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preme1.chp:Corel VENTURA - TRIESTE Books

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48 Raoul Pupo<br />

rappresentare le istanze nazionali e politiche dei cittadini 7 . In ciò Bartoli fu assai efficace,<br />

riuscendo a legare attorno a sé i fili di ciò che restava della vecchia tradizione liberal-nazionale,<br />

a suscitare attorno alla sua azione un ragguardevole entusiasmo popolare ed a saldare anche in<br />

talune occasioni la logica della piazza – in quegli anni momento centrale di partecipazione<br />

politica – con quella delle istituzioni italiane, impegnate a «costruire dentro Trieste quanto più<br />

d’Italia reale possibile» 8 .<br />

Ecco dunque che alla fine degli anni Quaranta, i motori trainanti l’affermazione democristiana<br />

sembrano costituiti da due istituzioni che operavano con stili e competenze assai diverse.<br />

La prima era il comune, luogo manifesto del confronto politico, capace di attribuirgli una<br />

visibilità significativa anche a livello nazionale ed internazionale, fino a contrapporsi simbolicamente<br />

alla principale sede del potere, il Governo Militare Alleato. La seconda era la presidenza<br />

di zona, luogo di raccordo tra le forze politiche locali, il GMA e il governo di Roma, al quale<br />

appare progressivamente sempre più legata – tant’è che Gino Palutan, dopo il ritorno dell’amministrazione<br />

italiana, divenne prefetto di carriera – e snodo decisivo per l’allocazione delle<br />

risorse assistenziali, il che comprendeva anche la gestione finanziaria e politica della massa di<br />

profughi istriani che cominciava a riversarsi sulla città. È anche in questo modo che le forze<br />

politiche filo-italiane di Trieste – che pure, com’è arcinoto, non potevano disporre dello<br />

strumento di potere costituito dal controllo dei fondi ERP – riuscirono a costruire dei canali<br />

suppletivi di radicamento nella società locale che andavano ben al di là della mera gestione del<br />

conflitto nelle vie cittadine.<br />

Ma parlare di radicamento sociale significa parlare anche di integrazione della società locale<br />

all’interno delle coordinate fornite dai partiti medesimi. Nel primo decennio postbellico un<br />

processo integrativo di tal fatta si avviò anche a Trieste, ma su direttrici diverse, posto che<br />

completamente diversa era la meta che le forze politiche e specie quelle di massa, ponevano ai<br />

triestini: per alcune il riferimento era lo stato italiano, per altre quello jugoslavo o uno staterello<br />

indipendente. Si tratta di fratture ben note, che sarebbero state superate solo quando una forza<br />

esterna irresistibile – vale a dire, l’evoluzione del quadro internazionale – avrebbe dissolto le<br />

alternative rispetto alla riconferma della sovranità italiana. Nel lungo dopoguerra triestino<br />

quindi, il compito di costruire una cittadinanza italiana democratica di massa spettò quasi<br />

integralmente alla Democrazia cristiana.<br />

Dei due corni del discorso – quello nazionale e quello democratico – il primo solo apparentemente<br />

risultava più facile. Se, infatti, la polarizzazione nazionale risultava assai forte, notevole<br />

spazio riuscì a guadagnarsi anche la tendenza autonomista. Certamente, per molti versi si<br />

trattava di scelte tattiche, legate alle conflittualità interne all’area comunista ed all’interesse<br />

degli anglo-americani di mettere in opera strumenti di pressione politica sul governo di Roma,<br />

ma non c’è dubbio che esse si inserissero sul terreno di una consolidata tradizione politica<br />

locale, che non riguardava soltanto la componente operaia della società giuliana. In proposito,<br />

meriterebbe probabilmente riflettere sulle osservazioni che – in una prospettiva di lungo<br />

periodo – sottolineano come la disarticolazione politica dello spazio ex asburgico avesse indotto<br />

perlomeno alcuni settori dei gruppi nazionali giuliani ad esprimere «forme di lealtà sui generis<br />

di carattere prettamente strumentale» nei confronti degli Stati nazionali di riferimento 9 .<br />

Quanto invece all’integrazione democratica, essa poteva giovarsi dell’antagonismo tra democrazia<br />

liberale e comunismo che nella Venezia Giulia era esploso fin dall’immediato dopoguerra:<br />

e proprio il fatto che l’anticomunismo – assieme alla difesa nazionale ed assai più dei valori<br />

cattolici – costituisse il fulcro della proposta politica democristiana, ad un livello di efficacia<br />

incomparabilmente superiore a quello degli altri partiti, consentì alla DC di guidare l’inserimento<br />

dei triestini nel sistema politico locale – certamente democratico, anche se sotto tutela

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