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90 Tommaso Montanari La sua politica prefettizia si definì già nei primi mesi di amministrazione, secondo un indirizzo ben preciso, che avrebbe segnato la linea d’attività dei prefetti suoi successori per tutti gli anni Cinquanta. Nelle relazioni mensili che egli inviò tra il settembre 1947 e il gennaio 1948 al Gabinetto del ministero dell’Interno troviamo i nodi fondamentali che definirono l’amministrazione italiana nella provincia. Indicando lo stato di 1) assoluta inefficienza degli enti pubblici e dell’amministrazione provinciale che si basava solo sui cespiti tributari, 2) la mancata ripresa del settore industriale e 3) l’aumento della disoccupazione (14.000 unità su 30.000 abitanti) che vedeva metà della popolazione senza lavoro e 4) la carenza alloggiativa 16 il prefetto segnalava come la neonata provincia avesse soltanto un valore politico. È evidente come una simile entità amministrativa – vero e proprio «cuscinetto» fra la Jugoslavia e il territorio nazionale – abbia per ora un valore e una configurazione esclusivamente politici, mancando degli elementi territoriali ed economici occorrenti ad assicurarne le più modeste esigenze di vita 17 . Poco tempo dopo il prefetto, il 17 gennaio 1948, inviò una relazione – dal titolo Provvidenze a favore della Provincia di Gorizia – alla presidenza del Consiglio dei Ministri, al ministero dell’Interno, al ministero del Tesoro, al ministero delle Finanze, al ministero dei Lavori Pubblici e al ministero dell’Agricoltura, chiedendo alcuni provvedimenti urgenti: Quali possono essere le ripercussioni di questa situazione nel campo politico, qui così delicato, è anche troppo evidente. Si è ormai raggiunta una tale contrazione delle attività economiche e un così acuto senso di disagio da rendere assolutamente indilazionabili l’adozione di provvedimenti, anche eventualmente di carattere eccezionale, che valgano a scongiurare la completa rovina economica della Provincia e conseguentemente a ristabilire la fiducia dei singoli nel proprio avvenire 18 . I provvedimenti venivano elencati in otto punti: se i primi tre punti riguardavano l’ultimazione e l’attuazione di lavori pubblici per risanare le infrastrutture viarie e tamponare in modo contingente la disoccupazione, di notevole rilievo (perché andranno a costituire dei punti cardine della amministrazione statale in questo territorio) erano i quattro successivi: 1. Concessione dei finanziamenti per l’ultimazione dei lavori in corso 2. Attuazione del programma dei lavori pubblici, il cui finanziamento è stato a suo tempo incluso sul «Fondo Lire AUSA» 3. Integrazione di detto programma con altri lavori pubblici di peraltro assolutamente necessari ed urgenti 4. Attuazione di case INCIS 5. Creazione di una manifattura Tabacchi 6. Realizzazione del progetto di irrigazione dell’agro cormonese-gradiscano 7. Costituzione della Zona Franca, il cui progetto è stato inoltrato 8. Concessione delle integrazioni necessarie per i bilanci deficitari degli enti locali Ma qual’era il campo politico così delicato a cui il prefetto faceva cenno dando inizio alla lettera? Riguardo ai conflitti politici va posto in evidenza il modo particolare in cui il prefetto li descriveva. Giovanni Palamara tendeva infatti a semplificare i problemi sul tappeto e li leggeva secondo il vecchio schema dell’immediato dopoguerra, come scontri di appartenenza
Le amministrazioni locali nel Goriziano e nel Monfalconese nel secondo dopoguerra 91 nazionale. Sempre nella stessa relazione il prefetto affermava infatti che le correnti politiche della provincia si definivano facilmente come «italiani e slavi» o «filoslavi». Nell’opinione di Palamara erano due gli schieramenti che si contrapponevano frontalmente e che mettevano a repentaglio l’ordine pubblico e la ripresa economica e sociale nel goriziano: da un lato gli slavi che si ritrovavano compattamente contro gli italiani, al di là delle diverse opinioni politiche, accanto a loro i comunisti, anche se questi ormai confluiti all’interno del PCI (il Partito comunista locale, con l’entrata della zona nella compagine statuale italiana, dovette perseguire un difficile riassetto programmatico e la ricerca di un nuovo ruolo nel mutato contesto istituzionale). Contro questo blocco erano schierati gli italiani, uniti contro il disegno di snazionalizzazione delle forze avversarie. La semplificazione che il prefetto operava, prescindeva dunque dalle possibili differenziazioni che si andavano faticosamente precisando con l’organizzarsi delle prime forze politiche. Del conflitto che attraversava la popolazione si continuava a dare una lettura che ne evidenziava esclusivamente il carattere etnico e nazionale. Caratteristica peculiare e costante (che avrebbe influenzato anche le campagne elettorali amministrative) era la mancata discriminazione tra avversario politico e nemico nazionale In questo modo la politica veniva soffocata ancora dall’esigenza di salvaguardare l’italianità in pericolo ed il rapporto con il governo era improntato alla richiesta costante di aiuto per fronteggiare la minaccia che arrivava da oltre confine. La ricostruzione (1949-56) Questo intervento si esplicava quindi tanto in sovvenzioni più o meno ingenti ed occasionali, quanto in provvedimenti legislativi ad hoc nel vasto piano di sostegno economico-finanziario (vedi il progetto di Zona Franca, legge n.1438, dicembre 1948). La ricostruzione e l’ampliamento dell’edilizia popolare si ebbe in misura cospicua soltanto a partire dagli ultimi mesi del 1948 con l’avvio nella maggior parte dei comuni della costruzione delle case popolari UNRRA CASAS. Poco tempo dopo il Parlamento italiano il 24 febbraio 1949 approvava il progetto di legge, proposto dal ministro del Lavoro e della previdenza sociale Amintore Fanfani, la legge n. 43 «Provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia agevolando la costruzione di case per lavoratori» dando avvio all’attuazione del piano Ina Casa (visto come una panacea temporanea per il problema della disoccupazione). Nei prima anni Cinquanta il riassetto dell’economia nazionale e il processo di riconversione produttiva si tradusse, nella provincia di Gorizia, in una drastica riduzione delle maestranze industriali. Il blocco delle assunzioni, le dismissioni e lo svecchiamento degli impianti e, da ultimo, i licenziamenti, sottoposero il numero degli operai a un severo ridimensionamento. Gli organici che ai Cantieri Riuniti dell’Adriatico e alla SAFOG (Società Anonima Fonderia Officine Gorizia), ammontavano complessivamente nel 1945 a 15.000 unità si ridussero a 9.500 nel 1951. Della nuova congiuntura ebbero comunque a soffrire tutte le aziende della provincia come gli Oleifici Luzzato e la Solvay a Monfalcone, la fonderia Prinzi a Gorizia, la S.A. Arrigoni a Grado, le filiali del Cotonificio Triestino di Gorizia e Ronchi. A questa crisi i prefetti che succedettero a Palamara non risposero con nuove linee di azione. Il prefetto Renato De Zerbi (tra il 1952 e il 1957) non mancò mai di aprire le relazioni mensili con un accenno relativo alle tensioni italo-jugoslave e di richiamare i vari ministeri ad un azione di tamponamento della crisi in atto, tramite il massiccio intervento da parte dello Stato. Così, a fronte della crisi nel settore industriale il prefetto suggeriva la creazione di infrastrutture ed il varo di opere di bonifica e d’irrigazione (l’avvio dell’opera ebbe inizio il 21 maggio 1955,
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Le amministrazioni locali nel Goriziano e nel Monfalconese nel secondo dopoguerra 91<br />
nazionale. Sempre nella stessa relazione il prefetto affermava infatti che le correnti politiche<br />
della provincia si definivano facilmente come «italiani e slavi» o «filoslavi».<br />
Nell’opinione di Palamara erano due gli schieramenti che si contrapponevano frontalmente<br />
e che mettevano a repentaglio l’ordine pubblico e la ripresa economica e sociale nel goriziano:<br />
da un lato gli slavi che si ritrovavano compattamente contro gli italiani, al di là delle diverse<br />
opinioni politiche, accanto a loro i comunisti, anche se questi ormai confluiti all’interno del PCI<br />
(il Partito comunista locale, con l’entrata della zona nella compagine statuale italiana, dovette<br />
perseguire un difficile riassetto programmatico e la ricerca di un nuovo ruolo nel mutato<br />
contesto istituzionale). Contro questo blocco erano schierati gli italiani, uniti contro il disegno<br />
di snazionalizzazione delle forze avversarie.<br />
La semplificazione che il prefetto operava, prescindeva dunque dalle possibili differenziazioni<br />
che si andavano faticosamente precisando con l’organizzarsi delle prime forze politiche. Del<br />
conflitto che attraversava la popolazione si continuava a dare una lettura che ne evidenziava<br />
esclusivamente il carattere etnico e nazionale. Caratteristica peculiare e costante (che avrebbe<br />
influenzato anche le campagne elettorali amministrative) era la mancata discriminazione tra<br />
avversario politico e nemico nazionale In questo modo la politica veniva soffocata ancora<br />
dall’esigenza di salvaguardare l’italianità in pericolo ed il rapporto con il governo era improntato<br />
alla richiesta costante di aiuto per fronteggiare la minaccia che arrivava da oltre confine.<br />
La ricostruzione (1949-56)<br />
Questo intervento si esplicava quindi tanto in sovvenzioni più o meno ingenti ed occasionali,<br />
quanto in provvedimenti legislativi ad hoc nel vasto piano di sostegno economico-finanziario<br />
(vedi il progetto di Zona Franca, legge n.1438, dicembre 1948). La ricostruzione e l’ampliamento<br />
dell’edilizia popolare si ebbe in misura cospicua soltanto a partire dagli ultimi mesi del 1948<br />
con l’avvio nella maggior parte dei comuni della costruzione delle case popolari UNRRA<br />
CASAS. Poco tempo dopo il Parlamento italiano il 24 febbraio 1949 approvava il progetto di<br />
legge, proposto dal ministro del Lavoro e della previdenza sociale Amintore Fanfani, la legge<br />
n. 43 «Provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia agevolando la costruzione di case<br />
per lavoratori» dando avvio all’attuazione del piano Ina Casa (visto come una panacea temporanea<br />
per il problema della disoccupazione).<br />
Nei prima anni Cinquanta il riassetto dell’economia nazionale e il processo di riconversione<br />
produttiva si tradusse, nella provincia di Gorizia, in una drastica riduzione delle maestranze<br />
industriali. Il blocco delle assunzioni, le dismissioni e lo svecchiamento degli impianti e, da<br />
ultimo, i licenziamenti, sottoposero il numero degli operai a un severo ridimensionamento. Gli<br />
organici che ai Cantieri Riuniti dell’Adriatico e alla SAFOG (Società Anonima Fonderia<br />
Officine Gorizia), ammontavano complessivamente nel 1945 a 15.000 unità si ridussero a 9.500<br />
nel 1951. Della nuova congiuntura ebbero comunque a soffrire tutte le aziende della provincia<br />
come gli Oleifici Luzzato e la Solvay a Monfalcone, la fonderia Prinzi a Gorizia, la S.A. Arrigoni<br />
a Grado, le filiali del Cotonificio Triestino di Gorizia e Ronchi.<br />
A questa crisi i prefetti che succedettero a Palamara non risposero con nuove linee di azione.<br />
Il prefetto Renato De Zerbi (tra il 1952 e il 1957) non mancò mai di aprire le relazioni mensili<br />
con un accenno relativo alle tensioni italo-jugoslave e di richiamare i vari ministeri ad un azione<br />
di tamponamento della crisi in atto, tramite il massiccio intervento da parte dello Stato. Così, a<br />
fronte della crisi nel settore industriale il prefetto suggeriva la creazione di infrastrutture ed il<br />
varo di opere di bonifica e d’irrigazione (l’avvio dell’opera ebbe inizio il 21 maggio 1955,