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Pedagogia Speciale - Università degli Studi della Repubblica di San ...

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Prof. Andrea Canevaro<br />

<strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong><br />

1° Sezione


A cura <strong>di</strong> prof. Andrea Canevaro<br />

Sezione prima<br />

La pedagogia speciale<br />

1. L’azione sociale ed educativa per le persone han<strong>di</strong>cappate<br />

1.1 Un <strong>di</strong>ritto per tutti<br />

1.2 Contro l’esclusione<br />

1.3 Un’educazione verso un’integrazione sociale<br />

1.4 Un mondo <strong>di</strong>viso<br />

1.5 Conclusioni<br />

2. Come uscire dalle istituzioni totali, senza <strong>di</strong>struggerle ma aprendole a nuova vita<br />

2.1 Cosa inten<strong>di</strong>amo per istituzioni totali<br />

2.2 La valorizzazione dell’istituzione e il superamento <strong>della</strong> totalità<br />

2.3 Diversi luoghi e <strong>di</strong>versi tempi<br />

2.4 Nuove offerte, nuove occasioni<br />

2.5 Conclusioni<br />

3. La pedagogia speciale , la ricerca, la documentazione<br />

3.1 La pedagogia speciale e la specificità <strong>della</strong> sua <strong>di</strong>mensione<br />

3.2 I compiti <strong>della</strong> pedagogia speciale nella realtà o<strong>di</strong>erna<br />

3.3 I rischi che la pedagogia speciale può incontrare<br />

3.4 La necessità <strong>della</strong> documentazione<br />

3.5 Scheda per le proposte riabilitative<br />

4. Le ragioni dell’integrazione<br />

4.1 Evitare un’educazione isolata<br />

4.2 Un’educazione ed una <strong>di</strong>dattica interattiva<br />

4.3 Autorità e fonte dell’insegnamento non coincidono<br />

4.4 Importanza dei “sistemi <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione”<br />

Verifiche


L'AZIONE SOCIALE ED EDUCATIVA PER LE PERSONE<br />

HANDICAPPATE<br />

1.1. Un <strong>di</strong>ritto per tutti<br />

Dobbiamo partire da una affermazione ampia e molto chiara. Tutti i bambini e tutte le bambine<br />

hanno <strong>di</strong>ritto ad un'educazione. Tutti gli in<strong>di</strong>vidui, uomini e donne, hanno il <strong>di</strong>ritto a una vita la più<br />

libera possibile. Tutti gli in<strong>di</strong>vidui hanno dei <strong>di</strong>ritti e dei doveri. Un in<strong>di</strong>viduo con ridotte capacità,<br />

dovute a un deficit, non perde nessuno dei suoi <strong>di</strong>ritti e nessuno dei suoi doveri. E' quello che viene<br />

chiamato anche il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>nanza. All'interno <strong>di</strong> questa affermazione dobbiamo più<br />

attentamente riferirci alla situazione <strong>di</strong> chi cresce avendo dei bisogni particolari. La sensibilità <strong>di</strong><br />

questi anni ha permesso <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere il deficit, come un danno irreversibile, e gli svantaggi o<br />

han<strong>di</strong>cap intesi come possibili barriere - ostacoli, che l'in<strong>di</strong>viduo incontra e che possono essere<br />

ridotti ma anche aumentati. Possono essere annullati ma anche ingigantiti, <strong>di</strong>ventare sempre più<br />

numerosi. Chi nasce con una <strong>di</strong>fferenza dovuta a un deficit ha bisogno certamente <strong>di</strong> attenzioni<br />

particolari. Si può ragionare secondo due logiche: una risponde all'esigenza <strong>di</strong> avere un luogo dove<br />

accogliere e raccogliere tutti coloro che hanno un certo deficit. Facciamo un esempio: per chi nasce<br />

o <strong>di</strong>venta cieco, secondo questa logica, vi deve essere un luogo, un istituto, in cui vengono a<br />

trovarsi tutti coloro che sono ciechi. Un altro istituto accoglierà e raccoglierà coloro che sono sor<strong>di</strong>,<br />

un altro istituto accoglierà e raccoglierà coloro che hanno delle lesioni cerebrali, e quin<strong>di</strong> hanno<br />

delle ridotte possibilità motorie, e forse <strong>di</strong> linguaggio, ed altri luoghi ancora accoglieranno secondo<br />

delle categorie <strong>di</strong> deficit. Vi saranno però anche luoghi che non potranno avere le persone con un<br />

deficit perché dovranno accogliere persone che hanno più deficit, vengono anche definiti pluri -<br />

han<strong>di</strong>cappati. In questa logica chi ha dei bisogni particolari deve andare in un posto, quin<strong>di</strong> deve<br />

cambiare la sua casa, deve abbandonare la sua famiglia, non piò più vivere nel suo contesto e deve<br />

raggiungere il luogo tecnicamente attrezzato per rispondere ai suoi bisogni.<br />

L'altra logica si muove invece per raggiungere, con le risposte adeguate, ogni in<strong>di</strong>viduo laddove<br />

vive, nel suo contesto familiare, scolastico, sociale, culturale. In questo caso non si tratta tanto <strong>di</strong><br />

categorizzare, cioè far entrare un in<strong>di</strong>viduo in una categoria particolare, quanto <strong>di</strong> analizzare i suoi<br />

bisogni e cercare <strong>di</strong> rispondere a ciascuno <strong>di</strong> questi bisogni nel modo più adeguato e personalizzato.<br />

Questa seconda logica non fa ricorso a <strong>degli</strong> istituti ma fa ricorso a delle tecniche che devono<br />

integrarsi all'ambiente.<br />

La prima logica ha avuto una storia molto importante e tuttora è praticata in molti paesi del mondo.<br />

Ma in molti paesi del mondo vi è anche un desiderio <strong>di</strong> rivedere questa logica e <strong>di</strong> capirne i limiti,<br />

che sono emersi soprattutto con le critiche fatte da stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> ogni parte del mondo che hanno<br />

messo soprattutto in luce un rischio, quello dell'esclusione. Qualcuno ha parlato <strong>di</strong> istituzioni totali,


cioè <strong>di</strong> luoghi che dovrebbero rispondere a tutte le esigenze <strong>di</strong> un in<strong>di</strong>viduo, escludendolo però,<br />

nello stesso tempo, dalla partecipazione alla società più ampia. I rischi delle istituzioni per<br />

categorie, i rischi <strong>degli</strong> istituti, sono molto noti anche a chi lavora, o ha lavorato, all'interno <strong>di</strong> questi<br />

istituti, e quin<strong>di</strong> è dall'interno che sono comprensibili le esigenze <strong>di</strong> superarli. Educatrici ed<br />

educatori, specialisti che lavorano all'interno <strong>di</strong> istituti, testimoniano le <strong>di</strong>fficoltà a stabilire dei<br />

progetti in<strong>di</strong>vidualizzati. Segnalano costantemente il rischio dell'anonimato, ossia <strong>della</strong> <strong>di</strong>fficoltà a<br />

rispondere alle esigenze personali perché la prevalenza è la risposta alle esigenze dell'istituzione. I<br />

gusti nell'abbigliamento, nel mangiare, nei ritmi <strong>di</strong> vita non possono essere totalmente lasciati alla<br />

scelta in<strong>di</strong>viduale perché l'istituto non sarebbe in grado <strong>di</strong> rispondere a queste scelte, a un'ampia<br />

gamma <strong>di</strong> possibilità. Un istituto che abbia un elevato numero <strong>di</strong> ospiti deve avere una cucina che<br />

prepara un pasto, non può quin<strong>di</strong> consentire una grande varietà <strong>di</strong> scelta dei cibi. Questo sarebbe<br />

poco pratico, molto costoso e rischierebbe <strong>di</strong> creare un'enorme confusione, anziché‚ dei benefici. Lo<br />

stesso esempio si può rifare parlando dei <strong>di</strong>vertimenti, delle attitu<strong>di</strong>ni ad imparare qualcosa e<br />

naturalmente <strong>degli</strong> abiti, <strong>della</strong> possibilità <strong>di</strong> curare i propri interessi culturali e sociali. Molte volte<br />

proprio coloro che hanno de<strong>di</strong>cato la loro attività professionale all'istituto si sono resi conto <strong>di</strong> come<br />

l'istituto con<strong>di</strong>zioni e livelli al ribasso le persone che sono ospiti. Già educatori ed educatrici del<br />

secolo scorso segnalavano il rischio che i gran<strong>di</strong> istituti mo<strong>della</strong>ssero uno stereotipo<br />

dell'insufficiente mentale, del paraplegico, dell'emiplegico, del sordo, del cieco.<br />

Uno stereotipo, vale a <strong>di</strong>re un ritratto che si riproduce un po' per tuffi. Ed allora si poteva pensare<br />

che l'insufficienza mentale <strong>della</strong> sindrome <strong>di</strong> Down, o Trisomia 21, caratterizzasse in maniera<br />

talmente forte tutti coloro che erano affetti da tale sindrome da renderli tutti uguali. In realtà era la<br />

vita dell'istituto che rendeva gli insufficienti mentali tuffi uguali. Non appena gli istituti hanno<br />

assunto delle aperture verso le attività esterne si è potuto constatare come ciascuno <strong>degli</strong><br />

insufficienti mentali, così come dei ciechi, dei sor<strong>di</strong> e <strong>degli</strong> altri han<strong>di</strong>cappati, avesse la sua<br />

caratteristica in<strong>di</strong>viduale. Le <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> genere, il maschile, il femminile, sono state riconosciute<br />

come elementi importanti del riconoscimento dell'in<strong>di</strong>viduo. E la logica che portava a raccogliere<br />

tutti coloro che avevano dei bisogni in un solo luogo ha cominciato ad essere vista come una logica<br />

rischiosa, se non ad<strong>di</strong>rittura pericolosa.<br />

Ma non è semplice abbandonarla e non è semplice <strong>di</strong>re, e soprattutto realizzare, l'altra logica.<br />

Sarebbe profondamente sbagliato considerare le competenze accumulate negli istituti come non più<br />

necessarie. Sono invece necessarie ma devono trovare una nuova <strong>di</strong>mensione ed una nuova<br />

valorizzazione. Vi sono esempi, e anche molti, <strong>di</strong> istituti che, anziché‚ accogliere e raccogliere tutti<br />

dentro le loro mura, si sono aperti ed hanno permesso alle competenze dei loro tecnici, delle loro<br />

educatrici, dei loro educatori, <strong>di</strong> raggiungere le se<strong>di</strong> in cui vivono gli in<strong>di</strong>vidui: famiglie, scuole,


lavoro. Vi sono istituti che si sono trasformati in centri <strong>di</strong> servizi aperti alla società. Centro <strong>di</strong><br />

servizio significa possibilità che le competenze <strong>di</strong>ventino tali da raggiungere altri luoghi e da<br />

costituire un elemento complementare all'azione educativa e sociale <strong>di</strong> tutti i luoghi <strong>della</strong> vita.<br />

Questa seconda logica è importante, è <strong>di</strong>fficile, ma è possibile. E' possibile lavorando al<br />

riconoscimento <strong>di</strong> competenze complementari, non più totali: la competenza <strong>di</strong> un genitore non è<br />

sufficiente quando c'è un bambino o una bambina che ha dei bisogni particolari.<br />

Ma neanche la competenza dello specialista è sufficiente. Le due competenze devono incontrarsi,<br />

devono lavorare insieme, <strong>di</strong>alogare. Ed è questo il punto principale <strong>di</strong> una prima realizzazione del<br />

riconoscimento dei <strong>di</strong>ritti.<br />

1.2 Contro l’esclusione<br />

Bisogna chiarire che essere han<strong>di</strong>cappato non significa automaticamente essere escluso dalla<br />

società. Bisogna chiarire: nel senso che occorrono dei gesti, delle pratiche sociali, che permettano <strong>di</strong><br />

riconoscere questo principio il più possibile nella quoti<strong>di</strong>anità. Dobbiamo poter incontrare, nella<br />

vita, le persone han<strong>di</strong>cappate. Escluderle significa non poterle mai incontrare, perché‚ sono<br />

segregate anche, a volte, con delle motivazioni che sembrano tecniche, scientifiche. La<br />

segregazione, l'esclusione, non possono essere il modo <strong>di</strong> trattare le persone han<strong>di</strong>cappate. Occorre<br />

pensare che una <strong>di</strong>sabilità non equivale automaticamente a miseria, marginalità. Bisogna, non solo<br />

per amore <strong>della</strong> precisione delle parole ma soprattutto per amore <strong>della</strong> giustizia e <strong>della</strong> realizzazione<br />

<strong>di</strong> una buona educazione sociale, permettere <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere fra han<strong>di</strong>cappati e deficit, han<strong>di</strong>cap<br />

come svantaggio e deficit come danno irreversibile; e avere una malattia non e l'equivalente<br />

dell'essere han<strong>di</strong>cappato. Vi possono essere persone han<strong>di</strong>cappate in piena salute e che si<br />

ammalano; vi può essere una persona con sindrome <strong>di</strong> Down che si ammala e poi guarisce.<br />

Riconoscere la possibilità <strong>di</strong> ammalarsi significa curare la buona salute <strong>di</strong> una persona<br />

han<strong>di</strong>cappata, non trascurarla. La <strong>di</strong>stinzione tra essere han<strong>di</strong>cappato e essere ammalato è <strong>di</strong><br />

fondamentale importanza. Può essere importante capire la cattiva con<strong>di</strong>zione, ad esempio, dei denti<br />

e <strong>della</strong> bocca <strong>di</strong> una persona con lesione cerebrale in con<strong>di</strong>zioni fisiche permanentemente <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>versità rispetto agli altri. Se la sua <strong>di</strong>versità comprende anche la trascuratezza, evidentemente noi<br />

consideriamo il monoblocco <strong>della</strong> sua <strong>di</strong>sabilità e <strong>della</strong> sua possibile malattia. E questo<br />

inevitabilmente peggiora molto le situazioni. Quante volte, in passato, anche illustri personaggi<br />

<strong>della</strong> storia dell’educazione e <strong>della</strong> me<strong>di</strong>cina hanno considerato elementi comprensivi <strong>della</strong><br />

situazione <strong>di</strong> han<strong>di</strong>cap stati che potevano essere <strong>di</strong> passaggio, perché sarebbero stati da considerare<br />

piuttosto come malattia. Vi sono poi delle confusioni che portano all'esclusione, fatte mettendo<br />

insieme una <strong>di</strong>versità, dovuta a un deficit, con <strong>degli</strong> elementi morali. In passato vi è stata una<br />

letteratura anche autorevole che ha considerato l'insufficienza mentale come una con<strong>di</strong>zione in cui


potevano essere più frequenti le perversioni sessuali, non prendendo affatto in considerazione le<br />

con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita in cui vivevano gli insufficienti mentali. Era la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> vita <strong>di</strong> reclusione ed<br />

esclusione che poteva favorire dei comportamenti sessuali che allora venivano detti perversi.<br />

Tutte queste confusioni permettono <strong>di</strong> realizzare delle esclusioni molto violente, e a volte vi sono<br />

delle ragioni che sembrano scientifiche. L'esclusione in nome <strong>della</strong> scienza è una delle forme con<br />

cui abbiamo più volte giustificato nostri comportamenti violenti. E tuttora credo che sia molto<br />

opportuno, necessario, interrogarsi su ogni trattamento educativo particolare che noi possiamo<br />

proporre per un soggetto han<strong>di</strong>cappato domandandoci se quel trattamento favorisce la crescita e<br />

l'appartenenza all'umanità o non lo trasforma in oggetto <strong>di</strong> cura. Il passaggio da soggetto a oggetto è<br />

molto facile ed è pericoloso, perché contiene ancora <strong>degli</strong> elementi <strong>di</strong> esclusione e <strong>di</strong> violenza. Il<br />

rapporto tra esclusione e confusione è quin<strong>di</strong> notevole. E bisogna considerare con la massima<br />

attenzione la possibilità che gran<strong>di</strong> strutture <strong>di</strong> ricovero possano essere elementi <strong>di</strong> confusione. -<br />

“Perché questo”- Perché le gran<strong>di</strong> strutture <strong>di</strong> ricovero possono permettere, a volte, <strong>di</strong> considerare<br />

più protetto, al suo interno, un in<strong>di</strong>viduo, un bambino, una bambina, che abbia, ad esempio, delle<br />

<strong>di</strong>fficoltà ad essere sostenuto a casa, per la povertà, la miseria, la scarsità <strong>di</strong> cibo. Il ricovero nel<br />

grande istituto per han<strong>di</strong>cappati può essere il modo per pensare <strong>di</strong> risolvere delle <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong><br />

carattere sociale, economico, ma porta a confondere, porta a entrare in un mondo in cui si rischia <strong>di</strong><br />

perdere la propria identità originale e a essere, come già ho detto, molto simili a uno stereotipo: tutti<br />

si conformano ad un certo stereotipo.<br />

L'interessante, nella storia dell'educazione <strong>degli</strong> han<strong>di</strong>cappati, è stata proprio la continua ricerca <strong>di</strong><br />

uscire dalla confusione che poteva permettere <strong>di</strong> mettere insieme come appartenenti allo stesso,<br />

unico, stereotipo, bambine e bambini abbandonati, bambini con gravi ritar<strong>di</strong> mentali, bambini o<br />

bambine che erano sopravvissuti a violenze, a carestie, e anche bambini, bambine che si erano persi<br />

in epoche <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> spostamenti <strong>di</strong> popolazioni Tutti costoro potevano essere messi nello stesso<br />

luogo che ne faceva <strong>degli</strong> esclusi prima <strong>di</strong> tutto, ma poi potevano essere, anche, considerati<br />

insufficienti mentali. Per un lungo periodo l'insufficienza mentale, chiamata anche con altri termini,<br />

ha rappresentato un quadro confusivo, in cui le <strong>di</strong>fferenze si annullavano e tutto tendeva ad avere un<br />

unico referente in uno stereotipo <strong>di</strong> comportamenti abbandonici, cioè dominati da un senso <strong>di</strong><br />

abbandono, <strong>di</strong> mancanza <strong>di</strong> iniziativa, <strong>di</strong> per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> capacità decisionali, e <strong>di</strong> trasformazioni delle<br />

decisioni in crisi, in ribellioni, ossia in comportamenti che sembravano confermare lo statuto<br />

dell'insufficienza mentale. Era una grande confusione. Nel nostro mondo si è poi fatta strada una<br />

necessità <strong>di</strong> cominciare a capire meglio, e allora i gran<strong>di</strong> ricoveri per l'infanzia hanno cominciato ad<br />

essere luoghi interessanti per stu<strong>di</strong>osi che volevano capire le <strong>di</strong>fferenze, e quello che prima era un<br />

posto in cui il grande stu<strong>di</strong>oso non aveva nessuna attrattiva è cominciato a <strong>di</strong>ventare un luogo in cui


gli stu<strong>di</strong>osi potevano andare per capire meglio l'umanità. I gran<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>osi che l'Ottocento e la<br />

prima metà del Novecento ha messo in contatto con l'esclusione, nei cui luoghi si è avviata<br />

l’elaborazione per uscire dall'esclusione. Occorre capire che dalla stessa esclusione è nato un<br />

movimento scientifico, culturale, che ha cercato <strong>di</strong> rompere l'esclusione e <strong>di</strong> allargare 10 spazio in<br />

cui erano contenute le persone, i bambini, le bambine, ritenute non adatte a stare nella società:<br />

allargare questi spazi e cominciare a capire le <strong>di</strong>fferenze. Questo movimento dura tuttora ed è a<br />

questo movimento che abbiamo la possibilità <strong>di</strong> collegarci per cercare <strong>di</strong> capire in che senso<br />

muovere un'educazione con la tendenza all'integrazione sociale.<br />

1.3. Un'educazione verso un'integrazione sociale<br />

Più o meno in tutto il mondo si sta sviluppando il passaggio dalla logica dell'esclusione alla logica<br />

dell'integrazione. Ogni paese ha la sua storia, incontra le sue <strong>di</strong>fficoltà ma anche le sue risorse,<br />

scopre le capacità <strong>di</strong> realizzare questo passaggio in termini originali. In questa pluralità <strong>di</strong><br />

esperienze che si sta sviluppando in ogni parte del mondo vi possono essere alcuni punti che, senza<br />

nessuna pretesa <strong>di</strong> assoluto, <strong>di</strong>ventano interessanti un poco per tutti. Ciascun paese ha poi la<br />

necessità <strong>di</strong> riformularli e farli propri, secondo le proprie caratteristiche storiche, culturali, e<br />

investendo con le proprie scelte questa più ampia scelta. Quello che provo a fare è sviluppare<br />

l'aspetto del passaggio verso la logica dell'integrazione sociale per punti che, ripeto, possono essere<br />

comuni a molte esperienze che sono nel mondo.<br />

Un primo punto riguarda la prima e la seconda infanzia. Sembra interessante esplorare tutte le<br />

possibilità perché‚ nascano delle esperienze, potremmo pensare a delle esperienze - pilota, oppure<br />

delle esperienze anche estese, che consentano ai bambini e alle bambine han<strong>di</strong>cappate <strong>di</strong> essere<br />

accolti nelle scuole dell'infanzia o nei servizi educativi per la prima e la seconda infanzia. Quando i<br />

ni<strong>di</strong> e le scuole dell'infanzia o materne sono <strong>di</strong>ffuse, è possibile pensare che vi sia accoglienza <strong>di</strong><br />

han<strong>di</strong>cappati. E' possibile farlo secondo criteri che consentano o <strong>di</strong> ridurre il numero <strong>di</strong> presenze dei<br />

bambini o <strong>di</strong> avere, per almeno una buona parte del tempo, un personale educativo supplementare.<br />

Possono essere gli stessi operatori <strong>degli</strong> istituti, istituti specializzati ad avere un <strong>di</strong>stacco parziale<br />

perché‚ partecipino alle attività <strong>di</strong> un nido o <strong>di</strong> una scuola materna e aiutino le insegnanti, le<br />

puericultrici, ad accogliere nelle giuste maniere un bambino han<strong>di</strong>cappato. Per chi è piccolo, e ha<br />

bisogno certamente <strong>di</strong> molte attenzioni, comuni a tutti gli altri bambini, non si pongono<br />

imme<strong>di</strong>atamente i problemi <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento formali: ha bisogno <strong>di</strong> attenzione ai proprio corpo,<br />

alla propria igiene, alle possibilità <strong>di</strong> muoversi, <strong>di</strong> esplorare, <strong>di</strong> toccare. E tutte queste attività, che<br />

sono normali nella vita <strong>di</strong> chi cresce, possono presentare delle utilissime occasioni <strong>di</strong> buona<br />

educazione, speciale e integrata insieme. – “Cosa possiamo intendere con questa espressione”-


Possiamo intendere la necessità <strong>di</strong> rispondere a dei bisogni particolari che un bambino, una<br />

bambina, può avere, avendo un deficit, ma <strong>di</strong> rispondere a questi bisogni integrando la risposta alle<br />

attività educative <strong>di</strong> tutti. Questa possibilità non è solo un vantaggio per quel bambino, quella<br />

bambina, che ha bisogni speciali ma <strong>di</strong>venta anche un vantaggio per gli altri bambini, bambine.<br />

L'attenzione allo sviluppo delle comunicazioni, quando vi è un bisogno particolare, è un beneficio<br />

per tutti. Le attività <strong>di</strong> gioco, organizzate in modo tale da consentire un miglior sviluppo motorio,<br />

<strong>di</strong>ventano un'occasione per tutti per acquisire delle competenze motorie. Se vi è un bambino o una<br />

bambina cieca, vi è la necessità anche per gli altri bambini, bambine, <strong>di</strong> capire come è importante la<br />

vista ma anche come è importante il tatto. E vi possono essere molti esempi <strong>di</strong> esperienze già<br />

realizzate che ci possono far capire quanto il beneficio non sia <strong>di</strong> un in<strong>di</strong>viduo particolare ma <strong>di</strong> un<br />

intero gruppo.<br />

L'educazione speciale integrata può portare a un beneficio <strong>di</strong> qualità educativa per tutti. Vi sono<br />

<strong>degli</strong> effetti secondari che è bene ritenere altrettanto importanti: quello, ad esempio che i familiari, i<br />

genitori, <strong>di</strong> un bambino o <strong>di</strong> una bambina con bisogni speciali entrano in contatto con i familiari<br />

<strong>degli</strong> altri bambini e bambine e stabiliscono dei rapporti <strong>di</strong> amicizia e <strong>di</strong> solidarietà, non più<br />

esclusivamente con coloro che hanno o che si pretende che abbiano lo stesso problema.<br />

Incominciamo a scoprire che non hanno un problema ma hanno un figlio, o una figlia, e questo è un<br />

elemento importante. Altri effetti secondari riguardano l'organizzazione <strong>degli</strong> spazi, gli accessi, i<br />

percorsi dalle abitazioni alla scuola, al nido, alla scuola materna. Nasce quin<strong>di</strong> una vasta azione che<br />

permette <strong>di</strong> non avere un beneficio unicamente in un luogo e su un in<strong>di</strong>viduo ma <strong>di</strong> avere<br />

un'espansione nel sociale. E questo permette, a tutte le educatrici, a tutti gli educatori, a coloro che<br />

sono insegnanti, <strong>di</strong> capire che il senso <strong>di</strong> inadeguatezza si può superare e si può arrivare ad essere<br />

competenti per educare bene anche un bambino, una bambina, con bisogni speciali.<br />

Un secondo punto riguarda l’apertura <strong>degli</strong> istituti specializzati. Se nel primo punto la <strong>di</strong>namica è:<br />

i bambini speciali nelle strutture educative per tutti, il secondo punto può essere interpretato come<br />

quasi il contrario: le strutture per han<strong>di</strong>cappati aperte a chi han<strong>di</strong>cappato non è. In che senso Gli<br />

istituti possono avere delle risorse, possono avere <strong>degli</strong> spazi, possono avere delle opportunità da<br />

offrire agli altri. E' capitato, può capitare ancora, che un istituto abbia uno spazio per il gioco, abbia<br />

una palestra, abbia la possibilità <strong>di</strong> usare la piscina aprendola ad altri, abbia una mensa che può<br />

servire anche ad altri, ragazzi e ragazze, bambini, bambine. L'istituto può consentire<br />

l'organizzazione <strong>di</strong> momenti <strong>di</strong> attività, comuni a tutti, ed anche nelle iniziative future vi può essere<br />

una grande possibilità <strong>di</strong> realizzare questa apertura. Si pensi all'investimento che l'educazione<br />

speciale può avere nei confronti delle tecnologie. Vi sono certamente delle buone possibilità perché<br />

chi è han<strong>di</strong>cappato abbia, attraverso i computer, dei benefici. Realizzare un laboratorio informatico


aperto a tutti, anche quin<strong>di</strong> ai normodotati, può essere un investimento verso la realizzazione <strong>della</strong><br />

prospettiva <strong>di</strong> integrazione.<br />

C'è da aggiungere che negli istituti vi possono essere delle competenze utili per tutti. i <strong>di</strong>sturbi del<br />

linguaggio non riguardano unicamente gli han<strong>di</strong>cappati, possono riguardare molti bambini e<br />

bambine. Può essere quin<strong>di</strong> utile che chi, abituato a trattare han<strong>di</strong>cappati negli istituti, tratti<br />

han<strong>di</strong>cappati che sono fuori dagli istituti e che non sono realmente han<strong>di</strong>cappati ma hanno dei<br />

ritar<strong>di</strong> o dei problemi <strong>di</strong> crescita.<br />

Queste possibilità <strong>di</strong> integrazione per apertura si possono ancora più sviluppare quando si tratta <strong>di</strong><br />

organizzare dei servizi che raggiungono le famiglie e le strutture educative che possono essere le<br />

scuole.<br />

Vi sono poi sviluppi interessanti che riguardano il lavoro; la possibilità <strong>di</strong> creare delle formazioni al<br />

lavoro attraverso sia dei laboratori misti <strong>di</strong> han<strong>di</strong>cappati e non han<strong>di</strong>cappati, sia delle piccole<br />

imprese che permettano <strong>di</strong> trovare il lavoro ad han<strong>di</strong>cappati e non han<strong>di</strong>cappati. E' qualcosa che si<br />

sta sviluppando in molte parti del mondo e che deve ovviamente fare i conti con l'economia locale e<br />

anche con l'organizzazione del lavoro che ciascun paese ha attraverso le sue leggi. Quin<strong>di</strong> è quasi<br />

impossibile dettagliare questo aspetto ma in<strong>di</strong>carne un possibile sviluppo, questo si può fare.<br />

“Un terzo punto riguarda la possibilità <strong>di</strong> stringere dei rapporti che vengono definiti, ormai un po’<br />

ovunque nel mondo <strong>di</strong> partenariato”. E' un termine che può essere sostituito da collaborazione. Ma<br />

sembra, almeno nella espressione italiana, che “partner" sia qualcosa <strong>di</strong> più che collaboratore:<br />

voglia <strong>di</strong>re con<strong>di</strong>visione delle responsabilità e capacità <strong>di</strong> stabilire un rapporto <strong>di</strong> inter<strong>di</strong>pendenza.<br />

L'uscita dalla logica delle istituzioni totali è proprio questa. Cosa significa istituzione totale.<br />

Significa che all'interno <strong>di</strong> una sola istituzione si trovino o si tenti <strong>di</strong> trovare tutte le risposte <strong>di</strong> cui<br />

un in<strong>di</strong>viduo ha bisogno. Rompere questa totalità significa creare delle reti <strong>di</strong> collaborazione e<br />

permettere la nascita <strong>di</strong> una logica <strong>di</strong> inter<strong>di</strong>pendenza. Inter<strong>di</strong>pendenza può essere il rapporto <strong>di</strong><br />

collaborazione che un istituto può avere con le famiglie; la riduzione dell'istituto a momenti <strong>della</strong><br />

vita <strong>di</strong> un bambino, <strong>di</strong> una bambina, <strong>di</strong> un ragazzo, <strong>di</strong> una ragazza, perché altri momenti siano<br />

vissuti in famiglia; e l'estensione <strong>di</strong> questa collaborazione alle scuole esterne. Nell'istituto si può<br />

vivere una parte <strong>della</strong> giornata, in famiglia un'altra parte, a scuola una terza parte, e le tre realtà<br />

<strong>di</strong>ventano capaci <strong>di</strong> collaborazione, <strong>di</strong> partenariato e <strong>di</strong> inter<strong>di</strong>pendenza, nel senso che ognuna <strong>di</strong><br />

queste tre realtà ha bisogno delle altre due. E si può continuare, perché non sono solo tre le realtà<br />

che un bambino può vivere. Può vivere momenti <strong>di</strong> gioco, <strong>di</strong> sport, <strong>di</strong> attività che possono<br />

richiamare altre strutture. Si crea quin<strong>di</strong> una rete <strong>di</strong> partner, <strong>di</strong> collaborazioni inter<strong>di</strong>pendenti.<br />

E si impara quin<strong>di</strong> a negoziare a rapportarsi gli uni con gli altri tenendo conto che le competenze<br />

mie devono incontrare le competenze dell'altro e devono trovare il modo <strong>di</strong> comporsi e non <strong>di</strong>


scontrarsi. Non è possibile stabilire un rapporto unicamente su base gerarchica. E' necessario<br />

stabilire una collaborazione, sapendo, però, che qualcuno deve coor<strong>di</strong>nare un progetto. Nascono<br />

quin<strong>di</strong> delle esigenze che esigono una chiarezza <strong>di</strong> rapporti fra le <strong>di</strong>verse realtà, fra le <strong>di</strong>verse<br />

istituzioni. E questo si crea con il tempo. C'è bisogno <strong>di</strong> non immaginare che una realtà <strong>di</strong><br />

con<strong>di</strong>visione e <strong>di</strong> partenariato si realizzi unicamente con accordo giuri<strong>di</strong>co; l'accordo giuri<strong>di</strong>co può<br />

avviare un processo che ha bisogno <strong>di</strong> tempo per <strong>di</strong>ventare solido e trasformarsi in pratica sociale.<br />

E' quin<strong>di</strong> necessario proporsi un progetto nel tempo.<br />

Un quarto punto riguarda la valorizzazione dei gruppi eterogenei. Si tratta <strong>di</strong> rovesciare una<br />

consuetu<strong>di</strong>ne che fa riferimento sempre alla necessità <strong>di</strong> rendere omogeneo un gruppo, quin<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

fare in modo che un gruppo educativo abbia bambini e bambine tutti con le stesse capacità, o con,<br />

più spesso è accaduto, con gli stessi problemi. E' poi scontato che vi siano delle <strong>di</strong>fferenze<br />

all'interno del gruppo. Anche il gruppo composto tutto da persone cieche al suo interno ha delle<br />

<strong>di</strong>fferenze in<strong>di</strong>viduali. Valorizziamo queste <strong>di</strong>fferenze e apriamole ancora. Realizziamo quin<strong>di</strong> un<br />

capovolgimento logico pensando che le <strong>di</strong>fferenze permettono un migliore appren<strong>di</strong>mento e quin<strong>di</strong><br />

una migliore capacità educativa. E' una verità che si è pian piano fatta strada un po' ovunque: noi<br />

comunichiamo e appren<strong>di</strong>amo grazie alle <strong>di</strong>fferenze. L'assenza <strong>di</strong> comunicazione si ha quando non<br />

c'è nulla che permetta <strong>di</strong> dare o <strong>di</strong> ricevere da un altro perché‚ si ritiene che l'altro sia esattamente<br />

come me. Questo non accade quasi mai, o per lo meno accade in situazione <strong>di</strong> forte pregiu<strong>di</strong>zio o <strong>di</strong><br />

mo<strong>della</strong>mento, cioè quando le con<strong>di</strong>zioni, e quin<strong>di</strong> il con<strong>di</strong>zionamento, ha operato un livellamento<br />

<strong>degli</strong> in<strong>di</strong>vidui. Nella realtà gli in<strong>di</strong>vidui presentano sempre delle <strong>di</strong>versità. Allora l'interessante è<br />

compiere un capovolgimento delle logiche e non pensare che l'educazione sarà migliore se il gruppo<br />

è fatto <strong>di</strong> persone tutte uguali. Al contrario: l'educazione sarà migliore se le <strong>di</strong>versità emergono e<br />

vengono valorizzate.<br />

Un quinto punto riguarda la continuità fra prevenzione, educazione speciale ed educazione in<br />

generale. In ogni parte del mondo vi sono più o meno sviluppate secondo le possibilità. delle<br />

attività <strong>di</strong> prevenzione; vi sono delle attività <strong>di</strong> educazione speciale, vi sono delle attività in<br />

educazione in generale. Bisogna creare dei punti <strong>di</strong> contatto fra questi tre comparti. E' come se fosse<br />

necessario stabilire dei rapporti fra tre isole, per evitare che isola non significhi isolamento. Quin<strong>di</strong><br />

vi devono essere dei contatti, <strong>degli</strong> interscambi, delle passerelle, dei ponti, che permettano un<br />

passaggio; e, il più possibile, integrarsi. Questo ha un risvolto nella nostra organizzazione mentale.<br />

Dobbiamo cercare <strong>di</strong> comprendere e ragionare che fra le tre espressioni, prevenzione, educazione<br />

speciale, educazione in generale, vi può essere una continuità; anzi che la buona qualità<br />

è data dalla continuità. Vi è una linea <strong>di</strong> continuità tra l'educazione che offro a un bambino, una<br />

bambina, con paralisi cerebrale infantile e l'educazione che offro a tutti i bambini e a tutte le


ambine. Vi è una linea <strong>di</strong> continuità, che può essere espressa in azioni, incontri, operazioni <strong>di</strong><br />

spesa fatta in comune, capacità <strong>di</strong> organizzare sempre più qualcosa che colleghi. Tali attività<br />

possono essere ancor più realizzate se vi sono momenti <strong>di</strong> formazione comune, <strong>di</strong> informazione<br />

offerta a tutti, e quin<strong>di</strong> un allenamento alle capacità <strong>di</strong> ascolto reciproco. Può essere molto<br />

importante capire che l'investimento nella formazione, universitaria, para-universitaria<br />

professionale, può partire da un'unica logica e non <strong>di</strong>vidersi imme<strong>di</strong>atamente. Questo può portare<br />

alla valorizzazione delle <strong>di</strong>fferenze e alla capacità <strong>di</strong> una maggiore collaborazione nelle <strong>di</strong>fferenti<br />

ottiche e nelle <strong>di</strong>fferenti capacità professionali.<br />

Un sesto punto riguarda un patrimonio comune a molte delle pratiche educative. Si tratta <strong>della</strong><br />

educazione attiva. Ha oramai un secolo <strong>di</strong> vita e ha riguardato le gran<strong>di</strong> esperienze che si sono<br />

realizzate in tante parti del mondo. A volte senza che vi fossero delle conoscenze reciproche, hanno<br />

riguardato movimenti che si sono organizzati come gruppi. La capacità dell'educazione attiva <strong>di</strong><br />

essere calata nelle situazioni ha permesso il sorgere, in molte parti del mondo, <strong>di</strong> esperienze che<br />

hanno avuto come punto debole il fatto <strong>di</strong> essere povere. Lo <strong>di</strong>co paradossalmente perché è anche<br />

stato un punto <strong>di</strong> forza. L'educazione attiva ha voluto <strong>di</strong>re anche la capacità <strong>di</strong> organizzare la qualità<br />

dell'educazione nei punti, nelle attività e nei problemi, che sembravano più <strong>di</strong>fficili, con ragazzi<br />

sbandati, nei punti nevralgici <strong>della</strong> povertà, nelle periferie. Ogni paese ha avuto educatori attivi e ne<br />

ha, e bisogna quasi riscoprirli, valorizzarli, capirne la portata ampia per tutto il mondo.<br />

Questa capacità <strong>di</strong> invenzione e <strong>di</strong> scoperta accanto ai problemi è la risorsa maggiore che<br />

l'integrazione può offrire, e può far capire che non esiste una novità che non abbia già delle ra<strong>di</strong>ci.<br />

Bisogna sforzarsi <strong>di</strong> capire che in quasi tutto il mondo, in tutto il mondo, quando si avvia un<br />

processo <strong>di</strong> integrazione si scopre che esisteva già, che non era ufficiale e che aveva delle ra<strong>di</strong>ci<br />

che, come tutte le ra<strong>di</strong>ci, sono nascoste e non vanno sra<strong>di</strong>cate. Bisogna capirle, conoscerle, ma<br />

lasciarle ben immerse nel terreno in cui sono andate a svilupparsi. Vi è quin<strong>di</strong> una necessità:<br />

rileggere la propria storia scoprendo, nella propria storia, le ra<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> questa prospettiva<br />

dell'integrazione.<br />

1.4.Un mondo <strong>di</strong>viso<br />

Il mondo è <strong>di</strong>viso. Le cifre <strong>degli</strong> han<strong>di</strong>cappati ci <strong>di</strong>mostrano che vi è una parte del mondo con colori<br />

meno intensi e una parte del mondo con colori molto intensi. Il colore intenso significa molti<br />

han<strong>di</strong>cappati, il colore meno intenso significa un po' meno. I colori intensi coincidono con i paesi in<br />

cui i problemi dell'acqua, dell'alloggio, del cibo, <strong>della</strong> salute, sono molto estesi. La cecità e la<br />

sor<strong>di</strong>tà sono maggiori laddove mancano delle risorse <strong>di</strong> base. Le mine danno a 63 paesi, almeno, un<br />

numero molto elevato <strong>di</strong> han<strong>di</strong>cappati da incidenti. Secondo l'UNICEF da oggi al 2005 i paesi che<br />

hanno un certo sviluppo economico ed industriale avranno un calo calcolato nel 14% del numero


dei bambini e bambine con han<strong>di</strong>cap, mentre nei paesi che consideriamo solitamente meno<br />

sviluppati vi sarà un incremento ad<strong>di</strong>rittura del 47%, in buona parte dovuto alla possibilità <strong>di</strong><br />

sopravvivenza, quin<strong>di</strong> a un elemento che è positivo ma che certamente comporta delle nuove<br />

responsabilità. Il mondo e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>viso. Possiamo far finta <strong>di</strong> non accorgercene, ritenere che questa<br />

<strong>di</strong>visione sia un dato "naturale", oppure, accorgendocene, capire che abbiamo bisogno <strong>di</strong> realizzare<br />

un vasto movimento <strong>di</strong> cooperazione tra i popoli e tra i paesi. La cooperazione non può essere tale<br />

se sviluppa un rapporto <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza, se fa credere che vi siano dei paesi che ne sanno <strong>di</strong> più. Vi<br />

può essere certamente, in punti e in momenti particolari, qualcuno che ha possibilità maggiori <strong>di</strong> un<br />

altro, come succede tra in<strong>di</strong>vidui; ma un momento non crea una stabile situazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza,<br />

non lo deve creare.<br />

In ogni paese vi sono risorse. Non possiamo ritenere che sotto questo termine "risorse" vadano<br />

unicamente compiuti dei trasferimenti da chi ha a chi non ha. Questo consentirebbe <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>re la<br />

stessa parola "cooperazione". Abbiamo bisogno <strong>di</strong> creare una comunità scientifica capace <strong>di</strong><br />

cooperare. E questo e il grande dovere delle università. La possibilità è data dalla stessa comunità<br />

scientifica che interagendo crea la possibilità non <strong>di</strong> avere dei percorsi a senso unico, - da un paese<br />

vengono trasferite competenze, ricchezze, a un altro paese -, ma un interscambio. Sappiamo tutti<br />

come e fecondo l'atteggiamento <strong>di</strong> chi porta qualche cosa con la ricerca che nell'altro vi sia<br />

qualcos'altro. Questo può essere la base del commercio ma e anche la base dell'amicizia. Un<br />

rapporto <strong>di</strong> collaborazione forte tra le università, che sono in tutti i paesi del mondo, può portare un<br />

contributo al superamento, in prospettiva, <strong>della</strong> <strong>di</strong>visione, o per lo meno può portare a non accettare<br />

che la <strong>di</strong>visione sia un dato <strong>di</strong> fatto su cui non abbiamo nulla da <strong>di</strong>re. Dovremmo lavorare proprio<br />

in questo senso: creare le con<strong>di</strong>zioni perché una comunità scientifica internazionale abbia la<br />

possibilità <strong>di</strong> ricomporre le <strong>di</strong>visioni e <strong>di</strong> superarle. E il terreno che si riferisce agli han<strong>di</strong>cappati,<br />

delle situazioni <strong>di</strong> han<strong>di</strong>cap, delle <strong>di</strong>sabilità, può essere privilegiato.<br />

Può essere proprio in questa tematica che scopriamo una delle più ricche possibilità <strong>di</strong><br />

collaborazione. Sicuramente il termine han<strong>di</strong>cappato ha delle realtà <strong>di</strong>verse in ogni paese. Quando<br />

<strong>di</strong>co "insufficiente mentale" ho presente chi intendo nel mio paese come insufficiente mentale, ma<br />

non so se in un altro paese si intende la stessa realtà. Quin<strong>di</strong> abbiamo bisogno umilmente <strong>di</strong><br />

conoscere ciascuno cosa <strong>di</strong>ce, quando <strong>di</strong>ce. Abbiamo bisogno <strong>di</strong> capire che in paesi che hanno<br />

avuto dei profon<strong>di</strong> cambiamenti vi sono <strong>di</strong>fficoltà aggiuntive che potrebbero, ad esempio, risultare<br />

dal desiderio <strong>di</strong> cambiare tutto, e <strong>di</strong> non mantenere le competenze che si hanno, mentre queste<br />

vanno integrate con possibili competenze che arrivano da altri paesi. Ancora una volta il termine<br />

“integrazione" è importante. Dobbiamo capire che in paesi in cui vi siano state catastrofi, guerre o<br />

<strong>di</strong>sastri ecologici, il termine "han<strong>di</strong>cappato" può racchiudere realtà molto <strong>di</strong>verse da paesi in cui


non vi siano stati quegli stessi avvenimenti. E allora vi sono necessità <strong>di</strong>verse, urgenze <strong>di</strong>verse, che<br />

vanno capite senza spirito <strong>di</strong> colonialismo. Cooperare significa proprio imparare reciprocamente. Si<br />

deve stabilire un rapporto <strong>di</strong> reciprocità. E questo punto, quarto e ultimo <strong>della</strong> riflessione, è molto<br />

importante. E' anche il più breve perché è quello che è più da realizzare, e quin<strong>di</strong> è più un in<strong>di</strong>catore<br />

<strong>di</strong> percorso. An<strong>di</strong>amo in quella <strong>di</strong>rezione. In<strong>di</strong>ca anche la necessità, fra qualche tempo, <strong>di</strong> capire<br />

quanta strada abbiamo fatto. Capirlo insieme.<br />

1.5 Conclusioni<br />

Le conclusioni sono molto brevi. Esiste un detto. "Dove c'è una volontà c'è un sentiero". La<br />

prospettiva dell'integrazione, del riconoscimento dei <strong>di</strong>ritti ai più deboli, del non ammettere la<br />

segregazione, l'umiliazione, la separazione, parte da una volontà. E' una prospettiva <strong>di</strong>fficile ma<br />

questo detto saggio ci può far capire che il punto <strong>di</strong> partenza è una volontà e nasce da questa un<br />

sentiero, un terreno su cui mettere i pie<strong>di</strong>. Dobbiamo stare, - si <strong>di</strong>ce anche, - coi pie<strong>di</strong> per terra. I<br />

nostri pie<strong>di</strong> sono però guidati da una volontà. I nostri pie<strong>di</strong> troveranno un sentiero, sia pure <strong>di</strong>fficile,<br />

da percorrere.


COME USCIRE DALLE ISTITUZIONI TOTALI, SENZA DISTRUGGERLE MA<br />

APRENDOLE A NUOVA VITA<br />

2. 1 - Cosa inten<strong>di</strong>amo per istituzioni totali<br />

Vi è molta letteratura su quelle che sono state chiamate istituzioni totali. Possono essere elencate<br />

sotto questa voce <strong>di</strong>verse istituzioni, che vanno dagli orfanotrofi, agli istituti, ai reclusori, agli<br />

ospizi, agli ospedali psichiatrici. In questo elenco vi è un punto in comune: il fatto che un certo<br />

numero <strong>di</strong> persone venga costretto o debba vivere in un unico luogo, e abbia come risposta ai<br />

problemi in<strong>di</strong>viduali una risposta unica e uguale per tutti. La vasta letteratura sulle istituzioni totali<br />

ha come punto in comune soprattutto quello <strong>della</strong> risposta unica per una pluralità <strong>di</strong> situazioni che<br />

viene omologata, ovvero viene ritenuta non più varia quanti sono gli in<strong>di</strong>vidui, ma tale da potere<br />

essere interpretata come un’unica situazione.<br />

Facciamo un piccolo esempio. In un ricovero per persone anziane, non più in grado <strong>di</strong> essere<br />

autosufficienti, vi possono essere <strong>degli</strong> standard, cioè delle modalità <strong>di</strong> organizzare la vita <strong>di</strong> tutti i<br />

giorni, uguale per tutti: un unico orario per il risveglio, un unico orario per la prima colazione e per<br />

tutti gli altri punti che scan<strong>di</strong>scono la giornata; ed ancora: una prima colazione uguale per tutti, un<br />

pasto uguale per tutti. Si può arrivare anche a un modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>stribuire la biancheria uguale per tutti e<br />

una biancheria non personalizzata ma <strong>di</strong> una taglia più o meno adattabile a tutti ed a ciascuno.<br />

Trasferiamoci in un istituto per bambini; esemplifichiamo meglio <strong>di</strong>cendo per bambini con<br />

insufficienza mentale. L’organizzazione è analoga a quella <strong>degli</strong> anziani, non autosufficienti,<br />

cambiano poche cose, la taglia del vestito e <strong>della</strong> biancheria è evidentemente più piccola, ma<br />

altrettanto adattabile, con una sola o poche <strong>di</strong>fferenze, a tutti ed a ciascuno; il cibo è unico, l’orario<br />

è unico, non vi sono flessibilità; tutti devono servirsi <strong>degli</strong> stessi servizi igienici, la notte ha<br />

un’unica durata per tutti e le uniche possibilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenziarsi sono nelle trasgressioni.<br />

L’istituzione totale rende inevitabili le trasgressioni come possibilità <strong>di</strong> personalizzare, da parte<br />

dell’in<strong>di</strong>viduo, qualcosa. Ma l’istituzione totale potrebbe anche avere un miglioramento sul piano<br />

tecnico e scientifico, facendo in modo che vi sia una maggiore pertinenza <strong>di</strong> risposta, appunto<br />

tecnica e scientifica, ai bisogni <strong>degli</strong> in<strong>di</strong>vidui, rendendo, però, la varietà <strong>degli</strong> in<strong>di</strong>vidui unitaria, e<br />

facendo in modo che un problema che accomuna la pluralità <strong>degli</strong> in<strong>di</strong>vidui <strong>di</strong>venta il punto <strong>di</strong><br />

incontro <strong>della</strong> risposta tecnica: l’insufficienza mentale, piuttosto che gli insufficienti mentali, la<br />

con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> anziano piuttosto che gli anziani. In questa trasformazione <strong>degli</strong> in<strong>di</strong>vidui con la loro<br />

pluralità e la loro singolarità in problema, è quasi superfluo domandarci o cercare risposte che siano<br />

adeguate al genere, vale a <strong>di</strong>re che siano <strong>di</strong>fferenziate se si tratti <strong>di</strong> uomini e <strong>di</strong> donne, <strong>di</strong> bambini e<br />

<strong>di</strong> bambine. Queste <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong>ventano molto sbia<strong>di</strong>te.


Una risposta: questa è la con<strong>di</strong>zione in cui noi spesso abbiamo operato al meglio delle possibilità<br />

che ci erano state date, per dare risposta a dei bisogni particolarmente <strong>di</strong>fficili, e questa risposta è<br />

stata data. Non nascon<strong>di</strong>amo, quin<strong>di</strong>, le qualità, gli aspetti positivi, che le strutture che chiamiamo<br />

totali hanno rappresentato, nel tempo e tuttora possono rappresentare. E’ sicuramente possibile<br />

interpretare l’ospedale psichiatrico come un rifugio, in cui trova protezione una persona che abbia<br />

molte fragilità, che abbia delle <strong>di</strong>fficoltà a vivere con gli altri. E’ certamente un rifugio per<br />

l’infanzia abbandonata l’orfanotrofio. Proviamo ad andare oltre, però; proviamo ad andare a vedere<br />

questa risposta che abbiamo interpretato come una, uguale per tutti, con una possibilità <strong>di</strong> crescita, e<br />

ve<strong>di</strong>amo come possa trasformarsi senza mortificarsi, anzi, valorizzandosi.<br />

2. 2 – La valorizzazione dell’istituzione e il superamento <strong>della</strong> totalità<br />

In<strong>di</strong>viduiamo, nel modello istituzione totale, una concentrazione <strong>di</strong> risorse, che non vengono<br />

valorizzate adeguatamente. Se noi immaginiamo una grande istituzione, come può essere un<br />

istituto, che ha una quantità <strong>di</strong> operatori addetti alle <strong>di</strong>verse mansioni, noi potremmo avere operatori<br />

che agiscono per le cucine, altri che agiscono per la lavanderia e per la biancheria, altri ancora che<br />

sono più <strong>di</strong>rettamente impegnati nei compiti educativi vicino ai bambini, alle bambine, agli ospiti. E<br />

abbiamo una quantità <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui che schematicamente vive la realtà professionale in <strong>di</strong>mensione<br />

che utilizza minime caratteristiche in<strong>di</strong>viduali. La persona addetta alle cucine, quando poi sta a<br />

casa, prepara da mangiare per i suoi familiari o per se stessa, e utilizza una varietà <strong>di</strong> possibilità,<br />

secondo quello che può permettersi, quin<strong>di</strong> secondo le proprie risorse, ma certamente con una<br />

possibilità <strong>di</strong> rispondere ai propri gusti personali., a quelli dei suoi familiari, e con la possibilità <strong>di</strong><br />

dare al pasto un significato non solo alimentare ma anche simbolico, e quin<strong>di</strong> può dare al pasto il<br />

significato <strong>di</strong> un ricordo, <strong>di</strong> un compleanno, il significato <strong>di</strong> una domenica, <strong>di</strong> un giorno <strong>di</strong> festa,<br />

ecc. Quello che può fare è personalizzare, e probabilmente, oltre che a preparare da mangiare, è la<br />

medesima funzione svolta nell’istituto, questa stessa persona sa fare altre cose, ha delle passioni:<br />

forse <strong>di</strong>pinge, forse canta, forse va a ballare.<br />

Anche chi è educatore nell’istituto compie il suo impegno <strong>di</strong> educatore o <strong>di</strong> educatrice secondo la<br />

regola dell’istituto, e non ha modo <strong>di</strong> far capire, <strong>di</strong> svelare le altre passioni che vive: vive la<br />

passione per la musica, per il giar<strong>di</strong>naggio, per la pesca, per la lettura, per la storia delle arti, per i<br />

viaggi. Ciascuno ha alcune passioni che si porta dentro ma che rigorosamente tiene fuori dalla<br />

<strong>di</strong>mensione lavorativa.<br />

Una prima operazione che potremmo fare è proprio quella <strong>di</strong> cominciare a scoprire come ciascuno<br />

<strong>degli</strong> operatori impegnati nell’istituzione che chiamiamo ancora totale abbia queste caratteristiche<br />

in<strong>di</strong>viduali che <strong>di</strong>fferenziano. Allora non avremo più dei generici addetti alle cucine ma avremo la


cuoca tale che ama molto viaggiare, il cuoco tale che ama andare a pescare, andare a giocare a carte,<br />

ecc ..; e avremo anche <strong>degli</strong> educatori e delle educatrici che hanno altrettante attività <strong>di</strong> passatempo,<br />

<strong>di</strong> passioni, alcuni amano andare al cinema, conoscono le opere cinematografici <strong>di</strong> alcuni registi,<br />

sono appassionati del giallo, ecc.; ognuno ha dei gusti.<br />

Questi gusti, che erano appena conosciuti nelle conversazioni che accompagnano inevitabilmente i<br />

lavori, devono essere in qualche modo invitati ad essere risorsa per l’istituzione, ad aprire, quin<strong>di</strong>,<br />

l’istituzione stessa a queste risorse, che sono personalizzate; cominciamo, quin<strong>di</strong>, a vedere non più<br />

un solo modo <strong>di</strong> fare l’educatore ma, nell’unitarietà <strong>di</strong> un ruolo professionale, in <strong>di</strong>versi stili, le<br />

<strong>di</strong>verse interpretazioni, connotate anche dalle <strong>di</strong>verse passioni. E dobbiamo organizzare perché<br />

queste passioni, questi hobbies abbiano un loro ingresso, o meglio l’istituzione si apra perché<br />

<strong>di</strong>ventino risorsa utile per la stessa istituzione.<br />

E allora immaginiamo che, allo stesso modo, come vengono fatte delle <strong>di</strong>stinzioni all’interno <strong>degli</strong><br />

operatori, si cominci a osservare le <strong>di</strong>stinzioni tra gli ospiti, e si scopra che quel tal ragazzo, o<br />

bambino, può essere anche invitato a partecipare ad un laboratorio <strong>di</strong> pittura, che quell’educatore<br />

che per conto suo, nei giorni <strong>di</strong> festa, andando in vacanza, <strong>di</strong>pinge, adesso può tenere un laboratorio<br />

<strong>di</strong> pittura, un altro terrà un laboratorio <strong>di</strong> musica. Non ci piace il nome laboratorio, lo confon<strong>di</strong>amo<br />

con altre attività che hanno un’altra caratteristica Togliamo il nome laboratorio e chiamiamolo<br />

gruppo, spazio, attività; cerchiamo, cioè, quel nome che permetta al gruppo istituzionale, alle<br />

persone che lavorano in quell’istituto <strong>di</strong> capire che cosa stanno facendo, non pren<strong>di</strong>amolo a prestito<br />

da altri luoghi che hanno fatto delle scelte sicuramente motivate per loro ma che potrebbero esserci<br />

estranee; continuiamo il nostro percorso con le nostre caratteristiche, con la nostra identità, ma con<br />

la capacità <strong>di</strong> cambiamento, <strong>di</strong> trasformare le abitu<strong>di</strong>ni. E allora possiamo continuare, in questa<br />

riflessione, a <strong>di</strong>re laboratorio, ma avendo capito che è una parola che potrebbe essere sostituita<br />

senza danno alla proposta stessa.<br />

Noi continuiamo a chiamare laboratorio <strong>di</strong> pittura, <strong>di</strong> musica, <strong>di</strong> giar<strong>di</strong>naggio, e abbiamo cominciato<br />

a delineare <strong>di</strong>verse funzioni dello stesso ruolo: operatore, educatore, educatrice, e anche delle<br />

<strong>di</strong>stinzioni tra gli ospiti, che cominciano a <strong>di</strong>stinguersi a seconda delle possibilità <strong>di</strong> stare, non vuol<br />

<strong>di</strong>re con questo <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare anche loro bravissimi e tali come i maestri ma <strong>di</strong> stare, possibilità <strong>di</strong><br />

essere compatibili con i loro problemi, con i loro limiti, ciascuno con i propri limiti, ma <strong>di</strong> stare nel<br />

laboratorio <strong>di</strong> pittura, ad esempio, <strong>di</strong> non avere da questo un danno, da non sentirsi agitati al punto<br />

<strong>di</strong> dovere poi scappare via, oppure da fare azioni incontrollate <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione. Se il laboratorio <strong>di</strong><br />

pittura, qui esemplificato, non fosse adatto ad alcuni soggetti si può esaminare quale è il laboratorio<br />

non <strong>di</strong>ciamo “adatto” ma che sicuramente può essere tollerato da quei soggetti, e allora potremmo<br />

in<strong>di</strong>viduare anche non solo i laboratori già esistenti perché frutto <strong>di</strong> quelle che sono le risorse del


gruppo, ma in<strong>di</strong>viduare qualche nuovo laboratorio che permetta l’ingresso nel laboratorio, o gruppo,<br />

o spazio, o attività, <strong>di</strong> quegli altri soggetti.<br />

Con una progressione che può essere rapida o lenta, a seconda delle situazioni, noi in<strong>di</strong>viduiamo<br />

delle caratteristiche personali dei singoli ospiti, non più, quin<strong>di</strong>, raggruppabili ed esprimibili con<br />

una sola in<strong>di</strong>cazione: ritardo mentale, ad esempio, ma <strong>di</strong>stinti tra loro a seconda delle loro attività, a<br />

cui partecipano con un grado <strong>di</strong> coinvolgimento, <strong>di</strong> attenzione, <strong>di</strong> intelligenza, variabile. Vi sarà chi<br />

partecipa del tutto passivamente per molto tempo, forse per sempre, e chi invece partecipa con una<br />

sua attività, compatibile e utile per il laboratorio. Vi saranno persone la cui intelligenza è fortemente<br />

limitata e compromessa anche dal lungo periodo <strong>di</strong> vita monotona, che sembreranno non accorgersi<br />

<strong>di</strong> essere in un laboratorio piuttosto che in un altro, o che forse hanno come reazione la crisi, il<br />

muoversi con senso <strong>di</strong> agitazione, l’urlare, in un certo laboratorio, ed è necessario riprovare,<br />

proporre altre esperienze <strong>di</strong> quella che abbiamo detto essere attività <strong>di</strong> laboratorio. Non pensiamo ad<br />

attività che durino un’intera giornata, certamente, che abbiano dei tempi compatibili con<br />

un’organizzazione che è già abbastanza articolata ma che sia nello stesso tempo anche scan<strong>di</strong>ta in<br />

tempi compatibili con i soggetti, con le risorse e con le energie che lo stesso personale può avere: in<br />

un’ora si può essere <strong>di</strong>sponibili a una grande attenzione <strong>di</strong> coinvolgimento <strong>di</strong> tutti i soggetti, se<br />

invece dovessimo prolungare l’attività <strong>di</strong> un gruppo per molto tempo gli stessi operatori si<br />

sentirebbero esausti, non saprebbero come fare. Meglio, quin<strong>di</strong>, avere dei tempi <strong>di</strong> una certa qualità<br />

piuttosto che avere dei tempi <strong>di</strong> quantità che non tengono il livello qualitativo.<br />

Si apre, quin<strong>di</strong>, la possibilità <strong>di</strong> un’organizzazione <strong>di</strong> contenuti e <strong>di</strong> tempi <strong>di</strong>fferenziati, e inizia<br />

un’identificazione delle <strong>di</strong>verse identità. E, aspetto che <strong>di</strong>venta il più importante <strong>di</strong> quelli finora<br />

delineati, si comincia a intravedere, all’interno dello stesso soggetto, la possibilità <strong>di</strong> avere una<br />

pluralità <strong>di</strong> attitu<strong>di</strong>ni. Comincia, quin<strong>di</strong>, a delinearsi quella che ci piace chiamare l’identità plurale,<br />

cioè la possibilità che nel termine identità siano racchiusi, ma non prigionieri, altri termini: il<br />

termine legato al genere, maschile o femminile, legato alle attitu<strong>di</strong>ni, amante <strong>della</strong> musica, legato al<br />

tipo <strong>di</strong> socievolezza e <strong>di</strong> strumenti per la socievolezza, capace <strong>di</strong> stare simpaticamente in silenzio,<br />

capace <strong>di</strong> sorridere ma anche <strong>di</strong> parlare. Identità plurale: un in<strong>di</strong>viduo può essere uomo e nello<br />

stesso tempo può essere figlio, fratello, marito, può essere bambino e può essere nato in una certa<br />

località, può essere biondo, bruno; bambino, ma poteva essere bambina, bionda, bruna, <strong>di</strong> un’altra<br />

località, vivace, lenta, appassionata <strong>della</strong> musica, del canto, non ha ancora mostrato le sue passioni,<br />

ce le mostrerà, le aspettiamo.<br />

A volte anche situazioni <strong>di</strong> una certa gravità, in questa pluralità <strong>di</strong> sguar<strong>di</strong>, rivelano che non sono un<br />

solo elemento <strong>di</strong> identità, ma rivelano un’identità plurale. Questo è un aspetto sicuramente<br />

interessante, importante, non imme<strong>di</strong>atamente comprensibile, probabilmente, ma per capirlo meglio


ciascuno <strong>di</strong> noi può riflettere sulla possibilità che ha avuto, sicuramente, <strong>di</strong> avere l’impressione che<br />

tutte le persone anziane che incontrava erano uguali, avevano tutte una caratteristica che dominava,<br />

quella <strong>di</strong> non essere giovani. E non c’erano tante <strong>di</strong>fferenze tra gli anziani uomini e gli anziani<br />

donne, e solo con una conoscenza più ravvicinata era possibile <strong>di</strong>stinguere il gusto che ciascuno<br />

aveva, la storia che ciascuno si portava addosso, e quin<strong>di</strong> le <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> carattere, <strong>di</strong> capacità, <strong>di</strong><br />

parola, <strong>di</strong> silenzi - anche i silenzi sono <strong>di</strong>versi gli uni dagli altri. I mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> esprimere le proprie<br />

nostalgie, le proprie rabbie, <strong>di</strong>fferenziano gli uni dagli altri, uno da tutti gli altri, ciascuno è<br />

originale. Se ve<strong>di</strong>amo <strong>degli</strong> anziani in un ricovero li confon<strong>di</strong>amo uno con l’altro, se abbiamo dei<br />

genitori anziani, delle persone che abbiamo conosciuto nella loro storia, e che quin<strong>di</strong> li abbiamo<br />

viste <strong>di</strong>ventare anziani, li <strong>di</strong>stinguiamo, non li confon<strong>di</strong>amo.<br />

La stessa cosa avviene per gli insufficienti mentali: vederli tutti insieme significa non <strong>di</strong>stinguerli,<br />

avere l’impressione che siano scambiabili l’uno con l’altro; al più possiamo in<strong>di</strong>care con una certa<br />

sicurezza quelli che sono più gravemente insufficienti mentali, ma anche questi più o meno stanno<br />

<strong>di</strong>etro l'etichetta “insufficienza mentale”. Li conosciamo meglio, abbiamo la possibilità <strong>di</strong> fare<br />

qualche uscita con loro, <strong>di</strong> vederli nella natura, <strong>di</strong> vederli attorno a dei giochi, a dei colori, a dei<br />

suoni. E cominciamo ad avere la percezione che non sono più confon<strong>di</strong>bili ma ciascuno è <strong>di</strong>verso<br />

dagli altri, e così è un po’ per tutte le aggregazioni che sono nate o che sono risposta a dei problemi.<br />

Una sola risposta per <strong>di</strong>verse in<strong>di</strong>vidualità sembra togliere a ciascuna in<strong>di</strong>vidualità la sua originalità,<br />

ma non appena vi è la possibilità <strong>di</strong> operare delle aperture <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse attività e <strong>di</strong> permettere o <strong>di</strong><br />

favorire, <strong>di</strong> aiutare ciascuno ad inserirsi in <strong>di</strong>verse attività, allora cominciano ad esserci delle<br />

<strong>di</strong>fferenze. Vi sono delle persone insufficienti mentali, anche gravi, che riescono ad essere utili nel<br />

lavoro <strong>di</strong> giar<strong>di</strong>naggio e dell’orto, e altri che riescono a non creare fasti<strong>di</strong> nell’ateliér <strong>di</strong> pittura.<br />

Questa <strong>di</strong>fferenziazione è il primo passo importante a cui ne seguono, o si accompagnano, <strong>degli</strong><br />

altri.<br />

2. 3 – Diversi luoghi e <strong>di</strong>versi tempi<br />

Nella nostra ipotesi <strong>di</strong> utilizzazione delle gran<strong>di</strong> risorse che sono nell’istituto – lo chiamiamo così –<br />

dell’istituzione totale, le risorse che sono poco utilizzate, poco valorizzate, si sviluppano nel tempo<br />

e negli spazi. Tempo: il tempo si articola. Non la giornata e la notte, non solo questa scansione che<br />

fa sì che l’unica <strong>di</strong>fferenza sia nella luce e nel buio: la giornata invernale è più corta, la giornata<br />

estiva è più lunga, ma sempre uguale. Non solo le scansioni dettate dai bisogni alimentari, igienici,<br />

corporali, ma l’introduzione <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenze nell’organizzazione dell’arco <strong>della</strong> settimana, con la<br />

possibilità che ogni giorno abbia una sua peculiarità, una sua organizzazione. E ci sarà il giorno<br />

<strong>della</strong> settimana in cui si fa musica, il giorno in cui si fa giar<strong>di</strong>naggio, oppure, se tutti i giorni si fa


musica e tutti i giorni si fa giar<strong>di</strong>naggio, vi sarà il giorno <strong>della</strong> settimana in cui, oltre che fare<br />

musica e fare giar<strong>di</strong>naggio, si va in piscina, ci si de<strong>di</strong>ca alle pulizie <strong>della</strong> casa in maniera più<br />

approfon<strong>di</strong>ta, e si comincia a delineare un vero e proprio calendario, non più fatto <strong>di</strong> giornate tutte<br />

uguali ma <strong>di</strong>fferenziate, e tali da poter essere rappresentate. Forse i nostri ospiti non sanno leggere,<br />

come forse non sanno scrivere, ma forse sanno vedere le figure o sentirle con il tatto, ed è quin<strong>di</strong><br />

forse possibile proporre un calendario <strong>della</strong> settimana che abbia per ogni giorno, alcune figure, o<br />

basterebbe una, rappresentative <strong>di</strong> quella che è l’attività che caratterizza quella giornata. Si può<br />

arrivare anche a cogliere gli elementi <strong>di</strong> novità che sono nella giornata riguardo al clima: piove o<br />

c’è il sole E aggiungere, allora, al calendario fatto <strong>di</strong> elementi che sono già previsti, quelli che sono<br />

rivelati quando alla mattina si scopre se la giornata è <strong>di</strong> neve o se è una giornata ventosa, e allora si<br />

aggiungono <strong>degli</strong> elementi.<br />

Si ampliano, quin<strong>di</strong>, le possibilità che non ci sia un solo tempo ripetitivo e più adatto a dei vegetali<br />

che a <strong>degli</strong> umani, anche se i vegetali sono capaci <strong>di</strong> percepire a loro modo le stagioni, il freddo e il<br />

caldo, e quin<strong>di</strong> hanno una percezione del cambiamento del tempo. A volte le nostre strutture non<br />

lavorano sul tempo, non <strong>di</strong>fferenziano il tempo, e quin<strong>di</strong> chiudono la totalità del tempo in una sola<br />

<strong>di</strong>mensione ripetitiva. Uscire dalla totalità significa articolare il tempo. Il tempo ha poi la possibilità<br />

<strong>di</strong> essere anche percepito come durata per capire una possibile nostra organizzazione dell’energia.<br />

Se noi <strong>di</strong>ciamo ad un bambino che capisce bene quello che è il senso delle parole: “Stai seduto con<br />

me per cinque minuti”, quel bambino, se capisce che cinque minuti sono una durata <strong>di</strong> cui ha il<br />

controllo, sarà capace <strong>di</strong> organizzare le sue energie per stare seduto; ma se abbiamo un bambino<br />

ancora piccolo, o una bambina ancora piccola, e sappiamo che non significa per loro un gran che<br />

<strong>di</strong>re cinque minuti, noi usiamo <strong>degli</strong> altri mo<strong>di</strong> per segnalare il tempo, e <strong>di</strong>ciamo: “Stiamo ancora<br />

fermi per il tempo che finisca questa musica” oppure “Quando avremo finito <strong>di</strong> mangiare questo<br />

gelato andremo a fare due passi”.<br />

Diamo, quin<strong>di</strong>, al tempo una possibilità <strong>di</strong> essere colto, letto, sulla base <strong>di</strong> elementi controllabili. E<br />

perché non costruirli questi elementi controllabili Perché non pensare che l’organizzazione del<br />

tempo voglia <strong>di</strong>re anche costruire delle macchine del tempo, delle clessidre, insieme agli ospiti. E,<br />

quando nella clessidra la sabbia scorre, abbiamo la possibilità <strong>di</strong> leggere, <strong>di</strong> capire, quanto tempo<br />

ancora dobbiamo stare seduti, quanto tempo ancora dobbiamo attendere per fare una certa cosa; e<br />

abbiamo la possibilità <strong>di</strong> rovesciare la clessidra e <strong>di</strong> ricominciare, e <strong>di</strong> percepire i numeri in<br />

funzione del tempo, perché potremmo stabilire che andremo in giar<strong>di</strong>no quando avremo fatto<br />

passare la sabbia per quattro volte, ossia avremo girato la clessidra per quattro volte; e ogni volta<br />

che gira la clessidra potremmo utilizzare un segnale, un cilindro colorato che appen<strong>di</strong>amo a un<br />

chiodo, quando avremo quattro ton<strong>di</strong> colorati appesi alla parete noi avremo la possibilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>re che


è passato il tempo e che possiamo andare in giar<strong>di</strong>no. L’organizzazione del tempo articolato,<br />

<strong>di</strong>fferenziato, è fondamentale.<br />

E gli spazi: un certo modo <strong>di</strong> vivere l’educazione nelle istituzioni può ridurre molto gli spazi, e fare<br />

sì che le persone vivano la loro giornata in uno spazio che è più o meno sempre lo stesso. E’<br />

un’aula, è il dormitorio che <strong>di</strong>venta spazio in cui ci si intrattiene durante la giornata, avendo<br />

accumulato i letti da una parte, è la possibilità che la giornata trascorra articolando pochi spazi, e<br />

non contrassegnati da delle <strong>di</strong>fferenze funzionali. Quella rappresentazione delle attività, o<br />

laboratori, può articolare gli spazi. E possiamo cominciare ad avere uno spazio in cui siamo abituati<br />

a vivere la nostra vita <strong>di</strong> riposo e uno spazio in cui siamo invitati a vivere le nostre attività.<br />

Però anche le attività possono <strong>di</strong>fferenziarsi, e quin<strong>di</strong> possiamo avere più spazi: uno per un’attività,<br />

uno per un’altra, oppure lo stesso spazio, ma che deve essere riorganizzato in funzione dell’attività<br />

che svolgiamo, e che quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>venta nostra cura e nostro impegno <strong>di</strong> educatori, probabilmente in<br />

maniera in maniera più forte, ma con l’aiuto anche <strong>degli</strong> ospiti, <strong>di</strong>venta uno spazio investito da una<br />

nostra progettualità, un nostro cambiamento funzionale a quello che dobbiamo pensare <strong>di</strong> fare. Si<br />

toglie, quin<strong>di</strong>, allo spazio quel grigio in<strong>di</strong>stinto che è proprio <strong>di</strong> molte istituzioni totali, e si<br />

comincia a valutare l’articolazione <strong>degli</strong> spazi, e a pensare, ma anche a praticare, soprattutto a<br />

percorrere, <strong>degli</strong> itinerari.<br />

Comincia ad articolarsi, come si è articolato il tempo, anche lo spazio, in percorsi che devono avere<br />

una loro organizzazione. E avendo un’organizzazione hanno anche, inevitabili, dei momenti <strong>di</strong><br />

conflitto. Quando si articolano tempi e spazi vi sono anche dei possibili malintesi che fanno venir<br />

fuori la necessità <strong>di</strong> organizzare dei momenti <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione e <strong>di</strong> comunicazione. Se abbiamo uno<br />

spazio con la possibilità <strong>di</strong> vedere la televisione, forse abbiamo la possibilità che vi siano <strong>di</strong>versi<br />

gruppi che vogliano vedere la televisione e, se lo spazio lo permette, tutti potranno stare insieme,<br />

ma se questo non fosse possibile bisognerà o trovare modo <strong>di</strong> avere un altro spazio per un’altra<br />

televisione, oppure organizzarsi perché ci sia un calendario <strong>di</strong> quello spazio per i <strong>di</strong>versi gruppi.<br />

I movimenti nello spazio esigono un’organizzazione con dei me<strong>di</strong>atori. Potrebbero essere dei buoni<br />

me<strong>di</strong>atori i segnali stradali ma che, in una comunità o in uno spazio educativo, non sono tanto<br />

utilizzati nella forma in cui li incrociamo andando in giro a pie<strong>di</strong> o in automobile, ma sono<br />

organizzati con cartelli, con tabelloni, con lavagne, con insegne, con in<strong>di</strong>catori che permettono <strong>di</strong><br />

capire che cosa si fa in quello spazio, cosa si fa in quell’altro, chi ha occupato ha previsto <strong>di</strong> usare lo<br />

spazio per quell’attività il tal giorno, dalla tal ora alla tal altra, e chi invece si prenota per subentrare<br />

imme<strong>di</strong>atamente dopo.<br />

Incomincia ad esserci bisogno <strong>di</strong> una certa organizzazione, e si può cominciare ad immaginare che<br />

qualcuno <strong>degli</strong> ospiti faccia parte anche dell’organizzazione, cioè <strong>di</strong>venti collaboratore attivo e in


qualche modo protagonista dell’organizzazione, facilitando i compiti del personale e nello stesso<br />

tempo assumendo delle piccole responsabilità nell’organizzazione <strong>della</strong> comunità. Verrà poi il<br />

momento, se non è già venuto, nella nostra immaginazione, che un certo modo <strong>di</strong> fare le cose e una<br />

certa attività abbia avuto la possibilità <strong>di</strong> utilizzare <strong>degli</strong> spazi esterni all’istituto: <strong>di</strong> andare, per<br />

esempio, in piscina fuori, o, altra possibilità, <strong>di</strong> permettere a persone che vengono da fuori, <strong>di</strong> venire<br />

nella piscina che abbiamo noi, dentro, <strong>di</strong> andare in una palestra attrezzata che è in un altro e<strong>di</strong>ficio,<br />

in una scuola, in un centro sportivo; oppure, noi abbiamo una buona palestra, il nostro istituto si<br />

mette a <strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> una comunità più larga e non solo <strong>di</strong> chi è residente nell’istituto.<br />

Incominciano ad articolare gli spazi, e naturalmente anche i tempi, anche fuori; si intreccia, quin<strong>di</strong>,<br />

una certa attività che permette <strong>di</strong> ampliare le risorse, e <strong>di</strong> vederle non solo nel concentrato<br />

dell’istituzione ma anche in una rete <strong>di</strong> risorse esterne che permettono <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare altre<br />

competenze, anch’esse esterne, perché possiamo in questo modo scoprire che abbiamo <strong>degli</strong><br />

anziani, pensionati ma ancora capaci <strong>di</strong> dare una mano e capaci, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> organizzare l’orto sulla<br />

riva del fiume, e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> andare a fare il nostro orto non più dove stiamo e dove abbiamo già<br />

stabilito delle nostre attività, ma una possibilità più lontana, ecc. Qui gli esempi si potrebbero<br />

moltiplicare: l’interessante <strong>di</strong> questa riflessione speriamo che sia il cogliere la possibilità <strong>di</strong> uno<br />

sviluppo, <strong>di</strong> un intreccio, e anche <strong>di</strong> un’apertura <strong>di</strong> occasioni, perché lo sviluppo <strong>di</strong> questo intreccio<br />

<strong>di</strong> tempi e <strong>di</strong> spazi può portare a capire come realizzare un altro punto importante dell’istituzione<br />

totale e cioè la crescita <strong>di</strong> altre occasioni.<br />

2.4 - Nuove offerte, nuove occasioni<br />

L’istituzione, valorizzata al suo interno, comincia ad essere interessata a collegarsi con altre<br />

istituzioni e forse a creare nuove proposte. Uno <strong>degli</strong> obiettivi <strong>di</strong> un’istituzione totale che cambia è<br />

quella <strong>di</strong> non aumentare sempre la sua popolazione. Facciamo un esempio: se un istituto ha una sua<br />

popolazione <strong>di</strong> 400 ragazzi bisogna che si ponga il problema <strong>di</strong> non aumentare il numero e, nello<br />

stesso tempo, <strong>di</strong> farsi carico e avere una responsabilità che permetta <strong>di</strong> rispondere ad altre richieste,<br />

ad altri bisogni <strong>di</strong> aiuto, non solo con l’ingresso nell’istituto ma con altre forme <strong>di</strong> risposta. Possono<br />

essere possibilità il rendere compatibile la vita in famiglia e la permanenza in orari <strong>di</strong> attività <strong>di</strong><br />

giorno nelle occupazioni dell’istituto. Possono essere, però, anche l’attivare dei servizi <strong>di</strong><br />

volontariato che permettano a ragazzi e ragazze che hanno dei bisogni particolari <strong>di</strong> avere delle<br />

esperienze residenziali esterne, in gruppi-famiglia. Possono quin<strong>di</strong> essere tante le risorse che si<br />

aprono e che hanno bisogno <strong>di</strong> una regia, non possono essere lasciate a loro stesse, devono avere il<br />

sostegno <strong>di</strong> una esperienza educativa competente che c’è proprio nell’istituto. Si rivaluta, quin<strong>di</strong>, e


si valorizza l’istituto, non tanto come spugna che assorbe, quanto come elemento organizzatore che<br />

sostiene gli impegni <strong>di</strong> altri che sono fuori dall’istituto. E certamente questa va fatto <strong>di</strong> concerto, <strong>di</strong><br />

comune accordo con quelle altre istituzioni che hanno dei compiti, in rapporto alla risposta ai<br />

bisogni.<br />

Nasce quin<strong>di</strong> una possibilità che la trasformazione dell’istituto avvenga non solo con una<br />

riorganizzazione interna dei compiti che già aveva assunto, ma anche con una capacità progettuale,<br />

con una possibilità, quin<strong>di</strong>, che si proceda verso un ampliamento delle risposte, una maggiore<br />

possibilità <strong>di</strong> rendere personalizzate le risposte, e quin<strong>di</strong> con una possibilità <strong>di</strong>, ogni volta che vi<br />

sono dei problemi, quasi progettare la risposta più adeguata a quel problema, ma soprattutto <strong>di</strong><br />

progettare la risposta più adeguata a quell’in<strong>di</strong>viduo: sempre più non leggere l’in<strong>di</strong>viduo come<br />

problema ma leggere il problema nell’in<strong>di</strong>viduo e nella sua storia, e nelle sue esigenze che sono<br />

originali e non possono essere fotocopiate dagli altri.<br />

Una delle realizzazioni più interessanti che un centro - l’istituto cambia nome e <strong>di</strong>venta più<br />

facilmente un centro <strong>di</strong> proposte, <strong>di</strong> servizi, <strong>di</strong> attività – può fare è quella che chiamiamo banca del<br />

tempo. Così come abbiamo detto per i laboratori, il nostro vocabolario in<strong>di</strong>ca una certa attività, una<br />

certa organizzazione, ma non vuole proporla proprio con queste parole. E’ possibile che in altri<br />

contesti i termini banca del tempo significhino poco o creino qualche problema <strong>di</strong> comprensione <strong>di</strong><br />

cosa questo può significare. Cosa vorremmo <strong>di</strong>re Vorremmo <strong>di</strong>re che si può organizzare un punto<br />

<strong>di</strong> riferimento per un intero quartiere, per un paese, per una citta<strong>di</strong>na, che permetta a chi ha un’ora<br />

<strong>di</strong> tempo alla settimana, un giorno al mese, un giorno festivo ogni tanto, da mettere a <strong>di</strong>sposizione<br />

con delle risorse umane: una persona può saper fare qualche cosa che riguarda la cura del giar<strong>di</strong>no,<br />

altri possono sapere lavorare a maglia, stirare, essere capaci <strong>di</strong> portare in giro la gente, <strong>di</strong> guidare<br />

un’automobile, sanno leggere a chi non ha modo <strong>di</strong> leggere; altri ancora possono fare <strong>della</strong><br />

corrispondenza per chi desidera entrare in corrispondenza e non ha gli strumenti per farlo, e così<br />

via. Gli esempi si possono moltiplicare tanto quante sono le persone che incontriamo andando in<br />

una strada affollata. Di ciascuno <strong>di</strong> questi che offrono un tempo e una piccola loro qualità che<br />

ritengono <strong>di</strong> avere dobbiamo tener conto per poterli mettere in relazione a bisogni che non siano<br />

troppo pesanti perché non è utile appoggiarli a delle persone che hanno delle competenze <strong>di</strong><br />

volontariato, e non delle competenze professionali.<br />

In questo modo noi potremmo non togliere il lavoro a chi lo ha professionalmente ma permettere a<br />

chi ha delle competenze professionali <strong>di</strong> utilizzarle al meglio e <strong>di</strong> essere accompagnato da altri<br />

soggetti, esterni alla professione, e quantomai utili perché i soggetti che richiedono delle attenzioni<br />

particolari incontrino una pluralità <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui e non solo gli addetti ai lavori professionali. Questo<br />

servizio è una possibile iniziativa <strong>di</strong> quelle che permettono all’istituzione <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare centro <strong>di</strong>


iferimento per una pluralità <strong>di</strong> iniziative, che permette una pluralità <strong>di</strong> risposte, e che permette,<br />

nello stesso tempo, <strong>di</strong> fare un’opera <strong>di</strong> sensibilizzazione in un contesto allargato, utile per la<br />

prevenzione. Non intendo, qui, tanto la prevenzione primaria, quella cioè che impe<strong>di</strong>sce l’insorgere<br />

dei bisogni particolari e dei problemi, quanto <strong>della</strong> prevenzione secondaria, cioè quella prevenzione<br />

che impe<strong>di</strong>sce, ad esempio, la cronicizzazione delle patologie, le sostiene in un tessuto sociale.<br />

Proprio le iniziative, che l’istituto che ho voluto chiamare, poi, centro può prendere, sono capaci <strong>di</strong><br />

stabilire delle reti sociali, e sappiamo quanto importante per ciascuno <strong>di</strong> noi è poter contare non<br />

soltanto sulle risposte professionali, ma anche su una rete sociale.<br />

A maggior ragione le reti sociali <strong>di</strong>ventano importanti quando si tratta <strong>di</strong> crearle ed elaborarle in<br />

situazioni che hanno subito dei traumi non solo in<strong>di</strong>viduali ma collettivi, o gran<strong>di</strong> trasformazioni <strong>di</strong><br />

carattere culturale, economico, sociale, e in cui quelle che erano le precedenti reti sociali si sono<br />

strappate, non sono più quelle che funzionavano, hanno bisogno <strong>di</strong> un elemento nuovo, non tanto<br />

che le sostituisca quanto che le faccia riscoprire. Poi, nel nuovo c’è anche la possibilità che vi sia il<br />

nuovo aggiunto. Ma quello che sembra importante in questa riflessione è il non enfatizzare troppo il<br />

nuovo quanto l’innovazione, la nuova possibilità <strong>di</strong> utilizzare le risorse che già c’erano, e forse<br />

incontrandone delle nuove.<br />

Nella possibilità progettuale la valorizzazione <strong>degli</strong> operatori incontra la necessità <strong>di</strong> avere nuove<br />

informazioni e anche <strong>di</strong> avere aggiornamenti informativi. Bisogna, cioè, essere competenti non<br />

tanto per delle operazioni che si ripetano tali e quali per tutto il nostro percorso professionale, dal<br />

giorno in cui abbiamo cominciato a lavorare al giorno in cui lasciamo per raggiunti limiti <strong>di</strong> età.<br />

Abbiamo bisogno, in questo percorso, <strong>di</strong> essere capaci <strong>di</strong> cambiamento, non i cambiamenti fini a se<br />

stessi ma dettati dalle esigenze che incontriamo, e dalla lettura originale <strong>di</strong> ogni esigenza. Non<br />

possiamo, quin<strong>di</strong>, operare per riduzioni, e incontrando dei bisogni originali ridurli in modo tale che<br />

stiano nelle caselle che avevamo già in qualche modo pre<strong>di</strong>sposto. Dobbiamo ad<strong>di</strong>zionare le cose<br />

che sapevamo già ad altre che dobbiamo imparare, che ci sono fornite dalle novità <strong>degli</strong> incontri<br />

umani, dei bisogni e dell’avanzamento delle ricerche. E’ questo intreccio che permette la<br />

valorizzazione piena delle <strong>di</strong>fferenze. Il nostro percorso ha valorizzato innanzitutto le <strong>di</strong>fferenze,<br />

quin<strong>di</strong> le <strong>di</strong>stinzioni <strong>di</strong> originalità tra il personale, educatori e operatori in generale, accompagnando<br />

questa <strong>di</strong>fferenziazione del personale con la <strong>di</strong>fferenziazione <strong>degli</strong> ospiti, che poi sono <strong>di</strong>ventati<br />

piano <strong>degli</strong> in<strong>di</strong>vidui con dei percorsi e dei progetti <strong>di</strong> vita, la strutturazione <strong>di</strong> spazi e <strong>di</strong> tempi, i<br />

me<strong>di</strong>atori e le competenze da accrescere, rinforzandole, non buttando mai via nulla, ma rileggendo,<br />

riformulando, capendo meglio, e inserendosi – perché no – in quegli scambi più allargati che<br />

consentono a <strong>di</strong>versi paesi <strong>di</strong> confrontarsi, <strong>di</strong> lavorare a <strong>di</strong>stanza e incontrandosi, e <strong>di</strong> scambiarsi le<br />

esperienze. Che bisogno c’è <strong>di</strong> scambiarsi le esperienze quando sono le stesse, perché le istituzioni


che chiamavamo totali funzionavano più o meno nello stesso modo a tutte le latitu<strong>di</strong>ni, e in tutti i<br />

paesi la finestra si apriva sulle montagne o sul mare ma quello che accadeva nelle stanze era lo<br />

stesso, sia in montagna che al mare. Aprendosi, le istituzioni cominciano a <strong>di</strong>ventare ricche <strong>di</strong><br />

esperienze e bisognose, anche delle esperienze <strong>degli</strong> altri, ricche e povere nello stesso tempo, ricche<br />

<strong>della</strong> loro esperienza ma anche povere in rapporto alle esperienze <strong>degli</strong> altri, e quin<strong>di</strong> curiose,<br />

curiose per vedere cosa succede in altri contesti, come vengono a loro volta valorizzate le loro<br />

esperienze, quali sono le ricerche attive.<br />

E’ utile, quin<strong>di</strong>, immaginare che una trasformazione del genere abbia come obiettivo più complesso<br />

quello <strong>di</strong> un sentirsi parte <strong>di</strong> una più ampia appartenenza, che non è solo più quella <strong>di</strong> un singolo<br />

paese, <strong>di</strong> una singola istituzione, ma è quella <strong>di</strong> una comunità educativa e scientifica comporta da<br />

tanti paesi; ciascuno con le sue forze contribuisce ad arricchire la comunità. E ciascuno sente che da<br />

solo non basta e che ha bisogno <strong>degli</strong> altri, un po’ come gli educatori e un po’ come gli ospiti:<br />

ciascuno è importante ma ciascuno ha bisogno <strong>degli</strong> altri e anche gli altri sono importanti.<br />

Tutto questo si riorganizza in una rivisitazione dei termini che sono quanto mai importanti per<br />

l’educazione <strong>degli</strong> han<strong>di</strong>cappati. Uno è imme<strong>di</strong>atamente presente in questa riflessione a chi la sta<br />

facendo: il termine autonomia, che cambia significato. Mentre l’autonomia nello schema delle<br />

istituzioni totali era quella che gli ospiti non avevano e non avrebbero potuto avere, perché era<br />

intesa e a volte è intesa come una capacità <strong>di</strong> fare, la riflessione nuova in<strong>di</strong>ca una autonomia fatta<br />

soprattutto <strong>di</strong> capacità <strong>di</strong> riferirsi agli altri, e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare negli altri le persone che possono<br />

fare quello che un soggetto da solo non sa fare. Banalizzando molto questa riflessione, si può<br />

tranquillamente immaginare quello che accade a un bambino o a una bambina che dovrebbe<br />

prendere un oggetto posto su un ripiano a cui non arriva. Vi sono molte possibilità: o quella <strong>di</strong> fare<br />

in modo che, magari anche con qualche capriccio una persona adulta arrivi a quell’oggetto e glielo<br />

porga, o fare in modo che una persona adulta avvicini una se<strong>di</strong>a dove si arrampica quel bambino o<br />

quella bambina per prendere l’oggetto, oppure avere imparato ad avvicinare la se<strong>di</strong>a, salire sulla<br />

se<strong>di</strong>a e prendere l’oggetto. In tutti e tre le realizzazioni l’autonomia in quanto “far da soli” non c’è;<br />

in tutte e tre le organizzazioni vi è un fare insieme, anche insieme a una se<strong>di</strong>a, e non si arriva a una<br />

se<strong>di</strong>a mossa da uno stesso oggetto in totale autonomia se non c’è stata una possibilità <strong>di</strong> far<br />

muovere la se<strong>di</strong>a a un altro o <strong>di</strong> vedere un altro che muove la se<strong>di</strong>a, la avvicina, vi sale sopra, ecc.<br />

Quin<strong>di</strong> vi è una possibilità <strong>di</strong> leggere l’autonomia come un processo che implica, necessariamente,<br />

il rapportarsi agli altri. Più volte abbiamo in<strong>di</strong>cato come autonomia - la buona autonomia - quella<br />

che permette <strong>di</strong> saper chiedere - e abbiamo anche detto come è importante sapere a chi chiedere,<br />

cosa chiedere e come chiedere. Non raggiungeremo con alcuni soggetti che sono dati alle nostre<br />

responsabilità delle autonomie intese come possibilità che ciascuno faccia tutto, ma possiamo


aggiungere delle autonomie intese come capacità <strong>di</strong> chiedere e sapere in<strong>di</strong>viduare la persona giusta,<br />

e sapere cosa chiedere e, fatto molto importante, come chiedere, perché chiedere agli altri può<br />

<strong>di</strong>ventare l’elemento che rompe ogni possibilità <strong>di</strong> convivenza, si <strong>di</strong>venta estremamente noiosi,<br />

oppure si impara ad essere, nella richiesta che si fa agli altri, anche molto piacevoli, simpatici, utili,<br />

capaci <strong>di</strong> valorizzare gli altri.<br />

Non possiamo nascondere che tante volte, nella vita <strong>di</strong> ciascuno, il fatto che qualcuno ci abbia<br />

chiesto qualche cosa, anche <strong>di</strong> impegnativo e <strong>di</strong> faticoso, ci ha gratificato. Puntiamo su questo.<br />

Come educatori abbiamo la possibilità <strong>di</strong> riscoprire, o <strong>di</strong> rileggere, il termine autonomia con tutt’un<br />

altro significato rispetto a quello che il contesto dell’istituzione totale ci in<strong>di</strong>cava come un punto<br />

irraggiungibile tra i soggetti <strong>di</strong> cui dobbiamo occuparci e <strong>di</strong> cui abbiamo una certa responsabilità<br />

educativa. Con l’autonomia come termine guida <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> altri termini si può allargare il<br />

<strong>di</strong>scorso pensando anche alla nostra stessa autonomia. Ciascuno <strong>di</strong> noi non può ritenersi capace <strong>di</strong><br />

risolvere tutto, anche professionalmente, ma deve capire quali sono gli elementi in cui il suo<br />

apporto è <strong>di</strong> valore ed è utile, quali sono, invece, gli elementi che vanno messi a <strong>di</strong>sposizione, messi<br />

in mano, o per i quali va richiamata l’attenzione <strong>di</strong> altri, non necessariamente <strong>di</strong> altre professioni ma<br />

anche all’interno <strong>di</strong> una stessa professione vi può essere una capacità per fare certe cose in un<br />

educatore, per farne altre in un altro educatore. Ed è quanto mai salutare vincere le resistenze delle<br />

gelosie, capendo come sia molto proficuo per tutti permettere la valorizzazione, ancora una volta,<br />

delle competenze.<br />

Con l’autonomia nascono, appunto, delle nuove letture <strong>di</strong> altre parole che hanno, tra quelle più<br />

importanti, proprio il termine competenza. La competenza: come per l’autonomia, vale la stessa<br />

riflessione. Nelle istituzioni che chiamiamo totali le competenze erano ritenute assenti, o presenti in<br />

misura talmente larvale da non costituire una risorsa. Nell’articolazione <strong>di</strong> tempo, spazio, me<strong>di</strong>atori,<br />

nuove proposte, e tutta quest’altra apertura <strong>di</strong> prospettive, è quasi evidente che si declinano e si<br />

scoprono nuovi mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> poter interpretare il termine competenza, e quin<strong>di</strong> scoprire la possibilità che<br />

soggetti, che sembravano totalmente privi <strong>di</strong> competenza, ne <strong>di</strong>mostrino, in rapporto a determinati<br />

compiti, nuovi contesti, <strong>di</strong>versi da quelli in cui ripetutamente avevano trascorso la loro vita, e<br />

abbiano la possibilità <strong>di</strong> rivelare competenze.<br />

2. 5 – Conclusioni<br />

Nel percorso <strong>della</strong> riorganizzazione delle istituzioni a volte vi è una fase molto tormentata, fatta <strong>di</strong><br />

gran<strong>di</strong> resistenze al cambiamento ma anche <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> entusiasmi - perché i cambiamenti sono<br />

interpretati anche come liberazione dalle catene, <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> entusiasmi che hanno permesso a certi<br />

psichiatri <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare delle figure importanti <strong>della</strong> nostra storia, in epoche anche lontane, all’inizio


dell’800, perché erano coloro che liberavano da situazioni molto chiuse, situazioni in cui, dopo, si è<br />

potuto leggere un certo grado <strong>di</strong> violenza, anche. Sono le letture che si fanno dopo perché le<br />

persone che vivevano e che si impegnavano non avevano, forse, nessuna voglia esplicita <strong>di</strong> essere<br />

violenti, ma erano le strutture, le circostanze che, col senno <strong>di</strong> poi, sono leggibili in termini <strong>di</strong><br />

violenza.<br />

Momenti <strong>di</strong> grande liberazione, <strong>di</strong>fficoltà a realizzarli ma anche grande entusiasmo: è l’entusiasmo<br />

dei pionieri. Passato il momento dell’entusiasmo e del cambiamento più <strong>di</strong>fficile, anche, epico in<br />

qualche modo, <strong>di</strong>venta complicato mantenere la carica energetica, mantenere la tensione etica, per<br />

potere continuare, anche perché a volte vi sono dei malintesi. Qualcuno può intendere - è capitato in<br />

<strong>di</strong>verse circostanze – che uscire dalle istituzioni totali possa anche voler <strong>di</strong>re accorgersi, come per<br />

miracolo, che non esistono più persone problematiche, persone che abbiano problemi <strong>di</strong> limite, e<br />

invece ci si rende conto che i limiti ci sono, le persone continuano a soffrire, e che bisogna<br />

continuare a lavorare. Ed è proprio su questo “continuare a lavorare” che vale la possibilità <strong>di</strong><br />

continuare a progettare e a confrontarsi, a lavorare in un concorso, in un concerto, in un confronto<br />

che sia ampio, perché è molto possibile che la grande carica dell’innovazione abbia poi un arresto<br />

per caduta <strong>di</strong> tensione, e anche per delusione, perché i problemi si ritrovano.<br />

Non è possibile, quin<strong>di</strong>, ingannarci e ingannare <strong>di</strong>cendo che l’istituzione totale ha creato la malattia<br />

mentale, l’insufficienza mentale. Ha creato, forse, una possibilità <strong>di</strong> non in<strong>di</strong>vidualizzare e <strong>di</strong> non<br />

percepire l’originalità <strong>di</strong> ciascuno <strong>degli</strong> insufficienti mentali, dei malati psichiatrici, ecc. Ma<br />

dobbiamo renderci poi conto che il lavoro continua. Il lavoro continua e ha bisogno <strong>di</strong> una<br />

organizzazione quoti<strong>di</strong>ana. Ed è su quello che abbiamo voluto incentrare la nostra riflessione, non<br />

sulle gran<strong>di</strong> trasformazioni <strong>di</strong> carattere politico, dei vertici, ma più su una possibilità che nel<br />

quoti<strong>di</strong>ano si vivano delle trasformazioni significative che si organizzano attorno a un termine<br />

importante che è valorizzazione, valorizzare il singolo, valorizzare <strong>di</strong>stinguendo il singolo dal<br />

mucchio. Non è più un mucchio ma ognuno è un in<strong>di</strong>viduo, con le sue caratteristiche, con i suoi<br />

valori. Questo ci permette <strong>di</strong> capire che mentre nell’istituzione totale avevamo a che fare con una<br />

base molto ristretta <strong>di</strong> esigenze e <strong>di</strong> risposte, tutto stava in un perimetro molto ristretto, invece<br />

aprendosi e ristrutturando tempo e spazi, me<strong>di</strong>atori, rituali, proposte, noi stiamo facendo<br />

un’operazione – la facciamo per ora col pensiero, e bisogna accompagnarla con i fatti – <strong>di</strong><br />

allargamento <strong>della</strong> base su cui stiamo procedendo. E’ proprio la lettura <strong>di</strong> una base molto più ampia,<br />

<strong>di</strong> elementi che non sono organizzati in un concentrato, ma che permettono <strong>di</strong> <strong>di</strong>sseminarsi, quin<strong>di</strong><br />

perdono sicuramente visibilità. La necessità è quella <strong>di</strong> non sentire la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> visibilità – l’istituto<br />

si vede, l’azione sociale potrebbe essere anche nascosta, intrecciata a tutto quello che accade in un<br />

contesto civile – la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> visibilità potrebbe anche coincidere con una capacità gestionale che


deve vederci preparati, ed è su questo che dobbiamo ragionare per capire l’importanza <strong>della</strong><br />

documentazione e <strong>della</strong> capacità <strong>di</strong> offrire agli altri una buona informazione documentata sul lavoro<br />

che stiamo svolgendo.


LA PEDAGOGIA SPECIALE, LA RICERCA E LA DOCUMENTAZIONE<br />

3.1 La <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> e la specificità <strong>della</strong> sua <strong>di</strong>mensione<br />

Lo statuto scientifico <strong>della</strong> <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> non è sempre compreso. Questo può essere<br />

considerato un elemento comune a tante aree <strong>di</strong>sciplinari. In particolare la <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong><br />

rischia <strong>di</strong> essere capita come una <strong>di</strong>sciplina o un’area <strong>di</strong>sciplinare che aveva le sue ragioni <strong>di</strong> essere<br />

quando sovrabbondavano le strutture separate. A qualcuno potrebbe sembrare che la scelta <strong>di</strong> una<br />

prospettiva <strong>di</strong> integrazione permetta anche il superamento <strong>della</strong> <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> e il suo<br />

assorbimento in altre aree <strong>di</strong>sciplinari. Riteniamo che questo sia un errore, dovuto forse alla non<br />

conoscenza <strong>di</strong> una realtà come quella <strong>di</strong> chi ha dei bisogni particolari derivati da deficit.<br />

Cre<strong>di</strong>amo utile specificare la <strong>di</strong>mensione dell’area in rapporto ai deficit, ossia a delle mancanze<br />

permanenti che possono creare svantaggi. Abitualmente viene usato il termine han<strong>di</strong>cap, che<br />

dovrebbe in<strong>di</strong>care gli svantaggi e che sovente <strong>di</strong>venta il termine con cui si designa l’insieme <strong>di</strong><br />

deficit e svantaggi. Nella specificità dell’area <strong>di</strong>sciplinare è invece opportuno specificare la<br />

<strong>di</strong>fferenza fra deficit e han<strong>di</strong>cap e chiarire che uno dei motivi <strong>di</strong> maggiore necessità <strong>della</strong> specificità<br />

dell’area <strong>di</strong>sciplinare è proprio quello <strong>della</strong> riduzione dell’han<strong>di</strong>cap o <strong>degli</strong> han<strong>di</strong>cap. Tale<br />

riduzione, nella prospettiva dell’integrazione, esige delle competenze: competenze specifiche tanto<br />

più quanto esse debbano o desiderino raggiungere gli in<strong>di</strong>vidui nel loro contesto <strong>di</strong> vita, e non<br />

portare gli stessi in<strong>di</strong>vidui in un contesto speciale: istituto, ricovero, centro specializzato. "La<br />

<strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> è [……] innanzitutto, <strong>Pedagogia</strong>, ha lo stesso oggetto <strong>di</strong> questa, cioè <strong>di</strong><br />

problemi relativi all’educazione, ma come campo <strong>di</strong> ricerca, si è staccata dalla <strong>Pedagogia</strong> Generale,<br />

conservandone tutti gli elementi fondanti e aggiungendo <strong>degli</strong> specifici, rispondenti a quelli che<br />

abbiamo in<strong>di</strong>viduato come “bisogni educativi speciali” dei soggetti con situazioni particolari. La<br />

<strong>di</strong>versità alla quale guarda la <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> è dunque quella comprensibile su un piano<br />

genetico-funzionale, come risultante <strong>di</strong> processi mentali, psicologici e/o comportamentali che, per la<br />

presenza <strong>di</strong> una con<strong>di</strong>zione han<strong>di</strong>cappante, hanno avuto una loro strutturazione che si è allontanata<br />

dalla normalità, cioè si è <strong>di</strong>scostata dalle linee con le quali tali processi evolvono e si strutturano nel<br />

soggetto considerato normo-dotato". (M.Gelati, 1996, p.14).<br />

Questa in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> Maura Gelati fa riferimento a con<strong>di</strong>zioni han<strong>di</strong>cappanti che vengono ritenute<br />

quelle che fanno nascere bisogni particolari permanenti. Questo non significa che gli han<strong>di</strong>cap<br />

rimangano sempre tali. Han<strong>di</strong>cap come svantaggi hanno bisogno <strong>di</strong> un intervento <strong>di</strong> carattere<br />

scientifico per essere ridotti. Non sempre le con<strong>di</strong>zioni han<strong>di</strong>cappanti sono già conosciute. Vi è<br />

quin<strong>di</strong> un’interpretazione <strong>della</strong> <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> che ha come necessità la ricerca delle con<strong>di</strong>zioni<br />

in cui possono insorgere gli han<strong>di</strong>cap.


“La <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong>” non può dunque limitarsi a porre attenzione all’han<strong>di</strong>cap ufficialmente<br />

riconosciuto e “certificato”. Se questo è un atto dovuto, è pur vero che il suo compito è più esteso e<br />

delicato. Senza invadere il campo <strong>della</strong> psicoterapia, il suo compito sembra proprio quello <strong>di</strong><br />

in<strong>di</strong>viduare le aree problematiche e le questioni che richiedono una interpretazione per mettere in<br />

atto un intervento speciale intendendo con questo termine un intervento non comune in attesa <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>ventare comune, ricorrente, e con<strong>di</strong>viso.<br />

Il compito <strong>della</strong> <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> è dunque <strong>di</strong> rendere sempre più speciale ogni forma <strong>di</strong><br />

intervento educativo facendo <strong>di</strong>ventare patrimonio comune la capacità <strong>di</strong> cogliere i problemi e la<br />

competenza nell’affrontarli, la padronanza nell’ipotizzare opzioni nelle risposte educative".<br />

(F.Montuschi, 1997, pp.163 – 164”). Come si può vedere La <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> è un <strong>di</strong>venire, ha<br />

compiti esplorativi, deve dare risposte a bisogni che a volte sono già conosciuti e a volte sono da<br />

in<strong>di</strong>viduare e deve, nello stesso tempo, cercare <strong>di</strong> rendere or<strong>di</strong>narie le attenzioni speciali. Questo<br />

dovrebbe essere facilitato dalla prospettiva dell’integrazione. Ma proprio nella prospettiva<br />

dell’integrazione, già lo <strong>di</strong>cevamo, vi è il rischio <strong>di</strong> considerare la <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> come una<br />

<strong>di</strong>sciplina, o un’area <strong>di</strong>sciplinare , superabile, annullabile. E’ <strong>di</strong>verso parlare <strong>di</strong> annullare e parlare<br />

<strong>di</strong> integrare. In una <strong>di</strong>mensione un po’ paradossale si potrebbe <strong>di</strong>re che l’integrazione esige una<br />

maggiore identità. Esige una possibilità <strong>di</strong> collaborazione sapendo che questa non porterà a sparire.<br />

Le necessità <strong>di</strong> risposte specifiche sono anche necessità <strong>di</strong> competenze tecniche altrettanto<br />

specifiche; non solo tecniche ma culturali in un senso ampio e, quin<strong>di</strong> con un fondamento<br />

scientifico. E’ proprio questa la principale ragione per cui si può parlare <strong>della</strong> <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> in<br />

rapporto a compiti <strong>di</strong> ricerca e quin<strong>di</strong> a necessità <strong>di</strong> documentazione.<br />

3.2 I compiti <strong>della</strong> <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> nella realtà o<strong>di</strong>erna<br />

Come abbiamo già in parte annunciato un compito importante <strong>della</strong> <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> è quello <strong>di</strong><br />

dare risposte specifiche a problemi particolari o, come <strong>di</strong>ce Montuschi, non comuni. Nella<br />

prospettiva dell’integrazione tali risposte hanno bisogno <strong>di</strong> essere ampiamente ripensate e<br />

riformulate per poter essere maggiormente adatte alle necessità del singolo in rapporto al contesto e<br />

allo sviluppo, quin<strong>di</strong>, <strong>della</strong> sua interazione con il contesto. La specificità dei compiti attuali <strong>della</strong><br />

<strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> derivano dal fatto che proprio la <strong>Pedagogia</strong> dell’integrazione ha sempre più<br />

sottolineato la multicausalità <strong>di</strong> una situazione <strong>di</strong> han<strong>di</strong>cap. Schematizziamo per rendere più<br />

comprensibile questo passaggio non sempre facile. Con le strutture speciali è più semplice<br />

considerare l’in<strong>di</strong>viduo come appartenente a una categoria speciale. E’ semplice quin<strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare<br />

i bisogni <strong>di</strong> un in<strong>di</strong>viduo dal momento che lo si definisce per il deficit che lo caratterizza:<br />

insufficiente mentale, ad esempio. Nella prospettiva dell’integrazione la caratterizzazione per il


deficit è solo un elemento, sia pur molto importante, che non può essere né <strong>di</strong>menticato, né<br />

demagogicamente ritenuto trascurabile. L’accettazione dell’altro come appartenente a pieno titolo<br />

alla citta<strong>di</strong>nanza non può annullare le <strong>di</strong>fferenze. Nella nostra tematica le <strong>di</strong>fferenze sono anche<br />

bisogni particolari. Ma se la categoria <strong>di</strong> insufficienti mentali poteva far ritenere che tutti coloro che<br />

entravano in questa categoria avessero gli stessi bisogni, o ad<strong>di</strong>rittura si poteva <strong>di</strong>re lo stesso<br />

bisogno, e quin<strong>di</strong> potevano avere una risposta omologabile per tutti, le necessità in<strong>di</strong>viduali<br />

risaltano nella prospettiva dell’integrazione. E vi è quin<strong>di</strong> la necessità <strong>di</strong> rendere bisogni specifici<br />

dovuti al deficit come integrati, ancora questa parola, nella persona originale, nell’in<strong>di</strong>viduo. Questo<br />

permette <strong>di</strong> personalizzare il trattamento comunicativo e permette anche <strong>di</strong> utilizzare quel termine<br />

che abbiamo già proposto: multicausalità. Affrontiamo in particolare la situazione <strong>di</strong> han<strong>di</strong>cap, ossia<br />

gli svantaggi, cerchiamo <strong>di</strong> ridurre gli han<strong>di</strong>cap e dobbiamo renderci conto che essi sono provocati<br />

non da una causa sola ma da più cause, e quin<strong>di</strong> esigono più risposte. La multicausalità si collega<br />

con la multimodalità: <strong>di</strong>versi mo<strong>di</strong> per rispondere alle esigenze <strong>di</strong> un in<strong>di</strong>viduo. Questa<br />

caratteristica è proprio <strong>della</strong> <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> ma non è esclusiva <strong>di</strong> tale area <strong>di</strong>sciplinare. Vi<br />

possono essere, quin<strong>di</strong>, altri collegamenti con altre <strong>di</strong>scipline che vivono la stessa problematica <strong>di</strong><br />

ricerca. I compiti <strong>della</strong> <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> sono quelli <strong>di</strong> ridurre in termini pedagogici, e quin<strong>di</strong> in<br />

proposte educative, le risultanze delle ricerche che collegano causalità e multimodalità: Nella<br />

specificità dell’assunto <strong>di</strong> chi scrive queste pagine, il riferimento utile sembra essere quello alla<br />

<strong>Pedagogia</strong> Istituzionale che ha il misconoscimento, in generale, perché la si fa spesso assorbire ad<br />

una presunta in<strong>di</strong>viduazione <strong>di</strong> Rogers come ispiratore, mentre non ha rapporto se non come tanti<br />

altri stu<strong>di</strong>osi; oppure la si fa derivare da elementi soprattutto relazionali, con qualche punto <strong>di</strong><br />

riferimento interessante ma che dovrebbe essere chiarito, e cerchiamo <strong>di</strong> farlo in due righe.<br />

Istituzionale significa complementarietà <strong>di</strong> istituito e <strong>di</strong> istituente, <strong>di</strong> già dato e <strong>di</strong> <strong>di</strong>venire, quin<strong>di</strong><br />

possibilità <strong>di</strong> prendere in considerazione ciò che è già costituito, e da lì far scaturire lo spazio<br />

costituente. Costituente può voler <strong>di</strong>re progettante, che ha una sua proiezione nel futuro e che deve,<br />

nello stesso momento, rendere organizzata la progettazione. L’elemento organizzativo è importante.<br />

E’ importante in funzione <strong>di</strong> una necessità continua <strong>di</strong> considerare gli elementi <strong>di</strong> centralità del<br />

progetto e gli elementi <strong>di</strong> sbilanciamento. Centralità non significa un datato: è centralità nel<br />

progetto; cioè qualcosa che deve poter essere riorganizzata ogni qualvolta si sposta la <strong>di</strong>namica del<br />

progetto stesso.<br />

Queste righe sono probabilmente troppo brevi. Hanno la giustificazione unica <strong>di</strong> potere far capire, o<br />

<strong>di</strong> tentare questo, che la <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> è uno <strong>degli</strong> elementi componenti <strong>di</strong> un intreccio ampio<br />

<strong>di</strong> più aree <strong>di</strong>sciplinari e l’apporto che può dare la <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> è quello relativo alla<br />

riformulazione e all’in<strong>di</strong>viduazione <strong>di</strong> risposte in un contesto integrato che permetta la scomparsa


dello strumento specifico. Questa forse è la peculiarità <strong>della</strong> <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> moderna:<br />

l’affrontare problemi non comuni e desiderare <strong>di</strong> fare scomparire la “Specialità”; nello stesso tempo<br />

il volere, ed è questo il punto più paradossale, mantenere la propria specificità. Probabilmente chi è<br />

molto lontano dalle nostre tematiche può smettere <strong>di</strong> leggere, e forse siamo noi a non farci capire<br />

bene. Potrebbe <strong>di</strong>re: ma questi cosa vogliono E in effetti la <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> vuole esistere in<br />

quanto tale ma scomparire il più possibile nelle pratiche, riuscendo ad essere una risposta<br />

competente nei contesti or<strong>di</strong>nari.<br />

Se questo modo <strong>di</strong> porre il tema può sembrare solo una originalità paradossale, è più semplice, però,<br />

rintracciarne la sua autenticità facendo riferimento alle necessità: necessità <strong>di</strong> risposta a problemi <strong>di</strong><br />

comunicazione che non sono riducibili alla buona volontà. Esigono delle tecniche, esigono <strong>degli</strong><br />

ausili, problemi <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento, sia formalizzato che informale, <strong>di</strong> comportamenti sociali,<br />

problemi che riguardano la sfera dell’intimità, la sessualità, aspetti importanti che riguardano la<br />

<strong>di</strong>fferenza che può esservi tra le conoscenze che si avevano quando molti soggetti vivevano in<br />

istituzione chiusa e le nuove conoscenze che si devono raccogliere, negli stessi tipi <strong>di</strong> soggetti che<br />

vivono una realtà aperta. Si pensi, ad esempio, alla Sindrome <strong>di</strong> Down. La Sindrome <strong>di</strong> Down aveva<br />

delle caratteristiche molto legate al tipo <strong>di</strong> vita che veniva proposto, se si può <strong>di</strong>re così, o imposto,<br />

come forse è più giusto <strong>di</strong>re, ai soggetti. Nello specifico vi erano molte riduzioni <strong>di</strong> possibilità,<br />

dovute a elementi organici, e potevano fare pensare, con molta legittimità, che fosse proprio <strong>della</strong><br />

Sindrome <strong>di</strong> Down non permettere all’in<strong>di</strong>viduo lo sviluppo <strong>di</strong> certe facoltà, <strong>di</strong> certe possibilità. La<br />

realizzazione <strong>di</strong> una vita sociale, la possibilità <strong>di</strong> crescere insieme agli altri, bambini e bambine, <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>ventare adulti insieme ad altri, uomini e donne, ha spostato i termini del limite anche organico. Ad<br />

esempio (esempio nell’esempio) l’invecchiamento: Qualche decennio fa non era neanche un<br />

problema perché non esisteva, o esisteva talmente raramente da non costituire un elemento <strong>di</strong><br />

particolare stu<strong>di</strong>o e ricerca. Oggi, nel nostro mondo europeo, la presenza <strong>di</strong> persone adulte Down<br />

che raggiungono i sessanta anni è una realtà. In molte situazioni veniva percepita l’età adulta come<br />

un’età in cui vi era la possibilità dell’Altzaimer, ed era quasi scontato che la persona adulta Down<br />

sui quaranta anni presentasse dei sintomi <strong>di</strong> invecchiamento caratteristici dell’Altzaimer. Oggi<br />

questo è in gran parte cambiato ed esige nuove ricerche. Dove vanno fatte queste ricerche Non<br />

certo nei luoghi dove un tempo si potevano fare, cioè negli istituti. Vanno fatte nella realtà <strong>di</strong> vita<br />

delle persone, delle loro famiglie, nei luoghi <strong>di</strong> lavoro, protetto o non protetto, nei centri <strong>di</strong><br />

socializzazione, nelle strutture, quin<strong>di</strong>, <strong>della</strong> vita sociale che hanno molte caratteristiche comuni a<br />

soggetti che non hanno la Sindrome <strong>di</strong> Down. Cambiano le esigenze <strong>di</strong> ricerca, cambiano i profili<br />

dei problemi da affrontare, devono cambiare certamente anche le risposte, ma non possono perdere<br />

quella specificità che deve essere peculiarità <strong>della</strong> <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong>; non possono riprendere,


però, la separatezza. Specificità non equivale a separatezza. E’ per questo che riteniamo<br />

fondamentale ragionare sulle competenze che la <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> ha il dovere <strong>di</strong> avere. Come<br />

ogni compito <strong>di</strong>fficile, anche la <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> può incontrare non pochi rischi.<br />

3.3 I rischi che la <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> può incontrare.<br />

Il cammino <strong>della</strong> <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> ha delle <strong>di</strong>fficoltà che si sono sempre espresse e che oggi noi<br />

cerchiamo <strong>di</strong> vedere nelle realtà in cui viviamo. Non sono rischi tali da renderli così <strong>di</strong>versi da altre<br />

<strong>di</strong>scipline, ma hanno ancora una loro specificità propria <strong>di</strong> quest’area <strong>di</strong>sciplinare. E’ una<br />

navigazione <strong>di</strong>fficile tra due scogli, la lontananza <strong>della</strong> ricerca e il coinvolgimento<br />

dell’accompagnamento. La lontananza <strong>della</strong> ricerca è il rischio che corrono molte <strong>di</strong>scipline. La<br />

ricerca ha bisogno <strong>di</strong> una presa <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza dai compiti più attuali, più imme<strong>di</strong>ati. Ha bisogno <strong>di</strong><br />

costruire un quadro <strong>di</strong> riferimento concettuale che superi l’empiria. Sicuramente ha bisogno <strong>di</strong> una<br />

<strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> carattere storico. Ha bisogno quin<strong>di</strong>, nel caso <strong>della</strong> <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong>, <strong>di</strong> capire in<br />

che <strong>di</strong>mensione si colloca un intervento rispetto a una molteplicità <strong>di</strong> interventi nella storia, in che<br />

modo si colloca una tecnica rispetto alle altre tecniche e rispetto anche alle <strong>di</strong>mensioni etiche che<br />

non sono da trascurare e che non possono essere considerate, però, <strong>degli</strong> assoluti, e che bisogna<br />

rapportare ai contesti. Vi sono necessità <strong>di</strong> intrecci continui tra elementi che devono essere reperiti<br />

non nel contesto vivo ma nel contesto scientifico, che è nello stesso tempo vivo e simbolico, più<br />

complicato. Questo può portare alla lontananza <strong>della</strong> ricerca, una lontananza che a volte è stata, nel<br />

caso <strong>della</strong> <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong>, una protezione che ha permesso <strong>di</strong> elaborare interventi <strong>di</strong> grande<br />

importanza, utilizzabili, però, solo quando la lontananza è <strong>di</strong>minuita, quando il richiamo dei contesti<br />

reali è stato accettato e quando vi è stata la possibilità <strong>di</strong> “sporcare” la ricerca per mettere a<br />

confronto i propri strumenti, i propri risultati, con i risultati <strong>della</strong> contingenza, con la contingenza<br />

stessa. La lontananza <strong>della</strong> ricerca è il rischio del laboratorio. Henry Wallon, così come Vigotsky,<br />

avevano molte riserve per una ricerca educativa fatta in laboratorio, non tanto per una questione<br />

morale quanto per un rapporto <strong>di</strong> efficacia, che permettesse alla ricerca <strong>di</strong> mantenere saldo il<br />

collegamento con la stessa realtà <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o. Si potrebbe <strong>di</strong>re che questo è un elemento comune a<br />

tante <strong>di</strong>scipline delle scienze dell’educazione. Vi è però qualcosa <strong>di</strong> più specifico dovuto alla stessa<br />

storia <strong>della</strong> <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> per gli elementi che abbiamo già illustrato <strong>di</strong> una area <strong>di</strong>sciplinare<br />

che poteva essere interpretata come quella <strong>della</strong> separatezza, quin<strong>di</strong> come quella che per mantenere<br />

un suo statuto <strong>di</strong> ricerca deve riprendere una certa separatezza. Ma, d’altra parte, lo scoglio del<br />

coinvolgimento dell’accompagnamento, come lo abbiamo chiamato, è altrettanto pericoloso perché<br />

può portare a considerare unicamente gli elementi <strong>di</strong> implicazione: implicazione in un rapporto<br />

<strong>di</strong>retto, nella realtà viva; e quin<strong>di</strong> a considerare come doveroso il coinvolgimento nelle vicende dei


singoli al punto <strong>di</strong> non sapere prendere delle <strong>di</strong>stanze per collocare quegli stessi avvenimenti, <strong>di</strong><br />

quelle stesse vicende, in un quadro più ampio. La <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> ha vivo questo senso<br />

dell’attuale, del corrispondere alle necessità dei soggetti. E questo è un punto <strong>di</strong> forza ma implica<br />

anche un rischio, il rischio che si vive quando si ha la possibilità <strong>di</strong> integrare il proprio ruolo in<br />

funzione <strong>di</strong> una relazione umana. E’ un elemento <strong>di</strong> ricchezza ed è anche un forte con<strong>di</strong>zionamento<br />

<strong>della</strong> propria attività scientifica. Accettare questo con<strong>di</strong>zionamento per saperlo organizzare in una<br />

prospettiva <strong>di</strong> ricerca significa poter compiere, ed è molto <strong>di</strong>fficile, un ruolo nello stesso tempo <strong>di</strong><br />

coinvolgimento e <strong>di</strong> <strong>di</strong>stacco. Il primo è il rischio <strong>di</strong> rimanere molto attaccati alle tipologie e alle<br />

competenze relative ai singoli deficit, quin<strong>di</strong> alle categorizzazioni, alla possibilità, che è data, <strong>di</strong><br />

avere competenze ancorate alla specifica definizione del deficit. E allora si possono avere le<br />

competenze tiflologiche,. Ossia le competenze legate ai problemi <strong>della</strong> vista, come elementi separati<br />

in cui la realizzazione dello stu<strong>di</strong>o e <strong>della</strong> ricerca è legato a una continua estrapolazione dalle<br />

vicende, per esaminare unicamente, e non è poco, quin<strong>di</strong> non vorremmo essere ingenerosi nei<br />

confronti <strong>di</strong> questo atteggiamento, gli elementi che riguardano la problematica <strong>della</strong> vista. L’altro<br />

scoglio può essere riletto come la necessità <strong>di</strong> conoscere il singolo soggetto, quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> non procedere<br />

a delle amplificazioni e delle generalizzazioni legate a vicende <strong>di</strong> singoli. E allora sarà più<br />

l’attenzione alla vita <strong>di</strong> un singolo soggetto con problemi <strong>della</strong> vista, come nell’esempio fatto, che<br />

non la comprensione dei meccanismi <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento, o l’organizzazione delle percezioni ad<br />

esempio, in coloro che sono privi <strong>della</strong> vista. Si è più calati sulla storia <strong>di</strong> un caso. Ancora si<br />

possono leggere questi due possibili scogli come, il primo, la necessità <strong>di</strong> riferirsi alle strutture<br />

legislative, alle strutture organizzative, ed anche, quin<strong>di</strong>, ai dati statistici da mettere in correlazione<br />

con tali strutture; il secondo, invece, è il riferimento continuo alle esperienze, con gli episo<strong>di</strong> che le<br />

documentano. Ancora, si può leggere i rischi <strong>di</strong> quantità e <strong>di</strong> qualità. Badare solo alla quantità, ai<br />

numeri, ai dati, oppure badare unicamente a dei frammenti <strong>di</strong> qualità. Si possono ancora riprendere<br />

questi due scogli come, da una parte, l’estensione e il desiderio <strong>di</strong> un tema, magari specifico, <strong>di</strong> dare<br />

<strong>degli</strong> elementi <strong>di</strong> grande vastità, e dall’altro lo scoglio del piccolo frammento, prezioso, che<br />

consenta <strong>di</strong> avere un elemento <strong>di</strong> qualità ritenuta rara. Il contributo <strong>di</strong> una <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> che<br />

sappia fronteggiare questi rischi può essere significativo, anche in rapporto ad altri rischi che sono<br />

largamente comuni alle aree <strong>di</strong>sciplinari messe sempre in <strong>di</strong>scussione. Paradossalmente chi si sente<br />

messo sempre in <strong>di</strong>scussione, e viene trascurato, <strong>di</strong>menticato, corre <strong>di</strong> più il rischio <strong>di</strong> considerare in<br />

maniera ipertofica la propria identità, e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> essere un linguaggio autoreferenziale o <strong>di</strong><br />

considerare ed esclusivamente con i propri sentimenti la realtà, <strong>di</strong> considerare la propria con<strong>di</strong>zione<br />

<strong>di</strong> marginalità un punto che consente <strong>di</strong> sviluppare il vittimismo, vale a <strong>di</strong>re la capacità <strong>di</strong> utilizzare<br />

lo statuto <strong>di</strong> vittima per trarne dei vantaggi.


Questi rischi possono essere a volte contrapposti a quello <strong>della</strong> <strong>di</strong>mensione biologica, del prendere<br />

in considerazione unicamente <strong>degli</strong> aspetti che fanno <strong>della</strong> <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> una scienza parabiologica.<br />

Il tema dell’identità può essere rapportato all’identità dell’altro; il rispetto dell’identità<br />

può essere vissuto sottolineando l’eccezionalità dell’altro senza vedere l’intreccio <strong>di</strong> eccezionalità e<br />

<strong>di</strong> or<strong>di</strong>narietà che è nell’altro; e considerare un in<strong>di</strong>viduo han<strong>di</strong>cappato come una eccezionalità da<br />

rispettare senza ammettere che la ricerca è anche intrusione, è destabilizzazione, è entrare in una<br />

situazione non per rispettarla ma per rispettare la <strong>di</strong>gnità, che è altra cosa. Non per rispettare la<br />

situazione, perché la situazione <strong>di</strong> han<strong>di</strong>cap va invece mo<strong>di</strong>ficata: bisogna ridurre l’han<strong>di</strong>cap.<br />

Vi è poi un rischio ulteriore che è quello del contrapporre identità culturale e interazione sociale, o<br />

<strong>di</strong> mettere in rapporto gerarchico queste, <strong>di</strong> considerare il proprio ruolo, la propria <strong>di</strong>mensione<br />

missionaria come un elemento prioritario rispetto a tante altre <strong>di</strong>scipline, e quin<strong>di</strong> farsi portavoce <strong>di</strong><br />

chi non ha voce, in termini che possano <strong>di</strong>ventare un elemento <strong>di</strong> preziosità, in qualche modo<br />

contribuendo al mantenimento <strong>di</strong> uno statuto separato e non lavorando per l’integrazione.<br />

Tutti questi rischi fanno parte <strong>della</strong> <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong>, ed è proprio ritornando a considerare la<br />

<strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> e la sua situazione paradossa che riflettiamo sulla necessità <strong>di</strong> far fronte ai rischi<br />

con un collegamento <strong>della</strong> <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> e <strong>della</strong> ricerca a cui è chiamata con le strutture che<br />

chiamiamo documentazione.<br />

3.4 La necessità <strong>della</strong> documentazione<br />

Nel 1873 in occasione <strong>della</strong> esposizione universale <strong>di</strong> Vienna, Edouard Séguin fu invitato dal<br />

governo Statunitense, in qualità <strong>di</strong> commissario speciale per l’educazione e dagli stessi<br />

organizzatori dell’esposizione. In quella occasione Séguin compì un viaggio <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o nei paesi<br />

europei e scrisse, in seguito, un rapporto sull’educazione, apparso nello stesso anno 1873 in<br />

e<strong>di</strong>zione statunitense, e ripreso, in lingua francese, nel 1895. Tale rapporto contiene un percorso.<br />

Riguarda i bambini piccoli, la loro educazione "“nel ventre <strong>della</strong> madre", come <strong>di</strong>ce lo stesso<br />

Séguin, nei primi anni <strong>di</strong> vita, nelle organizzazioni infantili che sono gli asili e i giar<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> infanzia,<br />

e quin<strong>di</strong> le scuole infantili, riguarda l’educazione dei sensi, il sistema muscolare, la lezione delle<br />

cose. Questa è l’esposizione del percorso educativo dei normali. In una seconda parte Séguin<br />

esamina i progressi realizzati dal punto <strong>di</strong> vista dell’educazione dei sordomuti. Allora il termine era<br />

largamente impiegato, oggi è fortemente criticato. E nella terza parte del rapporto Séguin tratta<br />

l’educazione <strong>degli</strong> i<strong>di</strong>oti e dei deboli <strong>di</strong> spirito. Si trattava <strong>di</strong> esaminare, in rapporto all’educazione<br />

<strong>di</strong> tutti, quello che erano i bisogni speciali <strong>di</strong> bambini con caratteristiche <strong>di</strong>verse. Ricor<strong>di</strong>amo questa<br />

opera <strong>di</strong> Séguin come uno dei capisal<strong>di</strong> <strong>di</strong> una documentazione cercata e prodotta nello stesso<br />

tempo. Edouard Séguin ebbe una grande attenzione nei confronti <strong>di</strong> quella pluralità <strong>di</strong> committenti


che può essere sempre presa in considerazione da chi ricerca e stu<strong>di</strong>a. Nello specifico <strong>della</strong><br />

<strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> i committenti comprendono anche le persone “speciali” ed il proprio io ideale,<br />

quello che ciascuno dei ricercatori, <strong>degli</strong> stu<strong>di</strong>osi, così come delle ricercatrici e delle stu<strong>di</strong>ose,<br />

desidera essere. E’ indubbio che la <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong>, come d’altra parte quasi tutte le scienze<br />

dell’educazione, sollecita il narcisismo e quin<strong>di</strong> consente <strong>di</strong> sentire la propria attività e la propria<br />

ricerca come particolarmente in<strong>di</strong>spensabili. E’ indubbio che la possibilità <strong>di</strong> rendere meno <strong>di</strong>fficile<br />

la vita <strong>di</strong> qualcuno possa tradursi in un senso quasi <strong>di</strong> onnipotenza. Proprio per questo consideriamo<br />

importante riflettere sui committenti. Tra i committenti vi è anche il committente-amministratore, il<br />

committente sociale, che deve tenere conto <strong>di</strong> una composizione <strong>di</strong> risorse e <strong>di</strong> interessi, che non<br />

può permettere che un tema sia la nota dominante. Per questo la documentazione può essere messa<br />

in rapporto con i <strong>di</strong>versi committenti. In sé il termine “documentazione” ha la possibilità passiva <strong>di</strong><br />

essere utilizzato da chi vuole documentare e vuole documentarsi solo secondo le proprie aspirazioni<br />

e le proprie convinzioni. Vorremmo qui, invece, richiamare la documentazione come la necessità<br />

particolarmente importante per la <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> e la sua area <strong>di</strong>sciplinare, <strong>di</strong> vivere la<br />

documentazione come uno scambio multiplo e quin<strong>di</strong>, per questo, l’abbiamo riferita e raccordata<br />

anche alle molteplicità dei committenti. Uno stu<strong>di</strong>oso svizzero parla <strong>di</strong> una <strong>Pedagogia</strong> Specializzata,<br />

o <strong>Speciale</strong>, intelligente. Cosa vuol <strong>di</strong>re questo Dice che l’intelligenza significa, in questo caso,<br />

sinonimo <strong>di</strong> sfruttamento delle risorse naturali per economizzare, nelle installazioni tecniche<br />

costose, senza trascurare il benessere dell’uomo e il suo miglioramento. E’, secondo questo<br />

stu<strong>di</strong>oso, un principio che dovremmo adottare, senza tardare, in <strong>Pedagogia</strong> Specializzata o <strong>Speciale</strong>:<br />

sforzarsi <strong>di</strong> aumentare la qualità <strong>della</strong> vita <strong>degli</strong> utenti e, nello stesso tempo, arrivare a ridurre i costi<br />

delle prestazioni. Attorno a questa <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> intelligente chiama a raccolta gli altri<br />

stu<strong>di</strong>osi (G.Stauny – Bossart, 1999). Questo richiamo potrebbe essere mal interpretato se<br />

escludessimo gli altri committenti. E’ evidente, ancora una volta, che si può utilizzare un aspetto in<br />

termini esclusivi e ridotti all’attualità, e si può quin<strong>di</strong> interpretare il compito <strong>della</strong> <strong>Pedagogia</strong><br />

<strong>Speciale</strong> come un intervento nell’attualità e nell’economia del momento. Documentarsi e<br />

documentare con una pluralità <strong>di</strong> committenti significa capire come si possa economizzare, ma<br />

anche capire come si possa trasformare un’economia tenendo conto delle necessità e dei bisogni<br />

speciali. Sosteniamo con questo che la <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> debba investirsi <strong>di</strong> una competenza<br />

tipica <strong>degli</strong> economisti. Deve, però, saper leggere anche l’economia, quin<strong>di</strong> deve sapere completare<br />

la propria conoscenza utilizzando la conoscenza e la competenza <strong>degli</strong> altri. Questa pluralità <strong>di</strong><br />

committenti è un elemento importante in rapporto alla documentazione. E’ <strong>di</strong>fficile stabilire dei<br />

confini precisi o ad<strong>di</strong>rittura assoluti alla documentazione utile per la <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong>. Ed è<br />

<strong>di</strong>fficile anche stabilire dei confini precisi all’apporto <strong>della</strong> <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong>. Questa seconda


questione è meno labile perché vorremmo ricordare il significato <strong>di</strong> <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> come<br />

apporto per bisogni non comuni, e quin<strong>di</strong> come una tematica con lo stu<strong>di</strong>o, riflessione, ricerca,<br />

riportata sempre al contatto con una popolazione che si può anche definire “speciale”. Questo<br />

contatto è importante. Noi potremmo pensare che la documentazione è il collegamento<br />

problematico continuo fra l’esperienza e ciò che è riportato dall’esperienza: la testimonianza, il<br />

<strong>di</strong>ario <strong>di</strong> bordo, il racconto, la storia <strong>di</strong> vita, ma anche, oggi più <strong>di</strong> ieri, le immagini, la<br />

rappresentazione, e la documentazione formalizzata nella ricerca. E’ un collegamento, la<br />

documentazione, fra le pratiche, e l’elaborazione teoretica. In questo senso il documentare<br />

<strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> può essere più definito, mentre il documentarsi, per la <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong>, è<br />

avere un orizzonte che si sposta sempre, con tutte le possibilità <strong>di</strong> imbroglio che vanno tenute<br />

presenti. Quando si deve o si vuole entrare in ambiti <strong>di</strong>sciplinari <strong>di</strong>versi dal nostro, abbiamo la<br />

possibilità <strong>di</strong> raccogliere <strong>degli</strong> elementi, <strong>di</strong> trasportarli senza avere la competenza <strong>della</strong> loro<br />

collocazione <strong>di</strong> campo. Abbiamo la possibilità <strong>di</strong> fare riferimento a chi è biologo, ad esempio, ed ha<br />

una cultura e quin<strong>di</strong> una possibilità <strong>di</strong> parlare a partire dalla propria ricerca e dalla propria<br />

competenza <strong>di</strong> biologo; noi possiamo estrapolare e commettere qualche uso improprio. Queste sono<br />

possibilità indubbie. Abbiamo però anche la necessità, il dovere, <strong>di</strong> aprire a una documentazione<br />

quasi senza confini le esigenze, le tematiche <strong>della</strong> <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong>.<br />

Pluralità <strong>di</strong> committenti significa anche questo: necessità <strong>di</strong> percorrere <strong>degli</strong> itinerari che assumano<br />

tutte le informazioni necessarie a completamento <strong>di</strong> elementi che potrebbero apparire solo in<br />

rapporto alle necessità evidenti <strong>della</strong> <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong>. Vi sono possibili esempi. Trascurare le<br />

storie i contesti storici in cui sono emerse delle proposte, in cui sono state realizzate delle ricerche a<br />

volte significa non comprendere la necessità, che a loro volta i ricercatori e gli stu<strong>di</strong>osi hanno avuto,<br />

<strong>di</strong> tenere conto <strong>della</strong> pluralità dei committenti. E' uno <strong>degli</strong> elementi che riteniamo più interessanti<br />

per capire cosa accadde, negli Stati Uniti, con il venir meno del Welfare State Kenne<strong>di</strong>ano, quando,<br />

cioè, la <strong>di</strong>mensione solidaristica, che sicuramente era presente nella realizzazione e nella ricerca <strong>di</strong><br />

<strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong>, si dovette trasformare in una <strong>di</strong>mensione che potremmo anche chiamare<br />

scientista. Il committente, inteso come apparato politico – amministrativo, poteva corrispondere<br />

risorse in una chiave scientifica, e abbiamo detto anche scientista, mentre aveva <strong>di</strong>fficoltà a<br />

corrispondere analoghe risposte se rimaneva il quadro solidale e solidaristico. E' comprensibile che<br />

in poco tempo nascessero programmi e strumenti che, riportati in altri contesti e trascurando le<br />

ragioni <strong>di</strong> origine, rischiano ed hanno rischiato <strong>di</strong> <strong>di</strong>venire neutri e assoluti.<br />

Documentazione significa anche questo: evitare che una proposta, una ricerca, assumano un<br />

carattere neutro ed assoluto. Per questo riteniamo importante, riferendosi allo specifico <strong>di</strong> progetti e<br />

meto<strong>di</strong> riabilitativi, procedere a un’indagine che permetta <strong>di</strong> avere, il più possibile, elementi <strong>di</strong>


conoscenza <strong>di</strong> carattere storico e metodologico. E per questo riteniamo utile proporre una scheda<br />

che abbia questa caratteristica. Di ogni proposta possiamo vagliare l’albero genealogico, la<br />

collocazione nel tempo e nello spazio, i bisogni a cui ha cercato <strong>di</strong> dare risposta, la possibilità <strong>di</strong><br />

ampliamento per altre necessità e i collegamenti, oltre che le variabili. Importante è anche<br />

conoscere i punti deboli, i limiti, le controin<strong>di</strong>cazioni. E’ possibile che non si riesca ad avere tutte<br />

queste conoscenze ma anche questo è un elemento <strong>di</strong> documentazione <strong>di</strong> conoscenza. Abbiamo<br />

bisogno, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> procedere con una curiosità che permetta <strong>di</strong> evitare l’enfasi o il rigetto, il rifiuto<br />

<strong>di</strong> particolari in<strong>di</strong>cazioni tecniche. La <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong>, come altre aree <strong>di</strong>sciplinari, proprio per<br />

quelle ragioni che abbiamo già detto e che sono riassumibili nei termini <strong>di</strong> multicausalità e<br />

multimodalità, ha oggi più <strong>di</strong> ieri la necessità <strong>di</strong> documentarsi e <strong>di</strong> documentare, cioè <strong>di</strong> rispondere<br />

a delle richieste ma anche <strong>di</strong> fare delle richieste, <strong>di</strong> porsi delle domande, <strong>di</strong> cercare <strong>di</strong> sapere se<br />

esistono già le risposte o se vanno ancora ricercate. Avere delle risposte plurime vuol <strong>di</strong>re attivare<br />

delle strutture <strong>di</strong>alogiche con le altre aree <strong>di</strong>sciplinari. Vuol <strong>di</strong>re potere collaborare e, a volte, anche<br />

confrontarsi o scontrarsi con le strutture <strong>della</strong> ricerca che hanno in molte situazioni una struttura<br />

gerarchica e <strong>di</strong> potere, dettata dalle attribuzioni <strong>di</strong> compiti, in parte, e in parte anche da quelle che<br />

possono essere definite le ren<strong>di</strong>te accademiche. L'area <strong>della</strong> <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> ha scarse ren<strong>di</strong>te<br />

accademiche e molte richieste. E questa può essere una morsa che stringe. La possibilità <strong>di</strong> uscirne è<br />

data anche dall'utilizzazione, nella documentazione, <strong>di</strong> quella che potremmo chiamare una logica<br />

ipertestuale: la possibilità <strong>di</strong> leggere le tematiche <strong>della</strong> <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> come si è portati a fare<br />

con un ipertesto, facendo, cioè, “esplodere” parole concetti e anche situazioni, per vedere tutte le<br />

implicazioni possibili ma anche per scegliere quali implicazioni percorrere.<br />

Vi è, nella documentazione, un’assunzione <strong>di</strong> responsabilità. Non è possibile, neanche umanamente,<br />

percorrere tutte le implicazioni: bisogna poterle sceglierle. Ed è questa scelta che deve avere, da<br />

parte del ricercatore, delle domande dei committenti. Se pren<strong>di</strong>amo in considerazione unicamente le<br />

domande esplicite, le domande visibili, le più clamorosamente visibili, potremmo trascurare<br />

domande più importanti, implicite, o fatte in modo tale da dovere essere ricercate. Questo è il<br />

compito interessante, appassionante, ma anche molto <strong>di</strong>fficile, che la <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> oggi si<br />

propone, e questo collegamento fra un’area <strong>di</strong>sciplinare, la ricerca e la documentazione <strong>di</strong>venta<br />

tanto più importante in quanto la <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> ha assunto la prospettiva dell’integrazione.<br />

Perché è importante Per molte ragioni, ma ne vogliamo sottolineare soprattutto una. L’integrazione<br />

a volte è letta soprattutto attraverso l’integrazione scolastica. Ma noi vorremmo tenerla aperta anche<br />

alla cultura, alla scienza, alla socialità, al sociale, all’economa. Ebbene, l’integrazione ha avuto<br />

<strong>degli</strong> sviluppi dal momento in cui si è mossa una società. Per l’Italia l’emigrazione interna ha fatto<br />

saltare schemi che sembravano molto praticabili e che riguardavano insegnamenti <strong>di</strong>fferenziati,


scuole <strong>di</strong>fferenziate. Non più percorribili quegli schemi si è fatta strada la prospettiva<br />

dell’integrazione. Per ragioni ben più drammatiche in altri paesi le gran<strong>di</strong> masse <strong>di</strong> persone che si<br />

sono spostate per catastrofi, per guerre, hanno reso vulnerabile una parte <strong>della</strong> popolazione,<br />

soprattutto infantile, e, ancora una volta, gli schemi che permettevano <strong>di</strong> rispondere a bisogni per<br />

categorie non sono stati più praticabili ed è nata una necessità <strong>di</strong> integrazione. La <strong>Pedagogia</strong><br />

<strong>Speciale</strong> ha un compito importante: aggiungere qualità a necessità. E la qualità può essere ricercata<br />

proprio attraverso questi collegamenti fra l’area <strong>di</strong>sciplinare, la ricerca e la documentazione.<br />

3.5 Scheda per le proposte riabilitative<br />

Espongo sinteticamente i punti che considero importanti nel prendere in esame un percorso<br />

riabilitativo.<br />

1. Il quadro storico specifico. Intendo con questo, una precisa descrizione dell’origine <strong>di</strong> ogni<br />

metodo, del contesto in cui si è realizzato, in rapporto a quali soggetti ha avuto le prime prove<br />

pratiche, in quale realtà istituzionale; a quali precedenti si è ispirato, ed a quali precedenti storici<br />

può essere accostato; come è stato <strong>di</strong>ffuso, o <strong>di</strong>vulgato, in quali contesti.<br />

2. La chiarezza delle controin<strong>di</strong>cazioni. Sembrerebbe superfluo – e a volte non lo è – <strong>di</strong>re che un<br />

processo riabilitativo può dare esiti positivi per alcuni soggetti, nessun esito per altri, ed esito<br />

negativo per altri ancora. A parte il naturale ruolo che vi è sempre per l’imprevisto, è necessario<br />

avere una previsione la più possibile accertata.<br />

3. La capacità <strong>di</strong> integrazioni congruenti. Intendo con questo, la possibilità che vi sia un processo<br />

<strong>di</strong> integrazione fra le attività riabilitative e le altre attività del soggetto, e che <strong>di</strong> conseguenza<br />

possa delinearsi un progetto esistenziale che non coincida esclusivamente e totalmente con il<br />

percorso <strong>della</strong> tecnica riabilitativa. Questo punto può essere espresso anche attraverso due<br />

in<strong>di</strong>cazioni:<br />

a. dal punto <strong>di</strong> vista dell’educazione, è fondamentale evitare che la vitalità venga risucchiata<br />

dall’invali<strong>di</strong>tà e dalla situazione <strong>di</strong> han<strong>di</strong>cap: bisogna evitare che la vita <strong>di</strong>venti l’ombra<br />

<strong>della</strong> <strong>di</strong>fficoltà; ovvero: che <strong>di</strong>venti esclusivamente riabilitazione.<br />

b. La centralità dell’in<strong>di</strong>viduo non deve essere resa periferica da una presunta centralità <strong>della</strong><br />

situazione <strong>di</strong> han<strong>di</strong>cap. Tutto questo si riassume nella possibilità <strong>di</strong> integrazioni congruenti.<br />

4. La chiarezza circa gli errori compatibili e la conseguente rielaborazione del percorso<br />

riabilitativo. Questo punto in<strong>di</strong>ca la necessità che vi sia un margine esplicitato <strong>di</strong> tolleranza<br />

all’errore, per evitare che il presupposto <strong>di</strong> un modello riabilitativo idealmente perfetto<br />

colpevolizzi oltre misura il soggetto stesso che opera.


NOTE BIBLIOGRAFICHE<br />

M.GELATI, <strong>Pedagogia</strong> <strong>Speciale</strong> problemi e prospettive, Corso E<strong>di</strong>t., Ferrara 1996<br />

F.MONTUSCHI, Fare ed essere. Il prezzo <strong>della</strong> gratuità nell'educazione, Citta<strong>della</strong>, Assisi, 1997<br />

A.BRAUNER, A.MICHELET, Ecrits de Edouard Séguin 1812 - 1880, Groupement de recherches<br />

pratiques pour l'enfance, Saint Mondé, 198<br />

G.STAUNY - BOSSART, Plaidoyer pour une "pédagogie spécialisée intelligente", in "Pédagogie<br />

spécialisée", Lausanne - Lurern, 1, février 1999


LE RAGIONI DELL’INTEGRAZIONE<br />

4. 1. Evitare un’educazione isolata<br />

In un filmato del Canada, e più precisamente del Québec, del 1973, vi era un’ampia spiegazione<br />

<strong>della</strong> Sindrome <strong>di</strong> Down. Il filmato era fatto con molta cura e, a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> anni, rivela alcuni<br />

elementi <strong>di</strong> pregiu<strong>di</strong>zio che non possono colpevolizzare gli autori. In particolare può essere utile<br />

soffermarsi su alcuni passaggi per capire, non tanto gli aspetti che possono risultare datati, quanto<br />

una logica, che si potrebbe chiamare <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento isolato. Il video mostrava una lezione <strong>di</strong><br />

matematica. Si svolgeva con la preparazione dell’ambiente, svolta dal solo insegnante, senza la<br />

presenza <strong>degli</strong> allievi. La preparazione consisteva nel <strong>di</strong>sporre tavoli in modo tale che formassero<br />

un cerchio, evitando che lo sguardo fosse attratto dalle finestre aperte sul paesaggio. Vi era poi la<br />

cura del materiale, peraltro semplice, composto <strong>di</strong> gettoni e caramelle, e quin<strong>di</strong> entravano gli allievi.<br />

Erano pochi, un piccolo piccolo gruppo, formato da soggetti Down. L’insegnante svolgeva la sua<br />

attività impegnando ciascuno <strong>di</strong> loro in un calcolo che aveva il possibile rapporto concreto con le<br />

caramelle o con i gettoni. Si trattava <strong>di</strong> scambiare, <strong>di</strong> sottrarre, <strong>di</strong> ad<strong>di</strong>zionare e <strong>di</strong>videre, facendo<br />

sempre riferimento a <strong>degli</strong> elementi manipolabili, concreti: caramelle o gettoni. Questa situazione<br />

aveva una sua logica che abbiamo chiamato dell’appren<strong>di</strong>mento isolato. Ciascuno dei soggetti<br />

doveva apprendere in rapporto ad una <strong>di</strong>namica gestita interamente dall’insegnante e il supporto<br />

stesso, gettoni e caramelle, era a <strong>di</strong>sposizione dell’insegnante.<br />

Proviamo ad immaginare alcune mo<strong>di</strong>fiche alla stessa scena. Proviamo a immaginare che anziché<br />

svolgere quelle modeste operazioni <strong>di</strong> preparazione dell’ambiente e del materiale da solo,<br />

l’insegnante le svolga con l’aiuto <strong>degli</strong> allievi. Proviamo a immaginare che questa operazione sia<br />

svolta raccontando quello che si fa e anche perché lo si fa. Pensiamo che il materiale abbia una sua<br />

collocazione abituale, in un arma<strong>di</strong>o, e possa essere tirato fuori, scelto quin<strong>di</strong>, forse tra altri<br />

materiali, sulla base <strong>di</strong> una anticipazione <strong>di</strong> quello che si dovrà in qualche modo fare. Pensiamo che<br />

le caramelle abbiano un’origine, non sono certamente già lì, o se erano lì lo erano da un tempo non<br />

infinito. A <strong>di</strong>fferenza dei gettoni, che non sono materiale deperibile, le caramelle, non come altri<br />

prodotti alimentari, certamente non possono rimanere per anni in un arma<strong>di</strong>o. Vi è stato qualcuno<br />

che ha procurato le caramelle acquistandole. Possiamo limitare un’operazione all’avere le<br />

caramelle, potremmo prolungarla pensando che c’è stato un momento in cui quell’insegnante, o un<br />

altro insegnante, è uscito con gli allievi per comprare le caramelle. Potremmo immaginare variabili<br />

quali il compito assegnato a uno o a una <strong>degli</strong> allievi perché venendo a scuola compri le caramelle,<br />

ecc.. Abbiamo molte, molte possibilità.<br />

La sola riorganizzazione delle <strong>di</strong>sposizioni da prendere per poter poi svolgere la lezione <strong>di</strong>venta<br />

interessante per capire che vi può essere uno sviluppo <strong>di</strong> una logica <strong>di</strong> cooperazione. La sindrome <strong>di</strong>


Down assume non tanto una connotazione passiva, che deve solo ricevere da un insegnante<br />

<strong>di</strong>sponibile ad avere ritmi adatti a persone più lente, materiale concreto per concretizzare sempre i<br />

concetti, un numero limitato <strong>di</strong> allievi per poterli seguire in<strong>di</strong>vidualmente. Queste regole sembrano<br />

essere quelle dell’insegnamento separato, solitario. Nell’insegnamento cooperativo il soggetto<br />

Down viene invitato a collaborare alla realizzazione del progetto <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento e la prima<br />

operazione che abbiamo incontrato è stata quella <strong>della</strong> preparazione dell’ambiente. Ne nasce,<br />

quin<strong>di</strong>, la possibilità <strong>di</strong> trasmettere un atteggiamento attivo importante, che fa passare da una<br />

constatazione <strong>di</strong> capacità a una strategia <strong>di</strong> capacità. Si passa quin<strong>di</strong> da una constatazione del “So<br />

fare", oppure "Non so fare”, a una strategia del “So fare se…”: se organizzo l’ambiente in un certo<br />

modo, se ho il materiale adatto, se ho il tempo per potere ragionare, se ho l’interlocutore adatto alle<br />

mie possibilità; e "non so fare se" non ho una serie <strong>di</strong> elementi organizzativi. La parte organizzativa,<br />

quin<strong>di</strong>, non è un dato immutabile ma comincia ad essere attiva. E’ una possibilità <strong>di</strong> intervento sulla<br />

realtà che mi circonda. Certo, si possono poi incontrare <strong>degli</strong> ostacoli, non è un intervento magico.<br />

E’ un intervento che può costare fatica, comportare <strong>degli</strong> errori e quin<strong>di</strong> delle piccole frustrazioni,<br />

avere dei limiti istituzionali. Il dato <strong>di</strong> realtà in cui opero non mi consente qualsiasi cosa ma una<br />

certa quantità <strong>di</strong> cose sono possibili, anche se alcune sono possibili se io rispetto il rapporto con il<br />

vicinato e non faccio del chiasso <strong>di</strong>sturbando chi sta lavorando nella stanza accanto, ecc.: una serie<br />

<strong>di</strong> operazioni. Questa attenzione sulla preparazione è seguita da una interazione che si <strong>di</strong>mostra non<br />

solo attiva dall’insegnante verso ciascuno <strong>degli</strong> allievi, ma capace <strong>di</strong> stabilire anche l’interazione tra<br />

gli allievi stessi, e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> formare dei processi che consentono la messa in atto <strong>di</strong> trasmissioni<br />

non unilaterali e non solo a raggiera ma anche a intreccio. In questo caso la matematica può<br />

consentire più facilmente la possibilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>stribuire dei compiti e <strong>di</strong> formare delle attività <strong>di</strong><br />

piccolo gruppo che affrontino dei problemi <strong>di</strong> organizzazione <strong>della</strong> <strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> una merce, ad<br />

esempio. L’organizzazione <strong>di</strong> un piccolo gruppo significa l’incontro, forse, ma è molto probabile, <strong>di</strong><br />

capacità <strong>di</strong>verse, <strong>di</strong> ritmi <strong>di</strong> lavoro <strong>di</strong>versi, <strong>di</strong> ritmi <strong>di</strong> attenzione, <strong>di</strong> capacità <strong>di</strong> attenzione<br />

<strong>di</strong>fferenziati. In un progetto è più facile che la competenza del più alto trascini e aiuti a raggiungere<br />

un più alto livello chi si trova in una posizione più bassa. Però bisogna avere un progetto. La<br />

cooperazione esige un progetto: è necessario pensare a riorganizzare quella scena motivando<br />

l’appren<strong>di</strong>mento attraverso un progetto. Questo non significa che ogni operazione del progetto sia<br />

sempre chiara per tutti. Non è mai così. Ma la ricapitolazione deve poter chiarire a tutti in maniera<br />

significativa, quello che è stato il percorso. Anche se vi sono tratti <strong>di</strong> percorso che sono nell’oscurità<br />

per qualcuno, vi deve essere poi una possibilità ricapitolativa tale da dare senso anche a quel tratto<br />

<strong>di</strong> oscurità.


4. 2 . Una educazione e una <strong>di</strong>dattica interattiva<br />

E’ capitato, a chi scrive queste note, <strong>di</strong> trovarsi in un paese lontano, a passare del tempo con un<br />

bambino Down. A volte passare del tempo senza avere qualcosa da fare può <strong>di</strong>ventare pesante e si<br />

ha qualche comportamento <strong>di</strong> impaccio; in questo caso l’impaccio sembrava più dell’adulto che non<br />

del bambino e l’adulto, per uscire da quella situazione non ideale, aveva provato a fare qualche<br />

cenno <strong>di</strong> conversazione, <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogo, senza sortire gran<strong>di</strong> effetti. Si era ricordato <strong>di</strong> avere una risorsa<br />

particolare, il sapere fare il verso <strong>di</strong> un animale, più precisamente <strong>della</strong> gallina, e così si produsse in<br />

questa piccola performance, ottenendo il risultato che quel bambino Down rispose imme<strong>di</strong>atamente<br />

che si trattava <strong>della</strong> gallina e proponendo a sua volta un verso <strong>di</strong> animale. Iniziò così un’interazione<br />

giocosa <strong>di</strong> versi <strong>di</strong> animali che dovevano essere in<strong>di</strong>viduati con il loro nome, e come risposta<br />

bisognava dare un altro verso <strong>di</strong> animale in<strong>di</strong>viduabile a catena, fino a che l’adulto non si trovò in<br />

<strong>di</strong>fficoltà perché pensava <strong>di</strong> aver esaurito il campo dei versi da lui riproducibili. Forse anche con<br />

l’idea <strong>di</strong> mettere fine al gioco aprì ripetutamente la bocca senza emettere nessun suono. Quel<br />

bambino Down rispose imme<strong>di</strong>atamente <strong>di</strong>cendo che si trattava <strong>della</strong> carpa, inteso come pesce. E<br />

iniziò quin<strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> versi <strong>di</strong> animali muti che <strong>di</strong>ventarono assai più <strong>di</strong>vertenti <strong>della</strong> prima parte<br />

del gioco. Era stato quel bambino a proporre uno sviluppo ine<strong>di</strong>to, ed era stato, però, anche quel<br />

bambino ad avviare il gioco. E’ vero che era stato l’adulto a fare il primo verso <strong>di</strong> animale, ma era<br />

stato il bambino a riprenderlo e rilanciarlo, e quin<strong>di</strong> a dargli una forma. In questo caso era accaduto<br />

che la ricerca <strong>di</strong> un me<strong>di</strong>atore, per uscire da una situazione <strong>di</strong> piccolo impaccio – lo stare accanto<br />

senza avere granchè da <strong>di</strong>rsi né granchè da fare -, era stata fortunosamente, per combinazione,<br />

fornita <strong>di</strong> un elemento produttivo, fecondo. Un rapporto <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento basato su una <strong>di</strong>mensione<br />

interattiva deve cercare dei me<strong>di</strong>atori fecon<strong>di</strong>, quin<strong>di</strong> l’interazione <strong>di</strong>venta cooperativa e non<br />

presuppone un rapporto in cui l’insegnamento e l’iniziativa per l’insegnamento, sia unilaterale.<br />

Questo piccolo esempio <strong>di</strong>mostra che lo stereotipo dell’in<strong>di</strong>viduo Down, simpatico ma passivo<br />

ricevitore <strong>di</strong> stimolazioni, si rompe. Si rompe lo stampo, lo stereotipo, e si libera una possibilità <strong>di</strong>,<br />

a sua volta, fornire uno stimolo. Si rompe la catena stimolo-risposta per attivare non più una catena<br />

ma una <strong>di</strong>namica interattiva. Quel bambino Down ha mostrato una capacità interessante: integrare<br />

un elemento <strong>di</strong> novità in una struttura che avrebbe dovuto interrompersi e svanire proprio perché<br />

sembrava non esserci l’elemento fondante <strong>della</strong> struttura stessa. Il verso dell’animale poteva<br />

sembrare l’unico elemento senza il quale il <strong>di</strong>alogo tra noi non avrebbe potuto andare avanti. Quel<br />

bambino ha fatto in modo che il verso dell’animale assumesse una <strong>di</strong>mensione paradosso, e ha<br />

quin<strong>di</strong> continuato ad esserci anche col silenzio dell’animale, ed è nata, quin<strong>di</strong>, la parte dell'attività,<br />

chiamiamola così, <strong>di</strong> animali muti che pure fanno un verso. Questo elemento paradosso contiene<br />

una verità: si pensi a come certa evoluzione del vocabolario non ci dovrebbe più consentire <strong>di</strong>


parlare <strong>di</strong> sordomuti, proprio perché abbiamo considerato, o dovremmo considerare, che il<br />

linguaggio non è solo quello che colpisce l’u<strong>di</strong>to; il linguaggio assolve a una funzione e sta in un<br />

quadro simbolico. La funzione può essere assolta molte volte dall’u<strong>di</strong>to, ma a volte può essere<br />

assolta da altri sensi. Si può quin<strong>di</strong> costruire un linguaggio che non ha nulla a che fare con l’u<strong>di</strong>to.<br />

E’ quello che, in maniera molto empirica e attraverso un gioco che quin<strong>di</strong> poteva essere l’elemento<br />

motivante, aveva sviluppato quel bambino. Il gioco come elemento motivante può sviarci perché<br />

può farci pensare che la ragione <strong>della</strong> persistenza dell’interattività fosse nella considerazione che<br />

quel bambino potrebbe aver fatto nella sua testa: ”Mi piace tanto questo gioco, mi <strong>di</strong>verte, e quin<strong>di</strong><br />

mi conviene escogitare qualche trucco per poterlo continuare anche quando sembra essere alla<br />

fine”: Se questo lo confiniamo al gioco noi capiamo una parte sola <strong>della</strong> ragione per cui la struttura<br />

cooperativa, e quin<strong>di</strong> interattiva può creare <strong>degli</strong> elementi <strong>di</strong> sorpresa e delle conquiste. La struttura<br />

cooperativa può permettere a qualcuno <strong>di</strong> scoprire il modo per poter mantenere l’impegno<br />

cooperativo. Trasferiamolo dal gioco al lavoro, alla scoperta, e quin<strong>di</strong> all’appren<strong>di</strong>mento, e ve<strong>di</strong>amo<br />

la possibilità che vi sia, nella struttura cooperativa, una domanda, una domanda che consente <strong>di</strong><br />

andare avanti. Quello che succede quando nella classe una maestra sceglie una pagina appropriata a<br />

una tematica, da un’opera che potrebbe rimanere sconosciuta e trova nella classe una ricettività ed<br />

un ascolto che è domanda <strong>di</strong> conoscere tutta l’opera e quin<strong>di</strong> non può più permettersi <strong>di</strong> <strong>di</strong>re “Ho<br />

previsto solo questo e ci dobbiamo fermare”. Deve riorganizzare il lavoro in modo tale che anche la<br />

conoscenza <strong>di</strong> quell'opera sia raggiunta. Però vi potrebbe essere in questo un elemento <strong>di</strong> <strong>di</strong>sturbo<br />

circa il progetto. In altri termini, potrebbe esservi una voglia <strong>di</strong> sfuggire all’impegno, e quin<strong>di</strong> un<br />

proseguire qualcosa per poter non affrontare qualcos’altro che è ritenuto più impegnativo. In questo<br />

caso bisogna ricordare che la cooperazione non è l’annullamento dell’autorità <strong>di</strong> progetto.<br />

L’insegnante che entri in un rapporto cooperativo con la classe <strong>di</strong>venta l’autorità garante <strong>della</strong><br />

possibilità <strong>di</strong> mantenere la tensione progettuale. La cooperazione nel gruppo è in funzione <strong>di</strong> un<br />

elemento che viene chiamato, nel mondo del lavoro, la “mission”: l’insegnante ha il compito <strong>di</strong><br />

essere l’autorità garante del mantenimento <strong>della</strong> "mission", che nella scuola è l’appren<strong>di</strong>mento. Non<br />

può quin<strong>di</strong> consentire che il mantenimento <strong>di</strong> una parte dell’impegno <strong>di</strong>venti un modo <strong>di</strong> realizzare<br />

un sabotaggio per l’impegno reale. Ma nel caso che avevamo preso come esempio, -pagina<br />

antologica che viene proposta alla classe con l’idea <strong>di</strong> fornire un esempio che si apra e si chiuda nel<br />

corso <strong>di</strong> una mattina; richiesta, da parte <strong>della</strong> classe, <strong>di</strong> poter conoscere tutta l’opera,- in questo caso<br />

la curiosità e l’esigenza espressa dal gruppo può stare dentro la "mission", può <strong>di</strong>ventare un<br />

maggior incremento dell’insegnamento e dell’appren<strong>di</strong>mento. Quin<strong>di</strong> può rinforzare la "mission".<br />

Tutti noi abbiamo avuto episo<strong>di</strong> in cui abbiamo sentito la nostra fierezza <strong>di</strong> scolari contro la noia<br />

<strong>della</strong> scuola quando abbiamo potuto scoprire una debolezza <strong>di</strong> un insegnante che aveva le sue


passioni. E, quando il tempo <strong>di</strong>ventava minaccioso perché poteva accadere <strong>di</strong> dover affrontare<br />

argomenti noiosi o un’interrogazione, c’era sempre qualcuno che poteva attivare l’interesse per<br />

quella passione. L’insegnante collezionista <strong>di</strong> francobolli, una volta svelata questa passione,<br />

presenta un’occasione d’oro per la classe <strong>di</strong> potere, attraverso la passione per la collezione <strong>di</strong><br />

francobolli, avere delle soste <strong>di</strong> tensione.<br />

Queste sono le abitu<strong>di</strong>ni e le tra<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> una certa scuola a cui facciamo tanto riferimento con<br />

questi riferimenti all’incremento <strong>della</strong> domanda. Nella struttura cooperativa, l’attenzione maggiore<br />

è mantenere la tensione progettuale. E bisogna che ci sia, nella classe, il momento in cui si<br />

annuncia un progetto, e oltre che l’enunciato vi sia una trasmissione nei fatti <strong>di</strong> una tensione<br />

progettuale che avrà dei momenti in cui si evidenzia maggiormente, dei momenti in cui è più<br />

appannata (questo è nella natura delle cose; ma deve essere presente).<br />

4. 3. Autorità e fonte dell’insegnamento non coincidono<br />

Una delle regole interessanti <strong>della</strong> cooperazione e <strong>della</strong> pedagogia istituzionale è la seguente:<br />

l’insegnante ha un ruolo <strong>di</strong> autorità riconosciuta, istituita, e come tale non <strong>di</strong>menticabile, non<br />

cancellabile, non mimetizzabile, e istituente, nel senso che può fare proposte, può anche, però,<br />

accogliere proposte <strong>di</strong> altri elementi istituenti che sono i componenti <strong>della</strong> classe. L’insegnante,<br />

come autorità, non è l’unica fonte del sapere. La non coincidenza <strong>della</strong> fonte del sapere e<br />

dell’autorità trasforma il ruolo in un organizzatore <strong>di</strong> fonti del sapere. Questo è l’elemento più<br />

interessante <strong>della</strong> struttura cooperativa nella pedagogia istituzionale. In termini pratici questo<br />

aspetto ha ricadute molto interessanti in rapporto alle questioni che possono essere affrontate<br />

dall’integrazione <strong>di</strong> persone han<strong>di</strong>cappate. E’ utile sempre avere presente che l’integrazione non<br />

può avere un’interpretazione ridotta alla presenza fisica <strong>di</strong> una persona han<strong>di</strong>cappata nello stesso<br />

ambiente, nello stesso gruppo. Non può avere un’interpretazione, ancora riduttiva, che è quella <strong>di</strong><br />

ritenere che il gruppo eterogeneo è composto da in<strong>di</strong>vidui che percorrono delle piste <strong>di</strong><br />

appren<strong>di</strong>mento in<strong>di</strong>vidualizzate. Ma vi deve essere ancora un’interpretazione dell’integrazione che<br />

consente <strong>di</strong> scoprire come nel curriculum, e quin<strong>di</strong> negli appren<strong>di</strong>menti , vi siano gli interrogativi<br />

alla situazione <strong>di</strong> han<strong>di</strong>cap e vi sia la necessità <strong>di</strong> porre risposte agli interrogativi, <strong>di</strong> procedere alla<br />

ricerca delle risposte che quegli interrogativi richiedono. Ecco allora, che sulla situazione <strong>di</strong><br />

han<strong>di</strong>cap entrano in gioco competenze e saperi che non sono già contenuti nell’insegnante.<br />

L’insegnante ne può avere alcuni ma deve essere capace <strong>di</strong> inviare ad altri. Molti lo fanno già<br />

quando richiedono a bambini e bambine <strong>di</strong> darsi da fare per consultare le enciclope<strong>di</strong>e, per capire<br />

che cosa significa una certa parola. E vi sono, nella classe, risposte che non riguardano solo le<br />

enciclope<strong>di</strong>e ma vi sono anche proposte <strong>di</strong> andare a consultare Internet. In classi <strong>di</strong> scuole


elementari le voci sono quelle che <strong>di</strong>cono: “Io ho mia madre che mi può aiutare a trovare in Internet<br />

quello che cerchiamo” o “Mio padre che…”, quin<strong>di</strong> le possibilità <strong>di</strong> scoprire altre fonti. Questo è un<br />

elemento che fa parte <strong>di</strong> una strategia abbastanza abituale, che parte dal presupposto che: “Io lo<br />

saprei: saprei quin<strong>di</strong> darvi il significato <strong>della</strong> tal parola, la risposta a tal quesito, ma preferisco….”,<br />

da insegnante che preferisce attivare i suoi allievi piuttosto che attivarsi al posto <strong>degli</strong> allievi, “darvi<br />

il compito <strong>di</strong> cercar voi”. Ma il presupposto implicito è. “Io saprei…”. Vi sono, però altre situazioni<br />

che permettono, invece, <strong>di</strong> scoprire che vi sono dei saperi che hanno dei confini, e bisogna spostare<br />

i confini, quin<strong>di</strong> insieme andare a cercare. Se, per esempio, noi incontriamo la parola “autismo” e<br />

non la incontriamo solo come parola ma anche come situazione presente in un contesto scolastico e<br />

vogliamo avere maggiori conoscenze, potremmo anche scoprire che vi sono, non tanto delle<br />

conoscenze assolute, quanto delle ricerche attive che possono anche non andare d’accordo fra loro,<br />

possono essere in forte <strong>di</strong>battito anche polemico. In questo caso non abbiamo solo la possibilità <strong>di</strong><br />

avere un’interprete, ma abbiamo la possibilità <strong>di</strong> sentire più interpreti, <strong>di</strong> interrogarli , forse <strong>di</strong><br />

metterli a confronto e <strong>di</strong> procedere, anche, a una deco<strong>di</strong>fica dei loro apporti per capire come entrano<br />

nelle aree <strong>di</strong>sciplinari in cui la scuola sta producendo un suo percorso <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento. Perché una<br />

delle questioni più importanti è che questa cooperazione sia capace <strong>di</strong> integrare nei percorsi <strong>di</strong><br />

appren<strong>di</strong>mento scolastici e quin<strong>di</strong> non sia una <strong>di</strong>vagazione, una ricreazione intelligente, ma sia un<br />

arricchimento del percorso scolastico. Ecco allora che ci sono, e possono essere veramente molto<br />

importanti, nella strutturazione <strong>di</strong> una <strong>di</strong>namica cooperativa nella pedagogia istituzionale, delle<br />

necessità <strong>di</strong> chiarimento <strong>della</strong> <strong>di</strong>stanza che può esservi fra la mia autorità insegnante e il mio ruolo<br />

<strong>di</strong> fornitore del sapere. Questa <strong>di</strong>stanza è fondamentale per articolare una strutturazione ed una<br />

organizzazione.<br />

4.4. Importanza dei “sistemi <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione”<br />

Philip Meirieu si ricorda che secondo Oury, la semplice regola che permette a <strong>di</strong>eci ragazzini <strong>di</strong><br />

utilizzare il sapone senza litigare, è già un’istituzione” Perché la regola esista è necessario che vi<br />

sia un sapone: cioè l’istituzione ha bisogno <strong>della</strong> me<strong>di</strong>azione dell’oggetto. (PH. MEIRIEU, Lavoro<br />

<strong>di</strong> gruppo e appren<strong>di</strong>mento in<strong>di</strong>viduale, la Nuova Italia, Firenze, 1987, p.65; e<strong>di</strong>z. originale 1984)<br />

Nella strutturazione <strong>della</strong> cooperazione l’organizzazione <strong>di</strong> sistemi <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione è fondamentale.<br />

Riesce <strong>di</strong>fficile immaginare un appren<strong>di</strong>mento che non sia anche organizzazione materiale. Spesso<br />

chi insegna in università incontra operatori che sentono il confronto con l’universitario come<br />

confronto fra chi vive la pratica e chi vive la teoria. E pensano <strong>di</strong> avere a che fare con studenti,<br />

studentesse che hanno una buona, si spera, teoria e una scarsa pratica. Però la teoria da sola non<br />

basta. Anche a chi vive dell’università, perché deve organizzare il tempo, che può essere, se


<strong>di</strong>sorganizzato, un tempo perso; correre da un’aula all’altra senza organizzarsi, avere dei buchi<br />

vuoti e perdere il tempo <strong>di</strong> quei buchi tra un’ora e l’altra, avere un’ora libera e non sapere come<br />

riempirla, non sapersi procurare le fonti, le letture, i libri, non riuscire a organizzare il proprio<br />

tempo in sala stu<strong>di</strong>o o in biblioteca, non organizzarsi i trasporti in maniera adeguata alle esigenze<br />

del proprio progetto <strong>di</strong> esami, non calendarizzare bene gli stessi esami. Tutta l’organizzazione è<br />

materiale, ed è fondamentale per potere vivere l’assorbimento teorico e la ricerca teorica con una<br />

strutturazione costruttiva. Il sistema <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione universitario è molto legato a una concezione<br />

dell’università in Italia, in cui l’organizzazione materiale era lasciata come un punto complementare<br />

per pochi bisogni, perché per la maggioranza vi era la possibilità <strong>di</strong> ricorrere a un’organizzazione<br />

materiale propria, <strong>della</strong> propria famiglia, del proprio gruppo <strong>di</strong> appartenenza. L’università è<br />

cambiata, come è cambiata la scuola, ma per molti versi i sistemi <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione sono rimasti gli<br />

stessi. Con la presenza <strong>di</strong> persone han<strong>di</strong>cappate, con numeri anche elevati ormai anche<br />

nell’università, bisogna pensare a sistemi <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione più espliciti con elementi materiali presenti.<br />

Si pensi alla questione <strong>degli</strong> ausili. O <strong>di</strong>ventano protesi in<strong>di</strong>viduali o <strong>di</strong>ventano strutturazioni<br />

significative per tutti. La possibilità <strong>di</strong> servirsi <strong>di</strong> un computer per la comunicazione o per<br />

l'intervento sull’ambiente ha una <strong>di</strong>mensione protesica in<strong>di</strong>viduale mimetica, oppure <strong>di</strong>venta<br />

organizzazione civile, scolastica. I sistemi <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione danno necessità <strong>di</strong> nuove strutturazioni<br />

anche normative. Ecco le regole a cui quella citazione richiamava. E con le regole si ha la<br />

possibilità <strong>di</strong> una moltiplicazione infinita <strong>di</strong> piccole norme senza scoprire più quali sono quelle<br />

costitutive <strong>di</strong> un gruppo. Allora comincia ad esservi una serie <strong>di</strong> richieste talmente pressanti e<br />

frastagliate da rendere impossibile la loro esecuzione, non capendo più quali sono le regole che<br />

fondano, senza le quali un gruppo non esiste, l’appren<strong>di</strong>mento non esiste, la missione si perde, e<br />

quali sono invece le regole derivate, che hanno una funzione contestuale, legata a <strong>degli</strong> elementi<br />

contingenti, che bisogna quin<strong>di</strong> usare con il ricorso al buon senso, senza esagerare. La<br />

moltiplicazione delle regole senza <strong>di</strong>stinzione tra quelle strutturali e quelle contingenti porta poi a<br />

un risultato molto scadente, che è quello del non seguirne neanche più una. Si <strong>di</strong>ce che la<br />

moltiplicazione dei controlli nelle gestioni porti a fare sì che nessuno <strong>di</strong> questi controlli sia preso<br />

davvero sul serio e gli stessi controllori non esigano dal loro impegno il massimo perché sanno che<br />

quello che loro fanno sarà rifatto da altri, rifatto da altri; quando si trova un controllore pignolo lo si<br />

considera uno stravagante, quasi. Ecco allora che l’organizzazione dei sistemi <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione per la<br />

cooperazione nella pedagogia istituzionale <strong>di</strong>venta l’elemento portante <strong>di</strong> una organizzazione<br />

scolastica. Ed è qui che arriviamo a un episo<strong>di</strong>o interessante: quello che ha permesso <strong>di</strong> ragionare<br />

attorno alla <strong>di</strong>fferenza – uguaglianza <strong>di</strong> un bambino Down in un gruppo <strong>di</strong> coetanei. Quel bambino<br />

Down ha una presenza attiva nella scuola, non è certamente un bambino tenuto in <strong>di</strong>sparte,


marginalizzato, segue gli appren<strong>di</strong>menti, ha maestre che esigono da lui, e quin<strong>di</strong> non sono lì per<br />

accoglierlo in maniera passiva, solo volendogli un bene passivo , ma hanno anche delle esigenze; e<br />

lui risponde, collabora alla costruzione <strong>di</strong> un percorso <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento. Vi sono però alcuni<br />

comportamenti che potrebbero creare del <strong>di</strong>sturbo; uno <strong>di</strong> questi è la sua passione per le gomme che<br />

vengono sottratte e poi masticate e ridotte a poltiglia. Le maestre hanno deciso dall’inizio del<br />

percorso che è arrivato alla quarta elementare, <strong>di</strong> non porsi alla <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> quel bambino né <strong>di</strong> porsi<br />

alla <strong>di</strong>fesa del resto dei bambini e delle bambine da quel bambino. Hanno sempre <strong>di</strong>chiarato, nei<br />

fatti nelle parole, che i rapporti tra bambini devono essere regolati da loro stessi e loro sarebbero<br />

intervenute solo nel caso in cui il regolamento dei rapporti avesse usato maniere non tollerabili: il<br />

passaggio all’atto. Cosa che non si verificò fino al giorno in cui il miglior amico <strong>di</strong> quel bambino<br />

Down si ribellò all’ennesimo “furto” <strong>di</strong> gomma, ai suoi danni questa volta, da parte <strong>di</strong> quel<br />

bambino. E allora vi fu una ribellione che fu fatta con una presa per il collo da parte del bambino<br />

derubato nei confronti del bambino Down che aveva “rubato”, e la classe che si schierò per<br />

l’immunità, perché quel bambino Down non venisse ripreso. La classe si mise a <strong>di</strong>scutere sulla<br />

necessità <strong>di</strong> tollerare un comportamento o <strong>di</strong> non tollerarlo. E vi fu la necessità <strong>di</strong> capire meglio chi<br />

era quel bambino Down. Se era giusto tollerare o e sera necessario non tollerare e chiedergli<br />

comportamenti adeguati alla situazione. E questo impegnò in un lavoro, che prosegue, alla scoperta<br />

delle caratteristiche specifiche <strong>di</strong> ciascuno <strong>di</strong> noi, e quin<strong>di</strong> alla scoperta <strong>di</strong> parole che non erano per<br />

loro abituali e già conosciute: cromosoma, cellule. Tutto questo portò ad allargare il campo <strong>della</strong><br />

loro curiosità, a tendere verso un progetto <strong>di</strong> conoscenza in cui i comportamenti non venivano più<br />

visti come tollerabili o meno, ma venivano considerati come possibilità <strong>di</strong> stabilire un traguardo <strong>di</strong><br />

conoscenze rigido, stabilito a priori e che non permette integrazioni. Vi è la possibilità <strong>di</strong> non avere<br />

traguar<strong>di</strong>, e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> seguire quelli che sono gli interessi, le motivazioni, le curiosità, <strong>di</strong> volta in<br />

volta. Vi è la possibilità <strong>di</strong> stabilire dei traguar<strong>di</strong> e saper integrare i percorsi per raggiungerli, e<br />

anche <strong>di</strong> riformulare i traguar<strong>di</strong> sulla base delle esigenze nuove che si vengono a scoprire.<br />

L’interesse per questo, terzo tipo <strong>di</strong> possibilità, è molto importante per l’umanità intera, ma<br />

soprattutto per un’umanità che non voglia essere una frantumazione in<strong>di</strong>vidualistica, che voglia<br />

permettere la costruzione <strong>di</strong> un in<strong>di</strong>viduo sociale. E'’ necessario lavorare perché la costruzione <strong>di</strong><br />

una struttura cooperativa non <strong>di</strong>venti un pretesto per non impegnarsi nell’appren<strong>di</strong>mento inteso<br />

anche in un senso molto tra<strong>di</strong>zionale. La tra<strong>di</strong>zione non può essere vista solo come un elemento<br />

negativo, da abbandonare. Vi è un significato estremamente positivo del termine, e bisogna<br />

restaurarne questa <strong>di</strong>mensione, farla vivere come una possibilità <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ci profonde. In questo c’è<br />

bisogno <strong>di</strong> integrare. E allora integrare le curiosità significa anche capire meglio i comportamenti,<br />

non solo viverli nella <strong>di</strong>mensione dell'immunità, o dell'intolleranza, ma come ricerca perché il


comportamento scomodo sia certamente <strong>di</strong>minuito nella sua scomo<strong>di</strong>tà, sia anche a volte superato,<br />

scompaia, ma soprattutto sia capito come punto <strong>di</strong> partenza per una migliore conoscenza.<br />

Questo è un percorso interessante nella cooperazione che permette <strong>di</strong> mettere l’amicizia al servizio<br />

<strong>di</strong> un processo attivo nella conoscenza. Se l’amicizia per quel bambino Down dovesse essere una<br />

concessione ai suoi comportamenti scomo<strong>di</strong>, possiamo ritenere che debba essere un’amicizia a<br />

termine, oppure molto selettiva, per cui solo le persone molto pazienti riusciranno a sopportarla e<br />

portarla avanti. Se invece l’amicizia <strong>di</strong>venta impegno per conoscere insieme molti <strong>degli</strong> elementi<br />

scomo<strong>di</strong> potranno essere rielaborati, ma anche spiegati, proposti come parte <strong>di</strong> una storia evolutiva,<br />

e non più fissati in un stereotipo che deve essere conservato come si conservano le riserve in<strong>di</strong>ane,<br />

luoghi <strong>di</strong> tristezza.

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