione questa<br />

certamente poco chiara giacché non difforme dall’art. 1223 c.c., ma che,<br />

nell’ottica bancaria in cui si muovono le disposizioni in parola, potrebbe voler<br />

alludere alla necessità di restringere la cognizione sul danno nell’ambito<br />

delle strette competenze tecniche che caratterizzano l’organismo ( 18 ). Soluzione,<br />

questa, criticabile per un organo che, dovendo, a quanto sembra,<br />

decidere le controversie « esclusivamente facendo applicazione del diritto<br />

» ( 19 ), dovrebbe applicarlo nella sua interezza e senza limitazioni, e che favorirebbe<br />

la scelta della mediazione nell’ipotesi in cui il ricorrente intenda<br />

azionare un danno « ulteriore ».<br />

Una ulteriore circostanza impeditiva potrebbe essere di origine convenzionale<br />

e consistere nella esplicita previsione nei contratti tra intermediario<br />

e cliente di una clausola di mediazione ( 20 )che, ferma restando l’operatività<br />

del rispetto della condizione di procedibilità in considerazione della particolare<br />

tipologia di rapporto, vincoli la parte a ricorrere alla mediazione piuttosto<br />

che all’ABF, oppure a un determinato organismo di mediazione, piuttosto<br />

che ad altro liberamente prescelto dall’istante (art. 5, comma 5, d.lgs.<br />

n. 28 del 2010). Ci si potrebbe chiedere se, viceversa, sia consentita una clau-<br />

( 18 ) L’ipotesi potrebbe essere quella della esclusione del danno non patrimoniale che consegua<br />

all’inadempimento di una obbligazione contrattuale, sulla quale, di recente, per la risarcibilità,<br />

Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26973, in Foro it., 2009, I, c. 120, che riconduce proprio<br />

nell’alveo delle perdite e delle mancate utilità di cui all’art. 1223 c.c. anche i pregiudizi non<br />

patrimoniali determinati dalla lesione dei menzionati diritti. Sul carattere « pleonastico e forse<br />

inopportuno » del riferimento ai danni costituenti « conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento<br />

dell’intermediario » v. i condivisibili rilievi di Ruperto, op. cit., p. 343. Va detto,<br />

peraltro, che talvolta le discipline di ADR, più esplicitamente, tendono a limitare il ristoro del<br />

pregiudizio sofferto dal danneggiato facendo salvo il ricorso all’autorità giudiziaria per il risarcimento<br />

del danno ulteriore. Così ad esempio per i servizi di investimento, in caso di arbitrato<br />

amministrato dalla Consob, all’esito del quale può essere riconosciuto un semplice « indennizzo<br />

» a favore dell’investitore, salvo il diritto di costui di chiedere al giudice il risarcimento del<br />

danno ulteriore (art. 3, commi 1 e 3, d.lgs. n. 179 del 2007). Sull’efficacia deflattiva tuttavia di un<br />

sistema così concepito vi sarebbe da riflettere. Fortunatamente nei primi provvedimenti l’ABF<br />

sembra si vada orientando nel senso di non tener conto dell’apparente limitazione.<br />

( 19 ) Così testualmente l’ABF Napoli, 6 luglio 2010, cit.<br />

( 20 ) Al tema, con particolare riguardo all’ambito settoriale delle controversie in materia di<br />

servizi bancari e finanziari, è dedicato lo studio di Tamponi, Le clausole contrattuali per la mediazione<br />

delle controversie in materia di servizi bancari e finanziari, in Bancaria, 2010, n. 9, p. 48<br />

ss. V. pure la circ. ABI, serie legale n. 8 del 4 marzo 2011.


142 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

sola che impegni il cliente a prescegliere l’ABF piuttosto che l’organismo di<br />

mediazione non potendosi applicare a tale diverso sistema di ADR l’art. 5,<br />

comma 5, d.lgs. cit. In linea di principio la soluzione non dovrebbe essere<br />

negativa, neanche qualora si tratti di un cliente consumatore, non trattandosi<br />

di clausola arbitrale ed essendo fatto salvo dall’art. 128-bis t.u. banc. il<br />

diritto del cliente di ricorrere « in qualunque momento a ogni altro mezzo<br />

di tutela previsto dall’ordinamento » (arg. ex art. 141 c. cons.). Nel caso di<br />

cliente consumatore, peraltro, si dovrebbe curare che la clausola individui<br />

una competenza territoriale dell’organismo in linea col c.d. foro del consumatore<br />

(art. 33, comma 2, lett. u, c. cons.) ( 21 ); la qualcosa sarebbe facile per<br />

le clausole di conciliazione, un po’ meno per la clausola che prevedesse il ricorso<br />

all’ABF, avendo questo solo tre sedi in <strong>Italia</strong> (delib. Banca d’italia,<br />

sez. III, par. 1).<br />

Le considerazioni che precedono evidenziano la maggiore flessibilità<br />

dello strumento della mediazione rispetto al ricorso all’ABF. In sede di mediazione,<br />

infatti, possono trovare svolgimento domande contrapposte delle<br />

parti mentre in caso di ricorso all’ABF la domanda può essere formulata solo<br />

dal cliente. Nel procedimento dinanzi all’ABF il cliente, diversamente da<br />

quanto accade in caso di mediazione, incontra limitazioni in termini di valore<br />

della controversia, di oggetto o e (probabilmente) di danni risarcibili.<br />

L’ABF, inoltre, ha una distribuzione territoriale non certo capillare.<br />

4. – Quanto al procedimento va detto che quello dinanzi all’ABF è scandito<br />

da regole proprie. Il richiamo da parte del d.lgs. n. 28 del 2010 (art. 5,<br />

comma 1) al « procedimento » istituito in attuazione dell’art. 128-bis t.u.<br />

banc. è chiaro in tal senso ( 22 ).<br />

In una corretta ottica di inserimento del procedimento dinanzi all’ABF<br />

nell’ambito del complessivo disegno del d.lgs. n. 28 del 2010 diretto a realizzare<br />

il previo esperimento del ricorso a detto organismo quale condizione<br />

di procedibilità della domanda, è necessario tuttavia operare un doveroso<br />

( 21 ) Sull’art. 33, comma 2, lett. u cod. cons. cfr. Capobianco, Sub art. 33, in Codice del consumo<br />

annotato con la dottrina e la giurisprudenza, a cura di Capobianco e G. Perlingieri, Napoli,<br />

2009, p. 174 s.; vigente l’art. 1469-bis c.c. Id., Contrattazione bancaria e tutela dei consumatori,<br />

Napoli, 2000, p. 139 s. Potrebbe quindi risultare squilibrata la clausola che costringesse il<br />

consumatore ad es., ad adire l’ABF con sede in Napoli qualora costui possa più facilmente ricorrere<br />

ad un organismo di mediazione con sede in altra città del sud <strong>Italia</strong> ove risieda.<br />

( 22 ) È questa la norma che viene in rilievo piuttosto che quella di cui all’art. 3 d.lgs. n. 28<br />

del 2010 che richiama il procedimento di cui al regolamento dell’organismo di mediazione (richiamata<br />

invece da Guccione e C.A. Russo, L’Arbitro Bancario Finanziario, cit., p. 503).


SAGGI 143<br />

tentativo di coordinamento tra la disciplina particolare dell’ABF e quella<br />

generale sulla mediazione.<br />

Un primo aspetto che viene in rilevo riguardo al procedimento dinanzi<br />

all’ABF è quello relativo alla sua durata.<br />

Il ricorso all’ABF deve essere preceduto da un reclamo all’intermediario<br />

e può essere proposto solo trascorsi trenta giorni dalla ricezione del reclamo<br />

senza che questo abbia avuto esito, oppure in caso di esito insoddisfacente<br />

per il cliente. Il ricorso può essere presentato purché non siano trascorsi dodici<br />

mesi dal reclamo. Entro trenta giorni dalla comunicazione del ricorso all’intermediario<br />

questi può trasmettere le proprie controdeduzioni. Il collegio<br />

si pronuncia entro sessanta giorni, ma il termine può essere sospeso per ragioni<br />

in senso lato « istruttorie » (artt. 4-6 delib. Cicr; sez. VI, parr. 1-4 delib.<br />

Banca d’<strong>Italia</strong>). Trattasi, quindi, di un procedimento ragionevolmente destinato<br />

a superare il termine di quattro mesi di cui all’art. 6, comma 1, d.lgs. n. 28<br />

del 2010, sebbene non sia escluso che possa risolversi entro detto termine. Ci<br />

si potrebbe chiedere allora se il cliente sia onerato ad affrontare l’intero procedimento<br />

dinanzi all’ABF per sottrarsi all’eccezione del convenuto o al rilievo<br />

officioso del giudice sull’improcedibilità (art. 5, comma 1, d.lgs. n. 28 del<br />

2010). Sembra preferibile ritenere che anche in caso di ricorso all’ABF trovi<br />

applicazione il termine di quattro mesi di cui all’art. 6, comma 1, d.lgs. n. 28 a<br />

condizione che entro detto termine siano presentati sia il reclamo che il ricorso<br />

all’ABF. A detta soluzione induce da un lato la considerazione dell’inserimento<br />

del meccanismo del ricorso all’ABF quale alternativo alla mediazione<br />

nell’ambito della previsione, per entrambi, di una condizione di procedibilità<br />

che ha ragion d’essere se contenuta in tempi che siano ragionevoli e certi, dall’altro<br />

l’esigenza di non considerare il cliente vincolato al procedimento potendo<br />

costui « in qualunque momento », ai sensi dell’art. 128–bis t.u. banc.,<br />

far ricorso a ogni altro mezzo di tutela. Al riguardo non sarebbe inopportuno<br />

un esplicito chiarimento normativo.<br />

Un secondo aspetto attiene alla decisione sulla controversia.<br />

Si è detto che la decisione dell’ABF ha carattere aggiudicativo, sebbene<br />

non munita di efficacia vincolante. Il suo contenuto è apparso assimilabile<br />

a un parere pro-veritate con il quale l’organo esprime una valutazione sulla<br />

controversia in atto tra intermediario e cliente. Essa non appare quindi molto<br />

lontana dalla proposta aggiudicativa che può formulare il mediatore all’esito<br />

della procedura di mediazione ai sensi dell’art. 11, comma 1, d.lgs. n.<br />

28 del 2010 ( 23 ). Ed infatti, così come la proposta aggiudicativa può essere ri-<br />

( 23 ) Tuttavia per l’esclusione della necessaria natura di parere pro veritate della proposta


144 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

fiutata, così anche la decisione dell’ABF potrebbe essere rifiutata, sicchè<br />

potrebbe porsi il problema di verificare se essa, come la proposta del mediatore<br />

rifiutata, possa determinare conseguenze in ordine alle spese di lite, in<br />

caso di coincidenza tra decisione dell’ABF e provvedimento che conclude il<br />

processo; ciò in considerazione del possibile coordinamento che dovrebbe<br />

operarsi tra l’art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010 (che attrae nell’orbita della relazione<br />

col successivo processo non solo la mediazione, ma anche il meccanismo di<br />

cui all’art. 128-bis t.u. banc.) e gli artt. 11 e 13 d.lgs. cit. Si tratterebbe di soluzione<br />

suggestiva ma non convincente non potendosi configurare in ordine<br />

al procedimento dinanzi all’ABF le fattispecie che determinano la produzione<br />

dell’effetto della proposta aggiudicativa (richiesta congiunta delle<br />

parti, ovvero scelta discrezionale del mediatore, informativa sulle possibili<br />

conseguenze in ordine alle spese) che appaiono strettamente pertinenti al<br />

procedimento di mediazione. Non sarebbe tuttavia incoerente col sistema<br />

ammettere l’applicazione degli artt. 91 comma 1, e 92, comma 1, c.p.c. a<br />

fronte della produzione della decisione dell’ABF nel processo.<br />

5. – Le considerazioni innanzi formulate rendono evidente che, pur nella<br />

ipotetica pari alternativa tra il ricorso alla procedura di ABF e quella di<br />

mediazione, il primo sistema di risoluzione stragiudiziale rischia di risultare<br />

meno « appetibile » rispetto al secondo. Una delle ragioni di fondo delle<br />

difficoltà per la procedura dinanzi all’ABF di inserirsi nel complessivo « sistema<br />

» disegnato dal d.lgs. n. 28 del 2010 va rinvenuta nella circostanza che<br />

la disciplina di cui all’ABF è disciplina preesistente rispetto a questo e<br />

« pensata » in una prospettiva di autonomia rispetto al processo piuttosto<br />

che in vista di una equilibrata relazione con esso ( 24 ).<br />

Il ricorso alla mediazione, specie se magari originato da una previsione<br />

pattizia che individui un organismo specializzato in ambito bancario e finanziario<br />

( 25 ), sembra quindi destinato a rappresentare sul piano concorrenziale<br />

con il sistema di tipo aggiudicativo di cui all’art. 128-bis t.u. banc.,<br />

strumento preferibile e ciò anche in virtù della sua « maggiore duttilità ri-<br />

aggiudicativa sia consentito il rinvio a Capobianco, I criteri di formulazione della c.d. proposta<br />

aggiudicativa del mediatore, in www.judicium.it e in Dir. proc. form., n. 4, 2011, p. 6 ss.<br />

( 24 ) La necessità che nella previsione di strumenti alternativi di risoluzione delle controversie<br />

debba garantirsi un’equilibrata relazione col processo è stabilita, ad es., nell’art. 1 della<br />

Direttiva 2008/52/CE del 21 maggio 2008 relativa alla mediazione civile e commerciale della<br />

quale il d.lgs. n. 28 del 2010 è normativa attuativa.<br />

( 25 ) Suggerisce tale soluzione Tamponi, Le clausole contrattuali per la mediazione delle<br />

controversie in materia di servizi bancari e finanziari, cit., p. 56.


SAGGI 145<br />

spetto ai reali interessi delle parti » e della sua conseguente « maggiore accettabilità<br />

sociale » ( 26 ). Non può non convenirsi, infatti, che uno strumento<br />

che si proponga di distribuire ragioni e torti appaia meno gradevole e accettabile<br />

rispetto ad uno strumento che si proponga il superamento delle situazioni<br />

di conflitto mediante il ripristino della relazione intersoggettiva tra<br />

le parti.<br />

In attesa quindi di un’auspicabile limatura normativa delle asperità che<br />

il procedimento dinanzi all’ABF presenta, un tentativo di recupero della<br />

sua efficienza potrebbe essere condotto valorizzando il richiamo contenuto<br />

nell’art. 5, comma 5, delib. Cicr, secondo il quale la decisione dell’arbitro<br />

« può contenere indicazioni volte a favorire le relazioni tra intermediari e<br />

clienti ». La previsione si colloca nel medesimo capoverso che riguarda il<br />

contenuto della decisione in cui si afferma che « essa è assunta sulla base<br />

[ ...] delle previsioni di legge e regolamentari in materia, nonché dei codici<br />

di condotta cui l’intermediario aderisca » ( 27 ). Ne consegue che, lungi dall’apparire<br />

l’occasione per formulare mere raccomandazioni di carattere generale,<br />

la norma sembra indichi la possibilità che la decisione dell’ABF, che<br />

riguarda « le parti » e non la generalità dei clienti e degli intermediari, possa<br />

(non necessariamente debba) anche porsi in una prospettiva di attenta rilevazione<br />

degli interessi in gioco e di possibile ricostruzione della relazione<br />

tra le parti in vista dell’applicazione di un diritto « mite » che andrebbe a<br />

temperare i rigori dell’applicazione dello strictum ius che talvolta potrebbe<br />

in concreto tradursi in una sostanziale ingiustizia ( 28 ). Non sembra confligga<br />

con detta soluzione il particolare atteggiarsi della decisione dell’ABF: essa<br />

potrebbe essere accettata dalle parti e allora la relazione sarebbe definitivamente<br />

ristabilita; potrebbe essere rifiutata dal cliente, ma presumibilmente<br />

dovrebbe trattarsi di soluzione preferibile a quella del giudice opera-<br />

( 26 ) In questo senso, espressamente, la relazione illustrativa al d.lgs. n. 28 del 2010, sub<br />

art. 1.<br />

( 27 ) Occorre abbandonare l’idea del primato della legge quando si guarda al tema delle<br />

procedure di risoluzione delle controversie. In questa sede è normale che le parti possano riferirsi<br />

all’equità (art. 822 c.p.c. in materia di arbitrato) o che si preveda per l’organismo « il tipo<br />

di regole su cui si fondano le decisioni dell’organo (disposizioni legali, equità, codici di<br />

condotta, ecc.) » purché con mezzi adeguati a garantire la trasparenza della procedura (Racc.<br />

98/257/CE del 30 marzo 1998, riguardante i principi applicabili agli organi responsabili per la<br />

risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di consumo, richiamata dalla Banca<br />

d’<strong>Italia</strong>, nella sez. I, par. 2 “Fonti normative”, delle Disposizioni 18 giugno 2009, sull’ABF).<br />

( 28 ) Con riguardo alla mediazione Proto Pisani, Appunti su mediazione e conciliazione, in<br />

Foro it., 2010, V, c. 142. Sul diritto mite Zagrebelsky, Il diritto mite. Legge diritti giustizia, Torino,<br />

1992.


146 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

ta sulla base dell’applicazione delle norme di legge; potrebbe essere rifiutata<br />

dall’intermediario e allora la sanzione reputazionale collegata a tale rifiuto<br />

si giustificherebbe nell’ottica della sanzione al mancato suggerito ripristino<br />

della relazione tra le parti che costituisce peraltro obiettivo dichiarato<br />

della normativa sull’ABF ( 29 ).<br />

( 29 ) V. esplicitamente le premesse alla Delib. Cicr. 29 luglio 2008, n. 275: « l’adesione degli<br />

operatori a sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie costituisce un utile strumento<br />

per migliorare i rapporti con la clientela e la fiducia del pubblico nei prestatori di servizi<br />

bancari e finanziari, con effetti positivi anche sul piano del contenimento dei rischi legali e<br />

reputazionali delle banche e degli intermediari finanziari ».


LEONARDO GRAFFI<br />

Incoterms e UCP 600 quali usi dei contratti di vendita internazionale<br />

Sommario: 1. Premessa. – 2. La sfera di applicazione dell’art. 9 della Convenzione: gli usi<br />

commerciali. – 3. Segue: prassi e abitudini contrattuali. – 4. L’applicazione degli Incoterms<br />

ai contratti di compravendita internazionale disciplinati dalla Convenzione: questioni<br />

interpretative. Gli Incoterms nella disciplina della compravendita internazionale.<br />

– 5. Segue: l’efficacia degli Incoterms nella giurisprudenza internazionale. – 6. Gli UCP<br />

nella disciplina della compravendita internazionale. – 7. Conclusioni.<br />

1. – È noto che negli ultimi decenni gli usi hanno acquisito un’importanza<br />

sempre crescente presso gli operatori del commercio internazionale,<br />

che sovente attribuiscono a tali fonti un rango pari a quello di fonti normative<br />

di rango primario. Alla luce dell’importanza nodale acquisita dagli usi<br />

nell’ambito di operazioni commerciali transfrontaliere, non si può fare a<br />

meno di osservare che la Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale<br />

di beni mobili (di seguito, la “Convenzione”) ( 1 ) valorizza concretamente<br />

tali fonti, prevedendo all’art. 9 un apposito rinvio agli usi e alle prassi<br />

invalse tra le parti come strumento di integrazione delle pattuizioni negoziali<br />

convenute tra le parti ( 2 ). In altre parole, la Convenzione prevede che,<br />

( 1 ) La Convenzione è stata stipulata a Vienna in data 11 aprile 1980 ed è stata ratificata in <strong>Italia</strong><br />

con legge 11 dicembre 1985, n. 785. La Convenzione è entrata in vigore il 1° gennaio 1988. Per<br />

un elenco aggiornato degli Stati contraenti v. http://www.uncitral.org/uncitral/en/uncitral-texts<br />

/sale-goods/1980CISG -status.html. La bibliografia sulla Convenzione è vastissima; una rassegna<br />

costantemente aggiornata è consultabile online all’indirizzo http://cisgw3.law.pace.edu/ cisg/biblio/<br />

biblio.html.<br />

( 2 )Per riferimenti specifici a contributi dottrinali che hanno analizzato il rapporto tra gli<br />

usi e la Convenzione, v. Achilles, Kommentar zum UN-Kaufrechtsübereinkommen (CISG),<br />

Luchterhand, 2009, commento sub Articolo 9, par. 2; Bainbridge, Trade Usages in International<br />

Sales of Goods: An Analysis of the 1964 and 1980 Sales Convention, in 24 Va. J. Int’l Law,<br />

1984, p. 619 ss.; Bianca e Bonell (a cura di), Commentary on the International Sales Law, Milan,<br />

1987, commento sub Articolo 9, par. 1.2; Farnsworth, Unification and Comparative Law<br />

in Theory and Practice, in Liber amicorum Jean Georges Sauveplanne, 1984, p. 81 ss.; Ferrari,<br />

La rilevanza degli usi nella convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili, in<br />

<strong>Contratto</strong> e Impresa, 1994, p. 239 ss.; Ferrari, Relevant trade usage and practices under UN sales<br />

law, in Eur. Legal Forum, 2002, p. 273 ss.; Ferrari, Trade Usage and Practices Established<br />

between the Parties under the CISG, in Rev. dr. affaires int./ Int.’l Business Law J., 2003, p. 576<br />

ss.; Gillette, Harmony and Stasis in Trade Usage for International Sales, in 39 Va. J. Int’l Law,


148 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

in presenza di determinati parametri che saranno qui di seguito analizzati,<br />

gli usi possano integrare le disposizioni di un contratto di compravendita<br />

internazionale, anche nel silenzio delle parti contraenti. La forza che viene<br />

attribuita agli usi dalla Convenzione rende vieppiù necessaria un’analisi<br />

dell’interazione tra il diritto consuetudinario, le regole oggettive del commercio<br />

internazionale ( 3 ) ed il diritto materiale uniforme applicabile alla<br />

vendita internazionale. Purtroppo, però, benché nell’ultimo decennio la<br />

giurisprudenza applicativa della Convenzione abbia compiuto notevoli<br />

progressi, sia in <strong>Italia</strong> ( 4 ) che all’estero( 5 ), i tribunali e i collegi arbitrali si sono<br />

occupati soltanto in misura marginale del rapporto esistente tra gli usi<br />

del commercio internazionale e le norme uniformi che disciplinano la vendita<br />

internazionale di beni mobili ( 6 ). È di tutta evidenza, peraltro, che l’analisi<br />

di una problematica di così ampia portata richiederebbe ben altri ap-<br />

1999, pp. 707-741; Goldstajn, in Sarcevic e Volken (a cura di), Dubrovnik Lectures, Oceana,<br />

1986, p. 55 ss.; Herber e Czerwenka, Internationales Kaufrecht, Kommentar zu dem Übereinkommen<br />

der Vereinten Nationen vom 11. April 1980 über Verträge über den internationalen<br />

Warenkauf, Monaco di Baviera, 1991, commentario sub Articolo 9, par. 1; Honnold, Uniform<br />

Law for International Sales Under the 1980 United Nations Convention, 3 a ed., L’Aja, 1999, p. 175<br />

ss.; Neumayer e Ming, Convention de Vienne sur les contrats de vente internationale de marchandises.<br />

Commentaire, Losanna, 1993, commento sub Articolo 9; Pamboukis, The Concept<br />

and Function of Usages in the United Nations Convention on the International Sale of Goods, in<br />

Conference Celebrating the 25th Anniversary of United Nations Convention on Contracts for the<br />

International Sale of Goods sponsored by UNCITRAL and the Vienna International Arbitration<br />

Centre (Vienna: 15-18 March 2005), in 25 J. Law Commerce, 2006, pp. 107-1313.<br />

( 3 )Per questa definizione si rinvia all’opera fondamentale di Bonell, Le regole oggettive<br />

del commercio internazionale, Milano, 1976.<br />

( 4 )Vale la pena di citare a questo proposito due pronunce esemplari della giurisprudenza<br />

italiana di merito sulla Convenzione: Trib. Vigevano, 12 luglio 2000, in Giur. it., 2001, p. 280,<br />

con nota di Ferrari; Trib. Rimini, 26 novembre 2002, in Giur. it. 2003, p. 896, con nota di Ferrari.<br />

( 5 )Per una rassegna organica della giurisprudenza internazionale degli Stati contraenti<br />

della Convenzione si rinvia al digesto dei precedenti giurisprudenziali redatto dall’UNCI-<br />

TRAL, v. The UNCITRAL Digest of case law on the United Nations Convention on the International<br />

Sale of Goods, New York, United Nations, 2008, consultabile online all’indirizzo<br />

http://www.uncitral.org/pdf/english/clout/08-51939_Ebook.pdf. Per un’analisi dottrinale ragionata<br />

dei precedenti applicativi della Convenzione, v. Ferrari, Flechtner e Brand (a cura<br />

di), The Draft UNCITRAL Digest and Beyond: Cases, Analysis and Unresolved Issues in the<br />

U.N. Sales Convention, Monaco di Baviera-Londra, 2004, p. 818.<br />

( 6 ) Come osservato da un’autorevole dottrina, soltanto determinati aspetti relativi all’interpretazione<br />

dell’art. 9 sono stati affrontati dalla giurisprudenza: “Only some aspects – albeit<br />

important ones – have actually been addressed in the various judgments [relating to Article 9<br />

CISG]”, così Ferrari, Relevant trade usage, cit., p. 273. V. anche Gillette, Harmony and Stasis,<br />

cit., p. 715.


SAGGI 149<br />

profondimenti, che vanno senz’altro aldilà dello scopo del presente scritto.<br />

In questa sede sarà tuttavia sufficiente soffermarsi sull’analisi di due particolari<br />

e fondamentali tipi di usi codificati del commercio internazionale,<br />

identificabili sotto le sigle “Incoterms” e “UCP”. Tali strumenti sono catalogati<br />

in raccolte periodicamente compilate e aggiornate a cura della Camera<br />

di Commercio Internazionale di Parigi (di seguito, “CCI”) e sono probabilmente<br />

le forme più note e di più vasta applicazione di usi e prassi codificate<br />

del commercio internazionale, come si può ben desumere dall’analisi della<br />

dottrina che si è interessata a questi strumenti ( 7 ). La recente e nuova pubblicazione<br />

degli Incoterms 2010 ( 8 ) è pertanto un’occasione utile per analizzare,<br />

in primo luogo, alcune modalità applicative di tale strumento ai contratti<br />

di vendita internazionale disciplinati dalla Convenzione, nonché per<br />

valutarne la portata alla luce della più recente giurisprudenza interna ed internazionale.<br />

Lo scopo di un’analisi siffatta è di promuovere una corretta<br />

( 7 )Per la versione ufficiale degli Incoterms 2000, v. ICC Official Rules for the Interpretation<br />

of Trade Terms, ICC Publication No. 560, Parigi, 2000. Per alcuni riferimenti dottrinali agli Incoterms,<br />

v., inter alia, Astolfi, “Incoterms”,inDigesto, disc. priv., sez. comm.,4 a ed., Torino,<br />

1992, p. 315 ss.; Bergami, Incoterms 2000 as a Risk Management Tool for Importer, in Vindobona<br />

J. Int’l Comm. Law and Arbitration, 2006, pp. 273-286; Bernardini, L’applicazione degli usi<br />

del commercio internazionale ai contratti internazionali, in Gli usi del commercio internazionale<br />

nella negoziazione ed esecuzione dei contratti internazionali, Quaderno della C.C.I.A. di Milano,<br />

Milano, 1986; Cavazzuti, La clausola C.I.F., Bologna, 1969; CCI <strong>Italia</strong>, Incoterms 2000. Regole<br />

ufficiali CCI per l’interpretazione dei termini commerciali di consegna, 2001; Debattista, Incoterms<br />

and documentary practices, Incoterms 2000: A forum of experts, ICC Publication No.<br />

617, Parigi, 2000, pp. 63-89; Eisemann, La pratique des incoterms: usages de la vente internazionale,<br />

3 a ed., Parigi, 1988; Frignani e Torsello, Il contratto internazionale. Diritto comparato e<br />

prassi commerciale, Padova, 2010, p. 498 ss.; Lopez de Gonzalo, Le clausole C.I.F. e F.O.B., in<br />

Nuova giur. civ., 1986, II, p. 276 ss.; Lorenzon e Skaaja, Sassoon: C.I.F. and F.O.B. contracts,<br />

Londra, 2010; Ramberg, ICC Guide to INCOTERMS. Understanding and Practical Use, 2002;<br />

Tellarini e Zunarelli, La vendita a condizione FOB, Padova, 1999; Tellarini, Incoterms<br />

2000; i principali aspetti innovativi della nuova edizione redatta dalla Camera di Commercio Internazionale,<br />

in Resp. comunicaz. impr., 1999, p. 587. Con riferimento al rapporto tra gli Incoterms<br />

e la Convenzione, v. Derains e Ghestin, La Convention de Vienne sur la vente internationale<br />

et les incoterms, Actes du Colloque des 1er et 2 décembre 1989, Librairie Générale de Droit<br />

et de Jurisprudence, Parigi, 1990, p. 171 ss.; Gabriel, The International Chamber of Commerce<br />

INCOTERMS 2000: A Guide to their Terms and Usage, in Vindobona J. Int’l Comm. Law and Arbitration,<br />

2001, pp. 41-73; Orlando, Rischio e vendita internazionale, Milano, 2002; Ramberg,<br />

To What Extent Do Incoterms 2000 vary Articles 67(2), 68 and 69, in Conference Celebrating the<br />

25th Anniversary of United Nations Convention on Contracts for the International Sale of Goods<br />

sponsored by UNCITRAL and the Vienna International Arbitration Centre (Vienna: 15-18 March<br />

2005), in 25 J. Law Commerce (2005/2006), pp. 219-222.<br />

( 8 ) Cfr. Incoterms 2010, ICC Publication No. 715, Parigi, 2010.


150 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

interpretazione della Convenzione e degli Incoterms, soffermandosi su determinati<br />

aspetti che possono dar luogo a soluzioni divergenti e potenzialmente<br />

problematiche per gli operatori del commercio internazionale. In secondo<br />

luogo si procederà ad una breve disamina dell’applicazione delle<br />

norme ed usi uniformi in materia di crediti documentari della CCI (anche<br />

note con la sigla internazionale “UCP”) ed al loro potenziale impatto sui<br />

contratti di compravendita internazionale, con particolare riferimento all’ipotesi<br />

specifica della risoluzione per inadempimento contrattuale prevista<br />

dall’art. 25 della Convenzione.<br />

2. – La Convenzione formula un rinvio agli usi commerciali che troveranno<br />

applicazione sia qualora le parti vi abbiano fatto espressamente riferimento<br />

nel loro contratto, sia qualora non ne sia stata fatta menzione alcuna,<br />

ma tuttavia tali usi possiedano determinate caratteristiche ( 9 ). Pare quindi<br />

opportuno richiamare qui di seguito il testo dell’art. 9 della Convenzione,<br />

che recita:<br />

“1. Le parti sono vincolate dagli usi ai quali hanno assentito e dalle abitudini<br />

stabilitesi fra di loro.<br />

2. Salvo convenzione contraria delle parti, si ritiene che queste si siano tacitamente<br />

riferite nel contratto e per la sua elaborazione a qualsiasi uso di cui<br />

erano o avrebbero dovuto essere a conoscenza e che, nel commercio internazionale,<br />

è ampiamente conosciuto e regolarmente osservato dalle parti in contratti<br />

dello stesso genere, nel ramo commerciale considerato”.<br />

Orbene, non si può far a meno di notare che la Convenzione non prevede<br />

una vera e propria definizione di usi ( 10 ). A tal fine, posto che la Convenzione<br />

è un trattato di diritto uniforme che esige un’interpretazione autonoma<br />

rispetto ai concetti giuridici e agli istituti previsti nel diritto dei singoli<br />

( 9 ) See Holl e Keßler, Selbstgeschaffenes Recht der Wirtschaft und Einheitsrecht – Die<br />

Stellung der Handelsbräuche und Gepflogenheiten im Wiener UN-Kaufrecht, in RIW, 1995, p.<br />

457 ss.<br />

( 10 )Per questo tipo di osservazioni, v. Bonell, L’interpretazione del diritto uniforme alla<br />

luce dell’art. 7 della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale, in Riv. dir. civ., 1986, p.<br />

221; Diez-Picazo, Calvo e Caravaca, La compraventa internacional de mercaderías. Comentario<br />

de la Convención de Viena, 1998, commento sub Articolo 9; Ferrari, Nuove e vecchie questioni<br />

in materia di vendita internazionale tra interpretazione autonoma e ricorso alla giurisprudenza<br />

straniera, in Giur. it., 2004, pp. 1405-1419; Goddard, El Contrato de Compraventa Internacional,<br />

1994, Città del México, p. 80; Graffi, L’interpretazione autonoma della Convenzione<br />

di Vienna, rilevanza del precedente straniero e disciplina delle lacune, in Giur. merito, 2004, I, p.<br />

873 ss.; Rosenberg, The Vienna Convention: Uniformity in Interpretation for Gap-Filling – An<br />

Analysis and Application, in Australian Business Law Rev., 1992, p. 442 ss.


SAGGI 151<br />

Stati contraenti ( 11 ), come più volte osservato dalla dottrina ( 12 ), sarà indispensabile<br />

evitare di utilizzare una definizione di usi prevista da un particolare<br />

diritto nazionale ( 13 ). Ai fini di tale interpretazione non potrà soccorrere,<br />

ad esempio, la nozione di usi normativi comunemente conosciuta nel<br />

nostro ordinamento, che presuppone un comportamento generale, uniforme<br />

e costante osservato per un lungo periodo di tempo con la convinzione<br />

di ubbidire ad una norma giuridica obbligatoria (la cosiddetta opinio iuris<br />

atque necessitatis) ( 14 ). A questo proposito vale, infatti, la pena di rilevare<br />

( 11 ) Cfr. Bianca e Bonell (a cura di), Commentary, cit., par. 3.2; Diez-Picazo, Calvo e<br />

Caravaca, La compraventa internacional, cit., p. 140; Ferrari, Vendita internazionale di beni<br />

mobili. Artt. 1-13. Ambito di applicazione. Disposizioni generali,Padova, 1994, p. 187; Ferrari,<br />

Uniform interpretation of the 1980 Uniform Sales Law, in Ga. J. Int’l & Comp. Law, 1994, p. 183 ss.<br />

( 12 ) Sull’autonomia della Convenzione rispetto alle norme materiali di diritto nazionale,<br />

v. da ultimo, Frignani e Torsello, Il contratto internazionale, cit., p. 462, dove si legge: “Ciò<br />

nondimeno, si deve riconoscere alla Convenzione il pregio di avere raggiunto l’obiettivo di<br />

creare un sistema comune di norme di default applicabili in assenza di scelta diversa delle parti,<br />

cosicché le parti di un contratto internazionale potranno fare affidamento sull’applicabilità<br />

di un sistema (sia pure non esaustivo) di norme già note, o comunque più agevolmente conoscibili<br />

rispetto alle norme di un ordinamento straniero, potenzialmente applicabili ad una<br />

compravendita internazionale”.<br />

( 13 ) Così, ad esempio, Ferrari, La rilevanza degli usi, cit., a p. 243, dove si legge: “La mancanza<br />

di una definizione [di usi] non deve, però, indurre l’interprete ad attribuire a tale concetto<br />

il significato attribuitogli nell’ambito del suo diritto nazionale interno [ . . .] vale, in altre<br />

parole, anche con riferimento a questo concetto quanto vale con riferimento alla convenzione<br />

di Vienna in generale: l’obbligo di interpretare la convenzione tenendo conto del suo carattere<br />

internazionale, nonché l’esigenza di promuoverne l’applicazione uniforme prevista<br />

dall’art. 7, comma 1°, impone di interpretare i suoi termini e concetti in via autonoma, ossia<br />

senza rimanere ancorati ad un determinato ordinamento”. V. anche Graffi, L’interpretazione<br />

autonoma della Convenzione di Vienna, cit., p. 873 ss.; Torzilli, The Aftermath of MCC-Marble:<br />

Is This the Death Knell for the Parol Evidence Rule, in 74 St. John’s L. Rev., 2000, p. 843, a<br />

p. 859; in giurisprudenza v., ad es., Trib. Vigevano, 12 luglio 2000, cit. Per un’analisi di questa<br />

fondamentale sentenza di merito sull’interpretazione autonoma della Convenzione, si rinvia<br />

a Ferrari, Specific Aspects of the CISG Uniformly Dealt With, in 20 J. Law Commerce, 2001, pp.<br />

225-239; Graffi, Overview of Recent <strong>Italia</strong>n Court Decisions on the CISG/ L’applicazione della<br />

Convenzione di Vienna in alcune recenti sentenze italiane, in Eur. Legal Forum, 2001, pp. 240-<br />

244; Veneziano, Mancanza di conformità delle merci ed onere della prova nella vendita internazionale:<br />

un esempio di interpretazione autonoma del diritto uniforme alla luce dei precedenti stranieri,<br />

in Dir. comm. int., 2001, p. 497 ss.<br />

( 14 ) Su questo tema, cfr., ex multis, Galgano, Diritto civile e commerciale, vol. I, 4 a ed., Padova,<br />

2004, p. 69 che definisce gli usi come una “fonte non scritta e non statuale di produzione<br />

di norme giuridiche: consistono nella pratica uniforme e costante di dati comportamenti<br />

seguita con la convinzione che quei comportamenti siano giuridicamente obbligatori (opinio<br />

iuris atque necessitatis)”.


152 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

che la dottrina ha sostenuto a più riprese l’irrilevanza del fatto che le parti<br />

abbiano osservato un determinato comportamento generale nella convinzione<br />

di una sua obbligatorietà ( 15 ). Poiché è noto, dunque, che la Convenzione<br />

va interpretata in un contesto normativo transnazionale in base ai<br />

principi generali a cui essa si ispira, ad avviso di chi scrive non potrà neppure<br />

assumere rilievo ai fini dell’applicazione degli usi ai contratti disciplinati<br />

dalla Convenzione un’interpretazione tipica del nostro ordinamento interno<br />

volta a tracciare una distinzione tra usi normativi e usi negoziali.<br />

In altre parole, quindi, per effetto dell’esplicito richiamo contenuto nell’art.<br />

9 della Convenzione, gli usi troveranno diretta applicazione ai contratti<br />

di compravendita internazionale di beni mobili in quanto nel contesto di<br />

norme di diritto uniforme assumono la natura di regole oggettive consuetudinarie<br />

e possiedono, quindi, efficacia “quasi normativa”.<br />

L’effetto pratico di tale applicabilità diretta sta nel fatto che qualora le<br />

parti abbiano convenuto di riferirsi agli usi nel loro contratto, la giurisprudenza<br />

e la dottrina internazionale hanno confermato a più riprese che ciò<br />

determinerà una prevalenza degli usi stessi sulle disposizioni di diritto<br />

uniforme ( 16 ).<br />

Va rilevato, inoltre, che il comma 2 dell’art. 9 della Convezione consente<br />

espressamente agli usi di trovare applicazione anche laddove le parti non<br />

li abbiano espressamente richiamati nel contratto, a patto, però, che si tratti<br />

di usi effettivamente conosciuti o conoscibili dalle parti e che tali usi siano<br />

largamente conosciuti nell’ambito del commercio internazionale e regolarmente<br />

osservati da parti di contratti dello stesso genere nel particolare settore<br />

commerciale considerato.<br />

3. – L’art. 9 traccia una distinzione tra gli usi e le abitudini o pratiche negoziali,<br />

in quanto se da un lato il concetto di usi è da intendersi in senso ampio<br />

e dovrà ricomprendere le condotte e attività commerciali che vengono<br />

poste in essere abitualmente da una o più categorie di operatori del commercio<br />

internazionale in un determinato ramo commerciale, dall’altro il ri-<br />

( 15 ) Cfr. Schlechtriem e Junge, Kommentar zum Einheitlichen UN-Kaufrecht (CISG),<br />

Monaco di Baviera, 2000, commento sub Articolo 9, par. 3.<br />

( 16 ) In giurisprudenza v. ad es., OBH Saarbrücken (Germania), 21 marzo 2000, CLOUT<br />

Case n. 425; OGH (Austria) 21 marzo 2000 – 10 Ob 344/99g, Unilex; OLG Saarbrücken<br />

(Germania), 13 gennaio 1992, Unilex. In dottrina v. Ferrari, La vendita internazionale, cit., p.<br />

192; Goddard, op. cit., p. 81; Herber e Czerwenka, op. cit., commento sub Articolo 9, par.<br />

6; Plantard, Un nouveau droit uniforme de la vente internationale: La Convention des Nations<br />

Unies du 11 avril 1980, J.D.I., 1988, p. 311 ss., a p. 317.


SAGGI 153<br />

ferimento alle abitudini o pratiche negoziali va inteso in senso più restrittivo<br />

e non può che avere ad oggetto esclusivamente i comportamenti negoziali<br />

ripetuti nel tempo dalle medesime parti di determinati rapporti contrattuali<br />

conclusi a più riprese tra loro.<br />

Tra gli esempi tipici di prassi contrattuali rilevanti ai fini dell’art. 9 della<br />

Convenzione, la giurisprudenza arbitrale ha avuto modo di identificare, ad<br />

esempio, la disponibilità di una parte contraente ad inviare tempestivamente<br />

all’altra parte pezzi di ricambio di macchinari, fatto che un tribunale arbitrale<br />

della CCI ha ritenuto avesse assunto le caratteristiche di una prassi negoziale<br />

consolidata tra le parti ( 17 ). Allo stesso modo, la tolleranza, ripetuta<br />

nel tempo, di ritardi nella consegna di merci è stata intesa da un tribunale arbitrale<br />

dell’American Arbitration Association come un’esimente per la parte<br />

inadempiente, tale da precludere alla parte attrice di invocare l’inadempimento<br />

essenziale del contratto per via di un ritardo nella consegna delle<br />

merci ( 18 ). Pertanto, come osservato dalla dottrina ( 19 ), le prassi e abitudini<br />

contrattuali instaurate tra le stesse parti in relazione ad una serie di affari dello<br />

stesso genere costituiscono elementi integrativi del contratto, che potranno<br />

anche prevalere, se del caso e in maniera non dissimile a quanto avviene<br />

per gli usi, sulle norme di diritto uniforme della Convenzione. Ciò, tuttavia,<br />

implica che la relazione commerciale da cui scaturiscono tali prassi e abitudini<br />

negoziali abbia una durata temporale sufficientemente rilevante, non<br />

bastando a questo fine, come pur è stato sostenuto da una criticata pronunzia<br />

della Corte Suprema austriaca ( 20 ), che le parti avessero concluso un solo<br />

contratto di compravendita. A tal riguardo e in modo decisamente contrario<br />

a quanto affermato dalla corte austriaca, la giurisprudenza svizzera e tedesca<br />

( 17 ) Cfr. Lodo arbitrale CCI n. 8611/ 1997, Unilex.<br />

( 18 ) Cfr. Lodo arbitrale AAA, 23 ottobre 2007, consultabile online all’indirizzo http://cisgw3.law.pace.edu/cases/071023a5.html,<br />

dove si legge: “The lapse in time between the contractual<br />

shipment periods and the Romanian government’s blockage of imports was a matter<br />

of weeks or days, depending upon the particular Contract. However, this delay in performance<br />

did not amount to a fundamental breach for several reasons. As explained below, first, the<br />

parties’ prior course of dealing and industry practice allowed for some flexibility in the delivery<br />

date – a flexibility that was shown in Buyer’s responses here, at least at the onset of the<br />

delivery delay”.<br />

( 19 ) Cfr. Achilles, op. cit., commento sub Articolo 9, par. 16; Bianca e Bonell, op. cit.,<br />

commento sub Articolo 9, par. 2.1.1; Ferrari, Vendita internazionale, cit., a p. 189; Herber e<br />

Czerwenka, op. cit., commento sub Articolo 9, par. 3; Neumayer e Ming, op. cit., commento<br />

sub Articolo 9, par. 1.<br />

( 20 )V. Ferrari, Relevant trade usage, cit., p. 275, che cita a tal riguardo la decisione della<br />

Corte Suprema austriaca del 6 febbraio 1996 – 10 Ob 518/95, Unilex.


154 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

hanno avuto modo di affermare che neppure la conclusione di due contratti<br />

di compravendita può ritenersi sufficiente all’instaurazione di una prassi negoziale<br />

rilevante ai fini dell’art. 9 della Convenzione, dovendosi ritenere necessaria<br />

una maggior continuità nel rapporto negoziale ( 21 ).<br />

4. – Gli Incoterms sono con ogni probabilità la raccolta di trade terms più<br />

conosciuta tra gli operatori del commercio internazionale. La prima raccolta<br />

di tali strumenti venne adottata su impulso della CCI nel 1928 e l’ultima<br />

edizione degli Incoterms 2010 è entrata in vigore a far tempo dal 1° febbraio<br />

2011 ( 22 ). L’utilizzo dei trade terms conosciuti con l’acronimo Incoterms contribuisce<br />

in modo significativo a promuovere l’uniformità nella disciplina<br />

della consegna e del trasferimento del rischio, in maniera pienamente coerente<br />

con lo spirito della Convenzione, in quanto entrambi gli strumenti<br />

mirano ad armonizzare, se pur con modalità ed efficacia diverse, alcuni<br />

aspetti determinanti del diritto degli scambi internazionali. Peraltro, come<br />

confermato dalla giurisprudenza internazionale ( 23 ), gli Incoterms possono<br />

trovare applicazione ai contratti di vendita internazionale disciplinati dalla<br />

Convenzione come usi ai sensi dell’art. 9, sia qualora le parti li abbiano<br />

espressamente richiamati nel loro contratto ai sensi del comma 1, sia (anche<br />

se con maggiori difficoltà legate alla sufficienza delle prove) qualora le parti<br />

non vi abbiano fatto espresso riferimento, ma cionondimeno siano rispettati<br />

i parametri di cui al comma 2. A questo proposito, non si può che osservare<br />

con una certa sorpresa come la giurisprudenza italiana ( 24 ) continui in-<br />

( 21 ) Cfr. ZG Kanton Basel-Stadt (Svizzera) 3 dicembre 1997 – P4 1996/00448, Unilex; v.<br />

anche AG Duisburg (Germania) 13 aprile 2000, in IHR, 2001, pp. 114, 115, dove si afferma<br />

esplicitamente che la continuità nel rapporto negoziale non può ritenersi sussistere in presenza<br />

di soli due contratti successivi tra loro.<br />

( 22 )Per riferimenti dottrinali agli Incoterms e al rapporto tra gli Incoterms e la Convenzione,<br />

v. supra nota 7.<br />

( 23 )V. infra note 28, 29, 32 e 33.<br />

( 24 ) Secondo l’orientamento pressoché incontrastato e costante della giurisprudenza italiana,<br />

sia di merito che di legittimità, le clausole Incoterms sono da intendersi quali mere clausole<br />

“di spesa” e non “di rischio”. Tra le pronunce di legittimità, v. Cass., sez. un., 5 ottobre<br />

2009, n. 21192, che pur applicando correttamente alla fattispecie della consegna nella vendita<br />

internazionale l’art. 31 della Convenzione ha tuttavia affermato erroneamente che « restano<br />

irrilevanti, sotto tale profilo, le clausole che pongono a carico dello stesso [venditore] i costi<br />

del trasporto e gli oneri connessi, come la clausola CIF o la clausola “franco arrivo”, le quali<br />

non dimostrano, di per sole, alcune effettiva intenzione delle parti di sottrarre il rapporto all’operatività<br />

della citata previsione normativa [l’art. 31 della Convenzione] »; v. anche Cass., 9<br />

luglio 2003, n. 10770, in Giust. civ., 2004, I, p. 1564; Cass., 4 novembre 2002, n. 15389, in Dir.


SAGGI 155<br />

spiegabilmente a negare l’applicabilità degli Incoterms al tema del passaggio<br />

del rischio nel caso di perimento di beni oggetto di contratti di compravendita<br />

internazionale, ritenendo invece che la sfera di applicazione degli Incoterms<br />

vada confinata al mero tema della ripartizione delle spese nelle varie<br />

fasi di consegna della merce, inclusi i costi assicurativi. Sotto questo profilo,<br />

la posizione della giurisprudenza italiana rappresenta un unicum nel panorama<br />

giurisprudenziale internazionale in tema di Incoterms e diritto della<br />

vendita internazionale, dove non risultano esservi pronunce di tribunali<br />

di paesi industrializzati che abbiano messo in discussione la natura di clausole<br />

sul passaggio del rischio degli Incoterms ( 25 ). A ben vedere proprio il<br />

maritt., 2004, p. 104, con nota contraria di Tellarini, Osservazioni sulla natura giuridica della<br />

clausola fob, sulla individuazione della merce e sul regime di trasferimento della proprietà; Cass.,<br />

26 marzo 2001, n. 4344, ivi, 2003, p. 112; Cass., sez. un., 25 gennaio 1995, n. 892, ivi, 1997, p. 958;<br />

Cass., sez. un., 25 ottobre 1993, n. 10600, in Foro it., 1994, I, c. 2832; tra le pronunce di merito,<br />

v. Trib. Trieste, 13 marzo 2006, in Dir. trasp. 2008, p. 203, con nota di Casciano, Trasferimento<br />

del rischio e titolarità dell’interesse assicurato nella vendita a condizione FOB; Trib. Napoli, 20<br />

gennaio 2005, in Dir. maritt., 2005, p. 998, con nota di Rossello, Termini di resa Incoterms e titolarità<br />

dell’interesse assicurato; App. Milano, 19 dicembre 2000, ivi, 2002, p. 1366; Trib. Genova,<br />

16 aprile 1999, ivi, 2001, p. 1479; Trib. Milano, 4 maggio 1995, ivi, 1996, p. 498; Trib. Ravenna,<br />

18 febbraio 1999, ivi, 2000, p. 248. Per una rassegna sulla posizione della giurisprudenza<br />

sino alla metà degli anni ottanta, cfr. Lopez de Gonzalo, Le clausole CIF e FOB, in Nuova<br />

giur. civ., 1986, p. 276. Nel panorama della giurisprudenza italiana vale però la pena di citare almeno<br />

una (pienamente condivisibile) decisione contrastante, v. App. Genova, 24 marzo<br />

1995, in Dir. maritt., 1995, p. 1054 ss., con nota di Lopez de Gonzalo, dove la corte ha correttamente<br />

riconosciuto ad una clausola FOB il significato di uso internazionale vincolante inter<br />

partes ai sensi dell’art. 9 della Convenzione. Vale la pena di osservare che l’orientamento della<br />

giurisprudenza italiana è stato fortemente e correttamente criticato da Lopez de Gonzalo,<br />

L’obbligazione di consegna nella vendita marittima, Milano, 1997, p. 137. Per un commento più<br />

recente sulla posizione della giurisprudenza italiana in materia di Incoterms, v. Rossello, Termini<br />

di resa Incoterms, cit.; v. anche Frignani e Torsello, Il contratto internazionale, cit., p.<br />

501, dove gli autori affermano che: « resta il fatto, peraltro, che i giudici nazionali non hanno<br />

nascosto la difficoltà di aderire ad un uso internazionale, quando risultasse in contrasto con<br />

una norma (benché suppletiva) interna. Un esempio lampante ci viene dalla Cassazione italiana,<br />

la quale di fronte ad una clausola FOB ha tenuto fermo il disposto del comma 2 dell’art.<br />

1510 c.c., senza rendersi conto che l’“uso contrario” derivava dagli Incoterms e che in una vendita<br />

internazionale gli “usi in vigore nel luogo dove il contratto è stato concluso” sono quelli<br />

del commercio internazionale e non quelli domestici ».<br />

( 25 )Per osservazioni simili ed ampi riferimenti alla giurisprudenza internazionale, cfr.<br />

Tellarini e Zunarelli, La vendita a condizione FOB, cit., p. 98, dove si legge: “la tendenza<br />

ad attribuire alla clausola FOB una funzione limitata alla ripartizione fra le parti delle spese di<br />

trasporto della merce fino al luogo di destinazione appare indiscutibilmente contraddetta dalla<br />

prassi mercantile e giurisprudenziale, che si è andata ad oggi consolidando a livello internazionale”.


156 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

passaggio del rischio nella consegna della merce è uno degli aspetti fondanti<br />

della disciplina degli Incoterms, su cui fanno amplissimo affidamento senza<br />

esitazione gli operatori commerciali nei loro scambi internazionali. La<br />

questione va dunque analizzata tenendo conto dell’internazionalità del<br />

rapporto di compravendita e dando opportuno risalto al ruolo dell’autonomia<br />

negoziale, ogni qualvolta le parti abbiano inteso far uso dei termini Incoterms.<br />

Circa la disciplina del passaggio del rischio, la giurisprudenza italiana<br />

è solita attribuire risalto all’art. 1510 c.c., che al comma 2 prevede che<br />

“salvo patto o uso contrario, se la cosa venduta deve essere trasportata da un<br />

luogo all’altro, il venditore si libera dell’obbligo della consegna rimettendo la<br />

cosa al vettore o allo spedizioniere”. È di tutta evidenza, però, che, a prescindere<br />

dal fatto che gli Incoterms possano o meno integrare la natura di patto<br />

o uso contrario (e, ad avviso di chi scrive, la risposta è senz’altro positiva), la<br />

disposizione in esame non potrà nemmeno trovare applicazione nell’ipotesi<br />

di un contratto di compravendita internazionale soggetto alla disciplina<br />

della Convenzione, che pur non disciplinando la questione del trasferimento<br />

della proprietà dei beni, prevede all’art. 67 un’apposita disciplina sul passaggio<br />

del rischio. È noto, infatti, che la Convenzione, in quanto trattato di<br />

diritto materiale uniforme e quindi lex specialis, deve applicarsi con prevalenza<br />

sul diritto statuale ( 26 ) e, pertanto, è opportuno prendere atto dell’esistenza<br />

di una disposizione speciale sul passaggio del rischio nella consegna<br />

dei beni oggetto di compravendita internazionale. Orbene, l’art. 67 prevede<br />

che: “quando il contratto di vendita implica un trasporto di merci e il venditore<br />

non è tenuto a consegnarle in un luogo determinato, i rischi saranno trasferiti<br />

all’acquirente a partire dalla consegna delle merci al primo trasportatore per<br />

l’invio all’acquirente, in conformità al contratto di vendita. Quando il vendito-<br />

( 26 ) Cfr. Ferrari, Vendita internazionale tra forum shopping e diritto internazionale privato:<br />

brevi note in occasione di una sentenza esemplare relativa alla Convenzione delle Nazioni Unite<br />

del 1980, in Giur. it., 2003, p. 896, nota a Trib. Rimini, 26 novembre 2002, n. 3095, a p. 898, dove<br />

si legge: « il tipo di specialità più convincente addotto dal Tribunale di Rimini a giustificazione<br />

della prevalenza della convenzione di diritto materiale uniforme è tuttavia dato da un<br />

tipo di “specialità” diversa da quella ora ricordata; si tratta di una “specialità” intrinseca del diritto<br />

materiale uniforme che – come affermato dal Tribunale di Rimini – deve ravvisarsi nell’idoneità<br />

delle norme di diritto materiale uniforme di risolvere direttamente il problema sostanziale<br />

lamentato soluzione che il ricorso al diritto internazionale privato invece non fornisce<br />

direttamente, poiché questo individua “soltanto” il diritto applicabile le cui norme materiali<br />

debbono poi essere applicate per portare ad una soluzione sostanziale. La specialità del<br />

diritto materiale uniforme di origine convenzionale va ravvisata quindi (anche) nella mancata<br />

necessità di questo “procédé par deux étapes” che è indispensabile quando si ricorre alle<br />

norme di diritto internazionale privato ».


SAGGI 157<br />

re è tenuto a consegnare le merci al trasportatore in luogo determinato, i rischi<br />

non saranno trasferiti all’acquirente fino al momento in cui le merci non saranno<br />

state consegnate al trasportatore in detto luogo.” La norma de qua può<br />

porre dei problemi interpretativi qualora le parti abbiano inserito una clausola<br />

CIF o FOB nel loro contratto, in quanto, come noto, tali clausole, nel<br />

recepire una prassi mercantile consolidata, prevedono nella versione Incoterms<br />

2000 che il passaggio del rischio si verifichi allorquando le merci hanno<br />

oltrepassato la murata della nave (il cosiddetto ship’s rail) ( 27 ). Peraltro, si<br />

osserva come a seguito delle revisioni operate nella nuova versione degli Incoterms<br />

2010, tali clausole prevedono ora che il passaggio del rischio si verifichi<br />

allorquando sia stata completata la consegna della merce a bordo (e<br />

non più soltanto quando si sia verificato il superamento della murata). Diversamente<br />

da quanto previsto dagli Incoterms, però, sia la norma speciale<br />

di diritto uniforme dell’art. 67 della Convenzione, che l’art. 1510 c.c., prevedono<br />

in buona sostanza che il venditore sia esonerato da responsabilità per<br />

il perimento della merce non appena si sia verificata la consegna della merce<br />

al primo trasportatore (nel caso della Convenzione) o al primo vettore o<br />

spedizioniere (nel caso della disciplina civilistica). È di tutta evidenza, invece,<br />

come ai fini della disciplina dei termini di consegna CIF e FOB, la consegna<br />

della merce al primo trasportatore, che può ben essere anche uno spedizioniere<br />

o uno dei trasportatori che effettuano una consegna preparatoria<br />

rispetto al caricamento finale sulla nave, non può ritenersi sufficiente ad<br />

esonerare da responsabilità il venditore. Peraltro, secondo un’interpretazione<br />

dottrinale condivisibile ( 28 ), si ritiene che il concetto di “primo tra-<br />

( 27 ) Cfr. Lopez de Gonzalo, Le clausole CIF e FOB, cit., p. 283 che afferma: “va però ricordato<br />

che la clausola C.I.F. (ed anche la clausola F.O.B.) individuano più specificamente il<br />

momento della consegna e del trasferimento dei rischi nell’effettiva caricazione sulla nave (o<br />

altro mezzo di trasporto)”. V. anche Tellarini, Osservazioni sulla natura giuridica della clausola<br />

fob, cit., p. 109, dove si legge: “la disciplina degli Incoterms, che recepisce la prassi mercantile<br />

e giurisprudenziale consolidatasi in materia, stabilisce che nella vendita a condizione<br />

Fob il venditore deve consegnare la merce a boardo della nave designata dal compratore nel<br />

porto d’imbarco convenuto, con la conseguenza che l’avvenuta caricazione dei beni, oltrepassata<br />

la murata della nave (ship’s rail) assume rilevanza ai fini del momento perfezionativo<br />

della consegna, oltre che di quello relativo al trasferimento dei rischi, mentre la eventuale rimessione<br />

della merce allo spedizioniere o al vettore terrestre, quale fase preparatoria del negozio,<br />

non produce alcun effetto liberatorio per il venditore”.<br />

( 28 )V. Lookofsky, The 1980 United Nations Convention on Contracts for the International<br />

Sale of Goods, Article 67 Passage of Risk: Contracts Involving Carriage, in Herbots e Blanpain<br />

(a cura di), International Encyclopaedia of Laws – Contracts, Suppl. 29, The Hague, 2000, pp. 1-<br />

192, consultabile online al sito http://www.cisg.law.pace.edu/cisg/biblio/loo67.html#269-4.


158 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

sportatore” dell’art. 67, comma 1, possa trovare applicazione soltanto qualora<br />

il trasportatore sia un soggetto terzo, estraneo all’organizzazione aziendale<br />

del venditore, dovendosi in caso contrario (vale a dire quando il trasportatore<br />

sia un soggetto direttamente o indirettamente riconducibile alla struttura<br />

aziendale del venditore) ritenere che il rischio per il perimento delle merci<br />

non si possa trasferire al compratore fintanto che egli non abbia preso in carico<br />

i beni. Alla luce di quanto evidenziato, non si può far a meno di osservare<br />

che, qualora le parti abbiano richiamato espressamente gli Incoterms nel contratto<br />

di compravendita internazionale, per effetto dell’art. 9, comma 1, della<br />

Convenzione e secondo le interpretazioni rese dalla dottrina e dalla giurisprudenza<br />

internazionali ( 29 ), in caso di conflitti interpretativi, tali usi “quasi<br />

normativi” dovranno prevalere sulle norme di diritto uniforme (e quindi, indirettamente,<br />

anche sulle norme di diritto interno) e ciò a prescindere da<br />

qualsiasi dubbio che possa sorgere sulla natura giuridica degli Incoterms nell’ordinamento<br />

di riferimento, in quanto tali usi hanno efficacia di regole oggettive<br />

consuetudinarie del commercio internazionale che andranno interpretate<br />

e applicate in un contesto normativo transnazionale.<br />

5. – Ad ulteriore conferma dell’importanza assunta dagli Incoterms per<br />

la disciplina dei contratti di vendita internazionale si ritiene opportuno citare<br />

il caso St. Paul Guardian Insurance Co., nel quale il tribunale federale del<br />

Southern District di New York ( 30 ) si è spinto sino ad affermare che gli Incoterms<br />

devono applicarsi ad un contratto di compravendita disciplinato dalla<br />

Convenzione anche a prescindere da un esplicito riferimento delle parti a<br />

tale raccolta d’usi, essendosi le parti limitate ad indicare nel contratto il solo<br />

termine di resa CIF ( 31 ). In tale pronunzia il tribunale statunitense ha, infatti,<br />

ritenuto potersi desumere da una serie di elementi che le parti avessero<br />

inteso riferirsi al significato della clausola CIF previsto dagli Incoterms, in<br />

( 29 ) Cfr., ex multis, Rechtbank Koophandel Ieper (Belgio), 18 febbraio 2002, consultabile<br />

online all’indirizzo http://cisgw3.law.pace.edu/cases/020218b1.html; Rechtbank Koophandel<br />

Veurne (Belgio), 25 aprile 2001, consultabile online all’indirizzo http://cisgw3.law.pace.edu/cases/010425b1.html;<br />

Oberster Gerichtshof (Austria), 21 marzo 2000, consultabile online all’indirizzo<br />

http://cisgw3.law.pace.edu/cases/000321a3.html; Juzgado Nacional de Primera Instancia<br />

en lo Comercial (Argentina), 6 ottobre 1994, consultabile online all’indirizzo http://cisgw3.law.pace.edu/cases/941006a1.html.<br />

( 30 )V. St. Paul Guardian Insurance Co., et al. v. Neuromed Medical Systems & Support et al.,<br />

U.S. Dist. Court, Lexis 5096 (S.D.N.Y. 2002), consultabile online all’indirizzo http://cisgw3.<br />

law.pace.edu/cases/020326u1.html.<br />

( 31 ) Nella fattispecie, la clausola prevedeva una consegna « CIF New York seaport ».


SAGGI 159<br />

quanto tali termini sono ampiamente conosciuti nell’ambito dei contratti<br />

del commercio internazionale. Nel caso di specie, un compratore statunitense<br />

ed un venditore tedesco avevano stipulato un contratto di compravendita<br />

internazionale avente ad oggetto un apparecchio medico-diagnostico<br />

che era stato consegnato dal venditore al porto di partenza in buone condizioni.<br />

Il compratore riscontrava tuttavia dei danni al momento della consegna<br />

del bene negli Stati Uniti. Poiché in virtù della clausola CIF prevista dal<br />

contratto (nell’accezione di cui agli Incoterms 2000) le parti avevano inteso disciplinare<br />

il passaggio del rischio allorquando i beni oltrepassano la murata<br />

della nave al porto di partenza, l’acquirente proponeva azione innanzi al tribunale<br />

federale di New York domandando il risarcimento del danno. A fondamento<br />

della pretesa attorea si affermava che, poiché nel contratto non era<br />

stato fatto esplicito riferimento agli Incoterms, la disciplina tipica del trade<br />

term CIF non doveva trovare applicazione. Va rilevato, però, che le parti avevano<br />

scelto come legge applicabile al contratto il diritto tedesco e, in virtù di<br />

tale scelta, la corte americana stabiliva che il contratto internazionale dovesse<br />

essere interpretato in base alle norme di diritto materiale uniforme della<br />

Convenzione, recepita nel diritto tedesco. Il tribunale riteneva pertanto applicabile<br />

la definizione di CIF contenuta negli Incoterms 2000, che prevedeva<br />

il passaggio del rischio nella consegna della merce al momento del superamento<br />

dello ship’s rail e respingeva quindi la pretesa dell’attore, in quanto il<br />

rischio doveva ritenersi a carico del compratore per eventuali danni verificatisi<br />

a seguito del caricamento della merce sulla nave. Nel ritenere applicabile la<br />

disciplina prevista dagli Incoterms, il tribunale assumeva ai sensi dell’art. 9,<br />

comma 2, della Convenzione, che gli Incoterms formassero usi largamente<br />

conosciuti e osservati nel commercio internazionale e che, nel richiamare la<br />

clausola CIF nel loro contratto, le parti avessero inteso fare riferimento a tale<br />

raccolta d’usi in modo coerente con lo spirito della Convenzione stessa ( 32 ).<br />

A conclusioni non dissimili è giunto un tribunale arbitrale russo ( 33 ),<br />

( 32 ) La Corte federale di New York ha affermato infatti che: « The use of the “CIF” term<br />

in the contract demonstrates that the parties “agreed to the detailed oriented [INCOTERMS]<br />

in order to enhance the Convention”. Oberman, Transfer of Risk From Seller to Buyer in International<br />

Commercial Contracts: A Comparative Analysis of Risk Allocation Under CISG, UCC<br />

and Incoterms, in http://www.cisg.law.pace.edu/cisg/thesis/Oberman.html. Thus, pursuant to<br />

CISG art. 9(2), INCOTERMS definitions should be applied to the contract despite the lack of<br />

an explicit INCOTERMS reference in the contract ».<br />

( 33 )V. Tribunale dell’arbitrato commerciale internazionale presso la Camera di commercio<br />

e dell’industria della Federazione Russa, 13 aprile 2006, consultabile online all’indirizzo<br />

http://cisgw3.law.pace.edu/cases/060413r1.html.


160 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

nonché da ultimo un tribunale di merito svizzero ( 34 ), che ha sostenuto persino<br />

che quando gli Incoterms non sono stati espressamente richiamati nel<br />

contratto esplicitamente o implicitamente, tali trade terms assumono comunque<br />

il valore di “regole interpretative del commercio internazionale”.<br />

Altre pronunzie di tribunali di Stati contraenti della Convenzione hanno<br />

coerentemente affermato che un semplice riferimento nel contratto ad un<br />

trade term (ad es., CIF, FOB o EXW) vada inteso come un rinvio al significato<br />

specifico ad esso attribuito dagli Incoterms, a prescindere dal fatto che<br />

le parti abbiano fatto espresso riferimento alla raccolta d’usi della CCI ( 35 ).<br />

La citata giurisprudenza sull’interpretazione degli Incoterms, che si avvale<br />

del richiamo agli usi contenuto nell’art. 9 della Convenzione, pone in rilievo<br />

la netta differenza tra l’interpretazione resa su questa raccolta d’usi dai<br />

tribunali degli Stati contraenti della Convenzione rispetto ai tribunali italiani,<br />

in quanto i primi tendono ad effettuare un ricorso pressoché automatico<br />

agli Incoterms, ritenuti veri e propri usi normativi o “quasi normativi” del<br />

commercio internazionale capaci di derogare alle norme sul passaggio del<br />

rischio contenute nella Convenzione, mentre i secondi continuano a ritenere,<br />

in maniera pressoché acritica e avulsa dall’internazionalità dei contratti<br />

sottostanti, che le clausole degli Incoterms non possano integrare gli<br />

estremi dell’uso o patto contrario capace di derogare al dettato dell’art. 1510,<br />

secondo comma, c.c. (che peraltro, come già osservato, non dovrà applicarsi<br />

ad un contratto di compravendita internazionale disciplinato dalla Convenzione).<br />

6. – Gli usi uniformi relativi ai crediti documentari della CCI, anche noti<br />

con l’acronimo UCP, nelle varie edizioni che si sono susseguite (l’ultima è la<br />

n. 600, entrata in vigore il 1° luglio 2007) sono una raccolta di regole in materia<br />

di emissione e negoziazione di crediti documentari di amplissima diffusione,<br />

essendo stati adottati da associazioni bancarie di più di 170 paesi ( 36 ),<br />

( 34 ) Cfr. Tribunale Cantonale del Valais (Svizzera), 28 gennaio 2009, consultabile online<br />

all’indirizzo http://cisgw3.law.pace.edu/cases/090128s1.html.<br />

( 35 )V., ex multis, China North Chemical Industries Corporation v. Beston Chemical Corporation,<br />

Dist. Court (Texas 2006), consultabile online all’indirizzo http://cisgw3.law.pace.edu/<br />

cases/060207u1.html.<br />

( 36 )Per alcuni riferimenti bibliografici in tema di lettere di credito e crediti documentari,<br />

v. Balossini, Norme ed usi uniformi relativi ai crediti documentari, 4 a ed., Milano, 1988; Bonell,<br />

Il credito documentario: norme ed usi uniformi, in Portale (a cura di), Le operazioni bancarie,<br />

II, Milano, 1978; Eberth, La revisione delle norme ed usi uniformi relativi ai crediti documentari,<br />

in Banca, borsa, tit. cred., 1985, I, p. 320; Forni, Lettere di credito: un confronto tra


SAGGI 161<br />

al punto da essere stati definiti “world law” da un’autorevole dottrina ( 37 ).<br />

Le regole conosciute come UCP, allo stesso modo degli Incoterms, si sono<br />

diffuse in tutto il mondo grazie alla loro capacità di rappresentare correttamente<br />

le consuetudini e le regole oggettive del sistema economico transnazionale.<br />

Nella prassi, tuttavia, è difficile comprendere se le parti abbiano<br />

inteso richiamare per intero nel loro contratto la disciplina particolarmente<br />

tecnica e a tratti complessa degli UCP, o se invece non abbiano inteso fare<br />

riferimento soltanto a determinati aspetti peculiari di tali regole uniformi,<br />

quali ad esempio l’indipendenza del credito dal contratto sottostante. Benché<br />

sia noto, infatti, che i crediti documentari sono strumenti che tipicamente<br />

prevedono un’astrazione dal rapporto di valuta sottostante e che risultano<br />

pertanto indipendenti dalle vicende o eccezioni derivanti dal contratto<br />

di compravendita ( 38 ), come confermato dal tenore della clausola 4(a)<br />

degli UCP, nella prassi applicativa della Convenzione le norme di diritto<br />

uniforme vanno in taluni casi coordinate con le regole oggettive in materia<br />

l’Art. 5 dello Uniform Commercial Code e le Norme e gli Usi Uniformi della Camera di Commercio<br />

Internazionale, in Dir. comm. int., 1999, p. 129; Gutteridge e Megrah, Gutteridge and Megrah’s<br />

Law of Bankers’ Commercial Credits, 8 a ed., 2001; Jack, Malek e Quest, Documentary<br />

Credits. The Law and Practice of Documentary Credits Including Standby Credits and Demand<br />

Guarantees, 2001; Kurkela, Letters of Credit and Bank Guarantees under International Trade<br />

Law, 2007; Roeland e Bertrams, Bank Guarantees in International Trade, 3 a ed., 2004; Schmitthoff,<br />

Schmitthoff’s Export Trade: The Law and Practice of International Trade. The Law and<br />

Practice of International Trade, 11 a ed., 2007; Tunc, Réflexions générales sur la vente internationale<br />

et crédits documentaires, 16 Eur. Transport Law, Belgium, 1981, pp. 151-156; Bergami, What<br />

Can UCP 600 Do for You, in Vindobona J. Int’l Comm. Law and Arbitration, 2007, pp. 1-10.<br />

( 37 )V. Schmitthoff, Commercial Law in a Changing Economic Climate, 2 a ed, Londra,<br />

1981, p. 28.<br />

( 38 ) Cfr. Frignani e Torsello, Il contratto internazionale, cit., p. 336, che a proposito dell’astrattezza<br />

e dell’autonomia del credito documentario dal rapporto sottostante affermano:<br />

“il rapporto sottostante, quindi, non impegna in nessun modo la banca, anche se nelle condizioni<br />

del credito sia stato fatto un qualche riferimento al negozio sottostante, con la conseguenza<br />

che l’obbligo della banca è astratto, perché distinto dal rapporto che gli dà causa, ed è<br />

autonomo rispetto ai rapporti fra le parti, per cui resta in piedi anche se quelli dovessero venire<br />

meno”. In giurisprudenza v. Trib. Roma, 9 maggio 1981, in Banca, borsa, tit. cred., 1982, II,<br />

p. 295, con nota di Balossini, Astrattezza, formalismo e letteralità nel credito documentario, e<br />

principio di buona fede; più di recente, v. Trib. Nola, 7 dicembre 2006 (inedita), che afferma:<br />

“in sostanza, in virtù dell’art. 1530 c. 2 c.c. e delle Norme e Usi uniformi relativi ai crediti documentari<br />

(Uniform Customs and Practice for Documentary Credits UCP 500, art. 9), il rapporto<br />

obbligatorio che si stabilisce tra la banca e il beneficiario (nel caso la Shree Precoated<br />

Steels Limited) è astratto, è cioè del tutto indipendente dal sottostante contratto di compravendita,<br />

con l’effetto che la banca non può rifiutare il pagamento sollevando eccezioni fondate<br />

sul rapporto causale, ma può solamente opporre l’irregolarità dei documenti presentati”.


162 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

di crediti documentari ( 39 ). La disciplina degli UCP interagisce con le norme<br />

di diritto uniforme della Convenzione in relazione agli obblighi di pagamento<br />

e di consegna documentale previsti nel trattato di diritto uniforme.<br />

Con riferimento alle obbligazioni di pagamento del compratore nel<br />

contratto di compravendita internazionale, è noto che la Convenzione prevede<br />

all’art. 54 che: “l’obbligazione del compratore di pagare il prezzo include<br />

l’adozione delle misure e l’osservanza delle formalità richieste dal contratto o<br />

dalle leggi o dai regolamenti per consentire che il pagamento sia effettuato”.<br />

La Convenzione prevede poi una disciplina particolare per l’obbligo del<br />

venditore di consegna documentale, ai sensi dell’art. 34, che recita: “se il<br />

venditore è tenuto a rilasciare i documenti relativi ai beni, deve rilasciarli nel<br />

momento, nel luogo e nella forma previsti dal contratto”.<br />

Le disposizioni in esame pongono interessanti questioni interpretative<br />

in relazione alla loro interazione con le regole uniformi degli UCP. Da un<br />

lato, infatti, la previsione dell’art. 54, che prevede che l’obbligo di pagare il<br />

prezzo include l’adozione delle misure e l’osservanza delle formalità richieste<br />

dal contratto, vale ad attribuire rilevanza ad un accordo delle parti circa<br />

l’utilizzo di crediti documentari come mezzi di pagamento delle merci.<br />

Dall’altro, la previsione dell’art. 34, in base alla quale se il venditore è obbligato<br />

a rilasciare i documenti relativi ai beni, deve rilasciarli nel momento,<br />

nel luogo e nella forma previsti dal contratto, introduce il tema della presentazione<br />

alla banca incaricata di documenti “strictly compliant”, principio<br />

radicato nella prassi bancaria internazionale recepita dagli UCP 600 ( 40 ).<br />

Con riferimento a quest’ultimo obbligo di consegna documentale, va rilevato<br />

che esso è condizione essenziale per consentire alla banca di effettuare<br />

il pagamento previsto dal credito e, di conseguenza, permette alla parte de-<br />

( 39 )V., tra i tanti, Roeland e Bertrams, op. cit., p. 199 che osservano che è pienamente<br />

accettato a livello internazionale che i crediti documentari abbiano una causa propria, indipendente<br />

da quella del contratto sottostante e che la causa propria del credito è riscontrabile<br />

e trae origine dalla volontà delle parti di creare una garanzia autonoma.<br />

( 40 ) Cfr. Forni, Lettere di credito, cit., p. 134, che afferma, se pur con riferimento alla non<br />

più vigente versione degli UCP 500: “Le NUU non hanno alcun esplicito riferimento allo<br />

standard della strict compliance, tuttavia questo sembra lo standard comunemente accettato,<br />

in conformità alla prassi bancaria negli Stati Uniti e dovunque. Ugualmente che questo sia lo<br />

standard preferito anche dalle NUU lo si desume da alcune disposizioni ivi contenute come,<br />

per esempio, dall’art. 5 che prevede che le istruzioni per l’emissione di un credito, il credito<br />

stesso, le istruzioni per la sua modifica e la modifica stessa devono essere complete e precise.<br />

L’art. 5 delle NUU stabilisce che le istruzioni per l’emissione e le modifiche di un credito devono<br />

essere complete e precise ma non eccessivamente dettagliate, in modo da assicurare che<br />

il beneficiario si conformi in modo stretto con il credito”.


SAGGI 163<br />

bitrice di assolvere pienamente i propri obblighi di pagamento ai sensi del<br />

contratto di compravendita. Ai sensi degli UCP, la banca designata, l’eventuale<br />

banca confermante e la banca emittente devono esaminare tutti i documenti<br />

prescritti del credito per accertare se, nella forma ed esclusivamente<br />

sulla base di tali documenti, essi costituiscano o meno una presentazione<br />

conforme ai termini ed alle condizioni del credito ( 41 ). Pertanto, qualora la<br />

banca dovesse riscontrare che tali documenti sono, nella forma, discordanti<br />

o incompleti, la banca potrà rifiutarsi di onorare il pagamento, informando<br />

il compratore ordinante ( 42 ). Tale comportamento non avrà tuttavia rilevanza<br />

solo ai fini della disciplina del credito, ma andrà analizzato anche per<br />

valutare l’adempimento dell’obbligo del venditore, ai sensi dell’art. 34 della<br />

Convenzione, di fornire documenti che siano conformi a quanto previsto<br />

dal contratto. Secondo un orientamento dottrinale piuttosto recente, a seconda<br />

delle specifiche circostanze del caso, la mancata consegna da parte<br />

del venditore di documenti conformi al contratto potrebbe assurgere ad<br />

inadempimento essenziale ai sensi dell’art. 25 della Convenzione (il cd.<br />

fundamental breach) ( 43 ) e ciò nella misura in cui dalla mancata consegna di<br />

documenti conformi si sia determinato il rifiuto irrevocabile della banca incaricata<br />

di effettuare il pagamento ( 44 ). A tal riguardo la dottrina ha rilevato<br />

( 41 )V. Articolo 14(a) UCP, che prevede: “la banca designata che opera in tale qualità, l’eventuale<br />

banca confermante e la banca emittente devono esaminare la presentazione per accertare,<br />

esclusivamente sulla base dei documenti, se tali documenti costituiscano o meno,<br />

per quello che appare, una presentazione conforme”.<br />

( 42 )V. Articolo 16(a) UCP, che prevede: “se la banca designata che opera in tale qualità,<br />

l’eventuale banca confermante ovvero la banca emittente stabilisce che la presentazione non<br />

è conforme, essa può rifiutarsi di onorare o negoziare”.<br />

( 43 ) Sul concetto di fundamental breach nella Convenzione, in dottrina v. Ferrari, Fundamental<br />

Breach of Contract Under the UN Sales Convention 25 Years of Article 25 CISG, in 25<br />

J. Law Commerce, 2006, p. 489; Graffi, Case Law on the Concept of “Fundamental Breach” in<br />

the Vienna Sales Convention, in Rev. dr. affaires int./ Int’l Business Law J., 2003, p. 338 ss.; Magnus,<br />

The Remedy of Avoidance Under CISG: General Remarks and Special Cases, in 25 J. Law<br />

Commerce, 2006, p. 423 ss.<br />

( 44 ) Cfr. UNCITRAL Digest, Digest of Article 34 case law, consultabile online all’indirizzo<br />

http://daccess-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/V04/551/57/PDF/V0455157.pdfOpenElement,<br />

dove si legge: “The handing over of non-conforming documents constitutes a breach of contract<br />

to which the normal remedies apply. Provided the breach is of sufficient gravity it can<br />

amount to a fundamental breach, thus permitting the buyer to declare the contract avoided”.<br />

Per ulteriori commenti sul tema dell’inadempimento essenziale di cui all’art. 25 della Convenzione,<br />

v. Ferrari, Fundamental Breach of Contract under the UN Sales Convention on Contracts<br />

for the International Sale of Goods – 25 years of article 25, in Rev. dr. affaires int./ Int’l Business<br />

Law J., 2005, pp. 389-400.


164 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

che ogniqualvolta il comportamento del venditore in relazione agli obblighi<br />

di consegna documentale andrà valutato alla luce delle regole UCP richiamate<br />

per relationem nel contratto di compravendita, l’obbligo di consegna<br />

documentale del venditore potrà essere soggetto ad una verifica più rigorosa<br />

(la cd. strict compliance rule) ( 45 ) di quanto solitamente avviene per gli obblighi<br />

di consegna documentale nei contratti di compravendita internazionale.<br />

Ciò significa, in buona sostanza, che il mancato rispetto delle regole<br />

uniformi in materia di crediti documentari, ove richiamate dalle parti nel<br />

contratto, potrebbe determinare conseguenze assai rilevanti quali, ad<br />

esempio, il diritto del compratore di invocare l’inadempimento essenziale<br />

di cui all’art. 25 della Convenzione ( 46 ). È possibile, tuttavia, che la banca incaricata<br />

scelga, ai sensi dell’art. 16(b) UCP, di informare il compratore della<br />

discrepanza documentale e di richiedere una deroga al principio della<br />

conformità documentale ( 47 ). In tal caso è ipotizzabile che il compratore<br />

( 45 ) Cfr. Frignani e Torsello, Il contratto internazionale, cit., p. 336, a proposito della verifica<br />

di regolarità dei documenti: “infine, il carattere formale implica che il credito è fondato<br />

sulla letteralità della comunicazione della banca, così come è formulata nella lettera di credito<br />

inviata al beneficiario, e gli obblighi dell’istituto di credito si riducono ad una verifica di regolarità<br />

dei documenti stabiliti: principio della strict compliance”. Osserva a proposito della<br />

strict compliance, Forni, Lettere di credito, cit., p. 133: “per la teoria della strict compliance, la<br />

banca deve esaminare i documenti in modo meccanico, ossia deve guardare alle parole come<br />

se non avessero alcun significato ma fossero una casuale combinazione di lettere. È stato a<br />

proposito osservato che non vi sarebbe spazio per documenti che sono quasi uguali o che porterebbero<br />

allo stesso risultato”.<br />

( 46 )Per questo tipo di interpretazione, v. Schwenzer, The Danger of Domestic Preconceived<br />

Views with Respect to the Uniform Interpretation of the CISG: The Question of Avoidance in<br />

the Case of Nonconforming Goods and Documents, in 36:4 Victoria Univ. Wellington Law Rev.,<br />

2005, p. 805, che afferma: « In the majority of international sales contracts, the parties stipulate<br />

that the purchase price is to be paid by means of documentary credit or standby letter of<br />

credit. In this case, the UCP 500 usually apply, either by express reference or as an international<br />

trade usage, within the meaning of article 9(2) of the CISG. Even if the UCP 500, as such,<br />

are not considered to be international trade usages, they at least offer some useful guidelines<br />

as to what reasonable parties would regard to be a fundamental breach of contract within the<br />

context of the CISG. If the contract provides for payment by documentary credit, this implies<br />

that the documents have to be “clean” in every respect. Otherwise, the buyer has the right to<br />

avoid the contract. This necessity of strict compliance of documents can be derived directly<br />

from article 13(a) of the UCP 500. Article 20 and following of the UCP 500 set out, in detail,<br />

the circumstances under which documents are to be accepted as clean, or may be rejected ».<br />

( 47 )Per un’analisi delle questioni inerenti al tema della presentazione non conforme e<br />

delle discrepanze documentali, v. Bergami, Discrepant documents and letters of credit: the<br />

banks’ obligations under UCP500, in Vindobona J. Int’l Comm. Law and Arbitration, 2003, pp.<br />

105-120.


SAGGI 165<br />

conceda tale deroga al venditore in omaggio al principio di buona fede che<br />

sottende l’applicazione della Convenzione ( 48 ), soprattutto qualora non<br />

ravvisi difetti o ritardi nella consegna della merce che possano dare adito ad<br />

ulteriori inadempimenti degli obblighi del venditore. Tuttavia non si può<br />

escludere che, qualora la banca incaricata abbia rifiutato irrevocabilmente di<br />

effettuare il pagamento a causa della discrepanza nei documenti consegnati<br />

dal venditore, il compratore potrebbe lamentare l’inadempimento degli obblighi<br />

di consegna documentale del venditore ex art. 34 della Convenzione ed<br />

invocare la risoluzione del contratto per inadempimento essenziale. È di tutta<br />

evidenza che in contratti di compravendita internazionale dove i crediti documentari<br />

disciplinati dalle regole UCP non sono utilizzati come mezzi di pagamento,<br />

una domanda di risoluzione siffatta sarebbe con ogni probabilità<br />

preclusa al compratore, in quanto in base al principio di buona fede di cui all’art.<br />

7 della Convenzione si ritiene solitamente che il compratore sia tenuto a<br />

tollerare l’inadempimento del venditore in relazione alla consegna di documenti<br />

incompleti e che il venditore possa rimediare a tale incompletezza documentale<br />

( 49 ). Ciò nondimeno, un’interpretazione più rigorosa potrebbe farsi<br />

strada laddove si ritenga che l’esatto adempimento del venditore, anche con<br />

riferimento all’obbligo di consegna documentale, costituisca un obbligo autonomo,<br />

espressamente convenuto dalle parti, ad esempio mediante il richiamo<br />

alle regole UCP e che il compratore non debba essere tenuto ad effettuare<br />

il pagamento in luogo della banca incaricata, soltanto perché questa si è rifiutata<br />

di onorare il credito a causa dell’inadempimento del venditore. La situazione<br />

appena analizzata è soltanto un esempio della complessa interazio-<br />

( 48 ) Sul concetto di buona fede come principio generale della Convenzione, v. ex multis,<br />

Komarov, Internationality, Uniformity and Observance of Good Faith as Criteria in Interpretation<br />

of CISG: Some Remarks on Article 7(1), in Conference Celebrating the 25th Anniversary of<br />

United Nations Convention on Contracts for the International Sale of Goods sponsored by UN-<br />

CITRAL and the Vienna International Arbitration Centre (Vienna: 15-18 March 2005), in 25 J.<br />

Law Commerce, 2005/ 2006, pp. 75-85; Magnus, Remarks on Good Faith: The United Nations<br />

Convention on Contracts for the International Sale of Goods and the UNIDROIT Principles of<br />

International Commercial Contracts, in Pace Int’l Law Rev., 1998, pp. 89-95; Powers, Defining<br />

the Indefinable: Good Faith and the United Nations Convention on Contracts for the International<br />

Sale of Goods, in 18 J. Law Commerce, 1999, pp. 333-353.<br />

( 49 )Per conclusioni di questo tipo, v. Bijl, Fundamental Breach in Documentary Sales Contracts.<br />

The Doctrine of Strict Compliance with the Underlying Sales Contract, in Eur. J. Comm.<br />

Contract Law, 2009, pp. 19-28, a p. 28, che afferma: “Letter of credit practice strongly suggests<br />

that if the parties have agreed to payment by means of a letter of credit, they have simultaneously<br />

agreed to apply the strict compliance principle to the delivery of documents in the<br />

underlying sales contract”.


166 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

ne della disciplina uniforme prevista dagli UCP (ed in particolare della rilevanza<br />

del principio della strict compliance) ai fini della determinazione dell’esistenza<br />

di un inadempimento essenziale per gli effetti dell’art. 25 della Convenzione.<br />

Se, infatti, da un lato gli obblighi derivanti da un contratto di compravendita<br />

e le eccezioni ad esso inerenti non possono essere opposte alla<br />

banca incaricata di emettere una lettera di credito, secondo il noto principio<br />

dell’autonomia ed astrattezza dei crediti documentari dal rapporto contrattuale<br />

sottostante, da un altro lato gli obblighi di consegna documentale previsti<br />

dalla Convenzione a carico del venditore potranno essere valutati in maniera<br />

diversa tutte le volte che le parti abbiano recepito nel contratto le regole<br />

uniformi in materia di crediti documentari.<br />

7. – L’osservanza e l’applicazione degli usi del commercio internazionale<br />

ai contratti di compravendita internazionale è un fatto imprescindibile<br />

nella prassi degli scambi internazionali. Vi sono numerosi esempi dei<br />

benefici che le parti possono trarre dall’utilizzo di strumenti come gli Incoterms<br />

o gli UCP, che nascono nel mondo degli operatori commerciali<br />

per rispondere ad esigenze della prassi operativa ( 50 ). L’applicazione delle<br />

regole oggettive del commercio internazionale ad un contratto di compravendita<br />

internazionale è resa possibile dall’art. 9 della Convenzione,<br />

che attribuisce un valore quasi normativo a tali regole. Purtroppo non<br />

sempre i tribunali ordinari possiedono strumenti adeguati per effettuare<br />

tale analisi, in quanto gli usi e le regole oggettive del commercio internazionale<br />

hanno natura specialistica, che raramente è stata valorizzata sotto<br />

il profilo interpretativo nella giurisprudenza italiana ( 51 ). Maggiore aper-<br />

( 50 )Per osservazioni simili, cfr. Schwenzer, The Danger of Domestic Preconceived Views,<br />

cit., p. 806, che afferma: “[ ....] the CISG, used in conjunction with the INCOTERMS and the<br />

UCP 500, offers a workable solution for the scope of issues and potential problems in the area<br />

of commodity and documentary sales law. Rather than working against the pressures of time<br />

and efficiency required in such transactions, the CISG instead plays a supplementary role”.<br />

( 51 )Fanno naturalmente eccezione, anche se non con particolare riferimento al tema specifico<br />

della prevalenza delle regole oggettive del commercio internazionale sul diritto materiale,<br />

ma più in generale con riferimento alla specialità del diritto uniforme sul diritto nazionale,<br />

le già citate pronunce di Trib. Vigevano, 12 luglio 2000 e Trib. Rimini, 26 novembre 2002.<br />

Si ricordano, inoltre, le sentenze patavine di Trib. Padova, sez. dist. di Este, 25 febbraio 2004,<br />

in Giur. merito, 2004, p. 867, con nota di Graffi, L’interpretazione autonoma della Convenzione<br />

di Vienna, cit. e Trib. Padova, sez. dist. di Este, 11 gennaio 2005, in Eur. Legal Forum, 2005,<br />

II, p. 127 ss., con nota di Chiomenti, Does the choice of a-national rules entail an implicit exclusion<br />

of the CISG, anche reperibile in Giur. merito, 2005, I, p. 141 ss., redatte dello stesso<br />

estensore, dott. Rizzieri.


SAGGI 167<br />

tura si riscontra, invece, nella giurisprudenza internazionale ( 52 ) e nei lodi<br />

arbitrali ( 53 ) che hanno applicato la Convenzione, quasi sempre riconoscendo<br />

senza particolari difficoltà interpretative la natura vincolante e<br />

quasi normativa (o anche pienamente normativa) di strumenti quali gli<br />

Incoterms e gli UCP, per effetto della previsione di cui all’art. 9 della Convenzione.<br />

È dunque auspicabile che la giurisprudenza italiana, che negli<br />

ultimi anni ha senz’altro dimostrato (soprattutto nelle pronunce di merito)<br />

( 54 ) un sempre crescente interesse per l’applicazione e l’interpretazione<br />

della Convenzione, prosegua nella corretta applicazione di questo<br />

trattato di diritto uniforme, addivenendo ad un’interpretazione dell’art. 9<br />

della Convenzione volta a valorizzare l’utilizzo di strumenti quali Incoterms<br />

e UCP.<br />

( 52 )Per una panoramica della giurisprudenza internazionale sulla Convenzione, si rinvia<br />

all’UNCITRAL Digest, supra nota 5.<br />

( 53 )Per una rassegna di lodi arbitrali applicativi della Convenzione, si rinvia all’apposita<br />

sezione della banca dati Unilex, consultabile online all’indirizzo http://www.unilex.info/dynasite.cfmdssid=2376&dsmid=13355&x=1.<br />

( 54 )Id.


OLGA TROMBETTI<br />

I tentativi di uniformazione del diritto contrattuale a livello europeo.<br />

Prime riflessioni per un confronto tra il Draft of Common Frame<br />

of Reference ed il progetto preliminare del Code européen des contrats<br />

Sommario: 1. La logica della sistematica organizzazione del diritto contrattuale europeo. –<br />

2. L’acquis comunitario quale piattaforma di partenza nel processo di armonizzazione:<br />

il Draft of Common Frame of Reference. – 3. La logica protezionistica del consumatore<br />

nella disciplina del contratto di vendita prevista dal Code e dal DCFR: a) gli obblighi di<br />

informazione. – 4. Segue: b) il sistema dei rimedi azionabili dal compratore. – 5. Conclusioni.<br />

1. – L’esame della progressiva modificazione degli elementi essenziali<br />

del contratto, e dunque della graduale affermazione di una fattispecie contrattuale<br />

distinta ed autonoma rispetto a quella delineata all’interno dei diritti<br />

nazionali, ha costituito l’obiettivo dei recenti studi sui rapporti inter privatos<br />

di matrice europea.<br />

Dopo un’iniziale reticenza, l’idea di elaborare ed adottare un codice civile<br />

europeo all’interno dell’Unione europea ha col tempo raccolto consensi<br />

crescenti da parte del mondo accademico e professionale, consensi che si<br />

sono palesati attraverso una serie di proposte e progetti, di studi e di ricerche.<br />

La questione circa l’opportunità o meno della esistenza di un codice civile<br />

europeo, pur se solo limitatamente all’ambito contrattuale, non costituisce<br />

più una questione puramente dottrinale, avendo ormai preso corpo in diversi<br />

progetti con effettive prospettive di realizzazione. La necessità, infatti, di realizzare<br />

uno spazio e perciò un mercato comune deve essere necessariamente<br />

accompagnata dall’utilizzo di strumenti giuridici adeguati che ne consentano<br />

il conseguimento, anche a costo di un arretramento delle tradizionali categorie<br />

nazionali. È stata proprio questa la inevitabile conseguenza del rapido sviluppo<br />

che ha contrassegnato il diritto contrattuale europeo, il quale, pur costituendo<br />

una materia “giovane” dal punto di vista normativo ( 1 )e concettuale,<br />

( 1 ) La Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali del 1980<br />

è, per i suoi contenuti, ritenuta il punto di partenza del diritto contrattuale europeo perché,<br />

essendo l’unico provvedimento applicabile a tutti i tipi contrattuali, ne delinea la maggior par-


SAGGI 169<br />

ha già posto in luce problemi di non poco conto ( 2 ).<br />

Due sono gli aspetti centrali che lo connotano: in primis il rinnovamento<br />

della disciplina contrattuale, intesa come espressione di un sistema che, reggendosi<br />

da una parte sulla libertà dell’iniziativa economica privata e dall’altra<br />

sulla concorrenza di mercato, la rende il nucleo centrale del diritto privato.<br />

In secondo luogo la crescente estensione delle categorie privatistiche<br />

(prima fra tutte il contratto) anche in terreni da sempre considerati di dominio<br />

pubblicistico, come i rapporti di pubblico impiego o i settori dei servizi<br />

postali e delle telecomunicazioni, ha assegnato al diritto contrattuale il<br />

compito di regolare le transazioni all’interno del mercato unico europeo.<br />

Il suo ambito operativo ricomprende tutte le norme che riguardano la<br />

formazione, il contenuto e la estinzione dei contratti, in particolare quelle<br />

che incidono sulla tutela dei consumatori e la regolamentazione degli interessi<br />

pubblici attinenti al funzionamento del mercato. Tali norme vengono<br />

applicate, nella maggior parte dei casi, a quelle transazioni in cui le parti<br />

(entrambe o almeno una di esse) agiscono nello svolgimento della propria<br />

attività professionale, poiché il contratto (puramente civilistico) tra due<br />

soggetti non professionisti ha scarso rilievo pratico nel commercio transfrontaliero,<br />

dunque il diritto comunitario non lo disciplina. Per questo si<br />

può condividere l’opinione di chi sostiene che il diritto contrattuale europeo<br />

opera su un terreno più ristretto, almeno per certi aspetti, di quello su<br />

cui agisce il diritto nazionale ( 3 ).<br />

te della sua struttura essenziale. Negli altri ambiti, le direttive sull’armonizzazione del diritto dei<br />

contratti vengono emanate tra la seconda metà degli anni ottanta e gli inizi degli anni novanta:<br />

Dir. 85/577/CEE sui contratti negoziati fuori dei locali commerciali; Dir. 87/102/ CE e 90/88/CE<br />

in materia di credito al consumo; Dir. 93/13/CE sulle clausole abusive; Dir. 90/314/CE sui pacchetti<br />

turistici aventi ad oggetto i viaggi, le vacanze ed i circuiti « tutto compreso », etc.<br />

( 2 ) Alpa, Introduzione al diritto contrattuale, Bari, 2007, affronta preliminarmente la questione<br />

della reale necessità di un diritto contrattuale europeo. L’A. richiama quell’orientamento<br />

dottrinale che risponde all’interrogativo in maniera scettica, sostenendo che le differenze<br />

tra i sistemi giuridici non producono, in realtà, un comprovato svantaggio agli scambi<br />

economici ed alle parti in essi coinvolte. Ed in base al medesimo orientamento la soluzione al<br />

problema delle differenze tra i vari ordinamenti nemmeno sarebbe adeguatamente risolto<br />

dall’adozione di un codice vincolante per le parti, il quale dovrebbe essere realizzato sulla base<br />

di un retroterra economico, giuridico, sociale e linguistico comune ed omogeneo.<br />

( 3 ) Grundmann, La struttura del diritto europeo dei contratti, in Riv. dir civ., 2002, I, p. 365,<br />

sottolinea che nel diritto europeo dei contratti rientrano anche la regolamentazione degli interessi<br />

pubblici concernenti le transazioni commerciali come le norme di diritto monetario<br />

che rendono nulle certe clausole contrattuali, i divieti di cartelli o le esenzioni di categoria,<br />

aspetti non contemplati invece dalla singola disciplina contrattuale nazionale.


170 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

La minore area di incidenza non rappresenta, tuttavia, un limite alla sua<br />

funzionalità: essa, al contrario, consente al legislatore comunitario di concentrare<br />

gli sforzi nella rimozione degli ostacoli che ancora impediscono la<br />

realizzazione del mercato unico europeo.<br />

Il diritto contrattuale europeo è infatti finalizzato alla regolamentazione<br />

del fallimento del mercato, vale a dire il rischio principale cui sono esposte<br />

le transazioni commerciali, rischio che è causato da diversi fattori come ad<br />

esempio la concorrenza imperfetta, la violazione di obblighi informativi tra<br />

le parti (le c.d. asimmetrie informative) o l’esistenza di eventi esterni, come<br />

i costi che non vengono sopportati da quegli operatori che adottano determinate<br />

scelte di mercato avvantaggiandosene.<br />

Il principio cardine in materia è quello della trasparenza del contenuto<br />

contrattuale, che non riguarda semplicemente solo il prezzo della transazione,<br />

ma anche la regolamentazione pattizia, il trattamento giuridico del<br />

rapporto contrattuale che viene ad instaurarsi e il potere contrattuale delle<br />

parti. L’assenza di messaggi inerenti anche a tali componenti genera la progressiva<br />

segmentazione del mercato che ha come conseguenza l’isolamento<br />

delle operazioni contrattuali e produce effetti negativi proprio su quel<br />

settore del mercato nel quale agiscono i consumatori, vale a dire i soggetti<br />

che più necessitano di un sistema di informazioni sui prezzi e sulle clausole<br />

contrattuali.<br />

Per far fronte a questa situazione si è ritenuto opportuno adottare una<br />

politica volta a rafforzare i circuiti informativi nei quali è possibile il corretto<br />

funzionamento del mercato, con riferimento particolare al mercato che<br />

vede coinvolti i consumatori finali ( 4 ).<br />

Lo scopo è evidente: soprattutto nell’ottica di uno scambio con il soggetto<br />

consumatore, si vuole tutelare questo da una naturale mancanza di<br />

informazione e l’obiettivo viene raggiunto anche percorrendo direzioni diverse<br />

( 5 ).<br />

( 4 )Jannarelli, La disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e<br />

consumatori, in Diritto privato europeo, a cura di Lipari, III, 2003, p. 41. Secondo Grundmann,<br />

La struttura del diritto europeo dei contratti, cit., p. 395, è condivisibile l’opinione di chi ritiene<br />

le asimmetrie informative dannose solo in parte ed in parte addirittura indispensabili al funzionamento<br />

del mercato, in quanto create dalla condizione di efficienza del mercato stesso ed<br />

intrinseche al meccanismo dello stesso.<br />

( 5 ) Si considerino i doveri di informazione che rendono più chiaro il contenuto dei rapporti<br />

contrattuali complessi (ad es. la Dir. 94/47/CE sui contratti di multiproprietà) o che tendono<br />

a dare certezza alle condizioni contrattuali proposte (come è nel caso della vendita a distanza<br />

regolata dalla Dir. 97/7/CE) o ancora che permettono la materializzazione di un bene<br />

o di un servizio acquistato in sedi non tradizionali (quali le vendite negoziate fuori dai locali


SAGGI 171<br />

Il diritto all’informazione viene protetto da un particolare rimedio, il recesso,<br />

il cui esercizio viene graduato sui tempi e sui contenuti dell’informazione.<br />

In questo modo è conferito al contraente il « diritto generale di rimettere<br />

in discussione un contratto concluso su iniziativa non già del cliente<br />

ma del commerciante, quando il cliente possa essersi trovato nella impossibilità<br />

di valutare appieno la portata del suo atto » ( 6 ).<br />

2. – L’opera definitoria di un corpus di principi comuni, in vista dell’elaborazione<br />

di un quadro comune di riferimento (CFR, Common Frame of<br />

Reference), deve necessariamente partire da una base concreta di regole e<br />

principi già condivisa, quale potrebbe essere quella rappresentata dall’acquis<br />

communautaire nel settore del diritto contrattuale ( 7 ).<br />

Non può essere sottovalutato il ruolo che viene svolto dal diritto comunitario<br />

all’interno del medesimo processo ( 8 ). In questo senso, le opzioni<br />

nn. 2 e 3 (rispettivamente promozione di un complesso di principi comuni<br />

commerciali, Dir. 85/577CE). In tutte queste ipotesi l’ordinamento impone al contraente<br />

“forte” di fornire alla sua controparte quelle conoscenze in grado di eliminare i difetti di informazione<br />

legati all’oggetto o alle modalità di contrattazione.<br />

( 6 ) Corte CE, 27 giugno 2000, C-240/98, a proposito di contratti negoziati fuori dei locali<br />

commerciali e della posizione presa dalla Corte in tema di estensione alla fideiussione.<br />

( 7 ) Schulze, Precontractual Duties and Conclusion of Contract in European Law, in Eur.<br />

Rev. Priv. Law., 2005, p. 842. I principi di derivazione comunitaria possono contribuire allo sviluppo<br />

del diritto contrattuale europeo, esigenza che, avvertita nelle pratiche commerciali, trova<br />

riscontro anche all’interno dei Trattati CE e UE, i quali incoraggiano l’integrazione ed il<br />

corretto funzionamento del mercato interno nell’ottica di una politica protezionistica dei<br />

consumatori.<br />

( 8 ) Plaza Penades, Algunas consideraciones sobre el futuro Codigo Civil Europeo, in Derecho<br />

Patrimonial Europeo, a cura di Palao Moreno, Prats Albentosa e Reyes Lopez, Navarra,<br />

2003, p. 304, ritiene che le basi su cui debba fondarsi il futuro codice civile europeo in materia<br />

contrattuale sono tre: il diritto privato comunitario, i principi di diritto contrattuale comuni ai<br />

distinti diritti dell’Unione Europea, le esigenze della globalizzazione ed il rispetto della lex<br />

mercatoria. Con riguardo a queste ultime, l’A. spiega come la Convenzione di Vienna del<br />

1980 abbia creato uno spazio ulteriore, all’interno di una realtà giuridica già dominata dalla<br />

volontà delle parti, nel quale i contraenti oltre ad assumere la funzione di “legislatore”, possono<br />

scegliere e decidere anche il giudice. Tale tendenza riguarda soprattutto le grandi imprese<br />

coinvolte nel commercio transnazionale, ma sempre con maggior frequenza sta interessando<br />

anche le piccole e medie imprese operanti in determinati settori economici. Per<br />

questo motivo il diritto contrattuale europeo non può non prendere in considerazione le esigenze<br />

sempre maggiori di un ordine socioeconomico europeo e di un modello sociale europeo,<br />

e si dovrà senz’altro tenere in conto, in fase di elaborazione del suo contenuto, anche dei<br />

Principi UNIDROIT e della lex mercatoria internazionale, che hanno svolto e tuttora svolgono<br />

un ruolo chiave in questo processo uniformatore.


172 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

sul modello dei restatements inglesi e miglioramento qualitativo del diritto<br />

comunitario già esistente) proposte dalla Commissione europea nella<br />

COM(2001)398 def. certamente creano le premesse per la realizzazione dell’obiettivo<br />

finale della codificazione, rivelandosi altresì strettamente connesse<br />

tra di loro ed indispensabili per l’elaborazione di un futuro codice europeo<br />

dei contratti.<br />

Diverse sono le ragioni che inducono a non sottovalutare il ruolo del diritto<br />

comunitario. La revisione dell’acquis è ritenuta da più parti il reale ed<br />

essenziale punto di partenza per l’elaborazione del CFR, soprattutto in<br />

considerazione del fatto che in tal modo potrà essere modellata una normativa<br />

orizzontale per tutte quelle aree che sono differentemente disciplinate<br />

dalle direttive. In questo modo il CFR potrà costituire un riferimento per la<br />

regolamentazione di settori nei quali la disciplina già presente nelle direttive<br />

si configura come scarsamente intelligibile ( 9 ).<br />

Anzitutto esso costituisce la strada più realistica e praticabile nel cammino<br />

verso l’uniformazione in quanto, permettendo di concentrare preliminarmente<br />

l’attenzione sulle aree comuni e sui settori già armonizzati, elimina,<br />

seppure in minima parte, l’ostacolo delle differenze nazionali.<br />

Le diversità tra gli ordinamenti degli Stati membri interessano soprattutto<br />

le singole scelte di disciplina nonché la funzione e la portata delle clausole<br />

e dei principi generali che caratterizzano il diritto contrattuale. Si pensi,<br />

ad esempio, all’importanza riconosciuta alla buona fede nei sistemi di civil<br />

law e a come il medesimo principio è valutato nei sistemi di common law.<br />

L’esistenza di principi comuni desumibili dalla piattaforma dell’acquis,<br />

impiantati nei diversi ordinamenti grazie alle leggi di attuazione delle varie<br />

direttive, certamente agevola il processo di uniformazione rendendolo anche<br />

più accettabile e praticabile dal punto di vista politico. Ed è su tali premesse<br />

che nasce il Draft of Common Frame of Reference (DCFR).<br />

Esso costituisce il risultato della intensa e prolungata collaborazione, in<br />

termini di studi e ricerche, tra i più importanti esponenti della comunità<br />

scientifica internazionale, rappresentanti dei rispettivi ordinamenti europei<br />

d’origine.<br />

La cooperazione tra questi giuristi trovò nel 1982 la sua prima espressione,<br />

con la costituzione della Commission on European Contract Law ( 10 ), la<br />

( 9 ) Hesselink The values underlying the Draft Common Frame of Reference: what role for<br />

fairness and “Social Justice”, in CFR and Social Justice, Munchen, 2008, p. 9.<br />

( 10 ) Alla Commissione, costituita grazie all’iniziativa del prof. Ole Lando, si deve la redazione<br />

dei Principles of European Contract Law. È lo stesso Lando, L’unificazione del diritto privato<br />

europeo in materia contrattuale: sviluppo graduale o codificazione, in Materiali e commenti


SAGGI 173<br />

cui attività è stata, poi, proseguita soprattutto da gruppi di studiosi quali lo<br />

Study Group on European Contract Law (SGECC) e l’European Research<br />

Group on Existing EC Private Law (o Acquis Group). Proprio allo SGECC e<br />

all’Acquis Group si deve la presentazione dell’ambizioso progetto definitorio<br />

di un quadro comune di riferimento del diritto contrattuale europeo.<br />

Va chiarita, in premessa, la matrice prettamente accademica del DCFR<br />

ed il tentativo (forse non riuscito) di distanziarsi da qualsivoglia connotazione<br />

politica ( 11 ). Ciò è confermato dall’intenzione degli autori di dar vita<br />

ad un’opera che non ha la sola pretesa di fungere da modello di riferimento<br />

per l’elaborazione del CFR, ma creare un insieme di principi comuni che<br />

permettano la divulgazione, a livello europeo, di concetti e terminologie<br />

uniformi in materia di contratti ed obbligazioni ( 12 ).<br />

La rielaborazione, la riorganizzazione e l’interpretazione in chiave di ricerca<br />

e di comparazione dell’esistente materiale normativo comunitario in<br />

materia di obbligazioni e contratti permette, secondo i coordinatori dello<br />

SGECC e dell’Acquis Group, di forgiare la struttura essenziale su cui edificare<br />

il diritto contrattuale europeo. Su tale ultimo aspetto, nel luglio 2010 si<br />

è espressa anche la Commissione europea, con il Libro verde intitolato<br />

« Sulle opzioni possibili in vista di un diritto europeo dei contratti per i consumatori<br />

e le imprese » ( 13 ).<br />

In esso l’Esecutivo dell’UE ha posto alcune questioni in vista di una migliore<br />

coerenza del diritto contrattuale europeo, interrogandosi sull’ambito<br />

sul nuovo diritto dei contratti,a cura di Vettori, Padova, 1999, p. 873, che spiega le ragioni di una<br />

“europeizzazione” del diritto contrattuale sottolineando che l’Unione europea è una comunità<br />

di tipo economico, il cui scopo è la libera circolazione di beni, di persone, di servizi e di<br />

capitali. Strumentale al raggiungimento di tale scopo è la semplificazione della conclusione<br />

dei contratti. Dunque, poiché obiettivo dell’Unione è l’eliminazione delle restrizioni esistenti<br />

all’interno della Comunità nel settore degli scambi, è necessario che le differenze normative<br />

attualmente esistenti, in grado di limitare tali scambi, siano abolite.<br />

( 11 ) Amodio, Il DCFR per l’armonizzazione del diritto privato europeo: spunti per una riflessione,<br />

in Studium Iuris, 2009, p. 1309 osserva, esattamente, come la matrice tecnica del DCFR<br />

possa essere esaltata solo astraendosi dalle tensioni/ragioni politiche ed economiche che ne<br />

hanno supportato la redazione.<br />

( 12 ) La coerenza interna ed il carattere sistematico che offrirebbe un codice civile europeo<br />

non potrebbero essere offerti dalle disposizioni e dal diritto positivo derivante dalle istituzioni<br />

comunitarie, che peccano di frammentarietà, parzialità e contraddizioni. Esistono, altresì,<br />

diverse ragioni anche per discutere dell’insufficienza del diritto internazionale privato, come<br />

i costi addizionali che dovranno essere sostenuti per un confronto finalizzato alla scelta della<br />

legge da applicare ad un contratto o le difficoltà (linguistiche, procedurali, etc.) che dovranno<br />

essere affrontate da un giudice nazionale tenuto all’applicazione di una legge straniera.<br />

( 13 )COM(2010)348 def.


174 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

applicativo di uno strumento di diritto contrattuale europeo ( 14 )e sul contenuto<br />

che esso dovrebbe includere ( 15 ).<br />

La questione più rilevante ha, però, riguardato la natura giuridica che tale<br />

strumento dovrebbe assumere. Su tale aspetto la Commissione ha lanciato<br />

una consultazione pubblica (chiusasi lo scorso gennaio 2011) per raccogliere<br />

le opinioni delle parti interessate circa le possibili opzioni nel campo<br />

del diritto contrattuale europeo ( 16 ). Tra le opzioni elencate dalla stessa<br />

Commissione, alcune concernono norme di carattere obbligatorio, altre invece<br />

consistono in soluzioni flessibili, attuabili in base alla volontà dei Paesi<br />

membri ( 17 ).<br />

Dalla disamina dei primissimi orientamenti pervenuti è emerso come,<br />

tra le opzioni preferenziali, risulti quella relativa ad un regolamento istituti-<br />

( 14 ) Le nuove norme potrebbero riguardare: a) i contratti business to consumer, settore nel<br />

quale il diritto applicabile è già in parte armonizzato allo scopo di garantire meglio la tutela<br />

dei consumatori. Difatti, nel caso in cui vi sia conflitto tra contraenti di due paesi diversi, le<br />

imprese saranno tenute ad applicare il diritto del paese di residenza del consumatore o quantomeno<br />

le disposizioni obbligatorie in quel paese; b) i contratti business to business, rispetto<br />

ai quali le parti sono libere di scegliere il diritto applicabile. Ancora, l’ambito applicativo potrebbe<br />

comprendere tutti i contratti nazionali e transfrontalieri oppure soltanto quelli transfrontalieri.<br />

( 15 ) Quanto al contenuto, lo strumento potrebbe riguardare: a) le sole norme del diritto<br />

dei contratti in generale, soprattutto quelle inerenti a formazione ed esecuzione del contratto,<br />

diritto di recesso, interpretazione, contenuto, effetti, etc.; b) le norme in generale e quelle<br />

di tipi specifici di contratto, ad esempio quelle dei contratti più frequenti, come la vendita.<br />

( 16 )Terminata la valutazione dei pareri e degli orientamenti pervenuti, la Commissione,<br />

entro il 2012, dovrà promuovere ulteriori azioni.<br />

( 17 )L’essenza della consultazione ha riguardato proprio la forma che il nuovo strumento<br />

giuridico dovrebbe assumere e che potrebbe sostanziarsi: a) nella pubblicazione, in un testo<br />

semplice e di facile consultazione, dei risultati di un gruppo di esperti, per la creazione di norme<br />

e contratti tipo; b) in uno « strumentario » per i legislatori, attraverso un atto della Commissione<br />

o un accordo interistituzionale (tra la Commissione, il Consiglio e il Parlamento),<br />

da usare come riferimento in materia di diritto contrattuale; c) in una raccomandazione della<br />

Commissione, per la graduale e volontaria adozione, da parte degli Stati membri, di uno<br />

strumento europeo. Questa opzione permetterebbe ai Paesi dell’UE sia di modificare il diritto<br />

nazionale sia di creare un regime facoltativo ed alternativo al diritto interno; d) in un regolamento<br />

istitutivo di uno strumento facoltativo, inteso come regime giuridico alternativo<br />

adottato da tutti i Paesi, ma che le parti del contratto potrebbero liberamente scegliere; e) in<br />

una direttiva sul diritto europeo dei contratti, il cui scopo sia l’armonizzazione dei diritti nazionali<br />

ed elaborata sulla base di norme minime comuni; f) in un regolamento istitutivo di un<br />

diritto europeo dei contratti, per la sostituzione delle leggi nazionali; g) in un regolamento<br />

istitutivo di un codice civile europeo, che andrebbe a sostituire non solo la disciplina contrattuale<br />

nazionale ma anche quella di altri tipi di obbligazione (come, ad esempio, la responsabilità<br />

extracontrattuale e la gestione di affari).


SAGGI 175<br />

vo di uno strumento facoltativo di diritto europeo dei contratti ( 18 ). Secondo<br />

la Commissione europea questo strumento darebbe vita ad un complesso<br />

autonomo di norme di diritto contrattuale che le parti potrebbero scegliere<br />

come legge regolativa. Ai contraenti verrebbe offerto un sistema alternativo<br />

cui ricondurre la disciplina tanto dei contratti transfrontalieri<br />

quanto di quelli interni. I presupposti essenziali per la configurabilità di un<br />

siffatto strumento dovranno essere la chiarezza (per garantire la certezza<br />

del diritto applicabile) ed un elevato standard di tutela (per garantire la protezione<br />

dei contraenti consumatori).<br />

La stessa Commissione osserva, nella COM(2010) 348 def., che, se da<br />

una parte, l’accoglimento di tale opzione potrebbe apportare notevoli vantaggi<br />

al mercato interno, senza incidere eccessivamente sugli ordinamenti<br />

nazionali; dall’altra parte, però, costituendo un base alternativa cui il contraente<br />

può scegliere di ricorrere, complicherebbe un corpus normativo di<br />

per sé già abbastanza intricato.<br />

In ragione di ciò, sarà ancora più marcata l’esigenza di informazioni che<br />

consentano al consumatore di comprendere bene di quali posizioni soggettive<br />

sarà titolare qualora decida di concludere un contratto sulla base di detto<br />

regolamento.<br />

Sulla eventuale adesione all’opzione in commento, il CNF ha giustamente<br />

osservato che il rischio non è soltanto rappresentato dalla complicazione<br />

del quadro normativo attraverso l’introduzione di un modello alternativo,<br />

ma soprattutto della possibilità che la scelta di ricondurre la disciplina<br />

di un contratto a tale modello sia (ancora una volta) conseguenza di<br />

un’imposizione della parte economicamente forte nei confronti di quella<br />

debole. Si ritiene, tuttavia, che questo pericolo possa essere scongiurato<br />

dalla sostanza normativa che dovrà caratterizzare l’opzione in commento, e<br />

cioè un livello manifestamente elevato di tutela dei consumatori, conformemente<br />

a quanto previsto dal Trattato sul funzionamento dell’UE ( 19 ).<br />

Non è chiaro, da quanto espresso dalla Commissione nel suo Libro verde,<br />

se i dubbi e gli interrogativi in esso posti siano rivolti ad uno strumento<br />

ancora da realizzare oppure ad uno strumento già consolidato ed eventualmente<br />

perfezionabile, quale potrebbe essere il DCFR.<br />

Certo è che l’edificazione di una disciplina contrattuale uniforme è sta-<br />

( 18 ) In tal senso si sono, ad esempio, espressi il Consiglio degli ordini forensi d’<strong>Europa</strong><br />

(CCBE) ed il Consiglio Nazionale Forense (CNF).<br />

( 19 )L’art. 12 del Trattato sul funzionamento dell’UE così recita: « nella definizione e nell’attuazione<br />

di altre politiche o attività dell’Unione sono prese in considerazione le esigenze<br />

inerenti alla tutela dei consumatori ».


176 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

ta tentata soprattutto dai due gruppi che l’hanno redatto, mediante un modus<br />

procedendi singolare, dal punto di vista organizzativo ed operativo.<br />

Essi hanno infatti lavorato in maniera parallela ma autonoma, modalità<br />

favorita dalla presenza, in entrambi, di sottocommissioni cui è stata demandata<br />

la concreta attività di studio, di comparazione giuridica e terminologica,<br />

di progettazione, di confronto a partecipazione plenaria ed infine di<br />

redazione ( 20 ). Ciò non ha tuttavia impedito una particolare sinergia tra lo<br />

SGECC e l’Acquis Group, i cui sotto-progetti sono stati coordinati, nel senso<br />

di una revisione e di un’uniformazione, da un’apposita Commissione, la<br />

Compilation and Redaction Team.<br />

Come si evince dalla sua denominazione, la finalità principale del DC-<br />

FR è quella di fungere da modello ispiratore del quadro comune di riferimento<br />

(CFR, Common Frame of Reference) proposto dalla Commissione<br />

Europea con la Comunicazione intitolata « Maggiore coerenza nel diritto<br />

contrattuale europeo. Un piano di azione » ( 21 ).<br />

( 20 ) Amodio, Il DCFR per l’armonizzazione del diritto privato europeo: spunti per una riflessione,<br />

cit., ha considerato la scarsa operatività del principio di trasparenza nell’elaborazione<br />

del DCFR. L’intero procedimento e l’interazione tra i gruppi potevano essere, infatti, seguiti<br />

tramite un sito web di non pubblico accesso.<br />

( 21 ) Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio,<br />

COM(2003) 68 def. del 12 febbraio 2003. Con questo documento, la Commissione europea<br />

presentò un « Piano d’azione » al fine di rendere più coerente la disciplina europea in materia<br />

contrattuale e di conseguire così un netto miglioramento qualitativo della legislazione comunitaria<br />

in tale settore. Le proposte avanzate per il raggiungimento di tale obiettivo furono sostanzialmente<br />

la redazione di clausole uniformi da inserire nei contratti e la formazione di un<br />

quadro comune di riferimento. La elaborazione di clausole contrattuali standard sarebbero<br />

valide in tutta l’Unione. Le parti potrebbero ricorrervi nelle operazioni di scambio transfrontaliere.<br />

In tal modo i consumatori sarebbero meglio informati e sarebbero messi nella condizione<br />

di poter meglio comparare le varie offerte di beni e servizi. Con la redazione di un quadro<br />

comune di riferimento verrebbe agevolata la formazione di un corpus di regole e principi<br />

che possa fungere da legge opzionale nel settore dei rapporti tra professionisti e consumatori.<br />

Camara Lapuente, Un derecho privado o un Codigo civil para <strong>Europa</strong>: planteamiento, nudo y<br />

(esquivo) desenlace, in Derecho privado europeo, a cura di Camara Lapuente, Madrid, 2003, p.<br />

67, sostiene infatti che molti esempi dimostrano che la differenza tra le norme nazionali, soprattutto<br />

in materia contrattuale, ostacola la libera circolazione dei beni, riducendo così la<br />

possibilità di realizzare negozi transfrontalieri. Uno di essi è fornito proprio dai costi che devono<br />

essere sostenuti da una delle parti contraenti per indagare e conoscere le leggi ed il sistema<br />

normativo cui farà riferimento l’altra. Questa situazione provoca altresì una distorsione<br />

della concorrenza tra le imprese con sede in diversi Stati membri, non solo perché in base<br />

alla disciplina del paese d’origine le regole applicabili ad un’<strong>impresa</strong> possono favorirla o pregiudicarla<br />

rispetto alla sua concorrente, ma anche perché le possibilità di affrontare tali costi<br />

variano in riferimento alle dimensioni, grandi o medio-piccole, delle stesse imprese.


SAGGI 177<br />

Ma le scelte redazionali dello SGECC e dell’Acquis Group si prefiggono<br />

anche scopi ulteriori, al di là della realizzazione del CFR. Infatti, avendo<br />

una natura tipicamente accademica, il DCFR intende promuovere la conoscenza<br />

e lo sviluppo del diritto contrattuale europeo, mediante l’analisi della<br />

interazione dei diversi sistemi giuridici coinvolti, delle casistiche e delle<br />

relative soluzioni che in essi si manifestano, rivelandosi quindi un punto essenziale<br />

di riferimento nella risoluzione delle problematiche in materia<br />

contrattuale.<br />

La funzione del DCFR resta allora indipendente da quella del CFR:<br />

esponendo i risultati di un progetto di ricerca europeo, esso rinsalda la consapevolezza<br />

del diritto contrattuale europeo, ne sostiene l’applicabilità da<br />

parte dei giudici interni e favorisce in questo modo il riavvicinamento dei<br />

singoli sistemi nazionali.<br />

Ciò implica, ovviamente, che il DCFR debba rispondere in maniera<br />

concreta ai bisogni della libera circolazione delle merci e della integrazione<br />

dei servizi, rappresentandosi quale schema normativo di semplificazione<br />

della complessa impalcatura legislativa che ha finora regolato gli scambi interni<br />

alla Comunità.<br />

Concluso a fine 2008 ed aggiornato nel 2009, il DCFR si compone di<br />

dieci libri, che ricalcano in sostanza la struttura organizzativa dei Principles<br />

of European Contract Law.<br />

Il campo del DCFR è, però, notevolmente più esteso rispetto a quello<br />

dei PECL: il primo si sostanzia in un complesso di principi giuridici che formano<br />

la piattaforma sostanziale non solo del diritto contrattuale, ma di una<br />

buona parte del diritto delle obbligazioni ( 22 ). Tale intento è posto in evi-<br />

( 22 ) Bianca, Diritto civile, IV, L’obbligazione, Milano, 2003, p. 11, introduce il concetto di<br />

obbligazione evidenziandone la necessaria correlazione ed integrazione con le sue fonti, in<br />

particolare il contratto. La figura dell’obbligazione non può essere pienamente compresa se<br />

non studiata in rapporto alle sue diverse fonti, poiché essa è l’effetto di una specifica fattispecie<br />

cui occorre avere riguardo sia per determinarne il contenuto, sia per la ricerca della specifica<br />

disciplina. È quindi evidente che l’obbligazione contrattuale è disciplinata dalle norme<br />

sull’obbligazione ma altresì dalla normativa del contratto in generale, dalla normativa di quel<br />

tipo di contratto, e dalle disposizioni delle parti. Si rende perciò necessario il rinvio allo studio<br />

di tali fonti, anche se ci sono norme che pur essendo previste nella disciplina delle singole fonti<br />

esprimono principi valevoli per l’obbligazione in generale, come ad esempio il rimedio del<br />

risarcimento del danno in forma specifica, il quale è previsto dalla normativa dell’illecito, ma<br />

si ritiene applicabile anche alle obbligazioni negoziali, così come la disamina dei rimedi contro<br />

l’inadempimento deve necessariamente comprendere anche i rimedi contrattuali. Il sistema<br />

formale del nostro codice è fondato sulla figura dell’obbligazione, prevedendo tra le sue<br />

fonti il contratto: questo diventa un “capitolo” del libro dedicato all’obbligazione. Ma indi-


178 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

denza dall’art. 1:101, che traccia il campo di applicazione del DCFR in apertura<br />

del Libro I: l’ambito applicativo delle norme in analisi è costituito dai<br />

diritti e dalle obbligazioni di fonte contrattuale, ma anche di fonte non contrattuale.<br />

I redattori hanno dunque inserito nella disciplina del DCFR anche le<br />

obbligazioni nascenti dalla gestione di affari altrui (regolata dal Libro V), le<br />

obbligazioni nascenti da fatto illecito (cui è dedicato il Libro VI) e quelle<br />

che sorgono dall’ingiustificato arricchimento (previste dal Libro VII).<br />

Vengono in rilievo altri valori quali la responsabilità e la solidarietà sociale,<br />

in considerazione dei quali la portata delle norme del DCFR risulta<br />

ampliata.<br />

Esulano, dunque, dalla portata del DCFR i diritti e le obbligazioni di<br />

natura pubblicistica, così come quelli di fonte privatistica legati, ad esempio,<br />

allo status o alla capacità delle persone fisiche, inerenti al diritto successorio<br />

o al diritto di famiglia, ai rapporti di lavoro, etc. ( 23 ) restando chiaro che<br />

tali norme non si limitano ad una regolamentazione del diritto degli affari<br />

funzionale solo alla garanzia dell’equilibrio negoziale tra le parti.<br />

Le scelte di contenuto confluite nel DCFR costituiscono il naturale tentativo<br />

(anche questo dall’incerto esito) di fornire soluzione a problemi di<br />

ordine economico scaturenti da differenze di ordine sociale e culturale. Ecco<br />

perché il conseguimento di obiettivi economici si affianca, inevitabilmente,<br />

al raggiungimento di finalità come la protezione di soggetti deboli.<br />

Quanto alle scelte contenutistiche e strutturali del DCFR si è evidenziato<br />

che vengono sostanzialmente riprese le modalità che hanno condotto<br />

pendentemente dallo schema formale, il codice mette al centro del diritto privato il contratto,<br />

che in questa prospettiva non è più semplicemente una delle fonti produttive di obbligazioni,<br />

ma la fonte, e non solo di effetti obbligatori, ma anche di effetti reali. La disciplina dell’obbligazione<br />

può essere così intesa come una disciplina che integra quella del rapporto contrattuale:<br />

essa è il rapporto attraverso il quale si realizza il programma contrattuale. Adempimento<br />

dell’obbligazione significa esecuzione del contratto. Inadempimento o inesatto adempimento<br />

dell’obbligazione significa inesecuzione o inesatta esecuzione del contratto.<br />

( 23 ) Cfr. DCFR I. – 1:101 (2), « They are not intended to be used, or used without modification<br />

or supplementation, in relation to rights and obligations of a public law nature or, except<br />

where otherwise provided, in relation to: a) the status or legal capacity of natural persons;<br />

b) wills or succession; c) family relationships, including matrimonial and similar relationships;<br />

d) bill of exchange, cheques and promissory notes and other negotiable instruments;<br />

e) employment relationships; the ownership of, or rights in security over, immovable<br />

property; g) the creation, capacity, internal organisation, regulation or dissolution of companies<br />

and other bodies corporate or unincorporated; h) matters relating primarily to procedure<br />

or enforcement ».


SAGGI 179<br />

alla redazione dei PECL: come nel progetto della Commissione Lando, infatti,<br />

anche all’interno del DCFR si procede all’elaborazione di precetti di<br />

massima non codicisticamente organizzati.<br />

Vi sono differenze anche negli scopi che caratterizzano i due lavori, prima<br />

fra tutte la volontà dei redattori del DCFR di sviluppare una serie di<br />

concetti ed una terminologia giuridica uniforme europea, tale da rispecchiare<br />

e rispettare quella utilizzata dai diversi sistemi nazionali.<br />

Soprattutto il DCFR sostanzialmente apporta agli articoli dei PECL<br />

quei miglioramenti di contenuto, di formulazione o di organizzazione sistematica<br />

la cui necessità è emersa nel corso degli incontri di studio e di lavoro<br />

tenuti dalla Commissione Europea ( 24 ).<br />

Dal punto di vista strutturale, anche il DCFR, come i PECL, si caratterizza<br />

per la presenza di principi, anche se, in questi ultimi, il termine “principi”<br />

viene comunemente inteso nel senso di regole non aventi valore vincolante<br />

che le parti, cioè, possono scegliere di applicare o meno.<br />

Nel DCFR, perciò, la portata della parola “principi” è più generale, dovendo<br />

per lo più essere riferita a concetti quali l’autonomia contrattuale o la<br />

buona fede, mentre un ruolo importante viene giocato dalle model rules, cioè<br />

da regole-tipo che non hanno forza di legge e che costituiscono esempi di softlaw<br />

cui le parti possono fare ricorso per la regolamentazione del contratto ( 25 ).<br />

In merito, poi, alla figura del consumatore, i PECL non disciplinano specificamente<br />

i contratti B2C, optando per una regolamentazione a carattere più<br />

generico che tenga conto della posizione negoziale debole (e quindi di svantaggio)<br />

in cui possono trovarsi determinati soggetti di mercato, siano essi consumatori<br />

o imprese. Lo stesso non può affermarsi per il DCFR, dove la figura<br />

del consumatore è presa in considerazione da diverse norme, contenute in<br />

particolare nel Chapter 3, Book II, sui doveri precontrattuali ( 26 ).<br />

( 24 ) Cfr. Hesselink, The values underlying the Draft Common Frame of Reference: what role<br />

for fairness and “Social Justice”, cit., p. 30<br />

( 25 )L’art. 1:101 dei PECL, relativo all’applicazione dei Principi, infatti così recita: « I Principi<br />

sono destinati ad essere applicati come norme generali di diritto dei contratti nell’Unione<br />

europea. I Principi si applicano quando le parti hanno convenuto di inserirli nel contenuto del<br />

contratto o hanno convenuto che il contratto sia regolato da essi. I Principi possono altresì<br />

trovare applicazione quando le parti: a) hanno convenuto che il contratto sia regolato dai<br />

principi generali del diritto, o dalla lex mercatoria o hanno usato espressione analoga; b) non<br />

hanno scelto altro sistema di regole o altre norme di diritto per disciplinare il contratto. I Principi<br />

possono fornire soluzione alla controversia da decidere quando l’ordinamento o le norme<br />

della legge applicabile non vi provvedano ».<br />

( 26 ) Roppo, Prospettive del diritto contrattuale europeo. Dal contratto del consumatore al<br />

contratto asimmetrico, in Corr. giur., 2009, p. 277. L’A. pone in luce come il DCFR costituisca


180 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Inoltre, il DCFR si caratterizza diversamente dai PECL anche rispetto<br />

alla disciplina delle clausole vessatorie. Nel primo, infatti, la materia viene<br />

disciplinata nel Titolo 9 – Chapter 9, relativo al contenuto ed agli effetti del<br />

contratto; nei PECL, invece, esse sono regolate dal solo articolo 4:110, contenuto<br />

nel Chapter 4, relativo alla validità del contatto. In questi ultimi,<br />

dunque, le clausole vessatorie rientrano tra i vizi di formazione del contratto.<br />

I compilatori del DCFR, diversamente, non inquadrano preventivamente<br />

la sanzione che scaturisce da un’eventuale positiva valutazione di<br />

vessatorietà ( 27 ), optando, piuttosto, per la semplice non- vincolatività per il<br />

contraente svantaggiato.<br />

Il DCFR si compone, nella sua Appendice finale, anche di definizioni,<br />

strumento attraverso il quale i suoi redattori mettono a punto una tecnica di<br />

stesura che consente la realizzazione di una terminologia giuridica omogenea.<br />

Nella sua versione definitiva il DCFR ha incluso la disciplina delle problematiche<br />

inerenti al trasferimento di beni mobili (libro VIII), alle garanzie<br />

mobiliari (libro IX) e al trust (X), adeguatamente integrata dalle note e<br />

dai commenti tesi a spiegare la ratio e le finalità politiche e sociali delle model-rules.<br />

Il DCFR ha sollevato non pochi dubbi circa la sua idoneità a costituire<br />

un effettivo punto di riferimento per i giudici e gli altri operatori del diritto<br />

all’interno dell’UE.<br />

La prima perplessità sorge sulla lingua inglese, utilizzata per esprimere<br />

e formulare la disciplina di istituti tipici del diritto continentale. È stata,<br />

questa, una scelta fortemente (e, a parer di chi scrive, giustamente) criticata<br />

in dottrina in considerazione del differente significato che un termine può<br />

assumere nel contesto giuridico-linguistico del common law piuttosto che in<br />

quello del civil law. Altri dubbi sorgono sulla struttura del DCFR, nella parte<br />

in cui la regolamentazione di differenti tipologie contrattuali viene unificata<br />

in virtù della presenza di un minimo comun denominatore come l’oggetto<br />

senza, però, tener conto dell’ulteriore complesso di elementi che distingue<br />

una fattispecie dall’altra.<br />

3. – La necessità di estendere l’ambito dell’unificazione, oltre la parte<br />

generale del contratto, era stata già in precedenza avvertita dalla Accademia<br />

un modello peculiare, nel quale ad una regola generale in materia di contratti, operante indipendentemente<br />

dalla qualifica sociale o di mercato dei soggetti coinvolti, se ne affianca un’altra,<br />

applicabile al caso specifico dei contratti tra consumatore e professionista.<br />

( 27 ) Scarso, Unfair terms, in Il Draft Common Frame of Reference del Diritto Privato Europeo,a<br />

cura di Alpa, Iudica, Perfetti e Zatti, Milano, 2009, p. 217.


SAGGI 181<br />

dei Giusprivatisti Europei che, subito dopo la redazione del Libro I del Code<br />

Européen des Contrats, ha avviato i lavori per la stesura del Libro II, avente<br />

ad oggetto la disciplina dei singoli contratti ( 28 ).<br />

Il metodo seguito dal gruppo accademico coordinato dal Prof. Gandolfi<br />

resta quello adottato per la redazione del Libro I: la scelta di particolari soluzioni<br />

normative è stata dettata dall’oggettivo riscontro, oltre che delle attuali<br />

esigenze di mercato, anche delle concrete difficoltà derivanti dall’applicazione<br />

di regole estranee al tessuto normativo dei singoli Paesi. Ecco<br />

perché, nel Libro II, viene adottato un registro che, attraverso uno stile normativo<br />

incisivo ed una terminologia chiara, rende l’opera molto più simile<br />

ad un codice che non ai PECL o al DCFR.<br />

L’ambizione di fornire ai Paesi dell’UE un complesso di norme codicisticamente<br />

organizzate non ha però impedito ai redattori del Code di considerare<br />

l’esistenza di aree in cui, almeno per il momento, è essenziale che resti<br />

salva la competenza riservata ai singoli Stati.<br />

È quanto accade con la vendita di beni immobili, materia espressamente<br />

esclusa dall’ambito applicativo del Libro II ed in relazione alla quale l’art. 176<br />

prevede che continui ad essere regolata nei diversi Stati membri dell’Unione<br />

Europea dalle norme in essi vigenti a partire dall’entrata in vigore del Code, almeno<br />

fino a quando non venga formulata una disciplina comune in materia.<br />

Viene in tal modo confermata una scelta di metodo legata certamente<br />

alle differenti modalità di perfezionamento di tale fattispecie contrattuale,<br />

molto più complessa ed articolata nei paesi di common law che in quelli di<br />

tradizione civilian.<br />

Dunque la materia della proprietà immobiliare, come quella del regime<br />

ad essa applicabile, continua a formare oggetto delle competenze riservate<br />

agli Stati membri ( 29 ).<br />

( 28 )L’Accademia dei Giusprivatisti Europei è stata fondata per atto pubblico a Pavia nel<br />

novembre del 1992. I soci fondatori furono: Prof. Alberto Trabucchi (Università di Padova),<br />

Prof. Franz Wieacker (Università di Gottinga), Prof. Andrè Tunc (Università di Parigi “Sorbonne-Panthéon”),<br />

Prof. Josè Luis de los Mozos (Università di Valladolid), S.E. Prof. Antonio<br />

Brancaccio (Primo Presidente della Corte di Cassazione italiana), Prof. Peter Stein (Università<br />

di Cambridge), Prof. Giuseppe Gandolfi (Università di Pavia). Nell’art. 1 dello statuto<br />

dell’Accademia viene precisato che la stessa “si propone di dare un contributo, attraverso la<br />

ricerca scientifica, all’unificazione e alla futura interpretazione e applicazione del diritto privato<br />

in <strong>Europa</strong>, nello spirito delle convenzioni comunitarie”, e inoltre “di promuovere lo sviluppo<br />

della cultura giuridica europeistica”. L’Accademia ha la sua sede ufficiale a Pavia e quella<br />

operativa a Milano.<br />

( 29 ) Si tratta di una scelta già palesata nell’ambito del Libro I dall’art. 35, comma 3: « Sono<br />

fatte salve le norme comunitarie e degli Stati nei cui territori sono situati i beni immobili, che


182 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Una simile impostazione viene data dal DCFR, che all’art. 1:101, comma<br />

3 del Libro IV esclude espressamente dall’ambito applicativo della parte relativa<br />

alla vendita i contratti aventi ad oggetto beni immobili o diritti su di essi.<br />

Il Capo II del Code, nel focalizzare l’attenzione sulla vendita dei beni<br />

mobili, precisa che questa può avere ad oggetto tanto beni materiali quanto<br />

beni immateriali e che si ha vendita anche quando il bene in questione sia<br />

stato fabbricato, prodotto o modificato dal venditore su specifica richiesta<br />

del compratore (art. 177).<br />

Possono formare oggetto di vendita tutti i beni il cui trasferimento non<br />

sia vietato dalle norme comunitarie, nazionali o dello stesso Code, a condizione<br />

che il contenuto del contratto sia utile, lecito, determinato o determinabile,<br />

conformemente a quanto prescritto dall’art. 25.<br />

È consentita poi la vendita di beni immateriali (art. 181), di beni futuri<br />

(art. 182, norma che rimanda a sua volta all’art. 29 del Libro I, in base al<br />

quale un contratto può anche aver ad oggetto una prestazione relativa a cose<br />

future, a meno che non esistano particolari divieti previsti o dallo stesso<br />

Code o da disposizioni comunitarie o nazionali), di beni altrui (art. 183, nel<br />

qual caso ci si trova di fronte ad un’ipotesi di vendita obbligatoria) e di universalità<br />

(art. 184, ipotesi nella quale è richiesto l’atto scritto a pena di nullità).<br />

Di particolare interesse appare la sezione seconda del Capo II, relativa<br />

agli obblighi del venditore.<br />

L’art. 187 pone gerarchicamente in evidenza quelli che sono gli obblighi<br />

principali, e cioè: a) dare preventivamente tutte le necessarie informazioni<br />

all’eventuale compratore; b) consegnare al compratore il bene venduto, che<br />

deve essere pienamente conforme al contratto, possedere tutti i requisiti<br />

dovuti ed essere accompagnato da tutte le informazioni necessarie per il<br />

suo utilizzo; c) trasmettere la proprietà ed il possesso; d) garantire il compratore<br />

da pretese di terzi sul bene; e) provvedere, se del caso, alla installazione<br />

del bene; f) concedere al compratore una garanzia pluriennale di corretto<br />

funzionamento; g) provvedere se del caso alla periodica manutenzione<br />

del bene.<br />

Seguendo, dunque, un ordine tutt’altro che casuale, i redattori del Code<br />

formano oggetto del contratto, relative al regime dei beni medesimi » e dall’art. 46, comma 3:<br />

«[...] Comunque per i beni mobili registrati o per i beni immobili gli effetti reali si verificano<br />

dovunque solo col compimento delle formalità di pubblicità previste per la zona in cui si trova<br />

il bene immobile, o nella quale deve essere consegnato all’avente diritto il bene mobile registrato<br />

».


SAGGI 183<br />

volutamente collocano al primo posto quello che, tra gli altri, si connota come<br />

obbligo basilare: fornire al compratore tutte le informazioni di cui necessita<br />

per l’acquisto del bene, allo scopo di consentire la formazione consapevole<br />

della volontà contrattuale.<br />

Ma vi è di più: agli obblighi di informazione, di cui il venditore risulta<br />

essere titolare, è dedicata un’intera sottosezione (artt. 188-192), in cui viene<br />

delineata in maniera puntuale la disciplina delle informazioni preliminari<br />

e contestuali che devono essere fornite nelle vendite al pubblico. In<br />

questo modo si assicura il controllo sulla trasparenza del contenuto contrattuale,<br />

che consente tanto una precisa indicazione dell’oggetto del contratto<br />

quanto una valutazione in termini di adeguatezza del corrispettivo<br />

dei beni forniti.<br />

Si tratta ovviamente della traduzione in termini pratici dei principi<br />

enunciati nella sezione relativa alle « Trattative precontrattuali » contenuta<br />

nel Titolo II del Libro I. È infatti evidente il richiamo all’art. 6 « Dovere di<br />

correttezza » ed all’art. 7 « Dovere di informazione »: il comportamento secondo<br />

buona fede dei contraenti si concretizza già nelle trattative precontrattuali,<br />

durante le quali ciascuna parte ha il dovere di informare e rendere<br />

nota all’altra ogni circostanza che le permetta di valutare della convenienza<br />

del contratto.<br />

Un espresso richiamo all’art. 7 è contenuto proprio nell’art. 188 relativo<br />

alle informazioni che devono essere preliminarmente fornite nella vendita<br />

al pubblico: per consentire al consumatore di verificare l’opportunità del<br />

contratto che si accinge a concludere, il venditore dovrà fornire un’adeguata<br />

presentazione del bene attraverso messaggi pubblicitari ed informazioni<br />

relative alla esatta denominazione del bene, al produttore o al fabbricante,<br />

al procedimento di fabbricazione, alle materie impiegate, alle caratteristiche<br />

essenziali, all’uso cui il bene è destinato ed alle modalità di conservazione.<br />

Tutte queste indicazioni devono essere espresse in maniera visibile e<br />

comprensibile sia che il bene sia esposto in vendita sia che si trovi all’interno<br />

del locale, ed in ogni caso deve essere permesso al compratore di visionare<br />

materialmente il prodotto.<br />

Ma è previsto anche un regime particolare per i beni confezionati, inscatolati,<br />

imbottigliati o comunque accompagnati da brochures informative:<br />

dall’art. 189 del Code gli stampati illustrativi e le etichette che accompagnano<br />

il prodotto sono considerati strumenti per fornire, contestualmente<br />

al momento della vendita, tutte le informazioni sul bene, compresi<br />

gli indirizzi cui rivolgersi per la manutenzione e la riparazione. In particolare<br />

vanno segnalate le date entro le quali è possibile consumare o uti-


184 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

lizzare la merce, soprattutto quella con finalità terapeutiche o destinata<br />

all’alimentazione.<br />

Le norme sopra citate (che, salvo patto contrario, si applicano anche alle<br />

vendite fra privati imprenditori ( 30 )e fra privati consumatori) ( 31 ) sono<br />

evidentemente ispirate all’esigenza di tutelare il compratore-consumatore<br />

che è parte debole del contratto.<br />

L’art. 205 infatti conferisce il diritto di recesso al compratore che solo<br />

dopo aver effettuato l’acquisto, e senza sua colpa, si renda conto che il bene<br />

consegnatogli non è conforme alle indicazioni fornite dal venditore. In caso<br />

poi di informazioni non pertinenti, inadeguate o non utilizzabili, l’art.<br />

206 prevede che il compratore eserciti il recesso inviando al venditore una<br />

comunicazione scritta in cui oltre ad indicare l’inconveniente stesso chiede<br />

anche di fornirgli entro un termine ragionevole (che non può essere inferiore<br />

a quindici giorni) le giuste informazioni. Decorso inutilmente tale termine<br />

ed in mancanza di accordo tra le parti, il recesso ha effetto, con l’obbligo<br />

per le parti di realizzare le reciproche restituzioni.<br />

Merita attenzione il comma 3 dell’art. 189, per il quale le informazioni<br />

che devono essere fornite in fase di conclusione del contratto di compravendita<br />

si devono aggiungere a quelle già previste dalle disposizioni comunitarie<br />

e nazionali per la conclusione dei contratti fuori dai locali commerciali o<br />

a distanza. È quindi evidente che le disposizioni aventi ad oggetto obblighi<br />

informativi a carico del venditore non danno luogo ad una mera ripetizione<br />

di quanto già stabilito dall’art. 9 del Code relativo alle trattative con i consumatori<br />

fuori dei locali commerciali, ma scaturiscono da una diversa ratio.<br />

Il dovere di informazione del commerciante che fuori dai locali commerciali<br />

propone al consumatore di concludere un contratto, è connaturato<br />

all’esigenza che il consenso del consumatore si formi correttamente, in<br />

considerazione della peculiare modalità stipulativa con cui la negoziazione<br />

si chiude.<br />

Gli obblighi informativi che ricadono sul venditore sono invece determinati<br />

dalla necessità di assicurare al compratore la consegna di un bene<br />

conforme a quello che egli intende acquistare, dotato delle medesime caratteristiche<br />

che lo convincono a concludere l’affare. La medesima esigenza<br />

( 30 ) Art. 190: « (. . .) In questo caso le informazioni occorrenti possono essere contenute in<br />

lettere o analoghe comunicazioni scritte, redatte da chi offre in vendita o vende, anche nella<br />

lingua nazionale del compratore ».<br />

( 31 ) Art. 191: « (. . .) Le informazioni previste dalle norme medesime possono essere date,<br />

da chi offre in vendita o vende, anche verbalmente, se la controparte non esige dichiarazioni<br />

scritte ».


SAGGI 185<br />

non sembra rinvenirsi nel DCFR, che dedica agli obblighi informativi solo la<br />

sezione I del Capitolo III, Libro II, sulla responsabilità precontrattuale ( 32 ).<br />

A norma dell’art. 3:101, prima della conclusione del contratto per la fornitura<br />

di beni o servizi, il professionista ha l’obbligo di comunicare all’altro contraente<br />

tutte le informazioni che questo possa ragionevolmente aspettarsi.<br />

Soprattutto nella distribuzione di beni o servizi al consumatore, l’art.<br />

3:102 prevede che a questo dovranno essere date le informazioni di cui il<br />

consumatore medio dovesse necessitare nell’adozione di una decisione<br />

consapevole per la conclusione del contratto, per quanto possibile anche<br />

avendo riguardo alle circostanze e ai limiti dei mezzi di comunicazione utilizzati.<br />

In particolare dovranno essere indicate le principali caratteristiche<br />

del bene, l’identità e l’indirizzo del professionista, il prezzo, l’eventuale diritto<br />

di recesso, e le particolarità relative al pagamento, alla consegna, all’adempimento<br />

ed agli eventuali reclami.<br />

Va segnalato che l’intento principale dei redattori del DCFR, come è<br />

evidenziato dall’art. 3:103, sarebbe quello di tutelare il consumatore in tutte<br />

le ipotesi in cui egli si trovi a concludere il contratto in una condizione di<br />

particolare svantaggio.<br />

L’impiego di strumenti tecnico-informatici, la distanza fisica tra il professionista<br />

ed il consumatore, la natura dell’affare sono tutte circostanze<br />

che comportano a carico del professionista l’obbligo di procurare, prima<br />

della conclusione del contratto, informazioni chiare circa le principali caratteristiche<br />

del bene o del servizio, il prezzo e le spese di consegna, le generalità<br />

del professionista, le condizioni del contratto, i diritti e le obbligazioni<br />

che sorgono per entrambe le parti, l’eventuale diritto di recesso e la procedura<br />

per la riparazione ( 33 ).<br />

( 32 ) Secondo Hesselink, The values underlying the Draft Common Frame of Reference:<br />

what role for fairness and “Social Justice”, cit., p. 31 il livello di protezione consumeristico garantito<br />

dal DCFR non scende al di sotto del livello garantito dale direttive comunitarie. Il problema<br />

è capire se questo standard di protezione possa essere elevato oppure sia destinato a restare<br />

tale, identificando così il minimum delle normative comunitarie con il maximum del<br />

DCFR. In realtà la questione viene risolta solo attraverso la esplicitazione delle finalità dello<br />

stesso DCFR. Se questo, infatti, viene qualificato come strumento opzionale da adottare nelle<br />

contrattazioni professionista-consumatore, è chiaro che non potranno essere esplicate del<br />

tutto le sue funzioni, anche e soprattutto su un piano di giustizia sociale. Ma se il DCFR venisse,<br />

fin dall’inizio, identificato in una soluzione normativa vincolante per i contraenti, sarebbero<br />

certamente create le premesse giuridiche per una soluzione economica idonea alla<br />

conclusione dei contratti in esso disciplinati.<br />

( 33 ) La fase delle trattative va distinta da quella della formazione del contratto. Infatti nella<br />

prima ricadrebbe il complesso di atti prenegoziali (relazioni, discussioni, sondaggi, contat-


186 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

È chiaro dunque che lo scopo essenziale di tali norme va rintracciato oltre<br />

che nella necessità di garantire al compratore la consegna di un bene<br />

conforme a quello descritto nel contratto, anche nella più ampia esigenza<br />

che il suo consenso si formi in maniera consapevole. Ciò viene confermato<br />

dalla individuazione delle obbligazioni del venditore nell’art. 2:101, Parte<br />

A, Libro IV, consistenti in quelle tradizionali di: a) trasferire la proprietà del<br />

bene; b) consegnare il bene; c) trasferire la documentazione attinente ai beni<br />

come richiesto dal contratto; d) assicurare la conformità dei beni al contratto.<br />

Manca dunque ogni riferimento alle responsabilità informative del<br />

venditore (peculiarmente disciplinate invece dal Code), così come sono<br />

assenti specifiche norme di protezione nell’ipotesi di difformità del bene<br />

dalle indicazioni ricevute come quelle invece previste dagli artt. 205 e 206<br />

del Code.<br />

4. – Il sistema dei rimedi, cui è dedicata la sezione IV del Libro II, Titolo<br />

I del Code, è rivolto a garantire concreta tutela alla categoria dei consumatori.<br />

Tra le varie informazioni su cui il compratore deve essere edotto rientra<br />

certamente anche quella prevista dall’art. 199 del Code che crea a carico del<br />

venditore l’obbligo di provvedere, a sue spese, alle riparazioni e sostituzioni<br />

per le ipotesi di difformità del bene e per consentire il regolare uso e la<br />

normale conservazione del bene.<br />

Si tratta di una garanzia della durata minima di due anni, che può essere<br />

prolungata a richiesta del compratore e che il venditore ha l’obbligo di comunicare<br />

al compratore mediante la consegna di un documento o di un<br />

supporto duraturo nel quale sia chiaramente indicato a quali officine o imprese<br />

egli può rivolgersi.<br />

Già l’art. 203 prevede che presso ogni comune venga istituito un apposito<br />

ufficio o sia designato un impiegato per fornire ai consumatori (ma<br />

più in generale ai contraenti) tutte le delucidazioni relative ai propri diritti<br />

e doveri e per ricevere reclami con le richieste di intervento nei con-<br />

ti, etc.) che permetterebbe alle parti di raccogliere le informazioni funzionali all’eventuale<br />

conclusione del contratto e alla compatibilità di questo con i propri interessi. Alla fase di “formazione<br />

del contratto” andrebbe ricondotta tutta quella serie di atti volti a preparare e perfezionare<br />

l’accordo, come la proposta, la proposta irrevocabile, il contratto preliminare, etc.<br />

Cfr. Lucchini Guastalla, Marketing and Pre-contractual duties, in Il Draft Common Frame of<br />

Reference del Diritto Privato Europeo, cit., p. 141; Grisi, L’obbligo precontrattuale di informazione,<br />

Bari, 1990, p. 43.


SAGGI 187<br />

fronti delle controparti allo scopo di risolvere in maniera amichevole e<br />

tempestiva i problemi che possono sorgere dalla conclusione del contratto<br />

( 34 ).<br />

Centrali sono le vendite ai consumatori regolate dall’art. 204, a norma<br />

del quale a tali contratti dovranno essere applicate le disposizioni del Code<br />

inerenti ai contratti conclusi con un professionista fuori dei locali commerciali,<br />

a distanza o comunque in luoghi non specificamente destinati alla<br />

vendita e tramite l’utilizzo esclusivo di sistemi di comunicazione a distanza<br />

(comma 1).<br />

È inoltre riconosciuto al consumatore il diritto al risarcimento del danno<br />

quando la vendita sia stata sollecitata dall’utilizzo di una forma pubblicitaria<br />

ingannevole (art. 204 comma 2), così come viene riconosciuto il divieto<br />

e la nullità delle vendite che, successivamente all’acquisto, si rivelino<br />

pregiudizievoli per la sicurezza o la salute (art. 204 comma 3).<br />

La qualifica di consumatore, peraltro, non è sempre pacifica: con riguardo<br />

alla vendita di beni destinati ad uso consueto o specifico, o acquistati<br />

in quantitativi o entità superiori a determinati limiti, le autorità amministrative<br />

possono prescrivere che tale qualifica non spetti al compratore.<br />

Quest’ultimo potrà, tuttavia, dichiararla sotto la sua responsabilità al momento<br />

dell’acquisto e tale indicazione dovrà essere riportata nella fattura o<br />

nella ricevuta o nello scontrino di cassa o nel documento di vendita (art. 204<br />

comma 5).<br />

È questa una disposizione importante, volta a tracciare i confini delle tutele<br />

garantite: al soggetto che concluda il contratto per una finalità rientrante<br />

nel quadro della propria attività professionale non saranno riconosciute<br />

le prerogative del rapporto di consumo, considerata la posizione di parità<br />

contrattuale con il venditore.<br />

Nella sistematica delle garanzie delineata dal Code, un ruolo essenziale<br />

viene svolto dall’art. 207, rubricato « Difformità del bene, mancanza di qualità<br />

o presenza di difetti ».<br />

Il buon funzionamento del bene è strettamente correlato alla circostanza<br />

che, una volta consegnato, esso coincida con quello venduto o che sia do-<br />

( 34 ) Il Code riserva perciò un ruolo non indifferente alle Autorità amministrative. Queste<br />

infatti non hanno soltanto il compito di assistere il consumatore nel corso della sua attività<br />

contrattuale, ma hanno anche il dovere di verificare la sostanza del reclamo effettuato e la reale<br />

necessità dell’intervento richiesto. Ed infatti lo stesso art. 203, al comma 2, prevede che<br />

« l’autorità comunale può prescrivere che la richiesta di intervento debba essere accompagnata<br />

da un ragionevole deposito cauzionale, che venga poi restituito o invece incamerato se la<br />

richiesta risulti temeraria ».


188 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

tato delle caratteristiche e qualità necessarie all’uso cui è destinato o che sia<br />

privo di difetti o vizi non presenti al momento della vendita.<br />

In tutte queste ipotesi, il compratore avrà il diritto di azionare rimedi<br />

differenti a seconda delle diverse cause di difformità entro il termine di ventiquattro<br />

mesi o di ventisei mesi se si tratta di un consumatore.<br />

I rimedi sono quelli previsti anche dalla disciplina comunitaria dettata<br />

in materia di vendita di beni di consumo e che i redattori del Code hanno<br />

previsto nel Libro I agli artt. 112 e 113, aventi, rispettivamente, ad oggetto la<br />

sostituzione in forma specifica e la riduzione del corrispettivo.<br />

Per il caso di difformità del bene (aliud pro alio) o di mancanza delle caratteristiche<br />

necessarie per l’utilizzo cui il bene è destinato, il venditore dovrà<br />

fornire un altro bene conforme al contratto, e quando ciò non sia oggettivamente<br />

possibile il venditore avrà l’obbligo di fornire un bene analogo<br />

dotato delle qualità richieste.<br />

Per il caso di vizi o difetti che pregiudichino la consistenza e l’utilizzo<br />

del bene, il venditore avrà l’obbligo di procedere alla sostituzione del bene.<br />

Laddove, però, tali difetti possano essere eliminati senza l’alterazione<br />

della consistenza e della utilizzabilità del bene, il venditore dovrà eliminarli<br />

tramite la riparazione del prodotto, dovendo invece accettare un’equa riduzione<br />

del prezzo ricevuto quando i vizi ne riducono ed impediscono il<br />

normale utilizzo.<br />

Nei confronti del venditore che non adempie agli obblighi di sostituzione<br />

o riparazione del bene, il compratore potrà agire chiedendo l’adempimento<br />

in forma specifica e facendosi autorizzare dal giudice a procurarsi un<br />

bene conforme al contratto o comunque analogo a quello comprato.<br />

Solo nell’ipotesi di oggettiva impossibilità della riparazione o sostituzione<br />

del bene, il compratore potrà agire per la risoluzione del contratto.<br />

Ai sensi dell’art. IV.A.-2:301 del DCFR, un bene potrà qualificarsi<br />

conforme al contratto quando sia della stessa quantità e qualità richiesta dal<br />

contratto e coincida con la descrizione in questo presentata; quando sia<br />

contenuto o imballato nella modalità richiesta dal contratto; quando sia fornito<br />

con gli accessori e le istruzioni per l’installazione.<br />

Il concetto di conformità è sostanzialmente correlato a quello di idoneità<br />

del bene in base a particolari criteri, quali lo scopo cui è funzionale il<br />

prodotto, le qualità che esso deve possedere e le modalità di imballaggio<br />

dello stesso.<br />

L’art. IV.A.–2:301 del DCFR stabilisce, infatti, che il bene dovrà rispondere<br />

agli specifici requisiti resi noti al venditore al momento della conclusione<br />

del contratto; essere idoneo all’uso cui servono abitualmente beni<br />

dello stesso tipo; possedere le qualità del prodotto che è stato presentato co-


SAGGI 189<br />

me campione o modello al compratore; essere contenuto o imballato in base<br />

alle modalità richieste per la particolare tipologia di bene e possedere tutte<br />

le qualità che il compratore può ragionevolmente aspettarsi da un bene<br />

della medesima specie. Laddove i beni consegnati in esecuzione di un contratto<br />

di vendita di beni di consumo siano stati installati in maniera errata,<br />

ogni difformità del prodotto sarà valutata in termini di responsabilità del<br />

venditore che non avrà correttamente installato il bene o non avrà comunicato<br />

la esatta procedura di installazione al compratore ( 35 ). Va però segnalato<br />

che non si configurerà tale responsabilità se al momento della conclusione<br />

del contratto il compratore era a conoscenza o poteva venire a conoscenza<br />

dell’assenza di conformità del bene al contratto ( 36 ).<br />

Nel tentativo di fissare un termine rilevante per la sussistenza della conformità<br />

del bene, viene posta all’art. IV. A.-2:308 la regola generale in base alla<br />

quale il venditore è responsabile di ogni difformità esistente al momento del<br />

passaggio dei rischi, anche se essa diventa evidente solo dopo tale fase ( 37 ).<br />

In particolare nei contratti di vendita dei beni di consumo, qualsiasi<br />

difformità che si manifesti entro sei mesi dal passaggio dei rischi al compratore,<br />

si presume esistente già da tale momento a meno che essa non sia incompatibile<br />

con la natura del bene o con la particolare tipologia di difformità.<br />

Peraltro ogni condizione o accordo concluso con il venditore prima che<br />

alla conoscenza di questo sia portata l’assenza di conformità del bene e volto<br />

alla rinuncia o alla limitazione del diritto a che siano consegnati beni<br />

conformi al contratto al consumatore, non è vincolante per quest’ ultimo<br />

(art. IV. A-2:309).<br />

Nell’ipotesi di difformità del bene l’art. IV. A 4:101 prevede anzitutto la<br />

possibilità di applicare tutti i rimedi di parte generale previsti dal Libro III<br />

del DCFR in materia di adempimento delle obbligazioni. Nei contratti di<br />

vendita dei beni di consumo, inoltre, ogni clausola attraverso la quale il<br />

consumatore rinunci o limiti l’esercizio dei rimedi di parte generale e che<br />

sia conclusa prima della comunicazione al venditore della mancanza di<br />

conformità, non sarà vincolante per lo stesso consumatore.<br />

( 35 ) Art. IV.A.- 2:304.<br />

( 36 ) Art. IV. A.- 2:307.<br />

( 37 ) In base all’ art. IV.A.–5:102, il rischio passa al compratore nel momento in cui questo<br />

prende in consegna i beni o i documenti che lo rappresentano; l’art. IV.A.– 5:103 prevede specificamente<br />

l’ipotesi del contratto di vendita di beni di consumo, in cui il rischio passa solo<br />

quando il consumatore abbia preso in consegna il bene. Tuttavia tale disposizione non si applica<br />

quando il compratore non abbia adempiuto allo specifico obbligo della presa in consegna<br />

e l’inadempimento non sia scusabile.


190 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Quanto ai rimedi specifici, l’art. IV.A.-4:201 presenta una panoramica<br />

d’insieme che, oltre a prevedere la possibilità per il compratore di chiedere<br />

la riparazione o la sostituzione del bene, stabilisce che lo stesso possa ricorrere<br />

all’eccezione di inadempimento, chiedere la cessazione del rapporto, o<br />

ancora ricorrere alla riduzione del prezzo. È fatto in ogni caso salvo il diritto<br />

a chiedere il risarcimento dei danni.<br />

Solo in un caso viene limitato il diritto del consumatore a chiedere la<br />

cessazione del rapporto contrattuale in caso di inadempimento, e cioè<br />

nell’ipotesi in cui la difformità del bene dal contratto sia minore (art.<br />

IV.A.-4:202).<br />

Ai contratti di vendita di beni di consumo non viene applicata la norma<br />

relativa all’esame del bene (art. IV.A.-4:301): questo prevede, infatti, per il<br />

compratore l’onere di analizzare il prodotto per poter poi azionare tutti i diritti<br />

relativi all’assenza di conformità del bene. La circostanza che nel rapporto<br />

consumatore-professionista l’azionabilità di tali rimedi non sia condizionata<br />

all’adempimento dell’onere dell’esame del bene certamente depone<br />

a vantaggio del consumatore, il quale non vedrà così limitato il proprio<br />

diritto ad ottenere un bene conforme a quello richiesto nel contratto. Ciò<br />

non dovrebbe tuttavia impedire al consumatore di prendere visione del bene<br />

prima di procedere all’acquisto e di valutarne l’opportunità.<br />

Il compratore è poi tenuto a denunciare il difetto di conformità entro<br />

due anni dalla consegna, ma se si è stabilito che il prodotto debba essere<br />

funzionale ed idoneo ad un particolare utilizzo o al suo ordinario utilizzo<br />

per un determinato periodo di tempo, i termini per la comunicazione non<br />

decorrono prima della scadenza del periodo stabilito (IV.A.-4:302). Va segnalato<br />

come il citato art. 207 del Code stabilisca che il termine per l’esercizio<br />

delle azioni ripristinatorie della conformità del bene sia di ventisei mesi<br />

per il solo consumatore, mentre il termine ordinario di ventiquattro mesi è<br />

previsto per tutti gli altri casi.<br />

5. – L’elaborazione di un Codice civile europeo, anche se limitatamente<br />

alla sola materia contrattuale, è frutto dell’interazione di molteplici interessi,<br />

politici, ma soprattutto economici e sociali.<br />

A questo punto è necessario chiedersi se, sulla scorta della breve precedente<br />

analisi, le norme del Code e del DCFR siano in grado di rispondere alle<br />

esigenze correlate a tali interessi.<br />

Il DCFR sperimenta la risoluzione di problemi che vanno al di là del<br />

settore della tutela dei consumatori, predisponendo un modello normativo<br />

che virtualmente dia risposta a questioni di diritto contrattuale europeo generale.<br />

Tutto ciò mediante procedure chiare e formalizzate, e l’impiego di


SAGGI 191<br />

un linguaggio giuridico uniforme che dovrebbero garantire in primo luogo<br />

una revisione dell’acquis dei consumatori e successivamente maggiore coerenza<br />

tra i settori del diritto contrattuale.<br />

Tuttavia il DCFR si presenta (ed i suoi autori tale lo definiscono) come<br />

un lavoro di stampo accademico, strutturato in model rules e principi che<br />

non sempre rappresentano il risultato di una rivisitazione coerente dell’esistente<br />

acquis comunitario.<br />

Ma non è tutto. Tale rivisitazione sembra essere strumentale alla rimozione<br />

degli ostacoli economici che impediscono l’ulteriore sviluppo del<br />

mercato comune, trascurando nella disciplina sostanziale quei valori di solidarietà<br />

e giustizia sociale che pure trovano enunciazione nelle intenzioni<br />

dei redattori. Si tratta di un limite intrinseco alla stessa natura del DCFR, il<br />

cui scopo principalmente consiste nell’apportare un miglioramento alla legislazione<br />

comunitaria, quanto meno in termini di riordinamento ed<br />

uniformazione.<br />

Tale tentativo sembra concretizzarsi nel Libro II relativo ai contratti, in<br />

particolare nella sezione avente ad oggetto la disciplina del diritto di recesso,<br />

dove si ritrovano norme suscettibili di immediata applicazione e nella<br />

quale realmente sembra confluire il dettato normativo comunitario.<br />

Forse la stessa cosa non accade nelle disposizioni relative alle obbligazioni<br />

e ad alcuni contratti specifici: per queste i redattori del DCFR procedono<br />

nel senso di fornire semplicemente i principi base della materia di volta<br />

in volta affrontata, principi ricavati dalla comparazione tra gli ordinamenti<br />

dei vari Stati membri, ma in ogni caso privi di quel minimo comun<br />

denominatore che potrebbe derivare dalla legislazione comunitaria.<br />

In conclusione, il DCFR, quale tentativo di elaborazione e definizione<br />

di norme comuni, costituisce un importante traguardo in materia di diritto<br />

contrattuale europeo, non trascurabile in termini di esercitazione accademica,<br />

valorizzabile quale strumento di formazione giuridica con cui i professionisti<br />

e gli operatori del diritto dell’UE sono chiamati a confrontarsi ed<br />

utilizzabile come punto di partenza per la istituzione di un regolamento<br />

quale strumento facoltativo di diritto europeo dei contratti.<br />

Sarebbe, a questo proposito, anche auspicabile che la Commissione,<br />

nell’individuazione delle prossime azioni per l’edificazione di un diritto<br />

contrattuale europeo, chiarisca anche le possibili interazioni tra detto strumento<br />

(e quindi, eventualmente, il DCFR) e la proposta di direttiva unificata<br />

lanciata nella COM(648) 2008, qualora questa venga ad esistenza.<br />

Diversamente, infatti, i benefici in termini di trasparenza normativa,<br />

singolarmente apportati da ciascuna di queste opzioni, saranno annullati<br />

nell’incertezza di un sistema normativo di per sé già articolato e complesso.


GIACOMO PAILLI<br />

Commercio internazionale e giurisdizione consensuale: le “proposte”<br />

della Convenzione dell’Aja del 30 giugno 2005<br />

sulle clausole di scelta del foro<br />

“. . . at a time when the various economic regions in<br />

the world are becoming more interdependent every day<br />

– a process that will be further enforced by the successful<br />

completion of the latest Uruguay Round of the<br />

GATT negotiations and the creation of the World Trade<br />

Organization – and when the 1958 New York Arbitration<br />

Convention and the 1980 Vienna Sales Convention<br />

demonstrate the viability of worldwide legal frameworks<br />

in the commercial area, it appears an anomaly<br />

that there is still, a century after the First Session of the<br />

Hague Conference in 1893, no multilateral instrument<br />

available on a worldwide scale for the recognition and<br />

enforcement of judicial decisions”<br />

(Annotated checklist of issues to be discussed at the meeting of<br />

the Special Commission of June 1994)( 1 )<br />

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Ambito di applicazione. – 2.1. Internazionalità della controversia.<br />

– 2.2. Clausole esclusive. – 2.3. Materia civile e commerciale. – 3. I tre principi<br />

fondamentali. – 3.1. Il giudice eletto deve esercitare la propria giurisdizione. – 3.2. Il<br />

giudice non scelto deve astenersi. – 3.3. Tutti i giudici devono riconoscere e dare esecuzione<br />

alla decisione. – 4. Il regime delle dichiarazioni. – 5. Conclusioni.<br />

1. – L’obiettivo ambizioso di promuovere uno spazio giudiziario globale<br />

per il commercio internazionale impegna, a partire dagli inizi degli anni ’90,<br />

un cospicuo numero di paesi nell’ambito della Conferenza dell’Aja sul diritto<br />

internazionale privato. Il tentativo perseguito è quello di elaborare una<br />

Convenzione di carattere universale sulla giurisdizione e il riconoscimento<br />

delle decisioni giudiziarie in materia civile e commerciale ( 2 ). Tale opera, se<br />

( 1 ) Prel. doc. n. 1 maggio 1994 – disponibile sul sito web della Conferenza dell’Aja http://<br />

www.hcch.net (ultimo accesso 10 agosto 2010).<br />

( 2 ) Sui lavori di preparazione della auspicata Convenzione v. innanzitutto l’articolo di<br />

Von Mehren che ne costituisce il punto di avvio, Recognition and Enforcement of Foreign


SAGGI 193<br />

pur non ancora coronata dal successo del “grande risultato”, ( 3 ) ha lasciato<br />

agli operatori del settore un prezioso strumento per regolare in via negoziale<br />

Judgments: A New Approach for the Hague Conference, in 57(3) Law & Contemp. Probs., 1994,<br />

p. 271. Non a caso Teitz, The Hague Choice of Court Convention: Validating Party Autonomy<br />

and Providing an Alternative to Arbitration, in 53(3) Am. J. Comp. L., 2005, p. 543, la definisce<br />

“Arthur’s baby”. V. inoltre Von Mehren, Drafting a Convention on International Jurisdiction<br />

and the Effects of Foreign Judgments Acceptable World-Wide: Can the Hague Conference Project<br />

Succeed, in 49(2) Am. J. Comp. L., 2001, p. 191; Juenger, A Hague Judgments Convention, in<br />

24 Brook. J. Int’l L., 1998-1999, p. 111; Lowenfeld, Thoughts about a Multinational Judgments<br />

Convention: A Reaction to the von Mehren Report, in 57(3) Law & Contemp. Probs., 1994, p. 289;<br />

Burbank, Jurisdictional Equilibration, the Proposed Hague Convention and Progress in National<br />

Law, in 49 Am. J. Comp. L., 2001, p. 205. Oltre all’obiettivo di promuovere uno spazio giudiziario<br />

globale, alla base delle trattative v’erano ulteriori elementi. Uno di questi è la circostanza<br />

che gli Stati Uniti non sono parte di alcun trattato relativo alla giurisdizione e al riconoscimento<br />

delle sentenze. L’unica esperienza degna di nota in tal senso è rappresentata dai<br />

negoziati intercorsi negli anni ’70 tra USA e Regno Unito, naufragati a causa delle perplessità<br />

inglesi – in particolare nel settore assicurativo – circa gli enormi risarcimenti aggiudicati dalle<br />

giurie americane, Juenger, A Hague Judgments Convention, cit., pp. 111-13. Il problema dei<br />

“punitive damages” o “awards” non è stato sottovalutato dai redattori della Convenzione del<br />

2005, come mostra l’art. 11, sul quale v. infra al par. 3.3. Inoltre, la dottrina americana ha ripetuto<br />

a più riprese che l’iniziativa del progetto è stata presa dagli USA per via della percezione<br />

diffusa circa l’orientamento restrittivo degli ordinamenti stranieri nei confronti del riconoscimento<br />

delle decisioni dei giudici statunitensi. L’affermazione ricorrente è che la parte vittoriosa<br />

in un processo americano ha seri problemi ad ottenere il riconoscimento e l’esecuzione<br />

della propria decisione in altri paesi, mentre i giudici statunitensi mostrerebbero grande apertura<br />

verso le decisioni rese in giurisdizioni straniere. Non è questa la sede per un’analisi critica<br />

sull’attitudine delle varie giurisdizioni in tema di riconoscimento dei dicta stranieri. È comunque<br />

auspicabile che giudizi e valutazioni in questa materia siano supportati da studi empirici<br />

e non solo da suggestioni dottrinarie. Nel senso del marcato squilibrio v., tra gli altri,<br />

Teitz, The Hague Choice of Court Convention: Validating Party Autonomy and Providing an Alternative<br />

to Arbitration, cit., pp. 544 e 548; Hartley, The Hague Choice of Court Convention, in<br />

Eur. Law Rev., 2006, pp. 414-415; Woodward, Saving the Hague Choice of Court Convention, in<br />

29 U. Pa. J. Int’l L., 2007-2008, pp. 658-59. Contra Juenger, A Hague Judgments Convention,<br />

cit., pp. 114 ss., Lowenfeld, Thoughts about a Multinational Judgments Convention: A Reaction<br />

to the von Mehren Report, cit., p. 303, Perez, The International Recognition of Judgments:<br />

The Debate Between Private and Public Law Solutions, in 19 Berkeley J. Int’l L., 44, 2001, p. 57.<br />

( 3 ) Sulle ragioni del fallimento v. Burbank, Jurisdictional Equilibration, the Proposed Hague<br />

Convention and Progress in National Law, cit., passim e il volume The Hague Preliminary<br />

Draft Convention on Jurisdiction and Judgments, a cura di Pocar e Honorati, Padova, 2005. Il<br />

progetto originario ha incontrato numerosi ostacoli, derivanti in primo luogo dalla forte disomogeneità<br />

dei sistemi giuridici partecipanti alla Conferenza. Così, dopo due tentativi di redigere<br />

un testo complessivo nel 1999 e nel 2001, si è deciso di concentrare gli sforzi sulle sole<br />

clausole di scelta del foro, strumento di grande importanza per il commercio internazionale<br />

sul quale l’accordo non pareva impossibile. L’esito di queste rinnovate trattative è la Convenzione<br />

che ci proponiamo di esaminare. Teitz, The Hague Choice of Court Convention: Valida-


194 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

questioni di giurisdizione relative ai loro rapporti contrattuali: si tratta della<br />

Convenzione dell’Aja sulle clausole di scelta del foro ( 4 ) che, in attesa di raccogliere<br />

gli strumenti di ratifica necessari per la sua entrata in vigore, può contare<br />

sin da ora sulle preziose firme degli Stati Uniti e dell’Unione Europea ( 5 ) ol-<br />

ting Party Autonomy and Providing an Alternative to Arbitration, cit., p. 545, sottolinea altri elementi<br />

che hanno portato al naufragio del progetto originario, quali l’imprevedibile diffusione<br />

di internet e del commercio elettronico, la centralità assunta, perlomeno in campo europeo,<br />

dalla figura del consumatore, nonché l’accelerazione (per certi versi inaspettata) del processo<br />

di integrazione della Comunità Europea, oggi Unione; v. anche Talpis e Krnjevic, The Hague<br />

Convention on Choice of Court Agreements of June 30, 2005: The Elephant That Gave Birth<br />

to a Mouse, in 13 Sw. J. L. & Trade Am., 2006-2007, p. 3. Hartley, The Hague Choice of Court<br />

Convention, cit., p. 415, evidenzia i diversi obiettivi degli attori principali: limitare la giurisdizione<br />

esorbitante degli Stati Uniti per l’<strong>Europa</strong>, aumentare il riconoscimento e l’esecuzione<br />

delle proprie sentenze all’estero per gli Stati Uniti. Per Brand, in The Hague Preliminary Draft<br />

Convention on Jurisdiction and Judgments, a cura di Pocar e Honorati, cit., p. 82: “in the end<br />

[...] it may not be differences in legal systems but rather differences in negotiating goals that have<br />

determined and will determine whether a broader convention really is possible”. Il nodo evidenziato<br />

dall’A. rimane tuttora da sciogliere.<br />

( 4 ) La Convenzione, pubblicata in cartaceo su 44 I.L.M. 1294 (2005), è disponibile sul sito<br />

web della Conferenza dell’Aja http://www.hcch.net (ultimo accesso 10 agosto 2010). Al medesimo<br />

indirizzo è possibile trovare anche i documenti preliminari e preparatori della Convenzione,<br />

il rapporto di Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice<br />

of Court Agreements Convention, edito dal Permanent Bureau of the Conference (2007) (più<br />

volte citato nel presente scritto), nonché una ricca bibliografia, all’interno della quale possono<br />

essere evidenziati i contributi di Hartley, The Hague Choice of Court Convention, cit.; Kessedjan,<br />

L’élection de for – Vers une nouvelle convention de La Haye, in Grenzüberschreitungen.<br />

Beiträge zum Internationalen Verfahrensrecht und zur Schiedsgerichtsbarkeit. Festschrift für Peter<br />

Schlosser zum 70. Geburtstag, edito da Bachmann et al., Tübingen, 2005 e Id., La Convention<br />

de La Haye du 30 juin 2005 sur l’élection de for, in Journal dr. int., 2006, p. 813 ; Kruger, The<br />

20th Session Of The Hague Conference: A New Choice Of Court Convention And The Issue Of EC<br />

Memebership, in 55 Int’l & Comp. L. Quart., 2006, p. 447; Schulz, The 2005 Hague Convention<br />

on Choice of Court Clauses, in 2(2) J. Private Int’l L., 2006, p. 243; Teitz, The Hague Choice of<br />

Court Convention: Validating Party Autonomy and Providing an Alternative to Arbitration, cit.;<br />

Thiele, The Hague Convention on Choice-of-Court Agreements – was it worth the effort, in Conflict<br />

of Laws in a Globalized World edito da Gottschalk et al., Cambridge University Press,<br />

2007; Woodward, Saving the Hague Choice of Court Convention, cit. Per un commento italiano<br />

v. Bortolotti, Manuale di diritto commerciale internazionale, 2009, Padova, p. 491 ss.<br />

( 5 ) La Convenzione, in doppio originale inglese e francese, entrerà in vigore solo a seguito<br />

del deposito del secondo strumento di ratifica o adesione (art. 31): ad oggi solo il Messico<br />

ha depositato il relativo strumento (di adesione), mentre Stati Uniti e Unione Europea si sono<br />

limitati a firmare il testo. La firma da parte dell’Unione Europea e non dei singoli Stati<br />

prende le mosse dal parere 1/03 reso il 7 febbraio 2006 dalla Corte di Giustizia Europea, la<br />

quale ha avuto modo di definire le competenze esterne della Comunità Europea in materia di


SAGGI 195<br />

tre che sull’interesse ad aderirvi mostrato dalla Cina che non sembra essere<br />

di carattere solo formale ( 6 ).<br />

Il testo della Convenzione, pur nella sua inevitabile natura di compromesso,<br />

costituisce uno sforzo decisamente apprezzabile di coordinare sistemi<br />

giuridici diversi che, proprio nel campo della selezione del foro e del<br />

regime da accordare alle relative clausole, esibiscono, prima ancora che soluzioni<br />

diverse, metodi ed approcci segnati da policies profondamente divergenti.<br />

Al mondo dei paesi di civil law, orientati a porre la questione delle clausole<br />

in parola in termini di limiti formali alla loro ammissibilità, si contrappone<br />

quello dei paesi di common law orientati ad escludere un’automatica<br />

efficacia vincolante di tali clausole rispetto al inherent power discrezionale<br />

delle corti cui viene riconosciuta la prerogativa di dare loro attuazione nel<br />

caso concreto. Ciò, peraltro, non deve indurre a ritenere che il mondo anglo-americano<br />

non tenga in alta considerazione le clausole di proroga come<br />

strumento di delocalizzazione della giurisdizione ( 7 ).<br />

Stabilendo regole uniformi ed equivalenti nell’insidioso settore della<br />

selezione del giudice competente a conoscere della controversia, la Convenzione<br />

mira a garantire agli operatori commerciali prevedibilità in ordine<br />

al foro deputato all’esercizio della giurisdizione e certezza riguardo alla circolazione<br />

della decisione resa da tale foro. Lo mette in chiara evidenza il<br />

competenza giurisdizionale, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia civile e<br />

commerciale. In particolare, muovendo dalla sentenza C-22/70 AETS del 31 marzo 1971, la<br />

Corte ha stabilito che “la conclusione della nuova Convenzione di Lugano, concernente la competenza<br />

giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale<br />

[...] rientra interamente nella competenza esclusiva della Comunità europea” (le sentenze<br />

della Corte di Giustizia citate nel presente scritto sono tutte disponibili al sito http://eurlex.europa.eu/it/index.htm<br />

– ultimo accesso 10 agosto 2010). Sulle competenze esterne della<br />

UE alla luce del parere della Corte, v. Pocar (a cura di), The External Competence of the European<br />

Union and Private International Law, Padova, 2007. V. anche Gaja, Sulle competenze della<br />

Comunità Europea rispetto alla cooperazione giudiziaria in materia civile, in Il diritto processuale<br />

civile nell’avvicinamento giuridico internazionale – Omaggio ad Aldo Attardi, a cura di Colesanti<br />

et al., Padova, 2009, p. 49 ss. Al momento della firma della Convenzione dell’Aja del<br />

2005, il 1° aprile 2009, la Comunità ha dichiarato di avvalersi della facoltà concessa dall’art. 30<br />

della Convenzione stessa, firmando il testo il quale, una volta depositato lo strumento di ratifica,<br />

vincolerà tutti gli Stati membri (con la consueta eccezione della Danimarca) senza necessità<br />

di alcun atto di ratifica o accessione da parte di questi. V. anche la Decisione del Consiglio<br />

dell’Unione Europea 2009/397/CE (in G.U.U.E., L 133, 29 maggio 2009).<br />

( 6 ) V. Guangjian, The Hague Choice of Court Convention – A Chinese Perspective, in 55<br />

Am. J. Comp. L., 2007, p. 347.<br />

( 7 ) V. Lupoi, Conflitti transnazionali di giurisdizioni, I, Milano, 2002, p. 553 ss.


196 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

preambolo della Convenzione quando sottolinea l’importanza di “uniform<br />

rules on jurisdiction and on recognition and enforcement of foreign judgments<br />

in civil matters” tese a creare un “international regime that provides certainty<br />

and ensures the effectiveness of exclusive choice of court agreements between<br />

parties to commercial transactions and that governs the recognition and enforcement<br />

of judgments resulting from proceedings based on such agreements” ( 8 ).<br />

Coordinando funzionalmente la individuazione negoziale della iurisdictio<br />

con il riconoscimento della decisione risolutrice della controversia che<br />

emana dal giudice designato, la Convenzione dell’Aja segue il modello<br />

adottato con successo dalla Convenzione di New York del 1958 in materia<br />

di arbitrato ed intende in tal modo offrire ai contraenti internazionali una<br />

vera alternativa nella scelta tra mezzo arbitrale e mezzo giudiziario per la risoluzione<br />

delle controversie ( 9 ).<br />

Tre i principi regolatori finalizzati al raggiungimento di tale risultato: il<br />

giudice indicato nella clausola deve esercitare il suo potere decisorio; il giudice<br />

di un altro Stato contraente deve sospendere o declinare in ogni caso la<br />

propria giurisdizione, ancorché il giudice della proroga sia stato successivamente<br />

adito sulla stessa causa; qualsiasi giudice deve riconoscere e dare<br />

esecuzione alla decisione emessa nel foro eletto.<br />

2. – L’art. 1 dispone che la Convenzione trova applicazione “nelle controversie<br />

internazionali con riferimento agli accordi esclusivi di scelta della<br />

giurisdizione in materia civile e commerciale” ( 10 ). Per l’attivazione del sistema<br />

è necessario il concorso di tre elementi: la natura internazionale della<br />

controversia, l’esclusività della clausola di selezione del foro e la riconducibilità<br />

della situazione sostanziale che forma l’oggetto della lite all’interno<br />

dell’ampia nozione di “materia civile e commerciale”.<br />

2.1. – Quanto al carattere internazionale della controversia va subito rimarcato<br />

che la normativa convenzionale ne opera una differenziazione a<br />

seconda che entrino in gioco le regole sulla giurisdizione contenute nel<br />

chapter II della Convenzione oppure le regole sul riconoscimento e l’esecuzione<br />

enunciate nel chapter III.<br />

( 8 ) V. anche Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of Court<br />

Agreements Convention, cit., pp. 17 ss.<br />

( 9 ) Teitz, The Hague Choice of Court Convention: Validating Party Autonomy and Providing<br />

an Alternative to Arbitration, cit., p. 548.<br />

( 10 ) Art. 1 “This Convention shall apply in international cases to exclusive choice of court<br />

agreements concluded in civil or commercial matters”.


SAGGI 197<br />

Ai fini dell’applicazione della Convenzione al momento dell’esercizio<br />

della giurisdizione, una controversia è considerata “internazionale” in presenza<br />

di almeno un elemento di estraneità, ovvero di un collegamento con<br />

un ordinamento straniero. A dire il vero, l’art. 1(2) propone una definizione<br />

in negativo e qualifica una controversia come “internazionale” a meno che la<br />

residenza delle parti, la relazione contrattuale e tutti gli altri elementi rilevanti<br />

per la definizione della lite siano radicati in un unico Stato contraente<br />

( 11 ). In tal modo, si dà risposta negativa alla questione se sia sufficiente la designazione<br />

di un giudice straniero per conferire carattere di internazionalità<br />

ad un affare. L’alterazione che la proroga comporta al quadro delle competenze<br />

non è sufficiente, da sola, per vincolare i giudici dello Stato contraente<br />

al rispetto delle regole convenzionali. La scelta così operata dai redattori della<br />

Convenzione merita apprezzamento in quanto evita le incertezze ed i dibattiti<br />

suscitati in <strong>Europa</strong> sul punto se l’internazionalità della controversia<br />

sia un presupposto di applicazione delle normativa dell’art. 17 della Convenzione<br />

di Bruxelles del 1968, ora art. 23 del Regolamento 44/2001 ( 12 ).<br />

Nel momento della circolazione della decisione, invece, il paragrafo 3<br />

dell’art. 1 considera soddisfatto il requisito di “internazionalità” quando sia<br />

chiesto il riconoscimento o l’esecuzione di un provvedimento straniero. La<br />

categoria delle controversie “internazionali” ai fini del riconoscimento è,<br />

dunque, più ampia, permettendo la circolazione anche delle decisioni che<br />

risultano rese da un giudice non investito di competenza ai sensi dell’art.<br />

1(2) della Convenzione. L’aver validamente assunto la propria giurisdizione<br />

sulla base della Convenzione non è condizione per il riconoscimento<br />

della conseguente decisione. La decisione straniera circola indipendentemente<br />

dal titolo in base al quale il giudice l’ha emessa e anche se la Convenzione<br />

non avrebbe potuto trovare applicazione relativamente al momento<br />

dell’esercizio del potere giurisdizionale ( 13 ).<br />

( 11 ) Se ne potrebbe dedurre, a contrariis, che l’applicabilità della Convenzione non sia<br />

esclusa qualora tutti gli aspetti rilevanti si trovino in uno Stato non contraente e la clausola indichi<br />

un giudice interno alla Convenzione.<br />

( 12 ) Sul punto v. diffusamente Mari, Il diritto processuale civile della Convenzione di<br />

Bruxelles: il sistema della competenza, Padova, 1999, p. 587 e Thiele, The Hague Convention on<br />

Choice-of-Court Agreements – was it worth the effort, cit., pp. 67-68.<br />

( 13 ) Sul punto, cfr. Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of<br />

Court Agreements Convention, cit., p. 50: “It is not necessary that the court actually based its jurisdiction<br />

on the agreement. Article 8 also covers situations where the court of origin, though designated<br />

in an exclusive choice of court agreement, based its jurisdiction on some other ground, such<br />

as the domicile of the defendant”. La condizione richiesta per la circolazione è semplicemente<br />

che il giudice emittente fosse quello indicato nella clausola esclusiva ad opera delle


198 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

2.2. – Il secondo elemento che concorre a determinare l’ambito di applicazione<br />

della Convenzione è la natura “esclusiva” della clausola sulla giurisdizione<br />

( 14 ). Ai sensi dell’art. 3 sono da considerare “esclusive” le clausole<br />

stipulate tra due o più parti che conferiscono il potere di conoscere delle<br />

controversie, presenti o future, nate da uno specifico rapporto giuridico ad<br />

un giudice, o ai giudici, di uno Stato contraente ad esclusione di ogni altro<br />

giudice e che siano concluse o documentate in forma scritta o con altro mezzo<br />

di comunicazione che abbia i caratteri di una registrazione durevole ( 15 ).<br />

Il par. b) aggiunge che le clausole di scelta del foro devono presumersi<br />

esclusive, a meno che le parti abbiano indicato esplicitamente la natura non<br />

esclusiva. Se per un civil lawyer non vi è nulla di sorprendente in questa proposizione,<br />

la stessa è radicalmente innovativa ove si pensi alla consolidata<br />

attitudine della giurisprudenza anglo-americana di presumere, al contrario,<br />

la natura non esclusiva della clausola sulla giurisdizione, salvo indicazione<br />

letterale ed espressa di esclusività. Il meccanismo presuntivo previsto al par.<br />

parti, indipendentemente dalla circostanza che a detta clausola potesse applicarsi o meno la<br />

Convenzione ai sensi dell’art. 1(2) o dal titolo che il giudice ha posto alla base della propria<br />

giurisdizione. Ne consegue che la disciplina relativa alla giurisdizione e quella relativa al riconoscimento<br />

rappresentano momenti separati, specialmente in punto di valutazione dei vizi<br />

dell’accordo. Al riconoscimento è dedicato il par. 3.3. del presente scritto.<br />

( 14 ) Per Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of Court<br />

Agreements Convention, cit., pp. 30 e 38, la limitazione alle sole clausole esclusive muove dalla<br />

necessità di evitare di affrontare la questione relativa alla litispendenza che sarebbe stata<br />

chiamata in causa dall’estensione della copertura alle clausole non esclusive. Quest’ultime,<br />

per la loro natura, permettono la coesistenza di più giurisdizioni ugualmente competenti e,<br />

quindi, ugualmente legittimate a pronunciarsi su una controversia. In generale sulle “clausole<br />

esclusive” v. ivi, pp. 37-41. Per Kruger, The 20th Session Of The Hague Conference: A New<br />

Choice Of Court Convention And The Issue Of EC Memebership, cit., pp. 448 ss., si tratta di un<br />

“cultural clash” tra civil law e common law. Neanche la proroga c.d. “tacita” della giurisdizione<br />

è regolata dalla Convenzione dell’Aja. Sul punto v. anche Talpis e Krnjevic, The Hague Convention<br />

on Choice of Court Agreements of June 30, 2005: The Elephant That Gave Birth to a Mouse,<br />

cit., p. 9: “Under the Convention, an excluded court cannot acquire jurisdiction simply via<br />

informal measures taken by the defendant who is sued in an excluded forum; instead it must be<br />

conferred by a new express choice of court agreement that conforms to Article 3”.<br />

( 15 ) Art. 3 “un « accord exclusif d’élection de for » signifie un accord conclu entre deux ou plusieurs<br />

parties [...] qui désigne, pour connaître des litiges nés ou à naître à l’occasion d’un rapport<br />

de droit déterminé, soit les tribunaux d’un Etat contractant, soit un ou plusieurs tribunaux particuliers<br />

d’un Etat contractant, à l’exclusion de la compétence de tout autre tribunal [ ... et qui est]<br />

conclu ou documenté: i) par écrit; ou ii) par tout autre moyen de communication qui rende l’information<br />

accessible pour être consultée ultérieurement”. L’equiparazione tra forma scritta e registrazione<br />

durevole è mutuata dall’art. 6(1) UNCITRAL Model Law on Electronic Commerce<br />

del 1996, disponibile sul sito http://www.uncitral.org (ultimo accesso 10 agosto 2010).


SAGGI 199<br />

b) permette di espandere l’ambito applicativo della Convenzione stessa, attraendo<br />

nel novero delle clausole esclusive regolate dalla disciplina convenzionale<br />

un maggior numero di accordi sul foro.<br />

La regolazione del profilo formale della clausola presenta tratti peculiari,<br />

specialmente ove la si confronti con la disciplina europea dell’art. 23 del<br />

Regolamento 44/2001/CE. In controtendenza con la norma comunitaria,<br />

la Convenzione dell’Aja non prescrive l’adozione di una particolare forma<br />

per la validità dell’accordo, limitandosi a richiedere una forma ad probationem:<br />

( 16 ) l’accordo deve essere concluso o documentato per iscritto o su altro<br />

supporto duraturo. L’elemento formale, qui, non ha la funzione di tutelare<br />

la validità dell’accordo o la presenza di un “consenso effettivo”, la cui<br />

difesa è demandata ad altre specifiche norme relative al profilo sostanziale<br />

( 17 ), ma solo a dettare una regola processuale in punto di prova del patto<br />

sulla giurisdizione.<br />

( 16 ) Si sofferma sui profili formali Kessedjan, La Convention de La Haye du 30 juin 2005<br />

sur l’élection de for, cit., p. 824 ss. Bucher, La Convention de La Haye sur les accords d’élection<br />

de for,inRev. suisse dr. int. et eur., 2006, pp. 29, 36-37, specifica che, poiché l’accordo non deve<br />

essere confermato per iscritto ma solo documentato, ne consegue che non è necessario che la<br />

parte provi di aver dato comunicazione alla controparte circa l’avvenuta documentazione.<br />

Schulz, The 2005 Hague Convention on Choice of Court Clauses, cit., pp. 250 ss., nota che il diritto<br />

nazionale non può imporre requisiti formali ulteriori. Così anche Thiele, The Hague<br />

Convention on Choice-of-Court Agreements – was it worth the effort, cit., p. 70. Non è privo di<br />

significato che siano prevalentemente autori provenienti dall’area di civil law a soffermarsi sul<br />

profilo formale.<br />

( 17 ) Al contrario, nell’esperienza processuale europea, in difetto di indicazioni sul profilo<br />

sostanziale delle clausole sulla giurisdizione, la Corte di Giustizia ha legato la tutela del “consenso<br />

effettivo” dei contraenti al rispetto dei vincoli formali. Nella Convenzione dell’Aja il<br />

momento formale non esaurisce la verifica da parte del giudice, che è chiamato a dare una valutazione<br />

della clausola sia sotto il profilo della capacità delle parti alla conclusione dell’accordo,<br />

sia sotto il profilo della validità sostanziale (clausola null and void), v. infra nota 47 e<br />

parr. 3.2 e 3.3. Come sottolinea Teitz, The Hague Choice of Court Convention: Validating Party<br />

Autonomy and Providing an Alternative to Arbitration, cit., pp. 552-553, i redattori della Convenzione<br />

non sono riusciti a raggiungere un accordo per disciplinare in modo uniforme anche<br />

i requisiti sostanziali, optando per un rinvio al diritto nazionale: “It was ultimately left for<br />

the non-chosen or requested court to decide whether such a contract or the resulting judgment<br />

would not be enforced because it is “manifestly contrary” to the forum’s public policy”. In senso<br />

concorde anche Thiele,The Hague Convention on Choice-of-Court Agreements – was it worth<br />

the effort, cit., pp. 68-69 – e Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice<br />

of Court Agreements Convention, cit., p. 38. Al contrario, Talpis e Krnjevic, The Hague Convention<br />

on Choice of Court Agreements of June 30, 2005: The Elephant That Gave Birth to a Mouse,<br />

cit., p. 21 ritengono che la Convenzione, limitando le eccezioni all’operatività di una clausola<br />

esclusiva, finisca per dare una nozione autonoma di “accordo”, superando la frammenta-


200 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

La lettera della disposizione induce ad affermare, con relativa sicurezza,<br />

che la deroga alla giurisdizione deve costituire il frutto di un accordo (agreement)<br />

tra le parti e avere ad oggetto una relazione giuridica dai contorni definiti,<br />

intendendosi con tale prescrizione il divieto di accordi sulla giurisdizione<br />

c.d. “in bianco” o altrimenti indeterminati ( 18 ). D’altro canto, nonostante<br />

il riferimento all’accordo, pare non doversi escludere a priori la validità<br />

delle clausole contenute in formulari, condizioni generali di contratto<br />

o, più genericamente, in testi non negoziati: in ogni caso il giudice dovrà valutare<br />

se la clausola è stata validamente conclusa alla stregua delle regole<br />

sostanziali applicabili.<br />

Per la definizione dei limiti della “esclusività” è centrale il riferimento alle<br />

“courts of one Contracting State or one or more specific courts of one Contracting<br />

State to the exclusion of the jurisdiction of any other courts”. Dal tenore della<br />

norma si desume che, fintanto che si indichino giudici appartenenti ad un<br />

singolo Stato, sono consentite le combinazioni più varie: può indicarsi un<br />

giudice ben preciso (es. Tribunale civile di Milano), una frazione territoriale<br />

(es. “il foro competente è Cancùn, Messico”) o semplicemente lo Stato nella<br />

sua interezza ( 19 ). Possono altresì essere indicate combinazioni di corti di un<br />

singolo Stato, senza che ciò si ripercuota sull’esclusività della clausola. Al<br />

netto di un’espressa indicazione ad opera delle parti, quindi, ciò che caratterizza<br />

la clausola come “non esclusiva” è il coinvolgimento della giurisdizione<br />

rietà dei diritti nazionali: “Article 6 [...a]s such, subject to limited exceptions, [...] preserves<br />

agreements that would otherwise be unenforceable because, inter alia, the agreement was either in<br />

an adhesive business form setting, not negotiated, hidden in a standard form agreement, or incorporated<br />

in a computer readable click-wrap agreement”.<br />

( 18 ) Si parla di controversie “which have arisen or may arise in connection with a particular<br />

legal relationship”. Tali indicazioni sono rafforzate dalla disciplina che tutela il consenso delle<br />

parti poiché si può validamente esprimere il proprio consenso solo ove l’oggetto sia almeno<br />

sufficientemente determinabile. Non dovrebbe porre particolari problemi la clausola sulla<br />

giurisdizione contenuta in “accordi-quadro” destinati a dettare le regole per un numero indefinito<br />

di prestazioni future determinate dalla cornice normativa.<br />

( 19 ) Per Hartley, The Hague Choice of Court Convention, cit., p. 419, possono essere indicate<br />

come competenti anche “l’Unione Europea” o “la Corte di Giustizia Europea” ma la questione<br />

non è pacifica. Ai sistemi federali (definiti nella Convenzione “non-unified legal systems”)<br />

è dedicata una specifica previsione, l’art. 25, secondo la quale quando la Convenzione<br />

parla di “Stato” tale termine deve essere interpretato nel senso di “federazione” o “unità territoriale”<br />

avendo riguardo al caso concreto. Rimangono aperte alcune questioni come, ad<br />

esempio, se nei sistemi giuridici non unificati previsti dall’art. 25, sia possibile indicare come<br />

competenti le corti di due unità territoriali differenti (es. Ohio e New Jersey) oppure la giurisdizione<br />

statale e quella federale (es. Pennsylvania e District Court for the Southern District<br />

of the State of New York).


SAGGI 201<br />

di Stati differenti: l’esclusività sembra dipendere non tanto dall’aver indicato<br />

la competenza di un singolo giudice ma dalla riconducibilità delle varie indicazioni<br />

ad un unico Stato. Secondo l’opinione prevalente, non sono considerati<br />

esclusivi gli accordi c.d. “asimmetrici”, sia nel caso in cui la scelta del<br />

foro vincoli solo una delle parti contraenti, sia ove la clausola indichi giurisdizioni<br />

(anche esclusive ma) diverse per ciascuna delle parti dell’accordo<br />

( 20 ). È invece del tutto lecito prevedere fori differenti per segmenti diversi di<br />

uno stesso rapporto giuridico complesso (ad es. il foro di New York per le<br />

controversie relative al diritto d’autore e il Tribunale civile di Milano per tutte<br />

le altre controversie) ( 21 ).<br />

La lett. d) avverte che la clausola sulla giurisdizione rappresenta un elemento<br />

separato dal contratto nel quale sia eventualmente inserita ( 22 ). Tale<br />

specificazione ha sostanzialmente la funzione di impedire che una parte abbia<br />

il potere di eludere la clausola sulla giurisdizione semplicemente allegando<br />

l’invalidità del contratto che la contiene ( 23 ); al contempo si evita che<br />

la dichiarazione di invalidità di un contratto travolga la giurisdizione del<br />

giudice che l’ha rilevata. Infine, le complesse valutazioni circa la validità<br />

dell’intera relazione giuridica mal si conciliano con una decisione sulla giurisdizione,<br />

la cui definizione spedita costituisce un presupposto per la valutazione<br />

del merito della controversia ( 24 ).<br />

( 20 ) V. Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of Court Agreements<br />

Convention, cit., p. 39 ss. Anche un accordo del tenore “A deve agire nello Stato X, B<br />

nello Stato Y” causerebbe problemi di gestione della litispendenza ove entrambi i soggetti si<br />

attivassero contemporaneamente nei rispettivi fori. È questa la ragione dell’esclusione di fattispecie<br />

altrimenti diffuse e meritevoli di tutela. Nello stesso senso Thiele, The Hague Convention<br />

on Choice-of-Court Agreements – was it worth the effort, cit., p. 69; Bucher, La Convention<br />

de La Haye sur les accords d’élection de for, cit., p. 36.<br />

( 21 ) Cfr. Talpis e Krnjevic, The Hague Convention on Choice of Court Agreements of June<br />

30, 2005: The Elephant That Gave Birth to a Mouse, cit., pp. 11-12. Restano irrisolti i problemi<br />

di pregiudizialità e connessione tra giudizi, sui quali la Convenzione non si sofferma.<br />

( 22 ) Cfr. la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea in merito all’art. 23 del Regolamento<br />

44/2001/CE illustrata da Magnus, in BrusselsI Regulation, Magnus e Mankowski, 1 a<br />

ed., Sellier, 2007, p. 424 ss.<br />

( 23 ) Kessedjan, L’élection de for – Vers une nouvelle convention de La Haye, cit., p. 373, ricorda<br />

che l’autonomia della clausola sulla giurisdizione fa sì che l’elezione del giudice rimanga<br />

valida anche ove il contratto sia scaduto o risolto. La stessa A. in La Convention de La Haye<br />

du 30 juin 2005 sur l’élection de for, cit., pp. 830-31, critica la formulazione della norma, giudicandola<br />

insufficiente a garantire una piena autonomia materiale della clausola e a garantirne<br />

l’indipendenza giuridica dal resto del contratto.<br />

( 24 ) Non si dimentichi che la valutazione della validità della clausola così come prevista<br />

dalla Convenzione può già essere impegnativa (cfr. artt. 5, 6, 8 e 9), a maggior ragione laddo-


202 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Come vedremo più avanti, la determinazione del giudice ad opera delle<br />

parti non ha la forza di superare le regole interne di allocazione della giurisdizione<br />

per materia, valore e territorio: l’impressione è che i redattori della<br />

Convenzione abbiano inteso equilibrare il potere riconosciuto all’autonomia<br />

privata con le ragioni della sovranità statale, di fatto conferendo alle<br />

parti la potestas di individuare – in modo esclusivo – solo l’ordinamento entro<br />

il quale litigare, ma non lo specifico giudice.<br />

Merita un cenno, in chiusura, la sorte delle clausole non esclusive, definibili<br />

in via residuale come tutte quelle che non soddisfano i requisiti appena<br />

descritti. Queste, nonostante risultino apparentemente estranee all’ambito<br />

di applicazione della Convenzione, sono oggetto di una disciplina particolare<br />

( 25 ). Poiché sono assai diffuse in certe prassi commerciali internazionali<br />

e come tali meritevoli di tutela, l’art. 22 riconosce agli Stati contraenti<br />

la possibilità di rendere una dichiarazione di reciproco riconoscimento<br />

delle decisioni emesse in virtù di una clausola sul foro non esclusiva.<br />

La Convenzione, in modo del tutto coerente con la natura non esclusiva<br />

dell’indicazione negoziale, non pone a carico dei giudici alcun obbligo positivo<br />

o negativo al momento dell’esercizio della giurisdizione ( 26 ). La decisione<br />

emessa, invece, dovrà essere riconosciuta in tutti gli Stati contraenti<br />

qualora sia lo Stato di provenienza che quello di destinazione abbiano effettuato<br />

la dichiarazione prevista dall’art. 22 ( 27 ).<br />

ve si rendesse necessario applicare anche le norme di diritto internazionale privato del foro, v.<br />

infra nota 47.<br />

( 25 ) Come accennato, in difetto di regole sulla litispendenza, le clausole non-esclusive<br />

consentono la (legittima) instaurazione di liti parallele. Kruger, The 20th Session Of The Hague<br />

Conference: A New Choice Of Court Convention And The Issue Of EC Memebership, cit., p.<br />

449. Teitz, The Hague Choice of Court Convention: Validating Party Autonomy and Providing an<br />

Alternative to Arbitration, cit., pp. 555-556, sostiene in modo alquanto netto che “[t]he decision<br />

not to cover them for jurisdictional purposes reflects the inability for the civil law tradition to accept<br />

the common law possibility of parallel litigation instead of a rather rigid lis pendens rule such<br />

as that in the Brussels Regulation”. Ma per Kessedjan, La Convention de La Haye du 30 juin<br />

2005 sur l’élection de for, cit., p. 816, per tutelare gli accordi non esclusivi anche nel momento<br />

giurisdizionale sarebbe bastato inserire una scarna regola di litispendenza che si limitasse a<br />

favorire il giudice adito per primo.<br />

( 26 ) In particolare sono esclusi gli obblighi previsti dagli artt. 5 e 6 della Convenzione, v.<br />

infra i parr. 3.1 e 3.2.<br />

( 27 ) Ulteriori requisiti sono: che la decisione provenga dal giudice adito per primo in via<br />

cronologica, che non esista un’altra decisione emessa in uno dei fori indicati nell’accordo non<br />

esclusivo o che in uno di questi stessi fori non sia pendente un giudizio sulla medesima contesa.


SAGGI 203<br />

2.3. – La nozione di “materia civile e commerciale”, nonostante non sia<br />

espressamente definita da alcuna norma, costituisce un termine usuale nelle<br />

convenzioni elaborate dalla Conferenza dell’Aja e deve essere interpretata<br />

in modo autonomo e sistematico alla luce delle varie indicazioni, principalmente<br />

di tipo negativo, contenute nella Convenzione stessa ( 28 ).<br />

I primi riferimenti a tal proposito sono relativi al profilo soggettivo delle<br />

parti dell’accordo di deroga. L’art. 2(5), infatti, specifica in via generale che<br />

la mera natura “pubblicistica” di una delle parti dell’accordo non impedisce<br />

l’applicazione della Convenzione ( 29 ). Il comma 1 del medesimo articolo, a<br />

sua volta, in coerenza con l’obiettivo della Convenzione di dettare regole<br />

per la “business community”, esclude dal novero degli accordi regolati dalla<br />

normativa convenzionale tutti quelli nei quali sia parte un consumatore o<br />

un lavoratore ( 30 ).<br />

( 28 ) Cfr. Hartley e M. Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of Court<br />

Agreements Convention, cit., p. 30. Per Kessedjan, L’élection de for – Vers une nouvelle convention<br />

de La Haye, cit., p. 368, “[s]eules les opérations commerciales sont concernées par le projet<br />

[ ...]. [O]n ne comprend pas pourquoi, dans l’article 1.1 du projet l’expression « matière civile ou<br />

commerciale » est reprise. Il s’agit vraisemblablement d’une simple erreur de plume tant l’expression<br />

est habituelle dans le teste de la Conférence”. Concorda anche Hartley, The Hague Choice<br />

of Court Convention, cit., p. 419.<br />

( 29 ) Art. 2(5): “Proceedings are not excluded from the scope of this Convention by the mere<br />

fact that a State, including a government, a governmental agency or any person acting for a State,<br />

is a party thereto”. Radicati Di Brozolo, Antitrust Claims: Why Exclude Them from The Hague<br />

Jurisdiction and Judgments Convention, 4(2) Global Jurist Advances (2004), p. 5, testo e note,<br />

sottolinea come questa norma avrebbe potuto essere formulata in modo più chiaro specificando<br />

che sono escluse dall’ambito di applicazione della Convenzione tutti quei procedimenti<br />

in cui è parte un Autorità che agisca in virtù di poteri di imposizione di natura pubblicistica.<br />

L’A. pensa in particolare alle Autorità di garanzia della concorrenza, sulle quali v. infra<br />

nota 38.<br />

( 30 ) La definizione di consumatore adottata non è delle più felici e potrebbe dare luogo ad<br />

alcuni inconvenienti. L’Art. 2(1), infatti, invece di basarsi su una definizione residuale, come<br />

quella comunitaria, che individua quale “consumatore” colui che non è professionista, ne definisce<br />

i confini in positivo: “This Convention shall not apply to exclusive choice of court agreements<br />

[...]to which a natural person acting primarily for personal, family or household purposes<br />

(a consumer) is a party”. Dunque, è consumatore chi agisce per uno scopo che è principalmente<br />

legato a ragioni personali, familiari o di gestione domestica. Così si crea uno iato tra la<br />

disciplina convenzionale e quella comunitaria ove l’elezione del foro sia pattuita da un soggetto<br />

che, pur non agendo per uno scopo “personale, familiare o legato alla gestione dell’abitazione”,<br />

non stia nemmeno agendo nell’ambito o ai fini della propria attività professionale.<br />

Tale difformità potrebbe dar luogo ad una riserva da parte dell’Unione Europea volta ad ampliare<br />

l’eccezione in materia di consumatori, oppure alla – scorretta – applicazione della clausola<br />

di “public policy” da parte dei giudici del Vecchio Continente per evitare il riconosci-


204 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Sul piano oggettivo la nozione è circoscritta dal lungo elenco di materie<br />

previste dal secondo comma dell’art. 2 che precludono l’operatività della<br />

Convenzione ( 31 ) a meno che il giudice debba conoscerne solo in via incidentale<br />

( 32 ). Alcune materie sono escluse per i peculiari interessi coinvolti,<br />

alcune per l’esistenza di specifici trattati internazionali in materia e altre per<br />

la tecnicità delle normative che regolano il fenomeno. L’elenco è lungo e include<br />

stato e capacità giuridica delle persone fisiche; obbligazioni alimentari;<br />

diritto di famiglia e regime patrimoniale tra i coniugi; successioni; fallimento;<br />

trasporto di passeggeri e merci ( 33 ); inquinamento marittimo e questioni<br />

di diritto della navigazione ( 34 ); responsabilità per danni da incidente<br />

nucleare; azioni di risarcimento dei danni alle persone promosse da o per<br />

persone fisiche; responsabilità extracontrattuale per lesione di beni materiali<br />

( 35 ); diritti reali; validità, nullità o scioglimento delle persone giuridiche,<br />

nonché la validità delle delibere dei relativi organi; validità delle iscrizioni in<br />

pubblici registri; arbitrato e procedimenti connessi ( 36 ).<br />

Anche il diritto antitrust risulta escluso e in questa esclusione rientrano<br />

le cause promosse da soggetti privati per la repressione di condotte di concorrenza<br />

sleale o di abuso di posizione dominante, mentre i procedimenti<br />

di natura pubblicistica o addirittura penale risultano già estranei all’ambito<br />

mento e l’esecuzione della decisione che coinvolga un consumatore, distolto da quello che<br />

l’Unione Europea considera il suo foro naturale; su dichiarazioni e public policy v. amplius infra<br />

ai parr. 4 e 3.3. La definizione di consumatore non incontra il plauso nemmeno oltreoceano,<br />

cfr. Woodward, Saving the Hague Choice of Court Convention, cit., pp. 683 ss. Tuttavia, occorre<br />

osservare che la definizione di “consumer” è analoga a quella contenuta nell’Uniform<br />

Commercial Code 2-103(e) (2004) e nella Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale<br />

di merci del 1980, art. 2(a).<br />

( 31 ) Hartley, The Hague Choice of Court Convention, cit., p. 421 ss. L’elenco è lungo, nessun<br />

autore manca di farlo osservare. Diverse sono però le valutazioni in merito.<br />

( 32 ) Specialmente ove ciò consegua alle difese di parte convenuta, prosegue l’art. 2(3).<br />

Sulle questioni preliminari v. anche infra al par. 3.3.<br />

( 33 ) La Convenzione dell’Aja non prende posizione, tra l’altro, sul fenomeno delle polizze<br />

di carico (bill of lading), che ha suscitato più di una questione interpretativa in seno al Regolamento<br />

44/2001; cfr. le decisioni della Corte di Giustizia nelle cause C-71/83 Tilly Russ c.<br />

NV Goeminne Hout, in Racc., 1984, p. 577 e C-159/97 Trasporti Castelletti c. Hugo Trumpy, in<br />

Racc., 1999, p. 1597.<br />

( 34 ) Art. 2(2)(g). In modo più preciso: “marine pollution, limitation of liability for maritime<br />

claims, general average, and emergency towage and salvage”.<br />

( 35 ) Art. 2(2)(k): “tort or delict claims for damage to tangible property that do not arise from<br />

a contractual relationship”.<br />

( 36 ) L’eccezione relativa all’arbitrato è contenuta al quarto comma dell’art. 2, ed è ovviamente<br />

giustificata dalla esistenza e diffusione della Convenzione di New York del 1958.


SAGGI 205<br />

di applicazione in quanto riconducibili non alla “materia civile e commerciale”<br />

ma ad atti autoritativi di diritto pubblico ( 37 ). La ratio dell’esclusione<br />

del versante “privato” del diritto della concorrenza sembra da ricondurre al<br />

disaccordo esistente tra i vari Stati circa le policies sottostanti, nonché all’obiettivo<br />

di evitare che la scelta del foro venga posta in essere al fine di derogare<br />

le giurisdizioni che conoscono normative antitrust in favore di Stati privi<br />

di tale disciplina ( 38 ).<br />

La proprietà intellettuale è sottoposta ad un regime differenziato: sono<br />

inclusi nell’ambito della Convenzione gli accordi sulla giurisdizione relativi<br />

alla validità o alla violazione del diritto d’autore, dei diritti collegati e le<br />

controversie relative a tutti gli altri diritti di proprietà intellettuale (es. marchi<br />

e brevetti) nel caso che la violazione derivi da un inadempimento contrattuale.<br />

Per ogni altra controversia in materia (quale, ad esempio, un’azione<br />

inibitoria o di risarcimento per un uso illegittimo di un marchio altrui) è<br />

esclusa l’applicabilità della Convenzione.<br />

Particolare menzione merita, infine, il regime dei contratti di assicurazione<br />

e riassicurazione (art. 17) che sono espressamente coperti dall’ambito<br />

di applicazione della Convenzione anche qualora il rischio assicurato rientri<br />

nel novero delle materie escluse dall’art. 2 ( 39 ).<br />

Anche se i vari sistemi giuridici conoscono una diversa ripartizione delle<br />

materie tra diritto pubblico e privato, tanto che in astratto un ordinamento<br />

potrebbe ritenere coperto dalla Convenzione un accordo escluso per altri<br />

( 40 ), è ragionevole presumere che, alla luce delle indicazioni che i giudici<br />

( 37 ) Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of Court Agreements<br />

Convention, cit., p. 32.<br />

( 38 ) Si rimanda allo specifico articolo di Radicati Di Brozolo, Antitrust Claims: Why Exclude<br />

Them from The Hague Jurisdiction and Judgments Convention, cit. L’A. è assai critico verso<br />

l’esclusione tout court della materia, consigliando, al contrario, di includere le azioni antitrust<br />

promosse dai privati.<br />

( 39 ) Questa norma, che si scontra in qualche modo con la disciplina comunitaria prevista<br />

dagli artt. 7 e ss. del Regolamento 44/2001/CE posta a tutela di assicurati e danneggiati, potrebbe<br />

essere oggetto di una dichiarazione dell’Unione Europea volta ad escludere dal novero<br />

delle materie coperte dalla Convenzione i rapporti assicurativi, onde allineare la Convenzione<br />

in esame al regime garantista del Regolamento, v. infra al par. 4.<br />

( 40 ) V., ad esempio, quanto sostenuto nel rapporto Schlosser sulla Convenzione relativa<br />

all’adesione del Regno di Danimarca, dell’Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda<br />

del Nord (1978) alla Convenzione di Bruxelles del 1968 (GUCE, 1979, C 59, pp. 71, 82 e<br />

83): “In the United Kingdom and in Ireland the expression ‘civil law’ is not a technical term and<br />

has more than one meaning. It is used mainly as the opposite of criminal law. Except in this limited<br />

sense, no distinction is made between ‘private’ and ‘public’ law which is in any way comparable<br />

to that made in the legal systems of the original Member States, where it is of fundamental im-


206 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

possono ricavare dalla Convenzione, non saranno molti i casi di conflitto o<br />

disaccordo in concreto circa la riconducibilità della materia del contendere<br />

nell’ambito di applicazione della Convenzione.<br />

3. – Abbiamo già avuto modo di menzionare che il fulcro dell’impianto<br />

normativo predisposto dal documento convenzionale è costituito da tre regole<br />

fondamentali, le quali rappresentano anche il risultato dell’impegno<br />

volto a coordinare le diverse policies in materia seguite dai sistemi della tradizione<br />

di civil law e di common law: il giudice indicato nella clausola esclusiva<br />

deve esercitare la propria giurisdizione; i giudici di un altro Stato membro<br />

sono obbligati a sospendere o declinare la propria giurisdizione a favore<br />

del giudice della proroga e, infine, le decisioni emesse nel foro eletto devono<br />

essere riconosciute ed eseguite. A fronte di questa geometrica linearità<br />

sono previste delle eccezioni che conferiscono al sistema un notevole (e<br />

secondo alcuni anche eccessivo) tasso di elasticità.<br />

3.1. – Secondo l’art. 5, il giudice designato dalle parti ( 41 ) nella clausola<br />

sulla giurisdizione deve (“shall ”) esercitare la propria giurisdizione (effetto<br />

di proroga della giurisdizione) e non può declinarla sulla base di una valutazione<br />

di maggior appropriatezza di un altro foro: si tratta di un rudimentale<br />

divieto di applicazione della dottrina del forum non conveniens ( 42 ), ma il ri-<br />

portance. Constitutional law, administrative law and tax law are all included in civil law”. A differenza<br />

della Convenzione di Bruxelles del 1968, la Convenzione dell’Aja del 2005 manca di<br />

escludere specificamente le materie fiscale, doganale, amministrativa e la sicurezza sociale.<br />

Problemi analoghi sorgono anche in materia processuale, cfr. i cenni svolti infra al par. 7.3 relativamente<br />

alle “questioni preliminari”. Sul punto anche Lowenfeld, Thoughts about a Multinational<br />

Judgments Convention: A Reaction to the von Mehren Report, cit., p. 301 ss.<br />

( 41 ) La Convenzione regola l’efficacia della clausola nei confronti delle parti che l’hanno<br />

stipulata. Non è chiaro cosa accada quando un soggetto terzo subentri ad una delle parti originarie<br />

del rapporto. Per Bucher, La Convention de La Haye sur les accords d’élection de for,<br />

cit., p. 41, nel silenzio della Convenzione, si applica il diritto nazionale. Così anche la giurisprudenza<br />

della Corte di Giustizia sul Regolamento 44/2001/CE, nella sentenza del 19 giugno<br />

1984, causa C-71/83, Tilly Russ c. NV Goeminne Hout, cit.<br />

( 42 ) I redattori della Convenzione hanno ritenuto di non prendere posizione circa l’annosa<br />

controversia tra civil law e common law relativamente alla prevalenza della dottrina del forum<br />

non conveniens o della litispendenza in merito alle clausole sulla giurisdizione. I principi<br />

ispiranti le diverse discipline, cioè da un lato giustizia sostanziale ed economia dei procedimenti,<br />

dall’altro coordinamento dei giudizi e armonia dei giudicati, sono valori ai quali tendono<br />

tutti i testi relativi alla giurisdizione internazionale. I redattori hanno preferito non affrontare<br />

la questione, creando un sistema imperniato sulla “coscienza” del singolo giudice:<br />

così Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of Court Agreements


SAGGI 207<br />

sultato ottenuto non deve essere sottovalutato. Come la presunzione di<br />

esclusività, anche il divieto in parola rappresenta una grande novità per il<br />

modo in cui il mondo della common law (ed in specie quello statunitense)<br />

tratta tradizionalmente le clausole di scelta del foro. Il giudice di common<br />

law, infatti, in linea di principio, non si ritiene vincolato dall’indicazione<br />

delle parti, sia questa un’attribuzione o una privazione del potere di ius dicere.<br />

La clausola costituisce solo uno tra i vari elementi da tenere in considerazione<br />

nella decisione (discrezionale) sull’an dell’esercizio o del non<br />

esercizio del potere giurisdizionale ( 43 ). Proprio questo potere discrezionale<br />

di dare o non dare osservanza alle clausole di elezione del foro sulla base<br />

di considerazioni di opportunità viene fortemente limitato dalla disposizione<br />

richiamata.<br />

La proroga della giurisdizione del giudice eletto, esclusiva (art. 3,<br />

lett. b) e vincolante (art. 5, n. 2), non spiega efficacia nei confronti delle<br />

regole interne di distribuzione della giurisdizione, cioè sulla competenza<br />

per valore, materia o territorio: ad essere vincolato non è il singolo<br />

giudice indicato nella clausola, bensì la giurisdizione dello Stato contraente<br />

nel suo complesso. Lo si evince non tanto dalla lettera dell’art.<br />

5(3) ( 44 ), la quale potrebbe indurre a ritenere priva di qualsiasi efficacia la<br />

clausola che indichi un giudice incompetente per il diritto processuale<br />

interno, ma dal combinato disposto con l’art. 8(5) che estende la disciplina<br />

relativa al riconoscimento anche a quelle decisioni che siano state<br />

emesse in seguito al trasferimento della causa al giudice competente diverso<br />

da quello indicato nella clausola. Nel solo caso della competenza<br />

per territorio, se il giudice ha discrezione in merito al trasferimento della<br />

causa ( 45 ), vi sono due limitazioni: il giudice deve tenere nella giusta<br />

Convention, cit., p. 44. In modo del tutto differente, la Corte di Giustizia ha optato, in seno al<br />

sistema di Bruxelles I, per un netto divieto del forum non conveniens e per la prevalenza della<br />

litispendenza, istituto “codificato” nell’art. 27 del Regolamento 44/2001: cfr. la sentenza della<br />

Corte (Grande Sezione) del 1° marzo 2005 nella causa C-281/02, Owusu c. Jackson, in Racc.,<br />

2005, p. I-01383. V. Thiele, The Hague Convention on Choice-of-Court Agreements – was it<br />

worth the effort, cit., pp. 73-74.<br />

( 43 ) Born e Rutledge, International Civil Litigation in United States Courts, 4 a ed.,<br />

<strong>Kluwer</strong>, 2007, p. 688 ss.<br />

( 44 ) Art. 5(3): “The preceding paragraphs shall not affect rules: a) on jurisdiction related to<br />

subject matter or to the value of the claim; b) on the internal allocation of jurisdiction among the<br />

courts of a Contracting State. However, where the chosen court has discretion as to whether to<br />

transfer a case, due consideration should be given to the choice of the parties”.<br />

( 45 ) È il caso, ad esempio, dell’Inghilterra dove la giurisdizione può essere distribuita internamente<br />

su base discrezionale: le dottrina del forum non conveniens è bandita dalla Conve-


208 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

considerazione (“due consideration”) la preferenza evidenziata dalla scelta<br />

delle parti e, in deroga a quanto abbiamo appena visto, la decisione<br />

emessa dal giudice ad quem non potrà circolare ai danni di chi si è opposto<br />

al trasferimento della causa ( 46 ).<br />

Quanto al profilo dei possibili vizi della clausola, oltre alla richiamata disciplina<br />

che regola la nozione di clausola esclusiva e i relativi profili formali,<br />

sul piano sostanziale l’efficacia vincolante della proroga della giurisdizione<br />

viene meno ove l’accordo sia “null and void ” secondo il diritto dell’ordinamento<br />

indicato dalle parti nel relativo accordo ( 47 ).<br />

3.2. – Il secondo principio, sancito dall’art. 6 ( 48 ), prevede che qualunque<br />

altro giudice rispetto a quello indicato nella clausola sulla giurisdizione (rectius:<br />

qualunque giudice appartenente ad uno Stato diverso) è obbligato a<br />

sospendere il procedimento o rigettare ( 49 ) la domanda che verta su una relazione<br />

coperta dall’accordo sulla giurisdizione, indipendentemente dalla<br />

zione solo con riferimento alla giurisdizione internazionale e non anche alla competenza interna.<br />

Kessedjan, La Convention de La Haye du 30 juin 2005 sur l’élection de for, cit., pp. 831-<br />

32, critica – non senza argomenti – la limitazione che viene a porsi all’autonomia delle parti rispetto<br />

alle regole di competenza interne: “C’est encore un des cas dans lesquels les négociateurs<br />

ont refusé de donner plein effet à l’autonomie de la volonté qui, pourtant, aurait dû être la pierre<br />

angulaire du système conventionnel”.<br />

( 46 ) Sul secondo punto v. infra al par. 3.3.<br />

( 47 ) Art. 5(1): “The court or courts of a Contracting State designated in an exclusive choice of<br />

court agreement shall have jurisdiction to decide a dispute to which the agreement applies, unless<br />

the agreement is null and void under the law of that State”. È opinione pressoché pacifica che la<br />

“law of that State” comprenda anche le norme di diritto internazionale privato del foro, cfr. tra<br />

gli altri Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of Court Agreements<br />

Convention, cit., p. 43, testo e note. Per la nozione di “null and void” cfr. anche l’art. II-3<br />

della Convenzione di New York 1958 (“. . .null and void, inoperative or incapable of being performed”).<br />

Si tratta di casi che per il diritto italiano andrebbero genericamente sotto le etichette di<br />

nullità o annullabilità. A titolo esemplificativo, potrà aversi vizio o assenza del consenso, frode,<br />

manifesta ingiustizia o violenza. Vi rientra anche la nozione di “capacità” a concludere<br />

l’accordo, cfr. infra al paragrafo seguente e ivi, pp. 47-48.<br />

( 48 ) Per Talpis e Krnjevic, The Hague Convention on Choice of Court Agreements of June<br />

30, 2005: The Elephant That Gave Birth to a Mouse, cit., p. 21, si tratta della “most important provision<br />

of the Convention, as it addresses the situation which usually arises in practice, namely<br />

when courts, other than the one chosen, must refrain from taking jurisdiction. Article 6 provides<br />

commercial certainty by placing the exclusive choice of court agreement beyond the reach of the<br />

myriad of national laws designed to prevent abuse arising from differences between the parties’<br />

bargaining power”.<br />

( 49 ) Il testo inglese parla di “stay or dismiss”: in sostanza il giudice deve astenersi dall’esercitare<br />

il proprio potere giurisdizionale.


SAGGI 209<br />

contemporanea pendenza della lite dinnanzi al giudice eletto; si tratta dell’effetto<br />

di deroga alla giurisdizione. La Convenzione, come già accennato,<br />

non contiene meccanismi di gestione della litispendenza ( 50 ) e ogni giudice<br />

è chiamato a valutare in proprio la clausola sulla giurisdizione. Tuttavia, e<br />

ciò è di importanza fondamentale, gli è consentito di disattendere l’indicazione<br />

delle parti solo nel caso in cui ricorra una delle eccezioni tassative indicate<br />

dalla Convenzione stessa all’art. 6. La sussistenza di un motivo di<br />

inefficacia della clausola non vale, peraltro, a fondare la giurisdizione del<br />

giudice che lo rilevi ( 51 ).<br />

Quanto al contenuto di queste eccezioni, si ripete, innanzitutto, che è<br />

privo di efficacia l’accordo che sia null and void secondo il diritto del foro<br />

scelto dalle parti. Entrambi i giudici, eletto e non eletto, sono chiamati a valutare<br />

la medesima clausola sulla base del medesimo diritto. In ipotesi di discordanza<br />

di detta valutazione, i due giudici potrebbero giungere a conclusioni<br />

diverse circa la validità dell’accordo, con conseguente rischio di denegata<br />

giustizia o insorgenza di liti parallele ( 52 ). Ipotesi di conflitto concreto<br />

( 50 ) Kruger, The 20th Session Of The Hague Conference: A New Choice Of Court Convention<br />

And The Issue Of EC Membership, cit., pp. 453-54, sottolinea come l’assenza di norme specifiche<br />

nella Convenzione sul tema “liti parallele” attivi, all’interno dell’Unione Europea, il<br />

meccanismo Tatry (Corte CE, 6 dicembre 1994, causa C-406/92, in Racc., 1994, p. 5439) che<br />

rende applicabile ai giudizi paralleli pendenti dinnanzi ai tribunali degli Stati membri il sistema<br />

della litispendenza previsto dagli artt. 27 ss. del Regolamento 44/2001/CE. Tuttavia, la ricostruzione<br />

proposta non è pacifica. L’assenza di norme sull’istituto potrebbe indicare più la<br />

volontà di escludere il meccanismo della litispendenza che quella di lasciare libera scelta in<br />

merito. In secondo luogo, attivare l’art. 27 significherebbe svuotare di senso il principio di accentramento<br />

della valutazione della clausola in capo al giudice eletto. Teitz, The Hague Choice<br />

of Court Convention: Validating Party Autonomy and Providing an Alternative to Arbitration,<br />

cit., p. 554, mostra, al contrario, come non si verifichi l’effetto Gasser (Corte CE, 9 dicembre<br />

2003, causa C-116/02, in Racc., 2003, p. 14693) tipico del sistema di Bruxelles I che tramite una<br />

stretta applicazione del principio di prevenzione affida la valutazione della clausola al giudice<br />

adito per primo, pur non indicato nella clausola. Perciò, osserva, nel sistema della Convenzione,<br />

“[p]arty autonomy wins over the race to the court house”.<br />

( 51 ) Cfr. Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of Court<br />

Agreements Convention, cit., p. 47. Hartley, The Hague Choice of Court Convention, cit., p. 417.<br />

Questa circostanza non esclude che il giudice possa esercitare la giurisdizione sulla base di<br />

norme interne.<br />

( 52 ) Thiele, The Hague Convention on Choice-of-Court Agreements – was it worth the<br />

effort, cit., pp. 76-77, evidenzia i rischi connessi alla doppia valutazione della medesima clausola.<br />

Non solo, anche il giudice adito in sede di riconoscimento della decisione emessa nel foro<br />

prorogato dovrà, in ipotesi più limitate, valutare la clausola secondo il parametro ora esposto,<br />

cfr. Teitz, The Hague Choice of Court Convention: Validating Party Autonomy and Providing<br />

an Alternative to Arbitration, cit., p. 551 ss. e v. infra al par. successivo.


210 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

non dovrebbero essere molto frequenti, specialmente ove il giudice non indicato<br />

nella clausola decida di rimettersi alla valutazione del giudice eletto,<br />

il quale è decisamente il più indicato ad interpretare ed applicare il proprio<br />

diritto.<br />

In secondo luogo, il giudice può esercitare la propria giurisdizione anche<br />

nel caso in cui una delle parti fosse priva della “capacità” necessaria per concludere<br />

l’accordo di deroga secondo il proprio ordinamento (lex fori)( 53 ).<br />

Inoltre, l’art. 6(d) dispone che la clausola sulla giurisdizione non spieghi<br />

i suoi effetti quando non sia possibile dare esecuzione all’accordo in modo<br />

ragionevole a causa del verificarsi di un evento eccezionale sottratto al controllo<br />

delle parti: si tratta di ipotesi marginali (e che tali devono rimanere<br />

nell’economia della Convenzione) quali lo scoppio di una guerra, il verificarsi<br />

di un cataclisma o la modificazione dei caratteri essenziali dell’organo<br />

giudiziario indicato ( 54 ) .<br />

Ai sensi dell’art. 6(c) il giudice non è tenuto a rispettare la deroga qualora<br />

ciò rappresenti una manifesta ingiustizia o sia contrario all’ordine pubblico<br />

dello Stato al quale appartiene ( 55 ). Come traspare dalla lettera stessa<br />

( 53 ) Art. 6(b): “a party lacked the capacity to conclude the agreement under the law of the State<br />

of the court seised”. V. Kessedjan, La Convention de La Haye du 30 juin 2005 sur l’élection de<br />

for, cit., pp. 827-28 e 833 ss. A differenza della validità sostanziale, il cui parametro è costituito<br />

dal solo diritto del giudice eletto, la capacità può essere astrattamente valutata sulla base di<br />

tre regimi giuridici: giudice eletto (attraverso l’eccezione “null and void”), giudice non eletto<br />

e giudice del riconoscimento, ex art. 9(b), v. Bucher, La Convention de La Haye sur les accords<br />

d’élection de for, cit., p. 41.<br />

( 54 ) Un caso storico è riportato da Hartley, The Modern Approach to Private International<br />

Law. International Litigation and Transactions from a Common-Law Perspective, in Recueil des<br />

Cours de l’Académie de droit international de La Haye, 2006, t. 319, pp. 115-16: le corti inglesi<br />

giudicarono che la scelta di un tribunale angolano, allora colonia portoghese, non fosse applicabile<br />

ad una controversia insorta dopo l’indipendenza del paese ottenuta nel 1979, ritenendo<br />

che il tribunale avesse mutato i suoi tratti essenziali. Il caso è Carvalho v. Hull Blyth<br />

Ltd., in 1 WLR, 1979, p. 1228; in All E.R., 1979, p. 280. L’A. solleva alcuni – condivisibili – dubbi<br />

sulla difficoltà di giudicare quando un tribunale sia mutato nei suoi tratti essenziali.<br />

( 55 ) Cfr. Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of Court<br />

Agreements Convention, cit., p. 48. La menzione, che al giurista italiano può apparire ridondante,<br />

di “manifest injustice” e “public policy” è giustificata dalla circostanza che taluni sistemi<br />

giuridici limitano la nozione di ordine pubblico alle situazioni che chiamano in causa un interesse<br />

pubblico, lasciando in tal modo scoperti i casi di ingiustizia concreta individuale. Smorza<br />

la portata dell’eccezione Kessedjan, La Convention de La Haye du 30 juin 2005 sur l’élection<br />

de for, cit., p. 834: “L’exception d’ordre public ne pose guère de difficulté tant elle est habituelle en<br />

droit International privé”. Sulla nozione di “ordine pubblico” v. in particolare Radicati Di<br />

Brozolo, Deroga alla giurisdizione e deroga alle norme imperative. Un conflitto fra Conflitti di<br />

Leggi e Conflitti di Giurisdizioni, in Il diritto processuale civile nell’avvicinamento giuridico in-


SAGGI 211<br />

della norma, l’eccezione deve essere interpretata in modo particolarmente<br />

restrittivo, potendosi invocare solo ove la lesione del principio tutelato sia<br />

“manifesta” ( 56 ). Con questa specificazione si vuole ricordare al giudice che<br />

il funzionamento della Convenzione dipende dalla cauta applicazione delle<br />

eccezioni ad opera dei giudici coinvolti. Si tratta di una “valvola di sfogo”<br />

comune negli strumenti internazionali che deve essere applicata in modo<br />

tale da non diminuire la fiducia degli operatori internazionali nella Convenzione,<br />

che ha nella certezza e prevedibilità dell’applicazione della clausola<br />

di scelta del foro uno dei suoi punti qualificanti.<br />

L’art. 6(e) prevede che il giudice possa esercitare la propria giurisdizione<br />

nel caso in cui “the chosen court has decided not to hear the case”. Sembrerebbe<br />

trattarsi di un’opportuna norma di chiusura tesa a evitare ipotesi di<br />

denegata giustizia. Tuttavia, più di un autore fa notare che l’eventualità di<br />

un vuoto di tutela è già compresa nell’eccezione di ordine pubblico o di manifesta<br />

ingiustizia. L’interpretazione proposta per evitare di considerare la<br />

norma superflua è che questa si attivi nel caso previsto dall’art. 5(3), cioè<br />

quando lo specifico organo giudiziario indicato nella clausola abbia trasferito<br />

la lite ad altro giudice applicando le norme interne sulla competenza ( 57 ).<br />

Tale conclusione, non priva di efficacia sul piano ermeneutico, appare però<br />

contraria allo spirito e all’effetto che la Convenzione si propone di ottenere,<br />

cioè la circolazione delle decisioni. Infatti, liberando il giudice non eletto<br />

dall’obbligo di astensione aumentano le ipotesi di possibile conflitto tra decisioni<br />

che rappresenta uno dei principali ostacoli alla circolazione dei provvedimenti<br />

giudiziari. Ad ulteriore conferma, l’art. 8(5) comprende specificamente<br />

nel novero delle decisioni che devono essere riconosciute anche<br />

quelle emesse dal giudice diverso da quello specificamente indicato dalle<br />

ternazionale – Omaggio ad Aldo Attardi, a cura di Colesanti et al., CLEUP (2009), p. 279 ss. e<br />

M. De Cristofaro, Ordine pubblico « processuale » ed enucleazione dei principi fondamentali<br />

del diritto processuale « europeo », nello stesso volume a cura di Colesanti et al., pp. 893 ss. Sussiste<br />

un collegamento tra l’eccezione in parola e il regime delle dichiarazioni ex art. 21, del<br />

quale si darà conto infra al par. 4.<br />

( 56 ) M. De Cristofaro, Ordine pubblico « processuale » ed enucleazione dei principi fondamentali<br />

del diritto processuale « europeo », cit., p. 916, parlando dell’aggiunta dell’aggettivo manifesta<br />

in seno all’art. 34 del Reg. 44/2001/CE, afferma che: “Si tratta [...]di una specificazione<br />

[...] munita di carattere prevalentemente pedagogico e suggestivo: una sorta di raccomandazione<br />

ai giudici di « ben operare », senza far troppo spesso ricorso a quella valvola di sicurezza, a<br />

quella Vorbehaltsklausel rappresentata dal contrasto con l’ordine pubblico”.<br />

( 57 ) Bucher, La Convention de La Haye sur les accords d’élection de for, cit., p. 44; Hartley<br />

e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of Court Agreements Convention,<br />

cit., pp. 48-49 e 52; Schulz, The 2005 Hague Convention on Choice of Court Clauses, cit., p. 255.


212 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

parti e individuato ai sensi dell’art. 5(3), cosicché pare preferibile interpretare<br />

la norma quale specificazione della nozione di ordine pubblico tesa ad<br />

evitare situazioni di denegata giustizia.<br />

Infine, l’art. 19 introduce un elemento di flessibilità nel sistema convenzionale<br />

poiché permette ad uno Stato contraente di dichiarare ( 58 ) che i propri<br />

giudici avranno discrezione in merito all’esercizio del potere giurisdizionale<br />

in controversie che, seppur internazionali ai sensi dell’art. 1(2), non<br />

siano legate a detto Stato se non per via della elezione in qualità di foro<br />

competente ( 59 ). La ratio della norma è quella di consentire agli Stati di proteggersi<br />

da un eventuale sovraccarico delle proprie strutture giudiziarie ad<br />

opera di litiganti stranieri, ove sia assente un interesse dello Stato indicato<br />

nella clausola di giurisdizione.<br />

3.3. – La decisione ( 60 ) emessa dal giudice eletto nella clausola esclusiva<br />

di giurisdizione è destinata a circolare in tutti gli ordinamenti aderenti alla<br />

( 58 ) Sul regime delle dichiarazioni previsto dalla Convenzione, v. infra, par. 4.<br />

( 59 ) Si tratta di un “potere” (may) e non di un “dovere” (shall). A ben vedere si compie un<br />

limitato recupero della dottrina del forum non conveniens che peraltro risulta esclusa dalla<br />

Convenzione, v. infra. Cfr. anche Talpis e Krnjevic, The Hague Convention on Choice of<br />

Court Agreements of June 30, 2005: The Elephant That Gave Birth to a Mouse, cit., pp. 20 e 32;<br />

Schulz, The 2005 Hague Convention on Choice of Court Clauses, cit., p. 259. La dottrina è concorde<br />

nel ritenere che tale previsione sia fortemente contraria ai principi di certezza e prevedibilità<br />

per le parti del contratto oggetto della clausola sulla giurisdizione, e che a maggior ragione<br />

sia poco comprensibile, in quanto colpisce la legittima aspirazione delle parti di un contratto<br />

internazionale a vedere decisa la propria controversia in un foro neutrale, cioè – per definizione<br />

– privo di contatti con la controversia. V. in particolare Kessedjan, L’élection de for –<br />

Vers une nouvelle convention de La Haye, cit., pp. 369-70.<br />

( 60 ) Si rende opportuna una specificazione del termine “decisione”: l’art. 4 statuisce che<br />

«“judgment” means any decision on the merits given by a court, whatever it may be called, including<br />

a decree or order, and a determination of costs or expenses by the court (including an officer<br />

of the court), provided that the determination relates to a decision on the merits which may be recognised<br />

or enforced under this Convention. An interim measure of protection is not a judgment ».<br />

Salvo per la specificazione che non si tratta di “judgment”, le misure provvisorie non sono in<br />

alcun modo regolate dalla Convenzione – cfr. art. 7. Questo lascia interamente aperto l’annoso<br />

problema degli ordini personali (injunctions) emanati da alcune corti, generalmente di<br />

common law, a protezione degli accordi sulla giurisdizione. Tuttavia, la decisione di escludere<br />

questo delicato settore dall’ambito della Convenzione, lungi dall’essere criticabile, era probabilmente<br />

necessaria per poter aspirare al successo delle trattative. Kessedjan, L’élection de<br />

for – Vers une nouvelle convention de La Haye, cit., p. 378, rimprovera la mancata inclusione nel<br />

regime di circolazione delle misure provvisorie emesse dal giudice competente sul merito,<br />

senza le quali “une victoire sur le fond sera bien souvent une victoire à la Pyrrhus”. Per Thiele,<br />

The Hague Convention on Choice-of-Court Agreements – was it worth the effort, cit., p. 75 e in


SAGGI 213<br />

Convenzione: si tratta del terzo pilastro del sistema dell’Aja nonché dell’effetto<br />

utile per le parti del rapporto controverso. Tutte le norme della Convenzione,<br />

anche quelle relative al momento giurisdizionale, tendono alla<br />

realizzazione dell’obiettivo di rendere possibile la circolazione della decisione<br />

tra Stati diversi. Tale circolazione si traduce nel riconoscimento del<br />

contenuto dell’accertamento giudiziario effettuato dalla sentenza e nell’esecuzione<br />

del relativo comando (di condanna). Si tratta di un risultato notevole<br />

per la parte vittoriosa del processo la quale potrà opporre le statuizioni<br />

di diritto contenute nella decisione ed eseguire la condanna nei confronti<br />

del soccombente in tutti gli Stati aderenti alla Convenzione.<br />

Il riconoscimento e l’esecuzione, i cui procedimenti seguono le regole<br />

processuali dello Stato richiesto ( 61 ), non sono automatici ma possono essere<br />

rifiutati solo sulla base dei motivi tassativi indicati dagli artt. 8 e 9. Di fondamentale<br />

importanza è il divieto di riesame del merito della questione, il<br />

quale dona stabilità all’accertamento contenuto nella sentenza straniera<br />

evitando che l’obbligo di riconoscimento venga aggirato tramite la ripetizione<br />

in questa sede dell’intero procedimento. Inoltre, a meno che la decisione<br />

sia stata emessa in contumacia, nella verifica della sussistenza della<br />

giurisdizione a quo il giudice del riconoscimento o dell’esecuzione è vincolato<br />

alle valutazioni sui fatti compiute dal giudice scelto dalle parti.<br />

Una norma del tutto condivisibile limita il riconoscimento e l’esecuzione<br />

a quelle decisioni che siano rispettivamente produttive di effetti ed eseguibili<br />

nello Stato d’origine. Di qui la facoltà per il giudice ad quem di sospendere o<br />

respingere la domanda di riconoscimento o esecuzione se nello Stato d’origine<br />

è pendente la “revisione” (impugnazione o riesame) della decisione o se<br />

non sono ancora scaduti i termini per proporre i ricorsi ordinari ( 62 ).<br />

certa misura per Bucher, La Convention de La Haye sur les accords d’élection de for, cit., p. 46,<br />

le anti-suit injunctions sono, invece, escluse per via dell’art. 6 ma tale interpretazione si scontra<br />

con la chiara formulazione dell’art. 7. È considerata, invece, un judgment anche la transazione<br />

giudiziaria, cfr. art. 12. Sull’esclusione della transazione stragiudiziale v. le critiche di<br />

Talpis e Krnjevic, The Hague Convention on Choice of Court Agreements of June 30, 2005: The<br />

Elephant That Gave Birth to a Mouse, cit., p. 31.<br />

( 61 ) L’art. 14, in modo alquanto programmatico, richiede al giudice di agire celermente.<br />

Per quanto concerne l’esecuzione della decisione straniera, Hartley e Dogauchi, Explanatory<br />

Report on the 2005 Hague Choice of Court Agreements Convention, cit., p. 37, sottolineano<br />

che il giudice dell’esecuzione, nonostante non sia obbligato a importare strumenti o istituti<br />

stranieri che non trovino un analogo nel proprio ordinamento, deve utilizzare tutti gli istituti<br />

interni disponibili in modo tale da dare la massima efficacia alla decisione straniera.<br />

( 62 ) L’art. 8(4) prevede espressamente che l’eventuale rigetto della domanda di riconoscimento<br />

o esecuzione non ha alcuna efficacia preclusiva nei confronti di una successiva do-


214 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Non è necessario, a norma degli artt. 8 e 9, che il giudice a quo abbia affermato<br />

la propria giurisdizione sulla base della Convenzione o che ciò risulti<br />

espressamente nella sua decisione. È sufficiente che sia il giudice ad<br />

quem a ritenere la Convenzione applicabile e la decisione coperta dall’accordo<br />

sulla giurisdizione, indipendentemente dal titolo che il giudice a quo<br />

ha posto alla base della sua attività.<br />

I veri e propri motivi ostativi al riconoscimento sono elencati all’art. 9 e,<br />

ancora una volta, non impediscono in modo assoluto al giudice di riconoscere<br />

o eseguire una decisione straniera, bensì si limitano a conferirgli la facoltà<br />

di rifiutare il riconoscimento ( 63 ). Taluni riflettono le eccezioni viste al paragrafo<br />

precedente, come il caso dell’accordo nullo secondo il diritto dello Stato<br />

del giudice eletto ( 64 ), la manifesta incompatibilità con l’ordine pubblico,<br />

anche processuale ( 65 ), e la mancanza della capacità delle parti di concludere<br />

l’accordo secondo il diritto dello Stato del giudice richiesto del riconoscimento<br />

( 66 ). Un’altra ipotesi riguarda la frode procedurale rappresentata dalla col-<br />

manda di riconoscimento o esecuzione della medesima decisione, una volta che mutino le<br />

circostanze (ad esempio la decisione diventi definitiva nello Stato d’origine).<br />

( 63 ) V. Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of Court Agreements<br />

Convention, cit., pp. 53 e ss.; v. anche Talpis e Krnjevic, The Hague Convention on Choice<br />

of Court Agreements of June 30, 2005: The Elephant That Gave Birth to a Mouse, cit., p. 27, i<br />

quali, inoltre, segnalano come la proposta di alcuni delegati in seno alla Conferenza dell’Aja<br />

volta ad imporre al giudice ad quem l’obbligo di rifiutare il riconoscimento alle decisioni emanate<br />

in spregio all’accordo sulla giurisdizione non sia stata poi accolta nel testo definitivo.<br />

( 64 ) Salvo che il giudice a quo nella sua decisione abbia affermato la validità della clausola,<br />

art. 9(a). Kessedjan, La Convention de La Haye du 30 juin 2005 sur l’élection de for, cit., p.<br />

839, prende una forte posizione sul punto, giudicando inutile la possibilità garantita di rifiutare<br />

il riconoscimento sulla base della nullità della clausola poiché – afferma l’A. – il giudice<br />

eletto avrà sempre, esplicitamente o implicitamente, valutato la validità della clausola. Se,<br />

però, si accetta una diversa lettura e cioè che la decisione del primo giudice, purché indicato<br />

nella clausola, circoli indipendentemente dal titolo di giurisdizione da questi posto a fondamento<br />

della propria attività, ben si può capire come mai si possa avere interesse a che il giudice<br />

del riconoscimento abbia la possibilità di conoscere della validità della clausola. La norma<br />

potrebbe, quindi, sintetizzarsi nel senso di proibire un riesame della validità quando il giudice<br />

eletto abbia emesso una decisione ritenendosi competente per via della clausola di scelta<br />

del foro (anche solo implicitamente) ma di consentirlo se tale giudice, senza preoccuparsi della<br />

clausola, decida la controversia assumendo la giurisdizione sulla base di altri profili.<br />

( 65 ) V. in generale M. De Cristofaro, Ordine pubblico « processuale » ed enucleazione dei<br />

principi fondamentali del diritto processuale « europeo », cit., passim.<br />

( 66 ) Cfr. supra nota 53. Bucher, La Convention de La Haye sur les accords d’élection de for,<br />

cit., pp. 48-49, critica fortemente il rinnovo della valutazione della capacità allo stadio del riconoscimento<br />

e dell’esecuzione, auspicando che il secondo giudice si rimetta alla valutazione<br />

operata dal primo giudice. L’A. segnala anche il pericolo che il difetto di capacità possa es-


SAGGI 215<br />

lusione di una parte con il giudice oppure da casi di grave abuso o disonestà<br />

processuale ( 67 ). Inoltre, può essere rifiutato il riconoscimento di una pronuncia<br />

ove vi siano stati vizi di notificazione dell’avvio del procedimento oppure<br />

in caso di decisione tra le stesse parti che contrasti con quella della quale<br />

si chiede la delibazione. A questo proposito la disciplina della Convenzione<br />

distingue a seconda che la decisione sia stata emessa nello Stato richiesto<br />

del riconoscimento, nel qual caso è sufficiente l’esistenza di un contrasto tra<br />

decisioni rese tra le medesime parti, indipendentemente dal criterio di prevenzione<br />

temporale e dalla causa petendi delle rispettive decisioni. Ove, invece,<br />

la sentenza appartenga ad uno Stato diverso, si richiede che questa soddisfi<br />

quattro parametri, cioè sia stata emessa anteriormente, tra le stesse parti,<br />

sulla stessa controversia e sia riconoscibile nel primo Stato.<br />

Un’ulteriore possibilità di rifiuto della domanda di riconoscimento sorge<br />

qualora il giudice a quo si sia pronunciato, anche solo incidenter tantum, su<br />

una materia esclusa dall’ambito d’applicazione della Convenzione ( 68 ). L’accertamento<br />

compiuto dal giudice a quo sulla questione preliminare, com’è<br />

naturale, non è destinato a circolare in alcun modo, vertendo su una materia<br />

esclusa dalla Convenzione stessa. La porzione della decisione che si pone in<br />

rapporto di pregiudizialità-dipendenza rispetto alla definizione della questione<br />

preliminare, invece, è soggetta ad un regime di circolazione più debo-<br />

sere utilizzato “politicamente” per giustificare il mancato riconoscimento di una decisione<br />

sfavorevole ove parte della controversia coperta dall’accordo sulla giurisdizione sia proprio lo<br />

Stato al quale si chiede il riconoscimento.<br />

( 67 ) Ciò differisce dall’ordine pubblico processuale che mira a tutelare valori riassumibili<br />

nell’espressione “giusto processo” e dipendenti più dalla struttura stessa del processo che da<br />

un comportamento deviato degli attori della vicenda concreta: la frode indica, quindi, uno<br />

scorretto uso di strumenti che, altrimenti, soddisferebbero il principio del giusto processo.<br />

Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005 Hague Choice of Court Agreements Convention,<br />

cit., p. 55 in nota, spiegano che l’inclusione della “frode procedurale” è stata motivata<br />

dalla circostanza che per alcuni paesi non si potrebbe in questo caso applicare l’eccezione<br />

dell’ordine pubblico e inoltre in alcuni paesi di common law – Regno Unito e USA su tutti –<br />

tale nozione costituisce una categoria sperimentata ed espressamente menzionata. Gli stessi<br />

Aa. riportano alcuni esempi di disonestà processuale: “Fraud is deliberate dishonesty or deliberate<br />

wrongdoing. Examples would be where the plaintiff deliberately serves the writ, or causes it<br />

to be served, on the wrong address; where the plaintiff deliberately gives the defendant wrong information<br />

as to the time and place of the hearing; or where either party seeks to corrupt a judge, juror<br />

or witness, or deliberately conceals key evidence”.<br />

( 68 ) Art. 10: “(1) Where a matter excluded under Article 2, paragraph 2, or under Article 21,<br />

arose as a preliminary question, the ruling on that question shall not be recognised or enforced under<br />

this Convention. (2) Recognition or enforcement of a judgment may be refused if, and to the extent<br />

that, the judgment was based on a ruling on a matter excluded under Article 2, paragraph 2”.


216 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

le, poiché il giudice ad quem ha il potere di rifiutarne il riconoscimento a meno<br />

che non si convinca che sarebbe giunto alla medesima conclusione applicando<br />

il proprio diritto nazionale ( 69 ); permane l’obbligo di riconoscere la<br />

parte della decisione che non sia fondata su detta questione preliminare.<br />

La materia dei diritti di proprietà intellettuale, per la parte che risulta estranea<br />

all’ambito di applicazione della Convenzione, conosce una disciplina specifica<br />

in relazione alle “questioni preliminari”. Il riconoscimento della decisione<br />

in materia può essere rifiutato solo se nello Stato nel quale è situata l’autorità<br />

legittimata a conoscere della validità del diritto di proprietà intellettuale è pendente<br />

una controversia su tale diritto o sul punto è già stata emessa una decisione<br />

incompatibile con la decisione straniera che si intende far riconoscere ( 70 ).<br />

Una soluzione di compromesso viene dettata in tema di punitive damage<br />

awards, ove si tiene conto delle forti perplessità tradizionalmente manifestate<br />

dalla comunità internazionale e si cerca di dettare una disciplina tesa ad<br />

evitare che le decisioni che assegnino tali risarcimenti siano sistematicamente<br />

bloccate mediante l’eccezione di ordine pubblico. A tal fine, l’art. 11 della<br />

Convenzione prevede che il riconoscimento di una sentenza che attribuisca<br />

anche danni non compensatori possa essere limitata al danno effettivamente<br />

subito ( 71 ). Per la parte compensatoria del risarcimento rimane il dovere<br />

del giudice ad quem di riconoscere ed eseguire la decisione. Il giudice, inol-<br />

( 69 ) La specificazione è opera di Hartley e Dogauchi, Explanatory Report on the 2005<br />

Hague Choice of Court Agreements Convention, cit., pp. 56-57. Come si può notare, si è reso necessario<br />

utilizzare categorie e istituti processuali tipicamente di civil law. Pensando alla common<br />

law, Bucher, La Convention de La Haye sur les accords d’élection de for, cit., pp. 34-35, sottolinea<br />

che la dottrina di equity dell’estoppel (che in sostanza proibisce ad un soggetto di negare<br />

ciò che è stato affermato come vero da lui stesso o da un giudice) mal si presti alla fine distinzione<br />

tra questione incidentale e questione principale tipica di civil law: questo potrebbe<br />

costituire un ostacolo all’operatività della norma in esame e segna nuovamente la difficoltà di<br />

dettare regole uniformi che valgano per sistemi eterogenei.<br />

( 70 ) Ove il giudizio sulla validità sia solo pendente, il riconoscimento e l’esecuzione della<br />

decisione straniera possono essere sospesi per attenderne l’esito, art. 10(3).<br />

( 71 ) Art. 11. Kessedjan, L’élection de for – Vers une nouvelle convention de La Haye, cit., pp.<br />

378-79, critica questa norma: “Si les parties se sont mises d’accord pour donner compétence à un<br />

tribunal qui a le pouvoir d’accorder des dommages et intérêts punitifs ou triples, pourquoi ne pas<br />

donner effet à ces décision Pourquoi vouloir protéger les parties (ou au moins l’une d’entre elles)<br />

contre elles-mêmes N’est-il pas suffisant de réserver l’ordre public de l’Etat requis”. Ma si leggano<br />

le considerazioni di Hartley, Rapporteur della Convezione, The Hague Choice of Court<br />

Convention, cit., p. 415: “the question of punitive damages, a commonplace in the USA but generally<br />

rejected in Europe, almost destroyed the Convention”. V. anche Lowenfeld, Thoughts<br />

about a Multinational Judgments Convention: A Reaction to the von Mehren Report, cit., pp. 293<br />

ss. La norma era stata originariamente ideata da von Mehren in occasione del progetto di


SAGGI 217<br />

tre, dovrà anche tenere in considerazione la circostanza che la parte “punitiva”<br />

sia destinata a coprire i costi e le spese legali del giudizio a quo, riconoscendo<br />

tale porzione. Resta, ovviamente, l’oggettiva difficoltà di “discriminare”<br />

le varie componenti del risarcimento, specialmente laddove il giudice<br />

che ha emesso la decisione non le abbia chiaramente identificate ( 72 ).<br />

Le parti hanno in ogni caso il potere di chiedere il riconoscimento parziale<br />

della decisione straniera, specialmente se solo alcune delle statuizioni<br />

contenute sono riconoscibili ai sensi della Convenzione ( 73 ).<br />

Infine, l’art. 20, in modo simile a quanto visto supra per l’art. 19, consente<br />

ad uno Stato contraente di dichiarare che, ove la controversia sia tutta<br />

interna ( 74 ) a detto Stato, i propri giudici avranno il potere di rifiutare il riconoscimento<br />

delle decisioni straniere anche ove siano state emesse dal giudice<br />

straniero indicato nella clausola sulla giurisdizione ( 75 ).<br />

Convenzione bilaterale USA/UK al quale ho fatto riferimento in apertura del presente scritto,<br />

supra nota 2.<br />

( 72 ) Secondo l’art. 17(2)(b) della Convenzione, la limitazione relativa ai danni punitivi<br />

non opera nei confronti dei contratti di assicurazione o riassicurazione nei quali la copertura<br />

sia estesa a tale tipologia di danni.<br />

( 73 ) Art. 15. Si pensi ad una sentenza che statuisca sulla validità di un marchio e che parallelamente<br />

commini un risarcimento sulla base di un contratto: solo la seconda parte godrà del<br />

regime di circolazione della Convenzione.<br />

( 74 ) “Interna” nel senso descritto supra al par. 2.1, con riferimento alla localizzazione della<br />

residenza delle parti, della relazione contrattuale e di tutti gli altri elementi rilevanti in un<br />

singolo Stato.<br />

( 75 ) Anche qui si tratta di un potere e non di un obbligo. Di fatto, si riequilibra lo scenario<br />

con quanto previsto dall’art. 1(2) facendo coincidere la categoria delle decisioni considerate<br />

“internazionali” al momento dell’esercizio della giurisdizione e quella delle decisioni “internazionali”<br />

ai fini del riconoscimento, con il limite, però, che la dichiarazione ex art. 20 non<br />

permette al giudice di rifiutare il riconoscimento di una decisione in base alla circostanza che<br />

una controversia sia sì “interna” ma ad un altro Stato diverso dal proprio. Talpis e Krnjevic,<br />

The Hague Convention on Choice of Court Agreements of June 30, 2005: The Elephant That Gave<br />

Birth to a Mouse, cit., pp. 8 e 32-33, s’interrogano anche sul fattore “tempo” circa la valutazione<br />

della sussistenza della connessione con uno Stato “esterno”. Qual è il momento rilevante,<br />

quello della stipula della clausola, o quello della proposizione della domanda giudiziale È<br />

sufficiente che il requisito sussista in uno dei due momenti, o è necessario che sia presente in<br />

entrambi Kessedjan, L’élection de for – Vers une nouvelle convention de La Haye, cit., p. 369,<br />

ritiene sufficiente che sussista al momento della conclusione dell’accordo poiché “[c]’est en effet<br />

à ce moment là que les parties ne dovient pas pouvoir évincer ces impératifs éventuels. Peu importe<br />

ensuite que la situation soit redevenue interne”. Di diverso avviso Bucher, La Convention<br />

de La Haye sur les accords d’élection de for, cit., p. 31, “on a sagement décidé de ne rien dire, la<br />

question étant laissée au droit national” aggiungendo “C’est une parfaite illustration du prix à<br />

payer pour aboutir par la voie du consensus”.


218 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

4. – Un tema non privo di problematicità è la facoltà attribuita dalla<br />

Convenzione agli Stati di effettuare delle dichiarazioni in relazione a determinate<br />

questioni, cui seguono effetti prestabiliti dalla Convenzione stessa.<br />

Abbiamo già fatto cenno delle dichiarazioni previste dagli artt. 19 e 20 relative<br />

al collegamento tra giudice e causa e all’internazionalità della controversia,<br />

nonché dall’art. 22 sulle clausole di scelta del foro non-esclusive ( 76 ).<br />

Il tema merita qualche cenno ulteriore.<br />

Di portata estremamente delicata sono le dichiarazioni previste dall’art.<br />

21 che permettono ad uno Stato di escludere dall’ambito di applicazione<br />

della Convenzione le materie nelle quali abbia un forte interesse (strong interest)<br />

( 77 ). Certamente l’art. 21 è una norma preziosa che ha consentito, in<br />

sede di elaborazione del testo, di non allungare eccessivamente l’elenco<br />

delle esclusioni previste dall’art. 2, garantendo allo stesso tempo autonomia<br />

a ciascuno Stato nell’individuazione delle materie che non intende in<br />

alcun modo sottrarre alla propria giurisdizione. Si evita, così, che uno Stato<br />

rinunci ad aderire alla Convenzione solo per tutelare un settore specifico.<br />

Al tempo stesso, però, la facoltà concessa agli Stati è idonea a ridurre,<br />

anche drasticamente, l’ambito di applicazione della disciplina convenzionale,<br />

di minare la prevedibilità per le parti che operano nel già incerto mondo<br />

delle relazioni internazionali ed infine di disincentivare l’adesione internazionale<br />

di altri Stati alla Convenzione sulla base di una valutazione di<br />

scarsa “serietà” degli altri contraenti ( 78 ).<br />

( 76 ) Quest’ultima è l’unico tipo di dichiarazione dotata di forza espansiva rispetto all’ambito<br />

di applicazione della Convenzione. In tutti e tre i casi appena ricordati – e particolarmente<br />

per gli artt. 19 e 20 – si tratta di meccanismi i cui effetti sono previsti in modo dettagliato dal<br />

testo della Convenzione. La portata negativa, in termini di funzionamento del sistema complessivo,<br />

non va al di là di quanto già bilanciato in occasione della redazione del testo. Diversamente<br />

la disciplina prevista per le dichiarazioni che vedremo tra poco permette un’ampia e<br />

pericolosa libertà d’azione agli Stati.<br />

( 77 ) Il meccanismo previsto dalla Convenzione dell’Aja ricorda quello previsto in via ordinaria<br />

dalla Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei Trattati, il quale non è stato<br />

espressamente escluso ed è quindi astrattamente utilizzabile da parte degli Stati. Quest’ultimo<br />

sistema consente ad uno Stato di limitare l’efficacia di un trattato mediante l’adozione di<br />

riserve in sede di ratifica o tramite comunicazioni successive. D’altro canto, le norme sulle dichiarazioni<br />

contenute nella Convenzione dell’Aja hanno il pregio di garantire la flessibilità<br />

del testo normativo, limitando però l’oggetto e gli effetti delle riserve stesse a quanto specificamente<br />

previsto dalle norme in questione.<br />

( 78 ) Woodward, Saving the Hague Choice of Court Convention, cit., pp. 667 e ss., il quale,<br />

inoltre, sottolinea come la Convenzione sia già di difficile attuazione uniforme negli Stati<br />

Uniti a fronte di una legislazione e di una prassi giurisprudenziale che per la maggior parte sono<br />

di livello statale e che lasciano disorientati anche i commercianti più avveduti. Questo po-


SAGGI 219<br />

La consapevolezza di tale portata negativa ha indotto i redattori della<br />

Convenzione a prendere alcune precauzioni. Innanzitutto, lo stesso art. 21<br />

prescrive che la riserva deve essere delineata in modo chiaro e preciso e non<br />

deve essere più ampia del necessario. Inoltre, si impone un sistema di trasparenza<br />

delle dichiarazioni, cui si aggiunge il differimento dell’entrata in<br />

vigore delle esclusioni formulate dopo la ratifica della Convenzione per tre<br />

mesi dalla notificazione della riserva. Infine, con maggiore efficacia deterrente,<br />

viene stabilito il principio di reciprocità dell’esclusione: nelle materie<br />

specificate lo Stato “riservante” non sarà vincolato al rispetto delle clausole<br />

di deroga della propria giurisdizione ma ogni altro Stato, nelle stesse materie,<br />

sarà sciolto dall’obbligo di applicare la Convenzione ad eventuali indicazioni<br />

pattizie a favore della giurisdizione dello Stato riservante nonché alle<br />

conseguenti decisioni giudiziarie ( 79 ).<br />

La disciplina appena delineata si pone in relazione con la clausola di<br />

“public policy” che permette, in casi specifici, di non dare esecuzione all’accordo<br />

sulla giurisdizione o di non riconoscere la sentenza ove vi sia contrarietà<br />

all’ordine pubblico dello Stato. Tra strong interest (art. 21) e public policy<br />

(art. 6 e 9) non corre una gran differenza. L’utilizzazione dell’uno o dell’altro<br />

strumento, che richiede correttezza (e comity) da parte degli Stati, dipende<br />

dall’ampiezza e sistematicità dell’esclusione. La clausola di ordine<br />

pubblico dovrebbe essere destinata a ipotesi eccezionali in cui si realizzi<br />

una (imprevedibile) inconciliabilità della fattispecie concreta con i valori<br />

dello Stato al quale è chiesto il riconoscimento. Viceversa, ove tale contrasto<br />

sia di carattere sistemico in quanto, per gli interessi coinvolti, uno Stato<br />

tende a proteggere una determinata categoria di controversie, la strada da<br />

percorrere dovrebbe essere quella della dichiarazione ex art. 21, la quale,<br />

benché più onerosa, assicura quella reciprocità nei confronti degli altri Stati<br />

che qualcuno ha definito “the bedrock for the entire Convention” ( 80 ).<br />

trebbe costituire un disincentivo per gli altri Stati, senza bisogno di aggiungervi anche delle<br />

“dichiarazioni”. Così anche Juenger, A Hague Judgments Convention, cit., p. 117 ss.<br />

( 79 ) Teitz, The Hague Choice of Court Convention: Validating Party Autonomy and Providing<br />

an Alternative to Arbitration, cit., p. 553: “states are paying a price for the decision to remove<br />

an area from the scope of the Convention”.<br />

( 80 ) Woodward, Saving the Hague Choice of Court Convention, cit., p. 712. V. anche ivi, p.<br />

705 ss. Teitz, The Hague Choice of Court Convention: Validating Party Autonomy and Providing<br />

an Alternative to Arbitration, cit., p. 553: “article 21 does perhaps provide a more predictable and<br />

transparent use of public policy”. Non si nasconde la difficoltà di ricondurre nell’ambito delle<br />

dichiarazioni ex art. 21 alcune categorie di contratti in relazione alle qualità soggettive delle<br />

parti (es. contratti dei consumatori), quando la norma si riferisce testualmente a “specific matter”.<br />

Vale la pena di segnalare, in conclusione, che l’art. 10(4) estende la disciplina vista supra


220 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

In attesa della ratifica della Convenzione da parte degli Stati si è tentato<br />

di indicare quali saranno alcune delle probabili o possibili dichiarazioni ex<br />

art. 21. A tal proposito si è soliti menzionare il Canada relativamente alle<br />

questioni legate al commercio dell’amianto, materiale del quale il paese è<br />

tutt’ora produttore e esportatore ( 81 ). L’Unione Europea, come già accennato,<br />

potrebbe mostrare un interesse ad estendere la nozione di consumatore<br />

e ad escludere i contratti di assicurazione ( 82 ). Per gli Stati Uniti si prospetta<br />

la possibilità di escludere i contratti di franchising e i c.d. “mass-market cases”<br />

( 83 ) (principalmente a cagione della forte difformità di orientamento tra<br />

i singoli Stati dell’Unione) ( 84 ). La Cina, secondo un commentatore, potreb-<br />

al par. 3.3 all’ipotesi in cui il giudice a quo abbia dovuto definire in via preliminare una questione<br />

che sia stata oggetto di una dichiarazione ex art. 21 da parte dello Stato a quo o dello<br />

Stato ad quem: “Recognition or enforcement of a judgment may be refused if, and to the extent<br />

that, the judgment was based on a ruling on a matter excluded pursuant to a declaration made by<br />

the requested State under Article 21”.<br />

( 81 ) Teitz, The Hague Choice of Court Convention: Validating Party Autonomy and Providing<br />

an Alternative to Arbitration, cit., p. 553, nota 43; Bucher, La Convention de La Haye sur<br />

les accords d’élection de for, cit., p. 45; Fairley e Archibald, After the Hague: Some Thoughts<br />

on the Impact of Canadian Law of the Convention on Choice of Court Agreements, in 12 ILSA J.<br />

Int’l & Comp. L., 2005-2006, p. 430. L’introduzione della norma in questione deriva proprio<br />

dall’iniziativa della delegazione canadese preoccupata di evitare il riconoscimento delle decisioni<br />

statunitensi in materia di danni da asbesto.<br />

( 82 ) Escluse, naturalmente, le assicurazioni dei c.d. “grandi rischi”, cfr. art. 14 del Reg.<br />

44/2001. L’art. 26 del Regolamento disciplina il rapporto della Convenzione dell’Aja con altri<br />

strumenti internazionali regionali – in particolare con il sistema di Bruxelles I – secondo quella<br />

che viene definita “clause de deconnexion”, cfr. Borràs, Le droit international privé communautaire:<br />

réalités, problèmes et perspectives d’avenir, in Recueil des Cours de l’Académie de droit<br />

international de La Haye, t. 317, 2005, p. 490 ss. V. anche Bucher, La Convention de La Haye sur<br />

les accords d’élection de for, cit., p. 54 ss. In sostanza la Convenzione dell’Aja prevale qualora<br />

almeno una delle parti del rapporto sia un soggetto residente in uno Stato contraente della<br />

Convenzione ma non membro dell’Organizzazione Regionale d’Integrazione Economica<br />

(cioè della UE, in questo caso). Le regole sulla circolazione delle sentenze dettate dallo strumento<br />

regionale – reputate migliorative – prevalgono su quelle della Convenzione nei rapporti<br />

tra gli Stati membri dell’Organizzazione Regionale.<br />

( 83 ) Woodward, Saving the Hague Choice of Court Convention, cit., pp. 687 ss., li descrive<br />

come quei contratti collegati alla distribuzione di massa di beni e servizi, indipendentemente<br />

dalla destinazione data dall’acquirente: in molti di questi casi – spesso conclusi tramite<br />

moduli o formulari – si potrebbe attuare una grave violazione della “public policy statunitense”<br />

allorquando attraverso la scelta del foro si negasse agli acquirenti la possibilità di<br />

ricorrere alla “class action”, specialmente ove si trattasse di “small claims” che rappresentassero<br />

una piccola perdita individuale per l’acquirente ma un cospicuo guadagno complessivo<br />

per il venditore.<br />

( 84 ) Woodward, Saving the Hague Choice of Court Convention, cit., p. 678 ss.


SAGGI 221<br />

be riservare la giurisdizione esclusiva dei propri tribunali nelle ipotesi di<br />

joint-venture che coinvolgono una parte cinese e in caso l’oggetto della lite riguardi<br />

operazioni portuali, successioni o real estate ( 85 ). Non manca, poi, chi<br />

pronostica una dichiarazione di Cina, Russia e Australia volta ad escludere<br />

dall’ambito della Convenzione l’intero settore della proprietà intellettuale<br />

per evitare l’applicazione di discipline straniere più restrittive ( 86 ).<br />

5. – Se l’attenzione dell’osservatore si rivolge alle non poche esclusioni<br />

ed eccezioni previste dal documento convenzionale, più di una perplessità<br />

può essere sollevata circa le reali potenzialità della Convenzione e le possibilità<br />

di un suo successo ( 87 ). Le ombre non mancano, a partire dalle dichiarazioni<br />

ex art. 21 e dalle eccezioni di ordine pubblico, come pure dalle prospettive<br />

di riesame in sede di riconoscimento della decisione resa dal foro<br />

contrattuale. Pesa anche, per quanto fosse poco realistico immaginare un<br />

possibile accordo, la mancanza di regole in tema di litispendenza e di misure<br />

cautelari (pensando specialmente alle injunction anglo-americane).<br />

Al tempo stesso, però, va apprezzata l’intuizione dei redattori di concentrare<br />

il loro impegno, e con ciò l’oggetto della Convenzione, alle clausole<br />

sulla giurisdizione rendendo così possibile concludere in modo positivo<br />

le lunghe trattative dell’Aja con uno strumento che ha tutte le caratteristiche<br />

per essere utile agli operatori del commercio internazionale ( 88 ).<br />

La Convenzione interviene sul delicato momento dell’esercizio del po-<br />

( 85 ) Guangjian, The Hague Choice of Court Convention – A Chinese Perspective, cit., p. 353<br />

ss. Le ultime due esclusioni paiono già comprese nell’art. 2(2) della Convenzione, lett. (d) e<br />

(l). L’A., a seguito della sua analisi, auspica la ratifica cinese.<br />

( 86 ) Estendendo l’art. 2(2)(n) e (o). Cfr. Bucher, La Convention de La Haye sur les accords<br />

d’élection de for, cit., p. 34.<br />

( 87 ) Talpis e Krnjevic, The Hague Convention on Choice of Court Agreements of June 30,<br />

2005: The Elephant That Gave Birth to a Mouse, cit., p. 33 ss. “The end result is that there is too<br />

much room for domestic policies and domestic law which limit the Convention’s ability to attain<br />

its objective of uniformity of treatment ... the end product is simply not an instrument that will<br />

create transnational law. Furthermore, permitting frequent recourse to conflict of laws rules . . . is<br />

simply too long and complex for the narrow subject of choice of court agreements”.<br />

( 88 ) Schulz, The 2005 Hague Convention on Choice of Court Clauses, cit., p. 269: “what initially<br />

seemed to be a small step as compared to the more ambitious general Convention, may soon<br />

become a major milestone of international civil procedure”. Bucher, La Convention de La Haye<br />

sur les accords d’élection de for, cit., p. 61 ss. Ma Adler e Zarychta, The Hague Convention on<br />

Choice of Court Agreements: The United states Joins the Enforcement Band, in 27 Nw. J. Int’l L.<br />

& B., 2006-2007, p. 2, leggono la Convenzione come “a great leap forward for the protected few<br />

[cioè la comunità del commercio internazionale], and in another sense, an admission of failure<br />

for a larger international initiative”.


222 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

tere giurisdizionale al fine di evitare quella fioritura di giudizi paralleli che<br />

sono il frutto del forum shopping e che costituisce uno degli ostacoli principali<br />

alla spendibilità in terra straniera del giudicato ottenuto nel foro eletto.<br />

Il testo è meno vago e compromissorio di quanto potrebbe sembrare e,<br />

inoltre, “it makes litigation a more viable alternative to arbitration because it<br />

ensures the enforcement of forum selection clauses just like the New York Convention<br />

guarantees the enforcement of arbitration clauses” ed anche questo<br />

costituisce indubbiamente un importante risultato che non deve essere sottovalutato<br />

( 89 ).<br />

Certamente, il destino del sistema dipende largamente dal numero e<br />

dal peso delle adesioni che saprà trovare a livello internazionale. Al momento<br />

attuale non si registra una “corsa” per entrare nel sistema ma la firma<br />

di due grandi protagonisti della scena mondiale come gli Stati Uniti e l’Unione<br />

Europea ( 90 ) pare di buon auspicio.<br />

( 89 ) Teitz, The Hague Choice of Court Convention: Validating Party Autonomy and Providing<br />

an Alternative to Arbitration, cit., p. 556, la quale, inoltre, afferma che la Convenzione<br />

“addresses a real need and helps facilitating global transactions” e “[ . . .It] can be understood as<br />

a contract drafting tool” per gli operatori del commercio internazionale.<br />

( 90 ) A leggere la comunicazione inviata a Parlamento, Consiglio, Comitato Socio-economico<br />

e Comitato delle Regioni del 20 aprile 2010, COM(2010) 171, sull’implementazione del<br />

programma di Stoccolma, la Commissione dovrebbe proporre la ratifica della Convenzione<br />

nel 2012 (il documento è disponibile su http://ec.europa.eu/justice_home/news/intro/news_intro_en.htm<br />

– ultimo accesso 24 aprile 2010).


CHRISTIAN NOTDURFTER – SILVIA PETRUZZINO<br />

Luogo di consegna e relativo accordo delle parti nell’ambito<br />

del foro comunitario del contratto<br />

Sommario: 1. Premessa. – 2. La nozione di « luogo di consegna »: dal criterio di individuazione<br />

« conflittuale-analitico » a quello « pragmatico-fattuale ». – 3. Il luogo di consegna<br />

in assenza di accordo. – 4. L’accordo sul luogo di consegna: la rilevanza della volontà<br />

delle parti. – 5. Segue: La dizione « salvo diversa convenzione » ed il concetto di « accordo<br />

astratto » quale limite alla volontà delle parti. – 6. L’accordo espresso ed il valore<br />

degli Incoterms e delle clausole simili. – 7. L’accordo implicito ed i dubbi sulla relativa<br />

ammissibilità. – 8. Conclusioni.<br />

1. – Il foro comunitario del contratto di cui all’art. 5, n. 1, del regolamento<br />

CE 44/2001 (cd. regolamento Bruxelles I) ( 1 ) è – fra i fori speciali – quello<br />

più rilevante, da un punto di vista pratico, per la materia trattata, ma anche<br />

più controverso, da un punto di vista interpretativo, per i numerosi dubbi<br />

suscitati sia in dottrina ( 2 ) sia in giurisprudenza ( 3 ). Alcune recenti pronun-<br />

( 1 ) Regolamento CE 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000, concernente la competenza<br />

giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale,<br />

in G.U.C.E., L 12, 16 gennaio 2001, p. 1. Per un commento al regolamento si rinvia<br />

a Magnus e Mankowski, Brussels I Regulation, Monaco di Baviera, 2007; Mosconi e Campiglio,<br />

Diritto internazionale e processuale, parte generale e processuale, Torino, 2010, pp. 47 ss. e<br />

278 ss.; Briggs e Rees, Civil Jurisdiction and Judgments, Londra, 2009; Carbone, Lo spazio<br />

giudiziario europeo in materia civile e commerciale. Da Bruxelles I al regolamento CE n.<br />

805/2004, Torino, 2009.<br />

( 2 ) Per una ricostruzione dell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale del forum destinatae<br />

solutionis cfr. l’analisi di De Franceschi, Il locus destinatae solutionis nella disciplina<br />

comunitaria della competenza giurisdizionale, in questa rivista, 2008, p. 637 ss.; Campeis e De<br />

Pauli, Luogo di adempimento del contratto come titolo di giurisdizione « europea » fra Conv.<br />

Bruxelles e Reg. n. 44/2001, in Nuova giur. civ., 2003, p. 237 ss.; Broggini, Il forum destinatae<br />

solutionis: passato, presente, futuro, in Riv. dir. int. priv. proc., 2000, p. 15 ss.<br />

( 3 ) Cfr., in particolare, Cass., sez. un., 20 giugno 2007, nn. 14299-14300, cit.; Cass., sez. un.,<br />

27 settembre 2006, n. 20887; Cass., sez. un., 18 ottobre 2002, n. 14837, in Nuova giur. civ., 2003,<br />

p. 230 ss.; Trib. Padova, 10 febbraio 2004; Trib. Bolzano, 18 settembre 2006; Trib. Rovereto, 28<br />

agosto 2004, in Giur. it., 2005, p. 1009 ss., con nota di Poggio, Vendita internazionale di beni e<br />

foro speciale contrattuale ai sensi del Regolamento CE 44/2001 del Consiglio dell’Unione Europea;<br />

Trib. Brescia, 28 dicembre 2004, in Int.’l Lis, 2005, p. 131, con nota contraria di Silvestri,<br />

L’interpretazione del « luogo di consegna » ai sensi del novellato art. 5, n. 1, lett. b) Reg. 44/2001:<br />

qualche osservazione sui limiti del criterio fattuale.


224 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

ce emesse, rispettivamente, dalla Corte di Giustizia ( 4 ), dalla Corte di Cassazione<br />

( 5 )e dal Bundesgerichtshof ( 6 ), offrono l’occasione per riflettere sulla<br />

chiave interpretativa della suindicata norma, inaugurata con la sentenza<br />

Color Drack ( 7 ).<br />

Come di seguito esaminato, l’attuale orientamento giurisprudenziale<br />

risolve, da un lato, alcuni dubbi relativi alla disciplina del forum contractus e<br />

pone, dall’altro, nuovi interrogativi.<br />

Il presente lavoro intende analizzare il funzionamento del forum destinatae<br />

solutionis nei contratti di compravendita alla luce della recente<br />

giurisprudenza, focalizzandosi, in particolare, sui criteri di determinazione<br />

del luogo di consegna, sia in assenza sia in presenza di una (asserita)<br />

determinazione convenzionale delle parti ed approfondendo, nella seconda<br />

ipotesi, le modalità di manifestazione della volontà e le relative criticità.<br />

2. – La Convenzione di Bruxelles ( 8 ) non conteneva una definizione autonoma<br />

di luogo di adempimento dell’obbligazione dedotta in giudizio in<br />

materia contrattuale.<br />

La Corte di Giustizia, da parte sua, non aveva fornito tale definizione ( 9 ),<br />

accogliendo una nozione giuridica secondo il metodo cd. « conflittuale-ana-<br />

( 4 ) Corte UE, 25 febbraio 2010, causa C-381/08, Car Trim GmbH c. KeySafety Systems Srl e<br />

Corte UE, 11 marzo 2010, causa C-19/09, Wood Floor Solutions Andreas Domberger GmbH c.<br />

Silva Trade SA, in Riv. dir. int. priv. proc., 2010, rispettivamente pp. 792 ss. e 812 ss.<br />

( 5 ) Cass., sez. un., 5 ottobre 2009, n. 21191, Cirio dal Monte Spa c. Kaufland Warenhandel<br />

GmbH & Co. KG Sas.<br />

( 6 ) BGH, 23 giugno 2010, VIII ZR 135/08, in EuLF, 2010, p. II-63.<br />

( 7 ) Corte CE, 3 maggio 2007, causa C-386/05, Color Drack GmbH c. Lexx International Vertriebs<br />

GmbH, in Riv. dir. int. priv. proc., 2008, p. 249 ss. In senso conforme cfr. Corte UE, 23<br />

aprile 2009, causa C-533/07, Falco Privatstiftung e Thomas Rabitsch c. Weller-Lindhorst, in Riv.<br />

dir. int. priv. proc., 2009, p. 761 e Corte UE, 9 luglio 2009, causa C-204/08, Peter Rehder c. Air<br />

Baltic Corporation, in Riv. dir. int. priv. proc., 2009, p. 1025.<br />

( 8 ) Cfr. art. 5, n. 1, della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre del 1968, concernente<br />

la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia<br />

civile e commerciale, in G.U.C.E., C 27, 26 gennaio 1998, p. 1.<br />

( 9 ) Sull’opportunità dell’interpretazione autonoma cfr. Lupoi, Il luogo dell’esecuzione del<br />

contratto come criterio di collegamento giurisdizionale, Milano, 1978, pp. 168 ss. e 231 ss., nonché<br />

De Cristofaro, Il foro delle obbligazioni: profili di competenza e di giurisdizione, Torino,<br />

1999, p. 373 ss. In giurisprudenza, prima della sentenza Tessili (citata alla nota successiva) si<br />

erano pronunciati per l’interpretazione autonoma, per esempio, l’OLG Oldenburg, 14 novembre<br />

1975, in NJW, 1976, p. 1043 e la Cour d’Appel de Paris, 14 giugno 1975, in Rev. crit. dr.<br />

int. priv., 1976, p. 117.


SAGGI 225<br />

litico », inaugurato dalle due storiche sentenze Tessili ( 10 ) e De Bloos ( 11 ), in<br />

base al quale il giudice investito della causa doveva determinare – conformemente<br />

alle proprie regole di diritto internazionale privato – la legge applicabile<br />

al rapporto in questione e verificare, alla luce di tale legge, il luogo di<br />

adempimento dell’obbligazione caratteristica che si assumeva essere inadempiuta.<br />

Tale criterio – che continua, peraltro, ad applicarsi con riferimento all’art.<br />

5, n. 1, lett. a), del regolamento Bruxelles I, come recentemente chiarito<br />

dalla Corte nella sentenza Falco ( 12 ) – ha dato luogo a numerose critiche e<br />

problemi applicativi ( 13 ) che hanno spinto alla parziale riforma della discipli-<br />

( 10 ) Corte CE, 6 ottobre 1976, causa C-12/76, Industrie Tessili <strong>Italia</strong>na Como c. Dunlop AG,<br />

in Racc., 1976, p. 1473 ss. Tale orientamento è stato ribadito dalla Corte nella sentenza del 27<br />

giugno 1994, causa C-288/92, Custom Made Commercial Ltd. c. Stawa Metallbau GmbH, in<br />

Riv. dir. int. priv. proc., 1994, p. 675, contrariamente alle conclusioni dell’avvocato generale<br />

Lenz che auspicava, invece, l’accoglimento di una nozione autonoma di luogo di adempimento.<br />

In particolare, l’avvocato generale Lenz, nelle citate conclusioni (in Racc., 1976, I, p.<br />

2918 ss.), valorizzando la Relazione Jenard alla Convenzione di Bruxelles, secondo cui il fondamento<br />

dei fori speciali si individuava nella « stretta correlazione tra la controversia ed il giudice<br />

competente a conoscerla » ed osservando che il luogo di adempimento individuato tramite<br />

la lex causae determinava per lo più solo la ripartizione dei rischi e degli oneri collegati<br />

con il trasferimento di denaro, riteneva possibile enucleare il concetto di forum solutionis che<br />

si giustificasse in base a « ragioni processuali di vicinanza fisica ».<br />

( 11 ) Corte CE, 6 ottobre 1976, causa C-14/76, A. De Bloos Sprl c. Société en commandite par<br />

actions Bouyer, in Racc., 1976, p. 1497. In tale pronuncia, la Corte ha precisato che ai fini dell’applicazione<br />

dell’art. 5, n. 1, della Convenzione di Bruxelles bisognava considerare non<br />

qualsiasi obbligazione derivante dal rapporto controverso, ma la specifica obbligazione « che<br />

serve di base all’azione giudiziaria », quella cioè « corrispondente al diritto su cui si impernia<br />

l’azione dell’attore ».<br />

( 12 ) Cfr. il dispositivo della sentenza Corte UE, 23 aprile 2009, causa C-533/07, Falco Privatstiftung<br />

e Thomas Rabitsch c. Gisela Weller-Lindhorst, cit.<br />

( 13 ) Il rinvio alla lex causae si poneva, innanzitutto, in contrasto con il principio, accolto<br />

dalla stessa Corte di Giustizia (cfr., ex multis, Corte CE, Custom Made Commercial Ltd. c.<br />

Stawa Metallbau GmbH, cit., punto 20), secondo cui la pronuncia sulla competenza non<br />

avrebbe dovuto richiedere l’esame del merito. Determinava, inoltre, un conflitto con l’obiettivo<br />

di certezza e prevedibilità che doveva essere perseguito dalle norme attributive di competenza.<br />

Tale metodo presupponeva, infatti, che il giudice investito della controversia svolgesse<br />

analisi complesse difficilmente prevedibili dalle parti. Il giudice doveva, in primis, qualificare<br />

l’obbligazione contrattuale dedotta in giudizio dall’attore. Nel caso in cui fossero state<br />

dedotte più obbligazioni, la competenza giurisdizionale doveva essere determinata con riferimento<br />

al luogo di esecuzione dell’obbligazione principale (in tal senso Corte CE, 15 gennaio<br />

1987, causa 266/85, Shenavai, in Racc., 1987, p. 239, punto 19). Il giudice doveva, poi, individuare<br />

la legge applicabile all’obbligazione dedotta in giudizio e stabilire, da ultimo, il luogo<br />

di esecuzione dell’obbligazione contrattuale controversa. La competenza giurisdizionale


226 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

na, introducendo, nel regolamento Bruxelles I, l’art. 5, n. 1, lett. b) ( 14 ), contenente<br />

un titolo di giurisdizione per due tipologie di contratti nominati: la<br />

compravendita di beni e la prestazione di servizi.<br />

Con specifico riferimento ai contratti di compravendita di beni ( 15 ), la<br />

suindicata norma dispone che il luogo di esecuzione dell’obbligazione dedotta<br />

in giudizio è, « salvo diversa convenzione », quello « situato in uno<br />

Stato membro, in cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati<br />

in base al contratto ».<br />

La Relazione della Commissione sulla proposta di regolamento Bruxelles<br />

I ( 16 ) ha espressamente affermato che, al fine di risolvere gli inconvenienti<br />

applicativi generati dal metodo conflittuale-analitico, la nuova regola<br />

definisce in modo autonomo il luogo di adempimento per i contratti di<br />

compravendita, in base ad un criterio cd. « pragmatico-fattuale », che si applica<br />

a prescindere dalla natura della obbligazione controversa ed anche<br />

qualora questa sia costituita dal mancato pagamento del corrispettivo contrattuale<br />

e quando la domanda riguardi più obbligazioni.<br />

così determinata poteva, peraltro, risultare priva di alcun rapporto di prossimità con la controversia.<br />

Il metodo conflittuale-analitico comportava, infine, il rischio che i giudici di Stati diversi<br />

individuassero, rispetto a fattispecie identiche, luoghi di esecuzione dell’obbligazione<br />

dedotta in giudizio totalmente divergenti, così da generare il cd. forum shopping. Su tale ultimo<br />

aspetto cfr., in dottrina, Graffi, Spunti in tema di vendita internazionale e forum shopping,<br />

in Dir. comm. int., 2003, p. 821 ss. Cfr., inoltre, le critiche di Franzina, La giurisdizione in materia<br />

contrattuale: l’art. 5 n. 1 del Regolamento n. 44/2001/CE nella prospettiva della armonia<br />

delle decisioni, Padova, 2006, p. 27 ss.; Lupoi, Il « nuovo » foro per le controversie contrattuali, in<br />

Riv. trim. dir. e proc. civ., 2007, p. 500, e Mari, Il luogo di esecuzione dell’obbligazione tra convenzione<br />

di Bruxelles e convenzione di Roma: uguaglianza o uniformità, in Jus, 1990, p. 85 ss.<br />

( 14 ) Per un commento alle novità introdotte dal regolamento Bruxelles I cfr. Ancel, The<br />

Brussels I regulation: comment, in YPIL, 2001, p. 108; Stadler, From the Brussels convention to<br />

regulation 44/2001: cornerstones of a European law of civil procedure, in Comm. Market Law<br />

Rev., 2005, p. 1648 ss.; Stoffel, Place of performance – jurisdiction and plaintiff’s interests in<br />

contemporary society, in Eur. J. L. Reform, 2002, p. 193 ss.<br />

( 15 ) Sulla distinzione tra contratti di compravendita di beni e contratti di prestazione di<br />

servizi si rinvia in dottrina all’analisi di Franzina, Struttura e funzionamento del foro europeo<br />

della materia contrattuale alla luce delle sentenze Car Trim e Wood Floor della Corte di Giustizia,<br />

in Riv. dir. int. priv. e proc., 2010, p. 658 ss.; Marino, Il foro del contratto nella recente giurisprudenza<br />

comunitaria, in questa rivista, 2010, p. 626 ss.; Metzger, Zum Erfüllungsortgerichtsstand<br />

bei Kauf- und Dienstleistungsverträgen gemäß der EuGVVO, in IPRax, 2010, p. 423. Sulla nozione<br />

generale di contratto nel diritto internazionale privato comunitario cfr. Reiher, Der Vertragsbegriff<br />

im europäischen Internationalen Privatrecht – Ein Beitrag zur Abgrenzung der Verordnungen<br />

Rom I und Rom II, Baden-Baden, 2010.<br />

( 16 ) Relazione alla proposta finale della Commissione, COM (1999) 348, consultabile al sito<br />

www.europa.eu.


SAGGI 227<br />

Nonostante tale dichiarato abbandono del ricorso alla lex causae, parte<br />

della dottrina ( 17 )e della giurisprudenza ( 18 ) hanno continuato a fare riferimento<br />

alla nozione giuridica di forum destinatae solutionis, riducendo sensibilmente,<br />

se non addirittura vanificando, la portata innovativa della disposizione<br />

regolamentare.<br />

I contorni interpretativi del foro comunitario del contratto in caso di<br />

compravendita sono stati delineati dalla giurisprudenza comunitaria solo a<br />

distanza di cinque anni dall’entrata in vigore del regolamento Bruxelles I, a<br />

partire dalla sentenza Color Drack ( 19 ).<br />

Con tale pronuncia, la Corte ha finalmente chiarito che, al fine di rafforzare<br />

l’obiettivo primario di unificazione delle norme sulla competenza giurisdizionale<br />

per garantirne la prevedibilità ( 20 ), l’art. 5, n. 1, lett. b), del regolamento<br />

contiene un criterio di collegamento autonomo ed uniforme, tendenzialmente<br />

applicabile a tutte le domande fondate su un contratto di<br />

compravendita e non solo a quelle fondate sull’obbligo di consegna ( 21 ), in<br />

base al quale il luogo di consegna è individuato secondo un criterio pura-<br />

( 17 ) Cfr. Franzina, La giurisdizione in materia contrattuale, cit.; Id., Obbligazioni di non fare<br />

e obbligazioni eseguibili in più luoghi nella Convenzione di Bruxelles del 1968 e nel Regolamento<br />

(CE) n. 44/2001, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2002, p. 393 ss.; Salerno, La nozione autonoma<br />

del titolo di giurisdizione in materia di vendita, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2008, p. 381 ss.;<br />

Silvestri, L’interpretazione del « luogo di consegna » ai sensi del novellato art. 5, n. 1 lett b) Reg.<br />

44/2001: qualche osservazione sui limiti del criterio fattuale, cit., p. 136 ss.; Reinstadler, Il forum<br />

contractus autonomo ed unitario nella vendita internazionale di merci ai sensi dell’art. 5, n.<br />

1, lett. b) del Reg. n. 44/2001: una riforma fallita, in Giur. it., 2007, p. 430 ss.<br />

( 18 ) Cfr., tra le più recenti, Cass., sez. un., 19 marzo 2009, n. 6598, in Riv. dir. int. priv. proc.,<br />

2010, p. 117; Cass., sez. un., 9 febbraio 2009, n. 3059, in Riv. dir. int. priv. proc., 2009, p. 935;<br />

Cass., 17 luglio 2008, n. 19603, in Foro it., 2009, c. 1544; Cass., sez. un., 20 giugno 2007, nn.<br />

14299-14300, cit.; Cass., sez. un., 14 maggio 2007, n. 10941, cit.; Cass., sez. un., 14 giugno 2007,<br />

n. 13891, in Riv. dir. int. priv. proc., 2007, p. 505; Cass., sez. un., 3 gennaio 2007, n. 7, cit. Per un<br />

commento all’orientamento della Cassazione cfr. Barone, Sulla nozione di « luogo di consegna<br />

» ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. b) del regolamento n. 44/2001 nella giurisprudenza della Corte<br />

di Cassazione, in Dir. U.E., 2007, p. 893 ss.<br />

( 19 ) Sentenza Color Drack, cit.<br />

( 20 ) Cfr. sentenze Color Drack, cit., punto 24; Rehder, cit., punto 33 e Car Trim, cit., punto<br />

49. L’obiettivo di prevedibilità è stato tenuto in considerazione dalla Corte anche nella sentenza<br />

Custom Made, cit., punto 18, ed è, peraltro, espressamente richiamato anche nell’undicesimo<br />

considerando del regolamento Bruxelles I, in base al quale « le norme sulla competenza<br />

devono presentare un alto grado di prevedibilità ed articolarsi intorno al principio della<br />

competenza del giudice del domicilio del convenuto, la quale deve valere in ogni ipotesi salvo<br />

in alcuni casi rigorosamente determinati, nei quali la materia del contendere o l’autonomia<br />

delle parti giustifichi un diverso criterio di collegamento ».<br />

( 21 ) Sentenza Color Drack, cit., punto 26.


228 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

mente fattuale. È, di conseguenza, escluso il ricorso alle norme di diritto internazionale<br />

privato dello Stato membro del foro nonché al diritto sostanziale<br />

– di fonte interna o internazionale ( 22 ) – applicabile ( 23 ).<br />

Il criterio di collegamento autonomo determina, inoltre, direttamente il<br />

foro competente senza rinviare alle disposizioni degli ordinamenti nazionali<br />

( 24 ).<br />

La Corte, in accoglimento del principio di prossimità, ha altresì affermato<br />

che la norma di competenza speciale prevista dall’art. 5, n. 1, lett. b),<br />

del regolamento, trova la sua ratio nell’esistenza di una stretta correlazione<br />

tra il contratto ed il giudice ( 25 ).<br />

Il criterio pragmatico-fattuale di individuazione del luogo di consegna<br />

garantirebbe, quindi, i suindicati principi di prevedibilità e prossimità nel<br />

foro speciale del contratto ( 26 ).<br />

3. – Con la sentenza Car Trim, la Corte di Giustizia conferma l’orientamento<br />

inaugurato nel 2004 dalla suprema Corte austriaca, l’Oberster<br />

( 22 ) Ci si riferisce, in particolare, alla Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale<br />

di beni mobili. Tale approccio è stato ampiamente accolto in giurisprudenza: cfr.,<br />

ex multis, Cass., sez. un., 20 giugno 2007, nn. 14299-14300, in Int’l Lis, 2007, p. 119 ss.; Cass.,<br />

sez. un., 14 maggio 2007, n. 10941, in Corriere giur., 2007, p. 1526 ss.; Cass., sez. un., 3 gennaio<br />

2007, n. 7, in Int’l Lis, 2007, p. 113; Cass., sez. un., 27 settembre 2006, n. 20887, in Riv. dir. proc.,<br />

2007, p. 1303. Tra la giurisprudenza di merito cfr. OLG Stuttgart, 5 novembre 2007, in NJOZ,<br />

2008, p. 2648 ss.; Trib. Padova, 10 febbraio 2004, in Giur. it., 2006, p. 1013 ss., con nota di Ferrari;<br />

Trib. Bolzano, 18 settembre 2006, in Giur. it., 2007, p. 428 ss.<br />

( 23 ) Sentenza Car Trim, cit., punto 53.<br />

( 24 ) Sentenza Color Drack, cit., punto 30. In dottrina si rinvia a D’Alessandro, Brevi riflessioni<br />

su contenuto e tenore della declaratoria di competenza giurisdizionale, allorché la norma<br />

di giurisdizione sia anche norma di competenza per territorio, e sul regime degli effetti sostanziali<br />

e processuali, in Int’l Lis, 2009, p. 87 ss.<br />

( 25 ) Cfr. Corte UE, sentenze Color Drack, cit., punto 22; Rehder, cit., punto 32 e Car Trim,<br />

cit., punto 48. Il principio di prossimità è espressamente richiamato nel dodicesimo considerando<br />

del regolamento Bruxelles I in base al quale « il criterio del foro del domicilio del convenuto<br />

deve essere completato attraverso la previsione di fori alternativi, ammessi in base al<br />

collegamento stretto tra l’organo giurisdizionale e la controversia, ovvero al fine di agevolare<br />

il buon funzionamento della giustizia ».<br />

( 26 ) Critici su tale punto Leible, Der Erfüllungsort iSv Art. 5 Nr. 1 lit. b Brüssel I-VO – ein<br />

Mysterium, in Festschrift für Ulrich Spellenberg, 2010, p. 462; Mittmann, Die Bestimmung des<br />

Lieferortes beim Versendungskauf im Rahmen von Art. 5 Nr. 1 lit. b EuGVVO nach der Entscheidung<br />

« Car Trim » des EuGH, in IHR, 2010, p. 146 ss.; Metzger, Zum Erfüllungsortgerichtsstand<br />

bei Kauf-und Dienstleistungsverträgen gemäß der EuGVVO, in IPRax, 2010, p. 423; Gsell, Autonom<br />

bestimmter Gerichtsstand am Erfüllungsort nach der Brüssel I-Verordnung, in IPRax,<br />

2002, p. 488 ss.


SAGGI 229<br />

Gerichtshof ( 27 ), delineando i criteri ermeneutici per identificare il luogo<br />

di consegna dei beni.<br />

In assenza di accordo delle parti ( 28 ), la Corte afferma che bisogna far riferimento<br />

al luogo « della consegna materiale dei beni mediante la quale<br />

l’acquirente ha conseguito o avrebbe dovuto conseguire il potere di disporre<br />

effettivamente di tali beni alla destinazione finale dell’operazione di vendita<br />

» ( 29 ).<br />

Tale soluzione – secondo la Corte – appare la più idonea a soddisfare gli<br />

obiettivi di prevedibilità e prossimità dei fori speciali: in linea di principio,<br />

infatti, i beni costituenti l’oggetto del contratto dovrebbero trovarsi in tale<br />

luogo dopo l’esecuzione dello stesso e « l’obiettivo fondamentale di un contratto<br />

di compravendita di beni è il trasferimento degli stessi dal venditore<br />

all’acquirente, operazione che si conclude solo nel momento in cui tali beni<br />

giungono alla loro destinazione finale » ( 30 ).<br />

Rileva, quindi, il momento di consegna materiale dei beni, ossia il passaggio<br />

del potere, in capo all’acquirente, di disporre effettivamente dei beni<br />

venduti, tramite un criterio puramente fattuale « collegato al mero possesso<br />

» ( 31 ). Il fattore determinante è, quindi, la consegna materiale all’acqui-<br />

( 27 ) OGH, 14 dicembre 2004, 1 Ob 94/04m, in EuLF, 2005, p. II-10 ss.; conforme, ex multis,<br />

OGH, 20 febbraio 2006, 2 Ob 211/04z, in EuLF, 2006, p. II-80 ss. Nella giurisprudenza italiana<br />

cfr. Trib. Rovereto, 28 agosto 2004, cit., Trib. Brescia, 28 dicembre 2004, cit. e, da ultimo,<br />

Trib. Lecco, 15 aprile 2010, reperibile al sito www.dejure.giuffre.it.<br />

( 28 ) Sul punto vedi infra, paragrafi da 4 a 7.<br />

( 29 ) Sentenza Car Trim, cit., dispositivo. Per un commento a questa sentenza cfr. De<br />

Franceschi, Il foro europeo della materia contrattuale alla luce delle recenti acquisizioni della<br />

Corte di giustizia e delle Sezioni unite, in Int’l Lis, 2010, p. 82 ss.; Peleggi, La competenza giurisdizionale<br />

nei contratti per la fornitura di beni da fabbricare o produrre e nella vendita con trasporto:<br />

a proposito di una recente pronuncia della Corte di giustizia europea, in Dir. comm. int.,<br />

2010, p. 653 ss.; Leible, Internationale Zuständigkeit bei Vertrag über Fertigung und Lieferung<br />

von Airbag-Komponenten, in EuZW, 2010, p. 301 ss.; Metzger, Zum Erfüllungsortgerichtsstand<br />

bei Kauf- und Dienstleistungsverträgen gemäß der EuGVVO, cit., p. 420 ss.; Mittmann, Die Bestimmung<br />

des Lieferortes beim Versendungskauf im Rahmen von Art. 5 Nr. 1 lit. B EuGVVO nach<br />

der Entscheidung « Car Trim» des EuGH, cit., p. 146 ss.<br />

( 30 ) Sentenza Car Trim, cit., punto 61. La Corte non nega che il luogo di consegna dei beni<br />

al primo vettore sia privo di rilievo. Tuttavia, sarebbe meno idoneo a garantire i citati principi<br />

di prevedibilità e prossimità.<br />

( 31 ) Cfr. le conclusioni dell’avvocato generale Kokott, causa C-87/10, 3 marzo 2011, Electrosteel<br />

<strong>Europa</strong> SA c. Edil Centro Spa, punto 48, reperibile al sito www.curia.eu. La controversia<br />

riguarda la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Vicenza, sezione<br />

distaccata di Schio, il 15 febbraio 2010, la cui questione pregiudiziale è la seguente: « se l’articolo<br />

5, paragrafo 1, lettera b), del Regolamento n. 44/01 CE, e, comunque, il diritto comuni-


230 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

rente nell’ambito dell’esecuzione del contratto che, secondo la Corte di<br />

Giustizia, si perfeziona con il raggiungimento dei beni nella loro destinazione<br />

finale. Al riguardo è stato in modo condivisibile rilevato che il riferimento<br />

alla « destinazione finale [corsivo aggiunto] » appare superfluo, essendo<br />

sufficiente – ai fini dell’individuazione del locus solutionis – il criterio<br />

di consegna materiale all’acquirente, ed in quanto potrebbe generare, nella<br />

pratica, incertezze interpretative ( 32 ).<br />

È dubbio se la regola della consegna materiale dei beni all’acquirente si<br />

applichi ai casi in cui il contratto di compravendita non determini l’immissione<br />

delle merci nel possesso del compratore ( 33 ), ovvero ai contratti conclusi,<br />

nella grande distribuzione, tramite le centrali di acquisto. Atteso che<br />

la Corte pone l’enfasi sul momento di consegna materiale all’acquirente, la<br />

risposta parrebbe essere negativa, anche se è stato sostenuto, in base al criterio<br />

di prossimità tra il contratto e la lite, che, in tali ipotesi, rilevi il luogo di<br />

consegna al terzo ( 34 ).<br />

In caso di pluralità di luoghi di consegna all’interno del medesimo Stato<br />

membro è stato precisato, nella pronuncia Color Drack ( 35 ), che la consegna<br />

rilevante ai fini giurisdizionali coincide con il luogo in cui è effettuata la<br />

tario, laddove esso statuisce che il luogo di esecuzione dell’obbligazione, nel caso di compravendita<br />

di beni, è il luogo in cui sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati in base al<br />

contratto, vada interpretato nel senso che il luogo della consegna, rilevante ai fini della individuazione<br />

del Giudice dotato di competenza giurisdizionale, sia quello di destinazione finale<br />

delle merci oggetto del contratto ovvero quello in cui il venditore si libera dell’obbligazione<br />

di consegna, in base alla normativa sostanziale applicabile al singolo caso, ovvero, ancora<br />

se sia prospettabile una diversa interpretazione della norma citata ».<br />

( 32 ) Le problematiche applicative derivanti dal riferimento alla « destinazione finale » sono<br />

state evidenziate dall’avvocato generale Kokott, ibidem, punti 49 ss., secondo la quale detto<br />

riferimento potrebbe creare confusione, da un punto di vista pratico, in quanto potenzialmente<br />

incerto ed imprevedibile per il venditore, per esempio qualora i beni, dopo essere stati<br />

provviosoriamente collocati in un deposito dell’acquirente, siano successivamente spostati<br />

altrove, senza informare preventivamente il venditore stesso. L’avvocato generale mette inoltre<br />

in dicussione tale criterio, da un punto di vista sistematico, in quanto ricorderebbe « il luogo<br />

di destinazione finale della fornitura della merce » previsto nell’art. 63, n. 1, del regolamento<br />

Bruxelles I, per le sole persone domiciliate in Lussemburgo. Di conseguenza, non sussisterebbe<br />

alcun motivo per prevedere un’applicazione generale di tale norma speciale.<br />

( 33 ) Si pensi, ad esempio, a tutti i casi in cui una parte acquisti la merce al solo scopo di rivenderla<br />

ad un terzo, a cui i beni perverranno senza essere transitati nelle mani dell’intermediario.<br />

( 34 ) In tal senso Mittmann, Die Bestimmung des Lieferortes beim Versendungskauf im Rahmen<br />

von Art. 5 Nr. 1 lit. b EuGVVO nach der Entscheidung « Car Trim » des EuGH, cit., p. 147.<br />

( 35 ) Sentenza Color Drack, cit., punti 42 ss. Cfr., in dottrina, Mankowski, Mehrere Lieferorte<br />

beim Erfüllungsortgerichtsstand unter Art. 5 Nr. 1 lit. b EuGVO, in IPRax, 2007, p. 404 ss.


SAGGI 231<br />

consegna principale delle merci ( 36 ), individuato secondo criteri economici<br />

e non giuridici. In mancanza di elementi decisivi atti ad identificare tale luogo,<br />

l’attore potrà citare, a sua discrezione, il convenuto dinnanzi al giudice<br />

di uno dei luoghi di consegna. Resta, invece, aperta la questione se detto<br />

criterio risulti applicabile solo all’ipotesi di pluralità di luoghi di consegna in<br />

un unico Stato membro od anche in più Stati membri ( 37 ).<br />

Il principio di individuazione del locus solutionis in base a criteri economici<br />

è stato accolto anche dalla nostra giurisprudenza di legittimità che –<br />

con un’ordinanza ( 38 ) emessa qualche mese prima delle sentenze Car Trim –<br />

si è finalmente adeguata alle novità introdotte dal regolamento in materia di<br />

foro del contratto ed alla relativa interpretazione fornita dal giudice comunitario,<br />

abbandonando il proprio precedente orientamento ( 39 ).<br />

La Cassazione – prendendo espressamente spunto dalla sentenza Color<br />

Drack – statuisce che il luogo di consegna deve essere individuato in funzione<br />

di dove sia convenuta l’esecuzione della prestazione principale ritenuta<br />

tale in base a criteri economici, cioè il luogo di recapito finale della<br />

merce ove i beni entrano nella disponibilità materiale e non soltanto giuridica<br />

dell’acquirente. Nel luogo così individuato è radicata la giurisdizione<br />

per tutte le controversie sorte in tema di esecuzione del contratto, incluse<br />

quelle relative al pagamento dei beni alienati ( 40 ).<br />

L’individuazione del luogo di consegna, utilizzando il criterio della fornitura<br />

principale in base a criteri economici, implica sicuramente una valutazione<br />

discrezionale del giudice che, nella pratica, potrebbe essere non<br />

( 36 ) Tale principio è stato successivamente riaffermato nella sentenza Wood Floor, cit.,<br />

punto 40, in materia di prestazione di servizi.<br />

( 37 ) Su tale questione è attualmente pendente, davanti alla Corte di Giustizia, un procedimento<br />

di pronuncia pregiudiziale proposta dalla suprema Corte austriaca: cfr. causa C-<br />

147/09, Ronald Seunig c. Maria Hölzel.<br />

( 38 ) Cass., sez. un., 5 ottobre 2009, n. 21191, Cirio c. Kaufland, cit.<br />

( 39 ) Cfr. sentenze citate alla nota 18. Sino all’ordinanza Cirio c. Kaufland, la Cassazione ha<br />

praticamente ignorato quanto affermato dal giudice comunitario nella causa Color Drack, determinando<br />

il locus destinatae solutionis ancora secondo il metodo analitico-conflittuale ed<br />

applicando, in particolare, l’art. 31, lett. a), della Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita<br />

internazionale di beni mobili, che individua il luogo di consegna in quello di rimessione dei<br />

beni al primo vettore.<br />

( 40 ) Pochi mesi dopo l’emissione di tale sentenza, la Cassazione ha ignorato il principio<br />

secondo cui la regola contenuta nell’art. 5, n. 1, lett. b), del regolamento incardina la competenza<br />

giurisdizionale in relazione a tutte le pretese nascenti dal contratto di compravendita,<br />

individuando, in base all’obbligazione dedotta in giudizio e mediante il rinvio alla lex causae,<br />

il giudice competente per una controversia avente ad oggetto una pretesa pecuniaria scaturente<br />

da un contratto di prestazione di servizi: cfr. Cass., 27 aprile 2010, n. 9965.


232 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

sempre agevole ( 41 ). Tale criterio potrebbe, inoltre, generare il forum shopping,<br />

laddove il luogo principale di fornitura non emerga in modo chiaro dal<br />

contratto.<br />

Nella medesima ordinanza, le sezioni unite chiariscono, inoltre, che la<br />

disposizione relativa alla consegna al vettore contenuta nell’art. 31 della<br />

Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili<br />

contiene « una regula iuris idonea a disciplinare i rapporti obbligatori tra le<br />

parti sotto il profilo della valutazione dell’eventuale dies inadimpleti contractus,<br />

ma non anche una regola di giurisdizione ».<br />

Successivamente alla sentenza Car Trim ed in accoglimento dei principi<br />

ivi enunciati, il Bundesgerichtshof ( 42 ) ha affermato che, in caso di vendita a distanza<br />

intracomunitaria, il luogo di consegna ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. b),<br />

del regolamento coincide – in assenza di accordo – con il luogo in cui il trasferimento<br />

dei beni dal venditore all’acquirente si è completamente esaurito<br />

mediante l’arrivo dei beni alla destinazione finale dove l’acquirente ha conseguito<br />

o avrebbe dovuto conseguire l’effettivo potere di disporre della merce.<br />

Nel caso in specie, la suprema Corte tedesca ha ritenuto legittima l’interpretazione<br />

offerta nella sentenza impugnata secondo cui la clausola « resa:<br />

franco partenza » non costituirebbe un accordo sul locus solutionis ( 43 ).<br />

Nel caso, infine, in cui il luogo di consegna non sia situato in uno Stato<br />

membro oppure non risulti individuabile attraverso il metodo pragmatico fattuale<br />

(ad esempio perché i beni non sono stati ancora consegnati e non risulta<br />

sussistere alcun relativo accordo) si ritiene doversi applicare – mediante il rinvio<br />

operato dall’art. 5, n. 1, lett. c), del regolamento – il disposto di cui alla lett.<br />

a) della medesima norma, la cui formulazione è rimasta invariata rispetto a<br />

quella contenuta nella Convenzione di Bruxelles. Il foro speciale sarà, di conseguenza,<br />

determinato alla luce dei criteri elaborati dalla giurisprudenza Tessili<br />

e De Bloos, con individuazione del luogo di adempimento attraverso il sopra<br />

descritto metodo conflittuale-analitico applicando la lex causae ( 44 ).<br />

( 41 ) Sul punto si segnala la critica di Franzina, Struttura e funzionamento del foro europeo<br />

della materia contrattuale, cit., p. 671.<br />

( 42 ) BGH, 23 giugno 2010, cit. In senso conforme, dopo la pronuncia Car Trim, OGH, 14<br />

settembre 2010, 1 Ob 137/10v, in ÖJZ, 2011, p. 75 ss., con nota di Garber.<br />

( 43 ) Su tale aspetto della pronuncia del Bundesgerichtshof vedi anche infra, par. 6.<br />

( 44 ) Leible, Der Erfüllungsort im Sinne von Art. 5 Nr. 1 lit. b) Brüssel I-VO: ein Mysterium,<br />

cit., p. 456; Eltzschig, Ende oder Fortführung von forum actoris und Erfüllungsortbestimmung<br />

lege causae, in IPRax, 2002, p. 495 ss.; Klemm, Erfüllungsortvereinbarung im Europäischen Zivilverfahrensrecht,<br />

Jena, 2005, p. 82; Magnus, Das UN-Kaufrecht und die Erfüllungsortzuständigkeit<br />

in der neuen EuGVO, in IHR, 2002, p. 48.


SAGGI 233<br />

4. – L’art. 5, n. 1, lett. b), del regolamento ha indubbiamente comportato<br />

una sostanziale valorizzazione dell’accordo delle parti sul luogo di adempimento,<br />

dovendo il locus solutionis essere individuato « in base al contratto<br />

».<br />

Nella sentenza Car Trim, la Corte di Giustizia ha confermato che il luogo<br />

di consegna deve determinarsi, in primis, sulla base delle disposizioni del<br />

contratto che rivelino la volontà delle parti in merito al luogo di consegna,<br />

escludendo – come pare categoricamente – l’applicazione della lex causae.<br />

Unico criterio che rileva a tal fine sarebbe la volontà delle parti « rivelata » ( 45 )<br />

dalle disposizioni del contratto, senza alcuna possibilità, si noti, di riferimento<br />

al diritto sostanziale applicabile al contratto ( 46 ).<br />

La Corte sembra, quindi, ribaltare il precedente orientamento, inaugurato<br />

con le sentenze Zelger ( 47 ) e MSG ( 48 ) e confermato dalla successiva pronuncia<br />

GIE Groupe Concorde ( 49 ), secondo cui un accordo sul luogo di<br />

adempimento – ai fini processuali de quibus – non è soggetto a particolari requisiti<br />

di forma purché valido secondo il diritto applicabile al contratto e<br />

purché non costituente un accordo astratto ( 50 ). La Corte aveva, quindi, optato<br />

per una (pressoché) perfetta corrispondenza tra validità sostanziale e<br />

processuale dell’accordo sul luogo di consegna.<br />

L’esclusione della lex causae operata con la sentenza Car Trim e la conseguente<br />

netta distinzione tra validità sostanziale e processuale degli accordi<br />

in oggetto suscita non poche perplessità.<br />

Il semplice riferimento alla volontà delle parti – come pare intesa in<br />

senso meramente empirico – è incompleto e rischia di minare l’obiettivo<br />

di prevedibilità del foro del contratto e, di conseguenza, la certezza del diritto.<br />

L’esclusione della lex causae – in assenza di criteri certi da applicare<br />

( 45 ) Sentenza Car Trim, cit., punto 55.<br />

( 46 ) Cfr. sentenza Car Trim, cit., dispositivo nonché punti 54, 55 e 56. In tal senso anche<br />

Franzina, Struttura e funzionamento del foro europeo della materia contrattuale, cit., p. 677 ss.<br />

Di contrario avviso Mittmann, Die Bestimmung des Lieferortes beim Versendungskauf im Rahmen<br />

von Art. 5 Nr. 1 lit. b EuGVVO nach der Entscheidung « Car Trim » des EuGH, cit., p. 148, che<br />

ritiene, seppur senza adeguata motivazione, che l’efficacia dell’accordo sul luogo di adempimento<br />

sarebbe tuttora da individuare sulla base della lex causae.<br />

( 47 ) Corte CE, 17 gennaio 1980, causa C-56/79, Siegfried Zelger c. Sebastiano Salinitri, in<br />

Racc., 1980, p. 89 ss.<br />

( 48 ) Corte CE, 20 febbraio 1997, causa C-106/95, Mainschiffahrts-Genossenschaft eG<br />

(MSG) c. Les Gravières Rhénanes SARL, in Riv. dir. int. priv. proc., 1997, p. 775 ss.<br />

( 49 ) Corte CE, 28 settembre 1999, causa C-440/97, GIE Groupe Concorde e a. c. Comandante<br />

della nave « Suhadiwarno Panjan » e a., in Riv. dir. int. priv. proc., 2000, p. 217 ss., punto 28.<br />

( 50 ) Sulla nozione di accordo astratto vedi infra, par. 5.


234 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

in alternativa – apre, infatti, un elevato ed imprevedibile potere discrezionale<br />

dei giudici chiamati a pronunciarsi in merito all’individuazione e validità<br />

della volontà delle parti, addirittura al di là dei particolarismi delle<br />

leggi nazionali ( 51 ). Sebbene la verifica della volontà delle parti spetti in ultima<br />

analisi al giudice di merito ( 52 ), la Corte di Giustizia avrebbe dovuto<br />

fissare regole uniformi precise che stabiliscano le modalità di valutazione<br />

– sotto il profilo di efficacia giurisdizionale – della volontà delle parti sul<br />

luogo di consegna ( 53 ).<br />

5. – Sempre nell’ambito dell’accordo delle parti rileva il caveat « salvo diversa<br />

convenzione » previsto dall’art. 5, n. 1, lett. b), del regolamento, al<br />

quale è difficile attribuire un significato chiaro e univoco ( 54 ).<br />

La dottrina ha proposto diverse letture sulle modalità interpretative di<br />

tale dizione ( 55 ).<br />

Secondo autorevoli autori ( 56 ), la « diversa convenzione » opererebbe<br />

con riferimento alle obbligazioni diverse dalla consegna. La giurisdizione<br />

sarebbe radicata nel luogo di adempimento dell’obbligazione individuata<br />

dalle parti (ad esempio il pagamento del corrispettivo), con diretta applicazione<br />

dell’art. 5, n. 1, lett. b), del regolamento. Non è chiaro se il diverso foro<br />

così individuato sia competente a conoscere le controversie derivanti<br />

dall’intero rapporto contrattuale oppure se la « diversa convenzione » reintroduca<br />

il metodo conflittuale-analitico ( 57 ).<br />

( 51 ) Al riguardo si considerino, a titolo esemplificativo, i diversi approcci interpretativi seguiti<br />

nella civil law e nella common law: cfr. Reece, Interpretation Clauses in International Contracts,<br />

in Les grandes clauses des contrats internationaux: 55e Séminaire de la Commission Droit<br />

et Vie des Affaires, Bruxelles, 2005, p. 39 ss.<br />

( 52 ) Sentenza Car Trim, cit., punto 54.<br />

( 53 ) Cfr. sul punto anche Franzina, Struttura e funzionamento del foro europeo della materia<br />

contrattuale, cit., p. 679.<br />

( 54 ) Come rilevato da Briggs e Rees, Civil Jurisdiction and Judgments, cit., p. 159 ss., « it<br />

is close to impossible to make sense of the words ‘unless otherwise agreed’. [ . . .] The suspicion<br />

is that the words are there from a superstitious sense that such reservations are inherently<br />

useful in the law of contract. They can be forgotten until an imaginative court is able to<br />

breathe intelligent life into them ».<br />

( 55 ) Per una dettagliata esposizione delle diverse letture cfr. Klemm, Erfüllungsortvereinbarungen<br />

im Europäischen Zivilverfahrensrecht, cit., p. 71 ss.<br />

( 56 ) Lupoi, Il « nuovo » foro per le controversie contrattuali, cit., p. 520 ss.; Fawcett, Harris<br />

e Bridge, International Sale of Goods in the Conflict of Laws, cit., p. 123. Di diverso avviso<br />

Reinstadler, Il forum contractus autonomo ed unitario nella vendita internazionale di merci ai<br />

sensi dell’art. 5, n. 1, lett. b) del Reg., cit., p. 432.<br />

( 57 ) In senso favorevole Lupoi, Il « nuovo » foro per le controversie contrattuali, cit., p. 521.


SAGGI 235<br />

Secondo altri autori, la locuzione in parola dovrebbe, invece, essere interpretata<br />

nel senso che la stessa permetta di individuare un luogo di consegna<br />

diverso da quello in cui i beni siano materialmente consegnati all’acquirente,<br />

laddove tale luogo presenti un collegamento con il contratto ( 58 ).<br />

In ogni caso, i confini tra il forum contractus, la cui ratio è la vicinanza del<br />

contratto con l’organo giudicante, e la proroga di competenza ex art. 23 del<br />

regolamento, la cui ratio è la tutela dei contraenti, non sempre appaiono<br />

chiaramente delineati. La « diversa convenzione » sul luogo di adempimento,<br />

non soggetta a particolari requisiti di forma, potrebbe, infatti, celare un<br />

accordo di proroga di competenza ( 59 ), che presuppone, al contrario, il rispetto<br />

dei severi requisiti formali previsti dall’art. 23 del regolamento ( 60 ). A<br />

tale proposito, la Corte di Giustizia ha posto un limite alla volontà delle parti<br />

in relazione al forum contractus, escludendo la rilevanza processuale dei<br />

cd. accordi astratti ( 61 ), ossia degli accordi mediante i quali le parti non intendono<br />

stabilire un luogo di adempimento materiale, ma fissare un luogo<br />

di esecuzione a fini meramente processuali, privo di alcun « collegamento<br />

effettivo » con la Vertragswirklichkeit (la realtà contrattuale) ed in cui le obbligazioni<br />

derivanti dal contratto medesimo non potrebbero essere eseguite<br />

sulla base dei termini ivi contenuti. Per questi motivi, tali accordi sono<br />

soggetti ai requisiti di forma di cui all’art. 23 del regolamento ( 62 ).<br />

( 58 ) Wipping, Der europäische Gerichtsstand des Erfüllungsortes – Art. 5 Nr. 1 EuGVVO,<br />

Berlino, 2008, p. 217.<br />

( 59 ) Autorevole dottrina aveva già da tempo sollecitato la Corte a pronunciarsi nel senso<br />

di prevenire il pericolo che le parti abusino di un istituto sostanziale (quale l’accordo sul locus<br />

solutionis) per conseguire effetti meramente processuali: cfr., per tutti, Schack, Abstrakte<br />

Erfüllungsortvereinbarungen: form- oder sinnlos, in IPRax, 1996, p. 247 ss.<br />

( 60 ) Nel caso in specie l’applicazione dell’art. 5, n. 1, lett. b), impone requisiti formali decisamente<br />

meno stringenti rispetto all’art. 23 del regolamento. Cfr., sul punto, Poggio, Vendita<br />

internazionale di beni e foro speciale contrattuale ai sensi del Regolamento CE 44/2001 del<br />

Consiglio dell’Unione Europea, cit., p. 1011. Spellenberg, Die Vereinbarung des Erfüllungsortes,<br />

in IPRax, 1981, p. 79, sottolinea che laddove norme prevedono requisiti formali diversi,<br />

una netta distinzione deve essere operata sulla base dei rispettivi contenuti sostanziali.<br />

( 61 ) Sentenza MSG, cit., punti da 31 a 34. Tale pronuncia, emessa sotto il vigore della Convenzione<br />

di Bruxelles, rileva anche con riferimento al regolamento Bruxelles I.<br />

( 62 ) Per una dettagliata analisi del concetto di accordo astratto cfr. Klemm, Erfüllungsortvereinbarungen<br />

im Europäischen Zivilverfahrensrecht, cit., p. 97 ss.; Leible e Sommer, Tücken<br />

bei der Bestimmung der internationalen Zuständigkeit nach der EuGVVO: Rügelose Einlassung,<br />

Gerichtsstands- und Erfüllungsortvereinbarungen, Vertragsgerichtsstand, in IPRax, 2006, p. 571.<br />

Per una recente applicazione pratica del concetto di accordo astratto cfr. OGH, 8 settembre<br />

2009, 1 Ob 146/09s e OGH, 8 settembre 2005, 8 Ob 83/05x, entrambi consultabili al sito<br />

www.ris.bka.gv.at.


236 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Le incertezze interpretative derivanti dalla locuzione « salvo diversa convenzione<br />

» non sono state eliminate con la sentenza Car Trim, in cui la Corte<br />

di Giustizia si è limitata ad affermare che detta espressione «indica che le<br />

parti possono stipulare una convenzione per accordarsi sul luogo di esecuzione<br />

dell’obbligazione ai fini dell’applicazione di tale disposizione » ( 63 ). Da<br />

tale affermazione è stata dedotta la definitiva inammissibilità degli accordi<br />

astratti, laddove sia riconosciuto il diritto delle parti di « accordarsi sul luogo<br />

di esecuzione dell’obbligazione [corsivo aggiunto] » ai fini dell’applicazione<br />

del foro del contratto ( 64 ). Dal preciso riferimento all’obbligazione deriverebbe<br />

il divieto degli accordi finalizzati meramente a pilotare la competenza.<br />

Questi ultimi continuerebbero a costituire accordi astratti e sarebbero,<br />

pertanto, sottoposti ai requisiti formali di cui all’art. 23 del regolamento.<br />

Di conseguenza, la dizione « salvo diversa convenzione » esprimerebbe soltanto<br />

l’ovvio, ossia l’ammissibilità di accordi di proroga ( 65 ).<br />

Permane, inoltre, dubbia l’ammissibilità del diritto delle parti di determinare<br />

un luogo di consegna – con efficacia processuale – per le obbligazioni<br />

diverse dalla consegna, come ad esempio il luogo di pagamento del prezzo<br />

( 66 ).<br />

Non ci resta, quindi, che attendere una netta presa di posizione da parte<br />

della giurisprudenza o del legislatore comunitario.<br />

6. – Alla luce delle considerazioni che precedono, ci si chiede quali siano<br />

i requisiti necessari per la sussistenza di un accordo espresso sul luogo di<br />

consegna e, in particolare, quando sia configurabile una relativa pattuizione<br />

inequivocabile con efficacia processuale.<br />

Sebbene il problema possa apparire, prima facie, di semplice soluzione,<br />

non è, in realtà, sempre agevole individuare l’espressa volontà delle parti<br />

sulla base di determinate clausole contrattuali.<br />

A tale proposito meritano particolare attenzione gli International Commercial<br />

Terms – noti sotto l’acronimo Incoterms ( 67 ) – sviluppati dall’Interna-<br />

( 63 ) Sentenza Car Trim, cit., punto 46.<br />

( 64 ) Ibidem.<br />

( 65 ) Così Leible, Der Erfüllungsort iSv Art. 5 Nr. 1 lit. b Brüssel I-VO – ein Mysterium, cit.,<br />

p. 456, il quale, per tale motivo e per evitare ulteriori perplessità, auspica l’eliminazione dell’espressione<br />

« salvo diversa convenzione » in sede di revisione del regolamento.<br />

( 66 ) In tal senso anche Mittmann, Die Bestimmung des Lieferortes beim Versendungskauf im<br />

Rahmen von Art. 5 Nr. 1 lit. b EuGVVO nach der Entscheidung « Car Trim » des EuGH, cit., p. 148.<br />

( 67 ) Ci si riferisce ai termini EXW (Ex Works), FCA (Free Carrier), CPT (Carriage Paid to),<br />

CIP (Carriage and Insurance Paid to), DAT (Delivered at Terminal), DAP (Delivered at Place) e


SAGGI 237<br />

tional Chamber of Commerce (ICC) per l’interpretazione di (attualmente)<br />

undici sigle, ciascuna composta da tre lettere, che regolano, se validamente<br />

inclusi nel contratto, determinati obblighi, rispettivamente a carico del venditore<br />

e dell’acquirente, nei contratti di trasferimento di beni ( 68 ).<br />

Il valore degli Incoterms, ai fini della determinazione convenzionale del<br />

luogo di consegna ex art. 5, punto 1, lett. b), del regolamento, è controverso.<br />

Secondo la dottrina maggioritaria ( 69 ) e parte della giurisprudenza ( 70 ),<br />

molti Incoterms sono idonei a costituire un accordo sul luogo di consegna<br />

con efficacia anche ai fini del forum contractus.<br />

Una rilevante giurisprudenza ritiene, invece, che con il richiamo agli Incoterms,<br />

le parti si limitino a regolare i rischi, i costi di trasporto, gli obblighi<br />

di assicurazione dei beni o eventuali formalità doganali ( 71 ).<br />

Secondo un ulteriore orientamento giurisprudenziale, la possibilità di interpretare<br />

gli Incoterms come determinanti un accordo sul luogo di consegna<br />

– anche ai fini processuali – non è esclusa a priori, ma richiede l’esame delle<br />

DDP (Delivery Duty Paid), applicabili a tutti i modi di trasporto, nonché ai termini FAS (Free<br />

Alongside Ship), FOB (Free on Board), CFR (Cost and Fright) e CIF (Cost, Insurance and Fright),<br />

applicabili al trasporto marittimo e fluviale.<br />

( 68 ) ICC, Incoterms® 2010, Parigi, 2010. La prima edizione degli Incoterms, che vengono<br />

periodicamente aggiornati, risale al 1936. L’attuale edizione del 2010 è in vigore dal 1° gennaio<br />

2011, per relativi approfondimenti cfr. Ramberg, ICC Guide to Incoterms 2010, Parigi, 2011.<br />

( 69 ) Cfr., per esempio, Franzina, La giurisdizione in materia contrattuale, cit., p. 394 ss.;<br />

Fawcett, Harris e Bridge, International Sale of Goods in the Conflict of Laws, cit., p. 101 ss.;<br />

Magnus, Das UN-Kaufrecht und die Erfüllungsortzuständigkeit in der neuen EuGVO, in IHR<br />

2002, p. 48; Nordmeier, Internationale Zuständigkeit portugiesischer Gerichte für die Kaufpreisklage<br />

gegen deutsche Käufer, in IPRax, 2008, p. 275 ss.; Hau, Die Kaufpreisklage des Verkäufers<br />

im reformierten europäischen Vertragsgerichtstand – ein Heimspiel, in JZ, 2008, p. 978 ss.; Chesire,<br />

North e Fawcett, Private International Law, Oxford, 2008, p. 240 ss.; Silvestri, L’interpretazione<br />

del « luogo di consegna » ai sensi del novellato art. 5, n. 1, lett. b) Reg. 44/2001, cit.,<br />

p. 136; contra, per esempio, Poggio, Vendita internazionale di beni e foro speciale contrattuale<br />

ai sensi del Regolamento (CE) 44/2001, cit., p. 1009, che ritiene necessaria invece una precisa,<br />

specifica pattuizione delle parti circa il luogo di fisica messa a disposizione dei beni.<br />

( 70 ) In relazione alla clausola EXW cfr. Tribunal da Relação do Porto, 26 aprile 2007, Agravo<br />

n. 1617/07-3 a Sec., ed in relazione alla clausola FCA cfr. Tribunal da Relação de Coimbra,<br />

13 marzo 2007, Agravo 3142/04.0TBVIS-A.C1, entrambi consultabili al sito www.dgsi.pt; per la<br />

clausola FOB cfr. House of Lords, 20 febbraio 2008, Scottish & Newcastle International Ltd. c.<br />

Othon Ghalanos Ltd., consultabile al sito www.parliament.uk; BGH, 22 aprile 2009, VIII ZR<br />

156/07, consultabile al sito www.bundesgerichtshof.de; Trib. Padova, 10 febbraio 2004, cit., p.<br />

1013 ss., con nota di Ferrari.<br />

( 71 ) In relazione alla clausola EXW cfr. Supremo Tribunal de Justiça, 23 ottobre 2007,<br />

Agravo 07°3119, consultabile al sito www.dgsi.pt; OGH, 14 dicembre 2004, 1 Ob 94/04m, consultabile<br />

al sito www.ris.bka.gv.at; Trib. Bolzano, 18 settembre 2006, cit., p. 428 ss.


238 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

circostanze rilevanti del caso concreto, quali le effettive modalità di svolgimento<br />

del trasporto ( 72 ) o l’interpretazione della clausola utilizzata tenuto<br />

conto del complesso delle disposizioni contrattuali, espresse ed implicite ( 73 ).<br />

In caso di avvenuta consegna sarà, di regola, agevole individuare il contenuto<br />

che le parti abbiano inteso attribuire all’Incoterm utilizzato, esaminando,<br />

ad esempio, i documenti di trasporto. Detta verifica risulterà, invece,<br />

più difficile in caso di mancata consegna. In tale ipotesi, ci si chiede se gli<br />

Incoterms siano sufficienti per affermare la sussistenza della volontà delle<br />

parti sul locus solutionis, atteso che – secondo la definizione fornita dall’ICC<br />

– il termine delivery indica il momento in cui i rischi passano dal venditore<br />

all’acquirente e non anche il momento in cui i beni entrano nella materiale<br />

disponibilità dell’acquirente ( 74 ).<br />

La risposta pare, comunque, positiva per certi Incoterms: ad esempio<br />

per la clausola EXW (Ex Works), particolarmente rilevante per il venditore<br />

in quanto astrattamente idonea a radicare il foro del contratto presso la sua<br />

sede o un suo stabilimento. Il termine EXW implica, infatti, da un lato,<br />

l’obbligo del venditore di mettere i beni a disposizione dell’acquirente nel<br />

luogo convenuto ( 75 ) ed a comunicare all’acquirente ogni informazione utile<br />

al fine di consentire a quest’ultimo di prendere in consegna i beni ( 76 ), e,<br />

( 72 ) Cfr., per esempio, Irish High Court, 28 giugno 2005, General Monitors Ireland Ltd. v.<br />

SES-ASA Protection Spa, consultabile al sito www.bailii.org, in cui, sulla base della clausola<br />

« via ICS ex-works », il venditore aveva consegnato i beni al vettore ICS presso lo stabilimento<br />

del venditore di Galway. La High Court aveva accertato che il vettore era stato nominato,<br />

incaricato e pagato dall’acquirente, mentre non aveva alcun rapporto contrattuale con il venditore,<br />

quindi rinvenendo in detta clausola un accordo sul luogo di consegna. In tal senso anche,<br />

per esempio, OGH, 8 settembre 2009, 1 Ob 146/09s e OGH, 20 febbraio 2006,<br />

2Ob211/04z, entrambi consultabili al sito www.ris.bka.gv.at; OLG Karlsruhe, 28 marzo 2006,<br />

in OLG Report Karlsruhe, 2006, p. 719; LG Freiburg, 13 maggio 2005, in IPRax, 2005, p. 269.<br />

( 73 ) Così, per esempio, Supremo Tribunal de Justiça, 5 luglio 2007, Agravo 07B1944, consultabile<br />

al sito www.dgsi.it; al riguardo cfr. Nordmeier, Internationale Zuständigkeit portugiesischer<br />

Gerichte für die Kaufpreisklage gegen deutsche Käufer, cit., p. 276, che critica l’avviso della<br />

Corte suprema portoghese secondo cui l’inclusione di una delle clausole Incoterms, nel caso<br />

di specie EXW, non sarebbe da sola sufficiente per la determinazione del luogo di consegna.<br />

( 74 ) Ed infatti, « the concept of delivery has multiple meanings in trade law and practice,<br />

but in the Incoterms® 2010 rules it is used to indicate where the risk of loss or damage passes<br />

from the seller to the buyer »: cfr. ICC, Incoterms® 2010, cit., p. 12.<br />

( 75 ) Regola EXW A4, ICC, Incoterms® 2010, cit., p. 18: « The seller must deliver the goods<br />

by placing them at the the disposal of the buyer at the agreed point, if any, at the named place of<br />

delivery [ . . .] [corsivo aggiunto] ».<br />

( 76 ) Regola EXW A7, ibidem, p. 20: « The seller must give the buyer any notice needed to<br />

enable the buyer to take delivery of the goods ».


SAGGI 239<br />

dall’altro, l’obbligo dell’acquirente di prendere in consegna la merce quando<br />

la stessa è consegnata dal venditore conformemente ai suoi relativi obblighi<br />

( 77 ). Il termine EXW sembra, dunque, prevedere esplicitamente un<br />

luogo di consegna materiale, con conseguente efficacia anche processuale,<br />

presso il luogo specificato, in quanto costituente il luogo non solo di trasferimento<br />

dei rischi, ma anche di acquisizione, da parte dell’acquirente, della<br />

materiale disponibilità dei beni venduti. La disciplina applicabile al termine<br />

EXW è chiara e comprensibile sul punto ed agevolmente consultabile, senza<br />

necessità di riferimento alla lex causae ( 78 ).<br />

Simili considerazioni valgono, per esempio, per la clausola CIF (Cost,<br />

Insurance and Freight), che sembra implicare un accordo sul luogo di consegna<br />

presso il porto di destinazione ( 79 ). Sebbene, infatti, il venditore adempia<br />

all’obbligo della delivery con la consegna della merce al vettore ( 80 ), il termine<br />

delivery – come sopra evidenziato ( 81 ) – indica solo il passaggio dei rischi.<br />

Chiarificatore appare, tuttavia, l’obbligo dell’acquirente di ricevere i<br />

beni dal vettore al porto di destinazione indicato ( 82 ).<br />

Gli Incoterms che paiono stabilire il luogo in cui i beni entrano nella materiale<br />

disponibilità dell’acquirente (anche tramite un suo incaricato), non<br />

saranno, comunque, idonei a giustificare la sussistenza della (effettiva) volontà<br />

delle parti sul luogo di consegna se contraddette da altre disposizioni<br />

contrattuali o dai fatti o se costituenti un accordo astratto.<br />

Da distinguere dagli Incoterms sono le clausole simili come « resa franco<br />

partenza », « resa franco cantiere » o « resa franco sede [del venditore] »,<br />

le quali pongono ancora maggiori dubbi interpretativi in relazione al luogo<br />

( 77 ) Regola EXW B4, ibidem, p. 19: « The buyer must take delivery of the goods when A4<br />

and A7 have been complied with ».<br />

( 78 ) Cfr., in tal senso, anche le conclusioni dell’avvocato generale Kokott, cit., punto 43.<br />

Se si volesse eccedere di zelo, una clausola EXW potrebbe essere inclusa nel contratto come<br />

segue: « EXW [luogo di consegna] Incoterms® 2010, le cui relative regole interpretative si intendono<br />

qui integralmente richiamate e costituiscono parte integrante e sostanziale del presente<br />

contratto ».<br />

( 79 ) Cfr., per un avviso contrario, seppur antecedente alla pronuncia Car Trim ed in relazione<br />

alla versione 2000 degli Incoterms, Franzina, La giurisdizione in materica contrattuale,<br />

cit., p. 397 ss.<br />

( 80 ) Regola CIF A4, ICC, Incoterms® 2010, cit., p. 112: « The seller must deliver the goods<br />

either by placing them on board of the vessel or by procuring the goods so delivered [...]».<br />

( 81 ) Vedi sopra, alla nota 74.<br />

( 82 ) Regola CIF B4, ICC, Incoterms® 2010, cit., p. 113: « The buyer must take delivery of<br />

the goods when they have been delivered as envisaged in A4 and receive them from the carrier<br />

at the named port of destination [corsivo aggiunto] ».


240 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

di consegna ( 83 ). Ad essi non è, infatti, attribuibile un contenuto semantico<br />

oggettivo come agli Incoterms grazie alle regole dell’ICC, ma sono, talvolta,<br />

addirittura formulate in una lingua straniera di cui le parti – o almeno una di<br />

esse – non hanno una perfetta padronanza ( 84 ). A tali clausole non sembra<br />

ammissibile applicare, in via analogica, le regole interpretative previste per<br />

gli Incoterms, laddove una tale volontà delle parti non risulti incontrovertibilmente<br />

dalle disposizioni del contratto. Al riguardo si evidenzia, infatti,<br />

che l’applicazione delle regole dell’ICC richiede una corretta individuazione<br />

della clausola utilizzata nonchè lo specifico richiamo agli Incoterms ed alla<br />

versione di riferimento ( 85 ), al fine di evitare dubbi in merito alla sussistenza<br />

o meno della volontà delle parti di applicare le regole dell’ICC con<br />

contenuto semantico definito.<br />

Una parte della giurisprudenza è categorica nell’attribuire a tali clausole,<br />

autonomamente formulate dalle parti, il significato di mera ripartizione<br />

delle spese di trasporto senza rilevanza per il locus solutionis ( 86 ).<br />

Altra giurisprudenza richiede, invece, ulteriori elementi oggettivi che<br />

giustifichino l’interpretazione di una tale clausola come implicante un accordo<br />

sul luogo di consegna ( 87 ). Secondo tale orientamento, l’esame del<br />

complesso delle disposizioni contrattuali nonché delle circostanze del caso<br />

( 83 ) Cfr. Magnus, Das UN-Kaufrecht und die Erfüllungsortzuständigkeit in der neuen EuG-<br />

VO, cit., p. 48; Franzina, La giurisdizione in materica contrattuale, cit., p. 395; Piltz, Gerichtsstand<br />

des Erfüllungsortes in UN-Kaufverträgen im Wechselspiel von EuGVVO und UN-Kaufrecht,<br />

in IHR, 2006, p. 56; Kannowski, Gerling e Burret, Zum internationalen Gerichtsstand<br />

der Kaufpreisklage, in IHR, 2008, p. 5; Mankowksi, Article 5, cit., p. 138 ss.<br />

( 84 ) Cfr. le conclusioni dell’avvocato generale Kokott, cit., punto 41.<br />

( 85 ) La stessa ICC afferma, infatti, che « if you want the Incoterms® 2010 rules to apply to<br />

your contract, you should make this clear in the contract »: cfr. ICC, Incoterms® 2010, cit., p. 7.<br />

Sulla necessità di espresso riferimento agli Incoterms vedi anche Cass., 20 gennaio 2009, n. 1358.<br />

Cfr., però, House of Lords, 20 febbraio 2008, Scottish & Newcastle International Ltd. c. Othon Ghalanos<br />

Ltd., cit., che ha qualificato la consegna come FOB anche se era indicato il termine CFR.<br />

( 86 ) Cfr., per esempio, BGH, 11 dicembre 1996, in IPRax, 1997, p. 348 ss.; Kantonsgericht<br />

des Kantons Zug, 22 dicembre 2003, n. A2 02 93, in IHR 2005, p. 121 ss., con nota di Fountoulakis;<br />

OGH, 29 marzo 2004, 5 Ob 313/03w e OGH, 10 settembre 1998, 2 Ob 208/98x, entrambe<br />

consultabili al sito www.ris.bka.gv.at.<br />

( 87 ) Così, una Corte belga, De Rechtbank von Koophandel te Kortrijk, 8 dicembre 2004,<br />

n. 7398, citata in Kannowski, Gerling e Burret, Zum internationalen Gerichtsstand der<br />

Kaufpreisklage im Wechselspiel von EuGVVO und UN-Kaufrecht, cit., p. 5, aveva, in relazione<br />

alla clausola « Frei Haus » (franco domicilio), ritenuto sussistere un accordo sul luogo di consegna<br />

presso l’acquirente sulla base della precisazione « an den Sitz des Käufers » (alla sede<br />

dell’acquirente); cfr., inoltre, OGH, 1 ottobre 2008, 6 Ob 176/08p; OGH, 23 gennaio 2003, 8<br />

Ob 239/02h; OGH, 16 dicembre 2003, 4 Ob 147/03a, consultabili al sito www.ris.bka.gv.at;<br />

OLG Köln, 16 luglio 2001, 16 U 22/01, in IHR, 2002, p. 66.


SAGGI 241<br />

concreto appare decisivo nella formazione del convincimento del giudice<br />

per stabilire la presenza o meno della volontà delle parti sul luogo di consegna.<br />

Questa posizione giurisprudenziale è stata recentemente condivisa dal<br />

Bundesgerichtshof ( 88 ), che ha ritenuto incensurabile l’interpretazione della<br />

Corte di Appello di Monaco di Baviera ( 89 ) data alla clausola «resa: franco<br />

partenza». Tale espressione non è stata giudicata idonea a rispecchiare un<br />

accordo sul luogo di consegna presso la sede del venditore. Secondo la ricostruzione<br />

del giudice del rinvio, tale clausola riguardava solo la ripartizione<br />

delle spese di trasporto ed un diverso assunto era contraddetto in particolare<br />

dai documenti di trasporto prodotti nel corso del giudizio. Di conseguenza,<br />

attesa l’assenza di un accordo espresso, il locus solutionis doveva<br />

essere identificato nel luogo di destinazione finale della merce che era, nel<br />

caso di specie, la sede dell’attore in Germania.<br />

Ne consegue che le clausole simili agli Incoterms, se non chiare ed univoche<br />

nell’esprimere la volontà delle parti in merito al luogo di consegna,<br />

non saranno, di regola, di per sè sufficienti ai fini del foro del contratto. Nella<br />

maggior parte dei casi saranno necessari, pertanto, ulteriori elementi<br />

contrattuali o fattuali concorrenti a comprovare che le parti abbiano inteso,<br />

attraverso la specifica clausola utilizzata, pattuire un determinato luogo di<br />

consegna materiale dei beni.<br />

7. – Ciò detto sull’accordo espresso, preme ora esaminare l’ammissibilità<br />

di accordi impliciti ai fini dell’art. 5, n. 1, lett. b), del regolamento Bruxelles<br />

I.<br />

Fino alla pronuncia Car Trim, l’accordo implicito, se risultante in modo<br />

ragionevolmente certo ( 90 ), è stato unanimemente riconosciuto da autorevole<br />

dottrina ( 91 ) e da una parte della giurisprudenza ( 92 ).<br />

( 88 ) BGH, 23 giugno 2010, cit.; cfr., in tale contesto, anche la domanda di pronuncia pregiudiziale<br />

nel procedimento Car Trim: BGH, 9 luglio 2008, VIII ZR 184/07, consultabile al sito<br />

www.bundesgerichtshof.de.<br />

( 89 ) OLG München, 17 aprile 2008, 23 U 4589/07, in IPRax, 2009, p. 69 ss.<br />

( 90 ) Così Fawcett, Harris e Bridge, International Sale of Goods in the Conflict of Laws,<br />

cit., p. 105, facendo un riferimento analogico all’art. 3(1) della Convenzione di Roma del 1980<br />

sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali.<br />

( 91 ) Ibidem, pp. 101 e 105 ss.; Kannowski, Gerling e Burret, Zum internationalen Gerichtsstand<br />

der Kaufpreisklage im Wechselspiel von EuGVVO und UN-Kaufrecht, cit., p. 5;<br />

Magnus, Das UN-Kaufrecht und die Erfüllungsortzuständigkeit in der neuen EuGVO, cit., p.<br />

45 ss.; Mankowski, Article 5, cit., p. 139; Klemm, Erfüllungsortvereinbarungen im europäischen<br />

Zivilverfahrensrecht, cit., p. 71 ss.; Hau, Die Kaufpreisklage des Verkäufers im reformierten<br />

europäischen Vertragsgerichtsstand – ein Heimspiel, cit., p. 979; Chesire, North e Faw-


242 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

In relazione alle modalità di individuazione di tale accordo, la dottrina<br />

si è interrogata sulla possibilità di desumere lo stesso solo dalle disposizioni<br />

contrattuali od anche dalle circostanze del caso concreto.<br />

La prima possibilità è stata ravvisata, ad esempio, nei casi in cui i beni<br />

venduti dovevano essere installati a cura del venditore in un determinato<br />

luogo. Da tale disposizione contrattuale sarebbe senz’altro desumibile una<br />

volontà implicita delle parti circa il luogo di consegna, coincidente con il<br />

luogo di installazione dei beni ( 93 ).<br />

La sussistenza di un accordo implicito fondata sulle mere circostanze<br />

del caso è stata, invece, individuata in presenza di precedenti rapporti contrattuali<br />

nei quali il luogo di consegna convenzionale era sempre lo stesso.<br />

Ugualmente, si è ritenuto sussistere un accordo implicito nel caso in cui i<br />

beni si trovavano già in un determinato luogo nello Stato di residenza o domicilio<br />

dell’acquirente. In tale ipotesi è stato affermato che il luogo di consegna<br />

era necessariamente ivi ubicato ( 94 ).<br />

La dottrina ammetteva, quindi, un accordo implicito desunto sia dalle<br />

disposizioni del contratto, sia dalle circostanze del caso concreto.<br />

Avendo la sentenza Car Trim affermato che l’accordo sul locus solutionis<br />

deve emergere dalle « disposizioni del contratto » che « rivelino » ( 95 ) la relativa<br />

volontà delle parti ( 96 ), gli accordi impliciti risultanti dalle stesse sembrano,<br />

pertanto, potenzialmente rilevanti ai fini della determinazione del<br />

foro del contratto.<br />

Non è chiaro se siano ugualmente ammissibili gli accordi risultanti dalle<br />

circostanze del caso concreto. A tale proposito, è utile considerare – in via<br />

analogica – il criterio di individuazione della volontà delle parti sul diritto<br />

cett; Private International Law, cit., p. 240; Lupoi, Il nuovo foro per le controversie contrattuali,<br />

cit., p. 514; Salerno, La nozione autonoma del titolo di giurisdizione in materia di vendita,<br />

cit., p. 387.<br />

( 92 ) Ed infatti, la Corte di Giustizia, nella sentenza Zelger, cit., richiedeva unicamente che<br />

l’accordo sul luogo di consegna fosse valido secondo il diritto nazionale applicabile; cfr.<br />

Cass., 9 maggio 2006, n. 1448, cit.; OGH, 16 dicembre 2003, 4Ob147/03a, consultabile al sito<br />

www.ris.bka.gv.at; OLG München, 3 dicembre 1999, in RIW, 2000, p. 712 ss.<br />

( 93 ) In senso conforme cfr., per esempio, Cass., 9 maggio 2006, n. 1448, cit.; OLG München,<br />

3 dicembre 1999, cit., p. 712 ss.<br />

( 94 ) In tal senso Fawcett, Harris e Bridge, International Sale of Goods in the Conflict of<br />

Laws, cit., p. 105.<br />

( 95 ) Sentenza Car Trim, cit., punto 55; nella versione tedesca, lingua del procedimento,<br />

viene utilizzato il termine « erkennen lassen », che potrebbe essere più puntualmente tradotto<br />

come « lasciar intravedere ».<br />

( 96 ) Sentenza Car Trim, cit., dispositivo e punti 54 ss.


SAGGI 243<br />

applicabile al contratto di cui all’art. 3, n. 1, del regolamento Roma I ( 97 ), in<br />

base al quale « la scelta è espressa o risulta chiaramente dalle disposizioni<br />

del contratto o dalle circostanze del caso » ( 98 ). Tale norma ammette l’accordo<br />

implicito risultante alternativamente dalle disposizioni del contratto o<br />

dalle circostanze del caso. Nella sentenza Car Trim, la Corte si riferisce solo<br />

alle disposizioni del contratto, tacendo sulle circostanze del caso. Ci si chiede<br />

quali siano i motivi di tale mancata previsione. In altre parole, una volontà<br />

implicita delle parti sul luogo di consegna può essere desunta anche<br />

dalle mere circostanze del caso oppure può emergere unicamente da disposizioni<br />

contrattuali<br />

A favore della prima possibilità depongono la centralità della volontà<br />

delle parti e la definizione del luogo di consegna fondata su un criterio puramente<br />

fattuale. Sarebbe, infatti, contraddittorio, oltre che riduttivo, determinare<br />

la volontà delle parti alla luce delle sole disposizioni contrattuali,<br />

ignorando gli ulteriori fatti del caso concreto che possano rivelare la volontà<br />

delle parti. L’approccio fattuale imporrebbe, a fortiori, un’elevata considerazione<br />

dei fatti anche ai fini della determinazione della volontà delle parti sul<br />

luogo di consegna.<br />

Contro la rilevanza delle circostanze del caso concreto depone, invece,<br />

l’obiettivo della prevedibilità che potrebbe essere minato, come rilevato da<br />

autorevole dottrina ( 99 ), dalla considerazione (eccessiva) delle circostanze<br />

di fatto, in quanto potenzialmente svariate ed imprevedibili. Si potrebbe,<br />

quindi, presumere che la Corte abbia inteso limitare la rilevanza dell’accordo<br />

ai casi in cui la volontà risulti dalle disposizioni del contratto, proprio per<br />

favorire l’applicazione sussidiaria del luogo di consegna materiale dei beni<br />

rilevante in assenza di accordo ( 100 ) e coincidente – in applicazione dell’esaminato<br />

criterio pragmatico-fattuale – con la destinazione finale degli stessi.<br />

( 97 ) Regolamento CE 593/2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 giugno<br />

2008, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, in G.U.C.E., L 177, 4 luglio 2009, p.<br />

1. Per un commento a tale regolamento cfr. Mosconi e Campiglio, Diritto internazionale e<br />

processuale, parte generale e processuale, cit., p. 371 ss.; Mankowski, Die Rom I-Verordnung –<br />

Änderung im europäischen IPR für Schuldverträge, in IHR, 2008, p. 133 ss.; Leible e Lehmann,<br />

Die Verordung über das auf vertragliche Schuldverhältnisse anzuwendende Recht (Rom I), in<br />

RIW, 2008, p. 528 ss.<br />

( 98 ) Sul punto vedi supra, nota 90. Per un commento sulla volontà delle parti nell’ambito<br />

dell’art. 3, n. 1, del regolamento Roma I, cfr. Mosconi e Campiglio, Diritto internazionale e<br />

processuale, parte generale e processuale, cit., p. 383 ss.<br />

( 99 ) In tal senso Hau, Die Kaufpreisklage des Verkäufers im reformierten europäischen Vertragsgerichtstand,<br />

cit., p. 979.<br />

( 100 ) Sul luogo di consegna in mancanza di accordo cfr. supra, par. 3.


244 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

L’accordo implicito sembra, in ogni caso, assumere diversa rilevanza a<br />

secondo che la consegna sia o meno avvenuta.<br />

Nella prima ipotesi è immaginabile un duplice scenario: o il luogo che si<br />

asserisce essere pattuito implicitamente coinciderà con quello di consegna<br />

materiale dei beni, oppure sarà difficile sostenere la sussistenza di un accordo<br />

implicito sul locus solutionis. L’accordo sarà, quindi, di scarsa importanza<br />

pratica per la determinazione del foro del contratto in caso di avvenuta<br />

consegna ed in assenza di contestazioni a riguardo sollevata da parte acquirente.<br />

Nella seconda ipotesi, l’accordo implicito potrà, invece, rivestire importanza<br />

centrale per non far scattare il disposto di cui all’art. 5, n. 1, lett. c), del<br />

regolamento Bruxelles I, con la conseguente applicazione della lex causae.<br />

D’altra parte, pare non esservi una ragione oggettiva per determinare un<br />

luogo di consegna sulla base di un asserito accordo implicito di confini incerti<br />

quando, in questa specifica ipotesi, l’applicazione della lex causae sembra<br />

garantire maggiore prevedibilità.<br />

L’eventuale inammissibilità degli accordi impliciti desumibili dalle circostanze<br />

del caso, pone, infine, un problema pratico di particolare rilievo,<br />

laddove il contratto preveda un accordo espresso sul locus solutionis, ma la<br />

consegna sia materialmente avvenuta in un luogo diverso. In tale ipotesi –<br />

fino alla sentenza Car Trim – si assumeva che il luogo effettivo di consegna<br />

materiale prevalesse su quello indicato nel contratto in assenza di contestazioni<br />

da parte dell’acquirente, intervenendo, pertanto, un accordo implicito<br />

di modifica contrattuale sul locus solutionis ( 101 ). Con la sentenza Car Trim<br />

( 101 ) Cfr. Magnus, Das UN-Kaufrecht und die Erfüllungsortzuständigkeit in der neuen EuG-<br />

VO, cit., p. 47; Mankowski, Article 5, cit., p. 141; Lupoi, Il « nuovo » foro per le controversie contrattuali,<br />

cit., p. 514; Hager e Bentele, Der Lieferort als Gerichtsstand – zur Auslegung des Art. 5<br />

Nr. 1 lit. b EuGVO, in IPRax, 2004, p. 74; Thorn, Gerichtsstand des Erfüllungsortes und intertemporales<br />

Zivilverfahrensrecht, in IPRax, 2004, p. 453 ss.; De Franceschi, Il foro europeo della materia<br />

contrattuale alla luce delle recenti acquisizioni della Corte di Giustizia, cit., p. 92; in giurisprudenza<br />

cfr. OGH, 2 settembre 2003, 1 Ob 123/03z, in IPRax, 2004, p. 610; OGH, 17 febbraio<br />

2005, 6 Ob 148/04i, consultabile al sito www.ris.bka.gv.at; contra, come pare, Fawcett, Harris<br />

e Bridge, International Sale of Goods, cit., p. 109; Trib. Padova, 10 febbraio 2004, cit. In dottrina<br />

si è posto il problema dell’applicazione di tale orientamento per il caso in cui il contratto preveda<br />

che una modifica pattizia del locus solutionis possa avvenire validamente solo per iscritto<br />

(cfr. Franzina, Struttura e funzionamento del foro europeo della materia contrattuale, cit., p. 679;<br />

De Franceschi, Il foro europeo della materia contrattuale alla luce delle recenti acquisizioni della<br />

Corte di Giustizia, cit., p. 92). Una tale clausola potrebbe essere considerata e trattata dal giudice,<br />

per esempio, o come mera clausola di stile, oppure come accordo astratto, essendo evidentemente<br />

inserita con l’intento di cementare la competenza presso un determinato foro.


SAGGI 245<br />

– atteso il mancato riferimento alle circostanze del caso al fine di valutare la<br />

volontà delle parti sul luogo di consegna – è pertanto dubbio se, nell’ipotesi<br />

descritta, prevalga la disposizione convenzionale contenuta nel contratto<br />

sebbene i beni siano consegnati in un luogo diverso e non siano state sollevate<br />

contestazioni ( 102 ).<br />

Alla luce delle problematiche sopra evidenziate è auspicabile una presa<br />

di posizione da parte della giurisprudenza anche sull’ammissibilità o<br />

meno degli eventuali accordi impliciti risultanti dalle circostanze del caso<br />

concreto.<br />

8. – Nonostante i tentativi normativi e giurisprudenziali di semplificare<br />

la disciplina del forum contractus e di risolvere i relativi dubbi interpretativi<br />

emersi sin dalla sua introduzione, tale obiettivo non si può ancora considerare<br />

raggiunto.<br />

Come sopra evidenziato, scopo del metodo pragmatico-fattuale è garantire<br />

entrambi i principi di prevedibilità e prossimità del foro del contratto.<br />

Allo stato, nella pratica, non sarà sempre agevole conciliare la definizione<br />

pragmatica-fattuale con i predetti principi, soprattutto in presenza di un<br />

presunto accordo sul locus solutionis.<br />

Molte questioni rimangono ancora aperte e dovranno essere opportunamente<br />

chiarite dalla giurisprudenza o da un intervento modificativo del<br />

legislatore comunitario. Il procedimento Electrosteel ( 103 ) – attualmente<br />

pendente dinnanzi alla Corte di Giustizia e di prossima decisione – potrebbe<br />

costituire l’occasione giusta per eliminare i dubbi interpretativi emersi,<br />

in particolare, sia riguardo all’accordo sul locus solutionis, sia riguardo al criterio<br />

di destinazione finale della merce.<br />

Fino a tale momento, gli operatori commerciali che intendano prevenire<br />

il rischio di contenziosi con esito incerto, dovranno convenzionalmente<br />

scegliere il forum litis mediante accordi di proroga di competenza ex art. 23<br />

del regolamento Bruxelles I. In difetto, il foro asseritamente competente<br />

sulla base di un presunto accordo sul luogo di adempimento dovrà essere<br />

individuato con cautela, esaminando attentamente le circostanze fattuali e<br />

verificando la sussistenza di un collegamento effettivo con la realtà contrattuale.<br />

( 102 ) È stato sostenuto in dottrina anche successivamente alla pronuncia Car Trim, seppur<br />

senza motivazione, che in caso di consegna in un luogo diverso da quello precedentemente<br />

pattuito rileva il luogo di consegna effettivo, quando la prestazione in tale luogo non sia stata<br />

contestata: cfr. Leible, Der Erfüllungsort iSv Art. 5 Nr. 1 lit. b Brüssel I-VO, cit., p. 456.<br />

( 103 ) Corte CE, causa C-87/10, Electrosteel Europe SA c. Edil Centro Spa.


246 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Il foro comunitario del contratto, come attualmente concepito ed interpretato,<br />

apre un elevato e difficilmente prevedibile margine discrezionale<br />

del giudice in relazione alla determinazione del locus destinatae solutionis,<br />

di cui si dovrà tenere debitamente conto.


SILVIA MARINO<br />

I contratti di consumo on line e la competenza giurisdizionale<br />

in ambito comunitario<br />

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il sito internet interattivo. – 3. La sentenza della Corte di<br />

giustizia. – 4. Conclusioni.<br />

1. – Il reg. CE n. 44/2001 sulla competenza, il riconoscimento e l’esecuzione<br />

delle decisioni in materia civile e commerciale ( 1 ) contiene un’apposita<br />

Sezione, la 4 del Titolo II, dedicata ai contratti conclusi dai consumatori.<br />

La disciplina di questo settore è stata profondamente modernizzata rispetto<br />

a quella precedentemente vigente, stabilita dalla Convenzione di Bruxelles<br />

del 1968 ( 2 ), soprattutto per quanto attiene al campo di applicazione materiale<br />

delle norme in esame ( 3 ). L’aspetto della disciplina che si prende qui in<br />

esame è dato dall’invocabilità di queste disposizioni ai contratti a distanza,<br />

modalità di stipulazione non considerata dalla Convenzione di Bruxelles.<br />

L’art. 13 di quest’ultima stabiliva infatti che le norme a tutela del consumatore<br />

si applicassero se il contratto costituiva una vendita a rate di beni mobili<br />

materiali, oppure un prestito con rimborso rateizzato o un’altra operazione<br />

di credito, connessi con il finanziamento di una vendita di tali beni, oppure,<br />

per qualsiasi contratto di fornitura di servizi o di beni mobili materiali<br />

a due condizioni cumulative, ovvero se la conclusione del contratto era stata<br />

preceduta da una proposta specifica o da una pubblicità nello Stato in cui<br />

il consumatore aveva il proprio domicilio e se quest’ultimo aveva compiuto<br />

in tale Paese gli atti necessari per la conclusione del contratto.<br />

Il soddisfacimento di queste condizioni risultava problematico per i<br />

( 1 ) Regolamento CE n. 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000, concernente la competenza<br />

giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e<br />

commerciale, in G.U.C.E., L 12, 16 gennaio 2001, p. 1.<br />

( 2 ) Convenzione concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione<br />

delle decisioni in materia civile e commerciale (versione consolidata), in G.U.C.E.,<br />

C 27, 26 gennaio 1998.<br />

( 3 ) Su cui si veda: Droz e Gaudemet-Tallon, La transformation de la Convention de<br />

Bruxelles du 27 septembre 1968 en Règlement du Conseil concernant la compétence judiciaire, la<br />

reconnaissance et l’exécution des décisions en matière civile et commerciale, in Rev. civ. dr. int.<br />

priv., 2001, p. 601.


248 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

contratti a distanza in generale, e in particolare per quelli conclusi on line.<br />

Infatti, essendo il sito web accessibile in qualsiasi luogo del mondo, non è<br />

possibile parlare di pubblicità effettuata in uno Stato determinato come accade<br />

per i mezzi classici, quali la televisione o la stampa. Analogamente,<br />

l’unica possibile forma per effettuare una proposta contrattuale specifica al<br />

consumatore è l’invio di una mail, modalità che, nella prassi del commercio<br />

elettronico, non è particolarmente diffusa, a meno che il consumatore sia<br />

già iscritto a una mailing list e abbia quindi già dimostrato interesse a ricevere<br />

le proposte commerciali dell’operatore professionale. Inoltre, nei contratti<br />

conclusi via internet non è rilevante il luogo in cui il consumatore ha<br />

avuto accesso alla rete, proprio per la sua universalità, e comunque non<br />

sempre è possibile individuarlo.<br />

Pertanto, questa disposizione mal si adattava alle esigenze del commercio<br />

elettronico. L’art. 15 reg. CE n. 44/2001, che apre la Sezione dedicata ai<br />

contratti di consumo, ha perciò ampliato le condizioni di applicazione delle<br />

norme protettrici: si richiede che le attività del professionista si svolgano<br />

nello Stato membro del domicilio del consumatore o siano dirette, con<br />

qualsiasi mezzo, verso tale Stato o verso una pluralità di Stati che lo comprende<br />

( 4 ), divenendo invece irrilevanti le forme pubblicitarie utilizzate, le<br />

modalità con cui il consumatore è stato contattato e il luogo in cui quest’ultimo<br />

ha posto in essere gli atti necessari per la conclusione del contratto ( 5 ).<br />

Rientrano nel campo di applicazione delle norme di tutela i contratti a di-<br />

( 4 ) Secondo Palacio Vallersundi, Le commerce électronique, le juge, le consommateur,<br />

l’entreprise et le Marché intérieur – nouvelle équation pour le droit communautaire, in Rev. dr.<br />

UE, 2001, p. 14, il criterio adottato non è efficiente nel mercato unico. Infatti, con l’eliminazione<br />

delle frontiere interne non dovrebbe porsi alcuna distinzione sulla base dello Stato di<br />

commercializzazione, poiché i professionisti dovrebbero sentire tutto il territorio comunitario<br />

come home market, e non solo uno o più Stati membri determinati. Con il criterio dell’attività<br />

diretta si incentivano le imprese ad evitare di contrattare con consumatori domiciliati in<br />

Paesi membri diversi dal proprio. Ne consegue, secondo l’Autore, una discriminazione a danno<br />

di consumatori e produttori di Stati piccoli, i primi non essendo mai sufficientemente protetti<br />

perché i professionisti di altri Stati membri non offriranno i loro servizio nel Paese di domicilio,<br />

i secondi perché dovranno necessariamente esportare, essendo il mercato nazionale<br />

troppo piccolo, dovendo al contempo offrire la tutela dei consumatori domiciliati in altri Stati<br />

membri. Infine, dal punto di vista pratico, la norma non garantisce la certezza del diritto lasciando<br />

un eccessivo margine di discrezionalità al giudice.<br />

( 5 ) Dal commento alla Proposta di regolamento CE del Consiglio concernente la competenza<br />

giurisdizionale nonché il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile<br />

e commerciale (COM/99/0348 def. – CNS 99/0154), in G.U.C.E., C 376 E, 28 dicembre<br />

1999, p. 1 è evidente che la modifica è stata introdotta allo scopo di aggiornare la disciplina rispetto<br />

alle nuove tecniche di pubblicità, commercializzazione e conclusione dei contratti,


SAGGI 249<br />

stanza e quelli conclusi da un consumatore attivo, che non si trova nel proprio<br />

domicilio al momento della stipula del contratto.<br />

Nonostante l’espressa considerazione, contenuta nella motivazione<br />

della proposta, delle peculiarità dei contratti conclusi via internet, già al momento<br />

dell’approvazione del regolamento sussistevano dubbi sul significato<br />

da attribuire alla condizione per cui le attività professionali dovessero essere<br />

dirette verso lo Stato membro di domicilio del consumatore. Vi si legge,<br />

infatti, che la nuova disposizione mira a chiarire che la Sezione speciale<br />

è applicabile agli accordi conclusi attraverso un “sito internet interattivo accessibile<br />

nello Stato di domicilio del consumatore”. Si specifica, inoltre, che<br />

il fatto che il consumatore abbia avuto conoscenza di un servizio o di una<br />

merce attraverso un sito internet passivo, accessibile nel proprio Stato di domicilio,<br />

non è sufficiente ai fini dell’applicazione delle disposizioni di tutela<br />

( 6 ). Già in quella sede, la Commissione riconosceva le difficoltà nell’interpretare<br />

questa condizione nell’ambito del commercio elettronico ( 7 ).<br />

Tuttavia, nessuna indicazione più specifica è contenuta nel testo o nei<br />

considerando del regolamento. Al fine di far fronte a questa difficoltà, la<br />

Commissione dichiarava solamente di voler sostenere delle audizioni con<br />

esponenti delle autorità di regolamentazione, delle autorità legislative, dei<br />

consumatori, dell’industria e di altri gruppi interessati.<br />

La Corte di giustizia dell’Unione europea è recentemente intervenuta<br />

proprio su tale questione, interpretando per la prima volta la locuzione “attività<br />

dirette” contenuta nel regolamento nell’ambito di due contratti conclusi<br />

on line ( 8 ).<br />

Nella prima controversia, il Sig. Pammer, residente in Austria, aveva<br />

concluso un contratto di viaggio su nave mercantile con una società avente<br />

sede in Germania, tramite un’agenzia domiciliata nello stesso Stato. Tutta-<br />

rendendo irrilevante il fatto che il consumatore si trovi in uno Stato membro diverso da quello<br />

del domicilio nel momento in cui stipula l’accordo. La nuova norma ha altresì lo scopo di<br />

evitare eventuali frodi da parte del professionista, che induca il consumatore a spostarsi dal<br />

suo Stato di origine al fine di concludere il contratto, rendendosi in tal modo non invocabile<br />

la tutela stabilita dalla Convenzione di Bruxelles.<br />

( 6 ) Secondo la Proposta, la norma avrebbe equiparato i contratti conclusi via internet a<br />

quelli conclusi a distanza mediante telefono o fax.<br />

( 7 ) Questa condizione aveva suscitato delle perplessità anche nelle piccole e medie imprese,<br />

dal momento che queste ultime non possono sostenere spese per controversie instaurate<br />

in tutti gli Stati membri ed è fondamentale distinguere in quali Stati si rivolge la loro offerta.<br />

( 8 ) Corte CE, 7 dicembre 2010, cause riunite C-585/08 e 144/09, Pammer e Hotel Alpenhof,<br />

non ancora pubbl. in Racc.


250 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

via, la descrizione della nave e del viaggio pubblicata sul sito internet dell’agenzia<br />

non corrispondeva alla realtà, mancando diversi dei servizi promessi<br />

ed essendo stata destinata all’acquirente una camera singola anziché doppia.<br />

Pertanto, egli si rifiutava di salpare e otteneva un rimborso parziale del<br />

prezzo da parte della società fornitrice del servizio. Successivamente, citava<br />

la medesima presso un tribunale austriaco per la restituzione dell’importo<br />

rimanente.<br />

Nella seconda controversia, il Sig. Heller, residente in Germania, aveva<br />

prenotato delle camere in un albergo situato in Austria, tramite il sito internet<br />

dello stesso; l’indirizzo e-mail dell’albergo si trovava sul sito e l’offerta e<br />

l’accettazione erano avvenute via posta elettronica. Al termine della vacanza,<br />

contestando i servizi offerti, il Sig. Heller lasciava l’albergo senza pagare<br />

il prezzo pattuito, avendo versato solo la caparra, e veniva pertanto citato<br />

presso il giudice austriaco per la corresponsione del rimanente.<br />

Le due controversie sollevano una questione comune, ovvero se gli<br />

operatori abbiano diretto le loro attività commerciali negli Stati membri di<br />

domicilio dei consumatori, al fine di rendere applicabili le norme a tutela di<br />

queste parti deboli, garantendo la possibilità che le controversie siano instaurate<br />

nel Paese del loro domicilio, siano essi attori o convenuti. L’Oberster<br />

Gerichtshof austriaco, giudice del rinvio in entrambe le cause, chiede<br />

quindi se sia sufficiente che il sito del professionista sia accessibile via internet<br />

per presumere che l’attività sia diretta verso lo Stato membro del domicilio<br />

del consumatore ( 9 ).<br />

2. – Il regolamento non contiene alcuna indicazione in proposito. Una<br />

dichiarazione congiunta del Consiglio e della Commissione europea, elaborata<br />

contestualmente alla Proposta di regolamento nel 2000 ( 10 ), sottolinea<br />

che la mera accessibilità di un sito internet non è sufficiente a far ritenere<br />

che il professionista diriga le proprie attività verso un determinato Stato<br />

membro: è necessario che lo stesso inviti a concludere un contratto e che un<br />

contratto sia stato effettivamente concluso. Si pone, così, la distinzione fra<br />

sito internet passivo, mero strumento pubblicitario, e sito interattivo, che<br />

( 9 ) La causa Pammer poneva un’ulteriore questione interpretativa, ovvero se il viaggio<br />

sulla nave mercantile potesse essere considerato come un “viaggio tutto compreso” ai sensi<br />

dell’art. 15, par. 3, reg. CE n. 44/2001, che esclude dall’ambito materiale delle disposizioni sui<br />

contratti di consumo il trasporto, ma non se prevede prestazioni combinate di trasporto e di<br />

alloggio per un prezzo globale.<br />

( 10 ) Doc. n. 13742/00, consultabile sul sito: http://register.consilium.europa.eu/pdf/it/00/<br />

st13/st13742.it00.pdf.


SAGGI 251<br />

consente altresì la conclusione di contratti in via telematica. In questo ambito,<br />

secondo le istituzioni, non avrebbero rilevanza la lingua utilizzata e la<br />

valuta impiegata per i pagamenti.<br />

Anche la dottrina maggioritaria ha seguito la distinzione fra sito internet<br />

passivo ed interattivo, ritenendo che non sia sufficiente pubblicizzare la<br />

propria attività professionale tramite il web, ma che il sito debba invece invitare<br />

il visitatore a concludere contratti a distanza ( 11 ). Meno omogenee sono<br />

le soluzioni quanto all’individuazione degli strumenti utili per comprendere<br />

se l’attività viene rivolta verso un determinato Stato, ovvero un gruppo di<br />

Stati comprendente quello rilevante.<br />

Secondo parte della dottrina, diversamente da quanto espresso dalle<br />

istituzioni comunitarie, anche la lingua utilizzata costituirebbe un indice<br />

della volontà del professionista di indirizzare la propria attività verso un determinato<br />

Paese, a meno che si tratti di una lingua molto conosciuta o utilizzata<br />

in più Stati membri ( 12 ).<br />

Tendenzialmente irrilevante è stato considerato il dominio di primo livello<br />

(“.it”, “.com”), poiché eventualmente indica la provenienza del professionista,<br />

se si ricollega a uno Stato, oppure è del tutto neutro in termini<br />

di nazionalità ( 13 ).<br />

Secondo un altro orientamento, l’unico criterio sicuro è dato dall’indicazione<br />

specifica sul sito che il professionista intende o non intende<br />

concludere contratti con consumatori aventi domicilio in un determinato<br />

Paese ( 14 ). Se si tratta di un sistema certo per la comprensione della volontà<br />

del professionista, potrebbe tuttavia essere troppo gravoso per quest’ultimo<br />

( 11 ) Draetta, Internet e il commercio elettronico nel diritto internazionale dei privati, Milano,<br />

2001, p. 50; Droz e Gaudemet-Tallon, La transformation, cit., p. 639; Motion, The Brussels<br />

Regulation and E-Commerce – a premature Solution to a Fictional Problem, in Computer<br />

and Telecommunication Law Review, 2001, p. 211; Wilderspin, Le règlement (CE) 44/2001 du<br />

Conseil: conséquences pour les contrats conclus par les consommateurs, in Rev. eur. dr. cons.,<br />

2002, p. 22 ; TAgaras, La révision et communitarisation de la Convention de Bruxelles par le règlement<br />

44/2001, in Cahiers dr. eur., 2003, p. 407; Gaudemet-Tallon, Compétence et exécution<br />

des jugements en Europe. Règlement 44/2001, Conventions de Bruxelles et de Lugano (1988 et<br />

2007), Paris, 2010, p. 295.<br />

( 12 ) Vasiljeva, 1968 Brussels Convention and EU Council Regulation n. 44/2001: jurisdiction<br />

in Consumer Contracts Concluded Online, in Eur. Law J., 2004, p. 132.<br />

( 13 ) Vasiljeva, 1968 Brussels Convention, cit., p. 130. Sicuramente il sito internet non può<br />

essere considerato una filiale del professionista al fine di rendere competente il giudice del<br />

luogo in cui la pagina web è accessibile (Motion, The Brussels Regulation, cit., p. 210).<br />

( 14 ) Beraudo, Le Règlement (CE) du Conseil du 22 décembre concernant la compétence judiciaire,<br />

la reconnaissance et l’exécution des décisions en matière civile et commerciale, in J. dr.<br />

int., 2001, p. 1056.


252 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

indicare di volta in volta in maniera espressa gli Stati dai quali intende accettare<br />

gli ordini. Al contrario, secondo un’altra interpretazione, è sufficiente<br />

che il sito contenga un invito alla conclusione a distanza del contratto,<br />

essendo così l’attività commerciale diretta in tutti gli Stati in cui il sito è<br />

accessibile ( 15 ), con evidente ampliamento della portata della norma. Altra<br />

dottrina, collegando la disposizione in esame con la direttiva sul commercio<br />

elettronico ( 16 ), sembra presupporre che sia sufficiente la conclusione di<br />

un contratto per dedurre che le attività vengano dirette nello Stato membro<br />

del domicilio del consumatore ( 17 ).<br />

Un altro autore ( 18 ) propone il criterio della focalisation, che si differenzia<br />

dalla classica localizzazione perché non ha una connotazione reale o<br />

geografica, ma tiene in particolare considerazione la volontà degli operatori.<br />

Ne consegue che già la conclusione di un solo contratto induce a ritenere<br />

che le attività professionali sono state indirizzate verso lo Stato membro<br />

del domicilio del consumatore ( 19 ), ma non costituisce unico elemento di<br />

valutazione.<br />

Nelle cause pendenti presso la Corte di giustizia, tutte le parti e diversi<br />

governi hanno presentato delle osservazioni sull’interpretazione da dare alla<br />

locuzione “attività diretta”.<br />

Secondo alcuni degli intervenienti la nozione deve essere intesa in senso<br />

ampio. Si sottolinea che indipendentemente dalle caratteristiche di interattività<br />

del sito, il venditore dirige la sua attività attraverso questo strumento<br />

quando presenta la sua merce ed i suoi servizi, offrendoli al consumatore.<br />

In tal modo, i privati sarebbero maggiormente stimolati nella conclusione<br />

di contratti in via telematica, sviluppandosi il mercato interno ( 20 ).<br />

Inoltre, il professionista dovrebbe normalmente tener conto della possibi-<br />

( 15 ) Carbone, Lo spazio giudiziario europeo in materia civile e commerciale, Torino, 2009,<br />

p. 134.<br />

( 16 ) Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000 relativa<br />

a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio<br />

elettronico, nel mercato interno, in G.U.C.E., L 178, 17 luglio 2000.<br />

( 17 ) Salerno, Giurisdizione ed efficacia delle decisioni straniere nel regolamento (CE) n.<br />

44/2001, Padova, 2006, p. 221.<br />

( 18 ) Cachard, La régulation internationale du marché électronique, Paris, 2002.<br />

( 19 ) Gaudemet-Tallon, Compétence et exécution, cit., p. 296.<br />

( 20 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2006/123 del 12 dicembre 2006, relativa<br />

ai servizi nel mercato interno, in G.U. C.E., L 376, p. 36. Come dimostrato dall’avvocato<br />

generale, questa situazione non crea alcuna violazione della direttiva, la quale ammette<br />

la previsione di prezzi e servizi diversi a seconda del luogo in cui si trova il destinatario dei servizi.


SAGGI 253<br />

lità di essere convenuto in tutti gli Stati membri, a meno che non indichi<br />

espressamente di non rivolgersi a consumatori domiciliati in determinati<br />

Paesi. Secondo la Commissione, devono valutarsi tutte le circostanze del<br />

caso di specie, quali la natura dell’attività imprenditoriale e le modalità di<br />

pubblicazione del sito internet, l’indicazione del numero telefonico con il<br />

prefisso internazionale, il link al programma che fornisce indicazioni stradali<br />

e la sussistenza dell’opzione « cerca/prenota », grazie alla quale è possibile<br />

controllare la disponibilità del bene o del servizio offerto; è tuttavia irrilevante<br />

l’indicazione dell’indirizzo e-mail del professionista, in quanto<br />

obbligatoria ai sensi dell’art. 5 della direttiva sul commercio elettronico.<br />

Altri intervenienti hanno proposto un’interpretazione maggiormente<br />

restrittiva. Non viene considerata sufficiente la sola apertura di un sito internet,<br />

dal momento che questo strumento consente la diffusione delle<br />

informazioni in tutto il mondo: sarebbe così scoraggiata l’attività transnazionale<br />

da parte dei professionisti, contrariamente a quanto le esigenze<br />

del mercato interno richiedono. La necessità di indicare espressamente a<br />

quali Stati membri si rivolge l’offerta di beni o servizi sarebbe contraria all’art.<br />

20 della direttiva relativa ai servizi nel mercato interno, che vieta la<br />

discriminazione dei destinatari dei servizi in base alla cittadinanza o al domicilio.<br />

Pertanto, sarebbe necessario limitare l’applicazione della disposizione<br />

in esame ai casi particolari in cui le imprese invitano attivamente,<br />

selettivamente ed espressamente un particolare consumatore o i consumatori<br />

in generale, non essendo invece sufficienti la presenza su internet,<br />

l’accessibilità dell’offerta e la possibilità di stipulare transazioni transfrontaliere<br />

all’interno del mercato comune su un sito internet. Dovrebbero<br />

considerarsi, ad esempio, l’interattività del sito, nel quale sia riportato<br />

l’indirizzo di posta elettronica del professionista; l’invio di un messaggio<br />

di posta elettronica al consumatore, che lo informi dell’esistenza del sito;<br />

l’addebito di ulteriori spese ai consumatori di determinati Stati membri,<br />

come ad esempio le spese di spedizione; l’ottenimento di un marchio di<br />

qualità utilizzato in taluni Stati membri; l’indicazione dell’itinerario da<br />

un determinato Stato alla sede del venditore e l’indicazione del numero<br />

telefonico per l’assistenza ai consumatori stranieri, mentre sarebbe irrilevante<br />

il dominio di primo livello.<br />

Si individua una linea comune nelle osservazioni presentate dagli intervenienti,<br />

nel senso di privilegiare una valutazione caso per caso, sulla base<br />

di alcuni elementi considerati rilevanti. Tuttavia, l’individuazione di questi<br />

ultimi e la loro effettiva portata varia.<br />

Su queste premesse, l’avvocato generale presenta delle conclusioni molto<br />

dettagliate. Dopo aver ricostruito la giurisprudenza della Corte di giustizia


254 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

sulle condizioni di applicazione della Sezione dedicata ai contratti di consumo,<br />

esamina l’art. 15 sulla base di diversi metodi esegetici.<br />

Alla luce dell’interpretazione lettale, storica, teleologica e sistematica,<br />

secondo l’avvocato generale si può affermare che la mera apertura di un sito<br />

internet non sia sufficiente a ritenere che il professionista si rivolga direttamente<br />

in un determinato Stato membro, e che l’elemento distintivo non<br />

è dato dal fatto che il sito sia interattivo o passivo.<br />

È pertanto necessario individuare i criteri con i quali si può stabilire che<br />

il professionista diriga attraverso internet la propria attività verso un determinato<br />

Stato membro, ovvero una pluralità, comprendente il Paese rilevante.<br />

D’altra parte l’avvocato generale suggerisce un’analisi caso per caso,<br />

dopo aver esaminato tutte le circostanze specifiche, e indica alcuni elementi<br />

che potrebbero essere presi in considerazione.<br />

Innanzitutto si dovrebbe valutare il contenuto del sito internet al momento<br />

della stipulazione del contratto, cioè se il professionista inviti o incoraggi<br />

i visitatori di altri Stati membri a concludere dei contratti a distanza. In<br />

tal senso sono rilevanti, ad esempio, le informazioni fornite sul sito internet:<br />

l’indicazione del prefisso telefonico internazionale accanto al numero telefonico<br />

o di fax, oppure l’esistenza di un numero dedicato all’assistenza e<br />

alle informazioni ai consumatori esteri; la segnalazione dell’itinerario per<br />

raggiungere la località nella quale il venditore svolge la propria attività da altri<br />

Stati membri; la possibilità di controllare la disponibilità di una merce in<br />

magazzino; l’iscrizione alle newsletters sui servizi o sui beni offerti aperta<br />

anche a consumatori domiciliati in altri Stati membri, la possibilità di scegliere<br />

nel form di conclusione del contratto lo Stato del proprio domicilio se<br />

il sito è interattivo.<br />

L’avvocato generale analizza quindi la rilevanza di alcuni elementi che<br />

erano stati discussi dagli intervenienti. A suo avviso, l’indicazione nel sito<br />

internet dell’indirizzo di posta elettronica e di altri dati, che permettono di<br />

contattare rapidamente il prestatore, non è sufficiente a configurare un’attività<br />

« diretta », essendo obbligatoria ai sensi della direttiva sul commercio<br />

elettronico. Se queste indicazioni fossero da sole sufficienti per configurare<br />

un’attività « diretta », tutti i siti internet rientrerebbero in questa categoria,<br />

contrariamente allo scopo dell’art. 15, reg. CE n. 44/2001.<br />

Secondo l’avvocato generale è necessario considerare l’attività commerciale<br />

precedentemente svolta con i consumatori di altri Stati membri,<br />

ovvero verificare se il venditore abbia già concluso in precedenza contratti<br />

transnazionali. Anche nell’ambito di tale criterio, tuttavia, deve farsi<br />

un’attenta analisi del numero e della frequenza dei contratti conclusi con<br />

soggetti domiciliati in quel determinato Stato membro, non essendo suf-


SAGGI 255<br />

ficiente che il professionista abbia già fornito i suoi servizi generalmente<br />

all’estero ( 21 ).<br />

Inoltre, anche la lingua in cui è redatto il sito potrebbe essere un indizio<br />

di attività diretta verso uno Stato membro o una pluralità di Stati membri<br />

sulla base della sua diffusione e del suo utilizzo come lingua ufficiale in uno<br />

o più Paesi. Secondo l’avvocato generale, è altresì rilevante verificare se il sito<br />

internet, la cui pagina iniziale è redatta in una lingua, possa essere visualizzato<br />

in un’altra lingua, rappresentando un indizio che il venditore dirige<br />

la sua attività anche verso altri Stati membri.<br />

Anche il dominio di primo livello utilizzato può essere rilevante, perché<br />

è un chiaro indizio del fatto che il venditore dirige la sua attività verso il Paese<br />

corrispondente a tale dominio, ma non esclude che l’attività sia indirizzata<br />

verso altri Stati membri. Ciò è ancora è più evidente se il professionista<br />

con sede in uno Stato membro utilizzi il dominio di un altro Paese nel quale<br />

non ha sede o alcuna filiale. Analogamente, l’utilizzo di nomi di dominio<br />

neutri rispetto alla nazione può essere indicativo del fatto che il professionista<br />

non dirige la sua attività solo verso lo Stato membro in cui è stabilito,<br />

ma anche verso altri, sebbene ciò non sia sufficiente per poter concludere<br />

che il venditore diriga la sua attività in tutto il territorio comunitario.<br />

Fra le peculiarità va altresì valutata l’esistenza di link commerciali sui siti<br />

internet dei motori di ricerca, di pop-up, di eventuali contatti via mail da<br />

parte del professionista, senza alcuna richiesta in tal senso da parte dei consumatori,<br />

oppure se siano utilizzate altre forme pubblicitarie in quello Stato<br />

membro ( 22 ).<br />

Infine, l’avvocato generale analizza brevemente anche la questione se il<br />

venditore possa indicare espressamente nel sito internet il suo intento di<br />

non dirigere la sua attività verso determinati Stati membri (il cosiddetto disclaimer),<br />

anche se i siti rilevanti nelle due fattispecie non contenevano alcuna<br />

limitazione di questo tipo. La risposta dovrebbe essere positiva: come<br />

il professionista può indicare gli Stati verso i quali dirige le sue attività, così<br />

( 21 ) L’avvocato generale precisa che la stipulazione di un contratto con un solo consumatore<br />

di uno Stato membro, di per sé e indipendentemente da altri criteri, non è in linea di principio<br />

sufficiente a configurare un’attività diretta verso tale Stato membro. In tal caso, si svuoterebbe<br />

di significato la nozione di attività diretta, che presuppone un impegno attivo del venditore<br />

nel concludere contratti con i consumatori di quello Stato membro. Sono necessari invece<br />

altri indizi a conferma.<br />

( 22 ) Secondo l’avvocato generale, invece, il tipo di attività svolta non rileva, poiché spetta<br />

all’imprenditore decidere a quale o a quali mercati rivolgersi, indipendentemente da altre circostanze.


256 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

può procedere all’operazione opposta, purché agisca anche nei fatti in maniera<br />

coerente rispetto a quanto indicato nel sito internet. La limitazione<br />

della direzione dell’attività rappresenta una decisione imprenditoriale autonoma<br />

del professionista, che non può essere limitata, e non può essere<br />

negata la possibilità di indicare espressamente nel suo sito internet verso<br />

quali Stati membri non intende dirigere la sua attività.<br />

3. – La Corte di giustizia fornisce un’interpretazione autonoma della<br />

nozione di “attività diretta”, sulla base del sistema del regolamento e delle<br />

finalità della norma ( 23 ). La nuova formulazione dell’art. 15 del regolamento<br />

rispetto all’art. 13 della Convenzione si giustifica, secondo la Corte, per la<br />

necessità di ampliare l’ambito della tutela del consumatore a seguito dello<br />

sviluppo di nuove tecniche di commercializzazione. Pertanto, al fine di contemperare<br />

gli interessi del professionista e quelli opposti del consumatore,<br />

( 23 ) In primo luogo la Corte risolve la prima questione pregiudiziale nel caso Pammer, relativa<br />

alla configurabilità del contratto come viaggio tutto compreso. Secondo la Corte, i contratti<br />

che prevedono prestazioni combinate di trasporto e alloggio per un prezzo globale ai<br />

sensi dell’art. 15 reg. CE n. 44/2001 sono assimilabili ai viaggi tutto compreso di cui alla Direttiva<br />

90/314 del Consiglio del 13 giugno 1990, concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti<br />

« tutto compreso », in G.U.C.E., L 158, 2 giugno 1990, p. 59. Pertanto, è sufficiente che la<br />

combinazione dei servizi turistici venduti ad un prezzo forfettario comprenda due dei tre tipi<br />

di servizi indicati dall’art. 2 della direttiva, cioè il trasporto, l’alloggio e altri servizi turistici<br />

non accessori al trasporto o all’alloggio stessi che costituiscono una parte significativa del<br />

« tutto compreso », e che tale servizio superi le 24 ore o comprenda un pernottamento (Corte<br />

CE, 30 aprile 2002, causa C-400/00, Club-Tour, in Racc., 2002, I-4051). La direttiva è pertinente<br />

nell’esame del reg. CE n. 44/2001, dal momento che il regolamento “Roma I” (Regolamento<br />

CE n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008, sulla legge applicabile<br />

alle obbligazioni contrattuali (“Roma I”), in G.U.C.E., L 177, 4 luglio 2008, p. 6), innovando<br />

rispetto alla Convenzione di Roma (Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile<br />

alle obbligazioni contrattuali, versione consolidata, in G.U.C.E., C 334, 30 dicembre<br />

2005, p. 1) fa espresso riferimento alla direttiva per stabilire che questa tipologia contrattuale<br />

rientra nell’ambito delle norme sui contratti di consumo. Data la necessità di interpretare parallelamente<br />

i due regolamenti sulla cooperazione giudiziaria, ne consegue che anche il reg.<br />

CE n. 44/2001 può essere inteso come facente riferimento alla tipologia contrattuale disciplinata<br />

dalla direttiva. Un viaggio su una nave mercantile come quello offerto nel caso di specie<br />

costituisce un viaggio tutto compreso, dal momento che erano presenti gli elementi del trasporto,<br />

dell’alloggio e la durata era superiore alle 24 ore. È interessante notare che la recente<br />

proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla competenza giurisdizionale,<br />

il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, del<br />

14 dicembre 2010, COM(2010) 748 def., 2010/0383 (COD), destinato a modificare il testo del<br />

reg. CE n. 44/2001, non prevede alcuna rielaborazione dell’art. 15, par. 3, al fine di chiarire il<br />

parallelismo con il Regolamento “Roma I” e con la direttiva sui viaggi tutto compreso.


SAGGI 257<br />

è necessario accertare che il primo abbia voluto rivolgersi al mercato di uno<br />

o più Stati membri. Questa volontà è esplicita, secondo la Corte, in determinate<br />

forme di pubblicità, come ad esempio accade per i mezzi classici,<br />

quali la stampa, la radio, la televisione, ovvero l’invio di cataloghi e proposte<br />

commerciali al domicilio del consumatore.<br />

La stessa conclusione non può raggiungersi con la stessa facilità per<br />

quanto attiene alla pubblicità via internet, dal momento che si tratta di un<br />

mezzo accessibile in qualsiasi parte del mondo. Non ne consegue tuttavia<br />

che i termini “attività diretta” debbano essere interpretati nel senso che implichino<br />

la semplice accessibilità di un sito internet in Stati membri diversi<br />

da quello in cui sia stabilito il commerciante interessato; infatti, la condizione<br />

dello svolgimento delle attività in uno Stato membro diverrebbe del<br />

tutto irrilevante, conseguendone che la tutela del consumatore sarebbe assoluta<br />

nel campo di applicazione del regolamento ( 24 ). Da questa precisazione,<br />

e dalla già citata dichiarazione congiunta del Consiglio e della Commissione,<br />

la Corte deduce che non è sufficiente la sola apertura di un sito internet<br />

per rendere applicabili le disposizioni in materia di contratto di consumo.<br />

È, invece, necessario che sia rilevabile una volontà del professionista<br />

alla commercializzazione dei beni e dei servizi in un determinato Stato<br />

membro.<br />

La Corte indica alcuni indizi oggettivi che possono essere valutati a tal<br />

fine. L’analisi è parallela a quella già svolta dall’avvocato generale nelle sue<br />

conclusioni e giunge pressoché agli stessi risultati.<br />

Pertanto, non vi rientrano l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica<br />

e del numero di telefono senza prefisso internazionale, essendo obbligatorie<br />

in forza della direttiva sul commercio elettronico indipendentemente<br />

dagli Stati in cui l’attività commerciale si svolge ( 25 ). Ne consegue che la distinzione<br />

fra sito internet passivo e interattivo non ha rilevanza, dal momento<br />

che entrambi consentono di contattare il professionista agevolmente,<br />

a prescindere dai luoghi in cui quest’ultimo intende proporre la propria<br />

offerta; invece, deve valutarsi quale sia la volontà del professionista.<br />

( 24 ) La Corte fa riferimento alla sua recente sentenza resa il 15 aprile 2010, causa C-215/08,<br />

Friz, non ancora pubbl. in Racc., con riguardo alla direttiva del Consiglio 20 dicembre 1985,<br />

85/577, per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali,<br />

in G.U.C.E., L 372, 31 dicembre 1985, p. 31, per ricordare che la tutela della parte debole<br />

rimane condizionata alle limitazioni stabilite nei vari atti normativi e non può ritenersi assoluta,<br />

essendo necessario un contemperamento anche con gli altri interessi in causa.<br />

( 25 ) Corte CE, 16 ottobre 2008, causa C-298/07, Bundesverband der Verbraucherzentralen<br />

und Verbraucherverbände, in Racc., 2008, p. I-7841.


258 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Tra gli indizi espressi rientra sicuramente l’indicazione di voler offrire i<br />

propri servizi in uno o più Stati membri, nonché l’impegno di risorse finanziarie<br />

per un servizio di posizionamento su internet presso il gestore di un<br />

motore di ricerca. Se non vi sono degli indizi così chiari, secondo la Corte si<br />

deve fare riferimento ad altri elementi da valutarsi congiuntamente. Sulla<br />

base delle osservazioni presentate dagli intervenienti, la Corte ne individua<br />

un catalogo non esaustivo. Fra questi vi rientrano: la natura internazionale<br />

dell’attività professionale, quali talune attività turistiche; la menzione di recapiti<br />

telefonici con indicazione del prefisso internazionale; l’utilizzazione<br />

della denominazione di un dominio di primo livello diverso da quello dello<br />

Stato membro in cui il professionista è stabilito o l’utilizzazione di domini<br />

neutri quali “.com” o “.eu” ( 26 ); l’indicazione di itinerari a partire da uno o<br />

più altri Stati membri verso il luogo della prestazione dei servizi ( 27 ) nonché<br />

la menzione di una clientela internazionale composta da clienti domiciliati<br />

in Stati membri diversi, che abbiano lasciato ad esempio commenti o feedback<br />

sull’attività del professionista. Anche la lingua e la moneta possono assumere<br />

rilevanza, qualora il sito consenta ai consumatori di utilizzarne diverse.<br />

Secondo la Corte, dovrebbe essere valutata l’esistenza di più elementi<br />

al fine di concludere che l’attività professionale è diretta verso uno o<br />

più Stati membri determinati ( 28 ).<br />

4. – La definizione autonoma della nozione di “attività diretta”, per<br />

quanto non espressa, è agevolmente ricavabile dalla decisione della Corte.<br />

Essa è ravvisabile ogniqualvolta il professionista dimostri la sua volontà di<br />

commercializzare i propri prodotti o servizi in un determinato Stato membro.<br />

L’individuazione di questo elemento volontaristico è semplice, quan-<br />

( 26 ) Ad avviso di chi scrive, questo non è un indizio significativo quanto allo svolgimento<br />

dell’attività professionale in un determinato Stato, in quanto indica al più che quest’ultima è<br />

transnazionale. Maggiore rilevanza hanno invece i domini che si ricollegano a uno Stato<br />

membro nel senso individuato dalla Corte. Deve tuttavia farsi attenzione nel concludere in<br />

tal senso, dal momento che il dominio potrebbe indicare – e di solito indica – lo Stato della<br />

sede del professionista (luogo in cui non necessariamente svolge le proprie attività: Corte CE,<br />

9 marzo 1999, causa C-212/97, Centros, in Racc., 1999, I-1459).<br />

( 27 ) Meno rilevante pare questo indizio nel caso di compravendita di beni, dal momento<br />

che raramente la consegna da parte del professionista avviene tramite ritiro diretto del consumatore.<br />

( 28 ) Non rileva il fatto che, nella fattispecie della causa Heller, le chiavi siano state consegnate<br />

e il pagamento sia avvenuto in loco. Infatti, via internet sono avvenute la prenotazione e<br />

la relativa conferma, attraverso le quali le parti hanno assunto obblighi contrattuali reciproci,<br />

mentre gli altri fatti attengono all’esecuzione del contratto.


SAGGI 259<br />

do vi sono degli elementi espressi, quali l’indicazione dei Paesi ai quali l’offerta<br />

si rivolge, o la possibilità di scegliere determinati Stati nei form on line<br />

per effettuare l’ordine. Analogamente, se il sito contiene dei link che indirizzano<br />

a pagine redatte in lingue diverse, si può dedurre che il professionista<br />

intenda rivolgere la propria offerta anche nei Paesi in cui tali lingue sono<br />

parlate. Tuttavia, se la lingua utilizzata è ampiamente conosciuta, come ad<br />

esempio l’inglese, questo solo elemento non può fungere da indizio specifico,<br />

perché se ne può dedurre che il professionista si rivolge a una clientela<br />

internazionale, ma non più precisamente verso quale Stato.<br />

Sembra da escludersi che l’attività possa considerarsi diretta nei casi in<br />

cui il sito si limiti a pubblicizzare una determinata attività, pur contenendo<br />

l’obbligatoria pagina dei contatti, senza, ad esempio, indicare prezzo, modalità<br />

e costi della spedizione, invitando a rivolgersi alle filiali esistenti e<br />

magari essendo il sito accessibile solo in una lingua poco conosciuta o poco<br />

diffusa nel territorio comunitario. Tuttavia, la sola mancanza di un formulario<br />

d’ordine on line non è indicativa del fatto che il professionista non si rivolge<br />

alla clientela di un determinato Stato membro attraverso il sito, dal<br />

momento che il contratto può essere concluso via mail.<br />

La sentenza della Corte non supera tuttavia altri dubbi, che devono essere<br />

risolti dai giudici nazionali nei casi concreti. Ci si potrebbe chiedere, ad<br />

esempio, quale rilievo abbia la pubblicità effettuata in forma classica in uno<br />

Stato membro, se il contratto viene comunque concluso via mail, grazie all’indirizzo<br />

del professionista pubblicato sul sito. Probabilmente in questo<br />

caso si rientra nel campo di applicazione dell’art. 15 reg. CE n. 44/2001, dal<br />

momento che la disposizione non richiede un collegamento fra la forma<br />

pubblicitaria e la modalità di conclusione del contratto.<br />

La Corte, inoltre, non affronta la questione della rilevanza dei disclaimer,<br />

ma sembrano potersi accogliere le conclusioni dell’avvocato generale.<br />

Infatti, nella sentenza si dà specifico rilievo alla volontà del professionista,<br />

che deve essere tenuta analogamente in considerazione anche quando intende<br />

non commercializzare in un determinato Stato membro. Resta aperta<br />

la questione della frode da parte del consumatore, che fornisca dati sbagliati<br />

al fine di indurre il professionista a concludere il contratto. L’art. 5 della<br />

Proposta di regolamento “Roma I” ( 29 ) conteneva una clausola di salvaguardia<br />

a favore del professionista, nel senso che la norma di tutela non si<br />

( 29 ) Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla legge applicabile<br />

alle obbligazioni contrattuali (“Roma I”), presentata il 15 dicembre 2005, COM(2005)<br />

650 def., 2005/0261 (COD).


260 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

sarebbe applicata se la residenza abituale del consumatore non gli era conosciuta<br />

per una causa non imputabile a sua negligenza. Pertanto, se il consumatore<br />

avesse fornito un indirizzo di residenza erroneo, non avrebbe potuto<br />

più invocare le norme di protezione e l’applicazione della legge dello<br />

Stato della sua residenza abituale. Questa clausola non è stata trasposta nel<br />

testo definitivo del regolamento (art. 6); tuttavia, la soluzione pare essere la<br />

stessa, nell’ambito di entrambi i regolamenti sulla cooperazione giudiziaria<br />

civile. Infatti, se il consumatore non fornisce i propri dati esatti in maniera<br />

fraudolenta, indicando un domicilio o una residenza abituale diversi da<br />

quelli reali, nonostante un’espressa richiesta del professionista ( 30 ), verrebbe<br />

a mancare una condizione di applicazione delle disposizioni di tutela, e<br />

in particolare proprio quello dell’attività diretta. Il professionista, infatti,<br />

non offre i propri servizi nello Stato di asseriti residenza e domicilio del<br />

consumatore, e ha concluso il contratto in quanto indotto in errore. Più<br />

complessa è la soluzione se il consumatore è comunque domiciliato in uno<br />

Stato nel quale il professionista svolge le sue attività, ma dà informazioni<br />

false. Anche se, dirigendo la propria offerta in entrambi gli Stati membri, il<br />

professionista ha aprioristicamente accettato l’eventuale giurisdizione e<br />

l’applicazione della legge di entrambi i Paesi, non si può considerare irrilevante,<br />

la circostanza che il procedimento debba essere instaurato in uno<br />

Stato membro piuttosto che in un altro, o che sia applicata una legge diversa<br />

da quella attesa dal professionista nel caso concreto. Ad esempio, in quest’ultima<br />

ipotesi, diverse potrebbero essere le conseguenze della domanda<br />

giudiziale a seconda della legge applicabile; per quanto attiene alla giurisdizione,<br />

ci sarebbe un dispendio di tempo se il professionista agisse presso il<br />

luogo del presunto domicilio, scoprendo poi che quel giudice non è competente.<br />

Anche in questi casi, probabilmente, dovrebbe tutelarsi il professionista<br />

che abbia agito in buona fede nei confronti del consumatore che, invece,<br />

lo abbia tratto in inganno.<br />

Visti i criteri indicati dalla Corte, rimane quindi necessario l’esercizio di<br />

una certa discrezionalità del giudice nei casi controversi. Pertanto, il sistema<br />

più sicuro per il professionista rimane quello più oneroso, cioè l’indica-<br />

( 30 ) Al fine dell’esecuzione del contratto, il professionista potrebbe essere interessato al<br />

solo luogo di consegna dei beni o di effettuazione del servizio, che possono essere non coincidenti<br />

rispetto al domicilio o alla residenza abituale del consumatore. Tuttavia, agendo in<br />

buona fede e al fine di tutelarsi meglio, e conoscere con anticipo l’eventuale foro competente<br />

e la legge applicabile in controversie che dovessero insorgere con il consumatore, il professionista<br />

ha interesse a richiedere questi dati personali. Agendo in questo modo, il professionista<br />

non deve risentire di errori o frodi commesse dal consumatore.


SAGGI 261<br />

zione espressa sul sito degli Stati verso i quali la sua offerta si rivolge, ovvero<br />

al contrario l’inserimento di appositi disclaimer, al fine di evitare di dover<br />

sostenere un procedimento o vedere applicata la legge di uno Stato nel quale<br />

egli non intendeva offrire i propri servizi.


ANDREA COSTA<br />

La nuova disciplina del credito ai consumatori<br />

Sommario: 1. Le ragioni di una normativa sul credito al consumo e l’intervento del legislatore<br />

europeo. – 2. Le prospettive di armonizzazione: la direttiva 08/48/CE sui contratti<br />

di credito ai consumatori. – 3. La nuova disciplina italiana: fattispecie negoziale e<br />

ambito d’applicazione. – 3.1. Le norme a tutela del consumatore. – 3.2. Gli obblighi<br />

informativi. – 3.3. La valutazione del merito creditizio. – 3.4. Le norme di protezione<br />

sostanziale. – 4. Conclusioni.<br />

1. – Il termine credito al consumo identifica un fenomeno, unitario sotto<br />

il profilo economico e sociale, che si manifesta attraverso forme giuridiche<br />

variegate ( 1 ). All’interno della sua nozione, infatti, possono essere ricondotte<br />

tipologie contrattuali eterogenee la cui considerazione unitaria –<br />

sotto un profilo normativo – emerge in ragione della funzione economica<br />

che le contraddistingue, ossia quella di consentire al consumatore l’acquisto<br />

di beni e servizi attraverso un’agevolazione di natura finanziaria.<br />

L’affermazione di tale fenomeno è proprio delle società a capitalismo<br />

maturo, nelle quali la specializzazione delle funzioni e il ruolo dei servizi<br />

sono andati assumendo un’importanza sempre maggiore ( 2 ). Peraltro nel<br />

nostro ordinamento la qualificazione di tale fattispecie sulla base delle categorie<br />

codicistiche, attraverso la tipizzazione del contratto negli schemi del-<br />

( 1 ) Si v. Carriero, Autonomia privata e disciplina del mercato. Il credito al consumo, Torino,<br />

2007. In precedenza così già Piepoli, Il credito al consumo, Napoli, 1974, p. 3 ss. secondo il<br />

quale le difficoltà legate alla comprensione del credito al consumo sarebbero dovute alla tendenza<br />

– presente nella tradizione giuridica di quegli anni – ad inquadrare la complessa tipologia<br />

dei fenomeni nei termini di un’operazione concettuale, intesa a privilegiare la forma logica<br />

dell’istituto. « In tal modo, si finisce col perdere di vista la concreta realtà del fenomeno da<br />

analizzare ed i suoi peculiari connotati. ... Con questo, ovviamente, non si vuol per nulla svalutare<br />

l’esigenza del momento sistematico; ma è proprio l’oggetto della nostra analisi [il consumer<br />

credit] a richiedere che ad esso venga assegnato un ruolo diverso, che valorizzi pienamente la concreta<br />

funzione ed il reale assetto di interessi sottostanti al fenomeno regolato ».<br />

( 2 ) Non a caso è stato sostenuto che, oramai, la cash society sia stata sostituita dalla credit<br />

society, così Caplovitz, Consumer credit in the United States: the situation of consumer debtors,<br />

in Consumer credit and debt recovery, Workshop Papers I, ZERP MAT 6 marzo 1985, p. 1.<br />

Tant’è che il capitalismo del XXI secolo è stato definito come consumer-credit driven capitalism<br />

(cfr. Boyer, How and why capitalism differ, in Economy and Society, 2005, p. 509).


SAGGI 263<br />

la vendita, eventualmente connotata dal patto di riservato dominio e dal pagamento<br />

rateale, oppure del mutuo, porterebbe – e per lungo tempo ha portato<br />

– all’applicazione di una disciplina inidonea a comprendere e a regolare<br />

efficacemente l’operazione economica sottostante. Gli schemi tradizionalmente<br />

delineati dal diritto privato, infatti, non tengono nella dovuta<br />

considerazione il fatto che il credito al consumo è andato sviluppandosi sulla<br />

base di rapporti trilaterali o, come accade più frequentemente, secondo<br />

rapporti bilaterali e paralleli ( 3 ) nei quali, essendo il consumatore in una posizione<br />

di soggezione rispetto alle controparti professionali, potrebbero trovare<br />

applicazione soluzioni giuridiche profondamente inique. Basti considerare<br />

che nel caso del prestito finalizzato all’acquisto di un bene – naturale<br />

evoluzione del contratto di vendita a rate – il rapporto bilaterale tra venditore<br />

e compratore si scinde in una più complessa operazione in cui l’agevolazione<br />

finanziaria viene affidata da un terzo soggetto, ossia l’istituto di<br />

credito. Ciò implica la conclusione da parte del consumatore di due distinti<br />

contratti – compravendita e mutuo – i quali, tuttavia, si manifestano e si<br />

svolgono secondo la logica di una singola operazione economica. Pertanto<br />

il consumatore, che ha come fine ultimo il godimento del bene di consumo<br />

( 4 ), diviene più o meno consapevolmente parte di due accordi formalmente<br />

distinti seppur preordinati al soddisfacimento di uno scopo unitario.<br />

Come evidenziato da parte della dottrina ( 5 ), tra la fattispecie concreta<br />

e la sua ricostruzione in termini giuridici si crea così una profonda frattura,<br />

frattura che espone il consumatore, ad esempio, al rischio di dover rim-<br />

( 3 ) Così Alpa, Il diritto dei consumatori, Bari, 2006, p. 112.<br />

( 4 ) Dal punto di vista del contraente, è indifferente la circostanza che il credito sia concesso<br />

direttamente dal venditore o grazie all’intervento di un terzo. Ciò che conta è infatti poter<br />

realizzare l’acquisto del bene di consumo. Il ricorso ad un finanziamento personale certamente<br />

modifica la struttura dell’operazione, ma tale differenza non viene percepita dal consumatore,<br />

soprattutto perché è spesso lo stesso venditore a proporre il prestito per conto dell’istituto<br />

creditizio; così Ferrando, Credito al consumo: operazione economica unitaria e pluralità<br />

di contratti, in Riv. dir. comm., 1991, p. 604; v. anche Alpa e Bessone, Funzione economica<br />

e modelli giuridici delle operazioni di credito al consumo, in Riv. soc., 1975, p. 1363 ss.; D’Angelo,<br />

<strong>Contratto</strong> e operazione economica, Torino, 1992, passim; E. Gabrielli, Il contratto e l’operazione<br />

economica, in Riv. dir. civ., 2003, p. 93 ss. Si tenga presente che già il Crowther Report,<br />

ossia l’approfondito studio che ha preceduto l’introduzione del Consumer Credit Act 1974 nel<br />

Regno Unito, rilevava che «la più rilevante debolezza dell’attuale disciplina sul credito è l’incapacità<br />

di guardare aldilà della mera forma e occuparsi della sostanza del problema. Ciò si manifesta<br />

nella stesura di distinzioni fra i diversi tipi di transazione sulla base di astrazioni giuridiche,<br />

giudicate irrealistiche nella realtà del commercio».<br />

( 5 ) Cfr. Alpa, Il diritto dei consumatori, Bari, 2002, p. 148 ss.


264 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

borsare il finanziamento anche nel caso in cui il venditore risultasse inadempiente.<br />

Difatti, in assenza di una disciplina di settore, l’architettura negoziale<br />

delle operazioni di credito al consumo, associata alla strutturale<br />

mancanza di potere contrattuale in capo al consumatore, ha spesso condotto<br />

ad un’iniqua ripartizione del rischio a danno della parte debole ( 6 ).<br />

Nella seconda metà del secolo scorso, la dottrina più attenta alle politiche<br />

di protezione del consumatore aveva rilevato che le distorsioni causate<br />

da tale “vuoto” legislativo venivano a manifestarsi con sempre maggiore<br />

evidenza e frequenza ( 7 ), sottolineando quindi la necessità di introdurre<br />

( 6 ) In assenza di regole specifiche sul credito al consumo gli istituti finanziari hanno reso<br />

difficile preventivare il complessivo onere economico dell’operazione, inserendo voci di costo<br />

diverse dal semplice tasso d’interesse; hanno omesso di informare il consumatore su clausole<br />

e circostanze idonee ad incidere fortemente sul contenuto delle obbligazioni assunte e limitative<br />

dei suoi diritti; hanno inoltre cercato di frantumare l’operazione economica con l’utilizzo<br />

di strumenti giuridici autonomi e distinti, inserendo clausole di esonero di responsabilità,<br />

di decadenza e di inopponibilità delle eccezioni. Ciò all’evidente fine di rendere le vicende<br />

relative al contratto di compravendita ininfluenti sullo svolgimento del rapporto tra<br />

consumatore e finanziatore ed eludere la normativa sulla vendita con riserva di proprietà (così<br />

Piepoli, Il credito al consumo, cit., p. 36 e Carriero, Autonomia privata e disciplina del mercato.<br />

Il credito al consumo, Torino, 2007, p. 27 ss.).<br />

( 7 ) Tra i primi a interessarsi del fenomeno si segnalano: Dell’Amore, Il credito al consumo,<br />

Milano, 1964; Piepoli, Il credito al consumo, cit.; Alpa e Bessone, Funzione economica e<br />

modelli giuridici delle operazioni di credito al consumo, cit., p. 1363 ss.; Alpa e Bessone, Disciplina<br />

giuridica delle carte di credito e problemi di controllo del credito al consumo, in Giur. it.,<br />

1976, c. 110 ss.; Ziccardi, Il “Consumer Credit Act” inglese del 1974: prime impressioni, in Giur.<br />

it., 1978, IV, c. 20 ss.; Alpa e Bessone, Il consumatore e l’<strong>Europa</strong>, Padova, 1979; Bessone, Mercato<br />

del credito, credito al consumo, tutela del consumatore, in Foro it., 1980, V, c. 80; Alpa, Il diritto<br />

privato dei consumi, Bologna, 1986. Tali Autori, nel periodo di latitanza del nostro legislatore,<br />

avevano elaborato diverse teorie per garantire una maggiore tutela del contraente debole,<br />

innanzitutto cercando di estendere la portata applicativa delle norme relative alla vendita<br />

a rate anche ai contratti di finanziamento finalizzato. Veniva in particolare sottolineato che tra<br />

i due contratti non vi sarebbero differenze funzionali e che pertanto, anche nel caso di finanziamento<br />

al consumo, il mancato pagamento di una sola rata non superiore all’ottava parte<br />

del prezzo non avrebbe dovuto comportare l’obbligo della restituzione dell’intero ai sensi<br />

dell’art. 1525 c.c. poiché ricorrerebbe una delle ipotesi che escludono l’applicazione dall’art.<br />

1819 c.c. (in questo senso v. Piepoli, Il credito al consumo, cit., p. 69, il quale censura Cass. n.<br />

2165/1956 – quest’ultima aveva escluso l’applicabilità dell’art. 1525 c.c. al rapporto fra debitore<br />

e finanziatore, in ragione della specialità della norma e della sua esclusiva riferibilità alla<br />

vendita rateale con riserva di proprietà – perché la ricostruzione condotta da tale sentenza<br />

« ignora la profonda unità e l’omogenea funzione economica delle due forme di credito al consumo<br />

confrontate »). In secondo luogo si era fatto ricorso alla teoria del collegamento negoziale,<br />

sia per dimostrare nuovamente la presenza di circostanze idonee a escludere l’applicabilità<br />

dell’art. 1819 c.c. – e, quindi, per evitare l’obbligo di restituzione dell’intero in caso di manca


SAGGI 265<br />

una specifica normativa di settore e di garantire forme più eque di giustizia<br />

contrattuale, basate su una valutazione complessiva, non frazionata, del regolamento<br />

di interessi predisposto dalle parti attraverso negozi diversi, eppure<br />

intimamente connessi ( 8 ).<br />

Come è noto, tale lacuna è stata colmata in <strong>Italia</strong> solamente grazie all’intervento<br />

del legislatore comunitario. La direttiva 87/102/CEE ( 9 ), approvata<br />

dal Consiglio in data 22 dicembre 1986, ha infatti imposto agli Stati<br />

membri l’introduzione di una disciplina del credito al consumo su scala europea<br />

( 10 ). In particolare, quanto al nostro ordinamento, la direttiva è stata<br />

attuata – con colpevole ritardo – grazie alla L. 19 febbraio 1992 n. 142 ( 11 ), le<br />

cui disposizioni sono state successivamente inserite nel Testo Unico Banca-<br />

to pagamento di una sola rata – sia per giustificare l’applicazione analogica delle norme in tema<br />

di vendita a rate. La presenza di un nesso funzionale fra la vendita e il finanziamento<br />

avrebbe infatti consentito di mettere in dubbio la validità delle clausole d’eccezione predisposte<br />

dal professionista (così Alpa e Bessone, Disciplina giuridica delle carte di credito e problemi<br />

di controllo del credito al consumo, cit., p. 110 ss.; contra: Spada, Carte di credito: terza generazione<br />

di mezzi di pagamento, in Riv. dir. civ., 1976, I, p. 483 ss.). Altri autori invece ritenevano<br />

l’utilizzo di tali clausole contrario all’ordine pubblico (così Piepoli, Il credito al consumo,<br />

cit., p. 148) o in violazione della norma di cui all’art. 1344 c.c. (cfr. Oppo, Presentazione, in<br />

La disciplina del credito al consumo,a cura di Capriglione, 1987, p. 16).<br />

( 8 ) In questi termini, da ultimo, v. Nigro, Collegamento contrattuale legale e volontario,<br />

con particolare riferimento alla (vecchia e nuova) disciplina del credito ai consumatori, in Giur.<br />

it., 2011, p. 75.<br />

( 9 ) In G.U.C.E., L 042, 12 dicembre 1987, p. 48.<br />

( 10 ) La prima direttiva comunitaria sul credito al consumo è stata modificata e integrata da<br />

due successive direttive, finalizzate principalmente a perfezionare il calcolo del tasso annuo<br />

effettivo globale. Nel 1986, infatti, si consentì agli Stati membri di godere di un periodo transitorio<br />

prima della definitiva unificazione del metodo di calcolo del tasso annuo effettivo globale.<br />

Per la definizione di una formula matematica unitaria, al fine di promuovere il funzionamento<br />

del mercato interno e garantire ai consumatori un elevato grado di tutela, è stato necessario<br />

attendere la seconda direttiva (la 90/88/CEE, in G.U.C.E., L 61, 10 marzo 1990). Con<br />

quest’ultima le definizioni di “costo totale del credito al consumatore” e di “tasso annuo effettivo<br />

globale” contenute nella direttiva 87/102/CEE sono state modificate e il loro calcolo<br />

dettato dal nuovo art. 1-bis il quale a sua volta rinvia alla formula matematica contenuta nell’allegato<br />

II. Poiché il recepimento italiano della disciplina comunitaria del credito al consumo<br />

è avvenuto quando questa seconda direttiva era già stata approvata, di essa il legislatore ha<br />

tenuto conto direttamente nella legge di recepimento n. 142/1992. Infine la direttiva 98/7/CE<br />

(in G.U.C.E., L 101, 1° aprile 1998) ha provveduto all’abrogazione di ulteriori deroghe che erano<br />

state concesse in favore degli Stati membri, prescrivendo un unico metodo di calcolo del<br />

TAEG e la sua indicazione attraverso un esempio tipico.<br />

( 11 ) Sul recepimento delle direttive sul credito al consumo v. Alpa, L’attuazione della direttiva<br />

sul credito al consumo, in <strong>Contratto</strong> e Impresa, 1994, p. 6 ss.; De Nova, L’attuazione in<br />

<strong>Italia</strong> delle direttive comunitarie sul credito al consumo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1992, p. 905


266 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

rio agli artt. 121 e ss. ( 12 ). Peraltro, con l’elaborazione del Codice del Consumo,<br />

gli ultimi due commi dell’art. 125 TUB (nonché altre norme di caratte-<br />

ss.; Gaggero, Diritto comunitario e disposizioni interne in materia di credito al consumo, in<br />

questa rivista, 1996, p. 622; Macario, Note introduttive al Commentario alle Norme di attuazione<br />

di direttive comunitarie in tema di credito al consumo, in Nuove leggi civ., 1994, p.<br />

748; Tidu, Il recepimento della normativa comunitaria sul credito al consumo, in Banca, borsa<br />

e tit. cred., 1992, I, p. 406. È da segnalare che il legislatore italiano appare il solo ad aver<br />

adoperato una scelta simile: poiché la disciplina in esame è principalmente intesa come<br />

una forma di tutela del consumatore, essa è solitamente disciplinata nell’ambito delle<br />

norme che regolano i rapporti di consumo oppure è oggetto di leggi speciali. Pur non mancando<br />

di criticare la scelta in punto di scarsa sistematicità, si è cercato da parte di alcuni<br />

autori di sottolineare l’inserimento nel TUB nel senso di una acquisita consapevolezza<br />

della stretta relazione esistente fra efficienza del sistema e gioco della concorrenza: Carriero,<br />

Il credito al consumo, in La disciplina comunitaria del credito al consumo, a cura di<br />

Capriglione, Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’<strong>Italia</strong>, Roma, 1998, p. 38. Il desiderio<br />

di ricomprendere nell’ambito del testo unico tutte le norme relative a fenomeni creditizi<br />

ha infatti portato alla commistione di profili di carattere civilistico con norme di carattere<br />

pubblicistico ed ordinamentale del credito, sul punto v. Carriero, Commento all’art.<br />

124 T.U., in Commentario al T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Capriglione,<br />

II, cit., p. 953. Tale manovra ha destato non poche perplessità sul piano della coerenza<br />

sistematica e del rigore concettuale, cfr. Lener, Trasparenza bancaria e modelli di tutela<br />

del cliente nel Testo Unico del credito, in Giur. sist. dir. civ. e comm., a cura di Alpa e Bessone,<br />

I contratti in generale, II, Torino, 1999, p. 1166; Alpa, Note minime sulla trasparenza<br />

dei contratti bancari e finanziari, in La nuova legge bancaria, a cura di Ferro-Luzzi e Castaldi,<br />

cit., p. 1787.<br />

( 12 ) In verità tale manovra ha destato non poche perplessità sul piano della coerenza<br />

sistematica, del rigore concettuale, della distinzione fra pubblico e privato; così Lener,<br />

Trasparenza bancaria e modelli di tutela del cliente nel Testo Unico del credito, cit., p. 1166;<br />

Alpa, Note minime sulla trasparenza dei contratti bancari e finanziari, in La nuova legge<br />

bancaria, a cura di Ferro-Luzzi e Castaldi, cit., p. 1787. Il desiderio di ricomprendere nell’àmbito<br />

del testo unico tutte le norme relative a fenomeni creditizi ha infatti portato alla<br />

commistione di profili di carattere civilistico con norme di carattere pubblicistico ed ordinamentale<br />

del credito e del risparmio; cfr. Carriero, Commento all’art. 124 T.U., cit., p.<br />

953. È da segnalare, inoltre, che il modello normativo italiano appare il solo ad aver adoperato<br />

una scelta simile. Essendo il credito al consumo principalmente inteso come una<br />

normativa dedicata alla protezione del consumatore, solitamente esso è stato disciplinato<br />

o nell’àmbito delle regole che regolano i rapporti col professionista oppure è stato oggetto<br />

di leggi speciali. Peraltro, pur non mancando di criticare la scelta in punto di scarsa<br />

sistematicità, si è cercato da parte di alcuni autori di giustificarla argomentando le difficoltà<br />

di un inserimento delle due leggi all’interno del codice civile sia la mancanza di motivi<br />

per l’adozione di una legge speciale. Al contrario, si è sottolineato il valore dell’inserimento<br />

nel TUB nel senso di una acquisita consapevolezza della stretta relazione esistente<br />

fra efficienza del sistema e gioco della concorrenza: così Carriero, Il credito al<br />

consumo, cit., p. 48.


SAGGI 267<br />

re più propriamente pubblicistico, ossia gli artt. 1 e 2 del d.lgs. 25 febbraio<br />

2000 n. 63 con cui era stata recepita la direttiva 98/7/CE) sono stati trasferiti<br />

agli artt. 40-43 c.cons.<br />

Tale disciplina non ha tipizzato un nuovo contratto, bensì ha inteso<br />

regolare una indefinita serie di fattispecie negoziali. E ciò sia sotto il profilo<br />

soggettivo, perché nei contratti di credito al consumo possono variare<br />

il numero e la qualità delle parti coinvolte nell’operazione economica<br />

globalmente intesa, sia sotto il profilo oggettivo, in quanto il consumatore<br />

può scegliere lo schema negoziale che più si adatta alle sue esigenze ( 13 ). Un<br />

fenomeno così complesso ed eterogeneo viene dunque ricondotto ad<br />

unità nella normativa di riferimento, la quale deve tuttavia tenere presenti<br />

le peculiarità e le problematiche proprie di ciascuna tipologia negoziale.<br />

Infatti, accanto a generiche esigenze di tutela del consumatore quale soggetto<br />

debole del rapporto, nel credito al consumo si sovrappongono questioni<br />

più specifiche legate allo schema contrattuale adottato nel caso<br />

concreto. È evidente, ad esempio, che le problematiche sottese ad un<br />

prestito finalizzato risulteranno essere diverse da quelle che possono<br />

( 13 ) Cfr. Alpa, Commento all’art. 121 T.U., in Commentario al T.U. delle leggi in materia<br />

bancaria e creditizia, a cura di Capriglione, cit., p. 949 ss.; Ferrando, Credito al consumo:<br />

operazione economica unitaria e pluralità di contratti, cit., p. 597 ss.; Mazzamuto, Il credito<br />

al consumo, in Manuale di diritto privato europeo, a cura di Castronovo e Mazzamuto, Milano,<br />

2007, II, p. 960; quanto al primo aspetto, ad esempio, l’agevolazione finanziaria può essere<br />

concessa o direttamente dal commerciante, attraverso una dilazione del prezzo, o da<br />

un soggetti specializzati, quali banche e istituti finanziari; in questa ultima ipotesi, la somma<br />

mutuata può essere messa a disposizione con o senza vincoli di scopo, ossia può risultare<br />

liberamente spendibile dal consumatore in una pluralità di operazioni non predeterminate<br />

oppure essere vincolata all’acquisto di un determinato bene, e in tal caso spesso trasferita<br />

direttamente dal finanziatore al venditore. A tale diversificazione corrisponde, sotto<br />

il profilo oggettivo, l’utilizzo di altrettante tipologie negoziali. Secondo Tidu, La direttiva<br />

comunitaria sul credito al consumo, in Banca, borsa e tit. cred., 1987, I, p. 728 ss., data l’assenza<br />

di una espressa previsione di un’unitaria categoria dei contratti di finanziamento al<br />

consumo, ogni tentativo di giungervi in via interpretativa non sarebbe nemmeno possibile;<br />

secondo l’Autore, infatti, la loro diversità, che si riflette in una diversa regolamentazione,<br />

non consente di cogliere un elemento – avente valenza giuridica – capace di individuare<br />

unitariamente le varie figure di credito al consumo. Tra gli schemi negoziali adoperati si<br />

possono ricordare a titolo esemplificativo: vendite rateali con riserva di proprietà, l’apertura<br />

di credito semplice e rotativa in connessione all’uso di carte, i cc.dd. finanziamenti personali,<br />

gran parte dei contratti di leasing, i finanziamenti a breve termine concessi dalle<br />

banche alle famiglie, gli scoperti in conto corrente, il credito documentario, l’anticipazione<br />

bancaria garantita, lo scoperto di conto corrente, la cessione del quinto dello stipendio, il<br />

leasing traslativo al consumo.


268 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

manifestarsi in una dilazione di pagamento o in un’apertura di credito.<br />

Pertanto, le norme di tutela devono tenere conto di tale circostanza e soddisfare<br />

sia esigenze di carattere generale, quale l’informazione ( 14 ) e la trasparenza,<br />

sia bisogni più specifici, connessi al peculiare schema negoziale<br />

adottato.<br />

2. – Senza entrare nel merito della disciplina introdotta con la prima<br />

direttiva sul credito al consumo, va dato atto che nel corso degli anni è<br />

maturata la convinzione che la normativa comunitaria in materia di credito<br />

al consumo dovesse essere ridisegnata in ragione dell’evoluzione registrata<br />

dal settore, anche al fine di favorire lo sviluppo transfrontaliero<br />

del mercato del credito ( 15 ). Ad oltre vent’anni di distanza dal precedente<br />

intervento la Commissione ha ritenuto che il principio dell’armonizzazione<br />

“minima”, adottato dalla direttiva 87/102/CEE, non avesse favorito<br />

il raggiungimento di un livello di protezione omogeneo. Tale principio,<br />

infatti, aveva legittimato alcuni Stati membri ad adottare soluzioni giuridiche<br />

più avanzate, assicurando ai consumatori un grado di tutela più intenso,<br />

e al contempo aveva consentito ad altri, come l’<strong>Italia</strong>, di adeguarsi<br />

( 14 ) Cfr. Rossi Carleo, Commento all’art. 5, in Commentario al Codice del consumo, a cura<br />

di Alpa e Rossi Carleo, Napoli, 2005, p. 125 ss., la quale mette in luce come l’informazione<br />

del consumatore, accanto alla sua educazione, rappresenti una necessità intrinseca per garantire<br />

il funzionamento del mercato e il superamento delle asimmetrie presenti nella realtà<br />

dei traffici economici; cfr. altresì Rossi Carleo, Il diritto all’informazione: dalla conoscibilità<br />

al documento informativo, in Riv. dir. priv., 2004, p. 349 ss.<br />

( 15 ) Nel 2002 la Commissione – COM(2002) 443 def. – rilevava che « la nozione di “credito<br />

al consumo” ha subito un’evoluzione spettacolare dal periodo in cui è stata concepita la legislazione<br />

in vigore » e che oggi il credito è offerto ai consumatori attraverso una miriade di strumenti<br />

finanziari; osservava ancora la Commissione che « tra il 50 e il 65% dei consumatori dispone<br />

attualmente di un credito al consumo . . . e il 30% dei consumatori dispone di un’agevolazione<br />

di sconfino sul conto corrente » mentre negli anni ’70 quest’ultimo strumento di credito<br />

non era utilizzato per le esigenze di consumo. La Commissione, nel presentare la proposta di<br />

direttiva, si mostrava cosciente del fatto che il credito, pur rappresentando un volano per la<br />

crescita economica e il benessere dei cittadini dell’UE, rappresenta anche un rischio per i finanziatori<br />

e per i consumatori. Non si meravigliava, pertanto, che « gli Stati membri abbiano<br />

ritenuto insufficiente il livello di tutela offerto dalle attuali direttive e che nelle legislazioni di recepimento<br />

abbiano tenuto conto di altri tipi di credito e/o di nuovi contratti di credito che non rientrano<br />

nelle direttive ». Tuttavia, sempre secondo la Commissione, tale evoluzione avrebbe<br />

comportato delle distorsioni della concorrenza e limitato le possibilità per i consumatori di<br />

ottenere un prestito in altri Stati membri. Tali distorsioni e restrizioni avrebbero a loro volta<br />

influito sul volume e sulla natura del credito richiesto, nonché sull’acquisto di beni e servizi e<br />

sul livello di tutela garantito per i consumatori europei.


SAGGI 269<br />

ai requisiti imposti dal legislatore comunitario senza discostarsene in<br />

modo rilevante ( 16 ).<br />

Del resto già i lavori preparatori alla nuova direttiva, confluiti in un documento<br />

discusso dalla Commissione con gli stakeholders nel 2001, avevano<br />

confermato l’esistenza di differenze sostanziali tra gli ordinamenti giuridici<br />

dei singoli Stati membri nel settore del credito al consumo ( 17 ). Ciò, se-<br />

( 16 ) Come espressamente dichiarato negli anni Ottanta dal responsabile della Commissione<br />

CEE Patrick Latham – e ribadito oggi dai documenti che hanno preceduto l’approvazione<br />

della nuova direttiva sul credito al consumo – la finalità principale della direttiva<br />

87/102/CEE consisteva nel ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative<br />

degli Stati membri al fine di contribuire alla creazione di un mercato comune nel<br />

campo del credito. La portata dell’intervento a tutela dei consumatori risultava circoscritta,<br />

quindi, all’individuazione di una disciplina di protezione “minima” che, allo stesso tempo, lasciasse<br />

gli Stati membri liberi di intraprendere per l’avvenire iniziative normative più avanzate,<br />

discostandosi e integrando il testo della direttiva. Una conferma del carattere minimale<br />

della tutela assicurata dalla disciplina comunitaria è rinvenibile nell’art. 15 della prima direttiva,<br />

in cui è espressamente previsto che la direttiva « non impedisce agli Stati membri di mantenere<br />

o adottare disposizioni più rigorose a tutela dei consumatori », così Carriero e Castaldi,<br />

Le direttive comunitarie sul credito al consumo, in La nuova legge bancaria, a cura di Ferro-Luzzi<br />

e Castaldi, cit., p. 1798 e Capriglione, in La disciplina comunitaria del credito al consumo, a<br />

cura di Capriglione, Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’<strong>Italia</strong>, XV, Roma, 1987, p. 32.<br />

Alla disciplina comunitaria è stato riconosciuto carattere: (i) “minimale”, nel senso che contiene<br />

una normativa essenziale del fenomeno che ha tralasciato alcuni problemi, non sempre<br />

secondari; (ii) “generale” poiché, al di fuori delle fattispecie espressamente escluse, è capace<br />

di trovare applicazione potenzialmente ad ogni forma di credito al consumo; (iii) al tempo<br />

stesso “differenziata” visto che non si applica – in tutto o in parte – ad alcuni tipi contrattuali<br />

rientranti nella nozione di credito al consumo (cfr. Ferrando, Credito al consumo: operazione<br />

economica unitaria e pluralità di contratti, cit., p. 647).<br />

( 17 ) Già nel 1995 la Commissione aveva presentato una prima relazione (Commissione europea,<br />

Relazione sull’applicazione della direttiva 87/102/CEE, COM(1995) 117 def. dell’11<br />

maggio 1995) in merito all’applicazione nei diversi Stati membri della direttiva 87/102/CEE.<br />

Ad essa aveva fatto seguito, nel 1996, una seconda relazione (Commissione europea, Relazione<br />

sull’applicazione della direttiva 90/88/CEE, COM(1996) 79 def. del 12 aprile 1996) sull’applicazione<br />

della direttiva 90/88/CEE e quindi sui diversi metodi di calcolo del tasso effettivo<br />

annuo globale adottati dagli ordinamenti nazionali. In entrambi i documenti la Commissione<br />

era giunta alla conclusione che la ragione del modesto grado di sviluppo del mercato europeo<br />

fosse da attribuire alle difficoltà tecniche d’ingresso per gli operatori nei diversi Stati membri e<br />

alla diffidenza dei consumatori a concludere operazioni transfrontaliere per l’incertezza del livello<br />

di tutela offerto da ordinamenti giuridici diversi da quello di appartenenza. Di ciò sarebbe<br />

stata responsabile – sempre ad opinione della Commissione – la “clausola minima”<br />

contenuta nell’art. 15 della direttiva del 1986. Più in generale studi di natura comparatistica,<br />

come quello predisposto da alcuni studiosi europei per la Commissione nell’aprile 2007,<br />

hanno dimostrato profonde differenze nelle tecniche legislative di recepimento adoperate dai


270 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

condo la Commissione, ha avvalorato la tesi secondo cui tali differenze avevano<br />

determinato una distorsione della concorrenza tra creditori nonché<br />

ostacolato la creazione di un mercato unico europeo dove fosse possibile<br />

per i consumatori fruire di una più ampia offerta di credito ( 18 ).<br />

Per impedire agli Stati membri di mantenere o di introdurre norme diverse<br />

da quelle delineate in sede comunitaria nonché per assicurare un alto,<br />

ma soprattutto equivalente, livello di tutela, la nuova direttiva è stata ridisegnata<br />

secondo il “principio della massima armonizzazione” ( 19 ). Tutto ciò<br />

diversi Stati membri, nella tempestività del recepimento medesimo, nell’uso della clausola<br />

minima e quindi nelle normative vigenti; cfr. Schulte-Nolke, EC law compendium, a comparative<br />

analysis, Università di Bielefeld, 2007 che in modo estremamente analitico e trasversale<br />

analizza prima le differenze generali di approccio di ogni legislatore nazionale nei confronti<br />

della disciplina comunitaria e poi le divergenze esistenti negli ordinamenti giuridici degli<br />

Stati membri con riferimento alla disciplina di recepimento di alcune direttive comunitarie<br />

(tra cui però non figura quella sul credito al consumo).<br />

( 18 ) Varie ricerche hanno evidenziato come regole contrastanti nei diversi Stati membri<br />

comportino una restrizione del mercato crossborder, mentre regole uniformi costituiscano<br />

una condizione preliminare al mercato comune. Peraltro, è stato ormai accertato che l’incertezza<br />

nel campo giuridico impone agli operatori economici di sopportare dei “costi di informazione”<br />

necessari per conoscere e adeguarsi alle prescrizioni delle rispettive normative nazionali<br />

e, dall’altro lato, rende più incerte e rischiose le relazioni commerciali. In questo senso<br />

v. Wagner, Costs of Legal Uncertainty: Is Harmonization of Law a Good Solution e Smits,<br />

The Practical Importance of Harmonization of Commercial Contract Law (entrambe queste relazioni<br />

sono state presentate al convegno “Modern Law for Global Commerce”, svoltosi a Vienna<br />

nel luglio 2007 in occasione della 40 a sessione annuale dell’Uncitral); cfr. anche Wagner,<br />

Economic Analysis of CrossBorder Legal Uncertainty: The Example of the European Union, in<br />

The Need for a European Contract Law. Empirical and Legal Perspectives, a cura di Smits e Groningen,<br />

p. 25 ss. Tuttavia altri autori hanno minimizzato gli ostacoli che possono derivare allo<br />

sviluppo delle relazioni commerciali dalla diversità delle normative di settore: per un riassunto<br />

di queste posizioni cfr. McKendrick, Harmonisation of European Contract Law: The<br />

State We Are In, in The Harmonisation of European Contract Law. Implications for European Private<br />

Laws, Business and Legal Practise, a cura di Vogenauer e Weatherill, Oxford-Portland,<br />

2006, p. 21 ss.; non ritiene sufficientemente provato l’argomento secondo cui l’armonizzazione<br />

comporterebbe la riduzione dei costi transattivi van den Bergh, Forced Harmonization of<br />

Contract Law in Europe: Not to be Continued, in An Academic Green Paper on European Contract<br />

Law, a cura di Grundmann e Stuyck, The Hague, 2002, p. 249 ss.; sotto altro profile osserva<br />

infine Reich, Competition between Legal Orders: a new Paradigm of EC Law, in Comm.<br />

Market Law Rev., 1992, p. 861, che la diversità di sistemi legali può indurre effetti benefici sulla<br />

concorrenza nel mercato.<br />

( 19 ) Peraltro analoga scelta era già stata adottata per le direttive 2002/65/CEE (sulla commercializzazione<br />

a distanza di servizi finanziari) e 2005/29/CEE (sulle pratiche commerciali<br />

scorrette). In un’ottica di più ampio respiro, connessa all’esigenza di edificare un “diritto comune<br />

europeo”, si v. Alpa e Conte, Riflessioni sul progetto di common frame of reference e sulla<br />

revisione dell’acquis communautaire, in Riv. dir. civ., 2008, II, p. 141 ss. in cui si è lucidamen-


SAGGI 271<br />

ha finito col tradursi, a scapito della facoltà solitamente concessa agli Stati<br />

membri di adottare forme di tutela più avanzate, nell’irrigidimento della<br />

normativa sostanziale di recepimento della direttiva. Ovviamente un simile<br />

obiettivo ha sollevato problemi di politica e tecnica normativa, poiché presuppone<br />

l’elaborazione di norme che possano essere attuate contemporaneamente<br />

in tutti gli Stati membri e, pertanto, l’iter di approvazione della<br />

nuova direttiva è stato lungo e difficoltoso. Già la prima proposta della<br />

Commissione, risalente al 2002 ( 20 ), aveva sollevato numerose perplessità<br />

( 21 ) e si era esposta sia alle critiche dei rappresenti della finanza, in<br />

quanto poneva a carico del professionista degli oneri ritenuti insostenibili<br />

( 22 ), sia alle censure dei rappresentanti dei consumatori, proprio in ragione<br />

dell’adozione del principio della massima armonizzazione e per le insoddisfacenti<br />

soluzioni volte a prevenire il problema del sovraindebitamento.<br />

Nondimeno, l’articolato procedimento di codecisione previsto dall’art.<br />

251 del Trattato ha evidenziato posizioni molto distanti anche tra gli organi<br />

istituzionali chiamati a esaminare la proposta di direttiva ( 23 ). A quest’ulti-<br />

te osservato come la funzione armonizzatrice dell’attività comunitaria non si sia rivelata, sin<br />

qui, particolarmente efficace. Tra le cause di tale insuccesso « va sicuramente menzionato il<br />

principio dell’armonizzazione minima sin qui perlopiù perseguito nell’approccio settoriale. Questa<br />

politica non si è certo rivelata idonea a realizzare le condizioni di un mercato unico dal momento<br />

che non è riuscita ad assicurare uniformità di soluzioni con riferimento a situazioni identiche<br />

o, comunque, analoghe. È anche questa la ragione per cui, più di recente, [ . . .] si è preferito<br />

perseguire l’obiettivo della massima armonizzazione ». Del resto, già in passato il processo di armonizzazione<br />

condotto dalla Comunità era stato colpito da alcune critiche poiché esso rappresenta<br />

una forma di unificazione debole che, di per sé, preserva l’individualità delle norme<br />

armonizzate modificandole soltanto nella misura necessaria al conseguimento di un risultato<br />

sostanzialmente uguale. Tant’è che « mano a mano che nelle materie oggetto di interventi comunitari<br />

di armonizzazione si sperimenteranno difformità di trattamento dei diritti nazionali imputabili<br />

alla mancanza di un contesto normativo omogeneo, e non coerenti con gli obiettivi dell’instaurazione<br />

di un mercato comune concorrenziale e del promovimento dell’eguaglianza e della<br />

giustizia sociale, diventerà più pressante il problema dell’unificazione dei princìpi generali del diritto<br />

delle obbligazioni » (così Mengoni, L’<strong>Europa</strong> dei codici o un codice per l’<strong>Europa</strong>, in Riv.<br />

crit. dir. priv., 1992, p. 520 ss.).<br />

( 20 ) COM(2002) 443 def. dell’11 settembre 2002, pubblicato in G.U.C.E., C-331, 31 dicembre<br />

2002. Cfr. Costa, La riforma della disciplina sul credito ai consumatori, in Contratti,<br />

2005, p. 721 ss.<br />

( 21 ) Per tutti si v. Carriero, Verso una nuova direttiva sul credito ai consumatori, in<br />

www.ambientediritto.it.<br />

( 22 ) Per un commento della proposta di direttiva del 2002 che mette in luce le contestazioni<br />

mosse dal settore bancario si v. Granata, La proposta di direttiva sul credito al consumo:<br />

il punto di vista della banche europee, in Bancaria, IV, 2003, p. 46.<br />

( 23 ) Quest’ultima, dunque, dopo essere stata sottoposta ad alcune critiche nel parere re-


272 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

ma ha fatto quindi seguito una seconda versione, predisposta dalla Commissione<br />

nel 2004 ( 24 ), con cui venivano recepite alcune delle modifiche segnalate,<br />

ma allo stesso tempo venivano confermati molti di quei principi e<br />

di quelle scelte di fondo che il Parlamento europeo aveva messo in discussione.<br />

La svolta definitiva si è avuta a distanza di altri tre anni, nel 2007, con il<br />

raggiungimento di una posizione comune ( 25 ) che ha reso possibile, il successivo<br />

23 aprile 2008, la definitiva approvazione da parte del Consiglio della<br />

direttiva 08/48/CE la quale, a norma dell’art. 27, doveva essere recepita<br />

dagli Stati membri entro il 12 maggio 2010 ( 26 ).<br />

La nuova direttiva si distingue dalla precedente innanzitutto per due<br />

aspetti esteriori: l’estensione, e quindi il maggior dettaglio delle sue disposizioni,<br />

e la sua denominazione ( 27 ). Soprattutto quest’ultima modifica, con<br />

cui si viene a sostituire la precedente dizione di “credito al consumo” con<br />

quella di “credito ai consumatori”, lasciava auspicare uno spostamento dell’attenzione<br />

del legislatore comunitario sui destinatari del credito, e quindi<br />

su coloro a cui si rivolge la disciplina di protezione piuttosto che sulla finalità<br />

oggettive dell’accordo. In altre parole, il mutamento di denominazione<br />

datto dal Comitato Economico e Sociale Europeo (pubblicato in G.U.C.E., C-234, 30 settembre<br />

2003), aveva subito una radicale modifica ad opera del Parlamento europeo (P5_TA(2004)<br />

297 del 20 aprile 2004) che, approvando ben 152 emendamenti in prima lettura, ne aveva riscritto<br />

gran parte del testo.<br />

( 24 ) La Commissione ha elaborato prima un testo non articolato (COM(2004) 747 def. del<br />

28 ottobre 2004) a commento delle modifiche, recepite e non, che il Parlamento aveva avanzato;<br />

successivamente ha pubblicato anche un testo consolidato (COM(2005) 483 def. del 7<br />

ottobre 2005).<br />

( 25 ) Posizione comune raggiunta dal Consiglio il 20 settembre 2007 (9948/2/07 REV 2).<br />

( 26 ) L’art. 33 della l. 7 luglio 2009, n. 88 (legge comunitaria 2008) ha delegato al Governo<br />

l’attuazione della direttiva in esame. Sotto il profilo della successione delle leggi nel tempo, la<br />

direttiva non trova applicazione ai contratti di credito già in essere alla data di entrata in vigore<br />

delle misure nazionali di attuazione (cfr. art. 30; la stessa norma prevede tuttavia che gli<br />

artt. 11, 12, 13, 17, 18, comma 1, seconda frase, e 18, comma 2, siano applicabili anche ai rapporti<br />

di credito a durata indeterminata in essere).<br />

( 27 ) Per i primi commenti sulla direttiva si v. G. De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria<br />

del credito al consumo: la direttiva 2008/48/CE e l’armonizzazione « completa » delle<br />

disposizioni nazionali concernenti « taluni aspetti » dei « contratti di credito ai consumatori », in<br />

Riv. dir. civ., 2008, p. 255 ss.; Pignataro, Il credito al consumo, in La tutela del consumatore a<br />

cura di Stanzione e Musio, in Tratt. dir. priv. a cura di Bessone, vol. XXX,Torino, 2009, p. 242<br />

ss.; Pagliantini, Il contratto di credito al consumo tra vecchi e nuovi formalismi, in Obbl. e contr.,<br />

2009, p. 295; Fachechi, Credito al consumo: funzione economico-sociale e istanze di tutela,<br />

in Rass. dir. civ., 2009, p. 265; Aa.Vv., Il credito al consumo (a cura di P. Rescigno), in Giur. it.,<br />

2010, p. 223 ss.


SAGGI 273<br />

lasciava presupporre l’intenzione di collocare l’individuo, e la sua tutela, al<br />

centro della direttiva ( 28 ). Nella sostanza, tuttavia, tale idea è stata tradita e<br />

confinata solo su un piano formale. Infatti, se è innegabile che il testo presenta<br />

talune innovazioni sul piano della difesa degli interessi economici dei<br />

consumatori, le motivazioni addotte dalla Commissione, la scelta di porre<br />

come fondamento giuridico l’art. 95 del Trattato e il contenuto stesso della<br />

direttiva rivelano all’opposto un interesse incentrato principalmente su logiche<br />

di mercato ( 29 ). La promozione di un elevato livello di tutela dei consumatori,<br />

espressamente richiamata – e imposta – dall’art. 153 del Trattato,<br />

resta quindi sullo sfondo e sembra assumere rilevanza solo come conseguenza<br />

delle esigenze del mercato e non come valore di per sé meritevole di<br />

formare oggetto della direttiva.<br />

Come già anticipato, l’art. 22 ha affermato il principio opposto a quello<br />

dell’armonizzazione minima, imponendo agli Stati membri di non discostarsi<br />

dalle disposizioni fissate nella disciplina comunitaria. La massima armonizzazione,<br />

quale cardine su cui ruota l’intera direttiva, deve tuttavia tener<br />

conto di numerose esenzioni e di diverse opzioni che il legislatore comunitario<br />

ha comunque rimesso alla libera determinazione degli Stati<br />

membri. Alcune disposizioni, infatti, lasciano ampia libertà circa le modalità<br />

di recepimento, mentre altre indicano più possibili soluzioni, lasciando<br />

al legislatore nazionale discrezionalità nella scelta di quale adottare ( 30 ). Ol-<br />

( 28 ) Nello stesso senso depongono sia il Libro verde sull’acquis in materia dei consumatori,<br />

approvato dalla Commissione il 7 febbraio 2007 e assunto come un caposaldo delle politiche<br />

mirate alla tutela dei consumatori, sia l’ambizioso disegno tracciato dalla Commissione<br />

in occasione della definizione della strategia consumeristica per il periodo 2007-2013 (cfr. la<br />

Comunicazione del 13 marzo 2007 – COM(2007)99 def. – dal titolo “Empowering consumers,<br />

enhancing their welfare, effectively protecting them”), che individua il benessere dei consumatori<br />

come il centro vitale di mercati correttamente funzionanti, mira a garantire loro un più elevato<br />

livello di protezione contro i rischi e le insidie del mercato.<br />

( 29 ) È vero che la necessità di realizzare un mercato unico interno coincidente con l’intero<br />

territorio dell’Unione, obiettivo fissato chiaramente dall’art. 3, lett. c) del Trattato istitutivo<br />

CE, si è rivelato un potente stimolo per un’azione sempre più decisa in direzione di una “europeizzazione”<br />

del diritto privato dei vari Stati membri. Tuttavia sembra necessario tener<br />

presente che le finalità economiche dell’intervento comunitario hanno un senso se coordinate<br />

con il raggiungimento di uno standard di vita migliore dei cittadini europei e, quindi, anche<br />

con un più elevato livello di tutela dei consumatori. In altre parole va confuso il mezzo con il<br />

fine: perché il mercato unico non potrà mai rappresentare un valore in sé mentre l’individuo<br />

e la sua tutela sì.<br />

( 30 ) Di tale circostanza sembra ben cosciente la Commissione che infatti ha previsto, all’art.<br />

26, che « lo Stato membro che si avvale di una delle opzioni normative di cui all’articolo 2,<br />

paragrafo 5, all’articolo 2, paragrafo 6, all’articolo 4, paragrafo 1, all’articolo 4, paragrafo 2, let-


274 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

tretutto la c.d. “clausola minima” riaffiora a tratti: ad esempio nell’art. 15,<br />

che disciplina i contratti di credito collegati, gli Stati membri sono stati lasciati<br />

liberi di stabilire « in che misura e a quali condizioni » sia possibile agire<br />

nei confronti del finanziatore qualora il contratto di fornitura risulti inadempiuto;<br />

lo stesso accade nell’art. 21, che ha rimesso al legislatore nazionale<br />

il compito di specificare gli obblighi informativi posti a carico degli “intermediari<br />

del credito”. Inoltre, nella direttiva è a più riprese indicato solamente<br />

un obiettivo, senza dettagliare le modalità attraverso cui esso debba<br />

essere raggiunto: l’art. 8 richiede l’introduzione di una procedura di valutazione<br />

del merito creditizio del consumatore; l’art. 5 impone che al consumatore<br />

siano forniti chiarimenti e proposti quei contratti maggiormente<br />

idonei a rispondere alle sue esigenze; l’art. 20 infine prescrive che i creditori<br />

siano posti sotto il controllo di un organismo o di un’autorità indipendente.<br />

Da ultimo – e non è una peculiarità della sola direttiva in esame – gli<br />

Stati membri sono liberi di individuare e predisporre tutto l’apparato rimediale<br />

e sanzionatorio per l’ipotesi di violazione della normativa protezionistica.<br />

L’art. 23, infatti, pone come unico vincolo che tali sanzioni siano «efficaci,<br />

proporzionate e dissuasive » ( 31 ).<br />

Ad ogni modo va chiarito che il principio dell’armonizzazione massima<br />

trova applicazione solo per le fattispecie rientranti nell’ambito applicativo<br />

della direttiva e che, pertanto, esso non impedisce l’estensione della normativa<br />

comunitaria oltre i suoi stessi confini. Pertanto nulla vieta agli Stati<br />

membri di rendere applicabile la normativa di protezione del consumatore<br />

anche a fattispecie che sarebbero rimaste escluse a norma dell’art. 2, comma<br />

2. Di più: la direttiva non delinea un corpus normativo completo e autosufficiente<br />

( 32 ). Si tratta infatti di una disciplina parziale e volutamente<br />

tera c), all’articolo 6, paragrafo 2, all’articolo 10, paragrafo 1, all’articolo 10, paragrafo 2, lettera<br />

g), all’articolo 14, paragrafo 2, e all’articolo 16, paragrafo 4, ne informa la Commissione, come<br />

pure di ogni successiva modifica. La Commissione rende pubbliche tali informazioni in un sito<br />

web o in altro modo facilmente accessibile. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per trasmettere<br />

tali informazioni ai creditori e ai consumatori nazionali ». Si è quindi cercato di rendere<br />

comunque conoscibili ai consumatori le divergenze che permarranno nelle legislazioni dei<br />

diversi Stati comunitari. Sull’efficacia di tale strumento non possono non nutrirsi diverse perplessità.<br />

( 31 ) L’idea che l’armonizzazione del diritto comunitario, la quale vorrebbe essere completa<br />

ed effettiva, possa arrestarsi al solo diritto sostanziale senza includere anche le azioni e i<br />

rimedi esperibili dal singolo consumatore è evidentemente destinata a rivelarsi fallace.<br />

( 32 ) È proprio l’art. 1 della direttiva, enunciandone l’oggetto, a chiarire che il legislatore<br />

comunitario ha inteso armonizzare solo « taluni aspetti delle disposizioni legislative, regolamentari<br />

e amministrative degli Stati membri in materia di contratti di credito ai consumatori ».


SAGGI 275<br />

non esaustiva delle fattispecie negoziali cui è destinata a trovare applicazione<br />

( 33 ). Agli Stati membri resta dunque affidata la sua completa regolamentazione<br />

per gli aspetti non direttamente affrontati dal legislatore comunitario<br />

( 34 ).<br />

3. – Il recente d.lgs. 13 agosto 2010 n. 141 ( 35 ) ha, inter alia, attuato nel nostro<br />

ordinamento la direttiva 08/48/CE, modificando l’intero titolo VI del<br />

TUB e abrogando gli artt. 40, 41 e 42 c.cons.<br />

Attraverso tale riforma si è innanzitutto ampliato l’ambito di applicazione<br />

della disciplina sul credito ai consumatori. E non tanto sotto l’aspetto<br />

soggettivo – visto che sia la definizione di finanziatore sia quella di consumatore,<br />

entrambe contenute nell’art. 121 TUB, lett. b) ed f ) ( 36 ), ripro-<br />

( 33 ) In questi termini G. De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria del credito al<br />

consumo: la direttiva 2008/48/CE e l’armonizzazione “completa” delle disposizioni nazionali<br />

concernenti “taluni aspetti” dei “contratti di credito ai consumatori”, cit., p. 267.<br />

( 34 ) Come chiaramente enunciato dal considerando n. 9, una “piena” armonizzazione dovrebbe<br />

essere applicata soltanto nelle materie armonizzate e laddove invece tali disposizioni<br />

armonizzate mancassero, gli Stati membri restano liberi di mantenere o introdurre norme<br />

nazionali<br />

( 35 ) Successivamente modificato dal d.lgs. 14 dicembre 2010 n. 218.<br />

( 36 ) Per il primo deve intendersi il « soggetto che, essendo abilitato a erogare finanziamenti<br />

a titolo professionale nel territorio della Repubblica, offre o stipula contratti di credito »; il secondo<br />

è invece definito, con previsione analoga a quella contenuta all’art. 3, comma 1, lett. a) del<br />

c. cons., come la « persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale,<br />

artigianale o professionale eventualmente svolta». Sotto il profilo soggettivo, dunque,<br />

il contratto di credito al consumo deve necessariamente avere come parti un professionista<br />

(creditore) e un consumatore; non rientrano quindi nella sua disciplina i contratti conclusi tra<br />

professionisti (cd. B2B) né quelli tra privati. Va peraltro ricordato che, a norma dell’art. 3,<br />

comma 1, lett. b) della direttiva, la definizione di finanziatore potrebbe ricomprendere sia una<br />

persona fisica sia una persona giuridica. Tuttavia, come precisato dal considerando n. 15, gli<br />

Stati membri hanno la facoltà di consentire la fornitura di credito ai consumatori esclusivamente<br />

alle persone giuridiche o a talune persone giuridiche, nonché il dovere di provvedere<br />

affinché tali soggetti siano controllati da un organismo o da un’autorità indipendente (cfr. art.<br />

20). Il TUB pertanto conserva una riserva di attività che assume una doppia valenza: negativa,<br />

perché pone un’esclusiva per le operazioni di credito al consumo a favore di soggetti dotati<br />

di determinate caratteristiche e garanzie; positiva, in quanto sottopone tali soggetti a controlli<br />

e vincoli che rendono più sicura la loro stabilità e i loro comportamenti. Problemi potrebbe<br />

semmai sollevare la decisione di estromettere di fatto dal settore del credito al consumo<br />

soggetti precedentemente autorizzati, quali i venditori di beni e servizi che, ai sensi dell’art.<br />

122, 5° comma, TUB possono – come in precedenza – concludere contratti di credito<br />

nella sola forma della dilazione del prezzo – ma ora – « con esclusione del pagamento degli interessi<br />

e di altri oneri ». Secondo Carriero, gli effetti economici di tale disposizione sono manifestamente<br />

nel senso di escludere dal settore del credito al consumo queste fasce di sog-


276 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

ducono in modo pressoché invariato quelle già elaborate dalla direttiva del<br />

1986 ( 37 )– quanto sotto quello oggettivo, attraverso una riduzione delle fattispecie<br />

escluse. Del resto la definizione di contratto di credito ( 38 ) è stata, da<br />

un lato, concepita in termini volutamente generici per ricomprendere al<br />

suo interno tutti i modelli negoziali adoperati dalla prassi – e ciò soprattutto<br />

grazie all’inciso che rinvia a qualsiasi « altra facilitazione finanziaria » – dall’altro,<br />

proprio tale indeterminata estensione del suo ambito d’applicazione,<br />

ha reso necessario individuare una serie di fattispecie negoziali sottratte<br />

alla normativa di protezione. Secondo le prescrizioni dell’art. 122 TUB restano<br />

quindi esclusi: a) quanto al valore, i contratti di importo inferiore a €<br />

200 o superiore a € 75.000 ( 39 ); b) quanto alle modalità e ai tempi di pagamento,<br />

i contratti senza applicazione di interessi o di altri oneri, quelli in<br />

forza dei quali il credito deve essere rimborsato entro tre mesi e che com-<br />

getti. E ciò, sotto il versante della concorrenza tra gli ordinamenti, può rappresentare una discriminazione<br />

reverse a danno degli operatori domestici, visto che tale preclusione non è prevista<br />

dalla direttiva (la quale ha, per converso, l’obiettivo della realizzazione di un mercato<br />

unico del credito) e che non constano omologhe restrizioni in altri paesi europei.<br />

( 37 ) Probabilmente resta quindi ancora attuale la giurisprudenza della Corte di giustizia<br />

secondo cui la direttiva (87/102/CEE) «deve essere interpretata nel senso che non rientra nel suo<br />

ambito di applicazione un contratto di fideiussione concluso a garanzia del rimborso di un credito<br />

quando né il fideiussore né il beneficiario del credito hanno agito nell’ambito della loro attività<br />

professionale » (cfr. Corte CE, 23 marzo 2000, C-208/98). Pertanto, il fideiussore di un finanziamento<br />

erogato nei confronti di un consumatore non può fare affidamento sulle norme di<br />

tutela, informativa e sostanziale, specificamente dettate in materia di credito al consumo. Anche<br />

sul piano soggettivo un’estensione può tuttavia ravvisarsi in quelle norme dedicate specificamente<br />

alla figura dell’intermediario del credito, con cui si indicano « gli agenti in attività finanziaria,<br />

i mediatori creditizi o qualsiasi altro soggetto, diverso dal finanziatore, che nell’esercizio<br />

della propria attività commerciale o professionale svolge, a fronte di un compenso in denaro o<br />

di altro vantaggio economico [ . . .] almeno una delle seguenti attività: 1) presentazione o proposta<br />

di contratti di credito ovvero altre attività preparatorie in vista della conclusione di tali contratti;<br />

2) conclusione di contratti di credito per conto del finanziatore ». Va altresì segnalato che, nel settore<br />

del credito, è allo studio un’apposita direttiva per regolamentare compiutamente tale figura:<br />

si v. il Libro Verde della Commissione sui servizi finanziari al dettaglio nel mercato unico<br />

(COM (2007)226 def.) che ha promesso l’avvio di uno studio sugli intermediari del credito<br />

al fine di analizzare il mercato dell’intermediazione creditizia nell’UE, di esaminare il quadro<br />

in cui operano gli intermediari e di valutare un eventuale pregiudizio per i consumatori. Sulla<br />

base di tale studio, la Commissione stabilirà quindi se sia necessario proporre un quadro<br />

giuridico europeo adeguato.<br />

( 38 ) Ai sensi dell’art. 121, lett. c), TUB per “contratto di credito” deve intendersi « il contratto<br />

con cui un finanziatore concede o si impegna a concedere a un consumatore un credito sotto<br />

forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra facilitazione finanziaria ».<br />

( 39 ) Tali limiti erano precedentemente fissati in € 154,93 e € 30.987,41.


SAGGI 277<br />

portano solo spese di entità trascurabile, il credito sotto forma di scoperto<br />

da rimborsarsi entro un mese nonché i contratti con cui viene dilazionato,<br />

senza spese, il pagamento di un debito esistente; c) quanto al bene oggetto<br />

di consumo, i contratti finalizzati all’acquisto o alla conservazione di diritti<br />

di proprietà su un terreno o su di un immobile costruito o anche solo progettato<br />

( 40 ); d) quanto alle garanzie richieste, i contratti garantiti da ipoteca<br />

di durata superiore a cinque anni e quelli per i quali la responsabilità del<br />

consumatore è limitata al bene dato in pegno; e) quanto a determinate tipologie<br />

negoziali, i contratti di locazione o di leasing che non prevedono l’obbligo<br />

d’acquisto del bene, i contratti di somministrazione continuata di un<br />

servizio o di merci dello stesso tipo in virtù del quale il consumatore è tenuto<br />

a versare il corrispettivo mediante pagamenti rateali, i contratti di appalto<br />

di cui all’articolo 1677 c.c.; f) quanto alle modalità di conclusione dell’accordo,<br />

i contratti perfezionati dinanzi a un giudice o a un’altra autorità prevista<br />

dalla legge.<br />

3.1. – Solitamente la tutela del consumatore si sviluppa seguendo due<br />

fondamentali direttrici: l’imposizione di obblighi informativi finalizzati a<br />

riequilibrare l’asimmetria informativa che connota la contrattazione di<br />

massa ( 41 ) ovvero l’introduzione di norme di protezione sostanziale, le quali<br />

predispongono – a scapito della libera autonomia delle parti – un regolamento<br />

di interessi nel quale il consumatore gode di una serie di facoltà e di<br />

diritti mentre al creditore viene limitata la possibilità di fare ricorso ad alcuni<br />

tipi di clausole e di eccezioni ( 42 ).<br />

( 40 ) Contrariamente al passato restano quindi inclusi i contratti di credito conclusi con finalità<br />

di ristrutturazione o valorizzazione di un edificio esistente.<br />

( 41 ) Amplius, in tema di obblighi informativi in ambito consumeristico, v. Di Donna, Obblighi<br />

informativi precontrattuali. 1. La tutela del consumatore, 2008, Milano, p. 172.<br />

( 42 ) Ovviamente questo secondo tipo di intervento, per la più penetrante e sostanziale intromissione<br />

nell’autonomia negoziale delle parti, garantisce un tipo di tutela più efficace rispetto<br />

all’imposizione di meri obblighi informativi che invece arrestano i loro effetti alla libera<br />

formazione del consenso e all’autoresponsabilizzazione del consumatore. Va evidenziato che<br />

l’innalzamento della qualità del contratto per l’utente, che si ottiene con l’introduzione di norme<br />

di equilibrio eteronomo del rapporto, sconta tuttavia l’inevitabile innalzamento del costo<br />

del credito a causa della conseguente diversa allocazione del rischio, così Carriero, Autonomia<br />

privata e disciplina del mercato. Il credito al consumo, cit., p. 87 ss. Nell’accogliere con favore<br />

(v. Alpa e Bessone, Disciplina giuridica delle carte di credito e problemi di controllo del credito<br />

al consumo, cit., p. 114; contra La Rocca, Credito al consumo e sistemi di finanziamenti, in Pol.<br />

dir., 1980 p. 429) siffatte prescrizioni non si deve dunque dimenticare di considerare accuratamente<br />

il rapporto costo/beneficio dovuto alla loro introduzione (cfr. Carriero, Autonomia


278 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Sul punto si scontrano due linee di pensiero. Parte della dottrina, infatti,<br />

ritiene che, mentre la prescrizione di obblighi informativi andrebbe accolta<br />

e incentivata poiché non crea alcun interferenza con il principio dell’autonomia<br />

negoziale, la previsione di regole sostanziali troverebbe giustificazione<br />

in via d’eccezione nei soli casi in cui le regole di informazione non<br />

fossero sufficienti ad ovviare al fallimento del mercato. Tale orientamento,<br />

che si richiama alle teorie economiche neoclassiche, privilegia l’autodeterminazione<br />

delle parti e assume una difesa pressoché incondizionata del<br />

principio dell’autonomia privata rispetto all’interferenza del legislatore. Vi<br />

è tuttavia chi, basandosi sulle recenti teorie della “behavioural economics”,<br />

ha dimostrato quanto sia fallace l’assunto della perfetta razionalità dell’operatore<br />

e ha cercato, al contrario, di tenere conto dell’influenza delle tecniche<br />

di marketing, nonché dei limiti intrinseci dell’essere umano e della<br />

sua psiche ( 43 ). Tali studi, infatti, hanno dimostrato che il consumatore, anche<br />

in presenza di una completa informazione precontrattuale, inevitabilmente<br />

compie delle scelte errate. Pertanto, in ragione dei benefici ottenibili<br />

in termini di efficienza del mercato, tale corrente di pensiero ha giustificato<br />

e sollecitato un intervento legislativo più incisivo, finalizzato a riequilibrare<br />

non solo il momento informativo e decisionale, ma anche l’assetto sostanziale<br />

dei rapporti negoziali ( 44 ).<br />

privata e disciplina del mercato. Il credito al consumo, cit., p. 89). È questo, d’altronde, il naturale<br />

effetto delle “norme di protezione sostanziale”, che alcuni definiscono anche “paternalistiche”<br />

(v. Kronman, Paternalism and the law of contract, in Yale Law Journal, 1983, 92, p. 763<br />

ss.) e avversano in quanto foriere di costi ed effetti distributivi nonché in contrasto con il dogma<br />

dell’insindacabile e necessaria libertà di ciascun individuo, così Cosentino, Il paternalismo<br />

del legislatore nelle norme di limitazione dell’autonomia dei privati, in Quadr., 1993, p. 121.<br />

( 43 ) Cfr. Costabile e Ricotta, Strategie di marketing del consumatore. Proposizioni di ricerca<br />

sul fabbisogno di consumer protection, in Micro & Macro Marketing, 2003, p. 401 ss.; Pardolesi,<br />

Per una nuova sintesi: verso un mercato consumer oriented, in Dir. cons., 1997, p. 64 ss.<br />

( 44 ) Il raffronto tra le due correnti di pensiero emerge in modo chiaro in un recente scritto<br />

di Epstein & Bar-Gill, Consumer contracts: behavioral economics vs. neoclassical economics,<br />

in New York University Law and Economics Working Papers, New York, 2007, Paper 91; in<br />

particolare è stato dimostrato che l’introduzione di un regime di responsabilità solidale tra<br />

fornitore e finanziatore aiuta a correggere il cd. market failure, assicura un miglioramento del<br />

benessere complessivo dei consumatori e una maggiore correttezza da parte degli operatori<br />

professionali (cfr. Palumbo e Iossa, Overoptimism and Lender Liability in the Consumer Credit<br />

Market, in Temi di discussione del Servizio Studi di Banca d’<strong>Italia</strong>, 2006, n. 598, p. 30 ss.). Sembrano<br />

quindi sussistere validi argomenti di analisi economica del diritto per contraddire l’affermazione<br />

secondo cui l’inopponibilità delle eccezioni rappresenterebbe un costo aggiuntivo<br />

per il consumatore. Mentre infatti l’imprenditore ha sia gli strumenti per determinare con<br />

precisione i costi dell’operazione sia un volume d’affari in grado di ammortizzare il rischio


SAGGI 279<br />

La disciplina in materia di credito al consumo combina questi due livelli<br />

d’intervento attraverso norme finalizzate a garantire l’informazione e la<br />

trasparenza negoziale e norme che delineano una disciplina sostanziale del<br />

rapporto che limita l’autonomia contrattuale dei privati.<br />

3.2. – Quanto al primo gruppo di norme, si osserva che gli obblighi informativi<br />

pubblicitari e precontrattuali sono stati significativamente – e forse<br />

eccessivamente – ampliati dalla riforma ( 45 ). In linea generale è interessante<br />

notare come le prescrizioni introdotte o ribadite dalla direttiva 08/48/CE<br />

siano poste a carico non solo del creditore-professionista, ma anche dell’intermediario<br />

del credito. Bisogna altresì evidenziare che, seppur in modo<br />

molto generico, alcuni obblighi di disclosure sembrano sussistere anche in<br />

capo al consumatore al fine di consentire al creditore una completa e specifica<br />

analisi delle sue capacità di rimborso.<br />

Le disposizioni del TUB sono inoltre state integrate da norme di rango<br />

sub-primario, visto che nuovamente il testo unico bancario ha affidato alle<br />

Autorità creditizie, assieme al controllo sulla “sana e prudente gestione”,<br />

anche la vigilanza sulla “trasparenza delle condizioni contrattuali” alla<br />

clientela ( 46 ).<br />

della singola operazione, il consumatore difficilmente è in grado di valutarne l’impatto soprattutto<br />

perché coinvolto solo episodicamente in transazioni di questo tipo. I consumatori,<br />

solitamente, preferiscono un contratto inefficiente, con un prezzo dichiarato più basso<br />

ma con una ampia serie di costi impliciti, rispetto ad un contratto che ipoteticamente realizzi<br />

l’efficiente allocazione del rischio; così Pardolesi e Pacces, Clausole vessatorie e analisi<br />

economica del diritto: note in margine alle ragioni (e alle incongruenze) della nuova disciplina,<br />

in Diritto Privato, 1996, Padova, p. 412. Inoltre la distribuzione del costo sulla base di un<br />

meccanismo del tipo assicurativo consente di ottenere una maggiore sopportabilità delle<br />

sofferenze, una maggior trasparenza dell’operazione ed è di incentivo al corretto svolgimento<br />

del rapporto contrattuale, cfr. Alpa e Bessone, Disciplina giuridica delle carte di credito<br />

e problemi di controllo del credito al consumo, cit., p. 110 e ss.; Piepoli, Il credito al consumo,<br />

cit., p. 156).<br />

( 45 ) Cfr. Carriero, Nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: linee d’indirizzo,<br />

questioni irrisolte, problemi applicativi, in Riv. dir. civ., 2009, p. 516 ss.; G. De Cristofaro, La<br />

nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: la direttiva 2008/48/CE e l’armonizzazione<br />

« completa » delle disposizioni nazionali concernenti « taluni aspetti » dei « contratti di credito ai<br />

consumatori », cit., p. 255 ss; Pignataro, Il credito al consumo, cit., p. 242 ss.<br />

( 46 ) Si veda il provvedimento del Governatore del 29 luglio 2009 – da ultimo aggiornato in<br />

data 9 febbraio 2011 – sulla “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari.<br />

Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti” e, in particolare, la sezione VII dedicata<br />

al credito ai consumatori. L’attribuzione di simili funzioni alla Banca d’<strong>Italia</strong> non costituisce ormai<br />

una novità, ma ha rappresentato un’innovazione di non poco conto poiché nella prospet-


280 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Certamente mantiene una posizione centrale in tutta la disciplina<br />

informativa l’indicazione del TAEG, definito dall’art. 121 TUB come «il<br />

costo totale del credito per il consumatore espresso in percentuale annua del-<br />

tiva consumeristica non emerge, quanto meno in modo diretto e immediato, l’interesse pubblico<br />

sotteso alla stabilità del sistema finanziario nel suo complesso, bensì l’interesse privato<br />

di colui che beneficia dei servizi offerti dagli istituti finanziari, così Ferrara, Note in tema di<br />

vigilanza della Banca d’<strong>Italia</strong> e tutela del consumatore, in Foro amm. CDS, 2003, VII-VIII, p.<br />

2458 ss. Sta di fatto che le disposizioni di rango sub-primario assumono natura vincolante e<br />

sono espressione dei fenomeni della delegificazione e della pluralità delle fonti di produzione<br />

del diritto privato (più in generale, v. Rodotà, in Codici, Milano, 2002). Il modello si inserisce<br />

nel fenomeno dell’amministrativizzazione del diritto positivo, caratterizzato dalla frequente<br />

attribuzione di poteri alla p.a.; sul punto cfr. Gaggero, Commento all’art. 123, in Disciplina<br />

delle banche e degli intermediari finanziari, a cura di Capriglione, Padova, 1995, p. 570;<br />

Nigro, La nuova normativa sulla trasparenza bancaria, in Dir. banca e merc. fin.,I, 1993, p. 575.<br />

L’amministrativizzazione del TUB è avvenuto sia in termini di delegificazione sia in termini<br />

d’attribuzione all’autorità di vigilanza di poteri fortemente discrezionali sia, infine, in termini<br />

di ampliamento dell’ambito dell’intervento amministrativo. Sicché, secondo alcuni autori,<br />

l’ingerenza di organi di natura amministrativa su princìpi fondanti del diritto privato, qual è<br />

l’autonomia negoziale, verrebbe addirittura a porsi in contrasto con la Costituzione. A tali<br />

considerazioni si richiama quella dottrina che ha considerato i regolamenti della Banca d’<strong>Italia</strong><br />

illegittimi per violazione del generale principio di legalità e delle singole riserve di legge<br />

contenute nella Costituzione: v. Guarino, L’armonizzazione della legislazione bancaria: la revisione<br />

dell’ordinamento bancario del 1936, in Riv. banc., 1995, III, p. 20 ss.; Manetti, voce Autorità<br />

indipendenti, in Enc. giur., vol. IV, Roma, 1997, p. 8; contra quella dottrina che considera<br />

ineludibile l’implementazione e la specificazione del principio di trasparenza da parte della<br />

Banca d’<strong>Italia</strong>: v. Dolmetta, Normativa di trasparenza e ruolo della Banca d’<strong>Italia</strong>, in Quaderni<br />

giuridici della Banca d’<strong>Italia</strong>, 1997, p. 19; Nigro, La nuova normativa sulla trasparenza bancaria,<br />

cit., p. 578. Con riferimento ai settori del credito e della finanza, è stato sottolineato che<br />

la relativa regolazione deve ispirarsi all’esigenza di “calcolabilità” e “ordine” (in tal senso, Capriglione,<br />

voce Borsa (mercati di), in Enc. dir., Agg., vol. V, Milano, 2001, p. 182); ma allo<br />

stesso modo si è sottolineata la necessità di “sburocratizzare” la regolazione delle attività economiche<br />

ed in tal senso si plaude all’attività degli organismi tecnici dotati autonomia ed indipendenza.<br />

Al particolare valore di questi atti normativi fa da contraltare la mancanza di legittimazione<br />

democratica della Banca d’<strong>Italia</strong> così come qualsiasi forma di responsabilità politica<br />

della stessa; con riferimento ai regolamenti della Banca d’<strong>Italia</strong> nel settore creditizio v. Cerulli<br />

Irelli, La vigilanza « regolamentare », in La nuova disciplina dell’<strong>impresa</strong> bancaria, a cura<br />

di Morera e Nuzzo, Milano, 1996, I, p. 48 il quale tuttavia rileva come la Banca d’<strong>Italia</strong> sia<br />

considerata dalla legge come autorità di vigilanza in un governo di settore che fa capo all’autorità<br />

politica. Anche Alpa, Note minime sulla trasparenza dei contratti bancari e finanziari,<br />

cit., p. 1787, ha in passato espresso dubbi sull’opportunità del rinvio al CICR di tali importanti<br />

determinazioni; il parere dell’Autore è che così facendo non si sia data considerazione agli<br />

organismi contrapposti alle banche, quali le associazioni dei consumatori, con ciò trasgredendo<br />

i princìpi espressi nella risoluzione comunitaria del 1975 dove si stabilisce il diritto dei<br />

clienti, anche in forma associata, ad essere ascoltati e rappresentati.


SAGGI 281<br />

l’importo totale del credito ». In tale indice devono essere computati gli interessi<br />

e tutti i costi, inclusi gli eventuali compensi di intermediari del credito,<br />

le commissioni, le imposte e le altre spese che il consumatore deve<br />

pagare in relazione al contratto di credito, ivi inclusi i costi di cui il finanziatore<br />

è a conoscenza relativi a servizi accessori connessi con il contratto<br />

di credito e obbligatori per ottenere il credito alle condizioni offerte. Esso<br />

quindi rappresenta, sotto forma di tasso d’interesse percentuale, una<br />

sintesi affidabile del costo complessivo che il consumatore è chiamato a<br />

sostenere per poter accedere al finanziamento in cui sono inclusi, oltre all’interesse<br />

nominale, anche gran parte degli ulteriori oneri previsti dal<br />

contratto ( 47 ).<br />

Quanto alla fase promozionale e pubblicitaria, pur trovando generica<br />

applicazione la normativa sulle pratiche commerciali scorrette di cui al codice<br />

del consumo, un regime “speciale” e più elevato di informazioni è previsto<br />

per quelle comunicazioni ( 48 ) che recano l’indicazione del tasso d’interesse<br />

o qualsiasi altro dato idoneo a rappresentare il costo del credito a carico<br />

del consumatore. Ai sensi dell’art. 123 TUB, infatti, quest’ultime, per<br />

rendere più trasparenti i termini economici dell’affare, dovranno ora contenere<br />

le seguenti “informazioni di base”: a) il tasso d’interesse (specificando<br />

se fisso o variabile) e le spese comprese nel costo totale del credito; b) l’importo<br />

totale del credito; c) il TAEG; d) l’esistenza di eventuali servizi accessori,<br />

necessari per ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni pubblicizzate,<br />

ove i costi relativi non siano inclusi nel TAEG in quanto non determinabili<br />

in anticipo; e) la durata contrattuale, se determinata; f) se determinabile,<br />

l’importo totale dovuto dal consumatore, nonché l’ammontare delle<br />

singole rate. Tali informazioni dovranno essere espresse in forma chiara,<br />

concisa e graficamente evidenziata, nonché attraverso l’impiego di un<br />

esempio rappresentativo ( 49 ); la Banca d’<strong>Italia</strong> ha altresì specificato che nel<br />

( 47 ) Restano escluse solo le eventuali penali per la mancata esecuzione di uno qualsiasi<br />

degli obblighi stabiliti dal contratto di credito, compresi gli interessi di mora, nonché le spese,<br />

diverse dal prezzo d’acquisto, che competono al consumatore all’atto dell’acquisto, indipendentemente<br />

dal fatto che si tratti di acquisto di merci o servizi, tramite pagamento in contanti<br />

o a credito.<br />

( 48 ) La Banca d’<strong>Italia</strong> ha chiarito che nella nozione di annuncio pubblicitario tutti i messaggi,<br />

in qualsiasi forma diffusi, aventi natura promozionale, e ogni altra documentazione<br />

non personalizzata avente la funzione di rendere note le condizioni dell’offerta alla potenziale<br />

clientela.<br />

( 49 ) Tale prescrizione relativa alle modalità di comunicazione dei dati economici risulta<br />

complementare alla precedente perché impone di valutare in modo “sostanziale” l’effettivo


282 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

testo o nella presentazione degli annunci pubblicitari nessuna voce possa<br />

avere maggiore evidenza del TAEG ( 50 ).<br />

Il fatto che tali prescrizioni riguardino solamente i messaggi pubblicitari<br />

in cui sono enunciati gli elementi economici del finanziamento lascia intuire<br />

che, nel momento meramente promozionale, l’interesse del legislatore<br />

non è quello di garantire una informazione completa, ma semmai di evitare<br />

che il messaggio pubblicitario stesso possa risultare fuorviante. Il diritto<br />

all’informazione in questa fase non può infatti essere inteso già come obbligo<br />

di offrire una completa conoscenza delle caratteristiche e dei rischi<br />

connessi al servizio o al prodotto, ma serve piuttosto a garantire che la scel-<br />

assolvimento dell’obbligo informativo. Non basta una visione meramente formale del problema.<br />

Se si attribuisce importanza al fatto che il consumatore ottenga determinate informazioni,<br />

occorre avere riguardo anche all’efficacia di tale messaggio e alle modalità con cui esso viene<br />

trasmesso. Ecco allora che i tre requisiti in esame, attraverso l’impiego di clausole generali ed<br />

elastiche, introducono dei canoni che devono essere finalizzati ad evitare che tale adempimento<br />

venga come oggi assolto in modo meramente formale. L’efficacia della disciplina di<br />

protezione, soprattutto di quella relativa agli obblighi informativi, va verificata in concreto per<br />

la sua capacità di svolgere le funzioni assegnategli. Lo stesso TAEG, ad esempio, è probabile<br />

che resti una formula dal significato sconosciuto ai più. È allora doveroso sottolineare che la<br />

debolezza del consumatore risiede anche nella scarsa conoscenza delle norme giuridiche poste<br />

a sua tutela e che accanto all’informazione gioca un ruolo altrettanto fondamentale l’istruzione,<br />

che deve divenire un’esigenza primaria dell’ordinamento per permettere il pieno funzionamento<br />

della disciplina a tutela dei consumatori; cfr. Rossi Carleo, Commento all’art. 4,<br />

in Commentario al Codice del consumo, a cura di Alpa e Rossi Carleo, cit., p. 125.<br />

( 50 ) Nel caso di utilizzo di particolari tecniche di comunicazione pubblicitaria via internet<br />

quali i c.d. banner o popup (messaggi promozionali che appaiono automaticamente allorché<br />

l’utente si collega a una determinata pagina web) ovvero le sezioni sponsorizzate dei<br />

motori di ricerca (che, a seguito di un’interrogazione su un motore di ricerca, appaiono di<br />

norma in alto e/o lateralmente sulla pagina con i risultati) è stato chiesto alla Banca d’<strong>Italia</strong><br />

se l’obbligo di specificare negli annunci pubblicitari la natura di messaggio con finalità promozionale,<br />

il rinvio ai fogli informativi per le condizioni contrattuali e l’indicazione del<br />

TAEG possa essere soddisfatto attraverso il collegamento diretto (link) ad altra pagina web<br />

ove è formulato il messaggio pubblicitario vero e proprio con la descrizione delle caratteristiche<br />

del prodotto (c.d. “pagina d’atterraggio”). In considerazione del carattere estremamente<br />

sintetico di tale forme pubblicitarie la Banca d’<strong>Italia</strong> si è espressa nel senso che «le<br />

informazioni e le avvertenze richieste possano essere inserite nella “pagina di atterraggio”. Va<br />

da sé che – anche alla luce di quanto previsto dall’art. 123, comma 2 del TUB – questa soluzione<br />

implica l’assenza, nelle comunicazioni pubblicitarie sintetiche, di qualsiasi indicazione sulle<br />

condizioni economiche offerte. Con riferimento alla “pagina di atterraggio”, si richiama ad<br />

un rispetto scrupoloso e sostanziale delle previsioni in tema redazione dei documenti (Sezione<br />

I, par. 1.4) e alla conseguente necessità che le informazioni richieste dalla Sezione II, par. 5 siano<br />

riportate nella prima pagina di atterraggio con un linguaggio e una grafica chiara, evitando<br />

ulteriori rinvii ad altre pagine web ».


SAGGI 283<br />

ta di consumo non venga disorientata da informazioni ingannevoli, anche<br />

al fine di garantire il leale svolgimento della concorrenza fra imprese.<br />

Quanto agli annunci pubblicitari che non riportano il tasso d’interesse o<br />

altre cifre concernenti il costo del credito, oltre alla normativa sulle pratiche<br />

commerciali scorrette, trova applicazione la sezione II, paragrafo 5 delle<br />

istruzioni della Banca d’<strong>Italia</strong> sul credito al consumo. Essi dovranno quindi<br />

indicare la propria natura di messaggio pubblicitario con finalità promozionale<br />

e fare espresso rinvio, per le condizioni contrattuali, al documento denominato<br />

“Informazioni europee di base sul credito ai consumatori”, specificando<br />

le modalità con cui quest’ultimo è messo a disposizione dei clienti.<br />

Gli obblighi propriamente precontrattuali riguardano invece quelle<br />

informazioni che devono essere fornite nel momento che precede la conclusione<br />

del contratto di credito. Più precisamente l’art. 124 TUB prescrive<br />

che il creditore (o l’intermediario del credito) consegnino al consumatore<br />

tali informazioni tramite «supporto cartaceo o su altro supporto durevole<br />

» ( 51 )e«in tempo utile », ossia prima che egli risulti vincolato dal contratto<br />

o da un’offerta ( 52 ). L’esplicita finalità di tale disposizione è quella di consentire<br />

al consumatore il confronto delle diverse offerte di credito sul mercato,<br />

al fine di prendere una decisione informata e consapevole.<br />

Le informazioni sono più numerose rispetto al passato e sono espresse<br />

in diciannove punti ( 53 ), di cui buona parte è rappresentata da diritti aventi<br />

( 51 ) La definizione di “supporto durevole” è contenuta alla lett. l) dell’art. 121 TUB e riproduce<br />

la formula già adottata dalla direttiva 2002/65/CE sulla commercializzazione dei servizi<br />

finanziari a distanza, oggi contenuta all’art. 67 ter, lett. f ), del Codice del consumo (e ripresa<br />

anche dall’art. 4, comma 2, del d.lgs. 21 maggio 2004, n. 170 attuativo della direttiva<br />

2002/47/CE sui contratti di garanzia finanziaria). Per “supporto durevole” deve quindi intendersi<br />

« ogni strumento che permetta al consumatore di conservare le informazioni che gli sono personalmente<br />

indirizzate in modo da potervi accedere in futuro per un periodo di tempo adeguato alle<br />

finalità cui esse sono destinate e che permetta la riproduzione identica delle informazioni memorizzate<br />

». Come chiarito dal considerando n. 20 della direttiva 2002/65/CE i “supporti durevoli”<br />

comprendono in particolare i dischetti informatici, i CD-ROM, i DVD e « il disco fisso<br />

del computer del consumatore che tiene in memoria messaggi di posta elettronica, ma non comprendono<br />

i siti Internet tranne quelli che soddisfino i criteri di cui alla definizione di supporto durevole<br />

».<br />

( 52 ) Giova precisare che anche la prova dell’avvenuta consegna delle informazioni precontrattuali<br />

dovrà essere fornita dal finanziatore per iscritto o tramite altro supporto durevole.<br />

( 53 ) Come specificato dalle Istruzioni della Banca d’<strong>Italia</strong> essi riguardano: a) il tipo di contratto<br />

di credito; b) la denominazione del finanziatore e l’indirizzo della sua sede amministrativa<br />

o della succursale con sede in <strong>Italia</strong>; nel caso di offerta attraverso intermediari del<br />

credito, vanno indicati anche il nome e il cognome o la denominazione e l’indirizzo del sog-


284 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

fonte legale. Per agevolare gli operatori e assicurare che la comunicazione<br />

di tali informazioni avvenga in modo corretto, nonché per consentire ai<br />

consumatori di decifrare e confrontare i dati delle diverse offerte, la direttiva<br />

del 2008 ha ideato una presunzione di conformità se la comunicazione è<br />

getto che entra in rapporto con il consumatore; c) l’importo totale del credito e le condizioni<br />

di utilizzo; d) la durata del contratto di credito; e) nel caso di contratti di credito collegati, l’indicazione<br />

del bene o del servizio oggetto del contratto e il relativo prezzo in contanti; f) il tasso<br />

di interesse, le condizioni che ne disciplinano l’applicazione e, se disponibile, ogni indice<br />

o tasso di riferimento applicabile al tasso iniziale, nonché le condizioni temporali e le modalità<br />

per l’eventuale modifica del tasso di interesse, ove consentita ai sensi dell’articolo 118 del<br />

TUB; qualora il contratto preveda l’applicazione di tassi di interesse diversi al variare di determinate<br />

circostanze, le informazioni previste dalla presente lettera vanno fornite con riferimento<br />

a ciascuno dei tassi applicabili; g) il TAEG e l’importo totale dovuto dal consumatore,<br />

illustrati mediante un esempio rappresentativo che deve indicare le ipotesi sulle quali si basa<br />

il calcolo di tale tasso; se il contratto prevede diverse modalità di utilizzo dei fondi, a ciascuna<br />

delle quali si applicano spese o tassi diversi, viene riportata una chiara avvertenza circa la circostanza<br />

che l’impiego da parte del consumatore di modalità di utilizzo diverse da quella presa<br />

in considerazione per il calcolo del TAEG può comportare l’applicazione di un tasso più<br />

elevato; h) l’importo, il numero e la periodicità delle rate e, ove previsto dal contratto, l’ordine<br />

con cui vengono imputati i pagamenti finalizzati al rimborso di saldi negativi ai quali sono<br />

applicati diversi tassi debitori; i) tutte le spese derivanti dal contratto di credito, ivi incluse: 1)<br />

le spese di gestione di un conto, quando per la stipulazione del contratto è obbligatoria l’apertura<br />

di un conto sul quale regolare i rimborsi e i prelievi effettuati dal consumatore; 2) le<br />

spese connesse all’utilizzazione dei mezzi di pagamento che consentono di effettuare rimborsi<br />

e prelievi; sono altresì indicate le condizioni in presenza delle quali è possibile una modifica<br />

delle spese, nel rispetto delle disposizioni di legge sulla modifica unilaterale delle condizioni<br />

contrattuali; j) se necessarie, l’esistenza di spese notarili a carico del consumatore in<br />

relazione alla stipula del contratto di credito; k) l’indicazione degli eventuali servizi accessori<br />

connessi con il contratto di credito (ad esempio, polizza assicurativa) obbligatori per ottenere<br />

il credito o per ottenerlo alle condizioni previste; l) il tasso degli interessi di mora, le condizioni<br />

in presenza delle quali esso può essere modificato, nel rispetto delle disposizioni di legge<br />

sulla modifica unilaterale delle condizioni contrattuali, e le eventuali penali previste per l’inadempimento;<br />

m) una chiara avvertenza delle conseguenze alle quali il consumatore può<br />

andare incontro in caso di mancato pagamento di una o più rate; n) le eventuali garanzie richieste;<br />

o) l’esistenza del diritto di recesso ai sensi dell’articolo 125-ter TUB, oppure l’inesistenza<br />

di questo diritto nel caso di contratti di credito ai quali non si applicano le disposizioni<br />

in materia di recesso; p) il diritto al rimborso anticipato previsto dall’articolo 125-sexies TUB<br />

nonché, in presenza delle condizioni ivi stabilite, il diritto del creditore a ottenere un indennizzo<br />

a fronte del rimborso anticipato e le relative modalità di calcolo; q) il diritto del consumatore,<br />

se la domanda di credito è stata rifiutata dopo la consultazione di una banca dati, di<br />

essere informato immediatamente e gratuitamente del rifiuto della domanda e degli estremi<br />

della banca dati consultata; r) il diritto del consumatore a ricevere gratuitamente, su richiesta,<br />

una copia completa del testo contrattuale idonea per la stipula; s) l’eventuale limite temporale<br />

di validità dell’offerta illustrata nelle informazioni precontrattuali.


SAGGI 285<br />

fornita attraverso un modulo denominato “Informazioni europee di base<br />

relative al credito ai consumatori”, ora riprodotto nell’Allegato 4C delle richiamate<br />

istruzioni della Banca d’<strong>Italia</strong>. Per evitare un sovraccarico informativo,<br />

qualsiasi ulteriore informazione, che con ogni probabilità avrà carattere<br />

marcatamente promozionale, dovrà essere contenuta in un foglio<br />

distinto e separato. Qualora le modalità di conclusione del contratto rendano<br />

particolare difficoltoso adempiere agli obblighi informativi prescritti, ossia<br />

nel caso di contrattazione a distanza, il creditore dovrà fornire al consumatore<br />

tutte le informazioni precontrattuali immediatamente dopo la conclusione<br />

del contratto di credito.<br />

In ogni caso il consumatore avrà diritto di ottenere gratuitamente dal<br />

professionista una copia del contratto di credito offerto al pubblico. Sul<br />

consumatore non grava l’onere di informazione sulle condizioni generali<br />

predisposte dal professionista ( 54 ) e quindi, in deroga all’art. 1341, comma 1,<br />

c.c., le clausole non conosciute in tempo utile prima della conclusione del<br />

contratto resteranno prive di efficacia, benché fossero conoscibili usando<br />

l’ordinaria diligenza. Peraltro, eventuali omissioni nell’informazione precontrattuale<br />

non potranno risultare sanate se riportate in modo corretto nel<br />

documento contrattuale ( 55 ).<br />

Ai sensi dell’articolo 124, comma 5, TUB il finanziatore è altresì tenuto<br />

a fornire al consumatore i chiarimenti richiesti, in modo che questi possa<br />

valutare se il contratto di credito proposto sia adatto alle proprie esigenze e<br />

alla propria situazione finanziaria ( 56 ). La Banca d’<strong>Italia</strong> ha precisato che do-<br />

( 54 ) Cfr. Maggiolo, Il contratto predisposto, Padova, 1996, p. 113 ss., secondo cui il consumatore<br />

non ha neanche l’onere di attivarsi per conoscere le clausole che il professionista abbia<br />

reso conoscibili; Ricci, L’informazione del consumatore e l’inefficacia delle clausole occulte,<br />

in Temi romana, 2000, p. 829 ss. Al riguardo, si è identificato il diritto all’informazione con il<br />

diritto alla conoscenza (e non alla conoscibilità) delle condizioni contrattuali (Ricci, Commento<br />

al Titolo III, Capo I, Sezione II, Contratti a distanza, sub art. 52, in Commentario al Codice<br />

del consumo, cit., p. 399; Rossi Carleo, Commento al Titolo II, Capo I, Disposizioni generali,<br />

sub art. 5, ivi, p. 125 ss.).<br />

( 55 ) G. De Cristofaro, Contratti a distanza e norme a tutela del consumatore, in Studium<br />

iuris, 1999, p. 1195 ss., il quale è favorevole alla soluzione dell’inefficacia delle clausole a prescindere<br />

dall’affidamento riposto dal consumatore nel contenuto contrattuale difforme dalla<br />

reale volontà del professionista.<br />

( 56 ) Accanto alla valutazione del merito creditizio, la direttiva del 2008, pur avendo abbandonando<br />

l’ulteriore “obbligo di consulenza” originariamente previsto dalla Commissione (su<br />

cui v. la nota a sentenza di Maffeis, Il dovere di consulenza al cliente nei servizi di investimento e<br />

l’estensione del modello al credito ai consumatori, in Contratti, 2005, p. 5) ha conservato un generico<br />

invito agli Stati membri affinché il finanziatore fornisca “assistenza e chiarimenti” tali da<br />

consentire al consumatore di valutare l’idoneità del contratto proposto a rispondere alle pro-


286 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

vranno essere adottate procedure interne volte ad assicurare la possibilità di<br />

rivolgersi, nei normali orari di lavoro, al finanziatore per ottenere gratuitamente<br />

spiegazioni aventi ad oggetto la documentazione precontrattuale, le<br />

caratteristiche essenziali del prodotto offerto e gli effetti che possono derivargli<br />

dalla conclusione del contratto, in termini di obblighi economici e<br />

conseguenze del mancato pagamento. Particolare attenzione è stata prestata<br />

alla facilità di accesso a tale servizio di assistenza che deve poter essere ottenuto<br />

oralmente o attraverso tecniche di comunicazione a distanza che<br />

consentano anche un’interazione individuale con gli addetti, i quali peraltro<br />

dovranno essere adeguatamente aggiornati e competenti.<br />

Quanto agli obblighi di forma e di contenuto, l’art. 125-bis TUB prescrive<br />

che anche il contratto debba essere redatto « su supporto cartaceo o<br />

su altro supporto durevole » ( 57 ). Nel caso di inosservanza della forma prescritta<br />

il contratto è nullo e tale nullità può essere fatta valere solo dal consumatore<br />

( 58 ). Peraltro è interessante constatare che nella prassi, come spes-<br />

prie esigenze e alla propria situazione finanziaria. È stato tuttavia correttamente osservato che<br />

al di là del tenore letterale della disposizione l’obbligo di “assistenza” « non può che essere interpretato<br />

nel senso suggerito dal considerando n. 27 e cioè in modo tale da imporre al creditore<br />

l’obbligo di esprimere una “valutazione” circa la rispondenza dei prodotti offerti alle specifiche<br />

esigenze del debitore nonché alla sua situazione finanziaria »: così Febbrajo, La nuova disciplina<br />

dei contratti di credito “al consumo” nella Dir. 2008/48/CE, in Il credito al consumo, a cura<br />

di Rescigno, in Giur. it., 2010, p. 223 ss. Deve tuttavia osservarsi che la Banca d’<strong>Italia</strong> ha dichiarato<br />

che, a differenza di quanto previsto dalla disciplina in materia di servizi di investimento,<br />

« le disposizioni non impongono ai finanziatori di effettuare una profilatura del cliente né<br />

di comunicare formalmente a quest’ultimo le proprie valutazioni circa il profilo di operatività da<br />

associare al singolo consumatore, ma prevedono l’adozione di presidi organizzativi atti ad evitare<br />

che le modalità di commercializzazione impiegate inducano oggettivamente il cliente a selezionare<br />

prodotti manifestamente non adatti alle sue esigenze ».<br />

( 57 ) La direttiva del 2008 ha ritenuto che il requisito della forma scritta potesse rappresentare<br />

una barriera alla conclusione di operazioni transfrontaliere e, in generale, di quelle a distanza.<br />

Ha pertanto adottato una posizione meno rigorosa rispetto al passato, consentendo<br />

che il contratto sia redatto non solo su supporto cartaceo ma anche su altro supporto durevole<br />

con consegna di una copia a ciascuna delle parti.<br />

( 58 ) Il tenore della norma richiama l’analoga sanzione prevista per le clausole abusive nei<br />

contratti dei consumatori, oggi contenuta all’art. 36 c. cons. (sulla quale v. Nuzzo, Commento<br />

all’art. 36 « Nullità di protezione », in Commentario al Codice del Consumo, a cura di Alpa e<br />

Rossi Carleo, cit., p. 255 ss.). Più in generale, sul tema della nullità relativa o di protezione la<br />

produzione scientifica è sconfinata. Senza pretesa di esaustività si v. Scalisi, L’invalidità e l’inefficacia,<br />

in Manuale di diritto privato europeo, a cura di Mazzamuto, Milano, 2007, p. 476 ss.;<br />

Di Majo, Nullità nuove, in Il contratto in generale, a cura di Bessone, Torino, 2002, p. 130; Roppo,<br />

Il contratto, Milano, 2001, p. 735; Gentili, Nullità, annullabilità inefficacia (nella prospettiva<br />

del diritto europeo), in Contratti, 2003, p. 200; Nuzzo, I contratti del consumatore tra legi-


SAGGI 287<br />

so accade nella contrattazione di massa, il processo di formazione del contratto<br />

vede un’inversione dei ruoli delle parti: al consumatore è infatti attribuita<br />

la posizione di proponente, mentre il finanziatore si riserva quella di<br />

accettante. Va da sé che tale inversione non rispecchia le effettive posizioni<br />

dei due soggetti e rappresenta un espediente della cui legittimità si è dubitato<br />

( 59 ). Bisogna tuttavia considerare che la conclusione del contratto di<br />

credito non può non risultare subordinata alla valutazione del merito creditizio,<br />

e quindi della solvibilità del richiedente. Pertanto per il professionista<br />

può risultare utile subordinare il perfezionamento del contratto ad un momento<br />

successivo a quello di adesione da parte del consumatore. È semmai<br />

censurabile che il contratto possa concludersi attraverso comportamenti<br />

concludenti ( 60 ), ossia con l’erogazione del finanziamento e non con una dichiarazione<br />

espressa dell’istituto di credito. Ciò soprattutto se si tiene conto<br />

che i contratti di credito finalizzato presentano sempre, senza eccezione,<br />

l’autorizzazione preventiva all’erogazione della somma mutuata direttamente<br />

in capo al fornitore del bene senza alcuna comunicazione al consumatore<br />

( 61 ). Tutto ciò pregiudica gli interessi di quest’ultimo che, a scapito<br />

slazione speciale e disciplina generale del contratto, in Rass. dir. civ., 1998, p. 308; Gentili, Le<br />

invalidità, in I contratti in generale, a cura di E. Gabrielli, Torino, 1998, II, p. 1255; Mazzamuto,<br />

L’inefficacia delle clausole abusive, in Eur. e dir. priv., 1998, p. 45; Passagnoli, Nullità speciali,<br />

Milano, 1995; Putti, voce Nullità (nella legislazione di derivazione comunitaria), in Digesto,<br />

disc. priv., sez. civ., Agg., Torino, 2000, p. 685; Putti, La nullità parziale: diritto interno e<br />

comunitario, Napoli, 2002. Con riferimento all’ampio dibattito dottrinale sul neoformalismo<br />

negoziale si v. Irti, Idola libertatis. Tre esercizi sul formalismo giuridico, Milano, 1985, passim;<br />

in senso critico: oltre a P. Perlingieri, Forma dei negozi e formalismo degli interpreti, Napoli,<br />

1987, passim e pp. 117 anche G.B. Ferri, Forma e autonomia negoziale, in Quadr., 1987, p. 313<br />

ss.; ancora, Irti, Formalismo ed attività giuridica, in Riv. dir. civ., 1990, p. 1 ss.<br />

( 59 ) Cfr. il parere sulla vessatorietà delle clausole contenute nei contratti di credito al consumo<br />

predisposto dalle Camere di Commercio di Milano e Roma e reperibile sul sito web<br />

www.mi.camcom.it.<br />

( 60 ) Il contegno non dichiarativo previsto dall’art. 1327 c.c. che può condurre alla conclusione<br />

del contratto è, in primo luogo, quello che si risolve nell’esecuzione della prestazione<br />

contrattuale; così Roppo, Il contratto, cit., p. 200. Sulla conclusione del negozio per inizio dell’esecuzione<br />

v. Sacco, La conclusione dell’accordo, in I contratti in generale, a cura di E. Gabrielli,<br />

Torino, 2002, p. 103 ss.; ancora V. Roppo, Il contratto, cit., p. 120; Ravazzoni, La formazione<br />

del contratto,I,Le fasi del procedimento, Milano, 1966, p. 365; R. Scognamiglio, Dei<br />

contratti in generale, Artt. 1321-1352, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna, 1970, p. 111;<br />

Bianca, Diritto civile, III, Milano, 2000, p. 239.<br />

( 61 ) A ben vedere tale impostazione sembrerebbe violare il principio secondo cui l’accettazione<br />

ha carattere recettizio; inoltre, anche riconducendo la fattispecie alla previsione dell’accettazione<br />

per fatti concludenti, sembrerebbero violate le disposizioni di cui all’art. 1327<br />

c.c.: innanzitutto perché la conclusione mediante esecuzione non si addice a una tipologia


288 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

della trasparenza garantita nella fase precontrattuale, non è messo in condizione<br />

di conoscere il termine iniziale di efficacia del contratto e, quindi, il<br />

momento in cui sorge il suo obbligo di rimborso della somma mutuata. Pertanto<br />

sarebbe necessario che l’accettazione venisse esplicitamente comunicata<br />

al consumatore.<br />

Una copia del contratto deve essere consegnata al consumatore, il quale,<br />

nel caso di credito a durata determinata, ha diritto anche a richiedere e ottenere,<br />

gratuitamente e in qualsiasi momento, una tabella di ammortamento.<br />

Il contratto di credito deve necessariamente contenere « in modo chiaro<br />

e conciso » le informazioni e le condizioni stabilite dalla Banca d’<strong>Italia</strong> ( 62 ), le<br />

quali in buona parte ricalcano gli elementi già indicati nella fase informativa<br />

precontrattuale ( 63 ).<br />

Le norme di trasparenza acquistano anche i connotati della completezza<br />

grazie ai commi 5 e 6 dell’art. 125-bis TUB, il cui scopo è evitare che possano<br />

essere richieste al consumatore somme o prestazioni non espressamente<br />

previste in contratto. È stabilito infatti che « nessuna somma può essere<br />

richiesta o addebitata al consumatore se non sulla base di espresse previsioni<br />

contrattuali » e che « sono nulle le clausole del contratto relative a costi a<br />

carico del consumatore che . . . non sono stati inclusi o sono stati inclusi in modo<br />

non corretto nel TAEG pubblicizzato ». Inoltre il 7° comma prevede meccanismi<br />

d’integrazione legale del contratto per il caso di assenza o di nullità<br />

contrattuale per la quale è imposta la forma scritta; poi perché la clausola che la autorizza è<br />

predisposta unilateralmente dal finanziatore; infine perché sarebbe in ogni caso prescritta la<br />

comunicazione di un avviso – cfr. comma 2 – dell’iniziata esecuzione. Si tenga presente che<br />

secondo la Cassazione (cfr. n. 4400/1996) « nei contratti per i quali sia prescritta la forma scritta,<br />

a pena di nullità, l’accettazione non deve essere necessariamente manifestata in modo esplicito,<br />

ma è sufficiente che la volontà di accettare la proposta sia desumibile, per implicito, da una dichiarazione<br />

redatta per iscritto, diretta alla controparte da colui cui la proposta è indirizzata ».<br />

Pertanto, nonostante l’accettazione possa ricavarsi implicitamente, è sempre necessario che<br />

tale operazione sia fondata su una dichiarazione scritta indirizzata alla controparte. In generale<br />

sul punto, si veda Sacco, La conclusione dell’accordo, in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno,<br />

Obbligazioni e contratti, II, Torino, 2002, p. 53.<br />

( 62 ) La Banca d’<strong>Italia</strong> ritiene che le informazioni relative alle condizioni economiche si<br />

possono reputare in ogni caso chiare e concise quando il contratto fa rinvio alle “Informazioni<br />

europee di base sul credito ai consumatori”, che in questo caso dovranno essere allegate al contratto.<br />

( 63 ) Particolare risalto è dato alla modalità di composizione delle controversie, tanto che<br />

il contratto deve indicare i mezzi di tutela stragiudiziale (reclami e ricorsi) di cui il consumatore<br />

può avvalersi, ivi compresi i sistemi di risoluzione delle controversie ai sensi dell’articolo<br />

128-bis del T.U. (Arbitro Bancario Finanziario), e le modalità per accedervi nonché l’indicazione<br />

che il finanziatore è soggetto ai controlli esercitati dalla Banca dell’<strong>Italia</strong>.


SAGGI 289<br />

parziale di una o più clausole essenziali, così da non metterne in crisi il corretto<br />

funzionamento. In loro assenza, infatti: « a) il TAEG equivale al tasso<br />

nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente<br />

indicati dal Ministro dell’economia e delle finanze, emessi nei dodici<br />

mesi precedenti la conclusione del contratto. Nessuna altra somma è dovuta<br />

dal consumatore a titolo di tassi di interesse, commissioni o altre spese; b) la<br />

durata del credito è di trentasei mesi ».<br />

Di indubbia importanza è infine la previsione che, in caso di nullità<br />

del contratto e conseguente ripetizione delle somme indebitamente utilizzate<br />

dal consumatore, consente la loro restituzione rateale, con la stessa<br />

periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili.<br />

3.3. – Traendo spunto dalla normativa presente in alcuni Stati membri,<br />

il legislatore comunitario ha introdotto delle prescrizioni di prudenza nella<br />

concessione di prestiti, imponendo alle banche e alle società finanziarie di<br />

rispettare il principio del “prestito responsabile”. Con esso è posto a carico<br />

del finanziatore, accanto ai conosciuti obblighi di disclosure, anche l’onere<br />

di “valutare” il merito creditizio del cliente (consultando le banche dati centralizzate<br />

ed esaminando le risposte fornite dal consumatore), di verificare i<br />

dati forniti dagli intermediari del credito e di selezionare la tipologia di credito<br />

da offrire.<br />

Parlare della responsabilità del finanziatore nell’erogazione del credito<br />

evoca quello che è stato definito il “dilemma” del banchiere, il quale viene a<br />

trovarsi nella difficile posizione di dover scegliere tra l’acquisizione di un<br />

potenziale cliente e il rischio di esporsi ad un’azione di responsabilità. Si<br />

possono infatti nutrire dubbi sul fatto che la valutazione da parte del creditore<br />

della solvibilità del consumatore possa essere neutra, considerando<br />

che egli è parte del contratto e che pertanto, nel rispetto della clausola di<br />

buona fede, non è tenuto a perseguire gli interessi dell’altro contraente.<br />

Ma, essendo in gioco la sua responsabilità contrattuale, egli sarà tenuto comunque<br />

a una valutazione preventiva e prudenziale, cosa che del resto già<br />

accade nel nostro ordinamento.<br />

La disposizione infatti impone ai finanziatori di agire secondo la logica<br />

del “buon creditore”. E ciò al duplice scopo di proteggere sia il consumatore<br />

sia il mercato in quanto le imprese concorrenti, a causa di nuovi finanziamenti,<br />

rischiano di veder compromessa la solvibilità dei loro clienti.<br />

Una simile previsione appare quanto mai opportuna oggi che i finanziatori<br />

sono soliti retrocedere il rischio di insolvenza su altri soggetti, grazie all’utilizzo<br />

di garanzie innovative e standardizzate per mitigare i rischi di in-


290 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

solvenza. Tali garanzie, ponendo il finanziatore al riparo dagli insoluti e dal<br />

concorso con altri creditori, fungono da fattore implicito di propulsione<br />

nella erogazione del credito, il quale non trova più ostacoli a spingersi anche<br />

oltre le reali possibilità di rimborso, incrementando il rischio di sovraindebitamento.<br />

Così facendo è stata allentata l’attenzione sull’analisi<br />

del rischio di credito. Con la conseguenza paradossale che, riverberandosi i<br />

costi delle garanzie sul costo complessivo del finanziamento, è lo stesso<br />

consumatore a pagare per eliminare dal sistema il rischio di sovraesposizione<br />

( 64 ).<br />

L’art. 124-bis TUB impone quindi al creditore di effettuare una valutazione<br />

preventiva e prudenziale. È vero – come è stato rilevato ( 65 ) – che tale<br />

prescrizione era già prevista nel nostro ordinamento: in particolare, in attuazione<br />

dell’art. 6 del d.m. 3 febbraio 2011, i finanziatori devono applicare<br />

le procedure, metodologie e tecniche relative alla valutazione e al monitoraggio<br />

del merito creditizio dei clienti già previste dalla Banca d’<strong>Italia</strong>. Sembra<br />

tuttavia, anche sotto un profilo sistematico, che la valutazione del merito<br />

creditizio assuma in questo contesto una valenza nuova e ulteriore, prefigurando<br />

un obbligo precontrattuale, certamente fonte di responsabilità ex<br />

art. 1337 c.c. con cui si intende prevenire, anche sotto il profilo dei rapporti<br />

interprivatistici, che venga concesso del credito a chi presumibilmente non<br />

sarà in grado di restituirlo.<br />

Di sicuro se il finanziatore ha verificato o avrebbe dovuto verificare che<br />

il consumatore non è meritevole di credito, dovrà astenersi dal concludere<br />

il contratto. Infatti, pur non essendo espressamente previsto, deve ritenersi<br />

che la norma imponga al professionista il divieto di stipulare il contratto<br />

( 64 ) Su questi aspetti, cfr. Cerini, Il sovraindebitamento del consumatore in prospettiva<br />

comparata, in Credito al consumo e sovra indebitamento del consumatore. Scenari economici e<br />

profili giuridici,a cura di Labuono e Lorizio, Torino, 2007, 220.<br />

( 65 ) Sul punto si veda Granata, Il fenomeno della concessione di credito, in Società, 2007, p.<br />

449 il quale evidenzia che la concessione dei crediti era già soggetta ad un sistema di regole<br />

volte a garantire la gestione “sana e prudente” e, più in generale, la stabilità complessiva, l’efficienza<br />

e la competitività del sistema finanziario (ai sensi dell’art. 5 TUB). Del resto sia la Delibera<br />

CICR del 1996 sia le Istruzioni della Banca d’<strong>Italia</strong> dettano da tempo specifici princìpi<br />

sull’erogazione del credito nell’ottica di coniugare l’attività d’<strong>impresa</strong> con l’assunzione di rischi<br />

compatibile rispetto alle condizioni economico-patrimoniali del consumatore, nonché<br />

con una condotta dell’intermediario improntata a criteri di correttezza. Le banche infatti devono<br />

disporre di sistemi che consentano di identificare, misurare e controllare l’esposizione<br />

alle singole fattispecie di rischio, nonché di gestire l’esposizione complessiva, tenendo conto<br />

anche delle possibili correlazioni tra i diversi fattori di rischio. In relazione a ciò sono fissati<br />

adeguati limiti operativi, monitorati su base continua e sottoposti a periodiche revisioni.


SAGGI 291<br />

che, alla luce dell’istruttoria condotta e della valutazione effettuate, si manifesti<br />

non sostenibile per il debitore in relazione alle sue capacità di rimborso.<br />

3.4. – La tutela sostanziale del rapporto contrattuale fra professionista e<br />

consumatore è contenuta negli artt. 125-ter e ss. TUB.<br />

In primo luogo la nuova normativa consente lo scioglimento unilaterale<br />

del rapporto in virtù di due distinte previsioni: una “ordinaria”, per i soli<br />

contratti di credito a tempo indeterminato, e un’altra di natura invece<br />

“straordinaria” ( 66 ), applicabile in linea di principio a tutti i contratti di credito<br />

e riconducibile all’istituto del ius poenitendi già riconosciuto in favore<br />

dei consumatori da altre direttive comunitarie ( 67 ).<br />

Quest’ultima rappresenta una delle principali novità introdotte dalla direttiva<br />

08/48/CE perché attribuisce al consumatore la facoltà di recedere<br />

dal contratto, senza necessità di allegare particolari motivazioni, entro<br />

quattordici giorni dalla sua conclusione o, se successivo, dal momento in<br />

cui sono state fornite le informazioni prescritte dall’articolo 125-bis, comma<br />

1, TUB ( 68 ). Per le modalità di esercizio del ius poenitendi si fa rinvio al codi-<br />

( 66 ) Così De Cristofaro, Ius poenitendi del consumatore e contratti di credito nella Dir.<br />

2008/48/CE, in Aa.Vv., Il credito al consumo, a cura di Rescigno, cit., p. 232.<br />

( 67 ) Le ragioni che hanno giustificato l’introduzione del ius poenitendi non sono le medesime<br />

riscontrate in altre fattispecie. Esso infatti era stato introdotto per quelle vendite, definite<br />

“aggressive”, in cui il contraente è indotto a concludere l’accordo senza la necessaria preparazione<br />

(vendite fuori dai locali commerciali) oppure nel caso in cui è necessario, per una<br />

corretta scelta economica, un esame del bene su cui non si è avuto un contatto diretto (vendite<br />

a distanza); cfr. G. De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo:<br />

la direttiva 2008/48/CE e l’armonizzazione “completa” delle disposizioni nazionali concernenti<br />

“taluni aspetti” dei “contratti di credito ai consumatori”, cit., p. 285. Se ciò è vero, sembra<br />

che la ratio del diritto di ripensamento riconosciuto al debitore nei contratti di credito non risieda<br />

nelle circostanze (di luogo e di tempo) in cui è venuto perfezionarsi l’incontro delle volontà<br />

dei contraenti, quanto piuttosto sia da rintracciare, come già accaduto per i contratti di<br />

c.d. multiproprietà, nella complessità delle formule contrattuali utilizzate, spesso laboriose e<br />

articolate, nella difficoltà di comprendere la portata dell’impegno economico assunto, nei<br />

suoi termini quantitativi e temporali così come nella sua possibile modifica in pejus nel corso<br />

del rapporto; cfr Ermini, Commento all’art. 73 del Codice del Consumo, in Codice del Consumo<br />

e norme collegate, a cura di Cuffaro, Milano, 2008, p. 443.<br />

( 68 ) Nel caso di omessa informazione assistiamo dunque a un ius poenitendi che potrebbe<br />

non conoscere termine; cfr. Rott, in Micklitz-Reich-Rott, Undestranding EU Consumer Law,<br />

Antwerp-Oxford-Portland, 2009, p. 203. Tale previsione recepisce l’interpretazione data dalla<br />

Corte di giustizia europea (cfr. sentenza del 13 dicembre 2001, C-481/99) in relazione alla normativa<br />

tedesca di recepimento della direttiva sulla tutela dei consumatori in caso di contratti


292 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

ce del consumo ( 69 ). Ovviamente la peculiare natura del contratto di credito<br />

impone che, qualora la somma mutuata sia già stata corrisposta, il debitore<br />

sarà tenuto a restituirla al creditore senza indugio, e comunque non oltre il<br />

trentesimo giorno dalla notifica del recesso; è altresì previsto che debbano<br />

essere corrisposti gli interessi maturati su tale capitale dalla data di prelievo<br />

fino a quella di rimborso. Nessun altro onere può tuttavia essere addebitato<br />

al consumatore se non le «spese non rimborsabili pagate dal creditore stesso<br />

alla pubblica amministrazione ». Ulteriori e altrettanto importanti effetti sono<br />

riconosciuti al recesso in presenza di un contratto accessorio al contratto<br />

di credito: per espressa previsione legislativa l’estinzione del vincolo si<br />

estende infatti anche a tali servizi accessori se questi erano stati resi dal finanziatore<br />

ovvero da un terzo, in quest’ultimo caso sulla base di un accordo<br />

col finanziatore la cui esistenza è comunque presunta fino a prova contraria.<br />

Il recesso “ordinario” è invece previsto in favore di entrambi i contraenti<br />

nei contratti di credito a tempo indeterminato. Da un lato, infatti, l’art.<br />

125-quater TUB prevede che il consumatore sia libero di recedere in qualsiasi<br />

momento, in modo gratuito e senza motivazione; è possibile prevedere<br />

pattiziamente un periodo minimo di preavviso, che comunque non potrà<br />

essere superiore ad un mese ( 70 ). Dall’altro lato è parimenti riconosciuta al<br />

creditore la possibilità di sciogliersi dal rapporto contrattuale in essere, anche<br />

senza necessità di una giusta causa ( 71 ), ma solo se la corrispondente facoltà<br />

gli sia stata riconosciuta contrattualmente. In questo caso si tratta quin-<br />

negoziati fuori dei locali commerciali. Sul tema v. Giampetraglia, Commento all’art. 65, in<br />

Commentario al Codice del Consumo, a cura di Alpa e Rossi Carleo, cit., p. 469 e Id., Il diritto<br />

di recesso nel codice del consumo, in Notariato, 2007, p. 79 ss. Peraltro nel fattispecie che ci interessa<br />

ha poco senso interrogarsi sulla ragionevolezza di tale indeterminata estensione temporale,<br />

dato che ad essa corrispondere l’obbligo di restituzione anche degli interessi sino ad<br />

allora maturati.<br />

( 69 ) Si v. quindi l’art. 64, comma 2, c.cons. che richiede l’invio di una comunicazione scritta<br />

alla sede del professionista mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento da<br />

consegnare all’ufficio postale accettante entro il termine di legge. In ogni caso la comunicazione<br />

può essere inviata, entro lo stesso termine, anche mediante telegramma, telex, posta<br />

elettronica e fax, a condizione che sia confermata mediante lettera raccomandata con avviso<br />

di ricevimento entro le quarantotto ore successive.<br />

( 70 ) Resta irrisolto il dubbio se sia lecito imporre un periodo di preavviso anche nel caso<br />

in cui il consumatore receda per giustificato motivo o se, al contrario, esso possa essere considerato<br />

legittimo solo nell’ipotesi di recesso ad nutum.<br />

( 71 ) Va peraltro ricordato che la non necessità di una giusta causa di recesso non esonera<br />

le parti dall’osservanza del principio generale di buone fede ex art. 1375 c.c., così Bianca, Diritto<br />

civile. Il contratto, Milano, 1987, p. 704.


SAGGI 293<br />

di di un diritto potestativo di natura esclusivamente convenzionale che resta<br />

sottoposto a un periodo di preavviso obbligatorio non inferiore a due<br />

mesi. Al ricorrere di una giusta causa è invece concessa al finanziatore la facoltà<br />

di sospendere l’utilizzo del credito da parte del consumatore, dandogliene<br />

anticipata comunicazione su supporto cartaceo o altro supporto durevole<br />

ovvero, qualora ciò non sia possibile, immediatamente dopo la sospensione<br />

( 72 ). Contrariamente a quanto disposto in tema di ius poenitendi,<br />

sia che il recesso venga esercitato dal consumatore sia che esso provenga dal<br />

creditore il TUB nulla dice circa i conseguenti obblighi restitutori. Né è previsto<br />

alcun termine entro cui il capitale debba essere rimborsato ( 73 ).<br />

È inoltre attribuito al consumatore – e in questo caso non si tratta di una<br />

novità – il diritto di adempiere in via anticipata. Ciò consente di non attendere<br />

il normale decorso del finanziamento e di restituire ante tempus ( 74 ) la<br />

( 72 ) In caso di recesso per giusta causa tipizzato dalle parti del rapporto, la buona fede nell’esecuzione<br />

del contratto richiede comunque di accertare non solo la effettiva sussistenza<br />

dell’ipotesi contemplata quale giusta causa di recesso ad nutum ma anche che il recesso non<br />

sia avvenuto con modalità improvvise ed arbitrarie, tali da contrastare una ragionevole aspettativa<br />

fondata sul comportamento precedente tenuto dalla banca o sulle relazioni usualmente<br />

intrattenute con la medesima (cfr. Cass., 14 luglio 2000, n. 9321, in Corr. giur., 2000, p. 1479,<br />

con nota di Di Majo). Se i motivi oggettivamente giustificati che consentono la sospensione<br />

del rapporto di provvista sono connessi all’inadempimento o alla comprovata insolvenza del<br />

creditore, la sospensione del rapporto prevista dalla norma sembra potersi ricollegare, nel primo<br />

caso, alla più generale eccezione d’inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. e, nel secondo,<br />

alla sospensione dell’esecuzione prevista dall’art. 1461 c.c. per il caso in cui le prestazioni dell’altro<br />

contraente siano divenute tali da porre a rischio il conseguimento della controprestazione.<br />

( 73 ) Nel caso in cui il consumatore adducesse una giusta causa di recesso, ci si è chiesti se<br />

non fosse opportuno riconoscere in favore di tale soggetto il beneficio del termine per la restituzione<br />

del tantundem. Del resto per il contratto di apertura di credito bancario è previsto<br />

che a seguito del recesso venga immediatamente sospesa l’utilizzazione del credito ma si concede<br />

un termine di almeno quindici giorni per la restituzione delle somme utilizzate (cfr. art.<br />

1845 c.c.). Normalmente però il debitore decade dal beneficio del termine qualora venga a<br />

trovarsi nella condizione d’insolvenza descritta dall’art. 1186 c.c. V. anche Calvo, Recesso del<br />

creditore, mutuo di scopo e collegamento negoziale, in Aa.Vv., Il credito al consumo, cit., p. 238.<br />

( 74 ) Va ricordato che le ragioni di un’apposita norma sulla facoltà di adempimento anticipato<br />

risiedono nel fatto che, nel mutuo, il termine finale è fissato a favore di entrambe le parti<br />

(l’art. 1816 c.c. in tema di mutuo detta una presunzione di stipula del termine in favore di entrambe<br />

le parti). È infatti interesse di tutte e due i contraenti, almeno inizialmente, rispettare<br />

la scadenza del rapporto: il mutuante può così far maturare gli interessi sulla somma erogata<br />

e trarre profitto dal finanziamento mentre il mutuatario trova proprio nella dilazione temporale<br />

la ragione che l’ha indotto inizialmente a concludere il contratto dovendo reperire le<br />

somme di cui non aveva disponibilità. Con la disciplina del credito al consumo il consumato-


294 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

somma mutuata, anche parzialmente, così da ottenere una riduzione del<br />

costo totale del credito, pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per<br />

la vita residua del contratto. Rispetto al passato l’art. 125-sexies TUB affronta<br />

in modo molto più dettagliato il problema della quantificazione dell’indennizzo<br />

riconosciuto in favore del finanziatore. Esso deve risultare equo<br />

ed oggettivamente giustificato, in ragione dei costi direttamente collegati al<br />

rimborso anticipato, ma non può comunque superare l’1% dell’importo<br />

versato, se la vita residua del contratto è superiore a un anno, ovvero lo<br />

0,5%, se inferiore a un anno ( 75 ).<br />

Vengono altresì confermate le tutele per il caso di cessione a terzi dei diritti<br />

spettanti al creditore ( 76 ), che vengono estese anche all’ipotesi di cessione<br />

del contratto ( 77 ). Il consumatore deve tuttavia essere informato della<br />

re diviene invece titolare di un diritto potestativo senza il quale gli sarebbe preclusa dal finanziatore<br />

la possibilità di estinguere il prestito se non a seguito di una onerosa operazione di refinancing.<br />

L’innovazione non vale solo a rimuovere tale presunzione ma penetra nella disciplina<br />

sostanziale del negozio limitando l’autonomia privata delle parti e garantendo al debitore<br />

un vero e proprio diritto irrinunciabile e non sottoponibile a condizioni o oneri che ne<br />

possano penalizzare l’esercizio (cfr. De Nova, Disposizioni varie, in La nuova legge bancaria, a<br />

cura di Ferro-Luzzi e Castaldi, Milano, 1996, cit., p. 1878).<br />

( 75 ) Inoltre l’indennizzo non può mai superare l’importo degli interessi che il consumatore<br />

avrebbe pagato per la vita residua del contratto e non è dovuto: a) se il rimborso anticipato<br />

è effettuato in esecuzione di un contratto di assicurazione destinato a garantire il credito; b)<br />

se il rimborso anticipato riguarda un contratto di apertura di credito; c) se il rimborso anticipato<br />

ha luogo in un periodo in cui non si applica un tasso di interesse espresso da una percentuale<br />

specifica fissa predeterminata nel contratto; d) se l’importo rimborsato anticipatamente<br />

corrisponde all’intero debito residuo ed è pari o inferiore a €. 10.000.<br />

( 76 )L’art. 125-septies TUB dispone che « in caso di cessione del credito o del contratto di credito,<br />

il consumatore può sempre opporre al cessionario tutte le eccezioni che poteva far valere nei<br />

confronti del cedente, ivi inclusa la compensazione, anche in deroga al disposto dell’articolo 1248<br />

del codice civile ». La norma è di pacifica interpretazione nella parte in cui consente al consumatore<br />

di conservare nei confronti del cessionario le eccezioni che poteva far valere nei confronti<br />

del finanziatore così evitando che dalla cessione possa derivare un peggioramento della<br />

sua posizione. Più oscuro è invece il riferimento alla compensazione, per la quale sorge il<br />

dubbio se la deroga riguardi o meno entrambi i commi dell’art. 1248 c.c. Il rinvio al 1° comma<br />

sembra certamente opportuno in quanto il consumatore ceduto potrebbe non sapere che, in<br />

mancanza di una sua espressa riserva di far valere la compensazione, la relativa eccezione non<br />

potrebbe essere utilmente sollevata.<br />

( 77 ) In passato è stato sostenuto che la cessione del contratto avrebbe conseguenze meno<br />

pregiudizievoli per il consumatore dato che essa postula, ex art. 1406 c.c., il necessario consenso<br />

del ceduto e la perdurante esigibilità delle prestazioni corrispettive, così Taglienti, Cessione<br />

del credito e tutela del consumatore, in La disciplina comunitaria del credito al consumo, a cura<br />

di Capriglione, Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’<strong>Italia</strong>, XV, Roma, 1987, p. 141 ss. È<br />

vero tuttavia che i finanziatori sono soliti inserire unilateralmente nelle condizioni di contrat-


SAGGI 295<br />

cessione ( 78 ), a meno che il cedente, in accordo con il cessionario, continui a<br />

gestire il credito nei confronti del consumatore.<br />

Alla vexata quaestio dei contratti di credito collegati alla fornitura del<br />

bene o servizio ( 79 ) l’art. 125-quinquies TUB riconduce diverse conseguenze,<br />

di modo che gli eventi del contratto di fornitura si possano ripercuotere<br />

anche sul rapporto di credito. In particolare, in caso di inadempimento di<br />

non scarsa importanza da parte del fornitore dei beni o dei servizi, il consu-<br />

to una preventiva autorizzazione alla cessione del contratto o dei diritti da esso nascenti. Va<br />

in ogni caso precisato che la norma di cui all’art. 33, comma 2, lett. s), c. cons., ritiene sino prova<br />

contraria vessatorie, e quindi invalide, quelle clausole che consentono al professionista «di<br />

sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti dal contratto, anche nel caso di preventivo consenso<br />

del consumatore, qualora risulti diminuita la tutela dei diritti di quest’ultimo ». La dottrina sul<br />

punto sottolinea che non rientrano nell’ambito applicativo di tale norma le clausole che prevedono<br />

il consenso alla cessione della posizione contrattuale attiva di cui gode il professionista<br />

dopo aver eseguito la prestazione da lui dovuta; così si esprime Gatt, Commento all’art.<br />

1469-bis, 3° comma, n. 17, in Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, a cura di Alpa<br />

e Patti, Milano, 1997, p. 422; nello stesso senso, G. De Cristofaro, Il consenso del consumatore<br />

alla cessione del contratto, in Riv. dir. civ., 1998, II, p. 597.<br />

( 78 ) Ciò non rappresenta una novità per il nostro ordinamento, considerato che, ai sensi<br />

dell’art. 1264 c.c., l’efficacia della cessione del credito nei confronti del debitore ceduto è, infatti,<br />

subordinata alla sua accettazione o all’intervenuta notifica della cessione.<br />

( 79 ) Per “contratto di credito collegato” l’art. 121, lett. d), TUB intende un contratto « finalizzato<br />

esclusivamente a finanziare la fornitura di un bene o la prestazione di un servizio specifici<br />

se ricorre almeno una delle seguenti condizioni: 1) il finanziatore si avvale del fornitore del bene o<br />

del prestatore del servizio per promuovere o concludere il contratto di credito; 2) il bene o il servizio<br />

specifici sono esplicitamente individuati nel contratto di credito ». Diverse critiche sono state<br />

mosse alla corrispondete norma della direttiva 08/48/CE prima (cfr. Carriero, Nuova disciplina<br />

comunitaria del credito al consumo: linee d’indirizzo, questioni irrisolte, problemi applicativi,inRiv.<br />

dir. civ., 2009, p. 518) e alla definizione appena riprodotta poi. « Sembra infatti inevitabile<br />

ritenere che non possa (più) invocarsi la disciplina del collegamento con riferimento all’impiego<br />

in funzione di consumo degli affidamenti che si innestano in contratti di apertura di credito:<br />

difetterebbe infatti il requisito della esclusività della causa contrattuale, ora invece rilevante in<br />

quanto si richiede che il credito sia correlato in modo esclusivo al finanziamento dell’operazione<br />

di consumo. Si neutralizzerebbero, così, gli apprezzabili sforzi della giurisprudenza comunitaria,<br />

che erano invece nel senso di estendere anche a queste fattispecie la disciplina ricavabile da certe<br />

norme comunitarie »: così Nigro, Collegamento contrattuale legale e volontario, con particolare<br />

riferimento alla (vecchia e nuova) disciplina del credito ai consumatori, in Giur. it., 2011, p. 81.<br />

Senza dubbio la definizione non è apprezzabile, resta oscura sotto diversi profili e si presterà<br />

ad interpretazione “particolari”. Deve tuttavia essere ricordato che l’apertura di credito sottoposta<br />

all’esame della richiamata giurisprudenza comunitaria (che aveva appunto riconosciuto<br />

la sussistenza del collegamento contrattuale anche per tale tipologia negoziale) non conteneva<br />

un’esplicita menzione del bene finanziato, ma che comunque conteneva un esplicito riferimento<br />

alla denominazione del fornitore e alla finalità del finanziamento.


296 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

matore, dopo aver inutilmente costituito in mora il fornitore stesso ( 80 ), può<br />

chiedere la risoluzione – anche – del contratto di credito. In tal caso il finanziatore<br />

è obbligato a rimborsare al consumatore le rate già pagate nonché<br />

ogni altro onere eventualmente applicato. Inoltre, nel caso in cui l’importo<br />

oggetto del finanziamento sia stato già versato al fornitore dei beni o dei servizi,<br />

il finanziatore potrà recuperarlo solamente nei confronti di quest’ultimo<br />

soggetto, e non anche del consumatore.<br />

Pur confermando un regime di responsabilità di tipo sussidiario, e non<br />

solidale ( 81 ), va favorevolmente segnalata l’eliminazione del discusso requisito<br />

dell’accordo di esclusiva tra finanziatore e fornitore ( 82 ), sostituito dalla<br />

( 80 ) Si tratta, infatti, di un atto di natura stragiudiziale che non implica un sacrificio e<br />

un’attesa paragonabile a quella dell’escussione del patrimonio del debitore, previsto dall’art.<br />

1944, comma 2, c.c. Il che ha portato alcuni a descrivere la previsione secondo l’immagine di<br />

una “solidarietà temperata dall’onere di preventiva messa in mora del finanziatore”; così Zeno-Zencovich,<br />

Il diritto europeo dei contratti (verso la distinzione tra « contratti commerciali » e<br />

« contratti dei consumatori »), in Giur. it., 1992, c. 68 e Masucci, Commento all’art. 125, d.lgs. 1°<br />

settembre 1993, n. 385, in Nuove leggi civ., Padova, 1994, p. 871. Nella versione in lingua italiana<br />

la direttiva 08/48/CE richiede che il consumatore abbia preventivamente “agito” nei confronti<br />

del fornitore. Ci si è interrogati se tale espressione rendesse necessaria l’instaurazione<br />

di un procedimento giudiziale o se potesse essere conservata la più agevole costituzione in<br />

mora di cui già al previgente art. 42 c.cons. Il dubbio sorto in sede di recepimento sembra superabile<br />

esaminando il testo in lingua inglese della direttiva, che non presenta differenze sul<br />

punto rispetto al passato. Pertanto, e legittimamente, il legislatore italiano ha mantenuto il<br />

precedente requisito della semplice preventiva messa in mora.<br />

( 81 ) In ogni caso, la direttiva ha fatto salve le norme nazionali che prevedono un regime di<br />

responsabilità di tipo solidale, rendendo così difficile il raggiungimento di una disciplina armonizzata<br />

a livello europeo; cfr. G. De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria del credito<br />

al consumo: la direttiva 2008/48/CE e l’armonizzazione “completa” delledisposizioni nazionali<br />

concernenti “taluni aspetti” dei “contratti di credito ai consumatori”, cit., p. 295.<br />

( 82 ) Su cui, giustamente, si erano concentrate maggiormente le critiche della dottrina in<br />

quanto facilmente eludibile da parte finanziatore, che semplicemente doveva avere l’accortezza<br />

di non inserirlo nel rapporto di convenzione con il fornitore e, comunque, difficilmente<br />

dimostrabile da parte del consumatore; così Carriero, Trasparenza bancaria, credito al<br />

consumo e tutela del contraente debole, in Foro it., 1992, V, c. 359 e Caccavale, Commento agli<br />

artt. 40-43, in Commentario al Codice del consumo, a cura di Alpa e Rossi Carleo, cit., p. 312.<br />

Peraltro la valenza di tale limite operativo era già stata messa in crisi dalla Corte di giustizia<br />

europea che aveva precisato, nel caso 509/07, che l’art. 11 della direttiva 87/102/CEE deve essere<br />

interpretato nel senso che l’esistenza di un accordo tra il creditore e il fornitore non poteva<br />

costituire un presupposto necessario del diritto del consumatore di procedere contro il<br />

creditore in caso di inadempimento del fornitore; per un commento a tale pronuncia si v. Macario,<br />

Inadempimento del fornitore e tutela del debitore nel credito al consumo, in Contratti,<br />

2009, p. 653 ss. e Palmieri, In tema di credito al consumo, nota a CGCE, sez. I, 23 aprile 2009<br />

(causa C-509/07), in Foro it., 2009, cc. 377-378.


SAGGI 297<br />

necessaria sussistenza dei presupposti previsti per qualificare il contratto<br />

come “collegato”. Resta tuttavia poco chiaro il riferimento all’istituto della<br />

risoluzione, non essendo esplicitato se essa implichi solamente la possibilità<br />

di sciogliere il contratto di credito ovvero se consenta anche di ottenere<br />

dal finanziatore il risarcimento del danno subito a causa dell’inadempimento<br />

del fornitore. La seconda soluzione sembra da privilegiare, in quanto<br />

maggiormente rispondente alle finalità della disciplina di tutela e anche perché<br />

nel vigore della previgente normativa l’azione del consumatore era stata<br />

qualificata come risarcitoria ( 83 ), con una responsabilità del finanziatore<br />

limitata all’importo del credito concesso. Nulla è detto in ordine ai rimedi<br />

diversi dalla risoluzione. Se appare difficile poter esigere nei confronti del<br />

finanziatore l’esecuzione in forma specifica o il ripristino della conformità<br />

del bene o del servizio finanziato, sembra tuttavia plausibile che al consumatore<br />

possa essere riconosciuta una riduzione del credito residuo corrispondente<br />

alla riduzione del prezzo ottenuta con l’azione estimatoria; inoltre,<br />

nel caso in cui gli fosse intimato il pagamento delle rate del finanziamento<br />

collegato al contratto di fornitura rimasto inadempiuto, egli potrà<br />

certamente sollevare in via d’eccezione ex art. 1460 c.c. nei confronti del finanziatore<br />

l’inadempimento del fornitore ( 84 ).<br />

La direttiva 08/48/CE ha altresì previsto che, qualora il consumatore si<br />

avvalga del diritto di recesso riconosciutogli dal diritto comunitario ( 85 ) con<br />

riguardo a un contratto per la fornitura di merci o la prestazione di servizi,<br />

lo scioglimento del vincolo si estende anche all’eventuale contratto di cre-<br />

( 83 ) Così Morgante, Commento all’art. 125 del TUB, in Codice del Consumo e norme collegate,<br />

a cura di Cuffaro, Milano, 2008, p. 815.<br />

( 84 ) Proprio tale ultima forma di tutela “privata” sembra maggiormente garantire gli interessi<br />

del consumatore, soprattutto se si tiene in considerazione il fatto che la responsabilità<br />

sussidiaria del finanziatore è funzionale, più che ad ampliare la schiera dei soggetti chiamati a<br />

rispondere dell’inadempimento del contratto di compravendita, a paralizzare l’obbligazione<br />

restitutoria della somma presa in prestito.<br />

( 85 ) Nonostante il riferimento sia espresso in via generale, esso va riferito alla direttiva<br />

85/577/CEE sui contratti conclusi fuori dai locali commerciali, visto che analoghe disposizioni<br />

erano già presenti nella direttiva 97/7/CE sui contratti stipulati a distanza, in quella<br />

94/47/CE relativa all’acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale e in quella<br />

2002/65/CE sulla commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori. Come<br />

giustamente evidenziato non rientra nell’ipotesi in esame la risoluzione del contratto prevista<br />

dall’art. 3 della direttiva 99/44/CE in caso di difetto di conformità del bene venduto che viene<br />

dalla stessa direttiva qualificato con termini inequivocabilmente diversi; cfr. G. De Cristofaro,<br />

La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: la direttiva 2008/48/CE e l’armonizzazione<br />

“completa” delle disposizioni nazionali concernenti “taluni aspetti” dei “contratti di<br />

credito ai consumatori”, cit., p. 293.


298 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

dito collegato; non prevede invece l’ipotesi speculare, ossia quella degli effetti<br />

del recesso dal contratto di credito sul contratto d’acquisto del bene o<br />

servizio ( 86 ). Tale prescrizione non risulta recepita nel TUB, ma occorre evidenziare<br />

che l’art. 67, comma 6, c.cons. già prevedeva la risoluzione di diritto<br />

del contratto di credito accessorio a quello per il quale viene esercitato il<br />

diritto di ripensamento previsto per i contratti negoziati fuori dai locali<br />

commerciali o per quelli conclusi “a distanza”. Analogamente l’art. 77<br />

c.cons. dispone la risoluzione di diritto del contratto di credito per il pagamento<br />

del prezzo del contratto di multiproprietà nel caso in cui venga esercitato<br />

il diritto di recesso ai sensi dell’art. 73 c.cons. ( 87 ). In caso di contratti<br />

di credito collegati, l’esercizio del diritto di recesso importerà quindi l’estinzione,<br />

di diritto e senza alcuna penalità, (anche) del vincolo nei confronti del<br />

finanziatore.<br />

4. – Preso atto delle problematiche che l’attuazione della direttiva<br />

08/48/CE ha sollevato, devono svolgersi alcune considerazioni conclusive,<br />

al fine di offrire ulteriori spunti d’indagine anche nell’ottica dei profili di carattere<br />

generale che essa ha lasciato irrisolti.<br />

In particolare, uno degli aspetti non toccati – o quantomeno solo parzialmente<br />

affrontati dal legislatore comunitario così come da quello na-<br />

( 86 ) La ragione deve presumibilmente ravvisarsi nel fatto che l’interesse a concludere l’operazione<br />

al consumo « sottostante » potrebbe sussistere pur in assenza di un’agevolazione finanziaria.<br />

( 87 ) Sul punto va osservato che la disciplina sul credito al consumo non trova applicazione<br />

nel caso di contratti finalizzati all’acquisto o alla conservazione di diritti di proprietà su un<br />

terreno o un immobile costruito o progettato, fattispecie che non sembra coincidente con<br />

l’acquisto di un diritto di godimento ripartito di beni immobili a meno di non voler seguire<br />

quelle ricostruzioni dell’istituto della multiproprietà come forma di comunione (cfr. G. Santoro<br />

Passarelli, Multiproprietà e comproprietà, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1984, p. 23) o di<br />

proprietà temporanea (Calò e Corda, La multiproprietà, Roma, 1984, p. 153). Sul punto si segnala<br />

la decisione del Tribunale di Bergamo, sez. dist. di Treviglio, che, nell’accertare la nullità<br />

di un contratto di finanziamento con il quale era stata acquistata una multiproprietà, con<br />

ordinanza del 13 aprile 2008 ha evidentemente ritenuto applicabile la normativa in materia di<br />

credito al consumo (la nullità è stata infatti rilevata ex art. 124, comma 3, del TUB perché «il<br />

contratto in questione non sembra rispettare il requisito della descrizione analitica dei beni il cui<br />

acquisto viene finanziato, mancando l’indicazione sia del periodo di tempo durante il quale la<br />

multiproprietà è utilizzabile, sia il luogo di ubicazione della stessa»). Peraltro, pur in assenza di<br />

una norma di carattere generale che disciplini la sorte del contratto accessorio rispetto alle vicende<br />

di quello principale, vi è chi ha ritenuto ricavabile un principio interpretativo globale<br />

dall’art. 34, comma 1, c. cons.; così Lener, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti<br />

dei consumatori, in Foro it., 1996, c. 145 ss.


SAGGI 299<br />

zionale – è il rischio dell’eccessivo ricorso al credito da parte del consumatore.<br />

Il fenomeno, già all’attenzione di studiosi e delle istituzioni, è divenuto<br />

sempre più centrale a seguito della recente crisi finanziaria ed economica,<br />

che ha messo alla luce tutte le debolezze del sistema bancario e le<br />

difficoltà di rimborso per i consumatori. Con Parere del 2006 il Comitato<br />

economico e sociale europeo aveva già suggerito di inserire la questione<br />

del sovraindebitamento ( 88 ) delle famiglie nel programma d’azione comunitaria<br />

in materia di salute e tutela dei consumatori. E qualche anno prima<br />

lo stesso Comitato aveva formulato un Parere sul tema del “sovraindebitamento<br />

delle famiglie” che, tra le altre cose, raccomandava alla Commissione<br />

di « prestare una particolare attenzione agli effetti che l’adozione di misure<br />

in vari settori delle politiche comunitarie, fra cui il credito al consumo e il<br />

credito ipotecario, poteva avere sul nascere o sull’aggravarsi del sovra indebitamento<br />

delle famiglie ».<br />

La mancanza di una disciplina sul punto da parte del legislatore comunitario<br />

si ripercuote in modo particolare sul nostro ordinamento il quale,<br />

contrariamente ad altri Stati europei, manca ad oggi di una nozione giuridica<br />

di sovraindebitamento e di apposite tutele per prevenirlo ed eventualmente<br />

risolverlo ( 89 ). A questa lacuna si può alquanto parzialmente rime-<br />

( 88 ) In linea generale, si può convenire nel senso che il termine identifica ogni situazione<br />

di indebitamento insostenibile rispetto al livello del reddito corrente del debitore-consumatore.<br />

Il fenomeno è quindi per sua natura associato ad un eccessivo ricorso al credito al consumo<br />

poiché in questa tecnica di finanziamento viene individuata la causa pressoché esclusiva<br />

della sovraesposizione debitoria delle famiglie. In realtà, le cause del sovraindebitamento<br />

possono essere diverse e ulteriori, sia perché tale patologia riguarda anche finanziamenti concessi<br />

in settori differenti, qual è quello dei mutui per la casa, sia perché esso risulta alimentato<br />

non solo da un’elevata propensione al consumo e all’indebitamento da parte dei consumatori,<br />

ma anche dal verificarsi di situazioni indipendenti dalla volontà dell’individuo o di fattori<br />

congiunturali imprevedibili. L’impossibilità di sostenere il peso dei debiti precedentemente<br />

assunti infatti può essere causata da eccezionali quanto frequenti vicende della vita, come<br />

il licenziamento, il sopraggiungere di situazioni di malattia o di invalidità, la separazione coniugale.<br />

( 89 ) Va dato atto che è oggi in discussione in Parlamento un disegno di legge (A.C. 2364)<br />

che, tra le altre cose, introduce una nuova tipologia di concordato per comporre le crisi di liquidità<br />

di famiglie o imprese, alle quali non si applicano le ordinarie procedure concorsuali.<br />

Più in dettaglio, la proposta di legge prevede la possibilità di un accordo con i creditori, su proposta<br />

del debitore, sulla base di un piano di ristrutturazione dei debiti che assicuri il regolare<br />

pagamento dei creditori estranei. Rispetto a questi ultimi, il piano può anche prevedere una<br />

moratoria dei pagamenti (con esclusione dei crediti impignorabili) sempre che il piano risulti<br />

idoneo ad assicurare il pagamento alla scadenza del nuovo termine e l’esecuzione del piano<br />

venga affidata ad un liquidatore nominato dal giudice. Viene definito il procedimento finalizzato<br />

all’omologazione da parte del giudice dell’accordo, che presuppone l’accettazione da


300 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

diare cercando di prevenire l’insorgenza della crisi debba mediante una<br />

migliore informazione ed educazione dei consumatori circa i rischi connessi<br />

alle operazioni di credito al consumo e con una più attenta erogazione<br />

delle somme da parte dei finanziatori (c.d. sovraindebitamento attivo).<br />

Allo stesso tempo, tuttavia, appare imprescindibile la previsione e l’adozione<br />

di cautele utili e necessarie a scongiurare che il verificarsi di situazioni<br />

non preventivabili e indipendenti dalla volontà del debitore e del creditore<br />

possa mettere in crisi il patrimonio del debitore (c.d. sovraindebitamento<br />

passivo).<br />

Accanto a rimedi di natura preventiva andrebbero inoltre predisposti rimedi<br />

e modalità di gestione della situazione di indebitamento laddove divenuta,<br />

nonostante le predette cautele, insostenibile. Auspicabile quindi<br />

sarebbe l’introduzione anche nel nostro ordinamento di un procedimento<br />

di esdebitazione civile idoneo a garantire il risanamento della posizione<br />

economica del debitore, attraverso la cancellazione dei suoi debiti. La limitazione<br />

della responsabilità patrimoniale ai beni di cui il consumatore è titolare<br />

al momento della procedura, infatti, fa sì che il debitore possa, all’esito<br />

della stessa, riprendere un ruolo economico attivo. Il principio a cui si<br />

ispira una disciplina di questo tipo in tema di insolvenza delle persone fisiche<br />

– che si concilia con i meccanismi di c.d. fresh start introdotti in altri paesi<br />

– appare dunque finalizzato a garantire, quale risultato finale, la liberazione<br />

del debitore stesso, malgrado il mancato o parziale soddisfacimento dei<br />

creditori.<br />

La procedura di esdebitazione porterebbe quindi alla introduzione di<br />

un marcato favor debitoris nel sistema della responsabilità patrimoniale delineato<br />

dal nostro ordinamento. Non va tuttavia taciuta la circostanza che<br />

tale meccanismo favorisce e favorirebbe anche gli stessi istituti finanziari in<br />

quanto, a fronte della perdita sopportata, essi non vengono privati di quei<br />

clienti che altrimenti resterebbero definitivamente estromessi dal mercato<br />

del credito. Grazie all’introduzione di una simile procedura, l’esigenza del<br />

buon funzionamento del mercato interno verrebbe quindi a conciliarsi con<br />

ragioni di solidarietà sociale e di tutela dei consumatori.<br />

parte dei creditori che rappresentino almeno il 70% dei crediti e prevede il coinvolgimento<br />

degli « organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento ». Questi ultimi, costituiti<br />

ad hoc da enti pubblici e iscritti in apposito registro, svolgono in generale attività di assistenza<br />

al debitore finalizzate al superamento della crisi di liquidità, di soluzione delle eventuali<br />

difficoltà insorte nell’esecuzione dell’accordo e di vigilanza sull’esatto adempimento<br />

dello stesso.


GIOVANNI GARGIULO<br />

Il passaggio dal marchio celebre al marchio<br />

che gode di rinomanza, attraverso il riconoscimento legislativo<br />

della forza comunicativa e suggestiva del segno<br />

Sommario: 1. Il progressivo riconoscimento delle diverse funzioni del marchio. – 2. Il marchio<br />

celebre. – 3. Le ragioni della novella del 1992. – 4. La Direttiva 89/104/CEE: prime<br />

perplessità interpretative. – 5. Il marchio che gode di rinomanza. – 6. Le due ipotesi<br />

dell’approfittamento e del pregiudizio. – 7. Il giusto motivo ed i problemi di diritto intertemporale<br />

– 8. Conclusioni.<br />

1. – La tradizionale funzione distintiva su cui era impostata la regolamentazione<br />

giuridica del marchio nella legge del 1942, è fortemente mutata<br />

in virtù della Direttiva n. 89/104/CEE ( 1 ).<br />

Invero, nel vigore della previgente disciplina normativa (segnatamente:<br />

art. 2569 c.c., artt. 16, 19 e 47 bis l.m.), il marchio era essenzialmente<br />

inteso come strumento di differenziazione dei prodotti e dei servizi:<br />

il pubblico doveva poter contare sul fatto che un bene contrassegnato<br />

da un determinato marchio proveniva da un nucleo produttivo<br />

certo e costante nel tempo ( 2 ). Veniva, pertanto, normativamente esclu-<br />

( 1 ) Direttiva del Consiglio delle Comunità europee del 21 dicembre 1988, “Ravvicinamento<br />

delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d’<strong>impresa</strong>”, in G.U.C.E., L 040,<br />

dell’11 febbraio 1989, recepita nel nostro ordinamento dal d.lgs. 4 dicembre 1992, n. 480.<br />

( 2 ) Vanzetti, Cessione del marchio, in Riv. dir. comm., 1959, I, p. 410; Id., Funzione e natura<br />

giuridica del marchio, ivi, 1961, I, p. 16 ss.; Id., Natura e funzioni giuridiche del marchio, in Problemi<br />

attuali del diritto industriale, Milano, 1977, p. 1161 ss.; Id., voce Marchio (Dir. commerciale),<br />

in Enc. giur., Roma, 1990, p. 2. Nello stesso senso: Aghina, L’utilizzazione atipica del marchio<br />

altrui, Milano, 1971, p. 33 ss.; Ammendola, Licenza di marchio e tutela dell’avviamento,<br />

Padova, 1984, p. 242 ss.; Auteri, Territorialità del diritto di marchio e circolazione di prodotti<br />

originali, Milano, 1973, p. 41 ss.; Di Cataldo, I segni distintivi, Milano, 1985, p. 22; Leonini,<br />

Marchi famosi e marchi evocativi, Milano, 1991, p. 29 ss.; Mangini, Il marchio e gli altri segni distintivi,<br />

in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. econ. diretto da Galgano, vol. 5, Padova, 1982, p. 72 ss.<br />

In giurisprudenza: Cass., 24 ottobre 1983, n. 6244, in Foro it., 1984, I, c. 123; Trib. Torino, 24 ottobre<br />

1984, in Giur. ann. dir. ind., 1984, 1802, p. 694; Trib. Milano, 26 gennaio 1984, ivi, 1984,<br />

1744, p. 270; Trib. Milano, 26 settembre 1977, ivi, 1984, 964, p. 270; Trib. Catania, 25 gennaio<br />

1977, ivi, 1977, 917, p. 221; Trib. Milano, 30 maggio 1974, in Riv. dir. ind., 1983, II, p. 223; Trib.<br />

Busto Arsizio, 17 luglio 1972, in Giur. ann. dir. ind., 1972, 163, p. 1112. In senso contrario: Franceschelli,<br />

Sui marchi d’<strong>impresa</strong>, Milano, 1988, p. 232, secondo cui il marchio assolverebbe


302 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

sa la possibilità di cessione del marchio senza una contestuale alienazione<br />

dell’azienda titolare del relativo diritto di privativa industriale.<br />

In tale contesto, dunque, il marchio veniva protetto non perchè aveva<br />

un valore in sé, come l’opera dell’ingegno o l’invenzione industriale,<br />

ma solo in quanto l’uso altrui ne pregiudicasse la funzione distintiva.<br />

Ritenendo, quindi, che la funzione di indicazione di origine fosse<br />

l’unica a godere di specifica protezione nel nostro ordinamento ( 3 ), si finiva<br />

col negare valore di autonomia alle ulteriori e diverse funzioni del<br />

marchio ( 4 ). Solo attraverso il ricorso al concetto di marchio celebre si<br />

perveniva a risultati interpretativi alquanto diversi.<br />

2. – Il riconoscimento, accanto alla funzione distintiva, di una particolare<br />

forza suggestiva ( 5 ) in alcuni marchi dotati di rilevante notorietà<br />

( 6 )che, imprimendosi nella memoria dei consumatori, assumevano<br />

uno specifico valore di avviamento, fungendo da vero e proprio collettore<br />

di clientela ( 7 ), costituiva il fondamento teorico di una nuova categoria<br />

di marchi, nota come “marchi dei creatori del gusto e della moda”<br />

(o anche “marchi prestigiosi o marchi di prodotti di prestigio”) ( 8 ).<br />

essenzialmente una funzione di garanzia qualitativa. Analogamente: Guglielmetti, Il marchio<br />

– Oggetto e contenuto, Milano, 1968, p. 8 ss.; Cionti, La funzione del marchio, Milano,<br />

1988; Sena, Brevi note sulla funzione del marchio, in Riv. dir. ind., 1990, I, p. 5 ss.<br />

( 3 ) Cass., 15 maggio 1997, n. 4295, in Giur. ann. dir. ind., 1997, 3570, p. 42; App. Bologna, 20<br />

maggio 1995, ivi, 1996, 3419, p. 304.<br />

( 4 ) Con riguardo alla funzione pubblicitaria: Trib. Roma, 6 luglio 1981, in Giur. ann. dir.<br />

ind., 1981, 1423, p. 489; Trib. Milano, 24 ottobre 1963, in Temi, 1964, p. 264; App. Genova, 27<br />

gennaio 1960, in Rass. prop. int. lett. art., 1960, p. 162; Trib. Milano, 5 aprile 1957, ivi, 1958, p.<br />

179. Con riguardo alla funzione di garanzia: Trib. Milano, 24 aprile 1980, in Giur. ann. dir. ind.,<br />

1981, 1386, p. 220; Trib. Milano, 5 ottobre 1978, in Foro pad., 1978, I, p. 323.<br />

( 5 ) Casanova, Impresa e azienda, in Tratt. dir. civ. diretto da Vassalli, Torino, 1974; Franceschelli,<br />

Sui marchi d’<strong>impresa</strong>, cit., p. 87. Si veda anche: Auteri, Lo sfruttamento del valore<br />

suggestivo dei marchi d’<strong>impresa</strong> mediante merchandising, in <strong>Contratto</strong> e Impresa, 1989, p. 510<br />

ss.; Sandri, Funzione del marchio ed uso pubblicitario: un rapporto da approfondire, nota a<br />

Cass. 29 luglio 1987, n. 6547, in Giust. civ.¸ 1988, I, p. 120.<br />

( 6 )Sui marchi “creatori del gusto e della moda”: Guglielmetti, Il marchio celebre o “de<br />

haute renommée”, Milano, 1977, p. 288; Di Cataldo, I segni distintivi, cit., p. 115 ss.; Leonini,<br />

Marchi famosi e marchi evocativi, cit., p. 207 ss.<br />

( 7 ) Di Cataldo, I segni distintivi, cit., p. 25 ss.; Vanzetti e Di Cataldo, Manuale di diritto<br />

industriale, Milano, 1993, p. 131. Di marchio come collettore di clientela ha inizialmente<br />

parlato Ghiron, Sulla funzione del marchio, in Riv. dir. priv., 1937, I, pp. 279-281; Id., Corso di<br />

diritto industriale, vol. II, Roma, 1937. In giurisprudenza, ex amplius: Trib. Milano, 13 settembre<br />

1990, Giur. it., 1991, I, 2, c. 168.<br />

( 8 )Trib. Milano, 14 aprile 1986, in Giur. ann. dir. ind., 1986, 2033, p. 452; Trib. Roma, 26


SAGGI 303<br />

La giurisprudenza, al fine di tutelare il marchio celebre, in assenza di<br />

dati testuali decisivi (in effetti, la regolamentazione normativa del marchio<br />

era essenzialmente fondata sul principio di specialità, senza alcun<br />

specifico riconoscimento di una particolare protezione per i marchi dotati<br />

di notorietà) ( 9 ), aveva cercato di allargare il concetto di affinità,<br />

estendendolo ad ipotesi di prodotti merceologicamente distinti, quando<br />

la celebrità del marchio avrebbe comunque potuto far pensare ai consumatori<br />

che si trattasse di prodotti o servizi provenienti dalla medesima<br />

<strong>impresa</strong>.<br />

L’acquisizione di notorietà da parte del marchio in un particolare settore<br />

non implicava, tuttavia, che quest’ultimo potesse ambire ad una tutela<br />

assoluta, estesa indifferentemente a qualsivoglia settore merceologico.<br />

Per individuare in concreto l’ambito entro il quale poteva essere riconosciuta<br />

specifica tutela giuridica ad un marchio celebre, impedendo<br />

in tal guisa che qualsiasi altro imprenditore potesse iniziare ad usare il<br />

medesimo segno per contraddistinguere prodotti non merceologicamente<br />

affini, risultava necessario valutare le dinamiche di mercato e le<br />

tendenze espansive dell’<strong>impresa</strong> ( 10 ).<br />

La giurisprudenza riteneva che il rischio di confusione, nel quale poteva<br />

essere indotto il consumatore – che attribuiva al titolare del marchio<br />

celebre la realizzazione di prodotti o servizi in realtà posti in essere<br />

da altri ovvero che riteneva, falsamente, l’esistenza di legami giuridici o<br />

economici tra i due produttori – divenisse concreto esclusivamente nell’ipotesi<br />

in cui fosse oggettivamente giustificata l’aspettativa da parte di<br />

quest’ultimo dell’immissione in commercio, per volontà del titolare del<br />

marchio celebre, di nuovi ed ulteriori prodotti, anche merceologicafebbraio<br />

1982, ivi, 1982, 1528, p. 381; Trib. Milano, 6 novembre 1978, in Riv. dir. ind., 1983, II, p.<br />

234; Trib. Milano, 30 maggio 1974, cit., p. 223.<br />

( 9 ) Franceschelli, Il marchio dei creatori del gusto e della moda, in <strong>Contratto</strong> e Impresa,<br />

1988, p. 780, osserva che “per costruire una tale categoria di marchi (ndr marchi dei creatori del<br />

gusto e della moda) bisogna abbandonare il principio di specialità che per l’esistenza stessa del<br />

marchio è essenziale, quello di affinità dei prodotti che è essenziale limite alla loro efficacia; rifiutare<br />

un insegnamento giurisprudenziale consolidato che condiziona all’intrinseca natura dei prodotti,<br />

alla destinazione alla medesima clientela, alla soddisfazione dei medesimi bisogni l’esistenza<br />

di tale concetto; respingere il concetto stesso di marchio e di concorrenza”.<br />

( 10 ) Cartella, Marchi celebri e comportamenti di mercato, in Riv. dir. ind., 1983, II, p. 308<br />

ss. In giurisprudenza: App. Milano, 14 ottobre 1994, in Giur. ann. dir. ind., 1995, 3258, p. 599,<br />

in cui si evidenziava come fosse andata consolidandosi nel mercato del tabacco la tendenza<br />

ad associare “i più noti marchi di sigarette con prodotti di altro genere”.


304 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

mente distanti da quello originariamente identificato dal marchio celebre<br />

( 11 ).<br />

In particolare, riprendendo la riflessione di una nota giurisprudenza<br />

( 12 ), mentre da un lato si tendeva ad escludere la sussistenza di un rischio<br />

di associazione per il consumatore, quando quest’ultimo era<br />

messo nelle condizioni di constatare l’esistenza di una rilevante distanza<br />

merceologica tra i differenti prodotti contrassegnati da marchi<br />

identici o simili; dall’altro lato, si riteneva che il fenomeno dell’associazione<br />

generalizzata, inteso come processo per cui l’apprezzamento<br />

del prodotto si traduce in apprezzamento del marchio e da questo si<br />

trasferisce a tutti i prodotti contrassegnati da quel marchio, non avesse<br />

luogo quando il marchio veniva costantemente usato per contrassegnare<br />

un prodotto solo, ben distinto, e quel prodotto risultava il solo<br />

fabbricato dall’<strong>impresa</strong> titolare di quel marchio (c.d. <strong>impresa</strong> mono–produttiva).<br />

Le argomentazioni innanzi esposte davano modo alla menzionata<br />

giurisprudenza di disquisire in ordine alle due diverse correnti di pensiero<br />

sviluppatesi sul tema: quella che faceva leva sui marchi pluriutilizzati<br />

(molti prodotti, anche diversi tra loro, fabbricati dalla stessa <strong>impresa</strong><br />

e tutti portanti lo stesso marchio) e quella che faceva leva sulla celebrità<br />

del marchio.<br />

A tal uopo, si osservava che quando il marchio era da sempre associato<br />

ad un unico prodotto, la celebrità (intesa come apprezzamento positivo<br />

da parte del pubblico) ineriva al prodotto in sé, non al marchio;<br />

quest’ultimo, quindi, non aveva di per sé alcun valore, salvo quello proprio<br />

del segno distintivo ( 13 ). Viceversa, quando il marchio era usato per<br />

contraddistinguere prodotti diversi, poteva accadere che, per il fenomeno<br />

dell’associazione, fosse ormai il marchio in sé ad avere capacità at-<br />

( 11 ) Cass., 24 marzo 1983, n. 2060, in Giur. it., 1983, I, 1, c. 1081; Trib. Milano, 18 aprile 1983,<br />

in Riv. dir. ind., 1983, II, p. 329.<br />

( 12 ) Cass., 21 ottobre 1988, n. 5716, in Foro it., 1989, I, c. 764, con la quale si condivideva la<br />

decisione dei giudici di merito, che non avevano ravvisato una contraffazione nell’utilizzo del<br />

marchio celebre “Veuve Cliquot”, appartenente a società vinicole francesi, per contraddistinguere<br />

un bagnoschiuma.<br />

( 13 ) In tal senso: Trib. Milano, 6 aprile 1995, in Giur. ann. dir. ind., 1996, 3412, p. 251, aveva<br />

ritenuto non potesse essere qualificato come notorio “il marchio che sia stato utilizzato con costante<br />

riferimento, immutato per decenni, esclusivamente per prodotti destinati all’alimentazione”.<br />

In senso analogo: Trib. Palermo, 30 settembre 1994, ivi, 1995, 3255, p. 574, che non riconosceva<br />

celebrità al marchio di una nota casa vinicola, in quanto l’<strong>impresa</strong> veniva qualificata<br />

mono-produttiva; confermata da App. Palermo, 18 ottobre 1999, ivi, 2001, 4215, p. 132.


SAGGI 305<br />

trattiva, producendo, conseguentemente, non solo un’attrazione positiva<br />

verso tutti i prodotti che nell’istante erano contrassegnati da quel<br />

marchio, ma anche una benevola attesa verso altri prodotti, magari di<br />

genere diverso, che nel futuro fossero stati immessi sul mercato con<br />

quel marchio.<br />

In conclusione, si sosteneva che la celebrità del marchio costituiva una<br />

condizione necessaria, ma non di per sé sufficiente, al fine di giustificare<br />

un ampliamento della sfera di esclusiva anche a prodotti di genere diverso.<br />

Infatti, se da un lato era assolutamente necessario che il marchio fosse<br />

noto anche al di fuori dei consumatori del prodotto cui era originariamente<br />

collegato (altrimenti avrebbe dovuto esser esclusa ab origine la<br />

possibilità di un’associazione mentale, stante l’assenza di un apprezzamento<br />

intrinseco del marchio), occorreva, altresì, che quel marchio già<br />

distinguesse una serie di prodotti di genere diverso, od almeno una serie<br />

di prodotti distinguibili tra di loro, in modo tale che al marchio, nell’associazione<br />

mentale, corrispondesse un apprezzamento generalizzato di<br />

diffusa e costante buona qualità, che ricadeva sui singoli prodotti appartenenti<br />

alla categoria ormai apprezzata tramite l’apprezzamento del<br />

marchio.<br />

Sulla scorta dei principi innanzi enunciati, era stato riscontrato un rischio<br />

di indebite associazioni mentali da parte del consumatore tra marchi<br />

contrassegnanti: prodotti di moda e prodotti di arredamento ( 14 );<br />

gioielli e prodotti di abbigliamento ( 15 ); prodotti di abbigliamento e profumi<br />

( 16 ); liquori (e bevande in genere) e prodotti di abbigliamento ( 17 );<br />

prodotti di abbigliamento e accessori, profumi, pelletteria e piastrelle in<br />

ceramica, da un lato, e rivestimenti murari dall’altro lato ( 18 ); sigarette e<br />

prodotti di abbigliamento ( 19 ); gelati e vini ( 20 ); prodotti per l’editoria ed<br />

occhiali ( 21 ); vino ed olio ( 22 ); prodotti editoriali e prodotti di abbiglia-<br />

( 14 )Trib. Milano, 30 maggio 1974, cit.<br />

( 15 )Trib. Milano, 6 novembre 1978, cit.<br />

( 16 )Trib. Roma, 26 febbraio 1982, cit.<br />

( 17 ) App. Genova, 14 gennaio 1986, in Riv. dir. ind., 1986, II, p. 20.<br />

( 18 )Trib. Milano, 14 aprile 1986, cit.<br />

( 19 ) App. Milano, 20 maggio 1986, in Riv. dir. ind., 1987, II, p. 321 ed App. Milano, 24 febbraio<br />

1984, in Foro pad., 1985, I, p. 43.<br />

( 20 )Trib. Palermo, 30 settembre 1994, cit.<br />

( 21 ) App. Milano, 18 luglio 1995, in Giur. it., 1996, I, 1, c. 420.<br />

( 22 ) Trib. Milano, 11 aprile 1996, in Giur. ann. dir. ind., 1996, 3481, p. 758, che pur rilevando<br />

una differenza merceologica tra i due prodotti, riconosceva affinità tra gli stessi in quanto unificati<br />

“nella cultura e nell’immaginazione”.


306 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

mento e pelletteria ( 23 ); orologi e spillette ( 24 ); orologi e macchine per<br />

cucire ( 25 ).<br />

Viceversa, una tutela extramerceologica era stata esclusa in riferimento<br />

a marchi usati per contrassegnare: vini e bagnoschiuma ( 26 ); giocattoli<br />

e prodotti per l’irrigazione ( 27 ); sistemi di riduzione del rumore in<br />

fase di registrazione e di lettura delle audio cassette, da un lato, e prodotti<br />

di abbigliamento, dall’altro lato ( 28 ); automobili ed orologi ( 29 ); prodotti<br />

informatici e prodotti alimentari ( 30 ).<br />

Naturalmente, la teoria del marchio celebre non andava esente da<br />

critiche: veniva infatti osservato che l’esigenza alla quale si intendeva rispondere<br />

con la dottrina del marchio celebre, non era affatto soddisfatta<br />

dall’allargamento del concetto di affinità, giacché la richiesta di tutela<br />

del marchio andava oltre le ipotesi di concorrenza fra prodotti, essendo<br />

essenzialmente basata sulla necessità di garantire il valore attrattivo del<br />

marchio ( 31 ).<br />

I problemi ed i dubbi palesati in ordine ai marchi celebri sono stati<br />

superati grazie all’introduzione di una diversa regolamentazione normativa<br />

della materia, mediante la quale è stata riconosciuta l’interferenza<br />

fra marchi prescindendo, appunto, dall’affinità tra prodotti o<br />

servizi.<br />

( 23 ) App. Milano, 28 novembre 1997, in Giur. ann. dir. ind., 1997, 3681, p. 834, che, nel ribaltare<br />

il giudizio espresso in primo grado (Trib. Milano, 21 luglio 1994, in Dir. ind., 1995, p.<br />

637), sostanzialmente aderiva ad altra giurisprudenza di merito, secondo cui il marchio “Vogue”,<br />

essendo dotato di celebrità collegata al mondo della moda, doveva veder estesa la propria<br />

tutela in settori come quello della bigiotteria, della pelletteria e della gioielleria, fortemente<br />

dominati “dalla moda e dal gusto”. In senso analogo: Trib. Milano, 18 febbraio 1993, in<br />

Giur. ann. dir. ind., 1993, 2943, p. 429, che, sempre in riferimento al marchio “Vogue”, ne aveva<br />

esteso la tutela ad altri prodotti (nella fattispecie, occhiali); Trib. Milano, 10 dicembre 1992,<br />

ivi, 1994, 3043, p. 248.<br />

( 24 )Trib. Milano, 30 marzo 1998, in Giur. ann. dir. ind., 1998, 3805, p. 620.<br />

( 25 ) App. Genova, 4 giugno 2002, in Giur. ann. dir. ind., 2002, 4441, p. 938.<br />

( 26 ) App. Bologna, 30 luglio 1985, in Giur. it., 1986, I, 2, c. 376; confermata da Cass., 21 ottobre<br />

1988, n. 5716, cit.<br />

( 27 )Trib. Milano, 27 febbraio 1986, in Giur. ann. dir. ind., 1986, 2024, p. 406.<br />

( 28 )Trib. Vicenza, 28 ottobre 1993, in Giur. ann. dir. ind., 1994, 3076, p. 462.<br />

( 29 )Trib. Torino, 29 agosto 2000, in Giur. ann. dir. ind., 2000, 4179, p. 1138.<br />

( 30 )Trib. Milano, 14 giugno 1999, in Giur. ann. dir. ind., 1999, 4013, p. 1210; confermata da<br />

App. Milano, 4 maggio 2001, ivi, 2002, 4348, p. 124, e da Cass., 9 luglio 2005, n. 14473, ivi, 2006,<br />

4934, p. 45.<br />

( 31 ) Sena, Il nuovo diritto dei marchi. Marchio nazionale e marchio comunitario, 2 ed., Milano,<br />

1998, p. 78 ss.


SAGGI 307<br />

3. – Sul progressivo superamento della limitata funzione distintiva<br />

ha dunque inciso, in maniera piuttosto rilevante, il riconoscimento normativo<br />

di una protezione allargata a beneficio dei titolari del marchio rinomato,<br />

avvenuto per mezzo del d.lgs. 4 dicembre 1992, n. 480, emanato<br />

in attuazione della Direttiva n. 89/104/CEE.<br />

La straordinaria portata innovativa del riferito provvedimento legislativo<br />

potrà essere compresa solo attraverso un’operazione di ermeneutica<br />

giuridica diretta, anzitutto, ad esaminare il contesto storico in<br />

cui lo stesso ha tratto origine e si è sviluppato.<br />

In effetti, la novella del 1992 prendeva atto della modificazione della<br />

realtà e della società civile avvenuta non solo nel nostro paese, ma in<br />

ogni parte del mondo. La globalizzazione del mercato e la conseguente<br />

smaterializzazione del modo di fare economica avevano consentito alle<br />

imprese di realizzare i propri prodotti in qualsiasi parte del pianeta (salvo<br />

alcune ovvie eccezioni, come ad esempio: i prodotti le cui qualità o<br />

caratteristiche siano dovute ad un particolare ambiente geografico).<br />

Le prodromiche teorie che ravvisavano nel marchio celebre una significativa<br />

valenza di avviamento trovavano, quindi, sicuro riscontro<br />

nella mutata realtà commerciale, ove il marchio assumeva una valenza<br />

economica sempre maggiore rispetto alla consueta funzione giuridica di<br />

indicazione di provenienza ( 32 ).<br />

L’imprenditore aveva intuito che, nel mutato contesto commerciale,<br />

lo sviluppo del valore strategico del marchio avrebbe consentito alla<br />

propria azienda il raggiungimento di considerevoli vantaggi in termini<br />

di competitività. In effetti, questo asset intangibile costituiva una componente<br />

molto rilevante del valore complessivo di un’azienda, poiché,<br />

se sotto il profilo strettamente patrimoniale, esso rappresentava un’immobilizzazione<br />

immateriale iscrivibile nel bilancio d’esercizio, d’altro<br />

canto poteva fungere quale strumento utilizzabile da parte dell’<strong>impresa</strong><br />

al fine di rendersi facilmente riconoscibile ai consumatori, proiettandosi<br />

in tal guisa verso la conquista di nuovi mercati internazionali ( 33 ).<br />

( 32 ) In tal senso: Nesurini, Good morning Mr. Brand. Il senso, il valore e la personalità del<br />

brand, Milano, 2007, p. 50, secondo cui: “la globalizzazione dei mercati ha comportato l’effetto<br />

di ancorare sempre più il “marchio” alla strategia aziendale, spostando in secondo piano la necessità<br />

di identificazione”.<br />

( 33 ) Sul punto: Moro Visconti, Il marchio nell’economia aziendale, in Il dir. ind., 2006, p.<br />

520 ss. L’autore individua gli aspetti positivi che possono derivare dal valore strategico del<br />

marchio: “simbolo della differenziazione di prodotto; alta adattabilità ai mutamenti di mercato<br />

(ad es.: minor sensibilità a crisi di mercato); internazionalità; leadership; celebrità del marchio


308 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Di contro, tale stato di fatto, favoriva, ineluttabilmente, il proliferare<br />

di quelle attività economiche dedite essenzialmente alla contraffazione,<br />

soprattutto di quei segni dotati di forte valenza evocativa.<br />

Il descritto mutamento della realtà economica, rendeva pertanto necessaria<br />

un’evoluzione del diritto della proprietà intellettuale caratterizzata,<br />

da un lato, dal consentire la libera circolazione del marchio e, dall’altro<br />

lato, dal garantire un significativo allargamento e rafforzamento<br />

della protezione del marchio (soprattutto se celebre).<br />

Evoluzione normativa che trovava puntuale riscontro nella novella<br />

del 1992, la cui entrata in vigore ha imposto una rilettura della funzione<br />

del marchio, atteso che, pur continuando ad esistere elementi giuridici<br />

coerenti con la funzione distintiva, il nuovo fulcro teorico della disciplina<br />

normativa vigente in materia diventa il divieto dell’inganno del pubblico<br />

( 34 ), riconoscendosi al marchio una funzione attrattiva autonomamente<br />

protetta ( 35 ).<br />

4. – Con l’art. 5.2 della Direttiva del 1989, ed il conseguente decreto<br />

attuativo modificativo dell’art. 1 della l.m. del 1942 (ulteriormente modificato<br />

dal d.lgs. 19 marzo 1996, n. 198, emanato in attuazione dell’Ac-<br />

(status symbol); alta protezione legale contro le contraffazioni; fidelizzazione (lealtà) del consumatore<br />

(customer loyalty) e riconoscimento del marchio (brand awareness); maggior potere contrattuale<br />

nei confronti della distribuzione; capacità di aumentare le quote di mercato; alta attrattività<br />

del mercato”.<br />

( 34 ) Vanzetti, La funzione del marchio in un regime di libera concessione, in Riv. dir. ind.,<br />

1998, p. 71 ss. In giurisprudenza: Trib. Bolzano, 23 giugno 1998, in Giur. ann. dir. ind., 1998,<br />

3822, p. 752.<br />

( 35 ) Vanzetti, La funzione del marchio in un regime di libera cessione, cit., p. 71 ss.; Floridia,<br />

Il marchio e le sue funzioni nella legge di riforma, in Dir. ind.¸1994, I, p. 325, che riconosce,<br />

tra l’altro, debita tutela anche per la funzione di garanzia di qualità; Massa, Funzione attrattiva<br />

e autonomia del marchio, Napoli, 1994, p. 138 ss.; Cavani, in Ghidini, La riforma della legge<br />

marchi, Padova, 1995, p. 8; Fazzini, Profili della tutela della funzione suggestiva del marchio<br />

nella nuova legge (in margine a due sentenze sul marchio di società calcistiche), in Riv. dir. ind.,<br />

1995, II, p. 150 ss. In giurisprudenza: Cass., 9 febbraio 2000, n. 1424, in D&G – Dir. e giust.,<br />

2000, 6, p. 21; App. Milano, 28 novembre 1995, in Giur. ann. dir. ind., 1996, 3444, p. 507; App.<br />

Bologna, 20 maggio 1995, cit.; Trib. Torino, 8 maggio 1996, ivi, 1996, 3486, p. 787; Trib. Modena,<br />

26 giugno 1994, in AIDA, 1995, p. 520. Inoltre, in relazione alla funzione informativa del<br />

marchio: Sena, Marchio d’<strong>impresa</strong>, in Digesto, disc. priv., sez. comm., vol. IX, Torino, 1993, p.<br />

289 ss. Secondo Galli, Rischio di associazione, protezione allargata e marchi anteriori alla<br />

riforma, in Riv. dir. ind., 1995, II, p. 22, la nuova legge marchi evita di assegnare al marchio una<br />

funzione tipica, creando invece un sistema più elastico ed aperto al significato in concreto rivestito<br />

dal marchio presso il consumatore.


SAGGI 309<br />

cordo TRIPs – Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights –<br />

adottato a Marrakech il 15 aprile 1994), oggi trasfuso nell’art. 20 del codice<br />

della proprietà industriale, emanato con d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30,<br />

entrato in vigore il 19 marzo 2005, il legislatore ha inteso tutelare il valore<br />

suggestivo racchiuso nel segno rinomato, che evocando un’immagine<br />

di piacere e di prestigio, attrae il consumatore verso i prodotti dallo stesso<br />

contrassegnati ( 36 ).<br />

Un primo problema interpretativo che si poneva con la Direttiva del<br />

1989 derivava dal fatto che l’art. 5.2 non aveva espressamente previsto la<br />

possibilità per gli Stati membri di riconoscere una protezione del marchio<br />

rinomato estesa, oltre ai segni identici o simili per prodotti o servizi<br />

non simili, anche ai segni identici o simili per prodotti o servizi identici<br />

o simili.<br />

Con un’interpretazione rigorosamente letterale della norma, si era<br />

sostenuto che la speciale tutela del marchio di rinomanza non si applicasse<br />

a segni apposti su prodotti o servizi appartenenti ad un identico<br />

settore merceologico ( 37 ).<br />

Quest’ultima tesi, tuttavia, rimaneva priva di adeguato riscontro nell’ambito<br />

giurisprudenziale, tant’è che l’orientamento prevalente ammetteva<br />

la possibilità che il marchio rinomato potesse avvalersi della<br />

speciale tutela anche in relazione a marchi contrassegnanti prodotti<br />

identici o affini ( 38 ). In effetti, l’indirizzo interpretativo da ultimo riferito<br />

( 36 ) Vanzetti, La funzione del marchio in un regime di libera cessione, in Riv. dir. ind., 1998,<br />

I, p. 88, riconosce al marchio “una capacità di vendita del prodotto contrassegnato che prescinde<br />

dai dati di qualità e di prezzo del prodotto stesso e dalla sua stessa origine, e che deriva da stimoli<br />

irrazionali e di mera suggestione”. In giurisprudenza: Commissione di ricorso dell’UAMI, 25<br />

aprile 2001, in Giur. ann. dir. ind., 2001, 4333, p. 1276, secondo cui: “il marchio (ndr rinomato)<br />

non è soltanto un segno apposto su un prodotto per indicarne l’origine commerciale, ma anche un<br />

veicolo di comunicazione di un messaggio al pubblico, assumendo di per se stesso un valore economico.<br />

Questo valore viene incorporato nel marchio mediante un uso, essenzialmente pubblicitario,<br />

che consente al marchio di farsi portatore di un messaggio, informativo o simbolico, che può<br />

essere riferito alle qualità del prodotto o del servizio per cui viene usato, o a valori immateriali come<br />

il lusso, lo stile di vita, l’esclusività, l’avventura, la giovinezza, ecc., o ancora alla reputazione<br />

del suo titolare, od ad altri elementi come la particolare presentazione del prodotto o del servizio<br />

o l’esclusività del circuito distributivo”.<br />

( 37 )Trib. Milano, 12 luglio 1999, in Giur. ann. dir. ind., 1999, 4017, p. 1250.<br />

( 38 ) Corte CE, 9 gennaio 2003, causa C-292/00, Davidoff II, in Giur. it., 2003, p. 283, secondo<br />

cui: “l’art. 5, n. 2, della direttiva non dev’essere interpretato esclusivamente alla luce del<br />

suo testo, ma anche in considerazione dell’economia generale e degli obiettivi del sistema del quale<br />

fa parte”, quindi “il marchio notorio deve godere, in caso di uso di un segno per prodotti o servizi<br />

identici o simili, di una tutela almeno altrettanto ampia di quella goduta in caso di uso di un


310 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

– oggi confortato dal dato letterale: l’art. 20 c.p.i., infatti, fa espresso riferimento<br />

ad ipotesi di interferenza per prodotti o servizi “anche” non<br />

affini –, risultava maggiormente conforme alla ratio della Direttiva, volta<br />

a riconoscere la possibilità di tutelare il marchio rinomato in ogni occasione<br />

in cui fosse stato riscontrato un indebito sfruttamento o una lesione<br />

del valore suggestivo incorporato dal marchio dotato di rinomanza,<br />

a prescindere dall’affinità o meno tra i prodotti.<br />

Secondo questa impostazione, il riferimento ai prodotti o servizi<br />

non affini valeva solo a rendere palese che la tutela era sganciata dal<br />

principio di relatività, senza però introdurre una limitazione di segno<br />

opposto, in relazione cioè all’identità o somiglianza dei prodotti o servizi<br />

( 39 ).<br />

La concreta individuazione del criterio da adottare per la valutazione<br />

del grado di somiglianza tra i marchi, costituiva, viceversa, tema meno<br />

dibattuto nell’ambito dottrinale e giurisprudenziale. L’orientamento<br />

pressoché unanime sosteneva, infatti, che il giudizio di somiglianza –<br />

per il quale non assumeva rilevanza alcuna l’appartenenza alla medesima<br />

classe merceologica dei marchi in contesa, giacché alla classificazione<br />

internazionale dei prodotti e servizi veniva riconosciuto carattere<br />

meramente amministrativo ( 40 )– andava condotto attraverso un esame<br />

comparativo dei segni non in via analitica, con una particolareggiata disamina<br />

e una separata valutazione di ogni elemento, ma in via unitaria e<br />

sintetica, mediante un apprezzamento complessivo che tenesse conto di<br />

tutti gli elementi salienti, in considerazione del fatto che il consumatore<br />

svolge le sue riflessioni sulla base del solo ricordo impresso nella sua<br />

memoria del prodotto imitato ( 41 ).<br />

segno per prodotti o servizi non simili”. In senso analogo: Corte CE, 23 ottobre 2003, causa C-<br />

408/01, Adidas c. Salomon, in Giur. comm., 2004, II, p. 363.<br />

( 39 ) Roncaglia, Relazione su “Tutela del marchio di rinomanza”, Atti del convegno sui<br />

Problemi attuativi in tema di marchi, tenuto in data 18 febbraio 2000. Conformemente: Mansani,<br />

La funzione di indicazione d’origine del marchio nell’ordinamento comunitario, Milano,<br />

2000, p. 15 ss. In giurisprudenza: Trib. Milano, 24 luglio 2003, in Giur. ann. dir. ind., 2003, 4589,<br />

p. 1133, secondo cui: “la disciplina del marchio rinomato […] è applicabile anche nell’ipotesi di<br />

uso di un marchio identico o simile per prodotti identici o affini, pur a fronte del dato letterale che<br />

riserva la tutela all’ipotesi di prodotti non affini”. Nello stesso senso: Trib. Firenze, 29 giugno<br />

2004, ivi, 2004, 4755, p. 1176.<br />

( 40 ) App. Milano, 8 maggio 2001, in Giur. ann. dir. ind., 2002, 4349, p. 138; Trib. Roma, 8<br />

febbraio 2001, ivi, 2002, 4342, p. 61.<br />

( 41 ) Corte CE, 11 novembre 1997, causa C-251/95, caso Sabel c. Puma, in Racc., 1997, I, p.<br />

619; Cass., 22 gennaio 1993, n. 782, in Giust. civ., Mass., 1993, p. 109; Trib. Reggio Emilia, 27


SAGGI 311<br />

A tal proposito, fa d’uopo sin d’ora precisare che la tutela dei marchi<br />

rinomati non è subordinata all’accertamento di un grado di somiglianza<br />

tra il marchio rinomato ed il segno contestato, tale da ingenerare nel settore<br />

dei consumatori interessati a codesti prodotti un rischio di confusione<br />

tra gli stessi; risulta, infatti, sufficiente che la somiglianza tra i segni<br />

contrapposti abbia come effetto la creazione di un nesso, nella mente<br />

del consumatore, tra il segno contestato ed il marchio registrato, tale<br />

che l’indebito uso del segno determini un rischio di diluizione o di pregiudizio<br />

alla rinomanza del marchio ( 42 ).<br />

5. – Come accennato, una delle principali innovazioni inserite nella<br />

Direttiva comunitaria del 1989 si è tradotta, per mezzo dell’intervento<br />

del legislatore nazionale, nel riconoscimento, a favore del titolare del<br />

marchio rinomato, del diritto di inibire al terzo l’uso del medesimo, laddove<br />

quest’ultimo, senza giusto motivo, tragga indebitamente vantaggio<br />

dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio ovvero nel caso<br />

in cui l’uso del segno da parte del terzo rechi pregiudizio al marchio rinomato.<br />

La disciplina normativa si caratterizza, quindi, per la mancanza di<br />

una definizione del marchio che gode di rinomanza, avendo il legislatore<br />

demandato alla giurisprudenza il compito di stabilire di volta in volta<br />

la ricorrenza delle condizioni dell’indebito vantaggio o del pregiudizio,<br />

al fine di accordare una protezione ultramerceologica al segno rinomato.<br />

Sul punto giova richiamare uno dei primi interventi della giustizia<br />

comunitaria, con cui è stato affermato che, ai fini della sussistenza della<br />

rinomanza, è sufficiente che il marchio sia conosciuto “da una parte significativa<br />

del pubblico interessato ai prodotti o servizi da esso contraddistinti”,<br />

sull’intero territorio dello Stato per il quale il marchio è registraagosto<br />

2002, in Giur. ann. dir. ind., 2003, 4520, p. 481; Trib. Ferrara, 14 settembre 2001, ivi, 2002,<br />

4365, p. 299; Trib. Firenze, 10 maggio 2001, ivi, 2001, 4289, p. 851; Trib. Bologna, 21 luglio 2000,<br />

ivi, 2001, 4230, p. 292. In senso diverso: Cass., 26 febbraio 1990, n. 1437, in Riv. dir. comm., 1991,<br />

II, p. 25; Trib. Piacenza, 5 aprile 2004, Giur. ann. dir. ind., 2004, 4737, p. 1013; Trib. Roma, 18 luglio<br />

2001, ivi, 2002, 4358, p. 235; che pur riconoscendo un’importanza preminente all’impressione<br />

d’insieme, non escludono la rilevanza giuridica di un esame dei particolari.<br />

( 42 ) Corte CE, 23 ottobre 2003, causa C-408/01, cit.; Trib. CE, 16 aprile 2008, causa T-<br />

181/05, Citi c. Citibank, in Foro it., 2008, 9, c. 442; Trib. Milano, 16 gennaio 2007, in Giur. ann.<br />

dir. ind., 2007, 5129, p. 612; Trib. Venezia, 23 gennaio 2006, in Foro it., 2006, c. 6 ss.; Trib. Milano,<br />

22 aprile 2004, in Giur. ann. dir. ind., 2004, 4742, p. 1064; Trib. Roma, 9 gennaio 2004, in<br />

Giur. it., 2004, p. 1903.


312 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

to o anche in una parte sostanziale di esso ( 43 ). In tal guisa, la qualifica di<br />

marchio rinomato è stata riconosciuta non solo ai marchi cosiddetti celebri,<br />

secondo l’interpretazione invalsa prima della riforma, ma è stata<br />

estesa a tutti quei marchi semplicemente noti, alla sola condizione di dimostrare<br />

che l’uso del segno da parte del terzo possa apportare un indebito<br />

vantaggio all’imitatore ovvero arrecare un pregiudizio al legittimo<br />

titolare del marchio ( 44 ).<br />

Siffatto ampliamento, come giustamente osservato da nota dottrina,<br />

rende tuttavia necessaria una graduazione della tutela prevista dall’art.<br />

20 c.p.i., nel senso che il vantaggio o il pregiudizio cui la norma fa riferimento<br />

si concretizza in maniera più evidente per i marchi celebri, anche<br />

laddove sussiste una notevole distanza merceologica tra i prodotti in<br />

questione, giacché la capacità di suggestione di un marchio aumenta in<br />

misura proporzionale alla diffusione della conoscenza del marchio stesso<br />

tra il pubblico; mentre, in riferimento ai marchi meno noti, si deve riconoscere<br />

l’esistenza delle condizioni legislative di tutela solo per pro-<br />

( 43 ) Corte CE, 14 settembre 1999, causa C-375/97, caso General Motors c. Yplon, in Nuova<br />

giur. civ., 2000, I, p. 420; Trib. CE, 25 maggio 2005, causa T-67/04, Monopole c. UAMI, in Giur.<br />

ann. dir. ind., 2005, 4923, p. 1403; Trib. Roma, 3 marzo 2006, ivi, 2006, 5005, p. 651; Trib. Vicenza,<br />

9 novembre 2000, ivi, 2001, 4249, p. 469; Trib. Torino, 23 maggio 2000, ivi, 2000, 4159, p.<br />

965. Diversamente, è stato sostenuto che per aversi marchio rinomato è necessario che il segno<br />

sia conosciuto da tutti i consumatori di qualsiasi prodotto: App. Milano, 24 maggio 2002,<br />

in Giur. ann. dir. ind., 2003, 4500, p. 280; Trib. Roma, 25 ottobre 2002, ivi, 2003, 4525, p. 521;<br />

Trib. Roma, 8 febbraio 2001, cit.<br />

( 44 ) Vanzetti, La nuova legge marchi, Milano, 1993, p. 25, secondo il quale questa interpretazione<br />

trova opportuno riscontro nei lavori preparatori della Direttiva n. 89/104/CEE,<br />

laddove si è passati da una definizione in termini di marchi che godono di “larga notorietà” a<br />

quella di marchi che godono di notorietà tout court. Nello stesso senso: Mayr, in Commentario<br />

breve al diritto della concorrenza, a cura di Marchetti e Ubertazzi, Padova, 1997, p. 963. Diversamente:<br />

Olivieri, Commento sub articolo 1, in Aa.Vv., Commento tematico della legge<br />

marchi, Torino, 1998, p. 30, che rivendica la natura eccezionale dei segni che godono di rinomanza,<br />

e quindi la necessità di interpretare il concetto in maniera restrittiva. Sempre in senso<br />

contrario: Floridia, La nuova legge marchi. Il commento, in Corr. giur., 1993, p. 268 ss; Fazzini,<br />

Prime impressioni sulla riforma della disciplina dei marchi, in Riv. dir. ind., 1993, I, p. 1579<br />

ss.; La Villa, Introduzione al diritto dei marchi di <strong>impresa</strong>, Torino, 1994, p. 21 ss., i quali finiscono<br />

con l’identificare la nozione di marchio che gode di rinomanza con quella di marchio<br />

celebre costruita dalla dottrina e dalla giurisprudenza sotto la vigenza della vecchia legge marchi.<br />

In giurisprudenza, per la tesi dell’allargamento anche ai marchi semplicemente noti: Trib.<br />

Torino, 23 maggio 2000, cit.; Trib. Monza, 8 luglio 1999, in Giur. ann. dir. ind., 1999, 4016, p.<br />

1226. A sostegno della tesi secondo cui il marchio rinomato comprende solo il marchio celebre:<br />

Trib. Roma, 25 ottobre 2002, cit.; Trib. Firenze, 25 agosto 2001, in Giur. ann. dir. ind.,<br />

2002, 4363, p. 283.


SAGGI 313<br />

dotti tra loro merceologicamente vicini, in considerazione dal fatto che<br />

il rischio in cui possono incorrere i consumatori nell’istituire un indebito<br />

collegamento con il segno diminuisce man mano che ci si allontana,<br />

per affinità, dal prodotto o servizio contraddistinto dal marchio noto ( 45 ).<br />

La nozione di marchio rinomato costituisce, pertanto, una categoria<br />

aperta fra un massimo ed un minimo di rinomanza, in cui sarà decisivo<br />

l’accertamento del livello di conoscenza del marchio da parte del pubblico.<br />

Operazione, quest’ultima, che dovrà esser espletata dal giudice investito<br />

della questione, il quale nell’occasione potrà rifarsi a diversi parametri,<br />

come: la quota di mercato coperta dal marchio, l’intensità,<br />

l’ambito geografico e la durata dell’uso del marchio, l’entità degli investimenti<br />

realizzati dall’<strong>impresa</strong> per promuovere il marchio, il fatturato<br />

dei prodotti o servizi contrassegnati dal marchio ( 46 ).<br />

La protezione allargata del marchio rinomato prescinde, quindi, dalla<br />

possibilità di confusione per i consumatori – che, come detto, aveva<br />

caratterizzato il riconoscimento di una tutela extramerceologica per i<br />

marchi celebri, sul convincimento che l’elevata notorietà di un segno si<br />

traduceva, inesorabilmente, in un’accentuazione del pericolo di confusione<br />

( 47 ) –, trovando la propria giustificazione nel tentativo di evitare un<br />

indebito vantaggio a beneficio del terzo o, alternativamente, di evitare al<br />

titolare del marchio un pregiudizio derivante dall’utilizzo di un segno<br />

eguale o simile idoneo, in concreto, a pregiudicarne la capacità attrattiva,<br />

attentando così alla natura stessa del marchio rinomato, il quale essendo<br />

un bene immateriale dotato di una propria autonoma utilità,<br />

( 45 ) Vanzetti e Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, Milano, 2009, p. 247. In giurisprudenza:<br />

Trib. Vicenza, 9 novembre 2000, cit.<br />

( 46 ) Corte CE, 14 settembre 1999, C-375/97, cit.: Corte CE, 4 maggio 1999, in cause riunite<br />

C-108/97 e C-109/97, caso Windsurfing c. Boots, in Giur. ann. dir. ind., 1999, 4043, p. 1524.<br />

Nello stesso senso: Trib. Roma, 3 marzo 2006, cit.;Trib. Firenze, 10 novembre 2001, ivi, 2002,<br />

4377, p. 381; Trib. Monza, 26 maggio 2001, in Dir. ind., 2002, p. 249.<br />

( 47 ) Contrariamente si è affermato che quando un marchio è molto conosciuto, spesso il<br />

rischio di confusione con un altro segno diminuisce anziché aumentare, proprio in considerazione<br />

dell’elevata notorietà del segno, che evita al pubblico di scambiare il segno noto con<br />

altro segno: Galli, Rinomanza del marchio e tutela oltre il limite del pericolo di confusione, Atti<br />

del Convegno S.I.S.P.I., Milano, 15-16 settembre 2006, in Il dir. ind., 2007, p. 85. In senso<br />

analogo: Ricolfi, La tutela dei marchi che godono di rinomanza nei confronti della registrazione<br />

e utilizzazione per beni affini nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, in Giur. it., 2004, p.<br />

283 ss. In giurisprudenza: Trib. CE, 22 giugno 2004, causa T-185/02, Ruiz Picasso c. UAMI, in<br />

Giur. ann. dir. ind., 2004, 4776, p. 1473, confermata da Corte CE, 12 gennaio 2006, causa C-<br />

361/04P, Ruiz Picasso c. UAMI, in Foro. it., 2006, c. 354 ss.


314 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

avente un proprio potere di richiamo e pubblicitario, possiede un autonomo<br />

“potere di vendita” ( 48 ).<br />

6. – L’indebito vantaggio può essere rappresentato dall’agganciamento<br />

parassitario dei prodotti o servizi dell’imitatore all’immagine del<br />

marchio rinomato, che consente al contraffattore di collocarsi sul mercato<br />

sfruttando tutte le valenze evocative del segno rinomato, acquisendo<br />

così uno spazio specifico che altrimenti non avrebbero occupato ( 49 ).<br />

L’agganciamento parassitario all’immagine del marchio rinomato,<br />

infatti induce il pubblico ad operare un collegamento psicologico (eventualmente,<br />

anche inconscio) fra i due segni, producendo, conseguentemente,<br />

uno sviamento nel flusso delle informazioni sul prodotto per effetto,<br />

appunto, della somiglianza di quelle informazioni, in modo che il<br />

marchio imitato richiami alla mente quello noto ( 50 ). Viceversa, il pregiudizio<br />

per il titolare del marchio rinomato ricorre quando il segno dell’imitatore<br />

trasmetta al pubblico un messaggio che, oltre a contenere un<br />

richiamo al marchio imitato, comporti una sorta di contaminazione dell’immagine<br />

e del messaggio comunicato, provocando la diluizione e<br />

l’infangamento del potere evocativo e del valore simbolico trasmesso<br />

dal marchio rinomato.<br />

La contaminazione dell’immagine del marchio rinomato può comportare<br />

uno sviamento della clientela, dovuto al mutamento delle abitudini<br />

della stessa, la quale, nel timore che il proprio prodotto di lusso possa<br />

essere confuso con altro contraffatto, può indirizzarsi verso altre marche.<br />

Il pregiudizio potrebbe, quindi, verificarsi nel caso in cui il marchio<br />

rinomato sia utilizzato per contraddistinguere prodotti scadenti o vili<br />

ovvero quando sia utilizzato dall’imitatore con modalità non compatibili<br />

con la specifica immagine costruita dal titolare del marchio rinomato.<br />

È quanto accade, in particolare, per i prodotti ostensivi, destinati cioè ad<br />

essere esibiti in pubblico. In questi casi, secondo la cosiddetta dottrina<br />

della post sale confusion ( 51 ), a confondersi non sono i diretti consumatori,<br />

i quali, in considerazione dei canali distributivi, dei prezzi solita-<br />

( 48 ) In tal senso si era già espresso Leonini, Marchi famosi e marchi evocativi, cit., p. 586.<br />

( 49 ) Corte CE, 23 ottobre 2003, causa C-408/01, cit.<br />

( 50 )Trib. Napoli, 13 maggio 1996, in Riv. dir. ind., 1996, II, p. 288.<br />

( 51 ) Nella dottrina italiana: Roncaglia, Nozione di confondibilità e tutela della funzione<br />

suggestiva del marchio, in Aa.Vv., Segni e forme distintive: la nuova disciplina, Milano, 2001, p.<br />

367 ss.


SAGGI 315<br />

mente molto bassi e dell’evidente scarsa qualità dei prodotti compravenduti,<br />

sono ben consapevoli di acquistare un prodotto somigliante all’originale<br />

– anzi, lo acquistano al solo scopo di spacciarlo come tale –,<br />

bensì i terzi, che vedono il prodotto contrassegnato da un segno rinomato<br />

contraffatto, in un contesto diverso da quello della vendita, ove risulterebbe<br />

immediatamente manifesta la circostanza che il prodotto<br />

non è originale, e possono perciò essere indotti in errore ( 52 ).<br />

Il pregiudizio che potrebbe derivare al titolare del marchio rinomato<br />

non consisterebbe nel diretto vantaggio a favore del contraffattore (data<br />

la evidente non sovrapponibilità delle rispettive clientele), bensì nel<br />

vantaggio prodotto a favore delle altre marche altrettanto rinomate, che<br />

potrebbero risultare più difficilmente copiabili e quindi preferite dall’acquirente,<br />

che vorrebbe eliminare il sospetto della contraffazione sul<br />

proprio prodotto originale ( 53 ).<br />

L’indebito vantaggio del terzo ed il pregiudizio del titolare del marchio<br />

sono stati riconosciuti nel caso di utilizzo da parte dell’imitatore del<br />

noto marchio registrato dall’Agip (raffigurante un cane a sei zampe dalla<br />

cui bocca esce una fiammata, in campo giallo delimitato da una linea scura)<br />

impresso su magliette con la scritta “Acid” ( 54 ); nel caso di utilizzo del<br />

marchio “Nike sport fragrance” per profumi, in violazione del marchio<br />

“Nike” per articoli sportivi ( 55 ); nell’ipotesi di impiego del marchio “Elle<br />

Chic” per prodotti di abbigliamento, in contraffazione del marchio rinomato<br />

“Elle”, adoperato per contrassegnare la nota rivista di moda ( 56 ).<br />

Un agganciamento parassitario, con il rischio di un potenziale annacquamento<br />

del marchio figurativo “Adidas” (costituto da tre strisce<br />

parallele di colore contrastante con lo sfondo) è stato rilevato nell’utilizzo<br />

da parte del contraffattore di due identiche strisce parallele su scarpe<br />

( 52 ) Vanzetti, I marchi nel mercato globale, in Riv. dir. ind., 2002, I, p. 91 ss.; Roncaglia,<br />

Nozione di confondibilità e tutela della funzione suggestiva del marchio, cit., p. 367 ss. In giurisprudenza:<br />

Trib. Venezia, 28 luglio 2007, in Giur. ann. dir. ind., 2007, 5161, p. 926, che ha ravvisato<br />

nel contegno dell’acquirente che spaccia il prodotto per originale, una sorta di collaborazione<br />

nell’indurre il terzo in errore.<br />

( 53 )Particolarmente significativa è l’ordinanza emessa dal Trib. Venezia il 30 marzo 2005,<br />

in Giur. ann. dir. ind., 2005, 4866, p. 797, con cui, per la prima volta, si evidenzia che “l’acquisto<br />

dei beni con marchi contraffatti, effettuato con finalità ostensive, per essere mostrati dall’acquirente<br />

come status symbol, lede e mette in pericolo la buona fede, intesa come bene giuridico a salvaguardia<br />

dell’intera collettività”.<br />

( 54 )Trib. Milano, 4 marzo 1999, in Giur. ann. dir. ind., 1999, 3987, p. 977.<br />

( 55 )Trib. Milano, 23 dicembre 1999, in Giur. ann. dir. ind., 2000, 4116, p. 578.<br />

( 56 )Trib. Ferrara, 14 settembre 2001, cit.


316 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

da ginnastica ( 57 ); ed ancora, nel caso di adozione del marchio “Viagra”,<br />

originariamente registrato per prodotti farmaceutici, al fine di contraddistinguere<br />

prodotti di abbigliamento ( 58 ); nel caso di impiego di un<br />

marchio costituito da un fior di loto e dalla parola “Genius”, in contraffazione<br />

del marchio rinomato della Montblanc Simplo GmbH (avente<br />

ad oggetto una stella bianca a sei punte arrotondate, simboleggiante la<br />

cima del Monte Bianco con la neve scivolante dalle sue sei vallate) ( 59 ).<br />

7. – Il legislatore ha previsto una sorta di esimente in bianco per le<br />

ipotesi di utilizzo indebito e/o pregiudizievole del marchio rinomato altrui,<br />

attraverso il ricorso alla dizione del “giusto motivo”.<br />

La volontaria genericità della norma tende a contemperare i contrapposti<br />

interessi tra chi avanza una legittima aspettativa al ritorno degli<br />

investimenti profusi per garantire una maggiore forza attrattiva al marchio<br />

utilizzato per contrassegnare i propri prodotti o servizi, e chi, avendo<br />

previamente creato ed utilizzato un segno identico o simile a quello<br />

rinomato, non vuole perdere il diritto prioritariamente acquisito. Ancora<br />

una volta, sarà quindi il giudice del caso concreto a dover verificare la<br />

sussistenza o meno della riferita scriminante.<br />

Nelle poche occasioni in cui la giurisprudenza è intervenuta sulla<br />

questione, si è avuto modo di riscontrare un giusto motivo per non applicare<br />

la disciplina normativa della tutela allargata del marchio rinomato:<br />

nel caso di coesistenza di marchi patronimici ( 60 )ed, ancora, in relazione<br />

alla specifica collocazione geografica dell’azienda utilizzatrice del<br />

marchio rinomato, costituito da una denominazione geografica ( 61 ).<br />

Viceversa, è stato ritenuto che non sia di per sé sufficiente ad integrare<br />

la condizione di giusto motivo il fatto che: a) il segno sia particolarmente<br />

appropriato per designare i prodotti cui si riferisce; b) il richiedente<br />

abbia già fatto uso del segno per designare i prodotti cui si riferi-<br />

( 57 )Trib. Roma, 9 gennaio 2004, cit.<br />

( 58 )Trib. Napoli, 31 marzo 2003, in Giur. ann. dir. ind., 2004, 4671, p. 454.<br />

( 59 )App. Milano, 19 marzo 2005, in Giur. ann. dir. ind., 2005, 4865, p. 786.<br />

( 60 ) Commissione di ricorso dell’UAMI, 23 gennaio 2009, in Il dir. ind., 2009, 3, p. 225, con<br />

commento di Sandri.<br />

( 61 )Trib. Catania, 12 maggio 2006, in Giur. ann. dir. ind., 2007, 5089, p. 250. In dottrina è<br />

stato ritenuto potersi riconoscere un giusto motivo nell’anteriorità dell’uso del segno da parte<br />

del terzo rispetto al momento in cui il marchio ha acquisito rinomanza; nel caso di rinomanza<br />

acquisita in altri settori; nell’ipotesi di immissione in commercio in altri paesi comunitari<br />

che abbia determinato l’esaurimento: La Villa, Introduzione al diritto dei marchi d’<strong>impresa</strong>,<br />

cit., p. 27; Olivieri, Contenuto e limiti dell’esclusiva, cit., p. 33.


SAGGI 317<br />

sce; c) il richiedente invochi un diritto anteriore a quello della controparte<br />

( 62 ).<br />

Per quanto concerne, invece, le questioni di natura transitoria palesatesi<br />

con l’entrata in vigore della novella del 1992, indubbia rilevanza<br />

ha assunto quella norma che espressamente esclude la possibilità di<br />

un’efficacia giuridica della tutela del marchio rinomato estesa nei confronti<br />

di marchi il cui uso abbia avuto inizio in periodo antecedente rispetto<br />

al menzionato mutamento della relativa disciplina giuridica ( 63 ).<br />

In effetti, l’art. 88 del d.lgs. 480/1992 (oggi riprodotto nell’art. 232<br />

c.p.i.) prevede che il diritto di far uso esclusivo di un marchio rinomato,<br />

concesso prima dell’entrata in vigore del decreto, “non consente al titolare<br />

di opporsi all’ulteriore uso nel commercio di un segno identico o simile al<br />

marchio per prodotti o servizi non affini a quelli per cui esso è stato registrato”.<br />

Da alcune parti si era sostenuta l’implicita abrogazione della<br />

menzionata disposizione normativa, in seguito all’entrata in vigore del<br />

D.Lgs. n. 198 del 1996, in considerazione del fatto che l’art. 1 della vecchia<br />

legge marchi, modificata con il ricordato decreto riformista, non<br />

conteneva norme transitorie.<br />

A difesa della vigenza dell’art. 88 è stato giustamente osservato che il<br />

d.lgs. 198/1996 ha semplicemente introdotto agli artt. 1 e 17 l.m., rispettivamente<br />

alle lettere a) ed f), una nuova norma che concerne l’adozione<br />

di un marchio identico per prodotti identici, con conseguente slittamento<br />

delle lettere che contraddistinguono le proposizioni conservate<br />

nell’originario testo. Rispetto a queste disposizioni non sorgono quindi<br />

problemi di diritto transitorio, che si pongono soltanto in relazione alle<br />

norme effettivamente innovative introdotte dal decreto e non, invece,<br />

nei casi in cui il mutamento riguardi la collocazione delle stesse ( 64 ).<br />

8. – Risulta pertanto evidente che il legislatore, prendendo atto dell’intervenuto<br />

mutamento del ruolo del marchio nell’economia moder-<br />

( 62 ) Commissione di ricorso dell’UAMI, 25 aprile 2001, in Giur. ann. dir. ind., 2001, 4333,<br />

p. 1276.<br />

( 63 ) Galli, Il diritto transitorio dei marchi, Milano, 1994, p. 70 ss. In giurisprudenza:<br />

Cass., 20 dicembre 1999, n. 14315, in Giust. civ., Mass., 1999, p. 2581; App. Palermo, 18 ottobre<br />

1999, cit.<br />

( 64 ) Galli, Adeguamento della legislazione interna in materia di proprietà intellettuale alle<br />

prescrizioni obbligatorie dell’accordo relativo agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale concernenti<br />

il commercio – Uruguay Round, Commentario a cura di Auteri, in Nuove leggi civ.,<br />

1998, p. 93.


318 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

na, ha inteso riconoscere una tutela extramerceologica al segno rinomato,<br />

introducendo nel sistema normativo due concetti assolutamente<br />

nuovi: l’indebito vantaggio ed il pregiudizio.<br />

L’ammissione, quindi, di una protezione dei marchi rinomati pur in<br />

assenza di confondibilità, giustifica la convinzione che quella distintiva<br />

non sia più la sola funzione del marchio ad essere riconosciuta dall’ordinamento<br />

giuridico.<br />

In effetti, rinvenendo nel marchio uno strumento che “racchiude e<br />

comunica valori, conoscenza, qualità, almeno in parte autonome” rispetto<br />

al prodotto o servizio cui inerisce ( 65 ), si finisce con il riconoscere ai segni<br />

dotati di rinomanza, accanto ad una funzione distintiva, che opera come<br />

indicazione di origine di un prodotto o di un servizio da un’<strong>impresa</strong><br />

piuttosto che da un’altra – ed una generica funzione di garanzia qualitativa,<br />

intesa quale aspettativa da parte del consumatore di una costanza<br />

qualitativa dei prodotti distinti dal medesimo marchio ( 66 )– una funzione<br />

suggestiva, mediante la quale il marchio diviene un vero e proprio<br />

collettore di clientela ( 67 ).<br />

( 65 )Trib. Napoli, 5 novembre 1998, con nota di Bellomunno, Il marchio come strumento<br />

di comunicazione, in Il Dir. ind., 1999, 2, p. 138. In dottrina: Sena, Il nuovo diritto dei marchi.<br />

Marchio nazionale e marchio comunitario, cit., 78 ss. Sandri, Natura e funzione del marchio: dal<br />

segno/marchio al marchio/segno nella giurisprudenza comunitaria, in Studi in onore di Adriano<br />

Vanzetti, II, Milano, 2004, p. 1377 ss., rilevando che il marchio è prima di tutto un segno, a sua<br />

volta definito come “un’apparenza che oltre a manifestare se stessa, rappresenta anche, più o<br />

meno direttamente, altro da sé”, assume che il titolare del marchio ha in tal guisa la possibilità<br />

di “rappresentare all’esterno, in modo rilevabile, tutta una serie di informazioni alla cui comunicazione<br />

ha interesse”.<br />

( 66 ) Invero, una funzione di garanzia era riconosciuta già nel vigore della legge del 1942,<br />

ma non in via autonoma, bensì come “aspetto” della funzione distintiva, in tal senso: Guglielmetti,<br />

Il marchio celebre o “de haute renommée”, cit., p. 188; Mangini, Il marchio e gli altri<br />

segni distintivi, cit., p. 80; Vanzetti, Natura e funzioni giuridiche del marchio, in Aa.Vv., Problemi<br />

attuali del diritto industriale, Milano, 1977, p. 1164 ss.<br />

( 67 ) Mayr, in Commentario breve al diritto della concorrenza, cit., p. 958 ss.; Di Cataldo, I<br />

segni distintivi, Milano, 1993, p. 19.


OLIVIER DELGRANGE - AURORA VISENTIN<br />

Disciplina applicabile al recesso di un fabbricante italiano<br />

da un contratto di distribuzione con una parte francese<br />

Sommario: 1. Premessa. – 2. Qual è il foro competente per le controversie concernenti un<br />

contratto di distribuzione con un fabbricante italiano – 3. Le norme di diritto francese<br />

relative allo scioglimento del vincolo contrattuale e la loro cogenza. – 4. Il recesso dai<br />

contratti di distribuzione.<br />

1. – Una questione che può frequentemente porsi nell’ambito dei contratti<br />

di distribuzione conclusi tra una società italiana ed il suo distributore<br />

in Francia è quella di determinare modalità e conseguenze della risoluzione<br />

unilaterale del rapporto commerciale. Con la presente analisi si procederà<br />

ad esaminare la normativa francese, individuandone in primo luogo<br />

l’ambito d’applicazione per poi analizzare le singole prescrizioni in materia<br />

di recesso contrattuale. Prima di approcciare le problematiche di diritto sostanziale<br />

è, quindi, necessario affrontare quelle processuali, delimitando i<br />

casi in cui il foro francese è giurisdizionalmente competente.<br />

2. – Per determinare quale sia il giudice investito della risoluzione delle<br />

controversie in materia di recesso, si deve in primo luogo fare riferimento a<br />

quanto concordato dalle parti. I contraenti hanno, infatti, la massima libertà<br />

nella scelta del giudice competente per la risoluzione delle eventuali<br />

controversie contrattuali. Si constata, purtroppo, che esistono numerosi<br />

rapporti di distribuzione conclusi senza alcun contratto scritto o con un<br />

contratto scritto lacunoso.<br />

In mancanza di tale clausola contrattuale sulla giurisdizione ( 1 )è competente<br />

il giudice del luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è stata<br />

(o deve essere) eseguita ( 2 ), secondo quanto previsto dall’art. 5.1 a) del Regolamento<br />

n. 44 del 2001 ( 3 ).<br />

( 1 ) La cosiddetta «forum selection clause ». A questo proposito occorre ricordare che la<br />

clausola attributiva che figura sulle condizioni generali di vendita non è in principio applicabile<br />

alle controversie relative al rapporto quadro di distribuzione.<br />

( 2 ) Il contratto di distribuzione non è, infatti, né un contratto di vendita, né un contratto<br />

di prestazione di servizi, pertanto non potranno applicarsi le regole specifiche previste dal Regolamento<br />

all’art. 5.1 b), per individuare il foro competente. Cfr. Corte CE, 23 aprile 2009, n.<br />

533 e Cass. comm. fr., 5 marzo 2008, n. 06-21949.<br />

( 3 ) Art. 5 Regolamento 44 del 2001:


320 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Occorre, quindi, individuare la legge applicabile al contratto, tramite le<br />

disposizioni di diritto internazionale privato, per poi stabilire, in base a questa<br />

normativa, quale sia il luogo di esecuzione della specifica obbligazione<br />

oggetto della controversia.<br />

Anche in questo caso la scelta del diritto applicabile dipende innanzitutto<br />

dalla volontà dei contraenti.<br />

In assenza di una tale determinazione si dovrà avere riguardo alla normativa<br />

di diritto internazionale e quindi, per i contratti di distribuzione, alla<br />

Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle ob-<br />

“La persona domiciliata nel territorio di uno Stato membro può essere convenuta in un altro<br />

Stato membro: 1) a) in materia contrattuale, davanti al giudice del luogo in cui l’obbligazione dedotta<br />

in giudizio è stata o deve essere eseguita;<br />

b) i fini dell’applicazione della presente disposizione e salvo diversa convenzione, il luogo di<br />

esecuzione dell’obbligazione dedotta in giudizio è:<br />

- nel caso della compravendita di beni, il luogo, situato in uno Stato membro, in cui i beni sono<br />

stati o avrebbero dovuto essere consegnati in base al contratto,<br />

- nel caso della prestazione di servizi, il luogo, situato in uno Stato membro, in cui i servizi sono<br />

stati o avrebbero dovuto essere prestati in base al contratto.<br />

c) la lettera a) si applica nei casi in cui non è applicabile la lettera b);<br />

2) in materia di obbligazioni alimentari, davanti al giudice del luogo in cui il creditore di alimenti<br />

ha il domicilio o la residenza abituale o, qualora si tratti di una domanda accessoria ad<br />

un’azione relativa allo stato delle persone, davanti al giudice competente a conoscere quest’ultima<br />

secondo la legge nazionale, salvo che tale competenza si fondi unicamente sulla cittadinanza<br />

di una delle parti;<br />

3) in materia di illeciti civili dolosi o colposi, davanti al giudice del luogo in cui l’evento dannoso<br />

è avvenuto o può avvenire;<br />

4) qualora si tratti di un’azione di risarcimento di danni o di restituzione, nascente da reato,<br />

davanti al giudice presso il quale è esercitata l’azione penale, sempre che secondo la propria legge<br />

tale giudice possa conoscere dell’azione civile;<br />

5) qualora si tratti di controversia concernente l’esercizio di una succursale, di un’agenzia o<br />

di qualsiasi altra sede d’attività, davanti al giudice del luogo in cui essa è situata;<br />

6) nella sua qualità di fondatore, trustee o beneficiario di un trust costituito in applicazione<br />

di una legge o per iscritto o con clausola orale confermata per iscritto, davanti ai giudici dello Stato<br />

membro nel cui territorio il trust ha domicilio;<br />

7) qualora si tratti di una controversia concernente il pagamento del corrispettivo per l’assistenza<br />

o il salvataggio di un carico o un nolo, davanti al giudice nell’ambito della cui competenza<br />

il carico o il nolo ad esso relativo:<br />

a) è stato sequestrato a garanzia del pagamento o<br />

b) avrebbe potuto essere sequestrato a tal fine ma è stata fornita una cauzione o un’altra<br />

garanzia questa disposizione si applica solo qualora si faccia valere che il convenuto è titolare<br />

di un diritto sul carico o sul nolo o aveva un tale diritto al momento dell’assistenza o del salvataggio”.


SAGGI 321<br />

bligazioni contrattuali (ed il Regolamento “Roma I” d’attuazione) ( 4 ) sottoscritta<br />

sia dalla Francia che dall’<strong>Italia</strong> ( 5 ).<br />

Il Regolamento “Roma I”, al suo art. 4F, stabilisce che la legge che regola<br />

il contratto di distribuzione è quella del paese nel quale il distributore ha<br />

la residenza abituale ( 6 ).<br />

( 4 ) Occorre evidenziare che il Regolamento CE n. 593 del 2008 (detto Regolamento “Roma<br />

I”) si applica solo ai contratti conclusi dopo il 17 dicembre 2009; peraltro, per i contratti<br />

conclusi anteriormente la disciplina della Convenzione di Roma, così come interpretata dalla<br />

giurisprudenza, risulta identica a quella stabilita dal Regolamento (ad eccezione della giurisprudenza<br />

francese che in passato ha avuto la tendenza a localizzare il contratto di distribuzione<br />

nel paese del fabbricante).<br />

( 5 ) L’art. 57 della legge di diritto internazionale privato italiano ribadisce ciò che era già<br />

stato riconosciuto con la sottoscrizione da parte dell’<strong>Italia</strong> della Convenzione di Roma:<br />

“1. Le obbligazioni contrattuali sono in ogni caso regolate dalla Convenzione di Roma del 19<br />

giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali resa esecutiva con la L. 18 dicembre<br />

1984, n. 975, senza pregiudizio delle altre convenzioni internazionali, in quanto applicabili”.<br />

( 6 ) Art. 4 Regolamento “Roma I”:<br />

“1. In mancanza di scelta esercitata ai sensi dell’articolo 3 e fatti salvi gli articoli da 5 a 8, la<br />

legge che disciplina il contratto è determinata come segue:<br />

a) il contratto di vendita di beni è disciplinato dalla legge del paese nel quale il venditore ha<br />

la residenza abituale;<br />

b) il contratto di prestazione di servizi è disciplinato dalla legge del paese nel quale il prestatore<br />

di servizi ha la residenza abituale;<br />

c) il contratto avente per oggetto un diritto reale immobiliare o la locazione di un immobile è<br />

disciplinato dalla legge del paese in cui l’immobile è situato;<br />

d) in deroga alla lettera c), la locazione di un immobile concluso per uso privato temporaneo<br />

per un periodo di non oltre sei mesi consecutivi è disciplinata dalla legge del paese nel quale il proprietario<br />

ha la residenza abituale, purché il locatario sia una persona fisica e abbia la sua residenza<br />

abituale nello stesso paese;<br />

e) il contratto di affiliazione (franchising) è disciplinato dalla legge del paese nel quale l’affiliato<br />

ha la residenza abituale;<br />

f) il contratto di distribuzione è disciplinato dalla legge del paese nel quale il distributore ha<br />

la residenza abituale;<br />

g) il contratto di vendita di beni all’asta è disciplinato dalla legge del paese nel quale ha luogo<br />

la vendita all’asta, se si può determinare tale luogo;<br />

h) il contratto concluso in un sistema multilaterale che consente o facilita l’incontro di interessi<br />

multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, quali definiti all’articolo<br />

4, paragrafo 1, punto 17, della direttiva 2004/39/CE, conformemente a regole non discrezionali<br />

e disciplinato da un’unica legge, è disciplinato da tale legge.<br />

2. Se il contratto non è coperto dal paragrafo 1 o se gli elementi del contratto sono contemplati<br />

da più di una delle lettere da a) ad h), del paragrafo 1, il contratto è disciplinato dalla legge<br />

del paese nel quale la parte che deve effettuare la prestazione caratteristica del contratto ha la residenza<br />

abituale.<br />

3. Se dal complesso delle circostanze del caso risulta chiaramente che il contratto presenta


322 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Per quel che concerne la nostra analisi dovrà, quindi, farsi riferimento<br />

alla legislazione francese per individuare il luogo di esecuzione dell’obbligazione<br />

oggetto di giudizio e, di conseguenza, il foro competente.<br />

La dottrina più attenta sottolinea che “la scelta di raccordare la giurisdizione<br />

alla singola obbligazione dedotta in giudizio, anziché al rapporto contrattuale<br />

considerato nel suo insieme, implica la possibilità che, in relazione al<br />

medesimo accordo, risultino competenti tanti giudici di Stati diversi quante sono<br />

le obbligazioni nascenti dal rapporto” ( 7 ).<br />

Per quanto riguarda l’ipotesi di una domanda di risoluzione del contratto<br />

di distribuzione proposta da una società con sede in <strong>Italia</strong>, i giudici del<br />

Palazzaccio hanno escluso la giurisdizione italiana quando il distributore<br />

abbia residenza in Francia ed operi sul territorio francese ( 8 ).<br />

In conclusione si può affermare che un fabbricante italiano, che intende<br />

recedere da un rapporto di distribuzione con una controparte residente in<br />

Francia senza aver pattutito alcunchè in ordine al diritto applicabile al contratto<br />

ed al foro competente, dovrà attendersi, in caso di contenzioso, di vedere<br />

applicato il diritto francese e di essere chiamato in causa innanzi ad un<br />

tribunale francese.<br />

Una volta individuato il giudice competente in base ai criteri sopra de-<br />

collegamenti manifestamente più stretti con un paese diverso da quello indicato ai paragrafi 1 o 2,<br />

si applica la legge di tale diverso paese.<br />

4. Se la legge applicabile non può essere determinata a norma dei paragrafi 1 o 2, il contratto<br />

è disciplinato dalla legge del paese con il quale presenta il collegamento più stretto”.<br />

( 7 ) Franzina, La giurisdizione in materia contrattuale. L’art. 5 n. 1 del Regolamento n.<br />

44/2001/CE nella prospettiva dell’armonia delle decisioni, Padova, 2006, p. 28. Per la competenza<br />

di due giudici diversi (francese in materia di indennità di preavviso per rottura abusiva<br />

del contratto ed olandese per l’indennità di fine rapporto) nell’ambito di un medesimo contratto<br />

di distribuzione cfr. Cass. comm. fr., 8 febbraio 2000, n. 97-17388. La giurisprudenza della<br />

Corte CE ritiene che tutte le domande devono essere riunite innanzi al giudice competente<br />

per l’obbligazione principale, ma ciò determina a volte una serie di problematiche connesse<br />

all’individuazione di quale sia effettivamente l’obbligazione principale (cfr. Corte CE, 15<br />

gennaio 1987, Shenavai, causa C-266/85).<br />

( 8 ) Cass., sez. un., 27 febbraio 2008, n. 5091, Id., 17 luglio 2008 n. 19603 e Id., 30 giugno<br />

1999, n. 366: “nel caso di controversia tra una società italiana ed una società avente sede in Francia,<br />

legate da un contratto di concessione di vendita in esclusiva, che prevede la fornitura di macchinari<br />

da parte della società italiana in favore della società francese, con l’obbligazione di quest’ultima<br />

di vendere i macchinari in un certo territorio della Francia, poiché l’obbligazione nascente<br />

dalla concessione deve essere eseguita in Francia, in applicazione del suddetto criterio di<br />

collegamento, la cognizione della domanda di risoluzione del contratto proposta contro la società<br />

francese è sottratta alla giurisdizione del giudice italiano” (idem Cass., sez. un., 5 settembre<br />

1986, n. 5438; Id., 20 marzo 1986, n. 1971; Id., 20 dicembre 1982, n. 7040 e per l’applicazione<br />

dello stesso criterio in un caso opposto Cass., sez. un., 6 agosto 1998, n. 7714).


SAGGI 323<br />

scritti occorre stabilire quale fra la normativa francese e quella italiana è applicabile<br />

al contratto di distribuzione e regola, quindi, il diritto di recesso.<br />

3. – La risoluzione dei contratti di distribuzione, ed in generale dei contratti<br />

commerciali, è regolata dagli artt. 1134 del code civil e L 442-6, I, 5° del<br />

code de commerce.<br />

Per semplificare si può dire che l’art. 1134 del code civil punisce l’abuso<br />

del diritto di rompere un contratto, mentre l’art. L 442-6, I, 5° del code de<br />

commerce sanziona l’assenza del rispetto di un preavviso sufficiente.<br />

A quest’ultima norma la giurisprudenza ha riconosciuto carattere di ordine<br />

pubblico ( 9 )e ciò determina sul piano della contrattualistica internazionale<br />

due conseguenze rilevanti.<br />

In primo luogo, tale disposizione non potrà mai essere derogata se il<br />

contratto risulta sottoposto alla legge francese ed ogni clausola contraria<br />

sarà ritenuta nulla.<br />

Secondariamente, anche qualora la legge applicabile al contratto, designata<br />

dalle parti, sia una legge straniera (italiana o altra) tale norma imperativa<br />

dovrà essere applicata ogni volta in cui il giudice competente della risoluzione<br />

di una controversia sia quello francese.<br />

Partendo dal principio dell’inderogabilità delle norme di ordine pubblico<br />

internazionale si potrebbe, inoltre, eventualmente considerare che l’art.<br />

L 442-6, I, 5° del code de commerce fa parte dell’ordine pubblico internazionale<br />

e, quindi, deve essere applicato anche nel caso di competenza di un<br />

giudice straniero.<br />

4. – Nel procedere ad una compiuta analisi delle condizioni di recesso<br />

dal contratto di distribuzione previste dalla normativa francese occorre, innanzitutto,<br />

operare un distinguo tra contratti a tempo determinato ed indeterminato.<br />

Le regole applicabili e le possibilità offerte alla parte che intende<br />

liberarsi dal vincolo contrattuale sono, infatti, differenti a seconda della durata<br />

determinata o meno dell’accordo.<br />

a) I contratti di distribuzione a tempo determinato<br />

Secondo il regime di diritto comune non è possibile sciogliere unilateralmente<br />

un contratto a tempo determinato prima della sua scadenza.<br />

Questo principio risulta dalla forza obbligatoria delle pattuizioni contrattuali<br />

che determina il rispetto del termine convenuto ( 10 ).<br />

( 9 ) Cass. comm. fr., 21 ottobre 2008, n. 07-12336, App. Versailles, 14 ottobre 2004.<br />

( 10 ) Simler, L’article 1134 du Code civil et la résiliation unilatérale des contrats à durée déterminée,<br />

in JCP G, 1971, p. 2413.


324 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Di regola, quindi, è la scadenza del termine a segnare la fine delle obbligazioni<br />

reciproche delle parti in quanto è solo a questo punto che ciascuno<br />

dei contraenti riacquista la propria libertà negoziale e potrà scegliere, senza<br />

alcun obbligo di motivazione, se rinnovare o meno il contratto ( 11 ).<br />

Il divieto di sciogliere unilateralmente un contratto a tempo determinato<br />

prima della scadenza trova, però, un’eccezione nei contratti intuitu personae<br />

e nelle ipotesi di forza maggiore o colpa grave dell’altra parte ( 12 ).<br />

Ciascun contraente ha, infatti, il diritto di recedere, senza rispetto di alcun<br />

termine di preavviso ( 13 ), nel caso di cambiamento della persona dell’altro<br />

contraente quando l’identità di questa persona sia un elemento essenziale<br />

del contratto e nel caso di gravi mancanze dell’altra parte che rendano<br />

impossibile la continuazione del rapporto ( 14 ).<br />

Per fornire alcuni esempi tratti dalla giurisprudenza, un fornitore ha diritto<br />

di recedere, senza preavviso, da un contratto quando il concessionario<br />

arrivi alla metà della sua durata senza aver realizzato alcuna vendita di un<br />

prodotto ben commercializzato al di fuori del suo territorio di riferimento<br />

( 15 )o rifiuti sistematicamente di pagare gli importi dovuti ( 16 ).<br />

Viceversa, non è stato considerato gravemente colposo il comportamento<br />

di un concessionario che si rifiuti di fornire al fornitore le informazioni<br />

richieste sulla clientela ( 17 ).<br />

Terminata l’analisi della disciplina dei contratti a tempo determinato occorre<br />

passare ad esaminare in quali casi e con quali modalità è possibile recedere<br />

da quelli a tempo indeterminato.<br />

b) Il recesso dagli accordi di distribuzione a tempo indeterminato<br />

( 11 ) I giudici francesi si sono domandati se il soggetto che non intende proseguire nel rapporto<br />

economico deve comunicare tale volontà, rispettando un termine di preavviso, e la risposta<br />

non è stata unanime. Secondo una prima corrente, il diritto a non rinnovare un contratto<br />

a tempo determinato arrivato alla sua scadenza non può in alcun modo essere sottoposto<br />

al rispetto di un termine di preavviso, e ciò neppure nel caso di rinnovi taciti anteriori<br />

(App. Parigi, 12 gennaio 2005). Un’altra interpretazione ha invece condotto considerare che<br />

nell’ipotesi di molteplici e successivi rinnovi, si sia instaurata una relazione commerciale stabile<br />

che permette di qualificare il mancato rinnovo improvviso come una rottura brutale dei<br />

rapporti commerciali (App. Nancy, 10 marzo 2003).<br />

( 12 ) Come, per esempio, il caso della revoca del mandato di cui all’art. 2003 del code civil.<br />

( 13 ) Cass. comm. fr., 8 marzo 1967, n. 64-11531, in JCP G, 1968, II, p. 15346.<br />

( 14 ) Cass. 1 civ. fr., 28 ottobre 2003, n. 01-03.662, Cass. 1 civ. fr., 20 febbraio 2001, n. 99-<br />

15.170.<br />

( 15 ) Cass. comm. fr., 8 giugno 1999, n. 96-19.145.<br />

( 16 ) App. Colmar, 23 marzo 1979, in JCP G, 1979, IV, p. 335.<br />

( 17 ) App. Parigi, 25 novembre 1986.


SAGGI 325<br />

Secondo il diritto comune francese ciascuna delle parti ha il diritto di recedere<br />

in ogni tempo, anche parzialmente, da un contratto a tempo indeterminato,<br />

senza dover versare alcuna indennità e senza dover addurre alcun<br />

motivo, a patto che non ponga fine al rapporto commerciale bruscamente<br />

o abusivamente ( 18 ).<br />

È necessario, quindi, analizzare separatamente le ipotesi in cui una rottura<br />

contrattuale debba essere considerata brutale e quelle in cui debba essere<br />

considerata abusiva.<br />

La rottura brutale di una relazione commerciale<br />

In base a quanto previsto dall’art. L 442-6, I, 5° del code de commerce ( 19 )<br />

la parte che vuole rompere una relazione commerciale stabile deve informare<br />

l’altra parte per iscritto della sua decisione e concederle un preavviso<br />

proporzionato alla durata della relazione e conforme a quanto previsto dagli<br />

accordi interprofessionali e dagli usi commerciali ( 20 ).<br />

Prima di esaminare la durata del termine di preavviso occorre individuare<br />

quali sono le relazioni commerciali stabili, cui questo preavviso va riferito<br />

e che cosa si intende per “rottura” di queste relazioni.<br />

1) Quando una relazione commerciale è considerata stabile<br />

( 18 ) Cass. comm. fr., 14 marzo 2000, n. 97-15.981.<br />

( 19 ) Art. L 442-6, I, 5° del code de commerce:<br />

«I. – Engage la responsabilité de son auteur et l’oblige à réparer le préjudice causé le fait, par<br />

tout producteur, commerçant, industriel ou personne immatriculée au répertoire des métiers:<br />

5° De rompre brutalement, même partiellement, une relation commerciale établie, sans préavis<br />

écrit tenant compte de la durée de la relation commerciale et respectant la durée minimale de<br />

préavis déterminée, en référence aux usages du commerce, par des accords interprofessionnels.<br />

Lorsque la relation commerciale porte sur la fourniture de produits sous marque de distributeur,<br />

la durée minimale de préavis est double de celle qui serait applicable si le produit n’était pas fourni<br />

sous marque de distributeur. A défaut de tels accords, des arrêtés du ministre chargé de l’économie<br />

peuvent, pour chaque catégorie de produits, fixer, en tenant compte des usages du commerce,<br />

un délai minimum de préavis et encadrer les conditions de rupture des relations commerciales,<br />

notamment en fonction de leur durée. Les dispositions qui précèdent ne font pas obstacle à la faculté<br />

de résiliation sans préavis, en cas d’inexécution par l’autre partie de ses obligations ou en cas<br />

de force majeure. Lorsque la rupture de la relation commerciale résulte d’une mise en concurrence<br />

par enchères à distance, la durée minimale de préavis est double de celle résultant de l’application<br />

des dispositions du présent alinéa dans les cas où la durée du préavis initial est de moins de six<br />

mois, et d’au moins un an dans les autres cas ».<br />

( 20 ) La dottrina ha considerato che la redazione del codice imponga di rispettare il termine<br />

di preavviso più lungo tra quello determinato in applicazione del criterio della durata commerciale<br />

e quello previsto dagli accordi interprofessionali, in particolare nella parte in cui l’articolo<br />

prevede che il preavviso deve tener conto: «de la durée de la relation commerciale et respectant<br />

la durée minimale de préavis déterminée par des accords interprofessionnels ».


326 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

La giurisprudenza considera che l’espressione “relation commerciale<br />

établie” concerne ogni rapporto commerciale, anche non contrattuale, connesso<br />

all’attività di produzione, distribuzione o prestazione di servizi ( 21 ).<br />

Per determinare quando tale relazione è stabile la giurisprudenza ha fatto<br />

riferimento ad una serie di criteri indicativi.<br />

Innanzitutto una particolare attenzione è stata rivolta alla sua durata,<br />

primo indice della permanenza di un legame economico tra due società ( 22 ).<br />

Sono stati, inoltre, valutati:<br />

- il flusso regolare degli ordini ( 23 );<br />

- gli investimenti realizzati in una prospettiva di sviluppo delle relazioni<br />

( 24 );<br />

- l’evoluzione della cifra d’affari realizzata tra le parti ( 25 );<br />

- la continuità del rapporto commerciale: in quest’ottica il fatto di partecipare<br />

regolarmente per diversi anni ad una fiera professionale, data la sua<br />

intermittenza, non è stato considerato sufficiente per determinare la presenza<br />

di una relazione stabile ( 26 ).<br />

2) Che cosa si intende per “rottura” di una relazione commerciale<br />

L’art. L 442-6, I, 5° del code de commerce stigmatizza il fatto di rompere<br />

brutalmente “anche parzialmente” una relazione commerciale.<br />

Questa norma permette, quindi, di applicare le proprie disposizioni anche<br />

nel caso di recesso parziale dal rapporto economico che si può verificare<br />

qualora una parte diminuisca il proprio volume di ordini ovvero cessi gli<br />

ordini relativi ad un determinato prodotto o ad una determinata gamma di<br />

prodotti o non rinnovi il volume degli ordini precedenti. Se il calo degli or-<br />

( 21 ) Con il termine relazione si fa riferimento sia ai rapporti contrattuali, sia a quelli precedenti<br />

e successivi la sottoscrizione di un accordo e sia quelli che non si inseriscono in un vero<br />

contratto quadro ma che possono comunque essere ricondotti ad una relazione d’affari, in<br />

quanto concernono dei rapporti commerciali con la clientela (cfr. Cass. comm. fr., 17 marzo<br />

2004, n. 02-14751 e Lachieze, La rupture des relations commerciale à la croisée du droit commun<br />

et du droit de la concurrence , in JCP, éd. E, 2004, p. 1815). Cfr. anche Trib. Comm. Avignon,<br />

25 giugno 1999, App. Versailles, 10 giugno 1999 e App. Douai, 15 marzo 2001.<br />

( 22 ) Il Tribunale di Avignone ha ritenuto stabile un rapporto commerciale perdurante da<br />

5 anni (sent. 25 giugno 1999, in Dalloz aff., act. Jur., 1999, p. 19, obs. EP), mentre cinque ordini<br />

inviati nell’arco di tempo di 6 mesi non sono stati considerati sufficienti a definire come stabile<br />

una relazione (Cass. comm. fr., 25 aprile 2006, n. 02-19577, Cass. comm. fr., 18 dicembre<br />

2007, n. 06-10390).<br />

( 23 ) App. Versailles, 18 novembre 2004.<br />

( 24 ) Meffre, 36° 5 le matin ou de la brutalité dans les relations commerciales, in Dalloz aff.,<br />

1999, p. 1143.<br />

( 25 ) App. Montpellier, 11 agosto 1999, Dalloz aff., act. jur., 1999, p. 28, obs. EP.<br />

( 26 ) Cass. com., 16 dicembre 2009 n° 08-19-200, in Rjda n. 1/10 n° 81.


SAGGI 327<br />

dini è giustificato dal disinteresse del consumatore al prodotto venduto,<br />

non ci si trova nell’ipotesi di recesso parziale ma nella semplice modifica del<br />

rapporto contrattuale. Un altro caso di recesso parziale è stata individuata in<br />

una modificazione delle condizioni tariffarie ( 27 ).<br />

Una volta compiuta l’analisi del concetto di relazione stabile a cui la disciplina<br />

della brusca rottura può essere applicata, si deve passare ad analizzare<br />

quale durata debba avere il termine di preavviso che la parte recedente<br />

deve concedere all’altra per non incorrere in tale sanzione.<br />

3) Quanto deve essere lungo il preavviso che la parte che intende recedere<br />

deve concedere all’altra<br />

La Suprema Corte ha chiaramente sancito che la funzione del preavviso<br />

è quella di permettere al contraente che subisce il recesso di riorganizzare<br />

la propria attività ( 28 ). Il periodo di tempo concessogli prima della<br />

fine del rapporto commerciale può quindi consentire all’altra parte per<br />

esempio di trovare nuovi sbocchi alla propria produzione o di smaltire lo<br />

stock.<br />

Preavviso e riorganizzazione dell’altro contraente sono, quindi, intimamente<br />

legate: la dottrina ha correttamente evidenziato che la regola prevista<br />

dall’art. L 442-6, I, 5° del code de commerce ha come legittima preoccupazione<br />

quella di evitare che la vittima del recesso subisca un pregiudizio importante<br />

( 29 ).<br />

Per quanto concerne la durata di tale preavviso, il codice del commercio<br />

francese stabilisce che si deve tenere conto della durata del rapporto<br />

commerciale ( 30 ) ma accanto a tale criterio la giurisprudenza ne ha individuati<br />

altri, tenendo conto delle diverse circostanze proprie di ciascun contratto.<br />

In questo senso l’importanza finanziaria delle relazioni anteriori ( 31 ), la<br />

presenza di una clausola di esclusività, la dipendenza economica di una delle<br />

parti ( 32 ), o ancora la presenza di investimenti consistenti sono fattori che<br />

( 27 ) App. Versailles, 6 marzo 2003.<br />

( 28 ) Cass. comm. fr., 9 marzo 2010, n. 08-21.055, App. Lione, 7 gennaio 2010.<br />

( 29 ) Azema, La durée des contrats successifs,These LGDJ 1969, n. 228.<br />

( 30 ) La Suprema Corte ha ritenuto che un preavviso di due mesi nel caso di una lunga durata<br />

del rapporto contrattuale possa qualificare la rottura come “brusca” (Cass. comm. fr., 9<br />

marzo 1976, n. 74-10.889 e Id., 28 febbraio 1995, n. 93-14437).<br />

( 31 ) Cass. comm. fr., 16 febbraio 1988, n. 86-16207.<br />

( 32 ) Il tribunale commerciale di Parigi ha recentemente ritenuto integrato un abuso della<br />

relazione di dipendenza del distributore in un caso in cui era stata provata la concomitanza di<br />

una serie di elementi quali: un’instabilità relazionale di una parte rispetto all’altra, una pressione<br />

continua sui prezzi realizzata dal fornitore dietro minaccia della risoluzione del con-


328 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

devono essere tenuti in conto nel momento in cui si deve stabilire la durata<br />

del preavviso.<br />

A fini esclusivamente esemplificativi si può tracciare, in linea assolutamente<br />

approssimativa, un quadro di riferimento generale, tratto dalle decisioni<br />

giurisprudenziali, circa la durata minima e ragionevole di un periodo<br />

di preavviso in relazione alla durata del rapporto commerciale.<br />

Durata relazione Durata preavviso Decisioni<br />

Più di 10 anni Da 12 a 18 mesi App. Angers 24 gennaio 2006,<br />

App. Aix en Provence 7 settembre<br />

2006, App. Montpellier 24<br />

gennaio 2006, App. Paris 15 maggio<br />

2008, 8 gennaio 2009, 22 gennaio<br />

2009 e 17 giugno 2009, App.<br />

Douai 6 luglio 2009<br />

Da 6 a 10 anni Da 6 a 12 mesi App. Nancy 10 marzo 2004, App.<br />

Paris 20 aprile 2005, App. Paris 16<br />

novembre 2005 e 28 ottobre 2005,<br />

App. Paris 17 ottobre 2008, App.<br />

Rennes 16 gennaio 2009 e 3 novembre<br />

2009<br />

Da 1 anno a 5 anni Da 3 mesi a 6 mesi App. Versailles 20 febbraio 2003 e<br />

6 marzo 2003, App. Rennes 9 settembre<br />

2003, Cass. comm. fr. 12<br />

maggio 2004 n. 01-12.865, App.<br />

Paris 10 dicembre 2008, 24 giugno<br />

2009, App. Lione 4 giugno 2009<br />

Si evidenzia che in una recente decisione la Corte di Cassazione francese<br />

ha stabilito che incombe sul giudice l’obbligo di valutare la congruità del<br />

termine concesso all’altro contraente anche quando questo è previsto contrattualmente<br />

( 33 ).<br />

Analizzata la durata del termine di preavviso che la società che intende<br />

recedere deve rispettare, si devono esaminare le conseguenze connesse al<br />

mancato rispetto di tale preavviso, con particolare riferimento alla natura<br />

della responsabilità del contraente che recede bruscamente ed alle sanzioni<br />

ad essa collegate.<br />

tratto e il rifiuto costantemente opposto da questi ad una rivalutazione delle tariffe applicate<br />

al distributore (Trib. comm. Paris, 24 giugno 2009, n. 200706678); cfr. anche App. Paris, 8 dicembre<br />

1994, Cass. comm. fr., 15 giugno 2010, n. 09-66.761, Cass. comm. fr., 19 settembre 2006,<br />

n. 03-16.629.<br />

( 33 ) Cass. comm. fr., 2 dicembre 2008, n. 08-10731, “le respect de préavis prévu au contrat<br />

n’est pas suffisant pour exonérer l’auteur de la rupture du manquement de brusque rupture qui lui<br />

est impute par le concessionnaire”, Cass. comm. fr., 12 maggio 2004, in JCP E, 2004, I, p. 1393.


SAGGI 329<br />

4) La responsabilità della parte che recede brutalmente dal contratto è<br />

contrattuale o extracontrattuale<br />

Secondo la giurisprudenza dominante, la parte che recede brutalmente<br />

risponderà del danno arrecato all’altro contraente in via extracontrattuale<br />

( 34 )e l’attore potrà scegliere quale foro adire tra quello del luogo dove<br />

il convenuto ha il suo domicilio, quello del luogo del fatto causativo di danno<br />

o ancora quello del luogo dove il danno si è prodotto e ciò anche in presenza<br />

di una clausola contrattuale che preveda un tribunale diverso ( 35 ).<br />

Il carattere extracontrattuale della responsabilità comporta che essa sarà<br />

valutata in base alla legge che era in vigore il giorno in cui il danno si è verificato<br />

e che la legge applicabile a tale tipo di responsabilità, in mancanza di<br />

scelta ed in base a quanto stabilito da Regolamento CE n. 864/2007 (cd. Regolamento<br />

“Roma II”) ( 36 ), sarà quella dello Stato del luogo in cui il danno<br />

si è prodotto ( 37 ).<br />

Con due recenti decisioni la Corte di Cassazione francese ha ammesso<br />

la validità delle clausole attributive di competenza anche in presenza di tale<br />

carattere extracontrattuale della responsabilità per recesso brutale, quando<br />

la clausola attributiva della competenza riguardi tutte le controversie derivanti<br />

dal contratto ( 38 ).<br />

( 34 ) Cass. comm. fr., 6 febbraio 2007, n. 04-13.178, Cass. comm. fr., 13 gennaio 2009, n.<br />

08.13971.<br />

( 35 ) Cass. comm. fr., 21 ottobre 2008, n. 07-12.336, Cass. comm. fr., 11 maggio 2010, n. 09-<br />

10797.<br />

( 36 ) Regolamento CE n. 864/2007 (cd. Regolamento “Roma II”)<br />

Art. 14 «1. Le parti possono convenire di sottoporre l’obbligazione extracontrattuale ad una<br />

legge di loro scelta: a) con un accordo posteriore al verificarsi del fatto che ha determinato il danno;<br />

o b) se tutte le parti esercitano un’attività commerciale, anche mediante un accordo liberamente<br />

negoziato prima del verificarsi del fatto che ha determinato il danno.<br />

La scelta è espressa o risulta in modo non equivoco dalle circostanze del caso di specie e non<br />

pregiudica i diritti dei terzi.<br />

2. Qualora tutti gli elementi pertinenti alla situazione siano ubicati, nel momento in cui si verifica<br />

il fatto che determina il danno, in un paese diverso da quello la cui legge è stata scelta, la<br />

scelta effettuata dalle parti non pregiudica l’applicazione delle disposizioni alle quali la legge di<br />

tale diverso paese non permette di derogare convenzionalmente.<br />

3. Qualora tutti gli elementi pertinenti alla situazione siano ubicati, nel momento in cui si verifica<br />

il fatto che determina il danno, in uno o più Stati membri, la scelta di una legge applicabile<br />

diversa da quella di uno Stato membro ad opera delle parti non pregiudica l’applicazione delle disposizioni<br />

del diritto comunitario, se del caso, nella forma in cui sono applicate nello Stato membro<br />

del foro, alle quali non è permesso derogare convenzionalmente ».<br />

( 37 ) Cass. comm. fr., 21 ottobre 2008, n. 07-12336.<br />

( 38 ) Cass. comm. fr., 9 marzo 2010, n. 09-10216 e Cass. 1 civ. fr., 8 luglio 2010, n. 09-67013.


330 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

5) Come viene calcolato l’indennizzo per la brusca rottura contrattuale<br />

La riparazione del danno per la brusca rottura del contratto normalmente<br />

viene fatta per equivalente, anche se si deve evidenziare che in alcuni<br />

casi la Corte di Cassazione ha ammesso che il giudice “des référés” possa<br />

ordinare il mantenimento del contratto a titolo conservativo ( 39 ).<br />

L’autore della rottura considerata brutale potrà, quindi, essere condannato<br />

al risarcimento dei danni il cui ammontare è spesso elevato.<br />

La vittima del brusco recesso potrà chiedere il versamento degli importi<br />

corrispondenti sia al lucro cessante che al danno emergente correlati all’improvvisa<br />

rottura del contratto.<br />

Per valutare il mancato guadagno la Cassazione francese assume come<br />

riferimento il margine lordo che avrebbe realizzato la vittima dell’indebito<br />

recesso sulla cifra d’affari legata al contratto ormai sciolto ( 40 ). In applicazione<br />

di questo principio la giurisprudenza ha, quindi, spesso provveduto a<br />

moltiplicare la durata del preavviso che avrebbe dovuta essere rispettata per<br />

la media del margine mensile realizzato nell’anno precedente a quello del<br />

recesso ( 41 ).<br />

Per quanto concerne il danno emergente le richieste delle vittime della<br />

rottura sono molto diverse e l’indennizzo risulta più difficile da valutare. In<br />

quest’ottica possono, se provati, essere risarciti il pregiudizio morale e la<br />

perdita dell’immagine ( 42 ), gli investimenti non ammortizzati ( 43 ) ed i costi<br />

della ristrutturazione della società ( 44 ), o ancora l’eventuale diminuzione o<br />

la cessazione dell’attività dell’<strong>impresa</strong> ( 45 ).<br />

In quest’ordine di considerazioni si pone la problematica relativa alla sorte<br />

dello stock nel caso in cui il distributore abbia acquistato i prodotti in vista<br />

di una loro futura rivendita o in esecuzione di un obbligo impostogli contrattualmente<br />

dal fornitore ( 46 ). In tali casi, infatti, questi avrà obiettive difficoltà<br />

nel commercializzare le rimanenze alla fine del contratto, soprattutto se nel<br />

frattempo il fornitore ha concluso un altro contratto di esclusiva.<br />

Una parte della dottrina francese ha, quindi, posto a carico del fornitore<br />

( 39 ) Cass. 1 civ. fr., 7 novembre 2000, Cass. 1 civ. fr., 29 maggio 2001.<br />

( 40 ) Cass. comm. fr., 3 dicembre 2002, n. 99-19822.<br />

( 41 ) Nel caso di contratti di lunga durata hanno preso come riferimento la cifra d’affari<br />

realizzata nei precedenti 3 anni.<br />

( 42 ) Trib. comm. Paris, 2 aprile 1999.<br />

( 43 ) Cass. comm. fr., 5 aprile 1994, n. 92-17.278.<br />

( 44 ) App. Douai, 15 marzo 2001.<br />

( 45 ) App. Douai, 15 marzo 2001, Cass. comm. fr., 23 aprile 2003, n. 01-11664.<br />

( 46 ) Cass. comm. fr., 18 gennaio 1972, n. 69-14.696.


SAGGI 331<br />

l’obbligo di riacquistare lo stock, facendo perno sulle disposizioni di ordine<br />

pubblico di cui agli artt. 1626 ss. del code civil che prevedono la garanzia per<br />

evizione dovuta dal venditore e ritenendo che il fornitore che ha venduto i<br />

propri prodotti al distributore debba, poi, astenersi dall’arrecare turbamento<br />

alla libera disposizione e godimento degli stessi ( 47 ).<br />

I giudici di merito hanno, invece, imposto al fornitore la ripresa dello<br />

stock sulla base di differenti considerazioni. La condanna del fornitore alla<br />

ripresa delle rimanenze è stata così giustificata da alcuni tribunali, riconducendo<br />

il contratto di distribuzione all’ipotesi del mandato ( 48 ). Altre pronunce,<br />

invece, hanno posto a carico di una parte piuttosto che di un’altra lo<br />

stock, ricorrendo alla valutazione della loro comune intenzione ( 49 ).<br />

La Suprema Corte francese ha condannato alla ripresa dello stock il fornitore<br />

che aveva receduto abusivamente o senza rispetto del termine di<br />

preavviso dal contratto ( 50 ), mentre ha escluso che questi dovesse farsi carico<br />

delle rimanenze nel caso in cui avesse messo fine al contratto in ragione<br />

delle colpe imputabili al distributore ( 51 )o quando avesse solo raccomandato<br />

ma non imposto la costituzione di tale stock ( 52 ).<br />

Sempre con riferimento al risarcimento del danno emergente, i giudici<br />

hanno fatto applicazione dell’articolo 1224-1 del codice del lavoro francese<br />

(equivalente all’art. 2112 del codice civile italiano) che prevede che, nel caso<br />

in cui si verifichi una variazione nella situazione giuridica del datore di lavoro<br />

per successione, vendita, fusione, trasformazione o apporto in società,<br />

tutti i contratti in essere al giorno della modificazione passano al nuovo titolare<br />

( 53 ).<br />

L’Assemblea Plenaria della Corte di Cassazione, nel precisare l’ambito<br />

di applicazione di tale principio, ha stabilito che esso rileva in presenza di<br />

una clausola di non concorrenza a carico del distributore: quando il contratto<br />

contiene una tale previsione, infatti, l’attività del distributore viene a<br />

( 47 ) Cabrillac, Les sort des stocks détenus par le revendeur lors de l’expiration de la concession<br />

de vente, in Dalloz Chr., 1964, p. 181.<br />

( 48 ) App. Parigi, 12 ottobre 1966.<br />

( 49 ) Così, per esempio, è stato in alcune ipotesi desunto dalle stipulazioni contrattuali che<br />

le merci erano state acquisite dal distributore sotto condizione risolutoria implicita in base alla<br />

quale esse sarebbero state rivendute al fornitore alla fine del contratto, cfr. Cass. comm. fr.,<br />

22 gennaio 1969, n. 66-14.566.<br />

( 50 ) Cass. comm. fr., 22 gennaio 1969, n. 66-14.566, Cass. comm. fr., 26 ottobre 1982, n. 81-<br />

12.360<br />

( 51 ) Cass. comm. fr., 8 marzo 1967, n. 64-11.531.<br />

( 52 ) Cass. comm. fr., 26 ottobre 1982, n. 81-12.360.<br />

( 53 ) Cass. soc. fr., 9 novembre 1982, n. 80-41.202.


332 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

cessare completamente al momento dello scioglimento dell’accordo e l’art.<br />

1224-1 del codice del lavoro potrà essere invocato dai lavoratori per obbligare<br />

il fornitore a procedere alla loro assunzione ( 54 ).<br />

Tale impostazione, nata con l’intento di avvantaggiare i lavoratori, ha finito<br />

però per essere spesso applicata in maniera aberrante. In casi di scioglimento<br />

di contratti di distribuzione non esclusiva gli impiegati sono stati incaricati<br />

di lavorare per metà tempo con il distributore e per l’altra metà con<br />

il nuovo incaricato dal fornitore. In altre ipotesi di recesso dai contratti di<br />

fornitura esclusiva i lavoratori sono stati sollevati dagli incarichi fino a quel<br />

momento assegnati dal distributore senza essere effettivamente licenziati,<br />

ma senza neppure essere presi alle dipendenze del vecchio fornitore o del<br />

nuovo distributore esclusivo da questi scelto.<br />

Sempre nell’ottica di fornire uno schema esemplificativo si fornisce una<br />

tabella con alcune decisioni recenti che hanno stabilito diversi indennizzi<br />

differenti per differenti ipotesi di brusca rottura delle relazioni commerciali.<br />

Fattispecie Risarcimento per brusca rottura Decisioni<br />

<strong>Contratto</strong> di fabbricazione<br />

esclusiva di etichette in corso<br />

da 5 anni, rottura per iniziativa<br />

del distributore, assenza<br />

di preavviso<br />

Preavviso ritenuto ragionevole:<br />

6 mesi, pregiudizio calcolato<br />

sulla perdita di margine<br />

nei 6 mesi di preavviso<br />

non rispettato. Margine fissato<br />

App. Rennes 22 gennaio 2009<br />

al 15% della cifra d’affari<br />

in assenza di un documento<br />

giustificativo<br />

<strong>Contratto</strong> di edizione di brochures<br />

pubblicitarie in corso<br />

da 18 anni, assenza di prevviso<br />

scritto<br />

<strong>Contratto</strong> di fornitura esclusiva<br />

di estratti pastorizzati di<br />

piante perdurante da 5 anni,<br />

assenza di contratto scritto<br />

<strong>Contratto</strong> di distribuzione di<br />

materie prime perdurante da<br />

5 anni, rottura da parte del<br />

fornitore, preavviso di un<br />

mese e mezzo<br />

Preavviso ritenuto ragionevole:<br />

un anno e mezzo, indennizzo<br />

del pregiudizio fissato<br />

nel margine lordo degli<br />

ultimi 3 anni, più risarcimento<br />

del danno morale<br />

Durata del preavviso ritenuta<br />

ragionevole: 3 mesi, risarcita<br />

la perdita ingiustificata<br />

dello stock e degli investimenti,<br />

più indennizzo perdita<br />

della chance identificata<br />

nella percentuale della cifra<br />

d’affari realizzata con il recedente<br />

Durata del preavviso ritenuta<br />

ragionevole: 6 mesi, indennizzo<br />

del pregiudizio calcolato<br />

a partire dal margine lordo<br />

realizzato negli ultimi 3 anni<br />

( 54 ) Cass. ass. plen. fr.,15 novembre 1985, n. 82-40.301.<br />

App. Paris 22 gennaio 2009<br />

App. Nimes 12 febbraio 2009<br />

App. Lyon 4 giugno 2009


SAGGI 333<br />

Al fine di evitare il proliferare di decisioni discordanti in materia di rottura<br />

di una relazione stabile, il decreto n. 2009-1384 dell’11 novembre 2009<br />

ha individuato 8 tribunali commerciali competenti per tali cause, che si indicano<br />

nello schema sottostante.<br />

Sede del tribunale<br />

Marseille<br />

Bordeaux<br />

Lille<br />

Fort de France<br />

Nancy<br />

Paris<br />

Rennes<br />

Competenza (circondario della Corte di Appello)<br />

Aix en Provence, Bastia, Montpellier et Nîmes<br />

Agen, Bordeaux, Limoges, Pau et Toulouse<br />

Amiens, Douai, Reims e Rouen<br />

Basse-Terre e Forte de France<br />

Besançon, Colmar, Dijon, Metz e Nancy<br />

Bourges, Paris, Orléans, Saint Denis de la Réunion<br />

e Versailles<br />

Angers, Caen, Poitiers e Rennes<br />

Tutti gli appelli sono esaminati dalla Corte di Appello di Parigi.<br />

Dopo aver esaminato il recesso brutale dalle relazioni commerciali,<br />

per completezza dell’analisi ed in ultimo ricordiamo la definizione del recesso<br />

abusivo.<br />

Il recesso abusivo<br />

L’art. 1134 del codice civile francese fa divieto alla parte di recedere da<br />

un contratto abusando del suo diritto di rottura, ovvero, agendo in mala<br />

fede o con il solo scopo di nuocere all’altro contraente e di pregiudicare<br />

l’attività commerciale di quest’ultimo.<br />

L’abuso nel diritto di recesso può essere integrato anche nel caso in<br />

cui il termine di preavviso sia stato rispettato ( 55 ).<br />

La giurisprudenza ha considerato abusivo:<br />

- il rifiuto di sospendere l’applicazione di una clausola di esclusiva durante<br />

il periodo di preavviso, in modo da mettere a rischio l’esistenza dell’altro<br />

contraente ( 56 );<br />

- l’assunzione, in concomitanza con il recesso, di dipendenti dell’altra<br />

parte, attuata mediante la concessione di vantaggi esorbitanti in loro favore;<br />

- il comportamento incoerente di un fornitore che, dopo aver creato<br />

nel distributore un’aspettativa legittima di prosecuzione del contratto,<br />

( 55 ) Cass. comm. fr., 5 ottobre 1993, n. 91-10.408.<br />

( 56 ) Cass. comm. fr., 23 gennaio 2007, n. 04-16.779.


334 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

costringendolo a realizzare importanti investimenti, gli comunichi la propria<br />

intenzione di recedere dal contratto ( 57 ).<br />

Si può, quindi, considerare brutale la rottura di una relazione commerciale<br />

quando essa avviene senza alcun preavviso; abusiva quando essa risulta immotivata<br />

o fondata su una motivazione futile o non veritiera ( 58 ).<br />

( 57 ) Behar-Touchais e Virassamy, Les contrats de distribution, in LGDJ, 1999, n. 258, p.<br />

128.4.<br />

( 58 ) Cass. comm. fr., 6 maggio 2008, n. 07-11.735.


ROBERTO CIPPITANI<br />

Il concetto giuridico di sovvenzione nel diritto<br />

dell’Unione europea e nel diritto nazionale<br />

Sommario: 1. Individuazione del concetto di sovvenzione. – 2. Profili strutturali. – 3. La<br />

clausola di scopo. – 4. Distinzione tra sovvenzioni e appalti in base alle categorie civilistiche.<br />

– 5. Critica all’utilizzo dei concetti civilistici: interesse, obbligazioni e contratti. –<br />

6. L’assenza di corrispettività. —7. La gratuità. – 8. L’iniziativa nella domanda di sovvenzione.<br />

– 9. Il procedimento nella scelta del beneficiario. – 10. La modalità di erogazione<br />

del contributo. – 11. Il carattere associativo del rapporto di sovvenzione. – 12. Funzione<br />

delle sovvenzioni.<br />

1. – La letteratura giuridica ha cominciato a occuparsi di finanziamenti<br />

pubblici almeno da due secoli, ma è solo in tempi relativamente recenti che<br />

ci si è dedicati in modo sistematico ad approfondire gli aspetti legali del fenomeno<br />

( 1 ).<br />

Ciò soprattutto per l’accrescersi dell’importanza dei finanziamenti nazionali,<br />

quelli delle organizzazioni internazionali ( 2 ), e soprattutto dei programmi<br />

dell’Unione europea ( 3 ). Questi ultimi sono particolarmente interessanti,<br />

oltre che per il loro ruolo nel processo di integrazione europea ( 4 ),<br />

perché sono caratterizzati da una disciplina molto dettagliata, sia in senso<br />

generale (cfr. soprattutto il regolamento 1605/2002 del Consiglio e il regola-<br />

( 1 ) V., tra gli altri, Serrani, Lo Stato finanziatore, Milano, 1971.<br />

( 2 ) Le organizzazioni internazionali finanziatrici sono diverse: si pensi solo alle Agenzie<br />

dell’ONU, alla Banca Mondiale, alla Nato e alle organizzazioni culturali e scientifiche come il<br />

CERN, l’ESA, il Consiglio d’<strong>Europa</strong>. I finanziamenti, inoltre, possono essere accordati in base<br />

ad accordi intergovernativi; è il caso, in <strong>Europa</strong>, dei finanziamenti nel settore della cooperazione<br />

scientifica, di cui sono esempio i programmi EUREKA e COST. Per un quadro generale,<br />

v. Zaccaria, voce Finanziamento degli enti internazionali, in Enc. giur., vol. XIV, Roma,<br />

1989, p. 1 ss. Sulla cooperazione intergovernativa in materia scientifica e culturale cfr.<br />

Cippitani, L’<strong>Europa</strong> della conoscenza (la ricerca e l’educazione al centro della costruzione comunitaria),<br />

in Cultura dell’integrazione europea, a cura di Sediari,Torino, 2005, p. 81 ss.<br />

( 3 ) Cfr. Castaldi, voce Sovvenzioni, incentivi e finanziamenti pubblici, in Digesto, disc.<br />

priv., sez. comm., vol. XV, Torino, 1998, p. 84 ss., spec. p. 95 ss.; Padoin, I finanziamenti delle<br />

Comunità Europee. Organismi, competenze, procedure, destinatari, utilizzazioni, Roma, 1989.<br />

( 4 ) Ruberti, Il capitale immateriale, in Un nuovo partito della Sinistra, Forum della Sinistra,<br />

14 marzo 1997, in Università progetto, agosto-settembre 2000.


336 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

mento 2342/2002 della Commissione), sia con riguardo agli specifici programmi<br />

di finanziamento.<br />

In questo quadro non sempre i concetti giuridici utilizzati hanno un significato<br />

ben definito, sia nella letteratura giuridica, sia nella prassi ( 5 ).<br />

Qui si vuole approfondire, in particolare, il concetto di sovvenzione, che<br />

è una delle tecniche più utilizzate nei finanziamenti pubblici, ma non certo<br />

l’unica ( 6 ). I programmi di finanziamento ( 7 ) sono attuati anche attraverso<br />

mutui a tasso agevolato ( 8 ), appalti ( 9 ), partecipazioni ( 10 ), e altre tecniche<br />

ancora (per esempio premi, borse di studio, voucher, e così via).<br />

( 5 ) Tutti le voci dottrinali sul tema mettono in luce l’ambiguità delle espressioni utilizzate.<br />

V., per es., Carabba, voce Incentivi finanziari, in Enc. dir., vol. XX, Milano, 1970, p. 963.<br />

( 6 ) Gli strumenti di finanziamento possono essere diversi, come emergeva anche dal documento<br />

«Vade-mecum on Grant Management », versione 1° agosto 2000, della Commissione<br />

europea: «Commission spending (. . .) is broken down into the following categories: (a) Spending<br />

on personnel, (b) Loans and participations, (c) Procurement spending, i.e. purchasing on the<br />

market a service or product, as defined in the procurement Directives and the Financial Regulation,<br />

(d) Financial aid to promote a policy aim: (i) paid to the beneficiary directly by the Commission<br />

(“grant”, sometimes also called “financial contribution”, “subsidy” etc.), (ii) paid to the beneficiary<br />

indirectly via a Member State, via a foreign government, or via a body designated by a<br />

State, in the context of the decentralised management of Community activities (“transfer”) ».<br />

( 7 ) La possibilità di utilizzare una nozione generale in questo campo, indipendentemente<br />

dalla tecnica di finanziamento adottata, è confermata dal recente La subvention publique, le<br />

marché public et la délégation de service public. Mode d’emploi, del 1° marzo 2007, elaborato dal<br />

Ministère de la Jeunesse, des Sports et de la Vie associative, in collaborazione con il Ministère de<br />

l’Économie, des Finances et de l’industrie, Ministère de l’Intérieur, reperibile, tra l’altro, su<br />

http://www.associations.gouv.fr/article.php3id_article=485. Nel documento si utilizza il concetto<br />

generale di activités financières publiques, comprendente: « 1. la dépense publique (achats<br />

publics) résultant d’un contrat conclu entre l’autorité publique et un cocontractant sous la condition<br />

d’une contrepartie directe au profit de l’autorité administrative versante qui doit en principe<br />

donner lieu à la conclusion d’un marché public; 2. La dépense publique engagée à l’initiative d’une<br />

personne morale de droit public dans le cadre d’un contrat confiant à un tiers la gestion d’un<br />

service public dont elle a la responsabilité; 3. Le concours financier versé sans contrepartie équivalente<br />

pour la collectivité versante ».<br />

( 8 ) Cfr., per quanto riguarda i programmi comunitari, l’art. 160, par. 2, lett. a), reg.<br />

2342/2002.<br />

( 9 ) Tra gli esempi di politiche attuate attraverso i contratti di appalto, oltre che con lo strumento<br />

della sovvenzione: la cooperazione internazionale e l’assistenza alla preadesione. Riguardo<br />

a quest’ultima v. l’art. 121 del citato reg. 718/2007 della Commissione. V. anche il TA-<br />

CIS (reg. del Consiglio n. 1279/1996, relativo alle prestazioni di assistenza per la riforma e per<br />

il rilancio dell’economia dei Nuovi Stati Indipendenti e in Mongolia), che riguardava l’azione<br />

per la fornitura gratuita di prodotti agricoli destinati alle popolazioni dell’Armenia, della<br />

Georgia e di altri paesi (reg. del Consiglio n. 1975/95); la politica ambientale, come previsto<br />

dall’art. 5 del reg. 614/2007 che istituisce il programma Life+; la protezione civile, v. art. 6 del-


SAGGI 337<br />

Le definizioni di « sovvenzione » sono contenute nelle fonti sovranazionali<br />

e in alcuni ordinamenti nazionali.<br />

Nel diritto dell’Unione europea le sovvenzioni (grants, subventions, subvenciones,<br />

Finanzhilfen, subvenções, ecc.) sono definite dal regolamento del<br />

Consiglio n. 1605/2002 come « contributi finanziari diretti a carico del bilancio,<br />

accordati a titolo di liberalità, per finanziare (. . .): a) un’azione destinata<br />

a promuovere la realizzazione di un obiettivo che si iscrive nel quadro<br />

di una politica dell’Unione europea; b) oppure il funzionamento di un organismo<br />

che persegue uno scopo di interesse generale europeo o un obiettivo<br />

che si iscrive nel quadro di una politica dell’Unione europea ».<br />

Per quanto riguarda gli esempi tratti dai diritti nazionali, l’art. 2, comma<br />

1, della Ley General de Subvenciones spagnola stabilisce che: «Se entiende por<br />

subvención, a los efectos de esta ley, toda disposición dineraria realizada por<br />

cualesquiera de los sujetos contemplados en el artículo 3 de esta ley, a favor de<br />

personas públicas o privadas, y que cumpla los siguientes requisitos: a) Que la<br />

entrega se realice sin contraprestación directa de los beneficiarios. b) Que la<br />

entrega esté sujeta al cumplimiento de un determinado objetivo, la ejecución de<br />

un proyecto, la realización de una actividad, la adopción de un comportamiento<br />

singular, ya realizados o por desarrollar, o la concurrencia de una situación,<br />

debiendo el beneficiario cumplir las obligaciones materiales y formales que se<br />

hubieran establecido. c) Que el proyecto, la acción, conducta o situación financiada<br />

tenga por objeto el fomento de una actividad de utilidad pública o interés<br />

social o de promoción de una finalidad pública ».<br />

In Francia secondo la circolare «pour l’application du décret n° 97-1263<br />

du 29 décembre 1997 et relative à la présentation des demandes de subvention<br />

de fonctionnement pour l’année 2002 » una sovvenzione è «une aide financière<br />

versée par une collectivité publique pour des activités dont elle n’a pris ni l’initiative,<br />

ni la responsabilité, et qui ne constitue pas le prix d’une acquisition<br />

directe par cette collectivité de biens ou de services. Elle est accordée soit pour<br />

la decisione 2007/162; la ricerca e lo sviluppo tecnologico, v. per esempio l’art. 12 e il ventinovesimo<br />

considerando reg. CE n. 1906/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre<br />

2006 che stabilisce le regole per la partecipazione di imprese, centri di ricerca e università<br />

alle azioni nell’ambito del settimo programma quadro e per la diffusione dei risultati<br />

della ricerca (2007-2013); la politica dell’innovazione, v. art. 35 della citata decisione<br />

1639/2006; la politica della cultura, ai sensi del par. 1 dell’Allegato alla decisione 1855/2006; e<br />

così via. Sull’argomento degli appalti delle istituzioni comunitarie, v. Lauria, Appalti pubblici<br />

comunitari (Gli accordi internazionali in materia di), in Tratt. dir. amm. eur., diretto da Chiti<br />

e Greco, Parte speciale, Milano, 1997, p. 285.<br />

( 10 )Per i programmi comunitari, cfr. l’art. 160, par. 2, lett. b), reg. 2342/2002.


338 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

favoriser l’exécution d’un service public, soit à titre de secours ou de soutien si<br />

elle a un caractère de libéralité ».<br />

Nel diritto anglo-americano definizioni analoghe sono quelle riguardanti<br />

il «subsidy » che consiste in «A grant of money made by government in<br />

aid of the promoters of any enterprise, work, or improvement in which the government<br />

desires to participate, or which is considered a proper subject for government<br />

aid, because such purpose is likely to be of benefit to the public ». (v.<br />

Black’s Law Dictionary, V ed., 1979).<br />

In Canada la Guide on Grants, Contributions and Other Transfer Payments<br />

del Treasury Board of Canada Secretariat del luglio 2002 distingue<br />

«contributions », «grant », «flexible transfer payments (FTPs) », «alternative<br />

funding arrangement (AFAs) » e altre tipologie di trasferimenti pubblici<br />

(«other transfer payments OTPs »). In particolare i contribution sono «conditional<br />

transfer whereby specific terms and conditions must be met or carried out<br />

by a recipient before costs are reimbursed », mentre i grant sono «unconditional<br />

transfer payment where eligibility criteria and applications received in advance<br />

of payment sufficiently assure that the payment objectives will be met ».<br />

Il diritto italiano non conosce una definizione generale di sovvenzione.<br />

Sull’argomento si possono incontrare, oltre alle riflessioni dottrinali, documenti<br />

di prassi amministrativa, soprattutto dell’amministrazione finanziaria,<br />

e la normativa riguardante specifici finanziamenti pubblici.<br />

2. – Nelle definizioni contenute nel diritto comunitario e in quelle nazionali<br />

ricorrono alcuni elementi di carattere strutturale: la fonte, i soggetti<br />

coinvolti, l’oggetto.<br />

a) La fonte. Si osserva che le sovvenzioni sono previste da fonti di vertice<br />

dell’ordinamento giuridico ( 11 ). Al di là della questione se vi sia una riser-<br />

( 11 ) Alcuni programmi sono disciplinati da accordi internazionali; altri da accordi intergovernativi<br />

(si pensi a programmi di ricerca come COST ed EUREKA); altri programmi prevedono<br />

una disciplina, che trova origine in accordi tra Stati, che con difficoltà possono considerarsi<br />

trattati internazionali. È il caso dei nuovi programmi in materia di istruzione e formazione,<br />

che fanno riferimento al cosiddetto « processo di Bologna », basato sulla « Dichiarazione<br />

» del giugno 1999 e delle altre dichiarazioni che ne sono seguite. In altri tempi, la base giuridica<br />

dei programmi comunitari spesso fu dettata prima che la relativa materia fosse accolta<br />

nei Trattati. È il caso dei programmi di ricerca nei settori diversi dal nucleare. Prima che la ricerca<br />

divenisse una competenza comunitaria, in virtù dell’Atto unico nel 1987, vennero istituiti<br />

diversi programmi (tra i quali il Primo Programma Quadro nel 1984), attraverso « risoluzioni<br />

», emanate ai sensi dell’art. 235 Trattato CEE (oggi corrispondente all’art. 352 del Trattato<br />

sul Funzionamento dell’Unione Europea). È anche il caso dei programmi di istruzione<br />

della « prima generazione », emanati sulla scorta della giurisprudenza comunitaria (nelle cau-


SAGGI 339<br />

va di legge in questa materia ( 12 ), si constata che, nelle carte costituzionali<br />

moderne, alle pubbliche amministrazioni vengono attribuiti compiti promozionali<br />

in vari settori, in particolare attraverso forme di incentivazione.<br />

È il caso dei Trattati comunitari (dove molteplici sono i riferimenti all’attività<br />

promozionale da parte delle Istituzioni) e ovviamente delle Costituzioni<br />

nazionali (nella Costituzione italiana v., per es., gli artt. 2, 33, 38, 41, comma<br />

3, Cost.) ( 13 ). La disciplina di dettaglio delle sovvenzioni è poi contenuta<br />

in fonti legislative e sub-legislative.<br />

b) I soggetti. Vi sono fondamentalmente due soggetti coinvolti nel rapporto<br />

di sovvenzione: gli enti che erogano il finanziamento ed i beneficiari.<br />

I beneficiari possono essere soggetti di tipo diverso, sia pubblici, sia privati,<br />

a seconda di quanto stabilito dalle fonti legislative ( 14 ). I soggetti erogatori<br />

sono quasi sempre enti pubblici, di tipo assai diverso, come dimostrano l’esperienza<br />

comunitaria ( 15 ) e quelle nazionali ( 16 ). Ma la legge può attribuire<br />

se Gravier del 1985 e Blaizot del 1986), che ampliava la nozione di « formazione professionale<br />

», fino a comprendere l’istruzione di livello universitario.<br />

( 12 ) Sul tema del rapporto tra legge e sovvenzioni v. più approfonditamente Croci e Pericu,<br />

voce Sovvenzioni (diritto amministrativo), in Enc. dir., vol. XLIII, Milano, p. 243 ss., spec.<br />

p. 248 ss.; Carabba, voce Incentivi finanziari, cit., p. 964. Ritiene che si possa parlare di una riserva<br />

di legge per quanto riguarda la istituzione di aiuti finanziari, Manzella, Gli ausili finanziari,<br />

in Diritto amministrativo speciale, a cura di Cassese, t. 3, Finanza pubblica e privata.<br />

La disciplina dell’economia, Milano, 2000, p. 2861 ss. Sulla non configurabilità delle legge di<br />

incentivo come categoria particolare v. Benadusi, Attività di finanziamento pubblico: aspetti<br />

costituzionali ed amministrativi, in Riv. trim. dir. pubbl., 1966, p. 890 ss.<br />

( 13 ) Per uno studio sui principi costituzionali sull’incentivazione v. Guarino, Sul regime<br />

costituzionale delle leggi di incentivazione e di indirizzo, in Id., Scritti di diritto pubblico dell’economia<br />

e di diritto dell’energia, Milano, 1962, p. 125 ss.; sul diritto tedesco, vedi l’analisi di Nivarra,<br />

Il finanziamento pubblico delle imprese nella Repubblica Federale Tedesca, in Il finanziamento<br />

agevolato delle imprese. Profili giuridici, a cura di Mazzamuto, Milano, 1987, p. 25 ss.<br />

( 14 ) Nel caso di beneficiari di diritto pubblico, ci può essere l’esigenza di distinguere i programmi<br />

di finanziamento dai trasferimenti, come si evidenza nella giurisprudenza e nella<br />

dottrina spagnole. V., sul punto, Fernández Ferrares, El concepto de subvención y los ámbito<br />

objetivo y subjetivo de aplicación de la ley, in Comentario a la ley general de subvenciones, a cura<br />

di Fernández Ferarres, Cizur Menor (Navarra), 2005, p. 34 s. Sul concetto generale di beneficiario,<br />

nell’ambito del diritto spagnolo delle sovvenzioni, v. Martínez López-Muñiz,<br />

Los beneficiarios de subvenciones, in Comentario a la ley general de subvenciones, cit., p. 155 ss.<br />

( 15 ) L’ipotesi più comune è che sia la Commissione l’ente finanziatore, in ossequio ai<br />

compiti ad essa assegnati dai Trattati. Ma le istituzioni coinvolte possono essere anche altre.<br />

In applicazione degli artt. 53 ss. del reg. 1605/2002, la Commissione può attuare i programmi,<br />

oltre che in modo centralizzato e diretto (attraverso cioè proprie direzioni e servizi), anche in<br />

modo indiretto per mezzo di « agenzie esecutive » (v. art. 54 e 55), organismi creati dalla Commissione<br />

(v. art. 185 reg.) e « organismi nazionali pubblici o entità di diritto privato investiti di


340 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

il potere di erogare sovvenzioni anche a soggetti di diritto privato. Si pensi<br />

al caso delle fondazioni di origine bancaria, alle quali la legge (l’art. 8 del<br />

d.lgs. 153/1999) attribuisce l’obbligo di destinare una parte del reddito alla<br />

promozione di progetti di utilità sociale ( 17 ).<br />

c) Le prestazioni. Nelle sovvenzioni è previsto che l’ente che eroga il finanziamento<br />

metta a disposizione del beneficiario una somma di denaro. Il<br />

beneficiario a sua volta deve realizzare un progetto ( 18 )e cioè «a series of activities<br />

aimed at bringing about clearly specified objectives within a defined ti-<br />

attribuzioni di servizio pubblico ». Oppure l’esecuzione viene realizzata attraverso la « gestione<br />

concorrente » per delega agli Stati membri (art. 53, par. 3, reg. 1605/2002), come accade per<br />

i programmi finanziati dal Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia (Parte seconda,<br />

Titolo I, reg. 1605/2003) e dai Fondi strutturali, dal Fondo di coesione e dalle misure<br />

strutturali e agricole di preadesione (Parte seconda, Titolo II, reg. 1605/2003); in questi casi il<br />

programma viene attuato con l’intervento di organismi ed enti nazionali, come, per esempio<br />

in <strong>Italia</strong>, i Ministeri e le Regioni. Ulteriori ipotesi di esecuzione dei programmi sono la gestione<br />

« delegata » in collaborazione con gli Stati terzi (art. 53, par. 4, reg. 1605/2002) e quella<br />

« congiunta » con le organizzazioni internazionali, nell’ambito delle cosiddette « azioni esterne<br />

» (Parte seconda, Titolo IV, reg. 1605/2003).<br />

( 16 )Per quanto riguarda la Ley General de Suvenciones di diritto spagnolo l’ambito soggettivo<br />

è quello definito dall’art. 3: «Las subvenciones otorgadas por las Administraciones públicas<br />

se ajustarán a las prescripciones de esta ley. 1. Se entiende por Administraciones públicas a los<br />

efectos de esta ley: a) La Administración General del Estado. b) Las entidades que integran la Administración<br />

local. c) La Administración de las comunidades autónomas. 2. Deberán asimismo<br />

ajustarse a esta ley las subvenciones otorgadas por los organismos y demás entidades de derecho<br />

público con personalidad jurídica propia vinculadas o dependientes de cualquiera de las Administraciones<br />

públicas en la medida en que las subvenciones que otorguen sean consecuencia del ejercicio<br />

de potestades administrativas. Serán de aplicación los principios de gestión contenidos en<br />

esta ley y los de información a que se hace referencia en el artículo 20 al resto de las entregas dinerarias<br />

sin contraprestación, que realicen los entes del párrafo anterior que se rijan por derecho<br />

privado. En todo caso, las aportaciones gratuitas habrán de tener relación directa con el objeto de<br />

la actividad contenido en la norma de creación o en sus estatutos. 3. Los preceptos de esta ley<br />

serán de aplicación a la actividad subvencional de las Administraciones de las comunidades<br />

autónomas, así como a los organismos públicos y las restantes entidades de derecho público con<br />

personalidad jurídica propia vinculadas o dependientes de las mismas, de acuerdo con lo establecido<br />

en la disposición final primera ».<br />

( 17 ) Più ampiamente sulle fondazioni bancarie e, in particolare, sul tema della natura delle<br />

attribuzioni di queste si rinvia ampiamente a Stefanelli, Problema e sistema delle fondazioni<br />

bancarie, Perugia, 2005, spec. p. 89 ss. V. anche la dottrina ivi riportata a proposito dell’esperienza<br />

statunitense, tra cui si segnala Pierini, Federalismo e Welfare State nell’esperienza<br />

giuridica degli Stati Uniti, Torino, 2003, p. 39 ss.<br />

( 18 ) Per l’art. 2, comma 1, della Ley General de Subvenciones «la entrega esté sujeta al cumplimiento<br />

de un determinado objetivo, la ejecución de un proyecto, la realización de una actividad,<br />

la adopción de un comportamiento singular ».


SAGGI 341<br />

me-period and with a defined budget » ( 19 ). Il progetto è dettagliatamente descritto<br />

nei documenti concordati tra beneficiario e ente finanziatore ( 20 ). Sono<br />

inoltre previste attività di carattere strumentale come redigere rapporti<br />

tecnici e finanziari, informare l’ente finanziatore sugli eventi che possono<br />

pregiudicare l’esecuzione del progetto, svolgere attività di diffusione dei risultati<br />

e così via.<br />

In base all’attività che viene finanziata si distinguono sovvenzioni per<br />

un progetto specifico ( 21 ), finanziamenti di funzionamento di un ente che<br />

persegue scopi ritenuti di interesse pubblico ( 22 ), per l’investimento in attrezzature<br />

( 23 )o per altre spese particolari, sovvenzioni di altro genere.<br />

Rispetto al tempo in cui l’attività deve essere realizzata, le sovvenzioni<br />

possono essere collegate allo svolgimento di un’attività futura (specifica, e<br />

cioè un progetto, oppure in generale l’attività di un ente), ma possono riguardare<br />

anche risultati già raggiunti ( 24 ). In questo caso sono chiamate<br />

« premi » (come i premi in agricoltura per la piantagione o l’estirpazione,<br />

per l’allevamento, ecc.).<br />

Gli aspetti sopra ricordati possono ritrovarsi nelle varie fonti sovranazionali<br />

e nazionali che parlano di sovvenzioni, ma potrebbero anche riguardare<br />

altre tecniche di finanziamento.<br />

( 19 ) European Commission, Aid Delivery methods, vol. 1 (2004).<br />

( 20 ) Cfr., per quel che riguarda i contratti di ricerca finanziati, Zeno Zencovich, I contratti<br />

di ricerca ed il loro tipo sociale in una analisi di alcuni dei modelli più diffusi, in Giur. it., 1988,<br />

IV, c. 142, spec. c. 144.<br />

( 21 ) V. l’art. 108, par. 1, lett. a), reg. 1605/2002; v. l’allegato 3 della Circulaire du Ministère<br />

pour l’Emploi et de la Solidarité – Délégation générale à l’emploi et à la formation professionnelle<br />

(DGEFP) n. 2002-30 del 4 maggio 2002, secondo il quale: «La subvention pour un programme<br />

ou une action: il s’agit d’une aide en vue de la réalisation d’un projet, d’une action ou d’un programme<br />

défini techniquement et dont le budget est arrêté. Ses modalités sont décrites dans une<br />

convention de subvention. Dans ce cas, la subvention étant affectée à un projet précis, elle doit être<br />

utilisée conformément au but pour lequel elle a été sollicitée ».<br />

( 22 ) V. l’art. 108, par. 1, lett. b), reg. 1605/2002; secondo l’allegato 3 della citata Circulaire<br />

della DGEFP « La subvention de fonctionnement (s’assurer que plusieurs départements ministériels<br />

ne versent pas une subvention d’équilibre au même organisme): elle est accordée sans aucune<br />

condition particulière d’utilisation, et sert au financement de l’ensemble de l’activité de l’association;<br />

l’association peut l’utiliser comme elle l’entend, dans la limite toutefois de son objet social<br />

».<br />

( 23 ) In base alla definizione dell’allegato 3 della Circulaire della DGEFP «Les subventions<br />

d’équipement: c’est une contribution de l’Etat à caractère forfaitaire, destinée à aider la réalisation<br />

d’équipements d’utilité collective ».<br />

( 24 ) V. anche la definizione contenuta nell’art. 2 della Ley General de Subvenciones, citata<br />

nella precedente nota 19.


342 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Per esempio il fondamento costituzionale e legislativo non caratterizza<br />

in particolar modo le sovvenzioni, ma tutto il fenomeno dei finanziamenti<br />

pubblici ( 25 ).<br />

Anche per quanto riguarda altre tecniche di finanziamento, i soggetti<br />

coinvolti possono essere dello stesso tipo di quello delle sovvenzioni.<br />

Nelle altre tecniche di finanziamento generalmente si richiede lo svolgimento<br />

di un’attività in capo ai destinatari del finanziamento e un trasferimento<br />

di risorse finanziarie dall’ente attuatore ai beneficiari.<br />

3. – Un altro elemento ricorrente nelle definizioni delle sovvenzioni, nei<br />

diversi ordinamenti, è quello funzionale. L’attribuzione patrimoniale dall’ente<br />

erogatore al beneficiario avviene per perseguire una finalità pubblica,<br />

così come è previsto dalle fonti costituzionali e legislative (l’art. 108 reg.<br />

1605/2002 parla di contributi « per finanziare (. . .) un’azione destinata a promuovere<br />

la realizzazione di un obiettivo che si iscrive nel quadro di una politica<br />

dell’Unione europea ». L’art. 2, comma 1, della Ley General de Subvenciones<br />

richiede, al fine della definizione di sovvenzione, che «El proyecto, la<br />

acción, conducta o situación financiada tenga por objeto el fomento de una actividad<br />

de utilidad pública o interés social o de promoción de una finalidad pública<br />

», e così via) ( 26 ).<br />

Ciò emerge con particolare chiarezza dalle definizioni comunitarie ( 27 )e<br />

in quelle nazionali ( 28 ). Anche in letteratura si mette in risalto come la sovvenzione<br />

serva a raggiungere obbiettivi di interesse generale ( 29 ).<br />

( 25 ) Il che si evince anche dalla dottrina sui finanziamenti pubblici in generale,v., per es.,<br />

Zaccaria, voce Finanziamenti (dir. pubbl.), cit., p. 1 ss.<br />

( 26 ) Cavallo, Provvedimenti e atti amministrativi, in Tratt. dir. amm. Santaniello, Padova,<br />

1993, p. 104 ss.<br />

( 27 ) Per i programmi comunitari di ricerca, indipendentemente dalla tecnica contrattuale<br />

utilizzata, cfr. Carpentier e Mathijsen, Les Contrats de recherches d’Euratom. Quelques<br />

aspects particuliers, in Rev. trim. dr. eur., 1965, p. 358 ss., v. p. 359. Come sottolinea Basile, voce<br />

Ricerca scientifica (contratto), in Enc. dir., vol. XL, Milano, 1989, p. 414 ss., attraverso le sovvenzioni<br />

« l’amministrazione non si propone semplicemente di far beneficiare il privato di un<br />

incremento patrimoniale, ma mira a rimettere all’iniziativa privata la realizzazione di uno o<br />

più elementi di un disegno programmatico predeterminato ».<br />

( 28 ) Cfr. il par. II della Relazione del Re alla Ley General de Subvenciones: «En el ámbito objetivo<br />

de aplicación de la ley se introduce un elemento diferenciador que delimita el concepto de subvención<br />

de otros análogos: la afectación de los fondos públicos entregados al cumplimiento de un<br />

objetivo, la ejecución de un proyecto específico, la realización de una actividad o la adopción de un<br />

comportamiento singular, ya realizados o por desarrollar. Si dicha afectación existe, la entrega de<br />

fondos tendrá la consideración de subvención y esta ley resultará de aplicación a la misma ».<br />

( 29 )Per quanto riguarda la dottrina spagnola, v. sul requisito della afectatión, Fernandez


SAGGI 343<br />

La sovvenzione ricorda in questo altri rapporti in cui un soggetto mette<br />

a disposizione di un altro risorse, con l’obbligo di destinarle ad uno scopo<br />

comune del finanziatore e del finanziato. La dottrina ha individuato tali rapporti<br />

soprattutto con riferimento ai finanziamenti pubblici erogati attraverso<br />

il « mutuo di scopo » ( 30 )o comunque altri contratti in qualche modo legati<br />

al credito.<br />

Gli studiosi che si sono occupati del mutuo di scopo ( 31 )e dei finanziamenti<br />

alla ricerca scientifica ( 32 ) hanno mostrato come la finalità dei finan-<br />

Ferrares, La subvención: concepto y regime jurídico, Madrid, 1983, p. 230 ss. Nel diritto tedesco<br />

si dispone la revoca dell’attribuzione nel caso di inadempimento dell’obbligo di destinazione<br />

delle somme ad un certo scopo (cfr. § 44a Bundeshaushaltsordnung). Per quanto riguarda<br />

la letteratura francese v. Boulouis, Essai sur la politique des subventions administratives,<br />

Paris, 1951.<br />

( 30 )A partire dall’opera di Fragali. In particolare dell’Autore v. Del Mutuo, in Comm. c. c.<br />

a cura di Scialoja e Branca, Libro IV, Delle obbligazioni, art. 1813-1922, Bologna-Roma, 1952, p.<br />

267; Il mutuo di scopo, in Banca, borsa, tit. cred., 1961, p. 483 ss.; Note introduttive sul mutuo di<br />

scopo, in Studi in onore di Asquini, Padova, 1965, p. 533 ss.; voce Finanziamento (dir. priv.), in<br />

Enc. dir., vol. XVII, Milano, 1968, p. 605 ss. Tra gli altri autori che hanno continuato nella elaborazione<br />

della teoria, v. Buonocore, Profili privatistici del mutuo agevolato, in Problemi giuridici<br />

delle agevolazioni finanziarie all’industria, a cura di Costi e Libertini, Milano, 1982, p. 262<br />

ss.; Clarizia, voce Finanziamenti (dir. priv.), in Noviss. Dig.it. App., vol. III, Torino, 1982, p.<br />

764; Id., La causa di finanziamento, in Banca, borsa, tit. cred., 1982, I, p. 614 ss.; Consolo,<br />

Aspetti pubblicistici e privatistici del mutuo di scopo, Padova, 1990; Galasso, voce Finanziamenti<br />

pubblici, in Noviss. Dig. it., App., vol. III, p. 771 ss.; La Rocca, Il mutuo di scopo, in Il mutuo<br />

e le altre operazioni di finanziamento, a cura di Cuffaro, Bologna, 2005, p. 177 ss.; Mazzamuto,<br />

voce Mutuo di scopo, in Enc. giur., vol. XX, Roma, 1990; Mineo, Il finanziamento agevolato<br />

tra legge e contratto, Milano 1997; Perchinunno, Funzione creditizia e fine convenzionale.<br />

Contributo allo studio del mutuo di scopo, Napoli, 1988; Zimatore, voce Mutuo di scopo, in<br />

Diz. dir. priv., a cura di Irti, I, Diritto civile, Milano, 1980, p. 601 ss. V. il leading case Cassazione<br />

n. 3752/1981, in Foro it., 1982, I, c. 1687.<br />

( 31 )V. Cass. 19 maggio 2003, n. 7773, in Contratti, 2003, p. 1131: « Il c.d. contratto di finanziamento,<br />

o mutuo di scopo, legale o convenzionale che sia, è una fattispecie negoziale consensuale,<br />

onerosa e atipica, che assolve essenzialmente funzione creditizia; in particolare, il<br />

finanziamento legale, in cui sono già individuati i soggetti erogatori e i soggetti che possono<br />

beneficiare del finanziamento, è un contratto obbligatorio e consensuale, all’interno del quale<br />

la consegna della somma da corrispondere rappresenta non un elemento costitutivo del<br />

contratto, ma l’esecuzione dell’obbligazione a carico del finanziatore; tuttavia, la proprietà<br />

della somma oggetto del finanziamento si trasferisce dal finanziatore al finanziato solo con la<br />

consegna della somma stessa, in quanto solo da quel momento egli può disporne da solo,<br />

senza l’intermediazione del mutuante o anche contro la volontà di questi; ne consegue che<br />

solo dal momento della consegna si trasferiscono sul mutuatario anche i rischi derivanti dall’acquisita<br />

proprietà del denaro, compreso quello conseguente alle oscillazioni del cambio ».<br />

( 32 ) In particolare, v. Basile, voce Ricerca scientifica (contratto), cit., p. 442.


344 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

ziamenti pubblici comporta importanti conseguenze sul rapporto tra ente<br />

erogatore e beneficiario, indipendentemente dalla tipizzazione di tale rapporto.<br />

La dottrina e la giurisprudenza elaborate per il credito agevolato, per<br />

esempio, sottolineano il carattere atipico del « mutuo di scopo ». Anche chi<br />

vuole ricondurre il credito di destinazione al tipo codicistico non può fare a<br />

meno di rilevarne i caratteri distintivi. Infatti lo scopo, reso evidente da apposite<br />

clausole, « qualifica la causa del negozio e ne delimita il contenuto rispetto<br />

allo schema tipico, acquistando in tal modo rilevanza causale » ( 33 )e<br />

« penetra nel contenuto contrattuale tipico » ( 34 ).<br />

Ma proprio questo ragionamento conduce ad affermare che la finalizzazione<br />

costituisce elemento essenziale per individuare le sovvenzioni, ma<br />

non ne delimita il concetto. Infatti la finalizzazione riguarda l’intera materia<br />

dei finanziamenti pubblici, indipendentemente dal rapporto utilizzato, sia<br />

esso appunto il mutuo, la sovvenzione o altri strumenti ancora ( 35 ). Meglio,<br />

la finalizzazione riguarda l’intero ambito dei contratti pubblici ( 36 ).<br />

4. – La sovvenzione, pertanto, non si distingue dalle altre tecniche di finanziamento<br />

pubblico sotto il profilo strutturale o funzionale, almeno negli<br />

aspetti fin qui delineati.<br />

Eppure nella prassi la definizione della sovvenzione è molto importante<br />

soprattutto per operare una distinzione tra questa forma di finanziamento<br />

e gli appalti ( 37 ).<br />

Solitamente si ritiene più agevole tracciare una linea di confine tra<br />

sovvenzioni e altre tecniche di finanziamento: la sovvenzione si differenzia<br />

dal mutuo, in quanto le somme attribuite al beneficiario non sono da<br />

( 33 ) Cass., 3 aprile 1970, n. 896, in Foro it., 1970, I, c. 1367.<br />

( 34 ) Galasso, Contratti di credito e titoli bancari, Padova, 1971, p. 55.<br />

( 35 )V. tra gli altri Manzella, Gli ausili finanziari, cit., p. 2879.<br />

( 36 )Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1970, p. 447.<br />

( 37 ) V., per esempio, i già citati documenti Instruction pour l’application du code des marchés<br />

publics del 28 agosto 2001, il Ministero francese dell’Economia, delle Finanze e dell’Industria;<br />

la Circulaire du Ministère pour l’Emploi et de la Solidarité – Délégation générale à l’emploi<br />

et à la formation professionnelle (DGEFP) n. 2002-30 del 4 maggio 2002; la Circulaire du 3<br />

août 2006 portant manuel d’application du code des marchés publics. In ambito comunitario diversi<br />

documenti della Commissione come Practical Guide to Contract procedures for EC external<br />

actions del 2007, all’indirizzo: http://ec.europa.eu/europeaid/work/procedures/implementation/common_documents/practical_guide/new_prag_final_en.pdf.<br />

Fuori dall’<strong>Europa</strong> tra i documenti<br />

di prassi che si occupano di distinguere le sovvenzioni dagli appalti, v. Treasury<br />

Board of Canada Secretariat – Guide on Grants, Contributions and Other Transfer Payments del<br />

luglio 2002.


SAGGI 345<br />

restituire; nel caso delle garanzie, l’ente finanziatore offre una garanzia<br />

dietro il pagamento di un prezzo inferiore a quello di mercato; nella partecipazione<br />

il finanziamento consiste in un apporto di capitale in una società,<br />

e così via.<br />

L’appalto e la sovvenzione possono sembrare invece tecniche analoghe,<br />

in quanto, in tutti e due i casi, l’ente finanziatore paga una somma<br />

(non rimborsabile) a fronte della realizzazione di un progetto da parte del<br />

beneficiario. Diventa allora importante per le pubbliche amministrazioni<br />

definire quelle ipotesi in cui è necessario applicare la più rigida disciplina<br />

degli appalti, per la scelta dei soggetti incaricati di svolgere una certa attività.<br />

Il carattere distintivo della sovvenzione viene ravvisato in quello che nel<br />

diritto francese e in quello spagnolo viene definita « mancanza di controprestazione<br />

diretta » («contraprestación directa », «contrepartie directe ») dell’attività<br />

compiuta ( 38 ).<br />

Per verificare la mancanza della controprestazione diretta, la prassi amministrativa<br />

utilizza indicatori vari e non sempre precisi. Alcuni di questi<br />

indicatori fanno leva sull’utilizzo di concetti civilistici, riguardanti la materia<br />

delle obbligazioni e dei contratti.<br />

Si sostiene, in modo particolare, che costituiscono sovvenzioni quelle<br />

erogazioni di denaro pubblico di carattere non contrattuale, non sinallagmatiche,<br />

senza assunzione di obbligazioni in capo ai beneficiari, che l’ente<br />

attribuisce ai beneficiari senza un suo specifico interesse.<br />

Le sovvenzioni sarebbero attribuite esclusivamente sulla base di un<br />

provvedimento amministrativo di natura concessoria ( 39 ). Anzi per la dot-<br />

( 38 ) Cons. Stato, 6 luglio 1990, Comité pour le développement industriel et agricole du Choletais<br />

– CODIAC.<br />

( 39 )V. per esempio il Vademecum per l’ammissibilità della spesa al FSE PO 2007-2013 della<br />

Regione Toscana, all’indirizzo http://www.regione.toscana.it/regione/multimedia/RT/documents/2009/07/03/4e21f6f49f4ef6a1874f6d5fe7b1c600_vademecumfse.pdf.<br />

Secondo il Vademecum:<br />

« Nella concessione di sovvenzioni, la procedura di affidamento è caratterizzata da un<br />

avviso pubblico o dalla c.d. “chiamata di progetti”, in cui sono predeterminati e resi pubblici<br />

le modalità e i criteri per concedere sovvenzioni o contributi. Il rapporto tra l’Amministrazione<br />

e l’Ente attuatore risulta regolato da un atto unilaterale di natura concessoria; l’Ente diventa<br />

così destinatario di un finanziamento per lo svolgimento di un’attività finalizzata al raggiungimento<br />

di un obiettivo di interesse generale fissato dall’Amministrazione. Si tratta della<br />

forma di finanziamento utilizzata dalle Autorità di gestione dei PO per la gran parte delle<br />

attività cofinanziate dal Fondo sociale europeo » (p. 6). Nel caso degli appalti pubblici, invece<br />

« l’Amministrazione utilizza le procedure previste dal Codice dei contratti (d.lgs. n. 163/06),<br />

e il rapporto tra l’Amministrazione e l’aggiudicatario risulta di natura contrattuale ».


346 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

trina la sovvenzione consisterebbe essenzialmente in un provvedimento<br />

amministrativo ( 40 ) conseguente ad una istanza del beneficiario ( 41 ).<br />

Nell’ambito dell’attività contrattuale l’ente pubblico paga invece un<br />

corrispettivo a fronte di una cessione di beni o una prestazione di servizi da<br />

parte del percettore delle somme.<br />

Nel caso delle sovvenzioni, l’ente finanziatore non sarebbe portatore di<br />

un proprio interesse ma perseguirebbe soltanto un interesse della collettività<br />

( 42 ). L’interesse sottostante alla sovvenzione sarebbe soltanto quello del<br />

percipiente ( 43 ). I beneficiari del contributo utilizzerebbero le risorse pubbliche,<br />

in modo da determinare « la distribuzione o l’impiego dei mezzi finanziari<br />

finalizzati al raggiungimento degli obbiettivi perseguiti » ( 44 ).<br />

Diverso sarebbe il caso dell’attività contrattuale dove l’ente pubblico acquisisce<br />

nel proprio patrimonio i risultati dell’attività del percipiente, come<br />

avviene per le nuove conoscenze derivanti dalla ricerca scientifica e tecnologica<br />

( 45 ).<br />

Nelle sovvenzioni l’esecuzione delle attività previste costituirebbe per il<br />

beneficiario non un’obbligazione, ma solo un onere al cui adempimento è<br />

connesso il diritto ad acquisire i finanziamenti ( 46 ).<br />

Ciò contrariamente a quello che accade negli appalti attraverso i quali i<br />

contraenti dell’ente finanziatore assumono obbligazioni legate in modo<br />

corrispettivo con il prezzo (cfr. risol. Agenzia delle Entrate del 14 marzo<br />

2005 n. 34/E; risol. n. 183/E dell’11 giugno 2002).<br />

La mancata esecuzione del progetto comporterebbe la sola perdita del<br />

contributo e non « gli effetti tipici dell’inadempimento dell’obbligazio-<br />

( 40 ) Pericu, Le sovvenzioni come strumento di azione amministrativa, I, Milano, 1967.<br />

( 41 ) Zaccaria, voce Finanziamenti (dir. pubbl.), cit., p. 4 s.<br />

( 42 ) Croci e Pericu, voce Sovvenzioni (diritto amministrativo), in Enc. dir., vol. XLIII, Milano,<br />

p. 243 ss., spec. p. 246.<br />

( 43 )V. Risoluzione 81/E/III-7-375 del 23 aprile 1997 (Min. Fin. Dipartimento Entrate –<br />

Dir. Centr. Affari giuridici e contenzioso). In tale risoluzione si fa riferimento ai contributi<br />

erogati in favore di un soggetto che organizzava corsi di formazione. L’opinione espressa è comunque<br />

interessante per ricostruire le nozioni utilizzate dal Ministero delle Finanze nell’approccio<br />

alle questioni che interessano questo studio.<br />

( 44 ) Risoluzione 116/E/III-7-190 dell’ 11 luglio 1996, cit.<br />

( 45 )V. in proposito Risoluzione 118/E/III-7-865 del 12 luglio 1996 (Min. Fin., Dipartimento<br />

Entrate – Dir. Centr. Affari Giuridici e contenzioso), nella quale ci si occupa del trattamento<br />

tributario delle somme erogate dalla Regione Calabria, attingendo a fondi comunitari,<br />

in favore della Università degli Studi della Calabria, per lo svolgimento di una attività di<br />

sperimentazione e ricerca.<br />

( 46 ) Sul punto in particolare Risoluzione 287/E/III-7-1061 del 28 dicembre 1995 (Min.<br />

Fin., Dipartimento Entrate – Dir. Centr. Affari Giuridici e Contenzioso).


SAGGI 347<br />

ne » ( 47 ), come il risarcimento dei danni per lesione dell’interesse patrimoniale<br />

del creditore. Il carattere non corrispettivo dei rapporti in parola, infatti,<br />

sarebbe confermato dalla mancanza di clausole particolari, come quelle<br />

che stabiliscono il diritto di recedere o la clausola risolutiva espressa nella<br />

convenzione con l’ente finanziatore. La risoluzione del contratto a fronte<br />

dell’inadempimento delle obbligazioni del soggetto attuatore è considerata,<br />

a tale proposito, una condizione risolutiva « unilaterale » e non una<br />

clausola risolutiva espressa propriamente detta (v. risoluzione n. 183/E del<br />

11 giugno 2002).<br />

Oltre che privi del carattere della corrispettività, le attribuzioni in favore<br />

dei beneficiari avverrebbero a « fondo perduto » o, come detto altrimenti, in<br />

« modo gratuito » ( 48 ). La gratuità sembra emergere dalle stesse fonti normative<br />

che, a proposito delle sovvenzioni (v. il già citato art. 108 del regolamento<br />

n. 1605/2002), parlano di « liberalità » (liberalité, donation, liberalidad,<br />

Zuwendungen e così via) ( 49 ).<br />

La mancanza di sinallagmaticità e la gratuità appunto confermerebbero<br />

il carattere non contrattuale del rapporto tra ente finanziatore e beneficiario.<br />

È emblematica la posizione assunta dall’Agenzia Entrate nella risoluzione<br />

n. 50 del 4 aprile 2006 in risposta all’interpello del Consiglio Nazionale<br />

delle Ricerche. Nel documento si ritiene che il rapporto tra Commissione<br />

europea e beneficiario è regolato da « accordi di promozione » che « mirano<br />

ad instaurare rapporti di collaborazione piuttosto che rapporti a prestazioni<br />

corrispettive ». Il che escluderebbe che tali accordi possano ricondursi alla<br />

definizione di « contratto », di cui all’art. 1321 c.c. ( 50 ).<br />

Anche la dottrina che si è occupata di sovvenzioni sembra pensare alla<br />

( 47 ) Come ci si esprime, per esempio, nella Risoluzione 200/E/VII-15-310 del 1° ottobre<br />

1997 (Min. Fin., Dipartimento Entrate – Dir. Centr. Affari Giuridici e Contenzioso).<br />

( 48 )L’idea che le sovvenzioni siano gratuite è per esempio diffusa tra gli studiosi della disciplina<br />

sugli aiuti di Stato, come documenta Libertini, Gli aiuti pubblici alle imprese e il diritto<br />

comunitario della concorrenza, in Il finanziamento agevolato delle imprese. Profili giuridici,<br />

a cura di Mazzamuto, Milano, 1987, p. 167 ss., spec. p. 174.<br />

( 49 ) Cfr., nel diritto spagnolo, la Disposicion Adicional Quinta della Ley General de Subvenciones.<br />

Allo stesso modo si parla di gratuità nella dottrina francese. V., per es., Magnet, Lexique.<br />

Droit budgétaire et comptabilité publique, Paris, 1980.<br />

( 50 )Tali contratti sarebbero comunque da ricondurre alla categoria del « contratto di ricerca<br />

» in senso lato, ma solo perché le istituzioni comunitarie, che sono destinatarie della disposizione<br />

fiscale in considerazione (l’art. 72, comma 3, n. 3, d.P.R. 633/1972), in questo modo<br />

qualificano tali accordi. Se non si operasse tale equiparazione, è in sostanza il ragionamento<br />

dell’amministrazione finanziaria, l’applicazione della disposizione fiscale verrebbe<br />

frustrata.


348 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

gratuità, quando sottolinea che le sovvenzioni si caratterizzano per essere<br />

finanziamenti pubblici senza obbligo di restituzione ( 51 ), le quali realizzano<br />

un arricchimento del beneficiario ( 52 ).<br />

5. – Gli indicatori basati sui concetti civilistici appaiono non sempre corretti.<br />

a) La mancanza di interesse. Non è pertinente innanzitutto l’affermazione<br />

che solo nelle sovvenzioni l’ente finanziatore perseguirebbe l’interesse<br />

generale e non il proprio.<br />

L’affermazione è errata nel senso che non solo le sovvenzioni realizzano<br />

un interesse generale. Come afferma la prassi francese (v. Instruction del<br />

28 agosto 2001, pour l’application du code des marchés publics, Ministère de<br />

l’Economie, des Finances et de l’Industrie), tutte le forme di finanziamento,<br />

siano sovvenzioni (subvention) o appalti (marché public), sono comunque<br />

dirette a soddisfare un interesse generale (v. il par. 1.2.1. Les marchés publics<br />

se distinguent des subventions). Lo stesso concetto è espresso nella legislazione<br />

nazionale spagnola per tutte le forme di finanziamento a carico del bilancio<br />

dello Stato (v. art. 1, comma 2, Real Decreto 2225/1993, del 17 dicembre<br />

1993).<br />

Inoltre non è corretto affermare che l’ente sovvenzionatore è privo di<br />

un suo interesse. L’interesse pubblico, perseguito dall’ente, può essere alla<br />

base della nascita di rapporti obbligatori e nella stipulazione di contratti, essendo<br />

quindi rilevante sotto il profilo giuridico.<br />

Questo in generale. In modo particolare poi, alcune sovvenzioni stabiliscono<br />

che l’ente finanziatore acquisti diritti in conseguenza dell’esecuzione<br />

del progetto. Nei Programmi Quadro di Ricerca comunitari ( 53 ), per esempio,<br />

la proprietà o altri diritti sui beni immateriali derivanti dall’attività di ricerca<br />

sovvenzionata possono spettare all’Unione ( 54 ).<br />

( 51 ) Zaccaria, voce Finanziamenti (dir. pubbl.), cit., p. 2.<br />

( 52 ) Parlano per esempio di arricchimento, Croci e Pericu, voce Sovvenzioni (diritto amministrativo),<br />

cit., p. 247 s.<br />

( 53 ) Istituito con decisione n. 1982/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del<br />

18 dicembre 2006 per il periodo 2007-2013.<br />

( 54 ) Ciò accade nel caso in cui l’attività viene compiuta dal Centro Comune di Ricerca,<br />

che è un organo strumentale della Commissione europea. L’art. 39, par. 3, del reg. 1906/2006<br />

prevede, inoltre, che la proprietà sui risultati è attribuita alla Comunità nel caso di « azioni di<br />

coordinamento e sostegno che consistono in un acquisto di beni o servizi, conformemente alle<br />

norme concernenti gli appalti pubblici stabilite nel regolamento finanziario ». Ancora, la<br />

proprietà dei risultati è attribuita alla Comunità, quando è il prodotto dell’attività degli esperti,<br />

nominati dalla Commissione, per assistere questa nelle valutazioni, nei controlli e in ge-


SAGGI 349<br />

Quello che sembra fare la differenza, sulla scorta della normativa e della<br />

prassi, è che nelle sovvenzioni agli enti finanziatori non viene attribuita la<br />

proprietà o comunque il godimento esclusivo dei risultati, ma eventualmente<br />

la comproprietà o la contitolarità dei diritti sui risultati. E così, a contrario,<br />

non rientrano nella disciplina degli appalti, ai sensi dell’art. 16, lett.<br />

f), direttiva 2004/18/CE i « servizi di ricerca e sviluppo », quando i risultati<br />

non appartengono « esclusivamente » all’amministrazione e quando detti<br />

risultati non sono utilizzati direttamente dall’amministrazione nella sua attività,<br />

ma sono messi a disposizione di altri soggetti. Nella ricerca nazionale<br />

italiana, l’art. 12, comma 6, del d.m. 8 agosto 2000 (attuativo della legge<br />

297/1999) stabilisce che « per eventuali iniziative di ricerca che, per finalità<br />

di straordinario interesse pubblico, sono agevolate a totale carico dello Stato,<br />

si applicano le procedure di cui al decreto legislativo 17 marzo 1995, n.<br />

157, di recepimento della direttiva 92/50 CEE in materia di appalti pubblici<br />

di servizi ». In tali casi, i risultati conseguiti restano acquisiti alla proprietà<br />

dello Stato. Nelle altre ipotesi, in cui non si utilizza l’appalto, i risultati sono<br />

di proprietà di chi attua il progetto.<br />

Soluzioni simili sono adottate in altri programmi di finanziamento della<br />

ricerca scientifica ( 55 )o in altri ambiti ancora ( 56 ), per distinguere i contratti<br />

di sovvenzione dagli appalti.<br />

nerale nell’attuazione della politica di ricerca (v. l’art. 17, reg. 1906/2006). La proprietà sui risultati<br />

prodotti nell’attuazione delle altre azioni indirette spetta a quei beneficiari, che effettuano<br />

l’attività di ricerca, che conduce a detti risultati, così come stabilito dall’art. 39, par. 1, del<br />

citato reg. 1906/2006 e come ribadito dall’art. II.26, par. 1, del Model Grant Agreement del Settimo<br />

Programma Quadro. La Commissione, comunque, anche in questi casi ha importanti diritti,<br />

come quello di brevettare e proteggere i risultati a proprio nome nel caso di inerzia dei beneficiari.<br />

Inoltre, sempre nell’ambito del Programma Quadro, la Commissione può diventare<br />

titolare di diritti di godimento sui risultati in materia di energia nucleare, sicurezza e ambiente,<br />

e in altri casi ancora per l’effetto dell’inserimento di clausole speciali nel contratto.<br />

( 55 ) Nei capitolati dell’ASI (l’Agenzia Spaziale <strong>Italia</strong>na), all’art. 18, la proprietà dei risultati<br />

è solitamente dell’Agenzia, tranne nei casi di cofinanziamento, per i quali è stabilito che i<br />

risultati sono in comunione, secondo le regole stabilite nel contratto. Molto simile è l’approccio<br />

utilizzato dall’ESA (European Space Agency).<br />

( 56 ) Nel Vademecum FSE della Regione Toscana, a proposito del diritto di autore derivante<br />

dai progetti di formazione, si afferma che la titolarità spetta alla Regione ai sensi dell’art.<br />

11 l. 633/1941 il quale prevede che « alle Amministrazioni dello Stato, alle Province ed ai Comuni<br />

spetta il diritto di autore sulle opere create e pubblicate sotto il loro nome ed a loro conto<br />

e spese ». Nel caso di sovvenzione, invece, « la titolarità del diritto è in capo al suo autore;<br />

l’utilizzazione economica dello stesso, trattandosi di prodotti realizzati attraverso contributi<br />

pubblici, deve essere condivisa quanto a modalità e termini con l’Amministrazione competente<br />

».


350 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Più in generale, per le sovvenzioni l’elemento caratterizzante non consiste<br />

nella mancanza di un interesse proprio, oppure nella presenza di un interesse<br />

soltanto « indiretto », come anche si dice nella prassi ( 57 ).<br />

Piuttosto è che gli effetti dell’attività non sono esclusivamente destinati<br />

all’ente finanziatore o a soggetti specifici, nell’ambito di servizi rientranti<br />

nella disciplina sui pubblici appalti. Tali effetti nelle sovvenzioni possono riguardare<br />

i beneficiari, altri soggetti, la collettività in modo indistinto, lo<br />

stesso ente finanziatore.<br />

Al contrario, per esempio, non possono considerarsi finanziabili con lo<br />

strumento della sovvenzione un corso di formazione rivolto esclusivamente<br />

ai funzionari dell’ente finanziatore ( 58 ) oppure un’attività che consiste<br />

nell’offerta di un servizio pubblico ai cittadini.<br />

b) La sovvenzione come rapporto non obbligatorio. Non è corretto inoltre<br />

affermare che dal rapporto di sovvenzione non derivano obbligazioni per il<br />

beneficiario e per l’ente finanziatore.<br />

Gli obblighi previsti dalle normative riguardanti le sovvenzioni (il pagamento<br />

del contributo, la realizzazione di una certa attività) sono misurabili<br />

in termini economici, così come richiesto dalla definizione legale delle obbligazioni<br />

(art. 1174 c.c.) ( 59 ).<br />

L’economicità viene evidenziata, inoltre, dalle conseguenze dell’inadempimento,<br />

proprio al contrario di quanto si afferma nella prassi.<br />

( 57 ) Il finanziatore (per esempio una regione) non avrebbe un vantaggio diretto nel rapporto<br />

con un beneficiario (un ente di ricerca, sempre per fare un esempio), se agisce solo nell’interesse<br />

generale, come nel caso «dans lequel la région s’engage à verser une subvention au<br />

CNRS afin qu’il exerce une activité consistant à favoriser l’expansion économique de la région<br />

(l’avantage est directement rendu aux acteurs économique de la collectivité; la région n’est qu’un<br />

bénéficiaire indirect) ». V. l’Allegato 1 (La notion de contropartie pour la livraison de biens et le<br />

prestations de services) del documento del CNRS, Secrétariat Général Direction des finances,<br />

Le régime fiscal du CNRS en matière de TVA.<br />

( 58 ) Si pensi alla normativa sui versamenti effettuati dagli enti pubblici per i corsi di formazione<br />

per il personale, che può applicarsi anche ai corsi di formazione nell’ambito di programmi<br />

comunitari, come il Fondo Sociale Europeo. Secondo il (già) Ministero del Lavoro e<br />

della Previdenza Sociale, nel Vademecum per la gestione dei progetti del Fondo Sociale Europeo<br />

(cfr. Vademecum, p. 61 ss.), i contributi per i corsi di formazione finanziati dal FSE sarebbero<br />

esenti da IVA in applicazione dell’art. 14, comma 10, della L. 24 dicembre 1993 n. 537 e<br />

dell’art. 10 d.p.r. 633/1972. Si riconosce così implicitamente alle attività finanziate nell’ambito<br />

dell’FSE natura di “prestazione di servizi”.<br />

( 59 )L’economicità è infatti una manifestazione della giuridicità dell’obbligo giuridico, come<br />

afferma la Relazione al codice civile del Ministro Guardasigilli, per la quale l’obbligazione<br />

deve essere suscettibile di valutazione economica « senza di che non si potrebbe attuare la<br />

coercizione giuridica predisposta dal diritto in caso di inadempimento » (n. 23).


SAGGI 351<br />

Infatti, tutte le normative che riguardano le sovvenzioni prevedono, in<br />

caso di inadempimento, conseguenze negative, quali tra l’altro, la risoluzione<br />

del rapporto, il rimborso del contributo, il risarcimento del danno, il<br />

pagamento di interessi moratori ( 60 ).<br />

Inoltre che si tratti di obbligazioni in senso stretto viene affermato dalla<br />

giurisprudenza, per la quale, una volta emesso il provvedimento di assegnazione<br />

della sovvenzione da parte dell’ente, si istaura un rapporto obbligatorio<br />

tra pubblica amministrazione e beneficiario, che è disciplinato dalle<br />

norme del codice civile ( 61 ).<br />

c) Il carattere non contrattuale. Sembra del tutto priva di fondamento<br />

giuridico l’affermazione per cui il rapporto di sovvenzione, a differenza dell’appalto,<br />

non potrebbe avere un fondamento di natura contrattuale. Una<br />

tale affermazione si scontra con la normativa comunitaria e nazionale. Nel<br />

diritto comunitario, la Commissione stipula contratti (grant agreement) per<br />

l’erogazione delle sovvenzioni (art. 108, par. 2, reg. 1605/2002 e art. 164 reg.<br />

2342/2002). La contrattualizzazione del rapporto tra ente finanziatore e beneficiario<br />

è poi affermata dalla legislazione di diversi paesi europei. In Germania,<br />

per esempio, la materia de qua è il territorio di elezione del contratto<br />

di diritto pubblico (öffentlich-rechtlicher Vertrag, in breve örV) ed in particolare<br />

del contratto di scambio (Austauschvertag), come si è accennato sopra.<br />

In Francia la legge n. 2000-321 del 12 aprile 2000 (relative aux droits des<br />

citoyens dans leurs relations avec les administrations), stabilisce all’art. 10,<br />

comma 3 (sintomaticamente inserito nel capitolo III, Disposizioni relative<br />

alla trasparenza finanziaria), la necessità di stipulare un contratto scritto<br />

con il soggetto beneficiario delle sovvenzioni ( 62 ), almeno quando si superi-<br />

( 60 )V., per esempio, le conseguenze previste dall’art. II.18 del Model Grant Agreement della<br />

Commissione europea.<br />

( 61 )V. tra le altre, Cass., sez. un., 23 febbraio 2001, n. 66, Mass. Giust. civ., 2001, p. 180; Id.,<br />

26 aprile 2000, n. 288, Mass. Giust. civ., 2000, p. 701; Id., 15 novembre 1994, n. 9594, Mass. Giust.<br />

civ., 1994, p. 11; Id., 3 novembre 1993, n. 10830, Mass. Giust. civ., 1993, p. 11; Cons. Stato,<br />

sez. IV, 7 giugno 2005, n. 2871, in Foro amm. CDS, 2005, p. 1693 (s.m.); Id., 13 maggio 2005, n.<br />

2418, in Foro amm. CDS, 2005, p. 1555 (s.m.); Id., 10 luglio 2002, n. 3856, in Foro amm. CDS,<br />

2002, p. 1804 (s.m.); Id., 17 dicembre 1976, n. 455, in Cons. Stato, 1976, I, p. 1430; in senso contrario,<br />

Tar Sicilia Catania, sez. III, 12 febbraio 1998, n. 197, in Foro amm., 1998, p. 2562 (s.m.).<br />

( 62 ) V. l’art. 10: « L’autorité administrative qui attribue une subvention doit, lorsque cette<br />

subvention dépasse un seuil défini par décret, conclure une convention avec l’organisme de<br />

droit privé qui en bénéficie, définissant l’objet, le montant et les conditions d’utilisation de la<br />

subvention attribuée. Lorsque la subvention est affectée à une dépense déterminée, l’organisme<br />

de droit privé bénéficiaire doit produire un compte rendu financier qui atteste de la<br />

conformité des dépenses effectuées à l’objet de la subvention. Le compte rendu financier est


352 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

no certi importi ( 63 ). Qualunque sia la tecnica di finanziamento adottata, come<br />

per esempio la sovvenzione o l’appalto, si ritiene che il rapporto che si<br />

instaura possa essere riconducibile al contratto ( 64 ). Nella Ley General de<br />

Subvenciones spagnola l’art. 16 stabilisce l’obbligo di stipulare un «Convenio<br />

de colaboración » tra «el órgano administrativo concedente y la entidad colaboradora<br />

en el que se regularán las condiciones y obligaciones asumidas por<br />

ésta ». Inoltre tutta la disciplina dei finanziamenti viene disciplinata con riferimento<br />

ai principi stabiliti dalla Ley de Contratos de las Administraciones<br />

Públicas ( 65 ). In <strong>Italia</strong> diversi sono i casi in cui il finanziamento è accordato<br />

sulla base di un contratto, il cui schema è adottato dall’ente finanziatore ( 66 ).<br />

Il carattere convenzionale dei rapporti tra ente finanziatore e beneficiario<br />

emergerebbe anche quando non è esplicitamente previsto dalla base<br />

giuridica, come ha posto in luce la dottrina ( 67 ). Si è fatto notare, infatti, che<br />

l’intero fenomeno del finanziamento pubblico non sarebbe concepibile<br />

senza l’accordo tra ente finanziatore e beneficiario per il raggiungimento<br />

delle finalità previste dalla legge. Da questo accordo deriva l’obbligazione<br />

di compiere certi comportamenti da parte del beneficiario e quello di erogare<br />

il finanziamento in capo all’ente. Nella prassi, infatti, anche quando il<br />

rapporto non viene formalizzato attraverso contratti tipo, l’accordo si manifesta<br />

comunque per mezzo di altre tecniche: la proposta del progetto, accettata<br />

dal provvedimento concessorio ( 68 ); la sottoscrizione da parte del bene-<br />

déposé auprès de l’autorité administrative qui a versé la subvention dans les six mois suivant<br />

la fin de l’exercice pour lequel elle a été attribuée ».<br />

( 63 ) Il decreto n. 2001-495 del 6 giugno 2001 ha fissato tale soglia a € 23.000.<br />

( 64 )Ad esempio L. 920-1 del codice del lavoro stabilisce che per le azioni di formazione professionale<br />

e di promozione sociale, possono essere stipulate convenzioni da parte degli enti competenti.<br />

In una risposta del 13 febbraio 2002 al presidente della regione PACA, il ministro dell’economia,<br />

delle finanze e dell’industria indica che il termine di « convenzione » è impiegato dal legislatore<br />

come termine generico per designare atti negoziali. Dette convenzioni possono essere<br />

soggette alla disciplina degli appalti o a quella dei contratti di diritto comune, a seconda dei casi.<br />

( 65 )Avila Orive, Las entitades collaboradores, in Comentario a la ley general de subvenciones,<br />

cit., p. 225 ss., spec. p. 245 ss.<br />

( 66 )V. il « <strong>Contratto</strong> di finanziamento in forma di credito agevolato e contributo nella spesa<br />

», elaborato dal MIUR, ai sensi del d.lgs. n. 297/1999, così come applicato dall’art. 12 del<br />

d.m. 8 agosto 2000, n. 593 e del d.m. 10 ottobre 2003, n. 90402.<br />

( 67 )Serrani, Lo Stato finanziatore, cit., p. 207 ss., spec. p. 254. Per altri autori, come Manzella,<br />

Gli ausili finanziari, cit., p. 2880, i finanziamenti pubblici sono un intervento a carattere<br />

essenzialmente consensuale, anche se si preferisce non trarre la conclusione che si tratti di<br />

contratti in senso tecnico.<br />

( 68 )V., per esempio, il modello di richiesta al MIUR di cofinanziamento per i PRIN (d.m.<br />

582/2006 del 24 marzo 2006).


SAGGI 353<br />

ficiario di « atti di adesione » ( 69 )o altri documenti, variamente denominati,<br />

con i quali si accetta il contributo e ci si obbliga a quanto previsto dalla base<br />

giuridica e dal provvedimento ( 70 ), e così via.<br />

Ovviamente le considerazioni che precedono non escludono che il rapporto<br />

tra ente sovvenzionatore e beneficiario non possa essere regolato in<br />

tutto o in parte da atti amministrativi ( 71 ). La scelta tra l’atto amministrativo<br />

o la combinazione tra provvedimento e contratto, in astratto sempre possibile<br />

nel caso di una materia come quella in discorso ( 72 ), può non essere priva<br />

di conseguenze sotto il profilo giuridico; ciò anche se in definitiva le differenze<br />

non sono sempre così marcate, in quanto la regolamentazione del<br />

rapporto è costituita soprattutto dalla base giuridica del programma ( 73 ).<br />

6. – Come si è detto, per distinguere le sovvenzioni dagli appalti si fa leva,<br />

rispettivamente, sull’assenza e sulla presenza della corrispettività.<br />

Gli appalti, come afferma la definizione legale, sono infatti contratti a<br />

« titolo oneroso » (art. 1, par. 2, lett. a), direttiva 2004/18/CE; art. 3 d.lgs. n.<br />

163/2006, Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture). Mentre<br />

tale carattere non compare nelle definizioni delle sovvenzioni e quindi si<br />

può affermare che questa tecnica di finanziamento non è a titolo oneroso.<br />

La differenza tra contratti a titolo oneroso e contratti a titolo gratuito va<br />

intesa nel contesto della necessità di distinguere gli appalti pubblici dagli altri<br />

rapporti, quali appunto le sovvenzioni.<br />

( 69 )V., per esempio, l’atto di adesione utilizzato dalle Regioni nell’ambito dei finanziamenti<br />

del Fondo Sociale Europeo.<br />

( 70 ) Spesso ai documenti in discorso sono allegati « linee guida » e altre specificazioni degli<br />

obblighi dei beneficiari.<br />

( 71 ) Come, al contrario, la presenza dell’atto amministrativo non può escludere il carattere<br />

contrattuale. Cfr. Candian, voce Ricerca (contratto), in Digesto, disc. priv.,vol. XVII, Torino,<br />

1998, p. 517 ss., spec. p. 521.<br />

( 72 ) Cfr. Giannini, Diritto amministrativo, cit., p. 739 s.: « Se si tiene presente che il provvedimento<br />

amministrativo può produrre effetti consistenti nella nascita, modificazione ed<br />

estinzione tanto di diritti reali quanto di diritti di obbligazione, si comprende come l’amministrazione,<br />

allorché è possibile giuridicamente, possa trovare più conveniente sostituire al<br />

più pesante strumento provvedimentale il più duttile strumento contrattuale, o integrare il<br />

primo con il secondo, o usare il primo fino ad ottenere un certo effetto giuridico e poi far subentrare<br />

il secondo (. . .) Ogni volta che vi è un effetto a possibile contenuto patrimoniale, nel<br />

diritto positivo deve ammettersi, come regola di principio, la possibilità del ricorso all’accordo<br />

tra l’amministrazione e il privato per disciplinare il rapporto patrimoniale o quantomeno<br />

l’aspetto patrimoniale del rapporto ».<br />

( 73 ) Cfr. Nivarra, Il finanziamento pubblico delle imprese nella Repubblica Federale Tedesca,<br />

cit., p. 48 s., soprattutto per le differenze tra revoca e risoluzione.


354 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Questa distinzione non coincide con quella tra rapporti con prestazioni<br />

corrispettive e rapporti senza prestazioni corrispettive, se non incidentalmente.<br />

La « corrispettività » serve infatti ad identificare quei contratti, in cui le<br />

prestazioni sono tra di loro interdipendenti ( 74 ). In questi contratti lo scambio<br />

economico si realizza in modo specifico mediante il trasferimento reciproco<br />

di beni e servizi, attraverso un unico strumento negoziale ( 75 ). I contratti<br />

con prestazioni corrispettive ricevono una disciplina specifica, in tutte<br />

quelle ipotesi di alterazione dell’equilibrio economico, dovuto al venir meno<br />

o al vizio di una delle prestazioni interdipendenti (in caso quindi di nullità,<br />

annullabilità, inadempimento, impossibilità sopravvenuta, eccessiva<br />

onerosità).<br />

In altri ordinamenti europei altri concetti affrontano e risolvono problemi<br />

civilistici legati allo scambio economico come il contratto bilaterale o sinallagmatico<br />

(art. 1102 code civil) o il Gegenseitiger Vertrag (§§ 320 ss. BGB).<br />

Non si tratta di concetti esattamente riconducibili alla corrispettività ( 76 ).<br />

In ogni modo, apparirebbe per lo meno strano, che la distinzione « titolo<br />

oneroso » e « titolo gratuito », come si incontra nel diritto comunitario,<br />

sia basata su uno di tali concetti elaborati all’interno dei diritti nazionali.<br />

Sembra più plausibile che la distinzione sia funzionale alle materie proprie<br />

del diritto comunitario.<br />

La disciplina riguardante gli appalti pubblici si applica quando « un’amministrazione<br />

aggiudicatrice » ( 77 ) richiede ad un « operatore economico »<br />

l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti e la prestazione di servizi.<br />

( 74 ) Galgano, Il negozio giuridico, in Tratt. dir. civ. comm., diretto da Cicu e Messineo, Milano,<br />

1988, 465 ss.<br />

( 75 ) Pino, Il contratto con prestazioni corrispettive, Padova, 1963, p. 145.<br />

( 76 ) Ci si permette rinviare a Cippitani, Gratuità e finanziamenti pubblici, in I contratti gratuiti,<br />

a cura di Palazzo e Mazzarese, Torino, 2008, p. 79 ss., spec. p. 110 ss.<br />

( 77 )Ai sensi dell’art. 1, par. 2, n. 9 della direttiva 2004/18/CE si considerano « amministrazioni<br />

aggiudicatici »: lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli organismi di diritto pubblico e le<br />

associazioni costituite da uno o più di tali enti pubblici territoriali o da uno o più di tali organismi<br />

di diritto pubblico. Riguardo al concetto di organismo di diritto pubblico, la Corte di<br />

giustizia utilizza una definizione « funzionale » e non formale. La Corte, con sentenza del 20<br />

settembre 1998, nella causa Gebroeders Beentjes BV (C 31/87, in Racc., 1988, p. 4635) ha precisato<br />

che « la finalità della direttiva, consistente nella effettiva attuazione della libertà di stabilimento<br />

e della libera prestazione dei servizi in materia di appalti di lavori pubblici, sarebbe<br />

infatti compromessa se l’applicazione del regime della direttiva dovesse essere esclusa per il<br />

solo fatto che un appalto di lavori pubblici è stato aggiudicato da un ente che, pur essendo stato<br />

creato per svolgere funzioni attribuitegli dalla legge, non rientra formalmente nell’amministrazione<br />

statale. Di conseguenza, si deve ritenere che un organismo le cui funzioni e la cui


SAGGI 355<br />

L’appalto deve «répondre aux besoins de l’administration contractante.<br />

L’objet du marché est un élément fondamental de la définition des marchés publics.<br />

Il doit être précisément défini en vue de répondre à un besoin de la personne<br />

publique, et à lui seul (1.1.2.) » ( 78 ). I bisogni presi in considerazione, ai<br />

fini dell’applicazione della disciplina sugli appalti, sono di due tipi (v. par.<br />

4.1 della Circulaire du 3 août 2006 portant manuel d’application du code des<br />

marchés publics). In primo luogo i bisogni legati al funzionamento dell’ente<br />

stesso (per esempio: acquisti di forniture d’ufficio, computer per i propri dipendenti,<br />

assicurazioni per i propri locali). In secondo luogo vengono in rilievo<br />

i bisogni connessi alle attività d’interesse generale che conducono<br />

l’ente a fornire prestazioni a terzi (per esempio l’appalto per il servizio di<br />

trasporto scolastico).<br />

La prestazione di beni o servizi può avvenire non solo attraverso contratti<br />

con prestazioni corrispettive, ma anche per mezzo di altri strumenti<br />

come il collegamento negoziale ( 79 )o i contratti di società ( 80 ).<br />

Quindi il diritto comunitario dei contratti pubblici si occupa degli appalti<br />

non per regolare le ipotesi in cui viene meno l’equilibrio economico attraverso<br />

lo stesso strumento negoziale, ma per disciplinare la procedura di<br />

scelta dei contraenti, nelle ipotesi di acquisto di beni e servizi da parte delle<br />

pubbliche amministrazioni.<br />

Incidentalmente ad un contratto di appalto si può applicare la disciplina<br />

composizione sono, come nella fattispecie, contemplate dalla legge e che dipende dalla pubblica<br />

amministrazione per quanto riguarda la nomina dei suoi membri, la garanzia degli obblighi<br />

derivanti dai suoi atti e il finanziamento degli appalti ch’esso ha il compito di aggiudicare,<br />

rientri nella nozione di Stato ai sensi della summenzionata disposizione, anche se formalmente<br />

non fa parte dello Stato » (punti 11 e 12 della motivazione). La sentenza in parola,<br />

pertanto, identifica il concetto di « organismo di diritto pubblico », attraverso tre elementi: la<br />

personalità giuridica, il perseguimento di interessi di carattere non industriale e commerciale<br />

e la prevalenza di finanziamento pubblico.<br />

( 78 ) Cfr. sulla differenza tra appalti e sovvenzioni anche la Circolare DGEFP (Delegazione<br />

generale per l’impiego e la formazione professionale) n. 2002-30 del 4 maggio 2002, in materia<br />

di inserimento e qualificazione professionale, non pubblicata in Racc.<br />

( 79 )È stato per esempio ricondotto alla disciplina comunitaria degli appalti il rapporto tra<br />

un’amministrazione e un soggetto che svolge opere di urbanizzazione senza percepire un<br />

corrispettivo, ma beneficiando (da parte dell’amministrazione) di un provvedimento di esenzione<br />

o riduzione degli oneri di urbanizzazione. Corte CE, 12 luglio 2001, causa C-399/98,<br />

Ordine degli Architetti delle Province di Milano e Lodi et al., in Racc., 2001, p. I-5409.<br />

( 80 )V. Commissione CE, Libro verde sul parternariato pubblico-privato, 30 aprile 2004,<br />

COM (2004) 327 def. In giurisprudenza sulla scelta del socio per la costituzione di una società<br />

che eroga servizi pubblici, v., per esempio, Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2002, n. 2297, Cons.<br />

Stato, Sez. V, 3 settembre 2001, n. 4586 e così via.


356 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

dei contratti con prestazioni corrispettive (almeno se si applica il codice civile<br />

italiano); tuttavia vi sono rapporti da sottoporre alla disciplina degli appalti,<br />

che non hanno i caratteri della corrispettività.<br />

Sempre incidentalmente le sovvenzioni solitamente riguardano rapporti<br />

a titolo gratuito, ma non sarebbe inconcepibile una sovvenzione che determina<br />

la nascita di rapporti corrispettivi. Per esempio nel Programma<br />

Quadro di Ricerca le cosiddette « azioni di sostegno » si concretano in attività<br />

come la realizzazione di studi per la Commissione (v. decisione<br />

1982/2002, Allegato III), che possono essere realizzate anche da un solo<br />

soggetto (art. 8, regolamento 1906/2002).<br />

7. – La mancanza di una controprestazione diretta nelle sovvenzioni,<br />

inoltre, non ha nulla a che vedere con il concetto civilistico di gratuità o liberalità.<br />

Ciò nonostante la definizione contenuta, per esempio, nell’art. 108 del<br />

citato regolamento 1605/2002 (che usa l’espressione « liberalità », liberalité,<br />

donation, liberalidad, Zuwendungen e così via), e quanto sembrano stabilire<br />

alcune disposizioni nazionali.<br />

Il fatto è che le sovvenzioni non possono basarsi sul concetto civilistico<br />

di liberalità. Nella fattispecie in esame, non si può parlare di animus liberale<br />

visto che gli enti finanziatori hanno per obiettivo l’attuazione delle competenze<br />

attribuite dall’ordinamento (cfr. il già citato art. 108 regolamento<br />

1605/2002): la promozione della ricerca, dell’istruzione e formazione, della<br />

cooperazione internazionale, dello sviluppo economico e industriale, e così<br />

via ( 81 ). Nel diritto attuale il finanziamento di tali attività viene inteso come<br />

un vero e proprio obbligo, in capo della pubblica amministrazione, per<br />

dare concreta attuazione ai principi costituzionali, tra i quali quello della solidarietà<br />

sociale (art. 2 Cost.) ( 82 ). I programmi di finanziamento in generale,<br />

e le sovvenzioni in particolare, sono da considerare atti di solidarietà obbligatoria,<br />

ai quali sono tenute le pubbliche amministrazioni, e che la dot-<br />

( 81 ) V., tra gli altri, Palazzo, Le donazioni, in C.c. Comm., diretto da Schlesinger, Milano,<br />

1991, p. 221 ss.; Iacovino, Tavassi e Cassandro, in La donazione, a cura di Cataudella, Milano<br />

1996, p. 130; Alessi, Sull’ammissibilità di donazioni da parte di enti pubblici, in Giur. Cass.<br />

civ., 1947, 2, p. 480; Carabba, Incentivi finanziari, cit., p. 965. V. anche Cassese, La nuova costituzione<br />

economica, Roma-Bari, 2000, p. 24.<br />

( 82 ) Cfr. la giurisprudenza costituzionale in tema di volontariato e, in particolare, Corte<br />

cost., 31 dicembre 1993, n. 500, in Giur. it., 1994, I, 1, c. 322; cfr. il commento di Pietrolata,<br />

Strumenti di attuazione del principio di solidarietà sociale: una conferma da parte della Corte a<br />

proposito del volontariato.


SAGGI 357<br />

trina civilistica esclude per questo motivo dal concetto di liberalità ( 83 ). Anche<br />

chi parla di liberalità, soprattutto fuori dal diritto civile, non pensa che<br />

l’ente pubblico possa agire al di fuori dei vincoli imposti dalla legge per raggiungere<br />

le proprie finalità istituzionali ( 84 ).<br />

I soggetti beneficiari, inoltre, non accettano i contributi come donazione,<br />

ma in vista dello svolgimento di una loro attività, spesso di tipo professionale.<br />

Sebbene l’arricchimento non sia condizione necessaria per la liberalità,<br />

occorre ricordare che le sovvenzioni e i programmi di finanziamento non<br />

determinano neppure occasionalmente un tale effetto sul patrimonio del<br />

beneficiario. Anche quando si tratta di sovvenzioni, queste prevedono lo<br />

svolgimento di un’attività ed il sostenimento di costi, solo in parte coperti<br />

dal contributo.<br />

Prescindendo dalle considerazioni sul carattere liberale delle sovvenzioni,<br />

non si può correttamente affermare che gli obblighi imposti al beneficiario<br />

di una sovvenzione siano da comprendere nella nozione di onere.<br />

L’obbligo del beneficiario non sembra avere natura di onere. L’apposizione<br />

del modus ha l’obiettivo di ampliare e modificare un tipo previsto dalla<br />

legge (come è per la donazione), o anche un negozio gratuito atipico ( 85 ),<br />

consentendo di attuare finalità diverse ed ulteriori rispetto a quelle perseguite<br />

in via principale ( 86 ). Tra queste finalità si può ricordare il limite all’attribuzione<br />

patrimoniale (cfr. art. 793, comma 2, c.c.) o l’imposizione di un<br />

dato utilizzo della prestazione ( 87 ). Così ricostruito il concetto di onere, non<br />

( 83 )Palazzo, Atti gratuiti e donazioni, cit., spec. p. 56 s.<br />

( 84 ) È questa la posizione di Giannini, Diritto amministrativo, I, Milano, 1970, p. 764 s.,<br />

per la mancanza nell’ordinamento di una limitazione della capacità degli enti pubblici. V. sul<br />

punto anche Pugliese, voce Contratti della pubblica amministrazione, in Enc. giur., vol. IX,<br />

Roma, 1988, pp. 8-9; Sepe, voce Contratti della pubblica amministrazione, in Enc. dir., vol. IV,<br />

Milano, 1954, p. 11. In modo conforme, la giurisprudenza ammette che gli enti pubblici possano<br />

porre in essere atti di liberalità: cfr. Cass., 17 novembre 1953; Cass., sez. un., 18 gennaio<br />

1955, in Foro it., 1955, I, 471; Cass., 18 dicembre 1996, n. 11311). Si precisa, comunque, che gli<br />

enti pubblici possano compiere atti liberali « solo in quanto rientrino tra i propri fini istituzionali<br />

o siano strettamente legati da un rapporto di connessione o strumentalità con gli stessi »<br />

(Corte Conti, sez. contr., 26 gennaio 1989, n. 2076, Riv. Corte Conti, 1990, p. 3, 6). Si può osservare,<br />

comunque, che il potere di attribuire contributi da parte di un ente pubblico non equivale<br />

a conferire il potere di compiere atti di liberalità in senso civilistico.<br />

( 85 ) Cfr. Cass., 11 giugno 2004, n. 11096, in Codici d’<strong>Italia</strong>.<br />

( 86 ) Cfr. Marini, Il modus come elemento accidentale del negozio gratuito, cit., p. 214. V.<br />

Cass., 18 dicembre 1986, n. 7679, in Codici d’<strong>Italia</strong>.<br />

( 87 ) Messineo, Dottrina generale del contratto, Milano, 1952, p. 235.


358 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

potrebbero ricondursi ad esso gli obblighi imposti ai beneficiari dei finanziamenti.<br />

Tali obblighi sono previsti dalla base giuridica del programma come<br />

essenziali e non meramente accidentali. Senza questi obblighi ed il loro<br />

adempimento non sarebbe ipotizzabile la promozione della ricerca, dell’istruzione,<br />

della cultura e così via. I rapporti tra ente finanziatore e beneficiario<br />

sono perciò tipizzati dalle fonti giuridiche per raggiungere gli scopi<br />

stabiliti dall’ordinamento, nell’ambito, peraltro, del rispetto del principio di<br />

legittimità dell’azione della pubblica amministrazione (v. art. 97 Cost.) ( 88 ).<br />

Sotto un profilo negativo, il valore della prestazione, al quale è obbligato il<br />

beneficiario, può ben essere superiore al vantaggio patrimoniale. Le sovvenzioni,<br />

infatti, prevedono un contributo inferiore al valore dei costi sostenuti<br />

per l’attuazione del progetto.<br />

Non si può confondere poi il concetto di arricchimento, nell’ambito della<br />

nozione civilistica di liberalità, con la nozione di « aiuto » della normativa<br />

comunitaria sugli aiuti di Stato (art. 107, par. 1, TFUE). Tale nozione riguarda<br />

tutti « gli interventi i quali, in varie forme, alleviano gli oneri che normalmente<br />

gravano sul bilancio di un’<strong>impresa</strong> » ( 89 ) durante lo svolgimento della<br />

ordinaria attività di mercato. Quindi l’effetto distorsivo non è dato dall’aumento<br />

del patrimonio aziendale ma da vantaggi accordati fuori dalla<br />

normale logica di mercato. Ciò detto l’aiuto vietato è una nozione più ampia<br />

di sovvenzione, in quanto riguarda « non soltanto prestazioni positive<br />

del genere delle sovvenzioni, ma anche interventi i quali (. . .) senza essere<br />

sovvenzioni in senso stretto, ne hanno la natura e producono identici effetti<br />

» ( 90 ). Quindi anche un contratto con prestazioni corrispettive potrebbe<br />

realizzare l’effetto vietato, quando il corrispettivo è determinato in modo<br />

da attribuire un vantaggio preferenziale ( 91 ). Analoghe disposizioni si pos-<br />

( 88 ) È questa l’opinione di Marini, Il modus come elemento accidentale del negozio gratuito,<br />

cit., p. 217, che affronta la questione se l’onere possa essere applicato agli atti amministrativi.<br />

Sull’argomento v. Treves, Atto determinativo, gratuità e determinazioni accessorie, in<br />

Riv. dir. civ., 1938, p. 176 ss.; Lucifredi, L’atto amministrativo nei suoi elementi accidentali,<br />

Milano, 1963, p. 243 ss.; Giannini, voce Atto amministrativo, in Enc. dir., vol. IV, Milano,<br />

1959, p. 175.<br />

( 89 ) Corte CE, 23 febbraio 1961, causa C-30/59, De Gezamenlijke Steenkolenmijnen in Limburg<br />

c. Alta Autorità della CECA, in Racc. 1961, p. 3.<br />

( 90 ) Corte CE, 11 luglio 1996, causa C-39/94, SFEI et al., in Racc., 1996, p. I-3547, punto 58.<br />

Più di recente tra le altre, v. Corte CE, 15 giugno 2006, cause riunite C-393/04 e C-41/05, Air<br />

Liquide Industries Belgium, in Racc., 2006, p. I-5293; Trib. CE, 7 giugno 2006, causa T-613/97,<br />

Ufex et al. c. Commissione, in Racc., 2006, p. II-1531.<br />

( 91 )Trib. CE, 28 settembre 1995, causaT-95/94, Chambre Sindacale Nazionale des Entreprises<br />

de Transport de Fonds et Valeurs et al. c. Commissione, in Racc., 1995, p. II-02651.


SAGGI 359<br />

sono incontrare nel diritto del commercio internazionale, da cui, seppure<br />

come ispirazione, viene la disciplina comunitaria in materia di aiuti ( 92 ).<br />

8. – La distinzione tra sovvenzioni e appalti va allora condotta tenendo<br />

conto delle esigenze della specifica disciplina.<br />

La prassi amministrativa, in effetti, oltre ai riferimenti ai concetti civilistici,<br />

utilizza altri criteri di distinzione, che ora vale la pena di prendere in<br />

considerazione.<br />

Un primo criterio è legato alla tipologia di « bisogno » dell’ente finanziatore<br />

e del beneficiario, e della conseguente iniziativa per soddisfarlo.<br />

Nel già citato documento Instruction pour l’application du code des marchés<br />

publics del 28 agosto 2001, si afferma che la sovvenzione si caratterizza<br />

per la circostanza che l’attività sovvenzionata «est initiée et menée par un tiers<br />

pour répondre à des besoins que celui-ci a définis » ( 93 ). Ciò avviene in risposta<br />

ad un bando e con una ben dettagliata modulistica ( 94 ).<br />

Anche i documenti della Commissione europea affermano che: «a<br />

grant is made for an operation which is proposed to the Contracting Authority<br />

by a potential beneficiary (an “applicant”) and falls within the normal framework<br />

of the beneficiary’s activities » ( 95 ).<br />

( 92 ) Nel diritto internazionale i sussidi sono identificati come un contributo finanziario<br />

pubblico (erogato sotto forma di trasferimenti diretti, esenzioni, acquisti o forniture di beni o<br />

servizi) che attribuiscano un beneficio (art. 1 Agreement on Subsidies and Countervailing Measure<br />

dell’Organizzazione Mondiale del Commercio).<br />

( 93 ) Come è spiegato con riferimento specifico alle sovvenzioni per le associazioni: mentre<br />

«Il y a marché public lorsque l’administration exprime de son initiative un besoin qui lui est<br />

propre et qu’elle demande à un prestataire extérieur de lui fournir les biens ou prestations de nature<br />

à satisfaire ce besoin en contrepartie d’un prix. Dès lors, le code des marchés publics, ou la loi<br />

Sapin s’il s’agit d’une délégation de service public, trouvent à s’appliquer, quel que soit le statut du<br />

fournisseur », invece vi è una sovvenzione «lorsqu’il s’agit pour une collectivité d’apporter un<br />

concours financier aux activités d’une association qui a bâti un projet spécifique. On ne se trouve<br />

alors pas dans le cadre d’une relation de marché public. En effet, chaque fois qu’une collectivité<br />

décide de participer financièrement, dans une proportion qui peut fortement varier d’un cas à l’autre,<br />

à un projet élaboré par une association, et qui répond aux besoins de cette dernière, on se trouve<br />

alors dans le domaine de la subvention qui n’appelle pas de mise en concurrence préalable ».<br />

( 94 )Per le domande di sovvenzione allo Stato, ai suoi servizi decentrati (DDJS, DDASS,<br />

ecc.), anche alle collettività territoriali (in caso di cofinanziamento), le associazioni devono ricorrere<br />

ad un formulario comune (Cerfa n. 12156/02) reso effettivo da una circolare del dicembre<br />

2002. Una decisione dell’11 ottobre 2006 completa tale dossier integrandone le evoluzioni<br />

recenti in materia di trasparenza finanziaria e le nuove modalità di presentazione di utilizzazione<br />

dei fondi pubblici.<br />

( 95 )V. anche il documento della Commissione Practical Guide to Contract procedures for<br />

EC external actions citato (par. 6.1.1).


360 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Ciò a differenza delle procedure di appalto dove «the Contracting Authority<br />

draws up the terms of reference for a project it wants to be carried out ».<br />

Il criterio dell’iniziativa dell’attività da realizzare, previsto nell’Instruction,<br />

sembrerebbe riguardare i caratteri dell’operazione da intraprendere.<br />

Ma non sembra facile affermare che una determinata attività si presti<br />

ad essere iniziata o soltanto dall’ente finanziatore, o soltanto dai beneficiari.<br />

Spesso la stessa attività può soddisfare il pubblico interesse sia se<br />

identificata dall’ente finanziatore (con l’appalto), sia se proposta da chi riceve<br />

il finanziamento (come accade nel progetto elaborato dai beneficiari<br />

di una sovvenzione). Senza considerare poi che l’attività proposta dai<br />

candidati ad una sovvenzione deve essere formulata, tenendo conto di<br />

obiettivi molto dettagliati (nei bandi e nei documenti che li accompagnano)<br />

( 96 ).<br />

È comunque vero che nell’appalto l’attività da realizzare è di solito già definita<br />

dall’appaltante, mentre nella sovvenzione gli obiettivi fissati dall’ente<br />

pubblico sono poi precisati da un progetto definito dal beneficiario ( 97 ).<br />

9. – Alle sovvenzioni, in linea di massima, non si applicano le norme in<br />

materia di appalti, contenute nelle direttive e nelle altri fonti comunitarie<br />

(v. gli artt. 88 ss. reg. 1605/2002) e nazionali.<br />

In ogni modo le sovvenzioni devono essere attribuite secondo una procedura<br />

di selezione ad evidenza pubblica, così come stabilito dalle fonti comunitarie<br />

(artt. 114 ss. reg. 1605/2002 e 172 quater ss. reg. 2342/2002) e nazionali<br />

(artt. 12 l. 241/1990 e 22 ss. ley General de Subvenciones n. 38/2003),<br />

applicando i medesimi principi di base degli appalti: si pensi al divieto di discriminazione<br />

e alla trasparenza.<br />

Anche in questo caso la scelta dell’appalto rispetto alla sovvenzione non<br />

dipende da caratteri ontologici dell’azione pubblica o dell’interesse pubblico<br />

da realizzare. In effetti la sovvenzione come l’appalto, il mutuo e gli strumenti<br />

possono essere utilizzati dall’ente pubblico per raggiungere gli obiettivi<br />

stabiliti dalla legge.<br />

Come si afferma, realisticamente, in un documento destinato ai funzio-<br />

( 96 ) Come i « work programme » dei Programmi Quadro di RST, che specificano e dettagliano<br />

gli obbiettivi dei programmi specifici.<br />

( 97 ) La circolare della DGEFP del Ministère de l’Emploi et de la Solidarité ricorda che:<br />

«si l’administration a besoin d’une prestation particulière qu’elle ne peut réaliser elle-même mais<br />

dont elle peut précisément définir les caractéristiques, on se trouve dans le cas de figure des marchés<br />

publics: une mise en concurrence et une publicité doivent être organisées, sur la base d’un<br />

cahier des charges ».


SAGGI 361<br />

nari della Commissione: «In practice, the borderline between grants and procurement<br />

spending is sometimes difficult to draw » ( 98 ).<br />

Nella maggior parte delle materie oggetto dell’intervento pubblico, in<br />

realtà, la Commissione europea e gli altri enti finanziatori possono ricorrere<br />

tanto all’appalto, quanto alle sovvenzioni (come è sottolineato nel documento<br />

Practical Guide to Contract procedures for EC external actions del<br />

2007) ( 99 ). La scelta è quindi discrezionale ( 100 ), qualora non sia effettuata<br />

dalla disciplina applicabile.<br />

La scelta della sovvenzione è in particolare possibile se l’attività da svolgere<br />

non rientri nella definizione di lavoro, fornitura o servizio prevista dalla<br />

normativa nazionale e comunitaria in materia di appalti (v. l’art. 1, par. 2,<br />

direttiva 2004/18/CE e l’art. 3 del Codice italiano degli appalti). Per quanto<br />

riguarda in particolare i servizi occorre stabilire se l’attività richiesta rientra<br />

nell’elencazione dell’Allegato II alla direttiva 2004/18/CE e se non ricorrono<br />

casi di esclusione (v. soprattutto artt. 16 e 17 della direttiva).<br />

Negli altri casi, qualora la base giuridica del programma non stabilisca<br />

quale sia la tecnica di spesa da utilizzare necessariamente, nei documenti<br />

della Commissione europea ( 101 ), come in quelli delle amministrazioni nazionali,<br />

al più si indicano criteri pratici per uscire dalla difficoltà di distinguere<br />

le fattispecie che ricadono nella disciplina degli appalti.<br />

Di fronte alla scelta tra le due tecniche di finanziamento, di solito si consiglia<br />

alle amministrazioni di operare un giudizio di massima ( 102 )e comunque<br />

di valutare caso per caso. E così, nel documento appena citato, la Commissione<br />

consiglia ai propri funzionari – nei casi di dubbio, quando la base<br />

giuridica non impone una procedura particolare – di applicare la disciplina<br />

degli appalti, la quale rappresenta una sorta di normativa quadro nel settore<br />

dei contratti pubblici ( 103 ).<br />

( 98 ) Vademecum on Grant Management, cit., par. 1.3.<br />

( 99 ) Practical Guide to Contract procedures for EC external actions del 2007, all’indirizzo:<br />

http://ec.europa.eu/europeaid/work/procedures/implementation/common_documents/practical_guide/new_prag_final_en.pdf.<br />

( 100 ) Nell’US Code si afferma che va utilizzato il procurement contract rispetto al grant o<br />

cooperative agreement quando «the agency decides in a specific instance that the use of a procurement<br />

contract is appropriate » (§ 6303).<br />

( 101 )V. la citata Practical Guide to Contract procedures for EC external actions (par. 6.1.1).<br />

( 102 ) La Guide on Grants, Contributions and Other Transfer Payments Treasury Board of Canada<br />

Secretariat al par. 3 propone una checklist degli indici per considerare un’operazione<br />

rientrante nell’ambito degli appalti. Se tali indici ricorrono in maggioranza si consiglia di utilizzare<br />

lo strumento dell’appalto.<br />

( 103 ) Cfr. il ventiquattresimo considerando del reg. 1605/2002, che si riferisce agli appalti e<br />

il trentesimo considerando, che riguarda le sovvenzioni. Il carattere generale della disciplina


362 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

10. – L’elemento caratteristico della sovvenzione rispetto all’appalto si<br />

coglie soprattutto dalla tecnica di erogazione del finanziamento da parte<br />

dell’ente finanziatore, come emerge dalle fonti e dalla prassi delle amministrazioni<br />

nazionali e sovranazionali ( 104 ).<br />

Nelle sovvenzioni l’ente finanziatore contribuisce alla realizzazione<br />

dell’attività da realizzare con una somma che è legata ai costi del beneficia-<br />

degli appalti per tutti i contratti pubblici è affermata anche dalla normativa e dalla interpretazione<br />

amministrativa. Si pensi alla l. 11 febbraio 2005, n. 15 contenente modifiche e integrazioni<br />

alla l. 7 agosto 1990, n. 241, che impone rispetto dei principi di trasparenza e gli altri principi<br />

del diritto comunitario alla più generale attività della pubblica amministrazione. Oppure<br />

v. l’art. 192, comma 2, T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, in tema di determinazioni<br />

a contrarre e relative procedure, che stabilisce che « si applicano, in ogni caso, le procedure<br />

previste dalla normativa dell’Unione europea recepita o comunque vigente nell’ordinamento<br />

giuridico italiano ». V. anche la circolare n. 8756 del 6 giugno 2002 della Presidenza<br />

del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le Politiche comunitarie, per la quale: « secondo<br />

i principi comunitari, le pubbliche amministrazioni che intendono stipulare contratti non regolamentati<br />

sul piano europeo, sono tenute ad osservare criteri di condotta che consentano,<br />

senza discriminazioni su base di nazionalità e di residenza, a tutte le imprese interessate di venire<br />

per tempo a conoscenza dell’intenzione amministrativa di stipulare il contratto e di giocare<br />

le proprie chances competitive attraverso la formulazione di un’offerta appropriata ».<br />

( 104 ) Nel Practical Guide to Contract procedures for EC external actions citato, secondo il<br />

quale (par. 6.1.1): «A grant beneficiary is responsible for implementing the operation and retains<br />

ownership of its results. By contrast, under a procurement contract, it is the Contracting Authority<br />

which owns the results of the project and closely supervises its implementation.<br />

- A grant beneficiary generally contributes to the financing of the action except in cases where<br />

full Community financing is essential for the action to be carried out or full EDF financing is required.<br />

. . In the case of procurement contracts, however, the contractor does not normally contribute<br />

financially.<br />

- A grant can only be made for an operation whose immediate objective is non-commercial.<br />

Under no circumstances may the grant give rise to profits (i.e., it must be restricted to the amount<br />

required to balance income and expenditure for the action, see point 6.2.10), with exception of the<br />

actions with the objective of reinforcement of the financial capacity of a beneficiary or the generation<br />

of an income in the framework of external actions. Grant beneficiaries are generally non-profit-making<br />

(. . . .)<br />

- The grant is expressed by ways of a percentage and a maximum amount of the eligible costs<br />

of the action actually incurred by the beneficiary. If lump sums (with a unit value not exceeding<br />

EUR 25.000 per category(ies) of eligible cost) or flat-rate financing are envisaged, its use and the<br />

maximum amounts must be authorised by grant or type of grant by the Commission in a decision,<br />

e.g. in the financing decision. The use of lump sums, flat-rate financing or a combination of the<br />

different forms of expressing a grant requires an amendment of the standard grant contract, which<br />

is subject to a derogation.<br />

The amount of a procurement contract, on the other hand, represents a price fixed in accordance<br />

with competitive tendering rules ».


SAGGI 363<br />

rio, sostenuti per il progetto ( 105 ). Tali costi vanno solitamente giustificati e<br />

documentati (v. art. 119 reg. 1605/2002; art. 180 reg. 2342/2002). Infatti, come<br />

si afferma anche in giurisprudenza « incombe al beneficiario l’onere di<br />

dimostrare l’effettività delle spese e la loro connessione con l’azione approvata<br />

» ( 106 ). La contribuzione deve avvenire in modo da non determinare un<br />

profitto (art. 113, par. 2, reg. 1605/2002) e cioè una differenza tra il contributo<br />

ed il totale dei costi (art. 165, par. 1, reg. 2342/2002). Ciò in maniera differente<br />

dell’appalto in cui il finanziatore paga un prezzo, senza necessità di accertare<br />

i costi effettivamente sostenuti, e con la possibilità dell’appaltatore<br />

di conseguire un utile dall’operazione ( 107 ). In base al principio dell’assenza<br />

di profitto, il contributo comunitario viene ridotto se la somma di questo e<br />

delle altre entrate è superiore ai costi ammissibili (art. II.17, par. 4, contratto<br />

per le sovvenzioni).<br />

In alcuni casi il contributo avviene in modo forfetario (v. art. 108 bis reg.<br />

1605/2002), ma ciò non trasforma il contributo in un corrispettivo. In tali<br />

( 105 ) Come opportunamente ricorda Manzella, Gli ausili finanziari, cit., p. 2872.<br />

( 106 )V. Trib. CE, 14 luglio 1997, Interhotel c. Commission, cit., punto 47. La Commissione<br />

ha quindi il diritto di non riconoscere costi che, seppure previsti nel contratto di finanziamento,<br />

non sono rappresentati da idonea documentazione (v. il punto 43 della sentenza da ultimo<br />

citata). Secondo la giurisprudenza Stadtsportverband Neuss eV c. Commissione, causa T-137/01,<br />

cit., punto 88, sembrerebbe, inoltre, che i documenti probatori non possano essere presentati<br />

al giudice successivamente. Infatti: « a questo riguardo va ricordato che, secondo una costante<br />

giurisprudenza, la legittimità di un atto individuale impugnato deve essere valutata in base<br />

alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento in cui l’atto è stato adottato (v., in particolare,<br />

sentenze della Corte di giustizia 7 febbraio 1979, Francia/Commissione, cause riunite<br />

15/76 e 16/76, Racc. p. 321, punto 7, e 17 maggio 2001, IECC/Commissione, C-449/98, Racc. p.<br />

I-3875, punto 87; Tribunale di primo grado 12 dicembre 1996, Altmann e altri/Commissione,<br />

cause riunite T-177/94 e T- 377/94, Racc. p. II-2041, punto 119). Qualora infatti dovesse esaminare<br />

gli atti impugnati, alla luce di elementi di fatto non esistenti alla data in cui l’atto è stato<br />

emanato, il Tribunale si sostituirebbe all’istituzione da cui promana l’atto di cui trattasi (sentenza<br />

del Tribunale 11 luglio 1991, Von Hoessle/Corte dei conti, T-19/90, Racc. p. II-615, punto<br />

30). Di conseguenza vanno presi in considerazione solo gli elementi di cui la Commissione<br />

poteva prendere conoscenza nel corso del procedimento amministrativo ».<br />

( 107 ) Questa conclusione non è contraddetta dalla circostanza che il prezzo viene stabilito,<br />

nella fase di formazione del contratto, per esempio con riferimento a parametri come il costo<br />

dello staff impegnato nell’attività. Una volta determinato il prezzo, questo verrà pagato<br />

senza che si dimostri il costo effettivamente sostenuto (per esempio per i componenti dello<br />

staff ). In alcuni casi una parte del corrispettivo viene pagato in riferimento a costi realmente<br />

sostenuti. È il caso degli appalti di servizi denominati «Fee-based contract ». In questi casi una<br />

parte del corrispettivo viene commisurato alle «incidental expenses», come le spese di viaggio<br />

degli esperti. Anche in questo caso, tuttavia, non devono essere rispettati i principi tipici delle<br />

sovvenzioni come quello del cofinanziamento.


364 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

ipotesi per ragioni di opportunità (per la tipologia di azione o di beneficiario,<br />

per ragioni di semplificazione delle procedure) ( 108 ) si presume che la<br />

lump sum copra comunque i costi dell’operazione (cfr. art. 165, par. 2, reg.<br />

2342/2002, che si riferisce a borse a persone fisiche, premi per la partecipazione<br />

a concorsi e altri importi forfetari).<br />

Per evitare che il contributo superi i costi, è stabilito il divieto di cumulo<br />

e cioè di attribuire più di una sovvenzione allo stesso soggetto beneficiario<br />

per la stessa azione (art. 111, reg. 1605/2002).<br />

Il beneficiario, pertanto, deve « cofinanziare » l’operazione (v. art. 113<br />

del reg. 1605/2002). I soggetti che partecipano ai programmi comunitari<br />

hanno l’obbligo di coprire la parte dei costi non finanziata dalla sovvenzione.<br />

Il beneficiario della sovvenzione giustifica l’importo dei cofinanziamenti<br />

ricevuti in termini di: risorse proprie; trasferimenti finanziari forniti da<br />

terzi; contributi in natura, se ammessi (art. 172 reg. 2342/2002).<br />

Detta modalità di erogazione del finanziamento si accompagna alla circostanza,<br />

come si è detto sopra, che l’ente finanziatore può acquistare diritti<br />

sui risultati dell’attività progettuale, ma mai in maniera esclusiva, come<br />

accadrebbe in un appalto.<br />

In senso negativo il progetto comune non deve consistere in modo preponderante<br />

nella erogazione di attività qualificate appalti dalla normativa<br />

vigente. Tra queste attività che escludono l’applicazione della disciplina sulle<br />

sovvenzioni, lo svolgimento di attività in favore di terzi, rientranti nella<br />

definizione di servizi pubblici.<br />

11. – La modalità con cui l’ente finanziatore partecipa alla spesa si basano<br />

sull’idea che l’ente finanziatore non acquista, ma collabora, al fine di realizzare<br />

un progetto comune, conforme agli obiettivi previsti dalle fonti giuridiche<br />

e alla missione istituzionale del soggetto pubblico o privato (come le<br />

fondazioni di origine bancaria).<br />

Nelle sovvenzioni, pertanto, viene messa in risalto la modalità associativa<br />

con cui le parti realizzano il progetto.<br />

Come si direbbe nell’ordinamento italiano i beneficiari e l’ente finan-<br />

( 108 )V. la recente proposta della Commissione europea nel settore dei finanziamenti della<br />

ricerca in modo da attenuare gli obblighi di rendicontazione (Communication From The<br />

Commission To The European Parliament, The Council, The European Economic And Social<br />

Committee And The Committee Of The Regions Simplifying The Implementation Of The Research<br />

Framework Programmes, COM(2010) 187, del 20 aprile 2010). In questi casi, comunque, non<br />

viene messo in dubbio che si tratta di sovvenzioni.


SAGGI 365<br />

ziatore realizzano uno scopo comune, nel senso che le prestazioni delle parti<br />

sono poste in parallelo e non contrapposte ( 109 ).<br />

In effetti il più importante tratto differenziale di tali contratti non riguarda<br />

il numero delle parti ( 110 ), ma la direzione delle prestazioni che devono<br />

tendere allo scopo comune prefissato. Per di più spesso nelle sovvenzioni<br />

comunitarie e in quelle nazionali è usuale che si richieda la pluralità<br />

dei beneficiari.<br />

La comunione di scopo non è peraltro equivalente al perseguimento<br />

dello scopo di soddisfare lo stesso interesse pubblico, che è essenziale anche<br />

nelle altre tecniche per l’attuazione di un finanziamento pubblico. Anche<br />

nelle altre tecniche vi è la realizzazione di una stessa attività con prestazioni<br />

diverse delle parti. Ma le prestazioni, seppure in un quadro di collaborazione<br />

tra le parti, sono poste in modo che una è soddisfatta direttamente<br />

dall’altra.<br />

Nelle sovvenzioni, come negli altri contratti di carattere associativo, la<br />

soddisfazione degli interessi di una delle parti non avviene per effetto della<br />

controprestazione di un’altra parte, ma dall’esecuzione di un programma<br />

concordato (nel caso delle sovvenzioni, il progetto). La sovvenzione dell’ente<br />

finanziatore non remunera l’attività del beneficiario, ma costituisce la<br />

partecipazione dell’ente alla realizzazione del progetto.<br />

Qui in effetti, ben diversamente dai contratti di scambio, il ruolo del<br />

contratto non è quello di porre lo schema di attribuzioni che valga a fissare<br />

gli interessi delle parti tramite immediate imputazioni, quanto piuttosto di<br />

mobilitare gli interessi delle parti, orientandolo al perseguimento dell’interesse<br />

che è la finalità del piano d’azione predisposto ( 111 ).<br />

Come in altri contratti associativi lo scopo comune, la realizzazione del<br />

progetto, viene ad assumere un rilievo per l’insieme dei contraenti. Ciò ha<br />

conseguenze sotto il profilo delle vicende del rapporto.<br />

Innanzitutto nel senso che nelle sovvenzioni è ammissibile una modificazione<br />

del partenariato senza che ciò necessariamente comporti una modifica<br />

del progetto comune. E questo sia per quanto riguarda l’ingresso di<br />

nuovi soggetti, sia per il recesso, la nullità o la risoluzione della partecipazione<br />

di uno dei soggetti a meno che la partecipazione non sia considerata<br />

essenziale.<br />

Nei contratti tipo delle sovvenzioni, infatti, vi sono disposizioni che pre-<br />

( 109 ) Maiorca, voce <strong>Contratto</strong> plurilaterale, in Enc. giur., vol. IX, Roma, 1988, p. 1 ss.; v.<br />

p. 8 ss.<br />

( 110 ) Cass., 28 ottobre 1954, n. 4184; Cass., 10 marzo 1980, n. 1592.<br />

( 111 ) Guglielmetti, I contratti normativi, Padova, 1969, p. 42 ss.


366 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

vedono la modificazione del partenariato e la risoluzione dell’intero rapporto<br />

solo quando il venir meno della partecipazione di uno dei beneficiari<br />

compromette l’intero progetto (v. art. II.38, par. 1, Model Grant Agreement<br />

del Settimo Programma Quadro).<br />

Diverso è il caso dei contratti di appalto dove vi sono due parti, una è<br />

l’appaltante, l’altro l’appaltatore. Anche quando questi è una parte complessa<br />

(un raggruppamento temporaneo), la modifica potrebbe non essere<br />

ammessa.<br />

L’art. 37 del d.lgs. 163/2006 al comma 9 stabilisce che: « è vietata qualsiasi<br />

modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei e dei<br />

consorzi ordinari di concorrenti rispetto a quella risultante dall’impegno<br />

presentato in sede di offerta ».<br />

La disposizione viene letta come divieto assoluto nella variazione della<br />

composizione del raggruppamento temporaneo (per es. Cons. Stato, 7 aprile<br />

2006, n. 1903). Lo stesso Consiglio di Stato ha comunque attenuato il<br />

principio, sostenendo che la immodificabilità è a tutela della possibilità dell’amministrazione<br />

di verificare i requisiti tecnico-organizzativi, economico-finanziari<br />

e morali dei partecipanti, cosicché appare vietata la sostituzione<br />

di una delle imprese raggruppata o l’ingresso di una nuova, ma non già il<br />

recesso (Cons. Stato, n. 4101/2007; Id., 2964/2009).<br />

Il carattere associativo delle sovvenzioni fa sì che vengano applicate regole<br />

molto simili a quelle previste dal codice civile italiano, che è uno dei<br />

pochi a disciplinare in generale il fenomeno dei contratti con comunione di<br />

scopo ( 112 ).<br />

Ne è un esempio la disciplina comunitaria delle sovvenzioni, nell’ambito<br />

della quale si utilizzano clausole quali: la previsione della diffida ad adempiere<br />

e di clausole risolutive espresse in favore della Commissione ( 113 ); la ri-<br />

( 112 ) Diverse possono essere le regole applicabili, negli ordinamenti che qualificano in modo<br />

differente i rapporti giuridici che derivano dai programmi di finanziamento. In una disciplina<br />

che riconosce il contratto bilaterale, per esempio, l’inadempimento di una delle obbligazioni<br />

conduce alla risoluzione del contratto, senza che si tenga conto della essenzialità di una delle<br />

prestazioni; ciò per effetto dell’applicazione della clausola risolutiva « sottintesa » ai contratti sinallagmatici.<br />

Nel sistema del codice Napoleone, infatti, il contratto di società si scioglie per volontà<br />

(art. 1733 c.c. 1865; art. 1869 code civil belge) o per inadempimento (art. 1735 c.c. 1865; art.<br />

1844-7, 5°, code civil; art. 1871 code civil belge) anche di uno dei soci. V. anche la disciplina del recesso<br />

nella societé en partecipation, di cui all’art. 1872-2 code civil. Nel BGB la fattispecie in parola<br />

potrebbe ricadere nel campo di applicazione del principio posto dal § 139 il quale, analogamente<br />

all’art. 1419, comma 1, c.c. disciplina la nullità parziale del contratto.<br />

( 113 ) Cfr. la disciplina di cui all’art. II.38 del contratto tipo del Settimo Programma Quadro<br />

di RST. Le clausole risolutive a favore dell’ente finanziatore sono presenti anche nella disci-


SAGGI 367<br />

soluzione per « forza maggiore » e per inadempimento; l’applicazione di<br />

sanzioni contrattuali come clausole penali e interessi di mora.<br />

12. – Da quanto detto nei paragrafi precedenti le sovvenzioni sono una<br />

delle tecniche utilizzate dagli enti pubblici (e da altri soggetti previsti dalla<br />

legge) per attuare le loro finalità istituzionali.<br />

Come accade per i pubblici appalti, anche le sovvenzioni non sono individuate<br />

(o escluse) dalla semplice presenza di alcune marche civilistiche come<br />

la mancanza di corrispettività. Come accade per gli appalti le sovvenzioni<br />

non identificano una unica tipologia di rapporto contrattuale ( 114 ).<br />

La sovvenzione è caratterizzata da una disciplina che investe congiuntamente<br />

diversi aspetti dell’azione di un ente pubblico quali la procedura di<br />

scelta del beneficiario, la modalità di spesa del denaro, il rapporto tra ente e<br />

beneficiario.<br />

Nel diritto dell’Unione e nel diritto nazionale, il concetto di sovvenzione<br />

si individua quindi nel contesto della disciplina dei contratti pubblici e in<br />

opposizione alla nozione di appalto.<br />

L’utilizzo della sovvenzione è possibile in tutti quei casi in cui l’ente pubblico<br />

non è obbligato ad applicare la disciplina degli appalti. Come si è osservato<br />

l’ente deve ricorrere alla normativa sugli appalti quando acquista un bene<br />

o un servizio a proprio esclusivo vantaggio e quando deve fornire un servizio<br />

pubblico in favore dei cittadini. Per esempio la base giuridica di alcuni programmi<br />

comunitari richiede l’applicazione della disciplina dell’appalto quando,<br />

per attuare il programma, la Commissione ha bisogno di « assistenza tecnica<br />

» ( 115 ) o per erogare servizi a particolari destinatari ( 116 ).<br />

plina dei finanziamenti nazionali, qualunque sia la tecnica utilizzata. Per esempio, si fa osservare<br />

che « nel contratto IMI, utilizzando lo strumento previsto dall’art. 1662 c.c. per l’appalto,<br />

si prevede la clausola risolutiva espressa a vantaggio del committente, dopo la diffida ad<br />

adempiere ex art. 1454 c.c., anche prima della scadenza del termine, qualora l’esecuzione del<br />

progetto di ricerca non proceda secondo le condizioni stabilite nel capitolato tecnico ed a regola<br />

d’arte » (Candian, voce Ricerca (contratto), cit., p. 526).<br />

( 114 ) La definizione comunitaria di « appalto » è infatti più ampia di quella accolta, per<br />

esempio, nel nostro codice civile all’art. 1655 c.c. Essa riguarda rapporti riconducibili a tipologie<br />

contrattuali quali il contratto d’opera, il leasing, la locazione, la somministrazione, i contratti<br />

di società e così via.<br />

( 115 )V., per esempio, il Programma Innovazione e Competitività (PIC) istituito con decisione<br />

n. 1639/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ottobre 2006. L’art. 7<br />

della decisione stabilisce che una parte del budget del programma potrà essere utilizzato dalla<br />

Commissione per « le spese necessarie connesse alle azioni di preparazione, monitoraggio,<br />

controllo, audit e valutazione direttamente necessarie per l’attuazione efficace ed efficiente


368 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Nella sovvenzione l’ente finanziatore non acquista beni o servizi dietro<br />

il pagamento di un corrispettivo, ma partecipa alla realizzazione di un’attività<br />

proposta dai beneficiari, mediante la erogazione di un contributo, che è<br />

legato ai costi effettivi o a quelli stimati dei beneficiari stessi. I risultati derivanti<br />

dall’attuazione del progetto (i beni o comunque le utilità prodotte)<br />

non sono a vantaggio esclusivamente dell’ente pubblico (o di terzi), ma anche<br />

dei beneficiari.<br />

Queste caratteristiche della sovvenzione fanno sì che si applichino norme<br />

sulla scelta del contraente diverse da quelle degli appalti, seppure nel rispetto<br />

di certi principi comuni.<br />

Le caratteristiche delle sovvenzioni ne rendono particolarmente interessante<br />

l’utilizzo in quelle ipotesi dove è necessario promuovere la transnazionalità<br />

(soprattutto nelle sovvenzioni comunitarie e quelle internazionali)<br />

e la collaborazione di soggetti di diversa provenienza (università,<br />

enti di ricerca, imprese, enti no profit, e così via). Negli altri strumenti di attuazione<br />

delle politiche pubbliche, la collaborazione tra più destinatari non<br />

è esclusa (si pensi ai raggruppamenti temporanei tra appaltatori) ma avviene<br />

in modo eventuale.<br />

Inoltre le modalità di selezione dei beneficiari fa delle sovvenzioni uno<br />

strumento per favorire la creatività e la produzione di conoscenze, enfatizzando<br />

il ruolo della progettazione.<br />

La circostanza che le utilità non siano destinate a beneficio esclusivo dell’ente<br />

pubblico consente di mettere a disposizione immediatamente di altri<br />

soggetti o del pubblico più in generale i risultati dell’attività progettuale.<br />

Le sovvenzioni in questo senso sono un potente strumento per attuare<br />

certi obiettivi, soprattutto di carattere comunitario, come la mobilità, la<br />

proporzionalità e la sussidiarietà, promuovendo una integrazione dal basso,<br />

basata sulle autonomie dei soggetti coinvolti. Gli altri strumenti realizzano<br />

comunque tali principi, seppure in modo meno efficace. Gli appalti,<br />

della decisione e per raggiungerne gli obiettivi ». Queste spese possono « comprendere studi,<br />

incontri, attività informative, pubblicazioni, spese per attrezzature, sistemi e reti informatiche<br />

atti allo scambio e al trattamento delle informazioni, nonché ogni altra spesa per assistenza<br />

e consulenza tecnica, scientifica e amministrativa di cui la Commissione potrebbe aver<br />

bisogno ai fini dell’attuazione della presente decisione ».<br />

( 116 )Per continuare l’esempio del PIC l’art. 21 della decisione 1639/2006 prevede la stipulazione<br />

di contratti per fornire servizi ai principali destinatari del programma e cioè le PMI,<br />

quali «a) servizi di informazione, di feedback, di cooperazione tra imprese e di internazionalizzazione;<br />

b) servizi di innovazione e di trasferimento, sia di tecnologie che di conoscenze; c)<br />

servizi che incoraggiano la partecipazione delle PMI al settimo programma quadro RST ».


SAGGI 369<br />

per esempio, lasciano minore autonomia ai partecipanti, sia per quel che riguarda<br />

l’idea progettuale, sia per quel che concerne l’utilizzo dei risultati<br />

dell’attività svolta.<br />

Ovviamente le caratteristiche delle sovvenzioni ne fanno anche uno<br />

strumento che può confliggere con altre discipline. In particolare, lo si è accennato,<br />

questo conflitto si realizza con la normativa sugli aiuti di Stato. In<br />

effetti le sovvenzioni, più di altri strumenti, possono realizzare un vantaggio<br />

economico per gli operatori del mercato. Ciò nel senso che diminuiscono<br />

gli oneri che normalmente le imprese sostengono in un determinato<br />

mercato. Ma come si è detto questo effetto non è esclusivo delle sovvenzioni,<br />

e comunque vi sono attività nelle quali le sovvenzioni non sono considerate<br />

distorsive del mercato interno in tutto o limitatamente a una certa<br />

partecipazione finanziaria. È il caso dell’attività di ricerca o quella di formazione<br />

professionale, le quali possono essere finanziate, sebbene entro certi<br />

limiti di intensità, perché considerate a monte dell’attività di mercato.


MARÍA ASCENSIÓN MARTÍN HUERTAS<br />

El espacio registral europeo. El modelo español del Registro Mercantil<br />

Sommario: 1. Introducción. – 2. Razones para la creación de un espacio registral europeo. –<br />

3. El Registro Mercantil en el ordenamiento jurídico español. – 3.1. Origen y evolución.<br />

– 3.2. Concepto, funciones y normativa. – 3.3. Organización del Registro Mercantil. –<br />

3.4. Objeto de la inscripción. – 3.5. Inscripción. – 3.6. Calificación registral. – 3.7. Efectos<br />

de la inscripción. – 3.8. Principio de publicidad.<br />

1. – Parece indispensable que las relaciones empresariales vengan amparadas<br />

por el principio de seguridad jurídica. Éste ha de auspiciar una predeterminación,<br />

lo más certera posible, de los efectos que acompañan a las<br />

acciones y omisiones de quienes intervienen en el mercado. En esta línea<br />

no se puede desconocer que la extraordinaria importancia que en la actualidad<br />

tiene el tráfico mercantil impone la existencia de instrumentos de publicidad<br />

del mismo que permitan verificar con facilidad y rapidez la identidad<br />

del empresario y de sus representantes, la masa patrimonial con la que<br />

responde del cumplimiento de sus obligaciones y las condiciones para establecer<br />

dicha vinculación, así como sus eventuales modificaciones posteriores.<br />

En definitiva, se requiere que exista un lugar donde consten una serie<br />

de menciones relativas a los empresarios al se le aplique un determinado régimen<br />

jurídico y que recibe la denominación de Registro. Por otro lado, dichos<br />

Registros se han convertido en un elemento preciso para el funcionamiento<br />

de las sociedades de capital, necesitadas de un control externo como<br />

garantía de la seguridad del tráfico ( 1 ).<br />

La Directiva 2009/101/CE dispone en su art. 3.1: “En cada Estado miembro<br />

se abrirá un expediente, en un registro central o bien en un registro mercantil<br />

o registro de sociedades, por cada una de las sociedades inscritas”. Por tanto,<br />

dicha institución es común a todos los ordenamientos europeos, aunque<br />

existen diferencias importantes en cuanto a los efectos y al régimen jurídico<br />

que cada uno le atribuye, a pesar de la acción armonizadora del Derecho comunitario.<br />

Las divergencias se ponen de manifiesto, ya de entrada, en cuan-<br />

( 1 ) En la exposición de esta primera parte del trabajo seguiremos muy de cerca el certero<br />

análisis de Arenas, La función del Registro Mercantil en el Derecho internacional de sociedades,<br />

en Derecho Registral Internacional. Homenaje a la memoria del Profesor Rafael Arroyo Montero,<br />

Madrid, 2003, p. 545 ss.


SAGGI 371<br />

to a la forma misma de llevanza de los Registros. Mientras que en España es<br />

un cuerpo especial, el de Registradores de la Propiedad, Mercantiles y de<br />

Bienes Muebles, el responsable de estos centros, en otros países el Registro<br />

se encuentra en manos de jueces (Alemania) u otros funcionarios judiciales<br />

(Francia, donde el Registro es responsabilidad del greffer de justice). Puede<br />

ser, también, que el Registro sea llevado por un Departamento ministerial<br />

(Dinamarca) o por las Cámaras de Comercio (<strong>Italia</strong>, Países Bajos).<br />

Hay que tener en cuenta que en la naturaleza de estos Registros públicos<br />

de los Estados miembros de la Unión han incidido las Directivas comunitaria<br />

en materia de sociedades (pieza angular de este tipo de Registros)<br />

que han acentuado el facilitar el conocimiento efectivo por parte de los terceros<br />

de los actos esenciales de las sociedades y en general de los empresarios.<br />

La primera Directiva fue la 68/151/CEE, modificada con posterioridad<br />

por las Directivas 2003/58/CE y 2006/99/CE. A su vez, las dos primeras han<br />

sido derogadas por la Directiva 2009/101/CE del Parlamento Europeo y del<br />

Consejo, de 16 de septiembre de 2009, tendente a coordinar, para hacerlas<br />

equivalentes, las garantías exigidas en los Estados miembros a las sociedades<br />

definidas en el art. 48, párrafo segundo, del Tratado, para proteger los<br />

intereses de socios y de terceros ( 2 ), a la que nos acabamos de referir.<br />

Como siempre que se habla de Derecho comunitario, la aspiración es<br />

conseguir la mayor armonización posible en el tratamiento de las diversas<br />

instituciones jurídicas operantes en los Países que componen la Unión Europea,<br />

afín de potenciar al máximo las relaciones entre dichos Estados. La<br />

consecución de tal finalidad aconseja, en cuanto al tema que ahora nos ocupa,<br />

que se obtenga un conocimiento de cómo aparece organizado el Registro<br />

Mercantil en los diferentes Estados.<br />

2. – De lo que se acaba de exponer se deduce, fácilmente, que los mencionados<br />

Registros públicos a los que nos venimos refiriendo tienen, fundamentalmente,<br />

un doble cometido: la función de publicidad y la función<br />

de control.<br />

La primera, que implica el establecimiento de mecanismos para que los<br />

operadores jurídicos cumplan con la obligación de inscribir determinados<br />

actos jurídicos en el Registro lleva, a su vez, aparejada la denominada presunción<br />

de veracidad de su contenido. Según esta presunción lo que figura<br />

inscrito se presume existente válido y eficaz, con independencia de que real-<br />

( 2 ) Dicha Directiva está publicada en el DOUEL de 1 de octubre de 2009 y entró en vigor<br />

el 21 de octubre de dicho año.


372 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

mente no exista, presente algún vicio o carezca de eficacia y, desde el punto<br />

de vista negativo, lo que no figura inscrito se presume no existente, o se tacha<br />

de inválido o se limita su eficacia. Una de las consecuencias importantes<br />

de esta presunción es que los actos sujetos a inscripción, una vez inscritos,<br />

son oponibles a terceros incluso de buena fe ( 3 ).<br />

Pues bien, en los ordenamientos europeos el contenido de los diversos<br />

Registros a los que se les atribuyen estas funciones no goza de la presunción<br />

de validez y eficacia que tiene el Registro Mercantil español: en Alemania,<br />

ninguna norma impone la presunción de veracidad y solamente con ocasión<br />

de la transposición de la Primera Directiva en materia societaria se introdujo<br />

un apartado tercero en el § 15 HGB, regulando la posibilidad de que<br />

los terceros se prevalgan de las circunstancias que hayan sido publicadas<br />

(no inscritas), pese a que sean incorrectas. Por su parte, en el Derecho francés<br />

tampoco se establece dicha presunción, aunque sí se impide que puedan<br />

alegarse frente a los terceros de buena fe las circunstancias que han de ser<br />

objeto de publicación antes de que ésta se haya producido. Finalmente (por<br />

referirnos solo a los Estados miembros de la Unión que configuran, lo que<br />

podemos denominar, el bloque de los ordenamientos jurídicos clásicos), en<br />

<strong>Italia</strong>, no se da la presunción general de veracidad por lo que la realidad registral<br />

no prevalece sobre la extrarregistral, excepto en aquellos ámbitos en<br />

los que resulta obligado en función de la armonización comunitaria. De este<br />

modo, a los terceros que se sientan perjudicados por el desajuste entre<br />

una y otra sólo se les ofrece la posibilidad de reclamar una indemnización al<br />

responsable de la inexactitud registral ( 4 ).<br />

Lógicamente, el establecimiento de semejante presunción registral exige<br />

que se adopten determinadas garantías en orden a la inscripción, lo que<br />

se consigue mediante la determinada calificación registral. Así, la autoridad<br />

responsable del Registro debe verificar que el acto cuya inscripción se solicite<br />

existe y es válido para velar adecuadamente por la seguridad del tráfico<br />

jurídico y económico.<br />

Frente a la diversidad en la función de publicidad, existe una relativa<br />

homogeneidad en cuanto a la necesidad de que las sociedades de capital sean<br />

inscritas en un Registro público como requisito previo a la adquisición de la<br />

personalidad jurídica, así como para el perfeccionamiento de determinadas<br />

( 3 ) Sin embargo, tal oponibilidad no se produce inmediatamente después de la inscripción,<br />

sino tras la publicación en el boletín nacional designado por el Estado miembro, según<br />

se indica en el art. 3.5.6 de la Directiva 2009/101/CE.<br />

( 4 ) Marasà e Ibba, Il Registro delle imprese, Torino, 1997, p. 220.


SAGGI 373<br />

operaciones societarias como la transferencia de sede, la fusión o la escisión.<br />

En este marco registral europeo no podemos olvidar que la consecución<br />

de un mercado único obliga a los Estados miembros a dar respuestas ágiles<br />

y rápidas a un entorno empresarial en continua evolución, con evidente repercusión<br />

en el ámbito registral. La creación de la figura de la Sociedad<br />

Anónima Europea ( 5 ) y la propuesta de Reglamento sobre la Sociedad Privada<br />

europea ( 6 ), son claros ejemplos de dicha realidad. Con independencia<br />

de ello, es evidente que se ha producido una gran intensificación en las operaciones<br />

internacionales de las que, cada vez con más frecuencia, han de<br />

ocuparse los encargados de los Registros europeos. Para facilitar dicha labor<br />

se ha hablado de la confianza registral, es decir, la confianza en la publicidad<br />

realizada en el extranjero y, por tanto, en la calificación que haya realizado<br />

la autoridad extranjera responsable del correspondiente Registro Mercantil<br />

o institución equivalente.<br />

Indudablemente, las diferencias en la regulación registral pueden dificultar<br />

la consecución de medidas eficaces de cooperación entre los diferentes<br />

registros europeos, pero si en el futuro se consolida el principio de confianza<br />

registral puede ser uno de los ejes de articulación de la cooperación<br />

registral internacional.<br />

La intensificación de los mecanismos de cooperación interregistral a<br />

través de la profundización en el principio de confianza registral exigirá, sin<br />

embargo, que se reduzcan las diferencias actualmente existentes entre los<br />

distintos Registros europeos en lo que se refiere a la eficacia de la publicidad<br />

ofrecida y la regulación de la operación de calificación. Se impone, por tanto,<br />

una armonización de los sistemas registrales europeos que exigirá renuncias<br />

por parte de cada uno de los Estados implicados. En este contexto<br />

es necesario realizar un importante esfuerzo de presentación de las ventajas<br />

e inconvenientes de cada uno de los modelos nacionales con el fin de que el<br />

resultado armonizado aproveche coherentemente las ventajas que ofrecen<br />

las diversas soluciones estatales.<br />

( 5 ) Creación que se produjo a raíz del Reglamento del Consejo 2157/2001/CE, de 8 de octubre,<br />

por el que se aprueba el Estatuto de la Sociedad Anónima Europea (DO L, de 10 de noviembre<br />

de 2001, núm. 294) y la Directiva del Consejo 2001/86/CE, de 8 de octubre de 2001,<br />

por la que se completa dicho Estatuto en lo que respecta a la implicación de los trabajadores<br />

(DO L de 10 de noviembre de 2001, núm. 294). V. Ansón, Gutiérrez, La Sociedad Anónima<br />

Europea, Barcelona, 2004.<br />

( 6 ) COM (2008) 396 final. V. Miquel, La propuesta de Reglamento (CE) sobre la Sociedad<br />

Privada Europea, en Arenas, Górriz, Miquel (coords.), La internacionalización del Derecho<br />

de Sociedades, Barcelona, 2010, p. 61 ss.


374 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

3. – El Registro Mercantil, tal y como aparece diseñado por el legislador<br />

español, presenta unos rasgos propios y característicos que lo singularizan<br />

respecto al del resto de los ordenamientos europeos. Ya hemos señalado<br />

que la inscripción produce la presunción de veracidad lo que supone que la<br />

publicidad que de él se deriva no sólo es una publicidad-noticia, sino que<br />

engendra auténticos efectos jurídicos. Precisamente, la intensidad de los<br />

efectos que se derivan de la inscripción en el Registro Mercantil español<br />

viene posibilitada, en gran medida, por la profunda y rigurosa función de<br />

calificación que han de desempeñar los Registradores Mercantiles lo que<br />

impide que el Registro se convierta en un simple depósito de documentos.<br />

Finalmente, la calificación que se haga de los actos que pretendan su acceso<br />

al Registro ha de basarse solamente en los documentos que se presenten<br />

(correspondiendo al legislador determinar cuáles deben ser estos documentos)<br />

y en el contenido de los asientos del Registro.<br />

Todas estas consideraciones justifican que llevemos a cabo un somero<br />

estudio del Registro Mercantil y tal y como se configura en el ordenamiento<br />

jurídico español.<br />

3.1. – La extraordinaria importancia que en la actualidad tiene el tráfico<br />

mercantil impone la existencia de instrumentos de publicidad del mismo;<br />

pues bien, la institución que con más seguridad y eficacia cumple esta finalidad<br />

es el Registro Mercantil. El Registro Mercantil, nace en España a finales<br />

del siglo XIX al calor del actual Código de Comercio ( 7 ), y se presenta<br />

como una evolución de anteriores instituciones dedicadas al Registro de los<br />

empresarios y comerciantes, así como de los actos jurídicos que tienen trascendencia<br />

en la vida de los mismos ( 8 ). Dicha institución supuso un gran<br />

avance de la sociedad española de la época. Ésta era principalmente agraria,<br />

en su base económica y autoritaria, en su nivel político, situación propia del<br />

feudalismo. Hoy ha pasado a ser industrial en su estructura económica y representativa<br />

en el ámbito político. No obstante, ya durante el siglo XIX se<br />

crearon muchos de los elementos necesarios para prestar servicios a las<br />

nuevas necesidades sociales. Uno de ellos está representado, indudablemente,<br />

por la institución Registral mercantil.<br />

Desde el año 1885 en que se creó el Registro Mercantil, empezando a<br />

funcionar el 1 de enero de 1886, no ha conocido cambios sustanciales en su<br />

( 7 ) Creado por Real Decreto de 22 de agosto de 1885 (publicado en la Gaceta Oficial de 24<br />

de noviembre de 1885).<br />

( 8 ) Para un análisis más detallado de su evolución histórica V. Arribas, El Registro Mercantil<br />

en España. Organización y función, Madrid, 2009, p. 21 ss.


SAGGI 375<br />

estructura y funcionamiento, demostrando una camaleónica capacidad para<br />

adaptarse a lo ocurrido en los 125 años transcurridos. Esta capacidad es<br />

consecuencia, en buena medida, de su óptima adecuación a las necesidades<br />

de la sociedad para la que fue creado por los legisladores del momento. Como<br />

ha sido puesto de manifiesto, tanto los Registros de la Propiedad como<br />

los Mercantiles españoles “son el fruto de una forma organizativa magistral<br />

resultado de la alquimia de aquellos grandes organizadores que fueron los administrativistas<br />

del siglo XIX y cuya grandeza consistió, paradójicamente, en<br />

la modestia de no inventar nada, en la humildad de importar a España aquellos<br />

materiales que en otros laboratorios, y, sobre todo, en el laboratorio del Derecho<br />

y la Administración francesa, se revelaban como un modo más eficaz y<br />

más barato, de organizar la sociedad y los servicios públicos ”( 9 ).<br />

3.2. – Podemos definir el Registro Mercantil como la Institución administrativa<br />

que tiene por objeto la publicidad oficial de las situaciones jurídicas<br />

de los empresarios en él inscritos, además de otras funciones que le han<br />

sido asignadas por la Ley.<br />

La función primordial asumida por el Registro Mercantil consiste en<br />

ser un instrumento de la publicidad de determinadas situaciones jurídicas<br />

de los empresarios, tanto si se trata de personas físicas como si lo son jurídicas,<br />

referidas tales situaciones no simplemente a su existencia, sino<br />

también a sus vicisitudes posteriores, lo que comprende también el momento<br />

de su cese en la condición de empresario ( 10 ). En efecto, parece indispensable<br />

que las relaciones empresariales vengan amparadas por el<br />

principio de seguridad jurídica para poder conocer los efectos que acompañan<br />

a las acciones y omisiones de quienes intervienen en el mercado.<br />

Manifestación primera y más general de tal pretensión habrá de ser la posibilidad<br />

de verificar con facilidad y rapidez la identidad del empresario y<br />

sus representantes, la masa patrimonial con la que responde del cumplimiento<br />

de sus obligaciones y las condiciones para establecer dicha vinculación.<br />

Para que lo expresado pueda darse es ineludible que exista un lugar,<br />

una institución, donde consten una serie de menciones relativas a los<br />

empresarios, y que se le aplique un régimen jurídico cuya común aspira-<br />

( 9 ) Fernández, El Registro Mercantil, Madrid-Barcelona, 1998, pp. 10-11.<br />

( 10 ) El término público empleado en este contexto hemos de entenderlo, por un lado, como<br />

manifiesto y notorio, en contraposición a desconocido u oculto y público. Y, por otro lado,<br />

como oficial o relativo a la autoridad frente a lo relativo o particular. V. Casado, Derecho<br />

Mercantil Registral, Madrid, 1992, pp. 67-68.


376 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

ción, a la hora de precisar la función de esas menciones, sea la protección<br />

de quienes en ellas confiaron ( 11 ).<br />

Otras funciones asumidas por el Registro Mercantil son las siguientes:<br />

la legalización de los libros de los empresarios (arts. 329 a 337 del Reglamento<br />

del Registro Mercantil, en adelante RRM); el nombramiento de expertos<br />

independientes y auditores de cuentas (arts. 338 a 364 RRM); el depósito<br />

y publicidad de las cuentas anuales (arts. 365 a 378 RRM) ( 12 ).<br />

Por otro lado, el Registro Mercantil tiene carácter jurídico ya que, como<br />

se verá más adelante, añade valor a la información que transmite debido al<br />

control de legalidad que realiza el Registrador. La actual Constitución española<br />

de 1978 reconoce en el art. 9.3, como uno de sus principios, el de seguridad<br />

jurídica. Lógicamente estamos ante una materia que no puede ser objeto<br />

de desigualdad entre los españoles, de ahí que no puede ser objeto de<br />

regulación por medio de normas autonómicas ( 13 ). Así en el art. 149.1.8.°<br />

atribuye al Estado, como competencia exclusiva, la “ordenación de los Registros<br />

e instrumentos públicos”. Uno de esos Registros es, precisamente, el<br />

Registro Mercantil y si bien ese número 8.° está dentro de la rúbrica de legislación<br />

civil, tampoco puede olvidarse que en el número 6.° se atribuye al<br />

Estado la competencia sobre la legislación mercantil ( 14 ).<br />

Concretamente, las normas por las que se regula, se encuentran en el<br />

Tít. II del Libro I del Código de Comercio de 1885 (arts. 16 a 24, con las modificaciones<br />

pertinentes, introducidas, fundamentalmente, por la Ley<br />

19/1989, de 25 de julio) y el Reglamento del Registro Mercantil ( 15 ), que ha<br />

sido reformado, asimismo en diversas ocasiones, las últimas operadas por<br />

RD 659/2007, de 25 de mayo, para adaptarlo a la Ley 19/2005, de 14 de no-<br />

( 11 ) La Exposición de Motivos del Código de Comercio indica que a través de este Registro<br />

se establece un poderoso medio de publicidad que sirva de garantía suficiente a los terceros<br />

que se hallen interesados en ciertos actos y operaciones mercantiles de trascendencia.<br />

( 12 ) V. Morán, El Registro Mercantil, en Jiménez (coord.), Derecho Mercantil, t. I, Barcelona,<br />

2009, p. 196 ss.<br />

( 13 ) La coexistencia en España de una pluralidad de ordenamientos con fuentes de producción<br />

normativa propias, el Estado y las diferentes Comunidades Autónomas, obliga a<br />

plantearse la cuestión de la competencia para regular el Registro Mercantil.<br />

( 14 ) El propio Tribunal Constitucional ha tenido ocasión de pronunciarse sobre el tema al<br />

resolver un recurso interpuesto contra la Ley de cooperativas vasca, manteniendo esta misma<br />

postura y declarando en términos inequívocos que “toda regulación del Registro Mercantil que<br />

incluye la determinación de los actos que han de tener acceso al mismo es de carácter mercantil,<br />

cualquiera que sea la ley que la contenga y su determinación” (STC, de 29 de julio de 1983).<br />

( 15 ) Aprobado por Real Decreto 1784/1996, de 19 de julio, publicado en el Boletín Oficial<br />

del Estado, n. 184, de 31 de julio de 1996.


SAGGI 377<br />

viembre, sobre la sociedad anónima europea y por el RD 158/2008, de 8 de<br />

febrero, que ha realizado una nueva modificación del reglamento que afecta<br />

al régimen del Registro Mercantil Central (RMC). De ellas cabe destacar<br />

la Ley 24/2001, de 27 de diciembre y la Ley 24/2005, de 28 de noviembre,<br />

que han implantado obligatoriamente los sistemas telemáticos en la llevanza<br />

de los Registros y la interconexión entre los mismos y los Notarios ( 16 ).<br />

3.3. – El Registro Mercantil es una oficina pública dependiente de un organismo<br />

estatal, la Dirección General de los Registros y del Notariado<br />

–DGRN- (art. 1.2 RRM) que, a su vez, lo es del Ministerio de Justicia y confiado<br />

a un Registrador que accede al cargo por oposición. A pesar de su carácter<br />

público, tanto el local como las instalaciones son propiedad privada<br />

del Colegio de Registradores y el personal (oficiales y auxiliares) depende<br />

del Registrador, que es su empresa o empleador a efectos laborales, regulándose<br />

las relaciones entre ellos mediante un convenio laboral. Por su parte, el<br />

Registrador ejerce privadamente la función pública registral como si fuera<br />

un profesional titulado, bajo su responsabilidad, a diferencia de los funcionarios<br />

de sueldo. Por tanto, el Registrador es una figura compleja que aúna<br />

cualidades administrativas, como funcionario público y laboral es como empresario<br />

que recibe sus ingresos económicos de los propios usuarios del sistema<br />

a través de una norma que fija los mismos denominada Arancel ( 17 ).<br />

Desde el aspecto organizativo-geográfico, el Registro Mercantil está<br />

constituido por Registros Mercantiles territoriales y un Registro Mercantil<br />

Central, ex art. 1.1 RRM.<br />

A) Registros Mercantiles territoriales: se llevan en cada una de las capitales<br />

de las provincias españolas, además de en las ciudades de Ceuta y Melilla<br />

y donde lo requieran las necesidades del servicio, por ejemplo en ciertas<br />

ciudades insulares como San Sebastián de la Gomera. Por tanto tienen<br />

una circunscripción provincial, a diferencia de los Registros de la Propiedad<br />

que lo son por zonas. Es competente para la inscripción del empresario<br />

(y, en general, de los sujetos inscribibles) el Registro correspondiente<br />

a su domicilio. Por tanto, el Registro Mercantil sigue la división provincial<br />

( 16 ) Sobre la evolución de esta normativa se puede consultar Serrera, El Registro Mercantil.<br />

Una consideración de sus principios, en Revista Crítica de Derecho Inmobiliario, 2003, n.<br />

679, p. 2742 ss.; Arribas, El Registro Mercantil en España. Organización y función, cit., p. 155 ss.<br />

( 17 ) El estudio del entramado de los recursos humanos que componen en el Registro<br />

Mercantil se contiene en Arribas, El Registro Mercantil en España. Organización y función,<br />

cit., p. 287 ss. y en las p. 307 ss. se puede consultar la materia relativa a la financiación de los<br />

Registros Mercantiles.


378 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

del Estado. La mayoría de los Registros Mercantiles son unipersonales<br />

excepto los de algunas ciudades como Madrid (17), Barcelona (16), Sevilla<br />

(2), etc ( 18 ). En estos últimos el Reglamento del Registro Mercantil aconseja,<br />

aunque no impone, la unificación y armonización de criterios de calificación<br />

(Mapa interactivo que aparece en el menú Registro de la Propiedad<br />

donde se encuentran los Registros Mercantiles de toda España).<br />

B) El Registro Mercantil Central que se ubica en Madrid, aglutina en su<br />

archivo los datos de todas las inscripciones que se practican en los Registros<br />

territoriales, lo que facilita la búsqueda de información cuando se desconoce<br />

el domicilio de los sujetos inscribibles. Funciona mediante procedimientos<br />

informáticos y, como acabamos de exponer, reúne los datos que a<br />

través de soportes magnéticos le envíen los Registros territoriales. Las relevantes<br />

funciones que desempeña ( 19 ) son las siguientes:<br />

1. La ordenación, tratamiento y publicidad meramente informativa de<br />

los datos que reciba de los Registros Mercantiles.<br />

Constituye la función capital del Registro Mercantil Central. Los Registros<br />

Mercantiles tienen que remitir al RMC los datos a que se refiere el<br />

RRM inmediatamente después de la práctica del asiento correspondiente,<br />

ex art. 384 RRM. El tratamiento y archivo de los datos contenidos en el<br />

RMC se llevará a cabo “utilizando soportes magnéticos o mediante comunicación<br />

telemática, a través de terminales o de equipos autónomos susceptibles de<br />

comunicación directa con el ordenador del Registrador Mercantil Central ”<br />

(art. 385 RRM) ( 20 ).<br />

2. Llevar una sección de “denominaciones de sociedades y entidades inscritas”,<br />

que tiene por finalidad esencial el procurar que no se inscriban sociedades<br />

o entidades con denominaciones idénticas o que puedan inducir a<br />

error y, en general, que puedan adoptar una denominación que las leyes<br />

prohíben. Para ello, el RMC, a la vista de la solicitud de una determinada<br />

denominación, expedirá una certificación que expresará si la denominación<br />

que se desee adoptar figura o no registrada.<br />

3. La publicación del Boletín Oficial del Registro Mercantil (BORME),<br />

( 18 ) Art. 14 RRM: “el número de Registradores que estarán a cargo de cada Registro mercantil<br />

se determinará mediante Real Decreto a propuesta del Ministerio de Justicia”.<br />

( 19 ) En consonancia con su consideración de “cúpula del sistema registral” y “pieza de cierre”<br />

del mismo, tal como lo considera el Preámbulo del Reglamento del Registro Mercantil.<br />

( 20 ) Los datos que se deben remitir están contemplados en los arts. 386 ss. del RRM. Para<br />

la consulta de los artículos del Reglamento del Registro Mercantil se aconseja utilizar la notable<br />

obra de García, Código de Legislación Inmobiliaria, Hipotecaria y del Registro Mercantil,<br />

Madrid, 2009, t. I, p. 1189 ss.


SAGGI 379<br />

en el que se han de publicar los datos previstos en la Ley. Este Boletín es<br />

exigido por las Directivas de la Unión Europea para que el RM pueda ser, de<br />

forma más eficaz, instrumento de notificación, es decir, para que los interesados<br />

puedan conocer más fácilmente el contenido del RM ( 21 ). Por otro lado,<br />

la publicación de los actos sujetos a inscripción en el BORME tiene una<br />

especial importancia respecto a la eficacia legitimadora del Registro con relación<br />

a los actos y contratos inscritos, ya que sólo serán oponibles a los terceros<br />

de buena fe, a partir de los 15 días siguientes a su publicación.<br />

4. La llevanza del Registro relativo a las sociedades y entidades que hayan<br />

trasladado su domicilio al extranjero sin pérdida, al amparo de convenios<br />

internacionales, de la nacionalidad española.<br />

5. La comunicación a la Oficina de Publicaciones Oficiales de las CCEE<br />

de los datos a que se refiere el art. 14 del Reglamento CE de 8 de octubre de<br />

2001, por el que se aprueba el Estatuto de la Sociedad Anónima Europea.<br />

6. La redacción de una memoria anual. Consiste en una labor marginal,<br />

pero de indudable valor a los efectos de política legislativa.<br />

En cuanto a la organización en sí, el Registro Mercantil actualmente, es<br />

un Registro de sujetos o empresas, a diferencia del Registro de la Propiedad<br />

en el que se inscriben cosas y derechos reales. Antes era un Registro de personas<br />

(empresarios mercantiles) y cosas (buques y aeronaves). Técnicamente<br />

se organiza por lo que se denomina “hojas o folios personales” (art. 3<br />

RRM) y no “reales” como el Registro de la Propiedad lo que supone que el<br />

registro no se lleva por fincas, sino por el orden de recepción de los documentos<br />

(con índices), o por las personas de los propietarios. De este modo,<br />

cada sujeto inscribible tendrá una hoja personal en el Registro Mercantil, en<br />

el que se efectuarán todas las inscripciones establecidas en las leyes o en el<br />

RRM. Precisamente por este motivo había sido criticado el sistema anterior<br />

que preveía la inscripción en él de los buques y las aeronaves ya que alteraba<br />

el régimen del folio personal al implicar la instauración de un folio para cada<br />

medio de transporte, es decir, el folio real. Tanto los buques como las aeronaves<br />

se inscriben en la actualidad en el Registro de Bienes Muebles ( 22 ).<br />

Los libros que se llevan en el RM aparecen recogidos en el art. 23.1 del<br />

( 21 ) Además, por efecto de las Directivas comunitarias, lo que se confirma también en la<br />

que actualmente regula la materia, esto es en la Directiva 2009/101/CE, este boletín puede<br />

presentarse no sólo en formato papel, sino también en formato electrónico, o publicar la información<br />

por medios igualmente eficaces.<br />

( 22 ) Martínez-Gijón, El registro de bienes muebles, en Olivencia, Fernández-Novoa,<br />

Jiménez de Parga, Tratado de Derecho Mercantil curado por Jiménez, vol. II, Madrid-Barcelona,<br />

2006.


380 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

RRM:<br />

– Libro de inscripciones y su Diario de presentación.<br />

– Libro de legalizaciones y su Diario de presentación.<br />

– Libro de Depósito de cuentas y su Diario de presentación.<br />

– Libro de nombramiento de expertos independientes y de auditores y<br />

su Diario de presentación.<br />

– Índices.<br />

– Inventario.<br />

Además, siempre que las necesidades del servicio lo aconsejen, la Dirección<br />

General de los Registros y del Notariado podrá autorizar la apertura<br />

de más de un Libro Diario. Asimismo, los Registradores podrán llevar<br />

también los libros y cuadernos auxiliares que juzguen conveniente para la<br />

adecuada gestión del Registro (art. 23. 2.3 RRM). Dichos Libros son uniformes<br />

para todos los Registros y dada la importancia de la información en<br />

ellos contenida, se exige que sean legalizados. A este fin la Ley Hipotecaria<br />

prescribe que sean foliados y judicialmente visados, uniformes para todos<br />

los Registros, formados bajo la dirección del Ministerio de Justicia, con las<br />

precauciones convenientes para impedir cualesquiera fraudes o falsedades<br />

que pudieran cometerse en ellos, y que sólo harán fe los que lleven los Registradores<br />

con arreglo a estas prevenciones. Por ningún motivo pueden sacarse<br />

de la oficina; todas las diligencias judiciales o extrajudiciales que exija<br />

su presentación, se practicarán precisamente en la misma oficina. Finalmente,<br />

se llevan por medios informáticos que permitan en todo momento<br />

el acceso telemático de su contenido ( 23 ).<br />

En estos Libros se hacen constar, a través de los que se denominan<br />

asientos los diversos datos que deben quedar consignados en los mismos.<br />

Dichos asientos son de los siguientes tipos (Art. 33.1 RRM):<br />

– Asientos de presentación: al ingresar cualquier documento que pueda<br />

provocar alguna operación registral se extiende el oportuno asiento de presentación<br />

( 24 ).<br />

– Inscripciones que dejan constancia de los hechos inscribibles.<br />

- Anotaciones preventivas que se usan para proteger un derecho que<br />

aún no es firme o una decisión de origen judicial. De este modo, se permite<br />

que accedan al Registro títulos con defectos subsanables o situaciones registrales<br />

litigiosas, que no podrán ser ignoradas por terceros mientras se re-<br />

( 23 ) La regulación específica de cada uno de estos Libros se contiene en los artículos 25 al<br />

32 del RRM.<br />

( 24 ) Está contemplado en los arts. 41 ss. del RRM.


SAGGI 381<br />

suelva la incertidumbre (por ejemplo, la anotación preventiva de la demanda<br />

judicial de los acuerdos sociales).<br />

- Notas marginales que sirven para dar noticia de algún hecho secundario<br />

junto a inscripciones y asientos de presentación. Complementan otros<br />

asientos con circunstancias que en sí no son inscribibles (conexión entre<br />

los asientos, cumplimiento de las formalidades).<br />

- Cancelaciones de los asientos anteriores, por virtud de los cuales los<br />

mismos quedan sin efecto ( 25 ).<br />

3.4. – El art. 2 del RRM establece que el Registro tiene por objeto:<br />

a) La inscripción de los empresarios y demás sujetos establecidos por la<br />

Ley, y de los actos y contratos relativos a los mismos que determinen la Ley<br />

y este Reglamento.<br />

b) La legalización de los libros de los empresarios, el nombramiento de<br />

expertos independientes y de auditores de cuentas y el depósito y publicidad<br />

de los documentos contables<br />

c) La centralización y publicación de la información registral, que será<br />

llevada a cabo por el Registro Mercantil Central en los términos prevenidos<br />

por este Reglamento.<br />

d) La centralización y publicación de la información de resoluciones<br />

concursales en la forma prevista en el Real Decreto 685/2005, de 10 de junio<br />

(6 bis).<br />

Por su parte, el art. 16 del Código de Comercio, modificado por la Ley<br />

de 15 de marzo de 2007, establece que el RM tiene por objeto la inscripción<br />

de: 1.° Los empresarios individuales. 2.° Las sociedades mercantiles. 3.° Las<br />

entidades de crédito y de seguros, así como las sociedades de garantía recíproca.<br />

4.° Las instituciones de inversión colectiva y los fondos de pensiones.<br />

5.° Cualesquiera personas naturales o jurídicas, cuando así lo disponga<br />

la Ley. 6.° Los actos y contratos que establezca la Ley ( 26 ). 7.° Las Sociedades<br />

Civiles Profesionales constituidas con los requisitos establecidos en la legislación<br />

específica de Sociedades Profesionales. 8.° Los actos y contratos<br />

que establezca la Ley.<br />

( 25 ) La mecánica de dichos asientos se contempla en los arts. 33 ss. RRM.<br />

( 26 ) Ha sido denunciada la falta de homogeneidad de este apartado del precepto, ya que el<br />

Registro lo es de personas o entidades y no de actos, aunque dicha imperfección se corrige en<br />

el art. 2 del RRM que, como hemos visto se refiere a “la inscripción de los empresarios y demás<br />

sujetos establecidos por la ley, y de los actos y contratos relativos a los mismos que determinen la<br />

Ley y este Reglamento”. Serrera, El Registro Mercantil. Una consideración de sus principios,<br />

cit., p. 2750.


382 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

2. Igualmente corresponderá al Registro Mercantil la legalización de los<br />

libros de los empresarios, el depósito y la publicidad de los documentos<br />

contables y cualesquiera otras funciones que les atribuyan las leyes.<br />

Se complementa, dicha normativa, con el art. 81 del RRM que enuncia<br />

los sujetos que necesariamente han de inscribirse en el Registro ( 27 ), si bien<br />

tal enumeración ha de completarse con la de las “demás personas o entidades<br />

que establezcan las leyes”. Por tanto, en el RM se inscriben junto a empresarios,<br />

ya sean personas individuales o jurídicas (sociedades mercantiles,<br />

cooperativas etc), sujetos no personificados como los fondos de inversión<br />

o de pensiones. Además, en la lista se echan en falta entidades como<br />

las asociaciones y las fundaciones.<br />

En cuanto a los datos que han de figurar en la hoja de cada sujeto inscrito,<br />

referidos específicamente al empresario individual se inscribirán, entre<br />

otros, según el art. 87 RRM los siguientes:<br />

– la identificación del empresario y su empresa, que necesariamente será<br />

la inscripción primera ( 28 );<br />

– los poderes generales concedidos a determinadas personas para que<br />

puedan actuar en nombre de la sociedad, así como su revocación, modificación<br />

y sustitución;<br />

– las declaraciones judiciales que modifiquen la capacidad del empresario<br />

individual;<br />

– la suspensión de pagos y la quiebra, de conformidad con lo previsto en<br />

los artículos 320 y siguientes ( 29 ).<br />

( 27 ) Art. 81 RRM: 1. Será obligatoria la inscripción en el Registro Mercantil de los siguientes<br />

sujetos: a) El naviero empresario individual; b) Las sociedades mercantiles; c) Las<br />

sociedades de garantía recíproca; d) Las cooperativas de crédito, las mutuas y cooperativas de<br />

seguros y las mutualidades de previsión social; e) Las sociedades de inversión colectiva; f) Las<br />

agrupaciones de interés económico; g) Las cajas de ahorro; h) Los fondos de inversión; i) Los<br />

fondos de pensiones; j) Las sucursales de cualquiera de los sujetos anteriormente indicados;<br />

k) Las sucursales de sociedades extranjeras y de otras entidades con personalidad jurídica y<br />

fin lucrativo; l) Las sociedades extranjeras que trasladen su domicilio a territorio español; m)<br />

Las demás personas o entidades que establezcan las Leyes.<br />

( 28 ) A su vez, en esta inscripción primera del empresario individual se expresarán las siguientes<br />

circunstancias, ex art. 90 RRM: 1. La identidad del mismo; 2. El nombre comercial<br />

y, en su caso, el rótulo de su establecimiento; 3. El domicilio del establecimiento principal y,<br />

en su caso, de las sucursales; 4. El objeto de su empresa; 5. la fecha de comienzo de sus operaciones.<br />

( 29 ) Otras circunstancias que deben reflejarse en la hoja abierta a cada empresario individual,<br />

según dicho artículo son las siguientes: – la apertura, cierre y demás actos y circunstancias<br />

relativos a las sucursales, en los términos prevenidos en los artículos 295 y siguientes; – el<br />

nombramiento para suplir, por causa de incapacidad o incompatibilidad, a quien ostente la


SAGGI 383<br />

En el caso de las sociedades se inscriben obligatoriamente, entre otros,<br />

los siguientes datos, ex art. 94 RRM:<br />

– la constitución de la sociedad, que necesariamente será la inscripción<br />

primera;<br />

– la modificación del contrato y de los estatutos sociales, así como los<br />

aumentos y reducciones de capital;<br />

– la prórroga del plazo de duración;<br />

– el nombramiento y cese de administradores, liquidadores y auditores.<br />

Asimismo, habrá de inscribirse el nombramiento y cese de los secretarios y<br />

vicesecretarios de los órganos colegiados de administración, aunque no<br />

fueren miembros del mismo;<br />

- los poderes generales y las delegaciones de facultades, así como su modificación,<br />

revocación y sustitución;<br />

- la apertura, cierre y demás actos y circunstancias relativos a las sucursales,<br />

- la transformación, fusión, escisión, rescisión parcial, disolución y liquidación<br />

de la sociedad;<br />

- las resoluciones judiciales inscribibles relativas al concurso, voluntario<br />

o necesario, principal o acumulado, de la sociedad y las medidas administrativas<br />

de intervención ( 30 ).<br />

guarda o representación legal del empresario individual, si su mención no figurase en la inscripción<br />

primera del mismo; – las capitulaciones matrimoniales, el consentimiento, la oposición<br />

y revocación a que se refieren los artículos 6 a 10 del Código de Comercio y las resoluciones<br />

judiciales dictadas en causa de divorcio, separación o nulidad matrimonial, o procedimientos<br />

de incapacitación del empresario individual, cuando no se hubiesen hecho constar<br />

en la inscripción primera del mismo; – en general, los actos o contratos que modifiquen el<br />

contenido de los asientos practicados o cuya inscripción prevean las Leyes o el presente Reglamento.<br />

( 30 ) El resto del artículo se completa con las siguientes menciones: – la designación de la<br />

entidad encargada de la llevanza del registro contable en el caso de que los valores se hallen<br />

representados por medio de anotaciones en cuenta; – las resoluciones judiciales o administrativas,<br />

en los términos establecidos en las Leyes y en este Reglamento; – los acuerdos de implicación<br />

de los trabajadores en una sociedad anónima europea, así como sus modificaciones<br />

posteriores, de acuerdo con lo previsto en el artículo 114.3 de este Reglamento; – el sometimiento<br />

a supervisión de una autoridad de vigilancia; – en general, los actos o contratos que<br />

modifiquen el contenido de los asientos practicados o cuya inscripción prevean las leyes o el<br />

presente Reglamento. En el apartado 2 del mismo precepto se establece que en la hoja abierta<br />

a cada sociedad se inscribirán también obligatoriamente la emisión de obligaciones u otros<br />

valores negociables, agrupados en emisiones, realizadas por sociedades anónimas o entidades<br />

autorizadas para ello, y los demás actos y circunstancias relativos a los mismos cuya inscripción<br />

esté legalmente establecida. Finalmente, el apartado 3 impone la inscripción de la


384 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Es necesario precisar que si bien es obligatoria la inscripción de los empresarios<br />

y la de otros sujetos indicados en el art. 81 RRM y la de aquellos<br />

actos y contratos relativos a ellos que determinen las leyes, la inscripción en<br />

el RM de los empresarios individuales es potestativa, con la excepción del<br />

que sea naviero. Sin embargo, el empresario individual no inscrito no podrá<br />

pedir la inscripción de ningún documento en el RM, ni aprovecharse de sus<br />

efectos legales, ex art. 19 del Código de Comercio.<br />

3.5. – La función primordial del Registro Mercantil es la inscripción ( 31 ).<br />

Como hemos dicho, la inscripción es obligatoria para todos los sujetos indicados<br />

en el art. 81 RRM ( 32 ), tal y como ha quedado consignado en el apartado<br />

anterior, salvo en los casos que se disponga expresamente lo contrario,<br />

lo que sucede en el supuesto del empresario individual. La inscripción ha<br />

de practicarse en el Registro correspondiente al domicilio del empresario o<br />

sociedad que se inscribe (art. 17 RRM) ( 33 ), a no ser que concurran razones<br />

de urgencia o necesidad, en cuyo caso pueden presentarse los documentos<br />

en otro Registro Mercantil o de la Propiedad del distrito en que se haya<br />

otorgado el documento, para que los remita al Registro competente (arts.<br />

46 y 47 RRM) ( 34 ). Por regla general, la inscripción debe procurarse dentro<br />

del mes siguiente al otorgamiento de los documentos necesarios para la<br />

práctica de los asientos, ex arts. 83 RRM y 19.2 del Código de Comercio ( 35 ).<br />

admisión y exclusión de cualquier clase de valores a negociación en un mercado secundario<br />

oficial.<br />

( 31 ) Para el examen de las otras funciones asignadas al Registro Mercantil, entre las que<br />

destaca la legalización de los libros que obligatoriamente deben llevar los empresarios con<br />

arreglo a las disposiciones legales vigentes, se puede consultar Arribas, El Registro Mercantil<br />

en España. Organización y función, cit., pp. 259 ss.<br />

( 32 ) Al objeto de favorecer el cumplimiento de esta obligación, el art. 82 RRM ordena a<br />

los Notarios que autoricen documentos sujetos a inscripción en el Registro Mercantil que adviertan<br />

a los otorgantes, en el propio documento y de manera específica, acerca de la obligatoriedad<br />

de la inscripción.<br />

( 33 ) Para el supuesto de que se produzca un cambio de domicilio de los sujetos inscritos<br />

hay que estar a lo preceptuado, para sus respectivos casos, en los artículos 18, 19 y 20 RRM.<br />

( 34 ) Además de la presentación personal del documento en la correspondiente oficina registral,<br />

también se puede llevar a cabo la misma por correo, en cuyo caso la extensión del<br />

asiento de presentación es potestativa para el Registrador, excepto que se trate de presentación<br />

en un Registro distinto de aquel que sea el competente o se trate de títulos remitidos por<br />

autoridades judiciales o administrativas (art. 52 RRM).<br />

( 35 ) El transcurso de dicho plazo sin que se haya practicado la inscripción, no impide su<br />

práctica en un momento posterior, ya que el alcance de dicha obligatoriedad se limita a la im-


SAGGI 385<br />

Para el caso del empresario individual, se verifica la inscripción a instancias<br />

del propio interesado ( 36 ). Existen, no obstante supuestos especiales:<br />

en el caso de menores o incapacitados, la inscripción debe ser solicitada por<br />

quien ostente su guarda o representación. Asimismo, el cónyuge del empresario<br />

individual puede solicitar su inscripción en los términos previstos<br />

en los artículos 6 a 10 del Código de Comercio. Finalmente, la autoridad judicial<br />

o administrativa podrá solicitar la inscripción en los casos previstos en<br />

el Reglamento del Registro Mercantil (art. 88 RRM). En cuanto a la forma<br />

adecuada para llevar a cabo la inscripción, excepcionalmente, la inscripción<br />

primera, cuyas circunstancias se reseñaron en el apartado anterior, así como<br />

la apertura y cierre de sucursales no se practicarán por medio de escritura<br />

pública ( 37 ). Si deberá observarse dicha formalidad para el resto de las circunstancias<br />

posteriores a la primera inscripción, así como para la inscripción<br />

del naviero, o, en su caso, se necesitará documento judicial o certificación<br />

del Registro Civil (art. 93.2 RRM). La inscripción de la modificación de<br />

cualquier acto inscrito se practicará en virtud del documento de igual clase<br />

que el requerido por el acto modificado (art. 93.3 RRM).<br />

Por otro lado, la inscripción tiene por lo general carácter declarativo (el<br />

acto se forma extrarregistralmente, y la inscripción lo hace oponible) en la<br />

hipótesis del comerciante individual ( 38 ). Por excepción presenta carácter<br />

constitutivo (el acto no produce los efectos que le son propios hasta la inscripción)<br />

en los siguientes casos:<br />

– Inscripción de Sociedad Anónima, Comanditaria por acciones y Sociedad<br />

de Responsabilidad Limitada ( 39 );<br />

– Delegación de facultades del Consejo en la Comisión ejecutiva o en el<br />

Consejo delegado;<br />

posición de responsabilidad a la persona obligada a promover la inscripción. V. Casado, Derecho<br />

Mercantil Registral, cit., p. 152.<br />

( 36 ) De este modo, la función registral tiene como punto de partida la solicitud del interesado,<br />

sin que sea viable que se inicie de oficio por el Registrador, es decir, rige el principio de<br />

rogación o instancia. V. Fernández, El Registro Mercantil, cit., p. 109 ss.<br />

( 37 ) A estos efectos bastará con “la declaración dirigida al Registrador, cuya firma se extienda<br />

o ratifique ante él o se halle notarialmente legitimada” (art. 93. 1 RRM).<br />

( 38 ) Aún en el caso del naviero que, como dijimos sí ha de inscribirse obligatoriamente, al<br />

incumplimiento de ese deber no se anuda como efecto el carecer de su condición, sino algún<br />

otro que la presupone. Así, el art. 19.3 del Código de Comercio determina que el naviero no<br />

inscrito responderá con todo su patrimonio de las obligaciones contraídas.<br />

( 39 ) Es lógico que sea en materia de sociedades donde la inscripción alcanza su mayor valor<br />

al tratarse de entidades de creación legal. V. Serrera, El Registro Mercantil. Una consideración<br />

de sus principios, cit., p. 2753.


386 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

– La transformación, fusión o escisión de sociedades y los aumentos de<br />

capital.<br />

Por lo que respecta a la forma de los datos que acceden a la hoja registral<br />

abierta a cada sociedad (cuya enumeración se contiene en el apartado anterior),<br />

la inscripción sólo se practica en virtud de documento público (comprendiendo<br />

tanto las escrituras públicas, como los documentos judiciales o<br />

los administrativos expedidos por autoridad o funcionario), salvo en determinados<br />

casos que no precisan de dicha escritura (art. 18.1 Código de Comercio).<br />

La excepción más significativa está representada por los nombramientos<br />

y ceses de cualquier miembro de los órganos de administración<br />

(salvo el nombramiento de Consejero Delegado que requiere escritura pública),<br />

Auditores o Liquidadores. Igualmente, no se precisa documentación<br />

pública para la inscripción de la disolución de sociedades colectivas y comanditarias<br />

simples por muerte o declaración de fallecimiento de un socio<br />

colectivo ( 40 ).<br />

Los documentos extranjeros también pueden inscribirse en el Registro<br />

Mercantil, siempre que tengan fuerza en España con arreglo a las leyes, así<br />

como cuando se trate de ejecutorias pronunciadas por Tribunales extranjeros<br />

a las que debe darse cumplimiento en España.<br />

Hay que tener en cuenta, en esta materia, que la “tramitación telemática”<br />

ha sido objeto de “impulso” renovado con el art. 27 de la Ley 24/2005, de<br />

18 de noviembre que modifica ciertas disposiciones en cuanto a la implantación<br />

obligatoria de sistemas telemáticos y la adecuación a los principios<br />

de firma electrónica, regulada por la Ley 59/2003, de Firma Electrónica ( 41 ).<br />

Como en tantos otros sectores de la sociedad española el uso cada vez más<br />

extendido de Internet ha tenido importantísimas repercusiones sobre el<br />

servicio registral, siendo posible la comunicación telemática con el Registro<br />

en todos los ámbitos. De este modo, la presentación de los documentos,<br />

tanto para la inscripción de los mismos, como para la solicitud del depósito<br />

de los estados contables de las entidades se puede efectuar, además de en el<br />

tradicional soporte físico de papel, en soporte electrónico, el cual puede llegar<br />

al Registro Mercantil, tanto presencialmente, como mediante una vía<br />

telemática. De igual manera, en el ámbito de la solicitud de información de<br />

sus archivos, una importante proporción de la publicidad formal solicitada<br />

( 40 ) La materia relativa a la inscripción de las sociedades en el Registro Mercantil se contempla<br />

en el Capítulo III del Título II, arts. 94 a 328 RRM. Para un estudio exhaustivo de la<br />

misma se puede consultar: Arribas, El Registro Mercantil en España. Organización y función,<br />

cit., p. 216 ss.; Casado, Derecho Mercantil Registral, cit., p. 163 ss.<br />

( 41 ) V. el apartado 3. 8 de este trabajo.


SAGGI 387<br />

y efectuada se realiza vía electrónica, como se verá en el último apartado de<br />

este trabajo.<br />

Presentados los documentos, se entregará un recibo que expresará la<br />

clase de títulos recibidos, el día y la hora de presentación (art. 53 RRM), extendiéndose<br />

por el Registrador en el Diario el correspondiente asiento de<br />

presentación ( 42 ). Esta primera actividad registral de extensión de dicho<br />

asiento, se limita a constatar si el documento ingresado puede o no provocar<br />

alguna operación registral y a realizar un breve resumen del mismo. De<br />

ahí que no consista en la emisión, por parte del Registrador, de ningún juicio<br />

de valor, ya que de lo contrario no se trataría de una simple comprobación,<br />

sino de una auténtica calificación ( 43 ). La fecha del asiento de presentación<br />

tiene importancia, ya que si se llega a la inscripción definitiva aquella<br />

fecha sirve como fecha de inscripción, y si hay varias inscripciones de igual<br />

fecha, se determinará la prioridad atendiendo a la hora de presentación, ex<br />

art. 55 RRM. Una vez extendido el asiento de presentación se podrá retirar<br />

el pertinente documento por parte del presentante o interesado. El Registrador<br />

indicará la fecha de la devolución y extenderá nota al margen del<br />

asiento de presentación, ex art. 54 RRM ( 44 ).<br />

3.6. – Una vez ingresado el documento en el Registro Mercantil, se procede<br />

a la calificación por parte del Registrador lo que implica, en definitiva,<br />

decidir sobre si el hecho del que se solicita dicha calificación tiene los requisitos<br />

exigidos por la Ley para ser registrado. O, dicho de otra manera, si conforme<br />

a la Ley procede o no practicar el asiento solicitado. Sin embargo, hay<br />

que tener en cuenta que dicha operación excede de la mera comprobación<br />

del cumplimiento de los requisitos exigidos por la Ley, en la medida que introduce<br />

el juicio intelectual del Registrador ( 45 ). El art. 18.2 del Código de<br />

( 42 ) A excepción de dicho asiento, no podrá practicarse ningún otro, si no se justifica previamente<br />

que se ha solicitado o practicado la liquidación de los tributos correspondientes al<br />

acto o contrato que se pretenda inscribir o al documento en virtud del cual se pretenda la inscripción<br />

(art. 86.1 RRM).<br />

( 43 ) Fernández, El Registro Mercantil, cit., pp. 112-113.<br />

( 44 ) El art. 56 RRM determinaba que si el Registrador se negara a extender el asiento de<br />

presentación el interesado puede interponer un recuso de queja ante la Dirección General de<br />

los Registros y del Notariado. No obstante, dicho artículo ha sido derogado por la Ley<br />

24/2005, de 18 de noviembre (Boletín Oficial del Estado,n. 277, de 19 de noviembre de 2005),<br />

creando una laguna difícil de solucionar. V. García, Código de Legislación Inmobiliaria, Hipotecaria<br />

y del Registro Mercantil, cit.,p. 1221 (cita n. 70).<br />

( 45 ) Stampa, La calificación registral mercantil, Madrid, Ilustre Colegio de Registradores<br />

de la Propiedad y Mercantiles de España, 1991, pp. 274-277.


388 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Comercio y el 6 RRM dicen que los Registradores calificarán bajo su responsabilidad<br />

la legalidad de las formas extrínsecas de los documentos de<br />

toda clase en cuya virtud se solicita la inscripción, así como la capacidad y la<br />

legitimación de los que los otorguen o suscriban y la validez de su contenido,<br />

por lo que resulta de ellos y de los asientos del Registro. Por ejemplo, el<br />

Registrador deberá examinar si se han pagado los impuestos correspondientes.<br />

El plazo para llevar a cabo esta operación es de 15 días contados<br />

desde la fecha del asiento de presentación. Pero si el título hubiera sido retirado<br />

antes de la inscripción, tuviera defectos subsanables o existiera pendiente<br />

de despacho un título presentado con anterioridad, el plazo de 15 días<br />

se computará desde la fecha de devolución del título, la subsanación o el<br />

despacho del título previo, respectivamente (arts. 61 y 39 RRM).<br />

En estos casos, la vigencia del asiento de presentación se entenderá<br />

prorrogada hasta la terminación del plazo de calificación y despacho. Si,<br />

transcurrido el plazo máximo señalado anteriormente, no hubiere tenido<br />

lugar la inscripción, el interesado podrá instar del Registrador ante quien se<br />

presentó el título que la lleve a cabo en el término improrrogable de tres días<br />

o la aplicación del cuadro de sustituciones previsto en el art. 275 bis del Texto<br />

Refundido de la Ley Hipotecaria.<br />

La calificación del título es una función personal del Registrador ( 46 ). El<br />

art. 60 RRM prevé que si un RM estuviera a cargo de dos o más Registradores,<br />

se procurará, en lo posible, la uniformidad de los criterios de calificación,<br />

estableciendo determinadas normas a tal efecto (art. 18.8 Código de<br />

Comercio). Pasado ese examen se ha de practicar inmediatamente el asiento<br />

o asientos solicitados, comunicándose sus datos esenciales al RM Central,<br />

en cuyo Boletín serán objeto de publicación.<br />

Por el contrario, si la calificación es negativa, total o parcialmente, es decir<br />

si el Registrador estima que el título tiene algún defecto que impide su<br />

inscripción, habrán de consignarse dichos defectos, especificando si son faltas<br />

subsanables o insubsanables. En este último caso, se deniega la inscripción<br />

(art. 62 RRM). En el primer caso el Registrador suspende la inscripción<br />

y se le devuelve al interesado el título para que pueda subsanar el defecto<br />

dentro de la vigencia del asiento de presentación o de la anotación<br />

preventiva.<br />

( 46 ) Sobre las especialidades que presenta la calificación mercantil v. Ballesteros, Especialidades<br />

del procedimiento registral en el Registro Mercantil, en González-Gimeno (coords.),<br />

El procedimiento ante el Registro de la Propiedad y el Registro Mercantil dir. da González<br />

Pérez, t. II, Madrid, Centro de Estudios del Colegio de Registradores de la Propiedad y<br />

Mercantiles de España, 2005, pp. 489 ss.


SAGGI 389<br />

Contra la calificación que atribuya al título algún defecto que impida la<br />

inscripción pueden los interesados interponer el correspondiente recurso<br />

gubernativo en el plazo de un mes desde la notificación de la calificación,<br />

primero ante el propio Registrador solicitando la reforma total o parcial de<br />

la calificación hecha por éste y, en caso de mantenerse éste en su decisión,<br />

ante la DGRN o bien instar la calificación del cuadro de sustituciones ( 47 )<br />

(art. 18.7 Código de Comercio) ( 48 ). Finalmente, dichas calificaciones negativas<br />

y, en su caso, las resoluciones de la DGRN en materia de recurso contra<br />

la calificación de los Registradores serán recurribles ante el Juzgado de<br />

Primera Instancia de la capital de provincia, siendo de aplicación las normas<br />

del juicio verbal (art. 328.2 de la LH). La decisión de éste será apelable ante<br />

la correspondiente Audiencia Provincial y, si el asunto presenta interés casacional,<br />

podrá darse un último recurso de casación ante el Tribunal Supremo.<br />

3.7. – Como dijimos con anterioridad, por regla general, la inscripción<br />

tiene una eficacia meramente declarativa respecto al hecho o al acto inscrito.<br />

Por consiguiente, la situación jurídica recogida en el Registro se perfecciona,<br />

normalmente, con independencia de él. No obstante, en algunos supuestos<br />

la inscripción tiene carácter constitutivo, ya que sirve para perfeccionar<br />

determinada situación jurídica. Tal sucede en el caso de las sociedades<br />

de capital (Sociedad Anónima, de Responsabilidad Limitada, etc), en<br />

cuyo caso la inscripción tiene carácter constitutivo del tipo social querido<br />

por los socios, hasta el punto de que, si no se inscribe la sociedad en el Registro<br />

transcurrido cierto tiempo, es calificada como irregular y sometida a<br />

un régimen jurídico diverso del originariamente previsto. A pesar de ello, la<br />

inscripción produce determinados efectos muy importantes materializados<br />

en los siguientes principios:<br />

A) Principio de legitimación. El art. 20 del Código de Comercio y el 7<br />

del RRM declaran que el contenido del Registro se presume exacto y válido.<br />

Añaden que los asientos del Registro están bajo la salvaguarda de los<br />

Tribunales y producirán todos los efectos mientras no se inscriba la declaración<br />

de nulidad de su inexactitud. Sin embargo, se trata de una presunción<br />

iuris tantum que admite prueba en contrario, de ahí que la inscripción no<br />

( 47 ) Previsto, en el artículo 275 bis del Texto Refundido de la Ley Hipotecaria.<br />

( 48 ) Art. 66.2 RRM: “La interposición del recurso no excluirá el derecho de los interesados de<br />

acudir a los Tribunales de Justicia para litigar entre sí acerca de la validez de los títulos calificados,<br />

en cuyo caso se estará a lo dispuesto en los artículos 66 de la Ley Hipotecaria y 101 y 132 de<br />

su Reglamento”.


390 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

convalida los actos o contratos nulos con arreglo a las Leyes. Este principio<br />

tiene como una de sus consecuencias que los actos sujetos a inscripción,<br />

una vez inscritos, son oponibles a terceros incluso aunque hayan actuado<br />

de buena fe. Ahora bien, tal oponibilidad no se produce inmediatamente sino,<br />

por regla general, a partir de los quince días siguientes a la publicación<br />

de la inscripción en el BORME, estableciéndose una presunción de conocimiento<br />

que se puede desvirtuar por prueba en contrario. Transcurrido dicho<br />

plazo, aunque se pruebe que no se pudo conocer la publicación, el acto<br />

será oponible.<br />

Cuando se produzca una discordancia entre el contenido de la publicación<br />

y el de la inscripción, los terceros de buena fe podrán invocar la publicación<br />

si les fuera favorable ( 49 ). Todo ello según los arts. 21 Código de Comercio<br />

y 9 RRM. Por lo tanto, la publicidad registral no produce plenamente<br />

sus efectos desde el momento de la inscripción, sino que ha de esperarse<br />

a la publicación en el BORME. Con dicha previsión se evidencia el claro<br />

propósito del legislador de potenciar al máximo la protección del tercero de<br />

buena fe. De ahí que la oponibilidad frente a éste se retrase hasta el momento<br />

de la publicación en el BORME ( 50 ). En definitiva, el contenido del<br />

Registro se presume exacto y válido, manteniéndose sus efectos mientras<br />

no se inscriba la declaración judicial de su inexactitud o nulidad.<br />

B) Principio de fe pública. Según el art. 20.2 Código de Comercio y 8<br />

RRM, la declaración de inexactitud o nulidad de los asientos del Registro<br />

Mercantil no perjudicará los derechos de terceros de buena fe, adquiridos<br />

conforme a Derecho; entendiéndose que se han adquirido conforme a Derecho<br />

los que se hayan obtenido en virtud de acto o contrato que resulte válido<br />

con arreglo al contenido del Registro. Es decir, que en caso de que se<br />

declarase que el contenido del Registro Mercantil no es exacto o es nulo, esto<br />

no puede perjudicar los derechos que adquirieron otros sujetos de buena<br />

fe que confiaron en el contenido del Registro. Por tanto, el efecto positivo<br />

de la publicidad se vincula aquí a la inscripción y no a la publicación en el<br />

BORME. Puede, pues, afirmarse que se ha robustecido la posición del tercero,<br />

puesto que en materia de publicidad positiva se exige lo mínimo para<br />

proteger su confianza.<br />

( 49 ) Cuando se produzca esta discordancia, los que la hayan ocasionado quedan obligados<br />

a resarcir al perjudicado (art. 9.3 RRM).<br />

( 50 ) La política legislativa adoptada por el legislador mercantil español de protección a ultranza<br />

de los terceros está en sintonía con lo preconizado en las directivas comunitarias. V.<br />

Fernéndez, Calvo, Libertad de establecimiento y Derecho de sociedades en la Comunidad<br />

Económica Europea, Madrid, 1988, p. 121.


SAGGI 391<br />

Los requisitos para que el tercero quede protegido por la fe pública registral<br />

son los siguientes:<br />

- no se trata del adquirente del derecho inscrito, sino del que se relaciona<br />

con un titular inscrito en virtud del acto o contrato que resulte válido con<br />

arreglo al contenido del Registro (revocación de un poder que no ha tenido<br />

acceso al Registro);<br />

- se exige la onerosidad del acto;<br />

- no se exige, en cambio, la inscripción del acto del tercero pues el Registro<br />

Mercantil, al contrario de lo que sucede con el Registro de la Propiedad,<br />

no es un Registro de derechos;<br />

- debe actuar de buena fe, la cual se presume.<br />

C) Principio de prioridad. El art. 10 RRM establece: 1. “Inscrito o anotado<br />

preventivamente en el RM cualquier título, no podrá inscribirse o anotarse cualquier<br />

otro de igual o anterior fecha que resulte opuesto o incompatible con él.<br />

2. Si sólo se hubiera extendido el asiento de presentación, tampoco podrá<br />

inscribirse o anotarse durante su vigencia ningún otro título de la clase antes<br />

expresada<br />

3. El documento que acceda primeramente al Registro será el preferente<br />

sobre los que accedan con posterioridad, debiendo el Registrador practicar<br />

las operaciones registrales correspondientes según el orden de presentación”.<br />

El instrumento fundamental para la aplicación del principio de prioridad<br />

es el Registro Diario de Presentación, mencionado en el art. 23 RRM<br />

entre los libros que se llevan en los Registros Mercantiles ( 51 ).<br />

D) Principio de tracto sucesivo. Se contiene en el art. 11 RRM: 1. “Para<br />

inscribir actos o contratos relativos a un sujeto inscribible será precisa la previa<br />

inscripción del sujeto<br />

2. Para inscribir actos o contratos modificativos o extintivos de otros otorgados<br />

con anterioridad será precisa la previa inscripción de éstos<br />

3. Para inscribir actos o contratos otorgados por los apoderados o administradores<br />

será precisa la previa inscripción de éstos”.<br />

A través de este artículo se contempla un supuesto bastante general que<br />

es el del apartado 1, otro especial relativo a los poderes, también de alcance<br />

bastante amplio, y una referencia a los actos o contratos porque ciertamente<br />

éstos se inscriben en el Registro Mercantil cuando la Ley lo dispone. Se<br />

( 51 ) El principio de prioridad se erige en básico y capital del sistema registral, hasta el punto<br />

de que el lema del cuerpo de Registradores de la Propiedad, Mercantiles y de Bienes Muebles<br />

de España es, precisamente: prior in tempore, potior est in iure.


392 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

ha dicho con respecto a dicho precepto que el principio de tracto sucesivo<br />

no parece tener pleno encaje en todos los supuestos contemplados en el<br />

mismo. Así, cuando se impone a los apoderados que tengan previamente<br />

inscritas sus facultades al ir a otorgar un acto o contrato, más que ante una<br />

manifestación del mencionado principio, estamos en realidad ante una exigencia<br />

legal establecida por razón del deber que tiene el Registrador de calificar<br />

la competencia y facultades de quien autorice el acto o contrato inscribible.<br />

Por ello, el único apartado del art. 11 RRM que en realidad obedece<br />

al principio de tracto sucesivo en su sentido técnico es el primero, conforme<br />

al cual, el acto que se pretende inscribir requiere la previa toma de razón<br />

del sujeto o entidad del que emana ( 52 ).<br />

3.8. – La importancia de la publicidad formal en materia mercantil ha sido<br />

resaltada poniendo de relieve que “está en relación directa con el creciente<br />

desarrollo de la actividad comercial y empresarial, antes reservada a<br />

muy pocas personas y hoy difundida y generalizada entre la casi totalidad<br />

de la población. Cada vez resulta más difícil en los países occidentales u occidentalizados,<br />

encontrar a alguien que no tenga relación directa o indirecta<br />

con las grandes compañías de crédito, seguros o transportes, cada día aumenta<br />

vertiginosamente el número y la variedad de entidades y fondos administradores<br />

y gestores de los intereses de ingentes colectivos y, asimismo,<br />

es más frecuente oír hablar a sociólogos, juristas y moralistas de la<br />

constante y acelerada ‘mercantilización’ de la vida social.<br />

Este incremento de la actividad mercantil y las nuevas condiciones en<br />

que se desarrolla demandan, por parte del ciudadano, inerme ante el influjo<br />

de esas poderosas ‘apariencias’, un mayor amparo público y una mayor<br />

confianza; el amparo y la confianza que puede brindarles lo oficial y legalmente<br />

establecido” ( 53 ).<br />

Sobre la base de estas consideraciones el Registro Mercantil tiene carácter<br />

público, lo que supone que se pueden conocer los datos en él contenidos<br />

( 54 ). El Registro Mercantil puede ser consultado por cualquiera. A diferencia<br />

del Registro de la Propiedad no es necesario acreditar interés legítimo<br />

de clase alguna para la obtención de la información registral. En efec-<br />

( 52 ) Serrera, El Registro Mercantil. Una consideración de sus principios, cit., p. 2768-2769.<br />

( 53 ) Casado, Derecho Mercantil Registral, cit., p. 5.<br />

( 54 ) Art. 12.1 RRM: “El Registro Mercantil es público y corresponde al Registrador Mercantil<br />

el tratamiento profesional del contenido de los asientos registrales, de modo que se haga efectiva<br />

su publicidad directa y se garantice, al mismo tiempo, la imposibilidad de su manipulación o<br />

televaciado”.


SAGGI 393<br />

to, el Registro Mercantil tiene como una de las finalidades esenciales que<br />

las situaciones jurídicas que la ley requiere que se inscriban en él puedan<br />

ser conocidas por los terceros, con la finalidad de que la publicidad de determinados<br />

hechos y actos jurídicos tenga determinados efectos. La función<br />

del Registro como instrumento de publicidad legal hacia los terceros<br />

tiene, en el caso del Registro Mercantil, una importancia superior a la de<br />

otros medios de notificación, en cuanto que los actos inscritos adquieren<br />

una seguridad en beneficio de terceros. La primera Directiva de la CEE en<br />

materia de sociedades ya insistió en que la publicidad por medio del Registro<br />

debe hacer posible que “los terceros conozcan los datos esenciales de la<br />

sociedad, así como algunos aspectos relativos a la misma, especialmente la<br />

identidad de las personas con poder para contratar a su nombre” ( 55 ).<br />

Esta llamada publicidad formal se consigue a través de la consulta de los<br />

datos relativos al contenido esencial de los asientos mediante la expedición<br />

por el Registrador de las llamadas notas simples informativas, certificaciones<br />

o copias de los documentos archivados ( 56 ) (arts. 23.1 Código de Comercio<br />

y 12.2 RRM). En el cumplimiento de este cometido “los Registradores<br />

Mercantiles calificarán, bajo su responsabilidad, el cumplimiento de las<br />

normas vigentes en las solicitudes de publicidad en masa o que afecten a los<br />

datos personales reseñados en los asientos ”, ex art. 12.3 RRM ( 57 ). Recordemos<br />

que el Registro Mercantil Central, además, expide certificaciones relativas<br />

a las razones y denominaciones de sociedades y del resto de las entidades<br />

inscribibles ( 58 ).<br />

– La nota simple informativa es un breve extracto de los asientos vigentes<br />

de una determinada entidad. Tiene un valor meramente informativo y<br />

( 55 ) El considerando está prácticamente reproducido en la actual Directiva 2009/101/CE<br />

al establecer: “la publicidad debe permitir a los terceros conocer los actos esenciales de la sociedad<br />

y ciertas indicaciones relativas a ella, en particular la identidad de las personas que tienen el<br />

poder de obligarle”.<br />

( 56 ) Desaparece como medio de hacer efectiva la publicidad formal la exhibición o manifestación<br />

directa de los libros por el riesgo de menoscabo de los mismos.<br />

( 57 ) Se ha señalado “la dificultad que entraña conjugar la publicidad con la privacidad que<br />

puede ser invadida con tratamientos masivos de datos de forma informática obtenidos del Registro<br />

Mercantil”. No obstante, a pesar de dicha dificultad, nunca se puede perder de vista que el fin último<br />

del Registro Mercantil, no es otro que la publicidad del contenido de sus archivos. En esta<br />

materia hay que tener en cuenta el artículo 18 de la Constitución española y la Ley Orgánica<br />

5/1992, de 29 de octubre, sobre tratamiento informatizado de datos de carácter personal, así como<br />

el Reglamento de Medidas de Seguridad de ficheros automatizados de datos de carácter<br />

personal. V. Arribas, El Registro Mercantil en España. Organización y función, cit., p. 270.<br />

( 58 ) V. Fernández, El Registro Mercantil, cit., pp. 157 ss.


394 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

no da fe del contenido del Registro. Se expide por el Registrador, con indicación<br />

del número de hojas y de la fecha en que se extiende y llevará su sello.<br />

La nota simple con el contenido que la Ley establece, garantiza al interesado<br />

la información que se le transmite, pero no en perjuicio de tercero<br />

puesto que para ello se requiere certificación. Se expide en el plazo de tres<br />

días desde su solicitud (art. 78 RRM).<br />

– La certificación es un documento firmado por el Registrador, que da fe<br />

de los asientos registrales y permite acreditar todos los actos relativos a la<br />

constitución, aumento y reducción de capital, nombramiento y cese de administradores<br />

y apoderados, transformación, fusión, escisión, depósitos de<br />

cuentas anuales, legalización de los libros del empresario, etc. Este es el único<br />

medio de acreditar fehacientemente la vigencia de un determinado asiento<br />

registral. Su contenido surte efecto frente a terceros (art. 77 RRM)( 59 ).<br />

La solicitud de alguno de estos documentos se ha de realizar personalmente<br />

( 60 ), en la oficina del Registro donde estén inscritas las sociedades o<br />

por vía telemática y se pueden consultar los datos relativos al contenido<br />

esencial de los asientos por medio de ordenador (art. 79 RRM). Es destacable<br />

que, como resultado de la incorporación de las nuevas tecnologías al sistema<br />

registral español, el Colegio de Registradores de la Propiedad, Mercantiles<br />

y Bienes Muebles de España ha desarrollado un sistema de firma<br />

electrónica avanzada para facilitar el acceso a los usuarios a su relación con<br />

los distintos Registros de una forma rápida y segura. La obtención por el<br />

usuario de su Firma Electrónica avanzada se realiza con la sola petición<br />

efectuada en cualquiera de los Registros Mercantiles que se la facilitarán de<br />

forma gratuita ( 61 ).<br />

( 59 ) Atendiendo al art. 1216 del Código Civil que señala que son documentos públicos los<br />

autorizados por un Notario o empleado público competente, con las solemnidades requeridas<br />

por la Ley, hay que considerar que las certificaciones expedidas por los Registradores<br />

mercantiles son documentos públicos.<br />

( 60 ) El art. 21 RRM estable que “el Registro Mercantil estará abierto al público todos los días<br />

hábiles, desde las nueve a las catorce y desde las dieciséis a las dieciocho horas, excepto los sábados,<br />

en los que sólo se mantendrá el horario de mañana”.<br />

( 61 ) La Firma Electrónica es el conjunto de datos en forma electrónica, consignados junto<br />

a otros asociados con ellos, que pueden ser utilizados como medio de identificación del firmante.<br />

La Firma Electrónica avanzada es la que permite identificar al firmante detectando<br />

cualquier cambio ulterior de los datos firmados estando vinculada al firmante de manera única<br />

y a los datos a que se refiere y que ha sido creada por medios que el firmante puede mantener<br />

bajo su exclusivo control. Dicha Firma cuando es reconocida gozará de plena vigencia jurídica,<br />

equiparándose plenamente a la firma manuscrita u ológrafa. V. Arribas, El Registro<br />

Mercantil en España. Organización y función, cit., p. 343 ss.


SAGGI 395<br />

De este modo, el interesado podrá solicitar información acerca del Registro<br />

Mercantil en el que una determinada entidad conste inscrita. De la<br />

misma se puede solicitar información de datos referidos a su denominación<br />

y domicilio social; sistema de administración social; integrantes del órgano<br />

de administración social; nombramiento y revocación de apoderados; aumentos<br />

y reducciones de capital social; fusiones; escisiones; transformaciones;<br />

disolución; liquidación y extinción del ente social, cuentas anuales o<br />

legalización de libros.<br />

Para realizar la búsqueda es necesario que el interesado suministre alguno<br />

de los datos siguientes:<br />

– Identidad de la entidad de que se trate.<br />

– Identidad de la persona que ostente algún tipo de representación (administradores,<br />

apoderados, liquidadores) o que haya sido nombrada para<br />

realizar una función relacionada con la entidad de que se trate (auditores de<br />

cuentas, expertos independientes).<br />

La emisión de notas simples y certificaciones se realiza con la mayor<br />

brevedad posible, y en todo caso dentro de un plazo máximo de tres y cinco<br />

días, respectivamente. Sin embargo, un primer avance de la información registral<br />

relativa a la entidad inscrita se puede obtener por vía telemática a través<br />

de la página www.registradores.org, dentro de los Registros Mercantiles<br />

on line, en Información Mercantil Interactiva. La característica esencial de<br />

este sistema no es otra que la de facilitar la información de modo inmediato,<br />

preciso, seguro y a un bajo coste.<br />

Además, se pueden solicitar las llamadas certificaciones con información<br />

continuada, para que el Registrador notifique al peticionario todos los<br />

documentos que se presenten al Registro sobre la sociedad de que se trate,<br />

de modo que sea posible conocer si se producen modificaciones en la situación<br />

registral de una sociedad durante un período determinado de tiempo,<br />

ex art. 77.5 RRM.<br />

El coste de la información registral está regulado en el Arancel de los<br />

Registradores, aprobado por el Decreto 757/1973, de 29 de marzo ( 62 ), modificado<br />

por el Real Decreto 388/1996, de 1 de marzo ( 63 ).<br />

Mediante este recorrido se ha podido comprobar que el sistema registral<br />

tiende en todo momento a proteger a los consumidores, facilitando el<br />

( 62 ) Publicado en el Boletín Oficial del Estado, n. 93, de 18 de abril de 1973.<br />

( 63 ) El coste que se debe pagar por obtener información registral, así como todos los detalles<br />

del Arancel están estudiados por Arribas, El Registro Mercantil en España. Organización<br />

y función, cit., p. 307 ss.


396 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

acceso a la información registral incorporando todos los avances de las nuevas<br />

tecnologías. La introducción de dichas tecnologías en los Registros<br />

Mercantiles se ha visto también impulsada desde el Derecho comunitario,<br />

A ello respondió la modificación prevista en la Directiva 2003/58/CE de la<br />

Primera Directiva 68/151/CEE, que sirvió para que, a partir del 1 de enero<br />

de 2007, resultase posible, u obligatoria en relación con algunas sociedades,<br />

la presentación en formato electrónico de los actos y hechos susceptibles de<br />

ser inscritos. Igualmente, la vía electrónica facilitará la consulta de esos hechos<br />

inscritos por los interesados. Dicha posibilidad aparece, del mismo<br />

modo, recogida en la Directiva que en la actualidad regula la materia (Directiva<br />

2009/101/CE).<br />

Finalmente, y con independencia de la actividad que los Registradores<br />

Mercantiles deben desplegar en el marco de la publicidad formal, dichos<br />

agentes jurídicos desarrollan también una importante función informativa<br />

al atender a las consultas realizadas por los particulares interesados. Estos<br />

asesoramientos previos que el Registrador ha de prestar a los interesados<br />

reciben la denominación de informes y se encuentran consagrados en el<br />

art. 355 del Reglamento Hipotecario ( 64 ).<br />

( 64 ) En cualquier caso, la labor asesora del Registrador ha de quedar constreñida a aspectos<br />

que se deriven del contenido de los libros registrales, sin que se extienda a la forma de estructurar<br />

el negocio que ha de tener acceso a los libros registrales. V. Garrido, La calificación<br />

registral mercantil, Madrid, Anales de la Academia Matritense del Notariado, t. XXXI, 1991, p.<br />

311.


Osservatorio sul diritto europeo<br />

Presa di posizione sul futuro del CFR ( 1 )<br />

Nel luglio del 2010, la Commissione ha pubblicato un Green Paper<br />

(Green Paper from the Commission on policy options for progress towards a<br />

European Contract Law for consumers and businesses) sollecitando prese di<br />

posizione in ordine al futuro del diritto contrattuale in <strong>Europa</strong>, in generale,<br />

e del CFR, in particolare, tenuto conto di talune opzioni delineate nello<br />

stesso documento.<br />

Secondo il mio parere, già accogliere la prima delle diverse opzioni ivi<br />

delineata (quella di minore impatto, costituita, in buona sostanza, dalla<br />

pubblicazione sul sito della Commissione dei risultati conseguiti dal gruppo<br />

di esperti che hanno provveduto a redigere il CFR, accompagnata da attività<br />

tese a favorire l’uso dello stesso CFR quale fonte di ispirazione per il<br />

legislatore europeo e quale punto di riferimento per gli studi universitari)<br />

sarebbe troppo. Cercherò di spiegare in breve il perché.<br />

Il CFR, secondo quanto dichiarato dai suoi stessi redattori, vorrebbe<br />

“help to show how much national private laws resemble one another and have<br />

provided mutual stimulus for development and indeed how much those laws<br />

may be regarded as regional manifestations of an overall common European<br />

legacy”. Per rendersi conto del fatto che queste intenzioni non sono poi state<br />

tradotte in realtà, è sufficiente considerare la definizione che nel CFR è<br />

stata data di una delle strutture portanti del testo medesimo, quella a mio<br />

avviso di maggiore rilievo, e cioè l’obbligazione, che non è più quella a tutti<br />

noi nota, com’era stata modellata già nel Diritto romano, e sulla quale si è<br />

formata la tradizione civilistica continentale: nel CFR, l’obbligazione è divenuta<br />

“a duty to perform which one party to a legal relationship, the debtor,<br />

owes to another party, the creditor ”. “Ufficialmente” perché “sometimes the<br />

( 1 ) Queste brevi considerazioni erano state indirizzate all’“Associazione Civilisti <strong>Italia</strong>ni”,<br />

attualmente presieduta da Guido Alpa: l’“Associazione Civilisti <strong>Italia</strong>ni” avrebbe voluto<br />

infatti esprimere una presa di posizione propria, formulata nella veste di documento di sintesi<br />

delle opinioni formulate per iscritto dai suoi aderenti interessati a rispondere al Green Paper.<br />

Al termine di questa consultazione, si è dovuto però constatare che le opinioni dei singoli<br />

apparivano troppo divergenti, così che, ritenuto inopportuno inoltrare alla Commissione<br />

un testo di sintesi contraddittorio, è stato preferito il silenzio.


398 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

word ‘obligation’ is used as the correlative of a right to performance. Sometimes<br />

the word ‘obligation’ is used to denote the whole legal relationship between the<br />

debtor and the creditor. This usage, although traditional and eminently respectable,<br />

appears to be less frequent in modern European and international legal<br />

instruments”; a volere pensare male (riportando parole di Zimmermann),<br />

perché “Today the technical term ‘obligation’ [nella scia della definizione giustinianea]<br />

is widely used to refer to a two-ended relationship which appears<br />

from the one end as a personal right to claim and from the other as a duty to<br />

render performance. The party ‘bound’ to make performance is called the debtor<br />

(debitor, from debere), whilst at the other end of the obligation we find the<br />

‘creditor’, who has put his confidence in this specific debtor and relies (credere)<br />

in the debtor’s will and capacity to perform. As fas as the Roman terminology is<br />

concerned, ‘obligatio’ could denote the vinculum iuris looked at from either<br />

end; it could refer to the creditor’s right as well as the debtor’s duty. This obviously<br />

makes it somewhat difficult to render the Roman idea in English, for the<br />

English term ‘obligation’ is merely oriented towards the person bound, not<br />

towards the person entitled. With the words ‘my obligation’ I can refer only to<br />

my duties, not to my rights”.<br />

Riflessione, questa, che mi consente di introdurre un altro tema, secondo<br />

quanto io credo, di notevole rilievo, e cioè quello della lingua: il CFR è<br />

stato redatto solo in inglese (qualcuno direbbe, piuttosto che in inglese, in<br />

globish, vale a dire nell’inglese che parlano coloro che inglesi non sono), e<br />

cioè nella lingua che a mio avviso – ma non sono certo il solo ad esserne<br />

convinto – meno è adatta ad esprimere il diritto civile europeo continentale,<br />

e da questa scelta appare fortemente condizionato. Quanto appena posto<br />

in rilievo con riguardo alla definizione di obbligazione potrebbe infatti essere<br />

ripetuto in relazione a molte altre definizioni contenute nel CFR. E sarei<br />

sufficientemente sicuro del fatto che, se si fosse deciso di redigere sin<br />

dall’inizio un testo in almeno tre lingue (non voglio dire anche in italiano,<br />

ma almeno in francese e tedesco), il risultato finale sarebbe stato certamente<br />

meno criticabile.<br />

Oltre che dal punto di vista delle definizioni, il CFR appare poi assai criticabile<br />

anche dal punto di vista del sistema adottato.<br />

Di nuovo solo un esempio, relativo a uno dei settori che al giorno d’oggi<br />

si presentano come centrali sotto il profilo dell’interesse del mercato, e<br />

cioè quello dei contratti aventi per oggetto un servizio.<br />

Ebbene, nella parte del CFR dedicata ai contratti che hanno per oggetto,<br />

appunto, un “servizio”, e nella quale è contenuta una serie di regole generali<br />

applicabili a questa specie di contratti nel suo complesso considerata,<br />

sono stati compresi, in particolare, per limitarsi a un solo aspetto, tanto i


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 399<br />

contratti che hanno per oggetto un trattamento medico quanto quelli che<br />

hanno per oggetto il deposito di beni. Ma, al di là del fatto che si tratta di<br />

contratti che hanno entrambi per oggetto, appunto, un servizio, non si vede<br />

bene cos’altro i contratti che ho appena citato abbiano in comune. Se si vuole,<br />

anche il mandato, allora, avrebbe potuto essere compreso in questa parte<br />

dedicata ai contratti aventi per oggetto un servizio: anche il mandatario,<br />

nel momento in cui conclude un contratto per qualcun altro, in fin dei conti,<br />

compie un “servizio” per il mandante. E invece al mandato (più precisamente<br />

ai “Mandate contracts”) è stata dedicata una parte distinta.<br />

Tradizionalmente, più tipologie contrattuali si trovano raggruppate in<br />

una unità normativa quando rappresentino varianti del medesimo contratto<br />

tipico: è l’esempio, nel caso del Codice italiano, del capo dedicato al<br />

mandato, che oltre al mandato comprende la commissione e la spedizione;<br />

o il caso, nel BGB, della sezione dedicata al Werkvertrag und änliche Verträge,<br />

qual è, a esempio, il Werklieferungsvertrag. Ma non è questa, evidentemente,<br />

l’idea che è stata posta alla base del raggruppamento dei vari tipi<br />

contrattuali compiuti nel CFR: nessuno potrà mai sostenere, credo, che il<br />

trattamento medico costituisca una variante del deposito di merci. Nel<br />

CFR, si è voluta seguire un’altra strada, diversa da quella tradizionale. I raggruppamenti<br />

sono stati formati, come s’è detto, tenendo conto dell’oggetto<br />

dei contratti considerati. In quest’ottica, però, coerenza avrebbe voluto,<br />

una volta scelto di raggruppare insieme i contratti aventi per oggetto un servizio,<br />

di considerarli veramente tutti insieme, sforzandocisi di trovare una<br />

disciplina comune per tutti, mandato compreso<br />

Per le ragioni in breve sintesi appena esposte – non mi pare il caso di dilungarmi<br />

oltre –, credo che il ricorso al CFR, in qualsiasi forma, quale mezzo<br />

di studio, quale fonte di ispirazione per il legislatore, quale regolamento<br />

opzionale, quale normativa vincolante in settori più o meno ampi, possa<br />

portare con sé assai più problemi che benefici. La soluzione delle questioni<br />

che nascono dalla necessità che il medesimo caso trovi sempre la medesima<br />

soluzione a qualsiasi giudice dell’Unione venga sottoposto può e deve essere<br />

piuttosto raggiunta, a mio avviso, attraverso la via della unificazione del<br />

diritto internazionale privato, limitando l’adozione di un diritto uniforme a<br />

settori ben specificamente delimitati.<br />

Alessio Zaccaria


Novità normative in Germania (anni 2008-2011)<br />

Da quando, nel 2002, fu portata a compimento la fondamentale riforma<br />

dello Schuldrecht, vale a dire della parte generale delle obbligazioni e dei<br />

contratti, con vasta riscrittura del BGB ( 1 ), la Repubblica Federale Tedesca<br />

non ha più conosciuto rifacimenti radicali della legislazione concernente<br />

l’economia e il diritto degli affari ( 2 ). Invero dal 2008 ad oggi – e sarà questo<br />

il periodo esaminato – soprattutto due avvenimenti hanno segnato lo sviluppo<br />

della legislazione tedesca: la crisi economica mondiale ed il cambio<br />

di governo del settembre 2009, che vide sostituirsi ad una coalizione conservatrice-socialdemocratica<br />

una coalizione conservatrice-liberale, entrambe<br />

sotto il cancellierato di Angela Merkel.<br />

Provvedimenti anti-crisi<br />

Come noto, dopo che la banca d’affari Lehman Brothers dovette annunciare<br />

la propria insolvenza – era il 15 settembre 2008 – la crisi finanziaria americana<br />

si propagò fino a divenire una crisi economica mondiale. Accanto alle<br />

iniezioni di liquidità che le banche centrali praticarono nel mercato del credito,<br />

il Bundestag ed il governo federale tentarono di fronteggiare la crisi economica<br />

con il Finanzmarktstabilisierungsgesetz (“legge di stabilità del mercato<br />

finanziario”, abbr. FMSG) ( 3 ), che completò l’iter parlamentare in tempo<br />

brevissimo e potè entrare in vigore già il 18 ottobre 2008. Attraverso questa<br />

legge fu costituito a favore delle imprese operanti nel settore finanziario un<br />

fondo speciale per l’erogazione di contributi pubblici, per lo più sotto forma<br />

di garanzie, fino all’ammontare di 400 miliardi di euro, così da impedire crisi<br />

di liquidità e stabilizzare il mercato del credito e della finanza (§ 6 ss. FM-<br />

SG). Inoltre il fondo potè concorrere alla ricapitalizzazione delle imprese fi-<br />

( 1 ) La Rivista ospitò un vasto dibattito sulla grande riforma tedesca dello Schuldrecht (con<br />

contributi di Zimmermann, C. Hattenhauer, Magnus, Wendlandt, Schulte-Nölke, Ferrante,<br />

Calvo, Ebers, Meyer, Saenger, Micklitz, Janssen, Dörner, Schermaier, Grigoleit e Patti): La<br />

riforma del codice civile tedesco. Una riflessione di giuristi tedeschi ed italiani sul nuovo volto dello<br />

Schuldrecht, in questa rivista, 2004, p. 623 ss.<br />

( 2 ) Tutti i provvedimenti legislativi menzionati possono essere consultati on line al (nuovo)<br />

Bürgerzugang del sito http://www.bundesgesetzblatt.de, oppure si possono consultare i testi<br />

di legge risultanti dai provvedimenti di modifica, nella versione consolidata, alla homepage<br />

del Ministero Federale della Giustizia, presso www.gesetze-im-internet.de.<br />

( 3 ) Cfr. BGBl. I 2008, 1982; e per un primo commento dottrinale, Spindler, Finanzkrise<br />

und Gesetzgeber – Das Finanzmarktstabilisierungsgesetz, in DStR, 2008, p. 2268.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 401<br />

nanziarie (§ 7 FMSG) ed acquisire partecipazioni di rischio (§ 8 FMSG). Più<br />

tardi queste misure furono affiancate dal primo e dal secondo Konjunkturpaket<br />

(“pacchetto di congiuntura”), attuati col Gesetz zur Umsetzung steuerrechtlicher<br />

Regelungen des Maßnahmenpakets (“legge per l’attuazione delle<br />

norme fiscali contenute nel pacchetto di misure”) denominato Beschäftigungssicherung<br />

durch Wachstumsstärkung (“tutela dell’occupazione tramite<br />

consolidamento della crescita”) del 21 dicembre 2008 ( 4 ) e col Gesetz zur Sicherung<br />

von Beschäftigung und Stabilität (“legge per la tutela dell’occupazione<br />

e della stabilità”) del 2 marzo 2009 ( 5 ). Infine sgravi fiscali furono previsti<br />

dal Wachstumsbeschleunigungsgesetz (“legge di accelerazione della crescita”)<br />

del 22 dicembre 2009, per sostenere la crescita economica ( 6 ).<br />

Gli ultimi dati, inaspettatamente positivi, dell’economia tedesca – tasso<br />

di crescita nel 2010 pari al 3,6% e tasso di disoccupazione al 7,9% nel gennaio<br />

2011 – portano a concludere che i provvedimenti legislativi hanno raggiunto<br />

gli effetti auspicati, o quantomeno vi hanno contribuito.<br />

Diritto societario<br />

Un’importante novità è data dalla riforma delle società a responsabilità<br />

limitata (le c.d. “GmbH ”) del 23 ottobre 2008 ( 7 ): da allora esiste in Germania<br />

la così detta Unternehmergesellschaft o “società-imprenditore”, che consiste<br />

in un sotto-tipo di società a responsabilità limitata regolata ai sensi del<br />

nuovo GmbH-Gesetz (abbr. “GmbH-G”); la principale differenza consiste<br />

in ciò, che il capitale sociale non deve necessariamente raggiungere la soglia<br />

minima di euro 25.000,00, come per la “normale” società a responsabilità limitata,<br />

ma per costituire la persona giuridica è sufficiente il conferimento di<br />

un solo euro (§ 5a GmbH-G); le riserve, pur sempre necessarie, possono essere<br />

costituite in seguito. È manifesto però che questa variante societaria,<br />

pensata per agevolare la costituzione di nuove GmbH, ne inficia l’affidabilità<br />

finanziaria, e di regola i potenziali creditori esigono garanzie d’altro genere,<br />

che sopperiscano alla (potenziale) mancanza di capitale nominale.<br />

Inoltre il legislatore tedesco ha varato nuove regole per adattare quelle<br />

previgenti alla recente giurisprudenza del BGH in tema di società c.d. “civile”.<br />

Questo tipo societario, i cui fondamenti sono disciplinati nei §§ 705 ss.<br />

BGB, corrisponde in larga misura alla società semplice di cui agli artt. 2251<br />

ss. c.c. italiano. Essa è pur sempre deputata allo svolgimento di attività eco-<br />

( 4 ) Cfr. BGBl. I 2008, 2896.<br />

( 5 ) Cfr. BGBl. I 2009, 416.<br />

( 6 ) Cfr. BGBl. I 2009, 3950.<br />

( 7 ) Cfr. BGBl. I 2008, 2026.


402 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

nomiche, ma non raggiunge il grado di complessità richiesto dai §§ 105 ss.<br />

HGB perché sorga l’obbligo d’iscrizione nel registro delle imprese, obbligo<br />

che sussiste per le società commerciali disciplinate dallo stesso HGB. Già<br />

nel 2001 il BGH aveva statuito che la società civile è dotata di (parziale) capacità<br />

giuridica autonoma, ed ora, con la legge dell’11 agosto 2009 ( 8 ), essa<br />

può venire iscritta quale proprietaria nel libro fondiario, ai sensi del § 47,<br />

comma 2, della Grundbuchordnung; devono però essere iscritti contestualmente<br />

anche i soci. Ulteriori norme di legge presupponevano già questa capacità<br />

giuridica autonoma della società civile, come ad esempio il § 191,<br />

comma 2, n. 1, dell’Umwandlungsgesetz, il § 1059a, comma 2, BGB, ed il § 11,<br />

comma 2, n. 1, dell’Insolvenzordnung.<br />

La crisi economica sollecitò l’allora governo in carica a profondere ulteriori<br />

sforzi per calmierare i compensi dei manager ed estenderne la responsabilità:<br />

col Gesetz zur angemessenen Vergütung von Vorstandsgehältern<br />

(“legge sull’adeguata remunerazione degli amministratori”) ( 9 ), che<br />

entrò in vigore il 5 agosto 2009, fu modificato il § 87 dell’Aktiengesetz, ed<br />

in forza di questa modifica il consiglio di sorveglianza, nel fissare l’importo<br />

complessivo dei corrispettivi spettanti agli amministratori, deve ora vigilare<br />

affinché esso sia in rapporto equilibrato con le loro prestazioni e le<br />

condizioni economiche in cui versa la società. Il compenso abituale non<br />

può essere superato se non in presenza di motivi speciali. Inoltre, affinché<br />

i manager non possano più spostare quasi tutti i rischi del loro operato sulle<br />

assicurazioni obbligatorie, il § 93, comma 2, dell’Aktiengesetz ha introdotto<br />

una franchigia inderogabile a carico degli amministratori pari ad almeno<br />

il 10% del danno provocato ovvero ad almeno il 150% del loro reddito<br />

annuo.<br />

Devono citarsi infine le modifiche introdotte nel diritto azionario tedesco<br />

con l’attuazione della direttiva 2007/36/CE, attuazione avvenuta col<br />

Gesetz zur Umsetzung der Aktionärsrechterrichtlinie (“legge di attuazione della<br />

direttiva sui diritti degli azionisti”) del 30 luglio 2009 ( 10 ).<br />

Contratti e consumatori<br />

Innovazioni sostanziali si diedero nel diritto dei contratti e di tutela del<br />

( 8 ) Cfr. BGBl. I 2009, 2713.<br />

( 9 ) BGBl. I 2009, 2509; cfr. in dottrina, Witthun, Herabsetzung von Vorstandsgehältern in<br />

der Krise, in ZGR, 2009, p. 847; Dauner-Lieb, Vorstand; Haftung; D&O Versicherung, in ZIP,<br />

2009, p. 1555.<br />

( 10 ) BGBl. I 2009, 2479; cfr. in tema, diffusamente, Weitenberg, L’attuazione della direttiva<br />

“azionaria” 2007/36/CE nel diritto tedesco, in questa rivista, 2010, p. 842 ss.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 403<br />

consumatore con la legge del 29 luglio 2009 ( 11 ), che accanto all’attuazione<br />

della direttiva sul credito al consumo 2008/48/CE ebbe come conseguenza<br />

una revisione della normativa in tema di jus poenitendi e restituzioni contrattuali.<br />

Il nuovo § 355, comma 2, seconda proposizione, BGB affronta un<br />

problema centrale dei contratti a distanza: il venditore normalmente non è<br />

in grado di informare il compratore circa il suo diritto di recesso prima che<br />

il contratto sia concluso, e dunque prima che inizi a decorrere automaticamente<br />

il termine di recesso mensile (anziché di 14 giorni); questo accade in<br />

particolare nel caso delle aste su e-bay, ove il venditore fino al momento della<br />

stipulazione del contratto neppure conosce la sua controparte. Il citato §<br />

355, comma 2, seconda proposizione, BGB prevede ora che nei contratti a<br />

distanza l’ammonimento relativo al recesso che sia recapitato in forma<br />

scritta immediatamente dopo la conclusione del contratto è equiparato a<br />

quello inoltrato all’atto stesso della sua conclusione, e dunque fa decorrere<br />

il termine di 14 giorni, anziché di un mese, se l’imprenditore ne ha istruito il<br />

consumatore ai sensi dell’art. 246, § 1, comma 1, n. 10, EGBGB (e così la<br />

norma rinvia al nuovo art. 246 EGBGB, introdotto dalla medesima legge).<br />

Precedentemente i descritti obblighi informativi erano disciplinati in un regolamento<br />

emesso dal Ministero Federale della Giustizia, ma i giudici non<br />

erano rigidamente vincolati alla sua osservanza e talvolta hanno deciso anche<br />

in senso contrario al suo tenore letterale, sicché elevare questa normativa<br />

al rango di legge formale infonde maggiore certezza del diritto presso<br />

chi debba applicarla.<br />

Quanto alla direttiva sul credito al consumo, la legge appena citata ha<br />

comportato l’integrazione nel BGB della normativa sugli obblighi informativi<br />

precontrattuali del creditore, nel frattempo decisamente ampliati (§ 6a<br />

della c.d. Preisangabenverordnung o “regolamento sull’indicazione dei prezzi”),<br />

mentre le c.d. “informazioni europee-standard per le operazioni di credito<br />

al consumo” sono state a loro volta inserite nell’EGBGB per mezzo<br />

dell’allegato 3 all’art. 247 § 2. Infine è stata facilitata la concessione di crediti<br />

al consumo transfrontalieri ed è stata garantita più sicurezza contrattuale<br />

al creditore.<br />

Inoltre, grazie ad un’ulteriore legge del 24 luglio 2010 ( 12 ), è stato introdotto<br />

un “modello informativo sul recesso nei contratti di finanziamento ai<br />

consumatori” (nell’allegato 1 all’art. 246, § 2, comma 3, prima proposizione,<br />

( 11 ) BGBl. I 2009, 2355; in dottrina cfr. Schröder, Gesetz . . . zur Neuordnung der Vorschriften<br />

über das Widerrufs- und Rückgaberecht, in NJW, 2010, c. 1933.<br />

( 12 ) BGBl. I 2010, 977; e in dottrina cfr. Artz, Neue Musterwiderrufsinformation für Verbraucherkreditverträge,<br />

in ZGS, 2010, p. 298.


404 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

EGBGB), e sono state attuate le ulteriori misure normative contenute nella<br />

direttiva sul credito al consumo 2008/48/CE in tema di recesso e mediazione<br />

nei contratti di finanziamento.<br />

Avvocati<br />

Il 12 giugno 2008 è stato promulgato il Gesetz zur Neuregelung des Verbots<br />

der Vereinbarung von Erfolgshonoraren (“legge per la riforma del divieto dei<br />

patti di quota-lite”) ( 13 ). Come risulta dal modificato § 49b, comma 2, della<br />

Bundesrechtsanwaltsordnung (“ordinamento federale dell’avvocatura”), i<br />

patti di quota-lite continuano ad essere vietati in Germania. È stata però aggiunta<br />

la riserva “se il Rechtsanwaltsvergütungsgesetz (“legge sui compensi<br />

dell’avvocato”) ( 14 ) non dispone diversamente”; e col § 4a è stata inserita nel<br />

citato Rechtsanwaltsvergütungsgesetz un’eccezione per il caso in cui il cliente,<br />

a causa delle sue condizioni patrimoniali, senza il patto di quota-lite non<br />

avrebbe adìto la tutela giudiziaria. L’eccezione, caldeggiata da una pronuncia<br />

dello stesso Bundesverfassungsgericht (Tribunale Costituzionale Federale),<br />

non appare sconvolgente, ma conduce per lo meno a mitigare l’asprezza<br />

del divieto statuito dalla legislazione previgente. Come noto la questione<br />

– e lo dimostra la dibattuta reintroduzione del divieto in <strong>Italia</strong> – è a dir poco<br />

controversa.<br />

Un sensibile alleggerimento del lavoro degli avvocati porterà la consultabilità<br />

on line del registro di commercio, ora disponibile in maniera capillare<br />

(variano però i costi a seconda del tipo di interrogazione). Anche il libro<br />

fondiario è divenuto, nei singoli Länder, consultabile on line: tuttavia ogni<br />

visura costa, ad esempio nel Nordreno-Vestfalia, 8 euro, sicché all’esito possono<br />

derivarne spese ragguardevoli, che parte degli avvocati tedeschi risparmiano<br />

volentieri recandosi di persona alla conservatoria del libro fondiario<br />

(tanto più che è prevista una tassa d’accesso una tantum di soli 50 euro).<br />

Nondimeno tale possibilità di consultazione da remoto può essere interessante<br />

per i giuristi che operino in chiave internazionale, vuoi per controllare<br />

la vigenza dei poteri rappresentativi in capo alla controparte di una trattativa,<br />

vuoi per chiarire i vincoli ipotecari od i rapporti reali gravanti sugli immobili.<br />

Per tale ultima visura l’avvocato deve però allegare un interesse giuridicamente<br />

rilevante si sensi del § 12 della Grundbuchordnung.<br />

( 13 ) BGBl. I 2008, 1000; e cfr. inoltre von Seltmann, Erfolgshonorar und andere Änderungen<br />

des RVG, in NJW-Spezial, 2008, c. 350.<br />

( 14 ) Traduzione fra parentesi ovviamente di chi scrive.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 405<br />

Famiglia e processo<br />

Una fondamentale novità concerne il settore del processo. Il 1° agosto<br />

2009 è entrato in vigore il Gesetz über das Verfahren in Familiensachen und in<br />

den Angelegenheiten der freiwilligen Gerichtsbarkeit (“legge sul procedimento<br />

in materia di famiglia e di affari di volontaria giurisdizione”, di seguito<br />

FamFG). Con i nove libri del FamFG è stato abrogato il sesto libro della Zivilprozessordnung,<br />

ed il previgente Gesetz über die Angelegenheiten der<br />

freiwilligen Gerichtbarkeit (“legge sugli affari di volontaria giurisdizione” o<br />

FGG). Scopo della legge è stato quello di ordinare in un sistema processuale<br />

autonomo gli affari di famiglia e di volontaria giurisdizione. Ricorrono<br />

ancora – non c’è dubbio – alcuni rinvii alla Zivilprozessordnung generale, ma<br />

per il resto la procedura prevista per le materie citate si orienta esclusivamente<br />

a quanto prescritto dal FamFG, ciò che conduce ad una maggiore<br />

trasparenza legislativa rispetto a quanto non capitasse sotto il vigore del<br />

FGG. Il concetto di “affari di famiglia” è definito legalmente dal § 111 nn. 1-<br />

11 FamFG, e comprende fra l’altro le controversie in tema di matrimonio,<br />

filiazione, ascendenza, adozione e mantenimento. Un grande vantaggio, ed<br />

al contempo un grande progresso, è rappresentato dal fatto che per tutte<br />

queste controversie è competente ai sensi del § 23a, comma 1, n. 1, del Gerichtsverfassungsgesetz<br />

(GVG) l’Amtsgericht: è stato creato così l’atteso “grande<br />

tribunale di famiglia”, con una competenza a tutto tondo a livello di prime<br />

cure. Da segnalare è pure il rafforzamento degli strumenti di composizione<br />

stragiudiziale delle liti, che il legislatore ha introdotto per dare corso a<br />

sollecitazioni variamente provenienti dal diritto europeo.<br />

Per completezza non può non sottolinearsi che anche dal punto di vista<br />

sostanziale il diritto di famiglia ha conosciuto recentemente un’autentica<br />

rivoluzione, dovuta alla decisione del Bundesverfassungsgericht del 21 luglio<br />

2010 ( 15 ). Il Giudice costituzionale, su ricorso in via principale presentato da<br />

un padre, ha deciso che il § 1626a BGB è costituzionalmente illegittimo: il<br />

diritto fino ad allora vigente prevedeva che, qualora i genitori non fossero<br />

stati coniugati fra loro, il diritto-dovere di mantenimento della prole spettasse<br />

ad entrambi soltanto ove si fossero coniugati o avessero entrambi dichiarato<br />

di volerne assumere l’onere congiuntamente (così il § 1626a, comma<br />

1, nn. 1 e 2, BGB); altrimenti quel diritto-dovere sarebbe spettato alla<br />

sola madre (come previsto dal § 1626a, comma 2, BGB). Ciò comportava<br />

che il padre naturale non coniugato con la madre non potesse conseguire alcun<br />

diritto-dovere di mantenimento nei confronti del figlio, se la madre<br />

( 15 ) BverfG, 21 luglio 2010 (1 BvR 420/09).


406 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

non fosse stata consenziente. Questa regola, che di per sé non perseguiva in<br />

alcun modo il benessere concreto della prole, viola secondo la citata sentenza<br />

il diritto alla genitorialità del padre, diritto sancito e tutelato dall’art.<br />

6, comma 2, del Grundgesetz. Ora, poiché come noto le decisioni del Bundesverfassungsgericht<br />

(a norma del § 31, comma 2, seconda proposizione, del<br />

Bundesverfassungsgerichtsgesetz, o BverfGG), hanno forza di legge, in ragione<br />

del dispositivo testé citato i padri possono far valere in giudizio fin da<br />

subito il loro diritto-dovere genitoriale nei riguardi dei figli naturali, se questo<br />

corrisponde al benessere dei medesimi. Al momento il Ministero Federale<br />

della Giustizia è al lavoro per dare attuazione legislativa alla sentenza<br />

del Giudice costituzionale.<br />

Arne Alberts - Edoardo Ferrante


Vendita di lenti a contatto on line<br />

e prospettive di sviluppo dell’e-commerce nell’Unione europea<br />

1. – Premessa<br />

Con sentenza del 2 dicembre 2010 nella causa C-108/09, Ker-Optika c.<br />

ÁNTSZ Dél-dunántúli Regionális Intézete ( 1 ), la Corte di giustizia dell’Unione<br />

Europea ha affrontato, per la seconda volta dal 2003 ( 2 ), il problema<br />

della legittimità delle restrizioni alla commercializzazione tramite internet<br />

di prodotti aventi valenza sanitaria, sancendo l’illegittimità delle normative<br />

nazionali che vietano l’utilizzo di tale canale per la vendita di lenti<br />

a contatto.<br />

La questione di cui si è occupata la Corte di giustizia trae origine dal caso<br />

di una società ungherese (Ker-Optika), alla quale le autorità sanitarie di<br />

quel paese avevano vietato la prosecuzione dell’intrapresa attività di vendita<br />

di lenti a contatto a mezzo internet, in quanto, secondo la normativa nazionale<br />

ungherese ( 3 ), la commercializzazione di tali prodotti, rientranti<br />

nella categoria dei dispositivi medici ( 4 ), può avvenire solo attraverso negozi<br />

specializzati, rispondenti ai requisiti dimensionali normativamente fissati,<br />

e sotto il controllo diretto di un optometrista o di un medico oftalmologo<br />

qualificato.<br />

La Ker-Optika ha impugnato il provvedimento di divieto e il Baranya<br />

Megyei Bíróság (Tribunale provinciale per la Baranya), cui è stata sottoposta<br />

la controversia, ha chiesto alla Corte di giustizia di pronunciarsi in via pre-<br />

( 1 ) Non ancora pubblicata nella Raccolta; tra i primi commenti: Picod, La vente des lentilles<br />

de contact ne peut pas être réservée à des magasins spécialisés, in Semaine jur. – éd. gén., 2010,<br />

p. 234; Temmink, Verbod van verkoop van contactlenzen via internet is in strijd met het EU-recht,<br />

in Nederlands tijdschrift voor Europees recht,2011, p. 1; Castets-Renard, L’essor du commerce<br />

électronique: la CJUE autorise la vente en ligne de lentilles de contact, in Rec. Dalloz, 2011, p. 419;<br />

Rigaux, Commercialisation par Internet, in Europe, 2011, p. 1.<br />

( 2 ) Quando, con la sentenza 11 dicembre 2003, causa C-322/01, Deutscher Apothekerverband<br />

c. Doc-morris NV e Jacques Waterval, in Racc., 2003, p. I-14887, si era occupata delle farmacie<br />

on line e dalla vendita di prodotti medicinali a mezzo internet.<br />

( 3 ) La norma in discussione è l’art. 3, n. 1 del regolamento 7/2004 (XI, 23) del Ministero<br />

della Salute ungherese in materia di requisiti professionali ai fini della vendita, della riparazione<br />

e del noleggio di dispositivi medici (tra i quali l’allegato 1 al regolamento specifica chiaramente<br />

essere ricomprese le lenti a contatto).<br />

( 4 ) Come definiti dalla direttiva 93/42/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, concernente<br />

i dispositivi medici (attuata in <strong>Italia</strong> dal decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 46), che<br />

ne disciplina in modo armonizzato i criteri di progettazione ed i requisiti di sicurezza.


408 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

giudiziale sulla conformità al diritto dell’Unione della normativa ungherese<br />

che autorizza la commercializzazione di lenti a contatto esclusivamente<br />

in negozi specializzati nella vendita di dispositivi medici, vietandone, di<br />

conseguenza, la vendita a distanza e tramite internet ( 5 ).<br />

Nella sentenza citata la Corte constata come il divieto di vendita on line<br />

di lenti a contatto previsto da tale normativa, privando gli operatori<br />

economici degli altri Stati membri di una modalità particolarmente efficace<br />

di commercializzazione di questi prodotti ed ostacolandone considerevolmente<br />

l’accesso al mercato ungherese, costituisca un ingiustificato<br />

ostacolo alla libera circolazione delle merci nell’Unione europea, inammissibile<br />

ai sensi della normativa comunitaria derivata in materia di e-<br />

commerce ed incompatibile con le disposizioni del Trattato sul funzionamento<br />

dell’Unione.<br />

2. – Il divieto di vendita di lenti a contatto tramite internet alla luce della direttiva<br />

2000/31/CE sull’e-commerce<br />

Il percorso argomentativo seguito dalla Corte di Giustizia si articola in<br />

due distinti momenti: la Corte chiarisce infatti come, nell’ambito dell’attività<br />

di commercializzazione via internet, sia necessario considerare disgiuntamente,<br />

da una parte, l’atto di vendita propriamente detto, caratterizzato<br />

dall’offerta di contrattare on line e dalla conclusione di un contratto con<br />

mezzi elettronici, e, dall’altra, la successiva operazione materiale della consegna<br />

del prodotto venduto, normalmente presso il domicilio dell’acquirente<br />

( 6 ). Con riferimento al caso sottoposto al suo esame, la Corte specifica<br />

che occorre tenere altresì conto della possibilità che per ciascuna di tali fasi,<br />

( 5 ) Queste le questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte di giustizia dal Baranya Megyei<br />

Bíróság, ai sensi dell’art. 234 CE (oggi art. 267 TFUE): “1) Se la vendita di lenti a contatto rientri<br />

tra le consulenze mediche che necessitano di un esame fisico del paziente e, pertanto, sia esclusa<br />

dall’ambito di applicazione della direttiva sul commercio elettronico. 2) Ove la vendita di lenti<br />

a contatto non rientri tra le consulenze mediche che necessitano di un esame fisico del paziente, se<br />

l’art. 30 CE sia allora da interpretarsi nel senso che osta a una normativa nazionale ai sensi della<br />

quale le lenti a contatto possono essere vendute esclusivamente in negozi specializzati in dispositivi<br />

medici. 3) Se il principio della libera circolazione delle merci di cui all’art. 28 CE osti alla<br />

normativa ungherese che consente la vendita di lenti a contatto esclusivamente in negozi specializzati<br />

in dispositivi medici”.<br />

( 6 ) Tale percorso si discosta da quello suggerito dal Giudice del rinvio, che domandava innanzitutto<br />

di stabilire se l’attività di cui alla causa principale rientrasse nell’ambito di applicazione<br />

della direttiva sul commercio elettronico e, solo nel caso di soluzione negativa da parte<br />

della Corte, sollevava una questione di interpretazione del diritto primario dell’Unione.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 409<br />

della vendita e della consegna, sia prevista l’obbligatorietà di un previo consulto<br />

medico, a tutela della salute del cliente.<br />

Il primo aspetto, quello relativo all’atto della vendita, deve essere secondo<br />

la Corte esaminato alla luce delle disposizioni contenute nella direttiva<br />

2000/31/CE sul commercio elettronico (c.d. direttiva e-commerce) ( 7 )<br />

che, allo scopo di eliminare le più rilevanti differenze esistenti tra le varie legislazioni<br />

nazionali ed assicurare la libera circolazione dei “servizi della società<br />

dell’informazione” ( 8 ) tra gli Stati membri, ha istituito un quadro giuridico<br />

comune per il commercio elettronico, dettando una serie di regole<br />

uniformi applicabili alle attività economiche svolte a mezzo internet.<br />

Tenuto conto dell’impossibilità di eliminare le ancora rilevanti differenze<br />

esistenti tra le regolamentazioni nazionali nel settore del commercio<br />

elettronico, la direttiva ha dettato il c.d. principio del paese d’origine (art. 3,<br />

par. 1), individuando quale legge applicabile ai servizi della società dell’informazione<br />

quella dello Stato membro ove il prestatore è stabilito ( 9 ) ed<br />

imponendo correlativamente a tutti gli Stati membri il reciproco riconoscimento<br />

delle legislazioni nazionali.<br />

All’art. 4, la direttiva fa divieto agli Stati membri di subordinare l’accesso<br />

e l’esercizio dell’attività di un prestatore di servizi della società dell’informazione<br />

a regimi di autorizzazione speciali che non si applicherebbero a<br />

servizi analoghi forniti con altri mezzi (c.d. principio dell’assenza di autorizzazione<br />

preventiva), mentre all’art. 3, n. 2, espressamente vieta agli Stati<br />

di introdurre limitazioni alla libertà di circolazione dei servizi della società<br />

dell’informazione per motivi rientranti nell’ambito regolamentato dalla direttiva<br />

stessa ( 10 ).<br />

( 7 ) Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa<br />

a taluni aspetti giuridici del commercio elettronico nel mercato interno, in G.U.U.E., L178,<br />

del 17 luglio 2000, recepita in <strong>Italia</strong> con il d.lgs. 9 aprile 2003, n. 70.<br />

( 8 ) Definibili come “qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza,<br />

per via elettronica . . .e a richiesta individuale di un destinatario di servizi”, alla luce del considerando<br />

n. 17 della direttiva e delle precedenti normative comunitarie ivi richiamate e richiamate<br />

altresì all’art. 2 lettera a) della direttiva.<br />

( 9 ) L’art. 2 lettera c) della direttiva 2000/31/CE definisce il luogo di stabilimento del prestatore<br />

come il luogo in cui un operatore “esercita effettivamente e a tempo indeterminato un’attività<br />

economica mediante un’installazione stabile”; cfr. anche il considerando n. 19.<br />

( 10 ) Dispone l’art. 3, par. 2 della direttiva 2000/31/CE che “gli Stati membri non possono,<br />

per motivi che rientrano nell’ambito regolamentato, limitare la libera circolazione dei servizi della<br />

società dell’informazione provenienti da un altro Stato membro”; la nozione di “ambito regolamentato”<br />

è individuata dall’art. 2, lett. h), e comprende le prescrizioni applicabili ai prestatori<br />

con riferimento all’accesso e all’esercizio dell’attività, con esclusione delle norme riguardanti<br />

le merci in quanto tali, la consegna e i servizi non prestati per via elettronica.


410 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

In forza dell’art. 9, n. 1, nonché del considerando n. 34 della direttiva<br />

2000/31, inoltre, gli Stati membri sono tenuti ad adeguare sistematicamente<br />

la propria legislazione, affinché questa non ostacoli il ricorso ai contratti<br />

per via elettronica, con riferimento a tutte le fasi e agli atti necessari alla sua<br />

formazione.<br />

La Corte di giustizia rileva nella sentenza Ker-Optika che, come emerge<br />

chiaramente dal diciottesimo considerando ( 11 ), i servizi della società dell’informazione<br />

disciplinati dalla direttiva includono l’attività di vendita di<br />

beni on line.<br />

Nessuna esclusione espressa risulta prevista per il commercio di dispositivi<br />

medici, quali le lenti a contatto: attività che non rientra, in particolare, tra<br />

quelle escluse dall’ambito di applicazione della direttiva dall’art. 1, n. 5 ( 12 ).<br />

Né la conclusione a favore dell’inclusione della vendita on line di lenti a<br />

contatto nell’ambito di applicazione della direttiva de qua potrebbe secondo<br />

la Corte risultare pregiudicata dalla considerazione che la vendita o la<br />

consegna di tale bene possa giustificatamene richiedere, a tutela della salute<br />

del cliente, un preventivo consulto medico e successivi verifiche e controlli<br />

oftalmologici. Se è vero infatti che, come veniva evidenziato dall’ÀNTSZ<br />

ungherese, alla luce del diciottesimo considerando della direttiva<br />

2000/31 non costituiscono servizi della società dell’informazione e, pertanto,<br />

non sono ad essa soggette quelle attività che, per loro stessa natura, non<br />

possono essere esercitate a distanza o con mezzi elettronici, tra le quali sono<br />

espressamente menzionate le “consulenze mediche che necessitano di un<br />

esame fisico del paziente” ( 13 ), osserva tuttavia la Corte che nel caso delle lenti<br />

a contatto le visite e verifiche eventualmente necessarie non possono ritenersi<br />

indissolubilmente associate all’atto della vendita.<br />

I controlli oftalmologici eventualmente richiesti ben possono essere infatti<br />

effettuati dal cliente separatamente ed indipendentemente dall’acquisto<br />

delle lenti; e la vendita ben può quindi avvenire, anche a distanza, sulla base<br />

( 11 ) Come si legge nel considerando n. 18 della direttiva, “i servizi della società dell’informazione<br />

abbracciano una vasta gamma di attività economiche svolte in linea (on line). Tali attività<br />

possono consistere, in particolare, nella vendita in linea di merci. Non sono contemplate attività<br />

come la consegna delle merci in quanto tale o la prestazione di servizi non in linea . . .”.<br />

( 12 ) Né, sebbene la Corte non lo specifichi, tra i settori cui non si applicano le richiamate<br />

disposizioni dell’art. 3 parr. 1 e 2, elencati nell’allegato al provvedimento.<br />

( 13 ) Il considerando n. 18 della direttiva precisa infatti che “. . .le attività che, per loro stessa<br />

natura, non possono essere esercitate a distanza o con mezzi elettronici, quali la revisione dei conti<br />

delle società o le consulenze mediche che necessitano di un esame fisico del paziente, non sono<br />

servizi della società dell’informazione”.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 411<br />

di una prescrizione del medico oftalmologo che abbia preventivamente visitato<br />

il cliente. La pur legittima previsione della necessità di tali consulenze<br />

non comporta dunque l’esclusione della commercializzazione di lenti a contatto<br />

dall’ambito di applicazione della direttiva 2000/31/CE sull’e-commerce.<br />

Ne consegue, secondo la Corte di Giustizia, la piena applicabilità al<br />

commercio di lenti a contatto, per quanto attiene all’atto di vendita via internet,<br />

delle disposizioni della suddetta direttiva, dalle quali discende il divieto<br />

agli Stati di limitare l’offerta on line di tale categoria di beni e la conclusione<br />

con mezzi elettronici dei contratti di vendita ad essi relativi.<br />

È interessante rilevare che la conclusione della Corte su tale punto e<br />

l’interpretazione da essa fornita dell’ambito di applicazione e della portata<br />

della direttiva e-commerce si discostano alquanto nettamente da quanto era<br />

stato sostenuto nelle sue conclusioni dall’avvocato generale, il quale – pur<br />

comunque ritenendo inammissibile ai sensi del Trattato la restrizione alla<br />

vendita delle lenti a contatto imposta dalla normativa ungherese – non riteneva<br />

che il divieto di commercializzazione di un prodotto a mezzo internet<br />

potesse essere esaminato alla luce della suddetta direttiva. Secondo l’avvocato<br />

generale, sarebbe infatti erroneo sostenere che la direttiva 2000/31/CE<br />

abbia ad oggetto una liberalizzazione generale del commercio elettronico<br />

delle merci; benché nel sentire collettivo tale direttiva sia percepita come la<br />

normativa che ha consentito lo sviluppo del commercio elettronico intracomunitario,<br />

in realtà essa si limita a disciplinare solo alcune delle fasi attraverso<br />

le quali tale commercio si realizza, senza pronunciarsi sulla questione<br />

di quali tipologie di attività o categorie di merci debbano avere accesso al<br />

commercio via internet e senza in nessuna delle sue disposizioni contemplare<br />

un obbligo per gli Stati membri di autorizzare in modo generale e sistematico,<br />

per tutti i tipi di merci, la vendita tramite tale canale.<br />

L’avvocato generale dubitava inoltre che la vendita di lenti a contatto<br />

potesse essere qualificata quale “servizio della società dell’informazione” ai<br />

sensi della direttiva di cui trattasi, in quanto, pur ritenendo distinto l’aspetto<br />

della consulenza medica, non gli appariva possibile dissociare la fase della<br />

conclusione del contratto on line dalla successiva operazione fisica della<br />

spedizione delle lenti a contatto al consumatore.<br />

3. – Il divieto di vendita di lenti a contatto on line alla luce dei principi sulla libera<br />

circolazione delle merci<br />

Il secondo passaggio argomentativo della pronuncia Ker-Optika prende<br />

in esame l’aspetto della consegna: poiché le norme nazionali relative alle<br />

condizioni di consegna di una merce venduta via internet sul territorio di


412 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

uno Stato membro sono espressamente escluse dall’ambito di applicazione<br />

della direttiva 2000/31/CE ( 14 ), né risultano disciplinate da altra legislazione<br />

comunitaria specifica, la Corte rileva che tale aspetto rende necessaria la valutazione<br />

della normativa ungherese alla luce del diritto primario, ossia del<br />

TFUE.<br />

In particolare, secondo la Corte, il provvedimento deve essere esaminato,<br />

così come suggerito dal Giudice del rinvio, con riferimento ai principi<br />

sulla libera circolazione delle merci, e dunque alle norme di cui agli artt.<br />

34 e 36 del Trattato. La Corte non ritiene accoglibile la tesi del governo ungherese<br />

secondo cui l’attività di vendita delle lenti a contatto, configurando<br />

un “servizio sanitario” avente indissociabilmente ad oggetto la fornitura<br />

del prodotto e il servizio consulenza oftalmica a suo dire da essa inscindibile,<br />

avrebbe dovuto essere valutata con riferimento alla disposizione<br />

del Trattato relativa alla libertà di prestazione dei servizi (art. 56 TFUE, già<br />

art. 49 CE): avendo già escluso la connessione necessaria tra i due elementi,<br />

la Corte condivisibilmente valuta come secondario l’aspetto inerente<br />

al servizio e, anche per motivi di economia procedurale ( 15 ), ritiene<br />

pertanto di poterne omettere la considerazione nella valutazione giuridica<br />

del caso.<br />

La questione che si pone è dunque quella di valutare se la normativa ungherese<br />

rientri tra le “misure di effetto equivalente” a restrizioni quantitative<br />

all’importazione, vietate dall’art. 34 TFUE (già art. 28 CE), e, in caso positivo,<br />

se essa possa trovare valida giustificazione, ai sensi dell’art. 36 TFUE<br />

(già art. 30 CE), nell’esigenza di tutelare la salute dei consumatori.<br />

La Corte del Lussemburgo richiama in proposito i propri ormai consolidati<br />

principi giurisprudenziali sulla libera circolazione delle merci, ricordando<br />

che secondo la nota “formula Dassonville” coniata nel 1974, deve essere<br />

considerata come una misura d’effetto equivalente a restrizioni quan-<br />

( 14 ) È chiaro sul punto il dettato dell’art. 2, lett. h – ii), della direttiva 2000/31/CE, secondo<br />

cui “l’ambito regolamentato non comprende le norme su: (. . .) la consegna delle merci ”; si veda<br />

anche il considerando n. 21.<br />

( 15 ) A questo proposito, nella sentenza Ker-Optika la Corte richiama la propria giurisprudenza<br />

dalla quale risulta come, quando un provvedimento nazionale si ricollega sia alla libera<br />

circolazione delle merci sia ad un’altra libertà fondamentale, esso possa essere esaminato<br />

con riferimento ad una sola delle due libertà fondamentali qualora risulti che una delle due è<br />

affatto secondaria rispetto all’altra (cfr. sentenze 24 marzo 1994, causa C-275/92, Schindler, in<br />

Racc., 1994, p. I-1039; 26 maggio 2005, causa C-20/03, Burmanjer e a., in Racc., 2005, p. I-4133);<br />

da analoga prospettiva era stata esaminata la questione della vendita di medicinali via internet<br />

nella sentenza Deutscher Apothekerverband, cit.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 413<br />

titative all’importazione “ogni normativa commerciale degli Stati membri che<br />

possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi<br />

intracomunitari” ( 16 ).<br />

Nell’interpretare il significato dell’espressione “misure di effetto equivalente”,<br />

la giurisprudenza della Corte ha chiarito come l’elemento determinante<br />

al fine di verificare se una normativa nazionale ricada nel divieto di<br />

cui all’art. 34 TFUE non sia l’aspetto discriminatorio, bensì il suo effetto<br />

(tale da “... ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza gli<br />

scambi intracomunitari”). Non sono infatti soltanto i provvedimenti apertamente<br />

discriminatori, che prevedono un trattamento differenziato per le<br />

merci importate, a creare barriere agli scambi di prodotti tra gli Stati membri,<br />

ma anche quelli che pur applicandosi in egual modo sia alle merci nazionali<br />

che a quelle importate, di fatto gravano maggiormente sulle importazioni.<br />

Anche allorché una misura non abbia l’obiettivo di regolare gli scambi<br />

di merci tra gli Stati membri, ciò che è determinante è il suo effetto, attuale<br />

o potenziale, sul commercio intracomunitario: in applicazione di tale criterio,<br />

come stabilito nella fondamentale sentenza “Cassis de Dijon”, costituiscono<br />

misure di effetto equivalente, vietate dal Trattato, gli ostacoli alla libera<br />

circolazione delle merci derivanti, in mancanza di armonizzazione<br />

delle legislazioni, dall’assoggettamento di merci provenienti da altri Stati<br />

membri, in cui siano legalmente fabbricate e messe in commercio, a norme<br />

che dettino requisiti ai quali le merci stesse devono rispondere, anche qualora<br />

indistintamente applicabili a tutti i prodotti ( 17 ).<br />

Nella pronuncia Ker-Optika la Corte richiama quindi il principio succes-<br />

( 16 ) Tale definizione di misura di effetto equivalente è stata formulata nella nota sentenza<br />

11 luglio 1974, causa 8/74, Dassonville, in Racc., 1974, p. 837 (richiamata al punto 47 della sentenza<br />

Ker-Optika) e confermata dalla giurisprudenza successiva della Corte, con minime varianti.<br />

( 17 ) Sentenza del 20 febbraio 1979, causa 120/78, Rewe-Zentral, c.d. ‘Cassis de Dijon’, che,<br />

per ovviare all’onere derivante dal fatto che le merci importate dovessero ottemperare a due<br />

sistemi normativi, quello dello Stato membro di produzione e quello dallo Stato membro di<br />

importazione, ha sancito il principio del mutuo riconoscimento in materia economica, secondo<br />

cui, in assenza di una disciplina uniforme o armonizzata a livello comunitario, tutte le<br />

disposizioni nazionali devono ritenersi ugualmente rispettose della salute e delle esigenze<br />

del consumatore e dunque, in linea di principio, le merci legalmente prodotte e immesse nel<br />

mercato in uno Stato membro possono essere vendute liberamente anche in tutti gli altri Stati,<br />

senza sottostare a ulteriori controlli; restando consentiti i cd. ostacoli tecnici solo per il soddisfacimento<br />

di esigenze imperative. È il principio richiamato al punto 49 nella sentenza Ker-<br />

Optika.


414 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

sivamente sancito nelle cause riunite Keck e Mithouard ( 18 ), nelle quali, circa<br />

vent’anni dopo la sentenza Dassonville, si era ritenuto necessario porre<br />

alcune limitazioni al campo di applicazione del divieto di “misure di effetto<br />

equivalente” con riferimento alle norme nazionali che disciplinano condizioni<br />

e modalità della vendita dei prodotti: ribadito che, sulla base del principio<br />

“Cassis de Dijon”, costituiscono di per sé misure di effetto equivalente<br />

rientranti nel campo di applicazione dell’articolo 34 TFUE le norme che fissano<br />

i requisiti cui le merci devono rispondere, la Corte ha stabilito che le<br />

norme che disciplinano invece le modalità della loro commercializzazione<br />

rientrano del campo di applicazione della norma solo laddove sia dimostrato<br />

che esse introducono una discriminazione, di diritto o di fatto, in base all’origine<br />

del prodotto. Pertanto, alla luce della formula consacrata nella sentenza<br />

Keck e Mithouard e richiamata dalla Corte, l’assoggettamento di prodotti<br />

provenienti da altri Stati membri a normative nazionali che limitino o<br />

vietino talune modalità di vendita può ritenersi costituire ostacolo diretto o<br />

indiretto, in atto o in potenza, agli scambi commerciali tra gli Stati membri<br />

solo allorché tali normative non soddisfino i due requisiti dell’applicabilità<br />

delle disposizioni in esse contenute nei confronti di tutti gli operatori interessati<br />

che svolgono la propria attività sul territorio nazionale (universalità<br />

o assenza di discriminazione formale) e dell’incidenza di tali disposizioni in<br />

egual misura, oltre che sotto il profilo giuridico anche sotto quello sostanziale,<br />

sullo smercio dei prodotti nazionali e di quelli provenienti da altri Stati<br />

membri (neutralità o assenza di discriminazione sostanziale).<br />

Ove tali requisiti non siano soddisfatti, l’applicazione ai prodotti provenienti<br />

da un altro Stato di normative nazionali relative alla vendita costituisce<br />

elemento atto ad impedire l’accesso di tali prodotti al mercato o<br />

ad ostacolarlo in misura maggiore rispetto all’ostacolo rappresentato per<br />

i prodotti nazionali, ricadendo dunque nella sfera d’applicazione dell’art.<br />

34 del TFUE.<br />

Analizzando alla luce di tali principi giurisprudenziali la normativa ungherese<br />

sulla vendita delle lenti a contatto, la Corte del Lussemburgo rileva<br />

che essa, sebbene soddisfi il primo dei due richiamati requisiti di cui alla<br />

giurisprudenza Keck e Mithouard, applicandosi a tutti gli operatori che svolgano<br />

la propria attività sul territorio nazionale, tuttavia certamente non incide<br />

in egual misura sul piano sostanziale sul commercio dei prodotti provenienti<br />

da altri Stati membri.<br />

( 18 ) Sentenza 24 novembre 1993, cause riunite C-267/91 e C-268/91, Keck e Mithouard, in<br />

Racc., 1993, p. I-6097 (cui la Corte di giustizia fa richiamo al punto 51 della sentenza Ker-Optika).


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 415<br />

Analogamente a quanto già aveva fatto nel 2003 in relazione alla vendita<br />

on line di prodotti medicinali non soggetti prescrizione medica ( 19 ), la<br />

Corte constata come il divieto di vendita via internet penalizzi infatti maggiormente<br />

gli operatori provenienti da altri Stati membri, privandoli di una<br />

modalità per essi particolarmente importante ed efficace di commercializzazione<br />

dei loro prodotti e così di fatto ostacolandone in modo considerevole<br />

l’accesso al mercato dello Stato membro interessato.<br />

Per tale ragione, il detto divieto costituisce una misura di effetto equivalente<br />

a una restrizione quantitativa, vietata dall’art. 34 del Trattato.<br />

4. – L’impossibilità di giustificare il divieto sulla base di esigenze di tutela della<br />

salute<br />

Alla luce dei quesiti posti dal Giudice del rinvio e delle difese del governo<br />

ungherese, la Corte di giustizia viene quindi chiamata a valutare se il<br />

provvedimento che dispone il divieto di vendita di lenti a contatto tramite<br />

internet, pur configurando una misura di effetto equivalente ad una restrizione<br />

quantitativa, possa risultare comunque legittimo in quanto giustificato<br />

da ragioni di interesse generale, e segnatamente da esigenze di tutela della<br />

salute pubblica, rilevanti ai sensi dell’art. 36 TFUE e richiamate altresì<br />

dell’art. 3, n. 4, della direttiva 2000/31 sull’e-commerce ( 20 ).<br />

Infatti, il governo ungherese sosteneva che l’ostacolo frapposto alla libera<br />

circolazione delle merci dalla misura nazionale recante il divieto di<br />

commercio a distanza delle lenti a contatto perseguisse, in modo necessario<br />

e proporzionato, un obiettivo di tutela della sanità pubblica: poiché le lenti<br />

a contatto sono dispositivi medici particolarmente invasivi, il cui impiego<br />

errato può comportare anche danni irreparabili alla vista, in ogni fase della<br />

loro fornitura (e dunque al momento della prescrizione, dell’acquisto, delle<br />

prove e della consegna finale) sarebbe impossibile prescindere dalla presenza<br />

fisica, presso i locali del venditore, del paziente, affinché questi possa<br />

fruire dell’assistenza di un professionista qualificato in grado di fornirgli<br />

consigli e informazioni.<br />

( 19 ) Nella sentenza Deutscher Apothekerverband, cit.<br />

( 20 ) Tale disposizione prevede che gli Stati membri possano adottare provvedimenti in<br />

deroga al divieto di limitare la circolazione dei servizi della società dell’informazione qualora<br />

essi siano “i) necessari” per una delle ragioni specificate, tra le quali rientrano quelle di “tutela<br />

della sanità pubblica”; “ii) relativi a un determinato servizio della società dell’informazione lesivo<br />

degli obiettivi di cui al punto i) o che costituisca un rischio serio e grave di pregiudizio a tali<br />

obiettivi” e “iii) proporzionati a tali obiettivi”.


416 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

A tale proposito, la giurisprudenza della Corte di giustizia ha costantemente<br />

rilevato che fra i beni e gli interessi tutelati dall’art. 36 del Trattato, la<br />

salute delle persone occupa una posizione preminente, precisando altresì<br />

che spetta agli Stati membri, nei limiti imposti dal Trattato, stabilire a quale<br />

livello essi intendano assicurarne la protezione e quali siano gli strumenti<br />

necessari ( 21 ).<br />

Nonostante tale margine di discrezionalità degli Stati membri nello stabilire<br />

il livello di tutela che intendono assicurare, la Corte ha tuttavia altresì<br />

da sempre sottolineato come qualsiasi provvedimento, per potersi ritenere<br />

giustificato, debba essere, da una parte, idoneo a garantire la realizzazione<br />

dell’obiettivo legittimo perseguito e, dall’altra, conforme al principio di proporzionalità,<br />

e dunque limitato a quanto effettivamente necessario al fine di<br />

raggiungere tale scopo e non eccedente rispetto quanto necessario per il<br />

suo raggiungimento.<br />

Elemento fondamentale nell’analisi della giustificazione fornita dallo<br />

Stato membro è quindi l’esistenza di misure alternative, che potrebbero<br />

ostacolare gli scambi in misura inferiore rispetto a quella adottata: in tali casi,<br />

per non incorrere in una violazione del principio di proporzionalità lo<br />

Stato avrebbe avuto infatti l’obbligo di optare per l’alternativa meno restrittiva.<br />

Resta, pertanto, escluso dalla deroga di cui all’art. 36 TFUE qualunque<br />

provvedimento nazionale al cui posto si sarebbero potuti adottare, con pari<br />

efficacia, divieti o limitazioni di minore pregiudizio per gli scambi all’interno<br />

dell’Unione.<br />

Spetta allo Stato, che invochi la sussistenza di una ragione giustificativa<br />

della misura restrittiva adottata, dimostrare, in concreto e sulla base di elementi<br />

circostanziati, l’esistenza dell’interesse generale, la necessità della restrizione<br />

e il suo carattere idoneo e proporzionato rispetto all’obiettivo perseguito.<br />

Su tali basi, in passato i giudici del Lussemburgo avevano ritenuto giustificata<br />

ai sensi dell’art. 36 del Trattato la normativa nazionale che riserva<br />

agli ottici titolari di diploma professionale la vendita di materiale ottico e<br />

lenti a contatto correttive, in quanto essa, pur configurando una misura re-<br />

( 21 ) La Corte cita a questo proposito (punto 58 della sentenza Ker-Optika), la sentenza del<br />

1° giugno 2010, cause riunite C-570/07 e C-571/07, José Manuel Blanco Pérez e María del Pilar<br />

Chao Gómez, che ha giudicato legittime le norme sulla c.d. “pianta organica”, che stabiliscono<br />

criteri geo-demografici per l’apertura delle farmacie, ritenendo che esse costituiscano una restrizione<br />

alla libertà di stabilimento giustificabile con il superiore interesse di tutela della salute,<br />

essendo finalizzate ad assicurare alla popolazione una fornitura di medicinali sicura e di<br />

qualità e risultando idonee e coerenti al rispetto di tale obiettivo.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 417<br />

strittiva atta ad incidere sugli scambi intracomunitari, persegue un obiettivo<br />

di tutela della salute con modalità idonee e non eccedenti rispetto a<br />

quanto necessario ( 22 ).<br />

Sulle stesse basi, nella sentenza Ker-Optika non viene invece ritenuta<br />

giustificabile la disciplina restrittiva sulle modalità di vendita adottata dallo<br />

Stato ungherese. Per quanto sia legittimo l’obiettivo di tutela della salute<br />

degli utilizzatori di lenti a contatto perseguito, e per quanto, riservando la<br />

consegna di lenti a contatto ai negozi di ottica che offrono i servizi di un professionista<br />

(optometrista od oftalmologo) qualificato – in grado di fornire<br />

informazioni e consulenza al cliente nella fase preventiva all’acquisto, di<br />

verificare il corretto adattamento delle lenti al momento della consegna<br />

nonché di fornire successive informazioni sull’uso corretto e la manutenzione<br />

delle stesse – la normativa di cui trattasi appaia secondo la Corte idonea<br />

a garantire tale obiettivo, essa non supera tuttavia il test di proporzionalità,<br />

risultando eccedente rispetto a quanto necessario al raggiungimento di<br />

esso.<br />

E, infatti, la Corte rileva come sicuramente siano configurabili misure<br />

comportanti una minore limitazione alla libera circolazione delle merci rispetto<br />

a quella adottata dall’Ungheria, ma ugualmente idonee a realizzare<br />

lo stesso obiettivo.<br />

Analizzando dettagliatamente le possibili misure attuabili con effetti<br />

meno restrittivi, la Corte evidenzia infatti, in primo luogo, che gli eventuali<br />

esami preventivi necessari per l’acquisto delle lenti ben possono essere effettuati<br />

dal cliente anche in un momento diverso dall’acquisto ed in una sede<br />

diversa dai negozi di ottica (ad esempio presso lo studio di un medico oftalmologo);<br />

i suddetti esami si impongono peraltro solo in occasione del<br />

primo acquisto, risultando invece superflui in relazione alle forniture successive.<br />

D’altra parte, anche in forza della stessa normativa ungherese non risultava<br />

che il cliente fosse obbligatoriamente tenuto a sottoporsi ad un esame<br />

o consulto preventivo ad ogni fornitura di lenti; la scelta di avvalersi<br />

della possibilità di effettuare esami ottici e di un consulto da parte del professionista<br />

qualificato a sua disposizione appariva rimessa alla responsabilità<br />

dell’utilizzatore di lenti a contatto. Il compito necessario dell’ottico<br />

nella fase preventiva all’acquisto appare dunque soltanto quello di mettere<br />

a disposizione del cliente le necessarie informazioni e consulenza, attiran-<br />

( 22 ) Sentenza del 25 maggio 1993, in causa C-271/92, Laboratoire de Protheses Oculaires, in<br />

Racc.,1993, p. I-2899, menzionata al punto 63 della sentenza Ker-Optika.


418 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

do la sua attenzione sugli eventuali rischi legati all’utilizzo di lenti a contatto<br />

e sull’opportunità se del caso di consultare un medico oftalmologo; e<br />

tali servizi ben possono, secondo la Corte, essere forniti in modo equivalente<br />

anche a distanza, con strumenti interattivi presenti sul sito internet<br />

del venditore e che il cliente debba necessariamente attivare prima di procedere<br />

all’acquisto.<br />

Quanto, in secondo luogo, alle verifiche sul corretto adattamento e posizionamento<br />

delle lenti da effettuarsi al momento della consegna, la Corte<br />

nuovamente rileva che la presenza fisica di un professionista qualificato potrebbe<br />

ritenersi necessaria solamente all’atto della prima consegna, e non<br />

più in relazione alle successive forniture di un dispositivo con le medesime<br />

caratteristiche ( 23 ).<br />

Quanto, infine, alle ulteriori informazioni e consigli relativi al corretto<br />

utilizzo ed alla manutenzione delle lenti che possano rendersi necessari<br />

nella fase successiva all’acquisto, la Corte evidenzia che anch’essi ben possono<br />

essere forniti al cliente tramite il sito internet del venditore, sia in termini<br />

generali che in forma personalizzata.<br />

La Corte osserva, anzi, come la fornitura a distanza di informazioni e<br />

consigli personalizzati da parte di un ottico qualificato – che nulla vieta che<br />

gli Stati membri impongano ai venditori di mettere obbligatoriamente a disposizione<br />

del cliente – possa altresì presentare una serie di vantaggi, consentendo<br />

all’utilizzatore di formulare le proprie domande in modo maggiormente<br />

specifico e ponderato e senza la necessità da parte sua di uno<br />

spostamento ( 24 ).<br />

E dunque, secondo i Giudici della Corte lussemburghese, l’obiettivo di<br />

garantire la tutela della salute degli utilizzatori di lenti a contatto può essere<br />

idoneamente raggiunto tramite misure meno restrittive di quelle risultanti<br />

dalla normativa ungherese esaminata; e, in particolare, sottoponendo<br />

a restrizioni solo la prima consegna di lenti e imponendo agli operatori economici<br />

di mettere a disposizione del cliente l’assistenza on line di un professionista<br />

qualificato.<br />

La normativa ungherese costituisce dunque un ostacolo alla libera cir-<br />

( 23 ) Peraltro, come rilevava l’avvocato generale, l’assistenza del professionista per l’adattamento<br />

delle lenti agli occhi del paziente appare necessaria solo con riferimento alla tipologia<br />

delle lenti a contatto dette “rigide”, mentre nessuna assistenza è di norma richiesta per le<br />

lenti “morbide”.<br />

( 24 ) Un’osservazione analoga era stata svolta con riferimento alla fornitura di informazioni<br />

e consulenza in relazione all’acquisto e all’impiego di farmaci di automedicazione nella<br />

sentenza Deutscher Apothekerverband, cit.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 419<br />

colazione delle merci non proporzionato rispetto a quanto necessario per il<br />

perseguimento dell’obiettivo di tutela della sanità pubblica invocato e, di<br />

conseguenza, non giustificabile.<br />

5. – I riflessi della pronuncia e lo sviluppo dell’e-commerce nell’U.E.<br />

Le conclusioni della Corte appaiono ampiamente condivisibili. L’attuale<br />

decisione risulta coerente con i precedenti nei quali i Giudici lussemburghesi<br />

si sono in passato occupati di commercio on line e dei rapporti di tale<br />

forma di distribuzione con le esigenze di tutela della salute del consumatore.<br />

In particolare, la sentenza Ker-Optica appare porsi in sostanziale linea di<br />

continuità con la pronuncia Deutscher Apothekerverband del 2003, con la<br />

quale la Corte di giustizia aveva tracciato il quadro generale di riferimento<br />

per la vendita a distanza di prodotti medicinali, stabilendo che, mentre può<br />

ritenersi giustificato un divieto nazionale di vendita per corrispondenza dei<br />

medicinali soggetti a prescrizione medica, posto che i rischi legati all’assunzione<br />

di tali farmaci esigono un controllo più rigoroso e difficilmente attuabile<br />

attraverso gli strumenti disponibili a distanza, per i medicinali non soggetti<br />

a prescrizione il divieto deve invece ritenersi inammissibile, in quanto<br />

non può essere esclusa la possibilità di fornire a distanza informazioni e<br />

consulenza adeguate, e l’acquisto via internet potrebbe presentare per i cittadini<br />

europei rilevanti vantaggi ( 25 ).<br />

La pronuncia della Corte nella causa Ker-Optica ha un immediato impatto<br />

sulle normative nazionali comportanti restrizioni sulle modalità di<br />

vendita delle lenti a contatto attualmente esistenti in diversi altri Stati<br />

membri ed anche del nostro Paese, nel quale la questione della legittimità<br />

della vendita on line di tale prodotto ha in passato suscitato discussioni e<br />

provocato scontri tra le associazioni di categoria degli ottici e gli operatori<br />

che ne avevano avviato la commercializzazione attraverso siti web. In termini<br />

analoghi alla normativa ungherese, il nostro D.M. 3 febbraio 2003, nel<br />

( 25 ) Allo stato attuale la vendita on line non risulta peraltro prevista dalla legislazione italiana,<br />

ed anzi il Codice deontologico del farmacista (approvato dal Consiglio Nazionale il 19<br />

giugno 2007), all’art. 34 dispone che: “non è consentita al farmacista la cessione, tramite Internet<br />

o altre reti informatiche, di medicinali, sia su prescrizione, sia senza obbligo di prescrizione,<br />

anche omeopatici, in conformità alle direttive della UE e delle linee guida dell’OMS, fatte salve le<br />

specifiche normative nazionali”. La normativa sul commercio dei farmaci on line è ancora poco<br />

anche sviluppata anche negli altri Stati europei; solo pochi di essi, come Inghilterra, Olanda<br />

e Germania, ammettono la possibilità d’esercizio on line alle farmacie e ne monitorano l’operato<br />

attraverso un regime di controlli.


420 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

riservare la vendita delle lenti a contatto correttive dei difetti visivi agli ottici<br />

qualificati (con eccezione solo per le lenti monouso giornaliere, che possono<br />

essere vendute nelle farmacie), prevede infatti che tale attività debba<br />

essere effettuata dall’ottico “direttamente o sotto il suo diretto controllo, negli<br />

esercizi commerciali di ottica” ( 26 ); se, come il riferimento espresso agli esercizi<br />

commerciali lascia supporre, tale decreto deve intendersi come diretto ad<br />

escludere che la vendita di lenti a contatto possa avvenire al di fuori del negozio<br />

dell’ottico e dunque a vietare il commercio on line di tale prodotto ( 27 ), alla<br />

luce di quanto oggi stabilito dalla Corte anch’esso si pone certamente in<br />

contrasto con la normativa comunitaria.<br />

La pronuncia fornisce inoltre indicazioni anche in relazione alla vendita<br />

on line di altri dispositivi medici e, in generale, di altri prodotti per i quali<br />

si presentino analoghe esigenze di consulenza al consumatore, ponendo le<br />

basi di nuovi passi in avanti nell’evoluzione del sistema distributivo europeo.<br />

La decisione della Corte appare in linea con il progresso delle tecnologie<br />

dell’informazione e della comunicazione e con l’obiettivo, da sempre<br />

perseguito dagli organi dell’Unione Europea, di valorizzare e promuovere il<br />

commercio elettronico, riconosciuto quale strumento essenziale per favorire<br />

le transazioni internazionali e la crescita delle imprese, rendere accessibile<br />

ai cittadini europei una più vasta gamma di prodotti, incentivare la concorrenza<br />

e l’innovazione.<br />

A tale fine l’Unione appare attivamente impegnata, sia attraverso le nor-<br />

( 26 ) D.M. 3 febbraio 2003, Guida al corretto utilizzo delle lenti a contatto, avvertenze, precauzioni<br />

e rischi collegati all’uso (pubblicato nella G.U. n. 64 del 18 marzo 2003), emesso ai<br />

sensi dell’art. 20 del d. lgs. n. 24 febbraio 1997, n. 46, di attuazione della direttiva 93/42/CEE,<br />

concernente i dispositivi medici; l’art. 1, prevede che: “1. La vendita diretta al pubblico di lenti<br />

a contatto su misura, correttive dei difetti visivi, ivi comprese quelle prodotte industrialmente, è,<br />

per motivi di interesse sanitario e di tutela della salute, riservata agli esercenti l’arte sanitaria ausiliaria<br />

di ottico. La vendita deve essere effettuata dall’esercente l’arte sanitaria ausiliaria di ottico<br />

direttamente o sotto il suo diretto controllo negli esercizi commerciali di ottica. 2. Le lenti a contatto<br />

monouso giornaliere, correttive dei difetti visivi, prodotte industrialmente, che non necessitano<br />

di manutenzione possono essere vendute altresì nelle farmacie dal farmacista o dal personale<br />

sotto il suo diretto controllo ...”.<br />

( 27 ) In tal senso si era espresso il Ministero della Salute che, chiamato a pronunciarsi su<br />

un esposto presentato da Federottica relativo a un sito web ove veniva effettuata vendita on line<br />

di lenti a contatto, con nota ministeriale del 25 giugno 2009, chiariva che “ai sensi del D.M.<br />

3 febbraio 2003, la vendita di lenti a contatto, siano esse su misura o prodotte industrialmente, è<br />

riservata all’esercente l’arte sanitaria ausiliaria di ottico e deve essere effettuata dallo stesso direttamente<br />

o sotto il suo diretto controllo” e come, pertanto, “la vendita on line di lenti a contatto<br />

non sia conforme alla vigente normativa”.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 421<br />

mative settoriali ( 28 )che attraverso la modernizzazione ed implementazione<br />

della disciplina generale dell’e-commerce, nel mettere in atto le misure<br />

necessarie ad eliminare le barriere che ancora ostacolano gli acquisti on line<br />

e superare i non trascurabili problemi che si pongono in materia di garanzia<br />

della qualità dei prodotti e di sicurezza delle transazioni, al fine di aumentare<br />

il grado di trasparenza di tale mercato e rafforzare la fiducia delle imprese<br />

e dei privati.<br />

Anche in tale ottica, a dieci anni dall’entrata in vigore della direttiva<br />

2000/31/CE, la Commissione europea ha recentemente avviato una consultazione<br />

pubblica sul futuro del commercio elettronico nel mercato interno e<br />

sull’attuazione della direttiva, al fine di analizzare le cause della ancora limitata<br />

diffusione del commercio elettronico al dettaglio – che, seppure in crescita,<br />

a tutt’oggi rappresenta una minima percentuale del commercio all’interno<br />

dell’UE – nonché di esaminare i risultati applicativi della direttiva ( 29 ),<br />

nella prospettiva quindi di modificarla ed implementarla in modo da adeguarne<br />

i contenuti all’evoluzione giuridica, tecnica ed economica.<br />

A tale fine, privati, associazioni, imprese del settore, professionisti ed<br />

enti pubblici interessati sono stati chiamati a fornire, attraverso la compilazione<br />

di un apposito questionario ( 30 ), i propri commenti ed esperienze in<br />

( 28 ) In quest’ottica ad esempio si pone la recente Risoluzione legislativa del Parlamento<br />

europeo del 16 febbraio 2011 sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio<br />

che modifica la direttiva 2001/83/CE per quanto concerne la prevenzione dell’ingresso<br />

nella filiera farmaceutica legale di medicinali falsificati sotto i profili dell’identità, della storia<br />

o dell’origine, con la quale, quasi all’unanimità, il Parlamento europeo ha approvato il testo<br />

della direttiva che stabilirà nuove regole di sicurezza per i prodotti medicinali, finalizzate in<br />

particolare a contrastare il fenomeno della contraffazione, e nel contempo, fatte salve le legislazioni<br />

nazionali che vietano la vendita a distanza di medicinali soggetti a prescrizione medica,<br />

regolamenterà altresì la vendita di farmaci via internet, prevedendo tra l’altro l’istituzione<br />

di siti web nazionali riportanti l’elenco delle farmacie on line autorizzate e l’adozione di un apposito<br />

logo atto ad identificarle.<br />

( 29 ) Come previsto dall’art. 21 della stessa direttiva 2000/31/CE, nonché dal programma<br />

di cui alla Comunicazione alla Commissione, al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato<br />

economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, COM/2010/0245, Un’agenda<br />

digitale europea, che, tra i molteplici obiettivi per un migliore utilizzo delle tecnologie dell’informazione<br />

e della comunicazione, si propone di promuovere il commercio elettronico,<br />

attraverso azioni atte a semplificare le transazioni on line e transfrontaliere e migliorare la fiducia<br />

in internet e la sicurezza on line, indicando, tra le numerose azioni previste, anche quella<br />

di “valutare, entro la fine del 2010, l’impatto della direttiva sul commercio elettronico sui mercati<br />

online e avanzare proposte concrete”.<br />

( 30 )Reso disponibile sul sito: http://ec.europa.eu/internal_market/consultations/2010/ecommerce_en.htm.


422 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

relazione ai punti più problematici dell’applicazione della direttiva negli<br />

Stati membri ( 31 ).<br />

I contributi ricevuti attraverso tale consultazione ( 32 ), unitamente alle<br />

informazioni già raccolte dalla Commissione, in particolare grazie ai due<br />

studi sull’impatto della direttiva 2000/31/CE da essa commissionati nel<br />

2007 ( 33 ), ed alle ulteriori indicazioni fornite dagli Stati membri e dal Parlamento<br />

europeo, costituiranno la base per l’adozione, prevista entro il primo<br />

semestre del 2011, di una comunicazione della Commissione sul commercio<br />

elettronico, contenente l’esposizione dei risultati dell’analisi svolta e dei<br />

successivi passi alla luce di essa da intraprendersi per la revisione ed implementazione<br />

dell’attuale disciplina comunitaria in materia.<br />

Maria Giovanna Fanelli<br />

( 31 ) Oggetto della consultazione sono stati, in particolare, i seguenti argomenti: il livello<br />

di sviluppo, sia nazionale che transfrontaliero, dei servizi della società dell’informazione; le<br />

politiche statuali e le restrizioni relative alle vendite transfrontaliere on line; le comunicazioni<br />

commerciali transfrontaliere on line, in particolare per le professioni regolamentate; lo sviluppo<br />

della stampa on line; l’interpretazione delle disposizioni relative alla responsabilità dei<br />

prestatori di servizi intermediari della società dell’informazione; lo sviluppo della fornitura di<br />

servizi farmaceutici on line e la risoluzione delle controversie on line.<br />

( 32 ) I cui risultati non sono ad oggi ancora stati pubblicati; la consultazione, aperta il 10<br />

agosto 2010, è terminata il 5 novembre 2010 (a seguito della proroga del termine originariamente<br />

previsto del 15 ottobre 2010).<br />

( 33 ) Study on the Economic Impact of the Electronic Commerce Directive e Study on the Liability<br />

of Internet Intermediaries, disponibili sul sito http://ec.europa.eu/internal_market/e-commerce/directive_en.htm#consultation.


Competenza giurisdizionale: le proposte della Commissione europea<br />

1. – Il Regolamento CE n. 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000<br />

La Commissione europea ha recentemente proposto ( 1 ) di attuare delle<br />

modifiche al Regolamento n. 44/2001/CE ( 2 ) (meglio noto come Regolamento<br />

Bruxelles I) ( 3 ).<br />

Tale Regolamento individua il giudice competente a risolvere le controversie<br />

transfrontaliere in materia civile e commerciale e semplifica il riconoscimento<br />

e l’esecuzione in tutti gli Stati membri dell’Unione Europea<br />

delle decisioni ( 4 ) prese in un altro paese europeo.<br />

Esso si applica ad una vasta serie di materie, estendendosi la sua portata<br />

non solo alla responsabilità contrattuale, ma anche a quella extracontrattuale<br />

e patrimoniale. Sono escluse, però, dal suo campo di applicazione lo<br />

stato e la capacità delle persone fisiche, i regimi matrimoniali, i testamenti,<br />

le successioni, le procedure concorsuali, la sicurezza sociale, la materia fiscale,<br />

doganale ed amministrativa e l’arbitrato.<br />

Il regolamento sostituisce la convenzione di Bruxelles del 1968 ( 5 ), con-<br />

( 1 ) Gli estremi della proposta sono: COM/2010/748 def. del 14 dicembre 2010 (Proposal<br />

for a Regulation of the European Parliament and of the Council on jurisdiction and the recognition<br />

and enforcement of judgments in civil and commercial matters, trad. in Proposta di Regolamento<br />

del Parlamento Europeo e del Consiglio concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento<br />

e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale), reperibile al sito web:<br />

http://ec.europa.eu/justice/policies/civil/docs/com_2010_748_en.pdf; in italiano, il testo della<br />

proposta è disponibile sul sito web: http://www.parlamento.it/web/docuorc2004.nsf/a4f26d6d<br />

511195f0c12576900058cac9/5dd102ff4c931152c12578010061407a/$FILE/COM2010_0748_IT_2.<br />

pdf.<br />

( 2 ) Il regolamento del Consiglio del 22 dicembre 2001, concernente la competenza giurisdizionale,<br />

il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, è<br />

entrato in vigore nel marzo 2002.<br />

( 3 ) Lombardi, Prime riflessioni sul Regolamento (CE) n. 44/2001 concernente la competenza<br />

giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale,<br />

in questa rivista, 2001, I, p. 535.<br />

( 4 ) Qualsiasi decisione, comunque denominata, emessa da un giudice (quali, ad es., sentenze,<br />

ordinanze, decreti, mandati di esecuzione, nonché le determinazioni delle spese giudiziali<br />

da parte del cancelliere).<br />

( 5 )Per approfondimenti, si veda: Lombardi, Brevi note sulla più recente giurisprudenza comunitaria<br />

relativa alla convenzione di Bruxelles del 1968: il caso Réunion européenne e il caso<br />

Van Uden, in questa rivista,1999, p. 455 ss.; Id., Brevi note sulla più recente giurisprudenza comunitaria<br />

relativa alla convenzione di Bruxelles del 1968: il caso Trasporti Castelletti e il caso<br />

Leathertex, ivi, 1999, p. 945; Id., Brevi note sulla più recente giurisprudenza comunitaria relativa


424 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

clusa tra gli allora dieci Stati membri e in seguito modificata per tener conto<br />

dei successivi allargamenti dell’Unione, salvo per quanto riguarda i territori<br />

degli Stati membri che rientrano nel campo di applicazione territoriale di<br />

tale convenzione e che sono esclusi dal regolamento ai sensi dell’articolo<br />

299 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Il regolamento<br />

elenca inoltre una serie di altre convenzioni, trattati e accordi conclusi<br />

tra gli Stati membri, ai quali esso si sostituisce.<br />

A. Competenza giurisdizionale<br />

Il Regolamento n. 44/2001/CE individua tre tipi di competenze: il foro<br />

“generale”, secondo il quale è competente il giudice del domicilio del convenuto;<br />

i fori “speciali”, alternativi a quello generale e fondati su criteri ratione<br />

materiae; i fori “esclusivi”, in deroga al foro generale e validi indipendentemente<br />

dal domicilio del convenuto che, a differenza del foro “generale”<br />

e di quelli “speciali”, sono sempre inderogabili.<br />

Il principio fondamentale è quello secondo cui la competenza spetta al<br />

giudice dello Stato membro in cui è domiciliato il convenuto, indipendentemente<br />

dalla cittadinanza di quest’ultimo. Il domicilio viene determinato<br />

a norma della legge dello Stato membro cui appartiene il giudice adito ( 6 ).<br />

Qualora una parte non sia domiciliata nello Stato membro il cui giudice è<br />

adito, quest’ultimo dovrà applicare la legge di un altro Stato membro per<br />

stabilire se essa ha in quel luogo il proprio domicilio ( 7 ). Per le persone giuridiche<br />

o le società il domicilio è determinato dalla sede legale, dall’amministrazione<br />

centrale o dal centro di attività principale.<br />

Il principio sulla competenza sopra citato (ossia il domicilio del convenuto)<br />

può essere derogato nell’ambito delle competenze elencate dal regolamento:<br />

le competenze speciali ( 8 ) o esclusive.<br />

alla convenzione di Bruxelles del 1968: il caso Dansommer e il caso Group Josi, ivi, 2000, p. 863;<br />

Id., Brevi note sulla più recente giurisprudenza comunitaria relativa alla convenzione di Bruxelles<br />

del 1968: il caso Besix, ivi, 2002, p. 640; Id., Brevi note sulla più recente giurisprudenza comunitaria<br />

relativa alla convenzione di Bruxelles del 1968: il caso Tacconi, ivi, 2002, p. 1259; Id., Brevi<br />

note sulla più recente giurisprudenza comunitaria relativa alla convenzione di Bruxelles del<br />

1968: il caso Gantner, ivi, 2003, p. 1309.<br />

( 6 ) Art. 2.<br />

( 7 ) Art. 4.<br />

( 8 ) Quali, ad esempio, le materie contrattuali (in generale, davanti al giudice del luogo in<br />

cui l’obbligazione è stata o deve essere eseguita), le obbligazioni alimentari (in generale, davanti<br />

al giudice del luogo in cui il creditore di alimenti ha il domicilio), gli illeciti (davanti al<br />

giudice del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto).


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 425<br />

Competenze speciali sono inoltre previste in materia di assicurazioni,<br />

per i contratti conclusi dai consumatori ( 9 ) e per i contratti individuali di lavoro.<br />

In materia di contratti assicurativi ( 10 ), l’assicuratore domiciliato in uno<br />

Stato membro, oltre a poter essere convenuto nello Stato in cui egli stesso è<br />

domiciliato, qualora l’azione sia proposta dal contraente la polizza, dall’assicurato<br />

o dal beneficiario, potrebbe anche essere citato avanti ai Giudici<br />

dello Stato membro in cui quest’ultimo è domiciliato (forum actoris). Inoltre,<br />

in caso di assicurazione per la responsabilità civile o per rischi relativi<br />

agli immobili, potrebbe essere convenuto nel luogo in cui si è verificato l’evento<br />

dannoso.<br />

Nel caso di contratto concluso da un consumatore ( 11 ), è prevista una<br />

tutela rafforzata se il contratto di vendita di beni mobili materiali sia finanziato<br />

a rate o attraverso un prestito con rimborso rateizzato o tramite<br />

un’altra operazione di credito ( 12 ). In tutti gli altri casi, la protezione è garantita<br />

al consumatore soltanto se “il contratto sia stato concluso con una<br />

persona le cui attività commerciali o professionali si svolgano nello Stato<br />

membro in cui è domiciliato il consumatore o sono dirette, con qualsiasi<br />

mezzo, verso tale Stato membro purché il contratto rientri nell’ambito di<br />

dette attività” ( 13 ). L’azione del consumatore può essere proposta o davanti<br />

ai giudici dello Stato membro nel cui territorio è domiciliato il convenuto<br />

o davanti ai giudici del luogo in cui è domiciliato il consumatore<br />

(l’attore). L’azione proposta dal professionista potrà essere proposta solo<br />

davanti ai giudici dello Stato membro nel cui territorio è domiciliato il<br />

consumatore.<br />

In materia di contratti individuali di lavoro, un lavoratore può citare il<br />

suo datore di lavoro davanti ai giudici dello Stato membro in cui quest’ultimo<br />

è domiciliato oppure davanti al giudice dello Stato membro in cui il lavoratore<br />

svolge abitualmente la propria attività o a quello dell’ultimo luogo<br />

( 9 ) Ragno, Il foro del consumatore: dalla Convenzione di Bruxelles del 1968 al Regolamento<br />

CE n. 44/2001, in questa rivista, 2009, p. 230.<br />

( 10 ) Art. 9.<br />

( 11 ) Il contratto dev’essere stipulato da un consumatore con un professionista per un uso<br />

estraneo alla sua attività professionale.<br />

( 12 ) Il regolamento riguarda tutti i contratti conclusi dai consumatori con persone le cui<br />

attività commerciali o professionali si svolgono sul territorio dell’UE, tranne i contratti di trasporto<br />

che non prevedono prestazioni combinate di trasporto e di alloggio per un prezzo globale.<br />

( 13 ) Art. 15, lett. c).


426 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

in cui la svolgeva abitualmente. Qualora il lavoratore non svolga o non abbia<br />

svolto abitualmente la propria attività in un solo paese, è competente il<br />

giudice del luogo in cui è situata la sede d’attività presso la quale è stato assunto.<br />

“. . . Un datore di lavoro che non sia domiciliato in uno Stato membro<br />

ma possieda una succursale, un’agenzia o qualsiasi altra sede d’attività<br />

in uno Stato membro è considerato, per le controversie relative al loro esercizio,<br />

come avente domicilio nel territorio di quest’ultimo Stato” ( 14 ). L’azione<br />

del datore di lavoro può essere proposta solo davanti ai giudici dello<br />

Stato membro nel cui territorio il lavoratore è domiciliato, salvo domanda<br />

riconvenzionale ( 15 ).<br />

Il regolamento prevede alcune competenze esclusive dei giudici indipendentemente<br />

dal domicilio, in materia di diritti reali immobiliari e di<br />

contratti d’affitto di immobili ( 16 ), in materia di validità, nullità o scioglimento<br />

delle società o persone giuridiche o riguardo alla validità delle decisioni<br />

dei rispettivi organi ( 17 ), in materia di validità delle iscrizioni nei pubblici<br />

registri ( 18 ), in materia di registrazione o di validità di brevetti, marchi,<br />

disegni e modelli e di altri diritti analoghi ( 19 ), in materia di esecuzione delle<br />

decisioni ( 20 ).<br />

Qualora le parti, di cui almeno una domiciliata nell’UE, abbiano concluso<br />

una convenzione che definisca il foro competente in caso di controversie,<br />

la competenza spetta ai giudici scelti dalle parti. Per tali convenzioni<br />

attributive di competenze, il regolamento prevede alcune formalità: esse<br />

devono essere concluse per iscritto o in una forma ammessa dalle pratiche<br />

che le parti hanno stabilito tra di loro o, nel commercio internazionale, in<br />

una forma ammessa da un uso che le parti conoscevano.<br />

Ulteriori norme sono previste in materia di pluralità di convenuti, di<br />

chiamata in garanzia o altra chiamata di terzo, di domanda riconvenzionale,<br />

nonché di azione contrattuale riunita con un’azione in materia di diritti reali<br />

immobiliari.<br />

( 14 ) Art. 18.<br />

( 15 ) Art. 20.<br />

( 16 ) Saranno competenti i giudici dello Stato membro in cui l’immobile è situato.<br />

( 17 )Saranno competenti i giudici dello Stato membro in cui ha sede la persona giuridica.<br />

( 18 ) Saranno competenti i giudici dello Stato membro nel cui territorio i registri sono tenuti.<br />

( 19 ) Saranno competenti i giudici dello Stato membro nel cui territorio il deposito o la registrazione<br />

sono stati richiesti o sono stati effettuati a norma di un atto normativo comunitario<br />

o di una convenzione internazionale.<br />

( 20 ) Saranno competenti i giudici dello Stato membro nel cui territorio si trova il luogo<br />

dell’esecuzione.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 427<br />

Il regolamento contiene altresì un regime di rilevabilità dell’incompetenza<br />

ed una disciplina della litispendenza e della connessione.<br />

B. Riconoscimento ed esecuzione delle decisioni e procedimento di exequatur.<br />

La norme in materia di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni<br />

rappresentano una delle maggiori modifiche alla Convenzione di Bruxelles<br />

del 1968.<br />

Ai sensi dell’art. 33, le decisioni emesse in uno Stato membro sono riconosciute<br />

negli altri paesi ( 21 ) senza la necessità di attivare alcun procedimento<br />

ulteriore ( 22 ); ovviamente, ciò non avviene in caso di contestazione.<br />

Inoltre, non è previsto il riconoscimento: se quest’ultimo è manifestamente<br />

contrario all’ordine pubblico dello Stato membro in cui è stato richiesto;<br />

nel caso in cui la domanda giudiziale o altro atto equivalente non<br />

sia stato notificato o comunicato al contumace in tempo utile ed in modo<br />

tale da consentirgli di presentare le proprie difese eccetto quando, pur avendone<br />

avuto la possibilità, egli non abbia impugnato la decisione; quando è<br />

in contrasto con una decisione emessa tra le medesime parti nello Stato<br />

membro richiesto e se è in contrasto con una decisione emessa precedentemente<br />

tra le medesime parti in uno Stato membro o in un paese terzo, relativamente<br />

ad una controversia avente il medesimo oggetto e il medesimo titolo<br />

( 23 ), allorché tale decisione presenti le condizioni necessarie per essere<br />

riconosciuta nello Stato membro richiesto.<br />

Si ricorda, però, come vi sia un’ulteriore eccezione al riconoscimento:<br />

nel caso in cui le decisioni siano state emesse violando disposizioni del Regolamento<br />

sulle competenze in materia di assicurazioni, per i contratti conclusi<br />

da consumatori e sulle competenze esclusive previste dall’art. 22.<br />

Il giudice di uno Stato membro può sospendere il procedimento se una<br />

decisione emessa in un altro Stato membro è stata impugnata ( 24 ).<br />

Il regolamento CE n. 44/2001 prevede che le decisioni emesse in uno<br />

Stato membro siano riconosciute negli altri Stati membri attraverso l’exe-<br />

( 21 ) La decisione straniera non può formare oggetto di un riesame del merito.<br />

( 22 ) Carbone, Giurisdizione ed efficacia delle decisioni in materia civile e commerciale nello<br />

spazio giudiziario europeo: dalla Convenzione di Bruxelles al regolamento (CE) n. 44/2001, in<br />

Carbone, Frigo e Fumagalli (a cura di), Diritto processuale civile e commerciale comunitario,<br />

Milano, 2004, p. 1; Pocar, La convenzione di Bruxelles sulla giurisdizione e l’esecuzione delle<br />

sentenze,3 a ed., Milano, 1995.<br />

( 23 ) Art. 34.<br />

( 24 ) Art. 37.


428 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

quatur, un procedimento mediante il quale il giudice di un Paese membro<br />

dell’UE autorizza l’esecuzione nel proprio Stato di una decisione giudiziaria,<br />

di una sentenza arbitrale, di un atto pubblico o di una transazione giudiziaria<br />

pronunciati o emessi in altro Stato membro.<br />

Le decisioni vengono eseguite in un altro Stato membro dopo essere<br />

state ivi dichiarate esecutive su istanza della parte interessata ( 25 ). Le parti<br />

possono proporre ricorso contro la decisione relativa all’istanza intesa ad<br />

ottenere una dichiarazione di esecutività ( 26 ) nel termine di un mese dalla<br />

notificazione della citata dichiarazione.<br />

La dichiarazione di esecutività deve essere rilasciata a seguito di un controllo<br />

meramente formale dei documenti prodotti, senza che il Giudice<br />

possa rilevare d’ufficio i motivi di diniego dell’esecuzione indicati nel regolamento:<br />

la decisione è, infatti, dichiarata esecutiva immediatamente dopo<br />

che la parte interessata ha prodotto una copia della decisione che presenti<br />

tutte le condizioni di autenticità ed un attestato debitamente compilato ( 27 ).<br />

Attualmente l’exequatur ha tempi e costi molto elevati (per onorari di<br />

avvocati, spese di traduzione e spese giudiziarie), che spesso scoraggiano i<br />

cittadini e le imprese dall’operare al di fuori del proprio Paese di origine e<br />

costituiscono un vero e proprio ostacolo agli scambi transfrontalieri.<br />

2. – La proposta della Commissione ( 28 )<br />

Nonostante un giudizio generalmente positivo in ordine al funzionamento<br />

del regolamento, a seguito di studi giuridici e di consultazioni sono<br />

emerse sostanzialmente quattro criticità: 1. l’attuale regolamento si applica<br />

solo quando il convenuto è domiciliato nel territorio dell’UE, mentre negli<br />

altri casi la competenza è disciplinata dal diritto nazionale. La diversità delle<br />

legislazioni nazionali comporta un accesso ineguale alla giustizia per le<br />

imprese dell’UE che operano con partners di paesi terzi e una conseguente<br />

disparità di trattamento; 2. gli accordi di scelta del foro sono allo stato inefficaci,<br />

dovendo il giudice sospendere il procedimento se in precedenza è<br />

stato adito un altro giudice. Tale procedura consente, però, alla parte in ma-<br />

( 25 ) Art. 38.<br />

( 26 ) Art. 43.<br />

( 27 ) Art. 41.<br />

( 28 )Per i primi commenti in lingua inglese, si veda: http://plc.practicallaw.com/0-504-5668;<br />

http://www.herbertsmith.com/NR/rdonlyres/20A52164-3A86-4740-BD45-15A4 D38B24F7/0/CommissionproposalDecember2010.htm;<br />

http://europa.eu/rapid/press ReleasesAction.doreference= IP /10/<br />

1705&format=HTML&aged=0&language=EN&guiLanguage=fr.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 429<br />

la fede di ritardare la risoluzione della controversia dinanzi al giudice prescelto,<br />

adendo previamente un giudice privo di competenza; 3. la procedura<br />

relativa al riconoscimento e all’esecuzione di una decisione in un altro<br />

Stato membro costituisce ancora un ostacolo per la libera circolazione delle<br />

decisioni ( 29 ); 4. è difficile il coordinamento tra l’arbitrato (che attualmente<br />

non rientra nel campo di applicazione del regolamento Bruxelles I) ed il<br />

procedimento giudiziario, in quanto, contestando la convenzione arbitrale<br />

dinanzi a un giudice, una parte può instaurare un procedimento giudiziario<br />

parallelo.<br />

In sintesi, la Commissione si propone: di estendere alle controversie<br />

con convenuti di paesi terzi le norme del regolamento sulla competenza,<br />

incluse quelle che disciplinano i casi in cui la stessa questione è pendente<br />

dinanzi a un giudice dell’UE e a un giudice di un paese terzo (cfr. artt. 3 e 4);<br />

rafforzare l’efficacia degli accordi di scelta del foro (cfr. art. 23); abolire la<br />

procedura intermedia per il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni<br />

(exequatur) in materia civile e commerciale pronunciate da un giudice di<br />

uno Stato membro, rendendole immediatamente esecutive in tutta l’UE,<br />

ad eccezione delle decisioni relative a casi di diffamazione e di ricorso collettivo<br />

( 30 ) (cfr. capo III – artt. da 37 a 69); migliorare il rapporto tra regolamento<br />

ed arbitrato (cfr. art. 29 par. 4 e 33 par. 3); migliorare il coordinamento<br />

dei procedimenti dinanzi ai giudici degli Stati membri; migliorare l’accesso<br />

alla giustizia per determinate controversie specifiche; chiarire le condizioni<br />

per la circolazione nell’UE dei provvedimenti provvisori e cautelari<br />

(cfr. artt. 26, 31, sez. 11, artt. 35 e 36) ( 31 ).<br />

A. Competenza<br />

In ordine al primo proposito la Commissione intende estendere le<br />

norme del regolamento sulla competenza ai convenuti di paesi terzi (art.<br />

4, par. 2); tale modifica consentirà in generale alle imprese e ai cittadini di<br />

( 29 )Tale obiettivo emerge in particolare dal 9° e dal 23° considerando.<br />

( 30 ) La Commissione propone di riconoscere al giudice il potere di interrompere l’esecuzione<br />

della decisione solo in circostanze eccezionali (come ad esempio nei casi in cui il giudice<br />

estero ha emesso la decisione in violazione del diritto a un processo equo).<br />

( 31 )Per i primi commenti, si veda, sul sito della Società italiana di diritto internazionale<br />

http://www.sidi-isil.org, Forum, Franzina, La garanzia dell’osservanza delle regole sulla competenza<br />

giurisdizionale nella proposta di revisione del regolamento “Bruxelles I”, Leandro, La<br />

proposta per la riforma del regolamento “Bruxelles I” e l’arbitrato e Marongiu Buonaiuti, Litispendenza<br />

e connessione nella proposta di revisione del regolamento n. 44/2001.


430 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

citare in giudizio nell’UE soggetti di paesi terzi, in quanto in tali casi sarà<br />

applicabile la norma speciale sulla competenza che, ad esempio, stabilisce<br />

la competenza del giudice dello Stato in cui deve essere eseguito il<br />

contratto (art. 5, par. 1). Più specificatamente, grazie alla modifica, le norme<br />

sulla competenza che tutelano i consumatori ( cfr. sez. 4, artt. da 15 a<br />

17), i lavoratori dipendenti (cfr. sez. 5, artt. da 18 a 21) e gli assicurati ( cfr.<br />

sez. 3, artt. da 8 a 14) saranno applicabili anche quando il convenuto risulti<br />

domiciliato al di fuori dell’UE. La proposta intende anche rafforzare la<br />

tutela dei consumatori nelle controversie in cui il convenuto ha sede in<br />

un Paese terzo. Attualmente, infatti, le norme nazionali sulla competenza<br />

del giudice, nei casi in cui il convenuto risieda in un Paese terzo, variano<br />

molto da Stato a Stato. La proposta mira a fissare una regola unica per<br />

tutti i Paesi europei, volta ad attribuire la competenza al giudice del luogo<br />

del domicilio del convenuto. Pertanto, nei rapporti tra consumatori residenti<br />

nell’UE e imprese registrate in Paesi terzi, sarà sempre competente<br />

il giudice del luogo in cui il consumatore ha il domicilio, anche qualora il<br />

convenuto avesse sede in un Paese terzo. Inoltre, la stessa istituisce due<br />

fori supplementari per le controversie con convenuti domiciliati al di fuori<br />

dell’UE: il luogo in cui si trovano i beni mobili del convenuto (cfr. art.<br />

25), purché il loro valore non sia sproporzionato al valore della pretesa e<br />

la controversia abbia un collegamento sufficiente con lo Stato membro<br />

del giudice adito e nel caso in cui si verifichi l’ipotesi che non sia competente<br />

nessun altro foro che garantisca il diritto a un giudice imparziale e la<br />

controversia abbia un collegamento sufficiente con lo Stato membro interessato<br />

(“forum necessitatis”) (cfr. art. 26). Inoltre, la proposta mira ad<br />

introdurre una norma facoltativa sulla litispendenza per le controversie<br />

tra le stesse parti, aventi il medesimo oggetto e pendenti nell’UE e in un<br />

paese terzo. Il giudice di uno Stato membro potrà, in via eccezionale, sospendere<br />

il procedimento se risulti che in precedenza era stato adito un<br />

giudice di un paese terzo la cui decisione è prevista entro un termine ragionevole<br />

e potrà essere riconosciuta ed eseguita in quello Stato membro.<br />

La proposta di estendere alle controversie con convenuti di paesi terzi le<br />

norme del regolamento sulla competenza mira ad armonizzazione le diverse<br />

normative nazionali, introducendo una competenza sussidiaria che garantisca<br />

ai cittadini e alle imprese l’accesso a un giudice nell’Unione in condizioni<br />

di parità e ad uniformare le condizioni per le imprese nel mercato<br />

interno. Le norme armonizzate compenserebbero, nelle intenzioni del legislatore<br />

europeo, la soppressione delle norme nazionali vigenti: il foro del<br />

luogo in cui si trovano i beni compenserebbe l’assenza del convenuto nel-


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 431<br />

l’Unione ( 32 ); il forum necessitatis garantirebbe, invece, il diritto degli attori<br />

dell’UE a un giudice imparziale ( 33 ). La proposta relativa ai casi di litispendenza,<br />

poi, intende evitare procedimenti paralleli all’interno e all’esterno<br />

dell’Unione Europea.<br />

B. Accordi di scelta del foro<br />

La proposta contiene, poi, due importanti modifiche dirette a migliorare<br />

l’efficacia degli accordi di scelta del foro (cfr. art. 23): infatti, nel caso in<br />

cui le parti abbiano designato uno o più giudici particolari per risolvere<br />

eventuali controversie, la proposta riconosce la priorità al giudice designato<br />

nell’accordo affinché si pronunci sulla propria competenza, a prescindere<br />

da quale sia stato adito per primo, salvo che l’accordo sia nullo nel merito<br />

secondo la legge di tale Stato membro. Ogni altro giudice dovrà sospendere<br />

il procedimento finché il giudice prescelto non abbia dichiarato la propria<br />

competenza o, eventualmente, in caso di accordo invalido, la propria incompetenza.<br />

La clausola attributiva di competenza deve essere conclusa per iscritto o<br />

oralmente con conferma scritta o in una forma ammessa dalle pratiche che<br />

le parti hanno stabilito tra di loro. Nel commercio internazionale, l’accordo<br />

può anche essere stipulato in una forma ammessa da un uso che le parti conoscevano<br />

o avrebbero dovuto conoscere e che, in tale campo, sia ampiamente<br />

conosciuto e regolarmente rispettato dalle parti per contratti dello<br />

stesso tipo nel ramo commerciale considerato.<br />

Si auspica che tale modifica rafforzi l’efficacia di tali accordi ed elimini<br />

gli incentivi a ricorrere a tattiche processuali scorrette, tra cui anche adire<br />

giudici privi di competenza ( 34 ).<br />

C. Riconoscimento ed esecuzione delle decisioni<br />

Per quanto riguarda l’abolizione dell’exequatur (cfr. capo III – artt. da 37<br />

a 69), questa sarà accompagnata da garanzie procedurali che consentiranno<br />

( 32 )Tale norma esiste attualmente in un nutrito gruppo di Stati membri e presenta il vantaggio<br />

di garantire che la decisione possa essere eseguita nello Stato in cui è stata emessa.<br />

( 33 )Tale diritto è particolarmente rilevante per le imprese dell’UE che investono in paesi<br />

con un ordinamento giuridico non ancora ben sviluppato.<br />

( 34 ) Si evidenzia come tale modifica rispecchi la soluzione adottata dalla Convenzione<br />

dell’Aja del 2005 sugli accordi di scelta del foro, facilitando così l’eventuale conclusione della<br />

convenzione da parte dell’Unione europea.


432 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

la tutela del diritto del convenuto ad un ricorso effettivo e ad un giudice imparziale<br />

come sancito dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali<br />

( 35 ). Il convenuto disporrebbe di tre rimedi principali per impedire, in circostanze<br />

eccezionali, che una decisione pronunciata in uno Stato membro divenga<br />

esecutiva in un altro Stato membro. In primo luogo, potrebbe impugnare<br />

la decisione nello Stato membro d’origine se non è stato debitamente<br />

informato del procedimento in quello Stato (cfr. art. 45, par. 1) ( 36 ). In secondo<br />

luogo, potrebbe eccepire qualsiasi altro vizio procedurale sorto durante<br />

il procedimento dinanzi al giudice d’origine e suscettibile di violare il<br />

suo diritto a un giudice imparziale (cfr. art. 46, par. 1) ( 37 ). In terzo luogo, il<br />

convenuto potrebbe far sospendere l’esecuzione della decisione qualora<br />

questa sia in contrasto con un’altra decisione pronunciata nello Stato membro<br />

dell’esecuzione o, a determinate condizioni, in un altro paese (cfr. art.<br />

43) ( 38 ).<br />

L’exequatur verrebbe altresì mantenuto per le decisioni pronunciate in<br />

procedimenti avviati da un’aggregazione di attori, enti rappresentativi o organismi<br />

che agiscono nell’interesse pubblico e che riguardano il risarcimento<br />

dei danni causati da pratiche commerciali illecite nei confronti di<br />

una pluralità di soggetti (“azione collettiva”) (cfr. art. 37, par. 3) ( 39 ). Infatti,<br />

( 35 ) In questo senso, si veda il 24° considerando.<br />

( 36 )“Art. 45, par. 1: “Il convenuto che non sia comparso nello Stato membro d’origine ha<br />

il diritto di chiedere il riesame della decisione al giudice competente di tale Stato membro se:<br />

a) non gli sono stati comunicati o notificati la domanda giudiziale o un atto equivalente in<br />

tempo utile e in modo tale da consentirgli di presentare le proprie difese, o b) non ha avuto la<br />

possibilità di contestare la pretesa a causa di forza maggiore o di circostanze eccezionali a lui<br />

non imputabili, eccetto qualora, pur avendone avuto la possibilità, non abbia impugnato la<br />

decisione”.<br />

( 37 ) Art. 46, par. 1: “Nei casi diversi da quelli di cui all’articolo 45, una parte ha il diritto di<br />

chiedere che siano negati il riconoscimento o l’esecuzione di una decisione qualora i principi<br />

fondamentali alla base del diritto a un giudice imparziale ostino a tale riconoscimento o esecuzione”.<br />

( 38 ) Art. 43: “Su istanza del convenuto, l’autorità competente dello Stato membro dell’esecuzione<br />

nega, in tutto o in parte, l’esecuzione della decisione: a) se è in contrasto con una<br />

decisione emessa tra le medesime parti nello Stato membro dell’esecuzione; b) se è in contrasto<br />

con una decisione emessa precedentemente tra le medesime parti in un altro Stato<br />

membro o in un paese terzo, in una controversia avente il medesimo oggetto e il medesimo<br />

titolo, allorché tale decisione presenta le condizioni necessarie per essere riconosciuta nello<br />

Stato membro dell’esecuzione”.<br />

( 39 ) Art. 37, par. 3: “La sezione 2 – Decisioni per le quali è provvisoriamente richiesta la dichiarazione<br />

di esecutività – si applica alle decisioni emesse in un altro Stato membro: a) relative<br />

ad obbligazioni extracontrattuali che derivano da violazioni della vita privata e dei diritti


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 433<br />

in tale ambito, sussistono differenze troppo marcate tra gli ordinamenti giuridici<br />

dei 27 Stati membri. In attesa, quindi, di misure di armonizzazione o<br />

riavvicinamento in questo settore, si dovrà mantenere la procedura di exequatur,<br />

nell’ottica futura di procedere comunque alla sua abolizione (cfr.<br />

art. 37, par. 4) ( 40 ).<br />

Questa proposta parrebbe consentire un risparmio di tempi e di costi,<br />

garantendo nel contempo la necessaria tutela del convenuto.<br />

D. Arbitrato<br />

La Commissione ha ritenuto di sancire la regola generale secondo cui la<br />

materia arbitrale sarebbe estranea al regolamento (cfr. art. 1, par. 2, lett. d),<br />

in particolare circa la forma, l’esistenza, la validità o gli effetti di convenzioni<br />

arbitrali, il potere degli arbitri, la procedura dinanzi a questi, nonché la<br />

validità, l’annullamento, il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali<br />

( 41 ).<br />

La proposta contiene, poi, una norma specifica sul rapporto tra arbitrato<br />

e procedimento giudiziario (cfr. artt. 29, par. 4 e 33, par. 3) ( 42 ). Tale norma<br />

impone al giudice adito di sospendere il procedimento se la sua competenza<br />

è contestata in base a una convenzione arbitrale e il tribunale arbitrale è<br />

stato adito o è stato avviato un procedimento giudiziario relativo alla convenzione<br />

arbitrale nello Stato membro sede dell’arbitrato ( 43 ). Infine, è pre-<br />

della personalità, compresa la diffamazione, e b) in procedimenti che riguardano il risarcimento<br />

dei danni causati da pratiche commerciali illecite a una moltitudine di soggetti lesi e<br />

che sono promossi da: i. un ente statale, ii. un’organizzazione senza scopo di lucro il cui<br />

obiettivo e attività principale è rappresentare e difendere gli interessi di gruppi di persone fisiche<br />

o giuridiche in altro modo che fornendo loro consulenza legale o rappresentandoli in giudizio<br />

su base commerciale, o iii. un gruppo di più di dodici attori”.<br />

( 40 ) Art. 37, par. 4: “Fatta salva la competenza della Commissione a proporre in qualsiasi<br />

momento, alla luce dello stato di convergenza dei diritti nazionali e dello sviluppo del diritto<br />

dell’Unione, l’estensione delle norme della sezione 1 (Decisioni per le quali non è richiesta la<br />

dichiarazione di esecutività – NdA) alle decisioni rientranti nel campo di applicazione del paragrafo<br />

3, lettera b) (“azioni collettive” – NdA), la Commissione, tre anni dopo l’entrata in vigore<br />

del presente regolamento o prima se propone un’ulteriore armonizzazione, presenta al<br />

Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo una relazione<br />

che riesamina la necessità di mantenere la procedura di riconoscimento ed esecuzione per le<br />

decisioni emesse nelle materie di cui al paragrafo 3”.<br />

( 41 ) Considerando n. 11.<br />

( 42 ) Si vedano, in tema, i risultati derivanti dall’ampio dibattito avviato dal Libro verde sulla<br />

revisione del regolamento COM(2009) 175 def. del 21 aprile 2009.<br />

( 43 ) Art. 29, par. 4: “Qualora la sede dell’arbitrato concordata o designata si trovi in uno


434 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

cisato che le nuove disposizioni in materia di arbitrato non riguardano le<br />

controversie insorte da contratti di consumo, di assicurazione e di lavoro dipendente.<br />

La citata modifica rafforzerà presumibilmente l’efficacia delle convenzioni<br />

arbitrali in <strong>Europa</strong>, evitando procedimenti paralleli in sede giudiziale<br />

e arbitrale ed eliminando gli incentivi a porre in essere strategie processuali<br />

difensive meramente dilatorie delle parti che intendono svincolarsi dall’obbligo<br />

arbitrale.<br />

E. Ulteriori proposte<br />

Da ultimo, si rileva che la proposta auspica di migliorare il coordinamento<br />

dei procedimenti dinanzi ai giudici degli Stati membri, attraverso alcuni<br />

correttivi in ordine alla litispendenza (introducendo un termine per<br />

l’accertamento della competenza da parte del primo giudice adito) (cfr. art.<br />

29, par. 2) ( 44 ), prevedendo inoltre lo scambio di informazioni tra giudici investiti<br />

della stessa materia, facilitando la riunione di azioni connesse (eliminando<br />

il requisito che la riunione debba essere consentita dalla legge nazionale)<br />

(cfr. art. 31) ( 45 ), prevedendo la libera circolazione dei provvedimenti<br />

Stato membro, il giudice di un altro Stato Membro la cui incompetenza sia eccepita in base a<br />

una convenzione arbitrale sospende il procedimento non appena il giudice dello Stato membro<br />

in cui si trova la sede dell’arbitrato o il tribunale arbitrale sia stato investito di un procedimento<br />

diretto ad accertare, in via principale o incidentale, l’esistenza, la validità o l’efficacia<br />

della convenzione arbitrale”.<br />

( 44 ) Art. 29, par. 2: “Nei casi di cui al paragrafo 1 (“Fatto salvo l’articolo 32, paragrafo 2,<br />

qualora davanti a giudici di Stati membri differenti e tra le stesse parti siano state proposte domande<br />

aventi il medesimo oggetto e il medesimo titolo, il giudice successivamente adito sospende<br />

d’ufficio il procedimento finché sia stata accertata la competenza del giudice adito in<br />

precedenza” – NdA), il giudice adito per primo accerta la propria competenza entro sei mesi,<br />

salvo impossibilità dovuta a circostanze eccezionali. Su istanza di qualunque altro giudice investito<br />

della controversia, il giudice adito per primo comunica all’altro giudice la data in cui è<br />

stato adito e se ha accertato la competenza o quando prevede di farlo”.<br />

( 45 ) Art. 31: “Se il procedimento di merito pende davanti a un giudice di uno Stato membro<br />

e a un giudice di un altro Stato membro è proposta un’istanza di provvedimento provvisorio<br />

o cautelare, i giudici interessati cooperano per garantire un coordinamento adeguato tra<br />

il procedimento di merito e il provvedimento provvisorio o cautelare.<br />

In particolare, il giudice cui è richiesto il provvedimento provvisorio o cautelare si informa<br />

presso l’altro giudice di tutte le circostanze pertinenti del caso, quali l’urgenza del provvedimento<br />

richiesto o l’eventuale diniego di provvedimenti analoghi da parte del giudice del<br />

merito”.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 435<br />

provvisori e cautelari ( 46 ) concessi da un giudice competente nel merito, impedendo<br />

altresì la circolazione dei provvedimenti provvisori disposti da un<br />

giudice diverso da quello competente nel merito (cfr. artt. 35 e 36) ( 47 ). Ulteriori<br />

modifiche tendono invece a migliorare il funzionamento pratico delle<br />

norme sulla competenza, prevedendo per le domande relative a diritti reali<br />

la competenza del foro del luogo in cui si trovano i beni mobili (cfr. art. 5,<br />

par. 3) ( 48 ), in materia di lavoro la possibilità per i lavoratori dipendenti di citare<br />

in giudizio una pluralità di convenuti (cfr. art. 6, par. 1) ( 49 ), la possibilità<br />

di concludere accordi di elezione del foro per le controversie relative alla locazione<br />

di uffici ad uso professionale (cfr. art. 22, par. 1, lett. b) ( 50 ) e l’obbligo<br />

di informare il convenuto che si costituisce in giudizio delle conseguenze<br />

giuridiche in cui occorre nel caso in cui non eccepisca tempestivamente<br />

l’incompetenza del giudice (cfr. art. 24, par. 2) ( 51 ).<br />

Sara Amerio<br />

( 46 ) Inclusi, a determinate condizioni, i provvedimenti concessi inaudita altera parte.<br />

( 47 ) Art. 35: “Qualora i giudici di uno Stato membro siano competenti a conoscere nel<br />

merito, essi sono competenti ad adottare i provvedimenti provvisori e cautelari previsti dalla<br />

legge di quello Stato”.<br />

Art. 36: “I provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla legge di uno Stato membro<br />

possono essere richiesti al giudice di detto Stato anche se la competenza a conoscere nel merito<br />

è riconosciuta al giudice di un altro Stato o a un tribunale arbitrale”.<br />

( 48 ) Art. 5, par. 3: “Qualora si tratti di diritti reali o possesso di beni mobili, il giudice del<br />

luogo in cui si trovano i beni”.<br />

( 49 )Tale possibilità esisteva già nel quadro della convenzione di Bruxelles del 1968. Il suo<br />

inserimento nel regolamento sarà a vantaggio dei lavoratori che intendono agire contro più<br />

datori di lavoro (in ordine allo stesso contratto individuale di lavoro) stabiliti in Stati membri<br />

diversi. Art. 6, par. 1: “Una persona può inoltre essere convenuta: 1. qualora sia domiciliata<br />

nel territorio di uno Stato membro e in caso di pluralità di convenuti, davanti al giudice del<br />

luogo in cui uno qualsiasi di essi è domiciliato, sempre che tra le domande esista un nesso così<br />

stretto da rendere opportuna una trattazione unica ed una decisione unica onde evitare il rischio,<br />

sussistente in caso di trattazione separata, di giungere a decisioni incompatibili”.<br />

( 50 ) Art. 22, par. 1, lett. b): “In materia di accordi relativi a contratti di locazione di locali ad<br />

uso professionale, le parti possono attribuire la competenza a un giudice o ai giudici di uno<br />

Stato membro in conformità dell’articolo 23 (accordi di scelta del foro – NdA)”.<br />

( 51 ) Art. 24, par. 2: “Nelle materie di cui alle sezioni 3, 4 e 5 del presente capo (capo 2 –<br />

Competenza – sez. 3: Competenza in materia di assicurazioni, sez. 4: Competenza in materia<br />

di contratti conclusi da consumatori, sez. 5: Competenza in materia di contratti individuali di<br />

lavoro – NdA), la domanda giudiziale o un atto equivalente deve informare il convenuto del<br />

suo diritto di eccepire l’incompetenza del giudice e delle conseguenze della comparizione.<br />

Prima di dichiararsi competente ai sensi del presente articolo, il giudice si assicura che il convenuto<br />

sia stato informato in tal senso”.


Separazione e divorzio: il Regolamento UE 1259/2010<br />

del 20 dicembre 2010, per una cooperazione rafforzata<br />

nel settore della legge applicabile<br />

1. – Principi ispiratori<br />

Il Regolamento UE n. 1259 del 20 dicembre 2010 ( 1 ) modifica il Regolamento<br />

CE n. 2201/2003 ( 2 ), coltivando e ampliando l’intento di favorire la libera<br />

circolazione delle persone attraverso soluzioni che, nell’ipotesi di conflitto<br />

di leggi, garantiscano prevedibilità, flessibilità, nonché, in particolare,<br />

la certezza del diritto ( 3 ).<br />

L’Unione si prefigge di conservare e sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza<br />

e giustizia in cui sia incoraggiata la libera circolazione delle persone.<br />

Al fine di una progressiva istituzione di tale spazio, l’Unione deve adottare<br />

misure volte alla cooperazione giudiziaria nelle materie civili con implicazioni<br />

transnazionali. La convergenza dei menzionati principi di libertà,<br />

sicurezza, giustizia e certezza del diritto dovrebbe infine incrementare il<br />

buon funzionamento del mercato interno.<br />

La flessibilità e dinamicità in ordine alla scelta della legge applicabile<br />

consentono di evitare strumentalizzazioni fra coniugi nella promozione e<br />

conduzione dei procedimenti di scioglimento o allentamento del vincolo<br />

matrimoniale, che, come facilmente intuibile, nel diritto di famiglia assumo<br />

connotazioni ancor più sgradevoli, oltre che dannose per i soggetti coinvolti,<br />

specie se vi sono figli minori. Linea guida per il declinarsi del Regola-<br />

( 1 )Reg. UE n. 1259/2010 del 20 dicembre 2010, pubblicato in G.U.U.E., L 343, del 29 dicembre<br />

2010.<br />

( 2 ) Il Reg. CE n. 2201/2003 del 27 novembre 2003, pubblicato su G.U.C.E., L 338, del 23<br />

dicembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in<br />

materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, abrogava a sua volta il Reg.<br />

1347/2000 (pubblicato su G.U.C.E., L 160, del 30 giugno 2000). La modifica in ambito di scelta<br />

della legge applicabile ai procedimenti di separazione e divorzio si rendeva necessaria,<br />

stante la sproporzione che il Reg. 2201/2003 presentava al proprio interno, dedicando la maggioranza<br />

delle disposizioni alla responsabilità genitoriale, al diritto di affidamento ed alla sottrazione<br />

di minori.<br />

( 3 ) Il 9° considerando del Reg. 1259/10 precisa al riguardo: “Il presente regolamento dovrebbe<br />

istituire un quadro giuridico chiaro e completo in materia di legge applicabile al divorzio e alla<br />

separazione personale negli Stati membri partecipanti e garantire ai cittadini soluzioni adeguate<br />

per quanto concerne la certezza del diritto, la prevedibilità e la flessibilità, e impedire le situazioni<br />

in cui un coniuge domanda il divorzio prima dell’altro per assicurarsi che il procedimento sia regolato<br />

da una legge che ritiene più favorevole alla tutela dei suoi interessi”.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 437<br />

mento in questione è rappresentata dall’interesse pubblico nella sua specificazione<br />

dell’ordine pubblico, nel nome del quale ciascuno Stato membro<br />

può – in circostanze eccezionali – disapplicare la legge straniera che in una<br />

determinata fattispecie risulti manifestamente contraria all’ordine pubblico<br />

del foro. Si tratta di un’eccezione applicativa che resta tuttavia sempre soggetta<br />

alla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea ( 4 ), laddove viene<br />

vietata qualsiasi forma di discriminazione con particolare riferimento alla<br />

cittadinanza.<br />

La cooperazione rafforzata può in ogni caso esplicarsi nelle forme migliori<br />

osservando sempre i principi di sussidiarietà e proporzionalità ( 5 ), sanciti<br />

dal Trattato sull’Unione Europea, in nome dei quali sostenere le capacità<br />

regolatrici di ciascuno Stato membro, in quanto organismo più vicino<br />

ai cittadini, ma al tempo stesso colmare le lacune del diritto interno in relazione<br />

agli strumenti giuridici idonei a perseguire gli obiettivi dell’Unione.<br />

Occorre altresì evidenziare il carattere universale proclamato dal presente<br />

Regolamento, il quale si propone di favorire il cittadino nell’esercizio<br />

della propria facoltà di scelta della legge applicabile, rendendo designabile<br />

non solo la legge di uno Stato membro partecipante e la legge di uno Stato<br />

membro non partecipante, ma anche la legge di uno Stato non membro dell’Unione<br />

europea ( 6 ).<br />

Il principio di universalità trova in proposito accoglimento e massima<br />

articolazione nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea ( 7 ),<br />

( 4 ) Pubblicata in G.U.C.E., C 364, del 18 dicembre 2000, la quale all’art. 21 citato dallo<br />

stesso regolamento al 5° ed al 30° considerando, vieta per l’appunto qualsiasi forma di discriminazione:<br />

“fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o<br />

sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni<br />

politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio,<br />

la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali. 2. Nell’ambito d’applicazione<br />

del trattato che istituisce la Comunità europea e del trattato sull’Unione europea è vietata<br />

qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le disposizioni particolari”.<br />

( 5 )Parimenti sancito dall’art. 5 del Trattato CE, costituisce una manifestazione del più<br />

generale principio di ragionevolezza, tale per cui l’azione dell’Unione non deve spingersi oltre<br />

gli obiettivi posti dal Trattato; gli oneri sostenuti dovranno essere proporzionati agli obiettivi<br />

medesimi; le sanzioni proporzionate alla valenza della formalità violata.<br />

( 6 ) Cfr. 12° considerando e art. 4 del Regolamento. Si rileva tuttavia nel prosieguo il rispetto<br />

della sovranità della legge di uno Stato membro partecipante, a dispetto degli Stati<br />

membri non partecipanti e degli Stati non membri dell’Unione, che non vengono più menzionati.<br />

Il 26° considerando e l’art. 13 precisano infatti che laddove la legge dello Stato membro<br />

partecipante non preveda il divorzio, l’autorità giurisdizionale adita non dovrebbe essere<br />

obbligata ad emettere una pronuncia in tal senso.<br />

( 7 ) Cfr. nota 4.


438 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

quale fonte di riconoscimento dei diritti dei singoli e dei valori della dignità<br />

umana, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà, volti a porre la persona<br />

al centro dell’azione comunitaria.<br />

La sovranità degli Stati membri partecipanti si esplica palesemente nella<br />

possibilità di negare una pronuncia di divorzio, qualora non prevista dal<br />

proprio ordinamento; essa incontra, tuttavia, un limite nell’ipotesi in cui la<br />

negazione del divorzio si fondi su una discriminazione sessuale, trovando<br />

applicazione la legge del foro ( 8 ).<br />

La supremazia del diritto comunitario si coglie altresì nell’intento di inibire<br />

ulteriori veicoli di discriminazione, quali l’appartenenza all’uno o all’altro<br />

sesso; in tali casi, onde evitare la negazione del divorzio, ovvero l’imposizione<br />

di condizioni di accesso alla separazione o al divorzio non paritetiche, l’art.<br />

10 prevede che si applichi la legge del foro. Ogniqualvolta emerga la necessità<br />

e opportunità di difendere i diritti fondamentali della persona, dunque, la vis<br />

espansiva del diritto comunitario si manifesta in via diretta e incisiva.<br />

Nel prospettato quadro di delicato coordinamento, il Regolamento si riserva<br />

la dichiarata prevalenza sulle convenzioni concluse esclusivamente<br />

tra due o più tra gli Stati membri partecipanti in materia di divorzio e separazione<br />

personale.<br />

In generale si rammenta che il principio di “prevalenza del diritto comunitario<br />

sul diritto degli Stati” è stato affermato dalla Corte di Giustizia<br />

fin dalla sentenza Costa c. Enel del 1964 ( 9 ).<br />

2. – Scelta della legge applicabile: criteri e modalità<br />

Premesso il carattere universale della legge designata, di cui all’art. 4 del<br />

Regolamento, quest’ultimo indica due fondamentali percorsi di individuazione<br />

della medesima: la scelta della legge applicabile ad opera delle parti,<br />

disciplinata dall’art. 5, ovvero la determinazione della legge applicabile in<br />

( 8 ) Così stabilisce l’art. 10 del Reg. 1259/10: “Qualora la legge applicabile ai sensi dell’art.<br />

5 o dell’art. 8 non preveda il divorzio o non conceda a uno dei coniugi, perché appartenente<br />

all’uno o all’altro sesso, pari condizioni di accesso al divorzio o alla separazione personale, si<br />

applica la legge del foro”.<br />

( 9 ) Causa 6/64, ove il primato del diritto comunitario viene ancorato all’art. 189 (ora 249)<br />

Tratt.CE rilevando che “questa disposizione, che non è accompagnata da alcuna riserva, sarebbe<br />

priva di significato se uno Stato potesse unilateralmente annullarne gli effetti con un provvedimento<br />

nazionale che prevalesse sui testi comunitari”; e, quindi, precisando che “il diritto nato<br />

dal Trattato non potrebbe, in ragione appunto della sua specifica natura, trovare un limite in<br />

qualsiasi provvedimento interno senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che ne risultasse<br />

scosso il fondamento giuridico della stessa Comunità”.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 439<br />

mancanza di scelta operata dalle parti, indicata dall’art. 8 ( 10 ). La facoltà di<br />

scelta in capo alle parti deve avvenire di comune accordo e nel rispetto di<br />

determinate formalità, che verranno successivamente esaminate.<br />

I criteri di collegamento sono rappresentati dalla residenza abituale dei<br />

coniugi, dall’ultima residenza abituale dei coniugi (se uno di essi vi risiede<br />

ancora), dalla cittadinanza e dalla legge del foro; ciascuno in libera alternativa<br />

rispetto agli altri. Essi vengono presi in considerazione al momento della<br />

conclusione dell’accordo.<br />

Ove i coniugi non possano o non vogliano scegliere, separazione e divorzio<br />

saranno regolati dai medesimi criteri ( 11 ), ma posti in ordine di progressiva<br />

esclusione, nel senso che verranno adottati solo in difetto di applicazione<br />

del criterio o dei criteri precedentemente indicati. Non sussistendo<br />

l’accordo delle parti, il riferimento temporale è dato dal “momento in cui è<br />

adita l’autorità giurisdizionale”. Per quanto concerne, in particolare, il criterio<br />

dell’ultima residenza abituale dei coniugi, viene posta la condizione che<br />

tale periodo non si sia concluso oltre un anno prima che fosse adita l’autorità<br />

giurisdizionale ( 12 ). Correzioni e temperamenti ai criteri di applicazione<br />

sono dettati dagli articoli 9 sulla conversione della separazione personale in<br />

divorzio, 12 sull’ordine pubblico, 13 sulle divergenze fra le legislazioni nazionali;<br />

così come gli articoli 14 e 15 contemplano, rispettivamente, le ipotesi<br />

di conflitto territoriale e interpersonale di leggi.<br />

Più precisamente l’art. 9 – secondo quanto preannunciato nel 23° considerando<br />

– prevede la naturale estensione della legge già applicata alla separazione<br />

personale al procedimento volto a convertire la separazione in divorzio,<br />

salva diversa convenzione fra le parti. Disposizione, quest’ultima,<br />

sempre tesa a consolidare i principi di prevedibilità e certezza del diritto.<br />

Tuttavia, se la conversione della separazione in divorzio non è prevista dalla<br />

legge applicata alla separazione personale, il divorzio stesso dovrebbe es-<br />

( 10 ) Distinzione assente nel precedente Regolamento n. 2201/2003, il quale approfondisce<br />

invece maggiormente le questioni relative alla procedibilità, litispendenza, connessione,<br />

riconoscimento ed esecutività delle decisioni.<br />

( 11 ) Cfr. art. 8 Reg. 1259/10: a) residenza abituale dei coniugi; o in mancanza b) ultima residenza<br />

abituale dei coniugi; o in mancanza c) cittadinanza; o in mancanza d) lo Stato in cui è<br />

adita l’autorità giurisdizionale.<br />

( 12 ) Cfr. art. 8, lett. b); la variante rispetto al criterio valevole in caso di accordo delle parti<br />

risponde all’esigenza di garantire l’applicazione della legge dello Stato con cui i coniugi hanno<br />

il legame più stretto, come suggellato dal 21° considerando. Il fine ultimo resta sempre la<br />

prevedibilità e certezza del diritto, con efficacia dissuasiva in ordine ad azioni strumentali da<br />

parte dei coniugi stessi, “a caccia” della legge più favorevole.


440 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

sere disciplinato dalle norme di conflitto che si applicano in mancanza di<br />

scelta ad opera delle parti ( 13 ).<br />

La norma relativa all’ordine pubblico (art. 12), invece, costituisce un<br />

importante limite all’applicabilità della legge designata sulla base del presente<br />

Regolamento, giacché ne decreta l’esclusione nei casi di manifesta incompatibilità<br />

con l’ordine pubblico del foro. L’ordine pubblico assurge, infatti,<br />

a parte integrante dei principi dell’ordinamento comunitario ( 14 ).<br />

L’art. 13 risolve le divergenze fra le legislazioni nazionali omaggiando la<br />

sovranità degli Stati membri partecipanti alla cooperazione rafforzata, la cui<br />

legge interna non preveda il divorzio o non consideri valido il matrimonio<br />

in questione ai fini del divorzio medesimo: l’autorità giurisdizionale adita<br />

in virtù della designazione della legge applicabile ad opera del Regolamento<br />

de quo non può pertanto essere obbligata ad emettere una decisione di<br />

divorzio.<br />

I conflitti territoriali di leggi emergono laddove lo Stato individuato o<br />

scelto dalle parti si componga di più unità territoriali, avente ciascuna il proprio<br />

sistema giuridico o complesso di norme in materia di divorzio e separazione<br />

personale. L’art. 14 precisa al riguardo che ogni riferimento alla<br />

“legge di tale Stato” deve intendersi come riferimento alla “legge in vigore<br />

nell’unità territoriale pertinente”: Parimenti il termine “Stato” in ordine alla<br />

“residenza abituale”, alla “cittadinanza”, nonché, in mancanza, alla scelta<br />

effettuata delle parti, ovvero, in mancanza, al legame più stretto dei coniugi<br />

con il territorio, deve tradursi con “unità territoriale” pertinente ( 15 ).<br />

Il conflitto interpersonale di leggi, disciplinato dall’art. 15 del Regolamento<br />

( 16 ), ricorre allorquando due o più sistemi giuridici o complessi di<br />

norme si applicano a categorie diverse di persone nelle materie oggetto di<br />

cooperazione rafforzata: le norme in vigore nello Stato designato permetteranno<br />

di individuare il sistema giuridico pertinente; in difetto, verrà applicato<br />

quello con cui i coniugi hanno il legame più stretto.<br />

3. – Accordo delle parti sulla legge applicabile: validità formale<br />

Il Regolamento valorizza la libera volontà delle parti, permettendo ai<br />

coniugi stessi di scegliere la legge applicabile alla separazione personale o al<br />

( 13 ) Cfr. art. 9, comma 2, Reg. 1259/10.<br />

( 14 ) Cfr. Corte CE, caso Omega, C- 36/02.<br />

( 15 ) Cfr. art. 14 del Regolamento, lettere a), b), c).<br />

( 16 ) Cfr. art. 15 Reg.: “In relazione ad uno Stato con due o più sistemi giuridici o complessi di<br />

norme applicabili a categorie diverse di persone riguardanti materie disciplinate dal presente re-


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 441<br />

divorzio. Onde evitare che tale rilevante facoltà trascenda nell’eccesso di discrezionalità<br />

o nell’abuso, l’art. 5 e l’art. 7 del Regolamento dettano con<br />

precisione oggetto e forma dell’accordo.<br />

In particolare l’art. 5 circoscrive la scelta allo Stato della residenza abituale<br />

dei coniugi, dell’ultima residenza abituale se uno di essi vi risiede ancora,<br />

della cittadinanza e infine la legge del foro, in rapporto di alternatività<br />

ed in riferimento al momento della conclusione dell’accordo ( 17 ).<br />

Ulteriore ossequio alla libertà di scelta, sempre garantendo la relativa<br />

certezza del diritto mediante l’imposizione dei suddetti limiti oggettivi (criteri<br />

di collegamento della residenza, cittadinanza o legge del foro), proviene<br />

dai commi 2 e 3 dell’art. 5. Essi prevedono infatti, rispettivamente, la<br />

possibilità di concludere e modificare l’accordo relativo alla legge applicabile<br />

in qualsiasi momento fino, al più tardi, al momento in cui viene adita l’autorità<br />

giurisdizionale; nonché un ampliamento della stessa facoltà di scelta ad<br />

opera della parti, la quale potrà essere esercitata, ove previsto dalla legge del<br />

foro, anche nel corso del procedimento dinanzi all’Autorità giurisdizionale. In<br />

questo caso la designazione della legge verrà messa agli atti in conformità<br />

della legge del foro ( 18 ).<br />

L’art. 7 del Regolamento prevede che, ai fini della validità, l’accordo<br />

debba rivestire la forma scritta ( 19 ) ed essere datato e firmato da entrambi i<br />

coniugi.<br />

Il rilievo assunto dalla forma si esprime nell’ulteriore applicazione di re-<br />

golamento, ogni riferimento alla legge di tale Stato è inteso come riferimento al sistema giuridico<br />

determinato dalle norme in vigore in tale Stato. In mancanza di tali norme, si applica il sistema<br />

giuridico o il complesso di norme con cui il coniuge o i coniugi hanno il legame più stretto”.<br />

( 17 ) La legge in questione può essere prescelta solo se “legge dello Stato della residenza<br />

abituale dei coniugi al momento della conclusione dell’accordo”; ovvero “dell’ultima residenza<br />

abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora al momento della conclusione<br />

dell’accordo”; ovvero “la legge dello Stato di cui uno dei coniugi ha la cittadinanza”; o ancora<br />

“la legge del foro”.<br />

( 18 ) La facoltà in capo ai coniugi di perfezionare un accordo sulla scelta della legge applicabile<br />

nel corso del procedimento già instaurato permette di mutare in itinere l’assetto processuale<br />

conseguito sulla base dei criteri di collegamento valevoli in assenza di accordo. In tal<br />

modo i coniugi possono esprimere la propria preferenza in ordine alla legge dello Stato destinata<br />

a regolare i propri rapporti post-matrimoniali. La ratio consiste nell’attribuire all’accordo,<br />

in quanto tale, un effetto “immunizzante” rispetto ai disequilibri scaturenti dalla “caccia<br />

alla legge più favorevole” e, in generale, al noto forum shopping.<br />

( 19 ) Sempre il comma 1 dell’art. 7 del Regolamento precisa che “la forma scritta comprende<br />

qualsiasi comunicazione elettronica che permetta un registrazione durevole dell’accordo”,<br />

richiamando la disposizione 23 del Reg. 44/2001(pubblicato in G.U.C.E., L012, del 16<br />

gennaio 2001).


442 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

quisiti supplementari eventualmente previsti dallo Stato membro partecipante<br />

in cui entrambi i coniugi abbiano la residenza abituale al momento<br />

della conclusione dell’accordo ( 20 ).<br />

Analogamente verranno estesi i requisiti di forma supplementari previsti<br />

dall’ordinamento dello Stato membro partecipante, in cui uno solo dei<br />

coniugi abbia la propria abituale residenza ( 21 ).<br />

Nell’ipotesi di requisiti di forma differenti, invece, stabiliti da Stati<br />

membri partecipanti diversi, in cui i coniugi abbiano rispettivamente la propria<br />

residenza abituale, è sufficiente che l’accordo rispetti i requisiti di uno<br />

di essi. Ora, la sussistenza del consenso ed il giudizio di validità sull’accordo<br />

perfezionato vengono a loro volta valutati sulla base della legge che sarebbe<br />

applicabile se l’accordo o la disposizione fossero validi ( 22 ).<br />

Si ricorre in sostanza ad una sorta di fictio juris ( 23 ) eventuale, consistente<br />

nel considerare preventivamente valido l’accordo raggiunto; l’esistenza e<br />

la validità di manifestazione del consenso verranno pertanto analizzate sulla<br />

base della legge dello Stato designata dall’accordo delle parti, rendendo<br />

quest’ultimo virtualmente già operativo.<br />

Non viene parimenti trascurata l’ipotesi in cui uno dei coniugi non abbia<br />

prestato il proprio consenso alla legge prescelta: in tale frangente il criterio<br />

di collegamento muta ed alla parte dissenziente viene attribuita la possibilità<br />

di dimostrare la carenza del consenso in riferimento alla legge del<br />

paese in cui ha la residenza abituale nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale<br />

( 24 ); tale facoltà può essere esercitata, tuttavia, solo qualora dal-<br />

( 20 ) La scelta del legislatore comunitario può interpretarsi sia come osservanza dei principi<br />

di sussidiarietà e proporzionalità, sia come omaggio alla rigidità formale, auspicata e opportuna.<br />

( 21 ) Cfr. art. 7, ultimo comma, Reg. 1259/10.<br />

( 22 ) Cfr. art. 6 Reg. 1259/10, rubricato “Consenso e validità sostanziale”.<br />

( 23 ) La fictio juris dà fittiziamente per esistente un requisito richiesto dalla legge ma in realtà<br />

mancante: la finzione soccorre un diritto che non potrebbe altrimenti essere applicato. Si<br />

vedano fra i molti sul tema, lungamente e approfonditamente affrontato, La Torre, La finzione<br />

nel diritto, in Riv. dir. civ., 2000, I, p. 315 ss., Pugliatti, voce Finzione, in Enc. dir., vol.<br />

XVII, Milano, 1968, p. 667.<br />

( 24 ) Cfr. art. 6, comma 2, Reg. 1259/10, il quale permette al coniuge dissenziente, o presunto<br />

tale, di accertare la propria posizione in riferimento alla legge più vicina, ossia quella<br />

dello Stato in cui ha la residenza abituale al momento della proposizione della domanda giudiziale.<br />

È pertanto possibile, già in questa fase, prendere le distanze da un accordo che la parte<br />

ritiene non sussistente. La disposizione incontra però una condizione di operatività: la<br />

“non ragionevolezza” della legge indicata nell’accordo rispetto alla valutazione dello stesso, a<br />

prescindere dal suo effettivo perfezionamento.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 443<br />

le circostanze contingenti appaia non ragionevole determinare l’assenza di<br />

consenso sulla base della legge indicata dal presunto accordo delle parti.<br />

Non sorprende questa manifestazione del principio di ragionevolezza,<br />

il quale permea tutto il diritto comunitario ed è volto a perseguire, caso<br />

per caso, l’equilibrio nel bilanciamento fra interesse dell’Unione all’armonizzazione<br />

e uniformità del diritto comunitario e diritti soggettivi dei<br />

singoli ( 25 ).<br />

Si rileva, infine, come l’accordo possa altresì estendersi alle fattispecie<br />

in cui la legge applicata alla separazione personale non preveda la conversione<br />

della separazione in divorzio e occorra pertanto, ove possibile, individuare<br />

un’altra legge applicabile all’istituto ( 26 ); in difetto di accordo, si ricorrerà<br />

ai criteri di collegamento dettati dall’art. 8.<br />

4. – L’informazione da parte degli Stati membri partecipanti<br />

Degna di nota è altresì la comunicazione informativa che il Regolamento<br />

riserva espressamente a ciascuno Stato membro partecipante entro il 21<br />

settembre 2011.<br />

L’art. 17 del Regolamento prevede che l’informazione consista nella comunicazione<br />

delle eventuali disposizioni nazionali sui menzionati requisiti<br />

di forma per gli accordi sulla scelta della legge applicabile e nella possibilità<br />

di designare la legge in corso di causa nell’ipotesi contemplata dal comma<br />

3 dell’art. 5.<br />

Parimenti dovrà essere comunicata dagli Stati membri qualsiasi successiva<br />

modifica di tali disposizioni nazionali.<br />

La norma comunitaria non chiarisce a quale situazione giuridica soggettiva<br />

corrisponda l’informazione resa dagli Stati membri; la mancata previsione<br />

di una sanzione nell’ipotesi in cui non vengano comunicate le eventuali<br />

disposizioni nazionali sui requisiti di forma e sulla legge processuale,<br />

ove occorra mettere agli atti la scelta della legge applicabile, induce a ritenere<br />

che si tratti di onere e non di obbligo in capo agli Stati membri medesimi.<br />

L’onere informativo viene inoltre assolto dagli Stati membri partecipanti<br />

nell’aggiornare la Commissione in punto applicazione del Regolamento da<br />

( 25 ) Cfr. ex multis sul principio di ragionevolezza Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,<br />

sez. I, Presidente Rozakis, sentenza del 3 luglio 2003, Buffalo s.r.l. c. <strong>Italia</strong>, ricorso n.<br />

38746/1997.<br />

( 26 ) Cfr. art. 9, comma 2, Reg. 1259/10.


444 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

parte delle rispettive autorità giurisdizionali ( 27 ); ciò in vista della relazione<br />

che la Commissione dovrà a sua volta presentare entro il 31 dicembre 2015 al<br />

Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale ( 28 ).<br />

A corredo della trasmissione di informazioni, il Regolamento precisa<br />

all’ultimo comma dell’art. 17 che la Commissione renderà pubblicamente<br />

accessibili le informazioni comunicate; l’accesso al pubblico, in particolare,<br />

avverrà con mezzi adeguati, ossia in particolare “tramite il sito web della rete<br />

giudiziaria europea in materia civile e commerciale”.<br />

Tale sito internet è gestito dalla Commissione europea e viene periodicamente<br />

aggiornato in stretta collaborazione con gli Stati membri dell’Unione<br />

europea. Esso contiene numerose informazioni sugli Stati membri, il<br />

diritto comunitario, il diritto internazionale e su diversi argomenti di diritto<br />

civile e commerciale ( 29 ); si tratta di un efficace strumento tecnico-burocratico,<br />

utile ad orientarsi nella fase successiva all’individuazione della legge<br />

applicabile.<br />

La rete informativa europea contribuisce a realizzare la funzione di integrazione<br />

e convergenza del diritto comunitario, perseguita attraverso la<br />

cooperazione rafforzata in determinate materie; in quanto tale se ne può<br />

sostenere il carattere fondamentale per consentire, una volta designate la<br />

norma e la procedura pertinenti, la concreta applicazione del diritto da parte<br />

di ciascun cittadino.<br />

Sempre nell’ottica della pubblicità e conoscibilità, la diffusione delle<br />

informazioni, anche e specialmente in via telematica, permette a monte il<br />

ricorso ai criteri di collegamento contenuti nel presente Regolamento in tema<br />

di separazione e divorzio.<br />

5. – Considerazioni conclusive<br />

Il Regolamento 1259/2010 concorre alla formazione di una disciplina<br />

uniforme di fonte sovranazionale, maturata nell’ambito dell’Unione Europea<br />

e tale da imporsi agli ordinamenti degli Stati membri in forza del primato<br />

del diritto comunitario.<br />

L’Unione ha così ulteriormente incrementato il settore della cooperazio-<br />

( 27 ) Così il comma 2 dell’art. 20 Reg. 1259/10.<br />

( 28 ) Cfr. art. 20, comma 1, Reg. 1259/10.<br />

( 29 ) Cfr. eu.europa.eu/civiljustice/index.it, dal quale è anche possibile accedere all’Atlante<br />

giudiziario europeo, contenente informazioni rilevanti per la cooperazione giudiziaria in materia<br />

civile, consentendo di identificare i Tribunali e le altre autorità competenti, fornendo nominativo<br />

e indirizzo di tutti gli uffici giudiziari, nonché moduli standard utilizzabili per determinate<br />

procedure.


OSSERVATORIO SUL DIRITTO EUROPEO 445<br />

ne giudiziaria civile, già rivoluzionato dai regolamenti CE nn. 1346/ 2000 ( 30 ),<br />

1347/2000 ( 31 ), 44/2001 ( 32 ) e 2201/2003 ( 33 ). Sovrapponendosi alle convenzioni<br />

bi- o multi-laterali fra Stati membri, il Consiglio si è nuovamente avvalso dei<br />

poteri conferiti dall’art. 65 Trattato CE per adottare atti normativi volti ad assicurare<br />

il corretto funzionamento del mercato, conformandosi ai principi di<br />

sussidiarietà e proporzionalità di cui all’art. 5 del Trattato.<br />

Poiché tale disciplina transfrontaliera verte su questioni di diritto di famiglia,<br />

l’obiettivo fondamentale consiste nell’agevolare la libera circolazione<br />

delle persone. Esigenza, quest’ultima, in crescente affermazione negli<br />

anni più recenti, anche alla luce dei continui flussi migratori.<br />

Si arricchisce così di nuovi tasselli il mosaico del diritto civile europeo, il<br />

quale oggi più di ieri necessita di uniformità e trasparenza specialmente in<br />

tema di unioni matrimoniali e minori. L’individuazione del diritto applicabile<br />

incontra sempre la problematica delle norme di conflitto, meritevoli di<br />

semplificazione e coordinamento.<br />

Occorre, inoltre, sgravare progressivamente la Corte di Giustizia dal<br />

ruolo uniformatore assunto negli ultimi decenni dinanzi a incessanti questioni<br />

pregiudiziali.<br />

Il Regolamento 1259/2010 incide sul percorso avviato in particolare dai<br />

Regolamenti 1347/2000 e 2201/2003, fornendo ai casi di separazione e divorzio<br />

una “mappa delle leggi” moderna e plasmata sull’evoluzione dell’istituto<br />

della “famiglia”, nel suo concreto atteggiarsi delle famiglie naturali<br />

ed “allargate”.<br />

La devoluzione di potestà normativa diretta al Consiglio UE riflette<br />

l’ambizione di un diritto processuale europeo duttile, idoneo a recepire le<br />

modifiche che la prassi socio-giuridica imporrà.<br />

Affinché ciò avvenga senza trascendere nel cosiddetto “normativismo eurofilo”<br />

o nel “cieco attivismo” ( 34 ), si invitano Unione e Stati membri a cooperare<br />

verso una maggiore qualità e chiarezza del dettato regolamentare.<br />

Elisabetta Malagoli<br />

( 30 )Relativo alle procedure di insolvenza, pubblicato in G.U.C.E., L 160/1.<br />

( 31 )Relativo alla competenza, al riconoscimento, all’esecuzione delle decisioni in materia<br />

matrimoniale e in materia di potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi, pubblicato<br />

in G.U.C.E., L 160.<br />

( 32 ) Concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle<br />

decisioni in materia civile e commerciale, pubblicato in G.U.C.E., L 12/1.<br />

( 33 ) Cfr. sub nota 29 par. 1.<br />

( 34 ) Si veda in questi termini Consolo, Relazione al Convegno di Verona del 31 marzo 2001.


Osservatorio sull’attuazione in <strong>Italia</strong><br />

del diritto europeo<br />

La nuova direttiva 2011/7 in tema di lotta contro i ritardi di pagamento<br />

nelle transazioni commerciali: prospettive di recepimento<br />

1. – La lotta contro i ritardi nei pagamenti in ottica retrospettiva<br />

Il problema del ritardo nei pagamenti derivanti da rapporti commerciali<br />

era da tempo oggetto dell’attenzione del legislatore comunitario per le<br />

sue ripercussioni, in generale, sul buon andamento del mercato, in particolare,<br />

sulle piccole e medie imprese, per la loro soggezione ai diktat delle<br />

controparti “forti”, le cui pratiche dilatorie nei pagamenti sono ben note.<br />

I principali interventi in ambito comunitario sono stati, in ordine cronologico,<br />

la raccomandazione 95/198 del 12 maggio 1995, che invitava gli<br />

Stati membri a incentivare il rispetto dei termini di pagamento contrattualmente<br />

stabiliti, scoraggiando i ritardi, risarcendo integralmente i creditori<br />

delle spese sostenute per il recupero e adottando procedure rapide, efficienti<br />

e poco onerose per la soddisfazione giudiziale del credito; il “rimprovero”<br />

della Commissione all’<strong>Italia</strong>, insieme a Grecia e Portogallo, per i termini<br />

di pagamento praticati, tra i più lunghi rispetto alla media comunitaria;<br />

la proposta di direttiva del Parlamento e del Consiglio del 23 aprile 1998,<br />

che, riprendendo i temi della raccomandazione, ne estendeva l’operatività<br />

anche ai crediti professionali e considerava termine ordinario di pagamento,<br />

in difetto di esplicita pattuizione, quello di ventuno giorni dalla data della<br />

fattura; infine la direttiva 2000/35 del 29 giugno 2000, i cui obiettivi possono<br />

e meritano di essere ricordati, attraverso i rilievi compiuti dalla stessa.<br />

Veniva, in primo luogo, evidenziato come termini eccessivamente lunghi<br />

nei pagamenti, così come i ritardi negli stessi, imponessero pesanti oneri<br />

amministrativi e finanziari alle imprese, specie medio-piccole, costituendo<br />

una delle principali cause di insolvenza e provocando altresì la perdita di<br />

posti di lavoro; veniva poi riscontrato come in alcuni Stati membri i termini<br />

di pagamento differissero in misura notevole dalla media comunitaria e ciò<br />

costituisse un ostacolo al buon funzionamento del mercato, alimentando<br />

distorsioni alla concorrenza e creando ostacoli alle transazioni commerciali<br />

fra gli Stati.


448 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

La direttiva, lamentando l’assenza di alcun miglioramento conseguente<br />

alla raccomandazione del 12 maggio 1995, puntualizzava il fatto che l’intervento<br />

dovesse riguardare soltanto i pagamenti a titolo di corrispettivo per le<br />

transazioni commerciali, con esclusione, pertanto, dei contratti dei consumatori<br />

e degli interessi dovuti ad altro titolo (interessi su titoli di credito o<br />

assegni a titolo di risarcimento del danno, anche se effettuati da assicurazioni);<br />

evidenziava, poi, come la circostanza che nel suo ambito soggettivo<br />

di applicazione ricadessero altresì le professioni liberali non condizionasse<br />

gli Stati membri a trattare i professionisti come imprese o attività commerciali<br />

per fini diversi da quelli oggetto della direttiva.<br />

Quest’ultima, rivolgendosi, quanto all’ambito oggettivo di applicazione,<br />

a tutte le transazioni commerciali tra imprese pubbliche e private o tra<br />

imprese e autorità pubbliche, nonché tra appaltatori principali e loro subappaltatori<br />

e fornitori, specificava che per talune categorie di contratti avrebbe<br />

potuto essere giustificato un periodo più lungo di pagamento, quando a<br />

questo si fosse accompagnata l’inderogabilità del termine (e dunque la restrizione<br />

della libertà contrattuale) o un più elevato tasso di interesse.<br />

La direttiva 2000/35 proclamava come propri obiettivi, da un lato, quello<br />

di contrastare le violazioni contrattuali, rese convenienti per il debitore<br />

in ragione del basso livello degli interessi di mora e della lentezza delle procedure<br />

di recupero, attraverso l’adozione di misure deterrenti; dall’altro<br />

quello di “controllare” l’autonomia privata per scongiurare ipotesi di abuso<br />

della libertà contrattuale, concretate da accordi aventi lo scopo di finanziare<br />

il debitore in termini di liquidità aggiuntiva o dalla circostanza che il debitore<br />

praticasse condizioni e termini diversi da quelli a lui stesso praticati,<br />

in caso di contratti collegati o derivati.<br />

Si rifletteva, infine, sulla necessità di stabilire procedure di recupero del<br />

credito, il più possibile rapide ed efficaci, come apparato dissuasivo.<br />

L’adozione italiana delle prescrizioni comunitarie arrivava con il d.lgs. 9<br />

ottobre 2002, n. 231, entrato in vigore il 7 novembre 2002, con qualche mese<br />

di ritardo rispetto al termine fissato per il recepimento (che scadeva l’8 agosto<br />

2002) dall’art. 6 della direttiva 2000/35/CE, e, a dispetto degli “ambiziosi<br />

obiettivi prefigurati dall’art. 26 della legge delega”, realizzando nella sostanza<br />

“la consueta trasposizione letterale del contenuto delle direttive alla<br />

quale il legislatore italiano ci ha abituato” ( 1 ).<br />

( 1 ) De Marzo, Ritardi di pagamento nei contratti tra imprese: l’attuazione della disciplina<br />

comunitaria, in Contratti, 2002, p. 1158. In ambito monografico sull’argomento, per tutti,<br />

Arnò e Ferri, La nuova normativa sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali –<br />

Commento al d.lgs. 2002, n. 231, Torino, 2003; De Nova G. e De Nova S., I ritardi di paga-


OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 449<br />

2. – I lineamenti della direttiva 2011/7<br />

La direttiva 2011/7 del 16 febbraio 2011 arriva ad undici anni di distanza<br />

dalla “sorella maggiore”, della cui impronta risente fortemente, e della quale<br />

condivide senza dubbio finalità e strumenti.<br />

Ancora una volta obiettivo dichiarato è la lotta contro i ritardi di pagamento<br />

nelle transazioni commerciali, finalizzata a garantire il corretto svolgersi<br />

delle dinamiche riguardanti il mercato interno e a favorire la competitività<br />

delle imprese con una attenzione speciale alle piccole e medie. È noto<br />

come tali pratiche dilatorie nei pagamenti siano poste in atto, generalmente,<br />

dalle imprese cosiddette “forti” verso le “deboli”, ossia quelle ad esse legate<br />

da vincoli commerciali necessitati ed ineludibili: si tratta di quelle imprese<br />

che, non potendo permettersi relazioni commerciali “tese” con i partners<br />

obbligati, si vedono da sempre costrette ad accettare loro malgrado<br />

condizioni spesso gravose, soprattutto in assenza di alcun contraltare nell’assetto<br />

del sinallagma contrattuale.<br />

L’art. 1 della direttiva, oltre a proclamarne lo scopo, ne delinea l’ambito<br />

oggettivo di applicazione, individuato in “ogni pagamento effettuato a titolo<br />

di corrispettivo in una transazione commerciale”, riprendendo testualmente<br />

la locuzione già utilizzata nella precedente direttiva: il medesimo articolo<br />

riconosce però la facoltà, in capo agli Stati membri, di escludere dall’applicazione<br />

della direttiva i debiti oggetto di procedure concorsuali a carico<br />

del debitore, comprese le procedure volte alla ristrutturazione del debito<br />

( 2 ).<br />

mento nei contratti commerciali – D.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, Milano, 2003; Pandolfini, La<br />

nuova normativa sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali – Commento al d.lgs. 9<br />

ottobre 2002, n. 231 – Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di<br />

pagamento nelle transazioni commerciali, Milano, 2003. In dottrina ancora, ex plurimis, Scotti,<br />

Aspetti di diritto sostanziale del D.lg. 9 ottobre 2002, n. 231, “attuazione della direttiva<br />

2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”, in<br />

Giur. merito, 2003, p. 603; Sanna, L’attuazione della direttiva 2000/35/CE in materia di lotta<br />

contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali: introduzione al d.lgs. 9 ottobre 2002,<br />

n. 231, in Resp. civ., 2003, p. 247; Russo, La nuova disciplina dei ritardi di pagamento nelle transazioni<br />

commerciali, in <strong>Contratto</strong> e <strong>impresa</strong>, 2003, p. 445; Caringella, I ritardi di pagamento<br />

nelle transazioni commerciali (commento al d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231), in Urb. appalti, 2003,<br />

p. 143; Pandolfini, Il nuovo tasso di interesse legale per i ritardi di pagamento nelle transazioni<br />

commerciali (art. 5 d.lgs. n. 231/2002), in Giur. it., 2003, p. 2414; Corsini, Nuove “regole” sui termini<br />

di pagamento nelle transazioni commerciali, in Dir. e prat. soc., 2002, fasc. 24, p. 29.<br />

( 2 ) La precedente direttiva, all’art. 6 par. 3, contemplava l’esclusione di tre fattispecie: alla<br />

lettera a) “i debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore”; alla lettera b)<br />

i “contratti conclusi prima dell’8 agosto 2002”; infine alla lettera c) le “richieste di interessi in-


450 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Dal punto di vista definitorio si osserva, anzitutto, come l’espressione<br />

“transazioni commerciali” faccia riferimento ad un perimetro oggettivo di<br />

applicazione coincidente con quello della precedente direttiva, così come il<br />

termine “<strong>impresa</strong>” conservi il significato, piuttosto ampio, già assunto nella<br />

direttiva del 2000, teso a ricomprendere il libero professionista come il lavoratore<br />

autonomo.<br />

Per “interessi di mora” si intendono “interessi legali di mora o interessi<br />

ad un tasso concordato fra imprese, soggetti all’art. 7”; gli “interessi legali di<br />

mora” sono, invece, definiti “interessi semplici di mora o interessi ad un tasso<br />

che è pari al tasso di riferimento maggiorato di almeno otto punti percentuali”.<br />

Il tasso di riferimento è, per gli Stati membri che adottano l’Euro, “il tasso<br />

di interesse applicato dalla Banca centrale europea alle sue più recenti<br />

operazioni di rifinanziamento principali”, o “il tasso di interesse marginale<br />

risultante dalle procedure di appalto a tasso variabile per le più recenti operazioni<br />

di rifinanziamento principali della Banca centrale europea”; mentre,<br />

per gli altri Stati, “il tasso equivalente fissato dalle rispettive banche centrali”<br />

(art. 2, par. 7).<br />

Agli artt. 3 e 4 della Direttiva 2011/7 viene operata una dicotomia fra le<br />

transazioni riguardanti le imprese e quelle intercorrenti fra imprese e pubbliche<br />

amministrazioni: si tratta in realtà di una partizione più che altro di<br />

ordine sistematico, visto che condizioni per l’applicazione degli interessi di<br />

mora, senza necessità di sollecito, sono in entrambi i casi, da un lato, che il<br />

creditore abbia adempiuto agli obblighi contrattuali e di legge; dall’altro,<br />

che il creditore non abbia ricevuto nei termini l’importo dovuto e il ritardo<br />

sia imputabile al debitore: nulla di nuovo rispetto a quanto già previsto dalla<br />

direttiva 2000/35 ( 3 ).<br />

feriori a 5 EUR”. Il decreto di recepimento italiano ne riproduceva le sole lettere a) e c) in seno<br />

all’art. 1, lettere a) e b). Tale scelta parve “coerente con la finalità della direttiva”, a detta di<br />

De Marzo, Ritardi di pagamento nei contratti tra imprese: l’attuazione della disciplina comunitaria,<br />

cit., p. 1159, il quale poneva in rilievo che “i debiti oggetto di procedure concorsuali non<br />

vengono onorati nei termini per le esigenze della procedura finalizzata a ripartire le risorse disponibili<br />

tra i creditori, e non per l’inadempimento del debitore, ormai privato dell’amministrazione<br />

e della disponibilità dei propri beni”.<br />

( 3 )Per un raffronto con la vigente disciplina, si noti che l’art. 3 del d.lgs. 231/2002 esonera<br />

il debitore dall’obbligo di corrispondere gli interessi moratori previsti dagli articoli 4 e 5 del<br />

decreto stesso, soltanto nel caso in cui “dimostri che il ritardo nel pagamento del prezzo è stato<br />

determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.<br />

La formulazione, fondando l’obbligo in parola sull’inadempimento colpevole del debitore,<br />

sembrerebbe escluderne la colpa limitatamente ai casi in cui l’impossibilità finanziaria sia do-


OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 451<br />

Come già previsto dalla “sorella maggiore” del 2000, il creditore ha diritto<br />

agli interessi di mora a decorrere dal giorno successivo alla data di scadenza<br />

o alla fine del periodo di pagamento contrattualmente stabilito, oppure,<br />

in mancanza:<br />

– “trenta giorni di calendario dal ricevimento da parte del debitore della<br />

fattura o di una richiesta equivalente di pagamento”;<br />

– “se non vi è certezza sulla data di ricevimento della fattura o della richiesta<br />

equivalente di pagamento, trenta giorni di calendario dalla data di<br />

ricevimento delle merci o di prestazione dei servizi”;<br />

– “se la data in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di<br />

pagamento è anteriore a quella del ricevimento delle merci o della prestazione<br />

dei servizi, trenta giorni di calendario dalla data di ricevimento delle<br />

merci o di prestazione dei servizi”;<br />

– “se la legge o il contratto prevedono una procedura di accettazione o di<br />

verifica diretta ad accertare la conformità delle merci o dei servizi al contratto<br />

e se il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento<br />

anteriormente o alla stessa data dell’accettazione o della verifica, trenta<br />

giorni di calendario da tale data”.<br />

In quest’ultimo caso, poi, la procedura di accettazione o verifica non potrà<br />

avere una durata superiore a trenta giorni dalla data di ricevimento delle<br />

merci o di prestazione dei servizi, “se non diversamente concordato espressamente<br />

nel contratto e purchè ciò non sia gravemente iniquo per il creditore”<br />

(art. 3, par. 4).<br />

Nelle transazioni fra imprese e pubbliche amministrazioni i termini di<br />

pagamento coincidono con quelli fissati per i rapporti fra imprese, con l’aggiunta,<br />

al paragrafo 4 dell’art. 4, della facoltà in capo agli Stati membri di<br />

prorogare i termini di cui al paragrafo 3, lettera a) dello stesso articolo (che<br />

vuta ad eventi straordinari e imprevedibili, o il ritardo sia ascrivibile ad altri impedimenti non<br />

evitabili con la dovuta diligenza: in questo senso, De Marzo, Ritardi di pagamento nei contratti<br />

tra imprese: l’attuazione della disciplina comunitaria, cit., p. 1160; Scotti, op. cit.,p. 614,<br />

sottolinea come l’esonero dall’obbligo in capo al debitore consegua, stando alla lettera del disposto,<br />

solamente ai casi di impossibilità oggettiva della prestazione riconducibili a “esemplificazioni<br />

accademiche o scolastiche”. La dottrina si mostra concorde nel ritenere il debitore<br />

franco dall’obbligo di corresponsione degli interessi moratori previsti dal decreto in esame,<br />

quando abbia validamente e fondatamente opposto al creditore l’eccezione di inadempimento<br />

ai sensi dell’art. 1460 c.c. (inadimplenti non est adimplendum), o l’eccezione di compensazione<br />

che estingue i crediti reciproci: così De Marzo, op. loc. ult. cit., il quale evidenzia come<br />

la direttiva all’art. 3, primo comma, lett. c) condizionasse la debenza degli interessi di mora all’adempimento<br />

da parte del creditore degli obblighi contrattuali e legali, requisito non riprodotto<br />

testualmente dal nostro legislatore, ma da ritenersi egualmente sussistente.


452 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

riproducono testualmente quelli già elencati per le transazioni fra imprese),<br />

fino ad un massimo di sessanta giorni nei seguenti casi:<br />

a) “qualsiasi amministrazione pubblica che svolga attività economiche<br />

di natura industriale o commerciale offrendo merci o servizi sul mercato e<br />

che sia soggetta, come <strong>impresa</strong> pubblica, ai requisiti di trasparenza di cui alla<br />

direttiva 2006/111/CE della Commissione, del 16 novembre 2006, relativa<br />

alla trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro<br />

imprese pubbliche e alla trasparenza finanziaria all’interno di talune imprese”;<br />

b) “enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria e che siano stati debitamente<br />

riconosciuti a tal fine”.<br />

In caso di proroga dei termini lo Stato membro dovrà trasmettere alla<br />

Commissione una relazione su tale proroga entro il 16 marzo 2018.<br />

Merita attenzione il fatto che per le transazioni fra imprese e p.a. sia<br />

espressamente previsto, all’art. 4, par. 3 lett. b), che la data di ricevimento<br />

della fattura non possa essere soggetta ad un accordo contrattuale fra debitore<br />

e creditore: previsione assente nelle relazioni fra imprese.<br />

Non solo. Nelle transazioni fra imprese è prevista, senza bisogno di alcun<br />

sollecito, l’applicazione degli interessi di mora, a differenza di quanto<br />

avviene nelle transazioni fra imprese e pubbliche amministrazioni, in cui<br />

trovano applicazione (parimenti in via automatica) i, diversi, interessi legali<br />

di mora ( 4 ).<br />

( 4 ) Sulla decorrenza automatica degli interessi si veda Sesana, Gli interessi di mora “automatici<br />

”: ratio legis ed implicazioni di bilancio e fiscali in Riv. dott. comm., 2003, p. 293. Sempre<br />

sul tema della decorrenza degli interessi si può notare come sia stata conservata anche dalla<br />

nuova direttiva la casistica già divisata dalla precedente, nonché dal d.lgs. 231/2002 in vigore:<br />

emerge la duplice previsione volta a disciplinare tanto il caso in cui il dies a quo sia certo, tanto<br />

quello in cui risulti incerto. A questo riguardo, in seno all’elaborazione dottrinale sulla vigente<br />

normativa di recepimento, è stato osservato (Scotti, op. cit.,p. 617 ) come il legislatore<br />

utilizzerebbe in modo improprio l’espressione “data certa”, non avendo in mente la nozione<br />

di cui all’art. 2704 c.c., ma intendendo “data provata”. Nel caso in cui la data di ricevimento<br />

della fattura o richiesta equivalente di pagamento non sia “certa”, nel senso chiarito, l’autore<br />

prospetta tre possibilità. La prima, in cui non si riesca ad accertare la data precisa di ricevimento,<br />

ammesso in ogni caso come avvenuto da parte del debitore: in tal caso ritiene non vi<br />

siano particolari problemi, essendo pacifica l’avvenuta ricezione, e che gli interessi decorrano<br />

“dopo trenta giorni dalla data di ricevimento riconosciuta”. La seconda, in cui il creditore non<br />

riesca a provare la trasmissione della fattura al debitore, il quale, dal canto suo, non ammetta<br />

di averla ricevuta: in tal caso, quando il creditore l’abbia effettivamente emessa e debitamente<br />

inserita nelle proprie scritture contabili, scatterà la regola dissuasiva della lettera b) che fa<br />

scadere il termine trenta giorni dopo il ricevimento dei beni o della prestazione dei servizi,<br />

scoraggiando eventuali pratiche dilatorie e scorrette della parte debitrice. La terza possibilità


OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 453<br />

Per quanto attiene poi al tasso di interesse applicabile, esso è fissato in<br />

misura eguale tanto nelle transazioni fra imprese quanto fra queste e le<br />

pubbliche amministrazioni: è quello in vigore il 1° gennaio per il primo semestre<br />

dell’anno di riferimento ed il 1° luglio per il secondo semestre.<br />

I paragrafi di chiusura degli artt. 3 e 4, rispettivamente aventi ad oggetto<br />

le transazioni fra imprese e quelle fra imprese e pubbliche amministrazioni,<br />

contemplano, argomentando a contrario, la derogabilità dei termini di pagamento<br />

stabiliti dalla direttiva in esame.<br />

Al paragrafo 5 dell’art. 3 si legge, infatti, che “gli Stati membri assicurano<br />

che il periodo di pagamento stabilito nel contratto non superi sessanta<br />

giorni di calendario, se non diversamente concordato espressamente nel<br />

contratto e purché ciò non sia gravemente iniquo per il creditore ai sensi<br />

dell’articolo 7”.<br />

Diversamente recita il paragrafo 6 dell’art. 4, a mente del quale “gli Stati<br />

membri assicurano che il periodo di pagamento stabilito nel contratto<br />

non superi il termine di cui al paragrafo 3, se non diversamente concordato<br />

espressamente nel contratto e purché ciò sia oggettivamente giustificato<br />

dalla natura particolare del contratto o da talune sue caratteristiche, e non<br />

superi comunque sessanta giorni di calendario”.<br />

Partendo dall’ultimo caso, relativamente alle transazioni fra le imprese<br />

e le pubbliche amministrazioni, si osserva come la derogabilità della regula,<br />

stabilita analiticamente al paragrafo 3 dell’art. 4, conosca una triplice barriera:<br />

una prima, più debole, rappresentata dalla pattuizione espressa nel contratto;<br />

una seconda, apparentemente più resistente, individuata nella oggettiva<br />

giustificabilità in relazione alle peculiarità del singolo contratto; infine<br />

una terza, più seriamente “ostruttiva”, segnata dalla preclusione ineludibile<br />

dei sessanta giorni.<br />

contempla, infine, l’ipotesi in cui la fattura in effetti non sia stata emessa. Posto il fatto che accanto<br />

alla fattura è stata affiancata una “equivalente richiesta di pagamento”, l’autore osserva<br />

come la Relazione governativa richiedesse, quale presupposto essenziale per la decorrenza<br />

del termine legale, il ricevimento della fattura o richiesta di pagamento, escludendo, dunque,<br />

a contrario, l’applicabilità dei termini previsti dal decreto, in assenza di fattura, quando prescritta<br />

dalla legge tributaria. Tuttavia non ritiene tale soluzione rispondente allo spirito di tutela<br />

del creditore che permea il decreto, tanto più che quest’ultimo non può, a suo dire, “aver<br />

avuto l’effetto di sovvertire la vigente disciplina ordinaria, che non condiziona affatto all’assolvimento<br />

delle prescrizioni tributarie l’azionabilità civilistica dei crediti commerciali e la loro<br />

esigibilità”, dovendosi, invece, ritenere ragionevole la “persistenza di tale ordinario regime<br />

di decorrenza e misura degli interessi sulle prestazioni pecuniarie fatturande e non fatturate,<br />

tanto più che l’art. 11, comma 2, d.lgs. n. 231 del 2002 e l’art. 6, comma 2, della direttiva fanno<br />

salve le vigenti disposizioni più favorevoli al creditore”.


454 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Non sfuggirà, infatti, come la seconda delle condizioni di derogabilità,<br />

postulando la necessità di una motivazione seppur “oggettiva”, connessa<br />

cionondimeno alla specificità della natura o di talune caratteristiche del<br />

contratto, si presti piuttosto facilmente a manipolazioni: si deve tenere a<br />

mente, infatti, che uno dei soggetti coinvolti è la p.a., con tutte le conseguenze<br />

che l’identità stessa del contraente riverbera sulla “persuasività” in<br />

sede di conclusione, ma anche e soprattutto di esecuzione del contratto.<br />

Non a caso la previsione della direttiva, sulla scorta delle considerazioni<br />

svolte al considerando 23, ha introdotto una barriera preclusiva, costituita<br />

dal tetto dei sessanta giorni, assente nei rapporti fra imprese private, ove il<br />

limite invalicabile resta la grave iniquità a nocumento del creditore.<br />

Il maggior rigore applicato nei rapporti privato-pubblica amministrazione<br />

si giustificherebbe, alla luce dei rilievi svolti al menzionato considerando<br />

23 della direttiva, secondo cui la posizione delle pubbliche amministrazioni<br />

risulterebbe ontologicamente privilegiata a monte, stante la maggiore certezza,<br />

prevedibilità e continuità nei flussi di entrate, nonché il diverso e migliore<br />

trattamento nella domanda di liquidità. Last but not least, “per raggiungere<br />

i loro obiettivi, le pubbliche amministrazioni dipendono meno<br />

delle imprese dall’instaurazione di relazioni commerciali stabili”: la conseguenza<br />

di tutti questi fattori porterebbe a concludere che tempi lunghi e ritardi<br />

nei pagamenti da parte delle p.a. sarebbero tanto più ingiustificati<br />

quanto più gravosi per le imprese.<br />

Il paragrafo 5 dell’art. 3, invece, relativo alle transazioni fra imprese, circoscrive<br />

la derogabilità pattizia all’ipotesi in cui l’accordo non risulti gravemente<br />

iniquo per il creditore.<br />

Tale limite si incontra già nel considerando 13 della direttiva, ove al tetto<br />

dei sessanta giorni, fissato “di regola” per i contratti fra imprese, si affianca<br />

l’eccezione ravvisata in quelle circostanze in cui le imprese abbiano una ragione<br />

per applicare termini più lunghi, come nel caso, indicato a titolo<br />

esemplificativo, in cui esse intendano concedere credito commerciale ai<br />

propri clienti.<br />

A questo punto non è chi non veda come il termine di sessanta giorni<br />

venga svuotato di qualunque valenza precettiva, rimanendo in concreto la<br />

più ampia libertà nella determinazione del periodo di pagamento, col solo<br />

argine estremo della grave iniquità per il creditore.<br />

3. – Le clausole e prassi gravemente inique<br />

L’art. 7 della direttiva, rubricato “Clausole contrattuali e prassi inique”<br />

statuisce che “una clausola contrattuale o una prassi relativa alla data o al


OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 455<br />

periodo di pagamento, al tasso dell’interesse di mora o al risarcimento per i<br />

costi di recupero non possa essere fatta valere oppure dia diritto a un risarcimento<br />

del danno qualora risulti gravemente iniqua per il creditore” ( 5 ).<br />

Gli indici di valutazione in ordine alla sussistenza della grave iniquità di<br />

una clausola o di una prassi sono individuati, oltre che nelle generiche circostanze<br />

del caso, in modo puntuale ai casi elencati al paragrafo 1:<br />

alla lettera a) “qualsiasi grave scostamento dalla corretta prassi commerciale,<br />

in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza”;<br />

alla lettera b) “la natura del prodotto o del servizio”;<br />

alla lettera c) “se il debitore abbia qualche motivo oggettivo per derogare<br />

al tasso d’interesse di mora legale, al periodo di pagamento di cui all’arti-<br />

( 5 )A mente dell’articolo 7, primo comma, del d.lgs. 231/2002 “l’accordo sulla data di pagamento,<br />

o sulle conseguenze del ritardato pagamento, è nullo se, avuto riguardo alla corretta<br />

prassi commerciale, alla natura della merce o dei servizi oggetto del contratto, alla condizione<br />

dei contraenti ed ai rapporti commerciali tra i medesimi, nonché ad ogni altra circostanza,<br />

risulti gravemente iniquo in danno del creditore”, dovendosi per tale ritenere, ai sensi<br />

del secondo comma, “l’accordo che, senza essere giustificato da ragioni oggettive, abbia come<br />

obiettivo principale quello di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore,<br />

ovvero l’accordo con il quale l’appaltatore o il subfornitore principale imponga ai propri<br />

fornitori o subfornitori termini di pagamento ingiustificatamente più lunghi rispetto ai termini<br />

di pagamento ad esso concessi”. Il riferimento all’inesistenza di motivi obiettivi per disattendere<br />

la disciplina legale è contenuto nell’art. 3, par. 3 della precedente direttiva, riprodotto<br />

nel secondo comma dell’art. 7 del decreto legislativo 231/2002, che ripropone altresì le stesse<br />

indicazioni del considerando n. 19 della 2000/35. La norma vigente intende controbilanciare<br />

l’autonomia delle parti, concessa a scapito dell’inderogabilità dei limiti fissati, tanto sul fronte<br />

del termine di pagamento quanto su quello del saggio degli interessi, attraverso la previsione<br />

di una nullità parziale, accompagnata da un meccanismo integrativo più articolato di<br />

quello divisato dall’art. 1419, secondo comma del codice. È stato in tal modo tradotto nel nostro<br />

sistema l’obiettivo dell’art. 3, par. 3, della direttiva 2000/35, teso a neutralizzare l’accordo<br />

“gravemente iniquo”. L’utilizzo di questa espressione, in particolare, sarebbe stato frutto di<br />

una specifica opzione lessicale del legislatore, con la quale si sarebbe volutamente evitato di<br />

adottare una terminologia evocativa di altri istituti, quali, in particolare, l’eccessiva onerosità<br />

di cui all’art. 1467 c.c., o la rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. Sul primo versante, come<br />

adeguatamente motivato dalla Relazione governativa, il legislatore di recepimento avrebbe<br />

scelto di mantenere inalterata la scelta lessicale della direttiva comunitaria, riferita agli accordi<br />

“gravemente iniqui”, per scongiurare qualunque suggestione interpretativa tesa a ricollegare<br />

la fattispecie in questione con il rimedio dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, che non<br />

riguarda un abuso originario di un contraente a scapito della controparte, ma un fatto successivo<br />

alla stipulazione del contratto che ne alteri il sinallagma. La Relazione esclude altresì<br />

qualunque collegamento con l’istituto della rescissione per lesione, che pure ha in comune<br />

con la fattispecie in oggetto il fatto di riferirsi ad un vizio genetico incidente sull’equilibrio del<br />

rapporto, suscettibile di essere corretto con la reductio ad aequitatem, a causa della sua incompatibilità<br />

con la rilevabilità d’ufficio, contemplata, invece, dalla norma in esame.


456 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

colo 3, paragrafo 5, all’articolo 4, paragrafo 3, lettera a), all’articolo 4, paragrafo<br />

4, e all’articolo 4, paragrafo 6, o all’importo forfettario di cui all’articolo<br />

6, paragrafo 1”.<br />

Il parallelo con la direttiva del 2000 è inevitabile: l’impronta, come accennato,<br />

risulta evidente, anche se non mancano le differenze.<br />

Anzitutto l’aspetto sistematico: la direttiva 2011/7 riserva una specifica sedes<br />

materiae (articolo 7) alla descrizione delle fattispecie, alle circostanze relative<br />

alla sua valutazione, alle conseguenze ed agli strumenti di contrasto. Diversamente,<br />

la direttiva 2000/35 inseriva la disciplina delle clausole o prassi<br />

gravemente inique in seno a quella, analitica, relativa agli interessi moratori.<br />

In secondo luogo, a fronte della precisa formulazione adottata dalla<br />

nuova direttiva per definire l’oggetto delle clausole o prassi soggette alla valutazione<br />

in termini di grave iniquità, la “sorella maggiore” parlava, invece,<br />

più genericamente, di “accordo sulla data del pagamento o sulle conseguenze<br />

del ritardo di pagamento”.<br />

In entrambe è presente l’invito all’adozione da parte degli Stati membri<br />

di idonei mezzi di contrasto, a tutela dei creditori e della concorrenza, così<br />

come il riferimento all’attribuzione, in capo alle organizzazioni titolari di<br />

un riconoscimento ufficiale di legittimo interesse, della legittimazione a<br />

rappresentare le piccole e medie imprese, nell’art. 3, par. 5, della dir.<br />

2000/35, e le imprese in generale, ai sensi dell’art. 7, par. 5, della 2011/7.<br />

Per la nuova direttiva poi le clausole o prassi gravemente inique non<br />

possono essere fatte valere o danno diritto al risarcimento del danno; nella<br />

precedente, in aggiunta, era contemplata, in esito al positivo accertamento<br />

sulla loro sussistenza, l’applicazione dei termini legali o, in alternativa, la riconduzione<br />

del contratto ad equità ad opera del giudice nazionale (art. 3,<br />

par. 3, della 2000/35): precisazione omessa dalla 2011/7 ( 6 ).<br />

( 6 ) Ai sensi del terzo comma dell’art. 7 del d.lgs. 231/2002 “il giudice, anche d’ufficio, dichiara<br />

la nullità dell’accordo e, avuto riguardo all’interesse del creditore, alla corretta prassi<br />

commerciale ed alle altre circostanze di cui al comma 1, applica i termini legali ovvero riconduce<br />

ad equità il contenuto dell’accordo medesimo”. Il legislatore, dunque, non prevede l’automatica<br />

e indefettibile sostituzione dei termini fissati dall’accordo gravemente iniquo con la<br />

disciplina legale (intesa, chiaramente, come quella introdotta dal decreto), ma attribuisce al<br />

giudice il potere-dovere di applicare, a seconda delle circostanze indicate dal combinato disposto<br />

del primo e terzo comma, ora i termini legali ora una misura diversa che sia in grado di<br />

“ricondurre l’accordo su data di pagamento e conseguenze del ritardo nei termini di un equilibrato<br />

componimento di interessi” (in questi termini De Marzo, op. cit.,p. 1162, il quale sottolinea<br />

come la norma faccia espressamente riferimento alla “corretta” prassi commerciale,<br />

dovendosi pertanto escludere “un acritico recepimento delle pratiche negoziali correnti, che<br />

potrebbero essere il frutto di un generalizzato abuso della libertà contrattuale”).


OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 457<br />

La nuova direttiva, al paragrafo 2 dell’articolo 7, statuisce che la clausola<br />

contrattuale o la prassi che escludano l’applicazione di interessi di mora debbano<br />

considerarsi gravemente inique; il paragrafo 3 postula analoga presunzione<br />

in capo a quelle che escludano il risarcimento dei costi di recupero,<br />

previsto dall’art. 6: si deve notare come nel primo caso la grave iniquità venga<br />

sancita ipso facto, mentre nel secondo caso sia soltanto presunta.<br />

Questa differenza, tutt’altro che trascurabile, pone la diversa valutazione<br />

già operata al considerando 28, ove si legge: “qualsiasi clausola contrattuale<br />

o prassi che si discosti gravemente dalla corretta prassi commerciale e<br />

sia in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza dovrebbe<br />

essere considerata iniqua per il creditore. In particolare, l’esclusione<br />

esplicita del diritto di applicare interessi di mora dovrebbe essere sempre<br />

considerata come gravemente iniqua, mentre l’esclusione del diritto al risarcimento<br />

dei costi di recupero dovrebbe essere presunta tale”. Tale divaricazione<br />

riflette la distinzione fra presunzione iuris et de iure e iuris tantum,<br />

con il corollario dell’impossibilità di fornire prova contraria nel primo caso.<br />

Tale disparità, a prima vista sospetta, se si pone mente alle finalità della<br />

direttiva, può essere giustificata solo alla luce della preoccupazione circa l’aleatorietà<br />

dei costi di recupero, che deve evidentemente aver messo sulla<br />

difensiva un legislatore comunitario sempre teso alla difesa della parte debole<br />

e pur sempre così combattuto dal timore di pagare lo scotto di una<br />

eventuale overprotection.<br />

La debacle è ancor più imbarazzante se si pensa che, sul piano pratico,<br />

sono proprio questi costi ad incentivare le pratiche dilatorie, quando non<br />

quelle di insolvenza, da parte di molti operatori sul mercato, forti per l’appunto<br />

della carica dissuasiva che tali costi rappresentano per un soggetto<br />

non necessariamente “debole”. Si tratta infatti di costi spesso molto ingenti<br />

(in relazione ovviamente all’entità del credito) e sempre certi, in contrapposizione<br />

all’incertezza dell’esito delle procedure di recupero. Questa pericolosa<br />

alea condiziona pesantemente il buon andamento del mercato, assai<br />

più che la carica dissuasiva, pur rispettabile, degli interessi di mora. Quantunque<br />

le fattispecie indicate abbiano tutto l’aspetto di una sorta di black list,<br />

cionondimeno, poi, la presunzione di grave iniquità in capo alla clausola<br />

o prassi volta ad escludere l’applicazione di interessi di mora, a ben guardare,<br />

stride con il contenuto del considerando 16, secondo cui la direttiva “non<br />

dovrebbe obbligare un creditore ad esigere interessi di mora”.<br />

Quest’ultima indicazione è altresì in contrasto con quanto predicato dal<br />

considerando 12, ove, accanto alla riflessione sul fatto che i ritardi nei pagamenti<br />

“costituiscono una violazione contrattuale resa finanziariamente attraente<br />

per i debitori nella maggior parte degli Stati membri dai bassi livelli


458 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

dei tassi degli interessi di mora applicati o dalla loro assenza e/o dalla lentezza<br />

delle procedure di recupero”, campeggia il proclama sulla necessità di<br />

“un passaggio deciso verso una cultura dei pagamenti rapidi, in cui, tra l’altro,<br />

l’esclusione del diritto di applicare interessi di mora sia sempre considerata<br />

una clausola o prassi contrattuale gravemente iniqua, per invertire<br />

tale tendenza e per disincentivare i ritardi di pagamento”.<br />

Il contrasto, più apparente che reale, è probabilmente il frutto del costante<br />

tentativo di contemperare opposte esigenze: l’autonomia contrattuale<br />

da un lato, e la tutela della parte debole dall’altro. Tale bilanciamento, come<br />

quello di altri interessi, viene spesso operato attraverso indicazioni generiche<br />

e prescrizioni volutamente elastiche; ma ancor più spesso, purtroppo,<br />

con un lessico affrettato e dunque foriero di equivoci (per nostra, seppur<br />

magra, consolazione, non solo da parte del legislatore italiano).<br />

4. – Orizzonti di recepimento ed attuazione<br />

Nella prospettiva dell’attuazione da parte del legislatore nazionale, non<br />

si può non ripartire dal già menzionato d.lgs. 231 del 2002, utile sopratutto<br />

per almanaccare sui punti più critici nella trasposizione ed ancor più nella<br />

concreta applicazione della disciplina.<br />

Ad incominciare dal problema della clausola o prassi gravemente iniqua:<br />

l’impossibilità di far valere entrambe si è tradotta, come si è già avuto<br />

modo di osservare, nella sanzione della nullità, comminata dal nostro legislatore<br />

nazionale.<br />

Una nullità parziale ( 7 ), in relazione a cui il terzo comma dell’art. 7 del<br />

decreto attribuisce al giudice il potere di sostituire le clausole dichiarate<br />

nulle, perché gravemente inique in danno del creditore, con altre che riproducano<br />

i termini legali, piuttosto che una misura diversa, ritenuta idonea alla<br />

reductio ad aequitatem ( 8 ): tale potere ha suscitato alcune perplessità in<br />

dottrina, che ne ha definito l’esercizio “inconsueto”, stante la diversità fra<br />

mero rilievo e dichiarazione della nullità, data dal fatto che, mentre il primo<br />

varrebbe “solo quale accertamento incidentale conferente ai fini di una pro-<br />

( 7 )Fra gli altri, Conti, Il D.lgs. n. 231/2002 di trasposizione della direttiva sui ritardati pagamenti<br />

nelle transazioni commerciali, in Corr. giur., 2003, p. 115; Pandolfini, La nullità degli<br />

accordi “gravemente iniqui” nelle transazioni commerciali, in Contratti, 2003, p. 501.<br />

( 8 ) In questi termini, Maffeis, op. cit.,p. 628, per il quale il potere-dovere del giudice di<br />

modificare il contratto sarebbe circoscritto solamente alla parte relativa al termine di pagamento<br />

e/o alle conseguenze del suo ritardo (conformemente anche De Cristofaro, Obbligazioni<br />

pecuniarie e contratti d’<strong>impresa</strong>: i nuovi strumenti di “lotta” contro i ritardi nel pagamento<br />

dei corrispettivi di beni e servizi, in Studium iuris, 2003, p. 13).


OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 459<br />

nuncia su di una domanda proposta dalle parti”, la seconda implicherebbe<br />

una vera e propria deroga al principio ne procedat iudex ex officio ( 9 ).<br />

Tuttavia non è sfuggita alla stessa dogmatica l’utilità della soluzione<br />

adottata dal legislatore che, attraverso la dichiarazione d’ufficio, consente di<br />

eludere il sistema di decadenze e preclusioni, che avrebbe impedito alle<br />

parti, una volta decadute dal potere di eccepire e domandare, di sollecitare<br />

un intervento correttivo delle distorsioni dell’autonomia privata.<br />

Certo è che, in assenza dell’impulso di parte, anche i poteri attribuiti al<br />

giudice finiscono con l’essere svuotati di contenuto, stante la difficoltà di individuare<br />

i presupposti per far valere la nullità di un accordo, in assenza di<br />

alcuna collaborazione della parte che subisce l’abuso, attraverso la comprovata<br />

presentazione degli elementi richiesti dal decreto come indici di grave<br />

iniquità dello stesso. Non è raro, infatti, che il creditore accetti obtorto collo<br />

termini di pagamento o tassi di interesse “gravemente iniqui”, pur di mantenere<br />

buoni rapporti con la controparte, soprattutto quando quest’ultima<br />

rappresenti un partner commerciale irrinunciabile. Cionondimeno è apprezzabile<br />

la soluzione adottata dal decreto in oggetto, che permette al creditore<br />

“vessato” di reagire, evitando decadenze e preclusioni, quando possa<br />

o voglia permettersi il lusso di perdere il cliente.<br />

Si direbbe poi che tale nullità debba considerarsi operante indipendentemente<br />

dall’animus nocendi, dal dolo specifico del debitore, in quanto l’espressione<br />

“obiettivo principale” di cui al secondo comma equivarrebbe a<br />

quella “per oggetto o per effetto” diffusa nell’ambito delle discipline di derivazione<br />

comunitaria, sicchè andrebbe considerato, come elemento dequalificante<br />

dell’esercizio di un diritto, che lo renda abusivo, non tanto l’animus<br />

nocendi, quanto piuttosto la contrarietà all’ordine pubblico, nello specifico<br />

caso che ci interessa, all’ordine pubblico economico ( 10 ).<br />

La dogmatica si è inoltre cimentata sul dubbio se, nella disciplina de<br />

( 9 ) Di quest’avviso Scotti, op. cit.,p. 622.<br />

( 10 ) Secondo Bastianon, op. cit.,p. 401, la valutazione sull’iniquità degli accordi ai sensi<br />

dell’art. 7 del decreto in oggetto prescinderebbe dalla valutazione, fra le altre cose, della reale<br />

possibilità per la parte che subisce l’iniquità dell’accordo di reperire alternative soddisfacenti,<br />

in palese contrasto con quanto sostenuto da De Marzo, op. cit.,p. 1162, il quale ricollega la<br />

difficoltà di giudicare la grave iniquità dell’accordo ai problemi operativi riscontrati in relazione<br />

ai parametri di valutazione adottati in ordine alla verifica sulla sussistenza dell’abuso di<br />

dipendenza economica, piuttosto che della gross disparity di cui all’art. 3.10 dei principi UNI-<br />

DROIT. Sull’argomento si vedano, tra gli altri, Timoteo, Nuove regole in materia di squilibrio<br />

contrattuale: l’art. 3.10 dei principi UNIDROIT, in questa rivista, 1997, p. 141; Pontiroli, La<br />

protezione del “contraente debole” nei principles of international commercial contracts di UNI-<br />

DROIT: much ado about nothing, in Giur. comm.,1997, I, p. 566.


460 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

qua, si tratti di nullità assoluta o relativa. Invero, come perspicuamente<br />

messo in rilievo ( 11 ), il tema della legittimazione è diventato assai più ricorrente<br />

di quanto non fosse in passato, allorché il disposto dell’art. 1421 c.c. tagliava<br />

fuori ogni discussione, attraverso la generale previsione secondo cui<br />

“salvo diverse disposizioni di legge, la nullità può essere fatta valere da<br />

chiunque vi ha interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice”.<br />

Recentemente la legittimazione relativa viene sempre più spesso caldeggiata<br />

in ossequio all’interesse della parte protetta, anche se non manca,<br />

al riguardo, lo scetticiscmo della dottrina che sposa la causa della nullità assoluta,<br />

nell’ottica, di interesse pubblico, di garantire la più ampia repressione<br />

del contratto, quando sia contrario all’ordine pubblico ( 12 ).<br />

In questa prospettiva, viene messo in rilievo come la tutela non si incentri<br />

sulla dichiarazione di nullità tout court, ma sulla conservazione del contratto<br />

depurato dalla clausola nulla; per questo motivo non importerebbe tanto l’identità<br />

del soggetto che fa valere la nullità, quanto piuttosto la circostanza per<br />

cui, trattandosi di nullità parziale (questa sì indispensabile per evitare di avvantaggiare<br />

la parte “sbagliata”), il giudice, dichiarata la nullità d’ufficio o su<br />

istanza di parte (sia essa il creditore o il debitore), applicherà i termini legali o<br />

ricondurrà ad equità il contenuto dell’accordo.<br />

( 11 ) Maffeis, op. cit.,p. 629, il quale sottolinea come il proliferare della nullità come strumento<br />

di difesa di una parte (quella contrattualmente più debole, o comunque ritenuta dall’ordinamento<br />

bisognosa di una specifica tutela) abbia condizionato sempre più la valutazione<br />

dell’istituto in termini di nullità relativa, proprio per scongiurare l’eventualità di avvantaggiare<br />

proprio il contraente dal quale la parte debole dovrebbe essere protetta. Si muove in<br />

quest’ottica Roppo, Il contratto, Milano, 2001, p. 843, secondo cui si dovrebbe “considerare la<br />

nullità come relativa, anche in mancanza di espressa qualificazione in tal senso” per i motivi<br />

già esposti, e, in relazione a talune recenti discipline (quali quelle in ambito di multiproprietà<br />

o vendita fuori dai locali commerciali), “anche se le norme tacciono sul punto, sarebbe assurdo<br />

se di queste nullità potesse profittare il venditore, interessato a cancellare il contratto, contro<br />

il compratore interessato invece a conservarlo”. Si veda anche La Spina, La nullità relativa<br />

degli accordi in materia di ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in Rass. dir.<br />

civ., 2003, p. 117.<br />

( 12 ) Gentili, Nullità annullabilità inefficacia (nella prospettiva del diritto europeo), in Contratti,<br />

2003, p. 204, il quale osserva come il fatto che la legittimazione sia assoluta non comporta<br />

che la nullità possa essere fatta valere senza limiti: questa non potrà essere fatta valere<br />

qualora manchi il requisito dell’interesse ad agire, invitando dunque a non “confondere la logica<br />

della legittimazione e quella dell’interesse (concreto)”. Sostiene, invece, che “la legittimazione<br />

assoluta (normalmente propria delle ipotesi codicistiche) non trova ragione esclusiva<br />

nell’interesse individuale di tutte le parti all’accertamento della nullità, interesse che nei<br />

fatti può anche mancare, ma nel suo collegamento con l’ordine pubblico” e dunque sarebbe<br />

“per favorire la più ampia repressione del contratto contrario all’ordine pubblico che la legittimazione<br />

d’uso non subisce restrizioni”.


OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 461<br />

La possibilità per il giudice, dichiarata la nullità, d’ufficio o su istanza di<br />

parte, di decidere d’ufficio nell’ultimo dei due sensi indicati rappresenta un<br />

quid novi rispetto alla disciplina generale della riconduzione ad equità, la<br />

cui applicazione presuppone la domanda di una delle parti (si pensi alla riconduzione<br />

ad equità del contratto rescindibile ai sensi dell’art. 1450 c.c., o<br />

ancora del contratto soggetto a risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta,<br />

secondo quanto disposto dall’art. 1467, terzo comma, c.c.). La riconduzione<br />

ad equità di cui all’art. 7 del decreto in oggetto si distingue altresì,<br />

per lo stesso aspetto, dalla disciplina dettata in materia di gross disparity<br />

dall’art. 3.10 dei Principi Unidroit.<br />

Ulteriore elemento inedito è la circostanza che la riconduzione ad equità<br />

“segua” e “non preceda”, o meglio, “tenga il luogo” della dichiarazione di nullità.<br />

La prima, infatti, non presuppone la seconda, anzi la esclude ( 13 ). In questa<br />

prospettiva, non si tratterebbe di “equità integrativa, cioè di giustizia del<br />

caso concreto”, ma piuttosto “dell’equità come sanzione dello squilibrio,<br />

ispirata all’equilibrio fra le posizioni dei contraenti, all’equo contemperamento<br />

degli interessi in gioco, che nel decreto 231 riflette la corretta prassi<br />

commerciale” ( 14 ).<br />

Un diverso filone interpretativo ha ritenuto che, in seguito alla dichiarazione<br />

di nullità della clausola sulla data di pagamento o sulle conseguenze<br />

del ritardo, il giudice possa sostituirla con lo ius dispositivum ovvero con<br />

un’altra più sfavorevole per il debitore, ma non più favorevole per il creditore<br />

di quanto stabilito dal decreto. Il potere del giudice di modificare la<br />

clausola gravemente iniqua per il creditore incontrerebbe, pertanto, il limite<br />

previsto dal decreto a suo vantaggio, spaziando solo nella fascia compresa<br />

fra i termini stabiliti dall’accordo (e giudicati gravemente iniqui) e quelli<br />

fissati dal decreto (invalicabili a favore del creditore, in quanto indicati come<br />

tetto massimo in suo favore) ( 15 ).<br />

( 13 ) Si è sostenuto (Maffeis, op. cit., pp. 630-631) che l’accostamento della riconduzione<br />

ad equità alla dichiarazione di nullità sarebbe “un’inesattezza che l’interprete deve eliminare”<br />

per evitare possibili fraintendimenti. L’autore maliziosamente sospetta che diversamente “un<br />

giudice che non sappia resistere alle tentazioni che gli offre un legislatore distratto” potrebbe<br />

arrivare ad argomentare che, dovendo la riduzione ad equità precedere e non seguire la nullità,<br />

l’art. 7 vada interpretato “nel senso che la riconduzione ad equità opera su istanza di parte<br />

escludendo la nullità e la conseguente applicazione dei termini legali e che solo in difetto di<br />

istanza di parte opera il rilievo d’ufficio della nullità con la conseguente applicazione dei termini<br />

legali”.<br />

( 14 ) Maffeis, op. loc. cit.<br />

( 15 ) In questo senso De Cristofaro, op. cit.,p. 13, secondo cui il giudice, accertata l’iniquità<br />

dell’accordo, avrebbe “il potere-dovere di modificarne i contenuti, sostituendo le rego-


462 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Secondo un diverso orientamento, invece, il giudice, dichiarata la nullità<br />

dell’accordo gravemente iniquo, può scegliere una misura diversa da<br />

quella stabilita dallo ius dispositivum tanto al di sopra quanto al di sotto della<br />

soglia fissata dal decreto stesso ( 16 ).<br />

Si può infine osservare al riguardo come, a differenza dell’applicazione<br />

della disciplina legale dispositiva che, contenendo già la regola ispirata all’equo<br />

contemperamento degli interessi in gioco, non solleva particolari problemi<br />

interpretativi, la riconduzione ad equità, viceversa, apra la strada a soluzioni<br />

differenti, che non favoriscono di certo l’uniformazione del diritto<br />

privato europeo, come invece auspicato già dalla stessa direttiva 2000/35/<br />

CE e nuovamente dalla 2011/7.<br />

Sempre nell’ottica dell’attuazione merita di essere segnalata, per la portata<br />

innovativa, l’esplicita attenzione, riservata dall’art. 8 della 2011/7, per la<br />

“trasparenza e sensibilizzazione”, con la previsione dell’obbligo, in capo<br />

agli Stati membri, da un lato, di assicurare la diffusione dei contenuti trattati,<br />

attraverso la pubblicità su carta stampata e per via telematica; dall’altro<br />

l’invito espresso a creare “codici di pagamento rapido che prevedano termini<br />

di pagamento chiaramente definiti e un adeguato procedimento per trattare<br />

tutti i pagamenti oggetto di controversia o qualsiasi altra iniziativa che<br />

affronti la questione cruciale dei ritardi di pagamento e contribuisca a sviluppare<br />

una cultura di pagamento rapido, a sostegno dell’obiettivo della<br />

presente direttiva”.<br />

Sia consentito, al riguardo, esprimere le più ampie riserve sul piano pratico,<br />

stante il cuore del problema, a parere di chi scrive, non tanto nel deficit<br />

di informazione o di consapevolezza (avuto riguardo, in particolare, all’identità<br />

dei soggetti cui la disciplina si rivolge, che sono, o quantomeno<br />

avrebbero il dovere di essere, adeguatamente informati in ragione del ruolo<br />

svolto) quanto piuttosto nell’efficacia deterrente delle sanzioni.<br />

Non si raggiungerà facilmente l’obiettivo di edificare una “cultura” dei pagamenti,<br />

come ambiziosamente (o forse ingenuamente) auspicato dall’art. 8<br />

le pattizie con regole diverse e identiche a quelle stabilite dal decreto ovvero meno favorevoli<br />

per il creditore rispetto a quelle dettate dal decreto, ma più sfavorevoli per il debitore rispetto<br />

a quelle contemplate dall’accordo risultato gravemente iniquo”. Questo orientamento<br />

rispecchia quello adottato dalla legge belga di recepimento della direttiva 2000/35/CE, la quale<br />

prevedeva espressamente che il giudice non potesse applicare in via di equità condizioni<br />

più favorevoli per il creditore di quelle previste nella legge.<br />

( 16 ) Secondo Pandolfini, op. cit., p. 501, “il giudice, nel ricondurre ad equità il regolamento<br />

contrattuale, anziché applicare la disciplina legale, potrebbe decidere di applicare una<br />

disciplina ancor più severa di quella legislativa nei confronti del debitore”.


OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 463<br />

della direttiva, fin tanto che la convenienza nell’adozione delle pratiche oggetto<br />

di contrasto supererà di gran lunga la dissuasività delle sanzioni, a causa, da<br />

un lato, dell’elasticità del momento precettivo, che si presta ad eccessive zone<br />

d’ombra in cui la tassatività della regula fissata dalla disciplina cede inesorabilmente<br />

terreno all’autonomia negoziale; dall’altro, alla durata delle tempistiche,<br />

all’ammontare dei costi di recupero e soprattutto all’aleatorietà sugli esiti:<br />

non è un mistero che, molto spesso, tali fattori, unitamente alle reali prospettive<br />

di soddisfazione del credito, scoraggino i creditori dall’intraprendere<br />

qualunque iniziativa atta a far valere le proprie legittime pretese, a fronte di un<br />

elevato rischio di nuova ed ulteriore esposizione (quando si tratta di crediti di<br />

modesta entità non è anzi infrequente che il creditore preferisca precludersi il<br />

recupero o tolleri un soddisfacimento “in tempi biblici”, piuttosto che adire<br />

l’Autorità giudiziaria, sopportandone i relativi costi, al fine di ottenere un titolo<br />

esecutivo che, in mancanza di beni da aggredire, non ha alcuna prospettiva<br />

di soddisfacimento, neppure parziale).<br />

Più interessante, invece, la prospettiva del ruolo che potrebbe assumere<br />

la mediazione di cui al considerando 34, che, pur senza risolvere il problema,<br />

può cionondimeno rappresentare un valido strumento di supporto alla<br />

soluzione di controversie che, in mancanza, graverebbero sugli ingranaggi<br />

(in <strong>Italia</strong> già piuttosto appesantiti) della macchina giudiziaria.<br />

Il condizionale è ancora una volta d’obbligo, purtroppo, avuto riguardo<br />

alla morfologia che l’istituto va assumendo nel nostro Paese. A prescindere<br />

dalle aspirazioni de iure condendo, trascorsa l’attuale fase di “collaudo”, affronterà<br />

de iure condito il saggio di valutazione sulla reale potenzialità deflattiva<br />

del contenzioso giudiziario, oltre che, e soprattutto, il più severo<br />

esame di idoneità quale strumento di soluzione delle controversie ( 17 ).<br />

Andrea Canavesio<br />

( 17 ) Sono state sollevate numerose (serie e fondate, a parere di chi scrive) riserve sulla efficacia,<br />

ma soprattutto sulla idoneità dell’istituto a dirimere controversie, specie quando particolarmente<br />

complesse. Le perplessità si sono addensate soprattutto sull’identikit del mediatore,<br />

che non offre particolari garanzie né sul piano della preparazione giuridica (un corso da mediatore<br />

professionale non trasforma un individuo che non ha mai visto un codice in vita sua in un<br />

giurista) né sul fronte della serietà ed affidabilità in relazione alla delicatezza del ruolo svolto.<br />

Se a taluno è parso trattarsi di una mera spinta di difesa corporativa, cionondimeno il<br />

dubbio circa l’adeguatezza dell’istituto alla soluzione di questioni giuridiche spesso particolarmente<br />

complesse e delicate resta; così come il fondato timore di consegnare de facto l’amministrazione<br />

della giustizia civile nelle mani di soggetti privi di un indispensabile background<br />

formativo ma, ancor peggio, interessati a non far mai arrivare la controversia nelle aule<br />

di giustizia.


La legge comunitaria 2010<br />

1. – L’articolato del provvedimento legislativo<br />

Il disegno di legge comunitaria 2010 è stato approvato dal Senato nella<br />

seduta del 2 febbraio 2011 (atto Senato 2322-A) e poi, trasmesso alla Camera<br />

dei deputati, ha concluso il 13 aprile in prima lettura il suo iter in Commissione<br />

(atto Camera 4059) ( 1 ).<br />

Il provvedimento, che è stato esaminato congiuntamente alla Relazione<br />

sulla partecipazione dell’<strong>Italia</strong> all’Unione europea relativa all’anno 2009, è<br />

stato modificato nel corso dell’esame al Senato: consta attualmente di diciotto<br />

articoli, suddivisi in due Capi, nonché di due allegati, A e B, i quali<br />

noverano le direttive (rispettivamente quattro nell’allegato A e ventisei direttive<br />

nell’allegato B) da recepire mediante decreti legislativi.<br />

Ciò premesso è opportuno precisare che la struttura del disegno di legge<br />

qui considerato non si discosta molto nelle linee direttrici dalle cinque<br />

precedenti leggi comunitarie.<br />

L’art. 1 conferisce difatti una delega al Governo per l’attuazione delle direttive<br />

comunitarie riportate negli allegati A e B al provvedimento che ci occupa<br />

e stabilisce i termini e le modalità di emanazione dei decreti legislativi<br />

attuativi introducenti normative organiche.<br />

Tra le diverse previsioni dettate dall’art. 1, è importante specificare che l’art.<br />

1, comma 1°, non individua il termine generale per l’esercizio della delega mediante<br />

indicazione di una data fissa o di un periodo uniforme per tutte le direttive<br />

comprese negli allegati succitati, ma introduce un termine flessibile: ciascuna<br />

direttiva elencata negli allegati A e B dovrà essere attuata nel termine di<br />

due mesi antecedenti quello di recepimento previsto dalla direttiva stessa ( 2 ).<br />

Accanto al termine generale flessibile, il comma 1° dispone anche, segnatamente,<br />

in ordine da un lato alle direttive comprese negli allegati A e B<br />

il cui termine di recepimento (individuato nella maniera suddetta) sia già<br />

scaduto ovvero scada nei tre mesi successivi all’entrata in vigore del provvedimento<br />

in esame e, in questo caso, il termine della delega è di tre mesi<br />

dalla data di entrata in vigore della legge comunitaria 2010; dall’altro lato in<br />

ordine alle direttive comprese negli allegati A e B che non prevedono un<br />

( 1 ) Si specifica che a fine maggio – mentre si licenziano le bozze – il disegno di legge è ancora<br />

in stato di relazione.<br />

( 2 ) Anche le ultime tre leggi comunitarie prevedevano un termine flessibile, ma lo facevano<br />

coincidere con il termine di recepimento di ciascuna delle direttive medesime.


OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 465<br />

termine di recepimento e, in questa seconda ipotesi, il termine della delega<br />

è di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge in questione.<br />

L’art. 2 detta poi i princìpi e i criteri direttivi generali della delega legislativa,<br />

in conformità a quanto statuito nelle precedenti leggi comunitarie.<br />

Proseguendo nell’esame del testo, a mente dell’art. 3 del disegno di legge<br />

in commento, viene altresì conferita una delega al Governo per l’introduzione<br />

di un trattamento sanzionatorio per le violazioni di obblighi discendenti<br />

da direttive attuate, ai sensi delle leggi comunitarie vigenti, in via<br />

regolamentare o amministrativa (ossia per via non legislativa) ai sensi delle<br />

leggi comunitarie vigenti; oppure discendenti da regolamenti comunitari<br />

già pubblicati alla data di entrata in vigore della legge comunitaria per i quali<br />

però non siano già previste sanzioni penali o amministrative.<br />

L’art. 4 detta disposizioni circa gli oneri derivanti dalle prestazioni e dai<br />

controlli che gli uffici pubblici sono chiamati a sostenere in applicazione<br />

della normativa comunitaria.<br />

Similmente alla legge comunitaria 2009, l’art. 5 conferisce una delega al<br />

Governo per l’adozione di testi unici o codici di settore delle disposizioni<br />

dettate in attuazione delle deleghe conferite dal disegno di legge in esame<br />

per il recepimento di direttive comunitarie, con lo scopo di coordinare tali<br />

disposizioni con quelle vigenti nelle stesse materie.<br />

L’art. 6 – novellando l’art. 1, comma 409°, legge finanziaria 2006, l. 23 dicembre<br />

2005, n. 266, e successive modificazioni – riformula la disciplina di<br />

alcuni oneri finanziari a carico dei soggetti produttori o distributori di dispositivi<br />

medici (compresi i dispositivi medico-diagnostici in vitro e i dispositivi<br />

su misura).<br />

Degno di particolare nota è l’art. 7 che, inserito durante l’esame del provvedimento<br />

al Senato, interviene modificando il codice del consumo, d. lgs. 6<br />

settembre 2005, n. 206, in punto commercializzazione a distanza di servizi finanziari.<br />

Anzitutto a mente dell’art. 7, comma 1°, lettera a) – novellando l’art. 67-<br />

quinquies, comma 1°, lettera b), c. cons. – si modifica la disciplina delle informazioni<br />

precontrattuali da fornire al consumatore, in particolare quelle relative<br />

al fornitore di servizi finanziari oggetto di commercializzazione( 3 ).<br />

( 3 ) Si tenga a mente che l’art. 67-quater c. cons. precisa quali informazioni devono essere<br />

obbligatoriamente fornite al consumatore nella fase delle trattative e, comunque, prima che<br />

sia vincolato da un contratto a distanza o da un’offerta. Segnatamente le informazioni riguardano<br />

il servizio finanziario offerto, il contratto a distanza, il ricorso e il soggetto fornitore dei<br />

servizi commercializzati. Il contenuto dell’informativa sul fornitore è poi dettagliato dal successivo<br />

art. 67-quinquies c. cons.


466 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

Nella formulazione vigente, il comma 1°, lettera b), art. 67-quinquies<br />

prescrive che l’informativa sul fornitore indichi l’identità del rappresentante<br />

del fornitore stabilito in <strong>Italia</strong> e l’indirizzo geografico rilevante nei<br />

rapporti tra consumatore e rappresentante, quando tale rappresentante<br />

esista. Con la previsione della legge comunitaria in commento si statuisce<br />

che venga resa nota l’identità del rappresentante del fornitore stabilito<br />

nello Stato membro di residenza del consumatore, oltre – come già attualmente<br />

previsto – all’indirizzo geografico rilevante nei rapporti tra consumatore<br />

e rappresentante: la ratio della disposizione si evince dalla natura<br />

intrinseca dei contratti a distanza, dal momento che è anche possibile<br />

che lo Stato membro di residenza del consumatore non coincida con il<br />

territorio italiano.<br />

In seconda battuta l’art. 7, comma 1°, lettera b) interviene sulla casistica di<br />

esclusione dell’applicazione del diritto di recesso in capo al consumatore,<br />

modificando nel dettaglio l’art. 67-duodecies, comma 5°, lettera c) c. cons ( 4 ). Il<br />

comma 5° disciplina proprio le ipotesi di non applicazione del diritto di recesso<br />

e, segnatamente, la vigente formulazione della sua lettera c) dispone<br />

che esso non operi per i contratti interamente eseguiti da entrambe le parti<br />

su esplicita richiesta scritta del consumatore – prima che questi eserciti il<br />

suo diritto di recesso – e per i contratti di assicurazione obbligatoria per i<br />

danni derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, per i<br />

quali si sia verificato l’evento assicurato.<br />

Con la modifica prevista dall’art. 7 della legge comunitaria viene espunto<br />

dalla richiamata lettera c) il riferimento ai contratti di assicurazione obbligatoria<br />

della responsabilità civile per i danni derivanti dalla circolazione<br />

dei veicoli a motore e dei natanti: troverà dunque applicazione la disciplina<br />

sul diritto di recesso del consumatore.<br />

Da ultimo l’art. 7, comma 1°, lettere c) e d) interviene sulla disciplina del<br />

( 4 ) Ai sensi dell’art. 67-duodecies c. cons., infatti, il consumatore può recedere dal contratto,<br />

senza penali e senza dover specificare il motivo, entro quattordici giorni (estesi a trenta<br />

giorni per i contratti a distanza aventi per oggetto le assicurazioni sulla vita e le operazioni<br />

aventi ad oggetto gli schemi pensionistici individuali). Tale termine decorre, alternativamente,<br />

dalla data della conclusione del contratto (tranne nel caso delle assicurazioni sulla vita, per<br />

cui decorre dal momento in cui al consumatore è comunicato che il contratto è stato concluso)<br />

o dalla data in cui il consumatore riceve le condizioni contrattuali e le altre informazioni<br />

di legge, ove la citata data sia successiva alla conclusione del contratto. L’efficacia dei contratti<br />

relativi ai servizi di investimento è sospesa durante la decorrenza del termine previsto per<br />

l’esercizio del diritto di recesso. Se intende recedere, il consumatore è tenuto a inviare apposita<br />

comunicazione scritta al fornitore.


OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 467<br />

pagamento del servizio fornito prima del recesso, novellando rispettivamente<br />

i commi 4° e 5° dell’art. 67-terdecies c. cons ( 5 ).<br />

Il comma 4°, art. 67-terdecies, nella sua attuale formulazione, concede al<br />

fornitore un termine pari a quindici giorni per rimborsare tempestivamente<br />

al consumatore tutti gli importi da questo versatigli in conformità del contratto<br />

a distanza, salvo l’importo del servizio effettivamente prestato prima<br />

del perfezionamento del diritto di recesso. Per effetto del disposto del comma<br />

1°, lettera c), art. 7 ora in esame, il fornitore è obbligato ad effettuare il<br />

rimborso degli importi dovuti in conformità del contratto « quanto prima, e<br />

al più entro trenta giorni ». Il comma 5°, art. 67-terdecies c. cons., nella formulazione<br />

vigente, prescrive invece che il consumatore recedente sia tenuto<br />

altresì – oltre al pagamento del servizio effettivamente prestato – a restituire<br />

qualsiasi bene o importo che abbia ricevuto dal fornitore entro quindici<br />

giorni dall’invio della comunicazione di recesso. Con le modifiche apportate<br />

dalla legge comunitaria 2010 (art. 7, comma 1°, lettera d)), il consumatore<br />

è tenuto a effettuare la restituzione « quanto prima, e al più entro trenta<br />

giorni ».<br />

Continuando l’analisi del testo della legge comunitaria 2010, l’art. 8 reca<br />

i principi e i criteri direttivi per l’attuazione della direttiva 2009/65/CE<br />

(noverata nell’allegato B del provvedimento in discussione) concernente il<br />

coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative<br />

in materia di taluni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari<br />

(cd. OICVM). La presente direttiva rifonde la direttiva sugli organismi<br />

di investimento collettivi in valori mobiliari (OICVM), che era stata<br />

oggetto di numerose modifiche e che richiedeva alcuni miglioramenti. Nel<br />

fissare le norme applicabili a questi organismi, la direttiva del 2009 mira anzitutto<br />

a rendere maggiormente efficiente il mercato dei fondi di investimento.<br />

L’art. 9 riconosce al territorio di « Roma Capitale » la qualifica di livello<br />

( 5 ) L’art. 67-terdecies c. cons. prescrive che il consumatore esercitante il diritto di recesso<br />

paghi solo l’importo del servizio finanziario effettivamente prestato dal fornitore conformemente<br />

al contratto a distanza; l’esecuzione del contratto può iniziare solo previa richiesta del<br />

consumatore. L’importo da pagare non può eccedere un importo proporzionale all’importanza<br />

del servizio già fornito in rapporto a tutte le prestazioni previste dal contratto a distanza e<br />

non deve essere di entità tale da poter costituire una penale. Al fine di esigere il pagamento, il<br />

fornitore deve poter provare che il consumatore è stato debitamente informato dell’importo<br />

dovuto; in nessun caso può esigere tale pagamento se ha dato inizio all’esecuzione del contratto<br />

prima della scadenza del periodo di esercizio del diritto di recesso, senza che vi fosse<br />

una preventiva richiesta del consumatore.


468 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

NUTS 2, nell’ambito della nomenclatura europea delle unità territoriali per<br />

la statistica ( 6 ).<br />

In altro ambito l’art. 10 delega il Governo ad adottare un decreto legislativo<br />

per il riordino della professione di guida turistica, disciplinando i titoli<br />

ed i requisiti per il suo esercizio.<br />

L’art. 11, comma 1°, statuisce la delega per l’attuazione delle direttive<br />

(contenute nell’allegato B del provvedimento in esame) 2009/136/CE e<br />

2009/140/CE in materia di comunicazioni elettroniche ( 7 ). Tra le diverse<br />

previsioni del citato art. 11, va ricordato che il comma 2°, individua gli atti<br />

normativi nazionali destinati ad essere oggetto di modifiche ed integrazioni:<br />

il codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al d. lgs. n. 259 del<br />

2003; il codice in materia di protezione dei dati personali, d. lgs. n. 196 del<br />

2003 e, infine, il d. lgs. n. 269 del 2001 sulle apparecchiature radio ed i terminali<br />

di telecomunicazione.<br />

Meritevole di particolare considerazione è, ancora, l’art. 12 che delega il<br />

Governo ad introdurre il contratto di fiducia nell’ordinamento giuridico nazionale<br />

e, in particolare, ad adottare uno o più decreti legislativi recanti la<br />

disciplina del citato istituto, che si intende inserire nell’ambito del Codice<br />

civile, all’interno del Titolo III (Dei singoli contratti) del Libro IV (Delle Obbligazioni)<br />

( 8 ).<br />

( 6 ) Con l’acronimo NUTS viene indicata la classificazione statistica comune delle unità<br />

territoriali, istituita dal Regolamento CE 1059/2003 al fine di consentire la raccolta, la compilazione<br />

e la diffusione di statistiche regionali armonizzate nella Comunità.<br />

( 7 ) Dir. 2009/136/CE, in G.U.C.E., L 337/11, 18.12.2009 e Dir. 2009/140/CE, in G.U.C.E.,<br />

L 337/37, 18.12.2009. Si tenga a mente che la direttiva 2009/136/CE intende aggiornare il quadro<br />

normativo per le comunicazioni elettroniche in <strong>Europa</strong>. Muovendo in tale direzione essa<br />

modifica sia la direttiva 2002/22/CE relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in<br />

materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica, sia la direttiva 2002/58/CE relativa al<br />

trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni<br />

elettroniche, nonché il regolamento CE 2006/2004 sulla cooperazione tra le autorità nazionali<br />

responsabili dell’esecuzione della normativa a tutela dei consumatori. Allo stesso modo la<br />

direttiva 2009/140/CE interviene sulle tre direttive del cd. “Pacchetto telecom” il quale disciplina<br />

il settore delle comunicazioni elettroniche. Dunque l’atto legislativo europeo da ultimo<br />

citato modifica la direttiva 2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti<br />

ed i servizi di comunicazione elettronica, 2002/19/CE relativa all’accesso alle reti di comunicazione<br />

elettronica e alle risorse correlate, e all’interconnessione delle medesime e, infine,<br />

modifica anche la direttiva 2002/20/CE relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione<br />

elettronica.<br />

( 8 ) Si precisa che la norma in esame riproduce quasi letteralmente l’art. 1 dell’A.S. n.<br />

2284, recante « Delega al Governo per apportare modifiche al codice civile in materia di disciplina<br />

della fiducia e del contratto autonomo di garanzia, nonché modifica della disciplina del-


OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 469<br />

Pertanto con la nuova disciplina dovrà realizzarsi il necessario coordinamento<br />

con le altre disposizioni vigenti anche tributarie (art. 12, comma 2°).<br />

L’introduzione del nuovo istituto giuridico si rende necessaria in considerazione<br />

della crescente domanda di prestazioni legali inerenti operazioni<br />

fiduciarie registrata dal mercato italiano nell’ultimo decennio; una domanda<br />

che si è per lo più tradotta nella ricerca di soluzioni basate sul ricorso all’istituto<br />

del trust, compresa la dibattuta questione – con alcune prime pronunce<br />

di merito affermative – consistente nella possibilità di riconoscere<br />

trust interni, ovvero costituiti da cittadini italiani, con beni situati in <strong>Italia</strong> e<br />

a favore di beneficiari italiani. Tra le previsioni dell’art. 12, il comma 6° prescrive<br />

ulteriori principi e criteri direttivi per l’attuazione della delega entro i<br />

quali conviene anticipare che il legislatore si premura di definire il contratto<br />

di fiducia ( 9 ), la forma per atto pubblico o scrittura privata autenticata a pena<br />

di nullità, nonché gli effetti della separazione patrimoniale, della surrogazione<br />

del fiduciario e dell’opponibilità del contratto ai terzi ed ai creditori<br />

mediante idonee formalità pubblicitarie riguardanti i diritti ed i beni che<br />

costituiscono oggetto della fiducia.<br />

Portando avanti la presentazione del testo della legge comunitaria<br />

2010, è opportuno richiamare ancora due norme. L’art. 15, inserito durante<br />

l’esame del provvedimento al Senato, prevede specifici principi e criteri<br />

direttivi per il recepimento della direttiva 2010/23/UE che modifica la<br />

direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore<br />

aggiunto per quanto concerne l’applicazione facoltativa e temporanea del<br />

meccanismo dell’inversione contabile (cd. reverse charge) alla prestazione<br />

di determinati servizi a rischio di frodi ( 10 ). L’art. 16 poi contiene disposizioni<br />

in materia di trasferimenti all’interno dell’Unione europea di prodotti<br />

per la difesa in una nuova logica di semplificazione amministrativa e<br />

organizzativa, come pure di responsabilizzazione delle imprese operanti<br />

nel settore.<br />

l’adempimento, della clausola penale, della conclusione del contratto e del codice del consumo<br />

in materia di disciplina del credito al consumo », assegnato alla Commissione Giustizia il<br />

3 agosto 2010 ed il cui esame non risulta ad oggi ancora iniziato.<br />

( 9 ) Ovvero il contratto con cui il fiduciante trasferisce diritti, beni o somme di denaro specificamente<br />

individuati in forma di patrimonio separato ad un fiduciario che li amministra, secondo<br />

uno scopo determinato, anche nell’interesse di uno o più beneficiari determinati o determinabili.<br />

( 10 ) Sul tema si tornerà nel paragrafo che segue. Tuttavia conviene rammentare sin d’ora<br />

che il reverse charge è un meccanismo di inversione contabile, ai sensi del quale l’obbligo di<br />

versamento dell’imposta è trasferito all’acquirente, se soggetto passivo IVA, in luogo del cedente<br />

o prestatore.


470 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

2. – Le direttive oggetto di delega al Governo per l’attuazione<br />

Nel testo del provvedimento in discussione sono trenta le direttive alla<br />

cui attuazione il Governo è delegato dalla legge comunitaria 2010 e, come<br />

già accennato, quattro si trovano nell’allegato A e ventisei nell’allegato B ( 11 ).<br />

Tra le direttive da recepire con decreto legislativo meritano particolare<br />

menzione alcuni atti normativi contenuti nell’allegato B, poiché di quelle<br />

noverate dall’allegato A conviene in questa sede soffermarsi sulla sola direttiva<br />

2009/106/CE che prevede disposizioni specifiche in merito alla produzione,<br />

alla composizione e all’etichettatura dei succhi di frutta e di altri<br />

prodotti analoghi ( 12 ): in questo modo s’intende adeguarsi alla norma del<br />

Codex Alimentarius (norma Codex 247-2005), adottata nel 2005 dalla Commissione<br />

internazionale del Codex (nato dall’attività congiunta della FAO e<br />

della WHO).<br />

Delle ventisei direttive comprese invece nell’allegato B già ci siamo in<br />

parte occupati nel paragrafo precedente, conviene tuttavia rammentare ancora<br />

la direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni<br />

e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini<br />

di paesi terzi il cui soggiorno nell’Unione europea è irregolare. La direttiva<br />

citata introduce un divieto generale di impiego di cittadini di paesi terzi il<br />

cui soggiorno è appunto irregolare, allo scopo di contrastare il fenomeno<br />

dell’immigrazione illegale, stabilisce inoltre norme minime comuni relative<br />

alle sanzioni e ai provvedimenti applicabili negli Stati membri verso i datori<br />

di lavoro che violano tale divieto (fatta salva dunque la facoltà, per i singoli<br />

Stati membri, di mantenere o introdurre norme più rigorose) ( 13 ).<br />

In altro ambito la direttiva 2009/109/CE modifica le direttive 77/91/CEE,<br />

78/855/CEE, 82/891/CEE, nonché la direttiva 2005/56/CE, con lo scopo di<br />

ridurre gli obblighi informativi e documentali a carico delle società coinvolte<br />

in processi di fusione e scissione. Per soddisfare esigenze di semplificazione,<br />

l’atto europeo in oggetto consente, tra le altre previsioni, che le società<br />

possano ad esempio essere esonerate da alcuni obblighi di redazione<br />

documentale, oppure effettuare gli adempimenti di pubblicità legale relativi<br />

ai progetti di fusione, di scissione e agli altri documenti da rendere disponibili<br />

ai soggetti interessati tramite pubblicazione degli stessi sul web (nel si-<br />

( 11 ) Gli allegati A e B si distinguono per il fatto che solo il secondo prevede una procedura<br />

– per così dire – « aggravata », siccome in relazione agli schemi dei decreti legislativi di recepimento<br />

è richiesto il parere dei competenti organi parlamentari.<br />

( 12 ) Dir. 2009/106/CE, in G.U.C.E., L 212/42, 15 agosto 2009.<br />

( 13 ) Cfr. artt. 3 e 4, Dir. 2009/52/CE, in G.U.C.E., L 168/24, 30 giugno 2009.


OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 471<br />

to della società medesima ovvero altro sito web designato a tale scopo dagli<br />

Stati membri) e l’invio di copia via posta elettronica, purché siano soddisfatte<br />

le garanzie di integrità e autenticità dei medesimi atti e documenti ( 14 ).<br />

Degna di nota altresì la direttiva 2009/162/UE che modifica varie disposizioni<br />

dell’importante direttiva 2006/112/CE (contenuta nelle legge comunitaria<br />

2007) relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto per<br />

introdurvi degli adeguamenti di carattere tecnico. Da una prima lettura<br />

d’insieme si deduce che le maggiori innovazioni sono state introdotte con<br />

riguardo alle disposizioni relative all’importazione e al luogo di tassazione<br />

delle cessioni di gas e di energia elettrica ( 15 ). Nella medesima direzione<br />

muove la direttiva 2010/23/UE di cui si occupa, come visto, l’art. 15 delle<br />

legge comunitaria in esame: il documento europeo modifica ancora la richiamata<br />

direttiva 2006/112/CE sul sistema comune di imposta sul valore<br />

aggiunto per quanto concerne l’applicazione facoltativa e temporanea del<br />

meccanismo dell’inversione contabile alla prestazione di determinati servizi<br />

a rischio di frodi. Segnatamente l’atto normativo in questione persegue il<br />

fine di autorizzare gli Stati membri a prevedere che, per le operazioni comportanti<br />

cessioni di beni o prestazioni di servizi imponibili effettuate nell’ambito<br />

del sistema per lo scambio di quote ed emissioni di gas a effetto<br />

serra nell’Unione europea (come disciplinato dalla direttiva 2003/87/CE),<br />

l’obbligo di versare l’IVA spetti al soggetto al quale sono trasferite le quote<br />

di emissioni e non, come di norma previsto, al soggetto passivo che effettua<br />

l’operazione ( 16 ).<br />

Interessante inoltre la direttiva 2010/18/UE che attua l’accordo-quadro<br />

sul congedo parentale concluso il 18 giugno 2009 ed integrante la revisione<br />

del precedente accordo-quadro del 14 dicembre 1995. Il documento europeo<br />

in commento abroga la direttiva 96/34/CE la quale attuò il richiamato<br />

accordo del 1995. Particolare attenzione merita il fine di guardare « alle modalità<br />

per migliorare ulteriormente la conciliazione di vita professionale, vita<br />

privata e vita familiare e, in particolare, la legislazione comunitaria vigente<br />

in tema di protezione della maternità e congedo parentale, nonché alla<br />

possibilità di introdurre nuove forme di congedo per ragioni familiari » ( 17 ).<br />

Oltre a ciò è opportuno ricordare la direttiva 2010/24/UE sull’assistenza<br />

reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da dazi, imposte ed al-<br />

( 14 ) V. Considerando n. 4-10, Dir. 2009/109/CE, in G.U.C.E., L 259/14, 2 ottobre 2009.<br />

( 15 ) Cfr. Considerando n. 2, 5 e 6, Dir. 2009/162/UE, in G.U.C.E., L 10/14, 15 gennaio 2010.<br />

( 16 ) Così art. 1, Dir. 2010/23/UE, in G.U.C.E., L 72/1, 20 marzo 2010.<br />

( 17 ) Cfr. Considerando n. 4, Dir. 2010/18/UE, in G.U.C.E., L 68/13, 18 marzo 2010.


472 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 1-2011<br />

tre misure, tesa a eliminare misure di protezione discriminatorie adottate in<br />

relazione alle operazioni transfrontaliere volte a prevenire frodi e perdite di<br />

bilancio, nonché mirante a favorire una reale assistenza reciproca, facilitando<br />

lo scambio di informazioni tra gli Stati membri ( 18 ).<br />

La direttiva 2010/30/UE invece istituisce un quadro per l’armonizzazione<br />

delle misure nazionali sull’informazione degli utilizzatori finali, realizzata<br />

in particolare mediante etichettatura e informazioni uniformi sul prodotto,<br />

sul consumo di energia e, se del caso, di altre risorse essenziali durante<br />

l’uso nonché informazioni complementari per i prodotti connessi all’energia,<br />

in modo che gli utilizzatori finali possano scegliere prodotti più<br />

efficienti ( 19 ).<br />

Inoltre la direttiva 2010/41/UE persegue lo scopo di applicare il principio<br />

della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un’attività<br />

lavorativa autonoma o contribuiscono all’esercizio della stessa attraverso<br />

alcuni previsioni nodali quali la tutela della maternità e la protezione<br />

dei diritti relativi alla condizione di madre o padre dei lavoratori autonomi<br />

e dei coniugi che li assistono ( 20 ).<br />

Infine si deve richiamare la direttiva 2010/53/UE che si inserisce nel<br />

processo di rafforzamento della cooperazione tra gli Stati membri, previsto<br />

dal Piano di azione per la donazione e il trapianto di organi (2009-2015)-<br />

( 18 ) V. Considerando n. 5, Dir. 2010/24/UE, in G.U.C.E., L 84/1, 31 marzo 2010, secondo<br />

cui « norme più chiare favorirebbero un più ampio scambio di informazioni tra gli Stati membri.<br />

Assicurerebbero inoltre la copertura di tutte le persone fisiche e giuridiche nell’Unione,<br />

tenendo conto della gamma sempre crescente di istituti giuridici, inclusi non solo gli istituti<br />

tradizionali quali trust e fondazioni, ma anche qualsiasi nuovo strumento che possa essere<br />

creato dai contribuenti negli Stati membri. Esse permetterebbero altresì di tener conto di tutte<br />

le forme che possono assumere i crediti delle autorità pubbliche derivanti da imposte, dazi,<br />

contributi, restituzioni e interventi, inclusi tutti i crediti pecuniari nei confronti del contribuente<br />

interessato o di terzi che sostituiscono il credito originario. Norme più chiare sono necessarie<br />

soprattutto per definire meglio i diritti e gli obblighi di tutti i soggetti interessati ».<br />

( 19 ) Così il Considerando n. 3, Dir. 2010/30/UE, in G.U.C.E., L 153/1, 18 giugno 2010, a<br />

mente del quale si nota che « le conclusioni della presidenza del Consiglio europeo dell’8 e 9<br />

marzo 2007 hanno sottolineato la necessità di aumentare l’efficienza energetica nell’Unione<br />

in modo da conseguire l’obiettivo di ridurre del 20% il consumo energetico dell’Unione entro<br />

il 2020 e fissato obiettivi per lo sviluppo delle energie rinnovabili in tutta l’Unione e la riduzione<br />

delle emissioni di gas ad effetto serra, caldeggiando l’attuazione rigorosa e rapida dei<br />

settori chiave individuati nella comunicazione della Commissione del 19 ottobre 2006 dal titolo<br />

“Piano d’azione per l’efficienza energetica: concretizzare le potenzialità”. Il piano d’azione<br />

metteva in risalto le enormi opportunità di risparmio energetico nel settore dei prodotti ».<br />

( 20 ) In particolare cfr. Considerando n. 1, 3 e 4, Dir. 2010/41/UE, in G.U.C.E., L 180/1, 15<br />

luglio 2010.


OSSERVATORIO SULL’ATTUAZIONE IN ITALIA DEL DIRITTO EUROPEO 473<br />

COM (2008) 819 def ( 21 ). Il documento legislativo delimita un importante<br />

quadro comune relativo alle norme di qualità e sicurezza degli organi di origine<br />

umana destinati al trapianto nel corpo umano. Non si applica al sangue,<br />

ai componenti sanguigni, alle cellule e ai tessuti umani, agli organi, ai<br />

tessuti e alle cellule di origine animale.<br />

Rossana Pennazio<br />

( 21 ) Il menzionato Piano di azione per la donazione e il trapianto di organi (2009-2015)-<br />

COM (2008) 819 def. è consultabile in lingua italiana al seguente indirizzo www.parlamento.it/web/docuorc2004.nsf/PerDataNew2_Parlamento/9DA67E3956CFA5CCC125751A0036D33.


Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia<br />

Diretto da Francesco Galgano<br />

Aldo Frignani – Marco Torsello<br />

Il contratto internazionale<br />

Diritto Comparato e Prassi Commerciale<br />

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Seconda edizione<br />

pp. XXVIII-1072<br />

ISBN 978-88-13-30037-1 e 110,00<br />

A distanza di vent’anni esce la seconda edizione: sono cambiati i formanti (legislativo,<br />

giurisprudenziale, dottrinale), la famiglia giuridica degli ordinamenti dei Paesi socialisti<br />

è scomparsa, la prassi dei contratti internazionali si è ulteriormente raffinata, avvicinando<br />

così modelli che prima sembravano incompatibili; la lex mercatoria ha continuato<br />

la sua espansione, generando una moltitudine di fonti persuasive; in <strong>Europa</strong> c’è<br />

un gran fermento per armonizzare il diritto dei contratti.<br />

La prospettiva di studio dei contratti internazionali e di ciascun istituto è comparatistica:<br />

si parte dal diritto italiano (con riferimenti a fonti legislative, giurisprudenziali e<br />

dottrinali, e attenzione costante alla prassi) per allargare l’orizzonte d’indagine ad altre<br />

jurisdictions, esperienze e modelli e, più in particolare, quegli ordinamenti che, per l’accessibilità<br />

delle fonti, per l’influenza e la circolazione dei loro modelli e la rilevanza sul<br />

piano degli interscambi economici, risultano significativi. Vengono analizzati in primo<br />

luogo gli ordinamenti degli Stati membri dell’Unione Europea, dell’EFTA e degli Stati<br />

Uniti. Prendendo le mosse dall’analisi comparata degli ordinamenti nazionali, lo sforzo<br />

è stato quello di condurre un’indagine su un piano transnazionale dando rilevanza alle<br />

convenzioni di diritto uniforme applicabili ai contratti internazionali, nonché alle grandi<br />

iniziative che tendono a far emergere principi o regole comuni del commercio internazionale<br />

sia a livello di unioni di Stati che oltre le stesse. Non si tratta di un’analisi statica,<br />

ma di una ricerca delle “radici” delle regole attuali che traccia i percorsi di circolazione<br />

dei modelli dall’uno all’altro ordinamento. La trattazione è divisa sostanzialemente<br />

in due parti: una sul contratto in generale e i suoi grandi problemi ed una sui singoli<br />

contratti. Sono stati aggiunti dei capitoli sui singoli contratti mentre è stata staccata<br />

la parte sull’arbitrato commerciale internazionale (oggetto del vol. XXXIII di questo<br />

Trattato). Per il diritto italiano e dell’Unione europea il volume è aggiornato a giugno<br />

2010. Non si tratta di un trattato “teorico”, ma di un volume adatto anche a studenti universitari,<br />

tesisti, a chi frequenta i masters, a ricercatori, avvocati e giuristi d’<strong>impresa</strong>: per<br />

tale motivo molto spazio è dedicato alla prassi contrattualistica internazionale, con<br />

molti suggerimenti per la redazione dei contratti e note di puro riferimento, utili ad<br />

orientare il lettore verso una ricerca specifica su un determinato tema. Gli indici, analitico<br />

e delle fonti, sono molto estesi, avendo la funzione di indicare al giovane ricercatore<br />

o all’avvocato non solo dove un argomento è trattato ex professo, ma dove un istituto<br />

o concetto è richiamato, con le rispettive fonti.<br />

In vendita nelle migliori librerie, presso i nostri centri di documentazione<br />

e distribuzione e sul sito www.cedam.com


Condizioni di abbonamento<br />

L’abbonamento decorre dal 1 o gennaio e scade il 31 dicembre successivo. In<br />

ipotesi il cliente sottoscriva l’abbonamento nel corso dell’anno la scadenza è<br />

comunque stabilita al 31 dicembre del medesimo anno: in tal caso l’abbonato<br />

sarà tenuto al pagamento dell’intera annata ed avrà diritto di ricevere gli arretrati<br />

editi nell’anno prima dell’inizio dell’abbonamento.<br />

L’abbonamento si intenderà tacitamente rinnovato per l’anno successivo in assenza<br />

di disdetta da comunicarsi almeno 30 giorni prima della scadenza del 31<br />

dicembre, esclusivamente a mezzo lettera raccomandata a.r.<br />

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un mese dal ricevimento del fascicolo successivo. Decorso tale termine saranno<br />

spediti contro rimessa dell’importo.<br />

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I Suoi recapiti postali e il Suo indirizzo di posta elettronica saranno utilizzabili, ai sensi<br />

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VACY – Centro Direzionale Milanofiori Strada 1-Palazzo F6, 20090 Assago (MI), o inviando<br />

un Fax al numero: 02.82476.403.


<strong>Contratto</strong> e <strong>impresa</strong> / <strong>Europa</strong> è uno strumento di<br />

analisi critica e di informazione selettiva sulla progressiva<br />

creazione di un diritto civile e commerciale<br />

europeo.<br />

Punto di riferimento privilegiato resta – in continuità<br />

con la rivista <strong>Contratto</strong> e <strong>impresa</strong> – il diritto privato<br />

comune, ma il campo di osservazione si allarga<br />

all’<strong>Europa</strong>: l’attenzione è principalmente rivolta<br />

all’evoluzione del diritto comunitario e alla sua attuazione<br />

in <strong>Italia</strong>, alle esperienze legislative e giurisprudenziali,<br />

nonché alle prassi contrattuali, dei diversi<br />

Paesi europei, che confluiscono nella costruzione<br />

di un mercato unico.<br />

Sullo sfondo si colloca la cultura giuridica europea,<br />

che sollecita una ricerca delle sue radici comuni ed<br />

una analisi dei suoi elementi di differenziazione,<br />

terreno sul quale si misura l’opera di armonizzazione<br />

del diritto privato in <strong>Europa</strong>.<br />

Ne curano la direzione Francesco Galgano e Marino<br />

Bin (direttori), con Gianmaria Ajani, Guido Alpa,<br />

Paolo Auteri, Aldo Berlinguer, Fabio Bortolotti, Franco<br />

Ferrari, Paolo Mengozzi, Bruno Nascimbene, Alberto<br />

Santa Maria, Giuseppe Sbisà, Antonio Tizzano<br />

(comitato di direzione).<br />

Segreteria di redazione: Ilaria Riva (capo-redattore),<br />

Ilaria Zorino.<br />

Redazione italiana: Ermenegildo Mario Appiano,<br />

Roberto Calvo, Paolo L. Carbone, Alessandro Ciatti,<br />

Lucia Delogu, Luciano Di Via, Paolo Fergola, Edoardo<br />

Ferrante, Andrea Fusaro, Paolo Gaggero, Paola<br />

Gelato, Enrico Gentile, Paolo Lombardi, Valentina<br />

Maglio, Paola Manes, Alessandro Mantelero, Paolo<br />

Martinello, Cristina Martinetti, Pieralberto Mengozzi,<br />

Donato Nitti, Daniela Pappadà, Rossana Pennazio,<br />

Fabio Alberto Regoli, Monica Togliatto, Fabio<br />

Toriello, Marco Venturello.<br />

Redazione di Bruxelles: Aldo Berlinguer (responsabile),<br />

Filippo Amato, Daniele Domenicucci, Mario<br />

Filipponi, Fabio Filpo, Alessandra Franchi, Alessandra<br />

Fratini, Francesco Liberatore, Francesco Meggiolaro,<br />

Maurizio Pappalardo, Mattia Pellegrini,<br />

Laura Pignataro, Antonio Preto, Mario Todino, Paolo<br />

Vergano.<br />

Redazione di Madrid: Manuel Ignacio Feliu Rey<br />

(responsabile), Claudio Ghigi, Maria José Morillas<br />

Jarillo, Teresa Rodriguez de las Heras. Con la collaborazione<br />

di Rafael Illescas Ortiz.<br />

Redazione di Münster: André Janssen (responsabile),<br />

Ingo Saenger, Martin Weitenberg.<br />

Redazione di Parigi: Fabrizio Marrella (responsabile),<br />

Dominique Carreau, Philippe Delebecque,<br />

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Gli Indici generali di <strong>Contratto</strong> e <strong>impresa</strong> e <strong>Contratto</strong> e<br />

<strong>impresa</strong>/<strong>Europa</strong> vengono pubblicati in via telematica<br />

sul sito www.cedam.com/aggiornamenti.aspx.<br />

Direzione e redazione italiana hanno sede in Via<br />

Susa n. 31 - 10138 Torino (tel. 011/4330533 - fax<br />

011/4330518 – E-mail: contrattoe<strong>impresa</strong>_europa@hotmail.com).<br />

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