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preme1.chp:Corel VENTURA - TRIESTE Books

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Il «Partito italiano»: La DC di Trieste 47<br />

ca. Tale effetto viene solitamente descritto come la risultante di due movimenti, uno dall’alto<br />

ed uno dal basso.<br />

Dall’alto attraverso l’opera del vescovo, mons. Antonio Santin, che assunse a Trieste quel<br />

ruolo che fu tipico dell’episcopato nell’Italia occupata in balia di poteri ostili – e cioè quello di<br />

«defensor civitatis» – ma che lo mantenne per un ulteriore decennio vista l’eccezionalità<br />

istituzionale della zona A 4 . Da questo punto di vista, mons. Santin operò un vero e proprio<br />

rovesciamento nel rapporto fra la società locale e la Chiesa, che da marginale divenne centrale,<br />

e da nazionalmente sospetta a baluardo di italianità. Ciò naturalmente comportò dei costi sul<br />

terreno pastorale, inscrivendosi nella difficoltà registrata per circa un secolo dalla Chiesa<br />

triestina di fronte ai processi di nazionalizzazione, rispetto ai quali sembrò a lungo incapace di<br />

conciliare le divergenti aspettative nutrite dai fedeli italiani e sloveni nei confronti dei loro<br />

presuli. Sul piano politico invece l’azione del vescovo garantì l’attitudine della leadership<br />

democristiana a subentrare in quel ruolo di tutela attiva dell’identità italiana della città, che sin<br />

dall’ultimo scorcio del secolo precedente la classe dirigente italiana di Trieste aveva individuato<br />

quale assoluta priorità strategica.<br />

Mentre dunque ai tempi della occupazione germanica – a Trieste così come in tante altre<br />

realtà della penisola – l’ordinario diocesano aveva svolto con grande impegno e non senza<br />

risultato una funzione di protezione della società civile, proprio per la sua capacità di farsi<br />

rispettare dalle autorità costituite senza schierarsi contro di loro ed anzi, mantenendo una fitta<br />

rete di legami con gli esponenti italiani postisi a disposizione dei tedeschi, altri esponenti del<br />

clero invece – ancora una volta non dissimilmente da quanto avvenuto in altre parti d’Italia e<br />

sempre con l’indispensabile copertura del presule – interpretarono le aspirazioni antifasciste e<br />

patriottiche presenti nel laicato cattolico, fino a raggiungere addirittura un ruolo guida all’interno<br />

del movimento resistenziale italiano. È questo il caso – com’è noto – di mons. Edoardo<br />

Marzari, cui, a buon diritto, viene ascritta una serie di meriti non indifferenti: la capacità di<br />

indirizzare il CLN giuliano nei suoi momenti più critici, saldando antifascismo e rivendicazione<br />

nazionale italiana 5 ; la fondazione stessa del partito democratico cristiano e la costruzione di un<br />

ponte tra le generazioni che mettesse a frutto le diverse esperienze della piccola pattuglia di<br />

popolari e dei giovani cresciuti nell’azione cattolica in periodo fascista e passati al vaglio della<br />

lotta clandestina; l’impianto di un tessuto organizzativo tale da fondere le espressioni storiche<br />

dell’irredentismo giuliano – come la Lega nazionale – con l’associazionismo nel campo del<br />

lavoro, attraverso la fondazione dei Sindacati giuliani e delle ACLI.<br />

Anche all’interno di queste ultime realtà non è difficile scorgere le anomalie rispetto al<br />

quadro nazionale. Innanzitutto, l’anomalia principale, riguardante l’assenza a Trieste di quella<br />

fase di unità sindacale che invece gli altri lavoratori italiani sperimentarono per alcuni anni, e<br />

che nella zona A venne invece sostituita da una stagione di durissimi conflitti. E poi altre<br />

peculiarità derivate, come quella del movimento aclista, che fino al 1954 penetrò in realtà assai<br />

poco nel mondo del lavoro, e men che meno in quello operaio, per dedicarsi prevalentemente<br />

ad iniziative di carattere assistenziale a sfondo patriottico 6 . È una dimensione questa – quella<br />

degli interventi nel settore cruciale dell’assistenza post-bellica e ai profughi dall’Istria – che<br />

meriterebbe di venir maggiormente valutata quale elemento strategico per la costruzione del<br />

consenso democristiano, supportata anch’essa dall’azione di alcuni membri decisamente intraprendenti<br />

del clero diocesano. In ogni caso, quella di Marzari appare un’opera titanica, che si<br />

presta assai bene a divenire nel ricordo uno dei principali miti fondativi della DC triestina.<br />

L’altro mito fondativo è quello di Gianni Bartoli, figura che seppe interpretare al meglio quel<br />

che gli italiani di Trieste, e non solo i democristiani, potevano attendersi dal primo sindaco<br />

eletto del dopoguerra, in una fase in cui il comune era primariamente investito del compito di

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