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preme1.chp:Corel VENTURA - TRIESTE Books

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46 Raoul Pupo<br />

assistenziali e politiche ancora poco studiato ma certamente assai rilevante. Pochi mesi dopo –<br />

con il contributo determinante dello stesso Palutan – venne bloccato il tentativo del GMA di<br />

affidare la presidenza della costituenda deputazione provinciale a Ferdinando Gandusio, al cui<br />

posto fu invece designato il democristiano Giovanni Tanasco 2 . Non è peregrino ipotizzare<br />

dietro simili mutamenti di equilibri un consolidamento democristiano dovuto non solo a fattori<br />

locali, ma anche all’azione del governo italiano, oramai saldamente in mano della DC senza più<br />

coabitazioni con i comunisti e – dopo il 18 aprile 1948 – senza più rischi di ribaltamento degli<br />

scenari politici: un governo quindi capace di far sentire fortemente la sua voce a Trieste, non<br />

solo per mezzo dei canali diplomatici e dei persistenti legami con l’economia locale, ma anche<br />

attraverso l’azione assai decisa dell’Ufficio per le zone di confine, sorta di deus ex machina della<br />

politica triestina, almeno nella sua componente filo-italiana, ma la cui attività sfugge ancora alla<br />

nostra capacità di ricostruzione, vista la perdurante indisponibilità delle fonti.<br />

Se dunque il processo di affermazione dell’egemonia politica democristiana fu lungo, perché<br />

si concluse appena con le elezioni del 1949, il suo autentico motore, vale a dire il nodo della<br />

difesa nazionale, costituì anche il limite di quella medesima egemonia. Com’è noto, infatti, la<br />

maggior parte dell’elettorato – sia triestino che istriano – della DC, come pure la configurazione<br />

delle alleanze all’interno della società locale che aveva consentito l’ascesa democristiana al<br />

potere, continuarono a richiedere al partito di mantenere il medesimo ruolo anche quando ogni<br />

autentica minaccia all’italianità si era dissolta, dopo il Memorandum di Londra del 1954. Le<br />

tensioni che ne seguirono rappresentano la variante locale della più generale evoluzione che<br />

accompagnò il sistema politico italiano verso il centro-sinistra; a Trieste però la combinazione<br />

dell’anticomunismo con il tema della difesa nazionale rese il passaggio più difficile, mentre la<br />

sostanziale immobilità della società triestina, una volta assorbita la massa di profughi istriani<br />

portatori di una forte carica di antagonismo nazionale, aprì progressivamente una forbice tra le<br />

priorità fissate dalla dirigenza democristiana di nuova generazione, e le aspettative del corpo<br />

elettorale. La strategia del centro-sinistra rimase dunque fragile – nonostante fosse riuscita, alla<br />

distanza, ad integrare politicamente anche la componente comunista, precedentemente autocondannatasi<br />

ad una lunga sterilità antisistema – e non resse alla prova del Trattato di Osimo,<br />

quando l’ultima fiammata della questione nazionale costituì l’occasione per una resa dei conti<br />

all’interno della classe dirigente giuliana.<br />

Quelli appena ricordati sono dunque i termini essenziali della peculiarità democristiana di<br />

Trieste, così come consolidati ormai nella tradizione interpretativa. Non vi è ragione di<br />

rimetterli in discussione, ma di articolarli sì, per evitare che l’insistenza sulle anomalie offuschi<br />

i profondi nessi che esistono fa la situazione giuliana e la più generale dinamica evolutiva del<br />

partito dei cattolici democratici.<br />

In tutta Italia, la DC delle origini si presentava come un partito «leggero», dal momento che<br />

poteva contare sulla rete organizzativa del movimento cattolico 3 : a Trieste il problema era che<br />

ad essere leggero era anche il movimento cattolico, se pure le sue organizzazioni avevano<br />

comunque avuto un certo sviluppo tra le due guerre ed in alcune frange – soprattutto giovanili<br />

– alla fine degli anni Trenta erano maturate forti perplessità relative perlomeno ad alcuni<br />

aspetti del regime fascista. Il distacco dal fascismo era comunque maturato anche a Trieste nel<br />

corso del conflitto e nel corso dell’occupazione tedesca si era trasformato nella partecipazione<br />

di alcuni gruppi di cattolici alla resistenza, secondo uno schema usuale in molte realtà del Paese.<br />

Ma in ogni caso, tra guerra e dopoguerra, il laicato cattolico rimaneva assai fragile ed un<br />

decisivo ruolo di supplenza, sul piano culturale, sociale e politico fu esercitato dal clero<br />

diocesano. L’azione diretta della Chiesa rappresentò dunque un elemento essenziale del<br />

successo democristiano, sia sul versante organizzativo che su quello della legittimazione politi-

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