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462 Aleksander Panjek La mobilità del lavoro Da Capodistria e dal circondario si recavano a lavorare giornalmente nelle imprese industriali di Trieste circa 5 mila persone, dopo la guerra il loro numero decrebbe 39 . Nel 1947 si spostavano quotidianamente a Trieste circa 2 mila operai e operaie (anche mano d’opera qualificata, di cui c’era penuria in zona B), a cui vanno aggiunti quelli che si dedicavano al commercio al minuto di prodotti agricoli, tra i quali si potevano trovare addirittura membri del partito ed ex partigiani 40 . Nel 1950 sarebbero stati circa 2.500 gli abitanti della zona B che quotidianamente passavano il confine tra le due zone 41 . Molti abitanti dell’area di Ancarano e [kofije erano impiegati negli stabilimenti industriali di Muggia 42 . Inoltre, se molti continuavano a mantenere il loro regolare posto di lavoro nella zona A, una parte della popolazione della zona B continuava a venire a vendere quotidianamente o periodicamente i propri prodotti agricoli a Trieste 43 . In base agli ordinamenti del GMA aveva diritto al libretto di lavoro dell’Ufficio del lavoro di Trieste, che dava accesso all’impiego regolare e legale nella zona A, solo chi aveva la sua residenza nella zona A. Su questa base nel 1951 l’ufficio anagrafico di Trieste rilasciò ai residenti della zona B regolarmente impiegati nella zona A, delle carte d’identità della zona A e ritirò loro quelle della zona B. Con il nuovo documento di identità questi si presentarono poi all’Ufficio del lavoro di Trieste: si registrarono circa 1.200 casi. La Jugoslavia protestò, perciò il GMA dispose che ciascuno avesse la possibilità di scegliere tra la residenza in zona B o nella zona A. Ad ogni modo, anche coloro che decisero per la zona B poterono mantenere il libretto di lavoro e l’impiego nella zona A 44 . Soprattutto dopo la risoluzione del Cominform nel 1948 la VUJA cominciò periodicamente a ostacolare i transiti nella zona A e a «cacciare dagli alloggi» le persone che lavoravano nella zona A 45 . Le autorità cercarono di limitare il flusso giornaliero della forza lavoro qualificata con diversi provvedimenti, quali il richiamo nelle brigate operaie, il ritiro dei permessi di transito, restrizioni per la vendita di prodotti agricoli e lotta al contrabbando. Ma ostacolare il flusso di operai e di prodotti suscitava malcontento e resistenze tra la popolazione locale: così alcune donne che vendevano uova a Trieste e si videro impedire il passaggio nella zona A, minacciarono addirittura il suicidio 46 . D’altra parte l’Italia aveva interesse «che i traffici tra le due zone del TLT avessero le più ampie facilitazioni», come ebbe a scrivere nel 1950 la rappresentanza diplomatica italiana a Belgrado 47 . Dopo l’ottobre 1953 gli abitanti del TLT attraversavano il confine con le carte d’identità, poi i passaggi furono resi più difficili 48 . Dopo la determinazione dei confini del 1954 migravano a Trieste quotidianamente solo 287 abitanti (della ormai ex) zona B. In quel periodo potevano ottenere il permesso di lavoro a Trieste solo quei cittadini jugoslavi che avevano la residenza in quell’area della zona A che fu assegnata alla Jugoslavia (i colli di Muggia) 49 . Negli anni successivi il confine divenne nuovamente più permeabile e il numero dei pendolari dal Capodistriano verso Trieste crebbe nuovamente. Alcuni andavano a Trieste per fare delle «ore in nero» dopo il loro regolare lavoro, abbastanza diffuso era anche il lavoro a Trieste delle domestiche. Per gli anni Settanta sono stati calcolati circa 2.500 arrivi transfrontalieri al giorno a Trieste (inclusi quelli dal Carso) 50 .

La disintegrazione fra Trieste e Capodistria 463 Alcune considerazioni conclusive La zona A del TLT era la vetrina del mondo atlantico, la zona B del TLT lo era invece della società socialista jugoslava 51 . Nella zona A gli enormi aiuti all’economia da parte americana e italiana rinnovarono l’industria triestina e mitigarono la pressione della disoccupazione, ma non impedirono la consistente emigrazione 52 . Nella zona B alla fine del TLT l’economia era sotto il livello dell’anteguerra, nonostante gli sforzi delle autorità locali e degli aiuti economici dalla Jugoslavia, che «investì quasi un miliardo di dinari per la ricostruzione e la crescita dell’economia capodistriana» 53 . Anche dalla zona B emigrarono, nello stesso periodo, molte persone, e una gran parte di esse si trasferì proprio a Trieste. I provvedimenti che maggiormente incisero nel senso della dis-integrazione furono presi da parte jugoslava prima della creazione del TLT, quindi fino al 1947 incluso, e poi in seguito alla sua abolizione, quindi dopo il 1954. Ma anche durante l’esistenza del TLT le autorità jugoslave continuarono nell’opera di dis-integrazione dell’economia della zona B e della zona A, e ciò consapevolmente ma anche come indiretta e auspicabile conseguenza dell’introduzione (seppure imperfetta e cauta) del sistema socialista jugoslavo e dell’integrazione con i flussi economici delle aree slovena e croata. Possiamo dire che il processo di dis-integrazione fu più intenso fino al 1947, sia dal punto di vista formale che pratico, poi nell’ambito del TLT la disintegrazione continuò con forme più striscianti, mentre dopo il 1954 esso si realizzò invece sia dal punto di vista formale che pratico. Dei precedenti legami a tutti i livelli rimasero come indice d’integrazione soprattutto i pendolari che più o meno regolarmente si recavano a lavorare a Trieste. Da parte alleata e soprattutto da parte italiana, fino al 1954 si osserva un interesse a conservare la possibilità di transito del confine tra le zone A e B del TLT, riguardo alle questioni economiche si percepisce invece la volontà di mantenere i legami quando consentivano di conservare la propria influenza nella zona B, ma anche di troncarli se potevano risultare utili all’amministrazione jugoslava. L’emigrazione della popolazione dalla zona B nell’immediato dopoguerra e dopo l’annessione alla Jugoslavia indubbiamente agì da fattore piuttosto di disintegrazione che di integrazione, così come il forte flusso emigratorio da Trieste verso l’Italia e altri paesi tra il 1945 e il 1965. In entrambi i casi andavano a strapparsi le reti sociali esistenti, sia all’interno di ognuna delle due «zone» sia tra di esse. Dopo la fine del TLT la Slovenia stabilì a Capodistria il nuovo centro economico del proprio Litorale, che andava a creare una nuova regionalità economica nell’area e, in prospettiva, anche nuovi rapporti e nuove forme di integrazione transfrontaliera. Ad ogni modo la disintegrazione non fu mai completa e ben presto gli accordi italo-jugoslavi sul traffico transfrontaliero iniziarono a rendere possibile una nuova integrazione. (Traduzione di Dunja Nanut)

La disintegrazione fra Trieste e Capodistria 463<br />

Alcune considerazioni conclusive<br />

La zona A del TLT era la vetrina del mondo atlantico, la zona B del TLT lo era invece della<br />

società socialista jugoslava 51 . Nella zona A gli enormi aiuti all’economia da parte americana e<br />

italiana rinnovarono l’industria triestina e mitigarono la pressione della disoccupazione, ma<br />

non impedirono la consistente emigrazione 52 . Nella zona B alla fine del TLT l’economia era<br />

sotto il livello dell’anteguerra, nonostante gli sforzi delle autorità locali e degli aiuti economici<br />

dalla Jugoslavia, che «investì quasi un miliardo di dinari per la ricostruzione e la crescita<br />

dell’economia capodistriana» 53 . Anche dalla zona B emigrarono, nello stesso periodo, molte<br />

persone, e una gran parte di esse si trasferì proprio a Trieste.<br />

I provvedimenti che maggiormente incisero nel senso della dis-integrazione furono presi da<br />

parte jugoslava prima della creazione del TLT, quindi fino al 1947 incluso, e poi in seguito alla<br />

sua abolizione, quindi dopo il 1954. Ma anche durante l’esistenza del TLT le autorità jugoslave<br />

continuarono nell’opera di dis-integrazione dell’economia della zona B e della zona A, e ciò<br />

consapevolmente ma anche come indiretta e auspicabile conseguenza dell’introduzione (seppure<br />

imperfetta e cauta) del sistema socialista jugoslavo e dell’integrazione con i flussi economici<br />

delle aree slovena e croata. Possiamo dire che il processo di dis-integrazione fu più intenso<br />

fino al 1947, sia dal punto di vista formale che pratico, poi nell’ambito del TLT la disintegrazione<br />

continuò con forme più striscianti, mentre dopo il 1954 esso si realizzò invece sia dal punto<br />

di vista formale che pratico. Dei precedenti legami a tutti i livelli rimasero come indice<br />

d’integrazione soprattutto i pendolari che più o meno regolarmente si recavano a lavorare a<br />

Trieste. Da parte alleata e soprattutto da parte italiana, fino al 1954 si osserva un interesse a<br />

conservare la possibilità di transito del confine tra le zone A e B del TLT, riguardo alle questioni<br />

economiche si percepisce invece la volontà di mantenere i legami quando consentivano di<br />

conservare la propria influenza nella zona B, ma anche di troncarli se potevano risultare utili<br />

all’amministrazione jugoslava. L’emigrazione della popolazione dalla zona B nell’immediato<br />

dopoguerra e dopo l’annessione alla Jugoslavia indubbiamente agì da fattore piuttosto di<br />

disintegrazione che di integrazione, così come il forte flusso emigratorio da Trieste verso l’Italia<br />

e altri paesi tra il 1945 e il 1965. In entrambi i casi andavano a strapparsi le reti sociali esistenti,<br />

sia all’interno di ognuna delle due «zone» sia tra di esse.<br />

Dopo la fine del TLT la Slovenia stabilì a Capodistria il nuovo centro economico del proprio<br />

Litorale, che andava a creare una nuova regionalità economica nell’area e, in prospettiva, anche<br />

nuovi rapporti e nuove forme di integrazione transfrontaliera. Ad ogni modo la disintegrazione<br />

non fu mai completa e ben presto gli accordi italo-jugoslavi sul traffico transfrontaliero<br />

iniziarono a rendere possibile una nuova integrazione.<br />

(Traduzione di Dunja Nanut)

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