Ghiaroni-Giulia-Violenza-assistita-intrafamiliare

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25.12.2014 Views

- costruire una rete di significati condivisi all’interno della relazione, promuovendo la motivazione a comprendere e a rispettare il mondo interno dell’altro. La psicoterapia genitore-bambino utilizza sei modalità di intervento principali per raggiungere questi obiettivi (Lieberma, Van Horn, 2005): 1. promuovere lo sviluppo attraverso il gioco, il contatto fisico e il linguaggio: le risposte sensibili ai segnali del bambino, il contatto fisico sicuro e sostenitivo, il gioco appropriato all’età e l’uso del linguaggio per spiegare la realtà e per esprimere i sentimenti con le parole rappresentano delle strategie per acquisire competenze di base che possano promuovere capacità nel bambino, quali stabilire relazioni affidabili, esplorare e imparare, chiarire i propri sentimenti, contendendo quelli travolgenti e correggere le percezioni errate. In particolare, per i bambini piccoli e di età prescolare, il gioco e il linguaggio vengono utilizzati come strumenti per affrontare la tematica del pericolo e della sicurezza e per creare un vocabolario di sentimenti che vada a sostituire l’uso di azioni distruttive per esprimere la rabbia, la paura e l’ansia da parte del minore; 2. offrire una guida riflessiva e non strutturata per lo sviluppo: tale guida è di tipo “non strutturato”, in quanto non segue un protocollo predefinito ed è “riflessiva”, perché promuove la “funzione riflessiva” (Fonagy et al., 2002), stimolando la madre ad esprimere le sue esperienze interiori ed intervenendo sul modo in cui i bambini comprendono e rispondono ad una situazione particolare. Ciò serve ad aiutare il genitore a capire e ad apprezzare la costruzione del mondo fatta dal bambino (Fraiberg, 1959; Lieberman, 1993); 3. creare comportamenti protettivi appropriati: intervento finalizzato al blocco di un comportamento progressivamente pericoloso del bambino. Tale modellamento da parte del terapeuta è seguito da una spiegazione riguardo le motivazioni che hanno portato alla messa in atto di una azione e da una richiesta alla madre, o anche al bambino, di riflettere su quanto è avvenuto, così da capire il pericolo potenziale e l’importanza di una azione protettiva; 46

4. interpretare sentimenti ed azioni: ciò consente sia al bambino sia al genitore di aumentare il proprio senso di consapevolezza interiore ed interpersonale, attribuendo un significato ai sentimenti disorganizzati e alle risposte e ai comportamenti incomprensibili. Ricorrere alle interpretazioni può aiutare le madri a diventare consapevoli della ripetizione inconscia del proprio passato nel presente, a correggere le loro percezioni distorte del bambino, e a consentire loro di apprendere delle modalità educative, adeguate allo sviluppo del figlio; può essere d’aiuto anche per il bambino, in modo che possa diventare consapevole delle proprie convinzioni inconsce e disadattive e dei meccanismi di difesa; 5. fornire sostegno emotivo e comunicazione empatica: queste qualità sono presenti nel modo in cui il terapeuta si relaziona alla madre e al bambino. Gli interventi sostenitivi ed empatici offrono una speranza realistica rispetto al fatto che gli obiettivi terapeutici possano essere raggiunti, mediante anche la fiducia che si sviluppa attraverso l’accessibilità emotiva del terapeuta; 6. offrire un intervento volto alla gestione del caso e all’assistenza concreta ai problemi del quotidiano: si tratta di ricorrere ad azioni adeguate volte a prevenire o a recuperare le conseguenze di eventuali crisi familiari o di circostanze stressanti. Questa strategia viene normalmente utilizzata all’inizio del trattamento, in quanto le vittime di violenza domestica si trovano spesso a dover affrontare una varietà di stress reali che richiedono un’attenzione particolare ed immediata, a cui si aggiungono stress legati a problemi legali e a problemi scolastici del minore. Generalmente, sia il genitore sia il bambino sono presenti alle sedute; in alcuni casi, però possono essere pianificate sedute individuali con il genitore per affrontare argomenti che è preferibile trattare privatamente, senza la presenza del bambino. In genere, l’intervento, caratterizzato da sedute con cadenza settimanale, prevede tre tappe principali (Lieberman & Van Horn, 2005): 1. stabilire un processo di collaborazione e formulare l’intervento (I-III mese): i primi tre mesi vengono impegnati per sviluppare una relazione collaborativa con la famiglia. Il ruolo del clinico è quello di distribuire 47

4. interpretare sentimenti ed azioni: ciò consente sia al bambino sia<br />

al genitore di aumentare il proprio senso di consapevolezza interiore ed<br />

interpersonale, attribuendo un significato ai sentimenti disorganizzati e alle<br />

risposte e ai comportamenti incomprensibili. Ricorrere alle interpretazioni<br />

può aiutare le madri a diventare consapevoli della ripetizione inconscia del<br />

proprio passato nel presente, a correggere le loro percezioni distorte del<br />

bambino, e a consentire loro di apprendere delle modalità educative,<br />

adeguate allo sviluppo del figlio; può essere d’aiuto anche per il bambino, in<br />

modo che possa diventare consapevole delle proprie convinzioni inconsce e<br />

disadattive e dei meccanismi di difesa;<br />

5. fornire sostegno emotivo e comunicazione empatica: queste<br />

qualità sono presenti nel modo in cui il terapeuta si relaziona alla madre e al<br />

bambino. Gli interventi sostenitivi ed empatici offrono una speranza<br />

realistica rispetto al fatto che gli obiettivi terapeutici possano essere<br />

raggiunti, mediante anche la fiducia che si sviluppa attraverso l’accessibilità<br />

emotiva del terapeuta;<br />

6. offrire un intervento volto alla gestione del caso e all’assistenza<br />

concreta ai problemi del quotidiano: si tratta di ricorrere ad azioni adeguate<br />

volte a prevenire o a recuperare le conseguenze di eventuali crisi familiari o<br />

di circostanze stressanti. Questa strategia viene normalmente utilizzata<br />

all’inizio del trattamento, in quanto le vittime di violenza domestica si<br />

trovano spesso a dover affrontare una varietà di stress reali che richiedono<br />

un’attenzione particolare ed immediata, a cui si aggiungono stress legati a<br />

problemi legali e a problemi scolastici del minore.<br />

Generalmente, sia il genitore sia il bambino sono presenti alle sedute; in alcuni casi,<br />

però possono essere pianificate sedute individuali con il genitore per affrontare<br />

argomenti che è preferibile trattare privatamente, senza la presenza del bambino.<br />

In genere, l’intervento, caratterizzato da sedute con cadenza settimanale, prevede tre<br />

tappe principali (Lieberman & Van Horn, 2005):<br />

1. stabilire un processo di collaborazione e formulare l’intervento<br />

(I-III mese): i primi tre mesi vengono impegnati per sviluppare una relazione<br />

collaborativa con la famiglia. Il ruolo del clinico è quello di distribuire<br />

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