preme1.chp:Corel VENTURA - TRIESTE Books

preme1.chp:Corel VENTURA - TRIESTE Books preme1.chp:Corel VENTURA - TRIESTE Books

freeterritorytrieste.com
from freeterritorytrieste.com More from this publisher
29.11.2014 Views

58 Ariella Verrocchio guerra, sperimentare nuove forme di autorappresentazione e di legittimazione, nonché assolvere compiti di educazione democratica e di apprendistato politico tra le masse. Per Alessandro Destradi, la campagna elettorale aveva fatto uscire il partito da quella condizione di settarismo e di semi-legalità in cui si trovava, lo aveva « presentato alla luce del sole, con il suo programma, i suoi manifesti, i suoi comizi, i suoi attivisti ed i suoi dirigenti ed i risultati alle urne, nonostante tutti gli imbrogli commessi, ne avevano fatto balzare la sua forza. Si trattava ora di non ritornare indietro ma di saper utilizzare questa popolarizzazione quanto mai ampia del partito per convincere migliaia di simpatizzanti ad entrarvi» 6 . Da questo punto di vista la formazione del corpo elettorale del partito veniva considerata essa stessa come una tappa fondamentale del processo di costruzione della sua base militante. Anzitutto per il fatto di fornire al nuovo gruppo dirigente importanti strumenti di analisi e di conoscenza sui suoi potenziali iscritti, ovvero su quel corpo di simpatizzanti che le elezioni avevano permesso di «fotografare» nella sua composizione sociale e nazionale, di genere e generazionale. Da tale conoscenza si credeva potesse derivare l’individuazione di adeguate strategie di reclutamento, che consentissero al PCTLT di omologarsi al partito nuovo di Togliatti e di superare, in questo senso, le sue debolezze e anomalie strutturali. Significativo in proposito il fatto che i diversi bilanci effettuati dalla direzione del PCTLT all’indomani delle elezioni, partissero dal confronto con la situazione italiana, per insistere sul forte scarto esistente tra il caso nazionale e quello locale nel rapporto tra iscritti ed elettori 7 . Uno scarto che vedeva il primo attestarsi su un iscritto su tre elettori, mentre il secondo su percentuali di gran lunga più basse, pari a un iscritto su dodici elettori. Se queste cifre erano tali da allarmare il nuovo gruppo dirigente, ad alimentare ulteriormente le sue preoccupazioni concorreva il tipo di distribuzione che il voto comunista presentava sul territorio. Il rapporto iscritti elettori non mostrava indici più alti nei quartieri operai e popolari: al contrario, non solo non emergeva uno scarto significativo tra questi e quelli borghesi, ma perfino in alcune zone popolari per eccellenza, quali il V rione (S. Giacomo, Maddalena e Ponziana), si registravano percentuali più basse, pari a un iscritto su sedici elettori 8 . L’analisi della composizione sociale del corpo militante rivelava un partito composto quasi esclusivamente da operai (86,4%), cui seguiva un 7,3% di impiegati, un 3,2% di contadini e un 1,3% e 1,8% rispettivamente di commercianti e artigiani. Al riconoscimento di una necessità di allargamento del partito verso altri ceti si aggiungeva l’esigenza di un massiccio reclutamento tra le donne. La presenza femminile all’interno del partito prima delle elezioni contava infatti solo 560 donne, per una percentuale pari al 16,55 % sul totale degli iscritti e dello 0,47% sulla popolazione femminile 9 . Tale squilibrio, per altro considerato dalla dirigenza vidaliana come uno dei problemi più gravi ed urgenti, trovava una prima importante occasione di superamento con l’allargamento del diritto di voto alle donne triestine nel 1949. Da questo punto di vista, all’indomani delle elezioni, il partito poteva vantare di aver ottenuto tra le donne considerevoli successi con la campagna elettorale e di tesseramento del 1949, salendo la rappresentanza femminile al suo interno dal 16,55% al 25% sul totale degli iscritti 10 .Aldilà di queste considerazioni, interessa sottolineare come a preoccupare il Comitato centrale fossero, assai più che gli squilibri presenti nella sua composizione sociale o per sesso, quelli riconducibili alla sua composizione nazionale. Da questo punto di vista, iniziava a farsi strada l’idea che il suo corpo militante, per il fatto di presentare una percentuale slovena pari al 42,73% e una italiana pari al 56,97%, mostrasse una situazione sbilanciata rispetto alla composizione etnica della sua popolazione 11 . In altre parole, agli occhi della nuova dirigenza emergeva un problema di sovrarappresentanza nel partito degli sloveni rispetto agli italiani. Di qui il riconoscimento della necessità di un allargamento della base di nazionalità italiana, che permettesse al partito di raggiungere quel dato di un iscritto su tre elettori che, per altro,

Verso il «partito nuovo». Il PCTLT dopo la scomunica di Tito (1948-1951) 59 proprio all’interno del corpo elettorale e militante sloveno risultava essere rispettato 12 . Le elezioni politiche del 1949 costituiscono per il PCTLT un importante banco di prova, l’occasione per sperimentare e individuare nuove strategie di reclutamento e formazione dei suoi quadri 13 , come di allargamento della sua base militante. Nel giro di pochi anni dalla Risoluzione del 1948, il PCTLT poteva vantare risultati nel complesso abbastanza soddisfacenti. Nel 1951, il partito contava circa 6.300 tesserati, si articolava in 25 sezioni e 218 cellule delle quali 36 di fabbrica, raggruppate quasi esclusivamente nei grandi complessi industriali triestini 14 . L’apparato dei funzionari era stato fortemente alleggerito, con una riduzione che li vedeva passare a 56 stipendiati contro i 159 del periodo precedente la svolta del 1948. A questi risultati si aggiungevano quelli ottenuti sul piano del raggiungimento di quell’obiettivo di allargamento della componente italiana che, come abbiamo visto, la nuova dirigenza si era posto dopo le elezioni del 1949. Sempre nel 1951, la presenza italiana nel partito risultava attestarsi attorno al 70% circa degli iscritti, mentre la percentuale slovena scendeva al 30% 15 . Si trattava di un processo di rinnovamento strutturale e funzionale che, come già si diceva, avrebbe consentito l’inserimento del partito nel sistema politico locale e pertanto la sua progressiva integrazione in quello nazionale. Tuttavia, esso presentava molteplici contraddizioni, le quali ruotavano principalmente attorno al tipo di scelte da questo adottate di fronte ad un corpo elettorale e militante nazionalmente misto. Si trattava di una linea politica che se, da un lato, mostrava di contenere fattori di crescita civile e democratica, dall’altro segnava anche molteplici elementi di debolezza e di ambiguità. Elementi che emergevano con chiarezza al III Congresso del PCTLT del 1951, allorché la lotta al deviazionismo titino, terminata la fase dell’epurazione, conosceva un altro importante momento di svolta nell’elaborazione teorica del Titofascismo. ——————————— 1 Su questi aspetti rinvio al mio saggio La costruzione del sistema politico a Trieste nel secondo dopoguerra. Le anomalie del caso locale, contenuto in questo volume. 2 Cfr. Relazione di Vittorio Vidali al Congresso straordinario del PCTLT, 21-23 agosto 1948, Archivio Fondazione Istituto Gramsci, fondo Mosca, b. 5611, MF 098. 3 Vedi Relazione di Alessandro Destradi al Congresso del PCTLT, 16-18 settembre 1949, Archivio Fondazione Istituto Gramsci, fondo Mosca, b. 56/2, MF 098. 4 Ibidem. 5 Ibidem. 6 Vedi Verbali del Comitato centrale, 15-17 luglio 1949, Relazione di Alessandro Destradi, Archivio Fondazione Istituto Gramsci, fondo Mosca, MF 099. 7 Vedi Relazione di Alessandro Destradi al Congresso del PCTLT, 16-18 settembre 1949: Archivio Fondazione Istituto Gramsci, fondo Mosca, b. 56/2, MF 098. 8 Ibidem. 9 Vedi Verbali del Comitato centrale, 15-17 luglio 1949, Relazione di Alessandro Destradi, Archivio Fondazione Istituto Gramsci, fondo Mosca, MF 099. 10 Ibidem. 11 Vedi Relazione di Alessandro Destradi al Congresso del PCTLT, 16-18 settembre 1949, Archivio Fondazione Istituto Gramsci, fondo Mosca, b. 56/2, MF 098. 12 Ibidem. 13 Su questi aspetti vedi A. Verrocchio, Elezioni, eletti, rappresentanza politica a Trieste nel secondo

58 Ariella Verrocchio<br />

guerra, sperimentare nuove forme di autorappresentazione e di legittimazione, nonché assolvere<br />

compiti di educazione democratica e di apprendistato politico tra le masse. Per Alessandro<br />

Destradi, la campagna elettorale aveva fatto uscire il partito da quella condizione di settarismo<br />

e di semi-legalità in cui si trovava, lo aveva « presentato alla luce del sole, con il suo programma,<br />

i suoi manifesti, i suoi comizi, i suoi attivisti ed i suoi dirigenti ed i risultati alle urne, nonostante<br />

tutti gli imbrogli commessi, ne avevano fatto balzare la sua forza. Si trattava ora di non ritornare<br />

indietro ma di saper utilizzare questa popolarizzazione quanto mai ampia del partito per<br />

convincere migliaia di simpatizzanti ad entrarvi» 6 . Da questo punto di vista la formazione del<br />

corpo elettorale del partito veniva considerata essa stessa come una tappa fondamentale del<br />

processo di costruzione della sua base militante. Anzitutto per il fatto di fornire al nuovo gruppo<br />

dirigente importanti strumenti di analisi e di conoscenza sui suoi potenziali iscritti, ovvero su<br />

quel corpo di simpatizzanti che le elezioni avevano permesso di «fotografare» nella sua<br />

composizione sociale e nazionale, di genere e generazionale. Da tale conoscenza si credeva<br />

potesse derivare l’individuazione di adeguate strategie di reclutamento, che consentissero al<br />

PCTLT di omologarsi al partito nuovo di Togliatti e di superare, in questo senso, le sue<br />

debolezze e anomalie strutturali. Significativo in proposito il fatto che i diversi bilanci effettuati<br />

dalla direzione del PCTLT all’indomani delle elezioni, partissero dal confronto con la situazione<br />

italiana, per insistere sul forte scarto esistente tra il caso nazionale e quello locale nel<br />

rapporto tra iscritti ed elettori 7 . Uno scarto che vedeva il primo attestarsi su un iscritto su tre<br />

elettori, mentre il secondo su percentuali di gran lunga più basse, pari a un iscritto su dodici<br />

elettori. Se queste cifre erano tali da allarmare il nuovo gruppo dirigente, ad alimentare<br />

ulteriormente le sue preoccupazioni concorreva il tipo di distribuzione che il voto comunista<br />

presentava sul territorio. Il rapporto iscritti elettori non mostrava indici più alti nei quartieri<br />

operai e popolari: al contrario, non solo non emergeva uno scarto significativo tra questi e quelli<br />

borghesi, ma perfino in alcune zone popolari per eccellenza, quali il V rione (S. Giacomo,<br />

Maddalena e Ponziana), si registravano percentuali più basse, pari a un iscritto su sedici<br />

elettori 8 . L’analisi della composizione sociale del corpo militante rivelava un partito composto<br />

quasi esclusivamente da operai (86,4%), cui seguiva un 7,3% di impiegati, un 3,2% di contadini<br />

e un 1,3% e 1,8% rispettivamente di commercianti e artigiani. Al riconoscimento di una<br />

necessità di allargamento del partito verso altri ceti si aggiungeva l’esigenza di un massiccio<br />

reclutamento tra le donne. La presenza femminile all’interno del partito prima delle elezioni<br />

contava infatti solo 560 donne, per una percentuale pari al 16,55 % sul totale degli iscritti e dello<br />

0,47% sulla popolazione femminile 9 . Tale squilibrio, per altro considerato dalla dirigenza<br />

vidaliana come uno dei problemi più gravi ed urgenti, trovava una prima importante occasione<br />

di superamento con l’allargamento del diritto di voto alle donne triestine nel 1949. Da questo<br />

punto di vista, all’indomani delle elezioni, il partito poteva vantare di aver ottenuto tra le donne<br />

considerevoli successi con la campagna elettorale e di tesseramento del 1949, salendo la<br />

rappresentanza femminile al suo interno dal 16,55% al 25% sul totale degli iscritti 10 .Aldilà<br />

di queste considerazioni, interessa sottolineare come a preoccupare il Comitato centrale<br />

fossero, assai più che gli squilibri presenti nella sua composizione sociale o per sesso, quelli<br />

riconducibili alla sua composizione nazionale. Da questo punto di vista, iniziava a farsi strada<br />

l’idea che il suo corpo militante, per il fatto di presentare una percentuale slovena pari al<br />

42,73% e una italiana pari al 56,97%, mostrasse una situazione sbilanciata rispetto alla composizione<br />

etnica della sua popolazione 11 . In altre parole, agli occhi della nuova dirigenza emergeva<br />

un problema di sovrarappresentanza nel partito degli sloveni rispetto agli italiani. Di qui il<br />

riconoscimento della necessità di un allargamento della base di nazionalità italiana, che<br />

permettesse al partito di raggiungere quel dato di un iscritto su tre elettori che, per altro,

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!