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76 Egon Pelikan L’organizzazione irredentista clandestina del clero del Litorale All’inizio degli anni Trenta, le pressioni del potere politico, del Vaticano ed i citati sviluppi all’interno della Chiesa nella Venezia Giulia, danno origine ad un’attività irredentistica organizzata del clero sloveno e croato, che manifesta opposizione alla politica delle «due Rome» (termine con il quale si era espresso uno dei più eminenti rappresentanti cristiano-sociali del Litorale) 8 . In Europa, nel Regno di Jugoslavia, ecc., si tratta di attività di propaganda internazionale; nella Venezia Giulia, di formazione sistematica delle giovani generazioni del clero, supportata da mezzi finanziari forniti dal Regno di Jugoslavia; a Roma, di pressioni organizzate tramite la redazione di memorandum, di opposizione alla gerarchia ecclesiastica locale, ecc. Il fine dichiarato del clero sloveno e croato riunito nel Consiglio sacerdotale, era di creare le condizioni per la scissione della Venezia Giulia dall’Italia e l’annessione al Regno di Jugoslavia. L’attività irredentistica veniva finanziata dal Regno di Jugoslavia attraverso un fondo segreto stanziato dal Ministero degli Esteri, dal Consolato di Trieste e da aziende fittizie. Negli anni Trenta nella Venezia Giulia si trattava indubbiamente di un’opposizione al principio del dare «a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». La divisione interna dell’organizzazione clandestina L’organizzazione clandestina aveva istituito in ognuna delle province (nel Triestino, nel Goriziano, nell’Istria e nella Slavia Veneta), delle sezioni. Il consiglio supremo a capo dell’organizzazione contava, nel 1937, 53 membri. L’attività segreta, come già indicato, aveva un carattere esplicitamente antifascista e irredentista. Si trattava di un consapevole impegno per la creazione di una «chiesa per la difesa nazionale». I sacerdoti membri dell’organizzazione erano presenti su tutto il territorio giuliano. Questa si occupava della stampa clandestina e della diffusione della letteratura slovena, informava l’opinione pubblica europea riguardo alla posizione della minoranza nella Venezia Giulia (questione di cui, in seno al Congresso delle nazionalità europee, era incaricato Engelbert/Egilberto Besednjak), finanziava la formazione di studenti sloveni, curava lo studio sistematico della lingua slovena nelle ore di catechismo, ecc. I collaboratori laici e persino alcuni sacerdoti fornivano informazioni segrete di natura militare al Regno di Jugoslavia. Nel 1936, nel Consiglio sacerdotale, più esattamente nell’Organizzazione cristiano-sociale clandestina, operavano 276 sacerdoti sloveni e croati, che erano presenti fisicamente su tutto il territorio della Venezia Giulia. La polizia fascista non riuscì smascherare l’attività dell’Organizzazione, le indagini continuavano di volta in volta ad arenarsi di fronte agli interrogativi riguardanti i delicati rapporti tra «Chiesa e Stato». Visto il forte legame della Chiesa con il regime, appare paradossale ma comprensibile il fatto che non sia stato possibile soffocare l’attività clandestina. Dai documenti della Questura di Gorizia risulta che solamente nel periodo dall’agosto 1933 fino al giugno 1934, 31 sacerdoti (soltanto nell’archidiocesi di Gorizia!) erano stati posti sotto vigilanza poliziesca, sottoposti ad interrogatori e ad espulsioni dalla Provincia, il che rappresentava più del 10% di tutto il clero sloveno nella Venezia Giulia. Ciò significa, che nonostante la polizia fosse informata dei fatti, non riuscì mai a smascherare completamente l’organizzazione, le forme di finanziamento provenienti dalla Jugoslavia, ecc.

Il clero sloveno nell’archidiocesi di Gorizia (1918-1954) 77 La Seconda guerra mondiale All’inizio della Seconda guerra mondiale la Venezia Giulia rappresentava per i gruppi politici della Slovenia centrale una specie di «terra incognita», dove affluivano rappresentanti di tutti gli schieramenti politici. È un dato di fatto che il Fronte di Liberazione, guidato dai comunisti sloveni, era diventato ben presto lo schieramento più influente. Chiunque nel 1941, nel Litorale, avesse sostenuto la liberazione nazionale, avrebbe avuto il sostegno della maggioranza della popolazione 9 . In questo periodo il clero si era mantenuto in disparte, tale fu l’ordine dei vertici della gerarchia ecclesiastica, più esattamente dell’arcivescovo Margotti. Engelbert/Egilberto Besednjak invece, che allora era alla guida del Centro cristiano-sociale, dopo aver appurato che in un territorio prevalentemente sloveno la politica cattolica era, come egli stesso la definì, «fallita», nel 1944 invita la componente laica dei propri adepti ad aderire al Fronte di Liberazione. Il clero nella Venezia Giulia, invece, si era ritrovato nella posizione critica tra l’anticomunismo (che in pratica non poteva che significare collaborazionismo), il confine stabilito dal Trattato di Rapallo, la liberazione nazionale e l’annessione (il che significava l’annessione ad uno stato comunista); e l’acquiescenza verso la gerarchia ecclesiastica (che avrebbe significato operare, o piuttosto non operare, come richiesto dalle autorità ecclesiastiche, dall’arcivescovo Margotti, dal vescovo Santin ed altri). Il clero del Litorale al termine della guerra Le prese di posizione dello schieramento cattolico nel Litorale erano, da un lato, il risultato della citata evoluzione storica durata più di mezzo secolo, dall’altro invece, rappresentavano una messa a fuoco rispetto al dilemma «pro e contro» in quel determinato momento storico, vale a dire alla fine della guerra. Le motivazioni storiche, che avevano portato alla scelta dell’annessione alla Jugoslavia ed erano conseguenza di lungo periodo, furono: 1. Il ruolo del clero all’interno del movimento nazionale antecedente la Prima guerra mondiale, che aveva, soprattutto nelle campagne, un carattere spiccatamente sociale e al contempo di emancipazione nazionale. 2. Il duro atteggiamento del regime fascista dopo la Prima guerra mondiale, che aveva spinto il clero sloveno e croato all’opposizione. 3. L’atteggiamento assunto dal Vaticano rispetto al malcontento del clero del Litorale, che aveva avuto come conseguenza la relativizzazione delle dichiarazioni del Papa e delle encicliche sul comunismo. 4. Già negli anni Trenta molti cristiano-sociali e molti sacerdoti avevano nutrito espliciti dubbi riguardo alla politica del Vaticano, e già allora nella corrispondenza privata scambiata tra il clero si erano riscontrate posizioni sorprendentemente radicali e critiche, ad esempio, nei confronti della persona di Papa Pio XI. Il secondo gruppo di motivazioni trova origine nella situazione del 1945: 1. La prima motivazione è indubbiamente la decisione della maggioranza della popolazione del Litorale di aderire al Fronte di Liberazione (FL) e di essere favorevole all’annessione. Ampi strati della popolazione si dichiarano, da una parte, plebiscitariamente contro l’Italia

76 Egon Pelikan<br />

L’organizzazione irredentista clandestina del clero del Litorale<br />

All’inizio degli anni Trenta, le pressioni del potere politico, del Vaticano ed i citati sviluppi<br />

all’interno della Chiesa nella Venezia Giulia, danno origine ad un’attività irredentistica organizzata<br />

del clero sloveno e croato, che manifesta opposizione alla politica delle «due Rome»<br />

(termine con il quale si era espresso uno dei più eminenti rappresentanti cristiano-sociali del<br />

Litorale) 8 . In Europa, nel Regno di Jugoslavia, ecc., si tratta di attività di propaganda internazionale;<br />

nella Venezia Giulia, di formazione sistematica delle giovani generazioni del clero,<br />

supportata da mezzi finanziari forniti dal Regno di Jugoslavia; a Roma, di pressioni organizzate<br />

tramite la redazione di memorandum, di opposizione alla gerarchia ecclesiastica locale, ecc. Il<br />

fine dichiarato del clero sloveno e croato riunito nel Consiglio sacerdotale, era di creare le<br />

condizioni per la scissione della Venezia Giulia dall’Italia e l’annessione al Regno di Jugoslavia.<br />

L’attività irredentistica veniva finanziata dal Regno di Jugoslavia attraverso un fondo segreto<br />

stanziato dal Ministero degli Esteri, dal Consolato di Trieste e da aziende fittizie. Negli anni<br />

Trenta nella Venezia Giulia si trattava indubbiamente di un’opposizione al principio del dare<br />

«a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».<br />

La divisione interna dell’organizzazione clandestina<br />

L’organizzazione clandestina aveva istituito in ognuna delle province (nel Triestino, nel<br />

Goriziano, nell’Istria e nella Slavia Veneta), delle sezioni. Il consiglio supremo a capo dell’organizzazione<br />

contava, nel 1937, 53 membri.<br />

L’attività segreta, come già indicato, aveva un carattere esplicitamente antifascista e irredentista.<br />

Si trattava di un consapevole impegno per la creazione di una «chiesa per la difesa<br />

nazionale».<br />

I sacerdoti membri dell’organizzazione erano presenti su tutto il territorio giuliano. Questa<br />

si occupava della stampa clandestina e della diffusione della letteratura slovena, informava<br />

l’opinione pubblica europea riguardo alla posizione della minoranza nella Venezia Giulia<br />

(questione di cui, in seno al Congresso delle nazionalità europee, era incaricato Engelbert/Egilberto<br />

Besednjak), finanziava la formazione di studenti sloveni, curava lo studio sistematico<br />

della lingua slovena nelle ore di catechismo, ecc. I collaboratori laici e persino alcuni sacerdoti<br />

fornivano informazioni segrete di natura militare al Regno di Jugoslavia. Nel 1936, nel Consiglio<br />

sacerdotale, più esattamente nell’Organizzazione cristiano-sociale clandestina, operavano<br />

276 sacerdoti sloveni e croati, che erano presenti fisicamente su tutto il territorio della Venezia<br />

Giulia.<br />

La polizia fascista non riuscì smascherare l’attività dell’Organizzazione, le indagini continuavano<br />

di volta in volta ad arenarsi di fronte agli interrogativi riguardanti i delicati rapporti tra<br />

«Chiesa e Stato». Visto il forte legame della Chiesa con il regime, appare paradossale ma<br />

comprensibile il fatto che non sia stato possibile soffocare l’attività clandestina.<br />

Dai documenti della Questura di Gorizia risulta che solamente nel periodo dall’agosto 1933<br />

fino al giugno 1934, 31 sacerdoti (soltanto nell’archidiocesi di Gorizia!) erano stati posti sotto<br />

vigilanza poliziesca, sottoposti ad interrogatori e ad espulsioni dalla Provincia, il che rappresentava<br />

più del 10% di tutto il clero sloveno nella Venezia Giulia. Ciò significa, che nonostante la<br />

polizia fosse informata dei fatti, non riuscì mai a smascherare completamente l’organizzazione,<br />

le forme di finanziamento provenienti dalla Jugoslavia, ecc.

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